libretto La vedova allegra - Teatro Consorziale di Budrio
libretto La vedova allegra - Teatro Consorziale di Budrio
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L ’Amministrazione Comunale <strong>di</strong> <strong>Budrio</strong>,<br />
la Direzione ed il Personale del <strong>Teatro</strong> <strong>Consorziale</strong>,<br />
la Compagnia Italiana <strong>di</strong> Operette<br />
augurano un lieto, sereno e felice anno<br />
2011<br />
<strong>La</strong> <strong>vedova</strong> <strong>allegra</strong><br />
(DIE LUSTIGE WITWE) <strong>di</strong> Franz Lehàr<br />
Libretto <strong>di</strong><br />
Victor Leon e Leo Stein<br />
COMPAGNIA ITALIANA DI OPERETTE<br />
2 gennaio 2011
pag. 44<br />
Domenica 2 gennaio 2011<br />
COMPAGNIA ITALIANA DI OPERETTE<br />
LA VEDOVA ALLEGRA<br />
Operetta <strong>di</strong> Franz Lehàr<br />
Su <strong>libretto</strong> <strong>di</strong> Victor Leon e Leo Stein<br />
1°ma Esecuzione: Vienna, Theater an der Wien, 28 <strong>di</strong>cembre 1905<br />
Interpreti Personaggi<br />
ELENA D’ANGELO<br />
UMBERTO SCIDA<br />
ARMANDO CARINI<br />
EMIL ALEKPEROV<br />
MILENA SALARDI<br />
MASSIMILIANO COSTANTINO<br />
CLAUDIO PINTO<br />
MONICA EMMI<br />
MARIA TERESA NANÌA<br />
FRANCESCO GIUFFRIDA<br />
GIANVITO PASCALE<br />
ALESSANDRO LORI<br />
An n A Gl A v A r y<br />
ni e G u s<br />
BA r o n e Ze tA<br />
Co n t e DA n i l o<br />
vA l A n C i e n n e<br />
CA m i l l o D e ro s s i l l o n<br />
Co n t e Kr o m o f f<br />
ol G A Kr o m o f f<br />
Co n t e s s A Bo G D A n o v i C h<br />
Co n t e Bo G D A n o v i C h<br />
sA i n t Br i o C h e<br />
CA s C A D A<br />
Pa r i g i n i, Po n t e v e d r i n e, gr i s e t t e s, da m e e Cava l i e r i, musiCisti, se rv i t o r i<br />
Or c h e s t r a “cO m pa g n i a ita l i a n a d i Op e r e t t e”<br />
Direttore Maestro Concertatore<br />
ORLANDO PULIN<br />
Maestro Collaboratore Simonetta Longo<br />
Regia e Coreografia<br />
SERGE MANGUETTE
pag. 43
pag. 42<br />
LA VEDOVA ALLEGRA<br />
Musicista: Franz Lehàr. Librettisti: Victor Leon - Leo Stein.<br />
Prima esecuzione: Vienna, Theater an der Wien, 28 <strong>di</strong> cembre 1905.<br />
(In Italia: Milano, <strong>Teatro</strong> Dal Verme 27 aprile 1907)<br />
P e r s o n a g g i<br />
Anna Glavary (soprano), Valencienne (soprano), Conte Danilo<br />
(tenore-baritono), Camillo de Rossillon (tenore), Barone Mirko Zeta<br />
(basso), Njegus (comico), Praskovia (soprano), Visconte Cascada,<br />
Olga, Raul De Saint-Brioche, Bogdanowitch, Kronow, Silviana<br />
Pritschitch, Parigini, Pontevedrine, Grisettes, Dame e Ca valieri,<br />
Musicisti, Servitori.<br />
Luogo: Parigi: nell’ambasciata del Pontevedro, nella residenza <strong>di</strong><br />
Anna Glavary, da «chez Maxim».<br />
Epoca: 1905.<br />
Parigi, ambasciata del Pontevedro. Il barone Zeta, l’ambasciatore, ha un<br />
pensiero fisso: risollevare le finanze dello Stato. Le casse infatti sono<br />
miseramente vuote. Idea: vive a Parigi la bella Anna Glawary, “la <strong>vedova</strong><br />
<strong>allegra</strong>”. L’ambasciatore ha ricevuto l’incarico <strong>di</strong> trovare un marito<br />
pontevedrino alla dama, per conservare i milioni in patria. Se “la <strong>vedova</strong><br />
<strong>allegra</strong>” dovesse contrarre matrimonio con uno stranie ro, il suo capitale<br />
passerebbe all’estero e <strong>di</strong>ssanguerebbe la banca pontevedrina. Njegus,<br />
consigliere dell’ambasciata, suggerisce il nome del conte Danilo ma c’è<br />
un impre visto: fra Anna e Danilo c’era stata, alcuni anni prima, una storia<br />
d’amore finita male a causa dell’opposizione del padre <strong>di</strong> Donilo; Anna non<br />
ha <strong>di</strong>menticato e, appena rivede il suo ex-fidanzato, glielo rinfaccia senza<br />
pietà. Anche la moglie del barone Zeta, Valencienne, ex- ballerina <strong>di</strong> can-can,<br />
ha pro blemi <strong>di</strong> cuore con un assiduo corteggiatore, Camillo de Rossillon, pur<br />
se continua a ripetere che è una «donna onesta» e che non può rovinare il<br />
suo matrimonio. Durante una festa nel palazzo <strong>di</strong> Anna Glavary, in cui sono<br />
invitati tutti i personaggi della nostra storia, Valencienne e Camillo si danno<br />
convegno nel chiosco e, quando stanno per essere sorpresi dal barone Zeta,<br />
Njegus riesce a far uscire per tempo Valencienne e a sostituirla con Anna, la<br />
quale fa finta <strong>di</strong> essersi legata a Ca millo. <strong>La</strong> signora Glawary sorpresa con<br />
Camillo! Danilo e Zeta sono sconvolti. Nel 3° atto l’equivoco viene presto<br />
a galla e Zeta vuol ora <strong>di</strong>vorziare da Valencienne. Potrebbe ad esempio<br />
sposare “la <strong>vedova</strong>”! Ma a questo punto interviene Danilo che, messo da<br />
parte l’orgoglio, si <strong>di</strong>chiara ad Anna che, d’altra parte, non voleva sentire<br />
altro. Si confesseranno il loro amore da «Maxim» al languido suono d’un<br />
valzer mentre tutti i pontevedrini festeggiano tan to la coppia <strong>di</strong> innamorati<br />
che i milioni rimasti, fortunatamente, nelle casse dello Stato. D’ora in poi la<br />
signora Glawary non sarà più “la <strong>vedova</strong> <strong>allegra</strong>” ma la felice consorte del<br />
conte Danilo Danilowitsch.<br />
pag. 3
Negli anni settanta del secolo scorso si stimò in oltre cinquecentomila le<br />
repliche, in tutto il mondo, de <strong>La</strong> <strong>vedova</strong> <strong>allegra</strong>. Qual cuno <strong>di</strong>chiarò che<br />
si trattava perciò dello spettacolo tea trale più rappresentato. L’operetta dei<br />
record ebbe tut tavia una gestazione che definire «<strong>di</strong>fficile» può appari re<br />
un eufemismo. Lo stesso Lehàr riuscì ad aggiu<strong>di</strong>carsi lo spartito (che altri<br />
volevano affidare al più navigato Heuberger) facendo ascoltare al telefono<br />
il refrain del duetto «Hop là, hop là» al librettista Victor Leon. Karczag,<br />
<strong>di</strong>rettore del Theater an der Wien, era così sicuro del «fiasco» <strong>di</strong> questa<br />
nuova creazione che arrivò ad offrire duemilacinquecento fiorini purché<br />
Lehàr la ritiras se, prima ancora della première. Messa in scena con scene e<br />
costumi già utilizzati in pre cedenti operette. <strong>La</strong> <strong>vedova</strong> <strong>allegra</strong> ottenne un<br />
tale successo che venne tradotta in venti cinque lingue, dettando moda nella<br />
storia del teatro e del costume. Mizzi Günther e Louis Treumann furono i<br />
pri mi interpreti a Vienna e ancora negli anni quaranta Martha Eggerth e Jan<br />
Kiepura riempirono, a New York, tutte le sere, per trecentocinquanta volte, un<br />
teatro <strong>di</strong> <strong>di</strong>ciottomila posti. Per centonovantamila dollari la Metro Goldwyn<br />
Meyer si assicurò i <strong>di</strong>ritti cinematografici ricavan done tré versioni filmate.<br />
«C’è un mondo - scrive Ugo Volli - in cui tutti sono baroni o almeno visconti;<br />
in cui scorre lo champagne e i locali notturni sono pieni <strong>di</strong> donnine allegre;<br />
i mariti vedono solo le corna altrui, non le proprie. Un mondo in cui ci<br />
si veste in frack e si balla il valzer, la politica si fa alle feste da ballo, i<br />
bilanci statali si salvano sposando belle ere<strong>di</strong>tiere e non pagando le tasse.<br />
Un mondo in cui le cose noiose non si vedono, la gente per bene ha il<br />
compito preciso ed esclusivo <strong>di</strong> perdersi nei vortici della danza, scambiarsi<br />
bigliettini compromettenti e cercare la moglie che se la fa col collega <strong>di</strong>etro<br />
il paravento. Questo mondo ha <strong>di</strong>versi nomi o localizzazioni: può essere un<br />
immaginario staterello mitteleuropeo più o meno fornito <strong>di</strong> campanelli, come<br />
il Pontevedro o il Lussemburgo; può essere la Parigi <strong>di</strong> Maxim’s e del Moulin<br />
Rouge, vista con l’occhio sbarrato ed euforico <strong>di</strong> un turista fin de siecle.».<br />
Forse l’operetta è davvero tutta qui, ma cos’è veramente <strong>La</strong> Vedova <strong>allegra</strong>,<br />
l’operetta più famosa che sia mai stata scritta? Continuiamo a seguire Ugo<br />
Volli: «Finalmente si apre il regno del valzer e tutti possono partecipare<br />
all’avventura che riguarda la giovane <strong>vedova</strong> <strong>allegra</strong> Anna Glawary,<br />
indocile e affascinante, il bel tenebroso conte Donilo, innamorato - “malgré<br />
lui” - della <strong>vedova</strong> per or<strong>di</strong>ne sovrano e intermittenza del cuore. E poi<br />
l’ambasciatore del Pontevedro a Parigi in persona, Sua Eccellenza Barone<br />
Mirko Zeta, segaligno e un po’ stupido, sua moglie Valencienne, civetta e<br />
“donna onesta”, il segretaro Njegus, affamato e miope segretario buffone. Ma<br />
soprattutto ci sono le “donne, donne eterni dei”, Frou-Frou, Pompon, Chou-<br />
Chou, alte e basse, bionde e brune, purché ricche <strong>di</strong> prominenti prominenze.<br />
Sul palcoscenico si srotolano tré feste sontuose, all’Ambasciata, in casa <strong>di</strong><br />
Anna, in un falso Maxim’s: si balla e ci si nasconde <strong>di</strong>etro i paraventi, si<br />
salva la Patria con l’amore e i telegrammi cifrati, si intrecciano relazioni<br />
adulterine e tutto marcia sul ritmo saltellante del valzer verso l’inevitabile<br />
lieto fine. “<strong>La</strong> Vedova <strong>allegra</strong>” non è uno spettacolo, è una macchina del<br />
tempo.». Cre<strong>di</strong>amo sia inutile aggiungere altre parole come commento<br />
pag. 4<br />
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pag. 40<br />
alla musica <strong>di</strong> questo capolavoro <strong>di</strong> Lehàr. Troppo si è già scritto. Questa<br />
operetta, la più rappresentata fra tutte, è il simbolo del genere stesso, la punta<br />
<strong>di</strong> <strong>di</strong>amante della “silver age”, imbattuto cavallo <strong>di</strong> battaglia fra i due secoli.<br />
<strong>La</strong> “belle époque” ha rivissuto per questo ultimo palpito inebriante la sua<br />
languente agonia e ha ritrovato nella gioia <strong>di</strong> vivere delle sue note e delle sue<br />
parole l’illusione <strong>di</strong> una rinascita perenne, anche se <strong>di</strong> pura finzione.<br />
I PERSONAGGI<br />
Al <strong>di</strong> là degli stereotipi operettistici incarnati dal ba rone Zeta e dal comico per<br />
eccellenza Njegus (che una pessima abitu<strong>di</strong>ne solo italiana vuole prevaricante<br />
sulla coppia protagonista). <strong>La</strong> <strong>vedova</strong> <strong>allegra</strong> assume una pre cisa connotazione<br />
soltanto nel rapporto Anna-Danilo con i loro scontri motivati, il loro orgoglio<br />
ferito, la loro pas sione in bilico fra signorile autocontrollo e slanci impe tuosi.<br />
Anna e Danilo hanno una consistenza drammati ca anche nelle sole battute <strong>di</strong><br />
copione, al contrario dell’altra coppia Valencienne-Camillo, mortificata da<br />
<strong>di</strong>a loghi obsoleti e riscattata soltanto dalle preziosità lehariane.<br />
LA MUSICA<br />
<strong>La</strong> <strong>vedova</strong> <strong>allegra</strong> sintetizza l’Ottocento operettistico e lascia intravedere gli<br />
sviluppi della «piccola lirica» novecentesca. C’è ancora il can-can, il finale<br />
d’atto elabo rato (entrambi i finali hanno più <strong>di</strong> venti minuti <strong>di</strong> sola musica e<br />
canto), lo spirito satirico che ci riportano ad Offenbach e Strauss; il valzer<br />
è già valzer-lento «alla Le hàr», l’esotismo è pura finzione, la marcia del II<br />
atto avrà molte imitazioni ma non sarà più eguagliata. Lehàr ri cama spesso e<br />
volentieri in questa partitura ma il suo tocco raffinato è da ricercarsi più nei<br />
brani «<strong>di</strong> contorno» che non in quelli facilmente canticchiabili.<br />
Brani:<br />
Introduzione <strong>di</strong> Cascada “Signori miei, mio signore”<br />
Duetto Camillo - Valencienne “Io sono una donna onesta”<br />
Entrata <strong>di</strong> Anna con coro “Io <strong>di</strong> Parigi ancor non ho”<br />
Entrata <strong>di</strong> Danilo “Vo’ da Maxim allor”<br />
Duetto Camillo - Valencienne “Questo è l’incanto dell’intimità”<br />
Coro “Sceglierà ogni dama il cavalier”<br />
Finale atto 1° “Venite orsù sirene della danza”<br />
Canzone della Vilja (Anna)<br />
Duetto Anna - Danilo “Hop là, hop là”<br />
Marcia “È scabroso le donne stu<strong>di</strong>ar”<br />
Romanza <strong>di</strong> Camillo “Come <strong>di</strong> rose un cespo”<br />
Finale atto 2° “Questo è Rrras!”<br />
Can-can <strong>di</strong> Valencienne con coro “Sì, noi siam le<br />
signorine”<br />
Duetto Anna - Danilo “Tace il labbro”<br />
Finale atto 3°<br />
pag. 5
LEHÀR, Franz (Ferenc) (Komàrom 30 aprile 1870 - Bad Ischl 24 ottobre<br />
1948) Compositore ungherese. Figlio <strong>di</strong> un <strong>di</strong>rettore <strong>di</strong> banda militare, Lehàr<br />
aveva la musica nel sangue. Tanto il padre che la madre, austriaca, lo<br />
incoraggiarono ad intraprendere gli stu<strong>di</strong> musicali e lo iscrissero al<br />
Conservatorio <strong>di</strong> Praga dove stu<strong>di</strong>ò composizione con Zdenek Fibich. A 18<br />
anni esce dal Conservatorio <strong>di</strong>plomato in violino. <strong>La</strong> breve esperienza<br />
orchestrale non lo sod<strong>di</strong>sfa e sceglie <strong>di</strong> seguire le orme paterne: a Losoncz,<br />
Pola, Trieste, Budapest e Vienna sarà <strong>di</strong>rettore <strong>di</strong> banda in vari reggimenti<br />
austro-ungarici. Durante questo periodo il giovane Franz inizia a comporre e<br />
scrive due opere liriche, “Rodrigo” (1890) e “Kukuschka” (1896), ma solo<br />
quest’ultima verrà rappresentata (e poi ribattezzata nel 1906 “Tatjana”). Il<br />
palcoscenico musicale doveva essere il suo regno. Lehàr ammirava l’Italia e<br />
in special modo le opere italiane. Puccini, che poi <strong>di</strong>venterà suo buon amico,<br />
era il suo autore preferito. All’inizio del secolo per un musicista avente sangue<br />
austriaco e ungherese, intenzionato a scrivere musica per il teatro, l’operetta<br />
rappresentava la via più logica e consequenziale. Franz volle quin<strong>di</strong> cimentarsi<br />
nel genere straussiano. Aveva le idee chiare: il <strong>libretto</strong> doveva proporre<br />
situazioni <strong>di</strong>vertenti ma anche sentimentali, permeate da classe e buon gusto.<br />
Riguardo alla musica, sapeva che il valzer era ancora un elemento vincente.<br />
Lehàr non era Strauss, e se ne rendeva conto. Il suo valzer non poteva essere<br />
travolgente e impetuoso come quello dell’autore del Pipistrello. Oltre al<br />
valzer - che imperava più che mai in quegli anni con Lysier e Ziehrer - il<br />
giovane Lehàr puntava molto su un brano d’insieme, vivace e a ritmo <strong>di</strong><br />
marcia, che potesse segnare inconfon<strong>di</strong>bilmente ciascuna operetta.<br />
Un’operazione che gli avrebbe fruttato il magnifico ottetto “È scabroso le<br />
donne stu<strong>di</strong>ar” de <strong>La</strong> <strong>vedova</strong> <strong>allegra</strong>. Una cosa era certa: Lehàr credeva<br />
profondamente nella bontà della “piccola lirica” e nel valore artistico del<br />
genere. Non si sentiva declassato rispetto agli altri amici <strong>di</strong> Conservatorio<br />
che si accingevano a trattare generi musicali “seri”. A Vienna mette in scena<br />
la sua prima operetta, Donne viennesi, nel 1902, interpretata dal magnifico<br />
Alexander Girar<strong>di</strong>, che porta al successo la marcia <strong>di</strong> Nechle<strong>di</strong>l. Da più parti<br />
già si guarda con un certo interesse al giovane compositore ungherese. Quello<br />
stesso anno si affaccia sui palcoscenici viennesi un’altra operetta lehariana,<br />
Der Rastelbinder. Lehàr sarà l’artefice dell’operetta “silver ago” ma le sue<br />
intenzioni non sono quelle <strong>di</strong> trasformare il genere. Con Der Rastelbinder<br />
vuol far intendere che l’ottocento operettistico viennese deve ancora influire<br />
sul nuovo repertorio. Le sue polke sono brillanti e vicine al verbo coniugato<br />
da Johann Strauss. Seguiranno due operette modeste come Der Gòttergatte e<br />
Der Juxheirat prima <strong>di</strong> approdare al più trionfale dei successi nella storia<br />
dell’operetta: <strong>La</strong> <strong>vedova</strong> <strong>allegra</strong>. Dal 1905 il fortunatissimo lavoro <strong>di</strong> Lehàr<br />
conserva tuttora i suoi magnifici requisiti. Incarna un’epoca, un modo <strong>di</strong><br />
vedere la vita, una cultura. Le repliche si susseguono in tutto il mondo con<br />
esiti incre<strong>di</strong>bili. Chi frequenta il teatro nel periodo 1905-1915 non può non<br />
assistere alle repliche dell’operetta più famosa del mondo; <strong>di</strong>venta quasi un<br />
obbligo morale. Lehàr aveva capito cosa voleva il pubblico e qual’era la<br />
nuova funzione dell’operetta. <strong>La</strong> parola d’or<strong>di</strong>ne era “seduzione”, in senso<br />
musicale, nei contenuti, nel fascino dell’ambientazione, nelle pieghe della<br />
pag. 6
pag. 38<br />
comicità. <strong>La</strong> <strong>vedova</strong> <strong>allegra</strong> inebriava il pubblico <strong>di</strong> piacere per la vita, <strong>di</strong><br />
favola e <strong>di</strong> sogno, <strong>di</strong> risvolti dolceamari che venivano prontamente riscattati<br />
dall’umorismo e dal sorriso. Lehàr <strong>di</strong>viene un uomo ricco e felice. Sa che il<br />
mondo guarda a lui come <strong>di</strong>spensatore <strong>di</strong> felici momenti musicali. Strano, ma<br />
vero, il post-” Vedova <strong>allegra</strong>” comincia con un lavoro per ragazzi, Peter und<br />
Paul reisen ins Schlaraffenland. Il trittico che segue scoraggerebbe anche il<br />
più affezionato estimatore <strong>di</strong> Lehàr: Mytislav der Moderne, Edelweiss und<br />
Rosenstock e II marito <strong>di</strong> tré mogli. L’ispirazione aveva abbandonato Lehàr,<br />
il cui nome continuava più che mai ad essere associato alla sola “Vedova”. In<br />
questo periodo Lehàr matura la decisione <strong>di</strong> tentare un rinnovamento. Ormai<br />
a Vienna non si scrivono più operette come facevano Zeller e Millòcker, ne la<br />
formula Eysier sembra assicurare vitalità al genere. Se si desse più spazio al<br />
tenore brillante? Se gli si affiancasse una soubrette in modo da creare una<br />
storia parallela a quella principale? Il brano affidato alla coppia “leggera”<br />
potrebbe essere un semplice valzer oppure una marcia fischiettabile. Nel 1909<br />
con <strong>La</strong> figlia del brigante si fa già largo questa nuova concezione, ma nello<br />
stesso anno, con II conte <strong>di</strong> Lussemburgo, l‘intreccio fra tenore e soprano e<br />
quello fra buffo e soubrette scorre parallelo. D’ora in avanti, in ogni parte<br />
d’Europa, ogni compositore <strong>di</strong> operetta deve tenere presente il nuovo schema<br />
lehariano de II conte <strong>di</strong> Lussemburgo. Finalmente Lehàr ha sfornato uno<br />
spartito con tutti i crismi per piacere. È il suo primo successo dopo <strong>La</strong> <strong>vedova</strong><br />
<strong>allegra</strong>. In cuor suo il compositore magiaro, ormai viennesizzato, non crede<br />
<strong>di</strong> aver composto un prodotto duraturo; la sua attenzione è tutta riposta in<br />
Amor <strong>di</strong> zingaro, in risposta alle Manovre d’autunno che Kàlmàn ha portato<br />
in primo piano. <strong>La</strong> critica non risparmia frecciate e sarcasmi alle sue ultime<br />
opere; Lehàr pensa che deve limitare le pagine “leggere”, tentare <strong>di</strong> dare<br />
lustro allo spartito con la melo<strong>di</strong>a più che col motivo d’effetto. Nel 1911<br />
firma Eva, ricca <strong>di</strong> buoni spunti ma ingenua nel <strong>libretto</strong>. Due anni dopo è la<br />
volta de <strong>La</strong> moglie ideale, ibrida e banale. <strong>La</strong> “stella” lehariana sembra<br />
appannarsi. Nubi funeste <strong>di</strong> guerra inquinano l’animo del compositore <strong>di</strong><br />
Komàrom. Il mondo si trasforma, l’impero austro ungarico crolla, sui giornali<br />
si ironizza sull’operetta ritenuta anacronistica ed obsoleta. Lehàr sogna un<br />
universo sereno dove regni la pace dell’anima. Compone il superbo Finalmente<br />
soli!, il cui 2° atto, privo <strong>di</strong> parti in prosa, è un atto <strong>di</strong> opera lirica, un lungo e<br />
suggestivo duetto d’amore. Nel 1916 cade miseramente una nuova creazione,<br />
Der Sterngucker. In questo perìodo c’è chi giura che il nuovo “re” dell’operetta<br />
sia Emmerich Kàlmàn che con <strong>La</strong> principessa della czardas sembra aver dato<br />
una svolta al corso della “lirica leggera”. Subito dopo la prima guerra<br />
mon<strong>di</strong>ale, appare Dove canta l’allodola, tributo alla terra magiara, rigogliosa<br />
<strong>di</strong> brani toccanti. Puccini loda Lehàr e lo invita a continuare su questa strada<br />
ma il pubblico sembra <strong>di</strong>stratto. Nel 1920 Mazurka blu reca echi polacchi e<br />
reminiscenze classiche; non sarà però un successo. Lehàr non riesce a farsi<br />
una ragione della scarsa risonanza delle sue opere, è avvilito. Accetta <strong>di</strong><br />
musicare un atto unico, Frühling, nel 1922. Nell’operetta ci si esotizza sempre<br />
più e Vienna impazzisce per <strong>La</strong> bajadera <strong>di</strong> Kàlmàn, dal profumo in<strong>di</strong>ano.<br />
Lehàr rimane colpito da L’usignolo madrileno del rivale Leo Fall e compone<br />
l’iberica Frasquita. Lo spartito è fra i più interessanti degli ultimi anni<br />
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lehariani ma solo tré anni dopo giungerà il vero favore del pubblico. Nel<br />
biennio 1923-24 due operette trascurabili: <strong>La</strong> giacca gialla e Clo Clo. Si<br />
chiude però un ciclo. Nuovi orizzonti si schiudono nel panorama <strong>di</strong> Lehàr e<br />
in quello dell’operetta viennese. L’acclamato tenore Richard Tauber accetta<br />
la collaborazione con Lehàr ed inizia una nuova stagione, florida e rigogliosa.<br />
Paganini è il primo frutto del connubio Lehàr-Tauber e si attesta finalmente<br />
su alti livelli. Non importa se intanto Kàlmàn ha fatto centro con <strong>La</strong> contessa<br />
Maritza. In Italia una gradevole rielaborazione dello Sterngucker, <strong>La</strong> danza<br />
delle libellule, fa guadagnare molti quattrini a Lehàr che, da adesso in poi,<br />
non perde più un colpo. Tauber interpreta il ruolo del protagonista anche ne<br />
Lo Zarevic che si avvicina all’opera lirica, pur mantenendo una struttura che<br />
non tra<strong>di</strong>sce l’operetta. In ogni nuova opera è presente una romanza del<br />
tenore che deve essere bissata. Frasquita aveva “O fanciulla all’imbrunir”,<br />
Paganini era suggellato da “Se le donne vò baciar”, ne Lo Zarevic spiccava<br />
la canzone del Volga, in Federica era presente “O dolce fanciulla”.<br />
Quest’ultima canzone si <strong>di</strong>stingueva da tutte le altre per una evidente affinità<br />
col Singspiel. Il ciclo Tauber continuava con II paese del sorriso -da cui<br />
proviene “Tu che m’hai preso il cuor” -, rielaborazione della sfortunata<br />
Giacca gialla. Siamo ormai nel 1929 e stanno per suonare le campane a<br />
martello anche per l’operetta. L’Europa si prepara ad una nuova, terribile<br />
guerra. Le persecuzioni contro gli ebrei costringono compositori e librettisti<br />
d’operetta ad emigrare. Qualcuno conoscerà anche tristi giorni <strong>di</strong> prigionia.<br />
Lehàr, che sentiva nuovamente <strong>di</strong> poter dare molto al teatro musicale, si<br />
accontenta ora <strong>di</strong> amministrare i propri sforzi del passato. Scrìverà ancora la<br />
sensuale Giu<strong>di</strong>tta, ma s’avvertono presagi <strong>di</strong> campi <strong>di</strong> concentramento e <strong>di</strong><br />
carri armati. Lo stile lehariano viene imitato e ripreso da molti. Nico Dostal<br />
si assicura buoni successi incamminandosi sulla via tracciata dal compositore<br />
de <strong>La</strong> <strong>vedova</strong> <strong>allegra</strong>. Prima <strong>di</strong> morire nella sua villa <strong>di</strong> Bad Ischl, Lehàr<br />
vivrà un periodo a Zurigo, dopo la fine della guerra. Non saranno gli ultimi<br />
anni della sua vita nella quieta citta<strong>di</strong>na <strong>di</strong> Bad Ischl a ridargli la dovuta<br />
serenità; dopo aver regalato tanti sorrisi musicali, Lehàr non ebbe mai la<br />
sod<strong>di</strong>sfazione <strong>di</strong> una piena consacrazione da parte della critica musicale.<br />
Ancor oggi, specie in Italia, si tende a <strong>di</strong>scriminare molte sue opere, anche <strong>di</strong><br />
ottima qualità.<br />
Operette: Donne viennesi (1902); Der Rastelbinder (1902); Der Göttergatte<br />
(1902); Die Juxheirat (1904); <strong>La</strong> <strong>vedova</strong> <strong>allegra</strong> (1905; Peter und Paul<br />
reisen in Schlaraffenland (1906); Mytislav der Moderne (1907); Edelweiss<br />
und Rosenstock (1907); II marito <strong>di</strong> tre donne (1908); <strong>La</strong> figlia del brigante<br />
(1909); Il conte <strong>di</strong> Lussemburgo (1909); Amor <strong>di</strong> zingaro (1910); Eva<br />
(1911); Die Spieluhr (1912); <strong>La</strong> moglie ideale (1913); Finalmente soli!<br />
(1914); Der Sterngucker (1916); Dove canta l’allodola (1918); Mazurka blu<br />
(1920); Frühling (1922); Frasquita (1922); <strong>La</strong> danza delle libellule (1923);<br />
<strong>La</strong> giacca gialla (1923); Clo Clo (1924); Paganini (1925); Lo Zarevic<br />
(1927), Federica (1928); II paese del sorriso (1929); II mondo è bello<br />
(1931); Giu<strong>di</strong>tta (1934)<br />
pag. 8
Riproduzione anastatica <strong>di</strong> un <strong>libretto</strong> dei primi anni del novecento.
pag. 35
pag. 11
pag. 33
pag. 13
pag. 31
pag. 30
pag. 18 pag. 27
pag. 25
pag. 22<br />
pag. 23
pag. 28 pag. 25
pag. 27
pag. 42
pag. 28