Note sto - Porto dei creativi
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Concept paper<br />
per la realizzazione di un piano integrato<br />
di rilancio delle attività commerciali turistiche<br />
dell’area di Monticchio Laghi.<br />
Descende caelo et dic age tibia<br />
Regina longum calliope melos,<br />
Seu voce nunc mavis acuta<br />
Seu fidibus citharave phoebi.<br />
Auditis, an me ludit amabilis<br />
Insania? Audire et videor pios<br />
Errare per lucos, amoenae<br />
Quos et aquae subeunt et aurae<br />
Me fabuolsae Volture in Apulo<br />
Nutricis extra limina Pulliae<br />
Ludo fatigatumque somno<br />
Fronde nova puerum palumbes<br />
Texere, mirum quod foret omnibus,<br />
Quicumque celsae nidum Aceruntiae<br />
Saltusque Bantinos et arvum<br />
Pingue tenent humilis Forenti,<br />
Ut tuto ab atris corpore viperis<br />
Dormirem et ursis, ut premerer sacra<br />
Lauroque conlataque myrto,<br />
Non sine dis animosus infans.<br />
………<br />
HOR, Odi III, 4
Monticchio: una <strong>sto</strong>ria incompiuta tra tradizione e modernità<br />
La <strong>sto</strong>ria di Monticchio racconta un insieme di eventi economici, sociali, religiosi,<br />
culturali e di costume che, nel corso <strong>dei</strong> secoli, hanno informato l'identità del popolo del<br />
Vulture, della Lucania e, in modo emblematico, del Mezzogiorno tutto. La breve<br />
cronologia che qui segue è una prima traccia, finalizzata a fornire spunti di riflessione<br />
per il progetto di sviluppo territoriale oggetto della presente relazione, il quale intende<br />
fondare la propria strategia sulla riscoperta di un'identità consapevole.<br />
Il culto ancestrale delle acque.<br />
Agli antichi popoli che, diversi secoli prima di Cri<strong>sto</strong>, lo osservavano dai vicini monti<br />
irpini, il Vulture appariva come un piccolo monte (Monticulum). Il suo versante<br />
occidentale, in particolare, si protende verso l'Appennino campano, da cui lo separa la<br />
scoscesa valle dell’Ofanto, una gola tra i monti, ancor stretta, poco prima che il grande<br />
fiume descritto da Orazio inizi la sua grande ansa verso nord-est, che lo condurrà verso<br />
l'aperta pianura pugliese e la foce.<br />
Fin dall'Età del Bronzo questa valle, presidiata dai Sabelli e dai Dauni, era uno <strong>dei</strong><br />
pochi attraversamenti trasversali dell'Appennino meridionale, quindi un percorso<br />
privilegiato di comunicazione e scambio commerciale tra le popolazioni tirreniche e<br />
centro-appenniniche da una parte (Etruschi, Sanniti, Osci) e le popolazioni greco-ioniche<br />
del Metapontino, di Heraclea, di Sibari e del Tarantino dall'altra. Punto preferito per la<br />
sosta e per gli incontri commerciali per la sua abbondanza di acque, il versante lucano<br />
dell'ansa ofantina, Monticchio appunto, vide ben pre<strong>sto</strong> sorgere numerosi siti dedicati a<br />
divinità italiche e al culto ancestrale dell’acqua e della vita. Una stipe votiva del IV secolo<br />
a. C. è stata rinvenuta in località Bagni, antico sito termale, i cui reperti sono conservati<br />
presso il Museo Provinciale di Potenza.
Il culto di Venere e Orazio.<br />
In epoca romana, il culto dell'acqua e della vita si trasformò nel culto di Venere, dea<br />
nata dalle acque, essa stessa dispensatrice di vita. Molte sono le testimonianze di<br />
quest'evoluzione nel culto ufficiale della zona, rimaste anche nei toponimi: basti pensare<br />
allo stesso nome latino della città di Venosa (Venusia, città di Venere) o al ponte romano<br />
di Santa Venere che tuttora collega Lucania e Irpinia, attraversando l'Ofanto presso la<br />
stazione ferroviaria di Rocchetta, e che in antichità era situato lungo il percorso della via<br />
Appia. I luoghi di culto delle acque divennero dunque, con l'arrivo <strong>dei</strong> Romani, siti<br />
termali ben frequentati: in quell'epoca tutta l'area del Vulture dipendeva<br />
amministrativamente dal capoluogo urbano di Venosa e si chiamava, nel suo insieme,<br />
“Ager Venusinus”.<br />
Lo stesso Orazio, parlando della sua terra d'origine, si definisce venosino “di<br />
campagna”: non era infatti nato in città, bensì nel territorio rurale (agro) di Venosa, in<br />
un vicus (villaggio), probabilmente di origine sabellica, situato presso l'Ofanto, fiume del<br />
quale descrive le impetuose piene e dove il padre, da mode<strong>sto</strong> colono, era dedito alla<br />
coltivazione del grano in una di quelle che oggi chiamiamo masserie. Ci aiuta ad<br />
individuare meglio il suo luogo natale l'Ode III del libro IV, dove il poeta narra di essere<br />
sfuggito, da bambino (puer infans), alla sorveglianza della balia Pullia e, inoltratosi in un<br />
fitto bosco del Vulture, popolato da orsi e fitto di mirto e sacro lauro, di essersi<br />
addormentato presso una sorgente d’acque che definisce “amoenae” ed “aurae” (dorate).<br />
Si tratta, con ogni probabilità, delle note sorgenti ferruginose di Monticchio: infatti il<br />
termine “aureo” non va interpretato secondo un improbabile e generico significato<br />
metaforico, ma piutto<strong>sto</strong> come una concreta descrizione della tipica colorazione<br />
rugginosa brillante, determinata dal residuo di sali minerali depositato dall'acqua<br />
intorno alle sue fonti, come pure l'aggettivo “spumosae” riferito alle acque, pare debba<br />
tradursi non con “spumose in quanto saltellanti in balze”, ma in realtà più<br />
semplicemente con “effervescenti”, poiché ricche di anidride carbonica, caratteristica<br />
tipica del Vulture e pressoché sconosciuta a Roma, ma invece ben nota al lucano Orazio.<br />
Il culto dell'Arcangelo Michele.<br />
Dopo la caduta dell'Impero romano, si smarriscono per alcuni secoli le testimonianze<br />
<strong>sto</strong>riche su Monticchio e il Vulture. La zona riprende d'interesse intorno all'anno 1000,<br />
quando l'ansa dell'Ofanto diventa zona di confine tra i possedimenti bizantini della<br />
Puglia e il ducato longobardo di Benevento. Tutta l'area venne fortificata da un sistema
di roccaforti difensive greco-bizantine, di cui la più importante divenne Melfi, che fu<br />
cinta per la prima volta di mura dal catapano (generale) Basilio Boioannes nel 1018. Ma<br />
un'importante torre di guardia venne eretta anche a Monticchio, in località Grotticelle, di<br />
cui sono ancor oggi visibili i resti noti come “il castello”.<br />
L'influenza bizantina si espresse nel Vulture anche attraverso l'affermazione del rito<br />
cristiano greco ortodosso e, in particolare, per il fiorire di laure (celle rupestri) e cenobi<br />
(antichi monasteri) basiliani, luoghi di culto rupestri insediati da monaci greci, in<br />
particolare quelli dell'ordine di San Basilio Magno, fuggiti dall'Oriente a causa delle<br />
persecuzioni iconoclaste (divieto di riprodurre le immagini sacre) iniziate<br />
dall'imperatore Leone Isaurico. Gli insediamenti rupestri continueranno a moltiplicarsi<br />
anche nei secoli successivi, dopo la conversione al rito latino e fino al 1600 ed oltre, come<br />
risulta dai numerosi siti ancor oggi visibili.<br />
La presenza greca è testimoniata anche dai cosiddetti agio-toponimi presenti in gran<br />
quantità nel Vulture, ossia dall'usanza di indicare luoghi e villaggi con i nomi di santi,<br />
spesso di origine greca (San Nicola, Sant'Andrea, Sant'Ilario, San Giorgio, etc.). Inoltre,<br />
sotto il profilo archeologico vanno segnalate recenti ricerche, che hanno condotto ad<br />
identificare, ad una quota inferiore e per una maggior estensione rispetto ai noti ruderi<br />
dell'Abbazia benedettina di Sant'Ippolito, posta sull'istmo tra i due laghi di Monticchio,<br />
un grande cenobio, caratterizzato da uno schema del tutto originale, costituito attorno a<br />
una tricora con nartece per i catecumeni, tipicamente paleocristiano e quasi certamente<br />
basiliano.<br />
Oggetto di culto e devozione particolare è da sempre, a Monticchio, l'Arcangelo<br />
Michele (dall'ebraico Mi-Ka-El: Colui che è come Dio), principe degli angeli e capo delle<br />
milizie celesti (archi-strategos), figura presente sia nell'Ebraismo che nell'Islam, mentre<br />
l'avvio del culto cristiano risale all'imperatore Costantino. Il fiorire del culto in Italia è<br />
inizialmente legato all'apparizione del 490 d.C. nella grotta del Gargano, oggi inglobata<br />
nel santuario che porta il suo nome. Vuole infatti la tradizione che l'Arcangelo sia solito<br />
apparire in luoghi segnati da caratteri naturali particolari, come i monti (Monte Athos in<br />
Grecia), le grotte (Gargano), gli abissi o le acque supericiali (Normandia) o sotterranee,<br />
in ogni caso sempre in rapporto con il mondo dell'ignoto, rappresentato, nell'iconografia<br />
dell'Apocalisse, dal drago sconfitto e tenuto sotto il calcagno.<br />
Durante il Medioevo il sito garganico divenne meta di pellegrinaggio da tutta Europa,<br />
essendo una tappa essenziale lungo le tre “peregrinationes maiores” (grandi<br />
pellegrinaggi): San Pietro (Roma), Gerusalemme e Santiago de Compostela. I pellegrini<br />
venivano identificati per destinazione con altrettanti simboli: le chiavi per San Pietro, la
croce per la Terrasanta, la conchiglia per Santiago. Il santuario di San Michele era, in<br />
particolare, situato lungo la via Francigena, che dall'Europa settentrionale portava prima<br />
a Roma, quindi a Brindisi per l'imbarco verso la Terrasanta.<br />
Ben pre<strong>sto</strong> il culto dell'Arcangelo fu acquisito e fatto proprio anche dalle popolazioni<br />
barbare: in particolare i Longobardi, che ben pre<strong>sto</strong> si impossessarono del santuario sul<br />
Gargano, ne fecero il loro principale protettore, riportandone l'effigie su stendardi e<br />
monete, probabilmente perché inizialmente lo identificarono con una divinità<br />
dell'Olimpo nordico, quasi certamente il dio Thor, figlio di Odino. Per lo stesso motivo,<br />
un altro popolo devoto all'Arcangelo fu quello <strong>dei</strong> Vichinghi che, insediati in Francia<br />
settentrionale e convertiti al Cristianesimo, presero il nome di Normanni. Essi<br />
contribuirono alla crescente fama del santuario di San Michele “in periculo maris” (in<br />
pericolo del mare), il celebre Mont Saint-Michel della Bassa Normandia, dove si dice che<br />
l'Arcangelo fosse apparso nel 709 d.C.<br />
L'epoca <strong>dei</strong> cavalieri.<br />
A pochissimi chilometri dal monastero francese di Mont Saint-Michel, sorgeva il<br />
villaggio di Hauteville (Altavilla), il cui signore era un piccolo nobile normanno di nome<br />
Tancred, privo di risorse economiche ma ricco di prole altrettanto squattrinata, la quale<br />
intorno al 1040 si incamminò in massa, e in cerca di miglior fortuna, sulle tracce <strong>dei</strong><br />
pellegrini, già percorse da altri cavalieri normanni lungo la via Francigena, fino a San<br />
Michele del Gargano. Fu questa la stirpe che, composta inizialmente mercenari al<br />
servizio <strong>dei</strong> Bizantini, si organizzò pre<strong>sto</strong> per ricavarsi un proprio spazio di autonomia,<br />
conquistando Melfi nel 1041 con Guglielmo d'Altavilla detto “Braccio di Ferro”. Costui si<br />
proclamò conte, insieme ai fratelli Drogon e Umfred, dando avvio alla conquista<br />
normanna del Mezzogiorno d'Italia.<br />
Un altro figlio di Tancred, di nome Robert, molto più giovane perché nato da un<br />
secondo matrimonio, seguì le tracce <strong>dei</strong> fratellastri maggiori e giunse a Melfi dopo<br />
qualche anno, mettendosi al servizio dell'ultimo fratello ancora vivo, Umfred.<br />
Intraprendente e coraggioso, tanto da meritare l'appellativo di “Giscard” (Guiscardo,<br />
impavido) da parte <strong>dei</strong> compagni, si distinse nella battaglia di Civitate, dove i Normanni<br />
sconfissero e rapirono papa Leone IX, costringendolo a riconoscere i loro possedimenti.<br />
Divenuto conte alla morte del fratello, nell'ago<strong>sto</strong> del 1059 ospitò nella capitale Melfi un<br />
grande concilio presieduto da Papa Nicolaus II e diretto da Desiderius, abate di<br />
Montecassino e futuro papa Victor III, nel quale si fece nominare duca di Puglia e<br />
Calabria, nonché difensore della Chiesa con diritto di conquista sulla Sicilia: era nato così
lo Stato meridionale, che sopravvisse fino al 1860. Melfi ospitò poi altri quattro concili<br />
papali, e tuttora è l'unica città al mondo (Roma esclusa) ad averne ospitati tanti.<br />
In quel primo concilio, Robert si ricordò della devozione <strong>dei</strong> Normanni per<br />
l'Arcangelo e condusse il papa, con sei cardinali al seguito, nella grotta di San Michele a<br />
Monticchio, affinché essa fosse benedetta e riconsacrata dal Pontefice, che elesse il<br />
santuario luogo di concessione dell'indulgenza plenaria nei giorni della festività di San<br />
Michele (8 maggio e 29 settembre). All'epoca il santuario era solo una piccola laura<br />
basiliana, già frequentata da secoli, probabilmente insediata sul sito di un antico luogo di<br />
culto pagano delle acque, e successivamente costituita in badia benedettina, almeno dal<br />
967 d.C. come testimonia un antico manoscritto della diocesi di Conza.<br />
A Monticchio più che altrove il culto dell'Arcangelo è legato a quello antichissimo<br />
delle acque, tanto che San Michele viene definito “Principe delle Acque” ed è associato ai<br />
riti connessi alle acque, tipicamente i battesimi. Un aspetto curioso di que<strong>sto</strong> legame è<br />
contenuto nel logo commerciale che, dalla data di fondazione nel 1890 e fino al 2009, ha<br />
identificato l'acqua minerale della fonte Gaudianello, la più famosa di Monticchio: si<br />
tratta infatti proprio dell'Arcangelo Michele.<br />
Da cenobio a badìa: l'epoca degli abati feudatari.<br />
Già da prima dell'anno 1000, dunque, Monticchio aveva dignità di Badia benedettina.<br />
In realtà, piutto<strong>sto</strong> che nello speco dedicato all'Arcangelo arroccato sul monte a<br />
strapiombo del lago piccolo, la vita monastica si svolgeva a valle nell'Abbazia di<br />
Sant'Ippolito, posta tra i due laghi. Qui infatti, dopo i Basiliani, intorno al 1000 giunsero<br />
i Benedettini, definitivamente insediati in loco dai Normanni, costituitisi vassalli del<br />
papa e difensori del culto cristiano latino contro quello greco. Infatti, è provato che nel<br />
1044 vi soggiornavano i monaci di Cava <strong>dei</strong> Tirreni, grazie alle buone relazioni tra i<br />
Normanni e i Longobardi del Principato di Salerno.<br />
I monaci governavano il territorio al pari di feudatari, riscuotendo imposte ed<br />
entrando spesso in contra<strong>sto</strong>, per que<strong>sto</strong> motivo, con il vescovo di Melfi. I benedettini<br />
arricchirono il patrimonio della badia, che dipendeva direttamente dalla Santa Sede per<br />
disposizione di papa Urbanus II, acquisendo possedimenti a Melfi (chiese di San Nicola e<br />
Sant'Antonino), ma anche in Campania (Sassano di Conza), Puglia (Acquatetta di<br />
Spinazzola) e Calabria. Intorno al 1314 iniziarono a tenervi anche un'importante fiera<br />
annuale, alla quale accorrevano mercanti da tutto il circondario. I benedettini rimesero a
Monticchio fino al 1456, quando parte degli edifici di Sant'Ippolito e San Michele<br />
crollarono per un terremoto, in cui perirono oltre cinquanta monaci.<br />
Da badìa a convento: la commenda del cardinale Borromeo.<br />
Dopo il terremoto del 1456, papa Pius II decise, iniziando proprio dalla Badia di<br />
Monticchio, di assegnare le rendite <strong>dei</strong> “monasteri decaduti” in giro per l'Europa ai<br />
cardinali della Curia apo<strong>sto</strong>lica, affinché questi potessero vivere dignitosamente,<br />
affrontando le ingenti spese del loro rango grazie agli introiti provenienti dai monasteri.<br />
Questa forma di assegnazione feudale prese il nome di “Commenda”.<br />
Seguì dunque un periodo di circa 130 anni, in cui furono presenti a Monticchio gli<br />
Agostiniani, un ordine penitenziale nato dall'unione di più confraternite eremitiche. In<br />
realtà si trattò di una sorta di succursale del correlato convento di Melfi (che sorgeva<br />
dove oggi esiste il Palazzo di Giustizia), in cui vennero mandati, quasi in “esilio”, i<br />
monaci e i novizi più insubordinati, che si riteneva conducessero vita licenziosa e quindi<br />
potessero trarre in tentazione gli altri monaci. Pare, dunque, che il monastero di<br />
Monticchio fosse diventato in quegli anni quasi una “colonia penale” o penitenziale, in<br />
cui le cosiddette mele marce, fuori da qualsiasi controllo, tenevano indisturbati condotte<br />
non proprio consone con la loro appartenenza all'ordine monastico, tanto che la<br />
comunità melfitana e il vescovo chiesero più volte l'intervento del pontefice per<br />
“ristabilire la decenza”.<br />
Nel 1591 la Commenda fu assegnata al Cardinale Federico Borromeo, che all'epoca<br />
aveva solo 27 anni e non aveva ancora preso i voti, che ebbe il compito anche di risanare<br />
quella situazione. Il cardinale e futuro arcivescovo di Milano, zio del celebre madrigalista<br />
Gesualdo da Venosa, cugino di San Carlo Borromeo ed egli stesso reso celebre come<br />
personaggio <strong>dei</strong> Promessi Sposi, nonché fondatore della Biblioteca Ambrosiana, prima di<br />
accettare il gravoso compito, si consigliò con il suo maestro San Filippo Neri,<br />
ottenendone incoraggiamento. Tra i primi atti, avuta notizia dello stato di confusione<br />
spirituale e materiale in cui versava la Badia, sottoposta anche a continue sottrazioni di<br />
beni da parte degli amministratori e <strong>dei</strong> cittadini di Atella, nonché minacciata dal<br />
mancato riconoscimento <strong>dei</strong> diritti patrimoniali e da vari tentativi di usurpazione da<br />
parte <strong>dei</strong> signorotti locali di Ascoli e Spinazzola, dove erano suoi possedimenti feudali, si<br />
prodigò per far nominare vescovo di Melfi un insigne teologo cremonese, mons. Matteo<br />
Brumano, canonico regolare lateranense, che fu eletto nello stesso 1591 da papa<br />
Innocenzo IX.
Per ben due anni dalla nomina, però, il vescovo non potè visitare Monticchio a causa<br />
dell'imperversare della peste in tutta la zona del Vulture. Alla fine, tuttavia, ci si recò e<br />
scrisse al Cardinale una drammatica relazione sugli Agostiniani, che indusse il Borromeo<br />
a insediare a Monticchio una nuova comunità religiosa: i Cappuccini, un ordine nato<br />
pochi decenni prima, nel 1530, da una scissione <strong>dei</strong> Francescani. Da badia, divenne<br />
dunque convento. Co<strong>sto</strong>ro, sotto la direzione del padre guardiano, Felice Marsico,<br />
iniziarono grandi lavori di ampliamento dello speco micaelico, e configurarono così<br />
l'attuale struttura dell'Abbazia di San Michele, dove la vita monastica si spostò<br />
abbandonando definitivamente l'area di Sant'Ippolito, ritenuta paludosa e malsana.<br />
Tra le altre iniziative messe in cantiere per ridar lustro al possedimento di<br />
Monticchio, il Cardinale concesse all'Ospedale di Napoli la possibilità di utilizzare le<br />
acque termali di Monticchio Bagni, per la cura degli ammalati. Que<strong>sto</strong> fatto è<br />
successivamente testimoniato anche da una lapide, rinvenuta presso le antiche terme,<br />
che testimonia il ringraziamento di un degente il quale si dice “risanato” dalle acque di<br />
“San Carlo” (probabilmente il Borromeo, in onore al santo cugino del cardinale<br />
commendatario). Con que<strong>sto</strong> nome le acque di Monticchio divennero dunque note in<br />
tutto il Viceregno di Napoli e oltre.<br />
Dopo qualche anno di “cura” da parte <strong>dei</strong> Cappuccini, la Commenda di Monticchio<br />
giunse a fruttare al Cardinale ben 6.000 ducati d'oro l'anno, che egli devolvette in gran<br />
parte in beneficenza ai poveri della sua diocesi di Milano, nonché per realizzare opere<br />
culturali come la Biblioteca Ambrosiana. Nell'esazione delle gabelle, pur legittime, fu<br />
tuttavia sempre contrastato dal sindaco (magister universitatis) e dagli eletti di Melfi,<br />
che si rivalsero di quelle che consideravano angherie feudali, dice il Fortunato<br />
“camorreggiando sul mulino”, dove i monaci portavano il grano. Il Borromeo rispose<br />
duramente a quelli che considerava veri atti di delinquenza giuridica e fiscale,<br />
imponendo scomuniche e negando sempre qualsiasi forma di contributo alle comunità<br />
locali, compresi quelli per i bisogni ecclesiastici di Melfi e per il sostentamento del<br />
seminario diocesano. Ciò portò il grande meridionalista di Rionero a esprimere un<br />
giudizio poco lusinghiero sul comportamento del Borromeo verso la tenuta di<br />
Monticchio, considerata a suo dire semplice “colonia di sfruttamento” in favore della<br />
nordista diocesi di Milano. Già da allora.<br />
Il Sacro Militar Ordine Costantiniano di San Giorgio<br />
L'attività <strong>dei</strong> Cappuccini proseguì anche dopo l'uscita di scena del Borromeo, e si<br />
sviluppò fino a ospitare nel Convento ben 25 persone: 15 religiosi e 10 laici. Nel 1774 il
Padre guardiano, Michelangelo da Rionero, vinse una vertenza giudiziaria con l'ultimo<br />
Abate commendatario, il cardinale Carafa della omonima nobile famiglia napoletana, per<br />
l'obbligo di versamento della “bonatenenza”, ossia un contributo in denaro per il<br />
sostegno <strong>dei</strong> bisogni della Badia. Era l'anticamera della fine della Commenda: nel 1782 i<br />
Borboni sottrassero la Badia alla Santa Sede e la nominarono di patronato regio (ossia la<br />
resero statale), trasferendola al Sacro Militar Ordine Costantiniano di San Giorgio, un<br />
antichissimo ordine religioso cavalleresco del Regno delle Due Sicilie, tuttora<br />
riconosciuto dalla Santa Sede e il cui Gran Maestro era il Re di Napoli Ferdinando di<br />
Borbone (mentre oggi è l'Infante di Spagna Don Carlos di Borbone, cugino del re Juan<br />
Carlos). L'ordine provvide economicamente per alcuni anni ai lavori di manutenzione del<br />
convento. Nel 1782, tuttavia, a causa dell'ospitalità concessa dai monaci al bandito<br />
Angiolillo, che imperversava nella zona, si bloccò nuovamente ogni finanziamento.<br />
Dopo la breve parentesi della Repubblica partenopea del 1799, in epoca napoleonica<br />
il convento di Monticchio venne confiscato dallo Stato nel 1808. La restaurazione<br />
borbonica del 1815 reintegrò per qualche decennio l'Ordine Costantiniano nei suoi<br />
possedimenti, riportando i Cappucccini a Monticchio, fino all'Unità d'Italia. Nel<br />
frattempo, nel 1855, la tenuta di Monticchio passò dall'Ordine Costantiniano<br />
direttamente nel demanio statale borbonico del Regno delle due Sicilie.<br />
L'Unità d'Italia e l'affaire svizzero delle ferrovie<br />
I Savoia erano, si sa, anticlericali. Ma non fu tanto que<strong>sto</strong>, quanto la necessità di<br />
denaro per ripianare le vuote casse dello Stato piemontese, ormai Regno d'Italia, che<br />
spinse il nuovo governo a saccheggiare e confiscare il patrimonio pubblico del soppresso<br />
stato meridionale borbonico. Con un Regio Decreto del 13 ottobre 1861, venne ordinata<br />
la chiusura del Convento di San Michele. L'ordine, tuttavia, potè essere eseguito solo<br />
cinque anni dopo, il 13 luglio 1866, a causa dell'esplosione del fenomeno del<br />
Brigantaggio, che ebbe proprio Monticchio come epicentro. Al momento della chiusura<br />
vi era ancora presente una comunità composta da 12 religiosi e 5 laici.<br />
Il 21 ago<strong>sto</strong> 1862 era stata anche pubblicata una legge, la n. 793 che, dopo la confisca<br />
<strong>dei</strong> beni del demanio napoletano provenienti dagli ordini religiosi, ne dispose la vendita<br />
all'asta, qualora non fossero necessariamente destinati a uso pubblico, con incasso a<br />
favore del nuovo Stato italiano. Per i medesimi motivi di cui sopra, le prime aste<br />
poterono però tentarsi solo qualche anno più tardi, con la Legge n. 2006 del 1864. Essa<br />
delegò ad una società di emanazione bancaria costituita ad hoc, la “Società Anonima per<br />
la Vendita <strong>dei</strong> Beni del Regno d’Italia” (SAVBR), la vendita <strong>dei</strong> beni demaniali non
indisponibili. I principali soci della SAVBR erano il Credito Mobiliare, la Cassa di Sconto<br />
e Sete di Torino e la Banca di Sconto di Genova. La società divise la tenuta in 13 lotti, ma<br />
solamente il 20 ottobre 1867 riuscì a vendere il primo, detto del “Cùpero”.<br />
Il 29 ago<strong>sto</strong> 1871 fu presentata alla SAVBR una domanda d'acqui<strong>sto</strong> a trattativa<br />
privata da parte di un certo Benedetto di Necker, per conto della costituenda “Société<br />
Civile des Domaines de Monticchio” (SCM), con sede a Parigi, e venne stipulato un<br />
contratto preliminare con promessa di vendita, cui il 21 gennaio 1872 fece seguito l'atto<br />
definitivo, per un prezzo di £ 6.340.000 pagabili in 5 rate annuali di cui una anticipata.<br />
Il Presidente della SCM era un certo Constant Fornerod, di nazionalità svizzera,<br />
mentre l'amministratore delegato si chiamava Housse d’Agny, e tra i consiglieri figurava<br />
lo stesso Benedetto de Necker. Direttore generale fu invece nominato il sig. Leopoldo<br />
Fantacchiotti di Napoli, da cui presero il nome alcune stanze del convento, dove abitò.<br />
Il socio principale della SCM era una banca svizzera: il Crédit Foncier et Commercial<br />
Suisse di Ginevra, con una quota del 70%, di cui lo stesso Fornerod era Presidente.<br />
Questa banca concesse anche un prestito ipotecario alla SCM per 8 milioni di lire. Il re<strong>sto</strong><br />
del capitale era posseduto dagli stessi Fantacchiotti e Necker, che tuttavia non<br />
apportarono denaro, ma un conferimento “in natura”, valutato in complessive £ 500.000<br />
e costituito da una serie di accordi commerciali: la promessa di vendita della tenuta di<br />
Monticchio, la promessa di concessione per la costruzione del tratto ferroviario<br />
Rocchetta-Fiumara d'Atella lungo l'Ofanto, nonché alcuni studi, contratti e accordi<br />
commerciali per la vendita del legname della tenuta, da impiegarsi soprattutto nelle<br />
citate costruzioni ferroviarie.<br />
Subito dopo la costituzione della società e l'acqui<strong>sto</strong> della tenuta, infatti, la SCM<br />
stipulò una convenzione con i Ministri <strong>dei</strong> Lavori Pubblici e delle Finanze, per la<br />
costruzione e la successiva concessione, con gestione ventennale, dell'intero tratto<br />
ferroviario Candela – Rocchetta - Fiumara d’Atella, compo<strong>sto</strong> di due tronconi deliberati<br />
con le Leggi n. 2279/1865 e n. 5858/1870), a seguito della rinuncia da parte della Società<br />
Italiana per le Strade Ferrate Meridionali a costruire e gestire il 1° tratto (Candela-<br />
Rocchetta).<br />
L’accordo fu siglato sulla base di un progetto di massima, che prevedeva la<br />
realizzazione di un tratto ferroviario lungo complessivamente 30 km, con una<br />
sovvenzione annua di £ 120.000 ed un capitale iniziale di £ 200.000.<br />
Contro questa concessione si opposero i Comuni di Atella e Rionero, che citarono in<br />
giudizio lo Stato Italiano per il mancato riconoscimento degli usi civici al momento della
vendita alla SCM. Nel 1873, tuttavia, il Tribunale di Melfi diede torto ai comuni di Atella<br />
e Rionero e respinse l’istanza, con sentenza poi confermata nel 1874 in Appello e nel<br />
1884 in Cassazione.<br />
Nel frattempo, la SCM entrò quasi subito in difficoltà finanziarie e non pagò la 2^ rata<br />
del prezzo d'acqui<strong>sto</strong>. La SAVBR chiese allora il sequestro giudiziario della tenuta e la<br />
risoluzione del contratto di vendita. Nel frattempo il direttore generale Fantacchiotti<br />
venne sollevato dalle funzioni, il Presidente Fornerod finì processato e condannato in<br />
Francia per irregolarità di bilancio attinenti il Credit Foncier e la sua personale attività di<br />
banchiere e, da ultimo, il Tribunale correzionale di Parigi decretò il fallimento del Crédit<br />
Foncier.<br />
Per effetto di queste vicende, il 16 marzo 1874 il Tribunale di Melfi dichiarò risolto il<br />
contratto di vendita con SCM e reintegrò lo Stato Italiano nella proprietà e la SAVBR nel<br />
possesso della tenuta. La sentenza fu definitivamente confermata in Cassazione nel 1891.<br />
Nei pochi anni di possesso, la SCM riuscì a compiere pochi interventi a Monticchio:<br />
edificò il centro agricolo “Casone <strong>dei</strong> Quercioni”, tre case di guardia, una casa agricola in<br />
contrada “Faraone” (terreno seminativo estensivo), due case coloniche a Paduli e nel<br />
Cùpero basso ed infine realizzò una strada rotabile con ponti in legno tra la badìa di San<br />
Michele e il ponte ferroviario “Pietra dell’Olio” sull'Ofanto.<br />
I Lanari e le grandi banche<br />
Nel 1879, con la Legge n. 5002 si riprese il programma ferroviario, dando incarico al<br />
governo per la costruzione, questa volta con committenza diretta, <strong>dei</strong> tratti ferroviari<br />
inseriti nei programmi non realizzati del 1865. I lavori del tratto Candela-Fiumara<br />
d’Atella vennero finalmente appaltati nel 1881 e completati in soli tre anni, nel 1884, con<br />
l’inaugurazione del primo tratto: Candela – Rocchetta. Restava da appaltare il secondo<br />
tratto: Rocchetta – Fiumara d'Atella.<br />
In attesa di compiere le vendite, nel frattempo la SAVBR nominò, nel 1882, un<br />
amministratore della tenuta di Monticchio, il perito forestale e agronomo Rocco Buccico<br />
di Ruoti, diplomato presso il prestigioso Istituto Agrario G. Gasparrini di Melfi.<br />
Dopo alcuni anni, nel 1892, si costituì a Roma la “Società in Accomandita Annibale<br />
Lanari & C.”, che aveva come soci, da una parte e in maggioranza, le stesse banche che<br />
erano i maggiori azionisti della SAVBR, ossia il Credito Commerciale, lo Sconto e Sete di
Torino e la Banca di Sconto di Genova. Dall'altra, in minoranza, vi erano invece due<br />
imprenditori ferroviari marchigiani: i fratelli Annibale e Ubaldo Lanari, che avevano<br />
preso in appalto il secondo tratto di ferrovia. Il 2 dicembre di quello stesso anno, come<br />
accaduto venti anni prima con la SCM, si effettuò la vendita della tenuta di Monticchio,<br />
per circa 5.100 ettari, dalla SAVBR all'Accomandita Lanari, per la somma di £<br />
3.180.000. La ferrovia, con le due stazioni di Monticchio e Monteverde, fu inaugurata<br />
nel 1895.<br />
L'Accomandita vide pre<strong>sto</strong> cambiare alcuni soci: nel 1893 morì Annibale Lanari, cui<br />
subentrarono gli eredi. Invece il Credito commerciale fallì, travolto dagli scandali bancari<br />
dell'epoca, e il suo po<strong>sto</strong> fu preso dalla Banca Commerciale Italiana.<br />
L'Accomandita ereditò una situazione di partenza della tenuta piutto<strong>sto</strong> difficile. Ben<br />
il 90% di essa, per circa 4.500 ettari, era coperta da bosco destinato principalmente a<br />
pascolo. Si contavano tra otto e diecimila capi di bestiame, tra bovino e ovino, detenuti<br />
da contadini della zona che pagavano un ridottissimo diritto di “fida pascolo” al<br />
proprietario, la SAVBR. Inoltre, la tenuta era asservita agli usi civici in favore <strong>dei</strong><br />
cittadini di Rionero e Atella: la raccolta del “morto a terra” (o legnatico), ossia il diritto<br />
di far legna senza tagli per un periodo di quindici giorni l'anno, dietro pagamento di un<br />
canone di £ 3,5 per abitante a carico <strong>dei</strong> Comuni. Vi era anche un taglio completamente<br />
deregolamentato di legname, impiegato nelle costruzioni ferroviarie o per la costruzione<br />
delle botti.<br />
I seminativi erano appena 500 ettari, solo parzialmente dissodati e appoderati. Erano<br />
concentrati principalmente in contrada “Faraone” e sul versante pendìo nord <strong>dei</strong> laghi.<br />
Erano coltivati estensivamente (grano) con contratti di fitto quadriennale a rotazione (un<br />
anno di maggese e tre anni di grano) in favore di contadini residenti a Rionero o<br />
Monteverde. Nelle cattive annate il canone non veniva neppure riscosso.<br />
I corsi d'acqua e i laghi non erano né bonificati né regolarizzati, tanto che nel 1893 si<br />
registrarono ben quattrocento casi di malaria su 1230 residenti, tra stabili e pendolari.<br />
In questa situazione, l'Accomandita intraprese un coraggioso programma di<br />
investimenti, sotto la guida <strong>dei</strong> Lanari e soprattutto dell'amministratore Buccico. Esso<br />
prevedeva innanzitutto l'introduzione di un nuovo contratto agrario, da firmare per<br />
iscritto: la mezzadria, ossia il lavoro in compartecipazione a metà degli utili con il<br />
proprietario, con alcune varianti. In particolare, la società proprietaria si impegnava ad<br />
effettuare in proprio tutti gli investimenti di appoderamento, ossia il dissodamento <strong>dei</strong><br />
terreni, nonché a dotare ciascun podere di scorte, attrezzature (trebbiatrici, etc.) e una<br />
casa colonica, anticipando anche la quota di spettanza del colono. Inoltre, si impegnava a
ealizzare infrastrutture e servizi comuni quali le strade interne, la scuola, la chiesa,<br />
alcune case “operaie” per ospitare i salariati stagionali e i magazzini per i cereali. Il<br />
modello architettonico era quello marchigiano della zona di Ancona, da cui provenivano i<br />
Lanari. Entro il 1900 le case coloniche realizzate erano già dieci e gli ettari disboscati e<br />
dissodati erano 1.200.<br />
Dall'altra parte, il colono (o mezzadro) si impegnava a rimborsare, con un piano di<br />
rientro durante i primi anni di insediamento, la quota di investimenti anticipata<br />
dall'Accomandita per suo conto. Nel contratto era inserita anche una clausola che<br />
comportava un giudizio sul comportamento morale e il grado di operosità <strong>dei</strong> coloni, che<br />
poteva comportare il licenziamento per colpa con preavviso o, nei casi più gravi, in<br />
tronco.<br />
Fu quindi intrapreso un piano colturale sperimentale che prevedeva l'introduzione<br />
della barbabietola da zucchero, con il progetto avanzato di uno zuccherificio, che fu però<br />
accantonato a seguito dell'aumento dell’imposta di fabbricazione dello zucchero votato<br />
dal Parlamento nel 1897 (con il voto favorevole di Giustino Fortunato). Furono realizzati<br />
vivai, colture specializzate di frutta e campi sperimentali su una superficie di 60 ettari.<br />
Si iniziò anche una serie di attività industriali all’interno della tenuta: furono<br />
realizzati una centrale elettrica, due mulini ad acqua, uno stabilimento enologico, uno<br />
stabilimento di acqua minerale a destinazione commerciale (Gaudianello) che vinse<br />
nuerosi riconoscimenti ad esposizioni internazionali, essendo tra i primi stabilimenti di<br />
imbottigliamento di acque minerali in Italia, e uno stabilimento termale definito in stile<br />
“svizzero”, nel luogo degli antichi “Bagni”, comprendente tre vasche da dieci bagnanti e<br />
una baracca per doccia.<br />
Fu anche introdotta la policoltura, ossia la coltura promiscua con possibilità di coprire<br />
l'intera annata agraria. Essa era accompagnata da una precisa rotazione delle colture: 1/2<br />
podere a grano, 1/4 a trifoglio, 1/8 a granturco e 1/8 a fave e legumi). La dimensione del<br />
singolo podere variava tra dieci e quaranta ettari.<br />
Parallelamente, si iniziò un programma di immigrazione e colonizzazione interna su<br />
base mezzadrile, da parte di coloni marchigiani già abituati a tale tipo di contratto, con lo<br />
scopo di integrare l'esigua popolazione residente nella tenuta che, nel 1892, ammontava<br />
ad appena 14 guardie dipendente della SAVBR, con le rispettive famiglie, oltre a una<br />
decina di famiglie originarie, viventi in capanne di legno.<br />
L'investimento complessivo dell'Accomandita fu di £ 205.000. La resa delle colture<br />
passò da £ 75 a £ 120 per ettaro tra il 1892 ed il 1900.
La divisione<br />
Nel 1903, essendo esaurito da tempo il programma ferroviario per cui era nata,<br />
l'Accomandita si sciolse, dividendo la tenuta di Monticchio in due grandi parti, quasi<br />
contemporaneamente alla divisione amministrativa che avvenne tra i territori comunali<br />
di Atella e Rionero. Ad Ubaldo Lanari e agli eredi di Annibale andarono circa 1.800 ettari<br />
in territorio di Rionero, comprendenti la parte più produttiva sotto l'aspetto agricolo e<br />
industriale, con le località di Bagni, Paduli, Gaudianello, Ferriera, il lago grande di<br />
Monticchio e i terreni degradanti fino alla stazione ferroviaria di Monticchio.<br />
Ai soci bancari andarono invece 3.300 ettari, in territorio soprattutto di Atella,<br />
comprendenti il lago piccolo di Monticchio, la badia di San Michele, il villaggio di<br />
Sgarroni e i seminativi localizzati tra il lago piccolo e la località Bagni. L'agronomo Rocco<br />
Buccico rimase amministratore di questa parte della tenuta. Pochi anni dopo, nel 1907,<br />
la proprietà di que<strong>sto</strong> lotto venne rilevata dalla Società “Assicurazioni Diverse” di Napoli,<br />
che fu assorbita nel 1909 dal Banco di Roma. Nel 1915 un lotto di circa 2.000 ettari fu<br />
venduto dal Banco di Roma all'Azienda Forestale dello Stato, che vi istituì il Demanio<br />
della Foresta di Monticchio, come ancora oggi si chiama, insediandovi una caserma del<br />
Corpo Forestale e alcuni vivai sperimentali. Esso comprendeva il Lago Piccolo con i<br />
dintorni, compresa la Badia di San Michele.<br />
I rimanenti 1.300 ettari, più produttivi, vennero invece conferiti nella “Società<br />
Imprese e Gestioni Immobiliari” del Banco di Roma, con l'obiettivo di smobilizzare il<br />
patrimonio immobiliare. Si trattava essenzialmente <strong>dei</strong> terreni seminativi (o boschi e<br />
pascoli già autorizzati alla dissodazione dal Ministero dell’Agricoltura) localizzati<br />
nell'area di Sgarroni.<br />
In questi anni l'amministratore Buccico iniziò un esperimento di colonizzazione<br />
interna, simile a quella dell'Accomandita, con coloni aviglianesi, facendo trasferire a<br />
Sgarroni circa cinquanta famiglie che vi portarono i loro usi e costumi, cognomi e<br />
dialetto. Effettuò anche una bonifica delle paludi del Lago piccolo. Con i fondi della<br />
Legge Speciale del 1904 fu realizzata la strada rotabile Rionero – Laghi, ultimata nel<br />
1918. Rimboschì anche alcuni pendii con castagneti e tentò anche un certo utilizzo<br />
industriale della fonte Santa Maria de Luco, sul modello della Gaudianello <strong>dei</strong> Lanari,<br />
insediando un ufficio commerciale a Roma e contrattando agevolazioni per i trasporti<br />
ferroviari con la Commissione <strong>dei</strong> Trasporti di Napoli.
Negli anni successivi questi ultimi terreni furono progressivamente ceduti, in piccoli<br />
appezzamenti, a privati.<br />
Dall'altra parte, l'Azienda Lanari intraprese un analogo ambizioso programma di<br />
miglioramento, continuando il programma iniziato dall'Accomandita. Si effettuò<br />
innanzitutto la bonifica delle paludi intorno al lago grande e la regolarizzazione <strong>dei</strong> corsi<br />
d’acqua. Si rimboschirono trecento <strong>dei</strong> cinquecento ettari di seminativo originario,<br />
localizzati sul versante nord <strong>dei</strong> laghi, attraverso l’impianto del castagno prodotto nei<br />
vivai dell’azienda e, in misura minore, dell’abete, del pino e del nocciolo. Durante i primi<br />
anni di crescita delle piante si effettuò la coltura promiscua <strong>dei</strong> cereali nel bosco e si vietò<br />
il pascolo in tutta la tenuta, salvo per il bestiame <strong>dei</strong> coloni.<br />
Furono incrementati i collegamenti viari interni e con le stazioni ferroviarie di<br />
Monticchio e Monteverde, che raggiunsero una rete di 35 Km nel 1930.<br />
Proseguì l'immigrazione dalle Marche, con la costruzione di altre diciassette case<br />
coloniche tra il 1901 e il 1930, sovvenzionate in parte dai contributi della Legge speciale<br />
del 1904, con pratiche istruite dal Commissariato Civile di Potenza per un investimento<br />
complessivo fu di £ 631.000. Le case erano costruite su due livelli: al piano terra si<br />
trovavano il forno, la stalla, la cantina e il ricovero <strong>dei</strong> carri e degli attrezzi, mentre al<br />
primo piano si trovavano la cucina, la camera da letto e il magazzino delle derrate. Tutte<br />
le case possedevano un’aia cementizzata per l’essiccazione <strong>dei</strong> cereali e una concimaia.<br />
Ogni casa ospitava una famiglia composta da dieci a venti persone: i rapporti con<br />
l’Amministrazione erano tenuti dal capofamiglia, che interagiva con gli agenti di<br />
quest’ultima. Alle famiglie di coloni si aggiunsero poi circa venti famiglie di salariati,<br />
provenienti dall’Avellinese e dalla Puglia, nonché cinquanta famiglie di fittavoli<br />
aviglianesi (per i terreni a coltura non ancora dissodati e poderizzati). Tra i capi-fattore<br />
di origine marchigiana, si ricordano in particolare Innocenti e Maglione, i cui<br />
discendenti si trasferirono poi a Melfi e Venosa.<br />
Sotto il piano agricolo, si svilupparono ulteriori colture sperimentali con<br />
l’introduzione della vite (Sangiovese e Montepulciano per quindici ettari) e dell’olivo e lo<br />
sviluppo ulteriore del gelso per l’allevamento del baco da seta. Le colture sperimentali<br />
dirette erano controllate da un direttore tecnico. La resa <strong>dei</strong> suoli fu notevolmente<br />
migliorata e passò da 6 a 18 quintali ad ettaro tra il 1892 ed il 1930. La composizione <strong>dei</strong><br />
suoli nel 1930 era di 700 ettari a mezzadria, con coltura promiscua, 300 ettari in affitto<br />
estensivo, 60 ettari a coltura intensiva, con gestione diretta, 120 ettari di bosco fruttifero<br />
(castagneto e nocelleto), infine 700 ettari di bosco originario di cerro.
Sotto l'aspetto zootecnico, si introdussero bovini da lavoro importati dalle Marche e/o<br />
incrociati con le razze locali, di resa inferiore, nonché ovini migliorati con incroci<br />
Merinos e suini migliorati con incroci Yorkshire.<br />
L'attività industriale subì ulteriore impulso con l'aggiunta di nuove etichette di acque<br />
minerali e curative, imbottigliate sotto il marchio di San Michele: Sovrana, Maria Teresa,<br />
Rapida e Vittoria. Fu anche ingrandita la stazione termale e balneare di Monticchio<br />
Bagni, con la costruzione di una piccola pensione. Anche il commediografo napoletano<br />
Eduardo Scarpetta, autore di “Miseria e Nobiltà” e padre di Eduardo del Filippo, era un<br />
assiduo frequentatore <strong>dei</strong> Bagni di Monticchio, per le cui acque scrisse una canzone. Oggi<br />
sono visibili all’interno del parco i resti della vasca originaria, entro la quale sgorga<br />
ancora oggi acqua ferruginosa di colore rossastro. E’ ancora integra una delle due pareti<br />
laterali della costruzione che proteggeva la vasca, con archi in laterizio e pietra vulcanica.<br />
Nell'Azienda Lanari furono inoltre realizzati un caseificio, una fabbrica di concentrato<br />
di pomodoro e una fabbrica di frutta sciroppata. A inizio secolo, caso unico in Basilicata,<br />
fu installato un proiettore cinematografico per allietare le serate <strong>dei</strong> coloni nel villaggio<br />
di Monticchio Bagni. La casa padronale <strong>dei</strong> Lanari e le terme, grazie anche alle<br />
frequentazioni romane della famiglia, divennero ben pre<strong>sto</strong> luogo mondano di<br />
villeggiatura per importanti esponenti della borghesia industriale romana e napoletana<br />
<strong>dei</strong> primi anni del '900. Nel 1938 venne infine registrata la divisione dell’eredità di<br />
Annibale Lanari tra gli eredi.<br />
Dopo la seconda guerra mondiale gli interessi <strong>dei</strong> Lanari si spostarono fuori dalla<br />
Basilicata e dai confini nazionali. Iniziò così un lento ma inesorabile piano di dismissione<br />
della proprietà. Nel 1950 la proprietà dello stabilimento Gaudianello passò al Consorzio<br />
Agrario Regionale, che ne affidò qualche anno dopo la gestione alla società ILIAM di<br />
Foligno A. & C. (soci anche i Carbone, Manuti e Panico di Melfi), la quale acquistò dopo<br />
alcuni anni anche la proprietà e si trasformò così in Monticchio Gaudianello SpA,<br />
diventando leader nel mercato meridionale delle acque minerali e tra le principali<br />
etichette nazionali di acque effervescenti naturali. Nel 1992 la proprietà dell'azienda<br />
passò ancora di mano, dagli imprenditori locali al gruppo pugliese Oleifici Fasanesi. Nel<br />
2000, a seguito delle difficoltà finanziarie e al fallimento di quest''ultimo gruppo, la<br />
proprietà venne acquisita dalla banca creditrice, EFI Banca SpA, che tuttora la possiede.<br />
Nel 1964 l'ultimo discendente <strong>dei</strong> Lanari cedette anche l’azienda alberghiero-termale,<br />
denominata “La Villa”, ad una società privata, l'Alberghiera Termale Monticchio SpA,<br />
composta da cinquanta soci, tra cui il primo presidente della Regione Basilicata,<br />
Vincenzo Verrastro, conservando per sé una sola quota simbolica. La Villa diventò così
un albergo-ri<strong>sto</strong>rante con sala ricevimenti, abbastanza conosciuto nella zona, la cui<br />
gestione fu affidata dalla società a vari operatori di Melfi (Risolo, Galella) fino alla<br />
chiusura definitiva, nel 1972. Dopo oltre un ventennio, nel 1995 la famiglia Panico,<br />
acquisita la maggioranza della società, intraprese un nuovo piano di rilancio dell'attività<br />
termale, effettuando un investimento in una nuova struttura, denominata “Parco<br />
Eudria”, tuttora in corso.<br />
Tra i tentativi di lancio turistico, va segnalata in particolare la realizzazione della<br />
“funivia Monte Vulture”, gestita per un breve periodo dall'ing. Placido di Rionero (padre<br />
dell'attuale sindaco) e, dopo un lungo restauro, definitivamente chiusa dopo il sisma del<br />
23 novembre 1980 (appena una settimana prima della nuova prevista inaugurazione).<br />
Analoghe <strong>sto</strong>rie caratterizzarono altri appezzamenti e fabbricati ceduti dai Lanari<br />
negli anni '60 e '70, tra cui si evidenziano l'azienda agricola del notaio Giuliani (oggi agli<br />
eredi), costituita da una grande estensione in prossimità del lago grande, le due grandi<br />
aziende agricole degli imprenditori edili potentini Albini, al cui interno si trovano oggi<br />
due agriturismi ricavati da antichi casali marchigiani (Cantuccio del Vulture e Masseria<br />
delle Sorgenti), il grande nocelleto e allevamento di cinghiali con agriturismo <strong>dei</strong> De<br />
Stefano, originari della Campania e la tenuta dell'avv. Morlino di Potenza, con casa<br />
padronale, chiesetta privata e agriturismo. Di rilievo, inoltre, le cessioni molto<br />
parcellizzate intorno al lago grande, tra cui spiccano le aree edificate in albergo dalle<br />
famiglie Sena Grieco, Restaino e, più di recente, Biase-Cutolo, nonché la più grande area<br />
privata sulle sponde del lago grande: il camping Europa del napoletano Zanini. In<br />
ultimo, vanno segnalate attività edificate, più meno in modo estemporaneo, da quattro<br />
numerose famiglie di ri<strong>sto</strong>ratori di Rionero: i Mecca (il Pescatore, pizzeria Mecca, pub<br />
Mapalù, pizzeria La Selva) , i Cammarota (Casetta Alpina, Oasi), i Giammatteo (Chiosco<br />
2000, ri<strong>sto</strong>rante ex Marziano) e i Russo (gestione Casina Laghi, American Bar). Sono<br />
anche presenti chioschetti più o meno abusivi su area demaniale (Palomba, Carriero,<br />
Luppolo, Forlastro, Anastasia, etc.). Storica “panineria” è la Grotta Neviera presso<br />
l'attuale ingresso dell'abbazia.<br />
A Monticchio Bagni resi<strong>sto</strong>no i discendenti delle comunità marchigiana e aviglianese.<br />
Nel 2002 è stata scoperta una lapide commemorativa della grande esperienza umana e<br />
industriale dell'Azienda Lanari. L'ultimo discendente della famiglia, l'ing. Giancarlo, vive<br />
a Roma ma si reca spesso nel bel palazzo di Monticchio Bagni, conservato in proprietà,<br />
facendo vanto di aver conservato tuttora la residenza anagrafica nel Comune di Rionero<br />
in Vulture.
IL CONTESTO URBANISTICO ATTUALE<br />
L’area di Monticchio (zona occidentale del massiccio del Vulture), nel suo complesso,<br />
è divisibile in tre aree omogenee, ciascuna con proprie peculiarità specifiche.<br />
La conca <strong>dei</strong> Laghi, mèta da anni di un turismo “mordi e fuggi” di tipo escursionistico,<br />
con ricadute fin troppo modeste sul piano economico, soffre anche della sostanziale<br />
disapplicazione delle prescrizioni urbanistiche, pur esistenti.<br />
Una seconda area è quella delle frazioni di Monticchio Paduli e Sgarroni,<br />
caratterizzate da insediamenti urbani ed attività agricole.<br />
Infine, la terza area è costituita dal bacino minerario. La presenza di sorgenti minerali<br />
e termali è disciplinata da concessioni minerarie rilasciate dalla Regione Basilicata ad<br />
operatori del settore. Spiccano le produzioni industriali delle sorgenti Gaudianello e<br />
Toka.<br />
L’area <strong>dei</strong> Laghi è inclusa nel vincolo paesistico ex Legge 1497 del 1939 come integrata<br />
dalla Legge n. 431 del 1985.<br />
E’ stata oggetto di Piano Particolareggiato di intervento, di cui alle tavole allegate, con<br />
DGR n. 545 del 14 aprile 2006.