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MAGNETOTERAPIA - Fieldsforlife.org

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<strong>MAGNETOTERAPIA</strong><br />

Modalità di somministrazione<br />

dei Campi Magnetici Pulsati<br />

(CMP)<br />

Testo di Marco Montanari<br />

www.fieldsforlife.<strong>org</strong><br />

Copyrigt © 2009<br />

LICENZA PUBBLICA GENERICA (GPL) DEL PROGETTO GNU<br />

Documentazione distribuita con licenza GPL da www.fieldsforlife.<strong>org</strong> 1


Dedico queste pagine agli Amici Bruno Bizzi e Paola Bizzi<br />

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INDICE DEGLI ARGOMENTI<br />

Pagina<br />

4 ..... Premessa.<br />

8 ..... Inizio dello studio della magnetoterapia ovvero<br />

La fortuna dei principianti.<br />

13 ..... Comportamento dei solenoidi senza nucleo ferromagnetico.<br />

14 ..... I solenoidi con nucleo ferromagnetico aumentano l'idoneità<br />

terapeutica ­ Evidenziano il raggiungimento di un livello di<br />

transizione biofisico.<br />

16 ..... La legge dell'induzione elettromagnetica di Faraday­Neumann­<br />

Lentz si deve applicare anche in ambito biofisico.<br />

18 ..... L'indotto biologico.<br />

20 ..... La corrente di spostamento nell'indotto biologico.<br />

­ Origine del “dolore evocato” ­<br />

23 ..... Differenza tra i vettori di campo magnetico: H – B ­<br />

­ Le misure elettriche di riferimento delle magnetoterapie ­<br />

­ Inutilita' dei programmi di lavoro ­.<br />

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PREMESSA<br />

L'Autore, descrive (in prima persona) la successione di eventi che<br />

precedettero l'inizio dello studio della magnetoterapia.<br />

Negli anni '60 e '70 non avrei dato ascolto a coloro che mi avessero<br />

suggerito di occuparmi dell'azione terapeutica dei campi magnetici.<br />

A quel tempo in Medicina avevano credito solo le ricerche scientifiche in<br />

ambito diagnostico e/o terapeutico riguardanti l'applicazione delle<br />

correnti elettriche in forma resistiva o capacitiva, dalla corrente continua<br />

fino alle alte frequenze (bisturi elettronici, elettrocoagulatori, diatermia).<br />

Coloro che ufficialmente si fossero occupati del ruolo terapeutico dei<br />

campi magnetici sarebbero stati considerati dei visionari, ma i<br />

propugnatori dell'avvento dell'agopuntura cinese erano certamente bollati<br />

come “eretici”.<br />

Abitavo a Imola (Bologna) ed ebbi la fortuna di conoscere e frequentare il<br />

Dott. Bruno Bizzi (psichiatra) che negli anni '60 conobbe il Dott. Ulderico<br />

Lanza di Luserna San Giovanni (Torino) il quale nel '65 fondò la Società<br />

Italiana di agopuntura. Il Dott. Bizzi nel 1968 ne divenne socio fondatore<br />

e consigliere nel 1973.<br />

Come spettatore privilegiato, assistetti alle vicissitudini che<br />

determinarono la nascita delle scuole di agopuntura in Italia e in Francia<br />

e partecipai direttamente alla ricerca di nuovi metodi di stimolazione dei<br />

punti di agopuntura. Tutti i ricercatori avevano la certezza che i punti di<br />

agopuntura fossero “oggetti” reali, appartenenti alla neurofisiologia<br />

umana ed animale.<br />

Nel 1971 nello studio del Dott. W. Hermann, a quel tempo direttore delle<br />

terme Galvanina di Rimini, vidi funzionare un prototipo di un apparecchio<br />

per agopuntura secondo il Voll e ne rimasi profondamente colpito.<br />

Tentai di capirne il principio di funzionamento, ma vi rinunciai a causa<br />

dell'impossibilità di separare gli eventuali fenomeni reali dagli artefatti.<br />

Nella stessa circostanza il medesimo Dott. Hermann mi disse che un suo<br />

amico nel 1968 in Germania aveva condotto degli esperimenti sui campi<br />

magnetici come mezzo terapeutico e mi annunciava che, secondo lui, ci<br />

dovevamo preparare a future grandi novità.<br />

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Il Dott. Nojer fu un grande innovatore, al pari del Dott. Ulderico Lanza e<br />

il Dott. Bizzi, mentre manteneva continui contatti con gli agopuntori<br />

italiani e con la scuola francese diretta dal Dott. Nojer, mi teneva<br />

aggiornato e mi concedeva di leggere di prima mano gli appunti redatti<br />

dalle scuole di agopuntura e insieme sperimentavamo gli apparecchi per<br />

la ricerca del punto di agopuntura di produzione cinese ed europea, ma<br />

tutti generavano artefatti a volontà e ciò era causa di derisione da parte<br />

dei detrattori dell'agopuntura.<br />

Trovai il fatto molto stimolante e ciò mi indusse a progettare<br />

un'apparecchiatura elettronica analogico­digitale che consentisse il<br />

reperimento del punto di agopuntura in modo certo ed automatico.<br />

Riuscii a realizzarla alla fine degli anni '70, ma solo dopo aver scoperto<br />

la causa biofisica degli artefatti prodotti dai cosiddetti “cercapunti”.<br />

Nel 1974 il Dott. Nojer aveva concorso alla progettazione di un<br />

apparecchio generante campi magnetici a bassissima frequenza dotato di<br />

due solenoidi destinati alla terapia dei malati mentali e, il medesimo<br />

Nojer ne diceva un gran bene. Tutto ciò era di competenza del Dott. Bizzi<br />

che, incuriosito e fiducioso, si procurò l'apparecchio e, in gran segreto,<br />

cominciò a sperimentarlo sulla testa di alcuni malati nell'Ospedale<br />

Psichiatrico Luigi Lolli di Imola di cui era direttore.<br />

Conoscendo la mia riservatezza, un giorno mi descrisse gli esperimenti<br />

che andava conducendo (i risultati li avrebbe riferiti al collega),<br />

raccomandandomi di mantenere l'assoluta segretezza e, con<br />

atteggiamento pensoso e quasi preoccupato laconicamente mi disse:<br />

“Stanno meglio !”; capivo che era cosciente di trovarsi di fronte ad un<br />

fenomeno nuovo e rivoluzionario; ma io, fedele all'assioma che per la<br />

Biologia e la Medicina i campi magnetici terapeutici erano pura utopia,<br />

cercai di dissuaderlo e gli consigliai di essere estremamente obiettivo.<br />

Il Dott. Bizzi eseguiva la procedura suggeritagli dal Nojer che si era<br />

abbandonato a fantasticherie antiscientifiche e, nel tentativo di far<br />

presente il fatto al mio amico che aveva la massima fiducia nel collega,<br />

corsi il rischio di irritarlo, così lasciai cadere la cosa e nessuno più ne<br />

parlò. Non dimenticai mai questi fatti che, più vivi che mai, dopo oltre<br />

trent'anni ritornarono alla mia memoria, ma con ben altri connotati !.<br />

Nel frattempo, essendo possessore di un corpo umano a mia completa<br />

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disposizione, preferii addentrarmi nello studio della elettrofisiologia e<br />

delle elettroterapie. In modo assiduo ed entusiastico, progettai ogni<br />

apparecchio e feci attraversare il mio corpo da correnti elettriche,<br />

dedicando molto del mio tempo allo studio della ionoforesi, diadinamiche,<br />

faradica, elettroanalgesia (TENS), elettroanestesia, elettrostimolazione<br />

agopuntoria, evidenziazione dei meridiani antichi, ginnastica passiva<br />

mediante modulazione della stimolazione muscolare, ricerca del punto di<br />

agopuntura, segno elettrico del Neri ed altri esperimenti.<br />

L'osservazione critica degli effetti delle innumerevoli esperienze biofisiche<br />

di cui fui contemporaneamente osservatore e oggetto di esperimento, al<br />

pari di ogni autentico vissuto esperienziale interpersonale, profusero una<br />

messe di informazioni difficilmente raggiungibile qualora avessi operato<br />

per interposta persona; al punto che ne consiglio vivamente l'esperienza<br />

esclusivamente ai detentori di adeguate basi scientifiche e tecniche,<br />

perché con la corrente elettrica non si scherza !.<br />

Nel settembre 1979 nell'edizione italiana di “Elektor” (famosa rivista<br />

tedesca di elettronica), venne pubblicato un articolo dal titolo “Campi<br />

magnetici in medicina” riguardante l'azione terapeutica dei campi<br />

magnetici pulsati a bassissima frequenza. Per la prima volta in Italia si<br />

poteva osservare uno schema elettrico all'apparenza insignificante, ma a<br />

cui si attribuivano eccezionali proprietà terapeutiche (vedi:<br />

“Configurazioni elettroniche delle magnetoterapie”).<br />

Tutto lasciava pensare ad una bufala, dato che la rivista era famosa per<br />

gli scherzi che ogni tanto elargiva ai lettori in modo serioso e mi venne il<br />

sospetto che potesse trattarsi di uno sopraffino, ma in bibliografia<br />

appariva il nome di un fantomatico Dott. W. Hermann; inoltre fui vittima<br />

dell'ovvietà, commettendo il grave errore di giudicare l'apparecchio in<br />

quanto tale.<br />

In ambito biofisico l'apparecchio elettronico e le strutture biologiche in<br />

realtà sono tutt'uno e se gli elettromedicali elettroterapici di solito non<br />

sono particolarmente complicati, ben altra cosa è la loro azione biofisica.<br />

Ad esempio è abbastanza facile capire il funzionamento di un apparecchio<br />

per ionoforesi che opera in corrente continua; un po' più difficile è capire<br />

il vantaggio prodotto da un apparecchio funzionante ad impulsi, ma è<br />

difficile capire perché un apparecchio per ionoforesi possa funzionare<br />

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veramente molto bene in corrente alternata (ionoforesi non polare).<br />

Alla fine degli anni '70 avevo compreso che le elettroterapie potevano<br />

svolgere solo un limitato ruolo terapeutico e, in ogni caso, nessuna si<br />

poteva realizzare in modo totalmente automatico poiché, per questa<br />

classe di apparecchi medicali, il paziente doveva partecipare attivamente<br />

allo sviluppo dei processi biofisici, adattando la sensibilità propriocettiva<br />

alla migliore attività terapeutica non sempre gradevole e ciò ne avrebbe<br />

frenato la diffusione presso i malati ed anche presso i terapisti.<br />

Successivamente, negli anni '80 e '90, coloro che ottennero un iniziale<br />

successo commerciale, non capendo la complessità dei fenomeni biofisici,<br />

tentarono di automatizzare gli apparecchi elettroterapici, producendo<br />

macchine costose, ma del tutto inutili e gli utenti che non sanno mai nulla,<br />

ma poi capiscono tutto, se ne accorsero.<br />

Se prevale il timore di nuocere a qualcuno, si producono cose che se male<br />

non fanno, non fanno nemmeno bene e il “tam­tam” della gente fa il resto.<br />

Un altro evento che fu determinante nell'intraprendere la decisione di<br />

dedicarmi allo studio della magnetoterapia, riguardò il perfezionamento<br />

delle accensioni elettroniche a scarica capacitiva per automobile.<br />

L'impiego nell'automobile dell'accensione elettronica a scarica capacitiva<br />

consentiva di migliorare notevolmente la combustione; permetteva<br />

avviamenti immediati anche a bassissime temperature, migliorava la<br />

ripresa e riduceva i consumi di carburante, ma tutte le accensioni avevano<br />

un grave difetto; in piena estate lasciavano regolarmente a piedi il<br />

malcapitato automobilista, in particolare durante un'interminabile coda in<br />

autostrada; letteralmente “morivano dal caldo”.<br />

Detti per scontato che il problema fosse di facile soluzione, ma ancora<br />

una volta fui vittima dell'illusione che si nasconde in ogni ovvietà.<br />

A causa di numerosi imprevisti fui costretto a riprogettare l'accensione sia<br />

nell'elettronica circuitale che nella componentistica, ma finalmente riuscii<br />

nell'intento: la mia accensione funzionava impeccabilmente anche oltre<br />

85°C, ma ormai l'industria automobilistica stava aggirando l'ostacolo,<br />

istallando accensioni elettroniche di tipo induttivo; molto più semplici e<br />

abbastanza efficienti. Nel 1982 il frutto della mia fatica faceva<br />

inutilmente bella mostra di sé sugli scaffali del mio laboratorio insieme al<br />

particolare banco di prova che dovetti costruire per il collaudo.<br />

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INIZIO DELLO STUDIO DELLA <strong>MAGNETOTERAPIA</strong><br />

OVVERO<br />

LA FORTUNA DEI PRINCIPIANTI<br />

Tutto iniziò per merito di un terribile dolore alla spalla sinistra (primo<br />

evento fortunato) insorto in sordina e per questo trascurato, ma<br />

aggravatosi rapidamente nell'arco di alcuni giorni a causa di sforzi nel<br />

sollevare pesi.<br />

Il dolore impediva qualunque movimento dell'omero; aiutandomi con la<br />

mano destra tenevo il braccio sinistro contemporaneamente sollevato e<br />

premuto contro il fianco. Dovevo muovermi con molta attenzione e con<br />

dolcezza poiché i movimenti bruschi scatenavano una scarica fulminea di<br />

dolore che si attenuava lentamente solo con la più assoluta immobilità.<br />

Anche tossire e soprattutto starnutire erano diventate imprese titaniche.<br />

Nel guidare l'automobile ero funambolico, fortunatamente ne avevo una<br />

ridotta necessità e i tragitti richiedevano un parco uso dei comandi.<br />

Dormire risultava estremamente difficile, per prima cosa dovevo riuscire<br />

a sdraiarmi poi ero costretto a rimanere a lungo immobile onde attenuare<br />

il dolore quindi, aiutandomi con piccoli cuscini e con lentissimi<br />

movimenti, cercavo di posizionare l'arto in modo che la spalla mi<br />

concedesse almeno alcune ore di relativa tregua e, ogni volta che dovevo<br />

recarmi in bagno, si rinnovavano il medesimo supplizio e i medesimi<br />

lamenti. La capsula articolare della mia spalla era totalmente<br />

infiammata, mi sembrava addirittura separata dalla testa dell'omero.<br />

Nel 1982 questa patologia si sarebbe definita in modo generico come<br />

“periartrite scapolo omerale”, ma da alcuni anni si preferisce chiamarla<br />

in forma metaforica “sindrome della spalla congelata” (Frozen<br />

Shoulder) patologia frequente in cui col passare del tempo la limitazione<br />

dei movimenti si fa sempre più evidente.<br />

Dopo 3 mesi dall'esordio del dolore quest'ultimo è presente e costante<br />

anche nei piccoli e comuni movimenti quotidiani. Non si è in grado di<br />

alzare il braccio più di 30 o 40 gradi ed anche il movimento rotatorio è<br />

ristretto o impossibile. Il dolore è al suo massimo intorno al quarto mese<br />

e verso il quinto comincia spontaneamente a ridursi. Verso il settimo<br />

mese il dolore è presente solo nella parte alta della spalla e, con molta<br />

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gradualità, il movimento articolare diventa sempre più ampio fino a<br />

ritornare quasi fisiologico dopo un anno dall’ins<strong>org</strong>enza.<br />

Si evince che il dolore e la restrizione di movimento aumentano durante i<br />

primi quattro mesi per poi diminuire nei successivi quattro.<br />

Qualora venissero praticate le manipolazioni Osteopatiche e gli esercizi<br />

specifici, è certo che verrebbe recuperata la totale libertà di movimento<br />

dell’articolazione, al contrario se permanessero alcune limitazioni, queste<br />

evolverebbero in forma cronica.<br />

Allora vivevo da solo e potevo contare unicamente sulle mie forze e,<br />

avendo sempre goduto di ottima salute, disponendo inoltre di sufficienti<br />

energie psicofisiche, pensai che non fosse ancora giunto il momento di<br />

recarmi dal medico, ma vi avrei fatto ricorso solo dopo avere esaurito le<br />

mie conoscenze terapeutiche.<br />

Applicai delle pomate antinfiammatorie che mi concedevano un relativo<br />

sollievo, ma poi tutto ritornava come o addirittura peggio di prima.<br />

Durante una notte in cui insonne cercavo la soluzione del problema,<br />

ripercorrendo mentalmente le passate esperienze elettroterapiche, mi<br />

rammentai dell'articolo di “Elektor” di alcuni anni prima.<br />

Il mattino rilessi l'articolo e decisi di provare, poiché nel mio laboratorio<br />

avevo tutto il necessario per effettuare senza troppa fatica un rapido<br />

esperimento (secondo evento fortunato).<br />

Lavorando con la mano destra (per fortuna sono destrimano), usando la<br />

bocca e la debole pinza indice­pollice della mano sinistra, collegai<br />

un'accensione elettronica al banco di prova e, come interfaccia biofisica,<br />

utilizzai un bell'induttore che un amico aveva acquistato a Torino, in<br />

origine destinato a far parte di un filtro audio di un impianto stereo (mai<br />

realizzato). Aveva un'induttanza di 1 mH ed era privo di nucleo<br />

ferromagnetico e, ad occhio, mi sembrava ben dimensionato per la spalla.<br />

Ero soddisfatto perché con le mie deboli forze avevo rapidamente<br />

prodotto qualcosa di concreto, ma soprattutto sapevo di possedere una<br />

macchina molto più potente di quella suggerita da “Elektor”.<br />

Ancora non mi rendevo conto di usufruire di una magnetoterapia a bassa<br />

frequenza quasi perfetta e longeva e mai avrei immaginato di avere tra le<br />

mani un oggetto implicante un livello di transizione biofisico (terzo e<br />

quarto evento, ambedue fortunatissimi).<br />

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Il rituale e attento controllo del cablaggio della nuova apparecchiatura<br />

precedette il suo avviamento; appoggiai il solenoide alla spalla e, dopo<br />

circa un minuto, il dolore aumentò notevolmente, ma non ci feci caso<br />

perché, come ben si può comprendere, sono avvezzo a qualunque tipo di<br />

sperimentazione e non mi lascio facilmente impressionare. Sopportai con<br />

pazienza per circa mezz'ora e, quando spensi l'apparecchio, ricordo<br />

ancora con piacere la profonda sensazione di sollievo che da tempo<br />

cercavo inutilmente. Incredulo continuai per un'ora, il dolore ricomparve<br />

intenso e, al termine, la sensazione di sollievo non era aumentata, ma<br />

sembrava più diffusa.<br />

Il giorno dopo mi sentii decisamente meglio. Appena mi fu possibile, mi<br />

esposi al campo magnetico per circa due ore consecutive; ancora una<br />

volta ricomparve il dolore intenso e diffuso. Al termine, senza ombra di<br />

dubbio, avvertii subito un notevole miglioramento.<br />

Dopo una settimana di regolare uso quotidiano, riuscivo a muovere il<br />

braccio, dormivo più facilmente, ma non potevo ancora girarmi sul lato<br />

sinistro. Dopo tre settimane mi sentivo letteralmente rinato, il dolore<br />

rimaneva in forma minima e localizzato.<br />

Avendo recuperato l'uso della mano sinistra, sacrificai una costosa<br />

scatola metallica che doveva servire per ospitare un impianto stereo HiFi<br />

“esoterico” e vi costruii la mia prima voluminosa magnetoterapia a bassa<br />

frequenza dotata di due induttori identici posti in parallelo.<br />

Potevo finalmente utilizzarla in tutta sicurezza durante la notte.<br />

Il processo di guarigione galoppava ed ero sorpreso perché mi ritenevo<br />

guarito, rapidamente e senza ingerire farmaci. Capii che ero testimone<br />

di qualcosa di rivoluzionario e veramente degno di essere studiato a fondo<br />

e mi attrezzai alla bisogna.<br />

I mesi che seguirono furono dedicati alla costruzione di magnetoterapie,<br />

riciclando le mie eccellenti accensioni elettroniche, sacrificando tutti i<br />

costosi induttori per impiego audio a mia disposizione.<br />

La prima magnetoterapia fu data a mia madre che soffriva per le<br />

conseguenze di una condrocalcinosi ad un ginocchio e per l'asportazione<br />

chirurgica della rotula, poi fu la volta mia e successivamente toccò agli<br />

amici. Seguono alcune fotografie che illustrano i suddetti eventi e<br />

mostrano l'eccessiva complessità della mia prima magnetoterapia.<br />

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Figura 1. Banco di prova per il collaudo di accensioni elettroniche a scarica capacitiva che fu<br />

usata per provare se degli impulsi di campo magnetico avessero effetti terapeutici antinfiammatori.<br />

(Foto dell'Autore)<br />

Figura 2. Interno di una magnetoterapia che utilizza un'accensione elettronica a scarica<br />

capacitiva. A sinistra, alimentatore e generatore degli impulsi di comando; a destra, accensione<br />

elettronica (senza il coperchio), che produce scariche capacitive ad alta tensione (circa 350 V) e a<br />

bassissima frequenza (ULF­ELF). (Foto dell'Autore)<br />

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Figura 3. Solenoide con nucleo ferromagnetico (in origine non c'era) che nelle condizioni<br />

sperimentali descritte nel testo, manifesta almeno un livello di transizione biofisico e produce<br />

eccezionali, ma localizzati effetti antinfiammatori e rigenerativi. (Foto dell'Autore)<br />

Figura 4. Aspetto esterno della magnetoterapia a bassissima frequenza (ULF ­ ELF) di Fig. 2<br />

con un induttore attivo, dopo anni di utilizzo quasi quotidiano. (Foto dell'Autore)<br />

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La suddetta magnetoterapia a bassa frequenza si dimostrò talmente<br />

efficiente che non ebbi mai la necessità di modificarla dal punto di vista<br />

circuitale, ma l'uso continuo mi indusse a innovarne la taratura e il modo<br />

di somministrare il campo magnetico (vedi oltre).<br />

COMPORTAMENTO DEI SOLENOIDI SENZA NUCLEO FERROMAGNETICO<br />

A priori, presupposi che l'effetto terapeutico sarebbe stato massimo se il<br />

campo magnetico avesse attraversato tutti i tessuti oggetto di terapia; cioè<br />

parteggiavo per l'impiego dei campi magnetici concatenati; vale a dire<br />

quando il polo Nord di un induttore si affaccia al polo Sud dell'altro<br />

induttore, ambedue sul medesimo asse, ma l'esperienza dimostrò che un<br />

solo polo (non importa quale !) era più efficace di due contrapposti.<br />

Provai con poli affiancati (Nord con Sud) e con due omologhi affiancati.<br />

Allo scopo di aumentare l'intensità del campo magnetico, concatenai con<br />

una sbarra di ferro i poli Sud e Nord sovrastanti, a imitazione di un<br />

elettromagnete a ferro di cavallo.<br />

La configurazione più efficiente risultò quella con i poli omologhi<br />

affiancati (Sud con Sud oppure Nord con Nord), la maggiore efficienza<br />

(maggiore idoneità o vocazione terapeutica) ritenni dovuta all'aumento<br />

dell'area trattabile e alla maggiore profondità raggiungibile a causa della<br />

repulsione dei due campi magnetici.<br />

I SOLENOIDI CON NUCLEO FERROMAGNETICO<br />

AUMENTANO L'IDONEITA' TERAPEUTICA<br />

EVIDENZIANO IL RAGGIUNGIMENTO DI UN LIVELLO DI TRANSIZIONE BIOFISICO<br />

Disponendo di cilindri di ferrite in grado di entrare nei solenoidi, ne<br />

inserii uno in un induttore (vedi Figura 3) e notai subito una maggiore<br />

efficienza rispetto all'induttore che ne era privo; in pratica l'inserimento<br />

del nucleo ferromagnetico migliorava notevolmente l'idoneità terapeutica<br />

dell'interfaccia biofisica (l'induttore proposto da “Elektor” era<br />

realizzabile avvolgendo alla rinfusa su un bullone di ferro con diametro di<br />

6 mm, circa 600 spire di rame isolato diametro 0,2 mm).<br />

Con l'espressione “idoneità terapeutica” intendo contemporaneamente<br />

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dichiarare una maggiore efficienza strumentale (maggiore intensità del<br />

campo magnetico) associato ad una maggiore efficienza biofisica<br />

(migliore interazione terapeutica del campo magnetico con i tessuti<br />

soggetti al processo infiammatorio); rispetto ad un riferimento costituito<br />

da identici solenoidi privi di nucleo, ma sottoposti alla medesima<br />

corrente impulsiva.<br />

Rimaneva solo l'esecuzione dell'ultimo esperimento: utilizzare un solo<br />

induttore comprensivo di nucleo ferromagnetico e, in questo caso,<br />

l'idoneità terapeutica risultò di gran lunga maggiore di quella ottenibile<br />

con un singolo solenoide privo di nucleo ferromagnetico (vedi Figura 4).<br />

In pratica non utilizzai più il secondo induttore a condizione che non<br />

venisse raddoppiata la potenza della scarica capacitiva (rammento che in<br />

questa magnetoterapia i solenoidi sono collegati in parallelo).<br />

In primo luogo, emerge il ruolo fondamentale dell'intensità del campo<br />

magnetico quale promotore del maggior numero di effetti terapeutici<br />

distinti sia per patologia che per tipo di tessuto/i coinvolti nel processo<br />

infiammatorio che, come sopra esposto, in forma tecnica concisa definisco<br />

con l'espressione “idoneità terapeutica” di un apparecchio per<br />

magnetoterapia (vedi in: “Configurazioni elettroniche delle<br />

magnetoterapie”; Definizione dell'idoneità o vocazione terapeutica di un<br />

apparecchio per magnetoterapia).<br />

Le suddette affermazioni derivarono dall'accurata analisi degli effetti<br />

terapeutici prodotti dal campo magnetico pulsato a bassa frequenza,<br />

applicato alla spalla affetta dalla suddetta patologia, denominata<br />

“sindrome della spalla congelata” che nel mio caso ebbe modo di<br />

ripetersi dopo alcuni mesi, poiché la prima volta banalizzai le acquisizioni<br />

annesse alla risposta terapeutica, ritenendo erroneamente che al grande<br />

miglioramento seguisse, spontanea, la guarigione.<br />

Alla ricomparsa della patologia avevo la mia potente magnetoterapia<br />

accanto al letto che ogni notte usai per circa otto ore consecutive, la quale<br />

mi consentì di guarire completamente in tre mesi, rincorrendo fino<br />

all'estinzione il “residuo minimo di malattia” evidenziato dall'evocazione<br />

del dolore. Soggettivamente, tutta l'operazione appare come se si dovesse<br />

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scavare nel corpo al fine di mettere in evidenza il male onde distruggerlo<br />

nella sua medesima essenza, fu così che coniai il concetto di “profondità<br />

dell'azione terapeutica” che sostituisce quello più “asettico” o<br />

convenzionale di “efficacia terapeutica”. Successivamente nel 2004<br />

rivissi la fortunata occasione di sperimentare l'azione del campo<br />

magnetico pulsato poiché la Frozen Shoulder mi colpì alla spalla destra,<br />

ma disponevo di potenti magnetoterapie ad alta frequenza che<br />

sostituivano vantaggiosamente quelle a bassa frequenza.<br />

Nel corso di quasi un trentennio ebbi la grande soddisfazione di assistere<br />

alla guarigione di altri casi di Frozen Shoulder, tutti col medesimo<br />

decorso terapeutico, ma vidi guarire altre patologie infiammatorie e, non<br />

da ultimo, fui precursore della terapia elettromagnetica della depressione<br />

e, nella fattispecie, nel presente testo viene descritta la particolare<br />

modalità di somministrazione del campo magnetico pulsato ad alta<br />

frequenza che consente di introdurre delle importanti considerazioni in<br />

ambito biofisico e neurologico.<br />

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LA LEGGE DELL'INDUZIONE ELETTROMAGNETICA<br />

DI FARADAY­NEUMANN­LENTZ<br />

SI DEVE APPLICARE ANCHE IN AMBITO BIOFISICO<br />

Le basi biofisiche dell'azione dei campi elettrici e magnetici nei tessuti<br />

biologici sono descritte nell'articolo: “L'induzione elettromagnetica in<br />

ambito biologico” in cui, tra l'altro, si osserva la necessità di distinguere<br />

l'azione biofisica prodotta dai campi elettrici da quella indotta dalle onde<br />

elettromagnetiche a loro volta distinta dall'azione dei campi magnetici.<br />

Il campo magnetico si può immaginare come un serbatoio di energia che<br />

da un lato scambia energia con il generatore elettrico e dall'altro con il<br />

sistema biologico. L'aspetto innovativo del suddetto trasferimento di<br />

energia è insito nel fatto che i tessuti biologici non hanno nulla in comune<br />

con i conduttori metallici e nemmeno sono del tutto riducibili ad<br />

un'intricata rete tridimensionale di conduttori di seconda specie<br />

(elettrolitici). Fare Scienza equivale ad intrattenere un “continuum”<br />

olistico di riprovate acquisizioni (empiriche e teoriche), per cui, l'energia<br />

indotta (trasferita) da un campo magnetico in un sistema biologico, in<br />

primo luogo, deve obbedire alle leggi fisiche note, vale a dire che non si<br />

richiede l'intervento di fantomatiche interpretazioni vitalistiche; cioè “in<br />

primis” non si possono attribuire ai campi magnetici ruoli fisici diversi da<br />

quelli noti.<br />

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Se attuata secondo certe regole, è noto che la conduzione del calore nei<br />

tessuti biologici produce molteplici effetti terapeutici; analogamente,<br />

l'esperienza dimostra che l'induzione elettromagnetica può generare utili<br />

effetti biologici. In ambito biofisico l'azione del calore (che agisce sempre<br />

in modo fisico) promuove effetti biologici di gran lunga più complessi o<br />

comunque diversi da quelli puramente fisici; analogamente, se l'induzione<br />

elettromagnetica viene attuata secondo certe regole è causa di rivoluzionari<br />

effetti biologici. Nel prosieguo si esaminano le modalità pratiche per<br />

ottenere un'efficace induzione elettromagnetica nei tessuti biologici al fine<br />

di produrre validi effetti terapeutici.<br />

L'Autore, allo scopo di distinguere l'azione biofisica da quella fisica classica<br />

prodotta dai noti circuiti elettrici e magnetici nei conduttori di prima specie<br />

(metalli), usa le espressioni: interfaccia biofisica e indotto biologico.<br />

Nella fattispecie, l'interfaccia biofisica è costituita da un solenoide<br />

(bobina) di forma particolare (vedi oltre) il cui campo magnetico intercetta<br />

un volume variabile di cellule (tessuti) che a sua volta costituisce l'indotto<br />

biologico.<br />

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L'INDOTTO BIOLOGICO<br />

Ogni tessuto biologico o <strong>org</strong>ano affetto da una qualunque patologia<br />

infiammatoria si propone quale rivelatore biologico dell'interazione<br />

elettromagnetica con funzione <strong>org</strong>anizzativa; ovvero, nell'individuo sano<br />

non si osservano effetti diversi da quelli omeostatici e/o profilattici;<br />

dunque, in ambito biologico l'induzione elettromagnetica ottenuta con gli<br />

apparecchi descritti dall'Autore, è comunque causa di effetti terapeutici o<br />

profilattici.<br />

La Fisica classica insegna che il valore della forza elettro motrice (f.e.m)<br />

indotta è dato dalla derivata del flusso di induzione del campo magnetico<br />

B cambiata di segno:<br />

Maggiore è la velocità con cui avviene la variazione di flusso, maggiore<br />

sarà anche la f.e.m. il cui limite è dato dalla legge di Lentz.<br />

La variazione del flusso di induzione B del campo magnetico si ottiene<br />

variando singolarmente o in una qualsiasi combinazione: il modulo,<br />

l'intensità, il verso oppure variando l'area di un circuito immesso in un<br />

campo magnetico oppure modificando l'orientamento del circuito nel<br />

campo magnetico. Nel circuito indotto si genera una f.e.m. (è una<br />

differenza di potenziale che si misura in volt), la cui ampiezza varia in<br />

funzione delle suddette manovre che nell'indotto biologico si manifesta<br />

come corrente di spostamento, in quanto gli elettroni sono veicolati dagli<br />

ioni. Solo alcune delle suddette manovre sono fattibili in ambito<br />

biologico.<br />

V è la differenza di potenziale (f.e.m.) che si produce per induzione<br />

nell'indotto biologico, mentre dϕ è la variazione del flusso magnetico<br />

concatenato al circuito (biologico) e dt è il tempo in cui avviene la<br />

variazione di flusso.<br />

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La formula dell'induzione elettromagnetica descrive con precisione<br />

come aumenta la f.e.m :<br />

– se aumenta la variazione del flusso magnetico (ϕ è al numeratore).<br />

– se diminuisce il tempo in cui avviene la variazione del flusso ϕ (dt è al<br />

denominatore).<br />

La prima caratteristica in pratica si attua variando l'intensità della corrente<br />

nell'interfaccia biofisica.<br />

La seconda caratteristica, indica che una stessa variazione di flusso<br />

magnetico se avviene in tempi diversi, nell'indotto biologico produce<br />

correnti indotte diverse a cui corrispondono differenti idoneità<br />

terapeutiche. A parità di variazione di flusso magnetico nell'indotto<br />

biologico si ottiene una corrente di intensità maggiore se detta<br />

variazione avviene in un tempo minore.<br />

Nella pratica della magnetoterapia “muovere” il flusso magnetico ϕ più<br />

velocemente significa operare con impulsi dotati di ripidi fronti di salita e/<br />

o di discesa (onda quadra) e/o ad alta frequenza.<br />

In particolare l'alta<br />

frequenza in un apparecchio per magnetoterapia consente di esprimere in<br />

modo ottimale una elevata idoneità terapeutica.<br />

La direzione della f.e.m. indotta è tale da creare un campo magnetico<br />

che si oppone alla variazione prodotta dall'interfaccia biofisica<br />

(Lentz); ne deriva che i tessuti biologici, se opportunamente stimolati, per<br />

tempi brevissimi possono rivelare la formazione di uno o più circuiti<br />

elettrici ad anello e a forma di solido (toroidi o cilindri coassiali) in cui la<br />

corrente di spostamento a sua volta genera un campo magnetico, e ciò<br />

contraddice l'assioma che nel passato negava qualunque possibilità in tal<br />

senso.<br />

Quanto esposto consente di affermare che una magnetoterapia è<br />

costruita in modo scientifico se utilizza un campo magnetico ad alta<br />

frequenza in grado di produrre una corrente di spostamento prossima<br />

a quella producibile mediante un più potente campo magnetico<br />

operante a bassa o a bassissima frequenza (vedi oltre).<br />

Nota: Franz Ernst Neumann riformulò dopo Faraday (1845) la legge dell'induzione<br />

elettromagnetica in termini di forza elettromotrice.<br />

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LA CORRENTE DI SPOSTAMENTO NELL'INDOTTO BIOLOGICO<br />

­ ORIGINE DEL “DOLORE EVOCATO” ­<br />

La suddetta definizione ha un grande valore scientifico, poiché non sempre<br />

si possono sovrapporre gli effetti terapeutici ottenibili con un campo<br />

magnetico a bassa frequenza rispetto a quelli prodotti da un debole campo<br />

magnetico ad alta frequenza; cioè l'alta frequenza sembra migliorare<br />

l'interazione terapeutica dei campi magnetici con i sistemi biologici, vale a<br />

dire che promuove particolari effetti biologici per cui è comunque migliore<br />

l'idoneità terapeutica dei campi magnetici ad alta frequenza rispetto a<br />

quelli a bassa frequenza; per questo nella definizione si usa<br />

l'espressione:“...corrente di spostamento prossima a quella<br />

producibile...”. In un circuito elettrico la corrente che vi fluisce è data<br />

dalla legge di Ohm:<br />

I = v / R<br />

la corrente totale nell'indotto biologico risulterà :<br />

I = Δϕ / R Δt<br />

Si deve far presente che in ambito biofisico la resistenza R non rappresenta<br />

mai una costante, poiché col passare del tempo tende a diminuire (vedi<br />

oltre). La suddetta corrente di spostamento ha sede in un circuito<br />

evanescente extracellulare (di/dt) e, quanto esposto, vale per le dimensioni<br />

macroscopiche di tessuti anatomicamente omogenei. La figura seguente<br />

sintetizza l'azione della variazione di flusso di un campo magnetico in<br />

ambito cellulare ed extracellulare (pericellulare).<br />

Figura 5. Rappresentazione schematica dell'induzione elettromagnetica elementare all'interno<br />

di una singola cellula e nello spazio extracellulare, subito periferico alla cellula (pericellulare).<br />

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Un campo magnetico variabile attraversa una singola cellula con direzione<br />

Nord­Sud il cui flusso ϕ ha modulo B2 che perpendicolarmente genera<br />

una locale corrente di spostamento indicata dalla freccia (regola della<br />

mano destra). La membrana cellulare, essendo elettricamente isolante,<br />

confina all'interno della cellula la corrente di spostamento indotta.<br />

L'analoga variazione del flusso B1 (sincrona con B2) anch'essa genera<br />

localmente una corrente di spostamento che si trova confinata nello spazio<br />

esterno alla cellula (corrente di spostamento pericellulare).<br />

Si deve rammentare che ambedue le correnti di spostamento hanno<br />

luogo in un conduttore di seconda specie di natura colloidale, per cui<br />

passa del tempo (R Δt) affinché le due debolissime f.e.m. possano<br />

produrre una pur minima corrente di spostamento; inoltre, nei tessuti non<br />

affetti da patologie infiammatorie il volume cellulare prevarica quello<br />

extracellulare, in quanto le cellule sono quasi adese le une alle altre.<br />

Solo nei fenomeni infiammatori si verifica un aumento degli spazi<br />

extracellulari (ipertrofia extracellulare = “tumor”), a cui si associa un<br />

aumento locale della conducibilità elettrica. La corrente di spostamento<br />

pericellulare ha così modo di distinguersi e di svolgere un'azione<br />

depolarizzante. L'ordine di grandezza delle correnti endocellulari si può<br />

prevedere a partire da 10 ­15 A (fA femtoampere = Biliardesimo di Ampere<br />

= 0,000 000 000 000 001 A) a qualche pA (10 ­12 A picoampere =<br />

Bilionesimo di Ampere = 0,000 000 000 001 A).<br />

Nelle cellule diverse da quelle nervose il potenziale negativo interno si<br />

riduce al massimo di un solo millivolt (es:. da ­80mv a ­79mv) che è già in<br />

grado di promuovere la risposta omeostatica della pompa del Sodio.<br />

Nell'indotto biologico l'azione depolarizzante è soggettivamente<br />

avvertibile e, con le specifiche sperimentali oggetto di questi studi, ha un<br />

ruolo neurologico globalmente facilitante che si manifesta in modo<br />

particolarmente eclatante nel corso delle patologie infiammatorie.<br />

L'Autore lo ha chiamato “dolore evocato”, potendo apparire e/o<br />

accrescersi fino a diventare intollerabile, ma senza essere in relazione con<br />

un aggravamento; inoltre si manifesta in modo esclusivo nelle cellule<br />

nervose sensoriali deputate alla depolarizzazione ed alla ripolarizzazione.<br />

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Il fenomeno del dolore evocato ha certamente un ruolo diagnostico e<br />

prognostico, consentendo di localizzare con molta precisione il luogo ove<br />

sia presente il “residuo minimo di malattia” identificabile anche col<br />

“locus minoris resistentiae”, sempre nell'ambito delle patologie<br />

infiammatorie.<br />

Un apparecchio per magnetoterapia che, mediante un'eclatante<br />

evocazione del dolore è in grado di evidenziare meglio di altri il<br />

residuo minimo di malattia, è anche dotato della migliore idoneità<br />

terapeutica.<br />

Oltre all'accennata utilità in ambito diagnostico e prognostico, quella<br />

particolare variazione di flusso che è in grado di produrre in modo<br />

eclatante l'evocazione del dolore nel luogo del “residuo minimo di<br />

malattia”, manifesta soprattutto la propria idoneità terapeutica che, come<br />

premesso, nell'individuo sano non deve produrre effetti diversi da quelli<br />

omeostatici e/o profilattici.<br />

Quanto esposto vale anche nei prodromi di malattia; anche in questi casi<br />

l'esposizione a campi magnetici pulsati a bassa o ad alta frequenza è causa<br />

di evocazione del dolore locoregionale che svolge un indubbio ruolo<br />

diagnostico.<br />

Nel momento in cui cessa la somministrazione del campo magnetico<br />

scompare in modo quasi istantaneo o comunque molto rapidamente il<br />

fenomeno dell'evocazione del dolore.<br />

Attualmente solo i diabetici non compensati, sarebbero gli unici individui<br />

che possono essere refrattari all'evocazione del dolore anche nel corso di<br />

evidenti patologie infiammatorie e/o degenerative, ma i diabetici non sono<br />

refrattari all'azione terapeutica dei campi magnetici; in pratica l'evocazione<br />

del dolore non consente di spiegare l'azione terapeutica conseguente alla<br />

variazione di flusso di un campo magnetico, ma ne è solo un'utile<br />

componente e soprattutto è un riferimento oggettivo inerente alla misura<br />

dell'azione biologica delle variazioni di flusso dei campi magnetici.<br />

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DIFFERENZA TRA I VETTORI DI CAMPO MAGNETICO: H ­ B<br />

LE MISURE ELETTRICHE DI RIFERIMENTO<br />

DELLE MAGNETOTERAPIE<br />

INUTILITA' DEI PROGRAMMI DI LAVORO<br />

Nei riguardi dei campi magnetici, i padri della Fisica avevano chiara la<br />

distinzione tra il campo magnetico in quanto tale (H) e i suoi effetti<br />

nell'ambiente circostante (B).<br />

Il simbolo H (vettore dell'intensità del campo magnetico) rappresentava<br />

dove e come si genera un campo magnetico di direzione, verso e intensità<br />

H, vale a dire serviva per indicare tutto ciò che è inerente alla sua origine;<br />

mentre B (vettore di induzione magnetica o densità del flusso magnetico)<br />

rappresentava l'origine o la causa degli effetti (elettrici, magnetici, chimici)<br />

che si potevano osservare in un circuito elettrico o magnetico concatenato<br />

con B. Nella seguente tabella sono elencati i vettori di campo e i loro<br />

simboli.<br />

Tipo di vettore Simbolo unità SI unità cgs<br />

Campo H A/m oersted<br />

Induzione B tesla gauss<br />

Magnetizzazione M A/m emu / cm 3<br />

Intensità di magnetizzazione J tesla<br />

Flusso Φ weber maxwell<br />

Attualmente la suddetta terminologia viene utilizzata per distinguere tra il<br />

campo magnetico nel vuoto (B) e quello in un materiale ( H=(B/μ) con μ<br />

diversa dall'unità ). L'unità di misura dell'induzione magnetica nel SI è il<br />

tesla (1T = 10 4 G). Lo strumento che misura il campo magnetico è il<br />

magnetometro.<br />

Appare del tutto evidente che la vecchia terminologia è perfettamente<br />

conforme allo studio della magnetoterapia. Attualmente il libretto di<br />

istruzioni di tutte le magnetoterapie a bassa frequenza contempla la misura<br />

dell'intensità del campo magnetico espressa in gauss, unitamente all'ambito<br />

operativo minimo e massimo di frequenza.<br />

La misura viene universalmente effettuata utilizzando i moderni sensori di<br />

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Hall che generano una differenza di potenziale (tensione di Hall) che<br />

dipende dall'intensità del campo magnetico in cui è immerso il sensore.<br />

Un'industria automobilistica sarebbe sommersa dal ridicolo qualora<br />

dichiarasse la potenza di un certo motore in funzione della quantità di<br />

combustibile contenuto nel serbatoio; analogamente, in base a quanto<br />

esposto, non può sussistere in forma esclusiva la correlazione tra l'intensità<br />

del campo magnetico e l'efficacia terapeutica di un apparecchio per<br />

magnetoterapia.<br />

Solo la misura della f.e.m indotta consente di porre in evidenza l'elemento<br />

fisico che è alla base degli effetti biofisici dell'induzione elettromagnetica.<br />

Una medesima f.e.m indotta è ricavabile operando a diverse frequenze con<br />

differenti intensità di campo magnetico e con diverse forme d'onda.<br />

Per concludere, le misure di carattere fisico che consentono di paragonare<br />

tra loro gli apparecchi per magnetoterapia sono: l'intensità del campo<br />

magnetico, la sua forma d'onda e soprattutto la frequenza operativa in<br />

grado di generare una medesima f.e.m indotta.<br />

Nei riguardi della modalità di misura dell'intensità del campo magnetico e<br />

della f.e.m indotta si devono considerare i valori di picco e non quelli medi<br />

o efficaci.<br />

Gli effetti terapeutici dipendono in modo esclusivo dal lavoro del<br />

campo magnetico e si può affermare che qualunque programma di lavoro<br />

che modifica o parzializza nel tempo una delle suddette variabili,<br />

diminuisce drasticamente il lavoro biofisico del campo magnetico (f.e.m e<br />

corrispondente corrente di spostamento) per cui si può già comprendere<br />

che i cosiddetti “programmi di lavoro” sono totalmente privi di validi<br />

presupposti scientifici poiché concorrono solo ad attribuire ad un<br />

apparecchio per magnetoterapia un valore aggiunto inesistente che mira a<br />

confondere le idee dell'acquirente inesperto.<br />

In altri termini, i migliori effetti terapeutici si osservano se nel tempo si<br />

rispetta un regime costante di stimolazione elettromagnetica che, per<br />

una certa intensità di campo, ha il suo massimo ad una certa<br />

frequenza, per cui è sempre controproducente qualunque evento che<br />

modifica il lavoro biofisico del campo magnetico.<br />

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Il 15 aprile 2009 Articolo pubblicato in forma incompleta fino a pag. 14<br />

Il 26 maggio 2009 ripubblicato in forma incompleta fino a pag. 22<br />

Il 27 maggio 2009 corretto e ripubblicato in forma incompleta fino a pag. 24<br />

Il 03 giugno 2009 corretto e ripubblicato in forma incompleta fino a pag. 24<br />

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