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Ah se almeno potessi, - avios

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Ai miei fratelli


Antigone di Frederic Leighton – 1882 - olio su tela (58,5 x 50 cm).<br />

2


<strong>Ah</strong> <strong>se</strong> <strong>almeno</strong> <strong>potessi</strong>,<br />

suscitare l‟amore<br />

come pendio sicuro al mio destino!<br />

E adagiare il respiro<br />

fitto dentro le foglie<br />

e ritogliere il <strong>se</strong>nso alla natura!<br />

O <strong>se</strong> solo <strong>potessi</strong><br />

toccar con dita tremule la luce<br />

quella gagliarda che ci sboccia in <strong>se</strong>no,<br />

corpo astrale del nostro viver solo<br />

pur rimanendo pietra, inizio, sponda<br />

tangibile agli dei…<br />

e violare i più chiusi paradisi<br />

solo con la sostanza dell‟affetto.<br />

Alda Merini<br />

3


Indice<br />

INTRODUZIONE p.6<br />

Capitolo primo<br />

UMANARSI PER ESSERE LIBERI<br />

1. Senso per l‟educativo p.8<br />

2. La libertà come umanazione p.12<br />

3. Gli Auctores p.18<br />

Capitolo <strong>se</strong>condo<br />

L‟ARTE DELLA TRAGEDIA<br />

1. L‟efficacia educativa dell‟arte p.22<br />

2. Rito e origine del dramma p.26<br />

3. La Tragedia p.28<br />

a) L’autore p.31<br />

b) L’attore p.37<br />

c) Lo spettatore p.40<br />

4


Capitolo terzo<br />

ESSERE LIBERI PER UMANARSI<br />

1. Il Teatro è paideia p.43<br />

2. In-tendere l‟autore p.48<br />

3. Il metodo mimico p.53<br />

Capitolo quarto<br />

L‟ANTIGONE<br />

a) Immedesimarsi nella realtà p.53<br />

b) Mimesi p.56<br />

1. L‟attore e il testo p.60<br />

2. La scelta p.64<br />

3. La giustizia p.69<br />

4. Il coraggio p.77<br />

5. La magnanimità p.87<br />

CONCLUSIONI p.90<br />

APPENDICE p.93<br />

BIBLIOGRAFIA p.101<br />

5


Introduzione<br />

Antigone: il volto della libertà nella vita e sulla scena.<br />

Il volto è il luogo in cui si trova il massimo della spiritualità.<br />

E‟ un luogo misterioso, primitivo, indicibile.<br />

E‟ un luogo che si lascia solo tratteggiare pian piano, con pazienza e<br />

dedizione, <strong>se</strong>nza mai la precisione di un ritratto.<br />

E‟ un luogo in cui l‟anima ha parole per esprimersi e occhi per guardare.<br />

E‟ un luogo di incontro con altri volti, di intendimento di altre parole, in una<br />

<strong>se</strong>renità che è un cieco silenzio denso di dialoghi.<br />

E‟ il luogo della verità.<br />

Questo luogo è il punto di arrivo del nostro viaggio, che procede su un<br />

terreno in cui vita e scena si mischiano a tes<strong>se</strong>re un‟umanità perfettamente<br />

riuscita.<br />

Partiremo dall‟indagare, nell‟ottica della filosofia dell‟educazione, cosa<br />

significa per l‟uomo umanarsi per es<strong>se</strong>re libero: in cosa consiste la libertà,<br />

quali sono le sue dimensioni, qual‟è il suo peso davanti alla legge e come<br />

con l‟aiuto di una guida esperta, un auctor, è possibile contagiare con la<br />

teoresi il vivere;<br />

6


successivamente mostreremo l‟importanza educativa dell‟arte e, nello<br />

specifico, della tragedia, prendendo in considerazione l‟Antigone di Sofocle;<br />

infine diremo cosa significa per l‟attore es<strong>se</strong>re libero per umanarsi:<br />

sciogliere ogni rigidità per lasciar entrare le realtà vitali che le parole<br />

veicolano in sé e per es<strong>se</strong>re in qualche modo quelle realtà;<br />

fino ad arrivare a volere il personaggio di Antigone, un vero concentrato di<br />

aretè, proprio come il personaggio si vuole, e in questo incontro, che è un<br />

dimorare, accrescere le dimensioni dell‟umano fino all‟eccellenza.<br />

7


Capitolo primo<br />

UMANARSI PER ESSERE LIBERI<br />

1. Senso per l’educativo<br />

Addentrandoci nel cammino verso la libertà, si può incorrere in paludi o<br />

strettoie, incappabili dalla consueta pigrizia di chi velocizza il proprio passo<br />

pur di giungere ad una conclusione. Nel nostro viaggio perciò, <strong>se</strong> si vuole<br />

procedere <strong>se</strong>nza fallimenti, accostandosi delicatamente a questa folta e<br />

misteriosa dimensione dell‟umano, è bene tenere a mente il suggerimento di<br />

Kierkegaard che “nelle realtà umane, è saggio procedere a passo di lumaca,<br />

anche <strong>se</strong> questo è così fuori tono dal ritmo della nostra società.” 1<br />

Il moto di cui si alimenta il vivere contemporaneo è, in effetti, rapido,<br />

superficiale, frenetico, tutte carattetistiche che si coniugano malamente con<br />

il tempo dell‟anima che è lento e paziente e fa delle conoscenze la sostanza<br />

del suo nutrimento. 2<br />

1 DUCCI, E., Approdi dell’umano. Il dialogare minore, Anicia, Roma 1992, p.43.<br />

2 Cf. PLATONE, Protagora, 313c sgg, in Tutte le opere, Newton, Roma 1997. “ «Ma di<br />

che cosa si nutre l‟anima, o Socrate?» «Di conoscenze, non c‟è dubbio»(…) «Infatti, c‟è un<br />

pericolo ben più grande nell‟acquisto di conoscenze che nell‟acquisto di cibi, perché<br />

quando si comprano cibi e bevande dal bottegaio o dal mercante li si può portar via in altri<br />

recipienti, e, prima di assumerli nel proprio corpo, bevendoli o mangiandoli, dopo averli<br />

riposti in casa, si può chiedere consiglio(…). Conoscenze, invece, non <strong>se</strong> ne possono portar<br />

via in un altro recipiente; ma, necessariamente, una volta saldato il conto, e assunta e<br />

imparata quella conoscenza proprio nell‟anima, si va via o dannaggiati o beneficati»”.<br />

8


Sommariamente paideia, disciplina, educazione, formazione, liberazione,<br />

emancipazione, umanazione “sono solo alcuni tentativi per dire una realtà<br />

complessa, per indicare uno tra i tanti volti che essa possiede, per uscire<br />

dall‟inespresso. Questa realtà è uno dei grandi specifici umani, è la ragione<br />

più profonda dell‟esperienza umana e l‟aspetto più misterioso del rapporto<br />

interpersonale, è una dimensione fondamentale della realtà, fissa un compito<br />

necessario. Da lei infatti dipende la qualità della vita, a lei si lega<br />

l‟interrogativo circa il <strong>se</strong>nso di riuscita e di fallimento umano.” 3<br />

Per comprendere cosa sia la libertà è indispensabile rintracciare innanzitutto<br />

un <strong>se</strong>nso per l’educativo, cioè quell‟affinata <strong>se</strong>nsibilità, esclusivamente<br />

umana, che si tramanda da anima ad anima e che con<strong>se</strong>nte di accedere al<br />

regno della libertà lì dove si accende e divampa il fuoco della nostra anima. 4<br />

L‟importanza di questo <strong>se</strong>nso, affinchè non si resti e<strong>se</strong>cutori ma veri<br />

portatori di libertà interiore nell‟ambito educativo, richiede un‟iniziazione<br />

esperita vitalmente. Questa ci viene offerta da Platone con un mito. Il mito è<br />

un luogo di riflessione denso di risonanza interiore che non si contrappone<br />

al logos, il pensiero razionale, ma che ne allarga la superficie. 5<br />

3 DUCCI, E, Approdi dell’umano. Il dialogare minore, Anicia, Roma 1992, p.34.<br />

4 Cf. DUCCI, E., Libertà liberata. Libertà Legge Leggi, Anicia, Roma 1994, p.19. “Parlare<br />

del <strong>se</strong>nso per l‟educativo non è affatto cosa piana. Non è laboriosa la comprensione quando<br />

si accenna al <strong>se</strong>nso per la musicalità, al <strong>se</strong>nso per il ritmo, per il colore o per la figura.<br />

Mentre rischia di non es<strong>se</strong>re esatta la comprensione laddove qualcuno parla del <strong>se</strong>nso per il<br />

bene, per la giustizia e soprattutto del <strong>se</strong>nso per l‟educativo.(…) Parlare di necessità<br />

dell‟iniziazione, perché ci sia il <strong>se</strong>nso per l‟educativo, è assommare due processi fortemente<br />

aporetici: quello dell‟iniziazione in sé, e quello di una iniziazione il cui es<strong>se</strong>rci non è<br />

ovvio.”<br />

5 Il mito è usato per spiegare ancor meglio un ragionamento perché non si rivolge alle sole<br />

capacità razionali. Nel Gorgia Socrate dice: “E allora, ascolta, come si dice, un gran bel<br />

racconto, che tu considererai un mito, credo, e che io, invece, considero un ragionamento”.<br />

(PLATONE, Gorgia, 523a, Newton, Roma 1997)<br />

9


Nel mito della caverna, 6 la sorte dell‟uomo privo di educazione viene<br />

paragonata a quella di un prigioniero condannato solo a poter vedere le<br />

ombre della realtà:<br />

Pensa a uomini chiusi in una specie di caverna sotterranea(…); essi vi<br />

stanno fin da bambini incatenati alle gambe e al collo, così da restare<br />

immobili a guardare solo in avanti, non potendo ruotare il capo per via<br />

della catena. 7<br />

A questo stato iniziale, o pre-educativo, che è un modo di es<strong>se</strong>re tutto<br />

esteriore, che impedisce di avere chiara coscienza della Verità, si affaccia la<br />

possibilità di una paideia che mediante una forza esterna al soggetto, quella<br />

dell‟educatore o iniziatore, con<strong>se</strong>nte il movimento di formazione umana:<br />

Considera, dunque, come potrebbero liberarsi e guarire dalle catene e<br />

dall’ignoranza, <strong>se</strong> capitas<strong>se</strong> loro naturalmente un caso come questo:<br />

qualora un prigioniero venis<strong>se</strong> liberato e costretto d’un tratto ad alzarsi,<br />

volgere il collo, camminare e guardare verso la luce, e nel fare tutto ciò<br />

soffris<strong>se</strong>. 8<br />

Qui si racchiude tutto il nucleo dell‟educativo. Immediatamente salta agli<br />

occhi il passaggio dal plurale al singolare: educare si può solo uno ad uno.<br />

L‟uomo non può restare qual è per natura, altrimenti rischierebbe di<br />

vanificare la propria esistenza condannandola alla falsità delle ombre né,<br />

6 Per la spiegazione del mito mi riferisco all‟interpretazione di Ducci, in proposito DUCCI,<br />

E., Approdi dell’umano. Il dialogare minore, Anicia, Roma 1992, p.52 sgg.<br />

7 PLATONE, Repubblica, Libro VII, 514a, Newton, Roma 1997.<br />

8 Op. cit., 515c.<br />

10


allo stesso tempo, va spontaneamente verso la realizzazione delle proprie<br />

potenzialità, ma necessita di qualcuno che lo costringa a voltarsi. Questo<br />

costringimento è una forza altamente liberante, come una scossa in grado di<br />

insinuarsi sin nell‟intimo e farsi bisogno insopprimibile. Ciò con<strong>se</strong>gna<br />

all‟uomo le chiavi per la libertà, poiché risponde ad un bisogno che<br />

dischiude la via per la contemplazione dell‟es<strong>se</strong>re. Certo tutto questo non è<br />

e<strong>se</strong>nte da sofferenza, gli occhi sono accecati dal bagliore della luce e lo<br />

sforzo da compiere è grande. La possibilità di compiere questo passaggio è<br />

data dal fatto che l‟uomo possiede già dentro di sé un organo che va<br />

<strong>se</strong>mplicemente orientato nella giusta direzione, cioè verso il sole:<br />

Questa facoltà insita nell’anima di ciascuno e l’occhio che permette di<br />

apprendere devono es<strong>se</strong>re distolti dal divenire assieme a tutta l’anima, così<br />

come l’occhio non può volgersi dalla tenebra alla luce <strong>se</strong> non assieme<br />

all’intero corpo, finchè non risultino capaci di reggere alla contemplazione<br />

dell’es<strong>se</strong>re e della sua parte più splendente; questo <strong>se</strong>condo noi è il bene. 9<br />

La paideia, cioè quest‟educazione spirituale, questa umanazione, non è un<br />

processo per fornire all‟uomo qualcosa che gli sia estraneo ma piuttosto un<br />

agire per qualcosa che l‟uomo possiede e che va risvegliato.<br />

Superati gli scogli del divenire e a contatto con l‟es<strong>se</strong>re, l‟uomo ritrova, per<br />

la prima volta, il <strong>se</strong>nso del proprio esistere, l‟apertura ad una trascendenza<br />

che è per lui conoscenza del principio e fonte di liberazione e guarigione.<br />

9 Op. cit., 518c-d.<br />

11


2. La libertà come umanazione<br />

La libertà rappre<strong>se</strong>nta, in questo modo, il <strong>se</strong>nso più compiuto dell‟uomo, il<br />

suo es<strong>se</strong>re più profondo e verso cui ogni suo sforzo tende, la più intima<br />

manifestazione dell‟umano, che dà spessore al significato della vita e<br />

qualifica l‟es<strong>se</strong>rci. “L‟uomo ha la possibilità e il dovere di realizzarsi: in ciò<br />

sta la sua libertà”. 10 Se consideriamo il significato della libertà dobbiamo<br />

partire, per tracciare le nostre coordinate, dall‟uomo e dall‟opzione fatta su<br />

di lui, “di vederlo, cioè, come parte di un tutto, non emergente dalla specie,<br />

dal gruppo, dal complesso sociale; o di vederlo come emergente per<br />

intensità ontologica sul reale, <strong>se</strong> stesso e la specie, dotato di originalità,<br />

irripetibilità, creatività, interlocutore dell‟Assoluto medesimo”. 11 Nel<br />

<strong>se</strong>condo caso avremo un <strong>se</strong>nso della vita riconducibile a compito da attuarsi<br />

a cui l‟uomo deve dedicarsi in maniera creativa e originale. 12<br />

Se la libertà è il nucleo più misterioso e profondo dell‟interiorità soggettiva<br />

è necessario vedere in che modo e in ba<strong>se</strong> a quali leggi si può es<strong>se</strong>re formati<br />

alla libertà.<br />

10 DUCCI, E., Libertà liberata. Libertà Legge Leggi, Anicia, Roma 1994, p.53. “Unico fra<br />

tutti i viventi l‟uomo nasce <strong>se</strong>nza determinazione coartante a un fine; nasce imperfetto,<br />

incompleto, indeterminato, in stato di povertà e d‟indigenza. Possiede, però,<br />

un‟orientazione generale all‟autosoddisfacimento e all‟autorealizzazione e un orientamento<br />

generale al bene.”<br />

11 Op. cit., p.51.<br />

12 Cf. Op. cit., p.51. Per questa <strong>se</strong>conda posizione si tiene in considerazione il pensiero<br />

platonico: “ Anime effimere, ecco l‟inizio di un altro ciclo di vita mortale, preludio di<br />

nuova morte. Non sarà un demone a scegliere per voi, ma sarete voi a scegliere il vostro<br />

demone. Chi è stato sorteggiato per primo, per primo scelga la vita alla quale sarà<br />

necessariamente congiunto. La virtù non ha padrone, e ogniuno ne avrà in misura maggiore<br />

o minore a <strong>se</strong>conda che la onori o la disprezzi. La responsabilità è di chi ha fatto la scelta;<br />

la divinità è incolpevole”. (PLATONE, Repubblica X, 617 d-e)<br />

12


Ma di quale libertà intendiamo parlare?<br />

Se alla relazione ontologica, di cui abbiamo trattato, aggiungiamo l‟esigenza<br />

di una meta e misura qualitativa possiamo rispondere alla nostra domanda.<br />

Una relazione quantitativa implica una misura del tutto omogenea all‟uomo<br />

che differisce solo per quantità, che rende l‟ambito della scelta ristretto, e<br />

limitato l‟uomo al solo campo del razionale; mentre una relazione<br />

qualitativa offre numero<strong>se</strong> potenzialità per l‟io che diviene un‟irrepetibilità<br />

potenziale perché si rapporta ad un Assoluto che lo trascende, <strong>se</strong>nza<br />

snaturarlo e che lo rende operoso di fronte al suo compito.<br />

Così l‟idea di libertà che si delinea è quella di una volizione libera in<br />

relazione all‟Assoluto, 13 cioè la “possibilità, che è di tutti, di diventare un<br />

Singolo davanti a Dio, possibilità tenuta nella posizione forte che vede<br />

l‟Assoluto come meta e misura dell‟uomo, ossia come la ratio dell‟uomo, la<br />

fonte di <strong>se</strong>nso che sola con<strong>se</strong>nte di cogliere e dire la modalità ultima<br />

dell‟umano. Niente può misurare l‟uomo, niente può dire la misura<br />

dell‟umano. Né la natura, né la società, né il progresso, ma soltanto<br />

l‟Assoluto Persona”. 14<br />

“Il vero movimento liberante dell‟uomo non comporta diventar altro, ma<br />

diventare quell‟io che si è.” 15<br />

I fondamenti di questo movimento liberante sono:<br />

- le istanze originarie della persona:<br />

13<br />

Cf. Op. cit., p.54-55. Se l‟es<strong>se</strong>re dell‟uomo è partecipato, allora egli può, data la relazione<br />

con l‟Assoluto, avere intensità massima.<br />

14<br />

DUCCI, E., Approdi dell’umano. Il dialogare minore, Anicia, Roma 1992, p.73.<br />

15<br />

DUCCI, E., Libertà liberata. Libertà Legge Leggi, Anicia, Roma 1994, p. 55.<br />

13


cioè le esigenze assolute che costituiscono l‟uomo nella sua soggettività<br />

originaria e che sono espres<strong>se</strong> dall‟io voglio / tu devi, dove il tu devi è<br />

radicato nello stesso io voglio creando, per tanto, una dialettica di<br />

realizzazione eticamente inscritta nel soggetto e aperta alla relazione. Se<br />

l‟etica è inscritta nell‟uomo allora egli tenderà per natura verso la sua<br />

realizzazione, umanando <strong>se</strong> stesso non nell‟isolamento ma grazie al<br />

relazionarsi con l‟altro da sé. In tal modo la morale personale coincide con<br />

quella collettiva, poiché la relazione sarà in riferimento alla trascendenza.<br />

- la motivazione:<br />

si riferisce al rapporto con il reale che è oggetto di scelta, essa non solo<br />

giustifica la scelta stessa come giusta e utile per il soggetto che la compie,<br />

ma conferisce anche l‟energia per realizzare l‟io attraverso le scelte. Se le<br />

scelte sono coerenti con l‟intereiorità e mirate verso un obiettivo allora<br />

anche la spinta sarà accresciuta da quella energia.<br />

- la pulsione fondamentale del soggetto:<br />

La ricerca e l‟ascolto, l‟accoglimento e l‟attuazione di questa pulsione, che è<br />

la tensione al bene, tradotta come tensione ad un bene concreto o meglio,<br />

alla realizzazione di sé nel rapporto con l‟Assoluto e con gli altri.<br />

- conoscenza di sé:<br />

è una conoscenza dialogica che vede l‟io conoscere <strong>se</strong> stesso nella misura in<br />

cui si relaziona giustamente all‟altro.<br />

- volizione di sé:<br />

è la volizione-scelta verso <strong>se</strong> stesso che richiama il rapporto ad una meta e<br />

misura qualitativa che infinitizza l‟uomo.<br />

- decisione come unificazione della persona:<br />

14


è il momento unificante di tutte le componenti della persona che modifica<br />

saldamente il modo di es<strong>se</strong>re dell‟io. 16<br />

“L‟uomo è libero dopo che ha deciso, dopo che ha preso la deliberazione di<br />

rispondere, in maniera adeguata alle proprie esigenze es<strong>se</strong>nziali per<br />

realizzarsi e concretarsi: quando l‟esigenza è stata confrontata con l‟oggetto<br />

che poteva soddisfarla, l‟oggetto è stato scelto e la scelta ha modificato il<br />

modo di es<strong>se</strong>re dell‟io.” 17 In buona sostanza l‟uomo libero è un uomo che si<br />

è posto in un ascolto profondo di <strong>se</strong> stesso, un ascolto che ha per oggetto<br />

l‟interiorità, intesa come presa di pos<strong>se</strong>sso della propria soggettività<br />

originaria che ci identifica con noi stessi e ci differenzia dall‟oggetto.<br />

L‟interiorità è una dimensione importante del vivere e dell‟agire libero<br />

perché garantisce la possibilità alla scelta di non avere il principio della<br />

motivazione all‟esterno, nelle opinioni o negli oggetti. Se infatti l‟oggetto<br />

esterno, diventa preponderante interferendo sulla decisione, questa non è più<br />

libera bensì condizionata dall‟oggetto. La libertà inizia <strong>se</strong>mpre con un<br />

soggetto che decide, e si manifesta in un oggetto verso cui quella decisione<br />

è rivolta, che rende concreto l‟agire. In questo <strong>se</strong>nso oltre all‟interiorità sarà<br />

importante la convinzione che è una comprensione assorbita dal vivere<br />

stesso che dirige il volere e l‟impegno-compito che indica la traduzione del<br />

conoscere in fare. 18<br />

La libertà emerge come “un problema etico che riguarda e interessa<br />

chiunque voglia vivere nel <strong>se</strong>nso pieno del termine, e che deve es<strong>se</strong>re creato<br />

mediante la realtà interiore della vita in ogni istante”. 19 Dunque libertà come<br />

compito da realizzare nella relazione con l‟Assoluto e gli altri, che interessa<br />

il vivere di quel soggetto che osa spingersi nelle profondità del suo es<strong>se</strong>re,<br />

16 Cf. Op. cit., p.55 sgg.<br />

17 Op. cit., p.60.<br />

18 Cf. Op cit., p.61 sgg.<br />

19 Op. cit., p.63<br />

15


nel nucleo più intimo e prezioso, dove si irradiano tutte le sue potenzialità e<br />

che sa manifestarsi in una scelta, voluta, che ha per oggetto il distinto da sé.<br />

La libertà es<strong>se</strong>ndo umanazione dell‟uomo, tensione a realizzarsi può es<strong>se</strong>re<br />

letta nell‟ottica del bisogno. Esistono bisogni naturali e non naturali: i<br />

bisogni che nascono dalla natura hanno un limite; quelli, invece, che<br />

derivano da falsa opinione sono <strong>se</strong>nza fine: non c’è nessun termine per<br />

l’errore. Chi <strong>se</strong>gue la sua strada ha <strong>se</strong>mpre una meta da reggiungere, ma<br />

chi ha smarrito la retta via, va errando all’infinito. 20 Nel nostro caso “<strong>se</strong>nza<br />

dubbio è un bisogno primario (o for<strong>se</strong> il bisogno primario) per l‟uomo la<br />

realizzazione della propria costruzione individuale e personale” 21 , è una<br />

necessità interiore che chiama all‟azione, un vivere nell‟indigenza che arde<br />

di un fuoco vivo, un esigenza che una volta avvertita non può es<strong>se</strong>re più<br />

ignorata, anche <strong>se</strong> la fatica che richiede per il suo appagamento è grande. I<br />

bisogni primari e naturali, inscritti nell‟individuo devono però <strong>se</strong>mpre<br />

confrontarsi con i veri bisogni dell‟epoca in cui si vive e ciò può rendere il<br />

loro soddisfacimento rischioso.<br />

20 SENECA, Lettere a Lucilio, 16, 9, Bur, Milano 1998. “Abbandona, quindi, le vanità e,<br />

quando vorrai sapere <strong>se</strong> i tuoi desideri sono <strong>se</strong>condo natura oppure ciechi, considera <strong>se</strong><br />

hanno un termine dove arrestarsi: <strong>se</strong>, andando avanti nel soddisfare un desiderio, <strong>se</strong>nti<br />

<strong>se</strong>mpre più lontano il suo appagamento, sappi che non è un desiderio naturale.”<br />

21 DUCCI, E., Approdi dell’umano. Il dialogare minore, Anicia, Roma 1992, p.36. “Non è<br />

retorico parlare di angoscia per chi si occupa dell‟educativo in teoria o in pratica per la<br />

possibile tragica miopia circa la distinzione tra bisogni naturali – fondamentali reali -, e<br />

bisogni indotti dalla superficialità delle mode, dal potere subdolo del consumismo, o da<br />

certe astuzie dell‟economico. For<strong>se</strong> si richiede un <strong>se</strong>ntire umano <strong>se</strong>mpre vigile e non<br />

comune per attutire le con<strong>se</strong>guenze dell‟addensarsi di fumo e nebbia.(…) Sarebbe già molto<br />

anche il solo interrogarsi <strong>se</strong> la formazione che ci è stata o ci viene imposta, e quella che<br />

tutt‟ora chiediamo risponde a bisogni indotti dalla moda, bisogni cioè di superficie, o<br />

bisogni veri e più profondi. Va for<strong>se</strong> riproposta la dialettica: es<strong>se</strong>re/ dover es<strong>se</strong>re / benees<strong>se</strong>.<br />

16


Cosa accade quando la libertà incontra la Legge?<br />

Questa è una domanda lecita perché <strong>se</strong> si vuole che una scelta sia giusta è<br />

necessario che essa sia in<strong>se</strong>rita all‟interno delle coordinate spazio-temporali<br />

che contraddistinguono un epoca. Il <strong>se</strong>nso per la Legge è un primo momento<br />

da indagare. Il fondamento emerge <strong>se</strong> ci si pone il problema dell‟io umano e<br />

del suo es<strong>se</strong>re o no un io posto. Se l‟io dell‟uomo non è un io posto il<br />

termine si svuota di significato e decade, nel caso contrario invece abbiamo<br />

la potenzialità-compito insita nell‟uomo. La Legge ha così un suo <strong>se</strong>nso<br />

forte. Se la Legge ha, ontologicamente parlando, un <strong>se</strong>nso, allora possiamo<br />

procedere cercando il <strong>se</strong>nso per la Legge. La Legge di cui si parla è la legge<br />

degli dei, non scritta quella legge che vive nell‟anima come una luce che<br />

attrae e muove verso il bene, quella legge trasgredendo la quale si<br />

giugerebbe al completo fallimento della propria esistenza. Eppure ciò che<br />

spesso disattende il suo compimento è la profonda discontinuità esistente tra<br />

la Legge e alcune leggi. 22<br />

Allora cosa fare? Seguire quella Legge andando contro le leggi oppure<br />

as<strong>se</strong>condare le leggi ed ignorare la Legge? Se si <strong>se</strong>guita ad educare alla<br />

Legge si rischia di far crescere un uomo disadattato, che non può vivere nel<br />

contingente perché portatore di una profonda verità che non trova spazio per<br />

es<strong>se</strong>re accolta; altrimenti, <strong>se</strong> si inculcano le leggi, si formano uomini-massa<br />

falliti rispetto al proprio compito. Che fare, dunque?<br />

22 DUCCI, E., Libertà liberata. Libertà Legge Leggi, Anicia, Roma 1994, p.22 sgg. “<br />

L‟uomo non sta in una zattera abbandonata alle correnti e ai marosi, anche <strong>se</strong> tanti eventi<br />

inducono questa conclusione. C‟è una Legge (dunque una luce e una direzione) scritta nel<br />

suo es<strong>se</strong>re stesso. Senza presumere al di là delle mie forze, direi che essa stabilisce il valore<br />

della soggettività. Ne stabilisce l‟incommensurabilità con tutto ciò che soggetto non è; ne<br />

stabilisce la non interscambiabilità.(…) La legge intravista, riconosciuta e voluta induce al<br />

<strong>se</strong>nso per la sproporzione. Sproporzione tra Legge e talune leggi da lei difformi.<br />

Sproporzione tra ciò che essa esige e le con<strong>se</strong>guenze per la trasgressione a queste medesime<br />

leggi. La sproporzione è tanto forte da far sì che, il decidere per lei non chiede<br />

ponderazione, non ha bisogno di tempo.”<br />

17


3. Gli Auctores<br />

Per problematizzare, ancora di più l‟interrogativo, non possiamo che<br />

affidarci a qualcuno, una preziosa guida che ci permetta di inabbissarci nei<br />

mari più tempestosi eppur incontamimati. Ci occorre l‟aiuto degli auctores<br />

perché una mano protesa è l‟inizio di una conversazione che tende<br />

all‟infinito. “Gli auctores, [sono] quei pensatori e scrittori in genere,<br />

apparteneti a campi non pre-<strong>se</strong>gnati, che hanno la capacità di cogliere<br />

l‟umano e di comunicare, sì da far crescere, in tutto quello che ha a che fare<br />

con l‟umano, chi accoglie la comunicazione.” 23 Sono dei vasti orizzonti a<br />

cui ci si affida per cogliere la persona in tutte le sue aporie, per uscire<br />

dall‟isolamento che non con<strong>se</strong>ntirebbe di parlare dell‟educativo con<br />

giustezza (dato che la natura dell‟oggetto è relazionale, la modalità per<br />

accostarvisi è rappre<strong>se</strong>ntata dal dialogo, il dialogo con un grande), per<br />

sviluppare in noi il <strong>se</strong>nso per l’educativo. Affinare tale <strong>se</strong>nso o <strong>se</strong>nsibilità è<br />

d‟obbligo: <strong>se</strong> si vuole indagare un campo così delicato, è importante non<br />

perdere di vista la <strong>se</strong>ria preoccupazione per ciò che concerne l‟uomo. Anche<br />

questa, come tutte le altre <strong>se</strong>nsibilità, è una disposizione naturale, non<br />

oggettivabile che necessita di rinvigorimento costante, coltivazione,<br />

cabarbietà e affinamento. 24 Essa è ciò che elimina dal nostro relazionarci<br />

all‟oggetto ogni fretta, oggettività, scarsa <strong>se</strong>rietà, immi<strong>se</strong>rimento, per<br />

restituirci ad una più intima qualificazione del <strong>se</strong>nso per l‟uomo. “C‟è un<br />

altro modo ancora per dire l‟importanza della <strong>se</strong>nsibilità per l‟educativo:<br />

urge trovare un gran numero di apporti per rimuovere, ogni istante, il<br />

pericolo che <strong>se</strong>mpre incombente di rimpicciolire e immi<strong>se</strong>rire l‟educativo<br />

stesso(…). Per dirlo meglio mi avvalgo di una metafora kierkegaardiana che<br />

23 DUCCI, E., Approdi dell’umano. Il dialogare minore, Anicia, Roma 1992, p.67.<br />

24 Cf. Op cit., p.69.<br />

18


costituisce una pagina bella de Gli atti dell’amore: «Facciamo il caso di due<br />

pittori. Il primo dice: “Ho viaggiato molto e ho visto molte co<strong>se</strong> nel mondo,<br />

ma non sono riuscito a trovare un uomo che meritas<strong>se</strong> un ritratto, né a<br />

trovare qualche paesaggio che fos<strong>se</strong> l‟immagine perfetta della bellezza, così<br />

da risolvermi a dipingerlo; <strong>se</strong>mpre trovavo qualche difetto, perciò la mia<br />

ricerca è stata inutile” – un simile pittore sarà mai un grande pittore? L‟altro<br />

pittore invece dice: “Io invero non mi pre<strong>se</strong>nto come artista, non ho<br />

viaggiato all‟estero; però qui, <strong>se</strong>nza uscire dalla piccola cerchia di uomini<br />

che sono i miei più vicini, non ho trovato neppure un volto così<br />

insignificante oppure così difettoso che non aves<strong>se</strong> qualche lato bello e<br />

illuminante, perciò sono contento di e<strong>se</strong>rcitare con essi la mia arte”. – Non<br />

sarebbe proprio questo il <strong>se</strong>gno ch‟era costui il vero artista, perché portava<br />

con sé una certa qualcosa che l‟altro artista dei viaggi non riuscì a trovare in<br />

nessuna parte del mondo, probabilmente perché costui non la portava con<br />

sé?». 25 Questa metafora ne richiama un'altra di Whitman:<br />

«Oggi, prima dell‟alba, sono salito su un colle e ho guardato il cielo<br />

affollato,<br />

E ho detto al mio spirito:<br />

Quando avremo abbracciato<br />

Tutti quei mondi e goduto e saputo ogni cosa di essi,<br />

saremo sazi e soddisfatti, dopo?<br />

E il mio spirito dis<strong>se</strong>:<br />

Arriveremo a quel limite<br />

Per superarlo e pro<strong>se</strong>guire oltre ». 26<br />

25 Cf. Op cit., p.71.<br />

26 WHITMAN, W., Foglie d’erba, Rizzoli, Milano 1988, p.221.<br />

19


Oltrepassare i confini spazio-temporali, slargarci dai limiti, acquisire un<br />

terzo occhio che ci faccia vedere lontano, tanto da poter valicare tutto ciò<br />

che potrebbe far da ripiego o risolvere, meravigliarsi di fronte a tanta<br />

bellezza, emozionarsi, es<strong>se</strong>re avidi, inquieti, curiosi viaggiatori alla ricerca<br />

di una fonte pura a cui abbeverarsi. Gli auctores perciò oltre a salvaguardare<br />

la <strong>se</strong>nsibilità per l‟educativo, hanno altre caratteristiche: scuotono la terra<br />

arandola a fondo per non con<strong>se</strong>ntire la formazione d‟incrostazioni; sono<br />

primitivi, cioè aderiscono alla realtà del contingente e ne colgono le<br />

domande tragiche e profonde per l‟uomo; prendono le giuste distanze dal<br />

quotidiano permettendo anche a chi accosta il loro cammino di fare lo<br />

stesso; invogliano a riconoscere liberamente la propria strada. 27<br />

Gli auctores non sono molti, bisogna perciò sceglierli, acquistare<br />

dimestichezza, nutrirsi di essi ed es<strong>se</strong>rgli fedeli, affinchè qualcosa di loro<br />

permanga stabilmente nella nostra anima e i <strong>se</strong>mi gettati sul terreno<br />

germoglino al primo raggio di sole. Come chi vive in perpetuo<br />

vagabondaggio, ha molti ospiti e nessun amico e chi vuol es<strong>se</strong>re da per tutto<br />

in realtà non è in nessun luogo, così chi legge tanti libri diversi, con fretta e<br />

superficialità avrà confusione e mai giovamento. Leggere dunque <strong>se</strong>mpre i<br />

migliori autori. Assaggiare di qua e di là è proprio di uno stomaco viziato e<br />

non nutre 28 , niente impedisce tanto la guarigione quanto il cambiare spesso<br />

i rimedi. Non arriva a cicatrizzarsi la ferita, <strong>se</strong> si provano varie medicature.<br />

Non cresce vigoroso l’albero che è spesso trapiantato. Nessuna cosa, per<br />

quanto utile, reca giovamento in un fuggevole contatto. Troppi libri<br />

producono dissipazione. 29 I libri che leggiamo devono es<strong>se</strong>re gli<br />

indispensabili, in grado di tracciare il <strong>se</strong>ntiero su cui camminare con tutti i<br />

nostri sforzi e con gli occhi fermamente rivolti verso un'unica direzione.<br />

27 Cf. DUCCI, E., Approdi dell’umano. Il dialogare minore, Anicia, Roma 1992, p.72 sgg.<br />

28 Cf. SENECA, Lettere a Lucilio, 2, 2 sgg, Bur, Milano 1998.<br />

29 Op. cit., 2, 3.<br />

20


Occore <strong>se</strong>mpre uniformare il nostro moto ad una meta affinchè l‟anima<br />

abbia uno slancio grande e totale. Se la vita non è liberata da tutto ciò che la<br />

raffrena e non è direzionata verso il bene diventa solo un vagabondaggio, di<br />

chi, indeciso ed esitante, torna paurosamente sui suoi passi. 30<br />

Qual è il giusto rapporto che si deve instaurare con l‟auctor per es<strong>se</strong>re<br />

educati alla libertà?<br />

E‟ evidente che avvicinare un auctor non è cosa <strong>se</strong>mplice, perciò una volta<br />

individuato il valore e la purezza di quella fonte, bisogna trovare il modo<br />

migliore per abbeverarvisi. Senza dubbio il modo più comune è leggere<br />

l‟autore. Un altro è imparare a dialogare con l‟autore, metodo proprio della<br />

filosofia. Un terzo è fare la mimesi nell‟autore. L‟incontro con l‟autore è<br />

<strong>se</strong>mpre diverso: nel caso del leggere comune non ci sono accezioni<br />

particolari che muovono l‟interiorità; nel caso del dialogare c‟è il “con” che<br />

introduce un rapporto di profonda vicinanza, o <strong>se</strong> vogliamo di convivenza<br />

tra me e l‟autore, che necessita di un iniziazione; nel terzo caso c‟è “nel” o<br />

“in”, che sta per abitare nell‟autore o in-tendere l‟autore. Quest‟ultimo è<br />

l‟approccio dell‟arte, e, nello specifico, dell‟attore che lavora con la mimesi<br />

su cui ci soffermeremo nei prossimi capitoli per dimostrarne l‟ampiezza e la<br />

libertà.<br />

30 Op. cit., 95, 46.<br />

21


Capitolo <strong>se</strong>condo<br />

L’ARTE DELLA TRAGEDIA<br />

1. L’efficacia educativa dell’arte<br />

Per trattare dell‟arte greca e della sua efficacia educativa dobbiamo affidarci<br />

a Jaeger, che riferendosi alla poesia omerica e poi estendendo il discorso<br />

alle forme più tarde della letteratura greca, afferma: “educativa in <strong>se</strong>nso<br />

proprio non può es<strong>se</strong>re <strong>se</strong> non una poesia le cui radici si addentrino negli<br />

strati profondi dell‟es<strong>se</strong>re umano, nella quale viva un ethos, uno slancio<br />

superiore dell‟animo, un‟immagine dell‟umano che accomuni e vincoli gli<br />

uomini.” 31 Si tratta di un‟arte che non mostra <strong>se</strong>mplicemente la realtà così<br />

com‟è, proponendone un frammento imperfetto e condizionato dal punto<br />

d‟os<strong>se</strong>rvazione, ma che porta alla contemplazione di un determinato ideale,<br />

condiviso e condivisibile, di qualità superiore rispetto alla realtà. L‟aspetto<br />

quantitativo anche in questo caso lascia il passo a quello qualitativo.<br />

L‟ideale proposto è un aretè, un‟eccellenza, un valore supremo che fa da<br />

monito alla vita. L‟aretè è anche ciò che <strong>se</strong>condo Aristotele permette<br />

all‟uomo di es<strong>se</strong>re felice perché la felicità è una attività dell’anima <strong>se</strong>condo<br />

perfetta virtù 32 , un movimento interiore che si propaga in un cerchio di<br />

31 JAEGER, W., Paideia. La formazione dell’uomo greco, Bompiani, Milano 2003, p.88.<br />

32 ARISTOTELE, Etica Nicomachea, 1102a 5, trad. Bompiani, Milano 2000.<br />

22


perfezione. La virtù è una disposizione dell‟anima 33 che porta l‟uomo ad<br />

es<strong>se</strong>re in buono stato e a compiere al meglio la sua funzione specifica. Se<br />

dunque abbiamo una virtù, che è una disposizione, situata nel giusto mezzo<br />

tra due eccessi, come per e<strong>se</strong>mpio avviene nel caso del coraggio che è una<br />

medietà tra due vizi, la paura e la temerarietà, allora, spingendo al massimo<br />

la sua intensità cercando di non incorrere nei vizi e rendendola consolidata<br />

grazie all‟abitudine, saremo felici. Il giusto mezzo tra gli eccessi non è dato<br />

una volta per tutte e non è neppure per tutti ugualmente valido, questo sarà<br />

<strong>se</strong>mpre un giusto mezzo determinato rispetto a noi, cioè rispetto ad un Io,<br />

particolare e inimitabile, calato nella situazione, altrettanto particolare e<br />

inimitabile. 34 La virtù, dunque, è una disposizione concernente la scelta,<br />

consistente in una medietà in rapporto a noi, determinata in ba<strong>se</strong> ad un<br />

criterio, e precisamente al criterio in ba<strong>se</strong> al quale la determinerebbe<br />

l’uomo saggio. 35 In tal modo si delinea una virtù che va esperita e<br />

rinvigorita ogni giorno tramite le scelte del singolo, che hanno per oggetto i<br />

mezzi per raggiungere il fine, e che <strong>se</strong> diviene una virtù ben perfezionata<br />

non può che rendere felice colui che la esplica così come coloro che di<br />

riflesso vi si specchiano. L‟uomo infatti ha <strong>se</strong>mpre bisogno di modelli a cui<br />

riferirsi per migliorarsi. 36 In tal <strong>se</strong>nso <strong>se</strong> impattiamo in un‟arte, che sia<br />

33<br />

Per Aristotele (Op.cit., 1105a 20): “Gli atteggiamenti dell‟anima sono tre, passioni<br />

capacità disposizioni(…). Chiamo passioni il desiderio, l‟ira, la paura, la temerarietà,<br />

l‟invidia, la gioia, l‟amicizia, l‟odio, la brama, la gelosia, la pietà, e in generale tutto ciò cui<br />

<strong>se</strong>gue piacere e dolore. Chiamo, invece, capacità ciò per cui si dice che noi possiamo<br />

provare delle passioni, per e<strong>se</strong>mpio, ciò per cui abbiamo la possibilità di adirarci o di<br />

addolorarci o di <strong>se</strong>ntir pietà. Disposizioni, infine, quelle per cui ci comportiamo bene o<br />

male in rapporto alle passioni.”<br />

34<br />

Cf. Op. cit., 1106a 14 sgg.<br />

35<br />

Op. cit., 1107a.<br />

36<br />

Seneca in Ad Luc., 11,10 scrive: “Si eviterebbero molti peccati, <strong>se</strong>, quando stiamo per<br />

commetterli, fos<strong>se</strong> pre<strong>se</strong>nte un testimone. E‟ bene provare un <strong>se</strong>ntimento di venerazione per<br />

una persona che, con la sua autorità, possa rendere migliori anche gli aspetti più <strong>se</strong>greti<br />

della nostra vita. Felice colui alla cui pre<strong>se</strong>nza, anzi al cui <strong>se</strong>mplice pensiero, ci si corregge!<br />

Felice chi venera tanto un uomo, che al suo <strong>se</strong>mplice ricordo riesce a migliorarsi e a<br />

emendarsi. Sarà subito oggetto di stima e di venerazione, chi prova tali <strong>se</strong>ntimenti verso un<br />

altro. Scegliti, dunque, un Catone, ma, <strong>se</strong> ti <strong>se</strong>mbra troppo rigido, scegliti un Lelio, d‟indole<br />

23


custode di belle umanità e belle virtù, che propone cioè delle belle immagini<br />

alle quali approssimarci, a cui tenderemo nel nostro cammino di<br />

umanazione, questa sarà come un faro acceso che direzionerà il nostro agire,<br />

che ci permetterà di voltarci e camminare nella giusta direzione. L‟arte ha<br />

un forte potere suggestivo, “ha in sé una illimitata capacità di<br />

comunicazione spirituale, di psicologìa, come dicevano i Greci. Essa sola<br />

possiede ad un tempo quella universalità e quell‟evidenza vitale immediata<br />

che sono le due condizioni più importanti dell‟efficacia comunicativa.” 37<br />

Es<strong>se</strong>ndo un condensato di universalità e di vita, essa è nettamente superiore<br />

ad ambedue perché la riflessione filosofica, pur penetrando all‟interno,<br />

nell‟es<strong>se</strong>nza delle co<strong>se</strong> ed elevando lo spirito manca di vita vissuta e può<br />

es<strong>se</strong>re <strong>se</strong>ntita pienamente solo da coloro che riescono, con la loro esperienza<br />

personale, a ridipingerla in vita; la vita reale, d‟altro canto, possiede<br />

soggettività, calore e l‟esperienza del <strong>se</strong>nsibile pur mancando di<br />

universalità. L‟arte è così più vitale di ogni filosofia e più intelligente di<br />

ogni vita. 38<br />

Da un dialogo fatto di immagini, che avviene spontaneamente tra artista e<br />

fruitore dell‟opera d‟arte, essa diviene un vero e proprio principio educativo<br />

in grado, più d‟ogni altro mezzo umano, di penetrare nell‟interiorità,<br />

scuotendola ed invogliandola all‟agire interiore. “Cultura e poesia scorgono<br />

il loro modello nell‟impulso di plasmare figure, proprio della scultura, e<br />

s‟indirizzano all‟idea dell‟uomo come arte; l‟arte, dal canto suo, è<br />

indirizzata dalla cultura e dalla poesia all‟anima. Ma in tutto ciò si rivela un<br />

alto apprezzamento dell‟uomo, che per tutte tre è il centro dell‟interes<strong>se</strong>.<br />

più mite. Scegliti, cioè, un uomo di cui ti piacciono le parole, il modo di vivere e il volto<br />

stesso che riflette il suo animo. Tienilo <strong>se</strong>mpre davanti a te, o come guida o come e<strong>se</strong>mpio.<br />

Ci occorre-ripeto-una persona a cui adeguare i nostri costumi: non possiamo correggere le<br />

cattive abitudini <strong>se</strong> non ci riferiamo costantemente a una norma.”<br />

37 JAEGER, W., Paideia. La formazione dell’uomo greco, Bompiani, Milano 2003, p.89<br />

38 Cf. Op. cit., p.89<br />

24


Tale indirizzo antropocentrico, assunto dallo spirito attico, <strong>se</strong>gna il<br />

momento che vede nascere la “umanità”, non già nel <strong>se</strong>nso social-<br />

<strong>se</strong>ntimentale di amor del prossimo, che i Greci chiamano filantropia, bensì<br />

quale intendimento del vero es<strong>se</strong>re dell‟uomo.” 39 L‟arte è indirizzata<br />

all‟anima, alla sua cura e crescita.<br />

Ecco perchè i Greci fecero dell‟arte, ed in particolar modo del Teatro, la<br />

fonte della loro educazione spirituale, della loro paideia.<br />

39 Op. cit., p.485.<br />

25


2. Rito e origine del dramma<br />

Nel mondo antico esisteva un intimo <strong>se</strong>nso di corrispondenza o addirittura<br />

coincidenza tra rito e dramma. Le rappre<strong>se</strong>ntazioni cadevano <strong>se</strong>mpre in certi<br />

giorni di festa e venivano accompagnate da precisi simbolismi di chiaro<br />

carattere religioso. Durante le feste, celebrandosi un mito accolto dall‟intera<br />

collettività, si approdava al tempo degli dei, un tempo sacro e solenne.<br />

Ogni drammaturgia è in origine una liturgia, cioè una struttura mitica in cui<br />

ciò che è trascendente si sposa con l‟immanente, in una comunione che<br />

coinvolge l‟intera comunità. Ciò che sposta l‟as<strong>se</strong> dell‟evento verso esiti<br />

meno religiosi e più spettacolari è il <strong>se</strong>nso di partecipazione sacrale: infatti<br />

non appena il fenomeno mitico invece di es<strong>se</strong>re vissuto dall‟intera tribù<br />

sacralmente, per mezzo di rituali praticati personalmente, è vissuto<br />

diversamente da alcuni che sono attori che agiscono (potendo interrompere<br />

in ogni momento la loro rappre<strong>se</strong>ntazione) e da altri che sono spettatori che<br />

guardano (conoscendo il gioco) allora si ha il Teatro, una finzione o<br />

rappre<strong>se</strong>ntazione in cui vivono dei personaggi sulla scena. Il rito in questo<br />

modo diventa dramma nel momento in cui l‟incarnazione del dio da parte<br />

del sacerdote avviene <strong>se</strong>nza trauma psicologico (<strong>se</strong>nza cioè l‟idea che il dio<br />

è entrato dentro di lui), e la rappre<strong>se</strong>ntazione viene riconosciuta da tutti<br />

come tale. La maschera non è più il dio stesso ma è il dio in termini<br />

simbolici. 40<br />

In buona sostanza, ciò che emerge è un mito che, staccandosi dalla liturgia,<br />

diventa via via arte: “come un organismo, la cui anima si trova in via di<br />

perpetuo rinnovamento e mutamento. Chi produce tale mutamento è il<br />

40 Cf. D‟AMICO, S., Storia del teatro drammatico, Garzanti, Milano1968, p.6.<br />

26


poeta.” 41 Il poeta traduce in forma scritta, <strong>se</strong>condo il proprio particolare<br />

modo di <strong>se</strong>ntire, il vivo materiale narrato nei miti, con<strong>se</strong>ntendogli così di<br />

avere una nuova e potente narrazione che non avviene solo oralmente ma<br />

anche visivamente. Immagini e suono. La parola diviene come un<br />

incantesimo, come il canto delle Sirene di Ulis<strong>se</strong>, come una magia<br />

potentissima che volge in qualunque luogo essa voglia condurre quelli che<br />

l‟ascoltano. Il suo incantesimo, può es<strong>se</strong>re ingannatore e <strong>se</strong>duttivo, perciò<br />

dannoso, <strong>se</strong> alimentato da doxa, da menzogne, da vuote opinioni, oppure<br />

benefico <strong>se</strong> animato da retta verità.<br />

Voce e visione si intrecciano così a creare la tragedia, in cui il dramma<br />

diventa metafora antica eppur nuova per descrivere la vita e le sue forme. 42<br />

Ma che cos‟è un Dramma e in cosa consiste la sua efficacia?<br />

Il dramma è una forma d‟arte (con origine religiosa) destinata alla<br />

rappre<strong>se</strong>ntazione scenica che presuppone per la sua definizione una triade<br />

costituita da: autore, attore e spettatore. Il termine deriva dal greco (drao,<br />

opero, agisco) ed è un dialogo volto a rappre<strong>se</strong>ntare un conflitto, di carattere<br />

spirituale, che avviene tra due o più personaggi. 43<br />

41 JAEGER, W., Paideia. La formazione dell’uomo greco, Bompiani, Milano 2003, p.139.<br />

42 VERNANT, J.P., L’uomo greco, Laterza, Bari 1991, p.203.<br />

43 Cf. D‟AMICO, S., Storia del teatro drammatico, Garzanti, Milano1968, p.4.<br />

27


3. La Tragedia<br />

La tragedia è una delle forme del dramma. Essa ha delle origini che sono<br />

profondamente legate al culto di Dioniso, dio della vegetazione, della vite,<br />

del vino e dei sui effetti, della follia, dell‟estasi religiosa, della maschera e<br />

di tutto ciò che permette una trasformazione dell‟apparenza ordinaria della<br />

realtà.<br />

I culti dionisiaci erano svolti nella massima solennità, avvenivano<br />

nell‟ambito di una festa campestre in cui i partecipanti davano la caccia ad<br />

un animale che rappre<strong>se</strong>ntava il dio adorato. L‟atmosfera era gioviale e il<br />

corteo composto da menadi e satiri: “musiche, danze e vino, e fors‟anche il<br />

fumo di certi <strong>se</strong>mi, eccitavano all‟orgia mistica i fedeli, camuffati con pelli e<br />

corna d‟animali <strong>se</strong>lvatici, fino a una sorta di furore, che li induceva a<br />

precipitarsi in traccia dell‟animale sacro, e, fattane preda, a sbranarlo e a<br />

cibar<strong>se</strong>ne. Furente confessione d‟una umana <strong>se</strong>te di divino, confuso<br />

annuncio della «comunione» cristiana, del resto frequente fra i popoli<br />

primitivi: essi credevano con ciò d‟appropriarsi qualcosa della divinità, di<br />

partecipare in qualche modo alla sua natura.” 44 Ecco perché la tragedia nel<br />

V <strong>se</strong>c a.c. avviene nell‟ambito di festeggiamenti quali le grandi Dionisie, in<br />

inverno o all‟inizio della primavera, perché in <strong>se</strong>nso lato il teatro è una<br />

“comunione di un pubblico con uno spettacolo vivente” 45 , ha una natura<br />

collettiva ed è un sacro recinto per la divinità.<br />

Durante queste feste veniva intonato il ditirambo, una movimentata<br />

rappre<strong>se</strong>ntazione di tipo corale che accompagnava i rituali in onore di<br />

Dioniso e che fu successivamente trasformato in composizione letteraria.<br />

Tragodia, nome greco per designare la tragedia, significa “canto del capro”,<br />

44 Op. cit., p.15.<br />

45 Op. cit., p.2.<br />

28


assume questo nome perché durante i rituali si era soliti sacrificare proprio<br />

un capretto per devozione verso il dio. Si pensa anche che Arione sia stato il<br />

primo a far nascere la tragedia perché i suoi attori venivano chiamati<br />

tragoidoi.<br />

Comunque il vero passaggio dal ditirambo alla tragedia si ha con Tespi, che<br />

perfezionò l‟invenzione del suo compatriota, pre<strong>se</strong>ntando un poema<br />

costituito da un dialogo tra un attore ed il coro, tant‟è che l‟attore era<br />

appunto chiamato hypocritès, cioè “risponditore”. Ciò che accadde fu<br />

trasformare un canto che raccontava le gesta del dio, in un dialogo in cui vi<br />

era un risponditore che rispondeva proprio con le parole del dio.<br />

Successivamente Eschilo introdus<strong>se</strong> un <strong>se</strong>condo attore, che dialogava sia<br />

con il coro che con l‟altro attore sulla scena e poi Sofocle perfezionò<br />

maggiormente lo schema tragico introducendovi un terzo attore nel 449. 46<br />

Secondo Aristotele la tragedia è imitazione di una azione nobile e compiuta,<br />

avente grandezza, in un linguaggio adorno in modo specificatamente<br />

diverso per ciascuna delle parti, di persone che agiscono e non per mezzo di<br />

narrazione, la quale per mezzo della pietà e del terrore finisce con<br />

l’effettuare la purificazione di cosiffatte passioni. 47 La tragedia è una<br />

mimesis; di un‟azione nobile e compiuta e avente grandezza, dunque di un<br />

aretè; che è espressa in un linguaggio che varia a <strong>se</strong>conda che sia in metro o<br />

canto; di persone che agiscono, che imprimono un <strong>se</strong>nso alla loro vita,<br />

operando delle modificazioni sulla realtà; la cui azione provoca pietà e<br />

terrore, emozioni fortissime che purificano gli spettatori da queste stes<strong>se</strong><br />

passioni.<br />

La tragedia è composta da <strong>se</strong>i parti fondamentali. La prima in ordine di<br />

importanza è il mito o racconto, che è il materiale da cui parte il poeta per<br />

46 Cf. Op. cit., p.15 sgg.<br />

47 ARISTOTELE, Poetica, 1449b-24, trad. Bompiani, Milano 2000.<br />

29


comporre le azioni che sono il fine della tragedia, che è mimesis di azioni e<br />

non di uomini. I caratteri perciò vengono in maniera subordinata alle azioni,<br />

perché sono es<strong>se</strong> che formano il personaggio. Poi c‟è il pensiero che deve<br />

es<strong>se</strong>re “inerente e conveniente al soggetto” ed espresso dunque non solo con<br />

le parole ma anche con la scelta delle azioni da compiere o da non compiere.<br />

Al quarto posto c‟è l‟elocuzione cioè l‟espressione per mezzo delle parole; e<br />

poi ciò che riguarda la messa in scena: la musica e la rappre<strong>se</strong>ntazione. 48<br />

Tutto questo, <strong>se</strong> è ben compaginato, si fonde in una armonia che è unità e<br />

che aumenta il suo impatto con coloro che ascoltano.<br />

Es<strong>se</strong>ndo la tragedia la rappre<strong>se</strong>ntazione di un dramma ed es<strong>se</strong>ndo questo<br />

composto da autore, attore e spettatore, proviamo ad affrontare queste tre<br />

componenti considerando l‟opera che prenderemo in esame: l‟Antigone di<br />

Sofocle, opera tragica tra le più perfette.<br />

48 Cf. Op. cit., 1449b-31 sgg.<br />

30


a) L’autore<br />

L‟autore che prenderò in considerazione sarà, dunque, Sofocle.<br />

Abbiamo visto che l‟autore deve es<strong>se</strong>re un auctor in <strong>se</strong>nso pieno, capace di<br />

inspessire le dimensioni dell‟umano, nonché un abile compositore di<br />

drammi.<br />

Inoltre deve, <strong>se</strong>condo la definizione, creare dei personaggi che vivano un<br />

conflitto.<br />

I personaggi<br />

I personaggi che vivono nelle tragedie di Sofocle sono portatori di un areté<br />

eroica, non sono uomini della realtà odierna come quelli di Euripide, essi<br />

possiedono alcune dimensioni dell‟umano portate all‟eccellenza, che si<br />

manifestano in modo del tutto spontaneo e con grande coraggio e<br />

determinazione. In un certo qual modo è proprio con la morte dell‟eroe che<br />

si compie questa particolare areté, perché quando muore l‟eroe ciò che resta<br />

è un ideale, o meglio un‟immagine ideale della sua areté. Essa, es<strong>se</strong>ndo<br />

immagine, sopravvive, anche dopo la morte fisica dell‟eroe, nella mente<br />

degli uomini diventando l‟aspirazione interiore a cui tendere. 49 Per i Greci<br />

infatti è molto importante, l‟idea dell‟onore, essa riguarda quell‟azione o<br />

passione volontaria a cui <strong>se</strong>gue lode e non biasimo e che ha a che fare con la<br />

virtù. La volontarietà negli atti è determinante affinchè un‟azione sia<br />

reputata virtuosa. Gli atti involontari sono quelli compiuti per forza o per<br />

ignoranza, che hanno il principio esterno, in cui l‟uomo, viene trasportato,<br />

subendo una situazione invece di agirla. I volontari sono quelli in cui<br />

49 Cf. JAEGER, W., Paideia. La formazione dell’uomo greco, Bompiani, Milano 2003,<br />

p.40.<br />

31


emerge la responsabilità individuale in cui l‟uomo ha il principio del suo<br />

agire dentro di sé, e può scegliere di agire o di non agire <strong>se</strong>condo le<br />

circostanza della situazione. 50 Quando si compie un atto che è volontario,<br />

esso diviene espressione di libertà, di un vero e proprio ethos intimo che<br />

nasce, non da capriccio o vuoto di carattere, ma da necessità interiore,<br />

impellenza inderogabile che chiama ad es<strong>se</strong>re <strong>se</strong> stessi e che si sposa<br />

fedelmente con un ethos collettivo. Ciò che è un bene per il singolo è infatti<br />

un bene anche per la comunità. Le figure tragiche di Sofocle sono “uomini<br />

reali, di viva carne, animati da inten<strong>se</strong> passioni e da <strong>se</strong>ntimenti delicatissimi,<br />

da una grandezza eroicamente superba e insieme da vera umanità.(…) I loro<br />

pregi non sorgono dal campo di ciò ch‟è meramente formale, ma hanno<br />

radice in uno strato più profondo dell‟umano, dove l‟elemento estetico,<br />

l‟etico, il religioso si compenetrano e si condizionano reciprocamente.” 51<br />

Questo ha un forte valore sull‟ethos collettivo perché tale arte ha come<br />

risultato quello di attivare la coscienza della cultura umana. Il termine<br />

“cultura” rimanda alla paideia, all‟es<strong>se</strong>re umanamente formati e<br />

rappre<strong>se</strong>nta, nell‟età di Pericle, il più alto ideale a cui tendere, tanto che<br />

l‟arte di Sofocle, dato il suo fine di formazione intenzionale dell‟uomo, si<br />

potrebbe quasi chiamare “un‟arte della cultura”. 52 Egli mostra l‟uomo come<br />

dovrebbe es<strong>se</strong>re, rappre<strong>se</strong>ntante di un‟alta aretè, di un profondo e<br />

incontaminato ideale di bellezza che fa per la prima volta della psyché il<br />

centro della sua legge. L‟anima è il luogo da cui si origina ogni impulso e si<br />

determina ogni azione, non è incomprensibile, come spesso appare ai nostri<br />

ciechi occhi, ma un luogo in cui suona una perpetua armonia scandita da<br />

una legge eterna.<br />

50 ARISTOTELE, Etica Nicomachea, 1109b 30, trad. Bompiani, Milano 2000.<br />

51 JAEGER, W., Paideia. La formazione dell’uomo greco, Bompiani, Milano 2003, p.473-<br />

476.<br />

52 Cf. Op. cit., p.89.<br />

32


Il conflitto<br />

Un altro elemento è che personaggi così costruiti entrino in conflitto.<br />

Differentemente dalle opere dei suoi successori, Sofocle non cerca grandi<br />

eventi colossali o violente immagini per dire la monumentalità, bensì cerca<br />

di parlare dell‟uomo <strong>se</strong>mplicemente riportandolo delicatamente alla sua<br />

dimensione. Egli per<strong>se</strong>gue un equilibrio. Ciò che viene mostrato non è mai<br />

troppo oltre la sfera dell‟improbabile, è il naturale, <strong>se</strong>ppur oscuro, conflitto<br />

esistente in ogni uomo, <strong>se</strong>mplice ed evidente. 53 La rappre<strong>se</strong>ntazione mostra<br />

ciò che è normalmente tenuto nascosto, quella zona di penombra terribile in<br />

cui la stessa oscurità appare illuminata e che es<strong>se</strong>ndo perciò guardata<br />

diviene oggetto di scandalo. Ciò che traspare nella vicenda tragica è la sorte<br />

di un uomo che è migliore dell‟ordinario, né troppo malvagio né troppo<br />

buono, che cade in disgrazia, non per malvagità o giustizia ma per un grande<br />

errore, passando così dalla fortuna alla sfortuna. 54<br />

Spesso i personaggi privilegiati su cui si abbatte un dramma sono le donne.<br />

Il contesto in cui la donna è ritratta è <strong>se</strong>mpre un contesto familiare reso<br />

anomalo dalle distorte relazioni domestiche. Per una donna atenie<strong>se</strong> era<br />

bene non far parlare di sé; perciò quando approda sulla scena, la sua<br />

immagine non può che es<strong>se</strong>re in pericolo e screditata solo per il fatto che<br />

appare sulla scena: “ciò che normalmente è nascosto non può che es<strong>se</strong>re<br />

fuor di luogo quando è rivelato” 55 , “la scoperta della donna è con<strong>se</strong>guenza<br />

necessaria della scoperta dell‟umanità quale oggetto proprio della<br />

tragedia.” 56<br />

53<br />

Cf. Op. cit., JAEGER, W., Paideia. La formazione dell’uomo greco, Bompiani, Milano<br />

2003, p.473 sgg.<br />

54<br />

Cf. ARISTOTELE, Poetica, 1453a 8 sgg., trad. Bompiani, Milano 2000.<br />

55<br />

VERNANT, J.P., L’uomo greco, Laterza, Bari 1991, p.154.<br />

56<br />

JAEGER, W., Paideia. La formazione dell’uomo greco, Bompiani, Milano 2003, p.486.<br />

“E‟ particolarmente caratteristico come la donna, per la prima volta, si affacci, pienamente<br />

equiparata all‟uomo, quale rappre<strong>se</strong>ntante dell‟umanità. Le numero<strong>se</strong> figure di donna di<br />

33


Il conflitto in termini generali può avvenire:<br />

-tra più eroi che si scontrano portando avanti ogniuno la propria verità, la<br />

propria legge;<br />

-all‟interno dello stesso eroe combattuto da forze esterne<br />

-esteriormente inteso come conflitto materiale e grossolano. 57<br />

Nell‟Antigone sono espressi tutti i più profondi conflitti della condizione<br />

umana, manifestati in termini di opposizione: l‟opposizione uomo-donna;<br />

vecchiaia-giovinezza; società-individuo; vivi-morti; uomini-divinità. 58 Si<br />

tratta comunque di un dramma singolo che ha per oggetto l‟azione umana e<br />

il con<strong>se</strong>guente dolore che si abbatte su di un personaggio per poi spargersi a<br />

macchia d‟olio sull‟intera stirpe.<br />

Il dramma di Antigone<br />

Il dramma di Antigone ha origini molto lontane. Tutto prende le mos<strong>se</strong> dai<br />

mali inviati da Zeus sulla casa dei Labdacidi.<br />

Il re di Tebe, Laio, innamoratosi di un bellissimo fanciullo di nome Crisippo<br />

lo violentò e lo rapì, subendo così una profonda maledizione: non avrebbe<br />

mai dovuto concepire un figlio, altrimenti, <strong>se</strong> lo aves<strong>se</strong> fatto, sarebbe stato<br />

ucciso proprio da lui.<br />

Laio sposa Giocasta, ed ha un figlio: Edipo. Ricordandosi della maledizione<br />

di Zeus, decide di abbandonarlo su un monte e di dargli morte. In verità<br />

Sofocle – Antigone Elettra Deianira Tecmessa Giocasta, <strong>se</strong>nza contare personaggi<br />

<strong>se</strong>condari quali Clitennestra Ismene Cristotemide – fanno apparire nella luce più viva<br />

l‟altezza e l‟ampiezza dell‟umanità sofoclea.”<br />

57 Cf. D‟AMICO, S., Storia del teatro drammatico, Garzanti, Milano1968, p.4.<br />

58 Cf. STEINER,G., Le Antigoni, Garzanti, Milano 1990, p.260.<br />

34


Edipo, all‟insaputa del re, viene salvato dalla morte e cresciuto lontano dalla<br />

reggia. Una volta cresciuto, per una <strong>se</strong>rie di sventure e per l‟ardente brama<br />

di conoscere <strong>se</strong> stesso, uccide il padre, risolve l‟enigma della sfinge e sposa<br />

la madre. Egli vive così molti anni come sovrano di Tebe e figlio-marito di<br />

Giocasta generando quattro figli Antigone, Ismene, Eteocle e Polonice fino<br />

a che conosciuta la verità, dapprima ignorata, non si acceca e dopo tanto<br />

pellegrinare con la figlia Antigone muore alla reggia di Te<strong>se</strong>o.<br />

E qui comincia l‟Antigone. Il trono di Tebe è ora di Creonte, fratello di<br />

Giocasta. Eteocle e Polinice muoiono entrambi in uno scontro e Creonte<br />

vieta di <strong>se</strong>ppellire Polinice, traditore della patria. Antigone va contro l‟editto<br />

in nome delle leggi divine che impongono di <strong>se</strong>ppelire un fratello-uomo<br />

morto e così facendo va consapevolmente incontro alla morte, Creonte<br />

capisce troppo tardi i propri sbagli, determinando così il suicidio del figlio<br />

Emone, promesso sposo di Antigone, e della moglie Euridice.<br />

Antigone pur compiendo un atto pio e in linea con il principio divino è<br />

punita dagli dei: “non per sé, non per alcuna sua colpa era per<strong>se</strong>guitata dagli<br />

dei Antigone. Ma altri aveva commesso orrende colpe; e le colpe degli altri<br />

ora ricadevano su di lei. Era erede di antichi mali Antigone: era figlia di<br />

Edipo, il parricidia che aveva sposato sua madre; discendeva da Laio, il re<br />

colpevole che aveva voluto uccidere il figlio da lui stesso nato. Non<br />

Antigone era colpita dagli dei, ma, in Antigone, la colpevole casa dei<br />

Labdacidi.” 59<br />

Ciò che emerge nel mito è proprio la difficoltà dei personaggi di accettare i<br />

limiti, che cercano di abbattere con l‟hybris, la smoderatezza, l‟arroganza, il<br />

narcisimo che, nella sua onnipotenza, sovrasta le leggi degli dei,<br />

condannando l‟uomo alla sua distruzione, così come è accaduto a Laio, a<br />

Edipo e a Creonte. I conflitti irrisolti dei padri sono trasferiti sui figli, le<br />

59 MADDALENA, A., Sofocle, Ed. di Filosofia, Torino 1959, p.78.<br />

35


maledizioni che si abbattono su un uomo, si abbattono sull‟intera stirpe, le<br />

colpe si tramandano per generazioni, fino a che essa non si esaurisce del<br />

tutto. “Antigone è per natura destinata, possiamo anzi dire prescelta per il<br />

suo calvario, ché la sofferenza consapevole diviene una nuova nobiltà che le<br />

è propria (…) soltanto nel dolore, anzi persino nell‟annientamento totale<br />

della sua felicità terrena, il personaggio tragico, in Sofocle, si eleva a vera<br />

grandezza umana.” 60<br />

60 JAEGER, W., Paideia. La formazione dell’uomo greco, Bompiani, Milano 2003, p.487<br />

sgg.<br />

36


) L’ attore<br />

Il conflitto, avvenendo sulla scena, può dirsi vitalmente agito perché<br />

l‟autore scompare dietro le parole degli attori, che, per mezzo del dialogo,<br />

vivono sulla scena, conferendo all‟opera un carattere di apparente<br />

obbiettività. 61 Inizialmente l‟autore e l‟attore erano la stessa persona, non<br />

c‟era distinzione di ruoli tra i due. L‟autore recitò nelle proprie opere finchè<br />

Sofocle, introducendo un terzo attore, rinunciò definitivamente a questa<br />

pratica largamente utilizzata.<br />

La maschera<br />

Gli attori all‟epoca dell‟Antigone erano pochi e per riuscire ad<br />

impersonificare tutti i personaggi utilizzavano la maschera, si suppone, per<br />

e<strong>se</strong>mpio, che nel dramma sofocleo, uno stesso attore faces<strong>se</strong> sia Antigone<br />

che Emone.<br />

La maschera è un elemento di continuità con i riti primitivi e antichi. Essa<br />

produce sull‟individuo che la indossa una completa compenetrazione con la<br />

natura, nascondendone la fisionomia o i tratti personali (cioè ciò per cui ci<br />

differenziamo dagli altri assumendo una nostra identità), con<strong>se</strong>nte una piena<br />

alienazione della personalità. La maschera non è solo un simbolo di<br />

qualcosa ma qualcosa che è totalmente ciò che vuole simboleggiare.<br />

Dioniso, il dio a cui è legata la nascita del teatro, è il dio della maschera.<br />

Questo suggerisce che la maschera rimanda alla pre<strong>se</strong>nza del divino tra gli<br />

uomini e che l‟attore mascherato può esperire la fusione con diver<strong>se</strong><br />

identità, generi, sfumature dell‟umano e che questa fusione in realtà può<br />

61 Cf. D‟AMICO, S., Storia del teatro drammatico, Garzanti, Milano 1968, p.4.<br />

37


es<strong>se</strong>re intesa come la “rappre<strong>se</strong>ntazione a carattere mimetico dei miti in<br />

forma drammatica.” 62<br />

Ma per quale motivo gli attori indossavano la maschera? Oltre a<br />

testimoniare un‟origine religiosa e ritualistica della tragedia, la maschera<br />

aveva dei vantaggi non indifferenti per la rappre<strong>se</strong>ntazione. I teatri allora<br />

distavano <strong>almeno</strong> diciotto metri dalla prima fila del pubblico e novanta<br />

dall‟ultima, a questa distanza ovviamente la maschera con<strong>se</strong>ntiva di<br />

riconoscere immediatamente il personaggio e data la carenza degli attori,<br />

permetteva di cambiare rapidamente la propria identità.<br />

Le parole<br />

Se la rappre<strong>se</strong>ntazione a carattere mimetico avviene tramite la maschera e<br />

vedremo più avanti come avviene anche <strong>se</strong>nza di essa, la forma drammatica<br />

avviene per mezzo dei dialoghi tra i personggi. Il dialogo è fatto di parole e<br />

silenzi. E‟ “l‟elemento portante e qualificante della prassi educativa” 63 ,<br />

permette all‟attore, che è profondamente calato al suo interno, di vivere in<br />

una dimensione edificante, che esisterà solo nella misura in cui l‟attore<br />

riuscirà a dar vita al suo personaggio.<br />

Nell‟epoca di Sofocle ciò che aveva massimamente importanza non era<br />

tanto la lettura quanto piuttosto la parola viva che nasceva dall‟uso della<br />

voce umana. Ciò che permetteva all‟attore di es<strong>se</strong>re tale era il<br />

perfezionamento della voce che richiedeva allenamento, digiuni e una<br />

continua messa alla prova per riuscire a farsi udire nel teatro <strong>se</strong>nza bisogno<br />

62 VERNANT, J.P., L’uomo greco, Laterza, Bari 1991, p.205.<br />

63 DUCCI, E., Approdi dell’umano. Il dialogare minore, Anicia, Roma 1992, p.86. “Ogni<br />

incontro vero e profondo tra persone è dialogo, ma non ogni dialogo è incontro(…) – il<br />

dialogo- riguarda tutti <strong>se</strong>nza eccezione, <strong>se</strong>gna i punti alti del rapporto umano, è collegato<br />

con la verità e l‟amore ma in modo indefinibile, non è una realtà parziale ma di quelle<br />

capaci di impressionare tutto l‟es<strong>se</strong>re.”<br />

38


di gridare, per avere chiarezza, buona dizione e finezza di timbro. L‟attore<br />

doveva avere anche una certa elasticità che gli con<strong>se</strong>ntiva di cambiare voce,<br />

adattarsi ad ogni movimento interiore del personaggio e cambiare a <strong>se</strong>conda<br />

che il personaggio fos<strong>se</strong> giovane, vecchio o una donna.<br />

La parola viva era paideia, etica, politica, comunicazione, divertimento,<br />

persuasione, corruzione, tutto ciò che poteva far parte della vita umana<br />

veniva trasmesso oralmente. Così la Tragedia si avvaleva dello strumento<br />

proprio con cui i Greci solevano trasmettersi tutte le co<strong>se</strong> di grande valore.<br />

La parola in effetti è il mezzo più rapido ed efficace per dire qualcosa a<br />

qualcuno, per toccare di quel qualcuno la <strong>se</strong>mpre taciuta interiorità.<br />

Eppure una parola può assumere significati differenti a <strong>se</strong>conda che venga<br />

espressa da un personaggio piuttosto che da un altro. Questo è in effetti ciò<br />

che avviene nell‟opera sofoclea per quanto concerne il termine “Legge”.<br />

Creonte parla la lingua della temporalità e identifica la Legge con le leggi<br />

che governano lo stato e regolano le condotte della polis, Antigone parla<br />

soffiando sull‟eternità, es<strong>se</strong>ndo in contatto con una trascendenza che<br />

illumina una Legge che è in accordo o direttamente ispirata dal principio<br />

divino. I due interlocutori si parlano <strong>se</strong>nza mai incontrarsi, come <strong>se</strong> ogniuno<br />

<strong>se</strong>ntis<strong>se</strong> la sua posizione talmente assoluta da non con<strong>se</strong>ntire il dialogo con<br />

l‟altro ma solo uno scontro in cui i diversi valori, quelli riguardanti l‟ordine<br />

civico e quelli appartenenti all‟ordine cosmico, entrano in collisione. 64<br />

64 Cf. STEINER, G., Le Antigoni, Garzanti, Milano 2003, p.276 sgg.<br />

39


c) Lo spettatore<br />

Nella Poetica, Aristotele scrive l’imitare è connaturato agli uomini fin da<br />

bambini, ed in questo l’uomo si differenzia dagli altri animali perché è<br />

quello più proclive ad imitare e perché i primi in<strong>se</strong>gnamenti <strong>se</strong> li procaccia<br />

per mezzo dell’imitazione. 65 Se l‟imitazione ovvero la mìmesis è connaturata<br />

agli uomini, gli spettatori nel vedere una tragedia, che è gia imitazione di<br />

una nobile azione proveranno terrore e pietà così da es<strong>se</strong>re purificati dalle<br />

passioni. Affinchè ciò accada è necessario che il racconto sia costruito in<br />

modo che colui che ascolta, viva questi <strong>se</strong>ntimenti anche <strong>se</strong>nza vedere la<br />

scena e inoltre che l‟imitazione avvenga per mezzo delle azioni.<br />

Ma quali sono le azioni che suscitano a guardarle terrore e pietà?<br />

Innanzitutto un‟azione è orrenda e suscita pietà <strong>se</strong> invece di avvenire tra<br />

estranei o tra nemici, avviene tra amici o parenti: figli uccisi da genitori<br />

come nel caso di Medea, o Edipo che uccide il padre, o fratelli che uccidono<br />

fratelli come Eteocle e Polinice, si tratta <strong>se</strong>mpre di omicidio reso<br />

agghiacciante dal legame di sangue. Inoltre i personaggi possono es<strong>se</strong>re<br />

pienamente consapevoli come Medea; agire, <strong>se</strong>nza sapere la reale sostanza<br />

di quel gesto e scoprirlo solo dopo come Edipo; stare per compiere un gesto<br />

ma poi riconoscendo la vittima esimersi dall‟attuarlo come nel caso di<br />

Emone che sta per uccidere Creonte e poi uccide <strong>se</strong> stesso. Comunque la<br />

modalità più efficacie per imprimersi negli ascoltatori è quello che ritrae<br />

colui che agisce <strong>se</strong>nza avere coscienza dell‟entità del suo gesto, scoprendolo<br />

poi soltanto successivamente. 66 Il processo che viene così suscitato<br />

dall‟attore che recita il personaggio è chiamato catarsi ed è una sorta di<br />

purgazione che libera gli spettatori dal peso delle loro passioni. Vedendo<br />

65 ARISTOTELE, Poetica, 1448b 6, trad. Bompiani, Milano 2000.<br />

66 Cf. Op. cit., 1453b sgg.<br />

40


agite le loro stes<strong>se</strong> passioni sulla scena essi non hanno bisogno di<br />

manifestarle nella vita perché per mezzo della mìmesis le hanno già vissute<br />

con il personaggio, cosicchè possono prenderne coscienza e liberare<br />

l‟anima. “Lo spettatore, assistendo allo spettacolo tragico, vede obiettivate<br />

fuori di sé, innanzi a sé, le torbide passioni che più o meno confusamente<br />

s‟agitano anche al fondo dell‟animo suo; e, così obbiettivandole e<br />

contemplandole dall‟esterno, <strong>se</strong> ne libera.” 67 Ecco perché il Teatro è così<br />

potente.<br />

Per comprendere meglio ciò che dice Aristolele ci affidiamo ad una bella<br />

immagine dello Ione platonico. Qui si parla di una pietra che ha particolari<br />

poteri che è il Magnete o Eraclea:<br />

E infatti questa pietra non solo attrae gli stessi anelli di ferro, ma infonde<br />

agli anelli anche una forza tale che permette loro di e<strong>se</strong>rcitare a loro volta<br />

questo stesso potere e<strong>se</strong>rcitato dalla pietra, cioè di attrarre altri anelli, di<br />

modo che talvolta si forma una fila assai lunga di anelli di ferro collegati<br />

l’uno con l’altro, ma per tutti questi la forza dipende da quella della<br />

pietra. 68<br />

I poteri di questa pietra sono paragonati alla forza del dio che dall‟autore<br />

passa all‟attore e infine allo spettatore provocando come effetto quello di<br />

trascinare le anime degli uomini ovunque egli voglia. L‟attore quando recita<br />

un fatto pietoso o terribile, è privo di coscienza, piange o gli batte forte il<br />

cuore per paura, così anche lo spettatore subirà gli stessi effetti e ciò sarà<br />

67 D‟AMICO, S., Storia del teatro drammatico, Garzanti, Milano 1968, p.27.<br />

68 PLATONE, Ione, Newton, Roma 1997, 533d –e.<br />

41


<strong>se</strong>nz‟altro pericoloso perché così come l‟attore quando recita è fuori di sé,<br />

così lo saranno anche gli spettatori con effetti totalmente incontrollabili. 69<br />

La preoccupazione di Platone è <strong>se</strong>nz‟altro valida nel caso in cui il teatro non<br />

fornis<strong>se</strong> belle immagini, perdendo così la sua finalità paideica. Se invece le<br />

immagini proposte sono belle, come nel caso della tragedia di Sofocle, e gli<br />

attori riescono a dar vita intensamente al personaggio, allora gli effetti non<br />

possono che es<strong>se</strong>re altrettanto belli.<br />

Libertà?<br />

In questo modo <strong>se</strong> supponiamo che la libertà sia un insieme di aretè, e che<br />

queste aretè siano azioni agite a pieno dal personaggio di Antigone e<br />

dunque anche pos<strong>se</strong>dute da quel particolare carattere, allora quell‟attore che<br />

la interpreterà sarà egli stesso educato alla libertà, contribuendo, come<br />

anello, alla paideia dello spettatore.<br />

69 Cf. Op. cit., 535b sgg.<br />

42


Capitolo terzo<br />

ESSERE LIBERI PER UMANARSI<br />

1. Il Teatro è paideia<br />

Abbandoniamo la Grecia, i grandi teatri sulle pendici dell‟Acropoli, i<br />

costumi, le maschere, percorriamo tutte le epoche storiche fino ad oggi,<br />

lasciando solamente l‟attore e il suo testo che è l‟Antigone di Sofocle.<br />

L‟attore, nella sua evoluzione, è stato spesso visto con sospetto morale: si<br />

racconta infatti che Solone, dopo aver assistito ad una tragedia, chiedes<strong>se</strong><br />

con sdegno come quell‟uomo non si vergognas<strong>se</strong> nel mentire a quel modo<br />

fingendo di es<strong>se</strong>re più personaggi che non erano lui stesso. L‟hypocritès,<br />

ovvero l‟attore, nato come un risponditore del coro è andato via via<br />

designando l‟ipocrita, il mentitore, colui che potrebbe dire qualunque cosa<br />

tranne che la verità. 70<br />

A questo punto verrebbe da chiedersi ma l‟attore è davvero un mentitore, un<br />

ipocrita?<br />

Per rispondere sarebbe bello rinnovare ciò che Pirandello esprime in<br />

Trovarsi e cioè che l‟attore non è colui che finge nella vita ma chi vive sulla<br />

scena.<br />

70 Cf. D‟AMICO, S., Storia del teatro drammatico, Garzanti, Milano 1968, p.17.<br />

43


Perché finzione? No. E’ tutta vita in noi. Vita che si rivela a noi stessi. Vita<br />

che ha trovato la sua espressione. Non si finge più, quando ci siamo<br />

appropriata questa espressione fino a farla diventare febbre dei nostri<br />

polsi…lagrima dei nostri occhi, o riso della nostra bocca… 71<br />

Ma come si fa a vivere sulla scena?<br />

Innanzitutto “la scena deve es<strong>se</strong>re per l‟attore un po‟ quel che la costruzione<br />

architettonica di una fontana è per i getti che la animano: essa trae vita dal<br />

giuoco di quei getti, ma quei getti a loro volta si giovano di quella forma<br />

stabile su cui la loro danza prende carattere e valore.” 72<br />

Chiariamo comunque meglio che cos‟è questa scena che chiamiamo Teatro<br />

e qual‟è il suo <strong>se</strong>nso.<br />

“Il Teatro non è l‟imitazione della realtà contingente del vivere umano. La<br />

vita negli uomini rischia <strong>se</strong>mpre di smorire, di divenir qualcosa che soltanto<br />

in <strong>se</strong>nso biologico può dirsi, appunto, vita. Il Teatro svela ai viventi la verità<br />

del vivere. Se non orientato l‟uomo vive una vita apparente, ovvero vive<br />

soltanto l‟apparenza delle realtà con cui si relaziona. Così per l‟amore, per<br />

la libertà, per la felicità, per la creatività, per la giustizia, per la lealtà, per la<br />

<strong>se</strong>rietà…” 73<br />

Dunque il Teatro parla di verità del vivere, concede la possibilità di vedere<br />

la vita più da vicino, con maggior pazienza e dedizione, cercando anche di<br />

avvicinare l‟uomo al perfezionamento del suo es<strong>se</strong>re. L‟uomo lasciato a <strong>se</strong><br />

stesso regredisce verso la bestialità, svilendo il suo es<strong>se</strong>re uomo e<br />

immi<strong>se</strong>rendo la propria esistenza. Se egli infatti non è costretto a vedere la<br />

71 PIRANDELLO, L., Trovarsi, Oscar Mondadori, Milano 1993, p.124.<br />

72 ORAZIO COSTA in COLLI, G.G., Una pedagogia dell’attore. L’in<strong>se</strong>gnamento di<br />

Orazio Costa, Bulzoni, Roma 1996, p.76.<br />

73 SCARAMUZZO, G., Un teatro nuovo?, in pubblicazione.<br />

44


ealtà con tutta l‟anima, rischia di vedere vana apparenza, di svuotare la vita<br />

di significato, così come anche le stes<strong>se</strong> parole che parlano della vita vera<br />

come “amore” “libertà” “felicità” “creatività” “giustizia” “lealtà” “<strong>se</strong>rietà”,<br />

tutte parole vuote che non hanno risonanza interiore. Il Teatro non è il<br />

ritratto della realtà ma è un accentuarne i tratti migliori, quelli più<br />

raffinatamente umani affinchè gli uomini, specchiandosi, trovino il<br />

miglioramento di loro stessi nell‟immagine proposta sulla scena. Il Teatro è<br />

una qualificazione di quel teatro che è connaturato all‟uomo e che ne<br />

caratterizza il vivere, è uno “spettacolo dell‟anima” 74 che ama farsi<br />

guardare.<br />

Il Teatro si può definire come:<br />

“quel luogo sia fisico sia spirituale<br />

dove degli es<strong>se</strong>ri umani (alcuni dei quali necessariamente pre<strong>se</strong>nti in carne<br />

ed ossa)<br />

parlano dell‟es<strong>se</strong>re umano<br />

ad altri es<strong>se</strong>ri umani (pre<strong>se</strong>nti in carne ed ossa nello stesso luogo)<br />

umanandosi e contribuendo all‟umanazione<br />

di tutti coloro che partecipano in comunione<br />

in quel luogo.” 75<br />

74 Op. cit. L‟espressione è usata da Copeau in una lettera indirizzata a Stanislaskij: “Non<br />

spetta a me celebrare la sua arte, dire con quale geniale intuizione sa insinuare nei<br />

movimenti della scena, nel minimo silenzio della più fuggitiva parola, la pulsazione intima<br />

della vita, come sa conferire grandezza e significato ai rapporti più <strong>se</strong>mplici tra gli es<strong>se</strong>ri<br />

umani, ai gesti più quotidiani, alle sfumature più misterio<strong>se</strong> della <strong>se</strong>nsibilità, infine come fa<br />

del dramma, <strong>se</strong>guendo una definizione che mi è cara, lo spettacolo dell‟anima.” In un tale<br />

teatro tutto tende alla formazione umana: Teatro umano e umanante.<br />

75 Op. cit.<br />

45


Ovviamente il Teatro di cui si parla è quello con la T maiuscola, quello che<br />

oggi vuole parlare agli uomini come avveniva in Grecia, quello che torna a<br />

celebrare la sacralizzazione dell‟uomo per dire i suoi moti e le sue forme, il<br />

Teatro che torna alla paideia in cui trova la ragione del suo esistere. Il <strong>se</strong>nso<br />

del Teatro è nella paideia. Jacques Copeau per primo <strong>se</strong>ntì l‟esigenza di<br />

rinnovare il Teatro e capì che per farlo bisognava partire da un certo<br />

“capriccio superiore dello spirito”. Egli stesso descrivendo il suo approdo al<br />

Teatro scrive:<br />

“E‟ a causa di quei giochi che hanno riempito la mia infanzia, poi tutto il<br />

tempo libero della mia giovinezza, quei giochi dove si mescolavano verità e<br />

poesia, e per ritrovarli e per continuarli, io credo proprio, che, es<strong>se</strong>ndomi<br />

innamorato del teatro nello stesso tempo che della vita, io me ne sono<br />

avvicinato tardivamente, chiedendogli for<strong>se</strong> più di quanto non potes<strong>se</strong><br />

darmi. Ed è <strong>se</strong>nza dubbio perché niente di impuro, niente di grossolano né di<br />

brutale offendes<strong>se</strong> queste fantastiche magie che avevo sognato, che ho<br />

voluto disfare e ricomporre lo strumento del teatro, come un bambino<br />

smonta il suo giocattolo, al fine di distoglierlo, per così dire, dal suo <strong>se</strong>nso<br />

primo, dalla sua banale accezione, e di costringerlo a diventare il <strong>se</strong>gno ben<br />

visibile di un capriccio superiore dello spirito.” 76<br />

Un teatro puro, prezioso che, distolto dalla banalità, aves<strong>se</strong> a che fare con lo<br />

spirito, un teatro che aves<strong>se</strong> l‟uomo e la sua formazione come oggetto<br />

primario d‟attenzione. Formando una bella umanità si sarebbe formato un<br />

bell‟attore che a sua volta avrebbe fatto un bel Teatro. La voce che<br />

riecheggia in questa pedagogia dell‟attore è una delle più <strong>se</strong>mplici eppur<br />

76 BOGGIO, M., Il corpo creativo. La parola e il gesto in Orazio Costa, Bulzoni, Roma<br />

2001, p.32.<br />

46


misterio<strong>se</strong>: “l‟umanità dell‟uomo fa il Teatro, e il Teatro fa l‟umanità<br />

dell‟uomo.” 77<br />

Formare un uomo nuovo, un individuo dignitoso, che sappia esprimere, con<br />

profonda sincerità, ciò che vuole dire l‟autore, catturandone il movimento<br />

interiore;<br />

“realizzare un teatro non toccato da banalità, interpretato da attori la cui<br />

educazione non prescinde dalla loro formazione di uomini, prima che da<br />

quella di artisti, in una linea ininterrotta che unisce l‟umanità e l‟arte- dove<br />

la differenza si realizza soltanto nel diverso grado di affinamento delle<br />

qualità espressive- che parte da una creatività personale, fino ad arrivare alla<br />

creatività rivolta alla parola poetica.” 78 In effetti <strong>se</strong> si educa un uomo si<br />

forma anche un possibile artista, poiché l‟artista è <strong>se</strong>nz‟altro un umanità<br />

perfettamente riuscita. Perciò differentemente da ogni altra arte, ciò che<br />

caratterizza l‟arte dell‟attore è il suo es<strong>se</strong>re uomo, pos<strong>se</strong>dere in modo<br />

elevatissimo tutte le potenzialità espressive e lavorare proprio su di un<br />

materiale costituito da <strong>se</strong> stesso in quanto appunto uomo. 79<br />

77 SCARAMUZZO, G., Un teatro nuovo?, in pubblicazione.<br />

78 BOGGIO, M., Il corpo creativo. La parola e il gesto in Orazio Costa, Bulzoni, Roma<br />

2001, p. 34.<br />

79 Cf. Op. cit., p. 112 sgg.<br />

47


2. In-tendere l’autore<br />

Per addentrarci nel testo di un autore, dobbiamo fare in modo che il nostro<br />

zaino non sia pesante, abbandonare ogni tentazione di giudicare, inglobare,<br />

fissare; e che i nostri passi siano cadenzati e lenti, avere la volontà di<br />

camminare e la pazienza di farlo <strong>se</strong>guendo fedelmente il nostro tempo. Non<br />

ci si può avvicinare ad un autore restandone distanti, come freddi<br />

os<strong>se</strong>rvatori o ancor peggio critici ingenui, né for<strong>se</strong> possiamo velocizzare<br />

troppo la nostra andatura saltando per non inciampare, possiamo solo<br />

accostare il suo cammino, amarlo profondamente, con passione e dedizione,<br />

per assaporare in noi tutta la ricchezza della sua verità. Certo è che non si<br />

tratta di un processo passivo, ma è necessario volere, per far rivivere:<br />

“Si tratta di fare appello alle proprie risor<strong>se</strong> per produrre in noi una mimesi<br />

con l‟autore che possa con<strong>se</strong>ntire il rivivere, il giungere, cioè, ad attivare<br />

tutte le fibre del nostro es<strong>se</strong>re, tutte le nostre energie spirituali nell‟incontro<br />

vitale.” 80<br />

La volontà è <strong>se</strong>mpre il motore:<br />

Volere per creare;<br />

Ma creare che cosa? Creare una mimesi con l‟autore cioè volere il volere<br />

dell‟altro;<br />

Come? Attivando tutte le fibre del nostro es<strong>se</strong>re per volere un'unica<br />

direzione;<br />

Perché? Per con<strong>se</strong>ntire il rivivere cioè volere il volere dell‟altro come esso<br />

si vuole in me;<br />

80 SCARAMUZZO, G., In-tendere. L’umana sophia di Luigi Pirandello, Anicia, Roma<br />

2005, p.15.<br />

48


Arrivando così all‟incontro vitale in cui si vuole la verità. Si arriva ad in-<br />

tendere 81 , a tendere-in, cioè verso l‟altro, con tutta la nostra verità verso la<br />

sua verità.<br />

L‟autore nel compiere la sua arte è mosso da un impulso creativo,<br />

incontenibile, egli non può non scrivere e proprio per questo è un artista.<br />

Rilke esplica bene questo temperamento artistico quando scrive al giovane<br />

poeta che gli invia versi chiedendo un suo parere:<br />

Nessuno può darle consiglio o aiuto, nessuno. Non v’è che un mezzo.<br />

Guardi dentro di sé. Si interroghi sul motivo che le intima di scrivere;<br />

verifichi <strong>se</strong> esso protenda le radici nel punto più profondo del suo cuore;<br />

confessi a <strong>se</strong> stesso: morirebbe, <strong>se</strong> le fos<strong>se</strong> negato di scrivere? Questo<br />

soprattutto: si domandi, nell’ora più quieta della sua notte: “devo”<br />

scrivere? Frughi dentro di sé alla ricerca di una profonda risposta. E <strong>se</strong><br />

sarà di as<strong>se</strong>nso, <strong>se</strong> lei potrà affrontare con un forte e <strong>se</strong>mplice “Io devo”<br />

questa grave domanda, allora costruisca la sua vita <strong>se</strong>condo questa<br />

necessità. 82<br />

L‟autore, dunque, <strong>se</strong> è un artista nel <strong>se</strong>nso pieno come ci viene qui<br />

pre<strong>se</strong>ntato allora sarà costretto a scrivere per un bisogno spirituale che non<br />

può ovviare in alcun modo: deve assolutamente esprimere la propria<br />

particolare visione del mondo, il proprio <strong>se</strong>ntire pneumatologico con cui si<br />

dispiega tutto il suo es<strong>se</strong>re. Ciò significa mantenere quella primitività che<br />

81 L‟in-tendere è usato in relazione alla lettura che Gilberto Scaramuzzo dà della poetica di<br />

Luigi Pirandello. Op. cit., p.113: “L‟atto dell‟intendere (…) non è un atto del conoscere ma<br />

un atto del volere. Procedendo un poco oltre il nostro indagare non tardiamo a scoprire<br />

trattarsi di un atto particolare del volere: un atto d‟amore; e, inoltre, di un atto libero, perché<br />

il principio è tutto interno al soggetto che opera l‟intendere.”<br />

82 RILKE, R.M., Lettere a un giovane poeta, Oscar Mondadori, Milano 1994, p.38.<br />

49


consiste nell‟obbligatorietà di “con<strong>se</strong>rvare, sotto il prezioso accumulo<br />

culturale, il tessuto vivo del proprio pensare e <strong>se</strong>ntire, del proprio avvertire e<br />

percepire, dell‟apprezzare, godere e intravedere, e della singolarità del<br />

proprio esprimere.” 83<br />

Così per in-tendere l‟autore dobbiamo attuare in noi lo stesso movimento<br />

spirituale, vitale, che ha fatto lui per creare, addentrarci con il nostro<br />

particolare e unico <strong>se</strong>ntire nel <strong>se</strong>ntire dell‟altro, soffrendo in tal mondo<br />

profondamente l‟uomo. Questo processo è faticoso e richiede<br />

l‟indispensabile responsabilità del soggetto che sceglie di volere, sceglie di<br />

soffrire la propria e l‟altrui verità e di troverne il <strong>se</strong>nso nel soffrire di ogni<br />

umanità. Soffrire la propria umanità e quella degli altri come <strong>se</strong> fos<strong>se</strong> la<br />

nostra, <strong>se</strong>nza restarne incastrati, come <strong>se</strong> ci appartenes<strong>se</strong> per il <strong>se</strong>mplice<br />

fatto di es<strong>se</strong>re uomini, e muovere da lì la nostra edificazione di attori:<br />

creare. 84<br />

Il lavoro dell‟attore che si accinge ad entrare in un testo, per poter parlare da<br />

uomo agli altri uomini, è innanzitutto corporeo, poiché tramite<br />

l‟immedesimazione, la mimesi, <strong>se</strong>ntire il <strong>se</strong>ntire dell‟altro, si attua una<br />

trasposizione antropomorfica o antropomorfizzazione, in cui egli cercherà di<br />

cogliere il riflesso mimico che sta alla ba<strong>se</strong> della creazione poetica,<br />

83 DUCCI, E., Approdi dell’umano. Il dialogare minore, Anicia, Roma 1992, p.28. Ancora<br />

più ampiamente sull‟importanza della primitività: “Della realtà educativa – presa nel <strong>se</strong>nso<br />

latissimo di perfettibilità o sviluppo affermativo del soggetto-, tutti hanno un‟esperienza,<br />

positiva o negativa, legata al processo del vivere, soprattutto del vivere interiore. Di essa,<br />

perciò, ogni es<strong>se</strong>re umano dovrebbe avere un suo <strong>se</strong>ntito reale(…). Tale <strong>se</strong>ntito è prezioso,<br />

va custodito e salvaguardato. Esso facilita un avvertimento interiore, che può avere un buon<br />

potere decondizionante, che nelle situazioni vitali agevola il discernimento del trasbordare<br />

delle ideologie o delle dottrine oggettivate in genere avvalendosi di un <strong>se</strong>nso primario di<br />

soddisfazione o insoddisfazione, stato di benes<strong>se</strong>re o di males<strong>se</strong>re, <strong>se</strong>nso di ariosità o di<br />

soffocamento, di unificazione o frantumazione interiore, etc. Non appesantito dai risultati<br />

degli altri, ma da essi avvantaggiato, è dunque chi salva questa primitività dal rigor mortis,<br />

l‟ascolta consapevole della sua funzione, ne vaglia impietosamente lo stato: in una parola la<br />

spende bene, sia nel vivere sia nell‟indagare sull‟educativo e scrivere di esso.”<br />

84 Cf. SCARAMUZZO, G., In-tendere. L’umana sophia di Luigi Pirandello, Anicia, Roma<br />

2005, p.17 sgg. “La vita è creazione continua, e l‟arte ne è la sua pura manifestazione.”<br />

50


l‟urgenza spirituale che è sbocciata nell‟anima del poeta. Se il poeta ha<br />

usato una parola per dire una realtà noi dobbiamo prima contattare<br />

esattamente quella realtà che nel poeta si è fatta parola, andando a ritroso<br />

fino all‟impulso originario che ha determinato quella creazione.<br />

L‟interpretazione a cui perviene l‟attore, è questo andare dalla parola<br />

all‟originario movimento per tornare alla parola.<br />

“Quante volte noi ci chiediamo: che cos‟è un attore? Nei riguardi della<br />

rappre<strong>se</strong>ntazione l‟attore è la materia per mezzo della quale si manifesta lo<br />

spirito dell‟autore, la materia più nobile e come tale la più ribelle. Materia<br />

umana, materia autonoma: strana contraddizione in termini: ma la realtà e <strong>se</strong><br />

vogliamo il dramma dell‟attore come uomo è proprio in questa<br />

contraddizione: es<strong>se</strong>re materia, cioè dover subire l‟impronta del genio altrui,<br />

es<strong>se</strong>re autonomo, cioè soffrire di questa imposizione o goderne, che è un po‟<br />

lo stesso - tale contrapposizione si risolve perché nel fondo dell‟attore c‟è -<br />

una potenzialità di vita, di attività, ricchissima, molteplice, che non attende e<br />

non vuole altro che la possibilità di manifestarsi.” 85<br />

Il poeta scrive perché ha un‟irrefrenabile voglia di esprimersi, un‟esigenza<br />

mimica, che deve farsi suono e linguaggio; l‟attore, d‟altro canto, ha questa<br />

potenzialità di vita che lo spinge a ritornare al nucleo di quel processo<br />

creativo, subendo l‟impronta del genio altrui, per riattualizzarlo in sé,<br />

<strong>se</strong>condo il proprio particolare modo di <strong>se</strong>ntire. In tal modo riducendo<br />

lentamente il movimento del corpo, egli fa sì che l‟urgenza mimica si<br />

85 ORAZIO COSTA in COLLI, G.G., Una pedagogia dell’attore. L’in<strong>se</strong>gnamento di<br />

Orazio Costa, Bulzoni, Roma 1996, p.76.<br />

51


esprima in lui per mezzo delle sole parole, vitalizzate proprio da quel<br />

lavoro. 86<br />

86 Cf. BOGGIO, M., Il corpo creativo. La parola e il gesto in Orazio Costa, Bulzoni, Roma<br />

2001, p.74.<br />

52


3. Il metodo mimico<br />

a) Immedesimarsi nella realtà 87<br />

“Os<strong>se</strong>rviamo un bambino che guarda intorno a sé: lo vediamo muoversi ed<br />

agitarsi in modo che solo superficialmente può <strong>se</strong>mbrare disordinato e<br />

inconcludente. In realtà ci possiamo avvedere che egli ha istintivamente<br />

individuato in ciò che fa l‟oggetto della sua attenzione capo, occhi, braccia,<br />

gambe, si tratti di un albero, di una <strong>se</strong>dia, di un uccello, di un qualunque<br />

giocattolo, e che muove le sue membra tutte e il suo viso in una stretta,<br />

anche <strong>se</strong> personale, individuale, corrispondenza, impos<strong>se</strong>ssandosi<br />

immediatamente del ritmo proprio dell‟oggetto, e rispecchiandone<br />

finalmente in sé un‟immagine allusiva.” 88<br />

L‟attore si differenzia dal bambino non tanto per l‟istinto mimico (che<br />

riscopre grazie ad una rieducazione mimica perché normalmente l‟uomo con<br />

l‟educazione viene mimicamente deprivato, limitato nei movimenti, nei<br />

gesti, nelle espressioni spontanee e così via) quanto per la creatività che è<br />

intesa come il grado di originalità dei rapporti tra oggetto e immagine<br />

riflessa.<br />

L‟attore affina le proprie qualità espressive <strong>se</strong>mplicemente<br />

immedesimandosi in ciò che lo circonda, sfruttando qualcosa di<br />

87 La spontanea capacità dell‟uomo di immedesimarsi nella realtà ha ultimamente trovato<br />

un riscontro scientifico nella scoperta compiuta da Giacomo Rizzolati dei “neuroni<br />

specchio”: “La grande novità di questa scoperta è l‟identificazione di un meccanismo<br />

neurale che potrebbe con<strong>se</strong>ntire il confronto diretto tra la descrizione <strong>se</strong>nsoriale (visiva o<br />

uditiva) di un‟azione e la sua e<strong>se</strong>cuzione. Questo meccanismo potrebbe rivelarsi cruciale<br />

per rappre<strong>se</strong>ntare le azioni degli altri nel proprio sistema motorio, e di con<strong>se</strong>guenza<br />

comprenderle in un modo piuttosto diretto o anche imitarle e apprendere.” (Risonanze e<br />

Imitazioni in Mente e cervello n.23, <strong>se</strong>tt. 2006).<br />

88 ORAZIO COSTA in COLLI, G.G., Una pedagogia dell’attore. L’in<strong>se</strong>gnamento di<br />

Orazio Costa, Bulzoni, Roma 1996, p.138.<br />

53


profondamente umano che è questa capacità di reagire alla realtà esterna,<br />

adeguandosi ad essa con tutto il proprio corpo e la propria anima fino a<br />

diventare in un suo proprio modo quella realtà.<br />

Guardando per e<strong>se</strong>mpio un mare mosso o un mare quieto la nostra<br />

interiorità cambia: siamo più agitati oppure <strong>se</strong>ntiamo un <strong>se</strong>nso di<br />

tranquillità, i nostri movimenti sono più o meno rapidi, le nostre parole più o<br />

meno nervo<strong>se</strong>. Insomma qualcosa in noi si sta immedesimando con ciò che<br />

vediamo.<br />

Si potrebbe dire che si tratta di un rispecchiamento, di un riflesso mimico<br />

istintivo, cioè di un contatto con la realtà, intimo e naturale, che è<br />

principalmente corporeo e che avviene con la stessa rapidità di un riflesso<br />

fisico.<br />

L‟attore cerca di perfezionare questo aspetto istintivo puramente umano con<br />

tutto il suo allenamento, e con la mimesi, diventa quella realtà attraverso una<br />

trasposizione antropomorfica di essa. Egli vede le co<strong>se</strong> e crea l‟immagine di<br />

quella particolare realtà diventando tutte le possibilità di quell‟incontro, in<br />

cui la mia umanità ne sposa un‟altra. E‟ un processo delicato che non<br />

avviene solo esteriormente, prendendo una forma fisica di un albero o un<br />

uccello ma in cui il corpo aderisce con tutte le fibre del proprio es<strong>se</strong>re al<br />

moto che <strong>se</strong>nte alla radice di quella realtà. 89<br />

“Ponendoci all‟aperto, davanti al mare, in montagna, in un bosco, davanti ad<br />

una cascata, sotto un cielo stellato, la nostra risposta è istintiva: diventiamo<br />

la cosa. Ma non è che diventiamo soltanto nella nostra immaginazione<br />

interiore: qualche cosa della nostra attività muscolare si adegua<br />

all‟immagine che abbiamo di fronte, «diventa!», ci <strong>se</strong>ntiamo effettivamente<br />

89 Cf. Op. cit., p.57 sgg.<br />

54


diventare, godiamo di questo diventare, qualche volta persino con un certo<br />

sgomento.” 90<br />

In questo modo possiamo effettivamente <strong>se</strong>ntire le co<strong>se</strong> nella loro realtà<br />

perché in noi es<strong>se</strong> si sono fatte e volute così come sono. Avendo avvertito in<br />

tal modo un contatto con la natura possiamo trasferire l‟attenzione da essa<br />

alla poesia per accogliere e rivivere le immagini del poeta.<br />

90 ORAZIO COSTA in BOGGIO, M., Il corpo creativo. La parola e il gesto in Orazio<br />

Costa, Bulzoni, Roma 2001, p.71.<br />

55


) Mimesi<br />

Nell‟avvicinarci al personaggio di Antigone u<strong>se</strong>remo il metodo mimico<br />

ideato da Orazio Costa Giovangigli, allievo di Copeau, e attualmente<br />

portato avanti a Roma da Gilberto Scaramuzzo. Il metodo mimico ha una<br />

duplice funzione: si può intendere sia come metodo di avviamento<br />

all‟espressione sia come metodo per l‟interpretazione teatrale. “Da una parte<br />

vuole recuperare nell‟uomo, potenziale attore ma anche potenziale artista in<br />

generale, quella attiva disponibilità al mondo, propria nel bambino nei primi<br />

anni di vita, che gli permetta di intuire e quindi conoscere qualsiasi<br />

manifestazione della realtà sforzandosi poi di darne un‟analoga immagine<br />

fisica, ed è questa, in pratica, la condizione di cui, <strong>se</strong>condo Costa, necessita<br />

l‟uomo per sviluppare qualsiasi attività artistica. Dall‟altra vuol permettere<br />

all‟attore in quanto uomo che ha raggiunto un certo grado di maturazione in<br />

quella che si può definire una rieducazione mimica, di interpretare qualsiasi<br />

immagine suggerita dal testo, che è pur <strong>se</strong>mpre natura, in quanto anche<br />

l‟immagine creata dall‟autore, così come l‟immagine fisica prodotta<br />

dall‟uomo, nasce sulla ba<strong>se</strong> dell‟istinto mimico: l‟interprete si sforza di<br />

rivivere il rispecchiamento mimico da cui è scaturita l‟immagine poetica,<br />

che di quel rispecchiamento ne è la trascrizione.” 91<br />

Il metodo si basa sulla mimesi cioè la capacità dell‟uomo di dar vita,<br />

movimento e voce ad un fenomeno os<strong>se</strong>rvato. In buona sostanza è<br />

accogliere liberamente dentro di noi l‟energia che proviene da quel<br />

determinato fenomeno e darle vita tramite il nostro corpo, rispettando i suoi<br />

ritmi e le sue forme.<br />

91 COLLI, G.G., Una pedagogia dell’attore. L’in<strong>se</strong>gnamento di Orazio Costa, Bulzoni,<br />

Roma 1996, p.116.<br />

56


Con l‟azione mimica “l‟uomo dà occhi, arti e voce ai fenomeni o alle co<strong>se</strong>,<br />

che in realtà non ne hanno.” 92<br />

Fare la mimesi è molto diverso dall‟imitare, perché l‟imitazione non ha<br />

nulla di interiore, è solo esteriorità. La mimesi è invece qualcosa di più<br />

intenso, una metamorfosi che avviene in noi e che ci permette di trasformare<br />

in ritmi umani ciò che invece umano non è: il mare, il cielo oppure una<br />

nuvola possono entrare in noi, muoverci <strong>se</strong>condo il loro movimento, che da<br />

noi è <strong>se</strong>mplicemente as<strong>se</strong>condato. Palpitiamo così in una danza dai ritmi<br />

inimmaginabili, così come essi risuonano nei nostri luoghi più reconditi.<br />

Tale possibilità avviene per un “antropomorfismo” di ciò che è natura o<br />

meglio un “angelotropismo” che ci permette cioè di afferrare l‟angelo delle<br />

co<strong>se</strong> esplicando una libertà di autotrasformazione che ci con<strong>se</strong>nte di<br />

ricondurre a noi l‟infinità della natura. E‟ un‟assimilazione, la <strong>se</strong>nsazione di<br />

un contatto <strong>se</strong>ntimentale tra le co<strong>se</strong> e me e tra me e le co<strong>se</strong>. 93<br />

Se tutto si può riprodurre in noi, allora si può es<strong>se</strong>re tutte le co<strong>se</strong>. Tale<br />

libertà è propria dell‟attore. L‟attore in effetti <strong>se</strong> vuole rappre<strong>se</strong>ntare dei<br />

personaggi <strong>se</strong>nza restarne imprigionato e <strong>se</strong>nza doverne escludere qualcuno<br />

(perché troppo lontano dal proprio modo di vivere, dalle proprie idee etc.),<br />

deve trovare in sé questa libertà che gli con<strong>se</strong>nta di assumere qualunque<br />

forma egli desideri.<br />

In un certo <strong>se</strong>nso la personalità dell‟attore con la mimesi si dilata, si allarga,<br />

impara ad accogliere ogni umanità così come ogni realtà <strong>se</strong>nza mai perdersi,<br />

altrimenti si finirebbe con lo scomparire nelle co<strong>se</strong>, naufragare in es<strong>se</strong>.<br />

Invece l‟attore resta <strong>se</strong>mpre pre<strong>se</strong>nte in quel movimento allo stretto, <strong>se</strong>ppur<br />

indispensabile, confine tra razionalità e a-razionalità.<br />

92 ORAZIO COSTA in Op. cit., p.229.<br />

93 Cf. Op. cit., p.142.<br />

57


Il personaggio torna così a vivere nell‟attore che ne fa la mimesi. L‟attore si<br />

accende e si conforma in un movimento del tutto disinteressato volto a<br />

ricercare la trasparenza, l‟es<strong>se</strong>re, il <strong>se</strong>mplice eppur inafferrabile mistero del<br />

vivere. E‟ un movimento questo che vibra di verità. E‟ un incontro prezioso<br />

tra due verità che riguarda la vita spirituale e quella relazionale in cui<br />

l‟umanità del personaggio ha un potere umanante sull‟umanità dell‟uomo e<br />

viceversa. 94 E‟ come <strong>se</strong> tra personaggio ed interprete si stabilis<strong>se</strong> un vero e<br />

proprio contatto interumano, intimo e sofferto come sanno es<strong>se</strong>re quei<br />

contatti colmi di compassione che penetrano nei labirinti della nostra verità<br />

sbrogliandone i nodi più arcani. Eleonora Du<strong>se</strong> 95 descris<strong>se</strong> il contatto con i<br />

suoi personaggi in una lettera al marche<strong>se</strong> d‟Arcais che merita d‟es<strong>se</strong>re<br />

citata:<br />

Quelle povere donne delle mie commedie mi sono talmente entrate nel cuore<br />

e nella testa che mentre io mi ingegno di farle capire alla meglio a quelli<br />

che mi ascoltano, quasi volessi confortarle, sono es<strong>se</strong> che adagio adagio<br />

hanno finito per confortar me!...Come- e perché- e da quando mi sia<br />

successo questo ricambio fra queste donne e me…sarebbe troppo lungo, e<br />

anche difficile per esattezza a raccontare. Io non guardo <strong>se</strong> hanno mentito,<br />

<strong>se</strong> hanno tradito, <strong>se</strong> hanno peccato- o <strong>se</strong> nacquero perver<strong>se</strong>- purchè io <strong>se</strong>nta<br />

94<br />

Cf. SCARAMUZZO, G., In-tendere. L’umana sophia di Luigi Pirandello, Anicia, Roma<br />

2005, p.27 sgg.<br />

95<br />

Eleonora Du<strong>se</strong> fu nel 1913 tra le prime a rispondere all‟appello di Copeau sulla<br />

rieducazione del teatro, durante i suoi anni di silenzio dalla scena. Nel 1921 tornò sul<br />

palcoscenico, dopo dodici anni, interpretando Ellida ne “La donna del mare” di Ib<strong>se</strong>n, testo<br />

poi ripreso dalla coppia Luigi Pirandello-Marta Abba. Il commento della prima (tratto dalla<br />

Pre<strong>se</strong>ntazione de La donna del mare in IBSEN, H., I capolavori, Newton, Roma 1973, p.<br />

312.) fu di una “traduzione, in una artistica realtà visibile e tangibile, di alti <strong>se</strong>greti dello<br />

spirito (…) L‟arte di Eleonora Du<strong>se</strong> ha raggiunto una incredibile lievità espressiva e<br />

insieme una potente densità interiore (…) Il gesto, la voce, le mani-e tutte le co<strong>se</strong> che quelle<br />

sue mani spirituali toccavano-creavano un‟armonia prodigiosa. Ad ogni momento eravamo<br />

sorpresi da tratti di vera ispirazione, da scoperte psicologoche, da invenzioni poetiche di<br />

grandissimo valore. Verità e bellezza, per esprimersi compiutamente, si appagavano dei<br />

minimi mezzi.”<br />

58


che es<strong>se</strong> hanno pianto, hanno sofferto per mentire per tradire o per<br />

amare... 96<br />

E‟ un atteggiamento in cui il <strong>se</strong>ntire e l‟in-tendere si slargano in un<br />

atteggiamento di profondo accoglimento, di compassione (nel suo <strong>se</strong>nso<br />

etimologico di “soffrire insieme”), di quei personaggi e della loro<br />

sofferenza.<br />

“Il personaggio è, dunque, per l‟uomo, ambiente vitale per la vita dello<br />

spirito, poiché è espressione vera della vita. Questo ambiente è abitabile da<br />

tutti, e la modalità per farlo è la mimesi. La mimesi è il rendere attuale la<br />

connaturalità vitale che <strong>se</strong>gna l‟uomo e il personaggio, è il dare vita<br />

spirituale allo spirituale per l‟uomo; e, al tempo stesso, la connaturalità,<br />

costituisce il fondamento della mimesi. Il condividere la stessa natura<br />

spirituale rende, infatti, attuabile la mimesi. La mimesi è attività spirituale<br />

dell‟uomo che opera con materia spirituale umana.” 97<br />

La libertà dell‟attore si manifesta in questo poter es<strong>se</strong>re tutte le co<strong>se</strong> per poi<br />

umanarsi nella mimesi del personaggio che va ad interpretare.<br />

96 MOLINARI, C., L’attore e la recitazione, Laterza, Bari 1992, p.53.<br />

97 SCARAMUZZO, G., In-tendere. L’umana sophia di Luigi Pirandello, Anicia, Roma<br />

2005, p.31.<br />

59


Capitolo quarto<br />

L’ANTIGONE<br />

1. L’attore e il testo<br />

Dato che l‟attore è colui che entra profondamente all‟interno del testo e data<br />

la sua libertà nel poter es<strong>se</strong>re ogni umanità è anche colui che, grazie alla<br />

mimesi, riesce più di altri ad abbeverarsi alla fonte dei grandi autori.<br />

Analizzeremo ora alcuni momenti della tragedia sofoclea: la scelta, la<br />

giustizia, il coraggio e la magnanimità, aretè che ben si coniugano con il<br />

personaggio di Antigone, cercando di descrivere il lavoro fatto sul<br />

personaggio e ricordando cosa è significato per me interpretarla.<br />

La prima battuta dell‟Antigone 98 è pronunciata proprio dalla protagonista, la<br />

scena si svolge all‟alba davanti alla reggia dei Labdàcidi da cui escono<br />

Antigone ed Ismene.<br />

ANTIGONE<br />

O mia compagna, o mia sorella, Ismene,<br />

98 Per la traduzione ci si riferisce a ROMAGNOLI, E., I poeti tragici tradotti da Ettore<br />

Romagnoli, vol 2, Zanichelli, Bologna 1954.<br />

60


sai tu quale dei mali che provengono<br />

da Edipo, Giove sopra noi non compia,<br />

mentre siamo ancor vive? Oh!, nulla v‟è<br />

di doloroso, di funesto e turpe,<br />

di vergognoso, che fra i mali tuoi,<br />

fra i mali miei visto non abbia. E adesso,<br />

qual bando è questo, che il signore, dicono,<br />

fece or ora gridar nella città?<br />

Lo sai? Lo udisti? O ignori tu che offe<strong>se</strong>,<br />

come a nemici, sugli amici incombono?<br />

Come si fa ad interpretare questa battuta? Come ci avviciniamo a <strong>se</strong>ntire<br />

come <strong>se</strong>nte Antigone?<br />

Innanzitutto proviamo a calarci dentro il testo con la mimesi.<br />

Proviamo a diventare le parole con tutto il corpo: diamo vita a quella realtà,<br />

<strong>se</strong>ntiamola respirare in noi <strong>se</strong>nza tensioni o resistenze, restando <strong>se</strong>mpre<br />

concentrati, <strong>se</strong>nza smettere mai il movimento. La testa, le spalle, il busto, le<br />

braccia, il bacino, le gambe, i piedi, ogni parte del nostro corpo diventa<br />

esattamente quella realtà che viene evocata dal poeta. Sentiamo che la<br />

<strong>se</strong>quenza di quelle parole ci illumina la strada. Lentamente iniziamo a<br />

<strong>se</strong>ntire il movimento che alimenta l‟interiorità del personaggio, iniziamo un<br />

viaggio dentro di lei che non ha nulla di logico o razionale o definito ma è<br />

puro andare. Senza avere la pretesa di capire, <strong>se</strong>ntiamo un contatto con il<br />

suo <strong>se</strong>ntire.<br />

61


Aggiungiamo al corpo la voce: dei suoni oppure le parole così come escono<br />

naturalmente, in modo che aderiscano completamente al movimento del<br />

corpo e che sfruttino ogni risuonatore. La voce è il nostro strumento. Deve<br />

es<strong>se</strong>re suono e non fiato, piena e non frenata da tensioni, asciutta, vera e non<br />

artificiale, articolata, deve inoltre guadagnare la tinta emotiva più tenue così<br />

come quella più dura, sfruttando tutte le possibilità espressive dell‟apparato<br />

fono-articolatorio. Essa può es<strong>se</strong>re orchestrata da ogni parte del nostro corpo<br />

e perciò assumere toni e colori inimmaginabili. La voce non <strong>se</strong>mpre però<br />

aderisce con facilità al movimento del corpo. Alle volte essi non vanno<br />

insieme, ma ciascuno per la sua tangente. Ciò accade perché la voce viene<br />

trattenuta, frenata dalla “troppa testa”, raffreddata, appiattita, indebolita.<br />

Invece essa va lasciata libera di modellarsi, ammorbidirsi o indurirsi a<br />

<strong>se</strong>conda della richiesta.<br />

Avendo contattato la verità del personaggio, abbiamo individuato una<br />

temperie di ba<strong>se</strong>, un substrato emotivo su cui vanno collocate tutte le altre<br />

parole. Questa è come <strong>se</strong> fos<strong>se</strong> un colore emotivo su cui scivolano le altre<br />

parole, un “particolare clima in cui si produce la mimazione, ad un livello di<br />

tensione espressiva esigente la trasposizione o traduzione in linguaggio.” 99<br />

Possiamo ora riprenere il testo provando a leggere <strong>se</strong>nza utilizzare il<br />

movimento del corpo, aiutandoci con la mimesi fatta con la mano, che<br />

risveglia lo stesso movimento mimico percepito dal corpo e facilita l‟attore<br />

a contattare la vitalità delle parole. Importante per la lettura, oltre ai colori<br />

emotivi, la respirazione diaframmatica, l‟uso dei fiati, le pau<strong>se</strong>, l‟attenzione<br />

alle finali delle parole, la spinta della voce che parte dal diaframma ed esce<br />

in maschera.<br />

99 ORAZIO COSTA in BOGGIO, M., Il corpo creativo. La parola e il gesto in Orazio<br />

Costa, Bulzoni, Roma 2001, p.289.<br />

62


La mimesi sulla scena sarà comunque totalmente interiore, cioè <strong>se</strong>ntita<br />

visceralmente e non agita, quindi il passaggio successivo è produrre con la<br />

voce quella stessa intenzione mimica, in cui sono le sole parole a vibrare di<br />

quella vitalità scoperta precedentemente. Dunque corpo, corpo e voce, voce<br />

e viscere. In questa fa<strong>se</strong> è l‟interpretazione ad avere la meglio. Il lavoro<br />

corporeo è dunque finalizzato a risvegliare quella vitalità che sarà poi<br />

determinante per recitare sulla scena.<br />

63


2. La scelta<br />

Dalle prime parole del testo si evidenzia già il forte legame esistente tra le<br />

due donne, sono compagne, condividono cioè una stessa sorte, e sono<br />

sorelle, discendenti da un'unica stirpe e legate da un legame di sangue.<br />

L‟immagine specifica su cui si è adoperata la mimesi (e con cui poi si è<br />

aperto lo spettacolo) è stata questa <strong>se</strong>conda.<br />

Diventare un “flusso sanguigno”: unito, fluido, indissolubile, continuo,<br />

inarrestabile, costante, omogeneo, che <strong>se</strong>gue la sua strada, pulsante, goccia<br />

di sangue, afflusso, sostanza, nutritivo, rosso, caldo, vitale, naturale.<br />

Questa metafora ci ha permesso di <strong>se</strong>ntire profondamente che tipo di<br />

relazione esiste tra le due attrici sulla scena e di rendere tale vissuto vivo,<br />

come substrato su cui far emergere le altre parole. La relazione è molto forte<br />

quella di due compagne, di due sorelle ma anche di due figlie. Antigone<br />

conosce già la sofferenza dei mali arrecati dal padre Edipo, sa che la casa<br />

dei Labdacidi è in odio agli dei e si chiede cos‟altro c‟è in <strong>se</strong>rbo per lei ed<br />

Ismene, uniche superstiti di quella stirpe. In realtà è una domanda di cui già<br />

conosce la risposta: i loro fratelli Eteocle e Polinice sono morti, Creonte ha<br />

vietato di <strong>se</strong>ppellire lo sventurato Polinice che ha combattuto contro la<br />

patria e il destino che si prospetta davanti ai suoi occhi è altrettanto<br />

doloroso.<br />

La forza incalzante di Antigone si coglie già nel tono tenero eppur deciso<br />

con cui irrompe nello spirito assorto ed alieno di Ismene, a cui chiede <strong>se</strong> è<br />

pronta a collaborare con lei.<br />

64


Le due infatti pur soffrendo delle stes<strong>se</strong> sventure hanno un animo molto<br />

diverso. Per Antigone il male fatto al fratello già morto è come <strong>se</strong> fos<strong>se</strong> stato<br />

inflitto a lei stessa perché per lei “il mondo degli uomini <strong>se</strong>mbra dividersi in<br />

due: da una parte gli amici, dall‟altra i nemici degli amici: perché, nata per<br />

amare piuttosto che per odiare, essa giudica nemico solo il nemico delle<br />

persone amate.” 100 Ismene invece ha tutto un altro <strong>se</strong>ntire. Per lei il mondo è<br />

diviso tra creature deboli e uomini potenti, le donne, come loro due, che<br />

hanno vissuto tante sventure e che sono ormai sole, non sono “tali da lottar<br />

con gli uomini”, e dunque non possono opporsi a ciò che impongono i<br />

potenti. La varietà degli animi crea un netto contrasto tra le due, che dà<br />

maggior rilevanza al personaggio di Antigone, che inizia ad illuminarsi di<br />

pura luce.<br />

Antigone non si chiede <strong>se</strong> Polinice è stato nobile in vita oppure no, la cosa<br />

che le preme è che è stata trasgredita una legge e violato un <strong>se</strong>nso di<br />

giustizia molto più alto di quello mortale, <strong>se</strong>nso di giustizia che lei deve<br />

ristabilire. E‟ pronta a lottare per questo contro il male e l‟empietà anche <strong>se</strong><br />

da sola e anche <strong>se</strong> il prezzo da pagare è la morte. Lei non sarà una degenere,<br />

una traditrice, lei lo onorerà:<br />

ANTIGONE<br />

Più non ti prego; né <strong>se</strong> ancor tu l‟opera<br />

partecipar volessi, io di buon grado<br />

t‟accetterei: sii tu quale es<strong>se</strong>r brami.<br />

Sepolcro io gli darò: bella <strong>se</strong> l‟opera<br />

avrò compiuta, mi parrà la morte.<br />

100 MADDALENA, A., Sofocle, Ed. di Filosofia, Torino 1959, p.52.<br />

65


E cara giacerò presso a lui caro,<br />

d‟un pio misfatto rea: poiché piacere<br />

più lungo tempo a quelli di laggiù<br />

debbo, che a quelli che qui sono. Là<br />

giacer debbo in eterno. E tu, <strong>se</strong> credi,<br />

disprezza pure ciò che i Numi pregiano.<br />

Antigone sceglie.<br />

La scelta è una dimensione dell‟umano profondamente connessa con le virtù<br />

ed ha a che fare con il volontario anche <strong>se</strong> non vi si identifica. La volontà ha<br />

come oggetto piuttosto il fine, la scelta, invece, i mezzi: per e<strong>se</strong>mpio, noi<br />

vogliamo star bene di salute e scegliamo i mezzi per star bene; vogliamo<br />

es<strong>se</strong>re felici e diciamo appunto che lo vogliamo, ma è stonato dire che lo<br />

scegliamo. In generale, infatti, <strong>se</strong>mbra che la scelta riguardi solo le co<strong>se</strong><br />

che dipendono da noi. 101 Oggetto della scelta è perciò qualcosa che dipende<br />

da noi, che è voluto in ba<strong>se</strong> ad una certa deliberazione e che ha a che fare<br />

con i mezzi. Dipende perciò da noi il vizio così come la virtù ed in questo<br />

<strong>se</strong>nso possiamo dire che è scegliendo bene o male che qualifichiamo la<br />

nostra esistenza e che diamo moralità al nostro agire, in funzione di una<br />

volontà di felicità che è il fine. 102 Antigone vuole onorare il fratello morto e<br />

perciò sceglie di trasgredire l‟editto del re, dimostrando di <strong>se</strong>guire una legge<br />

che è divina.<br />

Come attori ci si trova immersi in un grande oceano.<br />

101 ARISTOTELE, Etica Nicomachea, 1111b 26, trad. Bompiani, Milano 2000.<br />

102 Cf. Op. cit., 1111b 30 sgg.<br />

66


Antigone è un oceano: vasto, ampio, immenso, limpido, mosso, tumultuoso,<br />

agitato, denso di correnti, profondo, insondabile, fondo, silenzioso, prezioso,<br />

dimora, acqua, azzurro, impetuoso, tempesta, orizzonte.<br />

Il grande spirito di una donna eroica, guerriera, che sceglie liberamente di<br />

andare incontro alla morte, con salda determinazione. Ci si trova oltre gli<br />

scogli dell‟obbedienza, della viltà, della passività in cui è incagliata Ismene,<br />

guidati, verso qualcosa di infinitamente vasto, da un imperativo morale che<br />

supera ogni perplessità rispettando le norme del vivere bene e del nobile<br />

morire. Antigone è rea ma di un pio misfatto, la sua tragedia è una passione<br />

e non una redenzione perché il suo dramma è postumo all‟azione e la sua<br />

strada è l‟amore. 103<br />

Certo razionalmente è difficile pensare a come potrebbe es<strong>se</strong>re una donna<br />

del genere, la ragione for<strong>se</strong> non può spingersi così oltre, non ce la fa, può<br />

solamente adoperarsi per conoscere. La conoscenza si ha nel momento in<br />

cui diamo una forma, una realtà, alla cosa, a cui ci rapportiamo:<br />

giudichiamo, nominiamo, categorizziamo <strong>se</strong>nza vederne la sua vera es<strong>se</strong>nza.<br />

Ciò che con la razionalità possiamo conoscere è solamente la forma <strong>se</strong>conda<br />

della realtà, ciò che appare, mentre la forma prima cioè quella che preesiste<br />

alla trasformazione umana può es<strong>se</strong>re solamente in-tesa: si può così, per noi<br />

attori, scegliere di accantonare la ragione e di non conoscere ma solo di in-<br />

tendere in modo che il personaggio palpiti spontaneamente in noi con tutta<br />

la sua ricchezza. 104 Infatti lasciando che le parole entrino in noi, ci si <strong>se</strong>nte<br />

103 Cf. MADDALENA, A., Sofocle, Ed. di Filosofia, Torino 1959, p.55.<br />

104 Cf. SCARAMUZZO, G., In-tendere. L’umana sophia di Luigi Pirandello, Anicia, Roma<br />

2005, p.64 sgg.<br />

67


vivere effettivamente in quella realtà, nel <strong>se</strong>ntire di quel personaggio <strong>se</strong>nza<br />

aver pensato a come doverlo fare ma solo facendolo, accogliendo quelle<br />

parole, scritte immortalmente su carta, nella nostra finitezza di uomini. In<br />

questo modo “nell‟interpretazione di un personaggio si può arrivare ad<br />

es<strong>se</strong>re espressivamente più ricchi di quello che siamo nella nostra realtà,<br />

perché attraverso l‟immedesimazione nell‟opera poetica superiamo i limiti<br />

della nostra personalità.” 105<br />

105 BOGGIO, M., Il corpo creativo. La parola e il gesto in Orazio Costa, Bulzoni, Roma<br />

2001, p.93.<br />

68


3. La giustizia<br />

Il testo ci pre<strong>se</strong>nta ora Creonte, antagonista di Antigone. Il linguaggio è<br />

freddo e pungente diversissimo dalla calda passione che alimenta il cuore<br />

della nostra eroina. Lui è il re di Tebe e lo zio di Antigone, ha la forza e il<br />

potere e il suo unico scopo è governare la patria <strong>se</strong>guendo l‟idea del bene<br />

comune. Egli vuole che ci sia giustizia come fondamento della città, perciò<br />

è indispensabile premiare i giusti e punire gli ingiusti come Polinice, poichè<br />

solo così si difende la patria rettamente. Creonte giudica aspramente la<br />

condotta di Polinice, Antigone non giudica, ama. Lei accoglie nella sua<br />

verginea purezza il fratello, la sua sofferenza, come <strong>se</strong> fos<strong>se</strong> quella<br />

dell‟intera umanità. Accoglie l‟altro con pietà e con quella compassione<br />

insaziabile 106 , che fa della religiosità la propria salvezza. Creonte ed<br />

Antigone parlano due linguaggi diversi pur adoperando le stes<strong>se</strong> parole:<br />

entrambi <strong>se</strong>guono la legge, entrambi vogliono giustizia.<br />

Ma cosa si intende per giustizia? Aristotele la definisce come una<br />

disposizione che porta gli uomini ad agire giustamente e a volere le co<strong>se</strong><br />

giuste. Questa giustezza si delinea in conformità alla legge: <strong>se</strong> questa è<br />

stabilita rettamente imponendo delle co<strong>se</strong> e proibendone altre si fa il giusto<br />

altrimenti <strong>se</strong> è fatta in fretta può es<strong>se</strong>re ingiusta e indurre in errore. Inoltre il<br />

giusto sarà quello che rispetterà l‟uguaglianza non volendo avere né meno<br />

né più degli altri. 107 Ovviamente in questo caso, cioè quello di colui che<br />

rispetta la legge e l‟uguaglianza, la giustizia sarà la virtù perfetta, al punto di<br />

es<strong>se</strong>re la più importante delle virtù, e che né la stella della <strong>se</strong>ra né la stella<br />

106 Tale espressione è utilizzata da Dostoevskij (DOSTOEVSKIJ, F., Delitto e castigo,<br />

Mondadori, Milano 1994, p.391) per descrivere la candida anima di Sonja, <strong>se</strong>gnata dalle<br />

tante offe<strong>se</strong> eppur libera d‟amare.<br />

107 Cf. ARISTOTELE, Etica Nicomachea, 1129a sgg., trad. Bompiani, Milano 2000.<br />

69


del mattino siano altrettanto degne di ammirazione. 108 In termini generali è<br />

ciò che con<strong>se</strong>nte l‟attuazione di ogni altra virtù e può es<strong>se</strong>re e<strong>se</strong>rcitata sia<br />

dal soggetto verso <strong>se</strong> stesso, sia verso gli altri. Ma del giusto in verità ne<br />

esistono due specie: quella naturale e quella legale. Il giusto naturale è<br />

quello che ha la stessa validità in ogni dove e che esiste al di là del fatto che<br />

venga o meno riconosciuto; quello legale è quello che viene scelto<br />

arbitrariamente dagli uomini e che una volta stabilito non è più indifferente.<br />

Dunque quest‟ultimo è una costruzione esterna stabilita per mezzo delle<br />

leggi per convenzioni e per fini utili, mentre il giusto naturale è qualcosa<br />

che, fondandosi sulla Legge di natura, appartiene nell‟uomo stesso, di ogni<br />

tempo ed ogni luogo. 109<br />

In effetti risulta lampante come alcuni termini passando dal singolare al<br />

plurare cambiano totalmente il loro significato, poiché non mutano<br />

<strong>se</strong>mplicemente quantitativamente ma qualitativamente. Questo è<br />

esattamente ciò che accade nel testo: contrasto tra Legge/leggi. 110<br />

L‟immagine è quella del più brutale conflitto che nasce dalla differenza dei<br />

caratteri, razionale quello di Creonte e passionale quello di Antigone, e<br />

ancora più nel profondo, di due concezioni etiche o, meglio, attegiamenti<br />

rispetto alla spiritualità e al divino. Il contrasto in realtà è quello tra le leggi,<br />

cioè il diritto della città e la Legge, cioè il diritto di famiglia; tra chi crede di<br />

poter da solo definire le leggi a cui attenersi e chi si ispira alla necessità di<br />

rispettare le Leggi non scritte degli dei. 111<br />

Che cos‟è giusto? Quale delle due leggi va <strong>se</strong>guita? Creonte con la sua<br />

lucida razionalità o Antigone con la sua impetuosa passione?<br />

108 Op. cit., 1129b 28.<br />

109 Cf. Op. cit., 1134b 18 sgg.<br />

110 Tale distinzione è rilevata da Edda Ducci anche in relazione ad Es<strong>se</strong>re-es<strong>se</strong>ri; Bene-beni;<br />

Parola-parole. in DUCCI, E., Libertà liberata. Libertà Legge Leggi, Anicia, Roma 1994,<br />

p.22.<br />

111 Cf. MADDALENA, A., Sofocle, Ed. di Filosofia, Torino 1959, p.61.<br />

70


Il coro che <strong>se</strong>gue ci funge <strong>se</strong>nz‟altro da monito. E‟ il “primo canto intorno<br />

all‟ara” in cui è commentata la vita dell‟uomo guidato da ragione.<br />

CORO<br />

Strofe I<br />

Molti si danno prodigi, e niuno<br />

meraviglioso più dell‟uomo.<br />

Sino di là dal canuto mare,<br />

col tempestoso Noto, procede<br />

l‟uomo, valica l‟estuare<br />

dei flutti, e il mugghio; e la più antica<br />

degli Dei, l‟immortale Terra,<br />

l‟infaticata, col giro spossa,<br />

anno per anno, degli aratri,<br />

col travaglio d‟equina prole.<br />

Antistrofe I<br />

E degli augelli le stirpi liete<br />

cinge di reti, ne fa preda,<br />

e le tribù di <strong>se</strong>lvagge fiere,<br />

71


e le marine stirpi del ponto<br />

con le spire d‟inteste reti,<br />

l‟uomo scaltrissimo: è signore,<br />

con l‟astuzia, di quante fiere<br />

movon <strong>se</strong>lvagge tra i monti, e il giogo<br />

pone al crinito cavallo, e al toro<br />

infaticato, sovressi i monti.<br />

Strofe II<br />

L‟infaticato pensiero, e i suoni<br />

vocali rinvenne, e le norme<br />

del viver civile, e a fuggire<br />

gli etèrei dardi<br />

d‟inospiti ghiacci,<br />

di piogge nemiche.<br />

Gran copia d‟astuzie possiede;<br />

né verso il futuro, <strong>se</strong> mezzi<br />

di scempo non vede, s‟inoltra.<br />

Solo trovar dall‟Ade<br />

scampo non può; ma contro immedicabili<br />

morbi, rinvenne salutari strade.<br />

72


Antistrofe II<br />

Oltre ogni umana credenza, il genio<br />

dell‟arti inventore possiede;<br />

ed ora si volge a tristizia,<br />

ed ora a virtù.<br />

Se onora le leggi<br />

dei padri, e degl‟Inferi<br />

il giuro, la patria egli esalta.<br />

Ma patria non ha chi per colmo<br />

d‟audacia s‟appiglia a tristizia.<br />

Vicino all‟ara mia<br />

mai non s‟annidi l‟uom che così adopera,<br />

e mai concorde al mio pensier non sia.<br />

L‟uomo è la creatura più prodigiosa d‟ogni altro es<strong>se</strong>re vivente. Egli<br />

procede oltre il mare tempestoso, oltre le ardenti onde e il loro lamento<br />

tumultuoso, dominando con l‟ingegno le tempeste; e con l‟ingegno ha reso<br />

feconda la terra con l‟aratro trascinato dai cavalli. Cinge di reti gli uccelli e i<br />

pesci, doma le <strong>se</strong>lvagge fiere diventandone signore, mette il giogo al cavallo<br />

e al toro infaticato. Con il suo ingegno scopre il pensiero, la sapienza, la<br />

bellezza delle parole, le leggi della società, e sa trovar riparo, dalle più<br />

infelici condizioni climatiche, nelle ca<strong>se</strong> da lui costruite. L‟unica cosa per<br />

cui non trova riparo è la morte ma anche per le malattie ha trovato rimedio.<br />

Egli pur avendo scoperto tante arti non è riuscito con il suo ingegno a<br />

trovare il modo di es<strong>se</strong>re felice. “C‟è qualcosa che trascende la sua ragione.<br />

73


Se l‟uomo disconosce o mal conosce ciò che trascende la sua ragione, è, con<br />

tutto il suo ingegno, come canna battuta al vento: muove ignaro verso il<br />

bene e verso il male, incapace di distinguere il bene dal male.” 112 La sua<br />

felicità e la sua pace può trovarle nella città <strong>se</strong> onora le leggi degli dei. Ma<br />

stolto è colui che si lascia guidare solo dalla ragione in cui trova l‟unico<br />

strumento per proteggere la città è in effetti quello che per primo così la<br />

distrugge, perché la ragione salamente quando è ispirata dalla pietà può dirsi<br />

un bene.<br />

Creonte nella sua salda razionalità, pur per<strong>se</strong>guendo un ordine, è cieco, non<br />

riesce a vedere con gli occhi dell‟anima, ed inoltre ingiusto, perchè va a<br />

sovvertire un ordine di natura a cui gli uomini non possono opporsi,<br />

credendosi pio piuttosto che empio; Antigone, pur ribellandosi ad una legge<br />

della polis rappre<strong>se</strong>nta, <strong>se</strong>ppur con la sua impetuosa ingenuità di fanciulla,<br />

la saggezza: ella è pia e in accordo con gli ordini divini. 113<br />

Per la sua ricchezza immaginifica, con la mimesi si è cercato di riscoprire<br />

quella condizione in cui l‟attore riesce ad “es<strong>se</strong>re le co<strong>se</strong>, passando via via<br />

dall‟oggetto inanimato a quello in movimento passivo, dall‟animale al<br />

fenomeno naturale, attraverso l‟esperienza personale.” 114 Quello che si<br />

coglie con la mimesi è il vero verso dell‟uomo: così come il leone ruggisce<br />

e il cavallo nitrisce, il verso dell‟uomo è sì quello di parlare, ma ancor prima<br />

quello di poter es<strong>se</strong>re tutto, cioè avere la possibilità di penetrare la realtà con<br />

una coscienza non soltanto razionale ma e, for<strong>se</strong> soprattutto, corporea. Non<br />

112 Op. cit., p.68.<br />

113 Cf. Op. cit., p.68 sgg.<br />

114 ORAZIO COSTA in COLLI, G.G., Una pedagogia dell’attore. L’in<strong>se</strong>gnamento di<br />

Orazio Costa, Bulzoni, Roma 1996, p.57.<br />

74


si fa la pantomima della realtà, non si cerca di imitarla, la si os<strong>se</strong>rva con una<br />

sincerità in grado di mostrarci l‟es<strong>se</strong>nza di ciò che guardiamo. 115<br />

Lavorando a contatto con la natura, si affina questa capacità os<strong>se</strong>rvativa,<br />

<strong>se</strong>nsibilizzando la sincerità apprensiva rispetto alle co<strong>se</strong>.<br />

Per questo coro si è lavorato in un bosco al limite tra l‟inverno e la<br />

primavera, in cui os<strong>se</strong>rvando i fenomeni e avendoli di fronte a me<br />

rintracciavo una loro più ampia verità. Il contrasto che esisteva nel bosco tra<br />

la neve e l‟appena accennata primavera era esattamente quello che <strong>se</strong>ntivo<br />

tra il freddo e razionale Creonte e la fragile, candida e decisa Antigone.<br />

Antigone è la primavera: delicata, candida, profumata, sbocciare, fiorire,<br />

sciogliere, rinascita, doloroso venire alla luce, colore, rispetto dei cicli<br />

naturali, fragile, tenera, assolata.<br />

Così non si è fatto altro che trasportare i ritmi della primavera ad Antigone.<br />

Questo è un procedimento che dalla mimica arriva al personaggio e che<br />

Manfredi ricordando gli anni trascorsi con Costa racconta così:<br />

“In Accademia Orazio m‟ha fatto far tante formiche, che quindi mi<br />

venivano bene. Una volta mi fece fare una formica nel suo filare che<br />

trasportava un chicco di grano, e io pensavo «Vabbè, finchè <strong>se</strong> fanno le<br />

formiche…», siccome io sono figlio di contadini, di formiche ne avevo viste<br />

tante; però ad un certo momento Costa mi dis<strong>se</strong> «Dalle voce, falla<br />

parlare!...». <strong>Ah</strong>io! Lì me s‟aggricciò un po‟ la pelle. Dico: «Ma in che<br />

dialetto parla la formica?». Dice:«In quale dialetto? Dove sta la formica,<br />

quello è il suo dialetto!». Allora stavo a fa‟ „sta formica, e facevo…Si<br />

115 Cf. BOGGIO, M., Il corpo creativo. La parola e il gesto in Orazio Costa, Bulzoni,<br />

Roma 2001, p.69.<br />

75


muove con piccole mos<strong>se</strong> strattonanti, a pas<strong>se</strong>tti laterali, le mani prote<strong>se</strong> in<br />

aventi come a tirare un grosso peso. «Permesso!...Permesso!...<strong>Ah</strong>! ma qui<br />

nun te dà „na mano nessuno!...Vediamo un po‟ tante volte…» torna sui suoi<br />

passi con mos<strong>se</strong> frenetiche, guardando da ogni parte.(…) Se questo, tu lo<br />

trasporti in un personaggio che è un po‟ arruffone…riprende i movimenti<br />

della formica, ma in<strong>se</strong>rendovi il personaggio di cui vuole sottolineare le<br />

incertezze, i ripensamenti, l’ansia e la premura. «Cara!...Eh!?...dov‟è la<br />

rubrica del telefono per favore?...Senti!...<strong>Ah</strong>! Preparami un panino!»” 116<br />

L‟attore così traendo la sua ispirazione dalla natura mantiene l‟aderenza di<br />

cui ha bisogno per nutrire il suo personaggio.<br />

116 Op. cit., p.255.<br />

76


4. Il coraggio<br />

Dopo il discorso di Creonte sull‟editto che vieta di <strong>se</strong>ppellire Polinice, che è<br />

all‟origine del dramma, e il coro che canta i numerosi prodigi dell‟uomo,<br />

torna sulla scena Antigone che, nel frattempo, è stata arrestata da una<br />

guardia mentre versava libami al fratello morto. Il coro vedendola comparire<br />

è stupito non perché pensa che lei abbia commesso ingiustizia ma perché<br />

pur reputando stolto Creonte e conoscendo la giustezza dell‟atto di<br />

Antigone, crede che sia altrettanto stolto mettere a respentaglio la propria<br />

vita, il bene più prezioso. Così Antogone è nuovamente sola con il suo<br />

amore e la sua pietà, al cospetto del re. Tra lei e Creonte c‟è una distanza<br />

abissale, due rette che non si incontreranno mai, due concezioni di vita e del<br />

giusto che nella loro rettitudine impediranno ogni possibile dialogo. Creonte<br />

è glaciale, sa che una sua legge è stata trasgredita e dunque ciò che gli<br />

preme sapere è <strong>se</strong> la legge è stata o meno violata e <strong>se</strong> colei che l‟ha violata<br />

la conosceva: 117<br />

CREONTE<br />

Dì tu, che il capo chini al suol: confessi<br />

d‟aver compiuta, l‟opera, o lo neghi?<br />

ANTIGONE<br />

L‟ho compiuta: confesso, e non lo nego<br />

117 MADDALENA, A., Sofocle, Ed. di Filosofia, Torino 1959, p.72.<br />

77


CREONTE<br />

(…) Il bando che vietava<br />

di far ciò che facesti, era a te noto?<br />

ANTIGONE<br />

Certo. E come ignorarlo? Esso era pubblico.<br />

Tali risposte risultano a Creonte incomprensibili, in verità l‟intera natura di<br />

Antigone gli è del tutto incomprensibile al punto da apparirgli folle. Egli<br />

non capisce perché ha compiuto un‟opera in netto contrasto con la ragione e<br />

il diritto, e così richiosa da mettere a repentaglio la propria vita <strong>se</strong>nza che<br />

ciò abbia alcun vantaggio per lei.<br />

CREONTE<br />

E pur la legge violare osasti?<br />

ANTIGONE<br />

Non Giove a me lanciò simile bando,<br />

né la Giustizia, che dimora insieme<br />

coi Dèmoni d‟Averno, onde altre leggi<br />

furono imposte agli uomini; e i tuoi bandi<br />

io non credei che tanta forza aves<strong>se</strong>ro<br />

da far sì che le leggi dei Celesti,<br />

78


non scritte, ed incrollabili, potes<strong>se</strong><br />

soverchiare un mortal: ché non adesso<br />

furon sancite, o ieri: eterne vivono<br />

es<strong>se</strong>; e niuno conosce il dì che nacquero.<br />

E violarne e renderne ragione<br />

ai Numi, non potevo io, per timore<br />

d‟alcun superbo. Ch‟io morir dovessi,<br />

ben lo sapevo, e come no?, pur <strong>se</strong>nza<br />

l‟annuncio tuo. Ma <strong>se</strong> prima del tempo<br />

morrò, guadagno questo io lo considero:<br />

per chi vive, com‟io vivo, fra tante<br />

pene, un guadagno non sarà la morte?<br />

Per me, dunque, affrontar tale destino,<br />

doglia è da nulla. Ma <strong>se</strong> l‟uomo nato<br />

dalla mia madre abbandonato avessi,<br />

salma in<strong>se</strong>polta, allor sì, mi sarei<br />

accorata: del resto non m‟accoro.<br />

Tu dirai che da folle io mi comporto;<br />

ma for<strong>se</strong> di follia m‟accusa un folle.<br />

Le parole di Antigone sono chiare, lei freme nella sua voglia di es<strong>se</strong>re <strong>se</strong><br />

stessa e non si piega davanti a nulla. “Si, essa ha osato contravvenire alle<br />

leggi del re e della città, perché sa che ci sono altre leggi, e più sante di<br />

79


quelle del re e della città; ha osato sfidare la forza del re, perché sa che ci<br />

sono altre forze oltre quella del re, e più forti di quella del re; ha voluto<br />

affrontare il pericolo della morte, perché sa che ci sono altri mali oltre<br />

quello della perdita della vita, e maggiori di quel male che pare sia la perdita<br />

della vita.” 118 La morte è per lei un guadagno: piuttosto che vivere una vita<br />

disonorevole e immersa nelle sventure, Antigone sceglie la morte<br />

volontaria, di <strong>se</strong>guire ciò in cui crede e di non tradire le leggi divine. Se non<br />

lo faces<strong>se</strong> la sua non sarebbe più una vita vivibile, troppo grande sarebbe il<br />

peso sulla sua coscienza di questa ingiustizia. Lei non disprezza le leggi<br />

degli uomini purchè es<strong>se</strong> si pongano in continuità con le leggi celesti.<br />

Creonte in questo <strong>se</strong>nso è empio ed è come <strong>se</strong> dices<strong>se</strong>: “Io sono Dio” non<br />

curandosi di nulla e non accettando consigli da nessuno.<br />

Antigone scegliendo in tal modo non è impavida bensì coraggiosa poiché si<br />

chiamerà propriamente coraggioso colui che sta <strong>se</strong>nza paura di fronte ad<br />

una morte bella, e di fronte a tutte le circostanze che costituiscono rischio<br />

immediato che conduce ad una tale morte. 119 Il coraggio è qualcosa che si<br />

trova a metà tra paura e temerarietà cioè quello che ci permetterà di temere<br />

solo ciò che è bello temere come per e<strong>se</strong>mpio il disonore o ciò che deriva<br />

dal vizio. La morte perciò è ciò che reca con sé maggior paura e proprio di<br />

fronte ad essa, es<strong>se</strong>ndo l‟oggetto per l‟uomo più temibile, che si va<br />

profilando quest‟aretè. 120<br />

Lo scontro tra Creonte e Antigone ha il suo sigillo con il verso di Antigone<br />

che recita “Gli amori teco e non gli odii partecipo”, vive non per<br />

condividere l‟odio ma per rispondere all‟amore, la forza di questa battuta è<br />

tutta nel cuore, nella purezza di cui è rivestita ed è come <strong>se</strong> irrompes<strong>se</strong> come<br />

una freccia infuocata e incandescente scagliata nella neve.<br />

118 Op. cit., p.73.<br />

119 ARISTOTELE, Etica Nicomachea, 1115a 32, trad. Bompiani, Milano 2000.<br />

120 Cf. Op. cit., 1115a 7 sgg.<br />

80


Antigone è il fuoco: si anima, divampa, si contorce, tremola, cambia forma,<br />

illumina, riscalda, brucia, scoppietta, rosso, imprevedibile, incandescente,<br />

libero, ingestibile, si alimenta con il vento, fiamme, fumo, spirare,<br />

avvolgere, tende in alto, mostra la verità.<br />

A proposito del fuoco Costa scrive:<br />

“Solo il fuoco probabilmente ha donato all‟uomo ciò che chiamiamo e<br />

continueremo a chiamare il fuoco dello spirito dell‟attività della fantasia<br />

della gioia. Rivivere la realtà del fuoco, ora che va mano a mano sparendo<br />

dalla nostra esperienza visibile, direi tattile, è es<strong>se</strong>nziale. Se non salveremo<br />

il fuoco, perderemo il fuoco. Se dovremo riviverlo solo grazie al<br />

vocabolario e alle tracce incancellabili che giacciono nel discorso, ne<br />

perderemo il ritmo meraviglioso che ci ha for<strong>se</strong> per la prima volta scatenato<br />

fisico e mente in una dimensione che non è di nessun animale.” 121<br />

Il fuoco è il ritmo, il calore, l‟impeto, la passione dello spirito, è come un<br />

terzo occhio che disamora le ombre e che fa risplendere il reale di un<br />

bagliore puro e cristallino, con<strong>se</strong>ntendo il libero dispiegarsi della<br />

dimensione spirituale. Primitivo ed es<strong>se</strong>nziale esso è la <strong>se</strong>te dell‟anima.<br />

A questo punto torna Ismene sulla scena, in lacrime per la sventurata sorte<br />

della sorella, e si accusa di es<strong>se</strong>re stata complice. Antigone rifuta, è stata<br />

sola, è sola e sarà sola. Tutte le grandi opere per compiersi hanno bisogno di<br />

solitudine. Essa muove però a compassione e ciò reca alla sua solitudine un<br />

conforto, il coro, gli dei e il pubblico sono dalla sua parte, pur es<strong>se</strong>ndo il suo<br />

destino ormai inderogabilmente <strong>se</strong>gnato: la pena è di morte.<br />

121 BOGGIO, M., Il corpo creativo. La parola e il gesto in Orazio Costa, Bulzoni, Roma<br />

2001, p.223.<br />

81


Ma di chi è la vittoria di Creonte o di Antigone? Gli dei hanno aiutato<br />

Antigone a <strong>se</strong>ppellire il corpo del fratello, però hanno permesso anche alla<br />

guardia di arrestarla, inoltre la casa dei Labdacidi è da <strong>se</strong>mpre in odio agli<br />

dei. Dunque gli dei sono ingiusti e la vittoria è di Creonte o gli dei sono<br />

giusti, oltre le apparenze e la vittoria è di Antigone?<br />

Gli dei sono giusti: Antigone deve purtroppo patire le pene che vengono<br />

dalla superbia di Laio, il suo destino come quello di ogni uomo è nel dolore<br />

di una colpa propria o tramandata; ma Creonte constaterà, nella solitudine,<br />

la fallacia della sua ragione calcolatrice e soffrirà confermando la saggia<br />

<strong>se</strong>ntenza del coro: “spesso il male <strong>se</strong>mbra un bene ad un uomo a cui la<br />

mente vol<strong>se</strong> un Nume alla rovina. E da rovina ben poco tempo lontano<br />

resta.” Creonte ha scambiato il male col bene e perciò il dolore che lo<br />

attende sarà il trionfo della pietà di Antigone e dell‟immenso potere<br />

dell‟Amore. 122<br />

CORO<br />

Amore, invitto nelle battaglie,<br />

Amor che piombi fra le conte<strong>se</strong>,<br />

che su le molli gote<br />

di vergini dimori,<br />

che sopra il mare, sopra le agresti<br />

ca<strong>se</strong> t‟aggiri,<br />

né alcuno t‟evita dei Numi eterni,<br />

né alcun degli uomini che un giorno vivono,<br />

122 Cf. MADDALENA, A., Sofocle, Ed. di Filosofia, Torino 1959, p.75 sgg.<br />

82


e i cuor delirano che tu pervadi!<br />

Amore che trionfa, che piomba, che dimora, che s‟aggira, che trascina, che<br />

inebria le menti, Amore con tutta la forza di un dio, o meglio di un demone,<br />

<strong>se</strong>gna l‟inizio del tragico svolgersi degli eventi.<br />

È ormai l‟alba della sua morte. Antigone parla con parole lente, quasi<br />

volas<strong>se</strong>ro come foglie nell‟aria: “ Vedete me che il tramite ultimo batto,<br />

l‟ultima luce del sole miro, né più mai la vedrò.” Il suo viaggio verso la<br />

morte è come <strong>se</strong> costituis<strong>se</strong> una tragedia nella tragedia: il lamento, le<br />

risposte corali, l‟intervento brutale di Creonte e l‟orazione finale tutto per la<br />

sua densità si annoda intorno ad un vero e proprio rito. 123 Ora Antigone<br />

<strong>se</strong>nte la morte in modo diverso: <strong>se</strong> precedentemente essa era una liberazione<br />

dalle sofferenze della vita, ora si accorge che così come toglie i dolori essa<br />

toglie anche le speranze di gioia. La sua corazza da guerriera si è sciolta, la<br />

sua virilità ha lasciato il posto alla dolcezza, alla fragilità di una donna che<br />

sa che mai potrà provare le gioie di nozze o parti e che presto spo<strong>se</strong>rà il suo<br />

unico e possibile marito: il dio degli Inferi. Si <strong>se</strong>nte viva e non viva, in<br />

bilico, smarrita tra la vita e la morte, <strong>se</strong>nza amici che la piangano, <strong>se</strong>nza<br />

canzoni, <strong>se</strong>nza inni nunziali, sola eppur in compagnia della sua pietà. Dopo<br />

la prima parte del suo lamento intervallato dal coro entra in scena Creonte<br />

adirato, dicendo alle guardie di trascinarla via perché nessuno mai<br />

smetterebbe di cantare i propri lamenti prima della morte e Antigone<br />

riprende con un tono più pacato il suo ultimo monologo: 124<br />

123 Cf. STEINER, G., Le Antigoni, Garzanti, Milano 2003, p.307.<br />

124 Cf. MADDALENA, A., Sofocle, Ed. di Filosofia, Torino 1959, p.87.<br />

83


ANTIGONE<br />

O tomba, o nuzial camera, o eterna<br />

mia prigione rupestre, ove m‟avvio<br />

verso i miei cari che defunti giacciono<br />

la più gran parte, e li ospita Persèfone!<br />

Ultima ora io fra loro, e assai più mi<strong>se</strong>ra,<br />

discendo, prima che sia giunto il termine<br />

della mia vita. E, lì discesa, spero<br />

giunger diletta al padre, a te diletta,<br />

madre, diletta, o mio fratello, a te.<br />

Chè, poiché spenti foste, io vi lavai<br />

Con queste mani, vi vestii, v‟offersi<br />

Le libagioni funebri. E perché<br />

Cura mi presi della salma tua,<br />

o Polinìce, il mio compenso è questo.<br />

Pure, per quanti han <strong>se</strong>nno, io bene feci<br />

ad onorarti. Chio non mai, <strong>se</strong> figli<br />

avessi avuti, <strong>se</strong> lo sposo morto<br />

mi fos<strong>se</strong>, e stes<strong>se</strong> a imputridire, mai<br />

questa fatica assunta non avrei<br />

contro il voler dei cittadini. E quale<br />

legge m‟incuora a dire ciò? Se morto<br />

84


uno sposo mi fos<strong>se</strong>, un altro sposo<br />

avrei potuto avere; e un altro figlio<br />

da un altr‟uomo, <strong>se</strong> un figlio era la perdita.<br />

Ma poi che padre e madre asconde l‟Orco,<br />

germogliar non mi può nuovo fratello.<br />

Per questa legge onor ti volli rendere<br />

Più che ad altri, o fratello; ed a Creonte<br />

Sembrò che rea, che temeraria io fossi;<br />

e a forza ora m‟ha presa, e mi trascina,<br />

che non talemo <strong>se</strong>ppi od imenei,<br />

né sorte ebbi di nozze, e non di pargoli<br />

ch‟io nutricassi; ma, così tapina,<br />

dagli amici de<strong>se</strong>rta, io viva scendo<br />

alle fos<strong>se</strong> dei morti. E qual giustizia<br />

di Numi violai? Ma gli occhi agl‟Inferi<br />

volgere ancora, che ti giova, o mi<strong>se</strong>ra?<br />

Quale alleato invocherò, <strong>se</strong> taccia<br />

d‟empietà guadagni per es<strong>se</strong>r pia?<br />

Antigone è burrasca: tempesta, caos, ondeggiare, freddo, vortici, brutale,<br />

violenta, inquietudine, sconvolgimento, oscurità, buio, folate di vento,<br />

schizzi, trascinare, sommergere, disperdere, naufragare.<br />

85


Si sta incamminando verso la sua futura dimora, eppure una speranza le<br />

alimenta l‟anima, di giungere lì diletta ai suoi cari. “Già ritorna in lei,<br />

<strong>almeno</strong> in parte l‟animo antico, l‟antico coraggio, l‟antica non spenta<br />

coscienza della sua santità.” 125 E‟ per lei un onore aver lavato i corpi dei<br />

genitori morti così come lo è es<strong>se</strong>rsi presa cura del corpo di Polinice. Se<br />

aves<strong>se</strong> avuto un marito o dei figli non si sarebbe presa questa briga, ma dato<br />

che per lei sia madre che padre sono morti è impossibile che le rinasca un<br />

fratello. Antigone è preda ambita dell‟angoscia, pur mantenendo <strong>se</strong>mpre la<br />

sua nobiltà, si chiede quale legge ha trasgredito, quale giustizia ha violato,<br />

<strong>se</strong> gli dei sono giusti quelli stessi che hanno permesso la sua pena. Ma non<br />

si rammarica, lei sa che ha ristabilito un ordine e che gli dei l‟hanno in<br />

grazia. La furia degli dei dopo questo momento si scaglierà prepotentemente<br />

su Creonte che perderà sia il figlio Emone promesso sposo di Antigone che<br />

la moglie Euridice, entrambi per suicidio, restando perciò solo a piangere <strong>se</strong><br />

stesso.<br />

125 MADDALENA, A., Sofocle, Ed. di Filosofia, Torino 1959, p.87.<br />

86


5. La magnanimità<br />

Antigone è magnanima, ha un animo grande, si stima degna di grandi co<strong>se</strong> e<br />

lo è davvero. Aristotele scrive: «Es<strong>se</strong>re degno di» si dice in relazione ai<br />

beni esterni: il più grande di essi ammetteremo che è quello che offriamo in<br />

omaggio agli dei, ed a cui soprattutto aspirano gli uomini di elevata<br />

dignità, e che è la ricompensa per le azioni più belle. Ora cosa di tale<br />

natura è l’onore, giacchè questo è certamente il più grande dei beni<br />

esteriori. Dunque è riguardo all’onore e al disonore che il magnanimo si<br />

comporta come si deve. 126 Es<strong>se</strong>ndo il più grande dei beni esterni l‟onore e il<br />

più eccellente di quelli interni la virtù, egli sarà virtuoso e consapevole di<br />

meritare il più alto onore. In questo <strong>se</strong>nso magnanima è la persona più<br />

perfetta, buona, che è grande in ciascuna virtù e che sa comportarsi con<br />

misura anche per quanto riguarda gli altri beni esterni come per e<strong>se</strong>mpio la<br />

nobiltà, la ricchezza, il potere e la fortuna. Ama i grandi rischi ed è<br />

consapevole del fatto che non <strong>se</strong>mpre la vita è degna di es<strong>se</strong>re vissuta a<br />

qualunque condizione. 127 “Vedete, o signori di Tebe, che debbo soffrir, da<br />

quali uomini, perché pietosa volli es<strong>se</strong>re, io, sola superstite del sangue dei<br />

re”, Antigone si <strong>se</strong>nte stretta tra le grinfie della mediocrità, non si<br />

accontenta di una vita che palpita animata da mezzo battito, essa si stima<br />

degna di condurre una vita nobile ed e<strong>se</strong>mplare, di sacrificarsi per tradurre<br />

la sua anima in atto. Il sacrificio è l‟amore pio che risponde alla chiamata<br />

degli dei. La folta interiorità, grande, aperta, splendente è totalmente rivolta<br />

verso la sua azione. L‟amore di cui è intrisa è una porta aperta sul divino,<br />

vibra, danza, esplode di colori, trasportandoci in una terra vasta e sconfinata<br />

in cui si perdono i confini personali e in cui tutto è in tutto. La forza<br />

126 ARISTOTELE, Etica Nicomachea, 1123b 18, trad. Bompiani, Milano 2000.<br />

127 Cf. Op. cit., 1123b 27 sgg.<br />

87


dell‟amore, luminoso aroma, faro nell‟aria, si propaga con passo delicato<br />

eppur inesorabile.<br />

“Creonte non ha mai capito la forza dell‟amore: è forza irresistibile.<br />

Antigone per amore ha affrontato la morte, per amore Emone si è ucciso,<br />

per amore Euridice si ucciderà. Creonte deve restare solo a patire e a<br />

scontare le sue colpe. Solo deve restare, come solo è stato nella superbia<br />

funesta della sua ragione: solo, e <strong>se</strong>nza il conforto della compassione, come<br />

è stato <strong>se</strong>nza compassione per i vivi e per i morti.” 128 La sua punizione non<br />

è la morte ma il vivere struggendosi nella colpa, nella solitudine, nell‟odio,<br />

nel vivere cioè una vita che è di gran lunga peggiore d‟ogni morte. I lamenti<br />

dell‟ultima scena non sono condivisi da nessuno, niente della sua sorte<br />

poteva es<strong>se</strong>re evitato, tutta l‟infelicità che l‟invade è stata causata dalla sua<br />

folle cecità.<br />

Gli dei mostrano come sugli uomini gravi <strong>se</strong>mpre il peso del dolore: “E‟<br />

retaggio dell‟uomo il dolore. Soffre per le colpe sue proprie o soffre per una<br />

colpa altrui. Ma sulla pena della colpa s‟alza il compenso della compassione<br />

nella vita, dell‟amore dopo la morte a chi ha più amato che odiato, a chi ha<br />

per amore e per pietà sofferto. Soffrono, durante la vita, i giusti e gli<br />

ingiusti. Ma l‟amore del giusto mitiga la sua pena in vita, la compensa dopo<br />

la morte: l‟odio dell‟ingiusto priva l‟ingiusto d‟ogni conforto, in vita e in<br />

morte. Antigone, in vita e in morte, trionfa su Creonte; la pietà trionfa<br />

sull‟empietà; l‟amore trionfa sull‟odio.” 129<br />

L‟amore riscatta ogni peccato proprio o altrui, salva ogni umanità dal<br />

rischio dell‟infelicità perché è per la felicità che invece gli uomini sono stati<br />

creati. La pratica dell’amore attivo è amare instancabilmente e attivamente<br />

il prossimo, è giungera alla totale abnegazione, rinunciare ai propri interessi<br />

128 MADDALENA, A., Sofocle, Ed. di Filosofia, Torino 1959, p.95.<br />

129 Op. cit., p.97.<br />

88


o vantaggi personali per onorare qualcosa di più alto. Non è un amore<br />

astratto che necessita di gesta edificanti per es<strong>se</strong>re notato, ma è sforzo,<br />

passione, dedizione, è staccarsi dall‟ideale generico di chi dice “io amo<br />

l‟umanità”, per tornare ad amare i singoli uomini nella loro <strong>se</strong>mplicità,<br />

particolarità, imperfezione, è amare incondizionatamente ogniuno nella<br />

propria verità. 130 Amare è accogliere in noi la Legge, e farne il nostro<br />

respiro più puro. Rispettare la Legge divina significa es<strong>se</strong>re liberi per mezzo<br />

dell‟amore. Non vi è costrizione o rinuncia per colui che sceglie di <strong>se</strong>guirla,<br />

solo libertà.<br />

Antigone è Libertà: estensione, allargamento, sollevarsi, leggero, respiro,<br />

aria, volo, soffio, es<strong>se</strong>re, apertura, pienezza, realizzazione, salvezza,<br />

scioglimento, forza, redenzione, <strong>se</strong>renità.<br />

Abbiamo detto che “l‟uomo è libero dopo che ha deciso, dopo che ha preso<br />

la deliberazione di rispondere, in maniera adeguata alle proprie esigenze<br />

es<strong>se</strong>nziali per realizzarsi e concretarsi” 131 , in questo Antigone è <strong>se</strong>nz‟altro<br />

libera, libera di rispettare la Legge, libera di es<strong>se</strong>re pienamente <strong>se</strong> stessa, di<br />

amare e di agire in piena conformità con la spinta di quell‟amore verso ciò<br />

che sa es<strong>se</strong>re un bene. Essa ha ispirato la sua vita a qualcosa che la<br />

trascente, a qualcosa di qualitativamente diverso dalla sua natura, ad una<br />

Parola che la chiama ad es<strong>se</strong>re <strong>se</strong> stessa e che può es<strong>se</strong>re udita solamente in<br />

un cieco silenzio.<br />

130 Cf. DOSTOEVSKIJ, F., I fratelli Karamàzov, Mondadori, Milano 1994, p.79 sgg.<br />

131 DUCCI, E., Libertà liberata. Libertà Legge Leggi, Anicia, Roma 1994, p.60.<br />

89


Conclusioni<br />

Con il principio mimico si possono perfezionare non solo tanti aspetti<br />

artistici dell‟attore nell‟arte ma anche tanti aspetti umani dell‟uomo nella<br />

vita.<br />

Ricordo che prima del debutto dell‟Antigone al Kataklisma Teatro, oltre<br />

all‟emozione che anticipava l‟evento, si agitava in me una <strong>se</strong>nsazione di<br />

vellutata tristezza, tipica della nostalgia. Essa era propriamente alimentata<br />

dall‟idea che mettere in scena un personaggio potes<strong>se</strong> significare, in qualche<br />

modo, dargli poi morte. Antigone, nei mesi di prove antecedenti, era stata<br />

per me qualcuno con cui convivere. Con lei avevo amato, sofferto, pianto,<br />

avevo toccato con lei dimensioni che mai avrei creduto di pos<strong>se</strong>dere e che<br />

stupivano persino me stessa per la loro intensità.<br />

E adesso? Cosa ne sarebbe stato di tutto questo?<br />

Le prove erano finite. La parte era saldamente impressa nella memoria. Il<br />

costume, che era un <strong>se</strong>mplice sacco di juta modellato con delle corde,<br />

pronto.<br />

L‟opera era giunta al suo compimento.<br />

Avrei dato vita a quelle parole e a quel personaggio che tanto avevo amato<br />

per l‟ultima volta, per l‟ultima volta in me avrebbe palpitato, avrebbe<br />

vissuto, sì, per quell‟istante per poi, a sipario chiuso, sparire per <strong>se</strong>mpre.<br />

90


Scrissi quel pomeriggio:<br />

E così sono qui.<br />

Io.<br />

Le mani congiunte, avvolte tra i sospiri, in attesa dell‟ultima scena, quella<br />

stessa che ci ritrarrà e ci sorprenderà sull‟orlo dell‟ormai certa notte dei<br />

tempi. Renderei, anima, immortale questo momento <strong>se</strong> solamente <strong>potessi</strong>,<br />

perché non s‟avveras<strong>se</strong> mai quell‟amara profezia che conosco da<br />

tempo…ma so, per questa verità, che scolpirò il mio volto d‟un ambra<br />

raggiante <strong>se</strong>ppur frangibile, e vivrò, per un attimo, come <strong>se</strong> quello fos<strong>se</strong> il<br />

primo istante che vedo, sotto una pioggia di luce.<br />

Qualche ora dopo andammo in scena. Lo spettacolo andò bene.<br />

Le luci si spen<strong>se</strong>ro.<br />

Quello che vidi, immediatamente dopo, fu che quell‟ambra raggiante che<br />

Antigone mi aveva permesso di <strong>se</strong>ntire sulla pelle del mio volto non si era<br />

sgretolata, come una maschera, alla fine dello spettacolo, così come sapevo<br />

non si sarebbe sgretolata in futuro; che ormai es<strong>se</strong>ndomi entrata dentro,<br />

nelle vene e fors‟anche nelle ossa, sarebbe rimasta lì a dimorare, non come<br />

un ricordo nostalgico, bensì come una pre<strong>se</strong>nza, mescolando la scena con la<br />

vita.<br />

Già <strong>se</strong>ntivo che la mia vita si alimentava di quella stessa ricerca.<br />

91


Mi chiedevo: Quanto vale? Quanto vale <strong>se</strong>ntire profondamente qualcosa,<br />

dentro le fibre più profonde dell‟es<strong>se</strong>re? E ascoltare quel <strong>se</strong>ntire e credere a<br />

quell‟ascolto? Quanto vale quel coraggio che non si fa scudo tremante ma<br />

che irrompe come saetta infuocata? Quanto vale <strong>se</strong>guire la propria verità, <strong>se</strong><br />

questo significa dare la propria vita? Quanto vale l‟amore? Quest‟amore<br />

appassionato, quest‟amore che fa compiere azioni folli, che fa di un sussurio<br />

un richiamo chiassoso, si può for<strong>se</strong> sopprimere, raffreddare, dimenticare? Si<br />

può for<strong>se</strong> restare disinteressati di fronte a lui, <strong>se</strong>nza curar<strong>se</strong>ne neppure,<br />

freddi, <strong>se</strong>nza legami, <strong>se</strong>nza pienezza, <strong>se</strong>nza vita?<br />

Questo mi chiedevo.<br />

La vita <strong>se</strong>nz‟altro era stata smossa dal mio incontro con Antigone (e chissà<br />

in quale altro modo avrebbe potuto orientarsi <strong>se</strong> avessi interpretato un altro<br />

personaggio, per e<strong>se</strong>mpio Ismene o Creonte, chissà quali altri mondi avrei<br />

scoperto!), essa si era riaccesa con una scintilla ed ora appariva più calda,<br />

rinnovata. La cosa che più d‟ogni altra ri-vivevo, e che tutt‟ora ri-vivo, è<br />

l‟aver in-teso. L‟aver in-teso che nella vita bisogna credere a ciò che si <strong>se</strong>nte<br />

e che la libertà è poi, soltanto, ad un piccolo passo da lì.<br />

92


Appendice<br />

Bosco di Sant‟Antonio in Abruzzo,<br />

ricerca delle immagini mimiche del coro dell‟Antigone.<br />

93


Mimesi dell‟inverno<br />

95


Mimesi della primavera.<br />

96


L‟Antigone di Sofocle regia di Gilberto Scaramuzzo,<br />

rappre<strong>se</strong>ntata al Kataklisma Teatro nel Giugno 2006.<br />

Ismene e Antigone.<br />

97


La solenne decisione di Antigone.<br />

98


Antigone dopo aver violato l‟editto al cospetto di Creonte.<br />

99


Il viaggio ultimo di Antigone, l‟addio alla patria.<br />

Gli attori dell‟Antigone sono: Laura Bartoletti (aiuto regia-Tiresia),<br />

Alessandro D‟Amico (Creonte), Silvia Mazzieri (Ismene-Emone-Euridice),<br />

Karen Medici (Antigone-Emone-Messo), Elisa Muscillo (Antigone-Emone-<br />

Messo), Valentina Tinelli (Guardia-Corifeo).<br />

Per gli scatti un ringraziamento molto particolare a Massimo Mattei.<br />

100


Bibliografia<br />

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ARISTOTELE, Poetica, Bompiani, Milano 2000.<br />

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SCARAMUZZO, G., In-tendere. L’umana sophia di Luigi Pirandello,<br />

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103

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