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Nordisk hedendom - Terra della sera

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<strong>Nordisk</strong> <strong>hedendom</strong>


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3<br />

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4<br />

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5<br />

In d i c e<br />

M A P P A D E L S I T O<br />

(pag. 7)<br />

F i l o s o f i a<br />

(pag. 10)<br />

L e t t e r a t u r a<br />

(pag. 32)<br />

M u s i c a<br />

(pag. 56)<br />

A n t r o p o l o g i a<br />

(pag. 66)<br />

E s t e t i c a<br />

(pag. 73)<br />

I d e o l o g i a<br />

(pag. 84)<br />

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6<br />

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7<br />

M A P PA D E L S I TO<br />

Mjöllnir<br />

Tracciato su una qualsiasi superficie, Mjöllnir – il nome del martello di Þórr – è<br />

segno benaugurante. In questo particolare caso, posto sulla soglia d'entrata del sito,<br />

ha la funzione di benvenuto. A Kiruna, molti anni fa, nella Lapponia svedese,<br />

mi è capitato di vederlo dipinto all'improvviso su di un muro, durante una notte<br />

di festa <strong>della</strong> tarda estate artica. La tarda estate artica ulula, suona affacciata tra le<br />

case sul mare; fiammeggia alle frange dell'ultimo mito. La forma qui utilizzata deriva<br />

da Altgermanische Religionsgeschichte di Jan de Vries.<br />

"<strong>Terra</strong> <strong>della</strong> <strong>sera</strong>"<br />

Il nome del sito rimanda invece alla questione <strong>della</strong> traduzione e delle lingue.<br />

Perché scegliere così scopertamente l'italiano? Ogni traduzione è una questione di<br />

rimbalzo. L'italiano è, tra tutte le lingue, quella più impoetica e fastidiosa: lingua<br />

sguaiata e piena di rumore. Lingua senza un popolo in cui parlare. Per odiarla, basterebbe<br />

il fatto che è la lingua di quel lugubre gruppo di massoni e assassini dal<br />

nome "Italiani". In tutto il suo essere questa lingua ha le caratteristiche di una lingua<br />

di meticci. Ma qui ha funzione di centro del vortice del mælstrøm <strong>della</strong> degenerazione.<br />

Il bello <strong>della</strong> degenerazione è che essa nulla risparmia. Fa fuori tutto.<br />

Ma tutto è allora occasione di un pensiero fruttuoso per l'indomani.<br />

"In cammino verso il concetto di arte degenerata"<br />

Il motto che segue ha infatti il compito di chiamare a una riflessione su ciò che<br />

è fondamentale nella nostra epoca: l'arte degenerata. Ma l'arte degenerata è presente<br />

solo perché esistono le razze degenerate. E l'intera questione <strong>della</strong> degenerazione<br />

è ciò che qui viene indicato come ciò che è da cominciare a pensare, qualunque<br />

cosa ne dica la nostra addomesticata modernità. Poiché niente si presenta allo<br />

sguardo di colui che si pone a guardare in quanto risultato di una degenerazione.<br />

I tre pulsanti<br />

I tre pulsanti hanno la funzione di minacciare nella bilancia la lingua italiana,<br />

minacciando la stessa cosa in un altro mondo. Ma le parole sono mantra, e un<br />

mantra è un ingorgo, un ingegno nella lingua, un inciampo di suoni e figure che<br />

non ha bisogno di alcuna traduzione esplicativa. È puro mandala fatto suono, così<br />

come un mantra è insieme una grande figura fonicizzata.<br />

Langhuset è l'antica casa dell'epoca vichinga. Al suo interno, il capo, lo höfðingi,<br />

si riuniva con la sua schiera di guerrieri e tra feste feroci preparava le incursioni<br />

stagionali. I testi raccolti hanno la funzione di una schiera di guerrieri pronti a disperdersi<br />

per creare irreversibili disastri.<br />

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8<br />

<strong>Nordisk</strong> <strong>hedendom</strong> è costituito da scorci di pensiero messi Nero su bianco per ulteriori<br />

approfondimenti ad opera di chiunque voglia farlo. La forma dipende da<br />

ciò che Nietzsche definiva con il termine "aforisma" (più di uno ne riprende letteralmente<br />

l'avvio). Anche la preoccupazione – sempre presente – per le sorti <strong>della</strong><br />

musica riporta agli aforismi di Nietzsche. Il nome è stato invece suggerito dal titolo<br />

di un libro di Folke Ström. Ho acquistato quel piccolo, chiaro volume, compatto<br />

nella sua carta pesante, a Visby, nell'isola di Gotland. In quella bellissima cittadina<br />

svedese si respira l'incanto di un medioevo germanico, un medioevo ben diverso<br />

da quello becero e puzzolente che si trova nella maledetta Italia, con il suo<br />

dantume e il suo cristume. Gro Steinsland, una studiosa norvegese, a proposito del<br />

termine "paganesimo" ha scritto: «Hedendom er en betegnelse vi godt kan bruke<br />

om den førkristne, nordiske religionen i Norden. Da kristendommen vant fotfeste<br />

rundt år 1000, kalte folk som selv var tilhengere av den gamle tro, sin egen<br />

religionsform for heiðinn dómr, <strong>hedendom</strong>. Ordet heiðinn, "hedensk", har vi ingen<br />

sikker forklaring på, kanskje betyr det "hjemlig". Det er rett og slett en betegnelse<br />

på det som den var nerdarvet religiøs tradisjon. Det lå derfor ikke noe nedsetende i<br />

begrepet, tvert imot. Det var en benevnelse på det kjente og kjære i motsetning til<br />

det nye som presset på fra alle kanter. I dag har derimot begrepene "hedning" og<br />

"hedenskap" fått en annen valør; det betegner bevisst avstandstagen til<br />

kristentroen.» È appunto questa doppia interpretazione che si accetta e si rilancia<br />

nell'uso del termine in quanto titolo.<br />

Utseende è uno sguardo che non guarda a partire da un fuoco da cui imparare a<br />

vedere, ma che riguarda i vortici che ogni testo fa affiorare. È quindi un fascio di<br />

luce che s'incanta attorno a fasci abbaglianti di un buio che si incomincia a intravedere.<br />

La fotografia<br />

La fotografia rimanda alla fine <strong>della</strong> <strong>Terra</strong> <strong>della</strong> <strong>sera</strong>, colta nei suoi valori estremi:<br />

sole di mezzanotte, notte polare. Sole Nero di Mezzanotte, Bianca Notte del<br />

Polo. Ma la fotografia, come sempre fa adesso ogni fotografia, rimanda al viaggio.<br />

Il viaggio è la vera inquietudine che coglie colui che non ha terra dove stare. Ma il<br />

viaggio è tutt'altro che semplice terra dove andare, come segna il moderno turismo.<br />

Questo perché il moderno turismo ha le sue radici nel tour, cioè nel giro che<br />

prevedeva l'Italia maledetta come uno dei punti di passaggio di quel beffardo tour.<br />

La maledetta Italia è punto di partenza per il viaggio che porta nella terra <strong>della</strong> razza<br />

bianca d'Europa su nel Nord, là dove la creazione divina risuona in pieno di<br />

tutti i suoi suoni di luce e di buio. Dio, infatti, ha creato il Sacro Nord manifestando<br />

in pieno la sua potenza. Eppure c'è un tempo in cui solo uno straniero può<br />

comprendere appieno la bellezza del Sacro Nord e ringraziare Dio per la bellezza di<br />

questo vertice <strong>della</strong> creazione. Questo è adesso ciò che solo uno straniero può essere<br />

chiamato a fare, andando e venendo, con l'ansia di un messaggero, tra la terra<br />

del Sacro Nord e le razze inferiori del sud dell'Europa.<br />

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9<br />

Così il movimento qui delineato ricorda un moderato andamento circolare di<br />

avvicinamento e ripiegamento al centro. Se disegnato, si nota che questo movimento<br />

rovescia la particella giapponese no (の), poiché civiltà germanica e civiltà<br />

giapponese si corrispondono secondo una logica di movimenti agli antipodi, perché<br />

la <strong>Terra</strong> <strong>della</strong> Sera, al suo estremo inchinarsi prima di andare sotto, chiama la<br />

<strong>Terra</strong> del Sole che Sorge.<br />

Così il sito è stato aperto in segno di disprezzo verso il popolo italiano, ma –<br />

come nella Casa di un vero Capo vichingo – chiunque è benvenuto, amico o nemico.<br />

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10<br />

Fi l o s ofia<br />

<strong>Terra</strong> dove andare<br />

Per Carl Schmitt (Il nomos <strong>della</strong> terra) la parola greca nomos comprende la prima<br />

misurazione <strong>della</strong> terra a seguito di una occupazione. C’è un collegamento che<br />

riguarda nomos e occupazione <strong>della</strong> terra. «L’anello di recinzione, la cinta formata<br />

da uomini, il Mannring, sono forme originarie <strong>della</strong> comunità di culto, giuridica e<br />

politica» (p. 65).<br />

Il greco nomos può essere accostato al verbo islandese nema. Cleasby-Vigfusson<br />

(An Icelandic-English Dictionary, s.v. nema) riporta anche: «in a lawful sense, nema<br />

land, to take possession of a land as a settler». landnám è «the taking land, a law<br />

term» (ibid.). Il derivato landnámamaðr indica l'uomo (maðr) che ha preso (rad.<br />

nema) la terra (land), attuando in essa il proprio insediamento.<br />

Un testo medioevale islandese si chiama Landnámabók: libro (bók) <strong>della</strong> presa<br />

<strong>della</strong> terra (landnáma), ed è un resoconto <strong>della</strong> presa <strong>della</strong> terra in Islanda. In questo<br />

testo si riportano diversi modi di prendere la terra. Ma il prendere la terra era<br />

allora un qualcosa legato a una scelta su cui l'individuo non esercitava scelta, fuorché<br />

la scelta di non esercitare scelta. Landnámabók: «Þá er Ingólfr sá Ísland, skaut<br />

hann fyrir borð öndugissúlum sínum til heilla; hann mælti svá fyrir, at hann skyldi<br />

þar byggja, er súlurnar kœmi á land.» (p. 42) [Quando Ingólfr vide l'Islanda, gettò<br />

fuori bordo i pilastri del suo seggio alto e disse che avrebbe costruito là dove i pilastri<br />

fossero arrivati a terra]. Scegliere la terra era dunque accettare un luogo verso il<br />

quale si era chiamati da una terra alla terra.<br />

Una terra presa era una terra protetta da spiriti guardiani, che potevano accettare<br />

o respingere o chiamare coloro che sfioravano la terra. Un vento divino veniva<br />

così a proteggere la terra. Questo è l'incanto fragile che collega antica storiografia<br />

scandinava e antica storiografia giapponese.<br />

Adesso si pensa alla terra solo come terra dove andare. Molti sono i modi di andare<br />

per la terra: andare per turismo, andare per sopravvivere, andare soltanto per<br />

abitare in un altro luogo <strong>della</strong> terra. Si vogliono difendere i diritti di coloro che<br />

vanno per la terra per sopravvivere. Si vuole accogliere in una terra che si sente<br />

come la propria. Dimenticando la cosa fondamentale: non è l'individuo a scegliere<br />

la terra dove abitare; ma la terra a chiamare il suo abitante.<br />

Libri sfiorati:<br />

C. Schmitt Il nomos <strong>della</strong> terra, Adelphi, Milano 1998.<br />

R. Cleasby, G. Vigfusson, W.A. Craigie An Icelandic-English Dictionary, Oxford University<br />

Press, Oxford 1986.<br />

Íslendingabók – Landnámabók, Íslenzk fornrit, Reykjavík 1986.<br />

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11<br />

La storia sarà tutt'uno con l'arte di dimenticare<br />

Credo in una prossima, inevitabile e lunga era di barbarie nuove, di libertà e libera<br />

sfrenata fantasia. Una contaminazione fra giustizia e sopraffazione la caratterizzerà.<br />

Compito dell'uomo sarà sempre quello di essere testimone <strong>della</strong> bellezza<br />

del mondo e di ringraziare Dio per la bellezza del mondo. La poesia e la filosofia<br />

saranno sempre gli strumenti attraverso i quali l'uomo ringrazierà Dio per la bellezza<br />

del mondo. Ma esse non consisteranno altro che in un tessuto fitto di bestemmie<br />

e di irrisione del divino. Sarà l'epoca in cui ci si avvierà a pensare in un<br />

modo nuovo. Una cosa sarà due cose e una qualità sarà l'intero opposto di se stessa.<br />

I filosofi si meraviglieranno di come sia stato possibile elaborare tante diverse<br />

teorie del pensiero a partire da una cosa tanto astrusa quanto ciò che veniva chiamato<br />

il principio del terzo escluso. Nella vita quotidiana le vittime di questa nuova<br />

era saranno innumerevoli, ma cadranno in nome di un impulso al gioco e alla<br />

spensieratezza che avrà molto, in quanto a essere nel mondo, dell'innocenza del<br />

bambino. Nessun monumento le richiamerà mai. Non ci sarà nessun giorno <strong>della</strong><br />

memoria. La storia sarà tutt'uno con l'arte di dimenticare.<br />

Il gaucho di Borges<br />

Da qualche parte Borges fa l'ipotesi di un possibile personaggio consistente in<br />

un gaucho che ha letto Platone. I gauchos non leggono Platone, tuttavia, un singolo<br />

gaucho, per caso, potrebbe leggerlo e questo renderebbe plausibile un tale personaggio.<br />

Il testo in cui un tale personaggio potrebbe agire (racconto o romanzo) dovrebbe<br />

allora presentare il caso dell'unico gaucho che legge Platone.<br />

Una teoria basata sul realismo socialista chiederebbe ragione sulla necessità di<br />

creare un tale personaggio. "Se i gauchos non leggono Platone, perché immaginare<br />

un gaucho che legge Platone?" Il singolo gaucho che legge Platone non è un fatto<br />

tipico e, a peggiorare la situazione, ci sarebbe la constatazione che, dalla lettura di<br />

Platone, il singolo gaucho non otterrebbe nulla in quanto a coscienza di classe e<br />

nemmeno tale lettura inciderebbe sulla specifica lotta di classe portata avanti da<br />

tutti i gauchos.<br />

Un tale personaggio sarebbe ingombrante anche per una teoria estranea al realismo<br />

socialista. Ci sarebbe infatti da chiedersi come e perché questo benedetto gaucho<br />

legga Platone. Se il fatto di leggere Platone da parte di questo personaggio fosse<br />

appena importante, esso dovrebbe costituire il tema di tutto il romanzo o racconto<br />

che fosse, e tutti i dettagli <strong>della</strong> narrazione sarebbero in funzione di tale bislacca<br />

scelta. Esso dovrebbe quindi costituire il tema centrale <strong>della</strong> narrazione. Se<br />

questo fatto fosse invece liquidato in una sola riga, questa riga striderebbe talmente<br />

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con tutto il resto, che esso apparirebbe in funzione di quella riga, finendo così di<br />

nuovo per costituire il tema centrale <strong>della</strong> narrazione.<br />

Parafrasando il linguaggio <strong>della</strong> Gestalt, si potrebbe dire che siamo in presenza<br />

di una segregazione delle forme di tipo psicologico, cioè delle costanti psicologiche.<br />

Per risolvere la situazione bisogna pensare a una costruzione del personaggio<br />

non in base a una forza centripeta, inclusiva rispetto al personaggio, ma ad una<br />

forza centrifuga, elusiva rispetto al personaggio. Stabilito quindi il personaggio,<br />

consistente in un nome casuale, due serie sarebbero in questo caso possibili. Una<br />

serie farebbe capo alla variabile "gaucho", l'altra alla variabile "Platone" (infatti,<br />

questi elementi, non sarebbero altro che variabili). Entrambe le serie potrebbero<br />

espandersi in sottoserie, e una serie dovrebbe riguardare la narrazione (romanzo o<br />

racconto che sia). Ma in nessun caso le serie potrebbero finire per ricongiungersi<br />

nella stabilità di un personaggio. Il personaggio sarebbe solo il casuale punto di fuga<br />

di serie che non si ricongiungono. Nemmeno il nome lo determinerebbe in<br />

modo univoco. Il nome sarebbe una serie inglobante serie di nomi possibili e di<br />

tutti i nomi <strong>della</strong> storia. Questo perché quando un nome è solo un caso, allora ogni<br />

nome è tutti i nomi <strong>della</strong> storia.<br />

Gli elementi ci sono tutti: il gaucho da una parte e Platone dall'altra. Manca l'elemento<br />

impossibile: che solo un gaucho, tra tutti i gauchos <strong>della</strong> terra, legga Platone.<br />

Totalità<br />

Manca uno studio relativo su come l'istituzione <strong>della</strong> città abbia modificato il<br />

comportamento degli esseri viventi. In mancanza di un testo base ci si può riferire<br />

ad alcuni libri che affrontano la questione da diverse angolature.<br />

Il modo migliore per fissare una possibile bibliografia è indicare quei libri che<br />

hanno trasmesso lo stupore che di colpo si è avvertito quando ci si è resi conto di<br />

trovarsi a vivere in una città. Cioè in un qualcosa di diverso da ciò che caratterizzava<br />

i precedenti insediamenti umani.<br />

Infatti è proprio questo da affrontare prima di tutto.<br />

La situazione <strong>della</strong> classe operaia in Inghilterra di Engels è forse il testo che maggiormente<br />

trasmette questo stupore, ormai a noi tolto.<br />

I «passages» di Parigi di Benjamin è un testo che collega "città" e "modernità".<br />

Di nuovo, due concetti che stentano a suonare nelle loro rispettive dissonanti novità.<br />

Agostino, il "mediocre meticcio africano", secondo la geniale definizione di<br />

Rosenberg, nella Città di Dio apre a una considerazione diversa <strong>della</strong> città. Qui<br />

l'analisi parte dallo scontro fra due città: la Gerusalemme celeste e la Gerusalemme<br />

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terrena. L'abitante <strong>della</strong> città terrena può solo dimostrarsi insofferente nel rapporto<br />

con quella celeste. Ma in lui non può esserci nessuno stupore.<br />

Nel Tramonto dell'Occidente Spengler confronta invece diverse città in senso<br />

verticale, cioè scendendo nel tempo, a partire dall'idea del tramonto <strong>della</strong> <strong>Terra</strong><br />

<strong>della</strong> Sera. Roma e Baghdad vengono così a suonare insieme, cioè a consonare.<br />

Il concetto di città è un concetto semita, prima di tutto; mediterraneo, in un<br />

secondo tempo. Ma sempre uguale.<br />

Alla città semita bisogna contrapporre la casa indoeuropea. Il libro di riferimento<br />

è, forse ancora adesso, La casa degli Indeuropei di Giangabriella Buti (Firenze,<br />

Sansoni 1962). Non città, ma casa. Spengler ha notato l'espansione urbanistica di<br />

Roma in senso verticale. La casa tende a sparire, in lontananza c'è già il palazzo<br />

(Monteverdi, Basile, ecc.).<br />

L'Europa non ha mai conosciuto in origine qualcosa come una città. Il più antico<br />

insediamento europeo è quello di fattorie isolate, non di grandi città. La grande<br />

città è un artificio che collega Bibbia, Corano, Mille e una notte, la filosofia del<br />

mediocre meticcio africano Agostino e la poesia di Roma "città eterna". Ma la città<br />

è estranea alla natura dell'Europa. In quei testi la città si espande sempre in verticale.<br />

Come torri. Minaccia il cielo. Lo assorda con lo schiamazzo dei suoi abitanti<br />

sempre più litigiosi e numerosi. Sauron e Babele. Sempre bersaglio di un dio tiranno,<br />

che le abbatte per manifestare il suo potere criminale.<br />

Lo stupore di colui che cammina nelle città moderne con disagio è lo stupore<br />

del Viandante d'Europa. Che annulla la città, che sa che attraversare l'Europa è<br />

camminare nella terra la cui terra non è più la terra degli Europei. Attraversare la<br />

strada di una città è allora compiere un viaggio, secondo l'avvertimento di Henry<br />

Miller.<br />

L'etologia dimostra come la città modifichi il comportamento di alcuni animali<br />

prima solo selvatici, ora parzialmente inglobati nella città. Piccoli animali che prima<br />

<strong>della</strong> costruzione delle città non si avvicinavano agli insediamenti umani.<br />

Baudelaire presenta il caso di una poesia all'interno di una città nella quale la<br />

poesia viene cercata, costi quel che costi, a tutti i costi, dal soggetto errante. Da<br />

qui il tema del flâneur.<br />

Così il poeta e l'animale sono adesso gli abitanti ai quali è dato muoversi come<br />

estranei nella città.<br />

Il cinema, in quanto degenerazione dell'arte del romanzo, presenta il fascino di<br />

città pericolose e misteriose. E in questo il cinema si risolve. Fascino scandito da<br />

ritmi musicali negroidi, negrosuadenti; ma, secondo l'estetica moderna, proprio<br />

per questo degno di giungere alla rappresentazione. Northrop Frye vedeva nella<br />

pubblicità l'ironia che permette di accogliere il prodotto finale a scanso di qualsiasi<br />

sconcio critico.<br />

Solo il poeta può vedere la bellezza unica di una lontana città che nessuno conosce.<br />

Ammantata sui monti ai lati di un mare freddo e senza movimento. Solo il<br />

poeta può scrivere la lode in onore degli dei. Solo l'uomo è il testimone <strong>della</strong> bellezza<br />

del mondo. Solo il poeta riconosce nel mondo il ritorno degli dei. Ma il poe-<br />

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ta da solo non salva il mondo.<br />

L'animale che si avvicina all'uomo salva il mistero del mondo. Il poeta scrive<br />

parole che hanno forma e suoni di animali. Quello che il poeta fa è il mistero del<br />

mondo. Quello che chiama il poeta è il grande dolore del mondo.<br />

Fragile è la possibilità del poeta. Senza fragilità il mondo sarebbe triste, lento e<br />

solitario nel mese che termina la serie di dodici.<br />

Andare per il mondo<br />

Andare per il mondo è un'arte che turismo, relazioni commerciali e culturali tra<br />

i vari paesi del mondo insidiano.<br />

Occorre soprattutto recuperare il significato originario dell'andare per il mondo,<br />

quasi il suo archetipo.<br />

Colui che si mette in viaggio lo fa per mostrare l'esistenza <strong>della</strong> terra del sacro.<br />

Sa che la terra dove è nato è la terra <strong>della</strong> irrisione del sacro.<br />

Andare per il mondo non prevede l'uso di una lingua straniera né di allacciare<br />

relazioni tra uomini e donne diversi.<br />

Andare per il mondo è un'arte del silenzio e del non apparire.<br />

Colui che si fa viandante nel mondo non usa la lingua per comunicare.<br />

Egli rigetta la propria lingua perché lingua composta di soli segnali e cerca la<br />

lingua in quanto lingua del sacro.<br />

Il suo rudimentale uso <strong>della</strong> lingua ha così adesso il solo scopo di ricordare l'esistenza<br />

<strong>della</strong> lingua del sacro.<br />

Se andare per il mondo è per il Viandante d'Europa muoversi in cammino verso<br />

la <strong>Terra</strong> del Sacro, e se la terra del sacro è creata solo dall'azione di movimento<br />

del Viandante d'Europa, ne consegue che la terra dalla quale il Viandante d'Europa<br />

parte per ricreare nella propria epoca la <strong>Terra</strong> del Sacro, è la terra che ha condannato<br />

l'esistenza <strong>della</strong> terra del sacro.<br />

La timidezza delle parole<br />

La questione dell'olocausto non si pone. Il revisionismo ha avuto il merito di<br />

dare una scrollata alla questione, ma sembra ossessionato dalla priorità di assolvere<br />

il nazismo.<br />

La questione dell'olocausto deve semmai essere impostata da un punto di vista<br />

completamente diverso. Questo punto di vista deve essere appunto, una volta di<br />

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più, ciò che elimina il punto di vista.<br />

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Anche con la parola "razzismo" è la stessa cosa. Spesso si sente accusare di razzismo<br />

gruppi che storicamente sono stati vittima del razzismo. (Succede in Sudafrica<br />

dopo la fine dell'apartheid.) Ma questo è un cattivo uso del termine "razzismo" assunto<br />

solo in quanto parola. Vale a dire in una dimensione puramente di cronaca<br />

giornalistica. Si è spesso più timidi con le parole che con le persone. In realtà, il<br />

razzismo è una corrente filosofica e antropologica che concerne la razza bianca. La<br />

sua messa in gioco globalizzata non può essere passata di mano in mano come una<br />

moneta, cioè come una "parola" divenuta valore di scambio valido solo per convalidare<br />

un disvalore.<br />

È appunto questo aspetto che riguarda anche l'olocausto.<br />

Adorno, elementi di antisemitismo<br />

Elementi dell'antisemitismo è il titolo <strong>della</strong> sezione settima di Dialettica dell'Illuminismo<br />

di Horkheimer e Adorno. Il sottotitolo è: “Limiti dell’illuminismo”. La<br />

sezione è divisa in sette paragrafi numerati.<br />

Tale sezione costituisce un punto fondamentale <strong>della</strong> Dialettica dell'Illuminismo.<br />

E, indirettamente, ha lo scopo di contribuire alla creazione di una tipologia.<br />

L'antisemitismo è in essa analizzato nell'ambito del nazismo.<br />

Questa tipologia è ciò che si potrebbe definire come la tipologia dell'antiantisemita:<br />

colui che, per disposizione naturale, si oppone naturalmente all'antisemitismo.<br />

Ma proprio questo tipo ha una sua fondazione. Che anche in un autore<br />

come Adorno presenta una impronta grossolana e truffaldina.<br />

Ma il nazismo è proprio ciò che adesso deve essere ripensato. Dire che il nazismo<br />

è ciò che adesso deve essere ripensato è dire che il nazismo è ciò che adesso<br />

deve essere proprio pensato.<br />

La definizione del nazismo come "politica da birreria" contribuisce a creare<br />

quell'equivoco di personaggio, rappresentazione, modernità che l'atto di pensare,<br />

adesso, dovrebbe fare a meno di considerare.<br />

Tanto il liberalismo quanto il nazismo proiettano nell’ebreo il lato oscuro delle<br />

rispettive forme sociali (p. 188); il liberale vede nell’ebreo il fondo di rapina su cui<br />

si basa il capitale; il nazista l’aspetto violento e barbarico. L’ebreo diventa così il ladro<br />

(tesi liberale) e il barbaro primitivo (tesi nazista).<br />

Il cristianesimo si sviluppa dall’ebraismo, spiritualizzando il dio dèmone ancora<br />

evidente nel vecchio testamento. A poco a poco, tale religione nega se stessa come<br />

religione [tesi <strong>della</strong> teologia negativa, a p. 193 si cita Barth dopo Pascal, Lessing e<br />

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Kierkegaard], poiché elimina l’aspetto naturale, di cui il dio ebraico era ancora<br />

portatore. Il cristiano è adesso colui che realizza la religione del Figlio, ma vede in<br />

quella del Padre un pericolo e insieme una nostalgia: il pericolo rappresentato dalla<br />

natura da cui egli si è staccato [notare il meccanismo di “dialettica<br />

dell’illuminismo”]. Essendo la religione del Padre l’ebraismo, si ha in questo meccanismo<br />

l’origine dell’antisemitismo (paragrafo IV).<br />

L’antisemitismo fa appello alla idiosincrasia. In apertura del paragrafo V si cita<br />

dal Siegfried: «“Non ti posso soffrire – Non scordartene così facilmente”, dice Sigfrido<br />

a Mime, che aspira al suo amore.» (p. 194) [Si vuole suggerire che<br />

l’antisemita cerchi l’amore degli ebrei?]. [Bisogna comprendere come i detrattori<br />

dell’antisemitismo costruiscano la loro logica. È possibile ottenere un sistema di<br />

tutte queste logiche, aberranti e possibili? Che cosa rivelerebbe una psicoanalisi di<br />

colui che si oppone all’antisemitismo? È possibile una psicoanalisi di questo genere?<br />

Notare come Dialettica dell’illuminismo tenda a sfociare insensibilmente nella<br />

psicoanalisi; più precisamente nella psicoanalisi dell’antisemita. È possibile un movimento<br />

opposto?] Nella idiosincrasia i singoli organi tornano a sottrarsi al controllo<br />

del soggetto (p. 194) [In Odisseo si era visto questo controllo come ancora<br />

in formazione.]. A p. 195 la separazione dalla natura è rintracciata in un insieme<br />

che comporta attori, zingari, divieto religioso delle immagini, pedagogia che insegna<br />

ai bambini a non essere puerili. Ma l’identità si instaura solo attraverso il terrore<br />

(p. 195). [La rappresentazione che gli Autori fanno del nazismo è la stessa che<br />

essi denunciano nel cinema: stereotipi, formule idiote, ripetizioni ebeti, catatonia.]<br />

Nella profanazione dei cimiteri risiede l’antisemitismo in quanto voglia di scacciare,<br />

di impedire una sosta a colui che deve solo migrare (pp. 197-8). [Notare questo:<br />

Gli antisemiti hanno una specie di coazione a ripetere:] «Essi non possono soffrire<br />

l’ebreo, e lo imitano continuamente.» (p. 198): Hitler gesticola come un<br />

clown, Mussolini azzarda toni in falsetto come un tenore di provincia, Goebbels<br />

parla velocemente come un agente di commercio ebreo (p. 199). Le fantasie razziste<br />

dei delitti attribuiti agli Ebrei definiscono esattamente il sogno degli antisemiti<br />

(p. 200). «La civiltà è la vittoria <strong>della</strong> società sulla natura che trasforma tutto in<br />

nuova natura.» (p. 200). [Questo è una specie di motto <strong>della</strong> Dialettica<br />

dell’illuminismo.]<br />

Nella percezione non alterata dall’antisemitismo, il soggetto riflette l’oggetto esterno,<br />

lo ha nella propria coscienza ma sa di avere a che fare con qualcosa di esterno.<br />

L’antisemitismo interrompe questa riflessione: l’oggetto non è più riconosciuto<br />

come tale e il soggetto cessa di riflettere su di sé, perdendo così la capacità<br />

<strong>della</strong> differenza (p. 204). [Notare: tutte le argomentazioni sembrano raccogliersi in<br />

questa sezione, che ha la funzione di delineare una psicoanalisi – quasi lacaniana,<br />

basata sul rapporto soggetto-oggetto – dell’antisemita. I “frammenti filosofici” rivelano<br />

così la loro vera natura: appunti parziali per il ritratto complessivo di un<br />

demone. L’antisemita è l’unico vero demone che questa epoca laica e democratica<br />

possa dipingere sul muro.] Questo meccanismo comporta la fissità paranoica, con<br />

sfumature omosessuali, che caratterizza l’antisemita. Il paranoico realizza oggi<br />

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17<br />

quello che nel Medioevo era riservato alla mitologia del diavolo (p. 211).<br />

Il paragrafo VII spiega come l’antisemitismo bonario del liberalismo sia sfociato<br />

nell’antisemitismo in grado di uccidere. «Nella politica da birreria degli antisemiti<br />

si rivelava la falsità del liberalismo tedesco, di cui essa viveva e che finì poi per uccidere.»<br />

(p. 215). [Nel Mein Kampf il ruolo <strong>della</strong> Hofbräuhaus è ben diverso da<br />

quello ricordato qui: «All’epoca, il salone <strong>della</strong> Hofbräuhaus, a Monaco, per noi<br />

nazional-socialisti acquisì un’importanza quasi mistica», si legge nel Mein Kampf a<br />

proposito del primo grande raduno del 24 febbraio 1920.] La complessa economia<br />

moderna nega l’individuo; realizzando così la dialettica dell’illuminismo. «La dialettica<br />

dell’illuminismo si rovescia oggettivamente in follia.» (p. 219). Il mondo si<br />

avvia verso la globalizzazione. In questo clima di annullamento dell’individuo,<br />

prende il via lo sterminio degli Ebrei (p. 221).<br />

M. Horkheimer, Th.W. Adorno, Dialettica dell'Illuminismo, Einaudi, Torino 1997.<br />

Il Mein Kampf di Adolf Hitler, a cura di Giorgio Galli, Kaos edizioni, Milano 2006, p. 369.<br />

Fontane nella notte<br />

Zarathustra, II, Il canto <strong>della</strong> notte S. Giametta (Commento allo “Zarathustra”,<br />

Bruno Mondadori, Milano 1996, pp. 99-100) fa notare come questa lirica, composta<br />

a Roma, abbia così poco di atmosfera italiana. Le fontane citate da Nietzsche<br />

hanno il riscontro reale nella fontana del Tritone di piazza Barberini, dove si trovava<br />

la casa di un amico di Nietzsche. Il senso sacro <strong>della</strong> notte non ha posto in una<br />

città come Roma. Questo non avere spazio da parte del sacro in una città come<br />

Roma riguarda sia la Roma classica, sia quella moderna. Ma che Roma era quella<br />

visitata da Nietzsche? Si può mai dire che Nietzsche sia mai stato a Roma? (Queste<br />

considerazioni sono importantissime per la definizione di un passaggio attraverso<br />

le città, quel passaggio che adesso è ritenuto dal termine “turismo”.) La fontana<br />

<strong>della</strong> lirica non è l'artefatto fatto dalla mano dell'uomo allo scopo di abbellire un<br />

giardino o una città. La lirica parla di un'ora sacra in una notte sacra, che rende<br />

particolarmente sacre le sorgenti. Per conoscere queste ore sacre Nietzsche ha dovuto<br />

abbandonare la terra in cui è stata la sua origine. La terra che ha avuto<br />

l’origine del pensatore Nietzsche è una delle terre dell’origine <strong>della</strong> razza germanica.<br />

Ma Nietzsche ha dovuto andare al di là dei confini che limitavano questa terra.<br />

Il Sud conosciuto da Nietzsche non è il Sud nel quale la razza informe del Sud ha<br />

avuto una delle sue origini. Il Sud visitato da Nietzsche era in realtà il Nord <strong>della</strong><br />

terra dell’origine del pensatore Nietzsche, che era ciò che poteva essere raggiunto<br />

dopo un abbandono <strong>della</strong> terra dell’origine a favore di una terra nella quale si identificava<br />

il luogo di un proficuo soggiorno. Per colui che oggi legge i testi di<br />

Nietzsche la terra meridionale che ha visto l’occasionale soggiorno di Nietzsche è<br />

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18<br />

la terra in cui Nietzsche ha potuto dire la verità <strong>della</strong> terra dell’origine <strong>della</strong> razza<br />

del Nord. Questa terra è la terra che permette di circondare il filosofo del Nord<br />

che soggiorna nel Sud con la terra del sacro Nord, che non è la terra che ha visto<br />

l’origine del filosofo Nietzsche nel tempo in cui egli ha dovuto abbandonare questa<br />

terra. La razza germanica conoscerà queste notti (p. es. la notte di mezza estate),<br />

capaci di rendere ancora più sacre e distruttive, per chi le cerca, le sorgenti e lo<br />

spazio isolato nel quale esse sorgono. Per il filosofo tedesco <strong>della</strong> fine <strong>della</strong> metafisica<br />

(cioè <strong>della</strong> fine <strong>della</strong> filosofia e <strong>della</strong> civiltà greca, latina, ebraica) il paesaggio<br />

germanico è un destino. Egli può cercare il Sud attraverso un passaggio, ma quello<br />

che trova è sempre il paesaggio del Nord. Quando Nietzsche scrive: "… tutte le<br />

fontane cantano ora più forte…" non importa che egli si trovasse vicino alla fontana<br />

del Tritone a Roma. È la foresta e la sorgente germanica che sorgono in queste<br />

parole messe insieme, ed è la Germania che sorge in una foresta <strong>della</strong> notte. Uno<br />

studioso può far sapere che Nietzsche si trovava ospite del tale pittore svizzero, che<br />

abitava appunto in quella piazza, ma in quelle parole c'è tutto il mondo germanico<br />

e Roma non c'è più. Qui si contrappongono "foresta" e "giardino", fattoria e città,<br />

sacro e monumento.<br />

M. Lutero, Discorsi a tavola, Giulio Einaudi Editore, Torino 1999, p. 289: «L'aria<br />

notturna in Italia è malsana. Il 14 novembre parlavano molto <strong>della</strong> qualità<br />

dell'aria in Italia e dicevano che era sottilissima, cosicché la notte gli abitanti chiudevano<br />

tutte le finestre e le aperture, perché l'aria notturna era malsana.»<br />

Il sentiero del Nord<br />

Per tornare nella sua caverna, Zarathustra giunge davanti alla porta <strong>della</strong> «grande<br />

città». Il pazzo chiamato dal popolo la «scimmia di Zarathustra» gli sbarra la<br />

strada e inveisce contro la città. Zarathustra passa oltre la grande città, senza dare<br />

troppa importanza alle invettive del pazzo. Che cosa vuole dire tutto questo? Perché<br />

Zarathustra non inveisce contro la grande città, mentre le invettive contro la<br />

grande città sono lanciate dal pazzo che il popolo definisce la «scimmia di Zarathustra»?<br />

Perché la grande città è quel destino <strong>della</strong> modernità contro il quale le<br />

invettive sono inutili, perché le invettive fanno ancora parte di quell’insieme che<br />

ha portato alla costruzione delle grandi città. Il pazzo rappresenta l’atteggiamento<br />

di rottura attiva nei confronti <strong>della</strong> modernità, cioè quell’atteggiamento che combatte<br />

la modernità all’interno delle strutture che costituiscono la modernità. La<br />

posizione di Zarathustra è più complessa, perché intravede un tempo nel quale<br />

tutti i rapporti saranno diversi. La diversità di questo tempo riguarderà anche la<br />

vicinanza che nella modernità è rappresentata solo dalla grande città. Il popolo de-<br />

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19<br />

finisce il pazzo «scimmia di Zarathustra» perché ne intuisce la somiglianza con le<br />

idee di Zarathustra, e nello stesso tempo ne intuisce la differenza, per cui il pazzo<br />

che scimmiotta Zarathustra è solo la scimmia di Zarathustra. La grande città è la<br />

grande città europea dell’epoca di Nietzsche: Parigi (la Parigi di Balzac, di Baudelaire),<br />

Berlino (come indica Sossio Giametta nel suo commento allo Zarathustra).<br />

Il pazzo furioso rappresenta i poeti che hanno creato il mito poetico e letterario<br />

<strong>della</strong> grande città (Balzac, Baudelaire, Benjamin e prima di tutti Agostino, il «mediocre<br />

meticcio africano» cantore <strong>della</strong> grande città di Dio e pazzo furioso verso<br />

Roma); la città è la creazione <strong>della</strong> razza del Sud, ma Zarathustra è ormai sul sentiero<br />

del Nord. La grande città del Sud è infatti il sentiero del Nord nel pensiero che<br />

è il pensiero dell’eterno ritorno. Zarathustra passa oltre la grande città perché non<br />

vuole diventare un pazzo furioso, perché sa che la posizione del pazzo furioso è inconcludente;<br />

e sceglie di rimanere in provincia per pensare fino in fondo il suo<br />

pensiero.<br />

Il tempo di Zarathustra<br />

“Ma che vale un tempo che ‘non ha tempo’ per Zarathustra?”.<br />

Questo tempo è prima di tutto un tempo che rimanda a una seconda fase. La<br />

citazione completa suona infatti: «"Non abbiamo ancora tempo per Zarathustra" –<br />

questa è la loro obiezione. Ma che vale un tempo che "non ha tempo" per Zarathustra?»<br />

Questo tempo è un tempo che non ha tempo. Per quale cosa questo<br />

tempo è un tempo che non ha tempo? Se non ci fosse questo stare nel tempo per<br />

non avere tempo, questo tempo non sarebbe un tempo. Ma questo tempo è un<br />

tempo solo se ci si pone una domanda. Questa domanda è: "Che tempo è un tempo<br />

che non ha tempo per Zarathustra?" Questo tempo è il tempo nel quale non si<br />

riconosce il carattere indoeuropeo di Zarathustra; ma è anche il tempo nel quale<br />

l'iranico Zarathustra compare metà greco e metà profeta ebraico: è un tempo nel<br />

quale Zarathustra non ha più tempo per avere tempo.<br />

La domanda: «Ma che vale un tempo che "non ha tempo" per Zarathustra?» è<br />

però una domanda sul tempo. Essa, infatti, prevede e rimanda a un diverso tipo di<br />

tempo.<br />

Questa domanda suona come: "Che tempo è un tempo che non ha tempo per<br />

Zarathustra?" Modulata così, la domanda rivela il suo annidamento nelle questioni<br />

del tempo.<br />

C'è un tempo che non prevede Zarathustra, e un tempo nel quale Zarathustra<br />

irrompe come richiamo a un tempo diverso.<br />

"Non avere tempo per Zarathustra" vuole dire non essere distratti nei propri<br />

progetti nel tempo da un progetto estraneo, che sottrae tempo al compimento di<br />

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20<br />

un progetto. E il compimento di questo progetto esclude Zarathustra.<br />

Il tempo di Zarathustra è la fine del concetto comune di tempo. Questo concetto<br />

comune di tempo è il tempo che ha nel contare "fino al compimento di un<br />

certo tempo" la sua propria natura, secondo la formula di Agostino. Quindi è un<br />

tempo che prevede dei progetti e si manifesta soprattutto nell'arco di un progetto.<br />

Progetti contemplati lontani nel passato (nella prospettiva del tempo percorso e<br />

del progetto completato; ciò che il soggetto ha realizzato) o lanciati lontano nel futuro<br />

(come progetti a venire; ciò che il soggetto deve ancora realizzare). Il progetto<br />

è sempre un incontro con una meta da parte di un soggetto. Al contrario, Zarathustra<br />

non affolla il tempo di progetti. Quindi questo nuovo tempo per il quale<br />

non si ha tempo sarebbe non un semplice accantonare nel tempo, quanto una possibilità<br />

di uccidere il tempo.<br />

Le Confessioni di Agostino contengono riflessioni basilari sul tempo. Ma da che<br />

cosa deriva questo aspetto di base, cioè di fondamento? Le riflessioni sul tempo di<br />

Agostino occupano parte del Libro XI, ma tutta l'opera può essere divisa in due<br />

grandi parti: una prima parte, che può essere definita L'andare per il mondo (Libro<br />

I-IX); una seconda parte, che si potrebbe definire Teoria del soggetto (Libro X-<br />

XIII). Comune a entrambe è il disegno divino che Agostino riconosce nei confronti<br />

di se stesso in quanto soggetto, e quindi la possibilità di raccontare la propria<br />

storia come movimento verso una meta, verso la quale "si" tendeva anche<br />

quando ancora non se ne aveva coscienza alcuna, come Agostino riconosce quando<br />

racconta il periodo del proprio paganesimo. Infatti le Confessioni possono essere<br />

considerate il primo esempio di Bildungsroman. In questo si mostra la verità tanto<br />

quanto in essa tutto è falso come un libro. Ma dalla possibilità di diventare "falso<br />

come un libro" saranno chiamati a uscire, alla fine dell'epoca <strong>della</strong> metafisica, coloro<br />

che collegheranno romanzo e racconto autobiografico, Hamsun e Henry Miller,<br />

per esempio.<br />

Se Zarathustra libera l'ente dalla necessità del divenire, allora Zarathustra deve<br />

anche liberare il tempo dalla necessità dell'annidare in sé progetti.<br />

Ma quando il tempo sarà solo patrimonio di tempo, allora il tempo sarà qualcosa<br />

di falso e segreto, perché il poeta è il patrimonio del silenzio.<br />

F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, in Opere di Friedrich Nietzsche, volume VI, tomo I, Adelphi,<br />

Milano 1973, p. 204.<br />

Il senso <strong>della</strong> terra<br />

Coloro che abitano un mondo dietro il mondo sono, in tedesco, gli Hinterweltler (il titolo di questo<br />

terzo discorso suona in originale: Von den Hinterweltlern). Ma gli Hinterweltler sono, in italiano,<br />

coloro che abitano un mondo dietro il mondo solo se si tiene presente che il termine è ricalcato<br />

su Hinterwäldler. Gli Hinterwäldler sono coloro che abitano dietro i boschi, cioè al di là di essi,<br />

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21<br />

dalla parte che non comunica con la civiltà, faccia non illuminata <strong>della</strong> luna. Sono uomini primitivi,<br />

zotici, che vivono "fuori del mondo", una vita solitaria e bestiale.<br />

S. Giametta, Commento allo "Zarathustra", Bruno Mondadori, Milano 1996, pp. 21-2.<br />

Il bosco germanico è diverso da quello latino. Pensare al bosco delle fiabe. Nelle<br />

fiabe dei Grimm il bosco è vicino alle case. In Basile il bosco esiste solo nella forma<br />

di un giardino attorno al palazzo dove vive l'orco come un qualsiasi altro abitante<br />

<strong>della</strong> città. Ogni filosofia costituisce un rapporto tra le parole di una lingua e i<br />

concetti che essa formula a partire da quella lingua. La lingua tedesca crea un termine<br />

per indicare ciò che vive aldilà <strong>della</strong> civiltà, e questo termine è appunto ciò<br />

che la filosofia, a un certo punto, deve modificare per segnare una frattura con la<br />

filosofia ad essa precedente. La civiltà latina parla più genericamente di “mondo”.<br />

La civiltà germanica parte dalla terra; e dalla terra dove c’è il bosco, che divide diverse<br />

terre. La civiltà latina crea un vocabolario filosofico che ignora tutto ciò che è<br />

del Nord, perché per essa il mondo germanico poteva esistere solo in quanto terreno<br />

di una conquista. La civiltà germanica crea un vocabolario che si oppone al<br />

mondo del Sud, perché ormai, a partire da Nietzsche, creare un nuovo vocabolario<br />

filosofico vuole dire opporsi alla civiltà latina: «Più onesto e puro parla il corpo sano,<br />

nella sua perfezione tetragona: ed esso parla del senso <strong>della</strong> terra.» (F. Nietzsche,<br />

Così parlò Zarathustra, in Opere di Friedrich Nietzsche, volume VI, tomo I,<br />

Adelphi, Milano 1973, p. 33.)<br />

La metafisica è intessuta di pensiero giudaico-cristiano, che a sua volta è un tessuto<br />

<strong>della</strong> terra del sud. Questa è la tessitura inconsapevole <strong>della</strong> filosofia occidentale<br />

dalla quale essa origina i propri concetti, che solo in apparenza sono slegati da<br />

una terra, relativi soltanto a un mondo dello spirito, ma che in realtà sono collegati<br />

a un mondo di una terra precisa. Un mondo che vedeva un mondo dietro il mondo.<br />

L'espressione "fine <strong>della</strong> metafisica" smaschera questa larva di mondo opponendogli<br />

un altro mondo, quello germanico, ma evitando appunto il salto <strong>della</strong><br />

messa in maschera. Nominando, prima di tutto. Non corpo e anima, quindi, ma<br />

corpo e terra.<br />

La filosofia non ha mai parlato <strong>della</strong> terra, ma parlare <strong>della</strong> terra è appunto il<br />

nuovo compito che attende la filosofia.<br />

Il tema è indirettamente presente in Perché restiamo in provincia? di Heidegger.<br />

La filosofia, si fa lì notare, può nascere solo da quel preciso e ristretto ambiente:<br />

dai discorsi con i contadini, dagli animali che accompagnano il lavoro dei contadini,<br />

dalle tempeste improvvise di neve che sorprendono il lavoro del filosofo. È<br />

una filosofia che deve nascere da altre parole. Tutto questo non determina solo l'ora<br />

<strong>della</strong> filosofia, ma l'era diversa dove il pensiero e il suo vocabolario devono infine<br />

arrivare.<br />

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22<br />

Oltre la Grecia<br />

Un pensiero nuovo, in grado di abbandonare, finalmente, le odiate sponde del<br />

levantino sud d'Europa, è diverse volte sembrato vicino. È accaduto con Nietzsche,<br />

poi con Heidegger, e ancora con Dumézil. Ma non è mai stata affrontata la questione<br />

fino in fondo: e allora il pensiero, come un animale fin troppo domestico, è<br />

tornato a raggomitolarsi nel suo nido di parole del sud dell'Europa.<br />

"Affrontare la questione fino in fondo" vuole qui dire andare oltre un pensiero<br />

che vede nella Grecia la sua giusta e inevitabile origine.<br />

Heidegger è importante anche per le possibilità di pensiero che apre oltre la<br />

Grecia (come poi Dumézil); ma perché, nel suo pensiero, tutto si chiude sempre<br />

intorno alla Grecia (come anche avviene in Dumézil)?<br />

Con l'espressione "possibilità di un pensiero oltre la Grecia" si intende una possibilità<br />

riservata al pensiero occidentale tale da poter esercitarsi al di fuori di ciò<br />

che è stato il pensiero greco. Ma al di fuori <strong>della</strong> Grecia, per come l'Europa è stata<br />

stabilita prima ancora che si potesse parlare di Europa, c'è la Germania. Intendendo<br />

con "Germania" quella parte dell'attuale Europa che Roma ha cercato di sottomettere<br />

e che solo con la "battaglia di Arminio" si è svincolata parzialmente da<br />

questo dominio. Vale a dire: la civiltà germanica.<br />

Una prima considerazione può essere fatta a proposito <strong>della</strong> Allocuzione per la<br />

cerimonia del solstizio d’estate (24 giugno 1933) di Heidegger.<br />

Che cosa dice Heidegger in questo discorso? «I giorni declinano», e lo ripete tre<br />

volte in un testo brevissimo. Dopo il solstizio d’estate le giornate si accorciano. Gli<br />

Indoeuropei celebravano i solstizi: quello gioioso d’inverno (gioioso perché, pur<br />

nel buio delle giornate, si riconosceva il ritorno <strong>della</strong> nuova luce), quello malinconico<br />

dell’estate (perché nella piena luce si riconosceva il punto massimo raggiunto,<br />

oltre il quale c’era solo discesa). Heidegger riconosce un fatto comune al gruppo<br />

indoeuropeo. Ma l’epoca del solstizio d’inverno è la notte senza dèi in cui avviene<br />

l’annuncio dei nuovi dèi. Che è quello che viene trovato nella poesia di Hölderlin.<br />

Cristiano Grottanelli ha tracciato delle corrispondenze tra il Discorso di Rettorato<br />

di Heidegger e la teoria <strong>della</strong> tripartizione funzionale di Dumézil: «È facile riconoscere<br />

nei tre doveri del Rettore Heidegger le tre funzioni nell'ordine inverso: III,<br />

II, I, ma anche le due figure jüngeriane del Combattente e del Produttore, più una<br />

terza figura qui presentata come dovere-funzione del sapere, che è lo stesso Heidegger<br />

in quanto "sapiente" tedesco.»<br />

In tutti e due i casi, Heidegger accetterebbe antiche strutture germaniche (se<br />

non indoeuropee), che l’epoca contemporanea aveva ormai diminuito di valore.<br />

Se l’esperienza del Rettorato consistesse proprio in questo: nella messa in pratica,<br />

intravista da Heidegger, di poter andare oltre la Grecia? Questa possibilità può<br />

concretizzarsi solo attraverso una rinascita <strong>della</strong> germanicità. Doveva toccare alla<br />

germanicità agire nell’epoca contemporanea allo scopo di rinnovarla. La germanicità<br />

così stabilita poteva essere ripresentata dal movimento politico di Hitler. Heidegger<br />

aderisce alla germanicità (perché vede in essa un qualcosa di autenticamen-<br />

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23<br />

te profondo – oltre la Grecia). La germanicità era un legame tra i vari gruppi che<br />

componevano il popolo tedesco: era il passato di questo popolo e ne avrebbe costituito<br />

il futuro. Il futuro così determinato sarebbe stato il riconoscimento, da parte<br />

del popolo tedesco, del proprio passato inteso come germanicità – oltre la Grecia:<br />

in questo Heidegger poteva vedere il nuovo compito <strong>della</strong> Università tedesca. Da<br />

qui il riconoscimento da parte di Heidegger di alcuni elementi fondamentali: la<br />

tripartizione indoeuropea; la struttura Führer–Gefolgschaft; la celebrazione del solstizio<br />

d’estate.<br />

La struttura Führung/Gefolgschaft indica l’antica struttura germanica del Capo e<br />

del suo Seguito. Se il Seguito riteneva il Capo indegno di essere seguito, gli si ribellava<br />

contro; la stessa cosa si aveva anche a proposito degli dèi.<br />

Se Heidegger seguisse degli antichi usi germanici? Se il suo interesse per il nazismo<br />

fosse stato deciso proprio da questo possibile ritorno di antiche consuetudini?<br />

Considerare l’origine contadina di Heidegger. Evola vedeva nel corpo <strong>della</strong> SS il<br />

ritorno di un’antica struttura germanica (in realtà indoeuropea): la banda di guerrieri<br />

che si organizza spontaneamente intorno a un Capo.<br />

C. Grottanelli, Ideologie miti massacri, Sellerio editore, Palermo 1993. Il discorso riguardante Heidegger<br />

«erede inconscio del trifunzionalismo indoeuropeo» occupa le pp. 92-5. Il brano citato sopra<br />

è alle pp. 93-4.<br />

Allocuzione per la cerimonia del solstizio d’estate (24 giugno 1933) e Discorso per il Rettorato, in M.<br />

Heidegger, Scritti politici (1933-1966), Edizioni PIEMME, Casale Monferrato 1998.<br />

L'interesse del giovane Nietzsche per la mitologia e la letteratura degli antichi popoli germanici è<br />

adesso contenuta in F. Nietzsche, Scritti giovanili 1856-1864 (Opere di Friedrich Nietzsche, vol. I,<br />

tomo I, Adelphi, Milano 1998).<br />

Miguel Serrano, la terra, la fine <strong>della</strong> metafisica<br />

Miguel Serrano: «Ogni aristocrazia terrestre è un tema di razza, di etnia.» (Adolf<br />

Hitler, l'ultimo Avatara, 2 voll., Edizioni Settimo Sigillo, Roma 2010, II vol., p.<br />

423).<br />

Il giudeo «odia la natura» (ibid.), e non ha alcuna predisposizione per l'agricoltura.<br />

Il campo dove riesce meglio è la finanza, la creazione e la direzione di banche.<br />

È questo il mezzo con cui i giudei aumentano il loro potere e causano il crollo delle<br />

società presso le quali si installano.<br />

Se ne deduce una tendenza all'astrazione da parte di questa razza, e, insieme,<br />

una ideologia dello sradicamento: il giudeo odia la terra, non la vuole lavorare e<br />

non la vuole sentire sotto di sé.<br />

L'aristocrazia è invece legata alla terra; deve poggiare sulla terra.<br />

Tutto il pensiero giudaico-cristiano può essere il risultato di una simile astra-<br />

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24<br />

zione, e prima ancora di uno sradicamento dalla terra: non voler riconoscere la terra<br />

sotto di sé, sfuggire in un mondo di concetti astratti e maneggiare solo quelli,<br />

come nella gestione di una banca. Per gli stessi motivi, ne consegue, questo pensiero<br />

è anche un pensiero ostile a ogni aristocrazia.<br />

Potrebbe riconoscersi qui l'epoca <strong>della</strong> metafisica come descritta da Heidegger.<br />

La fine <strong>della</strong> metafisica sarebbe il riconoscimento di una terra sotto di sé. Ma questo<br />

comporta una terra diversa, cioè diversa dalla terra giudaico-latina che era stata<br />

ripudiata da quel pensiero. E questa nuova terra sarà la terra dell'aristocrazia germanica.<br />

L'Hitlerismo Esoterico di Miguel Serrano e la fine <strong>della</strong> metafisica di Heidegger<br />

possono essere collegati come un richiamo alla terra (la nuova epoca che deve arrivare)<br />

e come un segnale di ciò che non ha terra (il pensiero giudaico-cristiano). Il<br />

tema di "ciò che non ha terra" e di "ciò che richiama a una terra" sarebbe così un<br />

tema che insiste nella catena <strong>della</strong> nostra modernità.<br />

Heidegger e il nazismo<br />

La questione "Heidegger e il nazismo" non deve essere posta sulla base <strong>della</strong> adesione<br />

di Heidegger al nazismo, ma sulle sincronie possibili tra la teoria <strong>della</strong> fine<br />

<strong>della</strong> metafisica e il nazismo. La teoria <strong>della</strong> fine <strong>della</strong> metafisica indicava uno spostamento<br />

del pensiero, che dalla ubicazione in un mondo al di là del mondo, per<br />

usare la frase di Nietzsche, veniva a posarsi sulla terra in un modo sino ad allora al<br />

di là del pensiero.<br />

Ma questa azione smascherava in automatico il mondo ebraico latino alla base<br />

dell'epoca <strong>della</strong> metafisica e poneva il mondo germanico come base <strong>della</strong> nuova<br />

epoca. L'azione <strong>della</strong> teoria di Heidegger viene così a convergere con alcuni tratti<br />

del nazismo, ed è su questo che bisognerebbe dirigere l'analisi.<br />

La nostra epoca è l'epoca che vede lo scontro tra civiltà latina e civiltà germanica.<br />

È appunto tale scontro ciò che permette di accedere all'epoca <strong>della</strong> fine <strong>della</strong><br />

metafisica nella sua integrità.<br />

Quindi, più che di "Heidegger e il nazismo", si dovrebbe parlare di "il pensiero<br />

di Heidegger e il pensiero dell'ideologia nazista", o meglio ancora: "il pensiero di<br />

Heidegger e lo svolgimento inevitabile del pensiero occidentale".<br />

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25<br />

Poesia e verità<br />

Alla domanda che la gente si pone: «Chi è Zarathustra?», Zarathustra ricorda<br />

diverse risposte date dalle persone stesse.<br />

Due di esse chiedono: «È un poeta? O uno che dice la verità?» (p. 170).<br />

Alla fine del capitolo, Zarathustra, pieno di spavento, evita di insegnare quello<br />

intorno al quale tutto il capitolo gira: il pensiero dell’eterno ritorno.<br />

È questo il «parlare gobbo» (p. 173) di Zarathustra, impegnato, fin dall’inizio<br />

del capitolo, in un dialogo con un gobbo (p. 168).<br />

Perché il testo contrappone poesia e verità in modo così netto? Contro che cosa<br />

si scaglia Zarathustra? Zarathustra colpisce la poesia come obbligo al non pensiero.<br />

Zarathustra è un grande poeta che sa di essere un poeta e, sapendo di essere un poeta,<br />

ha paura di essere tacciato come persona menzognera.<br />

Ma perché la poesia è sospettata di menzogna? Perché attraverso la poesia si è<br />

da tempo accettato l’obbligo al non pensiero: Zarathustra è anche colui che restituisce<br />

alla poesia l’obbligo del pensiero. Ma restituire alla poesia l’obbligo alla verità<br />

del pensiero vuole dire restituire al discorso <strong>della</strong> verità l’obbligo alla svagatezza.<br />

Cioè alla poesia. Zarathustra è colui che mischia poesia e verità, ma è anche colui<br />

che crede ancora a un segno <strong>della</strong> poesia e a un segno <strong>della</strong> verità e che nel momento<br />

in cui ne vengono compromessi i rispettivi confini, prova paura.<br />

Noi possiamo osservare gli effetti dell’obbligo <strong>della</strong> poesia al pensiero a partire<br />

da due posizioni contrastanti e lontane nel tempo: la poesia di Dante e la poesia di<br />

Brecht. Dante è colui che richiama la poesia all’obbligo del pensiero; Brecht è colui<br />

che accetta definitivamente l’obbligo <strong>della</strong> poesia al non pensiero. Entrambe le<br />

posizioni richiamano una medesima falsità, come scopre Zarathustra.<br />

F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, in Opere di Friedrich Nietzsche, volume VI, tomo I, Adelphi,<br />

Milano 1973, parte seconda, Della redenzione.<br />

Il grande disprezzo<br />

Quasi certamente Heidegger ha formulato la più profonda interpretazione moderna<br />

di Nietzsche. Una linea distingue i testi di Nietzsche da quelli di Heidegger.<br />

Nietzsche redigeva i suoi testi in base a quello che Klossowski definiva le "intensità".<br />

Heidegger si muove invece su una linea puramente accademica. Niente è più<br />

lontano dai testi di Heidegger quanto un testo come Ecce homo. Eppure qualcosa<br />

collega Nietzsche e Heidegger, e fa sì che Heidegger possa essere considerato il più<br />

grande interprete moderno di Nietzsche. Io credo sia riconoscibile in qualcosa come<br />

la teoria del grande disprezzo. Il richiamo a qualcosa che spiazza l'essere umano;<br />

"l'uomo", secondo la terminologia di Foucault. Ma in un modo più devastante<br />

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26<br />

di quanto non abbia mai fatto Foucault. In questo aspetto Heidegger è pura dinamite,<br />

così come pura dinamite era stato Nietzsche col suo stile. L'ermeneutica del<br />

soggetto di Foucault è un testo che ruota attorno a un bersaglio che non riesce mai<br />

a raggiungere pienamente; Heidegger fa a pezzi la teoria del soggetto. Anche Nietzsche<br />

l'aveva fatta a pezzi, ma in Nietzsche e Heidegger, quello che conta, è la linea<br />

del grande disprezzo, e non più la linea <strong>della</strong> verità. E questo, cioè il grande<br />

disprezzo al posto <strong>della</strong> verità, è quello che adesso è da pensare. (Inutile poi dire<br />

che questa riflessione si pone contro l'accademismo.)<br />

L'alingua e il filosofo<br />

Il filosofo, così come lo scrittore, non è altro che una possibilità <strong>della</strong> lingua.<br />

Forse è un qualcosa che la struttura di una lingua contiene come suo progetto attentamente<br />

pensato nel tempo. Bisogna solo attendere il tempo <strong>della</strong> sua venuta.<br />

Così, filosofi e scrittori nascono solo nelle lingue che per secoli ne hanno, per<br />

così dire, preparato, senza volere, la comparsa.<br />

Le parole composte tipiche <strong>della</strong> lingua tedesca sono uno strumento per il pensiero<br />

di Meister Eckhart, Novalis, Heidegger. È dalla riflessione su alcune parole<br />

<strong>della</strong> lingua che nasce lo stupore <strong>della</strong> riflessione sul mondo.<br />

Ciò che il filosofo riflette è l'andare del popolo attraverso il suo tempo. Il tempo<br />

è sempre ciò che annulla, ma è anche ciò che preserva con amore.<br />

Così è la lingua a chiamare il suo filosofo. L'Italia non può avere una filosofia,<br />

così come non può avere un poeta. Non si può parlare <strong>della</strong> lingua senza parlare<br />

dell'alingua. Lingue di questo genere devono preparare, con perplesso amore, alla<br />

scomparsa...<br />

Hitlerismo esoterico<br />

La frase del Mein Kampf, secondo la quale combattendo l'Ebreo si migliorerebbe<br />

l'opera <strong>della</strong> creazione divina, contiene la nascita del principio dell'Hitlerismo<br />

esoterico. La lotta contro le razze inferiori non comporta la diffusione<br />

dell'odio razziale, ma, al contrario, il rispetto <strong>della</strong> creazione divina. La frase rilancia<br />

inoltre il principio <strong>della</strong> creazione gnostica, vale a dire dell'intervento di<br />

un Demiurgo durante la creazione divina, che è appunto uno dei temi dell'Hitlerismo<br />

esoterico.<br />

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27<br />

Topologia<br />

La differenza notata tra il primo e il secondo Heidegger potrebbe sempre più<br />

tendere a sfumare. Il passaggio da un tema all'altro in un tempo lungo prevede<br />

delle trasformazioni che potrebbero essere indicate come topologiche: poiché prevedono<br />

modifiche che escludono fratture sostanziali. Allora i temi sarebbero prima<br />

di tutto delle forme vuote, che un significato di volta in volta rintracciato permetterebbe<br />

di mettere in movimento. Un movimento completamente nuovo, in grado<br />

di creare novità assolute.<br />

Questo dalla prospettiva <strong>della</strong> comparsa dei temi; dalla prospettiva del funzionamento<br />

dei temi è invece fondamentale la frattura tra un periodo e l'altro, anziché<br />

la persistenza.<br />

Delle Tre Metamorfosi<br />

In una nota al primo discorso di Zarathustra, "Delle Tre Metamorfosi", Giulio<br />

Sézac rimanda a un passo <strong>della</strong> Fenomenologia dello spirito di Hegel: «"[lo spirito]<br />

versa in un travagliato periodo di trasformazione. Invero lo spirito non si trova mai<br />

in condizione di quiete, preso com'è in un movimento sempre progressivo."».<br />

Zarathustra indica qui tre metamorfosi dello spirito: cammello, che sopporta i<br />

pesi impostigli; leone, che si ribella, anche se in modo confuso; bambino, che è solo<br />

gioco e innocenza, assenso al gioco <strong>della</strong> creazione.<br />

Accettando l'osservazione di Giulio Sézac, è possibile andare oltre e intravedere<br />

un ribaltamento <strong>della</strong> struttura <strong>della</strong> Fenomenologia. L'ultimo stadio non porta, nel<br />

discorso dello Zarathustra, ad una forma di autocoscienza, ma al gioco innocente<br />

del fanciullo, cioè alla negazione di un fine raggiungibile nell'ultima metamorfosi.<br />

Hegel, dunque, non è solo ricordato, ma, soprattutto, ribaltato. Inserito in una posizione<br />

così determinante all'interno del libro, il primo dei discorsi di Zarathustra,<br />

il brano sembra voler fare i conti con Hegel, ribaltarlo per poi procedere oltre.<br />

F. Nietzsche, Queste le parole di Zarathustra, a cura di Giulio Sézac, Edizioni di Ar, Padova 2011,<br />

n. 1, p. 138.<br />

Adorno, elementi di antisemitismo – 2<br />

Adorno, a differenza di Heidegger, non era interessato ai fondamenti <strong>della</strong> filo-<br />

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28<br />

sofia. Nessuno scavo nei concetti <strong>della</strong> filosofia per un nuovo disprezzo del sapere.<br />

Dialettica dell'illuminismo è un libro segnato da grandi soluzioni di continuità:<br />

il concetto di illuminismo, l'Odissea, Sade. Ma tutto sembra convergere negli "Elementi<br />

di antisemitismo", essendo questo il punto più adatto per raccogliere i diversi<br />

elementi del discorso precedente: discorso sull'illuminismo, discorso sulla<br />

cultura, discorso sul nazismo; il tutto inserito nella archeologia dell'antisemitismo<br />

quale nascita di un nuovo tipo antropologico.<br />

Ma è proprio questa presentazione che ha qualcosa di aperto. Infatti, così come<br />

si presenta, questa sezione propone materiale sufficiente per abbozzare il possibile<br />

"tipo antropologico dell'anti-antisemita".<br />

Il filosofo e la terra<br />

Lo scritto giovanile di Nietzsche Sull'avvenire delle nostre scuole è importante<br />

perché definisce la rottura di Nietzsche con le istituzioni scolastiche, in questo caso<br />

nella forma <strong>della</strong> sua partecipazione all'insegnamento. Egli capisce che la scuola<br />

non può portare a niente di nuovo e, soprattutto, non può permettere a lui, in<br />

nessun modo, la formazione del suo pensiero. Da un certo punto di vista, questo<br />

scritto occupa una posizione simile e contraddittoria al testo di Heidegger intitolato:<br />

Perché restiamo in provincia? In entrambi i casi la possibilità di un pensiero è<br />

strettamente collegata a uno stile di vita e alla presenza di un ambiente, di una terra.<br />

In Nietzsche c'è la questione dell'allontanamento dalla scuola, ma non compare<br />

il tema <strong>della</strong> terra; meno che mai <strong>della</strong> terra tedesca. In Heidegger l'allontanamento<br />

dalla scuola non è mai necessario, ma compare il tema <strong>della</strong> terra tedesca, e <strong>della</strong><br />

sua opposizione alla terra dell'epoca precedente, l'epoca <strong>della</strong> metafisica.<br />

L'agone omerico di Nietzsche<br />

Nietzsche affronta la Grecia in un modo diverso. Ma questo impegna la modernità<br />

circa domande improponibili.<br />

«Così i Greci, gli uomini più umani dell'epoca antica, hanno in sé un tratto di<br />

crudeltà, di desiderio di annientamento che li rende simili a tigri; un tratto che è<br />

assai visibile anche nell'immagine grottescamente ingrandita dell'uomo greco, cioè<br />

in Alessandro Magno; un tratto, peraltro, che in tutta la storia greca, come pure<br />

nella sua mitologia, reca un turbamento a noi, che ci accostiamo ai Greci con il<br />

molle concetto moderno di umanità.» (p. 245).<br />

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29<br />

Ciò che si vede <strong>della</strong> Grecia in questa immagine di Nietzsche è qualcosa di diverso<br />

dall'immagine che l'uomo vuole riconoscere come proprio passato. Ma si va<br />

ben oltre Foucault, che pure aveva riconosciuto in Nietzsche la capacità di andare<br />

oltre le soglie delle grandi fratture.<br />

La Grecia di Nietzsche è una terra di gente abituata al sospetto, alla difesa,<br />

all'attacco.<br />

1) In Nietzsche manca una riflessione sull'abitare. Nietzsche è il pensatore<br />

dell'arte di trascorrere il mondo, di darsi al mare. Nietzsche è comunque il fondatore<br />

del sigillo del luogo di nascita dei pensieri. I suoi pensieri nascono dalle passeggiate<br />

sulle vette. I pensieri dei cattivi filosofi nascono dalla puzza di chiuso delle<br />

loro cellette monacali. Nietzsche non è riuscito a stabilire l'origine nazionale dei<br />

pensieri. Ci si è appena avvicinato con la precisazione che il cristianesimo ha in sé<br />

la puzza del deserto.<br />

2) Nietzsche determinerà in seguito il concetto di "aristocrazia dello spirito",<br />

ma in questo scritto giovanile sfiora una questione fondamentale: il modo in cui è<br />

stato creato il miracolo artistico greco. Miracolo basato sull'invidia, sulla diffidenza,<br />

sull'insofferenza reciproca. L'Europa ha creato parte <strong>della</strong> sua civiltà su queste<br />

fondamenta, cioè sul miracolo greco. E ora più che mai c'è da chiedersi: "È questa<br />

Europa?"<br />

Infatti l'uomo moderno deve affrontare due questioni fondamentali:<br />

Prima questione: "L'Europa non è più la terra degli europei."<br />

Seconda questione: "Perché l'Europa è, adesso, questa Europa?"<br />

In Grecia si è avuto il primo inizio del pensiero in Occidente. Ma questo implica<br />

"con la Grecia". Il pensiero e le arti occidentali hanno sempre dovuto confrontarsi<br />

con quanto accaduto in Grecia in quei tempi aurorali. Nietzsche ha gettato<br />

una luce diversa su quell'aurora. Eppure la questione è ancora più sfuggente di<br />

quanto non abbia pensato Nietzsche. Bisogna avere chiaro quanto quell'aurora sia<br />

estranea a ciò che si è delineato come terra <strong>della</strong> <strong>sera</strong>. E la <strong>Terra</strong> <strong>della</strong> Sera deve<br />

sentire come estranea alla sua natura quanto accaduto in quell'aurora. Solo così, in<br />

un nuovo canto <strong>della</strong> <strong>sera</strong>, potrà avere luogo un nuovo pensiero.<br />

Cinque prefazioni per cinque libri non scritti, Agone omerico, in La filosofia nell'epoca tragica dei Greci<br />

e Scritti dal 1870 al 1873. Volume III, tomo II delle "Opere di Friedrich Nietzsche", Adelphi<br />

1980, a cura di Giorgio Colli, pp. 207-255.<br />

Heidegger su Jünger<br />

Una obiezione alla interpretazione di Heidegger del lavoratore di Jünger: Heidegger<br />

non sembra accorgersi che Jünger non vede il fattore decisivo del superuomo<br />

per quanto riguarda la sua teoria del lavoratore. Vale a dire: il voler creare, da<br />

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30<br />

parte del superuomo, in quanto superuomo. Il lavoratore è costretto ad un lavoro<br />

che non lo rappresenta. Stelio Èffrena, il protagonista del romanzo Il fuoco di<br />

d'Annunzio, potrebbe essere considerato più nietzscheano di quanto non lo sia il<br />

lavoratore di Jünger: Stelio Èffrena, infatti, forgia il mondo secondo la sua volontà.<br />

Il superuomo di Nietzsche sceglieva il gioco, dava una meta al mondo e lanciava<br />

il tutto (mondo e superuomo) in quella direzione, pur essendo consapevole del<br />

carattere fittizio di ogni meta, compresa la sua, poiché il mondo è appunto ciò che<br />

non ha – né deve avere – senso alcuno. È questo un tratto tipico di Nietzsche, che<br />

puntualmente manca nella letteratura a lui ispirata: la facoltà di non prendersi mai<br />

fino in fondo sul serio; manca nel protagonista del Fuoco e, su un piano diverso,<br />

manca nella teoria dell'anonimo lavoratore di Jünger. Nel Fuoco il protagonista si<br />

prende troppo sul serio, sapendo di essere il superuomo; in Jünger il lavoratore si<br />

lancia nel lavoro che sovverte il mondo, senza sapere di essere il superuomo.<br />

Nemmeno Heidegger considera in questa occasione l'unicità del superuomo. E<br />

il superuomo continua ad aggirarsi per il mondo, adesso degradato a lavoratore<br />

(un po' Wotan, un po' Siegfried, come in una sgangherata e nietzscheana messa in<br />

scena di periferia del Siegfried). Si ha così una ricomparsa del concetto formulato<br />

da Marx nel luogo a lui più propizio: è l'uomo a creare la propria storia, trasformando<br />

attivamente tutto il mondo, ma lo fa in una condizione di alienazione,<br />

quella appunto dell'operaio.<br />

Solo il superuomo dà senso al mondo. E Nietzsche aveva presente questa differenza.<br />

Heidegger, Ernst Jünger, Bompiani, Milano 2013.<br />

Il passo del superuomo<br />

Nel canto sottovoce dell’Ora più tacita dello Zarathustra, Michel Foucault intravedeva<br />

il passo timido con cui, in qualche parte del mondo – del tutto ignorato<br />

– goffamente avanza il superuomo.<br />

Per delineare il superuomo è forse sufficiente restare in attesa, ma è fondamentale<br />

la non riconoscibilità delle figure. Se si trattasse di “forme” sarebbe sufficiente<br />

evitare la segregazione insita in quei giochi d’ombra e macchie su cui basa i propri<br />

principi la Gestalt.<br />

Si tratta invece di superare il principio <strong>della</strong> rappresentazione. Inadeguatezza,<br />

quindi, tanto <strong>della</strong> figura del lavoratore di Jünger, quanto del protagonista del Fuoco.<br />

Ma La Leda senza cigno potrebbe almeno permettere uno sfondo più adeguato.<br />

È chiaro che ci si deve avvicinare al porto del romanzo aggirando gli scogli <strong>della</strong><br />

rappresentazione.<br />

Finora, l’unico romanzo che – in tutta la storia del romanzo – abbia funzio-<br />

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31<br />

nalmente fatto a meno dei pezzi d'appoggio <strong>della</strong> rappresentazione, e coerentemente<br />

abbia mandato a pezzi il romanzo, è Finnegans Wake.<br />

Verrebbe quindi da porre la domanda: “Chi è HCE di James Joyce?” Vale a dire:<br />

qual è la funzione del personaggio Zarathustra?<br />

Quando ci si accorgerà che il superuomo è l’ombra che manca appena nella terra<br />

delle ombre <strong>della</strong> <strong>sera</strong>?<br />

Ma nella <strong>Terra</strong> <strong>della</strong> Sera, quando solo un’eclissi diffusa chiama la <strong>Terra</strong> del Sole<br />

che Sorge, allora il superuomo è la rinuncia dell’uomo all’uomo per incominciare<br />

ad andare appena oltre l’uomo, nell’ombra delle ore più lunghe, muovendo i primi<br />

passi nella terra dell’eclissi.<br />

Si vede che è proprio questo il complesso di argomenti che deve configurarsi<br />

nell’immediato per sfuggire tutto di colpo al nocciolo <strong>della</strong> rappresentazione.<br />

Così il nuovo tipo umano è ancora più difficile da cogliere: «Per questo noi ci<br />

possiamo appena rappresentare il modo in cui devono ‘essere’ – e devono invero<br />

appartenere all’Essere e alla fondazione <strong>della</strong> sua verità – ‘qualcosa’ e qualcheduno<br />

che non ‘producano effetti’ e non si lascino alle spalle alcunché di compiuto.» (M.<br />

Heidegger, Ernst Jünger, Bompiani, Milano 2013, p. 477).<br />

Il superuomo è ciò che fa un primo e timido passo indietro e poi va ancora più<br />

indietro rispetto a ciò che l’uomo ha conquistato, muovendo i primi passi nella<br />

terra incerta dell’eclissi.<br />

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32<br />

L e ttera t u ra<br />

Le bestemmie di Sade<br />

Affinché l'Europa ritorni ad essere la terra del nuovo compiuto politeismo <strong>della</strong><br />

razza bianca (celto-germanica) c'è bisogno di un periodo di mantenimento del<br />

monoteismo e del cristianesimo e dell'ateismo più intransigente. È il periodo in<br />

cui le bestemmie di Sade avranno vita. Insultare la divinità nella quale non si crede<br />

può sembrare una contraddizione nei termini. Il dio semita scenderà per la prima<br />

volta nella terra d'Europa con la sua vera fisionomia di feticcio e di meticcio. A lui<br />

sarà ormai riservata la stessa sorte toccata agli dèi <strong>della</strong> razza bianca con il trionfo<br />

del cristianesimo: un po' feticcio, un po' meticcio; un po' farà ridere, un po' farà<br />

senso, un po' farà pietà. Calpesterà una terra che non conosce con le sue goffe<br />

zampe di uccello preistorico. Ma nessun poeta riconoscerà mai nella sua camminata<br />

l'andatura del superuomo. Strillerà con tutte le sue bocche e i suoi becchi per<br />

farsi notare. Ricorderà un mostriciattolo cubista, un handicappato mongoloide, un<br />

odioso criminale qualunque, un degenerato, uno scimmione negroide, un migrante<br />

alla fine delle forze, un caso di teratologia, un caso di antropologia criminale, un<br />

primitivo abbandonato a se stesso in un deserto lontano. Sarà un compendio di<br />

tutto ciò che l'appena passata e stupida epoca moderna aveva considerato altamente<br />

degno di cura. Sarà vigliacco, perché vigliacchi erano stati i popoli meticci che<br />

lo avevano riconosciuto come loro dio. Ma combatterà per l'ultima volta contro gli<br />

dèi <strong>della</strong> razza bianca d'Europa.<br />

Compito del poeta<br />

Compito del poeta è rendere vere le parole <strong>della</strong> lingua. Per disposizione naturale<br />

egli è un cacciatore di parole moribonde. Appare sempre quando la lingua è<br />

nel punto del suo massimo pericolo. Le parole che non suonano più come vere sono<br />

parole che nascondono terre che una comunità ha imparato a disabitare. Capita<br />

così che il poeta faccia la parte di un criminale, di un lanciatore di parole eversive,<br />

di un terrorista del pensiero.<br />

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33<br />

Lacoste<br />

C'è qualcosa di perverso nell'impulso allo studio. Senza volontà di fare a pezzi<br />

non c'è attività di studio. Lacoste: sogno di una antropologia <strong>della</strong> <strong>Terra</strong> <strong>della</strong> <strong>sera</strong>.<br />

Come in una biblioteca, riunire i campioni delle razze che portano al piacere <strong>della</strong><br />

classificazione. Béla Bálasz diceva che uno dei meriti del cinema sarebbe stato quello<br />

di fare conoscere i volti delle razze più lontane e diverse. Il cinema ha fatto conoscere<br />

solo i volti tutti uguali e belli dei divi. Sono tutti belli i volti degli uomini,<br />

ma senza volontà di fare a pezzi l'oggetto dello studio non c'è attività di studio.<br />

C'è qualcosa di perverso nell'impulso allo studio. Ricordi ancora la poesia che Gilbert<br />

Lély ha dedicato a Lacoste?<br />

Mancano i veri studiosi, i fanatici che vivono solo per la perversione dello studio;<br />

non le cavie (nell'epoca del mondo in cui le distanze si sono per magia contratte,<br />

non mancano mai le cavie).<br />

Quando la classificazione è completa, passare alla eliminazione degli oggetti<br />

dello studio. Come fenomeno umano, un degenerato merita lo stesso interesse di<br />

una qualsiasi altra forma umana. Ma come forma degenerata, il singolo degenerato<br />

deve poi essere soppresso. Avere molto materiale a disposizione per i propri studi<br />

sconcerta lo studioso, lo fa delirare fino ad abbandonare la via giusta. Lo diceva<br />

Robert J. Lifton a proposito di Mengele. Mengele come il signore delle parole che<br />

soggiace alla sfida <strong>della</strong> totalità? La sfida che la letteratura pone al nuovo autore è<br />

di leggere tutti i libri del mondo e scriverne uno che li contenga tutti. In cosa ha<br />

fallito Mengele? Perché studiare il criminale, se non per potere poi, alla fine, eliminarlo?<br />

Non è la soppressione del degenerato ciò che pone fine all'ansia di conoscere<br />

irrimediabilmente tutto?<br />

Non è l'attenzione a ciò che è degenerato la perversione dello studio? e non è la<br />

eliminazione del degenerato ciò che inaugurerà una forma diversa di conoscenza e<br />

uno studio privo dell'ansia di conoscere tutto?<br />

Lacoste: il dominio ereditario. Silling: l'Enciclopedia al servizio dell'impulso estetico.<br />

Auschwitz: lo schiaffo ai pregiudizi moderni.<br />

(La poesia rende liberi.)<br />

Un verso di Pound<br />

«Let the Gods forgive what / I have made»<br />

Gli dèi devono perdonare quello che il poeta ha costruito<br />

1. Carattere nefasto del costruire.<br />

2. Il poeta come colui che deve solo dare impulso a cose sempre fra loro diverse,<br />

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34<br />

astenendosi dal costruire.<br />

3. Goethe su Hafis: «Daß du nicht enden kannst, das macht dich groß, / Und<br />

daß du nie beginnt das ist dein Lost». L'età di Pound di Hugh Kenner è un grandissimo<br />

libro che non ha nulla a che vedere con Deleuze, ma che può essere inglobato<br />

nel metodo seriale di Deleuze. Il personaggio Pound non è costruito nel libro<br />

come meta finale di una biografia. Ogni capitolo lancia delle serie, nelle quali<br />

Pound è implicato in un modo sempre diverso. Pound è soltanto il punto di partenza<br />

di serie che non hanno punto di incontro. Differenze e ripetizioni.<br />

4. Il "non costruire" come abbandono all'arte del divenire.<br />

5. Il poeta come testimone del silenzio.<br />

6. Il poeta può solo segnalare qualcosa che si avvicina. Il carattere di questo<br />

qualcosa è al di là <strong>della</strong> rappresentazione.<br />

7. Lo scarto segna la caduta del poeta nella parola, ciò che gli dèi devono perdonare.<br />

E. Pound, I Cantos, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1985 [Lascia che gli Dei perdonino<br />

quel / che ho costruito (trad. di Mary de Rachewiltz, p. 1493)].<br />

J.W. Goethe, Il divano occidentale-orientale, Rizzoli, Milano 1990 [Non potere finire / ti rende<br />

grande. Non cominciare mai / è il tuo destino. (trad. di Ludovica Koch, p. 115)].<br />

H. Kenner, L'età di Pound, Il Mulino, Bologna 2000.<br />

Un nuovo approccio per lo studio del romanzo<br />

Il romanzo ha sviluppato, lungo le vicende <strong>della</strong> propria tecnica, un qualcosa<br />

come una topologia; nel senso che lo spazio vi è trattato come i luoghi vengono<br />

trattati dalla topologia e pertanto è possibile un approccio allo studio del romanzo<br />

su basi topologiche.<br />

Come definire la teoria topologica del romanzo? Perché si può affermare che il<br />

romanzo faccia uso di un qualcosa di analogo alla topologia?<br />

A differenza dell'epica, il romanzo concentra un avvenimento e salda i vari episodi<br />

tramite una economia molto attenta. Un poema epico non ha un solo autore.<br />

A differenza del romanzo, in un poema epico i vari episodi possono essere trattati<br />

da autori diversi o derivare da versioni diverse dello stesso argomento. Il romanzo è<br />

la creazione attenta di un autore particolare. Nel romanzo gli spostamenti di luogo<br />

devono essere attentamente calcolati. Lo spazio non viene accostato come nell'epica,<br />

ma si trasforma. È uno spazio solidamente fluido, che ha dell'onirico.<br />

L'epica procede per fratture; il romanzo evita le fratture. Nel romanzo lo spazio<br />

è trattato come la topologia tratta i luoghi, affrontandone le trasformazioni che in-<br />

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35<br />

tervengono in essi senza provocare strappi. Il romanzo deve trasformare i luoghi<br />

l'uno nell'altro. La topologia può intervenire per stabilire le modalità di trasformazione<br />

dello spazio, differenti da romanzo a romanzo, da epoca a epoca del romanzo.<br />

Finita l'epoca dei signori <strong>della</strong> parola, è l'autore, adesso, ad essere signore dello<br />

spazio e a piegarlo ai suoi capricci di composizione.<br />

L'approccio critico al romanzo cambierebbe notevolmente ricorrendo a una<br />

chiave topologica. Un esempio di analisi topologica dello spazio è contenuta nel<br />

Seminario su La lettera rubata di Lacan.<br />

J. Lacan, Il seminario su La lettera rubata, in Scritti, Einaudi, Torino 2002.<br />

Un compito per gli studiosi<br />

In un saggio sulla censura applicata al romanzo in vari luoghi <strong>della</strong> terra, Walter<br />

Siti fa questa interessante riflessione: «La libertà di narrazione, sembra, in Occidente,<br />

non avere più limiti, se non forse quelli posti dalla democrazia stessa. Un<br />

racconto che in tutta serietà esaltasse il razzismo o auspicasse i campi di concentramento,<br />

avrebbe anche da noi vita difficile.» (Il romanzo sotto accusa, in AA.VV.,<br />

Il romanzo. I. La cultura del romanzo, Einaudi, Torino 2001, p. 154.)<br />

Ecco dunque tutto un nuovo campo di censura possibile per il romanzo. Censura<br />

che entrerebbe in funzione nelle società democratiche.<br />

La comparsa di un testo con queste caratteristiche (cioè composto con la massima<br />

serietà delle intenzioni) è statisticamente possibile (e auspicabile).<br />

Probabilmente tale comparsa è inevitabile, imposta dal genere stesso del romanzo,<br />

dalla società e poi dalla disgregazione di quelle componenti che nel romanzo<br />

avevano avuto una delle loro espressioni artistiche.<br />

Forse testi del genere sono in varie forme già presenti. Si tratta di riconoscerli.<br />

Solo un compito per gli studiosi?<br />

Letteratura italiana (e Italiani bastardi)<br />

Mi ha sempre infastidito la letteratura italiana. Letteratura che conosco pochissimo.<br />

Per disprezzarla non è necessario conoscerla; è solo necessario disprezzarla;<br />

disprezzarla sempre, comunque, dovunque. La sua diffusione dipende dal fatto che<br />

la letteratura italiana, più che di una letteratura, ha le fattezze di un virus. È una<br />

infezione fatta per colpire anime coniglio; fatta per essere trasmessa attraverso a-<br />

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36<br />

nime coniglio.<br />

Questo dipende dal fatto che l'Italia non è una nazione e gli Italiani non sono<br />

un popolo. L'Italia è quel qualcosa che una banda di massoni è riuscita a fare di<br />

tanti maledetti pezzi di terra diversi.<br />

In alcuni saggi memorabili, Heidegger indica in Hölderlin il poeta <strong>della</strong> razza<br />

germanica. Gli Italiani sono un popolo di bastardi. Un popolo di bastardi non ha<br />

un poeta. Un popolo di bastardi ha soltanto qualche paroliere. Dante è il massimo<br />

paroliere del popolo bastardo degli Italiani.<br />

Il poeta svela al suo popolo il suo destino. Un popolo di bastardi non ha un poeta.<br />

Un popolo di bastardi non ha un destino.<br />

L'opera di Sade<br />

«The idea that there is an interrelationship between ecological conditions and<br />

ways of life is old; it appears in the Enlightenment philosophy of the mid- to late<br />

eighteenth century (for instance in Montesquieu and in the Marquis de Sade’s<br />

non-pornographic writings).» (Th.H. Eriksen, Small Places, Large Issues, Pluto<br />

Press, London 2001, p. 193).<br />

Sade andrebbe affrontato non solo come autore di opere libertine, ma nell'insieme<br />

<strong>della</strong> sua opera. Si vedrebbe allora che cosa porta alla creazione di quelle due<br />

costruzioni tipicamente sadiane: il romanzo enciclopedico (Le 120 giornate e, a<br />

quanto sembra, Le giornate di Florebelle) e il romanzo per accumulo di episodi (Justine,<br />

Juliette). Infatti nessuno ha affrontato l'opera di Sade nella sua integrità.<br />

Quando essa è stata analizzata (Lely, Klossowski, Barthes, Lacan, John Phillips) ci<br />

si è limitati ai romanzi libertini e alla Filosofia nel boudoir.<br />

Risposta a Umberto Eco<br />

Si può anche dire che Dante era un cattivo poeta: ma bisogna dirlo dopo almeno trecento pagine<br />

di serrata analisi dei testi danteschi.<br />

U. Eco, Come si fa una tesi di laurea, Bompiani, Milano 2001, p. 20.<br />

Dante era un poeta mediocre perché gli Italiani sono un popolo di bastardi e<br />

un popolo di bastardi non può avere un grande poeta.<br />

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37<br />

Putrescente Illuminismo<br />

Un lumacone si aggira per le vecchie biblioteche bavose: l'Eco-lumacone.<br />

Lumacando sui temi<br />

L'ambizione del post-moderno L'ambizione del post-moderno è rivisitare il<br />

passato con ironia, in modo non innocente, riscattando così testi e autori poco<br />

considerati dalla critica: La capanna dello zio Tom, Dumas, Eugène Sue, Ponson du<br />

<strong>Terra</strong>il. Del romanzo popolare viene apprezzato l'intreccio e la concretezza dei personaggi.<br />

L'ideologia del romanzo popolare Il romanzo d'appendice usava trame elaborate<br />

e interminabili, colpi di scena continui. L'ideologia era ben poca cosa. Marx ed<br />

Engels, nella Sacra famiglia avevano ragione circa I misteri di Parigi.<br />

Il pasticcio Il livello medio di pensiero attuale, basato su una mediocrità progressista<br />

di stampo buonista, si presta in modo ottimale a funzionare da sfondo per<br />

opere post-moderne. Ecco perché una tale corrente ha potuto imporsi e diventare<br />

"fruttuosa" di opere. Il post-moderno tende infatti alla creazione di opere. Tale ideologia<br />

contemporanea si salda perfettamente con quella che ha visto nascere il<br />

romanzo popolare.<br />

Oltre il post-moderno C'è un particolare nel post-moderno che ne rivela la natura:<br />

lo stesso modo di accostarsi alla realtà utilizzato dal romanzo popolare.<br />

Grandi temi di interesse generale e personaggi rappresentativi: l'uomo e la sua storia;<br />

ma è questo che andrebbe messo in discussione. L'inganno del post-moderno è<br />

proprio nel non riconoscere che l'approccio con la realtà è cambiato, e questo non<br />

può essere recuperato a partire da un diverso atteggiamento verso il passato. La<br />

questione del personaggio non è limitata alla creazione e rappresentazione di un<br />

personaggio in un romanzo. Bisognerebbe invece chiedersi se veramente qualcosa<br />

come un personaggio possa spiegare il modo di agire e pensare di una o più persone<br />

e poi di essere rappresentativo di un'epoca; infine se la stessa realtà sia riconducibile<br />

alla scansione di una trama. Storia e personaggi sono prima di tutto illusioni.<br />

Così come illusione è l'individuo. Quello che serve è quindi una nuova arte realistica,<br />

cioè adeguata a una realtà che sta cominciando a fare a meno dei suoi personaggi<br />

e <strong>della</strong> sua storia. Il post-moderno pensa di risolvere tutto giocando a fingere<br />

di non sapere.<br />

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38<br />

Solo un facitore di parole<br />

Mai dire di uno scrittore: «È nostro!» È sempre la gabbia che scatta intorno a<br />

tutti!<br />

Il bello delle idee di un filosofo sta nella pericolosità. Tutte le idee dell'uomo<br />

hanno la bellezza di molte diverse pericolosità. Qualunque idea è pericolosa. L'appropriazione<br />

di una idea da parte di qualcuno fa perdere sempre qualcosa di questa<br />

pericolosità indefinita. Allora sopraggiunge la piattezza <strong>della</strong> interpretazione.<br />

Uno scrittore, un filosofo, un poeta dovrebbe essere caratterizzato proprio a<br />

partire dalla sua insofferenza verso un sistema ordinato di uso delle parole.<br />

Filosofia e poesia sono ciò che permette di sfuggire alla gabbia che condiziona<br />

la vita di tutti i giorni. Infatti, poesia e filosofia sono un inciampo nella vita di tutti<br />

i giorni.<br />

Ma il filosofo e il poeta possono sfuggire alla gabbia che condiziona l'uomo<br />

comune proprio in quanto possono sfuggire alle leggi <strong>della</strong> psicologia comune.<br />

Che è quanto la critica di tutti i giorni tende loro a negare.<br />

Il poeta rende vere le parole di una lingua quando, solo per gioco, in una luce<br />

che è appena d'alba polare, ne illumina l'aspetto di crepuscolo del gioco. È stato<br />

più volte detto che la parola usata dal poeta non è la stessa parola usata dal giornalista,<br />

nel momento in cui il giornalista usa quella stessa parola.<br />

Il poeta è solo "un facitore di parole", "ein Worte-macher", per usare le parole<br />

lontane di Nietzsche.<br />

Però niente deve ricordare la parola del poeta, perché poeta è colui che affida la<br />

propria parola al mondo che rigetta la memoria.<br />

Allora uno scrittore non deve essere un punto dove tutte le linee di una personalità<br />

coincidono, ma un insieme teorico da cui serie sempre diverse si dipartono<br />

per disperdersi. La fantasia di una metodologia di questo tipo è stata applicata da<br />

Hugh Kenner nello studio L'età di Pound.<br />

Da qui l'importanza del post-strutturalismo.<br />

Tolkien è un comodo caso. Due esempi tratti da La realtà in trasparenza. Lettere<br />

1914-1973 (Bompiani, Milano 2001):<br />

Lettera 45: Tolkien scrive di aver cominciato a studiare germanistica «come reazione<br />

contro i “classici”» (p. 65). Continua accusando Hitler (la lettera è del 9 giugno<br />

1941) di distruggere il vero spirito nordico.<br />

Lettera 53 (al figlio Cristopher): Tolkien parla del mondo che sta diventando<br />

tutto uguale, e conclude: «Ad ogni modo, questo dovrebbe essere la fine dei grandi<br />

viaggi. Non ci saranno più posti dove andare. E così la gente (penso) andrà più veloce»<br />

(p. 76). Poco dopo dice: «non sono del tutto sicuro che una vittoria americana<br />

a lunga scadenza si rivelerà migliore per il mondo nel suo complesso piuttosto<br />

<strong>della</strong> vittoria di –».<br />

Notare: che cosa si può lanciare a partire dalla frase "fine dei grandi viaggi"? La<br />

«reazione contro "i classici"» richiama la contrapposizione civiltà germanica/civiltà<br />

latina.<br />

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39<br />

Quanto si potrebbe collegare partendo da queste frasi! La critica ha detto di<br />

Tolkien: "Questo è nostro!". Oppure: "Questo invece è nostro!"<br />

Ma anche Mishima suona al caso. L'era degli scudi non chiamava più la penna<br />

da portare con sé.<br />

Questo quando parlare non è scambiare parole come monete, ma chiamare alla<br />

parola.<br />

Come l'infedele secondo il Corano, il poeta è simile al ragno, che costruisce la<br />

propria casa nel vuoto.<br />

ich bin nur ein Worte-macher:<br />

was liegt an Worten!<br />

was liegt an mir!<br />

Perché rileggere Delitto e castigo<br />

1. La creazione letteraria di una suspense [Falsità letteraria]<br />

2. La simpatia per il criminale [Falsità sociologica]<br />

3. Il ragionamento che gira a vuoto sull'arte del ragionare [Falsità filosofica]<br />

4. La creazione del personaggio di legge che incastra il criminale con un metodo<br />

paradossale [Falsità psicologica]<br />

Quattro falsità.<br />

Ma perché questo romanzo è così inevitabile? Perché dimostra in modo magistrale<br />

il predominio di una degenerazione dell'arte in Europa e il predominio di<br />

una razza degenerata in Europa. Tale predominio si è infine sviluppato a mentalità<br />

comune. Dimostra inoltre il predominio di una degenerazione nella letteratura,<br />

nella sociologia, nella filosofia, nella psicologia.<br />

Punto 1:<br />

Il lettore dipende passo per passo da ciò che è scritto. Lo scrittore allaccia il lettore<br />

e ne controlla le reazioni con i suoi micro colpi di scena: è "letteratura" al livello<br />

più basso. L'azione è dilatata in un modo spropositato. Non è che lo scrittore<br />

sprechi il tempo, ma lo dilata. È la tecnica delle soap-opera.<br />

Punto 4:<br />

La narrativa poliziesca e il cinema svilupperanno personaggi a partire da questo<br />

tipo. È la fabbrica dei personaggi.<br />

Sullo sfondo, il teatro. Bisognerebbe poi precisare, a partire da questo romanzo,<br />

la tecnica teatrale utilizzata da Dostoevskij nei suoi romanzi. Il testo, in alcuni<br />

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40<br />

momenti, sembra descrivere ciò che avviene su un palcoscenico.<br />

(Precisare: come si manifesta la tecnica teatrale? per es. l'entrata in scena dei<br />

personaggi, i loro movimenti sul palco-città, ecc.) Perché il teatro entra così platealmente<br />

nella struttura del romanzo?<br />

Allora che cosa si aggira per l'Europa, nella domanda che coinvolge il tempo da<br />

Dostoevskij a Šostakovič?<br />

Tuono<br />

bababadalgharaghtakamminarronnkonnbronntonnerronntuonnthunntrovarrho<br />

unawnskawntoohoohoordenenthurnukdiooododostrammammammammaledicglit<br />

tatatataliannii<br />

(Da qualche parte Joyce diceva che gli Italiani da lui conosciuti avevano paura<br />

dei temporali e del rumore del tuono.)<br />

Arte di raccontare<br />

Nel saggio Dall’oralità alla scrittura. Riflessioni antropologiche sul narrare, Jack<br />

Goody presenta il poema epico come una unità narrativa necessaria, quasi indispensabile<br />

per l'etnologo, ma non per le società nelle quali i diversi tronchi del futuro<br />

poema epico funzionano (o almeno così egli pensa). È insomma l'etnologo a<br />

“spingere”, a mettere sulla “strada buona” affinché i suoi informatori raccontino<br />

quello che egli potrà in seguito utilizzare per i suoi scopi.<br />

Nel saggio si contesta anche la credenza secondo la quale raccontare storie sia<br />

un tratto comune a tutte le società umane.<br />

La narrazione sarebbe così un elemento a fianco di altri (gnomica, formula magica,<br />

ecc.), ma l’etnologo farebbe di tutto per isolarla in modo da averla tra le mani<br />

allo stato puro, perché per lui la narrazione deve essere un insieme organizzato solo<br />

in una certa maniera.<br />

È probabile allora che la separazione tra mito e rito non sia, in definitiva, così<br />

distinta. Mito e rito potrebbero saltare l’uno nell’altro secondo determinati, imperscrutabili,<br />

fatali intervalli.<br />

Il racconto così come noi lo intendiamo servirebbe più che altro a convalidare<br />

una certezza; il suo ritrovamento servirebbe a calmare un’ansia specifica del ricerca-<br />

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tore.<br />

41<br />

Nel canone buddhista più antico, il Tipitaka, i Jātaka, racconti delle vite anteriori<br />

del Buddha, hanno una struttura fissa. Ogni jātaka si presenta in una forma<br />

tripartita:<br />

1) Il «racconto del presente» (paccuppannavatthu). Ha funzione di cornice. È<br />

l’occasione che permetterà al Buddha di narrare per esteso ai suoi discepoli<br />

l’episodio di una sua vita anteriore.<br />

2) Il «racconto del passato» (atītavatthu). Costituisce il jātaka vero e proprio, il<br />

racconto dell’episodio <strong>della</strong> vita anteriore del Buddha. In esso sono inseriti dei versi<br />

(gāthā) che contengono l’essenza del racconto. Segue un commento grammaticale<br />

e lessicale (veyyākarana) ai versi (probabilmente un’aggiunta posteriore).<br />

3) La «connessione» (samodhāna), cioè la ripresa e la conclusione del racconto<br />

cornice, nella quale il Buddha identifica i protagonisti del racconto con i personaggi<br />

menzionati in apertura. È la chiusura <strong>della</strong> cornice.<br />

Per quanto risalente al 1992, una traduzione italiana dei Jātaka, apparsa nella<br />

prestigiosa collana UTET Classici delle Religioni, si limita solo alla parte centrale.<br />

Questa scelta fa perdere la struttura nella quale il racconto funziona, ma risolve<br />

una vecchia questione: “Eccolo, alla fine, il racconto!”<br />

Sullo sfondo, in entrambi i casi, c’è la cocciutaggine con la quale noi vogliamo<br />

che i racconti funzionino secondo il nostro modo di pensare; questo perché vogliamo,<br />

in qualsiasi racconto, ritrovare sempre e solo la nostra arte di raccontare. E<br />

quindi vogliamo a tutti i costi, costi quel che costi, in ogni luogo e in ogni tempo,<br />

i nostri romanzieri.<br />

Jack Goody, Dall'oralità alla scrittura. Riflessioni antropologiche sul narrare, in AA.VV. Il romanzo,<br />

a cura di Franco Moretti, 5 voll., Einaudi, Torino 2001-3. I vol., pp. 19-46.<br />

Vite anteriori del Buddha (Jātaka), a cura di M. D’Onza Chiodo, UTET, Torino 1992, soprattutto<br />

pp. 12-3.<br />

Bachtin rovesciato come un guanto<br />

Bachtin insegnava a riconoscere la tecnica polifonica di Dostoevskij all'interno<br />

dei romanzi di Dostoevskij. Questa tecnica consisteva, secondo l'analisi di Bachtin,<br />

in un tentativo di rintracciare voci diverse in quella che, nei romanzi, sembrava<br />

presentarsi come voce unica; voce che, apparentemente, da sola, portava avanti<br />

quella narrazione che, appunto in quanto sola, poteva costituirsi come composizione<br />

del romanzo.<br />

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42<br />

Ma il romanzo è costituito da una formula esattamente opposta: una tendenza<br />

alla omofonia, cioè alla necessità di vedere una stessa voce in quello che nel testo si<br />

presenta come un intreccio di voci diverse. In questo caso, a essere basilare, è la<br />

teoria del soggetto, poiché proprio il soggetto regola la fuga delle voci, vale a dire<br />

la disposizione spaziale delle varie voci tra loro. "Soggetto" che si pone, appunto,<br />

come "punto di fuga"; cioè come punto di vista in uno spazio da cui ci si pone<br />

come osservatori. Ed è appunto il soggetto a osservare la fuga. È insomma la teoria<br />

del soggetto a detenere in sé il germoglio <strong>della</strong> polifonia. Non è la polifonia a rimandare<br />

a soggetti diversi.<br />

Il romanzo diventa allora la parata <strong>della</strong> costruzione soggettiva mascherata da<br />

oggettiva indipendenza di voci. La polifonia è così un miraggio e compare la topologia.<br />

Pinocchio<br />

Pinocchio come fallimento del Bildungsroman in Italia.<br />

L'Italia non può avere un romanzo che mostri la formazione dei propri cittadini<br />

attraverso un personaggio fittizio di romanzo, come ad esempio è avvenuto in<br />

Germania, dove il Bildungsroman è nato.<br />

Un Bildungsroman in Italia è possibile solo come accettazione passiva di un codice<br />

educativo. Che si presenta soprattutto come codice punitivo. Codice, quindi,<br />

sospinto dentro con forza. Codice che non si riferisce a un libero cittadino in una<br />

libera nazione, ma che impone il passaggio, mai onestamente espresso, da burattino<br />

a marionetta. Non c'è nessuna sorpresa. Così il romanzo diventa un modo per<br />

mettere in ordine i conti sporchi. Tutte le male azioni di Pinocchio giungono al<br />

pettine e Pinocchio deve sempre capire, al termine delle sue azioni sconsiderate,<br />

che avevano sempre ragione gli educatori.<br />

Ma perché? In realtà, proprio in questo andare indietro nel tempo sta la truffa,<br />

perché l'Italia è solo una cagata recente.<br />

La Germania, paese dove il Bildungsroman è nato, ha dato la nascita a uno dei<br />

più strani romanzi che esistano: il Parzival di Wolfram. Il Parzival di Wolfram è<br />

indicato come il romanzo che ha segnato la nascita del Bildungsroman.<br />

C'è una grande differenza tra lo strano Parzival e il geometrico Pinocchio.<br />

Quindi c'è da chiedersi: che cosa compone la formazione di un romanzo in grado<br />

di mostrare la formazione di un individuo?<br />

Infatti, quello che Pinocchio diventa non è un qualcosa di diverso da quello che<br />

era in principio, ma un qualcosa che lo riconcilia col suo popolo di marionette,<br />

cioè un burattino, per quanto egli, all'inizio <strong>della</strong> storia, non fosse neppure un burattino,<br />

ma qualcosa di simile a una marionetta.<br />

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43<br />

L'Italia non può avere una letteratura perché non ha un popolo al quale la letteratura<br />

può funzionare da insegnamento in quanto rivelazione del proprio destino<br />

in quanto destino <strong>della</strong> razza. Qualcosa come una letteratura italiana deve avere lo<br />

spirito <strong>della</strong> sonata surreale di fantasmi su un palcoscenico di periferia putrescente.<br />

Che è quanto Pinocchio fa egregiamente. Un'orchestra da camera che suona<br />

sguaiatamente in sottofondo, fuori scena, lontano dalla scena dove si situa la scena<br />

sgangherata dello spettacolo fondamentale. Come nella Lulu. Che è quanto Pinocchio<br />

sembra offrire.<br />

Notare il sottotitolo: Storia di un burattino. È un sottotitolo che dice tutto: Pinocchio<br />

è un burattino. È un burattino che però ha una storia. Questa storia lo<br />

porterà a essere qualcosa di diverso da un burattino. Ma che cosa? Appunto qui sta<br />

la questione. L'inghippo è proprio nella definizione fornita all'inizio <strong>della</strong> storia,<br />

cioè nell'indicazione "burattino", che è una indicazione sbagliata per quanto riguarda<br />

l'azione, ma che è una indicazione più che esatta per quanto riguarda il<br />

meccanismo dell'azione. (Tutta l'arte degenerata diventa grande arte in base a queste<br />

apparenti distrazioni.)<br />

Il romanzo Pinocchio riporta la storia del burattino Pinocchio, che da burattino,<br />

diventa infine un'altra cosa. Ma che cosa diventa? Il romanzo Pinocchio mostra<br />

che, da "burattino", Pinocchio diventa infine bambino umano, cioè essere umano.<br />

Pinocchio nasce come burattino. Il testo è ambiguo su questo termine. E questo,<br />

da parte del testo, è una strana ambiguità, Questa ambiguità è pari a quella che accompagna<br />

la cagata dell'Italia come nazione. Conosciamo Pinocchio come un burattino<br />

appena abbozzato. Vale a dire: come un burattino da rifinire, da precisare,<br />

da rimpinzare. Quello che manca in questo burattino è il ripieno <strong>della</strong> cultura.<br />

La cultura italiana è il ripieno adatto al burattino Pinocchio. Geppetto ha fame<br />

di fortuna. Cioè ha fame di soddisfare la propria fame. Pinocchio nasce all'insegna<br />

<strong>della</strong> fame. Gli animali sono proprio come gli Italiani: pensano sempre a mangiare.<br />

E come sa chiunque si diletti di culinaria, il ripieno è qualcosa che si infila nel didietro<br />

di una carcassa pronta e in posa per essere rimpinzata.<br />

È infatti la mano di un burattinaio a dare la vita al povero burattino.<br />

Notare che la parola italiana "culinaria", l'arte <strong>della</strong> cucina, deriva da "culo",<br />

perché nell'antica Roma i gabinetti erano vicini alle cucine. Quando si tratta di<br />

"arte del culo", si scopre sempre che gli Italiani (che Dio li stramaledica!) ne sanno<br />

sempre più di tutti.<br />

Pinocchio ha così qualcosa <strong>della</strong> pornodiva. Si esibisce su un palco. Ma come<br />

per certe pornostar, la sua fama specifica dipende dalla disponibilità che dimostra<br />

nel... "recitare di schiena".<br />

In questo caso particolare, nel farsi compenetrare dalla maledetta cultura italiana,<br />

che come un'onda maledetta di ladri, entra, silenziosamente, nel mezzo <strong>della</strong><br />

notte più nera <strong>della</strong> cultura europea, dal didietro.<br />

(Maledetta Cul Tura italiana. Maledetta cultura italiana TuraCul, TuraCul. Dio<br />

vi stramaledica tutti, Italiani bastardi! Dio vi stramaledica tutti, soprattutto quando,<br />

scarafaggi impolverati, sguisciate affannati dalle rovine dei vostri maledetti tan-<br />

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44<br />

ti terremoti. Dio vi stramaledica tutti, Italiani bastardi! Dio vi stramaledica tutti<br />

ancora una volta di più!)<br />

Quello che alla fine Pinocchio diventa, non è un essere umano, ma una marionetta,<br />

cioè un perfetto equivalente dei suoi maledetti connazionali. Questo perché<br />

Pinocchio, fin dall'inizio, non era un burattino, ma era una marionetta. E questo<br />

perché l'Italia non è una nazione, e non può avere una formazione per i propri cittadini,<br />

né, tantomeno, può avere un Bildungsroman. In Italia non si può diventare<br />

uomini, si può diventare soltanto marionette. Si nasce burattini e si diventa marionette.<br />

Jung sosteneva che ciò che gli alchimisti volevano raggiungere non fosse l'oro<br />

materiale, ma un oro (per così dire) "spirituale", cioè il raggiungimento <strong>della</strong> personalità<br />

individuale in rapporto alla collettività.<br />

Che è appunto quanto Pinocchio si sforza di presentare.<br />

Alcuni alchimisti miravano a ottenere oro dagli escrementi. I Massoni <strong>della</strong><br />

Carboneria sono andati ben oltre, e dal Nulla hanno ottenuto la Merda, cioè hanno<br />

realizzato, a tutti gli effetti, la Cagata dell'Italia, e, grazie alla Cagata dell'Italia,<br />

la presenza di un nuovo Paese nella vecchia Europa. Dopo il loro intervento, chiunque,<br />

in ogni luogo del mondo, sa che l'Italia è stata cagata. Sa che l'Italia è stata<br />

ufficialmente, storicamente cagata: è stata cagata in un certo tempo; è stata cagata<br />

in un certo luogo; è stata cagata con una certa, precisa forma geometrica e geografica.<br />

Dio stramaledica la cagata dell'Italia!<br />

E chiunque sia in grado di contare, sa che sono passati 150 anni dalla cagata<br />

dell'Italia.<br />

Ma che cosa si può dire <strong>della</strong> cagata dell'Italia, volendo evitare il termine "cagata"?<br />

Gli Italiani sanno che il loro spazio è uno spazio artificiale, asettico, dove non<br />

c'è spazio per gli estranei o per gli animali. La migliore rappresentazione dell'Italia<br />

(questo maledetto spazio artificiale che ha impestato l'Europa, prima di tutto; e<br />

poi tutto il mondo) è proprio nella mancanza di animali al suo interno.<br />

L'Italia è la cagata massonica per eccellenza. La cagata del maledetto Tempio di<br />

Gerusalemme adattato ai nuovi tempi e ai nuovi luoghi.<br />

In quanto territorio inesistente, l'Italia è legata a un "clic", cioè a un battito tra<br />

territori la cui contiguità è assolutamente inesistente, perché l'Italia è un territorio<br />

inesistente. Ma che dal punto di vista <strong>della</strong> possibilità, fosse anche solo quella del<br />

sogno, è tutt'altro che inesistente, proprio perché l'Italia è l'esistente inesistenza di<br />

un territorio.<br />

È quanto rivela la corriera per il Paese dei Balocchi, che tutte le notti, regolarmente,<br />

ferma a una certa fermata.<br />

Probabilmente, il canto dell'usignolo registrato su disco, come compare nei Pini<br />

di Roma di Respighi, è il più bell'esempio di animale all'interno <strong>della</strong> cultura<br />

italiana. "Bello" per modo di dire. È infatti un esempio di pacchianeria tecnologica.<br />

Una cialtronata. Una ripetizione golemica schiaffata lì, a spregio dell'arte musicale.<br />

Gli Italiani sono un pugno di Massoni stretti a pugno tra loro. Niente può<br />

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45<br />

entrare in quel pugno, meno che mai un animale.<br />

Da qualche parte ho letto che qualcuno, forse uno scrittore (non italiano, ovviamente)<br />

dell'Ottocento, viaggiando per l'Italia, si era meravigliato di come gli<br />

Italiani (che Dio li stramaledica, tutti quanti e per sempre!) maltrattassero gli animali.<br />

Forse di trattava di Gobineau. Non ricordo. Voglio ritrovare il brano e inserirlo<br />

in uno di questi articoli. In segno di disprezzo verso il popolo italiano!<br />

Pinocchio riserva un grande spazio agli animali e presenta un vero e proprio bestiario.<br />

C'è tutto un bestiario di Pinocchio da determinare.<br />

Il bestiario di Pinocchio va dalla balena semita al drago-serpente germanico.<br />

Si potrebbe tentare una analisi precisa di questo bestiario:<br />

Il serpente germanico.<br />

La balena semita.<br />

Il colombo italico [l'animale da soma del meticcio italiano. Il "pio bove".]<br />

Il grillo parlante [l'Italiano che è stato all'estero. L'Italiano Saccente. L'Illuminista.]<br />

La battaglia di Arminio<br />

La battaglia di Arminio di Heinrich von Kleist contiene alcuni confronti, certamente<br />

non intesi in questa forma dall'autore, ma presenti nel testo, con la civiltà<br />

germanica, sui quali vale la pena dirigere una riflessione. Questo perché, quando lo<br />

scontro è uno scontro tra civiltà, un testo che richiama l'antica battaglia delle razze<br />

non può che richiamare l'insieme di ciò che oppone razza superiore e razze inferiori,<br />

qualunque siano le intenzioni dell'autore.<br />

1. Arminio: «Credo che i Tedeschi siano più dotati di talento, ma che gli Italici,<br />

sebbene meno dotati, l’abbiano sviluppato meglio nell’epoca presente». Arminio<br />

afferma che un’armata germanica in marcia o in sosta suscita il riso in confronto a<br />

una di Roma (atto I, scena III). Notare il richiamo a ciò che il testo chiama "l'epoca<br />

presente", identificata come un'epoca di decadenza, nella quale, proprio per<br />

questa caratteristica, la civiltà latina può ottenere il massimo del successo. Questo è<br />

proprio ciò che chiama il teatro, il fattore dello spettatore invisibile, ugualmente<br />

richiamato dalla pubblicità, cioè l'arte di sfottere, tipica <strong>della</strong> civiltà latino-semita.<br />

Ma c'è un altro fattore che il testo suggerisce: l'arte <strong>della</strong> guerra, il tipo di guerra<br />

che in quel momento si combatte. Armata romana e armata germanica richiamano<br />

infatti due tipi diversi di guerra.<br />

2. Teutoburgo. Accampamento di Arminio. Arminio e alcuni Anziani osservano<br />

le fiamme che si alzano dai villaggi attraversati dalle armate di Roma. Così avanza<br />

nel mondo la civiltà di Roma. (Atto III, scena I). Roma è barbarie.<br />

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46<br />

3. Ventidio ha insegnato a Tusnelda l’arte di abbigliarsi e acconciarsi i capelli<br />

con lo sfarzo di una Romana. Arminio le rivela che i Romani hanno l’abitudine di<br />

tagliare i capelli biondi delle donne tedesche per farne parrucche per le loro donne:<br />

«Neri sono [i capelli delle Romane], neri e grassi, come quelli delle streghe. Non<br />

belli, asciutti, d’oro, come i tuoi.» (Atto III, scena III). Bellissimo episodio che richiama<br />

lo scontro in corso alla sua vera natura, cioè allo scontro razziale: la razza<br />

nordica autenticamente indoeuropea e il meticciato romano, che niente ha di europeo<br />

(meno che mai di indoeuropeo).<br />

4. Sfila l’esercito di Roma. Varo chiede a Ventidio assicurazioni su Arminio. Egli<br />

sa che, non appena marcerà contro Marbod, la sua posizione sarà molto delicata:<br />

poiché avrà di fronte l’esercito di Marbod e alle spalle quello di Arminio. Ventidio<br />

lo rassicura, ma ogni sua frase è ambigua. Questo dialogo è un capolavoro:<br />

c’è tutta la falsità dei Latini, il loro amore per gli intrighi, la loro assoluta diffidenza,<br />

il loro essere biforcuto nel mondo. Ventidio ha la lingua biforcuta perché la<br />

lingua del suo popolo è una lingua biforcuta. Ventidio prende per spirito profetico<br />

quello che è malevolenza degli uni verso gli altri. Caratteristica tipica <strong>della</strong> sua gente:<br />

la razza latina. Tusnelda chiede a Settimio spiegazioni sulle insegne che vede<br />

portate dall’esercito romano. Viene così a sapere che l’Aquila ha il compito di riunire<br />

i soldati in battaglia. Tusnelda: «Da noi usa il canto corale dei bardi» (p. 629):<br />

storia come vedere, storia come dire. (Atto III, scena VI.)<br />

5. Entra una mandragora [così la traduzione]. Varo la interroga: da dove vengo?<br />

Risposta: dal nulla. Dove mi dirigo? Risposta: verso il nulla. Dove sono? Risposta:<br />

a due passi dalla tomba. Poi scompare. Parlando <strong>della</strong> mandragora, Varo accosta la<br />

Sibilla romana alla maga di Endor. (Atto V, scena IV.) Questo personaggio è riconducibile<br />

alla völva dell'Edda, che qui racconta il futuro <strong>della</strong> civiltà semitolatina<br />

visto nella sua opposizione alla civiltà germanica. Così ci sarà infine una battaglia<br />

di Arminio dopo la quale la civiltà latina verrà consegnata al nulla.<br />

6. Varo parla di due corvi: uno che pareva annunciargli la vittoria, l’altro la<br />

tomba. I due corvi possono essere accostati ai due di Óðinn, ma senza una reale<br />

funzione. Un popolo di bastardi è un popolo raccoglitore di mitologie, leggende e<br />

racconti; tutto un materiale del quale non sa che fare. (Atto V, scena VII.)<br />

7. Varo: «Arminio, Arminio, è dunque possibile che uno abbia capelli biondi ed<br />

occhi azzurri e che sia falso come un cartaginese?» (atto V, scena IX). Varo espone<br />

apertamente quella ideologia che egli, prima di tutti, dovrebbe non accettare.<br />

8. I Capi temono che Arminio marci contro Marbod. Arminio: «per il tonante<br />

bronzeo carro di Wodan»: di tonante c'è qui, prima di tutto, l'errore. Non era Óðinn<br />

il dio con il carro, ma Þórr. (Atto V, scena XI.)<br />

9. Arminio: «E poi muoveremo audacemente… verso Roma. Noi, fratelli, noi o<br />

i nostri nipoti! Sono infatti fermamente convinto che l’intero mondo non potrà<br />

ottenere pace da questa genía di assassini fin quando non sarà totalmente distrutto<br />

il loro nido di predatori e una bandiera nera non sventolerà sopra un desolato cumulo<br />

di macerie.» (atto V, scena ultima). È qui anticipata la fine <strong>della</strong> civiltà semito-latina,<br />

riassunta nella battaglia finale contro la grande città. Si ripresenta lo<br />

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47<br />

scontro dapprima negato: l'odio verso la grande città e lo smascheramento <strong>della</strong><br />

civiltà latino-semita.<br />

Teutoburgo vi compare come una città con strade nelle quali si può camminare<br />

e un parco chiuso da un cancello, una specie di giardino all'inglese, dove la natura<br />

sembra seguire indisturbata il suo corso e dove Tusnelda fa rinchiudere Ventidio in<br />

modo da farlo sbranare dall'orsa che, poco prima, vi aveva fatto rinchiudere. Una<br />

delle caratteristiche fondamentali dello scontro tra civiltà romana e civiltà germanica,<br />

la grande città semito-latina e l'assenza di città nel mondo germanico, è del<br />

tutto ignorato.<br />

La battaglia di Arminio di Heinrich von Kleist è uno strano testo. Tutto, in<br />

questo strano testo, viene messo in scena come se la battaglia di Arminio fosse già<br />

avvenuta. Quello che il testo presenta è infatti la nuova battaglia di Arminio, cioè<br />

quella battaglia che, dopo la battaglia di Arminio storica, bisogna combattere per<br />

scacciare l'influsso <strong>della</strong> civiltà latino-semita. La battaglia di Arminio "storica" ha<br />

segnato la vittoria dei popoli tedeschi sull'esercito di Roma e la fine dell'aggressione<br />

<strong>della</strong> civiltà romana nei confronti del nord, Ma il risultato è stato che la Germania,<br />

così come tutto il nord, ha finito per accettare, senza accorgersene, sempre<br />

più la civiltà latino-semita, arrivando a pensare, alla fine, come quella civiltà e organizzando<br />

il proprio modo di vivere e di abitare la terra secondo i principi di<br />

quella lontana civiltà.<br />

Ma mai troppo lontana!<br />

«I dag kjenner mange mennesker i Norden gresk og romersk mytologi bedre<br />

enn den norrøne» (G. Steinsland, Eros og død i norrøne myter, Universitesforlaget<br />

AS, Oslo 1997, p. 18).<br />

Il fatto <strong>della</strong> battaglia personale, che chiunque deve combattere in nome <strong>della</strong><br />

battaglia di Arminio, mette in evidenza un'altra questione.<br />

Atto III, scena II: entrano in successione tre Capitani tedeschi. Riferiscono le<br />

atrocità commesse dai Romani lungo il loro percorso: distruzione delle residenze<br />

di Arminio, uccisione di una puerpera col suo bambino, distruzione <strong>della</strong> quercia<br />

sacra a Wodan. Sono i simboli delle tre funzioni indoeuropee secondo Dumézil,<br />

riportate nell’ordine: 2, 3, 1.<br />

Arminio accoglie le notizie con gioia e le fa diffondere, in modo da aumentare<br />

l'odio verso i Romani. Infine, ordina a Eginardo che dei Tedeschi travestiti da<br />

Romani seguano di nascosto le truppe di Varo, saccheggiando e incendiando.<br />

In Teoria del partigiano Carl Schmitt (Adelphi, Milano 2005) definisce La battaglia<br />

di Arminio di Kleist «il più grande poema partigiano di tutti i tempi» (p.<br />

17).<br />

Il partigiano, continua Schmitt, costringe il suo avversario a entrare in uno spazio<br />

diverso. Notare il richiamo al teatro nel testo di Schmitt: «Sbucando dalle<br />

quinte, il partigiano disturba il dramma convenzionale che si svolge, conforme alle<br />

regole, sul palcoscenico» (p. 98). Il partigiano è, a questo punto, una figura da melodramma,<br />

da operetta, da dramma di cappa e spada.<br />

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48<br />

Ma il partigiano di ieri è il terrorista di oggi. Il partigiano non è più una figura<br />

difensiva e da operetta, ma diventa «uno strumento manipolato da un’aggressività<br />

che mira alla rivoluzione mondiale» (p. 104).<br />

Rimane il punto di partenza: l'errore fondamentale di Kleist: aver rappresentato<br />

Teutoburgo come un città con strade dove i capi, in incognito, camminano di notte<br />

per studiare il comportamento <strong>della</strong> popolazione. Un tema che sembra richiamare<br />

la grande città di Baghdad dei racconti fioriti intorno al califfo Hārūn al-<br />

Rashīd nelle Mille e una notte.<br />

È una sovrapposizione di scenografie che il testo teatrale ha imparato a rappresentare.<br />

I guerrieri germanici si muovono, nella loro Germania violata, attraverso<br />

una scenografia che rappresenta la Germania violata come una grande città semita.<br />

Ma essi combattono concretamente per liberare la Germania,<br />

È appunto lo sdoppiamento tipico al quale il teatro moderno, in quanto messa<br />

in scena, non può più fare a meno. Soprattutto il teatro d'opera unirà una interpretazione<br />

musicale filologica a una messa in scena slegata da qualsiasi temporalità<br />

(scenografia costituita da blocchi in movimenti, costumi contemporanei, ecc.). Da<br />

qui è da rivedere il tentativo di Händel di creare oratori profani, in lingua inglese,<br />

in risposta all'invadente teatro italiano.<br />

Un bel commento all'articolo "2000 år sedan slaget vid Teutoburgerskogen!"<br />

nel sito www.patriot.nu (30 settembre 2009), cominciava con questa semplice frase:<br />

«Det är bara en ny Hermann som behövs och lite till.»<br />

(http://patriot.nu/artikel.asp?artikelID=1330).<br />

H. von Kleist, La battaglia di Arminio, in H. von Kleist, Opere, I, Guanda, Parma 1980 (trad. di<br />

Ervino Pocar).<br />

Il nuovo tema del Meister<br />

Gli Anni di noviziato di Wilhelm Meister presentano un tema assolutamente<br />

nuovo nell'ambito del romanzo: il tema del vero artista. Il tema centrale del Meister<br />

è di solito indicato nello scontro tra decisione di consacrarsi all'arte e accettazione<br />

di una professione borghese; tra arte e non-arte. Quello che il romanzo presenta<br />

è un qualcosa di più sinistro, inscindibile dalla nuova epoca borghese, con<br />

modalità ancora riconoscibili nella nostra epoca. L'artista non è più colui che<br />

giunge pienamente formato, ma colui che deve affrontare un apprendistato; che in<br />

realtà è una selezione. Il fatto che, nel romanzo, l'apprendistato abbia esito negati-<br />

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49<br />

vo non dimostra la vittoria <strong>della</strong> borghesia, ma il fatto che il vero artista non ha<br />

bisogno di apprendistato e che, sottoponendosi ad esso, in nome dei principi <strong>della</strong><br />

nuova epoca, alla fine egli arriva a fallire come artista. In questa nuova epoca, infatti,<br />

l'artista è qualcosa di non più necessario, quindi un qualcosa da formare attentamente<br />

affinché dia il risultato sperato.<br />

Tempo libero<br />

Disprezzare Manzoni, Leopardi, Verdi e Dante è un piacere che non mi faccio<br />

mai mancare.<br />

Il racconto a cornice<br />

Nell'Oceano dei fiumi dei racconti di Somadeva i racconti si generano l’uno<br />

dall’altro, con cornici sempre più strette. Spesso i racconti hanno funzione di digressioni<br />

e incastri fra le varie cornici.<br />

Tutto è apparenza. Le immagini sfumano l’una nell’altra. Non vi è nessuna<br />

permanenza. Il collegamento di questa struttura con le teorie induiste è evidente.<br />

Ma in che cosa si può riconoscere l’induismo? Nel miglioramento che lega il passaggio<br />

da una forma all’altra, nel fatto che tutte le cose sfumino infine nel divino.<br />

Così L'oceano ha influenzato Le Mille e una notte. Nelle Mille e una notte le cornici<br />

non rimandano a una teoria esterna e si limitano a un artificio compositivo.<br />

L’islamismo non ha nulla a che fare con i ritorni ciclici, cioè con le reincarnazioni.<br />

Molta letteratura medioevale andrebbe riconsiderata a partire da questo punto di<br />

vista. Anche certe annotazioni di Borges sulle Mille e una notte e sul doppio in letteratura<br />

(Stevenson) cambierebbero così aspetto.<br />

Bisognerebbe indagare il folklore europeo secondo una linea geografica del tipo:<br />

India (prima di tutto), Arabia (in modo secondario), Europa.<br />

Si otterrebbe uno schema <strong>della</strong> trasmigrazione dei racconti di questo tipo:<br />

1. India: Pañcatantra, Vetâlapañcavimsatikâ, Kathâsaritsâgara (le prime due raccolte<br />

presenti nell'Oceano).<br />

2. Arabia: Le mille e una notte.<br />

3. Europa: racconti popolari del folklore (dopo la distruzione <strong>della</strong> fase mitica<br />

indoeuropea e l’acquisizione stabile del Cristianesimo).<br />

Apparirebbe allora, in una nuova forma, la domanda fondamentale: "che cosa<br />

genera il racconto popolare"?<br />

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50<br />

L’India mantiene ancora la base religiosa. Con Le mille e una notte questa base si<br />

dissolve. Infatti lo schema a cornice dei racconti delle Mille e una notte non ha nulla<br />

a che fare con la religione islamica. Agostino combatteva la teoria dei ritorni ciclici<br />

presente nella religione pagana; la stessa cosa si può dire a proposito delle Mille<br />

e una notte nei confronti <strong>della</strong> narrativa indiana.<br />

Intorno all’anno 1000 in India si produce qualcosa che determina la narrativa<br />

europea: perché? con quali articolazioni precise?<br />

Per Novalis la fiaba presenta la trasformazione di ogni cosa in un'altra. Ma la<br />

posizione del Cunto di Basile verrebbe allora rivista.<br />

Superuomo e postmoderno<br />

La narrativa postmoderna rappresenta una scollatura del rapporto tra il soggetto<br />

e gli infiniti oggetti del mondo tutti ormai a sua disposizione. Il soggetto non si<br />

riconosce più come superuomo in quanto esponete <strong>della</strong> compiuta manifestazione<br />

dell'epoca <strong>della</strong> metafisica, e fa un balzo indietro rispetto a quanto formulato in<br />

proposito da Nietzsche.<br />

Nietzsche aveva individuato nel superuomo l'esponente <strong>della</strong> compiuta manifestazione<br />

dell'epoca <strong>della</strong> metafisica.<br />

Ma come portare a rappresentazione il dominio effettivo del mondo? E, a livello<br />

di letteratura, come rappresentare la realizzazione del dominio effettivo del<br />

mondo? Gli appunti, risalenti al 1888, sui nuovi futuri padroni del mondo, stesi<br />

da Nietzsche, sono ancora tutti da pensare – perché, troppo velocemente, sono stati<br />

liquidati come argomenti che non meritano di essere pensati. Ma forse, per<br />

quanto poco considerati, danno vita a un qualcosa, ancora non considerato, nel<br />

campo <strong>della</strong> sotto-letteratura e del cinema. Ma da proprio da questi campi, sottoletteratura<br />

e cinema, si fa vivo il postmoderno.<br />

Ogni frase, scritta nell'epoca del compimento <strong>della</strong> metafisica, porta con sé il<br />

paradiso, porta con sé l'inferno.<br />

L'ipotesi del superuomo di Nietzsche andrebbe articolata secondo due possibilità:<br />

1) l'ipotesi del superuomo vero e proprio (con esito verso un pensiero disantropomorfizzante);<br />

2) l'ipotesi dei futuri padroni del mondo (con esito verso il ripescaggio di<br />

un pensiero antropomorfizzante di tipo tardo-romantico).<br />

Il postmoderno presenta una narrativa dell'epoca <strong>della</strong> compiuta realizzazione<br />

<strong>della</strong> metafisica attraverso l'esclusione dell'ipotesi del superuomo. Così qualunque<br />

soggetto è un soggetto in balia <strong>della</strong> totalità degli oggetti del mondo, ma tutti a<br />

sua completa disposizione. È in questo bilanciamento ciò che porta alla biforca-<br />

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51<br />

zione del caso Italia e del caso Giappone.<br />

Per quanto riguarda la possibilità di una narrativa basata sul superuomo (come<br />

esponente dell'epoca <strong>della</strong> compiuta manifestazione <strong>della</strong> metafisica), l'Italia ha<br />

mostrato le due possibilità antitetiche: la narrativa di Gabriele d'Annunzio, nella<br />

quale il superuomo era tutt'uno con il protagonista (Il Fuoco); la narrativa di Umberto<br />

Eco, nella quale il superuomo non è considerato come ipotesi degna di attenzione,<br />

e il romanzo può sorgere, appunto, grazie alla negazione concreta del superuomo.<br />

Nel romanzo postmoderno ogni cosa del mondo, compresa la stessa letteratura,<br />

diventa qualcosa simile a un parco giochi; diventa la stesura letteraria di un videogame,<br />

e anche la stesura letteraria di un gioco di ruolo. Il postmoderno è una sosta<br />

confortevole, la sosta nel luogo in cui si atterra alla fine del balzo che porta – adesso<br />

– a situarsi nel luogo prima <strong>della</strong> formulazione <strong>della</strong> teoria di Nietzsche circa il<br />

superuomo.<br />

Per avere una reale contrapposizione a questo “caso Italia”, è necessario ricorrere,<br />

ancora una volta, al “caso Giappone”.<br />

La questione che così viene posta al romanzo, è del tipo: “Se il romanzo è storiografia,<br />

di che cosa si fa allora storiografo il romanziere? ”<br />

L'odiosa ideologia “buonista”, che il postmoderno ha rappresentato tramite i<br />

romanzi di Umberto Eco, non è l'unica manifestazione <strong>della</strong> narrativa postmoderna.<br />

La narrativa di Murakami Haruki ne ha infatti presentato tutta un'altra possibile<br />

forma. Ugualmente detestabile. Così, in Giappone il postmoderno ha dato origine<br />

a una geometria del caos e a una parallela geometria del caso; mentre ha dato<br />

origine, nella maledetta Italia dalla tormentata anima massonico-risorgimentale,<br />

a un impegno sociale, centrato sulla infinita e nascosta predica buonistica. La differenza<br />

può consistere in ciò che fa del Giappone il più grande produttore di golem<br />

del pianeta, secondo le parole di Miguel Serrano, e che invece ripiega l'Italia<br />

in un ridicolo progetto di mobilitazione globale dal fine vagamente utopistico e<br />

rosato, progetto che mette in berlina il grande senso di colpa che lo anima e lo istupidisce.<br />

Ma si tratta sempre di tutta la stessa forma che, di soppiatto, mette le mani in<br />

tasca per borseggiare.<br />

Il Giappone si pone come il più grande produttore di golem del pianeta. Il più<br />

grande produttore di prodotti che sporcano il mondo. Prodotti fatti per giocare,<br />

come quelli che provengono dagli Stati Uniti. Il cinema prima di tutto. Prodotti<br />

fatti per non pensare. L'Italia si pone su tutto un altro piano <strong>della</strong> replicazione golemica:<br />

spassionata dichiarazione di adesione alla propria malinconica ideologia in<br />

quanto unica ideologia delle diverse ideologie del passato. Ma ideologia del senso<br />

di colpa, prima di tutto. Nella <strong>Terra</strong> <strong>della</strong> Sera, quanto sbandierato dalla maledetta<br />

Italia è solo lo straccio di ciò che rimane delle ideologie cristiano-ebraico-socialiste,<br />

straccio a brandelli in un mondo senza vento.<br />

La differenza è che il Giappone è l'artefice <strong>della</strong> replicazione golemica che sporca<br />

il mondo, mentre l'Italia è la sporcizia stessa <strong>della</strong> replicazione golemica, ma ad<br />

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52<br />

arte creata apposta per ripulire la propria coscienza – mai affrontata da uno sguardo<br />

non compiacente.<br />

Il postmoderno è la ricaduta verso una antropomorfizzazione di tipo tardoromantico.<br />

Al di fuori del postmoderno, l'aspetto più emblematico verso cui il pensiero<br />

può essere condotto è quello che ne permette l'articolazione in termini del tutto<br />

disantropomorfizzanti. Si avrebbe così un pensiero la cui caratteristica fondamentale<br />

sarebbe – appunto – la disantropomorfizzazione a livelli attualmente inimmaginabili.<br />

Questo pensiero sarebbe il pensiero più adatto per la nostra epoca.<br />

Il peso del postmoderno<br />

Che cosa dice il sogno <strong>della</strong> notte più lunga del meticcio italiano? Niente notte<br />

<strong>della</strong> veglia dei Finnegan, in Italia. Gli unici pasticciacci sono quelli di Gadda e di<br />

Camilleri. Pasticciacci da salotti. Infatti, Ombre Rosse e Ombre Nere costituiscono<br />

il pasticcio che più piace agli italiani Bianchi di Sinistra. Con occhio massonico<br />

il meticcio italiano guarda il mondo.<br />

Il romanzo buonista postmoderno italiano rappresenta il peso del romanzo<br />

postmoderno messo a nudo, che però ne evidenzia l'aspetto fondamentale: cioè la<br />

nudità che lo veste.<br />

In Italia i romanzi postmoderni dell'Eco lumacone hanno il merito di far luce,<br />

una volta per tutte, sul profondo senso di colpa che pervade ogni aspetto <strong>della</strong> triste<br />

vita del meticcio italiano. Permettono di rivedere la letteratura italiana, e non<br />

solo. Nella letteratura, nella politica, e poi in ogni aspetto <strong>della</strong> vita quotidiana, il<br />

meticcio italiano rivela un forte senso di colpa che dirige e pervade infatti i suoi<br />

tanti gesti miseri e volgari. È come se il meticcio italiano si riconoscesse da sempre<br />

irretito in una situazione angosciosa, dalla quale egli si è più volte risvegliato, passando<br />

da un accenno di incubo a un dormiveglia subdolo e colpevole, ma situazione<br />

dalla quale egli è ben conscio di averne sempre tratto profitti enormi, costanti<br />

e casuali – da qui il suo bisogno finale di espiazione.<br />

È evidente che, in queste condizioni, il meticcio italiano debba volgersi verso<br />

gli strati sociali e le parti del mondo che più si dibattono per tentare di sopravvivere.<br />

E che debba pensare di dedicare a loro il suo discorso-manifesto, celato nelle<br />

spoglie di un romanzo strategicamente postmoderno. Egli può pensare così che da<br />

quelle plaghe arrivi infine a lui la chiamata. Ma chi chiama il meticcio italiano?<br />

Chi mai ha interesse a chiamarlo? Il meticcio italiano è ben diverso dal tormentato<br />

meticcio slavo, che almeno ha avuto il suo Dostoevskij. È però qui in gioco un<br />

meccanismo testardo, testardo come il meticciato, che in parte soddisfa – e in parte<br />

inchioda – il senso di colpa del meticcio italiano. Si è mai notato che ogni cosa<br />

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53<br />

che fa il meticcio italiano deve rispondere a una domanda del tipo: "Cosa hai fatto,<br />

tu, per impedire questo sopruso? e cosa pensi di fare ora, tu, che ne sei a conoscenza?"<br />

È questa ansia di bilanci che rende tanto falsa e pesante la letteratura del<br />

meticcio italiano. Letteratura sempre soppesata sul bilancino. Ma solo perché non<br />

si ha a fuoco il personaggio da cui tutto parte: il meticcio italiano, personaggio picaresco<br />

a tutto sfondo. Peccato che l'Italia non abbia avuto una letteratura picaresca,<br />

anziché pittoresca, come più o meno ha avuto. E peccato non abbia avuto un<br />

Dostoevskij. Ma poteva, l'Italia, avere una letteratura? Penso proprio di no!<br />

La questione è: da dove proviene il senso di colpa del meticcio italiano? In che<br />

cosa può esso consistere? C'è qualcosa che il meticcio italiano sa e che lo tormenta?<br />

Se sapesse di non essere un europeo e di non avere diritto di stare in Europa? Se<br />

sapesse che tutta la sua storia, così fraudolentemente messa insieme, è un imbroglio?<br />

Il meticcio italiano rappresenta la comparsa aggiornata dell'uomo più brutto<br />

nella catena del ritorno, secondo quanto si legge sull'eterno ritorno nello Zarathustra.<br />

Il meticcio italiano sa di dover tornare in eterno nella catena delle ingiustizie e<br />

sa di essere parte integrante di questa ingiusta catena. Per questo il meticcio italiano<br />

è quell'essere che, nella letteratura, medita, macina e sputa infinita tristezza. Se<br />

il meticcio italiano sapesse che non potrà mai andarsene dal luogo dove non ha<br />

nessun diritto di stare, e se proprio questo fosse il suo pensiero più colpevole?<br />

Romanzo e parabola<br />

Come certi paesaggi nordici – sublimi sotto il sole di ghiaccio di una tarda estate<br />

artica – certi azzardi <strong>della</strong> teoria dell'arte <strong>della</strong> narrazione sembrano prendere<br />

l'aspetto del corpo di una bellissima donna fatto a pezzi e lanciato nel mare più<br />

calmo del mondo, quello del Sacro Nord, nel mistero dell'incanto <strong>della</strong> notte sospesa,<br />

quando tutto ciò che è in quel mondo sembra chiedere soltanto l'occhio di<br />

un grande e nuovo artista, tanto perfetto nella sua arte quanto nel suo isolamento,<br />

per rendere grazie a Dio per la bellezza del mondo.<br />

Con il romanzo realista, il romanzo si pone come una sofisticata arte <strong>della</strong> rappresentazione<br />

dello scacco che colpisce l'individuo durante tutta la sua parabola di<br />

vita desolata. Solo con il romanzo realista, infatti, il romanzo si definisce come<br />

un'arte delle piccole, infinite, deprimenti unità discrete. Meglio sarebbe chiamare<br />

il romanzo realista "il romanzo dell'individuo", poiché è solo in questa fase che il<br />

romanzo si pone come storiografia del fenomeno dell'individuo, ormai assurto<br />

stabilmente a tipo dotato di una parabola organica. È appunto in mezzo a questo<br />

insieme che insiste il "realismo". Così il realismo tende a identificarsi con ciò che è<br />

adesso immediatamente e puntualmente riscontrabile nella realtà. La condizione<br />

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54<br />

del protagonista del romanzo realista comporta la stessa condizione dell'individuo<br />

descritta da Heidegger in Essere e tempo.<br />

Se il romanzo ha avuto la sua nascita nell'ambito di una simulazione <strong>della</strong> storiografia,<br />

il romanzo ridotto a storiografia del puro fenomeno "individuo" mostra<br />

la desolante parabola di tutto l'individuo, che da una nascita casuale traghetta verso<br />

una morte inevitabile. Nel romanzo realista manca proprio l'aggancio con la<br />

grande storia. Tutta la storia narrata nel romanzo realista si riduce a storia di un<br />

piccolo individuo. Il romanzo orchestra una quantità di piccoli fatti, meschinerie,<br />

sconfitte quotidiane, che accompagnano sempre l'individuo sullo sfondo dello<br />

scacco sonoro finale che non può essere evitato: la morte.<br />

Per una diversa teoria del romanzo (ma di una teoria ormai del tutto in via di<br />

essere dimenticata) bisogna rivolgersi al Meister di Goethe e all'Estetica di Hegel.<br />

Joyce e Musil sono stati i due romanzieri <strong>della</strong> modernità che più di tutti hanno<br />

cercato di svincolare il romanzo dalla parabola dell'individuo.<br />

Joyce lo ha fatto attraverso il mito, Musil attraverso la saggistica.<br />

Rimane il problema fondamentale, che nel romanzo riguarda la posizione<br />

dell'individuo. Quattro forme diverse appaiono essere state praticate:<br />

• Il romanzo nasce come una finzione <strong>della</strong> storiografia; l'individuo non occupa<br />

la posizione di soggetto: è la fase iniziale del romanzo.<br />

• Il romanzo diventa il punto di vista del soggetto, e il soggetto sfuma nella fenomenologia<br />

esistenzialista <strong>della</strong> vita quotidiana: è il romanzo realista.<br />

• Il romanzo accetta l'individuo come suo perno, ma lo utilizza in quanto punto<br />

di fuga verso il mito (Joyce) o verso la filosofia (Musil).<br />

• Il romanzo accetta l'individuo, ma lo spoglia <strong>della</strong> verità esistenzialista e lo<br />

considera come "pedina di gioco" dell'impacciato gioco dell'oca zoppa: è la possibilità<br />

del romanzo post-moderno.<br />

Il romanzo è la rotabile che a poco a poco si disperde negli intricati deserti artificiali<br />

<strong>della</strong> modernità. È un peccato che Heidegger non abbia affrontato la struttura<br />

del romanzo così come ha affrontato la poesia.<br />

Romanzo del giorno e romanzo <strong>della</strong> notte<br />

Romanzo <strong>della</strong> modernità.<br />

Finnegans Wake vi è largamente implicato.<br />

Non sapere come uscire da un luogo, non avere ricordo di come ci si è entrati:<br />

questo è il sogno <strong>della</strong> razza. L'avere razza è proprio ciò che sveglia da un sogno in<br />

cui ci si trova intenti a muoversi in un luogo – tanto estraneo quanto familiare –<br />

non avendo idea di come ci si è entrati.<br />

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55<br />

Ulisse è il romanzo <strong>della</strong> razza straniera che va e che viene e che occupa l'Europa.<br />

Finnegans Wake è il riscatto <strong>della</strong> razza nel campo <strong>della</strong> razza. Cioè solo nel sogno.<br />

È il sogno stesso <strong>della</strong> razza che sogna se stessa in quanto farsi sogno e farsi<br />

razza del sogno. Non in quanto "soggetto che ha un sogno", ma in quanto interpretazione<br />

dei sogni del gioco. Per questo era necessario dissolvere una lingua tra<br />

tutte.<br />

Romanzo del giorno e romanzo <strong>della</strong> notte.<br />

Il romanzo del giorno è il romanzo <strong>della</strong> razza straniera che è presente in Europa.<br />

È il suo andare in una terra straniera per non ritornare mai a casa che si fa romanzo.<br />

Ma non si possiede mai casa, se l'alingua non è la casa dello scrittore.<br />

Il romanzo <strong>della</strong> notte è il romanzo del riscatto <strong>della</strong> razza. È il sogno <strong>della</strong> razza<br />

che sogna l'eterno ritorno <strong>della</strong> razza del sogno.<br />

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56<br />

Mu s i c a<br />

Bach e l'arische Männerbund<br />

Nelle Passioni di Bach Gesù è visto come il Capo di una arische Männerbund.<br />

Gli apostoli costituiscono la scorta addomesticata di un tale Capo. La musica esprime<br />

il dolore per la perdita del Capo. Un confronto con questa musica potrebbe<br />

partire dal Lamento di Deor. Nelle Passioni Bach crea una musica che cambia sempre,<br />

ma questo era appunto quello che doveva nascere nella civiltà germanica.<br />

Se Wagner fosse partito dalle Passioni di Bach? Óðinn come Gesù (cioè come<br />

divinità legata all’amore). Wagner doveva depurare la scelta di Bach: cristianesimo<br />

e latinizzazione <strong>della</strong> melodia.<br />

Notare che Wagner è passato dal cristianesimo (di Bach) alla mitologia germanica<br />

e, riconoscendo in essa un pensiero, alla filosofia di Schopenhauer e al buddhismo.<br />

Il numero dodici ricorreva spesso nell'antica civiltà germanica con una certa<br />

importanza, indipendentemente dal cristianesimo. La stessa numerazione era in<br />

base dodici. Dodici erano molte volte i componenti delle bande di guerrieri o di<br />

berserkir di cui parlano le saghe islandesi. È un peccato che manchi uno studio in<br />

proposito. Ecco alcuni esempi tratti dalla Egils saga:<br />

Dodici sono i berserkir che prendono parte alla battaglia di Hafrsfjörðr (cap. 9).<br />

Quando Skalla-Grímr, padre di Egill, fa visita a re Haraldr per dirgli che non<br />

ha intenzione di essere suo sottoposto, prende con sé undici persone, costituendo<br />

così un gruppo di dodici (cap. 25).<br />

Nel capitolo 46, durante una spedizione vichinga in Kúrland, Egill si trova separato<br />

dal fratello insieme a dodici compagni.<br />

Nel capitolo 55, Egill è accolto da Arinbjörn in inverno insieme a dodici compagni.<br />

Nel capitolo 57, quando Egill parte per uccidere Berg-Önundr, è accompagnato<br />

da undici compagni, mentre altri sei restano a sorvegliare la nave.<br />

Egils saga Skalla-Grímssonar, Íslenzk fornrit, Reykjavík 1988.<br />

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57<br />

Confini<br />

Nietzsche non amava la musica di Haydn: «contadino, forse sangue di zingaro<br />

(nero); “pagano”».<br />

Molte sinfonie di Haydn hanno una costruzione del primo tema del tipo:<br />

"motto + estensione".<br />

Sinfonia 104. Primo tempo: battute 17-24: "motto" (ripetuto nelle sette battute<br />

successive); battute 33-39: "estensione".<br />

Quello che mi ha sempre dato fastidio in Verdi è la fissità di quella sua "musica"<br />

(?). Mi ha sempre dato fastidio proprio ciò che di irritante c'è in quella cosa<br />

primitiva che del ritmo ha solo la regolarità dello schiocco ossessivo, che addormenta<br />

o innervosisce. Non ho mai avuto dubbi: "Questa è musica negroide!"<br />

Un ricordo d'infanzia: l'asino che con lo zoccolo batte sul terreno: Tòc!... Tòc!...<br />

Tòc!...<br />

Furtwängler giudicava Toscanini solo un battitore di tempo.<br />

(Italiani bastardi!)<br />

Nella musica gli Italiani sono come i Negri di Gobineau: possono scandire un<br />

ritmo con i loro tamburi di negri, ma non possono mai comporre le sinfonie<br />

dell'austriaco Haydn, del tedesco Beethoven, dell'austriaco Bruckner. E nemmeno<br />

quelle di Mozart.<br />

Nietzsche non amava la musica di Haydn: «contadino, forse sangue di zingaro<br />

(nero); “pagano”». A lui contrapponeva Mozart: «cittadino, socievole, cortigiano».<br />

La struttura "motto + estensione" può essere accostata a quella "Capo + Scorta",<br />

nucleo <strong>della</strong> funzione guerriera secondo Dumézil. Esterháza avrebbe allora la<br />

funzione di una Ultima Casa Accogliente.<br />

La sinfonia 36 di Mozart è nota per essere composta secondo lo schema delle<br />

sinfonie di Haydn. Presenta anche la struttura "motto + estensione" nel primo<br />

tempo. Battute 22-29: motto; battute 30-37: estensione. Ma come classificare le<br />

battute 20-21, al termine dell'adagio introduttivo? La struttura c'è, ma funziona in<br />

un modo diverso. Manca proprio la struttura "Capo + Scorta". Siamo in un ambiente<br />

cittadino, cortigiano. In un ambiente diverso.<br />

L'Estetica di Hegel riporta un giudizio preciso e perfido sulla musica di Rossini:<br />

"un vuoto solletico dell'orecchio". La musica italiana è tutta in questo grande raccolto<br />

di uva passa.<br />

Monteverdi: la sua musica è solo un soffio aggiunto alle parole. Ma questa musica<br />

contiene già ciò che sarà il destino futuro <strong>della</strong> musica: andare per riportare in<br />

vita ciò che è stato sottratto alla vita.<br />

Nietzsche non amava la musica di Haydn.<br />

Rüdiger Safranski riporta un giudizio di Heidegger sull'ultima sonata di Schubert:<br />

«Questo noi non possiamo farlo con la filosofia.»<br />

Ma la civiltà germanica non ha ancora mai pensato fino in fondo aldilà <strong>della</strong><br />

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58<br />

civiltà latina e se stessa come aldilà <strong>della</strong> civiltà latina.<br />

Libri in contrappunto:<br />

F. Nietzsche, Frammenti postumi 1884, Adelphi, Milano 1976 (Opere di Friedrich Nietzsche. Volume<br />

VII, tomo II), fr. 25 [419].<br />

Hegel, Estetica, 2 voll., Einaudi Editore, Torino 1997, vol. II, p. 1061.<br />

R. Safranski, Heidegger e il suo tempo, Longanesi & C., Milano 1996, p. 402.<br />

Una musica che non c'è più<br />

Certa musica moderna (Lontano di György Ligeti, Spiegel im Spiegel di Arvo<br />

Pärt, A Midsummer Night's Dream di Benjamin Britten, In tempus praesens di Sofija<br />

Gubajdulina) andrebbe analizzata dal punto di vista <strong>della</strong> persistente e suadente<br />

evocazione di una musica che non c’è più. Anche il Rake's Progress di Stravinsky si<br />

fonda su un analogo artificio. È come se questa musica richiamasse la capacità di<br />

evocare qualcosa di una musica che, nella sua completa struttura, semplicemente,<br />

ormai non c’è più. Sotto certi aspetti, l’avanguardia più radicale (Cage, ad es.) ha<br />

avuto dalla sua qualcosa di più onesto: la volontà di rompere a tutti i costi con una<br />

musica del passato.<br />

Sarebbe da precisare il ruolo svolto da Mahler nella formazione di questa particolare<br />

musica moderna. Adorno diceva che l’Adagetto <strong>della</strong> quinta sinfonia è musica<br />

inconsistente. Mahler avrebbe così aperto a questo tipo di musica inconsistente,<br />

a questo tipo di musica di puro effetto? (Pensare anche all’Adagio <strong>della</strong> quarta<br />

sinfonia. È l’aspetto “sehr ruhig” <strong>della</strong> musica di Mahler che dovrebbe far pensare.)<br />

Ma è comunque possibile vedere il doppio aspetto <strong>della</strong> musica di Mahler: musica<br />

di strada (erede <strong>della</strong> musica dei giardini di Mozart); musica di pura sensazione<br />

(proiettata, appunto, verso questi aspetti <strong>della</strong> musica di Britten, Ligeti, Pärt,<br />

ecc.).<br />

In questa musica possibile ha la sua posizione imponente Šostakovič. Notare i<br />

ritmi con le percussioni.<br />

Alcune cose devono essere chiarite:<br />

1. Qual è questa musica che non c’è più? Perché questa musica è così familiare, anche solo<br />

tramite un rapido accenno?<br />

2. Qual è il luogo dove questa musica, posto che la si possa precisare, può essere definita<br />

come “musica che non c’è più”? E, soprattutto, qual è il luogo dove questa musica era familiare,<br />

prima che diventasse “musica che non c’è più”?<br />

3. Qual è il rapporto tra lo “spettro” che si aggirava per l’Europa, la figura del Golem, e<br />

questa musica, che, con passo d'avvoltoio, viene dai vecchi Paesi Comunisti (Šostakovič, Ligeti,<br />

Pärt, Gubajdulina). Qual è il rapporto tra tutto questo e la musica germanica?<br />

È probabile che qui si richiami una differenza fondamentale: quella tra “arte elevata”<br />

e arte di consumo. Lo stato socialista ha spesso contrastato questa differenza.<br />

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59<br />

(Ma tutto questo è, probabilmente, una delle facce del postmodernismo.)<br />

Musica primitiva<br />

La musica degli Italiani è un esempio di musica primitiva. "Primitivo" definisce<br />

qui non ciò che è all'origine, ma ciò che suona sempre come degenerato. Si pensi<br />

alla musica di Vivaldi, Rossini, Verdi, Puccini: in questa musica c'è sempre un<br />

qualcosa di fastidiosamente primitivo. Lo si nota nel ritmo e nell'orchestrazione.<br />

Nell'Estetica di Hegel si riporta un giudizio molto preciso a proposito <strong>della</strong> musica<br />

di Rossini (può essere esteso a tutta la musica italiana): «un vuoto solletico<br />

dell'orecchio».<br />

La musica di Šostakovič è una musica che non risuona mai vuota. Richiama altre<br />

musiche. È una musica che suona come già ascoltata.<br />

Se si considera che ha la strana caratteristica di ricordare il cancan, si carpisce<br />

qualcosa di più <strong>della</strong> modernità: Orfeo nell'Inferno dell'arte degenerata.<br />

La musica di Šostakovič è stata considerata nella sua specificità di formarsi come<br />

musica in grado di richiamare altre musiche.<br />

In Šostakovič il cancan è sempre dietro l'angolo. Si ascolti l'Allegro <strong>della</strong> Decima<br />

sinfonia.<br />

La sua musica è la mummia <strong>della</strong> musica occidentale. La musica di Šostakovič<br />

non è solo lo spettro che si aggira per l’Europa, ma è soprattutto la mummia che<br />

ballonzola, con andatura di Golem, per l’Europa.<br />

La Settima (Leningrad), l’Ottava e la Nona costituiscono un gruppo omogeneo<br />

e una specie di Trilogia <strong>della</strong> Guerra. Sono composte nel periodo <strong>della</strong> seconda<br />

guerra mondiale. La Settima è dominata dalla marcia del primo tempo. L’Ottava,<br />

composta nel 1943, è la più drammatica, ma i due Allegretti contengono ritmi ironici<br />

e grotteschi. La Nona, composta nel 1945, dura poco meno di mezz’ora, è<br />

in cinque movimenti e allude a Rossini e Offenbach. Il primo tempo ricorda, però,<br />

Mahler. Il gruppo delinea qualcosa di strano: marcetta, dramma, celebrazione<br />

grottesca.<br />

Hegel, Estetica, 2 voll., Einaudi Editore, Torino 1997, vol. II, p. 1061.<br />

Fay, Laurel E. (ed.) Shostakovich and his World, Princeton University Press, Princeton, New Jersey<br />

2004<br />

Per essere precisi, con musica primitiva si intende una musica assolutamente in grado di fare a<br />

meno del pensiero.<br />

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60<br />

Un'arte nichilista<br />

La musica è un'arte nichilista. In nessuna altra arte si può esprimere un impulso<br />

nichilista così efficace e convincente come nella musica. (Ricordare quello che diceva<br />

Mishima.)<br />

Qualcosa lega l'"Allelujah" del Messiah al rondò <strong>della</strong> nona sinfonia di Mahler.<br />

Bachtin: la musica gira intorno alle parole, ma più le affronta, più la musica le<br />

fa esplodere. Bachtin vedeva nella polifonia letteraria la possibilità di inglobare più<br />

parole in una sola parola di personaggio; ma la musica dissolve la parola. In ogni<br />

occasione, anche attraverso la polifonia.<br />

Il concetto di "Dio" è l'ultima arte possibile in grado di comportare un'opera<br />

d'arte offerta allo sguardo di uno spettatore.<br />

Se la musica è nichilismo organizzato, un compositore può trasferire il potenziale<br />

nichilista <strong>della</strong> musica in una persona. Secondo il necrologio scritto da Donald<br />

Mitchell per la morte <strong>della</strong> figlia di Mahler Anna, ella aveva molto <strong>della</strong> musica<br />

del padre, quasi fosse una creazione <strong>della</strong> musica di lui. Il compositore avrebbe<br />

allora la capacità di trasferire la caratteristica <strong>della</strong> propria musica in campi completamente<br />

diversi? Ma qui c'è un'altra ambiguità: una creazione di Mahler o una<br />

creazione <strong>della</strong> musica di Mahler? È come la penombra di una discendenza gnostica.<br />

La parola è suono, ma il suono dissolve la parola.<br />

La poesia è musica in agguato.<br />

La musica è pura struttura. Poesia e letteratura possono avvicinarsi alla musica.<br />

La musica è un gioco nichilista proprio nel suo poter fare a meno delle parole<br />

senza poter fare a meno di un pensiero che richiama la parola per la sua completa<br />

espressione. Quello che viene scatenato è la traiettoria di un sistema complesso di<br />

pensiero. Ripensare a quello che diceva Mishima: la musica come bestia feroce in<br />

gabbia.<br />

La musica gira sempre attorno alle parole: ma più le affronta, più le fa esplodere.<br />

La letteratura si avvicina alla musica solo come cattiva letteratura: Umberto Eco<br />

come patetico caso di stravinskismo letterario.<br />

Solo la vera poesia è invece musica in agguato.<br />

Ma la musica è poi quella cosa che noi siamo abituati a conoscere come musica?<br />

C'è un giudizio di Heidegger sull'ultima sonata di Schubert molto particolare:<br />

«Questo noi non possiamo farlo con la filosofia.»: è come se la musica aprisse nuovi<br />

campi al pensiero, in un mondo che il pensiero non può fare. Certa musica di<br />

Schubert colpisce per il suo tono divinamente compatto (il primo tempo <strong>della</strong> nona<br />

sinfonia, l'ultima sonata per pianoforte). Si avrebbe allora nella musica la coesistenza<br />

del pensiero e del suo annullamento. Un pensiero che procede per strappi.<br />

E la musica di Schubert sarebbe prima di tutto pensiero geniale. Il naturale impulso<br />

nichilista <strong>della</strong> musica può avvicinarsi alla genialità. Un pensiero geniale potrebbe<br />

attualmente essere un pensiero autenticamente in grado di strappare da sé il<br />

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principio del terzo escluso.<br />

61<br />

Il necrologio di Donald Mitchell compare in A. Joseph, A. Mahler, M. Mahler & D. Mitchell,<br />

Mahler’s Smile: A Memoir of his Daughter Anna Mahler (1904-1988), in D. Mitchell & A. Nicholson<br />

[Edited by], The Mahler Companion, Oxford University Press, Oxford 2002, pp. 593-6.<br />

Nello stesso volume c'è anche il giudizio sul rondò <strong>della</strong> nona sinfonia sopra ricordato: S.E.<br />

Hefling, The Ninth Symphony, in D. Mitchell & A. Nicholson [Edited by], op. cit., pp. 483-4:<br />

«But Mahler's compositional tour de force of negativity is the Rondo-Burleske. Originally dedicated<br />

"To my brothers in Apollo", it is the most syntactically untraditional, contrapuntally complex,<br />

and riotously sardonic movement in all Mahler's oeuvre – as La Grange comments, Mahler<br />

never ventured further into nihilism than here.»<br />

Il giudizio di Heidegger sulla sonata di Schubert è riportato in R. Safranski, Heidegger e il suo<br />

tempo, Longanesi & C., Milano 1996, p. 402.<br />

Le riflessioni di Mishima sono tratte da E. Ciccarella, L'angelo ferito. Vita e morte di Mishima,<br />

Liguori Editore, Napoli 2007, p. 105: «In realtà la distanza che lo scrittore prendeva dall'universo<br />

musicale era il frutto di un profondo terrore inconscio, che poi diventerà invece molto cosciente<br />

quando confesserà: "Provo un terrore inusuale per questa cosa informe chiamata suono"; o quando<br />

paragonerà la musica ad una bestia feroce imprigionata in una gabbia, un gabbia inaffidabile che<br />

poteva cedere da un momento all'altro.»<br />

Per quanto riguarda lo "stravinskismo", vedere G. Gould, L'ala del turbine intelligente, Adelphi,<br />

Milano 2007, pp. 303-6.<br />

Can-can golemico<br />

In Šostakovic il can-can è sempre dietro l'angolo. Lo dimostra, fra l'altro, l'Allegro<br />

<strong>della</strong> Decima sinfonia. È una musica che ha del pagliaccio. Il Golem che avanza<br />

a passo di can-can.<br />

Solo musica d'effetto, niente sostanza. Ricordare quello che diceva Adorno<br />

sull'Adagetto di Mahler.<br />

Musica sfiatata. Ma certamente Šostakovic, con la sua musica, continua qualcosa<br />

che è già nella musica di Cajkovskij. Si pensi, ad es. alla quinta sinfonia.<br />

Un passo indietro<br />

«It seems likely that Pfitzner was acquainted with Richard Wagner's remarks to<br />

the Paris public concerning Der Freischütz (1841) in which Wagner claims that the<br />

poem of Freischütz seem to have been written by the Bohemian forests themselves.<br />

The specific German character of the tale, Wagner says, lies precisely in its depic-<br />

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62<br />

tion of Nature. In these passages, both Pfitzner and Wagner are placing Freischütz<br />

within a long cultural tradition that locates the national essence of Germany in its<br />

forests. Like so many other aspects of German cultural identity, this tradition was<br />

oppositional in its structure, pitting the German forests against the Mediterranean<br />

city, the greenery of the north against the masonry of the south.» (S.C. Meyer,<br />

Carl Maria von Weber and the Search for a German Opera, Indiana University Press,<br />

Indiana, Bloomington 2003, p. 105).<br />

La foresta nel Freischütz è la rappresentazione del tratto fondamentale di una<br />

nazione e di ciò che la contrappone ad altre nazioni e civiltà. Per questa caratteristica<br />

il Freischütz è un caso unico. La focalizzazione sui personaggi nell'Euryanthe è<br />

invece un passo indietro, per un motivo ben preciso: nel Freischütz tutta la vicenda<br />

si svolgeva ai margini <strong>della</strong> foresta e al mondo dei cacciatori; nell'Euryanthe tutto si<br />

svolge nel mondo raffinato <strong>della</strong> corte medioevale.<br />

Wagner rappresenterà un altro passo indietro, poiché tornerà al teatro tradizionale,<br />

soprattutto con l'opera che doveva regolare i conti col teatro francese e italiano:<br />

I maestri cantori. In Wagner lo scontro foresta città sarà del tutto assente, così<br />

come la messa in discussione <strong>della</strong> fonte non germanica del teatro.<br />

In Wagner la questione non sarà mai tra luoghi, ma all'interno del teatro. Tutto<br />

si svolgerà dentro il meccanismo teatrale. La Tetralogia è senz'altro l'opera wagneriana<br />

più vicina alla mitologia germanica. Ma anch'essa è tallonata dallo spirito<br />

teatrale. L'oro del Reno e il Siegfried sono le opere che più si spingono oltre il teatro.<br />

La musica sembra un'onda continua e ha una compattezza unica. Siegfried,<br />

inoltre, riprende felicemente momenti dell'antica poesia germanica, come la gara<br />

di indovinelli. La valchiria e Il crepuscolo ricadono invece nella spirale del teatro.<br />

Cioè del teatro peggiore. Il teatro è qualcosa che viene dalla Grecia, che nulla ha a<br />

che fare con la mitologia. Wagner stesso intendeva collegarsi alla tragedia greca.<br />

Nel teatro c'è sempre qualcosa che puzza di latino, di italiano. Vale a dire: puzza<br />

di meticcio. In pratica, tutta la questione <strong>della</strong> Nascita <strong>della</strong> tragedia andrebbe riveduta.<br />

Suonare il vuoto<br />

Tutta la settima sinfonia di Mahler tende al rondò finale come movimento in<br />

grado di completarla perfettamente. Prima di Mahler, solo Haydn riusciva a scrivere<br />

sinfonie perfettamente concluse da un rondò.<br />

C'è però un vuoto. Che tipo di vuoto? Tutti i movimenti sembrano abbozzare<br />

un tema che, di volta in volta, non viene mai esplicitamente fatto suonare.<br />

Il movimento meno coinvolto in questa costruzione è il primo, che si basa su<br />

un tema di marcia. Il movimento dove più questa soluzione viene fatta suonare è il<br />

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63<br />

rondò finale. Infatti la sinfonia ha la sua logica e perfetta conclusione nel rondò<br />

finale.<br />

Nella musica possono identificarsi diversi tipi di vuoto. Quello più pacchiano è<br />

rivelato nella Estetica di Hegel, nella forma di un giudizio sulla musica di Rossini.<br />

Questo giudizio suona: "puro solletico per l'orecchio". È il tradimento <strong>della</strong> musica.<br />

L'uso indebito del dono musicale fatto agli uomini. La settima sinfonia di Mahler<br />

fa suonare il vuoto in un altro modo. Come impossibilità di determinare un<br />

tema con precisione. La sinfonia rimanda allora alla definizione di "tema" musicale<br />

e a ciò che c'era, nella musica, prima che, nella musica, ci fosse il vuoto. Questo<br />

tipo di vuoto. Ma che tipo di vuoto è questo vuoto?<br />

La settima sinfonia di Mahler procede verso il riconoscimento del vuoto tra i<br />

vari componenti musicali che dovrebbero far suonare un tema nella sua integrità.<br />

Questa situazione di base è già stata riconosciuta.<br />

Peter Revers ha notato che lo Scherzo si costruisce sulla dissociazione delle<br />

strutture tematiche e motiviche: c’è come il tentativo, da parte di alcune cellule<br />

ritmiche, di creare un tema, che però fallisce. Questo, secondo Revers, è un tratto<br />

comune delle ultime sinfonie di Mahler. Adorno vi riconosce un collasso delle<br />

strutture musicali. Più lontano nel tempo, continua Adorno, questa dissoluzione<br />

del tema può essere intravista già in Beethoven (dissociazione tra schema ritmico e<br />

tema vero e proprio, ad es. nella settima sinfonia). In Mahler questa dissociazione<br />

prende l’aspetto di una marcia senza interruzione (nel primo movimento), mentre<br />

nel rondò si manifesta in un modo meno definibile. Qui, infatti, ci sono diversi<br />

elementi che sembrano appartenere allo stesso insieme, ma questo insieme non costituisce<br />

mai un modulo musicale unico riconoscibile come tema, e tutta la musica<br />

suona così un vuoto tra quelle parti che proprio dovrebbero comporre l'insieme.<br />

Alcune considerazioni:<br />

Il tema non è più ciò che esprime la musica, ma ciò che la musica mette in scena:<br />

da soggetto del fare musicale, il tema diventa oggetto di questo fare.<br />

La settima sinfonia di Mahler ha anche questo di particolare: rimpiange il tema.<br />

Il quinto concerto di Beethoven evita il tema.<br />

Partire dal concetto di musica tematica. La musica atematica è solo la musica<br />

prima di quella tematica. Alla fine <strong>della</strong> musica tematica c'è il rimpianto per il tema:<br />

il vuoto che si intravede.<br />

Rimane un fatto: la differenza tra la musica vuota di Rossini e il vuoto suonato<br />

nella settima sinfonia di Mahler.<br />

Gli Italiani sono Ebrei senza intelligenza.<br />

Considerare le sinfonie di Mendelssohn. Un altro tipo di vuoto. Bozzetti effervescenti.<br />

Il rondò <strong>della</strong> settima di Mahler allude a una musica che non c'è più. Tutti gli<br />

abbozzi iniziali di temi sembrano alludere a temi nel momento in cui il tema non<br />

c'è più.<br />

È possibile un modo di scrivere (ad es. un romanzo) che usi la stessa tecnica<br />

<strong>della</strong> "musica che non c'è più", almeno come compare nel rondò <strong>della</strong> settima di<br />

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Mahler.<br />

64<br />

Peter Revers, The Seventh Symphony, in Donald Mitchell & Andrew Nicholson [Edited by], The<br />

Mahler Companion, Oxford University Press, Oxford 2002, pp. 376-399.<br />

Musica olistica<br />

È un errore contrapporre la musica popolare, in quanto musica creata da una<br />

collettività, da un popolo, alla musica d'autore, cioè alla musica creata da un solo<br />

individuo. La musica è sempre creata da una sola persona. Una musica creata da<br />

più persone è invece da collegarsi a una musica creata secondo schemi industriali,<br />

cioè creata "a tavolino", da più persone raccolte intorno a un progetto.<br />

A creare la musica è sempre un individuo, ma ciò che cambia è la posizione<br />

dell'individuo all'interno <strong>della</strong> società, che di volta in volta lo esprime con la particolarità,<br />

sempre in movimento, dell'individuo. Nella musica popolare l'individuo è<br />

parte integrante del popolo; nella musica non popolare l'individuo crea secondo il<br />

proprio capriccio, o secondo gli intenti di un'industria; nel migliore dei casi secondo<br />

lo Zeitgeist. La sua musica è così una musica che nessuna società può riconoscere<br />

come propria. È una musica che viene da fuori, come una moneta straniera<br />

– che ha valore, ma in tutta un'altra parte del mondo. Viceversa, nella musica<br />

popolare, l'individuo, che è parte integrante del popolo al quale appartiene, crea<br />

una musica che ricade in quel popolo come una freccia scagliata in alto e destinata<br />

a cadere in un raggio preciso, e nella quale il popolo si riconosce per sempre.<br />

Non esiste un'epoca <strong>della</strong> musica popolare; né, tantomeno, una fine di essa.<br />

Chiunque può creare musica popolare. È la posizione dell'individuo all'interno di<br />

una società a rendere possibile la comparsa di una musica popolare. E questa posizione,<br />

a quanto sembra, non è data una volta per tutte in modo definitivo. Nel caso<br />

<strong>della</strong> musica popolare il compositore è parte del popolo; nel caso <strong>della</strong> musica<br />

non popolare il compositore si separa dal popolo. È per questo che, nel caso <strong>della</strong><br />

musica popolare, sembra che a comporre la musica sia stata una totalità. Invece,<br />

nella musica popolare individuo e popolo sono un tutt'uno e il compositore è testimone<br />

di questa compresenza. Nel caso <strong>della</strong> musica non popolare il compositore<br />

si pone come un soggetto di fronte a un oggetto e suona (nella migliore delle ipotesi,<br />

cioè nel'ipotesi si mancanza di una industria culturale) questa separazione.<br />

La musica popolare è un salto nella maschera che è comunque sempre possibile<br />

per l'individuo. È in questo il mistero <strong>della</strong> musica popolare, sempre morta e sempre<br />

viva. Quindi anche la musica popolare è una possibilità che continuamente si<br />

apre.<br />

Abbiamo allora il caso di una musica olistica e di una musica esercitata attraver-<br />

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65<br />

so diversi livelli di individualismo. La musica olistica è la reale creazione di un genio<br />

individuale; la musica individualistica è la reale creazione di una collettività<br />

grigiamente anonima.<br />

Sullo sfondo c'è sempre il soggetto, che si configura come una fase in un ciclo,<br />

che ne ammette la comparsa così come la sparizione.<br />

Nell'epoca <strong>della</strong> modernità, niente è più fragile <strong>della</strong> modernità.<br />

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66<br />

An t ropologia<br />

La festa<br />

Antropologi e persone comuni sono d'accordo sul fatto che le feste stiano perdendo<br />

importanza nelle società moderne. Siamo persone così tristi da avere reso<br />

tristi tutte le feste? Le feste hanno sempre più qualcosa di forzato, che non trascina<br />

più la gente. Ma perché? Le cose che si sparpagliano nel tempo hanno spesso inizio<br />

da un qualcosa di infinitamente semplice. Talmente semplice che non viene più<br />

riconosciuto come punto d'origine. Questo ci porta a cercare di rintracciare un tipo<br />

semplicissimo di festa d'origine. Qual è il tipo di festa all'origine di tutte le altre<br />

feste? Dove riconoscere la festa dietro la quale vengono tutte le altre feste? E se<br />

tutto fosse partito da una prima festa, a un certo punto non più avvertita come festa<br />

dalla comunità e quindi rinnegata come festa dalla comunità? Se tutto questo<br />

avesse poi travolto tutte le altre feste? Se anche noi ci ostinassimo a non riconoscere<br />

più questa festa d'origine come festa degna di essere celebrata con la partecipazione<br />

gioiosa <strong>della</strong> comunità? Rimane la questione di stabilire quale possa essere<br />

stata questa festa d'origine. Una festa d'origine è una festa che, non solo celebra,<br />

ma crea anche quell'avvenimento che le feste posteriori tenderanno a mantenere<br />

vivo in un clima di grande gioia.<br />

Ormai noi crediamo solo nella società multirazziale e cerchiamo quindi di pensare<br />

solo feste adatte a questo tipo di società, cioè adatte alla società multirazziale.<br />

Dal punto di vista antropologico, le feste servono a mantenere la coesione di un<br />

gruppo. Ma la coesione di un gruppo è mantenuta non solo dalla coesione del<br />

gruppo, ma anche dalla espulsione di ciò che non appartiene al gruppo, ma che<br />

tuttavia era riuscito a entrare nel gruppo. Ed è appunto in questo momento che si<br />

crea la festa. La coesione del gruppo è un momento che chiama la festa in prospettiva,<br />

ma che, di per sé, non è di festa. Dove rintracciare la festa originaria? Se noi<br />

fossimo creature talmente tristi da...<br />

Che cosa è che nelle nostre società non riusciamo più a vedere come occasione<br />

di festa? Se la festa più antica fosse proprio ciò che noi oggi non riconosciamo più<br />

come possibile occasione di festa? e quindi come una cosa che tutto è, fuorché festa?<br />

Nietzsche e de Maistre hanno scritto pagine straordinarie sulla esecuzione del<br />

criminale e sul boia come arma di Dio e sua manifestazione in terra. Se la festa più<br />

antica consistesse proprio nella esecuzione capitale del delinquente, del nemico <strong>della</strong><br />

comunità? e se noi, nelle nostre società moderne, fossimo ora diventati persone<br />

talmente tristi da rendere cosa triste persino la condanna a morte del delinquente?<br />

È un fatto che noi non proviamo più gioia di fronte alla esecuzione capitale di un<br />

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67<br />

delinquente. Ed è un fatto desolante. Le grandiose pagine iniziali <strong>della</strong> Genealogia<br />

<strong>della</strong> morale, con il popolo in festa che assiste alla esecuzione pubblica del delinquente,<br />

e di de Maistre, che esalta la figura del boia come la più grande e terribile<br />

arma di Dio presente in terra, sono lontane mille fiumi d'inchiostro da noi e noi<br />

non possiamo più capire l'esaltazione che ha portato a scrivere quelle folgoranti<br />

pagine di sangue e d'inchiostro. La condanna a morte è una cosa di cui noi ci vergogniamo,<br />

di cui parliamo sottovoce e che, anche negli spazi là dove essa ancora<br />

vige, teniamo accuratamente nascosta agli sguardi. Non c'è dubbio: ecco la nostra<br />

festa mancata; ecco la nostra inconsapevole decisione di essere tristi in un mondo<br />

al quale, tristemente, ci riconosciamo di appartenere e rinunciamo tristemente una<br />

volta di più nel nome dell'accoglienza. Noi non possiamo più creare vere feste per<br />

espellere, perché dobbiamo invece creare tante nuove false feste per accogliere ma,<br />

appunto queste feste fatte per accogliere sono feste che non funzionano e che rendono<br />

triste il popolo che si assoggetta a crearle e che si determina poi come il popolo<br />

che non ha più feste.<br />

Anche i dibattiti sulla pena di morte hanno qualcosa di questa triste e sconcertante<br />

timidezza. I fautori ne parlano come di un deterrente, principio ampiamente<br />

smentito dalle statistiche dei paesi dove la pena di morte è in vigore. Nessuno ha<br />

mai pensato a movimentare questo vecchio dibattito chiamando in causa il principio<br />

più paradossale e più festosamente antico: la pena di morte è fonte di gioia, è<br />

la festa più autentica di tutto un popolo perché festa d'origine, è occasione per rinsaldare<br />

i vincoli di una comunità che un nemico – riconosciuto, fermato e condannato<br />

– aveva cercato di spezzare e mettere in pericolo. Basta un niente, fare a<br />

pezzi un criminale straniero, e la magia <strong>della</strong> festa torna a cantare in un popolo.<br />

* *<br />

Ma non finisce qui. Giacché si parla di festa e si è cercato di riconoscere una<br />

prima lontana idea possibile di festa, si potrebbe andare oltre e, in base a quanto<br />

ipotizzato, pensare ad una pena di morte selettivamente applicata ai vari criminali<br />

in base alla razza d'appartenenza. Pensare ad una pena di morte selettivamente destinata,<br />

in forma di presunzione di colpevolezza, a quei tristi popoli la cui triste<br />

storia li inchioda come tristemente ed eternamente propensi al crimine, a un crimine<br />

di volta in volta classificabile come efferato, spensierato, abitudinario, ideologico,<br />

economicamente inevitabile: Negri, Arabi, Indios, Zingari, Italiani. Fare i<br />

nomi di questi popoli è cosa triste; immaginarne la futura soppressione è una gioia.<br />

Libri di festa:<br />

F. Nietzsche, Genealogia <strong>della</strong> morale, in Opere complete di Friedrich Nietzsche, vol. VI, tomo II,<br />

Adelphi, Milano 1976.<br />

J. de Maistre, Le <strong>sera</strong>te di Pietroburgo, Rusconi, Milano 1986.<br />

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68<br />

Europa, ovvero il politeismo<br />

Il vero ateo bestemmia. Il vero ateo vuole incontrare il dio che bestemmia e che<br />

ha sempre bestemmiato per sfidarlo ad un combattimento finale. Il vero ateo sa<br />

che il dio che bestemmia è soltanto un dio straniero nella terra in cui egli (il bestemmiatore)<br />

ha la sua propria giusta origine. Il vero ateo sa che la sua terra era la<br />

terra di molti dèi, prima che essa diventasse la terra di un unico dio. Il vero ateo sa<br />

che bestemmia un dio straniero che ha occupato la sua terra. Con le sue bestemmie<br />

il vero bestemmiatore è un signore delle parole. Il vero ateo non disprezza gli<br />

dèi, disprezza solo la pretesa del concetto di "dio unico". Egli disprezza il dio del<br />

monoteismo. Per questo disprezzo egli si è fatto ateo e bestemmiatore; ed è pronto<br />

a versare il suo sangue, se la causa dell'ateismo lo dovesse richiedere. Per questo egli<br />

ha fede nella bestemmia. Sa di insultare un dio che esiste, perché lo vede spadroneggiare<br />

nella terra che era la terra degli dèi <strong>della</strong> sua razza e perché crede nell'esistenza<br />

di molti dèi. Il vero ateo non è colui che nega l'esistenza degli dèi. Il vero<br />

ateo sa che il dio semita, il dio degli Ebrei e il dio degli Arabi, deve essere scacciato<br />

dall'Europa, perché l'Europa non è la terra del monoteismo semita, ma la terra del<br />

politeismo <strong>della</strong> razza bianca. Egli sa che l'Europa ritroverà la sua autentica natura<br />

solo quando avrà scacciato da sé il principio semita di dio: il dio semita, il dio degli<br />

Ebrei e il dio degli Arabi. Con le sue bestemmie egli lo chiama al combattimento<br />

finale. Sfidare il dio straniero che si vuole scacciare dalla propria terra è un<br />

comportamento che si ritrova tramandato in antichi testi germanici. Il dio straniero<br />

che si voleva scacciare era appunto il dio semita. Brennu-Njáls saga: «"Hefir þú<br />

heyrt þat", sagði hon, "er Þórr bauð Kristi á hólm, ok treystisk hann eigi at beriask<br />

við Þór?"» [Hai sentito, ella disse, che Þórr ha chiamato Cristo a combattere contro<br />

di lui e che Cristo non ebbe il coraggio di andare a combattere?] L'Europa è<br />

l'unica terra dove la bestemmia è diffusa. Il vero ateo sa che le sue bestemmie non<br />

faranno scomparire il dio semita dalla sua terra, perché esse sono solo polvere di<br />

una penombra in una notte senza dèi. Il vero ateo sa che l'epoca del perfetto ateismo<br />

sarà l'epoca che poeticamente preparerà il ritorno degli dèi. L'ateismo è un<br />

fenomeno limitato al monoteismo. È il fenomeno più ambiguo del monoteismo.<br />

Solo in Europa può nascere la bestemmia, perché solo l'Europa ha il compito di<br />

scacciare da sé il dio semita. Per questo l'Europa è l'origine, la spiegazione e il perfetto<br />

compimento <strong>della</strong> bestemmia.<br />

Libro per caso chiamato (altri avrebbero potuto essere chiamati):<br />

Brennu-Njáls saga, Íslenzk fornrit, Reykjavík 1971, p. 265.<br />

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69<br />

Europa, ovvero la terra minacciata<br />

Si parla tanto di una Europa minacciata dall'islamismo. Una minaccia si aggira<br />

per l'Europa. Non è la prima volta che succede. Era già capitato con il comunismo.<br />

L'islamismo è il perfezionamento del cristianesimo. Così come il comunismo è<br />

il perfezionamento del cristianesimo.<br />

Guardando la cosa dal punto di vista <strong>della</strong> storia delle religioni, la minaccia per<br />

l'Europa è rappresentata dal monoteismo.<br />

Parlo di una minaccia stanziale, solidamente radicata sul territorio, tesa a rivendicare<br />

una tradizione, non di una minaccia nomade.<br />

L'ho già detto altre volte: l'Europa deve scacciare da sé il dio degli Ebrei e il dio<br />

degli Arabi. Deve scrollarsi di dosso il monoteismo semita e ritrovare le proprie origini<br />

politeistiche, cioè ritrovare il vero politeismo <strong>della</strong> razza bianca celto germanica.<br />

Solo allora, dopo il sogno di questo passaggio, l'Europa potrà veramente fare i<br />

conti con l'altra minaccia semita: il comunismo.<br />

L'Europa deve solo fare i conti con la razza semita.<br />

Da dove arriveranno i nuovi boia?<br />

R.J. Lifton (I medici nazisti, Rizzoli 1988), libro che deve essere sempre pensato<br />

con attenzione, collegava la possibilità che avrebbe una società di procurarsi i boia<br />

alla struttura dei medici. Il testo riconosceva tale possibilità operante soprattutto<br />

nei campi di concentramento nazisti e durante il genocidio degli Armeni ad opera<br />

dei Turchi.<br />

Ma è possibile una nuova origine. I nuovi boia andrebbero trovati nelle varie fasce<br />

di una società che autenticamente abbia lasciato dietro di sé il cristianesimo.<br />

La pallottola caricata a salve e la falsa iniezione letale mostrano quanto sia ancora<br />

lontana una società in grado di creare da sé i nuovi boia, e quanto sia ancora radicato<br />

il virus del cristianesimo.<br />

Manca una sana educazione all'arte sana del boia. Il boia è colui che agisce in<br />

nome di Dio. È Dio che chiede la soppressione di alcune razze. Razze che Dio ha<br />

posto nella creazione solo perché una società riconoscesse poi il dovere di sopprimerle<br />

– e quindi chiamasse in sé i nuovi boia.<br />

Per come la vedo io, disprezzare un Indio, uno Zingaro, un Italiano non è fare<br />

torto a un essere umano, ma è rispettare Dio. Dio (questo grande burlone, grande<br />

artista e grande aristocratico) ha creato le razze degenerate non per un errore, ma<br />

perché gli uomini giungano alla conoscenza; dimostrando così di essere pronti per<br />

l'epoca del grande disprezzo. Epoca che porterà gli uomini all'arte fra tutte più vi-<br />

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70<br />

cina a quella divina: la consapevole soppressione di una parte <strong>della</strong> creazione divina<br />

e infine dello stesso concetto di "Dio". Ma arte consapevole e gioiosa. Epoca<br />

nella quale gli uomini potranno manifestare, con tali azioni, frutto <strong>della</strong> conoscenza,<br />

la giusta ammirazione per la creazione divina.<br />

Un leggero imbarazzo<br />

In Sintesi di dottrina <strong>della</strong> razza (Hoepli, Milano 1941) Evola intende contrapporsi<br />

alla teoria nazista <strong>della</strong> razza, colpevole, secondo lui, di privilegiare il dato<br />

biologico a scapito di quello intellettuale. La razza dovrebbe così essere studiata da<br />

tre punti di vista:<br />

del corpo (campo di studi dell'antropologia);<br />

dell'anima (campo di studi <strong>della</strong> fisiognomica);<br />

dello spirito (campo di studi <strong>della</strong> scienza <strong>della</strong> Tradizione).<br />

«Una perfetta trasparenza <strong>della</strong> razza come corpo, anima e spirito costituirebbe<br />

la razza pura».<br />

Miguel Serrano risponde indirettamente a questa teoria in Adolf Hitler: l'ultimo<br />

Avatara: «Anche se si potrebbe accettare come un comodo elemento di esposizione<br />

la teoria delle razze dell'anima e dello spirito, di Evola e Clauss, alla fine non si<br />

rende necessaria, complicando unicamente le cose, servendo per parlare di razzismo<br />

tra genti troppo mescolate e popoli meticci, senza arrivare a ferire i loro sentimenti,<br />

giacché un mulatto, o un indio, tra noi potrà sempre pensare che sebbene<br />

il suo corpo sia di colore, la sua anima potrebbe non esserlo. Nasce il sospetto che<br />

tutto fosse stato inventato da Evola per parlare di razza agli italiani del sud ed allo<br />

stesso Mussolini.»<br />

Questi testi sembrano ruotare intorno a una questione che non viene mai affrontata<br />

esplicitamente. Sono scritti come per "mettere le mani avanti". Eppure<br />

ruotano intorno a una questione, e meno si ha a che fare con pregiudizi soliti, più<br />

si comincia a percepirne appena il sussurrio: "Sono di razza bianca? Sono veramente<br />

di razza bianca... gli Italiani?"<br />

J. Evola, Sintesi di teoria <strong>della</strong> razza, Edizioni di Ar, Padova 1978, p. 49.<br />

M. Serrano, Adolf Hitler, l'ultimo Avatara, Edizioni Settimo Sigillo, 2 voll., Roma 2010, I vol., p.<br />

120.<br />

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71<br />

Il nuovo Arminio che verrà<br />

La differenza tra Nord e Sud d'Europa non richiama una differenza tra popoli<br />

ricchi e popoli poveri (come vorrebbe la visione del mondo italo-semita), ma una<br />

differenza tra razza bianca e meticciato.<br />

<strong>Terra</strong>ferma<br />

Gli Italiani sono un popolo di bastardi. Il meticciato di quella razza non-razza è<br />

impresso nella lingua in un modo che viene sempre raggiunto da una piena luce<br />

abbagliante. Tutte le parole di quella lingua bastarda suonano l'essere meticcio del<br />

meticcio italiano. E tutte le brutte parole di quella lingua non-lingua di quella razza<br />

non-razza, come in un ritornello punk, suonano e crocchiano: "Meticcio d'Italia,<br />

niente futuro! Niente futuro in Europa per te!"<br />

Una nazione di questo tipo è una nazione di predoni di ogni tipo. Una nazione<br />

di questo tipo è anche una nazione di predoni di parole.<br />

La parola "terraferma" può funzionare da esempio.<br />

La parola italiana "terraferma" suggerisce un tipo di terra che si oppone a un'altra,<br />

la cui caratteristica principale è quella di non essere ferma.<br />

Nel folklore celto-germanico le isole sono spesso indicate come terre inizialmente<br />

"non ferme", e che solo un atto magico di saldatura alla terra ha potuto,<br />

successivamente, rendere ferme in modo definitivo. A volte la lingua nomina il<br />

continente come "terra principale" (inglese mainland, islandese meginland); altre<br />

volte lo nomina come "terraferma" (norvegese e svedese fastlandet). Ma in entrambi<br />

i casi, è sempre fondamentale la presenza di un insieme di credenze tradizionali,<br />

da cui si proietta il carattere non fermo attribuito inizialmente all'isola, e giustifica<br />

la presenza di quella parola nell'insieme delle parole <strong>della</strong> nazione, che è allora il<br />

tesoro del popolo che abita quella terra.<br />

La lingua italiana usa la parola "terraferma" senza quell'insieme di tradizioni<br />

che ne giustificherebbero la presenza. L'insieme di tradizioni in essa non presenti,<br />

spinge però a ricercare, là dove queste tradizioni sono presenti, la ragione di ciò<br />

che, lì, non si riesce a comprendere. A dispetto dei predoni, nelle parole ci sono<br />

sempre mille folletti che allacciano trappole pronte a scattare.<br />

Vale la pena fare almeno due considerazioni:<br />

1) L'Italia utilizza una parola che rimanda a tradizioni che non le appartengono.<br />

2) Inconsciamente, l'Italia non si ritiene parte dell'Europa, riconoscendosi invece<br />

come terra fluttuante, cioè come isola in opposizione all'Europa. Infatti l'Italia<br />

non può riconoscersi come isola, ma può (inconsciamente) segnalare l'anomalia<br />

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72<br />

<strong>della</strong> propria posizione in Europa accogliendo nel suo maledetto vocabolario la parola<br />

che rimanda alle tradizioni alla quale essa non appartiene: le tradizioni popolari<br />

autenticamente europee e indoeuropee.<br />

Così l'Italia, come "isola che non è", attraverso una delle sue parole rubate,<br />

sembra non potere fare a meno che attendere il colpo che la separerà per sempre<br />

dall'Europa. Europa alla quale, per comunità di tradizioni, l'Italia non appartiene,<br />

non ha mai appartenuto e mai apparterrà.<br />

L'intavolatura di Martin Lutero<br />

I Discorsi a tavola di Martin Lutero costituiscono un testo che ruota attorno a<br />

un qualcosa che, proprio i Tedeschi, hanno capito appena; hanno capito solo a<br />

metà.<br />

In Italia si può vedere la traduzione (parziale) di Leandro Perini (Giulio Einaudi<br />

Editore, Torino 1969).<br />

Questo qualcosa può riassumersi in una frase del tipo: "L'Europa ha due grandi<br />

nemici: gli Ebrei e gli Italiani!".<br />

Ma quello che è importante, in questo testo, è che Lutero, per la prima volta,<br />

ha compreso perfettamente la relazione che esiste tra Ebrei e Italiani.<br />

Preghiamo Dio affinché ci liberi dai falsi Tedeschi!<br />

Preghiamo Dio affinché ci liberi da Ebrei e Italiani!<br />

Preghiamo Dio affinché ci liberi dal Dio semita!<br />

Chi è?<br />

È il tipico Italiano: antipatico, arrogante, presuntuoso, irascibile, losco. E soprattutto<br />

ha il tratto fisico tipico degli Italiani: il naso da Ebreo nel ceffo da zingaro.<br />

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73<br />

Es t e t ica<br />

Arte dell'avvenire<br />

Qualunque previsione circa un'arte dell'avvenire, e anche circa una estetica<br />

dell'avvenire, non può che partire da queste due constatazioni di Heidegger:<br />

L'eterno ritorno è un pensiero non antropomorfico e disantropomorfizzante<br />

per l’ente, che non si lascia spiegare in teoria né applicare in pratica. «Questo pensiero<br />

non si lascia né pensare “teoricamente” né applicare “praticamente”» (M.<br />

Heidegger, Nietzsche, Adelphi, Milano 1995, p. 319).<br />

«Ciò che resta essenziale nella figura di Zarathustra è che il maestro insegna<br />

qualcosa di duplice, che però è intimamente connesso: eterno ritorno e superuomo.<br />

Zarathustra costituisce egli stesso, in un certo modo, questa intima connessione.<br />

In questa prospettiva resta anche lui un enigma, che non è ancora diventato<br />

per noi visione chiara.» (M. Heidegger, Chi è lo Zarathustra di Nietzsche?, in Saggi e<br />

discorsi, Mursia, Milano 1993, p. 81.)<br />

La prima constatazione riguarda le possibili teorie estetiche dell'avvenire. La seconda<br />

constatazione riguarda le possibili costruzioni di un personaggio nelle teorie<br />

estetiche dell'avvenire.<br />

Disastrosamente trascinato<br />

Leggere tutti i libri del mondo e scriverne uno che li contenga tutti è ormai<br />

l'impegno verso cui lo scrittore che rifiuta il postmoderno non può che non sentirsi<br />

disastrosamente trascinato.<br />

Un testo del genere – se mai fosse possibile – non dovrebbe avere né inizio né<br />

fine, perché dovrebbe richiamare, in ogni suo punto, tutti i libri puntuali del<br />

mondo. Avrebbe quindi affinità con le storie <strong>della</strong> tradizione popolare. (Con un<br />

allineamento al Livre di Mallarmé.)<br />

Il suo autore dovrebbe essere autore solo in quanto passo d'unione tra libri differenti<br />

e possibilità di vedere collegamenti tra sistemi fino ad allora pensati tra loro<br />

estranei.<br />

La possibilità di un autore del genere (che consisterebbe soltanto nella capacità<br />

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74<br />

di vedere le relazioni e che quindi non dovrebbe insistere in un autore) sarebbe allora<br />

la fine dell'autore stesso, così come il suo libro sarebbe la decostruzione anticipata<br />

del concetto di libro.<br />

Ma sempre la danza del dio a <strong>sera</strong> coniuga un bagliore d'esultanza allo spessore<br />

<strong>della</strong> notte.<br />

Questo perché tutta l'estetica moderna deve partire dal naufragio intravisto da<br />

Nietzsche:<br />

was liegt an Worten!<br />

was liegt an mir!<br />

Il posto del soggetto<br />

Il romanzo è il genere delegato alla rappresentazione del soggetto e delle sue vicissitudini.<br />

È cioè il luogo letterario dove il soggetto trova la sua massima possibilità<br />

di espansione.<br />

Nel Primo cerchio di Solženicyn il soggetto trova la propria collocazione come<br />

"posto" al termine <strong>della</strong> narrazione e questa trovata collocazione si presenta:<br />

• come dichiarazione di guerra contro lo stato socialista,<br />

• come apertura alla decostruzione del romanzo in quanto forma superiore di<br />

romanzo. Forma che verrà attuata in Arcipelago Gulag.<br />

Il posto del soggetto è riconosciuto al termine di una catena di sequenze incatenate<br />

tra loro. La concatenazione di sequenze comprendente pochi capitoli è il<br />

tratto distintivo <strong>della</strong> struttura del Primo cerchio perché proprio in una teoria di<br />

catene il soggetto può trovare il proprio posto a partire da una teoria <strong>della</strong> catena.<br />

Tale romanzo si pone come ricerca del posto del soggetto che è in tutto un Ricercare,<br />

ma che si compone come messa a fuoco di un soggetto solo in quanto tale<br />

soggetto si pone come dichiarazione di guerra contro lo stato socialista. I rapidi accenni<br />

a Ojmjakon e alla terra oltre il Circolo Polare dell'ultimo capitolo hanno<br />

l'inconsistente spavalderia dei canti di battaglia popolari.<br />

Ufficialmente, il posto del soggetto è raggiunto dopo la sequenza che orchestra<br />

l'arresto di Innokentij Volodin (capp. 82-4). Considerando che alle diverse tecniche<br />

dell'arresto messe in opera nello stato socialista è dedicato il primo capitolo di<br />

Arcipelago Gulag, si vede come il tema dell'arresto incateni la comparsa del soggetto<br />

in un punto preciso, che a sua volta chiama in gioco la rappresentazione del sistema<br />

dei campi di lavoro dello stato socialista.<br />

Nella conta dei campi dello stato socialista, infatti quello che manca è appunto<br />

il soggetto. Questo proprio perché ciò che manca è la mancia lasciata ad arte dalla<br />

narrazione. Questa mancia che manca è appunto ciò che marca il soggetto in<br />

quanto vacanza ad un posto. Nessuno infatti è saggio, se lascia qualche traccia e il<br />

soggetto è solo il lampo di un tramonto limpido.<br />

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75<br />

Poiché la mancia che manca è appunto ciò che manca al soggetto come mancia<br />

per porsi come ciò che manca alla teoria <strong>della</strong> mancia in quanto ciò che manca a<br />

ciò che manca al soggetto. Che è ciò che pone la decostruzione del romanzo, in<br />

quanto mancia di ciò che manca al soggetto, come ciò che marca ciò che manca<br />

alla mancia lasciata, cioè la posizione del soggetto.<br />

Il posto del soggetto così raggiunto in questo romanzo è ciò che lascia vacante il<br />

romanzo come posizione nella letteratura, aprendo perciò alla decostruzione del<br />

romanzo.<br />

La fuga del soggetto apre la porta sulla fuga del punto di fuga in quanto messa<br />

in prospettiva: cioè prospettiva in quanto fuga di spazi e arte <strong>della</strong> prospettiva.<br />

La posizione dell'autore si determina come posizione di un vero signore che lascia<br />

sempre la mancia che manca al suo impegno nell'essere un signore delle parole.<br />

Conversazione con la Sfinge<br />

Un luogo vicino al centro dello stadio si chiamava Valaskiálf. Era una zona<br />

squallida e deserta, sempre infuocata dal sole e fredda la notte. Non vi cresceva<br />

nulla, non c'erano alberi, non c'era erba, sicché, al di fuori di sabbia, non si trovava<br />

altro. Una creatura l'abitava. Era uno strano essere. Il naso era largo e prominente<br />

come il pugno <strong>della</strong> mano, gli occhi guardavano fissi e obliqui sotto una<br />

piega <strong>della</strong> palpebra che li proteggeva dalla troppa luce, i capelli scendevano folti a<br />

ondulati a coprire la testa e parte <strong>della</strong> schiena, mentre tutto il grande corpo era<br />

adagiato in riposo sulla sabbia.<br />

Uno spettatore si chiamava Geirríðr e abitava la parte di gradinata che si chiamava<br />

Tydal, ma egli veniva da Iötunheimr. Geirríðr era alto, vestito con un grande<br />

mantello scuro che gli saliva sulla testa coprendogli parte del volto. Girava lo<br />

stadio in qualità di viandante e un giorno si fermò sulla sabbia di Valaskiálf. Dietro<br />

di lui non c'era niente, dal suo lato destro non c'era niente e neppure dal lato<br />

sinistro c'era qualcosa, ma davanti a lui si poteva vedere il grande corpo coricato<br />

<strong>della</strong> creatura, e oltre quello non si poteva vedere altro.<br />

Questo accadde molto tempo dopo la conclusione <strong>della</strong> parabola itinerante<br />

dell'eroe, e i cieli sembravano di nuovo essere tornati tranquilli. Le stelle ruotavano<br />

in cerchio sopra la testa <strong>della</strong> creatura, come se un bastone sostenuto dalle zampe<br />

dell'animale ne reggesse lo sfarzoso movimento.<br />

Poi il Viandante pensò: «Nella prima parte del viaggio non volevo mettermi in<br />

viaggio; giunto a metà credevo di poter fuggire; ma alla fine ho capito che ero in<br />

trappola e da quel momento non sono più stato quello di prima. Mi chiedo che<br />

cosa ho attraversato durante il mio viaggio.»<br />

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76<br />

La creatura pensò: «Semplicemente il Mondo. Il Mondo è tutto attorno allo<br />

stadio e continuamente vi entra. Quando la casa era piccola e trasportabile per<br />

mezzo delle ruote, il Mondo era una cosa ruotante in cima alla casa, perché la casa<br />

ne era il centro. E il Mondo era una cosa che attrae a girare ma non si gira a lungo,<br />

per questo poi si fissa la casa, e attorno alla casa il Mondo era tutto attorno, tanto<br />

che scorrendone le parti gli si dava il nome. Lo stadio è un altro più ampio centro<br />

del mondo perché è fisso, ma dentro di esso tutto il Mondo scorre attraverso tutti i<br />

nomi <strong>della</strong> storia. Eppure anche lo stadio ha una fine. A Thule la casa è stretta e<br />

fredda per la festa dell'inizio del nuovo tempo <strong>della</strong> vita.»<br />

«Dunque "Mondo" era la risposta», pensò il Viandante.<br />

E fra il Viandante, la creatura accovacciata ed il centro lo spazio era diminuito,<br />

ma la creatura era adesso più vicina al centro ed il Viandante poteva vedere le<br />

grandi colonne che ne annunciavano la solenne costruzione.<br />

Il Viandante pensò: «Più viaggiavo, meno ero infastidito dal Mondo. Quanto<br />

resisteva a farsi girare, all'inizio, il Mondo! Ora posso dire che poter girare sempre<br />

di più il Mondo è sempre di meno sentire la grandezza del Mondo!»<br />

La creatura scosse la testa, e nello scuoterla, come un bisonte preso dal sonno,<br />

puntò il naso contro il Viandante, a disagio.<br />

«Io non so che cosa sia questa grandezza del mondo perché non so che cosa sia<br />

la paura» pensò poi prima di acquietarsi.<br />

Ma subito pensò il Viandante: «"Paura", era la risposta!»<br />

Adesso fra il Viandante, la Creatura accovacciata ed il centro lo spazio era diminuito,<br />

ma la creatura era ancora più vicina al centro e il Viandante poteva vedere<br />

il vuoto aprirsi dietro il grande manto morbido disteso.<br />

Allora pensò il Viandante: «Come è nato questo stadio che tutti protegge? e<br />

come è stato possibile arrivare sin qui quando ancora lo stadio non c'era, e quindi<br />

senza gli effetti <strong>della</strong> sua protezione?»<br />

Pensò la creatura: «Arrestando la casa sulle ruote si è formato lo stadio, e attraverso<br />

la casa con le ruote si è arrivati fin qui. Dalla prima casa si riceveva quella<br />

protezione che adesso si ottiene dallo stadio.»<br />

Pensò allora il Viandante: «Ma oltre la vastità e le traiettorie del Mondo, che<br />

pure sono disagevoli, è disagevole il Sonno, perché durante il suo tempo ognuno è<br />

indifeso. Che cosa protegge durante il Sonno?»<br />

La creatura pensò: «La stessa casa.»<br />

Pensò il Viandante: «Eppure si sa di molti casi in cui la casa non ha funzionato<br />

e la casa ha imprigionato nell'Altro che la occupava il Sonno.»<br />

Pensò la Creatura: «L'Altro si ferma.»<br />

Pensò il Viandante: «È la casa che lo ha imprigionato.»<br />

Pensò la Creatura: «Non era la casa che non andava. La persona era morta.»<br />

Pensò il Viandante: «Dunque "morte" era la risposta!»<br />

Adesso fra il Viandante, la Creatura accovacciata ed il centro lo spazio era molto<br />

diminuito e il Viandante poteva vedere la Creatura precipitare nel vuoto del<br />

centro, e poi le costruzioni del centro raggiunto dello stadio alzarsi spoglie e alzarsi<br />

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77<br />

primordiali sopra e davanti a lui, tutte intorno a lui.<br />

L’arte di restare nascosto<br />

La vita di una persona non può mai essere condivisa con un certo numero di libri<br />

scritti a una certa età, in certi luoghi e in certe occasioni. Il concetto di autore<br />

scricchiola. Scricchiola a partire da qui. Se proprio lo si vuole mantenere, esso dovrebbe<br />

prevedere una sorpresa finale. Quale sorpresa? Quella che di colpo manifesterebbe<br />

un'opera messa insieme lungo tutta una vita, resa apposta casuale e monotona,<br />

non tramite libri singoli, ma attraverso rifacimenti dello stesso progetto,<br />

tendente a una sola frase fondamentale, o a uno snello insieme di frasi sottili e forse<br />

fondamentali. Il libro è un intralcio, soprattutto per un autore. Autore sarebbe<br />

allora sinonimo di attività postuma. E probabilmente, prima di sparire del tutto,<br />

che gli piaccia o no, esso è destinato a diventarlo per davvero.<br />

I libri sono un intralcio e un surrogato, appena appena adeguato, richiesti allo<br />

scopo di consegnare un autore al fatto di essersi adeguato ai fondamenti, del tutto<br />

arbitrari (quando lo si comprenderà?), di una carriera.<br />

Che cosa cambierebbe col sopraggiungere di questi principi? L'opera sarebbe<br />

un enigma, a volte lunga, sì e no, quanto una frase; essere un autore sarebbe una<br />

delle tante manifestazioni dell'arte di restare nascosto per tutta la vita.<br />

L'epoca senza libri<br />

Da tempo si avverte che nel libro c'è qualcosa che non va. Si può essere in grado di<br />

scrivere libri in modo continuo e si può decidere di non scrivere più libri.<br />

Questa è l'epoca senza libri. L'epoca senza libri è l'epoca nella quale, ormai,<br />

non si scrivono più libri. L'epoca senza libri è anche l'epoca nella quale delle cose<br />

diverse, chiamati ancora libri, vengono scritti. Queste cose diverse chiamati libri<br />

sono i libri accademici e i best-seller. Cose diverse chiamate libri, perché, in quanto<br />

libri, da tutte le parti rigettano il loro compito di sempre.<br />

I libri accademici sono libri timidamente chiari per tutti. Quindi i libri accademici<br />

sono libri tristi. Libri che non spingeranno mai a nessun tipo di fanatismo.<br />

Un libro deve essere pieno di spunti oscuri. Per prima cosa, un libro non deve<br />

essere chiaro. Un libro chiaro è sempre qualcosa da respingere. È questo che faceva<br />

di un libro un dono per tutti e per nessuno.<br />

Un libro è qualcosa che si parla nella mente di chi legge, il quale ha così l'im-<br />

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78<br />

pressione che tutta un'altra persona stia leggendo in lui quel libro. Ma meno che<br />

mai un libro è un ladro nella notte. Un libro è ciò che viene per arricchire.<br />

L'epoca senza libri parte da lontano, da ciò che il libro è sempre stato incapace<br />

di controllare.<br />

Nietzsche aveva capito che ci si stava avvicinando a un'epoca in cui i libri non<br />

sarebbero più stati possibili.<br />

Adesso la diffusione di un pensiero autenticamente originale sembra ritornare al<br />

puro insegnamento orale.<br />

Certi libri sono una collezione di stati d'animo. Un libro non dovrebbe mai essere<br />

l'esposizione di un ragionamento.<br />

Non si scrive un libro affinché lo si legga, ma per creare una possessione.<br />

Falsi maestri scrivono e cessano di scrivere. Perché senza posa un libro deve migrare<br />

in genti ben radicate al suolo.<br />

Ma il libro è quel qualcosa che il concetto di autore sembrava poter tenere insieme<br />

e che l'epoca senza libri segna come fallimento.<br />

Coordinate del racconto<br />

Asse orizzontale:<br />

Le storie e i personaggi. In alcuni casi: intreccio principale, intrecci secondari.<br />

Strumento: logica.<br />

Asse verticale:<br />

I tempi e i luoghi.<br />

Strumento: topologia.<br />

Mito e romanzo<br />

Joyce è stato lo scrittore che, più di tutti, ha presentato una riflessione completa<br />

sui rapporti tra mito e letteratura nei tempi moderni. Lo strumento di indagine<br />

usato da Joyce è la parodia.<br />

Ma già il romanzo nasceva con tratti che lo ponevano come una parodia dell'epica.<br />

Le risse del Tom Jones suonano come una parodia delle battaglie dell'Iliade.<br />

Con la sua scelta, Joyce ha in parte chiamato avanti, e in parte posto un freno al<br />

romanzo.<br />

È possibile una letteratura che rifletta sul mito facendo a meno <strong>della</strong> parodia?<br />

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79<br />

Perché Joyce ha scelto la parodia? La scelta di Joyce era una scelta fatta per calare –<br />

finalmente! – il mito tra gli uomini.<br />

Ma la domanda che adesso si pone riguarda il mito, e questa domanda deve<br />

suonare in questo modo: "sono gli uomini a maneggiare il mito, o è il mito a maneggiare<br />

gli uomini?"<br />

La scelta di Joyce è stata la scelta giusta – per i tempi. C'era infatti altro tempo<br />

per pensare. È poi arrivato il romanzo postmoderno, che ha ingarbugliato tutto.<br />

Ma che permette di vedere meglio, adesso, i romanzi di Joyce.<br />

Quando ci si pone dalla parte degli uomini, si vedono gli uomini che usano il<br />

mito e si deve scegliere la parodia; che è la scelta di Joyce. Manca l'altra scelta.<br />

Un nuovo romanzo dovrebbe partire dalle cose, vale a dire dal modo in cui le<br />

cose usano simbolicamente gli uomini per rendere possibile – ancora una volta – il<br />

mito. Il romanzo è infatti il genere artistico che mostra come tutto si colleghi a<br />

tutto.<br />

Ma allora gli uomini non sarebbero altro che appendici di simboli?<br />

Bisogna innanzitutto precisare il rapporto tra il flusso di coscienza utilizzato da<br />

Joyce e la tecnica, relativa a tutta un'altra diversa memoria, utilizzata da Pound nei<br />

Canti.<br />

Sarà allora chiaro il progetto di un'arte disantropomorfizzante, in cui l'uomo è<br />

solo un lampo in una catena, un bagliore non sempre necessario e non indispensabile<br />

nell'intreccio delle cose.<br />

Ma sarà allora chiaro che è proprio la tecnica seriale che ha in sé la microserie<br />

fondamentale, l'alingua, a costituire il fulcro dell'opera.<br />

Soluzione finale<br />

Un libro deve avere l'effetto di una bomba nel tessuto di tutti i discorsi possibili.<br />

Deve rendere impossibile il discorso basato su inizio, svolgimento, fine. Deve<br />

rendere impossibile ogni discorso. Un vero libro è il parente più prossimo dell'attentato<br />

terroristico e del vecchio candelotto di dinamite. Nietzsche infatti affermava<br />

di essere dinamite pura. Così un libro non indicherebbe più altri libri, ma<br />

chiamerebbe tutti i libri del mondo: sarebbe la soluzione finale di tutti i libri; cioè<br />

l'interruzione <strong>della</strong> loro prevedibile catena.<br />

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80<br />

Epicizzazione del teatro<br />

A fini artistici le parole sono mantra. È caratteristica dell'arte far suonare le parole<br />

nel vuoto, ma solo il teatro le intarsia in uno spazio suo particolare.<br />

Lo spazio del teatro, cioè lo spazio in cui avviene la rappresentazione scenica, è<br />

la settimana di passione del teatro moderno. Poiché a questo tende il dramma a<br />

stazioni.<br />

Sbalzata nel teatro, la parola acquista un imperativo di fatto. È ciò che Benjamin,<br />

ne I «passages» di Parigi, indicava con la felice espressione: "truculenza cinematografica<br />

dell'azione". Al cinema, infatti, la parola del teatro tende, e anche alla<br />

pubblicità. È una nuova funzione <strong>della</strong> parola, in tutto una nuova parola, che ha la<br />

sua radice nel trasferimento del significato <strong>della</strong> parola, che si determina in quanto<br />

"parola deviata".<br />

La parola cessa di essere un dolce enigma dai più significati e diventa la via più<br />

breve per imporre l'azione.<br />

Come realizza, il teatro, il movimento <strong>della</strong> parola vuota sulla scena in quanto<br />

parola deviata?<br />

Prima di tutto, tramite l'esclusione del fattore tempo dalla vicenda che mette in<br />

scena. I personaggi sono privati del tempo; ognuno è irrigidito nell'attimo di una<br />

postura, in una scelta operata dall'autore, che ne ricava una maschera. Ogni personaggio<br />

che agisce sul palco di un teatro, in ultima analisi, non è altro che una maschera.<br />

Questa è la coerenza. L'azione è condensata in un tempo breve. Tutto deve<br />

essere funzionale al precipitare degli eventi.<br />

Poi tramite una riduzione dello spazio. Anche lo spazio subisce una metamorfosi.<br />

E una metamorfosi del genere era già presente, nelle sue caratteristiche, nell'architettura<br />

del teatro elisabettiano. Il teatro moderno reinterpreta incessantemente<br />

questa architettura perduta.<br />

È stato il teatro epico a introdurre la dimensione del racconto nel teatro, che ha<br />

avuto la conseguenza di trascinare con sé lo spazio. Quello che ne viene fuori è<br />

uno spazio aperto a trasformazioni – di tipo topologico. Nell'epica lo spazio è trattato<br />

secondo leggi aperte di tipo topologico. Il teatro epico introduce nel teatro<br />

qualcosa di simile a quello che già avveniva nel romanzo. Accostandosi all'epica, il<br />

teatro recupera qualcosa <strong>della</strong> topologia e si adatta a trasformare lo spazio.<br />

Brecht ha modificato lo stato del teatro molto più di quanto non avesse in<br />

mente di fare. Il teatro epico aveva potenzialità più spropositate di quanto egli non<br />

avesse compreso. (Guai dell'apprendista stregone!) È scomparso il fine didattico<br />

immediato allora voluto da Brecht (il "messaggio" escatologico del materialismo<br />

storico), ma i due punti essenziali sono rimasti: la scenografia semplice e a vista;<br />

l'allusione alla modernità, che corre lungo tutto lo spettacolo definendo la chiave<br />

dell'intera messa in scena.<br />

Dopo Brecht ogni progetto di messa in scena ha dovuto fare i conti con questa<br />

nuova componente inscindibile dalla messa in scena teatrale: l'epicizzazione del teatro.<br />

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81<br />

«Marco Ferreri una volta mi ha detto che i miei dialoghi sono cinematografici<br />

perché durano il tempo giusto. Per forza, quando due dei miei personaggi parlavano<br />

andando dal refettorio al chiostro, io scrivevo con la pianta sott'occhio, e<br />

quando erano arrivati smettevano di parlare.» (U. Eco, Postille a "Il nome <strong>della</strong> rosa".)<br />

Questo è proprio il guasto del teatro che continua a espandersi nella letteratura.<br />

Il teatro è un freno nel meccanismo <strong>della</strong> modernità. Il romanzo post-moderno ne<br />

amplifica l'ECO.<br />

Perché il teatro?<br />

I teatri sono come le prigioni secondo Michel Foucault: fanno talmente parte<br />

delle nostre città che non ci poniamo la domanda sulla loro origine.<br />

Quattro testi di Nietzsche pongono invece questa domanda fondamentale: "da<br />

dove viene il teatro?"<br />

Questi testi sono:<br />

Il dramma musicale greco (conferenza del 1870);<br />

Socrate e la tragedia (conferenza del 1870);<br />

La visione dionisiaca del mondo (breve saggio scritto nel 1870);<br />

L'origine <strong>della</strong> tragedia (libro del 1872).<br />

In essi Nietzsche affronta una questione essenziale: il teatro è un elemento estraneo<br />

alla Grecia. Più si passa da Eschilo a Sofocle e poi da Sofocle ad Euripide,<br />

più ci si avvicina a quello che oggi conosciamo come teatro. Più si guarda indietro<br />

rispetto a Eschilo, più si intravede qualcosa che non riusciamo bene a comprendere,<br />

ma che del teatro, così come oggi lo conosciamo, non aveva niente. Il teatro è<br />

quindi qualcosa che si forma in una certa epoca, difficile da precisare, ma che ingloba<br />

elementi disparati.<br />

Due fattori Nietzsche ritiene essere basilari: lo schema razionale <strong>della</strong> vicenda,<br />

dovuto all'influsso del razionalismo di Socrate; l'importanza del dialogo, che mette<br />

in gioco dei personaggi, li fa scontrare fra loro e consegna, allo stesso tempo, al<br />

pubblico il complesso degli elementi per valutarne la solidità delle ragioni.<br />

La tragedia così intesa, sembra suggerire Nietzsche, è la rappresentazione di una<br />

discussione democratica. Intuizione geniale, se si pensa a come Brecht intenderà lo<br />

scopo del suo teatro, lo scopo del teatro epico.<br />

La figura cardine nell'analisi di Nietzsche è Dioniso, colto nella sua estraneità al<br />

mondo greco, a causa dell'origine straniera, orientale. Secondo Nietzsche è solo<br />

grazie alla figura di Apollo, cioè all'incontro dell'elemento dionisiaco con quello<br />

autoctono apollineo, se è stato possibile la formazione di un elemento tanto complesso<br />

– quanto completo – quale la tragedia greca.<br />

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82<br />

Nella confusione presente nel concetto di azione <strong>della</strong> Poetica di Aristotele c'è<br />

già tutta l'astuzia del teatro epico.<br />

L'arco del teatro si sviluppa infatti nell'arcobaleno che unisce la tragedia greca<br />

alle teorie epiche di Brecht. Non c'è teatro senza beffa, senza guitti sopra il carrozzone.<br />

In ogni forma passata di teatro c'è in germe quel qualcosa che condurrà alle<br />

forme estreme <strong>della</strong> modernità: il cinema e la pubblicità. Questo perché il teatro è<br />

l'elemento estraneo fin dall'inizio, che ha in sé la possibilità <strong>della</strong> modernità, cioè<br />

del luogo verso il quale la <strong>Terra</strong> <strong>della</strong> Sera si incammina fin dal suo primo comparire.<br />

Questo è lo stato <strong>della</strong> tragedia con tutte le sue implicazioni strane. A un certo<br />

punto, il teatro rinasce. Sembra che la cultura occidentale abbia bisogno del teatro.<br />

La fase intermedia non è ricca di nomi. Tutto appare procedere in modo anonimo.<br />

A un certo punto, invece, il teatro recupera quanto raggiunto con la tragedia greca<br />

e, aggiungendo un insieme del tutto insperato, si lancia per una corsa finale che lo<br />

porterà alla modernità, cioè al teatro contemporaneo e all'esplosione nei generi più<br />

diversi ma anche alla separazione tra testo e messa in scena.<br />

Se il teatro ha la sua nascita in ciò che c'era prima di Eschilo, esso sembra<br />

proiettarsi in ciò che si manifesta alla sua esplosione.<br />

Nella prima fase, quella analizzata da Nietzsche, il teatro nasceva attraverso lo<br />

spostamento dal mito verso la quotidianità. La nuova fase si determina attraverso<br />

la beffa, lo sberleffo, l'insulto gratuito e la rimozione totale di ciò che è mito. Se<br />

nella prima fase la figura scatenante del teatro era stato il dio non greco Dioniso,<br />

in questa nuova fase il luogo scatenante sarà l'Italia, con i suoi palazzi e le sue corti<br />

piene di arrivisti maldicenti, di persone spregiudicate, di intrighi e assassini.<br />

Fin dall'inizio il teatro è il sintomo di una malattia <strong>della</strong> lingua. Nel senso che<br />

la lingua di un popolo ha, in quel punto, cioè nel punto in cui si è coagulato come<br />

teatro, subito una distorsione e, anziché garantire la serenità dell'abitare di un popolo<br />

sulla terra, la lingua gli si rivolge contro, diventando strumento principe di<br />

una presa in giro, di un insulto, di una mancanza di rispetto che scatena la diffidenza<br />

e il sospetto di tutti contro tutti.<br />

Shakespeare riassume questa situazione attraverso il personaggio che spinge<br />

all'azione col tramite di parole ambigue: Iago con Otello, le streghe con Macbeth,<br />

lo spettro di Amleto con Amleto, Cassio con Bruto. Lo scherzo innocente <strong>della</strong><br />

Commedia dell'arte è diventato progetto criminale. Così, da questo momento, la<br />

lingua non è più il tesoro <strong>della</strong> razza, ma il torbido bottino del ladro, sempre più<br />

pesante.<br />

Il teatro di Shakespeare utilizza pienamente questa parola deviata. Una meditazione<br />

attiva sul teatro di Shakespeare, come appare essere il Boris Godunov di Puškin,<br />

elimina il personaggio portatore <strong>della</strong> parola deviata, in quanto personaggio<br />

non essenziale allo svolgimento complessivo.<br />

L'influsso del meticciato italiano è adesso lontano, e il risultato è un testo di<br />

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83<br />

grande bellezza e concisione; ma rimane la domanda ingombrante: "Perché il teatro?".<br />

Il teatro è una forma di arte degenerata ed è un mesto accompagnamento del<br />

processo di degenerazione <strong>della</strong> razza. In nessun altro paese indoeuropeo fuorché la<br />

Grecia, si è mai avuto qualcosa come il teatro. Dopo la Grecia, la spinta al nuovo<br />

teatro tocca all'Italia. La Grecia e poi l'Italia accolgono la divinità straniera dall'Oriente.<br />

Il risultato è una parola sempre più ambigua e difforme, un tramonto, la<br />

triste comparsa di un'arte sempre più per tutti e sempre più educativa.<br />

Ma alla fine il teatro comprende una grande parte <strong>della</strong> cultura occidentale:<br />

Shakespeare, Ibsen, Strindberg, Brecht, l'opera lirica, oltre, naturalmente, alla tragedia<br />

greca, con la quale tutto ha avuto inizio. È proprio tutto questo che bisogna<br />

cominciare ad affrontare in modo diverso, appunto avendo presente l'estraneità del<br />

teatro alla cultura occidentale.<br />

L'arrivo del teatro epico è stato quello di scompigliare tutto. La sua azione è infatti<br />

quella di svelare per velare. Il risultato lo si vede nella dissonanza, ormai accettata<br />

generalmente e soprattutto evidente nel teatro d'opera, tra testo e messa in<br />

scena, tra approccio filologico a un testo ed eccentricità <strong>della</strong> messa in scena.<br />

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84<br />

Ideologia<br />

En ny Hermann<br />

Io insegno il disprezzo verso tutto ciò che è italiano come scorciatoia maestra<br />

per il disprezzo verso tutto ciò che è degenerato.<br />

Mi auguro che in un futuro prossimo Mein Kampf il ricordo del primo incontro<br />

con un Italiano in Europa venga riportato negli stessi termini con i quali,<br />

nell'attuale Mein Kampf, il ricordo del primo incontro con un Ebreo in Europa è<br />

riportato e lasciato nel tempo.<br />

E poi che questo comporti tutte le inevitabili e fatali conseguenze.<br />

Dio stramaledica gli Italiani!<br />

Una conquista del pensiero<br />

Certezze acquisite in tutta un'epoca nascondono invece delle mancanze del<br />

pensiero.<br />

Quest'epoca moderna ha cancellato molti divieti: si può parlare pubblicamente<br />

di alcune scelte dell'individuo, fino ad allora considerate estreme, senza rischiare.<br />

L'omosessualità, la droga, la criminalità sono temi accettati ormai nell'ambito delle<br />

possibili scelte estreme praticate dall'individuo proprio perché ad esso pertinenti<br />

in modo imprescindibile. Ma c'è un insieme di temi che non ammette accoglienza<br />

e che viene censurato subito: quell'insieme che comprende l'ammissione <strong>della</strong> disuguaglianza<br />

tra le razze, l'accettazione di questa differenza e il rifiuto di volerla<br />

combattere, e che quindi fa capo alla possibilità di trattare (nella ideologia e nella<br />

pratica) certi gruppi umani come elementi sostanzialmente indegni di vivere. In<br />

tutto questo c'è appunto qualcosa che ripugna alla mentalità moderna e che fa<br />

scattare la tanto aborrita (alla mentalità moderna) repressione.<br />

Contrariamente a quanto si pensa, intaccare questo divieto estremo può servire<br />

ad aprire la mente: soprattutto ad aprirla verso una nuova direzione.<br />

Il pregiudizio si annida sempre tra la banalità e inizia a dissolversi quando si avverte<br />

il peso <strong>della</strong> vergogna <strong>della</strong> quotidianità. Quanti nuovi pensieri e ideologie<br />

sorgerebbero, se questi divieti crollassero? Il pensiero è prima di tutto terra dove<br />

abitare.<br />

Ma c'è una questione da affrontare: come gestire la pericolosità che un tale pro-<br />

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85<br />

getto comporterebbe? Il gioco delle idee varrebbe finalmente la pena del lavoro dei<br />

piccoli massacri che sarebbero da compiere?<br />

Va da sé che per l'uomo sarebbe utile vedere a faccia a faccia un simile pericolo,<br />

cioè un pensiero che sfiorasse la possibilità <strong>della</strong> soppressione di una parte dell'umanità.<br />

Proprio qui sarebbe da riconoscere la nuova conquista del pensiero. In<br />

fondo, la cosa fondamentale è che il pensiero si evolva: che questo avvenga a scapito<br />

degli uomini è il modo migliore per evitare il sedimento <strong>della</strong> banalità dei pregiudizi.<br />

Il logico punto d'incontro sarebbe allora la volontà di estinzione, la tranquilla<br />

accettazione che la sopravvivenza dell'uomo non sia l'obiettivo da raggiungere<br />

ad ogni costo.<br />

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150 anni insieme<br />

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Ancora?<br />

Fenomeni come le "Guardie di Ferro" di Codreanu, il rexismo di Degrelle,<br />

l'AWB di Terre'Blanche dimostrano quanto ancora, negli ambienti di ciò che si definisce<br />

"estrema destra", il cristianesimo sia visto come un insieme di valori legati<br />

alla tradizione e alla difesa <strong>della</strong> civiltà occidentale.<br />

Naturalmente, non c'è niente di vero in tutto questo. Il cristianesimo è una religione<br />

ebraica, strettamente collegato alla razza semita. Se questo legame sembra<br />

essere non più presente, è solo per una curiosa illusione.<br />

Il cristianesimo è l'esatto opposto di qualsiasi ideologia di destra. È l'esatto opposto<br />

di una ideologia guerriera e l'esatto opposto di una ideologia <strong>della</strong> razza<br />

bianca. Esso deve essere rigettato a partire da una critica intransigente e radicale<br />

simile a quella fatta da Nietzsche. Questa critica è infatti perfettamente valida ancora<br />

oggi.<br />

Ma quello che dovrebbe saltare agli occhi è la somiglianza tra cristianesimo e<br />

socialismo. Entrambe le ideologie partono dall'idea del concetto di uguaglianza. Il<br />

cristianesimo è infatti l'esatto opposto di una ideologia basata sul rifiuto del concetto<br />

di uguaglianza.<br />

C'è da chiedersi perché il cristianesimo sia riuscito a occupare una posizione del<br />

genere. Probabilmente, questo dipende dalla opposizione che si è sempre voluto<br />

vedere tra cristianesimo e socialismo. Ma è un malinteso. Il cristianesimo è l'ideologia<br />

più letale per la tradizione e la razza bianca.<br />

L'Europa deve rigettare il monoteismo semita e ritrovare nel politeismo la propria<br />

religione d'origine.<br />

Il cristianesimo non è solo la più grande catastrofe che abbia colpito il genere<br />

umano, ma è anche l'ideologia più difficile da riconoscere in tutte le sue varie ramificazioni.<br />

È sempre difficile delimitarlo, forse anche a causa <strong>della</strong> compenetrazione<br />

che ha ottenuto nella civiltà mondiale.<br />

Ma la lotta al cristianesimo è forse ciò che è più lontano dalla mentalità contemporanea.<br />

In giro c'è tutto un buonismo che sembra uscito dai maledetti romanzi<br />

dell'Eco lumacone.<br />

Ma intanto le cose vanno sempre peggio. E arriverà il tempo in cui gli skinheads<br />

faranno collette per aiutare immigrati e indigenti.<br />

Chi sono<br />

Sono un De Amicis nero<br />

che scrive in un Olimpo Nero<br />

affacciato sulla moderna Lacoste.<br />

Che sogna la costruzione di Silling<br />

w w w. t e r r a d e l l a s e r a . c o m


e la ricostruzione di Oświęcim.<br />

90<br />

Il porno, un'occasione mancata<br />

Il porno è attualmente qualcosa che l'epoca moderna accoglie soltanto come<br />

prodotto industriale per una distrazione in più. Adorno parlava dell'ascolto distratto<br />

a proposito <strong>della</strong> musica riprodotta dalla radio. Il porno svolge una funzione<br />

simile. Sostanzialmente, il porno toglie la violenza al sesso. Togliere a qualsiasi cosa<br />

la sua violenza vuole dire togliere la possibilità a qualunque cosa di diventare scintilla<br />

di una rivoluzione, qualunque essa sia. Dov'è finito Guattari? Sade, nel porno<br />

contemporaneo, non è più il prossimo mio.<br />

I grandi testi pornografici <strong>della</strong> letteratura occidentale (Sade, Henry Miller) vedevano<br />

nel sesso la forza ostile a una società costituita. Una forza capace di minarla.<br />

A partire dal sesso, essi inauguravano una diversità assoluta. Con Wilhelm<br />

Reich non si era tanto lontani.<br />

Il cinema porno poteva portare avanti questa funzione di sovvertimento. Aveva<br />

molte possibilità a suo favore: la società moderna in quanto civiltà dell'immagine,<br />

la possibilità di sconvolgere la cinematografia ufficiale (il cinema è poi solo una cosa<br />

da ignoranti... Per quanto ne dica Adorno, il cinema è soprattutto una cosa fatta<br />

da pochi ebrei, con primi attori dalla faccia da mafiosi e il cognome italiano), ma<br />

doveva solo abbinare il sesso a ciò che lo aveva sempre caratterizzato: mistero, violenza,<br />

sopraffazione, desiderio; desiderio, prima di tutto, di buttare tutto all'aria:<br />

arte oscura, arte <strong>della</strong> bestemmia; arte dell'interrogazione.<br />

Rinunciando a questo, il sesso poteva funzionare solo come distrazione; e il<br />

porno come occasione mancata.<br />

Ciò di cui la nostra epoca moderna ha più bisogno è vera violenza, voglia di<br />

sommergere in un mare di violenza.<br />

L'ansia revisionistica<br />

Il revisionismo sembra afflitto da una specie di ansia consistente nel voler dimostrare<br />

che i nazisti non hanno commesso i genocidi di cui comunemente li si<br />

accusa. Forse anche nell'ambiente variegato <strong>della</strong> destra si tende sempre più a vedere<br />

i nazisti come bravi ragazzi di un lontano tempo da poco passato. Probabilmente,<br />

è una tendenza dovuta ai brutti tempi. Brutti tempi che spingono verso<br />

una democratizzazione generale delle idee.<br />

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91<br />

Il nazismo ha avuto l'importanza di parlare apertamente di razze inferiori e di<br />

razze superiori e di costruire un sistema ideologico e politico fondato su questa divisione.<br />

Per la prima volta il concetto cristiano di uguaglianza se la passava male. Il<br />

nazismo è stato un fenomeno contraddittorio, ma in qualcosa ha invertito una<br />

tendenza, individuando dove ancora poteva essere possibile una rivolta contro i<br />

pregiudizi del mondo moderno. Da qui l'altra domanda: chi vuole veramente opporsi,<br />

oggi, a questi pregiudizi? Infatti la questione si poneva, allora, in un modo<br />

irrecuperabile per l'oggi. Questa questione suona: che cosa fare delle razze inferiori?<br />

Una cosa o l'altra poteva essere fatta. Irrecuperabile? Se non nella pratica, almeno<br />

nel pensiero se ne dovrebbe tentare il recupero. Per la prima volta il cristianesimo<br />

sembrava non avere più l'importanza ideologica di sempre nelle lande<br />

dell'Occidente. Secondo il modo di pensare comune, spetta all'ideologia di sinistra<br />

la fama di pensiero d'opposizione al cristianesimo. La verità storica può segnalare<br />

le battaglie intraprese dai vari stati socialisti per affossare il cristianesimo. Ma il socialismo<br />

si basa sullo stesso principio del cristianesimo: l'uguaglianza. Il nazismo<br />

rimuoveva alla base questo principio.<br />

Luca Leonello Rimbotti ha scritto un libro interessante sulle caratteristiche del<br />

nazismo. Caratteristiche affrontate da un punto di vista del tutto anticonformista:<br />

Il mito al potere (Edizioni Il Settimo Sigillo, Roma 1992). Il sottotitolo ha caratteristiche<br />

ancora più moleste: Le origini pagane del nazionalsocialismo. Il revisionismo<br />

parte dal principio di stabilire la verità storica. Si può dire, in fin dei conti, che sia<br />

una cosa tanto importante, la verità storica? Si ha il sospetto che questo mirare a<br />

una verità storica obiettiva nasconda una diffusa timidezza: assolvere per non<br />

schierarsi. Se il rischio fosse di perdere di vista quello che il nazismo ha rappresentato<br />

di nuovo radicalmente? Forse l'importante non è stabilire che cosa il nazismo<br />

abbia o non abbia fatto, quanto accettare quello che sarebbe stato possibile fare a<br />

partire da una ideologia come l'ideologia nazista. Alla verità storica bisognerebbe<br />

allora accostare il vertice del "verosimile" come categoria che qualunque storia porta<br />

sempre con sé e valutare non solo in base a quello che si è stati capaci di fare, ma<br />

anche in base a quello che non si è stati in grado di fare, ma che giaceva come un<br />

sogno appena sbocciato nelle lagune del progetto.<br />

Roma meticcia<br />

Una nuova teoria <strong>della</strong> conoscenza dovrà porsi come meta non la ricerca <strong>della</strong><br />

verità, ma la ricerca del disprezzo. O meglio: dovrà porsi una volta per tutte, e finalmente,<br />

la ricerca del senso del vero disprezzo come arma di conoscenza.<br />

Considerando il libro Razza cilena di Nicolás Palacios, Miguel Serrano, in Adolf<br />

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92<br />

Hitler, l'ultimo Avatara, 1 insiste su un punto fondamentale: in Cile non si può parlare<br />

di razza: «parlare nel Cile di razza, lo sappiamo, significa menzionare la corda<br />

in casa dell'impiccato.» 2 . Qualche pagina dopo, insiste: «Io non penso, infatti, che<br />

si possa parlare di una "razza cilena". Vero che esiste, o esistette un marcato "spirito<br />

nazionale" presso di noi, influenzato dal paesaggio di questa terra mistica; ma<br />

una razza cilena non esiste e non esiterà mai. [...] Ciò che c'è qui, o ci fu, è un<br />

"meticciato regolare".». 3 Nei suoi pochi secoli di vita, dal punto di vista razziale, il<br />

Cile non ha mai avuto scampo: «[...] perché mai ci fu una razza cilena. Ci fu solo<br />

un meticciato in decomposizione. Il suo ciclo si è compiuto.». 4 Questa considerazione<br />

verrà ripresa anche a proposito <strong>della</strong> situazione del Cile con Allende e con<br />

Pinochet: in Cile c'è solo un meticciato. Tutte le vicissitudini del paese nascono da<br />

questa situazione: dal meticciato inevitabile del Cile.<br />

Perché in Italia non si è mai avuta una riflessione del genere? Vale a dire: perché<br />

non si è mai affrontata la questione <strong>della</strong> composizione etnica in Italia in un modo<br />

così disincantato come ha fatto il grande Miguel Serrano per il suo Cile dei giganti?<br />

A ben guardare, che cosa sono gli Italiani? Meticci, bastardi, degenerati. Non è<br />

solo una questione di pelle più facile ad abbronzarsi che in altri gruppi europei (i<br />

germanici, i celti, i baltici), o di un colorito leggermente diverso <strong>della</strong> pelle (che lo<br />

separa dai gruppi germanici, celti, baltici), ma è tutta una costituzione del corpo e<br />

del volto che lo dice, escludendolo dal gruppo di razza bianca. A fianco delle caratteristiche<br />

fisiche del meticcio, gli Italiani hanno anche le caratteristiche "spirituali"<br />

del meticcio: sono astuti, intriganti, infidi, arroganti, truffatori, violenti, traditori,<br />

poco intelligenti, ignoranti, meschini, rozzi. Perché non lo si è mai notato?<br />

Semplice, perché in Italia non c'è mai stata, e mai può esserci, una ideologia rivolta<br />

alla razza. Il razzismo è tendere a un ideale con la consapevolezza di dover<br />

andare oltre. Prima che ad ogni altra cosa, oltre se stesso. Applicando il tema del<br />

grande disprezzo. La teoria del Superuomo lo insegna.<br />

Julius Evola, in disaccordo con le teorie di Rosenberg, ha creato la teoria <strong>della</strong><br />

razza del corpo e <strong>della</strong> razza dello spirito. Voleva così evitare di guardare in faccia<br />

gli Italiani? O, semplicemente, lo evitava? A ben guardare, che cosa si vede guardando<br />

in faccia gli Italiani, se non meticci, bastardi, degenerati?<br />

Qualcuno, comunque, qualcosa ha notato: “La faccia, le forme corporali dei<br />

Cherokee sembrano confondersi completamente con quelle di non poche popolazioni<br />

italiane, quali i Calabresi. La fisionomia accentuata degli abitanti<br />

dell’Alvernia, soprattutto delle donne, è ben più lontana dal carattere comune delle<br />

nazioni europee di quanto non lo sia quella di molte tribù indiane dell’America<br />

del Nord”. 5<br />

Chi non ricorda la "romanizzazione" perseguita durante l'era fascista in Italia?<br />

Ma non c'è qualcosa che dovrebbe fare pensare? Veramente Roma poteva rappresentare<br />

un modello? Ancora adesso nessuno pensa di fare i conti con Roma. Quello<br />

tra Roma e l'ideologia <strong>della</strong> destra italiana è uno scintillante idillio a senso unico<br />

che il ricordo <strong>della</strong> "battaglia di Arminio" dovrebbe interrompere una volta per<br />

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93<br />

tutte. A Roma si deve l'inquinamento dell'antica civiltà germanica.<br />

Qualunque discussione su Roma deve cominciare da questo punto d'inizio:<br />

Roma è stata, e non poteva che essere, la grande nemica di tutto ciò che era germanico.<br />

Dall'altro punto di vista, ciò che è germanico non poteva avere un nemico<br />

più insidioso e determinato. Del mondo indoeuropeo, Roma rappresenta infatti la<br />

frangia a brandelli. Una cosa analoga capiterà con la Grecia, sintomo che nel sud<br />

dell'Europa c'è qualcosa che non va. Georges Dumézil dovrà arrendersi di fronte<br />

alle difficoltà di far rientrare la civiltà classica nella mitologia comparata indoeuropea.<br />

Al massimo, si poteva avere una corrispondenza a livello linguistico. Ma niente<br />

di più. È proprio da questo dato di fatto che avrebbe dovuto iniziare un nuovo<br />

modo di pensare. Soprattutto da parte dell'ideologia di destra.<br />

Il classicismo eredita da Roma l'ostilità verso il mondo germanico: le due cose<br />

non possono convivere. Roma soffoca il mondo germanico. «I dag kjenner mange<br />

mennesker i Norden gresk og romersk mytologi bedre enn den norrøne»: 6 questo succede<br />

per colpa di Roma. Il romanticismo tedesco è stato anche una rivolta contro la<br />

supremazia <strong>della</strong> Grecia e di Roma. Se Roma distrugge il mondo germanico, il<br />

mondo germanico deve rivoltarsi contro Roma. Perché in Italia non si appoggia<br />

questa rivolta contro Roma?<br />

Ma c'è un momento in cui gli Italiani sembrano guardarsi con attenzione in<br />

faccia, e quindi stupirsi, per la prima volta, di quello che vedono: quando uno di<br />

loro ha compiuto un crimine particolarmente efferato, oppure una truffa di straordinarie<br />

proporzioni; allora, qualunque Italiano che ne abbia visto la fotografia, e<br />

conosciuto i casi, dice sempre, in modo stupito, a qualcun altro con cui parla: "Ma<br />

lo ha visto in faccia?"<br />

Eppure è la stessa faccia di tutti gli Italiani di sempre. La stessa faccia che parla<br />

di una sola cosa: di un meticciato, di un bastardume, di una degenerazione che, da<br />

molto tempo, vengono da molto lontano. Quanti volti di politici italiani non sono<br />

altro che un naso d'ebreo in un ceffo da zingaro? Ma quale Verfremdungseffekt lo<br />

indicherà mai?<br />

Una attenzione sugli Italiani da questo punto di vista la si trova nei Discorsi a<br />

tavola di Martin Lutero. 7 Ma poi c'è stato silenzio. Per questo motivo quel grande<br />

libro di Lutero andrebbe infinitamente apprezzato.<br />

Perché un discorso di questo tipo non è mai stato fatto in Italia?<br />

Lontano è il grande Cile dei giganti dalla piccola e brutta Italia, dove saltella l'Italopiteco.<br />

Solo l'Europa dovrà rispondere nel tempo che ha davanti alla domanda<br />

che si insinua nell'Europa: "Che cosa fare delle razze inferiori?"<br />

1 M. Serrano, Adolf Hitler, l'ultimo Avatara, 2 voll., Edizioni Settimo Sigillo, Roma 2010.<br />

2 Ivi, p. 574.<br />

3 Ivi, p. 557.<br />

4 Ivi, p. 604.<br />

5 A. de Gobineau, Saggio sulla disuguaglianza delle razze umane, Rizzoli, Milano 1997, p. 168.<br />

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94<br />

6 G. Steinsland, Eros og død i norrøne myter, Universitetsforlaget, Oslo 1997.<br />

7 M. Lutero, Discorsi a tavola, Giulio Einaudi Editore, Torino 1999.<br />

Un'attività criminale<br />

Un'attività criminale di cui si parla poco (e che nemmeno viene compresa tra le<br />

comuni attività normalmente intese come criminali) è l'insegnamento nel mondo<br />

<strong>della</strong> "lingua" e <strong>della</strong> "cultura italiana". Passi in Italia, dove tale insegnamento è<br />

necessario per la malefica sopravvivenza di quello stato canaglia, ma la cosa ha un<br />

aspetto del tutto diverso nella restante parte del mondo.<br />

Qui, infatti, la funzione criminale è diversamente, quanto disastrosamente, evidente.<br />

Si tratta di diffondere un qualcosa in grado di pervertire e di suscitare un<br />

imbastardimento definitivo. Allora l'azione è quella di un virus.<br />

Culture ancora relativamente nazionali vengono imbastardite dalla diffusione di<br />

quella maledetta, tra tutte maledetta, cultura meticcia, tra tutte maledetta: la "cultura<br />

italiana".<br />

Infatti la "lingua italiana" è una lingua meticcia, così come la "cultura italiana"<br />

è una cultura meticcia. E i maledetti Italiani sono dei maledetti meticci. Insieme,<br />

questo bel mazzetto di elementi costituisce la crema <strong>della</strong> feccia indispensabile alla<br />

vita di ciò che è degenerato e rappresenta un apporto letale per la vita di ciò che,<br />

fino a quel momento, si era rivelato parzialmente immune (almeno) da quel meticciato.<br />

A fianco <strong>della</strong> "lingua" e <strong>della</strong> "cultura italiana", questo insegnamento trasporta<br />

un altro elemento, poiché di qualcosa di biforcuto si tratta sempre, quando si parla<br />

di quei maledetti Italiani, e forse di qualcosa ancora peggiore: lo stile italiano, il<br />

maledetto stile italiano, quella particolare, odiosa sfumatura che ha il meticcio italiano<br />

di gesticolare quando parla, di parlare quando gesticola, quei tratti da meticcio,<br />

quello schiocco e rotolio di suoni che ha la lingua italiana nella bocca del meticcio<br />

italiano. Tutto un apporto di feccia che fa di uno dei tanti meticci del mondo<br />

un meticcio particolare: appunto il meticcio italiano.<br />

L'Italia è la più grande distesa di arte degenerata disponibile al mondo a cielo<br />

aperto e il paradiso, ancora inesplorato, dell'antropologia criminale.<br />

Ci vorrebbe una legge per impedire la diffusione <strong>della</strong> "lingua italiana" e <strong>della</strong><br />

"cultura italiana" nel mondo.<br />

Dio stramaledica gli Italiani!<br />

Scrittore è chi fa con le parole la propria solitudine.<br />

Scrittore è chi sfoglia una lingua per chiamare sempre meno parole.<br />

La parola fa la solitudine dello scrittore.<br />

Scrittore è chi spoglia le lingue del mondo per un'alingua senza parola.<br />

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95<br />

La lingua fa la solitudine dello scrittore.<br />

Lo scrittore annida solitudine tra le parole del mondo.<br />

La terra alleviata<br />

«Il maggior numero possibile di ariani avrebbe dovuto [durante la Germania<br />

nazista] incarnare lo spirito iperboreo, facendo crescere il raggio del Cerchio (Lebensraum,<br />

Spazio Vitale), in modo da non lasciare nella terra ormai rigenerata –<br />

nuovamente terra spiritualizzata del Gral – spazio per l'antirazza giudaica, né per<br />

l'animale-uomo, il robot, lo schiavo dell'Atlantide. Questi sarebbero restati, o periti,<br />

con la terra materiale del Demiurgo.» (p. 811).<br />

Qui abbiamo il principio <strong>della</strong> soppressione delle razze inferiori come imposto<br />

per natura dalla terra ormai rigenerata, indipendentemente da una volontà esterna.<br />

Serrano ha sempre respinto le accuse di genocidio a carico del nazismo. Nella<br />

stessa opera segnalava, poco dopo, come, nei campi di concentramento nazisti,<br />

non ci fosse niente di sinistro, ma come servissero, anch'essi, a una trasformazione<br />

(p. 812).<br />

Tuttavia, l'ipotesi <strong>della</strong> rigenerazione <strong>della</strong> terra conduce a una inabitabilità <strong>della</strong><br />

terra da parte delle razze inferiori.<br />

Dalla terra rigenerata di Miguel Serrano alla terra alleviata di Dumézil. Sullo<br />

sfondo c'è sempre la grande battaglia che rigenera, cambiando anche il modo di<br />

pensare.<br />

Ma dalle pagine dei libri, mille parole innocenti sfiorano il mondo con occhi di<br />

giganti.<br />

M. Serrano, Adolf Hitler, l'ultimo Avatara, 2 voll., Edizioni Settimo Sigillo, Roma 2010.<br />

Esperienze:<br />

Gianluca Casseri<br />

Anders Behring Breivik<br />

Varg Vikernes<br />

Mishima<br />

Il padiglione d'oro<br />

Il discorso sul tetto<br />

Esperienze<br />

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Esperienze di dissociazione da come va il mondo.<br />

Ma con passi di colomba lo studioso si allontana dall'accademia.<br />

96<br />

(Dio stramaledica gli Italiani!)<br />

(Dio stramaledica quel popolo di bastardi!)<br />

I ricordi d'infanzia sono angoli rubati al tempo, scorci, prospettive incombenti,<br />

scorci, geometrie non euclidee rese architetture espressionistiche.<br />

Diverse scienze hanno dimostrato la presenza di un linguaggio anche nel caso<br />

degli animali. C'è un linguaggio e una cultura umana tanto quanto un linguaggio<br />

e una cultura degli animali. Ma solo gli esseri umani sono le creature che, oltre a<br />

usare il linguaggio, ricevono la chiamata da parte del linguaggio. Da qui uno dei<br />

fenomeni più misteriosi e affascinanti dell'essere umano: l'estrema pericolosità delle<br />

sue idee.<br />

<strong>Terra</strong> fantasma<br />

In no other country [come in Italia] is "north" a more unstable descriptor, shifting and flickering,<br />

defined and redefined minutely, almost by kilometre by kilometre, the length of the peninsula. In<br />

Lucca in Tuscany they refer to the northern suburbs as "Germany", the southern suburbs as "Africa".<br />

P. Davidson, The Idea of North, Reaktion Books, London 2007, p. 9.<br />

È strano, ma interessante, questo bisogno continuo di localizzare un nord e un<br />

sud a partire da un punto, come se tutto il resto del paese non esistesse, non fosse<br />

compreso entro confini precisi, e come se ogni punto diventasse un punto reale solo<br />

grazie alla possibilità di stabilire autonomamente un proprio nord e un proprio<br />

sud, quasi a richiamare la teoria dei numeri irrazionali secondo Dedekind, che esistono<br />

solo come punto d'incontro tra due serie: come se lo stesso paese non potesse<br />

essere determinato, quasi l'Italia non fosse un paese unitario, cioè un terra su cui<br />

posare un orizzonte verso nord e verso sud, ma scivolasse verso una continua determinazione<br />

<strong>della</strong> sua posizione spaziale, quasi che l'Italia intera non fosse una<br />

terra.<br />

L'Italia infatti non è una terra in cui un popolo possa posare un proprio orizzonte<br />

verso nord e un proprio orizzonte verso sud. Quello che dovrebbe essere un<br />

territorio nazionale, frutto di una comune percezione dello spazio geografico e mitico,<br />

è invece dissolto in una visione a livello di città, che non si integra nell'insieme<br />

e lo respinge beffardamente. È una terra che frana sotto i piedi del popolo che<br />

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illusoriamente l'abita, ed è soprattutto una terra che non è una terra.<br />

97<br />

Un vezzo di Miguel Serrano<br />

La simpatia che Miguel Serrano dimostra verso gli Italiani lungo tutto Adolf<br />

Hitler, l'ultimo Avatara, unita all'antipatia nei confronti di Spagnoli e Giapponesi,<br />

costituisce un'abitudine strana, cattiva e ricorrente: un vezzo, appunto.<br />

Ecco i brani in questione:<br />

«Quella Spagna invertebrata, nazione dove è passato a predominare l'elemento aborigeno iberico,<br />

quella brutta razza, scomparso quasi integralmente l'ancestrale visigotico, con il suo meticciato<br />

indesiderabile, di mori e giudei, soffre dello stesso male del continente di sua creazione: l'America.»<br />

(AV, I vol., p. 79).<br />

«Così sono gli italiani. Sono disposti ad iniziare imprese rischiose ed individuali. Sono, inoltre,<br />

precursori, creatori geniali.» (AV, I vol., p. 80).<br />

«Tuttavia, la bella "razza del corpo" dell'Italia di oggi è un risultato <strong>della</strong> selezione razziale che si<br />

fece negli ultimi anni del fascismo, sotto l'hitlerismo. Magari in Spagna fosse accaduto altrettanto.»<br />

(AV, I vol., p. 120).<br />

«Hitler rispettava ed ammirava il Giappone, per il suo codice dell'onore samurai, ma avrebbe preferito<br />

non averlo come alleato, ne sono sicuro. È un fatto che i giapponesi lo tradirono non dichiarando<br />

la guerra alla Russia, la qual cosa l'avrebbe aiutato a trionfare.» (AV, I vol., p. 78).<br />

«A proposito dei giapponesi, essi non capirono il dramma e fecero solo il proprio gioco. Dopo<br />

l'ultima guerra, si sono trasformati in maniera così dannosa per il mondo come i giudei, meccanizzando<br />

tutto e sporcando la terra con il loro commercio di materie "deperibili". Si sono giudaizzati<br />

fino alle ossa.» (AV, I vol., p. 78).<br />

Con l'arrivo in Giappone «del massone Mac Arthur» (AV, II vol., p. 414) viene distrutta la monarchia<br />

solare, «trasformando il paese nel più grande produttore di "golem" del pianeta.» (AV, II<br />

vol., p. 414).<br />

È evidente che Italiani e Giapponesi sono collegati in qualche modo, anche solo<br />

per essere stati alleati di Hitler. Bisogna quindi ricorrere a una lettura che riveli le<br />

possibilità di questa corrispondenza.<br />

Gli inizi del popolo e <strong>della</strong> lingua giapponese sono tuttora poco chiari. Gli studiosi<br />

propendono per due ipotesi: una, di tipo meridionale, che vede l'origine <strong>della</strong><br />

cultura giapponese in regioni del Pacifico a sud del Giappone; l'altra, di tipo settentrionale,<br />

che situa tali origini nell'Asia e la successiva introduzione in Giappone<br />

tramite la Corea (JP, p. 22).<br />

Il Giappone ha sempre accettato influssi stranieri, soprattutto cinesi, ma li ha<br />

sempre trasformati in qualcosa di autenticamente nuovo, in cui manteneva una<br />

grande posizione gli elementi autoctoni di pensiero, come è avvenuto per il buddhismo<br />

zen.<br />

Se alla base di ciò che riguarda il Giappone c'è un mistero, l'impossibilità di<br />

stabilire dati certi a livello di lingua e di razza, tutta la storia certa del Giappone<br />

mostra la creazione di una aristocrazia dello spirito, con una determinatezza di ti-<br />

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98<br />

po nicciano. Così il Giappone, la <strong>Terra</strong> del Sole che Sorge, è la precisa contrapposizione<br />

dell'Europa in quanto <strong>Terra</strong> <strong>della</strong> Sera. Anche l'apparente resa totale del<br />

Giappone all'era <strong>della</strong> tecnica è un modo per distruggere attivamente un passato,<br />

che però non viene mai rinnegato, semplicemente distruggendo la terra tutta,<br />

sporcandola con l'invasione <strong>della</strong> materia deperibile. (Un qualcosa che richiama la<br />

pratica di "vincere perdendo" ricordata da Serrano.)<br />

Se dalla <strong>Terra</strong> del Sole che Sorge passiamo alla <strong>Terra</strong> <strong>della</strong> Sera, notiamo una inversione<br />

degli elementi in ballo: da un mistero delle origini, si passa a una certezza<br />

delle origini; dalla formazione di una aristocrazia dello spirito, si passa al confronto,<br />

alla coesistenza, e poi alla tolleranza di un meticciato sempre più invasivo e<br />

sempre meno inteso come estraneo.<br />

È solo una questione di stile in entrambi i casi, e lo stile è una questione di silenzio.<br />

Se la creazione <strong>della</strong> razza è il Sole che Sorge sul Giappone, il meticciato è<br />

l'ombra che si allunga sulla <strong>Terra</strong> <strong>della</strong> Sera, ma è anche la metafora che getta luce<br />

di silenzio sulla <strong>Terra</strong> <strong>della</strong> Sera. Il meticciato è infatti l'Ombra che la <strong>Terra</strong> <strong>della</strong><br />

Sera deve affrontare in quanto propria ombra.<br />

L'Europa deve fare i conti col meticciato di tipo slavo e mediterraneo. Spagnoli<br />

e Italiani sono ciò che propriamente riguarda il meticciato mediterraneo presente<br />

nella <strong>Terra</strong> <strong>della</strong> Sera.<br />

In nessun altro luogo il meticcio italiano ha potuto esibire la povertà spirituale<br />

<strong>della</strong> propria mente come nella musica. Per lui la musica è pura fissità di un ticchettio<br />

perpetuo di accenti: ora un po' più veloce, ora un po' più lento. Questo è il<br />

segreto <strong>della</strong> musica di Rossini e di Verdi. Ed è per questa ragione che la musica<br />

italiana non dice assolutamente niente; è picchiettio, e non musica.<br />

Nella musica gli Spagnoli hanno una certa grandezza. Così come nella letteratura.<br />

La letteratura spagnola è superiore a quella italiana, praticamente inesistente.<br />

Finalmente Asín ha sputato in faccia a Dante i suoi versi. Tutta la storiella <strong>della</strong><br />

letteratura italiana andrebbe ora affrontata dal punto di vista dell'impronta meticcia<br />

che la razza italiana vi ha di volta in volta impresso.<br />

Pensare a Jordi Savall. Gli Italiani riversano nella musica tutta la volgarità del<br />

loro meticciato. Lo fanno senza starci a pensare (perché la musica italiana è priva<br />

di quell'unica cosa senza la quale non esiste musica: il pensiero), fidandosi <strong>della</strong><br />

musica, ma la musica li tradisce. Quale arte, infatti, è così capricciosa, imprecisa e<br />

traditrice come la musica? È la fedeltà assoluta nel ticchettio regolare del tempo<br />

accademico che fa del meticcio italiano la realizzazione assoluta <strong>della</strong> ripetizione<br />

golemica. L'accademismo è infatti proprio ciò che sta alla base <strong>della</strong> ripetizione golemica.<br />

E la creatura golemica per eccellenza è adesso il meticcio italiano, in qualunque<br />

parte del mondo si nasconda.<br />

(Anche per questo ho sempre definito gli Italiani "Ebrei senza intelligenza".)<br />

Così il meticciato è la teoria che non può essere formulata né applicata, ma che,<br />

di per sé, fa prendere al pensiero strade fino ad allora imprendibili. Lo fa evolvere,<br />

appunto, ma insieme blocca la possibilità di ogni pensiero tradizionale, secondo<br />

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99<br />

una logica simile a quella rintracciata da Heidegger a proposito <strong>della</strong> teoria dell'eterno<br />

ritorno di Nietzsche.<br />

Scrivere (come pensare) è sempre una questione di parole in ballo.<br />

L'attenzione alla bellezza in tutto ciò che attiene a ciò che è giapponese, da parte<br />

di ciò che è giapponese, è il riconoscimento <strong>della</strong> bellezza <strong>della</strong> <strong>Terra</strong> del Sole<br />

che Sorge, dell'intreccio <strong>della</strong> bellezza dei suoi animali con la bellezza dell'andirivieni<br />

delle sue stagioni, cioè il suo appartenere al divino. Il riconoscimento di questa<br />

bellezza, attraverso ogni atto <strong>della</strong> vita in Giappone e attraverso la poesia, è il<br />

ringraziamento agli dèi per la bellezza del mondo. Nella <strong>Terra</strong> <strong>della</strong> Sera, il riconoscimento<br />

di una simile bellezza, e il ringraziamento agli dèi per la bellezza del<br />

mondo, è ciò che fa del poeta la creatura più povera <strong>della</strong> <strong>Terra</strong> <strong>della</strong> Sera.<br />

Perché se l'Europa è la <strong>Terra</strong> <strong>della</strong> Sera, la penombra distesa dal meticciato è<br />

solo la falsa <strong>sera</strong> in ciò che non ha terra.<br />

Grazie alla sua spinta verso la creazione di una razza, il Giappone ha potuto<br />

chiamare la bellezza in ogni punto lungo la sua strada; laddove la <strong>Terra</strong> <strong>della</strong> Sera<br />

si è trovata a incamminarsi sulla strada che porta alla pratica di una estetica del<br />

brutto sempre più esasperata, per poi intravedere il cammino che porta alla formulazione<br />

del concetto di "arte degenerata".<br />

Il Giappone ha riempito il mondo di prodotti golemici alla fine <strong>della</strong> sua traiettoria<br />

solare, così come l'Italia, in tutta la sua esistenza di nazione-pipistrello, ha<br />

riempito e continua a riempire il mondo dei peggiori criminali.<br />

Gli Italiani meritavano la stessa sorte toccata a Zingari ed Ebrei. Così come l'Italia<br />

meritava il lancio delle bombe atomiche. L'errore profondo di Hitler è stato<br />

allearsi con gli Italiani, da sempre popolo di traditori, infidi e meticci; popolo <strong>della</strong><br />

penombra, del crimine e dell'infamia. Non ha invece sbagliato ad allearsi col grande<br />

popolo giapponese, che mai lo ha tradito.<br />

Italiani bastardi!<br />

Dio stramaledica l'Italia!<br />

Dio stramaledica i meticci!<br />

AV M. Serrano, Adolf Hitler, l'ultimo Avatara, 2 voll., Edizioni Settimo Sigillo, Roma 2010.<br />

JR H. Byron Earhart, Japanese Religion. Unity and Diversity, Thomson Wadsworth, Belmont<br />

(CA) 2004.<br />

Ti ho colto, meticcio!<br />

Il trionfo <strong>della</strong> "civiltà multietnica" in Italia ha la sua più convinta manifestazione<br />

nei giocatori di calcio "di colore". Lì i Negri hanno lo stesso modo di pro-<br />

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100<br />

porsi, arrogante e cafone, cialtrone e sguaiato, che hanno sempre avuto gli Italiani:<br />

i veri Italiani di sempre (in Italia, in Europa e nel mondo). C'è lo stesso miscuglio<br />

di caratteristiche che ha fatto la fortuna di quei brutti filmetti etichettati poi dagli<br />

esperti <strong>della</strong> brutta arte del cinema come "commedie all'italiana". Guardando, adesso,<br />

questi Negri di successo in Italia, qualcuno potrebbe dire: "le stesse caratteristiche<br />

degli Italiani di una volta"... Ma la questione è sempre la stessa: è una convergenza<br />

di modi di essere tra persone, in fondo, dello stesso tipo; o, più di quanto<br />

l'espressione "metaforicamente parlando" possa fare intendere, <strong>della</strong> stessa razza.<br />

In fondo, a ben guardare, in questo caso è proprio il caso di dire (non ai Negri di<br />

successo in Italia, ma agli Italiani, poveracci da sempre, in Italia, in Europa e nel<br />

mondo): ti ho colto, meticcio!<br />

Rileggere Mein Kampf<br />

Bisogna rileggere Mein Kampf mettendo al posto degli Ebrei gli Italiani. Ogni<br />

volta che il testo dice "Ebrei", bisogna sostituire "Italiani".<br />

La vicinanza di Ebrei e Italiani era stata intuita da Martin Lutero, che li vedeva<br />

come i massimi nemici dell'Europa.<br />

L'antisemitismo del futuro dovrà includere gli Italiani.<br />

Dopo gli Ebrei, gli Italiani sono il popolo più odiato al mondo.<br />

La professione di scrittore<br />

Anders Behring Breivik ha risposto “Scrittore” al giudice che gli chiedeva la sua<br />

professione nel corso del processo che lo vedeva imputato per i fatti del 22 luglio<br />

2011 in Norvegia.<br />

Essere “scrittore” non dovrebbe mai poter essere considerato una professione. Si<br />

è “scrittori” solo tramite la decisione di un attimo, che però cambia la vita, ma di<br />

cui non si può essere poi più responsabili; un po’ come avviene per la decisione del<br />

suicidio: la decisione di un attimo. (Ovviamente non si parla qui dello scrittore<br />

postmoderno.) La differenza è che la decisione di essere scrittore può essere rilanciata<br />

diverse volte nel corso di una stessa vita, con esiti sempre diversi e inevitabili;<br />

cosa non possibile nel caso del suicidio.<br />

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101<br />

I Tre Culetti<br />

Li chiamavano I Tre Culetti. Ma uno per uno li chiamavano: Culetto Grazioso,<br />

Culetto Puntiglioso, Culetto Crudele.<br />

In Italia, quando una persona non parla da sola, parla sempre addosso a un'altra<br />

persona: parla con rabbia e a voce sempre più alta, allo scopo di soffocare la parola<br />

di qualunque altra persona. I Tre Culetti, invece, parlavano sempre uno dopo<br />

l'altro, in modo soffice e curiosamente ordinato. Vero è che, secondo alcuni, più<br />

che di un ordine del discorso, si trattava di monotonia "secca e sputata"; e vero è<br />

che la voce dei Tre Culetti era di una monotonia incredibilmente fastidiosa. Nessuno<br />

però poteva negare che, nel discorso dei Tre Culetti, ci fosse alla fine un ordine<br />

superiore e perfetto, regolato appunto dal passaggio alla parola dei singoli Culetti:<br />

Culetto Grazioso cominciava una frase gorgogliante di verdose promesse, Culetto<br />

Puntiglioso la continuava con una rabbia biancastra che alludeva a lontane<br />

minacce, Culetto Crudele la terminava con una stoccata di rabbia rutilante.<br />

C'era poi qualcuno che, proprio a causa delle sfumature di colori che il discorso<br />

dei Tre Culetti prendeva, a mano a mano che i singoli Culetti si passavano la parola,<br />

chiamava i Tre Culetti il Triculore.<br />

Diritto<br />

Italiani bastardi!<br />

Rovescio 1<br />

Inailati idratsab!<br />

Rovescio 2<br />

!idratsab inailatI<br />

Un diritto e due rovesci<br />

Una visita da lontano<br />

– Scusi... Signore!<br />

– Prego! AIUTO! Un Alieno, e là c'è anche il disco volante...<br />

– Stia calmo! Sì, sono un Alieno, ma non ho intenzioni aggressive. Vorrei solo<br />

qualche informazione.<br />

– Se è così, mi tranquillizzo! Prego, chieda pure!<br />

– Vorrei sapere: non dovrebbe esserci una terra, là, in quel punto dove adesso<br />

c'è solo mare?<br />

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102<br />

– Una terra?<br />

– Sì, una terra. Vede quel moncherino schifoso, tutto avvizzito e, a tratti, un<br />

poco fumante e puzzolente? Secondo le informazioni in nostro possesso, da lì dovrebbe<br />

partire una penisola di notevoli dimensioni.<br />

– (Ahimè!) Proprio di una penisola parla? (Ahimè! Ahimè!) Non so, non capisco...<br />

– Guardi questa mappa.<br />

– Veramente... Mi sono ricordato di non avere proprio tempo...<br />

– La guardi. Qui è dove siamo noi, e qui è dove dovrebbe esserci la terra di cui<br />

le parlavo, che invece non c'è.<br />

– Ah! La Maledetta Italia! Lo sapevo! Metta via quella carta! La metta via!<br />

– Perché?<br />

– La metta via! La metta via, le dico! Bene! Adesso si avvicini. Parli a bassa voce.<br />

Sì, laggiù stava l'Italia: la Maledetta Italia! Ma adesso, come può vedere, per fortuna<br />

non ci sta più. Gran brutta gente: nasi da ebrei; ceffi da zingari. Tutto in una<br />

sola brutta faccia. Sa come erano chiamati? "Il popolo dei bastardi". Ma porta male<br />

parlarne. Ecco là: che le ho appena detto? Guardi il disco volante. Si sono spente<br />

le luci. Ora per lei sarà un bel guaio.<br />

– Ma no, è andato in standby.<br />

– Meno male. Lo dico per lei. Qui nelle vicinanze abbiamo un solo meccanico.<br />

È un brav'uomo, ma è tutto fatto a suo modo. È astemio e sembra sempre ubriaco.<br />

– Posso chiederle dove è finita tutta la gente che abitava quella terra?<br />

– Che vuole che le dica? Ringraziamo Dio, piuttosto, per non avere più a che<br />

fare con loro.<br />

– Che fine hanno fatto?<br />

– Che fine vuole abbiano fatto? Hanno fatto la fine del topo di fogna quando<br />

viene portato fuori dalla fogna di casa. Si sono estinti.<br />

– E perché la terra è ridotta a quel misero moncherino? Prima, se non sbaglio,<br />

quella penisola aveva una notevole estensione...<br />

– Quando quella terra (grazie a Dio!) non fu altro che un enorme cimitero, il<br />

veleno contenuto in tutte quelle maledette carcasse, lì seppellite tutte insieme, finì<br />

per corrompere e disgregare la terra, che alla fine prese l'aspetto che ora può vedere.<br />

– Ah, ecco! Certo, doveva essere gente ben disgraziata!<br />

– Lo può ben dire!<br />

– Che lei sappia, credevano in qualcosa di superiore? Che so: uno Spirito Supremo?<br />

un Dio Padre?<br />

– Più che in un Dio Padre, credevano in un Dio Padrino. Lo rappresentavano<br />

con le fattezze di uno dei tipi più primitivi <strong>della</strong> loro razza stramaledetta, già di per<br />

sé abbastanza primitiva: basso di statura, tarchiato, sempre tutto ingrugnito, vestito<br />

in modo sommario, con la coppola in testa calata sulla fronte e la lupara pronta<br />

sulla spalla destra. Una figura molto poco rassicurante. Secondo alcune teorie, fu<br />

appunto questo bel generino di divinità a farli fuori tutti, uno per uno, percorren-<br />

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103<br />

do il maledetto territorio e sparando a tutti quelli che incontrava. Probabilmente<br />

avevano avuto da ridire su qualcosa tra di loro. Quelli facevano presto ad accopparsi.<br />

Lo chiamavano: "uno sgarro". Dia retta a me, è una grande fortuna che siano<br />

scomparsi.<br />

– Non lo metto in dubbio! Solo, adesso dovremo aggiornare le nostre mappe e<br />

anche i nostri databases relativi a popolazioni e credenze religiose. Sa cosa significa?<br />

– Mi dispiace. Non so che dirle. Io parlo dal mio punto di vista.<br />

– In qualche modo faremo. Lei è stato molto gentile. Spero non averle fatto<br />

perdere troppo tempo.<br />

– No, assolutamente. Faccia buon viaggio.<br />

– Grazie. Arrivederci!<br />

– Arrivederci!<br />

– Vada pure, se vuole. Io devo mettere in moto.<br />

– Ci mancherebbe. Aspetto volentieri. Bene, è ripartito! Certo, è stato uno<br />

strano incontro... Chissà, lo potrò raccontare? Però, che incubo che erano, quelli<br />

là! Erano odiati da tutti e presi in giro da tutti. Infatti se ne poteva sempre incontrare<br />

qualcuno in ogni angolo del mondo. Aspetta... aspetta... A proposito di "raccontare"...<br />

Mi viene in mente un personaggio di fantasia, creato a loro somiglianza,<br />

che aveva anche avuto una certa notorietà... Doveva essere il protagonista di<br />

una serie di filmetti polizieschi. Roba squallida, ma che rappresentava bene il tipo:<br />

era antipatico, puzzolente, prepotente, sporco lurido lercio, schifoso, servile, arrogante,<br />

malvisto, trafficante, ignorante, meschino, trasandato, sempre con una fame<br />

da orbi, sempre dappertutto, sempre fuori posto dappertutto, sempre pronto a fregare<br />

il prossimo, spione, abbarbonato, brutto, mi<strong>sera</strong>bile, cencioso, pezzente,<br />

straccione, poveraccio, maligno, poco intelligente ma astuto nel fregare chi gli capitava<br />

a tiro, diffidente, maldisposto verso tutti, che seminava zizzania dappertutto:<br />

una vera muffa ambulante di sottouomo, un vero rappresentante di quel popolo<br />

maledetto di bastardi. E... (ora mi ricordo!) aveva sempre l'abitudine di dire:<br />

«Quando lo racconterò a mia moglie...»<br />

Dio stramaledica l'Italia!<br />

<strong>Terra</strong> di meticci, terra di massoni!<br />

Dove canta la lupara!<br />

Dove canta la lupara!<br />

Dio stramaledica gli Italiani!<br />

Popolo di meticci, popolo di massoni!<br />

Dove canta la lupara!<br />

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104<br />

La lingua italiana<br />

Ho sempre odiato l'Italia; ho sempre odiato gli Italiani: popolo di meticci, popolo<br />

di bastardi, popolo che non dovrebbe né stare né restare in Europa. Popolo<br />

che non dovrebbe mai essere entrato in Europa. Il meticcio italiano è un meticcio<br />

che non ha niente di europeo. Ma quanto ci vuole a capirlo?<br />

Niente tradisce di più l'origine non europea del meticcio italiano quanto il suo<br />

modo stravagante di parlare.<br />

Niente tradisce di più l'origine semita del meticcio italiano quanto la sua lingua.<br />

C'è qualcosa di più odioso <strong>della</strong> lingua del meticcio italiano? lingua di criminali,<br />

lingua di ladri, lingua di truffatori, lingua di prepotenti. Ascoltate il suo tono<br />

"abbaiato" che non la lascia mai, che rende la lingua italiana così simile alle lingue<br />

arabe; fate attenzione al suo tono sempre gridato, sempre sopra tutte le righe; e insieme<br />

al suo tono mellifluo, che la rende così adatta a una lingua di segreti, lingua<br />

di imbrogli, lingua di favori segreti, lingua di tranelli, lingua di ammiccamenti,<br />

lingua di puzza di suq. Quale altra lingua europea è parlata a voce così alta? Un Italiano<br />

abbaia sempre la sua maledetta lingua per soverchiare un altro maledetto Italiano.<br />

È questa la logica di quel maledetto popolo che vive in quel maledetto paese.<br />

Ma è l'unica logica adatta a un popolo di meticci, a un popolo di gente disgraziata,<br />

a un popolo bastardo quale il popolo degli Italiani bastardi è da sempre stato<br />

e che sempre deve continuare ad essere.<br />

Niente tradisce di più l'origine semita del meticcio italiano quanto la sua lingua.<br />

Osservate bene due meticci italiani che parlano tra loro: osservate tutte quelle<br />

smorfie, quei gesti da secoli orfani <strong>della</strong> commedia dell'arte, quell'andirivieni dei<br />

braccini, simili ad antenne di scarafaggi, quell'ondeggiare <strong>della</strong> postura, quel guardare<br />

di sbieco l'avversario, quella fissità inespressiva, ma minacciosa, degli occhi.<br />

Non è uno spettacolo raccapricciante? Non è uno spettacolo indegno dell'Europa?<br />

Due Italiani che parlano tra loro sono già una cosca mafiosa. Tutto il segreto<br />

<strong>della</strong> cupola è già lì. Togliete a quel popolo di bastardi, che è il popolo italiano, la<br />

sua lingua maledetta e avrete tolto la mafia maledetta dal mondo.<br />

Dio stramaledica l'Italia!<br />

Dio stramaledica gli Italiani!<br />

La difesa <strong>della</strong> razza<br />

Gli Italiani devono essere contro il razzismo. Se il razzismo fosse legge, – o prima<br />

o poi – toccherebbe a loro.<br />

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105<br />

L'accoglienza<br />

Contrariamente a quanto intravisto da Massimo Cacciari ne L'Arcipelago, secondo<br />

cui l'Europa dovrebbe riconoscersi sotto il segno dell'accoglienza, come la<br />

figura di Zeùs Xénios suggerirebbe, l'Europa dovrebbe riconoscersi nella esclusione<br />

da sé, cioè nella cacciata di quei gruppi che, malgrado tutto, non sono autenticamente<br />

europei, perché risultato di un meticciato (come indicato dai popoli slavi e<br />

latini), nel riconoscimento <strong>della</strong> nozione di indoeuropeo e nei mille dèi <strong>della</strong> guerra<br />

indoeuropei: allora l'Europa non dovrebbe riconoscersi sotto il segno dell'accoglienza,<br />

cioè dell'inclusione di ciò che è ad essa estraneo, ma nella esclusione di ciò<br />

che, erroneamente, viene da tempo considerato parte integrante <strong>della</strong> propria natura.<br />

M. Cacciari, L’Arcipelago, Adelphi, Milano 1997, pp. 148-9.<br />

Sfumature<br />

Nessun pittore potrà mai dipingere tutte le sfumature di un tramonto. Nessun<br />

compositore potrà mai far suonare tutto il silenzio che è nella musica.<br />

Io non potrò mai esprimere tutto l'odio che provo nei confronti del meticcio<br />

italiano.<br />

Anche nel 2013<br />

Fine anno 2012<br />

DIO STRAMALEDICA L'ITALIA!<br />

<strong>Terra</strong> di Meticci, <strong>Terra</strong> di Massoni, <strong>Terra</strong> di Mafiosi.<br />

DIO STRAMALEDICA GLI ITALIANI!<br />

Popolo di Meticci, Popolo di Massoni, Popolo di Mafiosi.<br />

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106<br />

Antisemitismo<br />

Non si può essere antisemiti senza disprezzare gli Italiani.<br />

L'Europa ha bisogno di un nuovo, più potente e completo, antisemitismo.<br />

Per antisemitismo si deve allora intendere l'opposizione all'insediamento e alla<br />

permanenza di Semiti, vale a dire di Ebrei e di Arabi, in Europa. Si deve cioè intendere<br />

l'opposizione alla componente estranea che vuole insediarsi stabilmente in<br />

Europa, con il fine di modificarne, in modo irreversibile, il sistema di vita. Questo<br />

è il principale nemico esterno dell'Europa. Ma l'Europa ha anche un nemico interno,<br />

e non meno pericoloso, rappresentato dal meticciato europeo, cioè dal meticciato<br />

collegato a quei popoli che, per quanto ritenuti, da molto tempo, "europei",<br />

sono invece, da sempre, estranei all'Europa e nemici dell'Europa. E questa<br />

estraneità deve essere rilevata adesso più che mai. Proprio ora è infatti il momento<br />

in cui l'Europa deve ritrovare le proprie origini. Origini che sono tutte disperse nel<br />

mito. Il mito è l'unica moneta in cui l'Europa può ritrovare la propria origine.<br />

Poiché l'Europa è la terra del mito. Bersaglio di questa ricerca deve essere il popolo<br />

Italiano, in quanto massimo rappresentante del meticciato insediato in Europa, e<br />

proprio di quel meticciato che si collega ai popoli semiti, a quei popoli ai quali gli<br />

Italiani somigliano così spudoratamente nel tipo fisico. Tipo fisico da sempre riconosciuto<br />

come non-europeo.<br />

Così gli Italiani dovrebbero essere scacciati dall'Europa, terra che non hanno<br />

nessun diritto di abitare. Ma l'unica terra dove gli Italiani hanno pieno diritto di<br />

abitare è un luogo dove nessuna terra può essere localizzata. Questo perché l'unico<br />

luogo dove gli Italiani hanno pieno diritto di abitare è il disprezzo universale.<br />

L'Europa alla razza bianca d'Europa.<br />

Italiani bastardi!<br />

Confessione<br />

ABB<br />

Anders Behring Breivik ha chiesto scusa ai nazionalisti per non essere riuscito<br />

ad ammazzare di più.<br />

Nessuna persona poteva portare a compimento una impresa del genere.<br />

La soppressione <strong>della</strong> degenerazione, anche degli elementi degenerati <strong>della</strong> propria<br />

razza, è qualcosa che va oltre le possibilità di un individuo.<br />

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107<br />

Ci vuole un governo che concretamente renda la terra inabitabile alle razze inferiori<br />

e un governo che, concretamente, metta a punto un piano di soppressione<br />

delle razze inferiori.<br />

Finché non ci sarà qualcosa del genere, le iniziative individuali saranno azioni<br />

confuse ed eclatanti, in cui l'autore dovrà chiedere scusa ai nazionalisti.<br />

Io parlo solo del meticcio italiano.<br />

Considerazione<br />

Una barzelletta<br />

– Cosa disse il Dio Pasticcere quando creò il primo Negro?<br />

– Non disse nulla! Fece una smorfia e lo mise da parte!<br />

– Ma cosa disse il Dio Pasticcere quando creò il primo Italiano?<br />

– Disse: «Madonna Partigiana! È il secondo che mi si brucia!»<br />

Europa<br />

Che l'Europa non abbia mai riconosciuto e fatto i conti il meticciato al suo interno,<br />

comporta che possa adesso tollerare il fatto che l'Europa non sia più la terra<br />

degli Europei.<br />

Se l'Europa, a partire dagli anni '50, avesse riconosciuto come elemento estraneo<br />

all'Europa e respinto – perché elemento estraneo all'Europa – il meticcio italiano,<br />

l'Europa non si troverebbe – adesso – a dover fare i conti con il Negro, con<br />

l'Arabo, con l'Indio.<br />

Europa indoeuropea<br />

Quando io dico che gli Italiani non sono un popolo europeo, intendo dire che<br />

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108<br />

gli Italiani non sono un popolo indoeuropeo – a tutti gli effetti. È sempre più vicino<br />

il tempo di abbandonare il concetto di "europeo" per ritrovare quello di indoeuropeo.<br />

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