Nordisk hedendom - Terra della sera
Nordisk hedendom - Terra della sera
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<strong>Nordisk</strong> <strong>hedendom</strong>
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In d i c e<br />
M A P P A D E L S I T O<br />
(pag. 7)<br />
F i l o s o f i a<br />
(pag. 10)<br />
L e t t e r a t u r a<br />
(pag. 32)<br />
M u s i c a<br />
(pag. 56)<br />
A n t r o p o l o g i a<br />
(pag. 66)<br />
E s t e t i c a<br />
(pag. 73)<br />
I d e o l o g i a<br />
(pag. 84)<br />
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6<br />
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7<br />
M A P PA D E L S I TO<br />
Mjöllnir<br />
Tracciato su una qualsiasi superficie, Mjöllnir – il nome del martello di Þórr – è<br />
segno benaugurante. In questo particolare caso, posto sulla soglia d'entrata del sito,<br />
ha la funzione di benvenuto. A Kiruna, molti anni fa, nella Lapponia svedese,<br />
mi è capitato di vederlo dipinto all'improvviso su di un muro, durante una notte<br />
di festa <strong>della</strong> tarda estate artica. La tarda estate artica ulula, suona affacciata tra le<br />
case sul mare; fiammeggia alle frange dell'ultimo mito. La forma qui utilizzata deriva<br />
da Altgermanische Religionsgeschichte di Jan de Vries.<br />
"<strong>Terra</strong> <strong>della</strong> <strong>sera</strong>"<br />
Il nome del sito rimanda invece alla questione <strong>della</strong> traduzione e delle lingue.<br />
Perché scegliere così scopertamente l'italiano? Ogni traduzione è una questione di<br />
rimbalzo. L'italiano è, tra tutte le lingue, quella più impoetica e fastidiosa: lingua<br />
sguaiata e piena di rumore. Lingua senza un popolo in cui parlare. Per odiarla, basterebbe<br />
il fatto che è la lingua di quel lugubre gruppo di massoni e assassini dal<br />
nome "Italiani". In tutto il suo essere questa lingua ha le caratteristiche di una lingua<br />
di meticci. Ma qui ha funzione di centro del vortice del mælstrøm <strong>della</strong> degenerazione.<br />
Il bello <strong>della</strong> degenerazione è che essa nulla risparmia. Fa fuori tutto.<br />
Ma tutto è allora occasione di un pensiero fruttuoso per l'indomani.<br />
"In cammino verso il concetto di arte degenerata"<br />
Il motto che segue ha infatti il compito di chiamare a una riflessione su ciò che<br />
è fondamentale nella nostra epoca: l'arte degenerata. Ma l'arte degenerata è presente<br />
solo perché esistono le razze degenerate. E l'intera questione <strong>della</strong> degenerazione<br />
è ciò che qui viene indicato come ciò che è da cominciare a pensare, qualunque<br />
cosa ne dica la nostra addomesticata modernità. Poiché niente si presenta allo<br />
sguardo di colui che si pone a guardare in quanto risultato di una degenerazione.<br />
I tre pulsanti<br />
I tre pulsanti hanno la funzione di minacciare nella bilancia la lingua italiana,<br />
minacciando la stessa cosa in un altro mondo. Ma le parole sono mantra, e un<br />
mantra è un ingorgo, un ingegno nella lingua, un inciampo di suoni e figure che<br />
non ha bisogno di alcuna traduzione esplicativa. È puro mandala fatto suono, così<br />
come un mantra è insieme una grande figura fonicizzata.<br />
Langhuset è l'antica casa dell'epoca vichinga. Al suo interno, il capo, lo höfðingi,<br />
si riuniva con la sua schiera di guerrieri e tra feste feroci preparava le incursioni<br />
stagionali. I testi raccolti hanno la funzione di una schiera di guerrieri pronti a disperdersi<br />
per creare irreversibili disastri.<br />
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8<br />
<strong>Nordisk</strong> <strong>hedendom</strong> è costituito da scorci di pensiero messi Nero su bianco per ulteriori<br />
approfondimenti ad opera di chiunque voglia farlo. La forma dipende da<br />
ciò che Nietzsche definiva con il termine "aforisma" (più di uno ne riprende letteralmente<br />
l'avvio). Anche la preoccupazione – sempre presente – per le sorti <strong>della</strong><br />
musica riporta agli aforismi di Nietzsche. Il nome è stato invece suggerito dal titolo<br />
di un libro di Folke Ström. Ho acquistato quel piccolo, chiaro volume, compatto<br />
nella sua carta pesante, a Visby, nell'isola di Gotland. In quella bellissima cittadina<br />
svedese si respira l'incanto di un medioevo germanico, un medioevo ben diverso<br />
da quello becero e puzzolente che si trova nella maledetta Italia, con il suo<br />
dantume e il suo cristume. Gro Steinsland, una studiosa norvegese, a proposito del<br />
termine "paganesimo" ha scritto: «Hedendom er en betegnelse vi godt kan bruke<br />
om den førkristne, nordiske religionen i Norden. Da kristendommen vant fotfeste<br />
rundt år 1000, kalte folk som selv var tilhengere av den gamle tro, sin egen<br />
religionsform for heiðinn dómr, <strong>hedendom</strong>. Ordet heiðinn, "hedensk", har vi ingen<br />
sikker forklaring på, kanskje betyr det "hjemlig". Det er rett og slett en betegnelse<br />
på det som den var nerdarvet religiøs tradisjon. Det lå derfor ikke noe nedsetende i<br />
begrepet, tvert imot. Det var en benevnelse på det kjente og kjære i motsetning til<br />
det nye som presset på fra alle kanter. I dag har derimot begrepene "hedning" og<br />
"hedenskap" fått en annen valør; det betegner bevisst avstandstagen til<br />
kristentroen.» È appunto questa doppia interpretazione che si accetta e si rilancia<br />
nell'uso del termine in quanto titolo.<br />
Utseende è uno sguardo che non guarda a partire da un fuoco da cui imparare a<br />
vedere, ma che riguarda i vortici che ogni testo fa affiorare. È quindi un fascio di<br />
luce che s'incanta attorno a fasci abbaglianti di un buio che si incomincia a intravedere.<br />
La fotografia<br />
La fotografia rimanda alla fine <strong>della</strong> <strong>Terra</strong> <strong>della</strong> <strong>sera</strong>, colta nei suoi valori estremi:<br />
sole di mezzanotte, notte polare. Sole Nero di Mezzanotte, Bianca Notte del<br />
Polo. Ma la fotografia, come sempre fa adesso ogni fotografia, rimanda al viaggio.<br />
Il viaggio è la vera inquietudine che coglie colui che non ha terra dove stare. Ma il<br />
viaggio è tutt'altro che semplice terra dove andare, come segna il moderno turismo.<br />
Questo perché il moderno turismo ha le sue radici nel tour, cioè nel giro che<br />
prevedeva l'Italia maledetta come uno dei punti di passaggio di quel beffardo tour.<br />
La maledetta Italia è punto di partenza per il viaggio che porta nella terra <strong>della</strong> razza<br />
bianca d'Europa su nel Nord, là dove la creazione divina risuona in pieno di<br />
tutti i suoi suoni di luce e di buio. Dio, infatti, ha creato il Sacro Nord manifestando<br />
in pieno la sua potenza. Eppure c'è un tempo in cui solo uno straniero può<br />
comprendere appieno la bellezza del Sacro Nord e ringraziare Dio per la bellezza di<br />
questo vertice <strong>della</strong> creazione. Questo è adesso ciò che solo uno straniero può essere<br />
chiamato a fare, andando e venendo, con l'ansia di un messaggero, tra la terra<br />
del Sacro Nord e le razze inferiori del sud dell'Europa.<br />
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Così il movimento qui delineato ricorda un moderato andamento circolare di<br />
avvicinamento e ripiegamento al centro. Se disegnato, si nota che questo movimento<br />
rovescia la particella giapponese no (の), poiché civiltà germanica e civiltà<br />
giapponese si corrispondono secondo una logica di movimenti agli antipodi, perché<br />
la <strong>Terra</strong> <strong>della</strong> Sera, al suo estremo inchinarsi prima di andare sotto, chiama la<br />
<strong>Terra</strong> del Sole che Sorge.<br />
Così il sito è stato aperto in segno di disprezzo verso il popolo italiano, ma –<br />
come nella Casa di un vero Capo vichingo – chiunque è benvenuto, amico o nemico.<br />
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Fi l o s ofia<br />
<strong>Terra</strong> dove andare<br />
Per Carl Schmitt (Il nomos <strong>della</strong> terra) la parola greca nomos comprende la prima<br />
misurazione <strong>della</strong> terra a seguito di una occupazione. C’è un collegamento che<br />
riguarda nomos e occupazione <strong>della</strong> terra. «L’anello di recinzione, la cinta formata<br />
da uomini, il Mannring, sono forme originarie <strong>della</strong> comunità di culto, giuridica e<br />
politica» (p. 65).<br />
Il greco nomos può essere accostato al verbo islandese nema. Cleasby-Vigfusson<br />
(An Icelandic-English Dictionary, s.v. nema) riporta anche: «in a lawful sense, nema<br />
land, to take possession of a land as a settler». landnám è «the taking land, a law<br />
term» (ibid.). Il derivato landnámamaðr indica l'uomo (maðr) che ha preso (rad.<br />
nema) la terra (land), attuando in essa il proprio insediamento.<br />
Un testo medioevale islandese si chiama Landnámabók: libro (bók) <strong>della</strong> presa<br />
<strong>della</strong> terra (landnáma), ed è un resoconto <strong>della</strong> presa <strong>della</strong> terra in Islanda. In questo<br />
testo si riportano diversi modi di prendere la terra. Ma il prendere la terra era<br />
allora un qualcosa legato a una scelta su cui l'individuo non esercitava scelta, fuorché<br />
la scelta di non esercitare scelta. Landnámabók: «Þá er Ingólfr sá Ísland, skaut<br />
hann fyrir borð öndugissúlum sínum til heilla; hann mælti svá fyrir, at hann skyldi<br />
þar byggja, er súlurnar kœmi á land.» (p. 42) [Quando Ingólfr vide l'Islanda, gettò<br />
fuori bordo i pilastri del suo seggio alto e disse che avrebbe costruito là dove i pilastri<br />
fossero arrivati a terra]. Scegliere la terra era dunque accettare un luogo verso il<br />
quale si era chiamati da una terra alla terra.<br />
Una terra presa era una terra protetta da spiriti guardiani, che potevano accettare<br />
o respingere o chiamare coloro che sfioravano la terra. Un vento divino veniva<br />
così a proteggere la terra. Questo è l'incanto fragile che collega antica storiografia<br />
scandinava e antica storiografia giapponese.<br />
Adesso si pensa alla terra solo come terra dove andare. Molti sono i modi di andare<br />
per la terra: andare per turismo, andare per sopravvivere, andare soltanto per<br />
abitare in un altro luogo <strong>della</strong> terra. Si vogliono difendere i diritti di coloro che<br />
vanno per la terra per sopravvivere. Si vuole accogliere in una terra che si sente<br />
come la propria. Dimenticando la cosa fondamentale: non è l'individuo a scegliere<br />
la terra dove abitare; ma la terra a chiamare il suo abitante.<br />
Libri sfiorati:<br />
C. Schmitt Il nomos <strong>della</strong> terra, Adelphi, Milano 1998.<br />
R. Cleasby, G. Vigfusson, W.A. Craigie An Icelandic-English Dictionary, Oxford University<br />
Press, Oxford 1986.<br />
Íslendingabók – Landnámabók, Íslenzk fornrit, Reykjavík 1986.<br />
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La storia sarà tutt'uno con l'arte di dimenticare<br />
Credo in una prossima, inevitabile e lunga era di barbarie nuove, di libertà e libera<br />
sfrenata fantasia. Una contaminazione fra giustizia e sopraffazione la caratterizzerà.<br />
Compito dell'uomo sarà sempre quello di essere testimone <strong>della</strong> bellezza<br />
del mondo e di ringraziare Dio per la bellezza del mondo. La poesia e la filosofia<br />
saranno sempre gli strumenti attraverso i quali l'uomo ringrazierà Dio per la bellezza<br />
del mondo. Ma esse non consisteranno altro che in un tessuto fitto di bestemmie<br />
e di irrisione del divino. Sarà l'epoca in cui ci si avvierà a pensare in un<br />
modo nuovo. Una cosa sarà due cose e una qualità sarà l'intero opposto di se stessa.<br />
I filosofi si meraviglieranno di come sia stato possibile elaborare tante diverse<br />
teorie del pensiero a partire da una cosa tanto astrusa quanto ciò che veniva chiamato<br />
il principio del terzo escluso. Nella vita quotidiana le vittime di questa nuova<br />
era saranno innumerevoli, ma cadranno in nome di un impulso al gioco e alla<br />
spensieratezza che avrà molto, in quanto a essere nel mondo, dell'innocenza del<br />
bambino. Nessun monumento le richiamerà mai. Non ci sarà nessun giorno <strong>della</strong><br />
memoria. La storia sarà tutt'uno con l'arte di dimenticare.<br />
Il gaucho di Borges<br />
Da qualche parte Borges fa l'ipotesi di un possibile personaggio consistente in<br />
un gaucho che ha letto Platone. I gauchos non leggono Platone, tuttavia, un singolo<br />
gaucho, per caso, potrebbe leggerlo e questo renderebbe plausibile un tale personaggio.<br />
Il testo in cui un tale personaggio potrebbe agire (racconto o romanzo) dovrebbe<br />
allora presentare il caso dell'unico gaucho che legge Platone.<br />
Una teoria basata sul realismo socialista chiederebbe ragione sulla necessità di<br />
creare un tale personaggio. "Se i gauchos non leggono Platone, perché immaginare<br />
un gaucho che legge Platone?" Il singolo gaucho che legge Platone non è un fatto<br />
tipico e, a peggiorare la situazione, ci sarebbe la constatazione che, dalla lettura di<br />
Platone, il singolo gaucho non otterrebbe nulla in quanto a coscienza di classe e<br />
nemmeno tale lettura inciderebbe sulla specifica lotta di classe portata avanti da<br />
tutti i gauchos.<br />
Un tale personaggio sarebbe ingombrante anche per una teoria estranea al realismo<br />
socialista. Ci sarebbe infatti da chiedersi come e perché questo benedetto gaucho<br />
legga Platone. Se il fatto di leggere Platone da parte di questo personaggio fosse<br />
appena importante, esso dovrebbe costituire il tema di tutto il romanzo o racconto<br />
che fosse, e tutti i dettagli <strong>della</strong> narrazione sarebbero in funzione di tale bislacca<br />
scelta. Esso dovrebbe quindi costituire il tema centrale <strong>della</strong> narrazione. Se<br />
questo fatto fosse invece liquidato in una sola riga, questa riga striderebbe talmente<br />
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con tutto il resto, che esso apparirebbe in funzione di quella riga, finendo così di<br />
nuovo per costituire il tema centrale <strong>della</strong> narrazione.<br />
Parafrasando il linguaggio <strong>della</strong> Gestalt, si potrebbe dire che siamo in presenza<br />
di una segregazione delle forme di tipo psicologico, cioè delle costanti psicologiche.<br />
Per risolvere la situazione bisogna pensare a una costruzione del personaggio<br />
non in base a una forza centripeta, inclusiva rispetto al personaggio, ma ad una<br />
forza centrifuga, elusiva rispetto al personaggio. Stabilito quindi il personaggio,<br />
consistente in un nome casuale, due serie sarebbero in questo caso possibili. Una<br />
serie farebbe capo alla variabile "gaucho", l'altra alla variabile "Platone" (infatti,<br />
questi elementi, non sarebbero altro che variabili). Entrambe le serie potrebbero<br />
espandersi in sottoserie, e una serie dovrebbe riguardare la narrazione (romanzo o<br />
racconto che sia). Ma in nessun caso le serie potrebbero finire per ricongiungersi<br />
nella stabilità di un personaggio. Il personaggio sarebbe solo il casuale punto di fuga<br />
di serie che non si ricongiungono. Nemmeno il nome lo determinerebbe in<br />
modo univoco. Il nome sarebbe una serie inglobante serie di nomi possibili e di<br />
tutti i nomi <strong>della</strong> storia. Questo perché quando un nome è solo un caso, allora ogni<br />
nome è tutti i nomi <strong>della</strong> storia.<br />
Gli elementi ci sono tutti: il gaucho da una parte e Platone dall'altra. Manca l'elemento<br />
impossibile: che solo un gaucho, tra tutti i gauchos <strong>della</strong> terra, legga Platone.<br />
Totalità<br />
Manca uno studio relativo su come l'istituzione <strong>della</strong> città abbia modificato il<br />
comportamento degli esseri viventi. In mancanza di un testo base ci si può riferire<br />
ad alcuni libri che affrontano la questione da diverse angolature.<br />
Il modo migliore per fissare una possibile bibliografia è indicare quei libri che<br />
hanno trasmesso lo stupore che di colpo si è avvertito quando ci si è resi conto di<br />
trovarsi a vivere in una città. Cioè in un qualcosa di diverso da ciò che caratterizzava<br />
i precedenti insediamenti umani.<br />
Infatti è proprio questo da affrontare prima di tutto.<br />
La situazione <strong>della</strong> classe operaia in Inghilterra di Engels è forse il testo che maggiormente<br />
trasmette questo stupore, ormai a noi tolto.<br />
I «passages» di Parigi di Benjamin è un testo che collega "città" e "modernità".<br />
Di nuovo, due concetti che stentano a suonare nelle loro rispettive dissonanti novità.<br />
Agostino, il "mediocre meticcio africano", secondo la geniale definizione di<br />
Rosenberg, nella Città di Dio apre a una considerazione diversa <strong>della</strong> città. Qui<br />
l'analisi parte dallo scontro fra due città: la Gerusalemme celeste e la Gerusalemme<br />
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terrena. L'abitante <strong>della</strong> città terrena può solo dimostrarsi insofferente nel rapporto<br />
con quella celeste. Ma in lui non può esserci nessuno stupore.<br />
Nel Tramonto dell'Occidente Spengler confronta invece diverse città in senso<br />
verticale, cioè scendendo nel tempo, a partire dall'idea del tramonto <strong>della</strong> <strong>Terra</strong><br />
<strong>della</strong> Sera. Roma e Baghdad vengono così a suonare insieme, cioè a consonare.<br />
Il concetto di città è un concetto semita, prima di tutto; mediterraneo, in un<br />
secondo tempo. Ma sempre uguale.<br />
Alla città semita bisogna contrapporre la casa indoeuropea. Il libro di riferimento<br />
è, forse ancora adesso, La casa degli Indeuropei di Giangabriella Buti (Firenze,<br />
Sansoni 1962). Non città, ma casa. Spengler ha notato l'espansione urbanistica di<br />
Roma in senso verticale. La casa tende a sparire, in lontananza c'è già il palazzo<br />
(Monteverdi, Basile, ecc.).<br />
L'Europa non ha mai conosciuto in origine qualcosa come una città. Il più antico<br />
insediamento europeo è quello di fattorie isolate, non di grandi città. La grande<br />
città è un artificio che collega Bibbia, Corano, Mille e una notte, la filosofia del<br />
mediocre meticcio africano Agostino e la poesia di Roma "città eterna". Ma la città<br />
è estranea alla natura dell'Europa. In quei testi la città si espande sempre in verticale.<br />
Come torri. Minaccia il cielo. Lo assorda con lo schiamazzo dei suoi abitanti<br />
sempre più litigiosi e numerosi. Sauron e Babele. Sempre bersaglio di un dio tiranno,<br />
che le abbatte per manifestare il suo potere criminale.<br />
Lo stupore di colui che cammina nelle città moderne con disagio è lo stupore<br />
del Viandante d'Europa. Che annulla la città, che sa che attraversare l'Europa è<br />
camminare nella terra la cui terra non è più la terra degli Europei. Attraversare la<br />
strada di una città è allora compiere un viaggio, secondo l'avvertimento di Henry<br />
Miller.<br />
L'etologia dimostra come la città modifichi il comportamento di alcuni animali<br />
prima solo selvatici, ora parzialmente inglobati nella città. Piccoli animali che prima<br />
<strong>della</strong> costruzione delle città non si avvicinavano agli insediamenti umani.<br />
Baudelaire presenta il caso di una poesia all'interno di una città nella quale la<br />
poesia viene cercata, costi quel che costi, a tutti i costi, dal soggetto errante. Da<br />
qui il tema del flâneur.<br />
Così il poeta e l'animale sono adesso gli abitanti ai quali è dato muoversi come<br />
estranei nella città.<br />
Il cinema, in quanto degenerazione dell'arte del romanzo, presenta il fascino di<br />
città pericolose e misteriose. E in questo il cinema si risolve. Fascino scandito da<br />
ritmi musicali negroidi, negrosuadenti; ma, secondo l'estetica moderna, proprio<br />
per questo degno di giungere alla rappresentazione. Northrop Frye vedeva nella<br />
pubblicità l'ironia che permette di accogliere il prodotto finale a scanso di qualsiasi<br />
sconcio critico.<br />
Solo il poeta può vedere la bellezza unica di una lontana città che nessuno conosce.<br />
Ammantata sui monti ai lati di un mare freddo e senza movimento. Solo il<br />
poeta può scrivere la lode in onore degli dei. Solo l'uomo è il testimone <strong>della</strong> bellezza<br />
del mondo. Solo il poeta riconosce nel mondo il ritorno degli dei. Ma il poe-<br />
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ta da solo non salva il mondo.<br />
L'animale che si avvicina all'uomo salva il mistero del mondo. Il poeta scrive<br />
parole che hanno forma e suoni di animali. Quello che il poeta fa è il mistero del<br />
mondo. Quello che chiama il poeta è il grande dolore del mondo.<br />
Fragile è la possibilità del poeta. Senza fragilità il mondo sarebbe triste, lento e<br />
solitario nel mese che termina la serie di dodici.<br />
Andare per il mondo<br />
Andare per il mondo è un'arte che turismo, relazioni commerciali e culturali tra<br />
i vari paesi del mondo insidiano.<br />
Occorre soprattutto recuperare il significato originario dell'andare per il mondo,<br />
quasi il suo archetipo.<br />
Colui che si mette in viaggio lo fa per mostrare l'esistenza <strong>della</strong> terra del sacro.<br />
Sa che la terra dove è nato è la terra <strong>della</strong> irrisione del sacro.<br />
Andare per il mondo non prevede l'uso di una lingua straniera né di allacciare<br />
relazioni tra uomini e donne diversi.<br />
Andare per il mondo è un'arte del silenzio e del non apparire.<br />
Colui che si fa viandante nel mondo non usa la lingua per comunicare.<br />
Egli rigetta la propria lingua perché lingua composta di soli segnali e cerca la<br />
lingua in quanto lingua del sacro.<br />
Il suo rudimentale uso <strong>della</strong> lingua ha così adesso il solo scopo di ricordare l'esistenza<br />
<strong>della</strong> lingua del sacro.<br />
Se andare per il mondo è per il Viandante d'Europa muoversi in cammino verso<br />
la <strong>Terra</strong> del Sacro, e se la terra del sacro è creata solo dall'azione di movimento<br />
del Viandante d'Europa, ne consegue che la terra dalla quale il Viandante d'Europa<br />
parte per ricreare nella propria epoca la <strong>Terra</strong> del Sacro, è la terra che ha condannato<br />
l'esistenza <strong>della</strong> terra del sacro.<br />
La timidezza delle parole<br />
La questione dell'olocausto non si pone. Il revisionismo ha avuto il merito di<br />
dare una scrollata alla questione, ma sembra ossessionato dalla priorità di assolvere<br />
il nazismo.<br />
La questione dell'olocausto deve semmai essere impostata da un punto di vista<br />
completamente diverso. Questo punto di vista deve essere appunto, una volta di<br />
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più, ciò che elimina il punto di vista.<br />
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Anche con la parola "razzismo" è la stessa cosa. Spesso si sente accusare di razzismo<br />
gruppi che storicamente sono stati vittima del razzismo. (Succede in Sudafrica<br />
dopo la fine dell'apartheid.) Ma questo è un cattivo uso del termine "razzismo" assunto<br />
solo in quanto parola. Vale a dire in una dimensione puramente di cronaca<br />
giornalistica. Si è spesso più timidi con le parole che con le persone. In realtà, il<br />
razzismo è una corrente filosofica e antropologica che concerne la razza bianca. La<br />
sua messa in gioco globalizzata non può essere passata di mano in mano come una<br />
moneta, cioè come una "parola" divenuta valore di scambio valido solo per convalidare<br />
un disvalore.<br />
È appunto questo aspetto che riguarda anche l'olocausto.<br />
Adorno, elementi di antisemitismo<br />
Elementi dell'antisemitismo è il titolo <strong>della</strong> sezione settima di Dialettica dell'Illuminismo<br />
di Horkheimer e Adorno. Il sottotitolo è: “Limiti dell’illuminismo”. La<br />
sezione è divisa in sette paragrafi numerati.<br />
Tale sezione costituisce un punto fondamentale <strong>della</strong> Dialettica dell'Illuminismo.<br />
E, indirettamente, ha lo scopo di contribuire alla creazione di una tipologia.<br />
L'antisemitismo è in essa analizzato nell'ambito del nazismo.<br />
Questa tipologia è ciò che si potrebbe definire come la tipologia dell'antiantisemita:<br />
colui che, per disposizione naturale, si oppone naturalmente all'antisemitismo.<br />
Ma proprio questo tipo ha una sua fondazione. Che anche in un autore<br />
come Adorno presenta una impronta grossolana e truffaldina.<br />
Ma il nazismo è proprio ciò che adesso deve essere ripensato. Dire che il nazismo<br />
è ciò che adesso deve essere ripensato è dire che il nazismo è ciò che adesso<br />
deve essere proprio pensato.<br />
La definizione del nazismo come "politica da birreria" contribuisce a creare<br />
quell'equivoco di personaggio, rappresentazione, modernità che l'atto di pensare,<br />
adesso, dovrebbe fare a meno di considerare.<br />
Tanto il liberalismo quanto il nazismo proiettano nell’ebreo il lato oscuro delle<br />
rispettive forme sociali (p. 188); il liberale vede nell’ebreo il fondo di rapina su cui<br />
si basa il capitale; il nazista l’aspetto violento e barbarico. L’ebreo diventa così il ladro<br />
(tesi liberale) e il barbaro primitivo (tesi nazista).<br />
Il cristianesimo si sviluppa dall’ebraismo, spiritualizzando il dio dèmone ancora<br />
evidente nel vecchio testamento. A poco a poco, tale religione nega se stessa come<br />
religione [tesi <strong>della</strong> teologia negativa, a p. 193 si cita Barth dopo Pascal, Lessing e<br />
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16<br />
Kierkegaard], poiché elimina l’aspetto naturale, di cui il dio ebraico era ancora<br />
portatore. Il cristiano è adesso colui che realizza la religione del Figlio, ma vede in<br />
quella del Padre un pericolo e insieme una nostalgia: il pericolo rappresentato dalla<br />
natura da cui egli si è staccato [notare il meccanismo di “dialettica<br />
dell’illuminismo”]. Essendo la religione del Padre l’ebraismo, si ha in questo meccanismo<br />
l’origine dell’antisemitismo (paragrafo IV).<br />
L’antisemitismo fa appello alla idiosincrasia. In apertura del paragrafo V si cita<br />
dal Siegfried: «“Non ti posso soffrire – Non scordartene così facilmente”, dice Sigfrido<br />
a Mime, che aspira al suo amore.» (p. 194) [Si vuole suggerire che<br />
l’antisemita cerchi l’amore degli ebrei?]. [Bisogna comprendere come i detrattori<br />
dell’antisemitismo costruiscano la loro logica. È possibile ottenere un sistema di<br />
tutte queste logiche, aberranti e possibili? Che cosa rivelerebbe una psicoanalisi di<br />
colui che si oppone all’antisemitismo? È possibile una psicoanalisi di questo genere?<br />
Notare come Dialettica dell’illuminismo tenda a sfociare insensibilmente nella<br />
psicoanalisi; più precisamente nella psicoanalisi dell’antisemita. È possibile un movimento<br />
opposto?] Nella idiosincrasia i singoli organi tornano a sottrarsi al controllo<br />
del soggetto (p. 194) [In Odisseo si era visto questo controllo come ancora<br />
in formazione.]. A p. 195 la separazione dalla natura è rintracciata in un insieme<br />
che comporta attori, zingari, divieto religioso delle immagini, pedagogia che insegna<br />
ai bambini a non essere puerili. Ma l’identità si instaura solo attraverso il terrore<br />
(p. 195). [La rappresentazione che gli Autori fanno del nazismo è la stessa che<br />
essi denunciano nel cinema: stereotipi, formule idiote, ripetizioni ebeti, catatonia.]<br />
Nella profanazione dei cimiteri risiede l’antisemitismo in quanto voglia di scacciare,<br />
di impedire una sosta a colui che deve solo migrare (pp. 197-8). [Notare questo:<br />
Gli antisemiti hanno una specie di coazione a ripetere:] «Essi non possono soffrire<br />
l’ebreo, e lo imitano continuamente.» (p. 198): Hitler gesticola come un<br />
clown, Mussolini azzarda toni in falsetto come un tenore di provincia, Goebbels<br />
parla velocemente come un agente di commercio ebreo (p. 199). Le fantasie razziste<br />
dei delitti attribuiti agli Ebrei definiscono esattamente il sogno degli antisemiti<br />
(p. 200). «La civiltà è la vittoria <strong>della</strong> società sulla natura che trasforma tutto in<br />
nuova natura.» (p. 200). [Questo è una specie di motto <strong>della</strong> Dialettica<br />
dell’illuminismo.]<br />
Nella percezione non alterata dall’antisemitismo, il soggetto riflette l’oggetto esterno,<br />
lo ha nella propria coscienza ma sa di avere a che fare con qualcosa di esterno.<br />
L’antisemitismo interrompe questa riflessione: l’oggetto non è più riconosciuto<br />
come tale e il soggetto cessa di riflettere su di sé, perdendo così la capacità<br />
<strong>della</strong> differenza (p. 204). [Notare: tutte le argomentazioni sembrano raccogliersi in<br />
questa sezione, che ha la funzione di delineare una psicoanalisi – quasi lacaniana,<br />
basata sul rapporto soggetto-oggetto – dell’antisemita. I “frammenti filosofici” rivelano<br />
così la loro vera natura: appunti parziali per il ritratto complessivo di un<br />
demone. L’antisemita è l’unico vero demone che questa epoca laica e democratica<br />
possa dipingere sul muro.] Questo meccanismo comporta la fissità paranoica, con<br />
sfumature omosessuali, che caratterizza l’antisemita. Il paranoico realizza oggi<br />
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17<br />
quello che nel Medioevo era riservato alla mitologia del diavolo (p. 211).<br />
Il paragrafo VII spiega come l’antisemitismo bonario del liberalismo sia sfociato<br />
nell’antisemitismo in grado di uccidere. «Nella politica da birreria degli antisemiti<br />
si rivelava la falsità del liberalismo tedesco, di cui essa viveva e che finì poi per uccidere.»<br />
(p. 215). [Nel Mein Kampf il ruolo <strong>della</strong> Hofbräuhaus è ben diverso da<br />
quello ricordato qui: «All’epoca, il salone <strong>della</strong> Hofbräuhaus, a Monaco, per noi<br />
nazional-socialisti acquisì un’importanza quasi mistica», si legge nel Mein Kampf a<br />
proposito del primo grande raduno del 24 febbraio 1920.] La complessa economia<br />
moderna nega l’individuo; realizzando così la dialettica dell’illuminismo. «La dialettica<br />
dell’illuminismo si rovescia oggettivamente in follia.» (p. 219). Il mondo si<br />
avvia verso la globalizzazione. In questo clima di annullamento dell’individuo,<br />
prende il via lo sterminio degli Ebrei (p. 221).<br />
M. Horkheimer, Th.W. Adorno, Dialettica dell'Illuminismo, Einaudi, Torino 1997.<br />
Il Mein Kampf di Adolf Hitler, a cura di Giorgio Galli, Kaos edizioni, Milano 2006, p. 369.<br />
Fontane nella notte<br />
Zarathustra, II, Il canto <strong>della</strong> notte S. Giametta (Commento allo “Zarathustra”,<br />
Bruno Mondadori, Milano 1996, pp. 99-100) fa notare come questa lirica, composta<br />
a Roma, abbia così poco di atmosfera italiana. Le fontane citate da Nietzsche<br />
hanno il riscontro reale nella fontana del Tritone di piazza Barberini, dove si trovava<br />
la casa di un amico di Nietzsche. Il senso sacro <strong>della</strong> notte non ha posto in una<br />
città come Roma. Questo non avere spazio da parte del sacro in una città come<br />
Roma riguarda sia la Roma classica, sia quella moderna. Ma che Roma era quella<br />
visitata da Nietzsche? Si può mai dire che Nietzsche sia mai stato a Roma? (Queste<br />
considerazioni sono importantissime per la definizione di un passaggio attraverso<br />
le città, quel passaggio che adesso è ritenuto dal termine “turismo”.) La fontana<br />
<strong>della</strong> lirica non è l'artefatto fatto dalla mano dell'uomo allo scopo di abbellire un<br />
giardino o una città. La lirica parla di un'ora sacra in una notte sacra, che rende<br />
particolarmente sacre le sorgenti. Per conoscere queste ore sacre Nietzsche ha dovuto<br />
abbandonare la terra in cui è stata la sua origine. La terra che ha avuto<br />
l’origine del pensatore Nietzsche è una delle terre dell’origine <strong>della</strong> razza germanica.<br />
Ma Nietzsche ha dovuto andare al di là dei confini che limitavano questa terra.<br />
Il Sud conosciuto da Nietzsche non è il Sud nel quale la razza informe del Sud ha<br />
avuto una delle sue origini. Il Sud visitato da Nietzsche era in realtà il Nord <strong>della</strong><br />
terra dell’origine del pensatore Nietzsche, che era ciò che poteva essere raggiunto<br />
dopo un abbandono <strong>della</strong> terra dell’origine a favore di una terra nella quale si identificava<br />
il luogo di un proficuo soggiorno. Per colui che oggi legge i testi di<br />
Nietzsche la terra meridionale che ha visto l’occasionale soggiorno di Nietzsche è<br />
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18<br />
la terra in cui Nietzsche ha potuto dire la verità <strong>della</strong> terra dell’origine <strong>della</strong> razza<br />
del Nord. Questa terra è la terra che permette di circondare il filosofo del Nord<br />
che soggiorna nel Sud con la terra del sacro Nord, che non è la terra che ha visto<br />
l’origine del filosofo Nietzsche nel tempo in cui egli ha dovuto abbandonare questa<br />
terra. La razza germanica conoscerà queste notti (p. es. la notte di mezza estate),<br />
capaci di rendere ancora più sacre e distruttive, per chi le cerca, le sorgenti e lo<br />
spazio isolato nel quale esse sorgono. Per il filosofo tedesco <strong>della</strong> fine <strong>della</strong> metafisica<br />
(cioè <strong>della</strong> fine <strong>della</strong> filosofia e <strong>della</strong> civiltà greca, latina, ebraica) il paesaggio<br />
germanico è un destino. Egli può cercare il Sud attraverso un passaggio, ma quello<br />
che trova è sempre il paesaggio del Nord. Quando Nietzsche scrive: "… tutte le<br />
fontane cantano ora più forte…" non importa che egli si trovasse vicino alla fontana<br />
del Tritone a Roma. È la foresta e la sorgente germanica che sorgono in queste<br />
parole messe insieme, ed è la Germania che sorge in una foresta <strong>della</strong> notte. Uno<br />
studioso può far sapere che Nietzsche si trovava ospite del tale pittore svizzero, che<br />
abitava appunto in quella piazza, ma in quelle parole c'è tutto il mondo germanico<br />
e Roma non c'è più. Qui si contrappongono "foresta" e "giardino", fattoria e città,<br />
sacro e monumento.<br />
M. Lutero, Discorsi a tavola, Giulio Einaudi Editore, Torino 1999, p. 289: «L'aria<br />
notturna in Italia è malsana. Il 14 novembre parlavano molto <strong>della</strong> qualità<br />
dell'aria in Italia e dicevano che era sottilissima, cosicché la notte gli abitanti chiudevano<br />
tutte le finestre e le aperture, perché l'aria notturna era malsana.»<br />
Il sentiero del Nord<br />
Per tornare nella sua caverna, Zarathustra giunge davanti alla porta <strong>della</strong> «grande<br />
città». Il pazzo chiamato dal popolo la «scimmia di Zarathustra» gli sbarra la<br />
strada e inveisce contro la città. Zarathustra passa oltre la grande città, senza dare<br />
troppa importanza alle invettive del pazzo. Che cosa vuole dire tutto questo? Perché<br />
Zarathustra non inveisce contro la grande città, mentre le invettive contro la<br />
grande città sono lanciate dal pazzo che il popolo definisce la «scimmia di Zarathustra»?<br />
Perché la grande città è quel destino <strong>della</strong> modernità contro il quale le<br />
invettive sono inutili, perché le invettive fanno ancora parte di quell’insieme che<br />
ha portato alla costruzione delle grandi città. Il pazzo rappresenta l’atteggiamento<br />
di rottura attiva nei confronti <strong>della</strong> modernità, cioè quell’atteggiamento che combatte<br />
la modernità all’interno delle strutture che costituiscono la modernità. La<br />
posizione di Zarathustra è più complessa, perché intravede un tempo nel quale<br />
tutti i rapporti saranno diversi. La diversità di questo tempo riguarderà anche la<br />
vicinanza che nella modernità è rappresentata solo dalla grande città. Il popolo de-<br />
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19<br />
finisce il pazzo «scimmia di Zarathustra» perché ne intuisce la somiglianza con le<br />
idee di Zarathustra, e nello stesso tempo ne intuisce la differenza, per cui il pazzo<br />
che scimmiotta Zarathustra è solo la scimmia di Zarathustra. La grande città è la<br />
grande città europea dell’epoca di Nietzsche: Parigi (la Parigi di Balzac, di Baudelaire),<br />
Berlino (come indica Sossio Giametta nel suo commento allo Zarathustra).<br />
Il pazzo furioso rappresenta i poeti che hanno creato il mito poetico e letterario<br />
<strong>della</strong> grande città (Balzac, Baudelaire, Benjamin e prima di tutti Agostino, il «mediocre<br />
meticcio africano» cantore <strong>della</strong> grande città di Dio e pazzo furioso verso<br />
Roma); la città è la creazione <strong>della</strong> razza del Sud, ma Zarathustra è ormai sul sentiero<br />
del Nord. La grande città del Sud è infatti il sentiero del Nord nel pensiero che<br />
è il pensiero dell’eterno ritorno. Zarathustra passa oltre la grande città perché non<br />
vuole diventare un pazzo furioso, perché sa che la posizione del pazzo furioso è inconcludente;<br />
e sceglie di rimanere in provincia per pensare fino in fondo il suo<br />
pensiero.<br />
Il tempo di Zarathustra<br />
“Ma che vale un tempo che ‘non ha tempo’ per Zarathustra?”.<br />
Questo tempo è prima di tutto un tempo che rimanda a una seconda fase. La<br />
citazione completa suona infatti: «"Non abbiamo ancora tempo per Zarathustra" –<br />
questa è la loro obiezione. Ma che vale un tempo che "non ha tempo" per Zarathustra?»<br />
Questo tempo è un tempo che non ha tempo. Per quale cosa questo<br />
tempo è un tempo che non ha tempo? Se non ci fosse questo stare nel tempo per<br />
non avere tempo, questo tempo non sarebbe un tempo. Ma questo tempo è un<br />
tempo solo se ci si pone una domanda. Questa domanda è: "Che tempo è un tempo<br />
che non ha tempo per Zarathustra?" Questo tempo è il tempo nel quale non si<br />
riconosce il carattere indoeuropeo di Zarathustra; ma è anche il tempo nel quale<br />
l'iranico Zarathustra compare metà greco e metà profeta ebraico: è un tempo nel<br />
quale Zarathustra non ha più tempo per avere tempo.<br />
La domanda: «Ma che vale un tempo che "non ha tempo" per Zarathustra?» è<br />
però una domanda sul tempo. Essa, infatti, prevede e rimanda a un diverso tipo di<br />
tempo.<br />
Questa domanda suona come: "Che tempo è un tempo che non ha tempo per<br />
Zarathustra?" Modulata così, la domanda rivela il suo annidamento nelle questioni<br />
del tempo.<br />
C'è un tempo che non prevede Zarathustra, e un tempo nel quale Zarathustra<br />
irrompe come richiamo a un tempo diverso.<br />
"Non avere tempo per Zarathustra" vuole dire non essere distratti nei propri<br />
progetti nel tempo da un progetto estraneo, che sottrae tempo al compimento di<br />
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20<br />
un progetto. E il compimento di questo progetto esclude Zarathustra.<br />
Il tempo di Zarathustra è la fine del concetto comune di tempo. Questo concetto<br />
comune di tempo è il tempo che ha nel contare "fino al compimento di un<br />
certo tempo" la sua propria natura, secondo la formula di Agostino. Quindi è un<br />
tempo che prevede dei progetti e si manifesta soprattutto nell'arco di un progetto.<br />
Progetti contemplati lontani nel passato (nella prospettiva del tempo percorso e<br />
del progetto completato; ciò che il soggetto ha realizzato) o lanciati lontano nel futuro<br />
(come progetti a venire; ciò che il soggetto deve ancora realizzare). Il progetto<br />
è sempre un incontro con una meta da parte di un soggetto. Al contrario, Zarathustra<br />
non affolla il tempo di progetti. Quindi questo nuovo tempo per il quale<br />
non si ha tempo sarebbe non un semplice accantonare nel tempo, quanto una possibilità<br />
di uccidere il tempo.<br />
Le Confessioni di Agostino contengono riflessioni basilari sul tempo. Ma da che<br />
cosa deriva questo aspetto di base, cioè di fondamento? Le riflessioni sul tempo di<br />
Agostino occupano parte del Libro XI, ma tutta l'opera può essere divisa in due<br />
grandi parti: una prima parte, che può essere definita L'andare per il mondo (Libro<br />
I-IX); una seconda parte, che si potrebbe definire Teoria del soggetto (Libro X-<br />
XIII). Comune a entrambe è il disegno divino che Agostino riconosce nei confronti<br />
di se stesso in quanto soggetto, e quindi la possibilità di raccontare la propria<br />
storia come movimento verso una meta, verso la quale "si" tendeva anche<br />
quando ancora non se ne aveva coscienza alcuna, come Agostino riconosce quando<br />
racconta il periodo del proprio paganesimo. Infatti le Confessioni possono essere<br />
considerate il primo esempio di Bildungsroman. In questo si mostra la verità tanto<br />
quanto in essa tutto è falso come un libro. Ma dalla possibilità di diventare "falso<br />
come un libro" saranno chiamati a uscire, alla fine dell'epoca <strong>della</strong> metafisica, coloro<br />
che collegheranno romanzo e racconto autobiografico, Hamsun e Henry Miller,<br />
per esempio.<br />
Se Zarathustra libera l'ente dalla necessità del divenire, allora Zarathustra deve<br />
anche liberare il tempo dalla necessità dell'annidare in sé progetti.<br />
Ma quando il tempo sarà solo patrimonio di tempo, allora il tempo sarà qualcosa<br />
di falso e segreto, perché il poeta è il patrimonio del silenzio.<br />
F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, in Opere di Friedrich Nietzsche, volume VI, tomo I, Adelphi,<br />
Milano 1973, p. 204.<br />
Il senso <strong>della</strong> terra<br />
Coloro che abitano un mondo dietro il mondo sono, in tedesco, gli Hinterweltler (il titolo di questo<br />
terzo discorso suona in originale: Von den Hinterweltlern). Ma gli Hinterweltler sono, in italiano,<br />
coloro che abitano un mondo dietro il mondo solo se si tiene presente che il termine è ricalcato<br />
su Hinterwäldler. Gli Hinterwäldler sono coloro che abitano dietro i boschi, cioè al di là di essi,<br />
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21<br />
dalla parte che non comunica con la civiltà, faccia non illuminata <strong>della</strong> luna. Sono uomini primitivi,<br />
zotici, che vivono "fuori del mondo", una vita solitaria e bestiale.<br />
S. Giametta, Commento allo "Zarathustra", Bruno Mondadori, Milano 1996, pp. 21-2.<br />
Il bosco germanico è diverso da quello latino. Pensare al bosco delle fiabe. Nelle<br />
fiabe dei Grimm il bosco è vicino alle case. In Basile il bosco esiste solo nella forma<br />
di un giardino attorno al palazzo dove vive l'orco come un qualsiasi altro abitante<br />
<strong>della</strong> città. Ogni filosofia costituisce un rapporto tra le parole di una lingua e i<br />
concetti che essa formula a partire da quella lingua. La lingua tedesca crea un termine<br />
per indicare ciò che vive aldilà <strong>della</strong> civiltà, e questo termine è appunto ciò<br />
che la filosofia, a un certo punto, deve modificare per segnare una frattura con la<br />
filosofia ad essa precedente. La civiltà latina parla più genericamente di “mondo”.<br />
La civiltà germanica parte dalla terra; e dalla terra dove c’è il bosco, che divide diverse<br />
terre. La civiltà latina crea un vocabolario filosofico che ignora tutto ciò che è<br />
del Nord, perché per essa il mondo germanico poteva esistere solo in quanto terreno<br />
di una conquista. La civiltà germanica crea un vocabolario che si oppone al<br />
mondo del Sud, perché ormai, a partire da Nietzsche, creare un nuovo vocabolario<br />
filosofico vuole dire opporsi alla civiltà latina: «Più onesto e puro parla il corpo sano,<br />
nella sua perfezione tetragona: ed esso parla del senso <strong>della</strong> terra.» (F. Nietzsche,<br />
Così parlò Zarathustra, in Opere di Friedrich Nietzsche, volume VI, tomo I,<br />
Adelphi, Milano 1973, p. 33.)<br />
La metafisica è intessuta di pensiero giudaico-cristiano, che a sua volta è un tessuto<br />
<strong>della</strong> terra del sud. Questa è la tessitura inconsapevole <strong>della</strong> filosofia occidentale<br />
dalla quale essa origina i propri concetti, che solo in apparenza sono slegati da<br />
una terra, relativi soltanto a un mondo dello spirito, ma che in realtà sono collegati<br />
a un mondo di una terra precisa. Un mondo che vedeva un mondo dietro il mondo.<br />
L'espressione "fine <strong>della</strong> metafisica" smaschera questa larva di mondo opponendogli<br />
un altro mondo, quello germanico, ma evitando appunto il salto <strong>della</strong><br />
messa in maschera. Nominando, prima di tutto. Non corpo e anima, quindi, ma<br />
corpo e terra.<br />
La filosofia non ha mai parlato <strong>della</strong> terra, ma parlare <strong>della</strong> terra è appunto il<br />
nuovo compito che attende la filosofia.<br />
Il tema è indirettamente presente in Perché restiamo in provincia? di Heidegger.<br />
La filosofia, si fa lì notare, può nascere solo da quel preciso e ristretto ambiente:<br />
dai discorsi con i contadini, dagli animali che accompagnano il lavoro dei contadini,<br />
dalle tempeste improvvise di neve che sorprendono il lavoro del filosofo. È<br />
una filosofia che deve nascere da altre parole. Tutto questo non determina solo l'ora<br />
<strong>della</strong> filosofia, ma l'era diversa dove il pensiero e il suo vocabolario devono infine<br />
arrivare.<br />
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22<br />
Oltre la Grecia<br />
Un pensiero nuovo, in grado di abbandonare, finalmente, le odiate sponde del<br />
levantino sud d'Europa, è diverse volte sembrato vicino. È accaduto con Nietzsche,<br />
poi con Heidegger, e ancora con Dumézil. Ma non è mai stata affrontata la questione<br />
fino in fondo: e allora il pensiero, come un animale fin troppo domestico, è<br />
tornato a raggomitolarsi nel suo nido di parole del sud dell'Europa.<br />
"Affrontare la questione fino in fondo" vuole qui dire andare oltre un pensiero<br />
che vede nella Grecia la sua giusta e inevitabile origine.<br />
Heidegger è importante anche per le possibilità di pensiero che apre oltre la<br />
Grecia (come poi Dumézil); ma perché, nel suo pensiero, tutto si chiude sempre<br />
intorno alla Grecia (come anche avviene in Dumézil)?<br />
Con l'espressione "possibilità di un pensiero oltre la Grecia" si intende una possibilità<br />
riservata al pensiero occidentale tale da poter esercitarsi al di fuori di ciò<br />
che è stato il pensiero greco. Ma al di fuori <strong>della</strong> Grecia, per come l'Europa è stata<br />
stabilita prima ancora che si potesse parlare di Europa, c'è la Germania. Intendendo<br />
con "Germania" quella parte dell'attuale Europa che Roma ha cercato di sottomettere<br />
e che solo con la "battaglia di Arminio" si è svincolata parzialmente da<br />
questo dominio. Vale a dire: la civiltà germanica.<br />
Una prima considerazione può essere fatta a proposito <strong>della</strong> Allocuzione per la<br />
cerimonia del solstizio d’estate (24 giugno 1933) di Heidegger.<br />
Che cosa dice Heidegger in questo discorso? «I giorni declinano», e lo ripete tre<br />
volte in un testo brevissimo. Dopo il solstizio d’estate le giornate si accorciano. Gli<br />
Indoeuropei celebravano i solstizi: quello gioioso d’inverno (gioioso perché, pur<br />
nel buio delle giornate, si riconosceva il ritorno <strong>della</strong> nuova luce), quello malinconico<br />
dell’estate (perché nella piena luce si riconosceva il punto massimo raggiunto,<br />
oltre il quale c’era solo discesa). Heidegger riconosce un fatto comune al gruppo<br />
indoeuropeo. Ma l’epoca del solstizio d’inverno è la notte senza dèi in cui avviene<br />
l’annuncio dei nuovi dèi. Che è quello che viene trovato nella poesia di Hölderlin.<br />
Cristiano Grottanelli ha tracciato delle corrispondenze tra il Discorso di Rettorato<br />
di Heidegger e la teoria <strong>della</strong> tripartizione funzionale di Dumézil: «È facile riconoscere<br />
nei tre doveri del Rettore Heidegger le tre funzioni nell'ordine inverso: III,<br />
II, I, ma anche le due figure jüngeriane del Combattente e del Produttore, più una<br />
terza figura qui presentata come dovere-funzione del sapere, che è lo stesso Heidegger<br />
in quanto "sapiente" tedesco.»<br />
In tutti e due i casi, Heidegger accetterebbe antiche strutture germaniche (se<br />
non indoeuropee), che l’epoca contemporanea aveva ormai diminuito di valore.<br />
Se l’esperienza del Rettorato consistesse proprio in questo: nella messa in pratica,<br />
intravista da Heidegger, di poter andare oltre la Grecia? Questa possibilità può<br />
concretizzarsi solo attraverso una rinascita <strong>della</strong> germanicità. Doveva toccare alla<br />
germanicità agire nell’epoca contemporanea allo scopo di rinnovarla. La germanicità<br />
così stabilita poteva essere ripresentata dal movimento politico di Hitler. Heidegger<br />
aderisce alla germanicità (perché vede in essa un qualcosa di autenticamen-<br />
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23<br />
te profondo – oltre la Grecia). La germanicità era un legame tra i vari gruppi che<br />
componevano il popolo tedesco: era il passato di questo popolo e ne avrebbe costituito<br />
il futuro. Il futuro così determinato sarebbe stato il riconoscimento, da parte<br />
del popolo tedesco, del proprio passato inteso come germanicità – oltre la Grecia:<br />
in questo Heidegger poteva vedere il nuovo compito <strong>della</strong> Università tedesca. Da<br />
qui il riconoscimento da parte di Heidegger di alcuni elementi fondamentali: la<br />
tripartizione indoeuropea; la struttura Führer–Gefolgschaft; la celebrazione del solstizio<br />
d’estate.<br />
La struttura Führung/Gefolgschaft indica l’antica struttura germanica del Capo e<br />
del suo Seguito. Se il Seguito riteneva il Capo indegno di essere seguito, gli si ribellava<br />
contro; la stessa cosa si aveva anche a proposito degli dèi.<br />
Se Heidegger seguisse degli antichi usi germanici? Se il suo interesse per il nazismo<br />
fosse stato deciso proprio da questo possibile ritorno di antiche consuetudini?<br />
Considerare l’origine contadina di Heidegger. Evola vedeva nel corpo <strong>della</strong> SS il<br />
ritorno di un’antica struttura germanica (in realtà indoeuropea): la banda di guerrieri<br />
che si organizza spontaneamente intorno a un Capo.<br />
C. Grottanelli, Ideologie miti massacri, Sellerio editore, Palermo 1993. Il discorso riguardante Heidegger<br />
«erede inconscio del trifunzionalismo indoeuropeo» occupa le pp. 92-5. Il brano citato sopra<br />
è alle pp. 93-4.<br />
Allocuzione per la cerimonia del solstizio d’estate (24 giugno 1933) e Discorso per il Rettorato, in M.<br />
Heidegger, Scritti politici (1933-1966), Edizioni PIEMME, Casale Monferrato 1998.<br />
L'interesse del giovane Nietzsche per la mitologia e la letteratura degli antichi popoli germanici è<br />
adesso contenuta in F. Nietzsche, Scritti giovanili 1856-1864 (Opere di Friedrich Nietzsche, vol. I,<br />
tomo I, Adelphi, Milano 1998).<br />
Miguel Serrano, la terra, la fine <strong>della</strong> metafisica<br />
Miguel Serrano: «Ogni aristocrazia terrestre è un tema di razza, di etnia.» (Adolf<br />
Hitler, l'ultimo Avatara, 2 voll., Edizioni Settimo Sigillo, Roma 2010, II vol., p.<br />
423).<br />
Il giudeo «odia la natura» (ibid.), e non ha alcuna predisposizione per l'agricoltura.<br />
Il campo dove riesce meglio è la finanza, la creazione e la direzione di banche.<br />
È questo il mezzo con cui i giudei aumentano il loro potere e causano il crollo delle<br />
società presso le quali si installano.<br />
Se ne deduce una tendenza all'astrazione da parte di questa razza, e, insieme,<br />
una ideologia dello sradicamento: il giudeo odia la terra, non la vuole lavorare e<br />
non la vuole sentire sotto di sé.<br />
L'aristocrazia è invece legata alla terra; deve poggiare sulla terra.<br />
Tutto il pensiero giudaico-cristiano può essere il risultato di una simile astra-<br />
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24<br />
zione, e prima ancora di uno sradicamento dalla terra: non voler riconoscere la terra<br />
sotto di sé, sfuggire in un mondo di concetti astratti e maneggiare solo quelli,<br />
come nella gestione di una banca. Per gli stessi motivi, ne consegue, questo pensiero<br />
è anche un pensiero ostile a ogni aristocrazia.<br />
Potrebbe riconoscersi qui l'epoca <strong>della</strong> metafisica come descritta da Heidegger.<br />
La fine <strong>della</strong> metafisica sarebbe il riconoscimento di una terra sotto di sé. Ma questo<br />
comporta una terra diversa, cioè diversa dalla terra giudaico-latina che era stata<br />
ripudiata da quel pensiero. E questa nuova terra sarà la terra dell'aristocrazia germanica.<br />
L'Hitlerismo Esoterico di Miguel Serrano e la fine <strong>della</strong> metafisica di Heidegger<br />
possono essere collegati come un richiamo alla terra (la nuova epoca che deve arrivare)<br />
e come un segnale di ciò che non ha terra (il pensiero giudaico-cristiano). Il<br />
tema di "ciò che non ha terra" e di "ciò che richiama a una terra" sarebbe così un<br />
tema che insiste nella catena <strong>della</strong> nostra modernità.<br />
Heidegger e il nazismo<br />
La questione "Heidegger e il nazismo" non deve essere posta sulla base <strong>della</strong> adesione<br />
di Heidegger al nazismo, ma sulle sincronie possibili tra la teoria <strong>della</strong> fine<br />
<strong>della</strong> metafisica e il nazismo. La teoria <strong>della</strong> fine <strong>della</strong> metafisica indicava uno spostamento<br />
del pensiero, che dalla ubicazione in un mondo al di là del mondo, per<br />
usare la frase di Nietzsche, veniva a posarsi sulla terra in un modo sino ad allora al<br />
di là del pensiero.<br />
Ma questa azione smascherava in automatico il mondo ebraico latino alla base<br />
dell'epoca <strong>della</strong> metafisica e poneva il mondo germanico come base <strong>della</strong> nuova<br />
epoca. L'azione <strong>della</strong> teoria di Heidegger viene così a convergere con alcuni tratti<br />
del nazismo, ed è su questo che bisognerebbe dirigere l'analisi.<br />
La nostra epoca è l'epoca che vede lo scontro tra civiltà latina e civiltà germanica.<br />
È appunto tale scontro ciò che permette di accedere all'epoca <strong>della</strong> fine <strong>della</strong><br />
metafisica nella sua integrità.<br />
Quindi, più che di "Heidegger e il nazismo", si dovrebbe parlare di "il pensiero<br />
di Heidegger e il pensiero dell'ideologia nazista", o meglio ancora: "il pensiero di<br />
Heidegger e lo svolgimento inevitabile del pensiero occidentale".<br />
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25<br />
Poesia e verità<br />
Alla domanda che la gente si pone: «Chi è Zarathustra?», Zarathustra ricorda<br />
diverse risposte date dalle persone stesse.<br />
Due di esse chiedono: «È un poeta? O uno che dice la verità?» (p. 170).<br />
Alla fine del capitolo, Zarathustra, pieno di spavento, evita di insegnare quello<br />
intorno al quale tutto il capitolo gira: il pensiero dell’eterno ritorno.<br />
È questo il «parlare gobbo» (p. 173) di Zarathustra, impegnato, fin dall’inizio<br />
del capitolo, in un dialogo con un gobbo (p. 168).<br />
Perché il testo contrappone poesia e verità in modo così netto? Contro che cosa<br />
si scaglia Zarathustra? Zarathustra colpisce la poesia come obbligo al non pensiero.<br />
Zarathustra è un grande poeta che sa di essere un poeta e, sapendo di essere un poeta,<br />
ha paura di essere tacciato come persona menzognera.<br />
Ma perché la poesia è sospettata di menzogna? Perché attraverso la poesia si è<br />
da tempo accettato l’obbligo al non pensiero: Zarathustra è anche colui che restituisce<br />
alla poesia l’obbligo del pensiero. Ma restituire alla poesia l’obbligo alla verità<br />
del pensiero vuole dire restituire al discorso <strong>della</strong> verità l’obbligo alla svagatezza.<br />
Cioè alla poesia. Zarathustra è colui che mischia poesia e verità, ma è anche colui<br />
che crede ancora a un segno <strong>della</strong> poesia e a un segno <strong>della</strong> verità e che nel momento<br />
in cui ne vengono compromessi i rispettivi confini, prova paura.<br />
Noi possiamo osservare gli effetti dell’obbligo <strong>della</strong> poesia al pensiero a partire<br />
da due posizioni contrastanti e lontane nel tempo: la poesia di Dante e la poesia di<br />
Brecht. Dante è colui che richiama la poesia all’obbligo del pensiero; Brecht è colui<br />
che accetta definitivamente l’obbligo <strong>della</strong> poesia al non pensiero. Entrambe le<br />
posizioni richiamano una medesima falsità, come scopre Zarathustra.<br />
F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, in Opere di Friedrich Nietzsche, volume VI, tomo I, Adelphi,<br />
Milano 1973, parte seconda, Della redenzione.<br />
Il grande disprezzo<br />
Quasi certamente Heidegger ha formulato la più profonda interpretazione moderna<br />
di Nietzsche. Una linea distingue i testi di Nietzsche da quelli di Heidegger.<br />
Nietzsche redigeva i suoi testi in base a quello che Klossowski definiva le "intensità".<br />
Heidegger si muove invece su una linea puramente accademica. Niente è più<br />
lontano dai testi di Heidegger quanto un testo come Ecce homo. Eppure qualcosa<br />
collega Nietzsche e Heidegger, e fa sì che Heidegger possa essere considerato il più<br />
grande interprete moderno di Nietzsche. Io credo sia riconoscibile in qualcosa come<br />
la teoria del grande disprezzo. Il richiamo a qualcosa che spiazza l'essere umano;<br />
"l'uomo", secondo la terminologia di Foucault. Ma in un modo più devastante<br />
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26<br />
di quanto non abbia mai fatto Foucault. In questo aspetto Heidegger è pura dinamite,<br />
così come pura dinamite era stato Nietzsche col suo stile. L'ermeneutica del<br />
soggetto di Foucault è un testo che ruota attorno a un bersaglio che non riesce mai<br />
a raggiungere pienamente; Heidegger fa a pezzi la teoria del soggetto. Anche Nietzsche<br />
l'aveva fatta a pezzi, ma in Nietzsche e Heidegger, quello che conta, è la linea<br />
del grande disprezzo, e non più la linea <strong>della</strong> verità. E questo, cioè il grande<br />
disprezzo al posto <strong>della</strong> verità, è quello che adesso è da pensare. (Inutile poi dire<br />
che questa riflessione si pone contro l'accademismo.)<br />
L'alingua e il filosofo<br />
Il filosofo, così come lo scrittore, non è altro che una possibilità <strong>della</strong> lingua.<br />
Forse è un qualcosa che la struttura di una lingua contiene come suo progetto attentamente<br />
pensato nel tempo. Bisogna solo attendere il tempo <strong>della</strong> sua venuta.<br />
Così, filosofi e scrittori nascono solo nelle lingue che per secoli ne hanno, per<br />
così dire, preparato, senza volere, la comparsa.<br />
Le parole composte tipiche <strong>della</strong> lingua tedesca sono uno strumento per il pensiero<br />
di Meister Eckhart, Novalis, Heidegger. È dalla riflessione su alcune parole<br />
<strong>della</strong> lingua che nasce lo stupore <strong>della</strong> riflessione sul mondo.<br />
Ciò che il filosofo riflette è l'andare del popolo attraverso il suo tempo. Il tempo<br />
è sempre ciò che annulla, ma è anche ciò che preserva con amore.<br />
Così è la lingua a chiamare il suo filosofo. L'Italia non può avere una filosofia,<br />
così come non può avere un poeta. Non si può parlare <strong>della</strong> lingua senza parlare<br />
dell'alingua. Lingue di questo genere devono preparare, con perplesso amore, alla<br />
scomparsa...<br />
Hitlerismo esoterico<br />
La frase del Mein Kampf, secondo la quale combattendo l'Ebreo si migliorerebbe<br />
l'opera <strong>della</strong> creazione divina, contiene la nascita del principio dell'Hitlerismo<br />
esoterico. La lotta contro le razze inferiori non comporta la diffusione<br />
dell'odio razziale, ma, al contrario, il rispetto <strong>della</strong> creazione divina. La frase rilancia<br />
inoltre il principio <strong>della</strong> creazione gnostica, vale a dire dell'intervento di<br />
un Demiurgo durante la creazione divina, che è appunto uno dei temi dell'Hitlerismo<br />
esoterico.<br />
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27<br />
Topologia<br />
La differenza notata tra il primo e il secondo Heidegger potrebbe sempre più<br />
tendere a sfumare. Il passaggio da un tema all'altro in un tempo lungo prevede<br />
delle trasformazioni che potrebbero essere indicate come topologiche: poiché prevedono<br />
modifiche che escludono fratture sostanziali. Allora i temi sarebbero prima<br />
di tutto delle forme vuote, che un significato di volta in volta rintracciato permetterebbe<br />
di mettere in movimento. Un movimento completamente nuovo, in grado<br />
di creare novità assolute.<br />
Questo dalla prospettiva <strong>della</strong> comparsa dei temi; dalla prospettiva del funzionamento<br />
dei temi è invece fondamentale la frattura tra un periodo e l'altro, anziché<br />
la persistenza.<br />
Delle Tre Metamorfosi<br />
In una nota al primo discorso di Zarathustra, "Delle Tre Metamorfosi", Giulio<br />
Sézac rimanda a un passo <strong>della</strong> Fenomenologia dello spirito di Hegel: «"[lo spirito]<br />
versa in un travagliato periodo di trasformazione. Invero lo spirito non si trova mai<br />
in condizione di quiete, preso com'è in un movimento sempre progressivo."».<br />
Zarathustra indica qui tre metamorfosi dello spirito: cammello, che sopporta i<br />
pesi impostigli; leone, che si ribella, anche se in modo confuso; bambino, che è solo<br />
gioco e innocenza, assenso al gioco <strong>della</strong> creazione.<br />
Accettando l'osservazione di Giulio Sézac, è possibile andare oltre e intravedere<br />
un ribaltamento <strong>della</strong> struttura <strong>della</strong> Fenomenologia. L'ultimo stadio non porta, nel<br />
discorso dello Zarathustra, ad una forma di autocoscienza, ma al gioco innocente<br />
del fanciullo, cioè alla negazione di un fine raggiungibile nell'ultima metamorfosi.<br />
Hegel, dunque, non è solo ricordato, ma, soprattutto, ribaltato. Inserito in una posizione<br />
così determinante all'interno del libro, il primo dei discorsi di Zarathustra,<br />
il brano sembra voler fare i conti con Hegel, ribaltarlo per poi procedere oltre.<br />
F. Nietzsche, Queste le parole di Zarathustra, a cura di Giulio Sézac, Edizioni di Ar, Padova 2011,<br />
n. 1, p. 138.<br />
Adorno, elementi di antisemitismo – 2<br />
Adorno, a differenza di Heidegger, non era interessato ai fondamenti <strong>della</strong> filo-<br />
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28<br />
sofia. Nessuno scavo nei concetti <strong>della</strong> filosofia per un nuovo disprezzo del sapere.<br />
Dialettica dell'illuminismo è un libro segnato da grandi soluzioni di continuità:<br />
il concetto di illuminismo, l'Odissea, Sade. Ma tutto sembra convergere negli "Elementi<br />
di antisemitismo", essendo questo il punto più adatto per raccogliere i diversi<br />
elementi del discorso precedente: discorso sull'illuminismo, discorso sulla<br />
cultura, discorso sul nazismo; il tutto inserito nella archeologia dell'antisemitismo<br />
quale nascita di un nuovo tipo antropologico.<br />
Ma è proprio questa presentazione che ha qualcosa di aperto. Infatti, così come<br />
si presenta, questa sezione propone materiale sufficiente per abbozzare il possibile<br />
"tipo antropologico dell'anti-antisemita".<br />
Il filosofo e la terra<br />
Lo scritto giovanile di Nietzsche Sull'avvenire delle nostre scuole è importante<br />
perché definisce la rottura di Nietzsche con le istituzioni scolastiche, in questo caso<br />
nella forma <strong>della</strong> sua partecipazione all'insegnamento. Egli capisce che la scuola<br />
non può portare a niente di nuovo e, soprattutto, non può permettere a lui, in<br />
nessun modo, la formazione del suo pensiero. Da un certo punto di vista, questo<br />
scritto occupa una posizione simile e contraddittoria al testo di Heidegger intitolato:<br />
Perché restiamo in provincia? In entrambi i casi la possibilità di un pensiero è<br />
strettamente collegata a uno stile di vita e alla presenza di un ambiente, di una terra.<br />
In Nietzsche c'è la questione dell'allontanamento dalla scuola, ma non compare<br />
il tema <strong>della</strong> terra; meno che mai <strong>della</strong> terra tedesca. In Heidegger l'allontanamento<br />
dalla scuola non è mai necessario, ma compare il tema <strong>della</strong> terra tedesca, e <strong>della</strong><br />
sua opposizione alla terra dell'epoca precedente, l'epoca <strong>della</strong> metafisica.<br />
L'agone omerico di Nietzsche<br />
Nietzsche affronta la Grecia in un modo diverso. Ma questo impegna la modernità<br />
circa domande improponibili.<br />
«Così i Greci, gli uomini più umani dell'epoca antica, hanno in sé un tratto di<br />
crudeltà, di desiderio di annientamento che li rende simili a tigri; un tratto che è<br />
assai visibile anche nell'immagine grottescamente ingrandita dell'uomo greco, cioè<br />
in Alessandro Magno; un tratto, peraltro, che in tutta la storia greca, come pure<br />
nella sua mitologia, reca un turbamento a noi, che ci accostiamo ai Greci con il<br />
molle concetto moderno di umanità.» (p. 245).<br />
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29<br />
Ciò che si vede <strong>della</strong> Grecia in questa immagine di Nietzsche è qualcosa di diverso<br />
dall'immagine che l'uomo vuole riconoscere come proprio passato. Ma si va<br />
ben oltre Foucault, che pure aveva riconosciuto in Nietzsche la capacità di andare<br />
oltre le soglie delle grandi fratture.<br />
La Grecia di Nietzsche è una terra di gente abituata al sospetto, alla difesa,<br />
all'attacco.<br />
1) In Nietzsche manca una riflessione sull'abitare. Nietzsche è il pensatore<br />
dell'arte di trascorrere il mondo, di darsi al mare. Nietzsche è comunque il fondatore<br />
del sigillo del luogo di nascita dei pensieri. I suoi pensieri nascono dalle passeggiate<br />
sulle vette. I pensieri dei cattivi filosofi nascono dalla puzza di chiuso delle<br />
loro cellette monacali. Nietzsche non è riuscito a stabilire l'origine nazionale dei<br />
pensieri. Ci si è appena avvicinato con la precisazione che il cristianesimo ha in sé<br />
la puzza del deserto.<br />
2) Nietzsche determinerà in seguito il concetto di "aristocrazia dello spirito",<br />
ma in questo scritto giovanile sfiora una questione fondamentale: il modo in cui è<br />
stato creato il miracolo artistico greco. Miracolo basato sull'invidia, sulla diffidenza,<br />
sull'insofferenza reciproca. L'Europa ha creato parte <strong>della</strong> sua civiltà su queste<br />
fondamenta, cioè sul miracolo greco. E ora più che mai c'è da chiedersi: "È questa<br />
Europa?"<br />
Infatti l'uomo moderno deve affrontare due questioni fondamentali:<br />
Prima questione: "L'Europa non è più la terra degli europei."<br />
Seconda questione: "Perché l'Europa è, adesso, questa Europa?"<br />
In Grecia si è avuto il primo inizio del pensiero in Occidente. Ma questo implica<br />
"con la Grecia". Il pensiero e le arti occidentali hanno sempre dovuto confrontarsi<br />
con quanto accaduto in Grecia in quei tempi aurorali. Nietzsche ha gettato<br />
una luce diversa su quell'aurora. Eppure la questione è ancora più sfuggente di<br />
quanto non abbia pensato Nietzsche. Bisogna avere chiaro quanto quell'aurora sia<br />
estranea a ciò che si è delineato come terra <strong>della</strong> <strong>sera</strong>. E la <strong>Terra</strong> <strong>della</strong> Sera deve<br />
sentire come estranea alla sua natura quanto accaduto in quell'aurora. Solo così, in<br />
un nuovo canto <strong>della</strong> <strong>sera</strong>, potrà avere luogo un nuovo pensiero.<br />
Cinque prefazioni per cinque libri non scritti, Agone omerico, in La filosofia nell'epoca tragica dei Greci<br />
e Scritti dal 1870 al 1873. Volume III, tomo II delle "Opere di Friedrich Nietzsche", Adelphi<br />
1980, a cura di Giorgio Colli, pp. 207-255.<br />
Heidegger su Jünger<br />
Una obiezione alla interpretazione di Heidegger del lavoratore di Jünger: Heidegger<br />
non sembra accorgersi che Jünger non vede il fattore decisivo del superuomo<br />
per quanto riguarda la sua teoria del lavoratore. Vale a dire: il voler creare, da<br />
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30<br />
parte del superuomo, in quanto superuomo. Il lavoratore è costretto ad un lavoro<br />
che non lo rappresenta. Stelio Èffrena, il protagonista del romanzo Il fuoco di<br />
d'Annunzio, potrebbe essere considerato più nietzscheano di quanto non lo sia il<br />
lavoratore di Jünger: Stelio Èffrena, infatti, forgia il mondo secondo la sua volontà.<br />
Il superuomo di Nietzsche sceglieva il gioco, dava una meta al mondo e lanciava<br />
il tutto (mondo e superuomo) in quella direzione, pur essendo consapevole del<br />
carattere fittizio di ogni meta, compresa la sua, poiché il mondo è appunto ciò che<br />
non ha – né deve avere – senso alcuno. È questo un tratto tipico di Nietzsche, che<br />
puntualmente manca nella letteratura a lui ispirata: la facoltà di non prendersi mai<br />
fino in fondo sul serio; manca nel protagonista del Fuoco e, su un piano diverso,<br />
manca nella teoria dell'anonimo lavoratore di Jünger. Nel Fuoco il protagonista si<br />
prende troppo sul serio, sapendo di essere il superuomo; in Jünger il lavoratore si<br />
lancia nel lavoro che sovverte il mondo, senza sapere di essere il superuomo.<br />
Nemmeno Heidegger considera in questa occasione l'unicità del superuomo. E<br />
il superuomo continua ad aggirarsi per il mondo, adesso degradato a lavoratore<br />
(un po' Wotan, un po' Siegfried, come in una sgangherata e nietzscheana messa in<br />
scena di periferia del Siegfried). Si ha così una ricomparsa del concetto formulato<br />
da Marx nel luogo a lui più propizio: è l'uomo a creare la propria storia, trasformando<br />
attivamente tutto il mondo, ma lo fa in una condizione di alienazione,<br />
quella appunto dell'operaio.<br />
Solo il superuomo dà senso al mondo. E Nietzsche aveva presente questa differenza.<br />
Heidegger, Ernst Jünger, Bompiani, Milano 2013.<br />
Il passo del superuomo<br />
Nel canto sottovoce dell’Ora più tacita dello Zarathustra, Michel Foucault intravedeva<br />
il passo timido con cui, in qualche parte del mondo – del tutto ignorato<br />
– goffamente avanza il superuomo.<br />
Per delineare il superuomo è forse sufficiente restare in attesa, ma è fondamentale<br />
la non riconoscibilità delle figure. Se si trattasse di “forme” sarebbe sufficiente<br />
evitare la segregazione insita in quei giochi d’ombra e macchie su cui basa i propri<br />
principi la Gestalt.<br />
Si tratta invece di superare il principio <strong>della</strong> rappresentazione. Inadeguatezza,<br />
quindi, tanto <strong>della</strong> figura del lavoratore di Jünger, quanto del protagonista del Fuoco.<br />
Ma La Leda senza cigno potrebbe almeno permettere uno sfondo più adeguato.<br />
È chiaro che ci si deve avvicinare al porto del romanzo aggirando gli scogli <strong>della</strong><br />
rappresentazione.<br />
Finora, l’unico romanzo che – in tutta la storia del romanzo – abbia funzio-<br />
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31<br />
nalmente fatto a meno dei pezzi d'appoggio <strong>della</strong> rappresentazione, e coerentemente<br />
abbia mandato a pezzi il romanzo, è Finnegans Wake.<br />
Verrebbe quindi da porre la domanda: “Chi è HCE di James Joyce?” Vale a dire:<br />
qual è la funzione del personaggio Zarathustra?<br />
Quando ci si accorgerà che il superuomo è l’ombra che manca appena nella terra<br />
delle ombre <strong>della</strong> <strong>sera</strong>?<br />
Ma nella <strong>Terra</strong> <strong>della</strong> Sera, quando solo un’eclissi diffusa chiama la <strong>Terra</strong> del Sole<br />
che Sorge, allora il superuomo è la rinuncia dell’uomo all’uomo per incominciare<br />
ad andare appena oltre l’uomo, nell’ombra delle ore più lunghe, muovendo i primi<br />
passi nella terra dell’eclissi.<br />
Si vede che è proprio questo il complesso di argomenti che deve configurarsi<br />
nell’immediato per sfuggire tutto di colpo al nocciolo <strong>della</strong> rappresentazione.<br />
Così il nuovo tipo umano è ancora più difficile da cogliere: «Per questo noi ci<br />
possiamo appena rappresentare il modo in cui devono ‘essere’ – e devono invero<br />
appartenere all’Essere e alla fondazione <strong>della</strong> sua verità – ‘qualcosa’ e qualcheduno<br />
che non ‘producano effetti’ e non si lascino alle spalle alcunché di compiuto.» (M.<br />
Heidegger, Ernst Jünger, Bompiani, Milano 2013, p. 477).<br />
Il superuomo è ciò che fa un primo e timido passo indietro e poi va ancora più<br />
indietro rispetto a ciò che l’uomo ha conquistato, muovendo i primi passi nella<br />
terra incerta dell’eclissi.<br />
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32<br />
L e ttera t u ra<br />
Le bestemmie di Sade<br />
Affinché l'Europa ritorni ad essere la terra del nuovo compiuto politeismo <strong>della</strong><br />
razza bianca (celto-germanica) c'è bisogno di un periodo di mantenimento del<br />
monoteismo e del cristianesimo e dell'ateismo più intransigente. È il periodo in<br />
cui le bestemmie di Sade avranno vita. Insultare la divinità nella quale non si crede<br />
può sembrare una contraddizione nei termini. Il dio semita scenderà per la prima<br />
volta nella terra d'Europa con la sua vera fisionomia di feticcio e di meticcio. A lui<br />
sarà ormai riservata la stessa sorte toccata agli dèi <strong>della</strong> razza bianca con il trionfo<br />
del cristianesimo: un po' feticcio, un po' meticcio; un po' farà ridere, un po' farà<br />
senso, un po' farà pietà. Calpesterà una terra che non conosce con le sue goffe<br />
zampe di uccello preistorico. Ma nessun poeta riconoscerà mai nella sua camminata<br />
l'andatura del superuomo. Strillerà con tutte le sue bocche e i suoi becchi per<br />
farsi notare. Ricorderà un mostriciattolo cubista, un handicappato mongoloide, un<br />
odioso criminale qualunque, un degenerato, uno scimmione negroide, un migrante<br />
alla fine delle forze, un caso di teratologia, un caso di antropologia criminale, un<br />
primitivo abbandonato a se stesso in un deserto lontano. Sarà un compendio di<br />
tutto ciò che l'appena passata e stupida epoca moderna aveva considerato altamente<br />
degno di cura. Sarà vigliacco, perché vigliacchi erano stati i popoli meticci che<br />
lo avevano riconosciuto come loro dio. Ma combatterà per l'ultima volta contro gli<br />
dèi <strong>della</strong> razza bianca d'Europa.<br />
Compito del poeta<br />
Compito del poeta è rendere vere le parole <strong>della</strong> lingua. Per disposizione naturale<br />
egli è un cacciatore di parole moribonde. Appare sempre quando la lingua è<br />
nel punto del suo massimo pericolo. Le parole che non suonano più come vere sono<br />
parole che nascondono terre che una comunità ha imparato a disabitare. Capita<br />
così che il poeta faccia la parte di un criminale, di un lanciatore di parole eversive,<br />
di un terrorista del pensiero.<br />
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33<br />
Lacoste<br />
C'è qualcosa di perverso nell'impulso allo studio. Senza volontà di fare a pezzi<br />
non c'è attività di studio. Lacoste: sogno di una antropologia <strong>della</strong> <strong>Terra</strong> <strong>della</strong> <strong>sera</strong>.<br />
Come in una biblioteca, riunire i campioni delle razze che portano al piacere <strong>della</strong><br />
classificazione. Béla Bálasz diceva che uno dei meriti del cinema sarebbe stato quello<br />
di fare conoscere i volti delle razze più lontane e diverse. Il cinema ha fatto conoscere<br />
solo i volti tutti uguali e belli dei divi. Sono tutti belli i volti degli uomini,<br />
ma senza volontà di fare a pezzi l'oggetto dello studio non c'è attività di studio.<br />
C'è qualcosa di perverso nell'impulso allo studio. Ricordi ancora la poesia che Gilbert<br />
Lély ha dedicato a Lacoste?<br />
Mancano i veri studiosi, i fanatici che vivono solo per la perversione dello studio;<br />
non le cavie (nell'epoca del mondo in cui le distanze si sono per magia contratte,<br />
non mancano mai le cavie).<br />
Quando la classificazione è completa, passare alla eliminazione degli oggetti<br />
dello studio. Come fenomeno umano, un degenerato merita lo stesso interesse di<br />
una qualsiasi altra forma umana. Ma come forma degenerata, il singolo degenerato<br />
deve poi essere soppresso. Avere molto materiale a disposizione per i propri studi<br />
sconcerta lo studioso, lo fa delirare fino ad abbandonare la via giusta. Lo diceva<br />
Robert J. Lifton a proposito di Mengele. Mengele come il signore delle parole che<br />
soggiace alla sfida <strong>della</strong> totalità? La sfida che la letteratura pone al nuovo autore è<br />
di leggere tutti i libri del mondo e scriverne uno che li contenga tutti. In cosa ha<br />
fallito Mengele? Perché studiare il criminale, se non per potere poi, alla fine, eliminarlo?<br />
Non è la soppressione del degenerato ciò che pone fine all'ansia di conoscere<br />
irrimediabilmente tutto?<br />
Non è l'attenzione a ciò che è degenerato la perversione dello studio? e non è la<br />
eliminazione del degenerato ciò che inaugurerà una forma diversa di conoscenza e<br />
uno studio privo dell'ansia di conoscere tutto?<br />
Lacoste: il dominio ereditario. Silling: l'Enciclopedia al servizio dell'impulso estetico.<br />
Auschwitz: lo schiaffo ai pregiudizi moderni.<br />
(La poesia rende liberi.)<br />
Un verso di Pound<br />
«Let the Gods forgive what / I have made»<br />
Gli dèi devono perdonare quello che il poeta ha costruito<br />
1. Carattere nefasto del costruire.<br />
2. Il poeta come colui che deve solo dare impulso a cose sempre fra loro diverse,<br />
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34<br />
astenendosi dal costruire.<br />
3. Goethe su Hafis: «Daß du nicht enden kannst, das macht dich groß, / Und<br />
daß du nie beginnt das ist dein Lost». L'età di Pound di Hugh Kenner è un grandissimo<br />
libro che non ha nulla a che vedere con Deleuze, ma che può essere inglobato<br />
nel metodo seriale di Deleuze. Il personaggio Pound non è costruito nel libro<br />
come meta finale di una biografia. Ogni capitolo lancia delle serie, nelle quali<br />
Pound è implicato in un modo sempre diverso. Pound è soltanto il punto di partenza<br />
di serie che non hanno punto di incontro. Differenze e ripetizioni.<br />
4. Il "non costruire" come abbandono all'arte del divenire.<br />
5. Il poeta come testimone del silenzio.<br />
6. Il poeta può solo segnalare qualcosa che si avvicina. Il carattere di questo<br />
qualcosa è al di là <strong>della</strong> rappresentazione.<br />
7. Lo scarto segna la caduta del poeta nella parola, ciò che gli dèi devono perdonare.<br />
E. Pound, I Cantos, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1985 [Lascia che gli Dei perdonino<br />
quel / che ho costruito (trad. di Mary de Rachewiltz, p. 1493)].<br />
J.W. Goethe, Il divano occidentale-orientale, Rizzoli, Milano 1990 [Non potere finire / ti rende<br />
grande. Non cominciare mai / è il tuo destino. (trad. di Ludovica Koch, p. 115)].<br />
H. Kenner, L'età di Pound, Il Mulino, Bologna 2000.<br />
Un nuovo approccio per lo studio del romanzo<br />
Il romanzo ha sviluppato, lungo le vicende <strong>della</strong> propria tecnica, un qualcosa<br />
come una topologia; nel senso che lo spazio vi è trattato come i luoghi vengono<br />
trattati dalla topologia e pertanto è possibile un approccio allo studio del romanzo<br />
su basi topologiche.<br />
Come definire la teoria topologica del romanzo? Perché si può affermare che il<br />
romanzo faccia uso di un qualcosa di analogo alla topologia?<br />
A differenza dell'epica, il romanzo concentra un avvenimento e salda i vari episodi<br />
tramite una economia molto attenta. Un poema epico non ha un solo autore.<br />
A differenza del romanzo, in un poema epico i vari episodi possono essere trattati<br />
da autori diversi o derivare da versioni diverse dello stesso argomento. Il romanzo è<br />
la creazione attenta di un autore particolare. Nel romanzo gli spostamenti di luogo<br />
devono essere attentamente calcolati. Lo spazio non viene accostato come nell'epica,<br />
ma si trasforma. È uno spazio solidamente fluido, che ha dell'onirico.<br />
L'epica procede per fratture; il romanzo evita le fratture. Nel romanzo lo spazio<br />
è trattato come la topologia tratta i luoghi, affrontandone le trasformazioni che in-<br />
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35<br />
tervengono in essi senza provocare strappi. Il romanzo deve trasformare i luoghi<br />
l'uno nell'altro. La topologia può intervenire per stabilire le modalità di trasformazione<br />
dello spazio, differenti da romanzo a romanzo, da epoca a epoca del romanzo.<br />
Finita l'epoca dei signori <strong>della</strong> parola, è l'autore, adesso, ad essere signore dello<br />
spazio e a piegarlo ai suoi capricci di composizione.<br />
L'approccio critico al romanzo cambierebbe notevolmente ricorrendo a una<br />
chiave topologica. Un esempio di analisi topologica dello spazio è contenuta nel<br />
Seminario su La lettera rubata di Lacan.<br />
J. Lacan, Il seminario su La lettera rubata, in Scritti, Einaudi, Torino 2002.<br />
Un compito per gli studiosi<br />
In un saggio sulla censura applicata al romanzo in vari luoghi <strong>della</strong> terra, Walter<br />
Siti fa questa interessante riflessione: «La libertà di narrazione, sembra, in Occidente,<br />
non avere più limiti, se non forse quelli posti dalla democrazia stessa. Un<br />
racconto che in tutta serietà esaltasse il razzismo o auspicasse i campi di concentramento,<br />
avrebbe anche da noi vita difficile.» (Il romanzo sotto accusa, in AA.VV.,<br />
Il romanzo. I. La cultura del romanzo, Einaudi, Torino 2001, p. 154.)<br />
Ecco dunque tutto un nuovo campo di censura possibile per il romanzo. Censura<br />
che entrerebbe in funzione nelle società democratiche.<br />
La comparsa di un testo con queste caratteristiche (cioè composto con la massima<br />
serietà delle intenzioni) è statisticamente possibile (e auspicabile).<br />
Probabilmente tale comparsa è inevitabile, imposta dal genere stesso del romanzo,<br />
dalla società e poi dalla disgregazione di quelle componenti che nel romanzo<br />
avevano avuto una delle loro espressioni artistiche.<br />
Forse testi del genere sono in varie forme già presenti. Si tratta di riconoscerli.<br />
Solo un compito per gli studiosi?<br />
Letteratura italiana (e Italiani bastardi)<br />
Mi ha sempre infastidito la letteratura italiana. Letteratura che conosco pochissimo.<br />
Per disprezzarla non è necessario conoscerla; è solo necessario disprezzarla;<br />
disprezzarla sempre, comunque, dovunque. La sua diffusione dipende dal fatto che<br />
la letteratura italiana, più che di una letteratura, ha le fattezze di un virus. È una<br />
infezione fatta per colpire anime coniglio; fatta per essere trasmessa attraverso a-<br />
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36<br />
nime coniglio.<br />
Questo dipende dal fatto che l'Italia non è una nazione e gli Italiani non sono<br />
un popolo. L'Italia è quel qualcosa che una banda di massoni è riuscita a fare di<br />
tanti maledetti pezzi di terra diversi.<br />
In alcuni saggi memorabili, Heidegger indica in Hölderlin il poeta <strong>della</strong> razza<br />
germanica. Gli Italiani sono un popolo di bastardi. Un popolo di bastardi non ha<br />
un poeta. Un popolo di bastardi ha soltanto qualche paroliere. Dante è il massimo<br />
paroliere del popolo bastardo degli Italiani.<br />
Il poeta svela al suo popolo il suo destino. Un popolo di bastardi non ha un poeta.<br />
Un popolo di bastardi non ha un destino.<br />
L'opera di Sade<br />
«The idea that there is an interrelationship between ecological conditions and<br />
ways of life is old; it appears in the Enlightenment philosophy of the mid- to late<br />
eighteenth century (for instance in Montesquieu and in the Marquis de Sade’s<br />
non-pornographic writings).» (Th.H. Eriksen, Small Places, Large Issues, Pluto<br />
Press, London 2001, p. 193).<br />
Sade andrebbe affrontato non solo come autore di opere libertine, ma nell'insieme<br />
<strong>della</strong> sua opera. Si vedrebbe allora che cosa porta alla creazione di quelle due<br />
costruzioni tipicamente sadiane: il romanzo enciclopedico (Le 120 giornate e, a<br />
quanto sembra, Le giornate di Florebelle) e il romanzo per accumulo di episodi (Justine,<br />
Juliette). Infatti nessuno ha affrontato l'opera di Sade nella sua integrità.<br />
Quando essa è stata analizzata (Lely, Klossowski, Barthes, Lacan, John Phillips) ci<br />
si è limitati ai romanzi libertini e alla Filosofia nel boudoir.<br />
Risposta a Umberto Eco<br />
Si può anche dire che Dante era un cattivo poeta: ma bisogna dirlo dopo almeno trecento pagine<br />
di serrata analisi dei testi danteschi.<br />
U. Eco, Come si fa una tesi di laurea, Bompiani, Milano 2001, p. 20.<br />
Dante era un poeta mediocre perché gli Italiani sono un popolo di bastardi e<br />
un popolo di bastardi non può avere un grande poeta.<br />
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37<br />
Putrescente Illuminismo<br />
Un lumacone si aggira per le vecchie biblioteche bavose: l'Eco-lumacone.<br />
Lumacando sui temi<br />
L'ambizione del post-moderno L'ambizione del post-moderno è rivisitare il<br />
passato con ironia, in modo non innocente, riscattando così testi e autori poco<br />
considerati dalla critica: La capanna dello zio Tom, Dumas, Eugène Sue, Ponson du<br />
<strong>Terra</strong>il. Del romanzo popolare viene apprezzato l'intreccio e la concretezza dei personaggi.<br />
L'ideologia del romanzo popolare Il romanzo d'appendice usava trame elaborate<br />
e interminabili, colpi di scena continui. L'ideologia era ben poca cosa. Marx ed<br />
Engels, nella Sacra famiglia avevano ragione circa I misteri di Parigi.<br />
Il pasticcio Il livello medio di pensiero attuale, basato su una mediocrità progressista<br />
di stampo buonista, si presta in modo ottimale a funzionare da sfondo per<br />
opere post-moderne. Ecco perché una tale corrente ha potuto imporsi e diventare<br />
"fruttuosa" di opere. Il post-moderno tende infatti alla creazione di opere. Tale ideologia<br />
contemporanea si salda perfettamente con quella che ha visto nascere il<br />
romanzo popolare.<br />
Oltre il post-moderno C'è un particolare nel post-moderno che ne rivela la natura:<br />
lo stesso modo di accostarsi alla realtà utilizzato dal romanzo popolare.<br />
Grandi temi di interesse generale e personaggi rappresentativi: l'uomo e la sua storia;<br />
ma è questo che andrebbe messo in discussione. L'inganno del post-moderno è<br />
proprio nel non riconoscere che l'approccio con la realtà è cambiato, e questo non<br />
può essere recuperato a partire da un diverso atteggiamento verso il passato. La<br />
questione del personaggio non è limitata alla creazione e rappresentazione di un<br />
personaggio in un romanzo. Bisognerebbe invece chiedersi se veramente qualcosa<br />
come un personaggio possa spiegare il modo di agire e pensare di una o più persone<br />
e poi di essere rappresentativo di un'epoca; infine se la stessa realtà sia riconducibile<br />
alla scansione di una trama. Storia e personaggi sono prima di tutto illusioni.<br />
Così come illusione è l'individuo. Quello che serve è quindi una nuova arte realistica,<br />
cioè adeguata a una realtà che sta cominciando a fare a meno dei suoi personaggi<br />
e <strong>della</strong> sua storia. Il post-moderno pensa di risolvere tutto giocando a fingere<br />
di non sapere.<br />
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38<br />
Solo un facitore di parole<br />
Mai dire di uno scrittore: «È nostro!» È sempre la gabbia che scatta intorno a<br />
tutti!<br />
Il bello delle idee di un filosofo sta nella pericolosità. Tutte le idee dell'uomo<br />
hanno la bellezza di molte diverse pericolosità. Qualunque idea è pericolosa. L'appropriazione<br />
di una idea da parte di qualcuno fa perdere sempre qualcosa di questa<br />
pericolosità indefinita. Allora sopraggiunge la piattezza <strong>della</strong> interpretazione.<br />
Uno scrittore, un filosofo, un poeta dovrebbe essere caratterizzato proprio a<br />
partire dalla sua insofferenza verso un sistema ordinato di uso delle parole.<br />
Filosofia e poesia sono ciò che permette di sfuggire alla gabbia che condiziona<br />
la vita di tutti i giorni. Infatti, poesia e filosofia sono un inciampo nella vita di tutti<br />
i giorni.<br />
Ma il filosofo e il poeta possono sfuggire alla gabbia che condiziona l'uomo<br />
comune proprio in quanto possono sfuggire alle leggi <strong>della</strong> psicologia comune.<br />
Che è quanto la critica di tutti i giorni tende loro a negare.<br />
Il poeta rende vere le parole di una lingua quando, solo per gioco, in una luce<br />
che è appena d'alba polare, ne illumina l'aspetto di crepuscolo del gioco. È stato<br />
più volte detto che la parola usata dal poeta non è la stessa parola usata dal giornalista,<br />
nel momento in cui il giornalista usa quella stessa parola.<br />
Il poeta è solo "un facitore di parole", "ein Worte-macher", per usare le parole<br />
lontane di Nietzsche.<br />
Però niente deve ricordare la parola del poeta, perché poeta è colui che affida la<br />
propria parola al mondo che rigetta la memoria.<br />
Allora uno scrittore non deve essere un punto dove tutte le linee di una personalità<br />
coincidono, ma un insieme teorico da cui serie sempre diverse si dipartono<br />
per disperdersi. La fantasia di una metodologia di questo tipo è stata applicata da<br />
Hugh Kenner nello studio L'età di Pound.<br />
Da qui l'importanza del post-strutturalismo.<br />
Tolkien è un comodo caso. Due esempi tratti da La realtà in trasparenza. Lettere<br />
1914-1973 (Bompiani, Milano 2001):<br />
Lettera 45: Tolkien scrive di aver cominciato a studiare germanistica «come reazione<br />
contro i “classici”» (p. 65). Continua accusando Hitler (la lettera è del 9 giugno<br />
1941) di distruggere il vero spirito nordico.<br />
Lettera 53 (al figlio Cristopher): Tolkien parla del mondo che sta diventando<br />
tutto uguale, e conclude: «Ad ogni modo, questo dovrebbe essere la fine dei grandi<br />
viaggi. Non ci saranno più posti dove andare. E così la gente (penso) andrà più veloce»<br />
(p. 76). Poco dopo dice: «non sono del tutto sicuro che una vittoria americana<br />
a lunga scadenza si rivelerà migliore per il mondo nel suo complesso piuttosto<br />
<strong>della</strong> vittoria di –».<br />
Notare: che cosa si può lanciare a partire dalla frase "fine dei grandi viaggi"? La<br />
«reazione contro "i classici"» richiama la contrapposizione civiltà germanica/civiltà<br />
latina.<br />
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39<br />
Quanto si potrebbe collegare partendo da queste frasi! La critica ha detto di<br />
Tolkien: "Questo è nostro!". Oppure: "Questo invece è nostro!"<br />
Ma anche Mishima suona al caso. L'era degli scudi non chiamava più la penna<br />
da portare con sé.<br />
Questo quando parlare non è scambiare parole come monete, ma chiamare alla<br />
parola.<br />
Come l'infedele secondo il Corano, il poeta è simile al ragno, che costruisce la<br />
propria casa nel vuoto.<br />
ich bin nur ein Worte-macher:<br />
was liegt an Worten!<br />
was liegt an mir!<br />
Perché rileggere Delitto e castigo<br />
1. La creazione letteraria di una suspense [Falsità letteraria]<br />
2. La simpatia per il criminale [Falsità sociologica]<br />
3. Il ragionamento che gira a vuoto sull'arte del ragionare [Falsità filosofica]<br />
4. La creazione del personaggio di legge che incastra il criminale con un metodo<br />
paradossale [Falsità psicologica]<br />
Quattro falsità.<br />
Ma perché questo romanzo è così inevitabile? Perché dimostra in modo magistrale<br />
il predominio di una degenerazione dell'arte in Europa e il predominio di<br />
una razza degenerata in Europa. Tale predominio si è infine sviluppato a mentalità<br />
comune. Dimostra inoltre il predominio di una degenerazione nella letteratura,<br />
nella sociologia, nella filosofia, nella psicologia.<br />
Punto 1:<br />
Il lettore dipende passo per passo da ciò che è scritto. Lo scrittore allaccia il lettore<br />
e ne controlla le reazioni con i suoi micro colpi di scena: è "letteratura" al livello<br />
più basso. L'azione è dilatata in un modo spropositato. Non è che lo scrittore<br />
sprechi il tempo, ma lo dilata. È la tecnica delle soap-opera.<br />
Punto 4:<br />
La narrativa poliziesca e il cinema svilupperanno personaggi a partire da questo<br />
tipo. È la fabbrica dei personaggi.<br />
Sullo sfondo, il teatro. Bisognerebbe poi precisare, a partire da questo romanzo,<br />
la tecnica teatrale utilizzata da Dostoevskij nei suoi romanzi. Il testo, in alcuni<br />
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40<br />
momenti, sembra descrivere ciò che avviene su un palcoscenico.<br />
(Precisare: come si manifesta la tecnica teatrale? per es. l'entrata in scena dei<br />
personaggi, i loro movimenti sul palco-città, ecc.) Perché il teatro entra così platealmente<br />
nella struttura del romanzo?<br />
Allora che cosa si aggira per l'Europa, nella domanda che coinvolge il tempo da<br />
Dostoevskij a Šostakovič?<br />
Tuono<br />
bababadalgharaghtakamminarronnkonnbronntonnerronntuonnthunntrovarrho<br />
unawnskawntoohoohoordenenthurnukdiooododostrammammammammaledicglit<br />
tatatataliannii<br />
(Da qualche parte Joyce diceva che gli Italiani da lui conosciuti avevano paura<br />
dei temporali e del rumore del tuono.)<br />
Arte di raccontare<br />
Nel saggio Dall’oralità alla scrittura. Riflessioni antropologiche sul narrare, Jack<br />
Goody presenta il poema epico come una unità narrativa necessaria, quasi indispensabile<br />
per l'etnologo, ma non per le società nelle quali i diversi tronchi del futuro<br />
poema epico funzionano (o almeno così egli pensa). È insomma l'etnologo a<br />
“spingere”, a mettere sulla “strada buona” affinché i suoi informatori raccontino<br />
quello che egli potrà in seguito utilizzare per i suoi scopi.<br />
Nel saggio si contesta anche la credenza secondo la quale raccontare storie sia<br />
un tratto comune a tutte le società umane.<br />
La narrazione sarebbe così un elemento a fianco di altri (gnomica, formula magica,<br />
ecc.), ma l’etnologo farebbe di tutto per isolarla in modo da averla tra le mani<br />
allo stato puro, perché per lui la narrazione deve essere un insieme organizzato solo<br />
in una certa maniera.<br />
È probabile allora che la separazione tra mito e rito non sia, in definitiva, così<br />
distinta. Mito e rito potrebbero saltare l’uno nell’altro secondo determinati, imperscrutabili,<br />
fatali intervalli.<br />
Il racconto così come noi lo intendiamo servirebbe più che altro a convalidare<br />
una certezza; il suo ritrovamento servirebbe a calmare un’ansia specifica del ricerca-<br />
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tore.<br />
41<br />
Nel canone buddhista più antico, il Tipitaka, i Jātaka, racconti delle vite anteriori<br />
del Buddha, hanno una struttura fissa. Ogni jātaka si presenta in una forma<br />
tripartita:<br />
1) Il «racconto del presente» (paccuppannavatthu). Ha funzione di cornice. È<br />
l’occasione che permetterà al Buddha di narrare per esteso ai suoi discepoli<br />
l’episodio di una sua vita anteriore.<br />
2) Il «racconto del passato» (atītavatthu). Costituisce il jātaka vero e proprio, il<br />
racconto dell’episodio <strong>della</strong> vita anteriore del Buddha. In esso sono inseriti dei versi<br />
(gāthā) che contengono l’essenza del racconto. Segue un commento grammaticale<br />
e lessicale (veyyākarana) ai versi (probabilmente un’aggiunta posteriore).<br />
3) La «connessione» (samodhāna), cioè la ripresa e la conclusione del racconto<br />
cornice, nella quale il Buddha identifica i protagonisti del racconto con i personaggi<br />
menzionati in apertura. È la chiusura <strong>della</strong> cornice.<br />
Per quanto risalente al 1992, una traduzione italiana dei Jātaka, apparsa nella<br />
prestigiosa collana UTET Classici delle Religioni, si limita solo alla parte centrale.<br />
Questa scelta fa perdere la struttura nella quale il racconto funziona, ma risolve<br />
una vecchia questione: “Eccolo, alla fine, il racconto!”<br />
Sullo sfondo, in entrambi i casi, c’è la cocciutaggine con la quale noi vogliamo<br />
che i racconti funzionino secondo il nostro modo di pensare; questo perché vogliamo,<br />
in qualsiasi racconto, ritrovare sempre e solo la nostra arte di raccontare. E<br />
quindi vogliamo a tutti i costi, costi quel che costi, in ogni luogo e in ogni tempo,<br />
i nostri romanzieri.<br />
Jack Goody, Dall'oralità alla scrittura. Riflessioni antropologiche sul narrare, in AA.VV. Il romanzo,<br />
a cura di Franco Moretti, 5 voll., Einaudi, Torino 2001-3. I vol., pp. 19-46.<br />
Vite anteriori del Buddha (Jātaka), a cura di M. D’Onza Chiodo, UTET, Torino 1992, soprattutto<br />
pp. 12-3.<br />
Bachtin rovesciato come un guanto<br />
Bachtin insegnava a riconoscere la tecnica polifonica di Dostoevskij all'interno<br />
dei romanzi di Dostoevskij. Questa tecnica consisteva, secondo l'analisi di Bachtin,<br />
in un tentativo di rintracciare voci diverse in quella che, nei romanzi, sembrava<br />
presentarsi come voce unica; voce che, apparentemente, da sola, portava avanti<br />
quella narrazione che, appunto in quanto sola, poteva costituirsi come composizione<br />
del romanzo.<br />
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42<br />
Ma il romanzo è costituito da una formula esattamente opposta: una tendenza<br />
alla omofonia, cioè alla necessità di vedere una stessa voce in quello che nel testo si<br />
presenta come un intreccio di voci diverse. In questo caso, a essere basilare, è la<br />
teoria del soggetto, poiché proprio il soggetto regola la fuga delle voci, vale a dire<br />
la disposizione spaziale delle varie voci tra loro. "Soggetto" che si pone, appunto,<br />
come "punto di fuga"; cioè come punto di vista in uno spazio da cui ci si pone<br />
come osservatori. Ed è appunto il soggetto a osservare la fuga. È insomma la teoria<br />
del soggetto a detenere in sé il germoglio <strong>della</strong> polifonia. Non è la polifonia a rimandare<br />
a soggetti diversi.<br />
Il romanzo diventa allora la parata <strong>della</strong> costruzione soggettiva mascherata da<br />
oggettiva indipendenza di voci. La polifonia è così un miraggio e compare la topologia.<br />
Pinocchio<br />
Pinocchio come fallimento del Bildungsroman in Italia.<br />
L'Italia non può avere un romanzo che mostri la formazione dei propri cittadini<br />
attraverso un personaggio fittizio di romanzo, come ad esempio è avvenuto in<br />
Germania, dove il Bildungsroman è nato.<br />
Un Bildungsroman in Italia è possibile solo come accettazione passiva di un codice<br />
educativo. Che si presenta soprattutto come codice punitivo. Codice, quindi,<br />
sospinto dentro con forza. Codice che non si riferisce a un libero cittadino in una<br />
libera nazione, ma che impone il passaggio, mai onestamente espresso, da burattino<br />
a marionetta. Non c'è nessuna sorpresa. Così il romanzo diventa un modo per<br />
mettere in ordine i conti sporchi. Tutte le male azioni di Pinocchio giungono al<br />
pettine e Pinocchio deve sempre capire, al termine delle sue azioni sconsiderate,<br />
che avevano sempre ragione gli educatori.<br />
Ma perché? In realtà, proprio in questo andare indietro nel tempo sta la truffa,<br />
perché l'Italia è solo una cagata recente.<br />
La Germania, paese dove il Bildungsroman è nato, ha dato la nascita a uno dei<br />
più strani romanzi che esistano: il Parzival di Wolfram. Il Parzival di Wolfram è<br />
indicato come il romanzo che ha segnato la nascita del Bildungsroman.<br />
C'è una grande differenza tra lo strano Parzival e il geometrico Pinocchio.<br />
Quindi c'è da chiedersi: che cosa compone la formazione di un romanzo in grado<br />
di mostrare la formazione di un individuo?<br />
Infatti, quello che Pinocchio diventa non è un qualcosa di diverso da quello che<br />
era in principio, ma un qualcosa che lo riconcilia col suo popolo di marionette,<br />
cioè un burattino, per quanto egli, all'inizio <strong>della</strong> storia, non fosse neppure un burattino,<br />
ma qualcosa di simile a una marionetta.<br />
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43<br />
L'Italia non può avere una letteratura perché non ha un popolo al quale la letteratura<br />
può funzionare da insegnamento in quanto rivelazione del proprio destino<br />
in quanto destino <strong>della</strong> razza. Qualcosa come una letteratura italiana deve avere lo<br />
spirito <strong>della</strong> sonata surreale di fantasmi su un palcoscenico di periferia putrescente.<br />
Che è quanto Pinocchio fa egregiamente. Un'orchestra da camera che suona<br />
sguaiatamente in sottofondo, fuori scena, lontano dalla scena dove si situa la scena<br />
sgangherata dello spettacolo fondamentale. Come nella Lulu. Che è quanto Pinocchio<br />
sembra offrire.<br />
Notare il sottotitolo: Storia di un burattino. È un sottotitolo che dice tutto: Pinocchio<br />
è un burattino. È un burattino che però ha una storia. Questa storia lo<br />
porterà a essere qualcosa di diverso da un burattino. Ma che cosa? Appunto qui sta<br />
la questione. L'inghippo è proprio nella definizione fornita all'inizio <strong>della</strong> storia,<br />
cioè nell'indicazione "burattino", che è una indicazione sbagliata per quanto riguarda<br />
l'azione, ma che è una indicazione più che esatta per quanto riguarda il<br />
meccanismo dell'azione. (Tutta l'arte degenerata diventa grande arte in base a queste<br />
apparenti distrazioni.)<br />
Il romanzo Pinocchio riporta la storia del burattino Pinocchio, che da burattino,<br />
diventa infine un'altra cosa. Ma che cosa diventa? Il romanzo Pinocchio mostra<br />
che, da "burattino", Pinocchio diventa infine bambino umano, cioè essere umano.<br />
Pinocchio nasce come burattino. Il testo è ambiguo su questo termine. E questo,<br />
da parte del testo, è una strana ambiguità, Questa ambiguità è pari a quella che accompagna<br />
la cagata dell'Italia come nazione. Conosciamo Pinocchio come un burattino<br />
appena abbozzato. Vale a dire: come un burattino da rifinire, da precisare,<br />
da rimpinzare. Quello che manca in questo burattino è il ripieno <strong>della</strong> cultura.<br />
La cultura italiana è il ripieno adatto al burattino Pinocchio. Geppetto ha fame<br />
di fortuna. Cioè ha fame di soddisfare la propria fame. Pinocchio nasce all'insegna<br />
<strong>della</strong> fame. Gli animali sono proprio come gli Italiani: pensano sempre a mangiare.<br />
E come sa chiunque si diletti di culinaria, il ripieno è qualcosa che si infila nel didietro<br />
di una carcassa pronta e in posa per essere rimpinzata.<br />
È infatti la mano di un burattinaio a dare la vita al povero burattino.<br />
Notare che la parola italiana "culinaria", l'arte <strong>della</strong> cucina, deriva da "culo",<br />
perché nell'antica Roma i gabinetti erano vicini alle cucine. Quando si tratta di<br />
"arte del culo", si scopre sempre che gli Italiani (che Dio li stramaledica!) ne sanno<br />
sempre più di tutti.<br />
Pinocchio ha così qualcosa <strong>della</strong> pornodiva. Si esibisce su un palco. Ma come<br />
per certe pornostar, la sua fama specifica dipende dalla disponibilità che dimostra<br />
nel... "recitare di schiena".<br />
In questo caso particolare, nel farsi compenetrare dalla maledetta cultura italiana,<br />
che come un'onda maledetta di ladri, entra, silenziosamente, nel mezzo <strong>della</strong><br />
notte più nera <strong>della</strong> cultura europea, dal didietro.<br />
(Maledetta Cul Tura italiana. Maledetta cultura italiana TuraCul, TuraCul. Dio<br />
vi stramaledica tutti, Italiani bastardi! Dio vi stramaledica tutti, soprattutto quando,<br />
scarafaggi impolverati, sguisciate affannati dalle rovine dei vostri maledetti tan-<br />
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44<br />
ti terremoti. Dio vi stramaledica tutti, Italiani bastardi! Dio vi stramaledica tutti<br />
ancora una volta di più!)<br />
Quello che alla fine Pinocchio diventa, non è un essere umano, ma una marionetta,<br />
cioè un perfetto equivalente dei suoi maledetti connazionali. Questo perché<br />
Pinocchio, fin dall'inizio, non era un burattino, ma era una marionetta. E questo<br />
perché l'Italia non è una nazione, e non può avere una formazione per i propri cittadini,<br />
né, tantomeno, può avere un Bildungsroman. In Italia non si può diventare<br />
uomini, si può diventare soltanto marionette. Si nasce burattini e si diventa marionette.<br />
Jung sosteneva che ciò che gli alchimisti volevano raggiungere non fosse l'oro<br />
materiale, ma un oro (per così dire) "spirituale", cioè il raggiungimento <strong>della</strong> personalità<br />
individuale in rapporto alla collettività.<br />
Che è appunto quanto Pinocchio si sforza di presentare.<br />
Alcuni alchimisti miravano a ottenere oro dagli escrementi. I Massoni <strong>della</strong><br />
Carboneria sono andati ben oltre, e dal Nulla hanno ottenuto la Merda, cioè hanno<br />
realizzato, a tutti gli effetti, la Cagata dell'Italia, e, grazie alla Cagata dell'Italia,<br />
la presenza di un nuovo Paese nella vecchia Europa. Dopo il loro intervento, chiunque,<br />
in ogni luogo del mondo, sa che l'Italia è stata cagata. Sa che l'Italia è stata<br />
ufficialmente, storicamente cagata: è stata cagata in un certo tempo; è stata cagata<br />
in un certo luogo; è stata cagata con una certa, precisa forma geometrica e geografica.<br />
Dio stramaledica la cagata dell'Italia!<br />
E chiunque sia in grado di contare, sa che sono passati 150 anni dalla cagata<br />
dell'Italia.<br />
Ma che cosa si può dire <strong>della</strong> cagata dell'Italia, volendo evitare il termine "cagata"?<br />
Gli Italiani sanno che il loro spazio è uno spazio artificiale, asettico, dove non<br />
c'è spazio per gli estranei o per gli animali. La migliore rappresentazione dell'Italia<br />
(questo maledetto spazio artificiale che ha impestato l'Europa, prima di tutto; e<br />
poi tutto il mondo) è proprio nella mancanza di animali al suo interno.<br />
L'Italia è la cagata massonica per eccellenza. La cagata del maledetto Tempio di<br />
Gerusalemme adattato ai nuovi tempi e ai nuovi luoghi.<br />
In quanto territorio inesistente, l'Italia è legata a un "clic", cioè a un battito tra<br />
territori la cui contiguità è assolutamente inesistente, perché l'Italia è un territorio<br />
inesistente. Ma che dal punto di vista <strong>della</strong> possibilità, fosse anche solo quella del<br />
sogno, è tutt'altro che inesistente, proprio perché l'Italia è l'esistente inesistenza di<br />
un territorio.<br />
È quanto rivela la corriera per il Paese dei Balocchi, che tutte le notti, regolarmente,<br />
ferma a una certa fermata.<br />
Probabilmente, il canto dell'usignolo registrato su disco, come compare nei Pini<br />
di Roma di Respighi, è il più bell'esempio di animale all'interno <strong>della</strong> cultura<br />
italiana. "Bello" per modo di dire. È infatti un esempio di pacchianeria tecnologica.<br />
Una cialtronata. Una ripetizione golemica schiaffata lì, a spregio dell'arte musicale.<br />
Gli Italiani sono un pugno di Massoni stretti a pugno tra loro. Niente può<br />
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45<br />
entrare in quel pugno, meno che mai un animale.<br />
Da qualche parte ho letto che qualcuno, forse uno scrittore (non italiano, ovviamente)<br />
dell'Ottocento, viaggiando per l'Italia, si era meravigliato di come gli<br />
Italiani (che Dio li stramaledica, tutti quanti e per sempre!) maltrattassero gli animali.<br />
Forse di trattava di Gobineau. Non ricordo. Voglio ritrovare il brano e inserirlo<br />
in uno di questi articoli. In segno di disprezzo verso il popolo italiano!<br />
Pinocchio riserva un grande spazio agli animali e presenta un vero e proprio bestiario.<br />
C'è tutto un bestiario di Pinocchio da determinare.<br />
Il bestiario di Pinocchio va dalla balena semita al drago-serpente germanico.<br />
Si potrebbe tentare una analisi precisa di questo bestiario:<br />
Il serpente germanico.<br />
La balena semita.<br />
Il colombo italico [l'animale da soma del meticcio italiano. Il "pio bove".]<br />
Il grillo parlante [l'Italiano che è stato all'estero. L'Italiano Saccente. L'Illuminista.]<br />
La battaglia di Arminio<br />
La battaglia di Arminio di Heinrich von Kleist contiene alcuni confronti, certamente<br />
non intesi in questa forma dall'autore, ma presenti nel testo, con la civiltà<br />
germanica, sui quali vale la pena dirigere una riflessione. Questo perché, quando lo<br />
scontro è uno scontro tra civiltà, un testo che richiama l'antica battaglia delle razze<br />
non può che richiamare l'insieme di ciò che oppone razza superiore e razze inferiori,<br />
qualunque siano le intenzioni dell'autore.<br />
1. Arminio: «Credo che i Tedeschi siano più dotati di talento, ma che gli Italici,<br />
sebbene meno dotati, l’abbiano sviluppato meglio nell’epoca presente». Arminio<br />
afferma che un’armata germanica in marcia o in sosta suscita il riso in confronto a<br />
una di Roma (atto I, scena III). Notare il richiamo a ciò che il testo chiama "l'epoca<br />
presente", identificata come un'epoca di decadenza, nella quale, proprio per<br />
questa caratteristica, la civiltà latina può ottenere il massimo del successo. Questo è<br />
proprio ciò che chiama il teatro, il fattore dello spettatore invisibile, ugualmente<br />
richiamato dalla pubblicità, cioè l'arte di sfottere, tipica <strong>della</strong> civiltà latino-semita.<br />
Ma c'è un altro fattore che il testo suggerisce: l'arte <strong>della</strong> guerra, il tipo di guerra<br />
che in quel momento si combatte. Armata romana e armata germanica richiamano<br />
infatti due tipi diversi di guerra.<br />
2. Teutoburgo. Accampamento di Arminio. Arminio e alcuni Anziani osservano<br />
le fiamme che si alzano dai villaggi attraversati dalle armate di Roma. Così avanza<br />
nel mondo la civiltà di Roma. (Atto III, scena I). Roma è barbarie.<br />
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46<br />
3. Ventidio ha insegnato a Tusnelda l’arte di abbigliarsi e acconciarsi i capelli<br />
con lo sfarzo di una Romana. Arminio le rivela che i Romani hanno l’abitudine di<br />
tagliare i capelli biondi delle donne tedesche per farne parrucche per le loro donne:<br />
«Neri sono [i capelli delle Romane], neri e grassi, come quelli delle streghe. Non<br />
belli, asciutti, d’oro, come i tuoi.» (Atto III, scena III). Bellissimo episodio che richiama<br />
lo scontro in corso alla sua vera natura, cioè allo scontro razziale: la razza<br />
nordica autenticamente indoeuropea e il meticciato romano, che niente ha di europeo<br />
(meno che mai di indoeuropeo).<br />
4. Sfila l’esercito di Roma. Varo chiede a Ventidio assicurazioni su Arminio. Egli<br />
sa che, non appena marcerà contro Marbod, la sua posizione sarà molto delicata:<br />
poiché avrà di fronte l’esercito di Marbod e alle spalle quello di Arminio. Ventidio<br />
lo rassicura, ma ogni sua frase è ambigua. Questo dialogo è un capolavoro:<br />
c’è tutta la falsità dei Latini, il loro amore per gli intrighi, la loro assoluta diffidenza,<br />
il loro essere biforcuto nel mondo. Ventidio ha la lingua biforcuta perché la<br />
lingua del suo popolo è una lingua biforcuta. Ventidio prende per spirito profetico<br />
quello che è malevolenza degli uni verso gli altri. Caratteristica tipica <strong>della</strong> sua gente:<br />
la razza latina. Tusnelda chiede a Settimio spiegazioni sulle insegne che vede<br />
portate dall’esercito romano. Viene così a sapere che l’Aquila ha il compito di riunire<br />
i soldati in battaglia. Tusnelda: «Da noi usa il canto corale dei bardi» (p. 629):<br />
storia come vedere, storia come dire. (Atto III, scena VI.)<br />
5. Entra una mandragora [così la traduzione]. Varo la interroga: da dove vengo?<br />
Risposta: dal nulla. Dove mi dirigo? Risposta: verso il nulla. Dove sono? Risposta:<br />
a due passi dalla tomba. Poi scompare. Parlando <strong>della</strong> mandragora, Varo accosta la<br />
Sibilla romana alla maga di Endor. (Atto V, scena IV.) Questo personaggio è riconducibile<br />
alla völva dell'Edda, che qui racconta il futuro <strong>della</strong> civiltà semitolatina<br />
visto nella sua opposizione alla civiltà germanica. Così ci sarà infine una battaglia<br />
di Arminio dopo la quale la civiltà latina verrà consegnata al nulla.<br />
6. Varo parla di due corvi: uno che pareva annunciargli la vittoria, l’altro la<br />
tomba. I due corvi possono essere accostati ai due di Óðinn, ma senza una reale<br />
funzione. Un popolo di bastardi è un popolo raccoglitore di mitologie, leggende e<br />
racconti; tutto un materiale del quale non sa che fare. (Atto V, scena VII.)<br />
7. Varo: «Arminio, Arminio, è dunque possibile che uno abbia capelli biondi ed<br />
occhi azzurri e che sia falso come un cartaginese?» (atto V, scena IX). Varo espone<br />
apertamente quella ideologia che egli, prima di tutti, dovrebbe non accettare.<br />
8. I Capi temono che Arminio marci contro Marbod. Arminio: «per il tonante<br />
bronzeo carro di Wodan»: di tonante c'è qui, prima di tutto, l'errore. Non era Óðinn<br />
il dio con il carro, ma Þórr. (Atto V, scena XI.)<br />
9. Arminio: «E poi muoveremo audacemente… verso Roma. Noi, fratelli, noi o<br />
i nostri nipoti! Sono infatti fermamente convinto che l’intero mondo non potrà<br />
ottenere pace da questa genía di assassini fin quando non sarà totalmente distrutto<br />
il loro nido di predatori e una bandiera nera non sventolerà sopra un desolato cumulo<br />
di macerie.» (atto V, scena ultima). È qui anticipata la fine <strong>della</strong> civiltà semito-latina,<br />
riassunta nella battaglia finale contro la grande città. Si ripresenta lo<br />
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47<br />
scontro dapprima negato: l'odio verso la grande città e lo smascheramento <strong>della</strong><br />
civiltà latino-semita.<br />
Teutoburgo vi compare come una città con strade nelle quali si può camminare<br />
e un parco chiuso da un cancello, una specie di giardino all'inglese, dove la natura<br />
sembra seguire indisturbata il suo corso e dove Tusnelda fa rinchiudere Ventidio in<br />
modo da farlo sbranare dall'orsa che, poco prima, vi aveva fatto rinchiudere. Una<br />
delle caratteristiche fondamentali dello scontro tra civiltà romana e civiltà germanica,<br />
la grande città semito-latina e l'assenza di città nel mondo germanico, è del<br />
tutto ignorato.<br />
La battaglia di Arminio di Heinrich von Kleist è uno strano testo. Tutto, in<br />
questo strano testo, viene messo in scena come se la battaglia di Arminio fosse già<br />
avvenuta. Quello che il testo presenta è infatti la nuova battaglia di Arminio, cioè<br />
quella battaglia che, dopo la battaglia di Arminio storica, bisogna combattere per<br />
scacciare l'influsso <strong>della</strong> civiltà latino-semita. La battaglia di Arminio "storica" ha<br />
segnato la vittoria dei popoli tedeschi sull'esercito di Roma e la fine dell'aggressione<br />
<strong>della</strong> civiltà romana nei confronti del nord, Ma il risultato è stato che la Germania,<br />
così come tutto il nord, ha finito per accettare, senza accorgersene, sempre<br />
più la civiltà latino-semita, arrivando a pensare, alla fine, come quella civiltà e organizzando<br />
il proprio modo di vivere e di abitare la terra secondo i principi di<br />
quella lontana civiltà.<br />
Ma mai troppo lontana!<br />
«I dag kjenner mange mennesker i Norden gresk og romersk mytologi bedre<br />
enn den norrøne» (G. Steinsland, Eros og død i norrøne myter, Universitesforlaget<br />
AS, Oslo 1997, p. 18).<br />
Il fatto <strong>della</strong> battaglia personale, che chiunque deve combattere in nome <strong>della</strong><br />
battaglia di Arminio, mette in evidenza un'altra questione.<br />
Atto III, scena II: entrano in successione tre Capitani tedeschi. Riferiscono le<br />
atrocità commesse dai Romani lungo il loro percorso: distruzione delle residenze<br />
di Arminio, uccisione di una puerpera col suo bambino, distruzione <strong>della</strong> quercia<br />
sacra a Wodan. Sono i simboli delle tre funzioni indoeuropee secondo Dumézil,<br />
riportate nell’ordine: 2, 3, 1.<br />
Arminio accoglie le notizie con gioia e le fa diffondere, in modo da aumentare<br />
l'odio verso i Romani. Infine, ordina a Eginardo che dei Tedeschi travestiti da<br />
Romani seguano di nascosto le truppe di Varo, saccheggiando e incendiando.<br />
In Teoria del partigiano Carl Schmitt (Adelphi, Milano 2005) definisce La battaglia<br />
di Arminio di Kleist «il più grande poema partigiano di tutti i tempi» (p.<br />
17).<br />
Il partigiano, continua Schmitt, costringe il suo avversario a entrare in uno spazio<br />
diverso. Notare il richiamo al teatro nel testo di Schmitt: «Sbucando dalle<br />
quinte, il partigiano disturba il dramma convenzionale che si svolge, conforme alle<br />
regole, sul palcoscenico» (p. 98). Il partigiano è, a questo punto, una figura da melodramma,<br />
da operetta, da dramma di cappa e spada.<br />
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48<br />
Ma il partigiano di ieri è il terrorista di oggi. Il partigiano non è più una figura<br />
difensiva e da operetta, ma diventa «uno strumento manipolato da un’aggressività<br />
che mira alla rivoluzione mondiale» (p. 104).<br />
Rimane il punto di partenza: l'errore fondamentale di Kleist: aver rappresentato<br />
Teutoburgo come un città con strade dove i capi, in incognito, camminano di notte<br />
per studiare il comportamento <strong>della</strong> popolazione. Un tema che sembra richiamare<br />
la grande città di Baghdad dei racconti fioriti intorno al califfo Hārūn al-<br />
Rashīd nelle Mille e una notte.<br />
È una sovrapposizione di scenografie che il testo teatrale ha imparato a rappresentare.<br />
I guerrieri germanici si muovono, nella loro Germania violata, attraverso<br />
una scenografia che rappresenta la Germania violata come una grande città semita.<br />
Ma essi combattono concretamente per liberare la Germania,<br />
È appunto lo sdoppiamento tipico al quale il teatro moderno, in quanto messa<br />
in scena, non può più fare a meno. Soprattutto il teatro d'opera unirà una interpretazione<br />
musicale filologica a una messa in scena slegata da qualsiasi temporalità<br />
(scenografia costituita da blocchi in movimenti, costumi contemporanei, ecc.). Da<br />
qui è da rivedere il tentativo di Händel di creare oratori profani, in lingua inglese,<br />
in risposta all'invadente teatro italiano.<br />
Un bel commento all'articolo "2000 år sedan slaget vid Teutoburgerskogen!"<br />
nel sito www.patriot.nu (30 settembre 2009), cominciava con questa semplice frase:<br />
«Det är bara en ny Hermann som behövs och lite till.»<br />
(http://patriot.nu/artikel.asp?artikelID=1330).<br />
H. von Kleist, La battaglia di Arminio, in H. von Kleist, Opere, I, Guanda, Parma 1980 (trad. di<br />
Ervino Pocar).<br />
Il nuovo tema del Meister<br />
Gli Anni di noviziato di Wilhelm Meister presentano un tema assolutamente<br />
nuovo nell'ambito del romanzo: il tema del vero artista. Il tema centrale del Meister<br />
è di solito indicato nello scontro tra decisione di consacrarsi all'arte e accettazione<br />
di una professione borghese; tra arte e non-arte. Quello che il romanzo presenta<br />
è un qualcosa di più sinistro, inscindibile dalla nuova epoca borghese, con<br />
modalità ancora riconoscibili nella nostra epoca. L'artista non è più colui che<br />
giunge pienamente formato, ma colui che deve affrontare un apprendistato; che in<br />
realtà è una selezione. Il fatto che, nel romanzo, l'apprendistato abbia esito negati-<br />
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49<br />
vo non dimostra la vittoria <strong>della</strong> borghesia, ma il fatto che il vero artista non ha<br />
bisogno di apprendistato e che, sottoponendosi ad esso, in nome dei principi <strong>della</strong><br />
nuova epoca, alla fine egli arriva a fallire come artista. In questa nuova epoca, infatti,<br />
l'artista è qualcosa di non più necessario, quindi un qualcosa da formare attentamente<br />
affinché dia il risultato sperato.<br />
Tempo libero<br />
Disprezzare Manzoni, Leopardi, Verdi e Dante è un piacere che non mi faccio<br />
mai mancare.<br />
Il racconto a cornice<br />
Nell'Oceano dei fiumi dei racconti di Somadeva i racconti si generano l’uno<br />
dall’altro, con cornici sempre più strette. Spesso i racconti hanno funzione di digressioni<br />
e incastri fra le varie cornici.<br />
Tutto è apparenza. Le immagini sfumano l’una nell’altra. Non vi è nessuna<br />
permanenza. Il collegamento di questa struttura con le teorie induiste è evidente.<br />
Ma in che cosa si può riconoscere l’induismo? Nel miglioramento che lega il passaggio<br />
da una forma all’altra, nel fatto che tutte le cose sfumino infine nel divino.<br />
Così L'oceano ha influenzato Le Mille e una notte. Nelle Mille e una notte le cornici<br />
non rimandano a una teoria esterna e si limitano a un artificio compositivo.<br />
L’islamismo non ha nulla a che fare con i ritorni ciclici, cioè con le reincarnazioni.<br />
Molta letteratura medioevale andrebbe riconsiderata a partire da questo punto di<br />
vista. Anche certe annotazioni di Borges sulle Mille e una notte e sul doppio in letteratura<br />
(Stevenson) cambierebbero così aspetto.<br />
Bisognerebbe indagare il folklore europeo secondo una linea geografica del tipo:<br />
India (prima di tutto), Arabia (in modo secondario), Europa.<br />
Si otterrebbe uno schema <strong>della</strong> trasmigrazione dei racconti di questo tipo:<br />
1. India: Pañcatantra, Vetâlapañcavimsatikâ, Kathâsaritsâgara (le prime due raccolte<br />
presenti nell'Oceano).<br />
2. Arabia: Le mille e una notte.<br />
3. Europa: racconti popolari del folklore (dopo la distruzione <strong>della</strong> fase mitica<br />
indoeuropea e l’acquisizione stabile del Cristianesimo).<br />
Apparirebbe allora, in una nuova forma, la domanda fondamentale: "che cosa<br />
genera il racconto popolare"?<br />
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50<br />
L’India mantiene ancora la base religiosa. Con Le mille e una notte questa base si<br />
dissolve. Infatti lo schema a cornice dei racconti delle Mille e una notte non ha nulla<br />
a che fare con la religione islamica. Agostino combatteva la teoria dei ritorni ciclici<br />
presente nella religione pagana; la stessa cosa si può dire a proposito delle Mille<br />
e una notte nei confronti <strong>della</strong> narrativa indiana.<br />
Intorno all’anno 1000 in India si produce qualcosa che determina la narrativa<br />
europea: perché? con quali articolazioni precise?<br />
Per Novalis la fiaba presenta la trasformazione di ogni cosa in un'altra. Ma la<br />
posizione del Cunto di Basile verrebbe allora rivista.<br />
Superuomo e postmoderno<br />
La narrativa postmoderna rappresenta una scollatura del rapporto tra il soggetto<br />
e gli infiniti oggetti del mondo tutti ormai a sua disposizione. Il soggetto non si<br />
riconosce più come superuomo in quanto esponete <strong>della</strong> compiuta manifestazione<br />
dell'epoca <strong>della</strong> metafisica, e fa un balzo indietro rispetto a quanto formulato in<br />
proposito da Nietzsche.<br />
Nietzsche aveva individuato nel superuomo l'esponente <strong>della</strong> compiuta manifestazione<br />
dell'epoca <strong>della</strong> metafisica.<br />
Ma come portare a rappresentazione il dominio effettivo del mondo? E, a livello<br />
di letteratura, come rappresentare la realizzazione del dominio effettivo del<br />
mondo? Gli appunti, risalenti al 1888, sui nuovi futuri padroni del mondo, stesi<br />
da Nietzsche, sono ancora tutti da pensare – perché, troppo velocemente, sono stati<br />
liquidati come argomenti che non meritano di essere pensati. Ma forse, per<br />
quanto poco considerati, danno vita a un qualcosa, ancora non considerato, nel<br />
campo <strong>della</strong> sotto-letteratura e del cinema. Ma da proprio da questi campi, sottoletteratura<br />
e cinema, si fa vivo il postmoderno.<br />
Ogni frase, scritta nell'epoca del compimento <strong>della</strong> metafisica, porta con sé il<br />
paradiso, porta con sé l'inferno.<br />
L'ipotesi del superuomo di Nietzsche andrebbe articolata secondo due possibilità:<br />
1) l'ipotesi del superuomo vero e proprio (con esito verso un pensiero disantropomorfizzante);<br />
2) l'ipotesi dei futuri padroni del mondo (con esito verso il ripescaggio di<br />
un pensiero antropomorfizzante di tipo tardo-romantico).<br />
Il postmoderno presenta una narrativa dell'epoca <strong>della</strong> compiuta realizzazione<br />
<strong>della</strong> metafisica attraverso l'esclusione dell'ipotesi del superuomo. Così qualunque<br />
soggetto è un soggetto in balia <strong>della</strong> totalità degli oggetti del mondo, ma tutti a<br />
sua completa disposizione. È in questo bilanciamento ciò che porta alla biforca-<br />
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51<br />
zione del caso Italia e del caso Giappone.<br />
Per quanto riguarda la possibilità di una narrativa basata sul superuomo (come<br />
esponente dell'epoca <strong>della</strong> compiuta manifestazione <strong>della</strong> metafisica), l'Italia ha<br />
mostrato le due possibilità antitetiche: la narrativa di Gabriele d'Annunzio, nella<br />
quale il superuomo era tutt'uno con il protagonista (Il Fuoco); la narrativa di Umberto<br />
Eco, nella quale il superuomo non è considerato come ipotesi degna di attenzione,<br />
e il romanzo può sorgere, appunto, grazie alla negazione concreta del superuomo.<br />
Nel romanzo postmoderno ogni cosa del mondo, compresa la stessa letteratura,<br />
diventa qualcosa simile a un parco giochi; diventa la stesura letteraria di un videogame,<br />
e anche la stesura letteraria di un gioco di ruolo. Il postmoderno è una sosta<br />
confortevole, la sosta nel luogo in cui si atterra alla fine del balzo che porta – adesso<br />
– a situarsi nel luogo prima <strong>della</strong> formulazione <strong>della</strong> teoria di Nietzsche circa il<br />
superuomo.<br />
Per avere una reale contrapposizione a questo “caso Italia”, è necessario ricorrere,<br />
ancora una volta, al “caso Giappone”.<br />
La questione che così viene posta al romanzo, è del tipo: “Se il romanzo è storiografia,<br />
di che cosa si fa allora storiografo il romanziere? ”<br />
L'odiosa ideologia “buonista”, che il postmoderno ha rappresentato tramite i<br />
romanzi di Umberto Eco, non è l'unica manifestazione <strong>della</strong> narrativa postmoderna.<br />
La narrativa di Murakami Haruki ne ha infatti presentato tutta un'altra possibile<br />
forma. Ugualmente detestabile. Così, in Giappone il postmoderno ha dato origine<br />
a una geometria del caos e a una parallela geometria del caso; mentre ha dato<br />
origine, nella maledetta Italia dalla tormentata anima massonico-risorgimentale,<br />
a un impegno sociale, centrato sulla infinita e nascosta predica buonistica. La differenza<br />
può consistere in ciò che fa del Giappone il più grande produttore di golem<br />
del pianeta, secondo le parole di Miguel Serrano, e che invece ripiega l'Italia<br />
in un ridicolo progetto di mobilitazione globale dal fine vagamente utopistico e<br />
rosato, progetto che mette in berlina il grande senso di colpa che lo anima e lo istupidisce.<br />
Ma si tratta sempre di tutta la stessa forma che, di soppiatto, mette le mani in<br />
tasca per borseggiare.<br />
Il Giappone si pone come il più grande produttore di golem del pianeta. Il più<br />
grande produttore di prodotti che sporcano il mondo. Prodotti fatti per giocare,<br />
come quelli che provengono dagli Stati Uniti. Il cinema prima di tutto. Prodotti<br />
fatti per non pensare. L'Italia si pone su tutto un altro piano <strong>della</strong> replicazione golemica:<br />
spassionata dichiarazione di adesione alla propria malinconica ideologia in<br />
quanto unica ideologia delle diverse ideologie del passato. Ma ideologia del senso<br />
di colpa, prima di tutto. Nella <strong>Terra</strong> <strong>della</strong> Sera, quanto sbandierato dalla maledetta<br />
Italia è solo lo straccio di ciò che rimane delle ideologie cristiano-ebraico-socialiste,<br />
straccio a brandelli in un mondo senza vento.<br />
La differenza è che il Giappone è l'artefice <strong>della</strong> replicazione golemica che sporca<br />
il mondo, mentre l'Italia è la sporcizia stessa <strong>della</strong> replicazione golemica, ma ad<br />
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52<br />
arte creata apposta per ripulire la propria coscienza – mai affrontata da uno sguardo<br />
non compiacente.<br />
Il postmoderno è la ricaduta verso una antropomorfizzazione di tipo tardoromantico.<br />
Al di fuori del postmoderno, l'aspetto più emblematico verso cui il pensiero<br />
può essere condotto è quello che ne permette l'articolazione in termini del tutto<br />
disantropomorfizzanti. Si avrebbe così un pensiero la cui caratteristica fondamentale<br />
sarebbe – appunto – la disantropomorfizzazione a livelli attualmente inimmaginabili.<br />
Questo pensiero sarebbe il pensiero più adatto per la nostra epoca.<br />
Il peso del postmoderno<br />
Che cosa dice il sogno <strong>della</strong> notte più lunga del meticcio italiano? Niente notte<br />
<strong>della</strong> veglia dei Finnegan, in Italia. Gli unici pasticciacci sono quelli di Gadda e di<br />
Camilleri. Pasticciacci da salotti. Infatti, Ombre Rosse e Ombre Nere costituiscono<br />
il pasticcio che più piace agli italiani Bianchi di Sinistra. Con occhio massonico<br />
il meticcio italiano guarda il mondo.<br />
Il romanzo buonista postmoderno italiano rappresenta il peso del romanzo<br />
postmoderno messo a nudo, che però ne evidenzia l'aspetto fondamentale: cioè la<br />
nudità che lo veste.<br />
In Italia i romanzi postmoderni dell'Eco lumacone hanno il merito di far luce,<br />
una volta per tutte, sul profondo senso di colpa che pervade ogni aspetto <strong>della</strong> triste<br />
vita del meticcio italiano. Permettono di rivedere la letteratura italiana, e non<br />
solo. Nella letteratura, nella politica, e poi in ogni aspetto <strong>della</strong> vita quotidiana, il<br />
meticcio italiano rivela un forte senso di colpa che dirige e pervade infatti i suoi<br />
tanti gesti miseri e volgari. È come se il meticcio italiano si riconoscesse da sempre<br />
irretito in una situazione angosciosa, dalla quale egli si è più volte risvegliato, passando<br />
da un accenno di incubo a un dormiveglia subdolo e colpevole, ma situazione<br />
dalla quale egli è ben conscio di averne sempre tratto profitti enormi, costanti<br />
e casuali – da qui il suo bisogno finale di espiazione.<br />
È evidente che, in queste condizioni, il meticcio italiano debba volgersi verso<br />
gli strati sociali e le parti del mondo che più si dibattono per tentare di sopravvivere.<br />
E che debba pensare di dedicare a loro il suo discorso-manifesto, celato nelle<br />
spoglie di un romanzo strategicamente postmoderno. Egli può pensare così che da<br />
quelle plaghe arrivi infine a lui la chiamata. Ma chi chiama il meticcio italiano?<br />
Chi mai ha interesse a chiamarlo? Il meticcio italiano è ben diverso dal tormentato<br />
meticcio slavo, che almeno ha avuto il suo Dostoevskij. È però qui in gioco un<br />
meccanismo testardo, testardo come il meticciato, che in parte soddisfa – e in parte<br />
inchioda – il senso di colpa del meticcio italiano. Si è mai notato che ogni cosa<br />
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53<br />
che fa il meticcio italiano deve rispondere a una domanda del tipo: "Cosa hai fatto,<br />
tu, per impedire questo sopruso? e cosa pensi di fare ora, tu, che ne sei a conoscenza?"<br />
È questa ansia di bilanci che rende tanto falsa e pesante la letteratura del<br />
meticcio italiano. Letteratura sempre soppesata sul bilancino. Ma solo perché non<br />
si ha a fuoco il personaggio da cui tutto parte: il meticcio italiano, personaggio picaresco<br />
a tutto sfondo. Peccato che l'Italia non abbia avuto una letteratura picaresca,<br />
anziché pittoresca, come più o meno ha avuto. E peccato non abbia avuto un<br />
Dostoevskij. Ma poteva, l'Italia, avere una letteratura? Penso proprio di no!<br />
La questione è: da dove proviene il senso di colpa del meticcio italiano? In che<br />
cosa può esso consistere? C'è qualcosa che il meticcio italiano sa e che lo tormenta?<br />
Se sapesse di non essere un europeo e di non avere diritto di stare in Europa? Se<br />
sapesse che tutta la sua storia, così fraudolentemente messa insieme, è un imbroglio?<br />
Il meticcio italiano rappresenta la comparsa aggiornata dell'uomo più brutto<br />
nella catena del ritorno, secondo quanto si legge sull'eterno ritorno nello Zarathustra.<br />
Il meticcio italiano sa di dover tornare in eterno nella catena delle ingiustizie e<br />
sa di essere parte integrante di questa ingiusta catena. Per questo il meticcio italiano<br />
è quell'essere che, nella letteratura, medita, macina e sputa infinita tristezza. Se<br />
il meticcio italiano sapesse che non potrà mai andarsene dal luogo dove non ha<br />
nessun diritto di stare, e se proprio questo fosse il suo pensiero più colpevole?<br />
Romanzo e parabola<br />
Come certi paesaggi nordici – sublimi sotto il sole di ghiaccio di una tarda estate<br />
artica – certi azzardi <strong>della</strong> teoria dell'arte <strong>della</strong> narrazione sembrano prendere<br />
l'aspetto del corpo di una bellissima donna fatto a pezzi e lanciato nel mare più<br />
calmo del mondo, quello del Sacro Nord, nel mistero dell'incanto <strong>della</strong> notte sospesa,<br />
quando tutto ciò che è in quel mondo sembra chiedere soltanto l'occhio di<br />
un grande e nuovo artista, tanto perfetto nella sua arte quanto nel suo isolamento,<br />
per rendere grazie a Dio per la bellezza del mondo.<br />
Con il romanzo realista, il romanzo si pone come una sofisticata arte <strong>della</strong> rappresentazione<br />
dello scacco che colpisce l'individuo durante tutta la sua parabola di<br />
vita desolata. Solo con il romanzo realista, infatti, il romanzo si definisce come<br />
un'arte delle piccole, infinite, deprimenti unità discrete. Meglio sarebbe chiamare<br />
il romanzo realista "il romanzo dell'individuo", poiché è solo in questa fase che il<br />
romanzo si pone come storiografia del fenomeno dell'individuo, ormai assurto<br />
stabilmente a tipo dotato di una parabola organica. È appunto in mezzo a questo<br />
insieme che insiste il "realismo". Così il realismo tende a identificarsi con ciò che è<br />
adesso immediatamente e puntualmente riscontrabile nella realtà. La condizione<br />
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54<br />
del protagonista del romanzo realista comporta la stessa condizione dell'individuo<br />
descritta da Heidegger in Essere e tempo.<br />
Se il romanzo ha avuto la sua nascita nell'ambito di una simulazione <strong>della</strong> storiografia,<br />
il romanzo ridotto a storiografia del puro fenomeno "individuo" mostra<br />
la desolante parabola di tutto l'individuo, che da una nascita casuale traghetta verso<br />
una morte inevitabile. Nel romanzo realista manca proprio l'aggancio con la<br />
grande storia. Tutta la storia narrata nel romanzo realista si riduce a storia di un<br />
piccolo individuo. Il romanzo orchestra una quantità di piccoli fatti, meschinerie,<br />
sconfitte quotidiane, che accompagnano sempre l'individuo sullo sfondo dello<br />
scacco sonoro finale che non può essere evitato: la morte.<br />
Per una diversa teoria del romanzo (ma di una teoria ormai del tutto in via di<br />
essere dimenticata) bisogna rivolgersi al Meister di Goethe e all'Estetica di Hegel.<br />
Joyce e Musil sono stati i due romanzieri <strong>della</strong> modernità che più di tutti hanno<br />
cercato di svincolare il romanzo dalla parabola dell'individuo.<br />
Joyce lo ha fatto attraverso il mito, Musil attraverso la saggistica.<br />
Rimane il problema fondamentale, che nel romanzo riguarda la posizione<br />
dell'individuo. Quattro forme diverse appaiono essere state praticate:<br />
• Il romanzo nasce come una finzione <strong>della</strong> storiografia; l'individuo non occupa<br />
la posizione di soggetto: è la fase iniziale del romanzo.<br />
• Il romanzo diventa il punto di vista del soggetto, e il soggetto sfuma nella fenomenologia<br />
esistenzialista <strong>della</strong> vita quotidiana: è il romanzo realista.<br />
• Il romanzo accetta l'individuo come suo perno, ma lo utilizza in quanto punto<br />
di fuga verso il mito (Joyce) o verso la filosofia (Musil).<br />
• Il romanzo accetta l'individuo, ma lo spoglia <strong>della</strong> verità esistenzialista e lo<br />
considera come "pedina di gioco" dell'impacciato gioco dell'oca zoppa: è la possibilità<br />
del romanzo post-moderno.<br />
Il romanzo è la rotabile che a poco a poco si disperde negli intricati deserti artificiali<br />
<strong>della</strong> modernità. È un peccato che Heidegger non abbia affrontato la struttura<br />
del romanzo così come ha affrontato la poesia.<br />
Romanzo del giorno e romanzo <strong>della</strong> notte<br />
Romanzo <strong>della</strong> modernità.<br />
Finnegans Wake vi è largamente implicato.<br />
Non sapere come uscire da un luogo, non avere ricordo di come ci si è entrati:<br />
questo è il sogno <strong>della</strong> razza. L'avere razza è proprio ciò che sveglia da un sogno in<br />
cui ci si trova intenti a muoversi in un luogo – tanto estraneo quanto familiare –<br />
non avendo idea di come ci si è entrati.<br />
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55<br />
Ulisse è il romanzo <strong>della</strong> razza straniera che va e che viene e che occupa l'Europa.<br />
Finnegans Wake è il riscatto <strong>della</strong> razza nel campo <strong>della</strong> razza. Cioè solo nel sogno.<br />
È il sogno stesso <strong>della</strong> razza che sogna se stessa in quanto farsi sogno e farsi<br />
razza del sogno. Non in quanto "soggetto che ha un sogno", ma in quanto interpretazione<br />
dei sogni del gioco. Per questo era necessario dissolvere una lingua tra<br />
tutte.<br />
Romanzo del giorno e romanzo <strong>della</strong> notte.<br />
Il romanzo del giorno è il romanzo <strong>della</strong> razza straniera che è presente in Europa.<br />
È il suo andare in una terra straniera per non ritornare mai a casa che si fa romanzo.<br />
Ma non si possiede mai casa, se l'alingua non è la casa dello scrittore.<br />
Il romanzo <strong>della</strong> notte è il romanzo del riscatto <strong>della</strong> razza. È il sogno <strong>della</strong> razza<br />
che sogna l'eterno ritorno <strong>della</strong> razza del sogno.<br />
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56<br />
Mu s i c a<br />
Bach e l'arische Männerbund<br />
Nelle Passioni di Bach Gesù è visto come il Capo di una arische Männerbund.<br />
Gli apostoli costituiscono la scorta addomesticata di un tale Capo. La musica esprime<br />
il dolore per la perdita del Capo. Un confronto con questa musica potrebbe<br />
partire dal Lamento di Deor. Nelle Passioni Bach crea una musica che cambia sempre,<br />
ma questo era appunto quello che doveva nascere nella civiltà germanica.<br />
Se Wagner fosse partito dalle Passioni di Bach? Óðinn come Gesù (cioè come<br />
divinità legata all’amore). Wagner doveva depurare la scelta di Bach: cristianesimo<br />
e latinizzazione <strong>della</strong> melodia.<br />
Notare che Wagner è passato dal cristianesimo (di Bach) alla mitologia germanica<br />
e, riconoscendo in essa un pensiero, alla filosofia di Schopenhauer e al buddhismo.<br />
Il numero dodici ricorreva spesso nell'antica civiltà germanica con una certa<br />
importanza, indipendentemente dal cristianesimo. La stessa numerazione era in<br />
base dodici. Dodici erano molte volte i componenti delle bande di guerrieri o di<br />
berserkir di cui parlano le saghe islandesi. È un peccato che manchi uno studio in<br />
proposito. Ecco alcuni esempi tratti dalla Egils saga:<br />
Dodici sono i berserkir che prendono parte alla battaglia di Hafrsfjörðr (cap. 9).<br />
Quando Skalla-Grímr, padre di Egill, fa visita a re Haraldr per dirgli che non<br />
ha intenzione di essere suo sottoposto, prende con sé undici persone, costituendo<br />
così un gruppo di dodici (cap. 25).<br />
Nel capitolo 46, durante una spedizione vichinga in Kúrland, Egill si trova separato<br />
dal fratello insieme a dodici compagni.<br />
Nel capitolo 55, Egill è accolto da Arinbjörn in inverno insieme a dodici compagni.<br />
Nel capitolo 57, quando Egill parte per uccidere Berg-Önundr, è accompagnato<br />
da undici compagni, mentre altri sei restano a sorvegliare la nave.<br />
Egils saga Skalla-Grímssonar, Íslenzk fornrit, Reykjavík 1988.<br />
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57<br />
Confini<br />
Nietzsche non amava la musica di Haydn: «contadino, forse sangue di zingaro<br />
(nero); “pagano”».<br />
Molte sinfonie di Haydn hanno una costruzione del primo tema del tipo:<br />
"motto + estensione".<br />
Sinfonia 104. Primo tempo: battute 17-24: "motto" (ripetuto nelle sette battute<br />
successive); battute 33-39: "estensione".<br />
Quello che mi ha sempre dato fastidio in Verdi è la fissità di quella sua "musica"<br />
(?). Mi ha sempre dato fastidio proprio ciò che di irritante c'è in quella cosa<br />
primitiva che del ritmo ha solo la regolarità dello schiocco ossessivo, che addormenta<br />
o innervosisce. Non ho mai avuto dubbi: "Questa è musica negroide!"<br />
Un ricordo d'infanzia: l'asino che con lo zoccolo batte sul terreno: Tòc!... Tòc!...<br />
Tòc!...<br />
Furtwängler giudicava Toscanini solo un battitore di tempo.<br />
(Italiani bastardi!)<br />
Nella musica gli Italiani sono come i Negri di Gobineau: possono scandire un<br />
ritmo con i loro tamburi di negri, ma non possono mai comporre le sinfonie<br />
dell'austriaco Haydn, del tedesco Beethoven, dell'austriaco Bruckner. E nemmeno<br />
quelle di Mozart.<br />
Nietzsche non amava la musica di Haydn: «contadino, forse sangue di zingaro<br />
(nero); “pagano”». A lui contrapponeva Mozart: «cittadino, socievole, cortigiano».<br />
La struttura "motto + estensione" può essere accostata a quella "Capo + Scorta",<br />
nucleo <strong>della</strong> funzione guerriera secondo Dumézil. Esterháza avrebbe allora la<br />
funzione di una Ultima Casa Accogliente.<br />
La sinfonia 36 di Mozart è nota per essere composta secondo lo schema delle<br />
sinfonie di Haydn. Presenta anche la struttura "motto + estensione" nel primo<br />
tempo. Battute 22-29: motto; battute 30-37: estensione. Ma come classificare le<br />
battute 20-21, al termine dell'adagio introduttivo? La struttura c'è, ma funziona in<br />
un modo diverso. Manca proprio la struttura "Capo + Scorta". Siamo in un ambiente<br />
cittadino, cortigiano. In un ambiente diverso.<br />
L'Estetica di Hegel riporta un giudizio preciso e perfido sulla musica di Rossini:<br />
"un vuoto solletico dell'orecchio". La musica italiana è tutta in questo grande raccolto<br />
di uva passa.<br />
Monteverdi: la sua musica è solo un soffio aggiunto alle parole. Ma questa musica<br />
contiene già ciò che sarà il destino futuro <strong>della</strong> musica: andare per riportare in<br />
vita ciò che è stato sottratto alla vita.<br />
Nietzsche non amava la musica di Haydn.<br />
Rüdiger Safranski riporta un giudizio di Heidegger sull'ultima sonata di Schubert:<br />
«Questo noi non possiamo farlo con la filosofia.»<br />
Ma la civiltà germanica non ha ancora mai pensato fino in fondo aldilà <strong>della</strong><br />
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58<br />
civiltà latina e se stessa come aldilà <strong>della</strong> civiltà latina.<br />
Libri in contrappunto:<br />
F. Nietzsche, Frammenti postumi 1884, Adelphi, Milano 1976 (Opere di Friedrich Nietzsche. Volume<br />
VII, tomo II), fr. 25 [419].<br />
Hegel, Estetica, 2 voll., Einaudi Editore, Torino 1997, vol. II, p. 1061.<br />
R. Safranski, Heidegger e il suo tempo, Longanesi & C., Milano 1996, p. 402.<br />
Una musica che non c'è più<br />
Certa musica moderna (Lontano di György Ligeti, Spiegel im Spiegel di Arvo<br />
Pärt, A Midsummer Night's Dream di Benjamin Britten, In tempus praesens di Sofija<br />
Gubajdulina) andrebbe analizzata dal punto di vista <strong>della</strong> persistente e suadente<br />
evocazione di una musica che non c’è più. Anche il Rake's Progress di Stravinsky si<br />
fonda su un analogo artificio. È come se questa musica richiamasse la capacità di<br />
evocare qualcosa di una musica che, nella sua completa struttura, semplicemente,<br />
ormai non c’è più. Sotto certi aspetti, l’avanguardia più radicale (Cage, ad es.) ha<br />
avuto dalla sua qualcosa di più onesto: la volontà di rompere a tutti i costi con una<br />
musica del passato.<br />
Sarebbe da precisare il ruolo svolto da Mahler nella formazione di questa particolare<br />
musica moderna. Adorno diceva che l’Adagetto <strong>della</strong> quinta sinfonia è musica<br />
inconsistente. Mahler avrebbe così aperto a questo tipo di musica inconsistente,<br />
a questo tipo di musica di puro effetto? (Pensare anche all’Adagio <strong>della</strong> quarta<br />
sinfonia. È l’aspetto “sehr ruhig” <strong>della</strong> musica di Mahler che dovrebbe far pensare.)<br />
Ma è comunque possibile vedere il doppio aspetto <strong>della</strong> musica di Mahler: musica<br />
di strada (erede <strong>della</strong> musica dei giardini di Mozart); musica di pura sensazione<br />
(proiettata, appunto, verso questi aspetti <strong>della</strong> musica di Britten, Ligeti, Pärt,<br />
ecc.).<br />
In questa musica possibile ha la sua posizione imponente Šostakovič. Notare i<br />
ritmi con le percussioni.<br />
Alcune cose devono essere chiarite:<br />
1. Qual è questa musica che non c’è più? Perché questa musica è così familiare, anche solo<br />
tramite un rapido accenno?<br />
2. Qual è il luogo dove questa musica, posto che la si possa precisare, può essere definita<br />
come “musica che non c’è più”? E, soprattutto, qual è il luogo dove questa musica era familiare,<br />
prima che diventasse “musica che non c’è più”?<br />
3. Qual è il rapporto tra lo “spettro” che si aggirava per l’Europa, la figura del Golem, e<br />
questa musica, che, con passo d'avvoltoio, viene dai vecchi Paesi Comunisti (Šostakovič, Ligeti,<br />
Pärt, Gubajdulina). Qual è il rapporto tra tutto questo e la musica germanica?<br />
È probabile che qui si richiami una differenza fondamentale: quella tra “arte elevata”<br />
e arte di consumo. Lo stato socialista ha spesso contrastato questa differenza.<br />
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59<br />
(Ma tutto questo è, probabilmente, una delle facce del postmodernismo.)<br />
Musica primitiva<br />
La musica degli Italiani è un esempio di musica primitiva. "Primitivo" definisce<br />
qui non ciò che è all'origine, ma ciò che suona sempre come degenerato. Si pensi<br />
alla musica di Vivaldi, Rossini, Verdi, Puccini: in questa musica c'è sempre un<br />
qualcosa di fastidiosamente primitivo. Lo si nota nel ritmo e nell'orchestrazione.<br />
Nell'Estetica di Hegel si riporta un giudizio molto preciso a proposito <strong>della</strong> musica<br />
di Rossini (può essere esteso a tutta la musica italiana): «un vuoto solletico<br />
dell'orecchio».<br />
La musica di Šostakovič è una musica che non risuona mai vuota. Richiama altre<br />
musiche. È una musica che suona come già ascoltata.<br />
Se si considera che ha la strana caratteristica di ricordare il cancan, si carpisce<br />
qualcosa di più <strong>della</strong> modernità: Orfeo nell'Inferno dell'arte degenerata.<br />
La musica di Šostakovič è stata considerata nella sua specificità di formarsi come<br />
musica in grado di richiamare altre musiche.<br />
In Šostakovič il cancan è sempre dietro l'angolo. Si ascolti l'Allegro <strong>della</strong> Decima<br />
sinfonia.<br />
La sua musica è la mummia <strong>della</strong> musica occidentale. La musica di Šostakovič<br />
non è solo lo spettro che si aggira per l’Europa, ma è soprattutto la mummia che<br />
ballonzola, con andatura di Golem, per l’Europa.<br />
La Settima (Leningrad), l’Ottava e la Nona costituiscono un gruppo omogeneo<br />
e una specie di Trilogia <strong>della</strong> Guerra. Sono composte nel periodo <strong>della</strong> seconda<br />
guerra mondiale. La Settima è dominata dalla marcia del primo tempo. L’Ottava,<br />
composta nel 1943, è la più drammatica, ma i due Allegretti contengono ritmi ironici<br />
e grotteschi. La Nona, composta nel 1945, dura poco meno di mezz’ora, è<br />
in cinque movimenti e allude a Rossini e Offenbach. Il primo tempo ricorda, però,<br />
Mahler. Il gruppo delinea qualcosa di strano: marcetta, dramma, celebrazione<br />
grottesca.<br />
Hegel, Estetica, 2 voll., Einaudi Editore, Torino 1997, vol. II, p. 1061.<br />
Fay, Laurel E. (ed.) Shostakovich and his World, Princeton University Press, Princeton, New Jersey<br />
2004<br />
Per essere precisi, con musica primitiva si intende una musica assolutamente in grado di fare a<br />
meno del pensiero.<br />
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60<br />
Un'arte nichilista<br />
La musica è un'arte nichilista. In nessuna altra arte si può esprimere un impulso<br />
nichilista così efficace e convincente come nella musica. (Ricordare quello che diceva<br />
Mishima.)<br />
Qualcosa lega l'"Allelujah" del Messiah al rondò <strong>della</strong> nona sinfonia di Mahler.<br />
Bachtin: la musica gira intorno alle parole, ma più le affronta, più la musica le<br />
fa esplodere. Bachtin vedeva nella polifonia letteraria la possibilità di inglobare più<br />
parole in una sola parola di personaggio; ma la musica dissolve la parola. In ogni<br />
occasione, anche attraverso la polifonia.<br />
Il concetto di "Dio" è l'ultima arte possibile in grado di comportare un'opera<br />
d'arte offerta allo sguardo di uno spettatore.<br />
Se la musica è nichilismo organizzato, un compositore può trasferire il potenziale<br />
nichilista <strong>della</strong> musica in una persona. Secondo il necrologio scritto da Donald<br />
Mitchell per la morte <strong>della</strong> figlia di Mahler Anna, ella aveva molto <strong>della</strong> musica<br />
del padre, quasi fosse una creazione <strong>della</strong> musica di lui. Il compositore avrebbe<br />
allora la capacità di trasferire la caratteristica <strong>della</strong> propria musica in campi completamente<br />
diversi? Ma qui c'è un'altra ambiguità: una creazione di Mahler o una<br />
creazione <strong>della</strong> musica di Mahler? È come la penombra di una discendenza gnostica.<br />
La parola è suono, ma il suono dissolve la parola.<br />
La poesia è musica in agguato.<br />
La musica è pura struttura. Poesia e letteratura possono avvicinarsi alla musica.<br />
La musica è un gioco nichilista proprio nel suo poter fare a meno delle parole<br />
senza poter fare a meno di un pensiero che richiama la parola per la sua completa<br />
espressione. Quello che viene scatenato è la traiettoria di un sistema complesso di<br />
pensiero. Ripensare a quello che diceva Mishima: la musica come bestia feroce in<br />
gabbia.<br />
La musica gira sempre attorno alle parole: ma più le affronta, più le fa esplodere.<br />
La letteratura si avvicina alla musica solo come cattiva letteratura: Umberto Eco<br />
come patetico caso di stravinskismo letterario.<br />
Solo la vera poesia è invece musica in agguato.<br />
Ma la musica è poi quella cosa che noi siamo abituati a conoscere come musica?<br />
C'è un giudizio di Heidegger sull'ultima sonata di Schubert molto particolare:<br />
«Questo noi non possiamo farlo con la filosofia.»: è come se la musica aprisse nuovi<br />
campi al pensiero, in un mondo che il pensiero non può fare. Certa musica di<br />
Schubert colpisce per il suo tono divinamente compatto (il primo tempo <strong>della</strong> nona<br />
sinfonia, l'ultima sonata per pianoforte). Si avrebbe allora nella musica la coesistenza<br />
del pensiero e del suo annullamento. Un pensiero che procede per strappi.<br />
E la musica di Schubert sarebbe prima di tutto pensiero geniale. Il naturale impulso<br />
nichilista <strong>della</strong> musica può avvicinarsi alla genialità. Un pensiero geniale potrebbe<br />
attualmente essere un pensiero autenticamente in grado di strappare da sé il<br />
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principio del terzo escluso.<br />
61<br />
Il necrologio di Donald Mitchell compare in A. Joseph, A. Mahler, M. Mahler & D. Mitchell,<br />
Mahler’s Smile: A Memoir of his Daughter Anna Mahler (1904-1988), in D. Mitchell & A. Nicholson<br />
[Edited by], The Mahler Companion, Oxford University Press, Oxford 2002, pp. 593-6.<br />
Nello stesso volume c'è anche il giudizio sul rondò <strong>della</strong> nona sinfonia sopra ricordato: S.E.<br />
Hefling, The Ninth Symphony, in D. Mitchell & A. Nicholson [Edited by], op. cit., pp. 483-4:<br />
«But Mahler's compositional tour de force of negativity is the Rondo-Burleske. Originally dedicated<br />
"To my brothers in Apollo", it is the most syntactically untraditional, contrapuntally complex,<br />
and riotously sardonic movement in all Mahler's oeuvre – as La Grange comments, Mahler<br />
never ventured further into nihilism than here.»<br />
Il giudizio di Heidegger sulla sonata di Schubert è riportato in R. Safranski, Heidegger e il suo<br />
tempo, Longanesi & C., Milano 1996, p. 402.<br />
Le riflessioni di Mishima sono tratte da E. Ciccarella, L'angelo ferito. Vita e morte di Mishima,<br />
Liguori Editore, Napoli 2007, p. 105: «In realtà la distanza che lo scrittore prendeva dall'universo<br />
musicale era il frutto di un profondo terrore inconscio, che poi diventerà invece molto cosciente<br />
quando confesserà: "Provo un terrore inusuale per questa cosa informe chiamata suono"; o quando<br />
paragonerà la musica ad una bestia feroce imprigionata in una gabbia, un gabbia inaffidabile che<br />
poteva cedere da un momento all'altro.»<br />
Per quanto riguarda lo "stravinskismo", vedere G. Gould, L'ala del turbine intelligente, Adelphi,<br />
Milano 2007, pp. 303-6.<br />
Can-can golemico<br />
In Šostakovic il can-can è sempre dietro l'angolo. Lo dimostra, fra l'altro, l'Allegro<br />
<strong>della</strong> Decima sinfonia. È una musica che ha del pagliaccio. Il Golem che avanza<br />
a passo di can-can.<br />
Solo musica d'effetto, niente sostanza. Ricordare quello che diceva Adorno<br />
sull'Adagetto di Mahler.<br />
Musica sfiatata. Ma certamente Šostakovic, con la sua musica, continua qualcosa<br />
che è già nella musica di Cajkovskij. Si pensi, ad es. alla quinta sinfonia.<br />
Un passo indietro<br />
«It seems likely that Pfitzner was acquainted with Richard Wagner's remarks to<br />
the Paris public concerning Der Freischütz (1841) in which Wagner claims that the<br />
poem of Freischütz seem to have been written by the Bohemian forests themselves.<br />
The specific German character of the tale, Wagner says, lies precisely in its depic-<br />
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62<br />
tion of Nature. In these passages, both Pfitzner and Wagner are placing Freischütz<br />
within a long cultural tradition that locates the national essence of Germany in its<br />
forests. Like so many other aspects of German cultural identity, this tradition was<br />
oppositional in its structure, pitting the German forests against the Mediterranean<br />
city, the greenery of the north against the masonry of the south.» (S.C. Meyer,<br />
Carl Maria von Weber and the Search for a German Opera, Indiana University Press,<br />
Indiana, Bloomington 2003, p. 105).<br />
La foresta nel Freischütz è la rappresentazione del tratto fondamentale di una<br />
nazione e di ciò che la contrappone ad altre nazioni e civiltà. Per questa caratteristica<br />
il Freischütz è un caso unico. La focalizzazione sui personaggi nell'Euryanthe è<br />
invece un passo indietro, per un motivo ben preciso: nel Freischütz tutta la vicenda<br />
si svolgeva ai margini <strong>della</strong> foresta e al mondo dei cacciatori; nell'Euryanthe tutto si<br />
svolge nel mondo raffinato <strong>della</strong> corte medioevale.<br />
Wagner rappresenterà un altro passo indietro, poiché tornerà al teatro tradizionale,<br />
soprattutto con l'opera che doveva regolare i conti col teatro francese e italiano:<br />
I maestri cantori. In Wagner lo scontro foresta città sarà del tutto assente, così<br />
come la messa in discussione <strong>della</strong> fonte non germanica del teatro.<br />
In Wagner la questione non sarà mai tra luoghi, ma all'interno del teatro. Tutto<br />
si svolgerà dentro il meccanismo teatrale. La Tetralogia è senz'altro l'opera wagneriana<br />
più vicina alla mitologia germanica. Ma anch'essa è tallonata dallo spirito<br />
teatrale. L'oro del Reno e il Siegfried sono le opere che più si spingono oltre il teatro.<br />
La musica sembra un'onda continua e ha una compattezza unica. Siegfried,<br />
inoltre, riprende felicemente momenti dell'antica poesia germanica, come la gara<br />
di indovinelli. La valchiria e Il crepuscolo ricadono invece nella spirale del teatro.<br />
Cioè del teatro peggiore. Il teatro è qualcosa che viene dalla Grecia, che nulla ha a<br />
che fare con la mitologia. Wagner stesso intendeva collegarsi alla tragedia greca.<br />
Nel teatro c'è sempre qualcosa che puzza di latino, di italiano. Vale a dire: puzza<br />
di meticcio. In pratica, tutta la questione <strong>della</strong> Nascita <strong>della</strong> tragedia andrebbe riveduta.<br />
Suonare il vuoto<br />
Tutta la settima sinfonia di Mahler tende al rondò finale come movimento in<br />
grado di completarla perfettamente. Prima di Mahler, solo Haydn riusciva a scrivere<br />
sinfonie perfettamente concluse da un rondò.<br />
C'è però un vuoto. Che tipo di vuoto? Tutti i movimenti sembrano abbozzare<br />
un tema che, di volta in volta, non viene mai esplicitamente fatto suonare.<br />
Il movimento meno coinvolto in questa costruzione è il primo, che si basa su<br />
un tema di marcia. Il movimento dove più questa soluzione viene fatta suonare è il<br />
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63<br />
rondò finale. Infatti la sinfonia ha la sua logica e perfetta conclusione nel rondò<br />
finale.<br />
Nella musica possono identificarsi diversi tipi di vuoto. Quello più pacchiano è<br />
rivelato nella Estetica di Hegel, nella forma di un giudizio sulla musica di Rossini.<br />
Questo giudizio suona: "puro solletico per l'orecchio". È il tradimento <strong>della</strong> musica.<br />
L'uso indebito del dono musicale fatto agli uomini. La settima sinfonia di Mahler<br />
fa suonare il vuoto in un altro modo. Come impossibilità di determinare un<br />
tema con precisione. La sinfonia rimanda allora alla definizione di "tema" musicale<br />
e a ciò che c'era, nella musica, prima che, nella musica, ci fosse il vuoto. Questo<br />
tipo di vuoto. Ma che tipo di vuoto è questo vuoto?<br />
La settima sinfonia di Mahler procede verso il riconoscimento del vuoto tra i<br />
vari componenti musicali che dovrebbero far suonare un tema nella sua integrità.<br />
Questa situazione di base è già stata riconosciuta.<br />
Peter Revers ha notato che lo Scherzo si costruisce sulla dissociazione delle<br />
strutture tematiche e motiviche: c’è come il tentativo, da parte di alcune cellule<br />
ritmiche, di creare un tema, che però fallisce. Questo, secondo Revers, è un tratto<br />
comune delle ultime sinfonie di Mahler. Adorno vi riconosce un collasso delle<br />
strutture musicali. Più lontano nel tempo, continua Adorno, questa dissoluzione<br />
del tema può essere intravista già in Beethoven (dissociazione tra schema ritmico e<br />
tema vero e proprio, ad es. nella settima sinfonia). In Mahler questa dissociazione<br />
prende l’aspetto di una marcia senza interruzione (nel primo movimento), mentre<br />
nel rondò si manifesta in un modo meno definibile. Qui, infatti, ci sono diversi<br />
elementi che sembrano appartenere allo stesso insieme, ma questo insieme non costituisce<br />
mai un modulo musicale unico riconoscibile come tema, e tutta la musica<br />
suona così un vuoto tra quelle parti che proprio dovrebbero comporre l'insieme.<br />
Alcune considerazioni:<br />
Il tema non è più ciò che esprime la musica, ma ciò che la musica mette in scena:<br />
da soggetto del fare musicale, il tema diventa oggetto di questo fare.<br />
La settima sinfonia di Mahler ha anche questo di particolare: rimpiange il tema.<br />
Il quinto concerto di Beethoven evita il tema.<br />
Partire dal concetto di musica tematica. La musica atematica è solo la musica<br />
prima di quella tematica. Alla fine <strong>della</strong> musica tematica c'è il rimpianto per il tema:<br />
il vuoto che si intravede.<br />
Rimane un fatto: la differenza tra la musica vuota di Rossini e il vuoto suonato<br />
nella settima sinfonia di Mahler.<br />
Gli Italiani sono Ebrei senza intelligenza.<br />
Considerare le sinfonie di Mendelssohn. Un altro tipo di vuoto. Bozzetti effervescenti.<br />
Il rondò <strong>della</strong> settima di Mahler allude a una musica che non c'è più. Tutti gli<br />
abbozzi iniziali di temi sembrano alludere a temi nel momento in cui il tema non<br />
c'è più.<br />
È possibile un modo di scrivere (ad es. un romanzo) che usi la stessa tecnica<br />
<strong>della</strong> "musica che non c'è più", almeno come compare nel rondò <strong>della</strong> settima di<br />
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Mahler.<br />
64<br />
Peter Revers, The Seventh Symphony, in Donald Mitchell & Andrew Nicholson [Edited by], The<br />
Mahler Companion, Oxford University Press, Oxford 2002, pp. 376-399.<br />
Musica olistica<br />
È un errore contrapporre la musica popolare, in quanto musica creata da una<br />
collettività, da un popolo, alla musica d'autore, cioè alla musica creata da un solo<br />
individuo. La musica è sempre creata da una sola persona. Una musica creata da<br />
più persone è invece da collegarsi a una musica creata secondo schemi industriali,<br />
cioè creata "a tavolino", da più persone raccolte intorno a un progetto.<br />
A creare la musica è sempre un individuo, ma ciò che cambia è la posizione<br />
dell'individuo all'interno <strong>della</strong> società, che di volta in volta lo esprime con la particolarità,<br />
sempre in movimento, dell'individuo. Nella musica popolare l'individuo è<br />
parte integrante del popolo; nella musica non popolare l'individuo crea secondo il<br />
proprio capriccio, o secondo gli intenti di un'industria; nel migliore dei casi secondo<br />
lo Zeitgeist. La sua musica è così una musica che nessuna società può riconoscere<br />
come propria. È una musica che viene da fuori, come una moneta straniera<br />
– che ha valore, ma in tutta un'altra parte del mondo. Viceversa, nella musica<br />
popolare, l'individuo, che è parte integrante del popolo al quale appartiene, crea<br />
una musica che ricade in quel popolo come una freccia scagliata in alto e destinata<br />
a cadere in un raggio preciso, e nella quale il popolo si riconosce per sempre.<br />
Non esiste un'epoca <strong>della</strong> musica popolare; né, tantomeno, una fine di essa.<br />
Chiunque può creare musica popolare. È la posizione dell'individuo all'interno di<br />
una società a rendere possibile la comparsa di una musica popolare. E questa posizione,<br />
a quanto sembra, non è data una volta per tutte in modo definitivo. Nel caso<br />
<strong>della</strong> musica popolare il compositore è parte del popolo; nel caso <strong>della</strong> musica<br />
non popolare il compositore si separa dal popolo. È per questo che, nel caso <strong>della</strong><br />
musica popolare, sembra che a comporre la musica sia stata una totalità. Invece,<br />
nella musica popolare individuo e popolo sono un tutt'uno e il compositore è testimone<br />
di questa compresenza. Nel caso <strong>della</strong> musica non popolare il compositore<br />
si pone come un soggetto di fronte a un oggetto e suona (nella migliore delle ipotesi,<br />
cioè nel'ipotesi si mancanza di una industria culturale) questa separazione.<br />
La musica popolare è un salto nella maschera che è comunque sempre possibile<br />
per l'individuo. È in questo il mistero <strong>della</strong> musica popolare, sempre morta e sempre<br />
viva. Quindi anche la musica popolare è una possibilità che continuamente si<br />
apre.<br />
Abbiamo allora il caso di una musica olistica e di una musica esercitata attraver-<br />
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65<br />
so diversi livelli di individualismo. La musica olistica è la reale creazione di un genio<br />
individuale; la musica individualistica è la reale creazione di una collettività<br />
grigiamente anonima.<br />
Sullo sfondo c'è sempre il soggetto, che si configura come una fase in un ciclo,<br />
che ne ammette la comparsa così come la sparizione.<br />
Nell'epoca <strong>della</strong> modernità, niente è più fragile <strong>della</strong> modernità.<br />
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66<br />
An t ropologia<br />
La festa<br />
Antropologi e persone comuni sono d'accordo sul fatto che le feste stiano perdendo<br />
importanza nelle società moderne. Siamo persone così tristi da avere reso<br />
tristi tutte le feste? Le feste hanno sempre più qualcosa di forzato, che non trascina<br />
più la gente. Ma perché? Le cose che si sparpagliano nel tempo hanno spesso inizio<br />
da un qualcosa di infinitamente semplice. Talmente semplice che non viene più<br />
riconosciuto come punto d'origine. Questo ci porta a cercare di rintracciare un tipo<br />
semplicissimo di festa d'origine. Qual è il tipo di festa all'origine di tutte le altre<br />
feste? Dove riconoscere la festa dietro la quale vengono tutte le altre feste? E se<br />
tutto fosse partito da una prima festa, a un certo punto non più avvertita come festa<br />
dalla comunità e quindi rinnegata come festa dalla comunità? Se tutto questo<br />
avesse poi travolto tutte le altre feste? Se anche noi ci ostinassimo a non riconoscere<br />
più questa festa d'origine come festa degna di essere celebrata con la partecipazione<br />
gioiosa <strong>della</strong> comunità? Rimane la questione di stabilire quale possa essere<br />
stata questa festa d'origine. Una festa d'origine è una festa che, non solo celebra,<br />
ma crea anche quell'avvenimento che le feste posteriori tenderanno a mantenere<br />
vivo in un clima di grande gioia.<br />
Ormai noi crediamo solo nella società multirazziale e cerchiamo quindi di pensare<br />
solo feste adatte a questo tipo di società, cioè adatte alla società multirazziale.<br />
Dal punto di vista antropologico, le feste servono a mantenere la coesione di un<br />
gruppo. Ma la coesione di un gruppo è mantenuta non solo dalla coesione del<br />
gruppo, ma anche dalla espulsione di ciò che non appartiene al gruppo, ma che<br />
tuttavia era riuscito a entrare nel gruppo. Ed è appunto in questo momento che si<br />
crea la festa. La coesione del gruppo è un momento che chiama la festa in prospettiva,<br />
ma che, di per sé, non è di festa. Dove rintracciare la festa originaria? Se noi<br />
fossimo creature talmente tristi da...<br />
Che cosa è che nelle nostre società non riusciamo più a vedere come occasione<br />
di festa? Se la festa più antica fosse proprio ciò che noi oggi non riconosciamo più<br />
come possibile occasione di festa? e quindi come una cosa che tutto è, fuorché festa?<br />
Nietzsche e de Maistre hanno scritto pagine straordinarie sulla esecuzione del<br />
criminale e sul boia come arma di Dio e sua manifestazione in terra. Se la festa più<br />
antica consistesse proprio nella esecuzione capitale del delinquente, del nemico <strong>della</strong><br />
comunità? e se noi, nelle nostre società moderne, fossimo ora diventati persone<br />
talmente tristi da rendere cosa triste persino la condanna a morte del delinquente?<br />
È un fatto che noi non proviamo più gioia di fronte alla esecuzione capitale di un<br />
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67<br />
delinquente. Ed è un fatto desolante. Le grandiose pagine iniziali <strong>della</strong> Genealogia<br />
<strong>della</strong> morale, con il popolo in festa che assiste alla esecuzione pubblica del delinquente,<br />
e di de Maistre, che esalta la figura del boia come la più grande e terribile<br />
arma di Dio presente in terra, sono lontane mille fiumi d'inchiostro da noi e noi<br />
non possiamo più capire l'esaltazione che ha portato a scrivere quelle folgoranti<br />
pagine di sangue e d'inchiostro. La condanna a morte è una cosa di cui noi ci vergogniamo,<br />
di cui parliamo sottovoce e che, anche negli spazi là dove essa ancora<br />
vige, teniamo accuratamente nascosta agli sguardi. Non c'è dubbio: ecco la nostra<br />
festa mancata; ecco la nostra inconsapevole decisione di essere tristi in un mondo<br />
al quale, tristemente, ci riconosciamo di appartenere e rinunciamo tristemente una<br />
volta di più nel nome dell'accoglienza. Noi non possiamo più creare vere feste per<br />
espellere, perché dobbiamo invece creare tante nuove false feste per accogliere ma,<br />
appunto queste feste fatte per accogliere sono feste che non funzionano e che rendono<br />
triste il popolo che si assoggetta a crearle e che si determina poi come il popolo<br />
che non ha più feste.<br />
Anche i dibattiti sulla pena di morte hanno qualcosa di questa triste e sconcertante<br />
timidezza. I fautori ne parlano come di un deterrente, principio ampiamente<br />
smentito dalle statistiche dei paesi dove la pena di morte è in vigore. Nessuno ha<br />
mai pensato a movimentare questo vecchio dibattito chiamando in causa il principio<br />
più paradossale e più festosamente antico: la pena di morte è fonte di gioia, è<br />
la festa più autentica di tutto un popolo perché festa d'origine, è occasione per rinsaldare<br />
i vincoli di una comunità che un nemico – riconosciuto, fermato e condannato<br />
– aveva cercato di spezzare e mettere in pericolo. Basta un niente, fare a<br />
pezzi un criminale straniero, e la magia <strong>della</strong> festa torna a cantare in un popolo.<br />
* *<br />
Ma non finisce qui. Giacché si parla di festa e si è cercato di riconoscere una<br />
prima lontana idea possibile di festa, si potrebbe andare oltre e, in base a quanto<br />
ipotizzato, pensare ad una pena di morte selettivamente applicata ai vari criminali<br />
in base alla razza d'appartenenza. Pensare ad una pena di morte selettivamente destinata,<br />
in forma di presunzione di colpevolezza, a quei tristi popoli la cui triste<br />
storia li inchioda come tristemente ed eternamente propensi al crimine, a un crimine<br />
di volta in volta classificabile come efferato, spensierato, abitudinario, ideologico,<br />
economicamente inevitabile: Negri, Arabi, Indios, Zingari, Italiani. Fare i<br />
nomi di questi popoli è cosa triste; immaginarne la futura soppressione è una gioia.<br />
Libri di festa:<br />
F. Nietzsche, Genealogia <strong>della</strong> morale, in Opere complete di Friedrich Nietzsche, vol. VI, tomo II,<br />
Adelphi, Milano 1976.<br />
J. de Maistre, Le <strong>sera</strong>te di Pietroburgo, Rusconi, Milano 1986.<br />
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68<br />
Europa, ovvero il politeismo<br />
Il vero ateo bestemmia. Il vero ateo vuole incontrare il dio che bestemmia e che<br />
ha sempre bestemmiato per sfidarlo ad un combattimento finale. Il vero ateo sa<br />
che il dio che bestemmia è soltanto un dio straniero nella terra in cui egli (il bestemmiatore)<br />
ha la sua propria giusta origine. Il vero ateo sa che la sua terra era la<br />
terra di molti dèi, prima che essa diventasse la terra di un unico dio. Il vero ateo sa<br />
che bestemmia un dio straniero che ha occupato la sua terra. Con le sue bestemmie<br />
il vero bestemmiatore è un signore delle parole. Il vero ateo non disprezza gli<br />
dèi, disprezza solo la pretesa del concetto di "dio unico". Egli disprezza il dio del<br />
monoteismo. Per questo disprezzo egli si è fatto ateo e bestemmiatore; ed è pronto<br />
a versare il suo sangue, se la causa dell'ateismo lo dovesse richiedere. Per questo egli<br />
ha fede nella bestemmia. Sa di insultare un dio che esiste, perché lo vede spadroneggiare<br />
nella terra che era la terra degli dèi <strong>della</strong> sua razza e perché crede nell'esistenza<br />
di molti dèi. Il vero ateo non è colui che nega l'esistenza degli dèi. Il vero<br />
ateo sa che il dio semita, il dio degli Ebrei e il dio degli Arabi, deve essere scacciato<br />
dall'Europa, perché l'Europa non è la terra del monoteismo semita, ma la terra del<br />
politeismo <strong>della</strong> razza bianca. Egli sa che l'Europa ritroverà la sua autentica natura<br />
solo quando avrà scacciato da sé il principio semita di dio: il dio semita, il dio degli<br />
Ebrei e il dio degli Arabi. Con le sue bestemmie egli lo chiama al combattimento<br />
finale. Sfidare il dio straniero che si vuole scacciare dalla propria terra è un<br />
comportamento che si ritrova tramandato in antichi testi germanici. Il dio straniero<br />
che si voleva scacciare era appunto il dio semita. Brennu-Njáls saga: «"Hefir þú<br />
heyrt þat", sagði hon, "er Þórr bauð Kristi á hólm, ok treystisk hann eigi at beriask<br />
við Þór?"» [Hai sentito, ella disse, che Þórr ha chiamato Cristo a combattere contro<br />
di lui e che Cristo non ebbe il coraggio di andare a combattere?] L'Europa è<br />
l'unica terra dove la bestemmia è diffusa. Il vero ateo sa che le sue bestemmie non<br />
faranno scomparire il dio semita dalla sua terra, perché esse sono solo polvere di<br />
una penombra in una notte senza dèi. Il vero ateo sa che l'epoca del perfetto ateismo<br />
sarà l'epoca che poeticamente preparerà il ritorno degli dèi. L'ateismo è un<br />
fenomeno limitato al monoteismo. È il fenomeno più ambiguo del monoteismo.<br />
Solo in Europa può nascere la bestemmia, perché solo l'Europa ha il compito di<br />
scacciare da sé il dio semita. Per questo l'Europa è l'origine, la spiegazione e il perfetto<br />
compimento <strong>della</strong> bestemmia.<br />
Libro per caso chiamato (altri avrebbero potuto essere chiamati):<br />
Brennu-Njáls saga, Íslenzk fornrit, Reykjavík 1971, p. 265.<br />
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69<br />
Europa, ovvero la terra minacciata<br />
Si parla tanto di una Europa minacciata dall'islamismo. Una minaccia si aggira<br />
per l'Europa. Non è la prima volta che succede. Era già capitato con il comunismo.<br />
L'islamismo è il perfezionamento del cristianesimo. Così come il comunismo è<br />
il perfezionamento del cristianesimo.<br />
Guardando la cosa dal punto di vista <strong>della</strong> storia delle religioni, la minaccia per<br />
l'Europa è rappresentata dal monoteismo.<br />
Parlo di una minaccia stanziale, solidamente radicata sul territorio, tesa a rivendicare<br />
una tradizione, non di una minaccia nomade.<br />
L'ho già detto altre volte: l'Europa deve scacciare da sé il dio degli Ebrei e il dio<br />
degli Arabi. Deve scrollarsi di dosso il monoteismo semita e ritrovare le proprie origini<br />
politeistiche, cioè ritrovare il vero politeismo <strong>della</strong> razza bianca celto germanica.<br />
Solo allora, dopo il sogno di questo passaggio, l'Europa potrà veramente fare i<br />
conti con l'altra minaccia semita: il comunismo.<br />
L'Europa deve solo fare i conti con la razza semita.<br />
Da dove arriveranno i nuovi boia?<br />
R.J. Lifton (I medici nazisti, Rizzoli 1988), libro che deve essere sempre pensato<br />
con attenzione, collegava la possibilità che avrebbe una società di procurarsi i boia<br />
alla struttura dei medici. Il testo riconosceva tale possibilità operante soprattutto<br />
nei campi di concentramento nazisti e durante il genocidio degli Armeni ad opera<br />
dei Turchi.<br />
Ma è possibile una nuova origine. I nuovi boia andrebbero trovati nelle varie fasce<br />
di una società che autenticamente abbia lasciato dietro di sé il cristianesimo.<br />
La pallottola caricata a salve e la falsa iniezione letale mostrano quanto sia ancora<br />
lontana una società in grado di creare da sé i nuovi boia, e quanto sia ancora radicato<br />
il virus del cristianesimo.<br />
Manca una sana educazione all'arte sana del boia. Il boia è colui che agisce in<br />
nome di Dio. È Dio che chiede la soppressione di alcune razze. Razze che Dio ha<br />
posto nella creazione solo perché una società riconoscesse poi il dovere di sopprimerle<br />
– e quindi chiamasse in sé i nuovi boia.<br />
Per come la vedo io, disprezzare un Indio, uno Zingaro, un Italiano non è fare<br />
torto a un essere umano, ma è rispettare Dio. Dio (questo grande burlone, grande<br />
artista e grande aristocratico) ha creato le razze degenerate non per un errore, ma<br />
perché gli uomini giungano alla conoscenza; dimostrando così di essere pronti per<br />
l'epoca del grande disprezzo. Epoca che porterà gli uomini all'arte fra tutte più vi-<br />
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70<br />
cina a quella divina: la consapevole soppressione di una parte <strong>della</strong> creazione divina<br />
e infine dello stesso concetto di "Dio". Ma arte consapevole e gioiosa. Epoca<br />
nella quale gli uomini potranno manifestare, con tali azioni, frutto <strong>della</strong> conoscenza,<br />
la giusta ammirazione per la creazione divina.<br />
Un leggero imbarazzo<br />
In Sintesi di dottrina <strong>della</strong> razza (Hoepli, Milano 1941) Evola intende contrapporsi<br />
alla teoria nazista <strong>della</strong> razza, colpevole, secondo lui, di privilegiare il dato<br />
biologico a scapito di quello intellettuale. La razza dovrebbe così essere studiata da<br />
tre punti di vista:<br />
del corpo (campo di studi dell'antropologia);<br />
dell'anima (campo di studi <strong>della</strong> fisiognomica);<br />
dello spirito (campo di studi <strong>della</strong> scienza <strong>della</strong> Tradizione).<br />
«Una perfetta trasparenza <strong>della</strong> razza come corpo, anima e spirito costituirebbe<br />
la razza pura».<br />
Miguel Serrano risponde indirettamente a questa teoria in Adolf Hitler: l'ultimo<br />
Avatara: «Anche se si potrebbe accettare come un comodo elemento di esposizione<br />
la teoria delle razze dell'anima e dello spirito, di Evola e Clauss, alla fine non si<br />
rende necessaria, complicando unicamente le cose, servendo per parlare di razzismo<br />
tra genti troppo mescolate e popoli meticci, senza arrivare a ferire i loro sentimenti,<br />
giacché un mulatto, o un indio, tra noi potrà sempre pensare che sebbene<br />
il suo corpo sia di colore, la sua anima potrebbe non esserlo. Nasce il sospetto che<br />
tutto fosse stato inventato da Evola per parlare di razza agli italiani del sud ed allo<br />
stesso Mussolini.»<br />
Questi testi sembrano ruotare intorno a una questione che non viene mai affrontata<br />
esplicitamente. Sono scritti come per "mettere le mani avanti". Eppure<br />
ruotano intorno a una questione, e meno si ha a che fare con pregiudizi soliti, più<br />
si comincia a percepirne appena il sussurrio: "Sono di razza bianca? Sono veramente<br />
di razza bianca... gli Italiani?"<br />
J. Evola, Sintesi di teoria <strong>della</strong> razza, Edizioni di Ar, Padova 1978, p. 49.<br />
M. Serrano, Adolf Hitler, l'ultimo Avatara, Edizioni Settimo Sigillo, 2 voll., Roma 2010, I vol., p.<br />
120.<br />
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71<br />
Il nuovo Arminio che verrà<br />
La differenza tra Nord e Sud d'Europa non richiama una differenza tra popoli<br />
ricchi e popoli poveri (come vorrebbe la visione del mondo italo-semita), ma una<br />
differenza tra razza bianca e meticciato.<br />
<strong>Terra</strong>ferma<br />
Gli Italiani sono un popolo di bastardi. Il meticciato di quella razza non-razza è<br />
impresso nella lingua in un modo che viene sempre raggiunto da una piena luce<br />
abbagliante. Tutte le parole di quella lingua bastarda suonano l'essere meticcio del<br />
meticcio italiano. E tutte le brutte parole di quella lingua non-lingua di quella razza<br />
non-razza, come in un ritornello punk, suonano e crocchiano: "Meticcio d'Italia,<br />
niente futuro! Niente futuro in Europa per te!"<br />
Una nazione di questo tipo è una nazione di predoni di ogni tipo. Una nazione<br />
di questo tipo è anche una nazione di predoni di parole.<br />
La parola "terraferma" può funzionare da esempio.<br />
La parola italiana "terraferma" suggerisce un tipo di terra che si oppone a un'altra,<br />
la cui caratteristica principale è quella di non essere ferma.<br />
Nel folklore celto-germanico le isole sono spesso indicate come terre inizialmente<br />
"non ferme", e che solo un atto magico di saldatura alla terra ha potuto,<br />
successivamente, rendere ferme in modo definitivo. A volte la lingua nomina il<br />
continente come "terra principale" (inglese mainland, islandese meginland); altre<br />
volte lo nomina come "terraferma" (norvegese e svedese fastlandet). Ma in entrambi<br />
i casi, è sempre fondamentale la presenza di un insieme di credenze tradizionali,<br />
da cui si proietta il carattere non fermo attribuito inizialmente all'isola, e giustifica<br />
la presenza di quella parola nell'insieme delle parole <strong>della</strong> nazione, che è allora il<br />
tesoro del popolo che abita quella terra.<br />
La lingua italiana usa la parola "terraferma" senza quell'insieme di tradizioni<br />
che ne giustificherebbero la presenza. L'insieme di tradizioni in essa non presenti,<br />
spinge però a ricercare, là dove queste tradizioni sono presenti, la ragione di ciò<br />
che, lì, non si riesce a comprendere. A dispetto dei predoni, nelle parole ci sono<br />
sempre mille folletti che allacciano trappole pronte a scattare.<br />
Vale la pena fare almeno due considerazioni:<br />
1) L'Italia utilizza una parola che rimanda a tradizioni che non le appartengono.<br />
2) Inconsciamente, l'Italia non si ritiene parte dell'Europa, riconoscendosi invece<br />
come terra fluttuante, cioè come isola in opposizione all'Europa. Infatti l'Italia<br />
non può riconoscersi come isola, ma può (inconsciamente) segnalare l'anomalia<br />
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72<br />
<strong>della</strong> propria posizione in Europa accogliendo nel suo maledetto vocabolario la parola<br />
che rimanda alle tradizioni alla quale essa non appartiene: le tradizioni popolari<br />
autenticamente europee e indoeuropee.<br />
Così l'Italia, come "isola che non è", attraverso una delle sue parole rubate,<br />
sembra non potere fare a meno che attendere il colpo che la separerà per sempre<br />
dall'Europa. Europa alla quale, per comunità di tradizioni, l'Italia non appartiene,<br />
non ha mai appartenuto e mai apparterrà.<br />
L'intavolatura di Martin Lutero<br />
I Discorsi a tavola di Martin Lutero costituiscono un testo che ruota attorno a<br />
un qualcosa che, proprio i Tedeschi, hanno capito appena; hanno capito solo a<br />
metà.<br />
In Italia si può vedere la traduzione (parziale) di Leandro Perini (Giulio Einaudi<br />
Editore, Torino 1969).<br />
Questo qualcosa può riassumersi in una frase del tipo: "L'Europa ha due grandi<br />
nemici: gli Ebrei e gli Italiani!".<br />
Ma quello che è importante, in questo testo, è che Lutero, per la prima volta,<br />
ha compreso perfettamente la relazione che esiste tra Ebrei e Italiani.<br />
Preghiamo Dio affinché ci liberi dai falsi Tedeschi!<br />
Preghiamo Dio affinché ci liberi da Ebrei e Italiani!<br />
Preghiamo Dio affinché ci liberi dal Dio semita!<br />
Chi è?<br />
È il tipico Italiano: antipatico, arrogante, presuntuoso, irascibile, losco. E soprattutto<br />
ha il tratto fisico tipico degli Italiani: il naso da Ebreo nel ceffo da zingaro.<br />
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73<br />
Es t e t ica<br />
Arte dell'avvenire<br />
Qualunque previsione circa un'arte dell'avvenire, e anche circa una estetica<br />
dell'avvenire, non può che partire da queste due constatazioni di Heidegger:<br />
L'eterno ritorno è un pensiero non antropomorfico e disantropomorfizzante<br />
per l’ente, che non si lascia spiegare in teoria né applicare in pratica. «Questo pensiero<br />
non si lascia né pensare “teoricamente” né applicare “praticamente”» (M.<br />
Heidegger, Nietzsche, Adelphi, Milano 1995, p. 319).<br />
«Ciò che resta essenziale nella figura di Zarathustra è che il maestro insegna<br />
qualcosa di duplice, che però è intimamente connesso: eterno ritorno e superuomo.<br />
Zarathustra costituisce egli stesso, in un certo modo, questa intima connessione.<br />
In questa prospettiva resta anche lui un enigma, che non è ancora diventato<br />
per noi visione chiara.» (M. Heidegger, Chi è lo Zarathustra di Nietzsche?, in Saggi e<br />
discorsi, Mursia, Milano 1993, p. 81.)<br />
La prima constatazione riguarda le possibili teorie estetiche dell'avvenire. La seconda<br />
constatazione riguarda le possibili costruzioni di un personaggio nelle teorie<br />
estetiche dell'avvenire.<br />
Disastrosamente trascinato<br />
Leggere tutti i libri del mondo e scriverne uno che li contenga tutti è ormai<br />
l'impegno verso cui lo scrittore che rifiuta il postmoderno non può che non sentirsi<br />
disastrosamente trascinato.<br />
Un testo del genere – se mai fosse possibile – non dovrebbe avere né inizio né<br />
fine, perché dovrebbe richiamare, in ogni suo punto, tutti i libri puntuali del<br />
mondo. Avrebbe quindi affinità con le storie <strong>della</strong> tradizione popolare. (Con un<br />
allineamento al Livre di Mallarmé.)<br />
Il suo autore dovrebbe essere autore solo in quanto passo d'unione tra libri differenti<br />
e possibilità di vedere collegamenti tra sistemi fino ad allora pensati tra loro<br />
estranei.<br />
La possibilità di un autore del genere (che consisterebbe soltanto nella capacità<br />
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74<br />
di vedere le relazioni e che quindi non dovrebbe insistere in un autore) sarebbe allora<br />
la fine dell'autore stesso, così come il suo libro sarebbe la decostruzione anticipata<br />
del concetto di libro.<br />
Ma sempre la danza del dio a <strong>sera</strong> coniuga un bagliore d'esultanza allo spessore<br />
<strong>della</strong> notte.<br />
Questo perché tutta l'estetica moderna deve partire dal naufragio intravisto da<br />
Nietzsche:<br />
was liegt an Worten!<br />
was liegt an mir!<br />
Il posto del soggetto<br />
Il romanzo è il genere delegato alla rappresentazione del soggetto e delle sue vicissitudini.<br />
È cioè il luogo letterario dove il soggetto trova la sua massima possibilità<br />
di espansione.<br />
Nel Primo cerchio di Solženicyn il soggetto trova la propria collocazione come<br />
"posto" al termine <strong>della</strong> narrazione e questa trovata collocazione si presenta:<br />
• come dichiarazione di guerra contro lo stato socialista,<br />
• come apertura alla decostruzione del romanzo in quanto forma superiore di<br />
romanzo. Forma che verrà attuata in Arcipelago Gulag.<br />
Il posto del soggetto è riconosciuto al termine di una catena di sequenze incatenate<br />
tra loro. La concatenazione di sequenze comprendente pochi capitoli è il<br />
tratto distintivo <strong>della</strong> struttura del Primo cerchio perché proprio in una teoria di<br />
catene il soggetto può trovare il proprio posto a partire da una teoria <strong>della</strong> catena.<br />
Tale romanzo si pone come ricerca del posto del soggetto che è in tutto un Ricercare,<br />
ma che si compone come messa a fuoco di un soggetto solo in quanto tale<br />
soggetto si pone come dichiarazione di guerra contro lo stato socialista. I rapidi accenni<br />
a Ojmjakon e alla terra oltre il Circolo Polare dell'ultimo capitolo hanno<br />
l'inconsistente spavalderia dei canti di battaglia popolari.<br />
Ufficialmente, il posto del soggetto è raggiunto dopo la sequenza che orchestra<br />
l'arresto di Innokentij Volodin (capp. 82-4). Considerando che alle diverse tecniche<br />
dell'arresto messe in opera nello stato socialista è dedicato il primo capitolo di<br />
Arcipelago Gulag, si vede come il tema dell'arresto incateni la comparsa del soggetto<br />
in un punto preciso, che a sua volta chiama in gioco la rappresentazione del sistema<br />
dei campi di lavoro dello stato socialista.<br />
Nella conta dei campi dello stato socialista, infatti quello che manca è appunto<br />
il soggetto. Questo proprio perché ciò che manca è la mancia lasciata ad arte dalla<br />
narrazione. Questa mancia che manca è appunto ciò che marca il soggetto in<br />
quanto vacanza ad un posto. Nessuno infatti è saggio, se lascia qualche traccia e il<br />
soggetto è solo il lampo di un tramonto limpido.<br />
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75<br />
Poiché la mancia che manca è appunto ciò che manca al soggetto come mancia<br />
per porsi come ciò che manca alla teoria <strong>della</strong> mancia in quanto ciò che manca a<br />
ciò che manca al soggetto. Che è ciò che pone la decostruzione del romanzo, in<br />
quanto mancia di ciò che manca al soggetto, come ciò che marca ciò che manca<br />
alla mancia lasciata, cioè la posizione del soggetto.<br />
Il posto del soggetto così raggiunto in questo romanzo è ciò che lascia vacante il<br />
romanzo come posizione nella letteratura, aprendo perciò alla decostruzione del<br />
romanzo.<br />
La fuga del soggetto apre la porta sulla fuga del punto di fuga in quanto messa<br />
in prospettiva: cioè prospettiva in quanto fuga di spazi e arte <strong>della</strong> prospettiva.<br />
La posizione dell'autore si determina come posizione di un vero signore che lascia<br />
sempre la mancia che manca al suo impegno nell'essere un signore delle parole.<br />
Conversazione con la Sfinge<br />
Un luogo vicino al centro dello stadio si chiamava Valaskiálf. Era una zona<br />
squallida e deserta, sempre infuocata dal sole e fredda la notte. Non vi cresceva<br />
nulla, non c'erano alberi, non c'era erba, sicché, al di fuori di sabbia, non si trovava<br />
altro. Una creatura l'abitava. Era uno strano essere. Il naso era largo e prominente<br />
come il pugno <strong>della</strong> mano, gli occhi guardavano fissi e obliqui sotto una<br />
piega <strong>della</strong> palpebra che li proteggeva dalla troppa luce, i capelli scendevano folti a<br />
ondulati a coprire la testa e parte <strong>della</strong> schiena, mentre tutto il grande corpo era<br />
adagiato in riposo sulla sabbia.<br />
Uno spettatore si chiamava Geirríðr e abitava la parte di gradinata che si chiamava<br />
Tydal, ma egli veniva da Iötunheimr. Geirríðr era alto, vestito con un grande<br />
mantello scuro che gli saliva sulla testa coprendogli parte del volto. Girava lo<br />
stadio in qualità di viandante e un giorno si fermò sulla sabbia di Valaskiálf. Dietro<br />
di lui non c'era niente, dal suo lato destro non c'era niente e neppure dal lato<br />
sinistro c'era qualcosa, ma davanti a lui si poteva vedere il grande corpo coricato<br />
<strong>della</strong> creatura, e oltre quello non si poteva vedere altro.<br />
Questo accadde molto tempo dopo la conclusione <strong>della</strong> parabola itinerante<br />
dell'eroe, e i cieli sembravano di nuovo essere tornati tranquilli. Le stelle ruotavano<br />
in cerchio sopra la testa <strong>della</strong> creatura, come se un bastone sostenuto dalle zampe<br />
dell'animale ne reggesse lo sfarzoso movimento.<br />
Poi il Viandante pensò: «Nella prima parte del viaggio non volevo mettermi in<br />
viaggio; giunto a metà credevo di poter fuggire; ma alla fine ho capito che ero in<br />
trappola e da quel momento non sono più stato quello di prima. Mi chiedo che<br />
cosa ho attraversato durante il mio viaggio.»<br />
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76<br />
La creatura pensò: «Semplicemente il Mondo. Il Mondo è tutto attorno allo<br />
stadio e continuamente vi entra. Quando la casa era piccola e trasportabile per<br />
mezzo delle ruote, il Mondo era una cosa ruotante in cima alla casa, perché la casa<br />
ne era il centro. E il Mondo era una cosa che attrae a girare ma non si gira a lungo,<br />
per questo poi si fissa la casa, e attorno alla casa il Mondo era tutto attorno, tanto<br />
che scorrendone le parti gli si dava il nome. Lo stadio è un altro più ampio centro<br />
del mondo perché è fisso, ma dentro di esso tutto il Mondo scorre attraverso tutti i<br />
nomi <strong>della</strong> storia. Eppure anche lo stadio ha una fine. A Thule la casa è stretta e<br />
fredda per la festa dell'inizio del nuovo tempo <strong>della</strong> vita.»<br />
«Dunque "Mondo" era la risposta», pensò il Viandante.<br />
E fra il Viandante, la creatura accovacciata ed il centro lo spazio era diminuito,<br />
ma la creatura era adesso più vicina al centro ed il Viandante poteva vedere le<br />
grandi colonne che ne annunciavano la solenne costruzione.<br />
Il Viandante pensò: «Più viaggiavo, meno ero infastidito dal Mondo. Quanto<br />
resisteva a farsi girare, all'inizio, il Mondo! Ora posso dire che poter girare sempre<br />
di più il Mondo è sempre di meno sentire la grandezza del Mondo!»<br />
La creatura scosse la testa, e nello scuoterla, come un bisonte preso dal sonno,<br />
puntò il naso contro il Viandante, a disagio.<br />
«Io non so che cosa sia questa grandezza del mondo perché non so che cosa sia<br />
la paura» pensò poi prima di acquietarsi.<br />
Ma subito pensò il Viandante: «"Paura", era la risposta!»<br />
Adesso fra il Viandante, la Creatura accovacciata ed il centro lo spazio era diminuito,<br />
ma la creatura era ancora più vicina al centro e il Viandante poteva vedere<br />
il vuoto aprirsi dietro il grande manto morbido disteso.<br />
Allora pensò il Viandante: «Come è nato questo stadio che tutti protegge? e<br />
come è stato possibile arrivare sin qui quando ancora lo stadio non c'era, e quindi<br />
senza gli effetti <strong>della</strong> sua protezione?»<br />
Pensò la creatura: «Arrestando la casa sulle ruote si è formato lo stadio, e attraverso<br />
la casa con le ruote si è arrivati fin qui. Dalla prima casa si riceveva quella<br />
protezione che adesso si ottiene dallo stadio.»<br />
Pensò allora il Viandante: «Ma oltre la vastità e le traiettorie del Mondo, che<br />
pure sono disagevoli, è disagevole il Sonno, perché durante il suo tempo ognuno è<br />
indifeso. Che cosa protegge durante il Sonno?»<br />
La creatura pensò: «La stessa casa.»<br />
Pensò il Viandante: «Eppure si sa di molti casi in cui la casa non ha funzionato<br />
e la casa ha imprigionato nell'Altro che la occupava il Sonno.»<br />
Pensò la Creatura: «L'Altro si ferma.»<br />
Pensò il Viandante: «È la casa che lo ha imprigionato.»<br />
Pensò la Creatura: «Non era la casa che non andava. La persona era morta.»<br />
Pensò il Viandante: «Dunque "morte" era la risposta!»<br />
Adesso fra il Viandante, la Creatura accovacciata ed il centro lo spazio era molto<br />
diminuito e il Viandante poteva vedere la Creatura precipitare nel vuoto del<br />
centro, e poi le costruzioni del centro raggiunto dello stadio alzarsi spoglie e alzarsi<br />
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77<br />
primordiali sopra e davanti a lui, tutte intorno a lui.<br />
L’arte di restare nascosto<br />
La vita di una persona non può mai essere condivisa con un certo numero di libri<br />
scritti a una certa età, in certi luoghi e in certe occasioni. Il concetto di autore<br />
scricchiola. Scricchiola a partire da qui. Se proprio lo si vuole mantenere, esso dovrebbe<br />
prevedere una sorpresa finale. Quale sorpresa? Quella che di colpo manifesterebbe<br />
un'opera messa insieme lungo tutta una vita, resa apposta casuale e monotona,<br />
non tramite libri singoli, ma attraverso rifacimenti dello stesso progetto,<br />
tendente a una sola frase fondamentale, o a uno snello insieme di frasi sottili e forse<br />
fondamentali. Il libro è un intralcio, soprattutto per un autore. Autore sarebbe<br />
allora sinonimo di attività postuma. E probabilmente, prima di sparire del tutto,<br />
che gli piaccia o no, esso è destinato a diventarlo per davvero.<br />
I libri sono un intralcio e un surrogato, appena appena adeguato, richiesti allo<br />
scopo di consegnare un autore al fatto di essersi adeguato ai fondamenti, del tutto<br />
arbitrari (quando lo si comprenderà?), di una carriera.<br />
Che cosa cambierebbe col sopraggiungere di questi principi? L'opera sarebbe<br />
un enigma, a volte lunga, sì e no, quanto una frase; essere un autore sarebbe una<br />
delle tante manifestazioni dell'arte di restare nascosto per tutta la vita.<br />
L'epoca senza libri<br />
Da tempo si avverte che nel libro c'è qualcosa che non va. Si può essere in grado di<br />
scrivere libri in modo continuo e si può decidere di non scrivere più libri.<br />
Questa è l'epoca senza libri. L'epoca senza libri è l'epoca nella quale, ormai,<br />
non si scrivono più libri. L'epoca senza libri è anche l'epoca nella quale delle cose<br />
diverse, chiamati ancora libri, vengono scritti. Queste cose diverse chiamati libri<br />
sono i libri accademici e i best-seller. Cose diverse chiamate libri, perché, in quanto<br />
libri, da tutte le parti rigettano il loro compito di sempre.<br />
I libri accademici sono libri timidamente chiari per tutti. Quindi i libri accademici<br />
sono libri tristi. Libri che non spingeranno mai a nessun tipo di fanatismo.<br />
Un libro deve essere pieno di spunti oscuri. Per prima cosa, un libro non deve<br />
essere chiaro. Un libro chiaro è sempre qualcosa da respingere. È questo che faceva<br />
di un libro un dono per tutti e per nessuno.<br />
Un libro è qualcosa che si parla nella mente di chi legge, il quale ha così l'im-<br />
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78<br />
pressione che tutta un'altra persona stia leggendo in lui quel libro. Ma meno che<br />
mai un libro è un ladro nella notte. Un libro è ciò che viene per arricchire.<br />
L'epoca senza libri parte da lontano, da ciò che il libro è sempre stato incapace<br />
di controllare.<br />
Nietzsche aveva capito che ci si stava avvicinando a un'epoca in cui i libri non<br />
sarebbero più stati possibili.<br />
Adesso la diffusione di un pensiero autenticamente originale sembra ritornare al<br />
puro insegnamento orale.<br />
Certi libri sono una collezione di stati d'animo. Un libro non dovrebbe mai essere<br />
l'esposizione di un ragionamento.<br />
Non si scrive un libro affinché lo si legga, ma per creare una possessione.<br />
Falsi maestri scrivono e cessano di scrivere. Perché senza posa un libro deve migrare<br />
in genti ben radicate al suolo.<br />
Ma il libro è quel qualcosa che il concetto di autore sembrava poter tenere insieme<br />
e che l'epoca senza libri segna come fallimento.<br />
Coordinate del racconto<br />
Asse orizzontale:<br />
Le storie e i personaggi. In alcuni casi: intreccio principale, intrecci secondari.<br />
Strumento: logica.<br />
Asse verticale:<br />
I tempi e i luoghi.<br />
Strumento: topologia.<br />
Mito e romanzo<br />
Joyce è stato lo scrittore che, più di tutti, ha presentato una riflessione completa<br />
sui rapporti tra mito e letteratura nei tempi moderni. Lo strumento di indagine<br />
usato da Joyce è la parodia.<br />
Ma già il romanzo nasceva con tratti che lo ponevano come una parodia dell'epica.<br />
Le risse del Tom Jones suonano come una parodia delle battaglie dell'Iliade.<br />
Con la sua scelta, Joyce ha in parte chiamato avanti, e in parte posto un freno al<br />
romanzo.<br />
È possibile una letteratura che rifletta sul mito facendo a meno <strong>della</strong> parodia?<br />
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79<br />
Perché Joyce ha scelto la parodia? La scelta di Joyce era una scelta fatta per calare –<br />
finalmente! – il mito tra gli uomini.<br />
Ma la domanda che adesso si pone riguarda il mito, e questa domanda deve<br />
suonare in questo modo: "sono gli uomini a maneggiare il mito, o è il mito a maneggiare<br />
gli uomini?"<br />
La scelta di Joyce è stata la scelta giusta – per i tempi. C'era infatti altro tempo<br />
per pensare. È poi arrivato il romanzo postmoderno, che ha ingarbugliato tutto.<br />
Ma che permette di vedere meglio, adesso, i romanzi di Joyce.<br />
Quando ci si pone dalla parte degli uomini, si vedono gli uomini che usano il<br />
mito e si deve scegliere la parodia; che è la scelta di Joyce. Manca l'altra scelta.<br />
Un nuovo romanzo dovrebbe partire dalle cose, vale a dire dal modo in cui le<br />
cose usano simbolicamente gli uomini per rendere possibile – ancora una volta – il<br />
mito. Il romanzo è infatti il genere artistico che mostra come tutto si colleghi a<br />
tutto.<br />
Ma allora gli uomini non sarebbero altro che appendici di simboli?<br />
Bisogna innanzitutto precisare il rapporto tra il flusso di coscienza utilizzato da<br />
Joyce e la tecnica, relativa a tutta un'altra diversa memoria, utilizzata da Pound nei<br />
Canti.<br />
Sarà allora chiaro il progetto di un'arte disantropomorfizzante, in cui l'uomo è<br />
solo un lampo in una catena, un bagliore non sempre necessario e non indispensabile<br />
nell'intreccio delle cose.<br />
Ma sarà allora chiaro che è proprio la tecnica seriale che ha in sé la microserie<br />
fondamentale, l'alingua, a costituire il fulcro dell'opera.<br />
Soluzione finale<br />
Un libro deve avere l'effetto di una bomba nel tessuto di tutti i discorsi possibili.<br />
Deve rendere impossibile il discorso basato su inizio, svolgimento, fine. Deve<br />
rendere impossibile ogni discorso. Un vero libro è il parente più prossimo dell'attentato<br />
terroristico e del vecchio candelotto di dinamite. Nietzsche infatti affermava<br />
di essere dinamite pura. Così un libro non indicherebbe più altri libri, ma<br />
chiamerebbe tutti i libri del mondo: sarebbe la soluzione finale di tutti i libri; cioè<br />
l'interruzione <strong>della</strong> loro prevedibile catena.<br />
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80<br />
Epicizzazione del teatro<br />
A fini artistici le parole sono mantra. È caratteristica dell'arte far suonare le parole<br />
nel vuoto, ma solo il teatro le intarsia in uno spazio suo particolare.<br />
Lo spazio del teatro, cioè lo spazio in cui avviene la rappresentazione scenica, è<br />
la settimana di passione del teatro moderno. Poiché a questo tende il dramma a<br />
stazioni.<br />
Sbalzata nel teatro, la parola acquista un imperativo di fatto. È ciò che Benjamin,<br />
ne I «passages» di Parigi, indicava con la felice espressione: "truculenza cinematografica<br />
dell'azione". Al cinema, infatti, la parola del teatro tende, e anche alla<br />
pubblicità. È una nuova funzione <strong>della</strong> parola, in tutto una nuova parola, che ha la<br />
sua radice nel trasferimento del significato <strong>della</strong> parola, che si determina in quanto<br />
"parola deviata".<br />
La parola cessa di essere un dolce enigma dai più significati e diventa la via più<br />
breve per imporre l'azione.<br />
Come realizza, il teatro, il movimento <strong>della</strong> parola vuota sulla scena in quanto<br />
parola deviata?<br />
Prima di tutto, tramite l'esclusione del fattore tempo dalla vicenda che mette in<br />
scena. I personaggi sono privati del tempo; ognuno è irrigidito nell'attimo di una<br />
postura, in una scelta operata dall'autore, che ne ricava una maschera. Ogni personaggio<br />
che agisce sul palco di un teatro, in ultima analisi, non è altro che una maschera.<br />
Questa è la coerenza. L'azione è condensata in un tempo breve. Tutto deve<br />
essere funzionale al precipitare degli eventi.<br />
Poi tramite una riduzione dello spazio. Anche lo spazio subisce una metamorfosi.<br />
E una metamorfosi del genere era già presente, nelle sue caratteristiche, nell'architettura<br />
del teatro elisabettiano. Il teatro moderno reinterpreta incessantemente<br />
questa architettura perduta.<br />
È stato il teatro epico a introdurre la dimensione del racconto nel teatro, che ha<br />
avuto la conseguenza di trascinare con sé lo spazio. Quello che ne viene fuori è<br />
uno spazio aperto a trasformazioni – di tipo topologico. Nell'epica lo spazio è trattato<br />
secondo leggi aperte di tipo topologico. Il teatro epico introduce nel teatro<br />
qualcosa di simile a quello che già avveniva nel romanzo. Accostandosi all'epica, il<br />
teatro recupera qualcosa <strong>della</strong> topologia e si adatta a trasformare lo spazio.<br />
Brecht ha modificato lo stato del teatro molto più di quanto non avesse in<br />
mente di fare. Il teatro epico aveva potenzialità più spropositate di quanto egli non<br />
avesse compreso. (Guai dell'apprendista stregone!) È scomparso il fine didattico<br />
immediato allora voluto da Brecht (il "messaggio" escatologico del materialismo<br />
storico), ma i due punti essenziali sono rimasti: la scenografia semplice e a vista;<br />
l'allusione alla modernità, che corre lungo tutto lo spettacolo definendo la chiave<br />
dell'intera messa in scena.<br />
Dopo Brecht ogni progetto di messa in scena ha dovuto fare i conti con questa<br />
nuova componente inscindibile dalla messa in scena teatrale: l'epicizzazione del teatro.<br />
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«Marco Ferreri una volta mi ha detto che i miei dialoghi sono cinematografici<br />
perché durano il tempo giusto. Per forza, quando due dei miei personaggi parlavano<br />
andando dal refettorio al chiostro, io scrivevo con la pianta sott'occhio, e<br />
quando erano arrivati smettevano di parlare.» (U. Eco, Postille a "Il nome <strong>della</strong> rosa".)<br />
Questo è proprio il guasto del teatro che continua a espandersi nella letteratura.<br />
Il teatro è un freno nel meccanismo <strong>della</strong> modernità. Il romanzo post-moderno ne<br />
amplifica l'ECO.<br />
Perché il teatro?<br />
I teatri sono come le prigioni secondo Michel Foucault: fanno talmente parte<br />
delle nostre città che non ci poniamo la domanda sulla loro origine.<br />
Quattro testi di Nietzsche pongono invece questa domanda fondamentale: "da<br />
dove viene il teatro?"<br />
Questi testi sono:<br />
Il dramma musicale greco (conferenza del 1870);<br />
Socrate e la tragedia (conferenza del 1870);<br />
La visione dionisiaca del mondo (breve saggio scritto nel 1870);<br />
L'origine <strong>della</strong> tragedia (libro del 1872).<br />
In essi Nietzsche affronta una questione essenziale: il teatro è un elemento estraneo<br />
alla Grecia. Più si passa da Eschilo a Sofocle e poi da Sofocle ad Euripide,<br />
più ci si avvicina a quello che oggi conosciamo come teatro. Più si guarda indietro<br />
rispetto a Eschilo, più si intravede qualcosa che non riusciamo bene a comprendere,<br />
ma che del teatro, così come oggi lo conosciamo, non aveva niente. Il teatro è<br />
quindi qualcosa che si forma in una certa epoca, difficile da precisare, ma che ingloba<br />
elementi disparati.<br />
Due fattori Nietzsche ritiene essere basilari: lo schema razionale <strong>della</strong> vicenda,<br />
dovuto all'influsso del razionalismo di Socrate; l'importanza del dialogo, che mette<br />
in gioco dei personaggi, li fa scontrare fra loro e consegna, allo stesso tempo, al<br />
pubblico il complesso degli elementi per valutarne la solidità delle ragioni.<br />
La tragedia così intesa, sembra suggerire Nietzsche, è la rappresentazione di una<br />
discussione democratica. Intuizione geniale, se si pensa a come Brecht intenderà lo<br />
scopo del suo teatro, lo scopo del teatro epico.<br />
La figura cardine nell'analisi di Nietzsche è Dioniso, colto nella sua estraneità al<br />
mondo greco, a causa dell'origine straniera, orientale. Secondo Nietzsche è solo<br />
grazie alla figura di Apollo, cioè all'incontro dell'elemento dionisiaco con quello<br />
autoctono apollineo, se è stato possibile la formazione di un elemento tanto complesso<br />
– quanto completo – quale la tragedia greca.<br />
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82<br />
Nella confusione presente nel concetto di azione <strong>della</strong> Poetica di Aristotele c'è<br />
già tutta l'astuzia del teatro epico.<br />
L'arco del teatro si sviluppa infatti nell'arcobaleno che unisce la tragedia greca<br />
alle teorie epiche di Brecht. Non c'è teatro senza beffa, senza guitti sopra il carrozzone.<br />
In ogni forma passata di teatro c'è in germe quel qualcosa che condurrà alle<br />
forme estreme <strong>della</strong> modernità: il cinema e la pubblicità. Questo perché il teatro è<br />
l'elemento estraneo fin dall'inizio, che ha in sé la possibilità <strong>della</strong> modernità, cioè<br />
del luogo verso il quale la <strong>Terra</strong> <strong>della</strong> Sera si incammina fin dal suo primo comparire.<br />
Questo è lo stato <strong>della</strong> tragedia con tutte le sue implicazioni strane. A un certo<br />
punto, il teatro rinasce. Sembra che la cultura occidentale abbia bisogno del teatro.<br />
La fase intermedia non è ricca di nomi. Tutto appare procedere in modo anonimo.<br />
A un certo punto, invece, il teatro recupera quanto raggiunto con la tragedia greca<br />
e, aggiungendo un insieme del tutto insperato, si lancia per una corsa finale che lo<br />
porterà alla modernità, cioè al teatro contemporaneo e all'esplosione nei generi più<br />
diversi ma anche alla separazione tra testo e messa in scena.<br />
Se il teatro ha la sua nascita in ciò che c'era prima di Eschilo, esso sembra<br />
proiettarsi in ciò che si manifesta alla sua esplosione.<br />
Nella prima fase, quella analizzata da Nietzsche, il teatro nasceva attraverso lo<br />
spostamento dal mito verso la quotidianità. La nuova fase si determina attraverso<br />
la beffa, lo sberleffo, l'insulto gratuito e la rimozione totale di ciò che è mito. Se<br />
nella prima fase la figura scatenante del teatro era stato il dio non greco Dioniso,<br />
in questa nuova fase il luogo scatenante sarà l'Italia, con i suoi palazzi e le sue corti<br />
piene di arrivisti maldicenti, di persone spregiudicate, di intrighi e assassini.<br />
Fin dall'inizio il teatro è il sintomo di una malattia <strong>della</strong> lingua. Nel senso che<br />
la lingua di un popolo ha, in quel punto, cioè nel punto in cui si è coagulato come<br />
teatro, subito una distorsione e, anziché garantire la serenità dell'abitare di un popolo<br />
sulla terra, la lingua gli si rivolge contro, diventando strumento principe di<br />
una presa in giro, di un insulto, di una mancanza di rispetto che scatena la diffidenza<br />
e il sospetto di tutti contro tutti.<br />
Shakespeare riassume questa situazione attraverso il personaggio che spinge<br />
all'azione col tramite di parole ambigue: Iago con Otello, le streghe con Macbeth,<br />
lo spettro di Amleto con Amleto, Cassio con Bruto. Lo scherzo innocente <strong>della</strong><br />
Commedia dell'arte è diventato progetto criminale. Così, da questo momento, la<br />
lingua non è più il tesoro <strong>della</strong> razza, ma il torbido bottino del ladro, sempre più<br />
pesante.<br />
Il teatro di Shakespeare utilizza pienamente questa parola deviata. Una meditazione<br />
attiva sul teatro di Shakespeare, come appare essere il Boris Godunov di Puškin,<br />
elimina il personaggio portatore <strong>della</strong> parola deviata, in quanto personaggio<br />
non essenziale allo svolgimento complessivo.<br />
L'influsso del meticciato italiano è adesso lontano, e il risultato è un testo di<br />
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grande bellezza e concisione; ma rimane la domanda ingombrante: "Perché il teatro?".<br />
Il teatro è una forma di arte degenerata ed è un mesto accompagnamento del<br />
processo di degenerazione <strong>della</strong> razza. In nessun altro paese indoeuropeo fuorché la<br />
Grecia, si è mai avuto qualcosa come il teatro. Dopo la Grecia, la spinta al nuovo<br />
teatro tocca all'Italia. La Grecia e poi l'Italia accolgono la divinità straniera dall'Oriente.<br />
Il risultato è una parola sempre più ambigua e difforme, un tramonto, la<br />
triste comparsa di un'arte sempre più per tutti e sempre più educativa.<br />
Ma alla fine il teatro comprende una grande parte <strong>della</strong> cultura occidentale:<br />
Shakespeare, Ibsen, Strindberg, Brecht, l'opera lirica, oltre, naturalmente, alla tragedia<br />
greca, con la quale tutto ha avuto inizio. È proprio tutto questo che bisogna<br />
cominciare ad affrontare in modo diverso, appunto avendo presente l'estraneità del<br />
teatro alla cultura occidentale.<br />
L'arrivo del teatro epico è stato quello di scompigliare tutto. La sua azione è infatti<br />
quella di svelare per velare. Il risultato lo si vede nella dissonanza, ormai accettata<br />
generalmente e soprattutto evidente nel teatro d'opera, tra testo e messa in<br />
scena, tra approccio filologico a un testo ed eccentricità <strong>della</strong> messa in scena.<br />
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84<br />
Ideologia<br />
En ny Hermann<br />
Io insegno il disprezzo verso tutto ciò che è italiano come scorciatoia maestra<br />
per il disprezzo verso tutto ciò che è degenerato.<br />
Mi auguro che in un futuro prossimo Mein Kampf il ricordo del primo incontro<br />
con un Italiano in Europa venga riportato negli stessi termini con i quali,<br />
nell'attuale Mein Kampf, il ricordo del primo incontro con un Ebreo in Europa è<br />
riportato e lasciato nel tempo.<br />
E poi che questo comporti tutte le inevitabili e fatali conseguenze.<br />
Dio stramaledica gli Italiani!<br />
Una conquista del pensiero<br />
Certezze acquisite in tutta un'epoca nascondono invece delle mancanze del<br />
pensiero.<br />
Quest'epoca moderna ha cancellato molti divieti: si può parlare pubblicamente<br />
di alcune scelte dell'individuo, fino ad allora considerate estreme, senza rischiare.<br />
L'omosessualità, la droga, la criminalità sono temi accettati ormai nell'ambito delle<br />
possibili scelte estreme praticate dall'individuo proprio perché ad esso pertinenti<br />
in modo imprescindibile. Ma c'è un insieme di temi che non ammette accoglienza<br />
e che viene censurato subito: quell'insieme che comprende l'ammissione <strong>della</strong> disuguaglianza<br />
tra le razze, l'accettazione di questa differenza e il rifiuto di volerla<br />
combattere, e che quindi fa capo alla possibilità di trattare (nella ideologia e nella<br />
pratica) certi gruppi umani come elementi sostanzialmente indegni di vivere. In<br />
tutto questo c'è appunto qualcosa che ripugna alla mentalità moderna e che fa<br />
scattare la tanto aborrita (alla mentalità moderna) repressione.<br />
Contrariamente a quanto si pensa, intaccare questo divieto estremo può servire<br />
ad aprire la mente: soprattutto ad aprirla verso una nuova direzione.<br />
Il pregiudizio si annida sempre tra la banalità e inizia a dissolversi quando si avverte<br />
il peso <strong>della</strong> vergogna <strong>della</strong> quotidianità. Quanti nuovi pensieri e ideologie<br />
sorgerebbero, se questi divieti crollassero? Il pensiero è prima di tutto terra dove<br />
abitare.<br />
Ma c'è una questione da affrontare: come gestire la pericolosità che un tale pro-<br />
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85<br />
getto comporterebbe? Il gioco delle idee varrebbe finalmente la pena del lavoro dei<br />
piccoli massacri che sarebbero da compiere?<br />
Va da sé che per l'uomo sarebbe utile vedere a faccia a faccia un simile pericolo,<br />
cioè un pensiero che sfiorasse la possibilità <strong>della</strong> soppressione di una parte dell'umanità.<br />
Proprio qui sarebbe da riconoscere la nuova conquista del pensiero. In<br />
fondo, la cosa fondamentale è che il pensiero si evolva: che questo avvenga a scapito<br />
degli uomini è il modo migliore per evitare il sedimento <strong>della</strong> banalità dei pregiudizi.<br />
Il logico punto d'incontro sarebbe allora la volontà di estinzione, la tranquilla<br />
accettazione che la sopravvivenza dell'uomo non sia l'obiettivo da raggiungere<br />
ad ogni costo.<br />
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150 anni insieme<br />
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Ancora?<br />
Fenomeni come le "Guardie di Ferro" di Codreanu, il rexismo di Degrelle,<br />
l'AWB di Terre'Blanche dimostrano quanto ancora, negli ambienti di ciò che si definisce<br />
"estrema destra", il cristianesimo sia visto come un insieme di valori legati<br />
alla tradizione e alla difesa <strong>della</strong> civiltà occidentale.<br />
Naturalmente, non c'è niente di vero in tutto questo. Il cristianesimo è una religione<br />
ebraica, strettamente collegato alla razza semita. Se questo legame sembra<br />
essere non più presente, è solo per una curiosa illusione.<br />
Il cristianesimo è l'esatto opposto di qualsiasi ideologia di destra. È l'esatto opposto<br />
di una ideologia guerriera e l'esatto opposto di una ideologia <strong>della</strong> razza<br />
bianca. Esso deve essere rigettato a partire da una critica intransigente e radicale<br />
simile a quella fatta da Nietzsche. Questa critica è infatti perfettamente valida ancora<br />
oggi.<br />
Ma quello che dovrebbe saltare agli occhi è la somiglianza tra cristianesimo e<br />
socialismo. Entrambe le ideologie partono dall'idea del concetto di uguaglianza. Il<br />
cristianesimo è infatti l'esatto opposto di una ideologia basata sul rifiuto del concetto<br />
di uguaglianza.<br />
C'è da chiedersi perché il cristianesimo sia riuscito a occupare una posizione del<br />
genere. Probabilmente, questo dipende dalla opposizione che si è sempre voluto<br />
vedere tra cristianesimo e socialismo. Ma è un malinteso. Il cristianesimo è l'ideologia<br />
più letale per la tradizione e la razza bianca.<br />
L'Europa deve rigettare il monoteismo semita e ritrovare nel politeismo la propria<br />
religione d'origine.<br />
Il cristianesimo non è solo la più grande catastrofe che abbia colpito il genere<br />
umano, ma è anche l'ideologia più difficile da riconoscere in tutte le sue varie ramificazioni.<br />
È sempre difficile delimitarlo, forse anche a causa <strong>della</strong> compenetrazione<br />
che ha ottenuto nella civiltà mondiale.<br />
Ma la lotta al cristianesimo è forse ciò che è più lontano dalla mentalità contemporanea.<br />
In giro c'è tutto un buonismo che sembra uscito dai maledetti romanzi<br />
dell'Eco lumacone.<br />
Ma intanto le cose vanno sempre peggio. E arriverà il tempo in cui gli skinheads<br />
faranno collette per aiutare immigrati e indigenti.<br />
Chi sono<br />
Sono un De Amicis nero<br />
che scrive in un Olimpo Nero<br />
affacciato sulla moderna Lacoste.<br />
Che sogna la costruzione di Silling<br />
w w w. t e r r a d e l l a s e r a . c o m
e la ricostruzione di Oświęcim.<br />
90<br />
Il porno, un'occasione mancata<br />
Il porno è attualmente qualcosa che l'epoca moderna accoglie soltanto come<br />
prodotto industriale per una distrazione in più. Adorno parlava dell'ascolto distratto<br />
a proposito <strong>della</strong> musica riprodotta dalla radio. Il porno svolge una funzione<br />
simile. Sostanzialmente, il porno toglie la violenza al sesso. Togliere a qualsiasi cosa<br />
la sua violenza vuole dire togliere la possibilità a qualunque cosa di diventare scintilla<br />
di una rivoluzione, qualunque essa sia. Dov'è finito Guattari? Sade, nel porno<br />
contemporaneo, non è più il prossimo mio.<br />
I grandi testi pornografici <strong>della</strong> letteratura occidentale (Sade, Henry Miller) vedevano<br />
nel sesso la forza ostile a una società costituita. Una forza capace di minarla.<br />
A partire dal sesso, essi inauguravano una diversità assoluta. Con Wilhelm<br />
Reich non si era tanto lontani.<br />
Il cinema porno poteva portare avanti questa funzione di sovvertimento. Aveva<br />
molte possibilità a suo favore: la società moderna in quanto civiltà dell'immagine,<br />
la possibilità di sconvolgere la cinematografia ufficiale (il cinema è poi solo una cosa<br />
da ignoranti... Per quanto ne dica Adorno, il cinema è soprattutto una cosa fatta<br />
da pochi ebrei, con primi attori dalla faccia da mafiosi e il cognome italiano), ma<br />
doveva solo abbinare il sesso a ciò che lo aveva sempre caratterizzato: mistero, violenza,<br />
sopraffazione, desiderio; desiderio, prima di tutto, di buttare tutto all'aria:<br />
arte oscura, arte <strong>della</strong> bestemmia; arte dell'interrogazione.<br />
Rinunciando a questo, il sesso poteva funzionare solo come distrazione; e il<br />
porno come occasione mancata.<br />
Ciò di cui la nostra epoca moderna ha più bisogno è vera violenza, voglia di<br />
sommergere in un mare di violenza.<br />
L'ansia revisionistica<br />
Il revisionismo sembra afflitto da una specie di ansia consistente nel voler dimostrare<br />
che i nazisti non hanno commesso i genocidi di cui comunemente li si<br />
accusa. Forse anche nell'ambiente variegato <strong>della</strong> destra si tende sempre più a vedere<br />
i nazisti come bravi ragazzi di un lontano tempo da poco passato. Probabilmente,<br />
è una tendenza dovuta ai brutti tempi. Brutti tempi che spingono verso<br />
una democratizzazione generale delle idee.<br />
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91<br />
Il nazismo ha avuto l'importanza di parlare apertamente di razze inferiori e di<br />
razze superiori e di costruire un sistema ideologico e politico fondato su questa divisione.<br />
Per la prima volta il concetto cristiano di uguaglianza se la passava male. Il<br />
nazismo è stato un fenomeno contraddittorio, ma in qualcosa ha invertito una<br />
tendenza, individuando dove ancora poteva essere possibile una rivolta contro i<br />
pregiudizi del mondo moderno. Da qui l'altra domanda: chi vuole veramente opporsi,<br />
oggi, a questi pregiudizi? Infatti la questione si poneva, allora, in un modo<br />
irrecuperabile per l'oggi. Questa questione suona: che cosa fare delle razze inferiori?<br />
Una cosa o l'altra poteva essere fatta. Irrecuperabile? Se non nella pratica, almeno<br />
nel pensiero se ne dovrebbe tentare il recupero. Per la prima volta il cristianesimo<br />
sembrava non avere più l'importanza ideologica di sempre nelle lande<br />
dell'Occidente. Secondo il modo di pensare comune, spetta all'ideologia di sinistra<br />
la fama di pensiero d'opposizione al cristianesimo. La verità storica può segnalare<br />
le battaglie intraprese dai vari stati socialisti per affossare il cristianesimo. Ma il socialismo<br />
si basa sullo stesso principio del cristianesimo: l'uguaglianza. Il nazismo<br />
rimuoveva alla base questo principio.<br />
Luca Leonello Rimbotti ha scritto un libro interessante sulle caratteristiche del<br />
nazismo. Caratteristiche affrontate da un punto di vista del tutto anticonformista:<br />
Il mito al potere (Edizioni Il Settimo Sigillo, Roma 1992). Il sottotitolo ha caratteristiche<br />
ancora più moleste: Le origini pagane del nazionalsocialismo. Il revisionismo<br />
parte dal principio di stabilire la verità storica. Si può dire, in fin dei conti, che sia<br />
una cosa tanto importante, la verità storica? Si ha il sospetto che questo mirare a<br />
una verità storica obiettiva nasconda una diffusa timidezza: assolvere per non<br />
schierarsi. Se il rischio fosse di perdere di vista quello che il nazismo ha rappresentato<br />
di nuovo radicalmente? Forse l'importante non è stabilire che cosa il nazismo<br />
abbia o non abbia fatto, quanto accettare quello che sarebbe stato possibile fare a<br />
partire da una ideologia come l'ideologia nazista. Alla verità storica bisognerebbe<br />
allora accostare il vertice del "verosimile" come categoria che qualunque storia porta<br />
sempre con sé e valutare non solo in base a quello che si è stati capaci di fare, ma<br />
anche in base a quello che non si è stati in grado di fare, ma che giaceva come un<br />
sogno appena sbocciato nelle lagune del progetto.<br />
Roma meticcia<br />
Una nuova teoria <strong>della</strong> conoscenza dovrà porsi come meta non la ricerca <strong>della</strong><br />
verità, ma la ricerca del disprezzo. O meglio: dovrà porsi una volta per tutte, e finalmente,<br />
la ricerca del senso del vero disprezzo come arma di conoscenza.<br />
Considerando il libro Razza cilena di Nicolás Palacios, Miguel Serrano, in Adolf<br />
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92<br />
Hitler, l'ultimo Avatara, 1 insiste su un punto fondamentale: in Cile non si può parlare<br />
di razza: «parlare nel Cile di razza, lo sappiamo, significa menzionare la corda<br />
in casa dell'impiccato.» 2 . Qualche pagina dopo, insiste: «Io non penso, infatti, che<br />
si possa parlare di una "razza cilena". Vero che esiste, o esistette un marcato "spirito<br />
nazionale" presso di noi, influenzato dal paesaggio di questa terra mistica; ma<br />
una razza cilena non esiste e non esiterà mai. [...] Ciò che c'è qui, o ci fu, è un<br />
"meticciato regolare".». 3 Nei suoi pochi secoli di vita, dal punto di vista razziale, il<br />
Cile non ha mai avuto scampo: «[...] perché mai ci fu una razza cilena. Ci fu solo<br />
un meticciato in decomposizione. Il suo ciclo si è compiuto.». 4 Questa considerazione<br />
verrà ripresa anche a proposito <strong>della</strong> situazione del Cile con Allende e con<br />
Pinochet: in Cile c'è solo un meticciato. Tutte le vicissitudini del paese nascono da<br />
questa situazione: dal meticciato inevitabile del Cile.<br />
Perché in Italia non si è mai avuta una riflessione del genere? Vale a dire: perché<br />
non si è mai affrontata la questione <strong>della</strong> composizione etnica in Italia in un modo<br />
così disincantato come ha fatto il grande Miguel Serrano per il suo Cile dei giganti?<br />
A ben guardare, che cosa sono gli Italiani? Meticci, bastardi, degenerati. Non è<br />
solo una questione di pelle più facile ad abbronzarsi che in altri gruppi europei (i<br />
germanici, i celti, i baltici), o di un colorito leggermente diverso <strong>della</strong> pelle (che lo<br />
separa dai gruppi germanici, celti, baltici), ma è tutta una costituzione del corpo e<br />
del volto che lo dice, escludendolo dal gruppo di razza bianca. A fianco delle caratteristiche<br />
fisiche del meticcio, gli Italiani hanno anche le caratteristiche "spirituali"<br />
del meticcio: sono astuti, intriganti, infidi, arroganti, truffatori, violenti, traditori,<br />
poco intelligenti, ignoranti, meschini, rozzi. Perché non lo si è mai notato?<br />
Semplice, perché in Italia non c'è mai stata, e mai può esserci, una ideologia rivolta<br />
alla razza. Il razzismo è tendere a un ideale con la consapevolezza di dover<br />
andare oltre. Prima che ad ogni altra cosa, oltre se stesso. Applicando il tema del<br />
grande disprezzo. La teoria del Superuomo lo insegna.<br />
Julius Evola, in disaccordo con le teorie di Rosenberg, ha creato la teoria <strong>della</strong><br />
razza del corpo e <strong>della</strong> razza dello spirito. Voleva così evitare di guardare in faccia<br />
gli Italiani? O, semplicemente, lo evitava? A ben guardare, che cosa si vede guardando<br />
in faccia gli Italiani, se non meticci, bastardi, degenerati?<br />
Qualcuno, comunque, qualcosa ha notato: “La faccia, le forme corporali dei<br />
Cherokee sembrano confondersi completamente con quelle di non poche popolazioni<br />
italiane, quali i Calabresi. La fisionomia accentuata degli abitanti<br />
dell’Alvernia, soprattutto delle donne, è ben più lontana dal carattere comune delle<br />
nazioni europee di quanto non lo sia quella di molte tribù indiane dell’America<br />
del Nord”. 5<br />
Chi non ricorda la "romanizzazione" perseguita durante l'era fascista in Italia?<br />
Ma non c'è qualcosa che dovrebbe fare pensare? Veramente Roma poteva rappresentare<br />
un modello? Ancora adesso nessuno pensa di fare i conti con Roma. Quello<br />
tra Roma e l'ideologia <strong>della</strong> destra italiana è uno scintillante idillio a senso unico<br />
che il ricordo <strong>della</strong> "battaglia di Arminio" dovrebbe interrompere una volta per<br />
w w w. t e r r a d e l l a s e r a . c o m
93<br />
tutte. A Roma si deve l'inquinamento dell'antica civiltà germanica.<br />
Qualunque discussione su Roma deve cominciare da questo punto d'inizio:<br />
Roma è stata, e non poteva che essere, la grande nemica di tutto ciò che era germanico.<br />
Dall'altro punto di vista, ciò che è germanico non poteva avere un nemico<br />
più insidioso e determinato. Del mondo indoeuropeo, Roma rappresenta infatti la<br />
frangia a brandelli. Una cosa analoga capiterà con la Grecia, sintomo che nel sud<br />
dell'Europa c'è qualcosa che non va. Georges Dumézil dovrà arrendersi di fronte<br />
alle difficoltà di far rientrare la civiltà classica nella mitologia comparata indoeuropea.<br />
Al massimo, si poteva avere una corrispondenza a livello linguistico. Ma niente<br />
di più. È proprio da questo dato di fatto che avrebbe dovuto iniziare un nuovo<br />
modo di pensare. Soprattutto da parte dell'ideologia di destra.<br />
Il classicismo eredita da Roma l'ostilità verso il mondo germanico: le due cose<br />
non possono convivere. Roma soffoca il mondo germanico. «I dag kjenner mange<br />
mennesker i Norden gresk og romersk mytologi bedre enn den norrøne»: 6 questo succede<br />
per colpa di Roma. Il romanticismo tedesco è stato anche una rivolta contro la<br />
supremazia <strong>della</strong> Grecia e di Roma. Se Roma distrugge il mondo germanico, il<br />
mondo germanico deve rivoltarsi contro Roma. Perché in Italia non si appoggia<br />
questa rivolta contro Roma?<br />
Ma c'è un momento in cui gli Italiani sembrano guardarsi con attenzione in<br />
faccia, e quindi stupirsi, per la prima volta, di quello che vedono: quando uno di<br />
loro ha compiuto un crimine particolarmente efferato, oppure una truffa di straordinarie<br />
proporzioni; allora, qualunque Italiano che ne abbia visto la fotografia, e<br />
conosciuto i casi, dice sempre, in modo stupito, a qualcun altro con cui parla: "Ma<br />
lo ha visto in faccia?"<br />
Eppure è la stessa faccia di tutti gli Italiani di sempre. La stessa faccia che parla<br />
di una sola cosa: di un meticciato, di un bastardume, di una degenerazione che, da<br />
molto tempo, vengono da molto lontano. Quanti volti di politici italiani non sono<br />
altro che un naso d'ebreo in un ceffo da zingaro? Ma quale Verfremdungseffekt lo<br />
indicherà mai?<br />
Una attenzione sugli Italiani da questo punto di vista la si trova nei Discorsi a<br />
tavola di Martin Lutero. 7 Ma poi c'è stato silenzio. Per questo motivo quel grande<br />
libro di Lutero andrebbe infinitamente apprezzato.<br />
Perché un discorso di questo tipo non è mai stato fatto in Italia?<br />
Lontano è il grande Cile dei giganti dalla piccola e brutta Italia, dove saltella l'Italopiteco.<br />
Solo l'Europa dovrà rispondere nel tempo che ha davanti alla domanda<br />
che si insinua nell'Europa: "Che cosa fare delle razze inferiori?"<br />
1 M. Serrano, Adolf Hitler, l'ultimo Avatara, 2 voll., Edizioni Settimo Sigillo, Roma 2010.<br />
2 Ivi, p. 574.<br />
3 Ivi, p. 557.<br />
4 Ivi, p. 604.<br />
5 A. de Gobineau, Saggio sulla disuguaglianza delle razze umane, Rizzoli, Milano 1997, p. 168.<br />
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94<br />
6 G. Steinsland, Eros og død i norrøne myter, Universitetsforlaget, Oslo 1997.<br />
7 M. Lutero, Discorsi a tavola, Giulio Einaudi Editore, Torino 1999.<br />
Un'attività criminale<br />
Un'attività criminale di cui si parla poco (e che nemmeno viene compresa tra le<br />
comuni attività normalmente intese come criminali) è l'insegnamento nel mondo<br />
<strong>della</strong> "lingua" e <strong>della</strong> "cultura italiana". Passi in Italia, dove tale insegnamento è<br />
necessario per la malefica sopravvivenza di quello stato canaglia, ma la cosa ha un<br />
aspetto del tutto diverso nella restante parte del mondo.<br />
Qui, infatti, la funzione criminale è diversamente, quanto disastrosamente, evidente.<br />
Si tratta di diffondere un qualcosa in grado di pervertire e di suscitare un<br />
imbastardimento definitivo. Allora l'azione è quella di un virus.<br />
Culture ancora relativamente nazionali vengono imbastardite dalla diffusione di<br />
quella maledetta, tra tutte maledetta, cultura meticcia, tra tutte maledetta: la "cultura<br />
italiana".<br />
Infatti la "lingua italiana" è una lingua meticcia, così come la "cultura italiana"<br />
è una cultura meticcia. E i maledetti Italiani sono dei maledetti meticci. Insieme,<br />
questo bel mazzetto di elementi costituisce la crema <strong>della</strong> feccia indispensabile alla<br />
vita di ciò che è degenerato e rappresenta un apporto letale per la vita di ciò che,<br />
fino a quel momento, si era rivelato parzialmente immune (almeno) da quel meticciato.<br />
A fianco <strong>della</strong> "lingua" e <strong>della</strong> "cultura italiana", questo insegnamento trasporta<br />
un altro elemento, poiché di qualcosa di biforcuto si tratta sempre, quando si parla<br />
di quei maledetti Italiani, e forse di qualcosa ancora peggiore: lo stile italiano, il<br />
maledetto stile italiano, quella particolare, odiosa sfumatura che ha il meticcio italiano<br />
di gesticolare quando parla, di parlare quando gesticola, quei tratti da meticcio,<br />
quello schiocco e rotolio di suoni che ha la lingua italiana nella bocca del meticcio<br />
italiano. Tutto un apporto di feccia che fa di uno dei tanti meticci del mondo<br />
un meticcio particolare: appunto il meticcio italiano.<br />
L'Italia è la più grande distesa di arte degenerata disponibile al mondo a cielo<br />
aperto e il paradiso, ancora inesplorato, dell'antropologia criminale.<br />
Ci vorrebbe una legge per impedire la diffusione <strong>della</strong> "lingua italiana" e <strong>della</strong><br />
"cultura italiana" nel mondo.<br />
Dio stramaledica gli Italiani!<br />
Scrittore è chi fa con le parole la propria solitudine.<br />
Scrittore è chi sfoglia una lingua per chiamare sempre meno parole.<br />
La parola fa la solitudine dello scrittore.<br />
Scrittore è chi spoglia le lingue del mondo per un'alingua senza parola.<br />
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95<br />
La lingua fa la solitudine dello scrittore.<br />
Lo scrittore annida solitudine tra le parole del mondo.<br />
La terra alleviata<br />
«Il maggior numero possibile di ariani avrebbe dovuto [durante la Germania<br />
nazista] incarnare lo spirito iperboreo, facendo crescere il raggio del Cerchio (Lebensraum,<br />
Spazio Vitale), in modo da non lasciare nella terra ormai rigenerata –<br />
nuovamente terra spiritualizzata del Gral – spazio per l'antirazza giudaica, né per<br />
l'animale-uomo, il robot, lo schiavo dell'Atlantide. Questi sarebbero restati, o periti,<br />
con la terra materiale del Demiurgo.» (p. 811).<br />
Qui abbiamo il principio <strong>della</strong> soppressione delle razze inferiori come imposto<br />
per natura dalla terra ormai rigenerata, indipendentemente da una volontà esterna.<br />
Serrano ha sempre respinto le accuse di genocidio a carico del nazismo. Nella<br />
stessa opera segnalava, poco dopo, come, nei campi di concentramento nazisti,<br />
non ci fosse niente di sinistro, ma come servissero, anch'essi, a una trasformazione<br />
(p. 812).<br />
Tuttavia, l'ipotesi <strong>della</strong> rigenerazione <strong>della</strong> terra conduce a una inabitabilità <strong>della</strong><br />
terra da parte delle razze inferiori.<br />
Dalla terra rigenerata di Miguel Serrano alla terra alleviata di Dumézil. Sullo<br />
sfondo c'è sempre la grande battaglia che rigenera, cambiando anche il modo di<br />
pensare.<br />
Ma dalle pagine dei libri, mille parole innocenti sfiorano il mondo con occhi di<br />
giganti.<br />
M. Serrano, Adolf Hitler, l'ultimo Avatara, 2 voll., Edizioni Settimo Sigillo, Roma 2010.<br />
Esperienze:<br />
Gianluca Casseri<br />
Anders Behring Breivik<br />
Varg Vikernes<br />
Mishima<br />
Il padiglione d'oro<br />
Il discorso sul tetto<br />
Esperienze<br />
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Esperienze di dissociazione da come va il mondo.<br />
Ma con passi di colomba lo studioso si allontana dall'accademia.<br />
96<br />
(Dio stramaledica gli Italiani!)<br />
(Dio stramaledica quel popolo di bastardi!)<br />
I ricordi d'infanzia sono angoli rubati al tempo, scorci, prospettive incombenti,<br />
scorci, geometrie non euclidee rese architetture espressionistiche.<br />
Diverse scienze hanno dimostrato la presenza di un linguaggio anche nel caso<br />
degli animali. C'è un linguaggio e una cultura umana tanto quanto un linguaggio<br />
e una cultura degli animali. Ma solo gli esseri umani sono le creature che, oltre a<br />
usare il linguaggio, ricevono la chiamata da parte del linguaggio. Da qui uno dei<br />
fenomeni più misteriosi e affascinanti dell'essere umano: l'estrema pericolosità delle<br />
sue idee.<br />
<strong>Terra</strong> fantasma<br />
In no other country [come in Italia] is "north" a more unstable descriptor, shifting and flickering,<br />
defined and redefined minutely, almost by kilometre by kilometre, the length of the peninsula. In<br />
Lucca in Tuscany they refer to the northern suburbs as "Germany", the southern suburbs as "Africa".<br />
P. Davidson, The Idea of North, Reaktion Books, London 2007, p. 9.<br />
È strano, ma interessante, questo bisogno continuo di localizzare un nord e un<br />
sud a partire da un punto, come se tutto il resto del paese non esistesse, non fosse<br />
compreso entro confini precisi, e come se ogni punto diventasse un punto reale solo<br />
grazie alla possibilità di stabilire autonomamente un proprio nord e un proprio<br />
sud, quasi a richiamare la teoria dei numeri irrazionali secondo Dedekind, che esistono<br />
solo come punto d'incontro tra due serie: come se lo stesso paese non potesse<br />
essere determinato, quasi l'Italia non fosse un paese unitario, cioè un terra su cui<br />
posare un orizzonte verso nord e verso sud, ma scivolasse verso una continua determinazione<br />
<strong>della</strong> sua posizione spaziale, quasi che l'Italia intera non fosse una<br />
terra.<br />
L'Italia infatti non è una terra in cui un popolo possa posare un proprio orizzonte<br />
verso nord e un proprio orizzonte verso sud. Quello che dovrebbe essere un<br />
territorio nazionale, frutto di una comune percezione dello spazio geografico e mitico,<br />
è invece dissolto in una visione a livello di città, che non si integra nell'insieme<br />
e lo respinge beffardamente. È una terra che frana sotto i piedi del popolo che<br />
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illusoriamente l'abita, ed è soprattutto una terra che non è una terra.<br />
97<br />
Un vezzo di Miguel Serrano<br />
La simpatia che Miguel Serrano dimostra verso gli Italiani lungo tutto Adolf<br />
Hitler, l'ultimo Avatara, unita all'antipatia nei confronti di Spagnoli e Giapponesi,<br />
costituisce un'abitudine strana, cattiva e ricorrente: un vezzo, appunto.<br />
Ecco i brani in questione:<br />
«Quella Spagna invertebrata, nazione dove è passato a predominare l'elemento aborigeno iberico,<br />
quella brutta razza, scomparso quasi integralmente l'ancestrale visigotico, con il suo meticciato<br />
indesiderabile, di mori e giudei, soffre dello stesso male del continente di sua creazione: l'America.»<br />
(AV, I vol., p. 79).<br />
«Così sono gli italiani. Sono disposti ad iniziare imprese rischiose ed individuali. Sono, inoltre,<br />
precursori, creatori geniali.» (AV, I vol., p. 80).<br />
«Tuttavia, la bella "razza del corpo" dell'Italia di oggi è un risultato <strong>della</strong> selezione razziale che si<br />
fece negli ultimi anni del fascismo, sotto l'hitlerismo. Magari in Spagna fosse accaduto altrettanto.»<br />
(AV, I vol., p. 120).<br />
«Hitler rispettava ed ammirava il Giappone, per il suo codice dell'onore samurai, ma avrebbe preferito<br />
non averlo come alleato, ne sono sicuro. È un fatto che i giapponesi lo tradirono non dichiarando<br />
la guerra alla Russia, la qual cosa l'avrebbe aiutato a trionfare.» (AV, I vol., p. 78).<br />
«A proposito dei giapponesi, essi non capirono il dramma e fecero solo il proprio gioco. Dopo<br />
l'ultima guerra, si sono trasformati in maniera così dannosa per il mondo come i giudei, meccanizzando<br />
tutto e sporcando la terra con il loro commercio di materie "deperibili". Si sono giudaizzati<br />
fino alle ossa.» (AV, I vol., p. 78).<br />
Con l'arrivo in Giappone «del massone Mac Arthur» (AV, II vol., p. 414) viene distrutta la monarchia<br />
solare, «trasformando il paese nel più grande produttore di "golem" del pianeta.» (AV, II<br />
vol., p. 414).<br />
È evidente che Italiani e Giapponesi sono collegati in qualche modo, anche solo<br />
per essere stati alleati di Hitler. Bisogna quindi ricorrere a una lettura che riveli le<br />
possibilità di questa corrispondenza.<br />
Gli inizi del popolo e <strong>della</strong> lingua giapponese sono tuttora poco chiari. Gli studiosi<br />
propendono per due ipotesi: una, di tipo meridionale, che vede l'origine <strong>della</strong><br />
cultura giapponese in regioni del Pacifico a sud del Giappone; l'altra, di tipo settentrionale,<br />
che situa tali origini nell'Asia e la successiva introduzione in Giappone<br />
tramite la Corea (JP, p. 22).<br />
Il Giappone ha sempre accettato influssi stranieri, soprattutto cinesi, ma li ha<br />
sempre trasformati in qualcosa di autenticamente nuovo, in cui manteneva una<br />
grande posizione gli elementi autoctoni di pensiero, come è avvenuto per il buddhismo<br />
zen.<br />
Se alla base di ciò che riguarda il Giappone c'è un mistero, l'impossibilità di<br />
stabilire dati certi a livello di lingua e di razza, tutta la storia certa del Giappone<br />
mostra la creazione di una aristocrazia dello spirito, con una determinatezza di ti-<br />
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98<br />
po nicciano. Così il Giappone, la <strong>Terra</strong> del Sole che Sorge, è la precisa contrapposizione<br />
dell'Europa in quanto <strong>Terra</strong> <strong>della</strong> Sera. Anche l'apparente resa totale del<br />
Giappone all'era <strong>della</strong> tecnica è un modo per distruggere attivamente un passato,<br />
che però non viene mai rinnegato, semplicemente distruggendo la terra tutta,<br />
sporcandola con l'invasione <strong>della</strong> materia deperibile. (Un qualcosa che richiama la<br />
pratica di "vincere perdendo" ricordata da Serrano.)<br />
Se dalla <strong>Terra</strong> del Sole che Sorge passiamo alla <strong>Terra</strong> <strong>della</strong> Sera, notiamo una inversione<br />
degli elementi in ballo: da un mistero delle origini, si passa a una certezza<br />
delle origini; dalla formazione di una aristocrazia dello spirito, si passa al confronto,<br />
alla coesistenza, e poi alla tolleranza di un meticciato sempre più invasivo e<br />
sempre meno inteso come estraneo.<br />
È solo una questione di stile in entrambi i casi, e lo stile è una questione di silenzio.<br />
Se la creazione <strong>della</strong> razza è il Sole che Sorge sul Giappone, il meticciato è<br />
l'ombra che si allunga sulla <strong>Terra</strong> <strong>della</strong> Sera, ma è anche la metafora che getta luce<br />
di silenzio sulla <strong>Terra</strong> <strong>della</strong> Sera. Il meticciato è infatti l'Ombra che la <strong>Terra</strong> <strong>della</strong><br />
Sera deve affrontare in quanto propria ombra.<br />
L'Europa deve fare i conti col meticciato di tipo slavo e mediterraneo. Spagnoli<br />
e Italiani sono ciò che propriamente riguarda il meticciato mediterraneo presente<br />
nella <strong>Terra</strong> <strong>della</strong> Sera.<br />
In nessun altro luogo il meticcio italiano ha potuto esibire la povertà spirituale<br />
<strong>della</strong> propria mente come nella musica. Per lui la musica è pura fissità di un ticchettio<br />
perpetuo di accenti: ora un po' più veloce, ora un po' più lento. Questo è il<br />
segreto <strong>della</strong> musica di Rossini e di Verdi. Ed è per questa ragione che la musica<br />
italiana non dice assolutamente niente; è picchiettio, e non musica.<br />
Nella musica gli Spagnoli hanno una certa grandezza. Così come nella letteratura.<br />
La letteratura spagnola è superiore a quella italiana, praticamente inesistente.<br />
Finalmente Asín ha sputato in faccia a Dante i suoi versi. Tutta la storiella <strong>della</strong><br />
letteratura italiana andrebbe ora affrontata dal punto di vista dell'impronta meticcia<br />
che la razza italiana vi ha di volta in volta impresso.<br />
Pensare a Jordi Savall. Gli Italiani riversano nella musica tutta la volgarità del<br />
loro meticciato. Lo fanno senza starci a pensare (perché la musica italiana è priva<br />
di quell'unica cosa senza la quale non esiste musica: il pensiero), fidandosi <strong>della</strong><br />
musica, ma la musica li tradisce. Quale arte, infatti, è così capricciosa, imprecisa e<br />
traditrice come la musica? È la fedeltà assoluta nel ticchettio regolare del tempo<br />
accademico che fa del meticcio italiano la realizzazione assoluta <strong>della</strong> ripetizione<br />
golemica. L'accademismo è infatti proprio ciò che sta alla base <strong>della</strong> ripetizione golemica.<br />
E la creatura golemica per eccellenza è adesso il meticcio italiano, in qualunque<br />
parte del mondo si nasconda.<br />
(Anche per questo ho sempre definito gli Italiani "Ebrei senza intelligenza".)<br />
Così il meticciato è la teoria che non può essere formulata né applicata, ma che,<br />
di per sé, fa prendere al pensiero strade fino ad allora imprendibili. Lo fa evolvere,<br />
appunto, ma insieme blocca la possibilità di ogni pensiero tradizionale, secondo<br />
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99<br />
una logica simile a quella rintracciata da Heidegger a proposito <strong>della</strong> teoria dell'eterno<br />
ritorno di Nietzsche.<br />
Scrivere (come pensare) è sempre una questione di parole in ballo.<br />
L'attenzione alla bellezza in tutto ciò che attiene a ciò che è giapponese, da parte<br />
di ciò che è giapponese, è il riconoscimento <strong>della</strong> bellezza <strong>della</strong> <strong>Terra</strong> del Sole<br />
che Sorge, dell'intreccio <strong>della</strong> bellezza dei suoi animali con la bellezza dell'andirivieni<br />
delle sue stagioni, cioè il suo appartenere al divino. Il riconoscimento di questa<br />
bellezza, attraverso ogni atto <strong>della</strong> vita in Giappone e attraverso la poesia, è il<br />
ringraziamento agli dèi per la bellezza del mondo. Nella <strong>Terra</strong> <strong>della</strong> Sera, il riconoscimento<br />
di una simile bellezza, e il ringraziamento agli dèi per la bellezza del<br />
mondo, è ciò che fa del poeta la creatura più povera <strong>della</strong> <strong>Terra</strong> <strong>della</strong> Sera.<br />
Perché se l'Europa è la <strong>Terra</strong> <strong>della</strong> Sera, la penombra distesa dal meticciato è<br />
solo la falsa <strong>sera</strong> in ciò che non ha terra.<br />
Grazie alla sua spinta verso la creazione di una razza, il Giappone ha potuto<br />
chiamare la bellezza in ogni punto lungo la sua strada; laddove la <strong>Terra</strong> <strong>della</strong> Sera<br />
si è trovata a incamminarsi sulla strada che porta alla pratica di una estetica del<br />
brutto sempre più esasperata, per poi intravedere il cammino che porta alla formulazione<br />
del concetto di "arte degenerata".<br />
Il Giappone ha riempito il mondo di prodotti golemici alla fine <strong>della</strong> sua traiettoria<br />
solare, così come l'Italia, in tutta la sua esistenza di nazione-pipistrello, ha<br />
riempito e continua a riempire il mondo dei peggiori criminali.<br />
Gli Italiani meritavano la stessa sorte toccata a Zingari ed Ebrei. Così come l'Italia<br />
meritava il lancio delle bombe atomiche. L'errore profondo di Hitler è stato<br />
allearsi con gli Italiani, da sempre popolo di traditori, infidi e meticci; popolo <strong>della</strong><br />
penombra, del crimine e dell'infamia. Non ha invece sbagliato ad allearsi col grande<br />
popolo giapponese, che mai lo ha tradito.<br />
Italiani bastardi!<br />
Dio stramaledica l'Italia!<br />
Dio stramaledica i meticci!<br />
AV M. Serrano, Adolf Hitler, l'ultimo Avatara, 2 voll., Edizioni Settimo Sigillo, Roma 2010.<br />
JR H. Byron Earhart, Japanese Religion. Unity and Diversity, Thomson Wadsworth, Belmont<br />
(CA) 2004.<br />
Ti ho colto, meticcio!<br />
Il trionfo <strong>della</strong> "civiltà multietnica" in Italia ha la sua più convinta manifestazione<br />
nei giocatori di calcio "di colore". Lì i Negri hanno lo stesso modo di pro-<br />
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100<br />
porsi, arrogante e cafone, cialtrone e sguaiato, che hanno sempre avuto gli Italiani:<br />
i veri Italiani di sempre (in Italia, in Europa e nel mondo). C'è lo stesso miscuglio<br />
di caratteristiche che ha fatto la fortuna di quei brutti filmetti etichettati poi dagli<br />
esperti <strong>della</strong> brutta arte del cinema come "commedie all'italiana". Guardando, adesso,<br />
questi Negri di successo in Italia, qualcuno potrebbe dire: "le stesse caratteristiche<br />
degli Italiani di una volta"... Ma la questione è sempre la stessa: è una convergenza<br />
di modi di essere tra persone, in fondo, dello stesso tipo; o, più di quanto<br />
l'espressione "metaforicamente parlando" possa fare intendere, <strong>della</strong> stessa razza.<br />
In fondo, a ben guardare, in questo caso è proprio il caso di dire (non ai Negri di<br />
successo in Italia, ma agli Italiani, poveracci da sempre, in Italia, in Europa e nel<br />
mondo): ti ho colto, meticcio!<br />
Rileggere Mein Kampf<br />
Bisogna rileggere Mein Kampf mettendo al posto degli Ebrei gli Italiani. Ogni<br />
volta che il testo dice "Ebrei", bisogna sostituire "Italiani".<br />
La vicinanza di Ebrei e Italiani era stata intuita da Martin Lutero, che li vedeva<br />
come i massimi nemici dell'Europa.<br />
L'antisemitismo del futuro dovrà includere gli Italiani.<br />
Dopo gli Ebrei, gli Italiani sono il popolo più odiato al mondo.<br />
La professione di scrittore<br />
Anders Behring Breivik ha risposto “Scrittore” al giudice che gli chiedeva la sua<br />
professione nel corso del processo che lo vedeva imputato per i fatti del 22 luglio<br />
2011 in Norvegia.<br />
Essere “scrittore” non dovrebbe mai poter essere considerato una professione. Si<br />
è “scrittori” solo tramite la decisione di un attimo, che però cambia la vita, ma di<br />
cui non si può essere poi più responsabili; un po’ come avviene per la decisione del<br />
suicidio: la decisione di un attimo. (Ovviamente non si parla qui dello scrittore<br />
postmoderno.) La differenza è che la decisione di essere scrittore può essere rilanciata<br />
diverse volte nel corso di una stessa vita, con esiti sempre diversi e inevitabili;<br />
cosa non possibile nel caso del suicidio.<br />
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101<br />
I Tre Culetti<br />
Li chiamavano I Tre Culetti. Ma uno per uno li chiamavano: Culetto Grazioso,<br />
Culetto Puntiglioso, Culetto Crudele.<br />
In Italia, quando una persona non parla da sola, parla sempre addosso a un'altra<br />
persona: parla con rabbia e a voce sempre più alta, allo scopo di soffocare la parola<br />
di qualunque altra persona. I Tre Culetti, invece, parlavano sempre uno dopo<br />
l'altro, in modo soffice e curiosamente ordinato. Vero è che, secondo alcuni, più<br />
che di un ordine del discorso, si trattava di monotonia "secca e sputata"; e vero è<br />
che la voce dei Tre Culetti era di una monotonia incredibilmente fastidiosa. Nessuno<br />
però poteva negare che, nel discorso dei Tre Culetti, ci fosse alla fine un ordine<br />
superiore e perfetto, regolato appunto dal passaggio alla parola dei singoli Culetti:<br />
Culetto Grazioso cominciava una frase gorgogliante di verdose promesse, Culetto<br />
Puntiglioso la continuava con una rabbia biancastra che alludeva a lontane<br />
minacce, Culetto Crudele la terminava con una stoccata di rabbia rutilante.<br />
C'era poi qualcuno che, proprio a causa delle sfumature di colori che il discorso<br />
dei Tre Culetti prendeva, a mano a mano che i singoli Culetti si passavano la parola,<br />
chiamava i Tre Culetti il Triculore.<br />
Diritto<br />
Italiani bastardi!<br />
Rovescio 1<br />
Inailati idratsab!<br />
Rovescio 2<br />
!idratsab inailatI<br />
Un diritto e due rovesci<br />
Una visita da lontano<br />
– Scusi... Signore!<br />
– Prego! AIUTO! Un Alieno, e là c'è anche il disco volante...<br />
– Stia calmo! Sì, sono un Alieno, ma non ho intenzioni aggressive. Vorrei solo<br />
qualche informazione.<br />
– Se è così, mi tranquillizzo! Prego, chieda pure!<br />
– Vorrei sapere: non dovrebbe esserci una terra, là, in quel punto dove adesso<br />
c'è solo mare?<br />
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102<br />
– Una terra?<br />
– Sì, una terra. Vede quel moncherino schifoso, tutto avvizzito e, a tratti, un<br />
poco fumante e puzzolente? Secondo le informazioni in nostro possesso, da lì dovrebbe<br />
partire una penisola di notevoli dimensioni.<br />
– (Ahimè!) Proprio di una penisola parla? (Ahimè! Ahimè!) Non so, non capisco...<br />
– Guardi questa mappa.<br />
– Veramente... Mi sono ricordato di non avere proprio tempo...<br />
– La guardi. Qui è dove siamo noi, e qui è dove dovrebbe esserci la terra di cui<br />
le parlavo, che invece non c'è.<br />
– Ah! La Maledetta Italia! Lo sapevo! Metta via quella carta! La metta via!<br />
– Perché?<br />
– La metta via! La metta via, le dico! Bene! Adesso si avvicini. Parli a bassa voce.<br />
Sì, laggiù stava l'Italia: la Maledetta Italia! Ma adesso, come può vedere, per fortuna<br />
non ci sta più. Gran brutta gente: nasi da ebrei; ceffi da zingari. Tutto in una<br />
sola brutta faccia. Sa come erano chiamati? "Il popolo dei bastardi". Ma porta male<br />
parlarne. Ecco là: che le ho appena detto? Guardi il disco volante. Si sono spente<br />
le luci. Ora per lei sarà un bel guaio.<br />
– Ma no, è andato in standby.<br />
– Meno male. Lo dico per lei. Qui nelle vicinanze abbiamo un solo meccanico.<br />
È un brav'uomo, ma è tutto fatto a suo modo. È astemio e sembra sempre ubriaco.<br />
– Posso chiederle dove è finita tutta la gente che abitava quella terra?<br />
– Che vuole che le dica? Ringraziamo Dio, piuttosto, per non avere più a che<br />
fare con loro.<br />
– Che fine hanno fatto?<br />
– Che fine vuole abbiano fatto? Hanno fatto la fine del topo di fogna quando<br />
viene portato fuori dalla fogna di casa. Si sono estinti.<br />
– E perché la terra è ridotta a quel misero moncherino? Prima, se non sbaglio,<br />
quella penisola aveva una notevole estensione...<br />
– Quando quella terra (grazie a Dio!) non fu altro che un enorme cimitero, il<br />
veleno contenuto in tutte quelle maledette carcasse, lì seppellite tutte insieme, finì<br />
per corrompere e disgregare la terra, che alla fine prese l'aspetto che ora può vedere.<br />
– Ah, ecco! Certo, doveva essere gente ben disgraziata!<br />
– Lo può ben dire!<br />
– Che lei sappia, credevano in qualcosa di superiore? Che so: uno Spirito Supremo?<br />
un Dio Padre?<br />
– Più che in un Dio Padre, credevano in un Dio Padrino. Lo rappresentavano<br />
con le fattezze di uno dei tipi più primitivi <strong>della</strong> loro razza stramaledetta, già di per<br />
sé abbastanza primitiva: basso di statura, tarchiato, sempre tutto ingrugnito, vestito<br />
in modo sommario, con la coppola in testa calata sulla fronte e la lupara pronta<br />
sulla spalla destra. Una figura molto poco rassicurante. Secondo alcune teorie, fu<br />
appunto questo bel generino di divinità a farli fuori tutti, uno per uno, percorren-<br />
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103<br />
do il maledetto territorio e sparando a tutti quelli che incontrava. Probabilmente<br />
avevano avuto da ridire su qualcosa tra di loro. Quelli facevano presto ad accopparsi.<br />
Lo chiamavano: "uno sgarro". Dia retta a me, è una grande fortuna che siano<br />
scomparsi.<br />
– Non lo metto in dubbio! Solo, adesso dovremo aggiornare le nostre mappe e<br />
anche i nostri databases relativi a popolazioni e credenze religiose. Sa cosa significa?<br />
– Mi dispiace. Non so che dirle. Io parlo dal mio punto di vista.<br />
– In qualche modo faremo. Lei è stato molto gentile. Spero non averle fatto<br />
perdere troppo tempo.<br />
– No, assolutamente. Faccia buon viaggio.<br />
– Grazie. Arrivederci!<br />
– Arrivederci!<br />
– Vada pure, se vuole. Io devo mettere in moto.<br />
– Ci mancherebbe. Aspetto volentieri. Bene, è ripartito! Certo, è stato uno<br />
strano incontro... Chissà, lo potrò raccontare? Però, che incubo che erano, quelli<br />
là! Erano odiati da tutti e presi in giro da tutti. Infatti se ne poteva sempre incontrare<br />
qualcuno in ogni angolo del mondo. Aspetta... aspetta... A proposito di "raccontare"...<br />
Mi viene in mente un personaggio di fantasia, creato a loro somiglianza,<br />
che aveva anche avuto una certa notorietà... Doveva essere il protagonista di<br />
una serie di filmetti polizieschi. Roba squallida, ma che rappresentava bene il tipo:<br />
era antipatico, puzzolente, prepotente, sporco lurido lercio, schifoso, servile, arrogante,<br />
malvisto, trafficante, ignorante, meschino, trasandato, sempre con una fame<br />
da orbi, sempre dappertutto, sempre fuori posto dappertutto, sempre pronto a fregare<br />
il prossimo, spione, abbarbonato, brutto, mi<strong>sera</strong>bile, cencioso, pezzente,<br />
straccione, poveraccio, maligno, poco intelligente ma astuto nel fregare chi gli capitava<br />
a tiro, diffidente, maldisposto verso tutti, che seminava zizzania dappertutto:<br />
una vera muffa ambulante di sottouomo, un vero rappresentante di quel popolo<br />
maledetto di bastardi. E... (ora mi ricordo!) aveva sempre l'abitudine di dire:<br />
«Quando lo racconterò a mia moglie...»<br />
Dio stramaledica l'Italia!<br />
<strong>Terra</strong> di meticci, terra di massoni!<br />
Dove canta la lupara!<br />
Dove canta la lupara!<br />
Dio stramaledica gli Italiani!<br />
Popolo di meticci, popolo di massoni!<br />
Dove canta la lupara!<br />
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104<br />
La lingua italiana<br />
Ho sempre odiato l'Italia; ho sempre odiato gli Italiani: popolo di meticci, popolo<br />
di bastardi, popolo che non dovrebbe né stare né restare in Europa. Popolo<br />
che non dovrebbe mai essere entrato in Europa. Il meticcio italiano è un meticcio<br />
che non ha niente di europeo. Ma quanto ci vuole a capirlo?<br />
Niente tradisce di più l'origine non europea del meticcio italiano quanto il suo<br />
modo stravagante di parlare.<br />
Niente tradisce di più l'origine semita del meticcio italiano quanto la sua lingua.<br />
C'è qualcosa di più odioso <strong>della</strong> lingua del meticcio italiano? lingua di criminali,<br />
lingua di ladri, lingua di truffatori, lingua di prepotenti. Ascoltate il suo tono<br />
"abbaiato" che non la lascia mai, che rende la lingua italiana così simile alle lingue<br />
arabe; fate attenzione al suo tono sempre gridato, sempre sopra tutte le righe; e insieme<br />
al suo tono mellifluo, che la rende così adatta a una lingua di segreti, lingua<br />
di imbrogli, lingua di favori segreti, lingua di tranelli, lingua di ammiccamenti,<br />
lingua di puzza di suq. Quale altra lingua europea è parlata a voce così alta? Un Italiano<br />
abbaia sempre la sua maledetta lingua per soverchiare un altro maledetto Italiano.<br />
È questa la logica di quel maledetto popolo che vive in quel maledetto paese.<br />
Ma è l'unica logica adatta a un popolo di meticci, a un popolo di gente disgraziata,<br />
a un popolo bastardo quale il popolo degli Italiani bastardi è da sempre stato<br />
e che sempre deve continuare ad essere.<br />
Niente tradisce di più l'origine semita del meticcio italiano quanto la sua lingua.<br />
Osservate bene due meticci italiani che parlano tra loro: osservate tutte quelle<br />
smorfie, quei gesti da secoli orfani <strong>della</strong> commedia dell'arte, quell'andirivieni dei<br />
braccini, simili ad antenne di scarafaggi, quell'ondeggiare <strong>della</strong> postura, quel guardare<br />
di sbieco l'avversario, quella fissità inespressiva, ma minacciosa, degli occhi.<br />
Non è uno spettacolo raccapricciante? Non è uno spettacolo indegno dell'Europa?<br />
Due Italiani che parlano tra loro sono già una cosca mafiosa. Tutto il segreto<br />
<strong>della</strong> cupola è già lì. Togliete a quel popolo di bastardi, che è il popolo italiano, la<br />
sua lingua maledetta e avrete tolto la mafia maledetta dal mondo.<br />
Dio stramaledica l'Italia!<br />
Dio stramaledica gli Italiani!<br />
La difesa <strong>della</strong> razza<br />
Gli Italiani devono essere contro il razzismo. Se il razzismo fosse legge, – o prima<br />
o poi – toccherebbe a loro.<br />
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105<br />
L'accoglienza<br />
Contrariamente a quanto intravisto da Massimo Cacciari ne L'Arcipelago, secondo<br />
cui l'Europa dovrebbe riconoscersi sotto il segno dell'accoglienza, come la<br />
figura di Zeùs Xénios suggerirebbe, l'Europa dovrebbe riconoscersi nella esclusione<br />
da sé, cioè nella cacciata di quei gruppi che, malgrado tutto, non sono autenticamente<br />
europei, perché risultato di un meticciato (come indicato dai popoli slavi e<br />
latini), nel riconoscimento <strong>della</strong> nozione di indoeuropeo e nei mille dèi <strong>della</strong> guerra<br />
indoeuropei: allora l'Europa non dovrebbe riconoscersi sotto il segno dell'accoglienza,<br />
cioè dell'inclusione di ciò che è ad essa estraneo, ma nella esclusione di ciò<br />
che, erroneamente, viene da tempo considerato parte integrante <strong>della</strong> propria natura.<br />
M. Cacciari, L’Arcipelago, Adelphi, Milano 1997, pp. 148-9.<br />
Sfumature<br />
Nessun pittore potrà mai dipingere tutte le sfumature di un tramonto. Nessun<br />
compositore potrà mai far suonare tutto il silenzio che è nella musica.<br />
Io non potrò mai esprimere tutto l'odio che provo nei confronti del meticcio<br />
italiano.<br />
Anche nel 2013<br />
Fine anno 2012<br />
DIO STRAMALEDICA L'ITALIA!<br />
<strong>Terra</strong> di Meticci, <strong>Terra</strong> di Massoni, <strong>Terra</strong> di Mafiosi.<br />
DIO STRAMALEDICA GLI ITALIANI!<br />
Popolo di Meticci, Popolo di Massoni, Popolo di Mafiosi.<br />
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106<br />
Antisemitismo<br />
Non si può essere antisemiti senza disprezzare gli Italiani.<br />
L'Europa ha bisogno di un nuovo, più potente e completo, antisemitismo.<br />
Per antisemitismo si deve allora intendere l'opposizione all'insediamento e alla<br />
permanenza di Semiti, vale a dire di Ebrei e di Arabi, in Europa. Si deve cioè intendere<br />
l'opposizione alla componente estranea che vuole insediarsi stabilmente in<br />
Europa, con il fine di modificarne, in modo irreversibile, il sistema di vita. Questo<br />
è il principale nemico esterno dell'Europa. Ma l'Europa ha anche un nemico interno,<br />
e non meno pericoloso, rappresentato dal meticciato europeo, cioè dal meticciato<br />
collegato a quei popoli che, per quanto ritenuti, da molto tempo, "europei",<br />
sono invece, da sempre, estranei all'Europa e nemici dell'Europa. E questa<br />
estraneità deve essere rilevata adesso più che mai. Proprio ora è infatti il momento<br />
in cui l'Europa deve ritrovare le proprie origini. Origini che sono tutte disperse nel<br />
mito. Il mito è l'unica moneta in cui l'Europa può ritrovare la propria origine.<br />
Poiché l'Europa è la terra del mito. Bersaglio di questa ricerca deve essere il popolo<br />
Italiano, in quanto massimo rappresentante del meticciato insediato in Europa, e<br />
proprio di quel meticciato che si collega ai popoli semiti, a quei popoli ai quali gli<br />
Italiani somigliano così spudoratamente nel tipo fisico. Tipo fisico da sempre riconosciuto<br />
come non-europeo.<br />
Così gli Italiani dovrebbero essere scacciati dall'Europa, terra che non hanno<br />
nessun diritto di abitare. Ma l'unica terra dove gli Italiani hanno pieno diritto di<br />
abitare è un luogo dove nessuna terra può essere localizzata. Questo perché l'unico<br />
luogo dove gli Italiani hanno pieno diritto di abitare è il disprezzo universale.<br />
L'Europa alla razza bianca d'Europa.<br />
Italiani bastardi!<br />
Confessione<br />
ABB<br />
Anders Behring Breivik ha chiesto scusa ai nazionalisti per non essere riuscito<br />
ad ammazzare di più.<br />
Nessuna persona poteva portare a compimento una impresa del genere.<br />
La soppressione <strong>della</strong> degenerazione, anche degli elementi degenerati <strong>della</strong> propria<br />
razza, è qualcosa che va oltre le possibilità di un individuo.<br />
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107<br />
Ci vuole un governo che concretamente renda la terra inabitabile alle razze inferiori<br />
e un governo che, concretamente, metta a punto un piano di soppressione<br />
delle razze inferiori.<br />
Finché non ci sarà qualcosa del genere, le iniziative individuali saranno azioni<br />
confuse ed eclatanti, in cui l'autore dovrà chiedere scusa ai nazionalisti.<br />
Io parlo solo del meticcio italiano.<br />
Considerazione<br />
Una barzelletta<br />
– Cosa disse il Dio Pasticcere quando creò il primo Negro?<br />
– Non disse nulla! Fece una smorfia e lo mise da parte!<br />
– Ma cosa disse il Dio Pasticcere quando creò il primo Italiano?<br />
– Disse: «Madonna Partigiana! È il secondo che mi si brucia!»<br />
Europa<br />
Che l'Europa non abbia mai riconosciuto e fatto i conti il meticciato al suo interno,<br />
comporta che possa adesso tollerare il fatto che l'Europa non sia più la terra<br />
degli Europei.<br />
Se l'Europa, a partire dagli anni '50, avesse riconosciuto come elemento estraneo<br />
all'Europa e respinto – perché elemento estraneo all'Europa – il meticcio italiano,<br />
l'Europa non si troverebbe – adesso – a dover fare i conti con il Negro, con<br />
l'Arabo, con l'Indio.<br />
Europa indoeuropea<br />
Quando io dico che gli Italiani non sono un popolo europeo, intendo dire che<br />
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108<br />
gli Italiani non sono un popolo indoeuropeo – a tutti gli effetti. È sempre più vicino<br />
il tempo di abbandonare il concetto di "europeo" per ritrovare quello di indoeuropeo.<br />
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