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Ai miei fratelli
Antigone di Frederic Leighton – 1882 - olio su tela (58,5 x 50 cm).<br />
2
<strong>Ah</strong> <strong>se</strong> <strong>almeno</strong> <strong>potessi</strong>,<br />
suscitare l‟amore<br />
come pendio sicuro al mio destino!<br />
E adagiare il respiro<br />
fitto dentro le foglie<br />
e ritogliere il <strong>se</strong>nso alla natura!<br />
O <strong>se</strong> solo <strong>potessi</strong><br />
toccar con dita tremule la luce<br />
quella gagliarda che ci sboccia in <strong>se</strong>no,<br />
corpo astrale del nostro viver solo<br />
pur rimanendo pietra, inizio, sponda<br />
tangibile agli dei…<br />
e violare i più chiusi paradisi<br />
solo con la sostanza dell‟affetto.<br />
Alda Merini<br />
3
Indice<br />
INTRODUZIONE p.6<br />
Capitolo primo<br />
UMANARSI PER ESSERE LIBERI<br />
1. Senso per l‟educativo p.8<br />
2. La libertà come umanazione p.12<br />
3. Gli Auctores p.18<br />
Capitolo <strong>se</strong>condo<br />
L‟ARTE DELLA TRAGEDIA<br />
1. L‟efficacia educativa dell‟arte p.22<br />
2. Rito e origine del dramma p.26<br />
3. La Tragedia p.28<br />
a) L’autore p.31<br />
b) L’attore p.37<br />
c) Lo spettatore p.40<br />
4
Capitolo terzo<br />
ESSERE LIBERI PER UMANARSI<br />
1. Il Teatro è paideia p.43<br />
2. In-tendere l‟autore p.48<br />
3. Il metodo mimico p.53<br />
Capitolo quarto<br />
L‟ANTIGONE<br />
a) Immedesimarsi nella realtà p.53<br />
b) Mimesi p.56<br />
1. L‟attore e il testo p.60<br />
2. La scelta p.64<br />
3. La giustizia p.69<br />
4. Il coraggio p.77<br />
5. La magnanimità p.87<br />
CONCLUSIONI p.90<br />
APPENDICE p.93<br />
BIBLIOGRAFIA p.101<br />
5
Introduzione<br />
Antigone: il volto della libertà nella vita e sulla scena.<br />
Il volto è il luogo in cui si trova il massimo della spiritualità.<br />
E‟ un luogo misterioso, primitivo, indicibile.<br />
E‟ un luogo che si lascia solo tratteggiare pian piano, con pazienza e<br />
dedizione, <strong>se</strong>nza mai la precisione di un ritratto.<br />
E‟ un luogo in cui l‟anima ha parole per esprimersi e occhi per guardare.<br />
E‟ un luogo di incontro con altri volti, di intendimento di altre parole, in una<br />
<strong>se</strong>renità che è un cieco silenzio denso di dialoghi.<br />
E‟ il luogo della verità.<br />
Questo luogo è il punto di arrivo del nostro viaggio, che procede su un<br />
terreno in cui vita e scena si mischiano a tes<strong>se</strong>re un‟umanità perfettamente<br />
riuscita.<br />
Partiremo dall‟indagare, nell‟ottica della filosofia dell‟educazione, cosa<br />
significa per l‟uomo umanarsi per es<strong>se</strong>re libero: in cosa consiste la libertà,<br />
quali sono le sue dimensioni, qual‟è il suo peso davanti alla legge e come<br />
con l‟aiuto di una guida esperta, un auctor, è possibile contagiare con la<br />
teoresi il vivere;<br />
6
successivamente mostreremo l‟importanza educativa dell‟arte e, nello<br />
specifico, della tragedia, prendendo in considerazione l‟Antigone di Sofocle;<br />
infine diremo cosa significa per l‟attore es<strong>se</strong>re libero per umanarsi:<br />
sciogliere ogni rigidità per lasciar entrare le realtà vitali che le parole<br />
veicolano in sé e per es<strong>se</strong>re in qualche modo quelle realtà;<br />
fino ad arrivare a volere il personaggio di Antigone, un vero concentrato di<br />
aretè, proprio come il personaggio si vuole, e in questo incontro, che è un<br />
dimorare, accrescere le dimensioni dell‟umano fino all‟eccellenza.<br />
7
Capitolo primo<br />
UMANARSI PER ESSERE LIBERI<br />
1. Senso per l’educativo<br />
Addentrandoci nel cammino verso la libertà, si può incorrere in paludi o<br />
strettoie, incappabili dalla consueta pigrizia di chi velocizza il proprio passo<br />
pur di giungere ad una conclusione. Nel nostro viaggio perciò, <strong>se</strong> si vuole<br />
procedere <strong>se</strong>nza fallimenti, accostandosi delicatamente a questa folta e<br />
misteriosa dimensione dell‟umano, è bene tenere a mente il suggerimento di<br />
Kierkegaard che “nelle realtà umane, è saggio procedere a passo di lumaca,<br />
anche <strong>se</strong> questo è così fuori tono dal ritmo della nostra società.” 1<br />
Il moto di cui si alimenta il vivere contemporaneo è, in effetti, rapido,<br />
superficiale, frenetico, tutte carattetistiche che si coniugano malamente con<br />
il tempo dell‟anima che è lento e paziente e fa delle conoscenze la sostanza<br />
del suo nutrimento. 2<br />
1 DUCCI, E., Approdi dell’umano. Il dialogare minore, Anicia, Roma 1992, p.43.<br />
2 Cf. PLATONE, Protagora, 313c sgg, in Tutte le opere, Newton, Roma 1997. “ «Ma di<br />
che cosa si nutre l‟anima, o Socrate?» «Di conoscenze, non c‟è dubbio»(…) «Infatti, c‟è un<br />
pericolo ben più grande nell‟acquisto di conoscenze che nell‟acquisto di cibi, perché<br />
quando si comprano cibi e bevande dal bottegaio o dal mercante li si può portar via in altri<br />
recipienti, e, prima di assumerli nel proprio corpo, bevendoli o mangiandoli, dopo averli<br />
riposti in casa, si può chiedere consiglio(…). Conoscenze, invece, non <strong>se</strong> ne possono portar<br />
via in un altro recipiente; ma, necessariamente, una volta saldato il conto, e assunta e<br />
imparata quella conoscenza proprio nell‟anima, si va via o dannaggiati o beneficati»”.<br />
8
Sommariamente paideia, disciplina, educazione, formazione, liberazione,<br />
emancipazione, umanazione “sono solo alcuni tentativi per dire una realtà<br />
complessa, per indicare uno tra i tanti volti che essa possiede, per uscire<br />
dall‟inespresso. Questa realtà è uno dei grandi specifici umani, è la ragione<br />
più profonda dell‟esperienza umana e l‟aspetto più misterioso del rapporto<br />
interpersonale, è una dimensione fondamentale della realtà, fissa un compito<br />
necessario. Da lei infatti dipende la qualità della vita, a lei si lega<br />
l‟interrogativo circa il <strong>se</strong>nso di riuscita e di fallimento umano.” 3<br />
Per comprendere cosa sia la libertà è indispensabile rintracciare innanzitutto<br />
un <strong>se</strong>nso per l’educativo, cioè quell‟affinata <strong>se</strong>nsibilità, esclusivamente<br />
umana, che si tramanda da anima ad anima e che con<strong>se</strong>nte di accedere al<br />
regno della libertà lì dove si accende e divampa il fuoco della nostra anima. 4<br />
L‟importanza di questo <strong>se</strong>nso, affinchè non si resti e<strong>se</strong>cutori ma veri<br />
portatori di libertà interiore nell‟ambito educativo, richiede un‟iniziazione<br />
esperita vitalmente. Questa ci viene offerta da Platone con un mito. Il mito è<br />
un luogo di riflessione denso di risonanza interiore che non si contrappone<br />
al logos, il pensiero razionale, ma che ne allarga la superficie. 5<br />
3 DUCCI, E, Approdi dell’umano. Il dialogare minore, Anicia, Roma 1992, p.34.<br />
4 Cf. DUCCI, E., Libertà liberata. Libertà Legge Leggi, Anicia, Roma 1994, p.19. “Parlare<br />
del <strong>se</strong>nso per l‟educativo non è affatto cosa piana. Non è laboriosa la comprensione quando<br />
si accenna al <strong>se</strong>nso per la musicalità, al <strong>se</strong>nso per il ritmo, per il colore o per la figura.<br />
Mentre rischia di non es<strong>se</strong>re esatta la comprensione laddove qualcuno parla del <strong>se</strong>nso per il<br />
bene, per la giustizia e soprattutto del <strong>se</strong>nso per l‟educativo.(…) Parlare di necessità<br />
dell‟iniziazione, perché ci sia il <strong>se</strong>nso per l‟educativo, è assommare due processi fortemente<br />
aporetici: quello dell‟iniziazione in sé, e quello di una iniziazione il cui es<strong>se</strong>rci non è<br />
ovvio.”<br />
5 Il mito è usato per spiegare ancor meglio un ragionamento perché non si rivolge alle sole<br />
capacità razionali. Nel Gorgia Socrate dice: “E allora, ascolta, come si dice, un gran bel<br />
racconto, che tu considererai un mito, credo, e che io, invece, considero un ragionamento”.<br />
(PLATONE, Gorgia, 523a, Newton, Roma 1997)<br />
9
Nel mito della caverna, 6 la sorte dell‟uomo privo di educazione viene<br />
paragonata a quella di un prigioniero condannato solo a poter vedere le<br />
ombre della realtà:<br />
Pensa a uomini chiusi in una specie di caverna sotterranea(…); essi vi<br />
stanno fin da bambini incatenati alle gambe e al collo, così da restare<br />
immobili a guardare solo in avanti, non potendo ruotare il capo per via<br />
della catena. 7<br />
A questo stato iniziale, o pre-educativo, che è un modo di es<strong>se</strong>re tutto<br />
esteriore, che impedisce di avere chiara coscienza della Verità, si affaccia la<br />
possibilità di una paideia che mediante una forza esterna al soggetto, quella<br />
dell‟educatore o iniziatore, con<strong>se</strong>nte il movimento di formazione umana:<br />
Considera, dunque, come potrebbero liberarsi e guarire dalle catene e<br />
dall’ignoranza, <strong>se</strong> capitas<strong>se</strong> loro naturalmente un caso come questo:<br />
qualora un prigioniero venis<strong>se</strong> liberato e costretto d’un tratto ad alzarsi,<br />
volgere il collo, camminare e guardare verso la luce, e nel fare tutto ciò<br />
soffris<strong>se</strong>. 8<br />
Qui si racchiude tutto il nucleo dell‟educativo. Immediatamente salta agli<br />
occhi il passaggio dal plurale al singolare: educare si può solo uno ad uno.<br />
L‟uomo non può restare qual è per natura, altrimenti rischierebbe di<br />
vanificare la propria esistenza condannandola alla falsità delle ombre né,<br />
6 Per la spiegazione del mito mi riferisco all‟interpretazione di Ducci, in proposito DUCCI,<br />
E., Approdi dell’umano. Il dialogare minore, Anicia, Roma 1992, p.52 sgg.<br />
7 PLATONE, Repubblica, Libro VII, 514a, Newton, Roma 1997.<br />
8 Op. cit., 515c.<br />
10
allo stesso tempo, va spontaneamente verso la realizzazione delle proprie<br />
potenzialità, ma necessita di qualcuno che lo costringa a voltarsi. Questo<br />
costringimento è una forza altamente liberante, come una scossa in grado di<br />
insinuarsi sin nell‟intimo e farsi bisogno insopprimibile. Ciò con<strong>se</strong>gna<br />
all‟uomo le chiavi per la libertà, poiché risponde ad un bisogno che<br />
dischiude la via per la contemplazione dell‟es<strong>se</strong>re. Certo tutto questo non è<br />
e<strong>se</strong>nte da sofferenza, gli occhi sono accecati dal bagliore della luce e lo<br />
sforzo da compiere è grande. La possibilità di compiere questo passaggio è<br />
data dal fatto che l‟uomo possiede già dentro di sé un organo che va<br />
<strong>se</strong>mplicemente orientato nella giusta direzione, cioè verso il sole:<br />
Questa facoltà insita nell’anima di ciascuno e l’occhio che permette di<br />
apprendere devono es<strong>se</strong>re distolti dal divenire assieme a tutta l’anima, così<br />
come l’occhio non può volgersi dalla tenebra alla luce <strong>se</strong> non assieme<br />
all’intero corpo, finchè non risultino capaci di reggere alla contemplazione<br />
dell’es<strong>se</strong>re e della sua parte più splendente; questo <strong>se</strong>condo noi è il bene. 9<br />
La paideia, cioè quest‟educazione spirituale, questa umanazione, non è un<br />
processo per fornire all‟uomo qualcosa che gli sia estraneo ma piuttosto un<br />
agire per qualcosa che l‟uomo possiede e che va risvegliato.<br />
Superati gli scogli del divenire e a contatto con l‟es<strong>se</strong>re, l‟uomo ritrova, per<br />
la prima volta, il <strong>se</strong>nso del proprio esistere, l‟apertura ad una trascendenza<br />
che è per lui conoscenza del principio e fonte di liberazione e guarigione.<br />
9 Op. cit., 518c-d.<br />
11
2. La libertà come umanazione<br />
La libertà rappre<strong>se</strong>nta, in questo modo, il <strong>se</strong>nso più compiuto dell‟uomo, il<br />
suo es<strong>se</strong>re più profondo e verso cui ogni suo sforzo tende, la più intima<br />
manifestazione dell‟umano, che dà spessore al significato della vita e<br />
qualifica l‟es<strong>se</strong>rci. “L‟uomo ha la possibilità e il dovere di realizzarsi: in ciò<br />
sta la sua libertà”. 10 Se consideriamo il significato della libertà dobbiamo<br />
partire, per tracciare le nostre coordinate, dall‟uomo e dall‟opzione fatta su<br />
di lui, “di vederlo, cioè, come parte di un tutto, non emergente dalla specie,<br />
dal gruppo, dal complesso sociale; o di vederlo come emergente per<br />
intensità ontologica sul reale, <strong>se</strong> stesso e la specie, dotato di originalità,<br />
irripetibilità, creatività, interlocutore dell‟Assoluto medesimo”. 11 Nel<br />
<strong>se</strong>condo caso avremo un <strong>se</strong>nso della vita riconducibile a compito da attuarsi<br />
a cui l‟uomo deve dedicarsi in maniera creativa e originale. 12<br />
Se la libertà è il nucleo più misterioso e profondo dell‟interiorità soggettiva<br />
è necessario vedere in che modo e in ba<strong>se</strong> a quali leggi si può es<strong>se</strong>re formati<br />
alla libertà.<br />
10 DUCCI, E., Libertà liberata. Libertà Legge Leggi, Anicia, Roma 1994, p.53. “Unico fra<br />
tutti i viventi l‟uomo nasce <strong>se</strong>nza determinazione coartante a un fine; nasce imperfetto,<br />
incompleto, indeterminato, in stato di povertà e d‟indigenza. Possiede, però,<br />
un‟orientazione generale all‟autosoddisfacimento e all‟autorealizzazione e un orientamento<br />
generale al bene.”<br />
11 Op. cit., p.51.<br />
12 Cf. Op. cit., p.51. Per questa <strong>se</strong>conda posizione si tiene in considerazione il pensiero<br />
platonico: “ Anime effimere, ecco l‟inizio di un altro ciclo di vita mortale, preludio di<br />
nuova morte. Non sarà un demone a scegliere per voi, ma sarete voi a scegliere il vostro<br />
demone. Chi è stato sorteggiato per primo, per primo scelga la vita alla quale sarà<br />
necessariamente congiunto. La virtù non ha padrone, e ogniuno ne avrà in misura maggiore<br />
o minore a <strong>se</strong>conda che la onori o la disprezzi. La responsabilità è di chi ha fatto la scelta;<br />
la divinità è incolpevole”. (PLATONE, Repubblica X, 617 d-e)<br />
12
Ma di quale libertà intendiamo parlare?<br />
Se alla relazione ontologica, di cui abbiamo trattato, aggiungiamo l‟esigenza<br />
di una meta e misura qualitativa possiamo rispondere alla nostra domanda.<br />
Una relazione quantitativa implica una misura del tutto omogenea all‟uomo<br />
che differisce solo per quantità, che rende l‟ambito della scelta ristretto, e<br />
limitato l‟uomo al solo campo del razionale; mentre una relazione<br />
qualitativa offre numero<strong>se</strong> potenzialità per l‟io che diviene un‟irrepetibilità<br />
potenziale perché si rapporta ad un Assoluto che lo trascende, <strong>se</strong>nza<br />
snaturarlo e che lo rende operoso di fronte al suo compito.<br />
Così l‟idea di libertà che si delinea è quella di una volizione libera in<br />
relazione all‟Assoluto, 13 cioè la “possibilità, che è di tutti, di diventare un<br />
Singolo davanti a Dio, possibilità tenuta nella posizione forte che vede<br />
l‟Assoluto come meta e misura dell‟uomo, ossia come la ratio dell‟uomo, la<br />
fonte di <strong>se</strong>nso che sola con<strong>se</strong>nte di cogliere e dire la modalità ultima<br />
dell‟umano. Niente può misurare l‟uomo, niente può dire la misura<br />
dell‟umano. Né la natura, né la società, né il progresso, ma soltanto<br />
l‟Assoluto Persona”. 14<br />
“Il vero movimento liberante dell‟uomo non comporta diventar altro, ma<br />
diventare quell‟io che si è.” 15<br />
I fondamenti di questo movimento liberante sono:<br />
- le istanze originarie della persona:<br />
13<br />
Cf. Op. cit., p.54-55. Se l‟es<strong>se</strong>re dell‟uomo è partecipato, allora egli può, data la relazione<br />
con l‟Assoluto, avere intensità massima.<br />
14<br />
DUCCI, E., Approdi dell’umano. Il dialogare minore, Anicia, Roma 1992, p.73.<br />
15<br />
DUCCI, E., Libertà liberata. Libertà Legge Leggi, Anicia, Roma 1994, p. 55.<br />
13
cioè le esigenze assolute che costituiscono l‟uomo nella sua soggettività<br />
originaria e che sono espres<strong>se</strong> dall‟io voglio / tu devi, dove il tu devi è<br />
radicato nello stesso io voglio creando, per tanto, una dialettica di<br />
realizzazione eticamente inscritta nel soggetto e aperta alla relazione. Se<br />
l‟etica è inscritta nell‟uomo allora egli tenderà per natura verso la sua<br />
realizzazione, umanando <strong>se</strong> stesso non nell‟isolamento ma grazie al<br />
relazionarsi con l‟altro da sé. In tal modo la morale personale coincide con<br />
quella collettiva, poiché la relazione sarà in riferimento alla trascendenza.<br />
- la motivazione:<br />
si riferisce al rapporto con il reale che è oggetto di scelta, essa non solo<br />
giustifica la scelta stessa come giusta e utile per il soggetto che la compie,<br />
ma conferisce anche l‟energia per realizzare l‟io attraverso le scelte. Se le<br />
scelte sono coerenti con l‟intereiorità e mirate verso un obiettivo allora<br />
anche la spinta sarà accresciuta da quella energia.<br />
- la pulsione fondamentale del soggetto:<br />
La ricerca e l‟ascolto, l‟accoglimento e l‟attuazione di questa pulsione, che è<br />
la tensione al bene, tradotta come tensione ad un bene concreto o meglio,<br />
alla realizzazione di sé nel rapporto con l‟Assoluto e con gli altri.<br />
- conoscenza di sé:<br />
è una conoscenza dialogica che vede l‟io conoscere <strong>se</strong> stesso nella misura in<br />
cui si relaziona giustamente all‟altro.<br />
- volizione di sé:<br />
è la volizione-scelta verso <strong>se</strong> stesso che richiama il rapporto ad una meta e<br />
misura qualitativa che infinitizza l‟uomo.<br />
- decisione come unificazione della persona:<br />
14
è il momento unificante di tutte le componenti della persona che modifica<br />
saldamente il modo di es<strong>se</strong>re dell‟io. 16<br />
“L‟uomo è libero dopo che ha deciso, dopo che ha preso la deliberazione di<br />
rispondere, in maniera adeguata alle proprie esigenze es<strong>se</strong>nziali per<br />
realizzarsi e concretarsi: quando l‟esigenza è stata confrontata con l‟oggetto<br />
che poteva soddisfarla, l‟oggetto è stato scelto e la scelta ha modificato il<br />
modo di es<strong>se</strong>re dell‟io.” 17 In buona sostanza l‟uomo libero è un uomo che si<br />
è posto in un ascolto profondo di <strong>se</strong> stesso, un ascolto che ha per oggetto<br />
l‟interiorità, intesa come presa di pos<strong>se</strong>sso della propria soggettività<br />
originaria che ci identifica con noi stessi e ci differenzia dall‟oggetto.<br />
L‟interiorità è una dimensione importante del vivere e dell‟agire libero<br />
perché garantisce la possibilità alla scelta di non avere il principio della<br />
motivazione all‟esterno, nelle opinioni o negli oggetti. Se infatti l‟oggetto<br />
esterno, diventa preponderante interferendo sulla decisione, questa non è più<br />
libera bensì condizionata dall‟oggetto. La libertà inizia <strong>se</strong>mpre con un<br />
soggetto che decide, e si manifesta in un oggetto verso cui quella decisione<br />
è rivolta, che rende concreto l‟agire. In questo <strong>se</strong>nso oltre all‟interiorità sarà<br />
importante la convinzione che è una comprensione assorbita dal vivere<br />
stesso che dirige il volere e l‟impegno-compito che indica la traduzione del<br />
conoscere in fare. 18<br />
La libertà emerge come “un problema etico che riguarda e interessa<br />
chiunque voglia vivere nel <strong>se</strong>nso pieno del termine, e che deve es<strong>se</strong>re creato<br />
mediante la realtà interiore della vita in ogni istante”. 19 Dunque libertà come<br />
compito da realizzare nella relazione con l‟Assoluto e gli altri, che interessa<br />
il vivere di quel soggetto che osa spingersi nelle profondità del suo es<strong>se</strong>re,<br />
16 Cf. Op. cit., p.55 sgg.<br />
17 Op. cit., p.60.<br />
18 Cf. Op cit., p.61 sgg.<br />
19 Op. cit., p.63<br />
15
nel nucleo più intimo e prezioso, dove si irradiano tutte le sue potenzialità e<br />
che sa manifestarsi in una scelta, voluta, che ha per oggetto il distinto da sé.<br />
La libertà es<strong>se</strong>ndo umanazione dell‟uomo, tensione a realizzarsi può es<strong>se</strong>re<br />
letta nell‟ottica del bisogno. Esistono bisogni naturali e non naturali: i<br />
bisogni che nascono dalla natura hanno un limite; quelli, invece, che<br />
derivano da falsa opinione sono <strong>se</strong>nza fine: non c’è nessun termine per<br />
l’errore. Chi <strong>se</strong>gue la sua strada ha <strong>se</strong>mpre una meta da reggiungere, ma<br />
chi ha smarrito la retta via, va errando all’infinito. 20 Nel nostro caso “<strong>se</strong>nza<br />
dubbio è un bisogno primario (o for<strong>se</strong> il bisogno primario) per l‟uomo la<br />
realizzazione della propria costruzione individuale e personale” 21 , è una<br />
necessità interiore che chiama all‟azione, un vivere nell‟indigenza che arde<br />
di un fuoco vivo, un esigenza che una volta avvertita non può es<strong>se</strong>re più<br />
ignorata, anche <strong>se</strong> la fatica che richiede per il suo appagamento è grande. I<br />
bisogni primari e naturali, inscritti nell‟individuo devono però <strong>se</strong>mpre<br />
confrontarsi con i veri bisogni dell‟epoca in cui si vive e ciò può rendere il<br />
loro soddisfacimento rischioso.<br />
20 SENECA, Lettere a Lucilio, 16, 9, Bur, Milano 1998. “Abbandona, quindi, le vanità e,<br />
quando vorrai sapere <strong>se</strong> i tuoi desideri sono <strong>se</strong>condo natura oppure ciechi, considera <strong>se</strong><br />
hanno un termine dove arrestarsi: <strong>se</strong>, andando avanti nel soddisfare un desiderio, <strong>se</strong>nti<br />
<strong>se</strong>mpre più lontano il suo appagamento, sappi che non è un desiderio naturale.”<br />
21 DUCCI, E., Approdi dell’umano. Il dialogare minore, Anicia, Roma 1992, p.36. “Non è<br />
retorico parlare di angoscia per chi si occupa dell‟educativo in teoria o in pratica per la<br />
possibile tragica miopia circa la distinzione tra bisogni naturali – fondamentali reali -, e<br />
bisogni indotti dalla superficialità delle mode, dal potere subdolo del consumismo, o da<br />
certe astuzie dell‟economico. For<strong>se</strong> si richiede un <strong>se</strong>ntire umano <strong>se</strong>mpre vigile e non<br />
comune per attutire le con<strong>se</strong>guenze dell‟addensarsi di fumo e nebbia.(…) Sarebbe già molto<br />
anche il solo interrogarsi <strong>se</strong> la formazione che ci è stata o ci viene imposta, e quella che<br />
tutt‟ora chiediamo risponde a bisogni indotti dalla moda, bisogni cioè di superficie, o<br />
bisogni veri e più profondi. Va for<strong>se</strong> riproposta la dialettica: es<strong>se</strong>re/ dover es<strong>se</strong>re / benees<strong>se</strong>.<br />
16
Cosa accade quando la libertà incontra la Legge?<br />
Questa è una domanda lecita perché <strong>se</strong> si vuole che una scelta sia giusta è<br />
necessario che essa sia in<strong>se</strong>rita all‟interno delle coordinate spazio-temporali<br />
che contraddistinguono un epoca. Il <strong>se</strong>nso per la Legge è un primo momento<br />
da indagare. Il fondamento emerge <strong>se</strong> ci si pone il problema dell‟io umano e<br />
del suo es<strong>se</strong>re o no un io posto. Se l‟io dell‟uomo non è un io posto il<br />
termine si svuota di significato e decade, nel caso contrario invece abbiamo<br />
la potenzialità-compito insita nell‟uomo. La Legge ha così un suo <strong>se</strong>nso<br />
forte. Se la Legge ha, ontologicamente parlando, un <strong>se</strong>nso, allora possiamo<br />
procedere cercando il <strong>se</strong>nso per la Legge. La Legge di cui si parla è la legge<br />
degli dei, non scritta quella legge che vive nell‟anima come una luce che<br />
attrae e muove verso il bene, quella legge trasgredendo la quale si<br />
giugerebbe al completo fallimento della propria esistenza. Eppure ciò che<br />
spesso disattende il suo compimento è la profonda discontinuità esistente tra<br />
la Legge e alcune leggi. 22<br />
Allora cosa fare? Seguire quella Legge andando contro le leggi oppure<br />
as<strong>se</strong>condare le leggi ed ignorare la Legge? Se si <strong>se</strong>guita ad educare alla<br />
Legge si rischia di far crescere un uomo disadattato, che non può vivere nel<br />
contingente perché portatore di una profonda verità che non trova spazio per<br />
es<strong>se</strong>re accolta; altrimenti, <strong>se</strong> si inculcano le leggi, si formano uomini-massa<br />
falliti rispetto al proprio compito. Che fare, dunque?<br />
22 DUCCI, E., Libertà liberata. Libertà Legge Leggi, Anicia, Roma 1994, p.22 sgg. “<br />
L‟uomo non sta in una zattera abbandonata alle correnti e ai marosi, anche <strong>se</strong> tanti eventi<br />
inducono questa conclusione. C‟è una Legge (dunque una luce e una direzione) scritta nel<br />
suo es<strong>se</strong>re stesso. Senza presumere al di là delle mie forze, direi che essa stabilisce il valore<br />
della soggettività. Ne stabilisce l‟incommensurabilità con tutto ciò che soggetto non è; ne<br />
stabilisce la non interscambiabilità.(…) La legge intravista, riconosciuta e voluta induce al<br />
<strong>se</strong>nso per la sproporzione. Sproporzione tra Legge e talune leggi da lei difformi.<br />
Sproporzione tra ciò che essa esige e le con<strong>se</strong>guenze per la trasgressione a queste medesime<br />
leggi. La sproporzione è tanto forte da far sì che, il decidere per lei non chiede<br />
ponderazione, non ha bisogno di tempo.”<br />
17
3. Gli Auctores<br />
Per problematizzare, ancora di più l‟interrogativo, non possiamo che<br />
affidarci a qualcuno, una preziosa guida che ci permetta di inabbissarci nei<br />
mari più tempestosi eppur incontamimati. Ci occorre l‟aiuto degli auctores<br />
perché una mano protesa è l‟inizio di una conversazione che tende<br />
all‟infinito. “Gli auctores, [sono] quei pensatori e scrittori in genere,<br />
apparteneti a campi non pre-<strong>se</strong>gnati, che hanno la capacità di cogliere<br />
l‟umano e di comunicare, sì da far crescere, in tutto quello che ha a che fare<br />
con l‟umano, chi accoglie la comunicazione.” 23 Sono dei vasti orizzonti a<br />
cui ci si affida per cogliere la persona in tutte le sue aporie, per uscire<br />
dall‟isolamento che non con<strong>se</strong>ntirebbe di parlare dell‟educativo con<br />
giustezza (dato che la natura dell‟oggetto è relazionale, la modalità per<br />
accostarvisi è rappre<strong>se</strong>ntata dal dialogo, il dialogo con un grande), per<br />
sviluppare in noi il <strong>se</strong>nso per l’educativo. Affinare tale <strong>se</strong>nso o <strong>se</strong>nsibilità è<br />
d‟obbligo: <strong>se</strong> si vuole indagare un campo così delicato, è importante non<br />
perdere di vista la <strong>se</strong>ria preoccupazione per ciò che concerne l‟uomo. Anche<br />
questa, come tutte le altre <strong>se</strong>nsibilità, è una disposizione naturale, non<br />
oggettivabile che necessita di rinvigorimento costante, coltivazione,<br />
cabarbietà e affinamento. 24 Essa è ciò che elimina dal nostro relazionarci<br />
all‟oggetto ogni fretta, oggettività, scarsa <strong>se</strong>rietà, immi<strong>se</strong>rimento, per<br />
restituirci ad una più intima qualificazione del <strong>se</strong>nso per l‟uomo. “C‟è un<br />
altro modo ancora per dire l‟importanza della <strong>se</strong>nsibilità per l‟educativo:<br />
urge trovare un gran numero di apporti per rimuovere, ogni istante, il<br />
pericolo che <strong>se</strong>mpre incombente di rimpicciolire e immi<strong>se</strong>rire l‟educativo<br />
stesso(…). Per dirlo meglio mi avvalgo di una metafora kierkegaardiana che<br />
23 DUCCI, E., Approdi dell’umano. Il dialogare minore, Anicia, Roma 1992, p.67.<br />
24 Cf. Op cit., p.69.<br />
18
costituisce una pagina bella de Gli atti dell’amore: «Facciamo il caso di due<br />
pittori. Il primo dice: “Ho viaggiato molto e ho visto molte co<strong>se</strong> nel mondo,<br />
ma non sono riuscito a trovare un uomo che meritas<strong>se</strong> un ritratto, né a<br />
trovare qualche paesaggio che fos<strong>se</strong> l‟immagine perfetta della bellezza, così<br />
da risolvermi a dipingerlo; <strong>se</strong>mpre trovavo qualche difetto, perciò la mia<br />
ricerca è stata inutile” – un simile pittore sarà mai un grande pittore? L‟altro<br />
pittore invece dice: “Io invero non mi pre<strong>se</strong>nto come artista, non ho<br />
viaggiato all‟estero; però qui, <strong>se</strong>nza uscire dalla piccola cerchia di uomini<br />
che sono i miei più vicini, non ho trovato neppure un volto così<br />
insignificante oppure così difettoso che non aves<strong>se</strong> qualche lato bello e<br />
illuminante, perciò sono contento di e<strong>se</strong>rcitare con essi la mia arte”. – Non<br />
sarebbe proprio questo il <strong>se</strong>gno ch‟era costui il vero artista, perché portava<br />
con sé una certa qualcosa che l‟altro artista dei viaggi non riuscì a trovare in<br />
nessuna parte del mondo, probabilmente perché costui non la portava con<br />
sé?». 25 Questa metafora ne richiama un'altra di Whitman:<br />
«Oggi, prima dell‟alba, sono salito su un colle e ho guardato il cielo<br />
affollato,<br />
E ho detto al mio spirito:<br />
Quando avremo abbracciato<br />
Tutti quei mondi e goduto e saputo ogni cosa di essi,<br />
saremo sazi e soddisfatti, dopo?<br />
E il mio spirito dis<strong>se</strong>:<br />
Arriveremo a quel limite<br />
Per superarlo e pro<strong>se</strong>guire oltre ». 26<br />
25 Cf. Op cit., p.71.<br />
26 WHITMAN, W., Foglie d’erba, Rizzoli, Milano 1988, p.221.<br />
19
Oltrepassare i confini spazio-temporali, slargarci dai limiti, acquisire un<br />
terzo occhio che ci faccia vedere lontano, tanto da poter valicare tutto ciò<br />
che potrebbe far da ripiego o risolvere, meravigliarsi di fronte a tanta<br />
bellezza, emozionarsi, es<strong>se</strong>re avidi, inquieti, curiosi viaggiatori alla ricerca<br />
di una fonte pura a cui abbeverarsi. Gli auctores perciò oltre a salvaguardare<br />
la <strong>se</strong>nsibilità per l‟educativo, hanno altre caratteristiche: scuotono la terra<br />
arandola a fondo per non con<strong>se</strong>ntire la formazione d‟incrostazioni; sono<br />
primitivi, cioè aderiscono alla realtà del contingente e ne colgono le<br />
domande tragiche e profonde per l‟uomo; prendono le giuste distanze dal<br />
quotidiano permettendo anche a chi accosta il loro cammino di fare lo<br />
stesso; invogliano a riconoscere liberamente la propria strada. 27<br />
Gli auctores non sono molti, bisogna perciò sceglierli, acquistare<br />
dimestichezza, nutrirsi di essi ed es<strong>se</strong>rgli fedeli, affinchè qualcosa di loro<br />
permanga stabilmente nella nostra anima e i <strong>se</strong>mi gettati sul terreno<br />
germoglino al primo raggio di sole. Come chi vive in perpetuo<br />
vagabondaggio, ha molti ospiti e nessun amico e chi vuol es<strong>se</strong>re da per tutto<br />
in realtà non è in nessun luogo, così chi legge tanti libri diversi, con fretta e<br />
superficialità avrà confusione e mai giovamento. Leggere dunque <strong>se</strong>mpre i<br />
migliori autori. Assaggiare di qua e di là è proprio di uno stomaco viziato e<br />
non nutre 28 , niente impedisce tanto la guarigione quanto il cambiare spesso<br />
i rimedi. Non arriva a cicatrizzarsi la ferita, <strong>se</strong> si provano varie medicature.<br />
Non cresce vigoroso l’albero che è spesso trapiantato. Nessuna cosa, per<br />
quanto utile, reca giovamento in un fuggevole contatto. Troppi libri<br />
producono dissipazione. 29 I libri che leggiamo devono es<strong>se</strong>re gli<br />
indispensabili, in grado di tracciare il <strong>se</strong>ntiero su cui camminare con tutti i<br />
nostri sforzi e con gli occhi fermamente rivolti verso un'unica direzione.<br />
27 Cf. DUCCI, E., Approdi dell’umano. Il dialogare minore, Anicia, Roma 1992, p.72 sgg.<br />
28 Cf. SENECA, Lettere a Lucilio, 2, 2 sgg, Bur, Milano 1998.<br />
29 Op. cit., 2, 3.<br />
20
Occore <strong>se</strong>mpre uniformare il nostro moto ad una meta affinchè l‟anima<br />
abbia uno slancio grande e totale. Se la vita non è liberata da tutto ciò che la<br />
raffrena e non è direzionata verso il bene diventa solo un vagabondaggio, di<br />
chi, indeciso ed esitante, torna paurosamente sui suoi passi. 30<br />
Qual è il giusto rapporto che si deve instaurare con l‟auctor per es<strong>se</strong>re<br />
educati alla libertà?<br />
E‟ evidente che avvicinare un auctor non è cosa <strong>se</strong>mplice, perciò una volta<br />
individuato il valore e la purezza di quella fonte, bisogna trovare il modo<br />
migliore per abbeverarvisi. Senza dubbio il modo più comune è leggere<br />
l‟autore. Un altro è imparare a dialogare con l‟autore, metodo proprio della<br />
filosofia. Un terzo è fare la mimesi nell‟autore. L‟incontro con l‟autore è<br />
<strong>se</strong>mpre diverso: nel caso del leggere comune non ci sono accezioni<br />
particolari che muovono l‟interiorità; nel caso del dialogare c‟è il “con” che<br />
introduce un rapporto di profonda vicinanza, o <strong>se</strong> vogliamo di convivenza<br />
tra me e l‟autore, che necessita di un iniziazione; nel terzo caso c‟è “nel” o<br />
“in”, che sta per abitare nell‟autore o in-tendere l‟autore. Quest‟ultimo è<br />
l‟approccio dell‟arte, e, nello specifico, dell‟attore che lavora con la mimesi<br />
su cui ci soffermeremo nei prossimi capitoli per dimostrarne l‟ampiezza e la<br />
libertà.<br />
30 Op. cit., 95, 46.<br />
21
Capitolo <strong>se</strong>condo<br />
L’ARTE DELLA TRAGEDIA<br />
1. L’efficacia educativa dell’arte<br />
Per trattare dell‟arte greca e della sua efficacia educativa dobbiamo affidarci<br />
a Jaeger, che riferendosi alla poesia omerica e poi estendendo il discorso<br />
alle forme più tarde della letteratura greca, afferma: “educativa in <strong>se</strong>nso<br />
proprio non può es<strong>se</strong>re <strong>se</strong> non una poesia le cui radici si addentrino negli<br />
strati profondi dell‟es<strong>se</strong>re umano, nella quale viva un ethos, uno slancio<br />
superiore dell‟animo, un‟immagine dell‟umano che accomuni e vincoli gli<br />
uomini.” 31 Si tratta di un‟arte che non mostra <strong>se</strong>mplicemente la realtà così<br />
com‟è, proponendone un frammento imperfetto e condizionato dal punto<br />
d‟os<strong>se</strong>rvazione, ma che porta alla contemplazione di un determinato ideale,<br />
condiviso e condivisibile, di qualità superiore rispetto alla realtà. L‟aspetto<br />
quantitativo anche in questo caso lascia il passo a quello qualitativo.<br />
L‟ideale proposto è un aretè, un‟eccellenza, un valore supremo che fa da<br />
monito alla vita. L‟aretè è anche ciò che <strong>se</strong>condo Aristotele permette<br />
all‟uomo di es<strong>se</strong>re felice perché la felicità è una attività dell’anima <strong>se</strong>condo<br />
perfetta virtù 32 , un movimento interiore che si propaga in un cerchio di<br />
31 JAEGER, W., Paideia. La formazione dell’uomo greco, Bompiani, Milano 2003, p.88.<br />
32 ARISTOTELE, Etica Nicomachea, 1102a 5, trad. Bompiani, Milano 2000.<br />
22
perfezione. La virtù è una disposizione dell‟anima 33 che porta l‟uomo ad<br />
es<strong>se</strong>re in buono stato e a compiere al meglio la sua funzione specifica. Se<br />
dunque abbiamo una virtù, che è una disposizione, situata nel giusto mezzo<br />
tra due eccessi, come per e<strong>se</strong>mpio avviene nel caso del coraggio che è una<br />
medietà tra due vizi, la paura e la temerarietà, allora, spingendo al massimo<br />
la sua intensità cercando di non incorrere nei vizi e rendendola consolidata<br />
grazie all‟abitudine, saremo felici. Il giusto mezzo tra gli eccessi non è dato<br />
una volta per tutte e non è neppure per tutti ugualmente valido, questo sarà<br />
<strong>se</strong>mpre un giusto mezzo determinato rispetto a noi, cioè rispetto ad un Io,<br />
particolare e inimitabile, calato nella situazione, altrettanto particolare e<br />
inimitabile. 34 La virtù, dunque, è una disposizione concernente la scelta,<br />
consistente in una medietà in rapporto a noi, determinata in ba<strong>se</strong> ad un<br />
criterio, e precisamente al criterio in ba<strong>se</strong> al quale la determinerebbe<br />
l’uomo saggio. 35 In tal modo si delinea una virtù che va esperita e<br />
rinvigorita ogni giorno tramite le scelte del singolo, che hanno per oggetto i<br />
mezzi per raggiungere il fine, e che <strong>se</strong> diviene una virtù ben perfezionata<br />
non può che rendere felice colui che la esplica così come coloro che di<br />
riflesso vi si specchiano. L‟uomo infatti ha <strong>se</strong>mpre bisogno di modelli a cui<br />
riferirsi per migliorarsi. 36 In tal <strong>se</strong>nso <strong>se</strong> impattiamo in un‟arte, che sia<br />
33<br />
Per Aristotele (Op.cit., 1105a 20): “Gli atteggiamenti dell‟anima sono tre, passioni<br />
capacità disposizioni(…). Chiamo passioni il desiderio, l‟ira, la paura, la temerarietà,<br />
l‟invidia, la gioia, l‟amicizia, l‟odio, la brama, la gelosia, la pietà, e in generale tutto ciò cui<br />
<strong>se</strong>gue piacere e dolore. Chiamo, invece, capacità ciò per cui si dice che noi possiamo<br />
provare delle passioni, per e<strong>se</strong>mpio, ciò per cui abbiamo la possibilità di adirarci o di<br />
addolorarci o di <strong>se</strong>ntir pietà. Disposizioni, infine, quelle per cui ci comportiamo bene o<br />
male in rapporto alle passioni.”<br />
34<br />
Cf. Op. cit., 1106a 14 sgg.<br />
35<br />
Op. cit., 1107a.<br />
36<br />
Seneca in Ad Luc., 11,10 scrive: “Si eviterebbero molti peccati, <strong>se</strong>, quando stiamo per<br />
commetterli, fos<strong>se</strong> pre<strong>se</strong>nte un testimone. E‟ bene provare un <strong>se</strong>ntimento di venerazione per<br />
una persona che, con la sua autorità, possa rendere migliori anche gli aspetti più <strong>se</strong>greti<br />
della nostra vita. Felice colui alla cui pre<strong>se</strong>nza, anzi al cui <strong>se</strong>mplice pensiero, ci si corregge!<br />
Felice chi venera tanto un uomo, che al suo <strong>se</strong>mplice ricordo riesce a migliorarsi e a<br />
emendarsi. Sarà subito oggetto di stima e di venerazione, chi prova tali <strong>se</strong>ntimenti verso un<br />
altro. Scegliti, dunque, un Catone, ma, <strong>se</strong> ti <strong>se</strong>mbra troppo rigido, scegliti un Lelio, d‟indole<br />
23
custode di belle umanità e belle virtù, che propone cioè delle belle immagini<br />
alle quali approssimarci, a cui tenderemo nel nostro cammino di<br />
umanazione, questa sarà come un faro acceso che direzionerà il nostro agire,<br />
che ci permetterà di voltarci e camminare nella giusta direzione. L‟arte ha<br />
un forte potere suggestivo, “ha in sé una illimitata capacità di<br />
comunicazione spirituale, di psicologìa, come dicevano i Greci. Essa sola<br />
possiede ad un tempo quella universalità e quell‟evidenza vitale immediata<br />
che sono le due condizioni più importanti dell‟efficacia comunicativa.” 37<br />
Es<strong>se</strong>ndo un condensato di universalità e di vita, essa è nettamente superiore<br />
ad ambedue perché la riflessione filosofica, pur penetrando all‟interno,<br />
nell‟es<strong>se</strong>nza delle co<strong>se</strong> ed elevando lo spirito manca di vita vissuta e può<br />
es<strong>se</strong>re <strong>se</strong>ntita pienamente solo da coloro che riescono, con la loro esperienza<br />
personale, a ridipingerla in vita; la vita reale, d‟altro canto, possiede<br />
soggettività, calore e l‟esperienza del <strong>se</strong>nsibile pur mancando di<br />
universalità. L‟arte è così più vitale di ogni filosofia e più intelligente di<br />
ogni vita. 38<br />
Da un dialogo fatto di immagini, che avviene spontaneamente tra artista e<br />
fruitore dell‟opera d‟arte, essa diviene un vero e proprio principio educativo<br />
in grado, più d‟ogni altro mezzo umano, di penetrare nell‟interiorità,<br />
scuotendola ed invogliandola all‟agire interiore. “Cultura e poesia scorgono<br />
il loro modello nell‟impulso di plasmare figure, proprio della scultura, e<br />
s‟indirizzano all‟idea dell‟uomo come arte; l‟arte, dal canto suo, è<br />
indirizzata dalla cultura e dalla poesia all‟anima. Ma in tutto ciò si rivela un<br />
alto apprezzamento dell‟uomo, che per tutte tre è il centro dell‟interes<strong>se</strong>.<br />
più mite. Scegliti, cioè, un uomo di cui ti piacciono le parole, il modo di vivere e il volto<br />
stesso che riflette il suo animo. Tienilo <strong>se</strong>mpre davanti a te, o come guida o come e<strong>se</strong>mpio.<br />
Ci occorre-ripeto-una persona a cui adeguare i nostri costumi: non possiamo correggere le<br />
cattive abitudini <strong>se</strong> non ci riferiamo costantemente a una norma.”<br />
37 JAEGER, W., Paideia. La formazione dell’uomo greco, Bompiani, Milano 2003, p.89<br />
38 Cf. Op. cit., p.89<br />
24
Tale indirizzo antropocentrico, assunto dallo spirito attico, <strong>se</strong>gna il<br />
momento che vede nascere la “umanità”, non già nel <strong>se</strong>nso social-<br />
<strong>se</strong>ntimentale di amor del prossimo, che i Greci chiamano filantropia, bensì<br />
quale intendimento del vero es<strong>se</strong>re dell‟uomo.” 39 L‟arte è indirizzata<br />
all‟anima, alla sua cura e crescita.<br />
Ecco perchè i Greci fecero dell‟arte, ed in particolar modo del Teatro, la<br />
fonte della loro educazione spirituale, della loro paideia.<br />
39 Op. cit., p.485.<br />
25
2. Rito e origine del dramma<br />
Nel mondo antico esisteva un intimo <strong>se</strong>nso di corrispondenza o addirittura<br />
coincidenza tra rito e dramma. Le rappre<strong>se</strong>ntazioni cadevano <strong>se</strong>mpre in certi<br />
giorni di festa e venivano accompagnate da precisi simbolismi di chiaro<br />
carattere religioso. Durante le feste, celebrandosi un mito accolto dall‟intera<br />
collettività, si approdava al tempo degli dei, un tempo sacro e solenne.<br />
Ogni drammaturgia è in origine una liturgia, cioè una struttura mitica in cui<br />
ciò che è trascendente si sposa con l‟immanente, in una comunione che<br />
coinvolge l‟intera comunità. Ciò che sposta l‟as<strong>se</strong> dell‟evento verso esiti<br />
meno religiosi e più spettacolari è il <strong>se</strong>nso di partecipazione sacrale: infatti<br />
non appena il fenomeno mitico invece di es<strong>se</strong>re vissuto dall‟intera tribù<br />
sacralmente, per mezzo di rituali praticati personalmente, è vissuto<br />
diversamente da alcuni che sono attori che agiscono (potendo interrompere<br />
in ogni momento la loro rappre<strong>se</strong>ntazione) e da altri che sono spettatori che<br />
guardano (conoscendo il gioco) allora si ha il Teatro, una finzione o<br />
rappre<strong>se</strong>ntazione in cui vivono dei personaggi sulla scena. Il rito in questo<br />
modo diventa dramma nel momento in cui l‟incarnazione del dio da parte<br />
del sacerdote avviene <strong>se</strong>nza trauma psicologico (<strong>se</strong>nza cioè l‟idea che il dio<br />
è entrato dentro di lui), e la rappre<strong>se</strong>ntazione viene riconosciuta da tutti<br />
come tale. La maschera non è più il dio stesso ma è il dio in termini<br />
simbolici. 40<br />
In buona sostanza, ciò che emerge è un mito che, staccandosi dalla liturgia,<br />
diventa via via arte: “come un organismo, la cui anima si trova in via di<br />
perpetuo rinnovamento e mutamento. Chi produce tale mutamento è il<br />
40 Cf. D‟AMICO, S., Storia del teatro drammatico, Garzanti, Milano1968, p.6.<br />
26
poeta.” 41 Il poeta traduce in forma scritta, <strong>se</strong>condo il proprio particolare<br />
modo di <strong>se</strong>ntire, il vivo materiale narrato nei miti, con<strong>se</strong>ntendogli così di<br />
avere una nuova e potente narrazione che non avviene solo oralmente ma<br />
anche visivamente. Immagini e suono. La parola diviene come un<br />
incantesimo, come il canto delle Sirene di Ulis<strong>se</strong>, come una magia<br />
potentissima che volge in qualunque luogo essa voglia condurre quelli che<br />
l‟ascoltano. Il suo incantesimo, può es<strong>se</strong>re ingannatore e <strong>se</strong>duttivo, perciò<br />
dannoso, <strong>se</strong> alimentato da doxa, da menzogne, da vuote opinioni, oppure<br />
benefico <strong>se</strong> animato da retta verità.<br />
Voce e visione si intrecciano così a creare la tragedia, in cui il dramma<br />
diventa metafora antica eppur nuova per descrivere la vita e le sue forme. 42<br />
Ma che cos‟è un Dramma e in cosa consiste la sua efficacia?<br />
Il dramma è una forma d‟arte (con origine religiosa) destinata alla<br />
rappre<strong>se</strong>ntazione scenica che presuppone per la sua definizione una triade<br />
costituita da: autore, attore e spettatore. Il termine deriva dal greco (drao,<br />
opero, agisco) ed è un dialogo volto a rappre<strong>se</strong>ntare un conflitto, di carattere<br />
spirituale, che avviene tra due o più personaggi. 43<br />
41 JAEGER, W., Paideia. La formazione dell’uomo greco, Bompiani, Milano 2003, p.139.<br />
42 VERNANT, J.P., L’uomo greco, Laterza, Bari 1991, p.203.<br />
43 Cf. D‟AMICO, S., Storia del teatro drammatico, Garzanti, Milano1968, p.4.<br />
27
3. La Tragedia<br />
La tragedia è una delle forme del dramma. Essa ha delle origini che sono<br />
profondamente legate al culto di Dioniso, dio della vegetazione, della vite,<br />
del vino e dei sui effetti, della follia, dell‟estasi religiosa, della maschera e<br />
di tutto ciò che permette una trasformazione dell‟apparenza ordinaria della<br />
realtà.<br />
I culti dionisiaci erano svolti nella massima solennità, avvenivano<br />
nell‟ambito di una festa campestre in cui i partecipanti davano la caccia ad<br />
un animale che rappre<strong>se</strong>ntava il dio adorato. L‟atmosfera era gioviale e il<br />
corteo composto da menadi e satiri: “musiche, danze e vino, e fors‟anche il<br />
fumo di certi <strong>se</strong>mi, eccitavano all‟orgia mistica i fedeli, camuffati con pelli e<br />
corna d‟animali <strong>se</strong>lvatici, fino a una sorta di furore, che li induceva a<br />
precipitarsi in traccia dell‟animale sacro, e, fattane preda, a sbranarlo e a<br />
cibar<strong>se</strong>ne. Furente confessione d‟una umana <strong>se</strong>te di divino, confuso<br />
annuncio della «comunione» cristiana, del resto frequente fra i popoli<br />
primitivi: essi credevano con ciò d‟appropriarsi qualcosa della divinità, di<br />
partecipare in qualche modo alla sua natura.” 44 Ecco perché la tragedia nel<br />
V <strong>se</strong>c a.c. avviene nell‟ambito di festeggiamenti quali le grandi Dionisie, in<br />
inverno o all‟inizio della primavera, perché in <strong>se</strong>nso lato il teatro è una<br />
“comunione di un pubblico con uno spettacolo vivente” 45 , ha una natura<br />
collettiva ed è un sacro recinto per la divinità.<br />
Durante queste feste veniva intonato il ditirambo, una movimentata<br />
rappre<strong>se</strong>ntazione di tipo corale che accompagnava i rituali in onore di<br />
Dioniso e che fu successivamente trasformato in composizione letteraria.<br />
Tragodia, nome greco per designare la tragedia, significa “canto del capro”,<br />
44 Op. cit., p.15.<br />
45 Op. cit., p.2.<br />
28
assume questo nome perché durante i rituali si era soliti sacrificare proprio<br />
un capretto per devozione verso il dio. Si pensa anche che Arione sia stato il<br />
primo a far nascere la tragedia perché i suoi attori venivano chiamati<br />
tragoidoi.<br />
Comunque il vero passaggio dal ditirambo alla tragedia si ha con Tespi, che<br />
perfezionò l‟invenzione del suo compatriota, pre<strong>se</strong>ntando un poema<br />
costituito da un dialogo tra un attore ed il coro, tant‟è che l‟attore era<br />
appunto chiamato hypocritès, cioè “risponditore”. Ciò che accadde fu<br />
trasformare un canto che raccontava le gesta del dio, in un dialogo in cui vi<br />
era un risponditore che rispondeva proprio con le parole del dio.<br />
Successivamente Eschilo introdus<strong>se</strong> un <strong>se</strong>condo attore, che dialogava sia<br />
con il coro che con l‟altro attore sulla scena e poi Sofocle perfezionò<br />
maggiormente lo schema tragico introducendovi un terzo attore nel 449. 46<br />
Secondo Aristotele la tragedia è imitazione di una azione nobile e compiuta,<br />
avente grandezza, in un linguaggio adorno in modo specificatamente<br />
diverso per ciascuna delle parti, di persone che agiscono e non per mezzo di<br />
narrazione, la quale per mezzo della pietà e del terrore finisce con<br />
l’effettuare la purificazione di cosiffatte passioni. 47 La tragedia è una<br />
mimesis; di un‟azione nobile e compiuta e avente grandezza, dunque di un<br />
aretè; che è espressa in un linguaggio che varia a <strong>se</strong>conda che sia in metro o<br />
canto; di persone che agiscono, che imprimono un <strong>se</strong>nso alla loro vita,<br />
operando delle modificazioni sulla realtà; la cui azione provoca pietà e<br />
terrore, emozioni fortissime che purificano gli spettatori da queste stes<strong>se</strong><br />
passioni.<br />
La tragedia è composta da <strong>se</strong>i parti fondamentali. La prima in ordine di<br />
importanza è il mito o racconto, che è il materiale da cui parte il poeta per<br />
46 Cf. Op. cit., p.15 sgg.<br />
47 ARISTOTELE, Poetica, 1449b-24, trad. Bompiani, Milano 2000.<br />
29
comporre le azioni che sono il fine della tragedia, che è mimesis di azioni e<br />
non di uomini. I caratteri perciò vengono in maniera subordinata alle azioni,<br />
perché sono es<strong>se</strong> che formano il personaggio. Poi c‟è il pensiero che deve<br />
es<strong>se</strong>re “inerente e conveniente al soggetto” ed espresso dunque non solo con<br />
le parole ma anche con la scelta delle azioni da compiere o da non compiere.<br />
Al quarto posto c‟è l‟elocuzione cioè l‟espressione per mezzo delle parole; e<br />
poi ciò che riguarda la messa in scena: la musica e la rappre<strong>se</strong>ntazione. 48<br />
Tutto questo, <strong>se</strong> è ben compaginato, si fonde in una armonia che è unità e<br />
che aumenta il suo impatto con coloro che ascoltano.<br />
Es<strong>se</strong>ndo la tragedia la rappre<strong>se</strong>ntazione di un dramma ed es<strong>se</strong>ndo questo<br />
composto da autore, attore e spettatore, proviamo ad affrontare queste tre<br />
componenti considerando l‟opera che prenderemo in esame: l‟Antigone di<br />
Sofocle, opera tragica tra le più perfette.<br />
48 Cf. Op. cit., 1449b-31 sgg.<br />
30
a) L’autore<br />
L‟autore che prenderò in considerazione sarà, dunque, Sofocle.<br />
Abbiamo visto che l‟autore deve es<strong>se</strong>re un auctor in <strong>se</strong>nso pieno, capace di<br />
inspessire le dimensioni dell‟umano, nonché un abile compositore di<br />
drammi.<br />
Inoltre deve, <strong>se</strong>condo la definizione, creare dei personaggi che vivano un<br />
conflitto.<br />
I personaggi<br />
I personaggi che vivono nelle tragedie di Sofocle sono portatori di un areté<br />
eroica, non sono uomini della realtà odierna come quelli di Euripide, essi<br />
possiedono alcune dimensioni dell‟umano portate all‟eccellenza, che si<br />
manifestano in modo del tutto spontaneo e con grande coraggio e<br />
determinazione. In un certo qual modo è proprio con la morte dell‟eroe che<br />
si compie questa particolare areté, perché quando muore l‟eroe ciò che resta<br />
è un ideale, o meglio un‟immagine ideale della sua areté. Essa, es<strong>se</strong>ndo<br />
immagine, sopravvive, anche dopo la morte fisica dell‟eroe, nella mente<br />
degli uomini diventando l‟aspirazione interiore a cui tendere. 49 Per i Greci<br />
infatti è molto importante, l‟idea dell‟onore, essa riguarda quell‟azione o<br />
passione volontaria a cui <strong>se</strong>gue lode e non biasimo e che ha a che fare con la<br />
virtù. La volontarietà negli atti è determinante affinchè un‟azione sia<br />
reputata virtuosa. Gli atti involontari sono quelli compiuti per forza o per<br />
ignoranza, che hanno il principio esterno, in cui l‟uomo, viene trasportato,<br />
subendo una situazione invece di agirla. I volontari sono quelli in cui<br />
49 Cf. JAEGER, W., Paideia. La formazione dell’uomo greco, Bompiani, Milano 2003,<br />
p.40.<br />
31
emerge la responsabilità individuale in cui l‟uomo ha il principio del suo<br />
agire dentro di sé, e può scegliere di agire o di non agire <strong>se</strong>condo le<br />
circostanza della situazione. 50 Quando si compie un atto che è volontario,<br />
esso diviene espressione di libertà, di un vero e proprio ethos intimo che<br />
nasce, non da capriccio o vuoto di carattere, ma da necessità interiore,<br />
impellenza inderogabile che chiama ad es<strong>se</strong>re <strong>se</strong> stessi e che si sposa<br />
fedelmente con un ethos collettivo. Ciò che è un bene per il singolo è infatti<br />
un bene anche per la comunità. Le figure tragiche di Sofocle sono “uomini<br />
reali, di viva carne, animati da inten<strong>se</strong> passioni e da <strong>se</strong>ntimenti delicatissimi,<br />
da una grandezza eroicamente superba e insieme da vera umanità.(…) I loro<br />
pregi non sorgono dal campo di ciò ch‟è meramente formale, ma hanno<br />
radice in uno strato più profondo dell‟umano, dove l‟elemento estetico,<br />
l‟etico, il religioso si compenetrano e si condizionano reciprocamente.” 51<br />
Questo ha un forte valore sull‟ethos collettivo perché tale arte ha come<br />
risultato quello di attivare la coscienza della cultura umana. Il termine<br />
“cultura” rimanda alla paideia, all‟es<strong>se</strong>re umanamente formati e<br />
rappre<strong>se</strong>nta, nell‟età di Pericle, il più alto ideale a cui tendere, tanto che<br />
l‟arte di Sofocle, dato il suo fine di formazione intenzionale dell‟uomo, si<br />
potrebbe quasi chiamare “un‟arte della cultura”. 52 Egli mostra l‟uomo come<br />
dovrebbe es<strong>se</strong>re, rappre<strong>se</strong>ntante di un‟alta aretè, di un profondo e<br />
incontaminato ideale di bellezza che fa per la prima volta della psyché il<br />
centro della sua legge. L‟anima è il luogo da cui si origina ogni impulso e si<br />
determina ogni azione, non è incomprensibile, come spesso appare ai nostri<br />
ciechi occhi, ma un luogo in cui suona una perpetua armonia scandita da<br />
una legge eterna.<br />
50 ARISTOTELE, Etica Nicomachea, 1109b 30, trad. Bompiani, Milano 2000.<br />
51 JAEGER, W., Paideia. La formazione dell’uomo greco, Bompiani, Milano 2003, p.473-<br />
476.<br />
52 Cf. Op. cit., p.89.<br />
32
Il conflitto<br />
Un altro elemento è che personaggi così costruiti entrino in conflitto.<br />
Differentemente dalle opere dei suoi successori, Sofocle non cerca grandi<br />
eventi colossali o violente immagini per dire la monumentalità, bensì cerca<br />
di parlare dell‟uomo <strong>se</strong>mplicemente riportandolo delicatamente alla sua<br />
dimensione. Egli per<strong>se</strong>gue un equilibrio. Ciò che viene mostrato non è mai<br />
troppo oltre la sfera dell‟improbabile, è il naturale, <strong>se</strong>ppur oscuro, conflitto<br />
esistente in ogni uomo, <strong>se</strong>mplice ed evidente. 53 La rappre<strong>se</strong>ntazione mostra<br />
ciò che è normalmente tenuto nascosto, quella zona di penombra terribile in<br />
cui la stessa oscurità appare illuminata e che es<strong>se</strong>ndo perciò guardata<br />
diviene oggetto di scandalo. Ciò che traspare nella vicenda tragica è la sorte<br />
di un uomo che è migliore dell‟ordinario, né troppo malvagio né troppo<br />
buono, che cade in disgrazia, non per malvagità o giustizia ma per un grande<br />
errore, passando così dalla fortuna alla sfortuna. 54<br />
Spesso i personaggi privilegiati su cui si abbatte un dramma sono le donne.<br />
Il contesto in cui la donna è ritratta è <strong>se</strong>mpre un contesto familiare reso<br />
anomalo dalle distorte relazioni domestiche. Per una donna atenie<strong>se</strong> era<br />
bene non far parlare di sé; perciò quando approda sulla scena, la sua<br />
immagine non può che es<strong>se</strong>re in pericolo e screditata solo per il fatto che<br />
appare sulla scena: “ciò che normalmente è nascosto non può che es<strong>se</strong>re<br />
fuor di luogo quando è rivelato” 55 , “la scoperta della donna è con<strong>se</strong>guenza<br />
necessaria della scoperta dell‟umanità quale oggetto proprio della<br />
tragedia.” 56<br />
53<br />
Cf. Op. cit., JAEGER, W., Paideia. La formazione dell’uomo greco, Bompiani, Milano<br />
2003, p.473 sgg.<br />
54<br />
Cf. ARISTOTELE, Poetica, 1453a 8 sgg., trad. Bompiani, Milano 2000.<br />
55<br />
VERNANT, J.P., L’uomo greco, Laterza, Bari 1991, p.154.<br />
56<br />
JAEGER, W., Paideia. La formazione dell’uomo greco, Bompiani, Milano 2003, p.486.<br />
“E‟ particolarmente caratteristico come la donna, per la prima volta, si affacci, pienamente<br />
equiparata all‟uomo, quale rappre<strong>se</strong>ntante dell‟umanità. Le numero<strong>se</strong> figure di donna di<br />
33
Il conflitto in termini generali può avvenire:<br />
-tra più eroi che si scontrano portando avanti ogniuno la propria verità, la<br />
propria legge;<br />
-all‟interno dello stesso eroe combattuto da forze esterne<br />
-esteriormente inteso come conflitto materiale e grossolano. 57<br />
Nell‟Antigone sono espressi tutti i più profondi conflitti della condizione<br />
umana, manifestati in termini di opposizione: l‟opposizione uomo-donna;<br />
vecchiaia-giovinezza; società-individuo; vivi-morti; uomini-divinità. 58 Si<br />
tratta comunque di un dramma singolo che ha per oggetto l‟azione umana e<br />
il con<strong>se</strong>guente dolore che si abbatte su di un personaggio per poi spargersi a<br />
macchia d‟olio sull‟intera stirpe.<br />
Il dramma di Antigone<br />
Il dramma di Antigone ha origini molto lontane. Tutto prende le mos<strong>se</strong> dai<br />
mali inviati da Zeus sulla casa dei Labdacidi.<br />
Il re di Tebe, Laio, innamoratosi di un bellissimo fanciullo di nome Crisippo<br />
lo violentò e lo rapì, subendo così una profonda maledizione: non avrebbe<br />
mai dovuto concepire un figlio, altrimenti, <strong>se</strong> lo aves<strong>se</strong> fatto, sarebbe stato<br />
ucciso proprio da lui.<br />
Laio sposa Giocasta, ed ha un figlio: Edipo. Ricordandosi della maledizione<br />
di Zeus, decide di abbandonarlo su un monte e di dargli morte. In verità<br />
Sofocle – Antigone Elettra Deianira Tecmessa Giocasta, <strong>se</strong>nza contare personaggi<br />
<strong>se</strong>condari quali Clitennestra Ismene Cristotemide – fanno apparire nella luce più viva<br />
l‟altezza e l‟ampiezza dell‟umanità sofoclea.”<br />
57 Cf. D‟AMICO, S., Storia del teatro drammatico, Garzanti, Milano1968, p.4.<br />
58 Cf. STEINER,G., Le Antigoni, Garzanti, Milano 1990, p.260.<br />
34
Edipo, all‟insaputa del re, viene salvato dalla morte e cresciuto lontano dalla<br />
reggia. Una volta cresciuto, per una <strong>se</strong>rie di sventure e per l‟ardente brama<br />
di conoscere <strong>se</strong> stesso, uccide il padre, risolve l‟enigma della sfinge e sposa<br />
la madre. Egli vive così molti anni come sovrano di Tebe e figlio-marito di<br />
Giocasta generando quattro figli Antigone, Ismene, Eteocle e Polonice fino<br />
a che conosciuta la verità, dapprima ignorata, non si acceca e dopo tanto<br />
pellegrinare con la figlia Antigone muore alla reggia di Te<strong>se</strong>o.<br />
E qui comincia l‟Antigone. Il trono di Tebe è ora di Creonte, fratello di<br />
Giocasta. Eteocle e Polinice muoiono entrambi in uno scontro e Creonte<br />
vieta di <strong>se</strong>ppellire Polinice, traditore della patria. Antigone va contro l‟editto<br />
in nome delle leggi divine che impongono di <strong>se</strong>ppelire un fratello-uomo<br />
morto e così facendo va consapevolmente incontro alla morte, Creonte<br />
capisce troppo tardi i propri sbagli, determinando così il suicidio del figlio<br />
Emone, promesso sposo di Antigone, e della moglie Euridice.<br />
Antigone pur compiendo un atto pio e in linea con il principio divino è<br />
punita dagli dei: “non per sé, non per alcuna sua colpa era per<strong>se</strong>guitata dagli<br />
dei Antigone. Ma altri aveva commesso orrende colpe; e le colpe degli altri<br />
ora ricadevano su di lei. Era erede di antichi mali Antigone: era figlia di<br />
Edipo, il parricidia che aveva sposato sua madre; discendeva da Laio, il re<br />
colpevole che aveva voluto uccidere il figlio da lui stesso nato. Non<br />
Antigone era colpita dagli dei, ma, in Antigone, la colpevole casa dei<br />
Labdacidi.” 59<br />
Ciò che emerge nel mito è proprio la difficoltà dei personaggi di accettare i<br />
limiti, che cercano di abbattere con l‟hybris, la smoderatezza, l‟arroganza, il<br />
narcisimo che, nella sua onnipotenza, sovrasta le leggi degli dei,<br />
condannando l‟uomo alla sua distruzione, così come è accaduto a Laio, a<br />
Edipo e a Creonte. I conflitti irrisolti dei padri sono trasferiti sui figli, le<br />
59 MADDALENA, A., Sofocle, Ed. di Filosofia, Torino 1959, p.78.<br />
35
maledizioni che si abbattono su un uomo, si abbattono sull‟intera stirpe, le<br />
colpe si tramandano per generazioni, fino a che essa non si esaurisce del<br />
tutto. “Antigone è per natura destinata, possiamo anzi dire prescelta per il<br />
suo calvario, ché la sofferenza consapevole diviene una nuova nobiltà che le<br />
è propria (…) soltanto nel dolore, anzi persino nell‟annientamento totale<br />
della sua felicità terrena, il personaggio tragico, in Sofocle, si eleva a vera<br />
grandezza umana.” 60<br />
60 JAEGER, W., Paideia. La formazione dell’uomo greco, Bompiani, Milano 2003, p.487<br />
sgg.<br />
36
) L’ attore<br />
Il conflitto, avvenendo sulla scena, può dirsi vitalmente agito perché<br />
l‟autore scompare dietro le parole degli attori, che, per mezzo del dialogo,<br />
vivono sulla scena, conferendo all‟opera un carattere di apparente<br />
obbiettività. 61 Inizialmente l‟autore e l‟attore erano la stessa persona, non<br />
c‟era distinzione di ruoli tra i due. L‟autore recitò nelle proprie opere finchè<br />
Sofocle, introducendo un terzo attore, rinunciò definitivamente a questa<br />
pratica largamente utilizzata.<br />
La maschera<br />
Gli attori all‟epoca dell‟Antigone erano pochi e per riuscire ad<br />
impersonificare tutti i personaggi utilizzavano la maschera, si suppone, per<br />
e<strong>se</strong>mpio, che nel dramma sofocleo, uno stesso attore faces<strong>se</strong> sia Antigone<br />
che Emone.<br />
La maschera è un elemento di continuità con i riti primitivi e antichi. Essa<br />
produce sull‟individuo che la indossa una completa compenetrazione con la<br />
natura, nascondendone la fisionomia o i tratti personali (cioè ciò per cui ci<br />
differenziamo dagli altri assumendo una nostra identità), con<strong>se</strong>nte una piena<br />
alienazione della personalità. La maschera non è solo un simbolo di<br />
qualcosa ma qualcosa che è totalmente ciò che vuole simboleggiare.<br />
Dioniso, il dio a cui è legata la nascita del teatro, è il dio della maschera.<br />
Questo suggerisce che la maschera rimanda alla pre<strong>se</strong>nza del divino tra gli<br />
uomini e che l‟attore mascherato può esperire la fusione con diver<strong>se</strong><br />
identità, generi, sfumature dell‟umano e che questa fusione in realtà può<br />
61 Cf. D‟AMICO, S., Storia del teatro drammatico, Garzanti, Milano 1968, p.4.<br />
37
es<strong>se</strong>re intesa come la “rappre<strong>se</strong>ntazione a carattere mimetico dei miti in<br />
forma drammatica.” 62<br />
Ma per quale motivo gli attori indossavano la maschera? Oltre a<br />
testimoniare un‟origine religiosa e ritualistica della tragedia, la maschera<br />
aveva dei vantaggi non indifferenti per la rappre<strong>se</strong>ntazione. I teatri allora<br />
distavano <strong>almeno</strong> diciotto metri dalla prima fila del pubblico e novanta<br />
dall‟ultima, a questa distanza ovviamente la maschera con<strong>se</strong>ntiva di<br />
riconoscere immediatamente il personaggio e data la carenza degli attori,<br />
permetteva di cambiare rapidamente la propria identità.<br />
Le parole<br />
Se la rappre<strong>se</strong>ntazione a carattere mimetico avviene tramite la maschera e<br />
vedremo più avanti come avviene anche <strong>se</strong>nza di essa, la forma drammatica<br />
avviene per mezzo dei dialoghi tra i personggi. Il dialogo è fatto di parole e<br />
silenzi. E‟ “l‟elemento portante e qualificante della prassi educativa” 63 ,<br />
permette all‟attore, che è profondamente calato al suo interno, di vivere in<br />
una dimensione edificante, che esisterà solo nella misura in cui l‟attore<br />
riuscirà a dar vita al suo personaggio.<br />
Nell‟epoca di Sofocle ciò che aveva massimamente importanza non era<br />
tanto la lettura quanto piuttosto la parola viva che nasceva dall‟uso della<br />
voce umana. Ciò che permetteva all‟attore di es<strong>se</strong>re tale era il<br />
perfezionamento della voce che richiedeva allenamento, digiuni e una<br />
continua messa alla prova per riuscire a farsi udire nel teatro <strong>se</strong>nza bisogno<br />
62 VERNANT, J.P., L’uomo greco, Laterza, Bari 1991, p.205.<br />
63 DUCCI, E., Approdi dell’umano. Il dialogare minore, Anicia, Roma 1992, p.86. “Ogni<br />
incontro vero e profondo tra persone è dialogo, ma non ogni dialogo è incontro(…) – il<br />
dialogo- riguarda tutti <strong>se</strong>nza eccezione, <strong>se</strong>gna i punti alti del rapporto umano, è collegato<br />
con la verità e l‟amore ma in modo indefinibile, non è una realtà parziale ma di quelle<br />
capaci di impressionare tutto l‟es<strong>se</strong>re.”<br />
38
di gridare, per avere chiarezza, buona dizione e finezza di timbro. L‟attore<br />
doveva avere anche una certa elasticità che gli con<strong>se</strong>ntiva di cambiare voce,<br />
adattarsi ad ogni movimento interiore del personaggio e cambiare a <strong>se</strong>conda<br />
che il personaggio fos<strong>se</strong> giovane, vecchio o una donna.<br />
La parola viva era paideia, etica, politica, comunicazione, divertimento,<br />
persuasione, corruzione, tutto ciò che poteva far parte della vita umana<br />
veniva trasmesso oralmente. Così la Tragedia si avvaleva dello strumento<br />
proprio con cui i Greci solevano trasmettersi tutte le co<strong>se</strong> di grande valore.<br />
La parola in effetti è il mezzo più rapido ed efficace per dire qualcosa a<br />
qualcuno, per toccare di quel qualcuno la <strong>se</strong>mpre taciuta interiorità.<br />
Eppure una parola può assumere significati differenti a <strong>se</strong>conda che venga<br />
espressa da un personaggio piuttosto che da un altro. Questo è in effetti ciò<br />
che avviene nell‟opera sofoclea per quanto concerne il termine “Legge”.<br />
Creonte parla la lingua della temporalità e identifica la Legge con le leggi<br />
che governano lo stato e regolano le condotte della polis, Antigone parla<br />
soffiando sull‟eternità, es<strong>se</strong>ndo in contatto con una trascendenza che<br />
illumina una Legge che è in accordo o direttamente ispirata dal principio<br />
divino. I due interlocutori si parlano <strong>se</strong>nza mai incontrarsi, come <strong>se</strong> ogniuno<br />
<strong>se</strong>ntis<strong>se</strong> la sua posizione talmente assoluta da non con<strong>se</strong>ntire il dialogo con<br />
l‟altro ma solo uno scontro in cui i diversi valori, quelli riguardanti l‟ordine<br />
civico e quelli appartenenti all‟ordine cosmico, entrano in collisione. 64<br />
64 Cf. STEINER, G., Le Antigoni, Garzanti, Milano 2003, p.276 sgg.<br />
39
c) Lo spettatore<br />
Nella Poetica, Aristotele scrive l’imitare è connaturato agli uomini fin da<br />
bambini, ed in questo l’uomo si differenzia dagli altri animali perché è<br />
quello più proclive ad imitare e perché i primi in<strong>se</strong>gnamenti <strong>se</strong> li procaccia<br />
per mezzo dell’imitazione. 65 Se l‟imitazione ovvero la mìmesis è connaturata<br />
agli uomini, gli spettatori nel vedere una tragedia, che è gia imitazione di<br />
una nobile azione proveranno terrore e pietà così da es<strong>se</strong>re purificati dalle<br />
passioni. Affinchè ciò accada è necessario che il racconto sia costruito in<br />
modo che colui che ascolta, viva questi <strong>se</strong>ntimenti anche <strong>se</strong>nza vedere la<br />
scena e inoltre che l‟imitazione avvenga per mezzo delle azioni.<br />
Ma quali sono le azioni che suscitano a guardarle terrore e pietà?<br />
Innanzitutto un‟azione è orrenda e suscita pietà <strong>se</strong> invece di avvenire tra<br />
estranei o tra nemici, avviene tra amici o parenti: figli uccisi da genitori<br />
come nel caso di Medea, o Edipo che uccide il padre, o fratelli che uccidono<br />
fratelli come Eteocle e Polinice, si tratta <strong>se</strong>mpre di omicidio reso<br />
agghiacciante dal legame di sangue. Inoltre i personaggi possono es<strong>se</strong>re<br />
pienamente consapevoli come Medea; agire, <strong>se</strong>nza sapere la reale sostanza<br />
di quel gesto e scoprirlo solo dopo come Edipo; stare per compiere un gesto<br />
ma poi riconoscendo la vittima esimersi dall‟attuarlo come nel caso di<br />
Emone che sta per uccidere Creonte e poi uccide <strong>se</strong> stesso. Comunque la<br />
modalità più efficacie per imprimersi negli ascoltatori è quello che ritrae<br />
colui che agisce <strong>se</strong>nza avere coscienza dell‟entità del suo gesto, scoprendolo<br />
poi soltanto successivamente. 66 Il processo che viene così suscitato<br />
dall‟attore che recita il personaggio è chiamato catarsi ed è una sorta di<br />
purgazione che libera gli spettatori dal peso delle loro passioni. Vedendo<br />
65 ARISTOTELE, Poetica, 1448b 6, trad. Bompiani, Milano 2000.<br />
66 Cf. Op. cit., 1453b sgg.<br />
40
agite le loro stes<strong>se</strong> passioni sulla scena essi non hanno bisogno di<br />
manifestarle nella vita perché per mezzo della mìmesis le hanno già vissute<br />
con il personaggio, cosicchè possono prenderne coscienza e liberare<br />
l‟anima. “Lo spettatore, assistendo allo spettacolo tragico, vede obiettivate<br />
fuori di sé, innanzi a sé, le torbide passioni che più o meno confusamente<br />
s‟agitano anche al fondo dell‟animo suo; e, così obbiettivandole e<br />
contemplandole dall‟esterno, <strong>se</strong> ne libera.” 67 Ecco perché il Teatro è così<br />
potente.<br />
Per comprendere meglio ciò che dice Aristolele ci affidiamo ad una bella<br />
immagine dello Ione platonico. Qui si parla di una pietra che ha particolari<br />
poteri che è il Magnete o Eraclea:<br />
E infatti questa pietra non solo attrae gli stessi anelli di ferro, ma infonde<br />
agli anelli anche una forza tale che permette loro di e<strong>se</strong>rcitare a loro volta<br />
questo stesso potere e<strong>se</strong>rcitato dalla pietra, cioè di attrarre altri anelli, di<br />
modo che talvolta si forma una fila assai lunga di anelli di ferro collegati<br />
l’uno con l’altro, ma per tutti questi la forza dipende da quella della<br />
pietra. 68<br />
I poteri di questa pietra sono paragonati alla forza del dio che dall‟autore<br />
passa all‟attore e infine allo spettatore provocando come effetto quello di<br />
trascinare le anime degli uomini ovunque egli voglia. L‟attore quando recita<br />
un fatto pietoso o terribile, è privo di coscienza, piange o gli batte forte il<br />
cuore per paura, così anche lo spettatore subirà gli stessi effetti e ciò sarà<br />
67 D‟AMICO, S., Storia del teatro drammatico, Garzanti, Milano 1968, p.27.<br />
68 PLATONE, Ione, Newton, Roma 1997, 533d –e.<br />
41
<strong>se</strong>nz‟altro pericoloso perché così come l‟attore quando recita è fuori di sé,<br />
così lo saranno anche gli spettatori con effetti totalmente incontrollabili. 69<br />
La preoccupazione di Platone è <strong>se</strong>nz‟altro valida nel caso in cui il teatro non<br />
fornis<strong>se</strong> belle immagini, perdendo così la sua finalità paideica. Se invece le<br />
immagini proposte sono belle, come nel caso della tragedia di Sofocle, e gli<br />
attori riescono a dar vita intensamente al personaggio, allora gli effetti non<br />
possono che es<strong>se</strong>re altrettanto belli.<br />
Libertà?<br />
In questo modo <strong>se</strong> supponiamo che la libertà sia un insieme di aretè, e che<br />
queste aretè siano azioni agite a pieno dal personaggio di Antigone e<br />
dunque anche pos<strong>se</strong>dute da quel particolare carattere, allora quell‟attore che<br />
la interpreterà sarà egli stesso educato alla libertà, contribuendo, come<br />
anello, alla paideia dello spettatore.<br />
69 Cf. Op. cit., 535b sgg.<br />
42
Capitolo terzo<br />
ESSERE LIBERI PER UMANARSI<br />
1. Il Teatro è paideia<br />
Abbandoniamo la Grecia, i grandi teatri sulle pendici dell‟Acropoli, i<br />
costumi, le maschere, percorriamo tutte le epoche storiche fino ad oggi,<br />
lasciando solamente l‟attore e il suo testo che è l‟Antigone di Sofocle.<br />
L‟attore, nella sua evoluzione, è stato spesso visto con sospetto morale: si<br />
racconta infatti che Solone, dopo aver assistito ad una tragedia, chiedes<strong>se</strong><br />
con sdegno come quell‟uomo non si vergognas<strong>se</strong> nel mentire a quel modo<br />
fingendo di es<strong>se</strong>re più personaggi che non erano lui stesso. L‟hypocritès,<br />
ovvero l‟attore, nato come un risponditore del coro è andato via via<br />
designando l‟ipocrita, il mentitore, colui che potrebbe dire qualunque cosa<br />
tranne che la verità. 70<br />
A questo punto verrebbe da chiedersi ma l‟attore è davvero un mentitore, un<br />
ipocrita?<br />
Per rispondere sarebbe bello rinnovare ciò che Pirandello esprime in<br />
Trovarsi e cioè che l‟attore non è colui che finge nella vita ma chi vive sulla<br />
scena.<br />
70 Cf. D‟AMICO, S., Storia del teatro drammatico, Garzanti, Milano 1968, p.17.<br />
43
Perché finzione? No. E’ tutta vita in noi. Vita che si rivela a noi stessi. Vita<br />
che ha trovato la sua espressione. Non si finge più, quando ci siamo<br />
appropriata questa espressione fino a farla diventare febbre dei nostri<br />
polsi…lagrima dei nostri occhi, o riso della nostra bocca… 71<br />
Ma come si fa a vivere sulla scena?<br />
Innanzitutto “la scena deve es<strong>se</strong>re per l‟attore un po‟ quel che la costruzione<br />
architettonica di una fontana è per i getti che la animano: essa trae vita dal<br />
giuoco di quei getti, ma quei getti a loro volta si giovano di quella forma<br />
stabile su cui la loro danza prende carattere e valore.” 72<br />
Chiariamo comunque meglio che cos‟è questa scena che chiamiamo Teatro<br />
e qual‟è il suo <strong>se</strong>nso.<br />
“Il Teatro non è l‟imitazione della realtà contingente del vivere umano. La<br />
vita negli uomini rischia <strong>se</strong>mpre di smorire, di divenir qualcosa che soltanto<br />
in <strong>se</strong>nso biologico può dirsi, appunto, vita. Il Teatro svela ai viventi la verità<br />
del vivere. Se non orientato l‟uomo vive una vita apparente, ovvero vive<br />
soltanto l‟apparenza delle realtà con cui si relaziona. Così per l‟amore, per<br />
la libertà, per la felicità, per la creatività, per la giustizia, per la lealtà, per la<br />
<strong>se</strong>rietà…” 73<br />
Dunque il Teatro parla di verità del vivere, concede la possibilità di vedere<br />
la vita più da vicino, con maggior pazienza e dedizione, cercando anche di<br />
avvicinare l‟uomo al perfezionamento del suo es<strong>se</strong>re. L‟uomo lasciato a <strong>se</strong><br />
stesso regredisce verso la bestialità, svilendo il suo es<strong>se</strong>re uomo e<br />
immi<strong>se</strong>rendo la propria esistenza. Se egli infatti non è costretto a vedere la<br />
71 PIRANDELLO, L., Trovarsi, Oscar Mondadori, Milano 1993, p.124.<br />
72 ORAZIO COSTA in COLLI, G.G., Una pedagogia dell’attore. L’in<strong>se</strong>gnamento di<br />
Orazio Costa, Bulzoni, Roma 1996, p.76.<br />
73 SCARAMUZZO, G., Un teatro nuovo?, in pubblicazione.<br />
44
ealtà con tutta l‟anima, rischia di vedere vana apparenza, di svuotare la vita<br />
di significato, così come anche le stes<strong>se</strong> parole che parlano della vita vera<br />
come “amore” “libertà” “felicità” “creatività” “giustizia” “lealtà” “<strong>se</strong>rietà”,<br />
tutte parole vuote che non hanno risonanza interiore. Il Teatro non è il<br />
ritratto della realtà ma è un accentuarne i tratti migliori, quelli più<br />
raffinatamente umani affinchè gli uomini, specchiandosi, trovino il<br />
miglioramento di loro stessi nell‟immagine proposta sulla scena. Il Teatro è<br />
una qualificazione di quel teatro che è connaturato all‟uomo e che ne<br />
caratterizza il vivere, è uno “spettacolo dell‟anima” 74 che ama farsi<br />
guardare.<br />
Il Teatro si può definire come:<br />
“quel luogo sia fisico sia spirituale<br />
dove degli es<strong>se</strong>ri umani (alcuni dei quali necessariamente pre<strong>se</strong>nti in carne<br />
ed ossa)<br />
parlano dell‟es<strong>se</strong>re umano<br />
ad altri es<strong>se</strong>ri umani (pre<strong>se</strong>nti in carne ed ossa nello stesso luogo)<br />
umanandosi e contribuendo all‟umanazione<br />
di tutti coloro che partecipano in comunione<br />
in quel luogo.” 75<br />
74 Op. cit. L‟espressione è usata da Copeau in una lettera indirizzata a Stanislaskij: “Non<br />
spetta a me celebrare la sua arte, dire con quale geniale intuizione sa insinuare nei<br />
movimenti della scena, nel minimo silenzio della più fuggitiva parola, la pulsazione intima<br />
della vita, come sa conferire grandezza e significato ai rapporti più <strong>se</strong>mplici tra gli es<strong>se</strong>ri<br />
umani, ai gesti più quotidiani, alle sfumature più misterio<strong>se</strong> della <strong>se</strong>nsibilità, infine come fa<br />
del dramma, <strong>se</strong>guendo una definizione che mi è cara, lo spettacolo dell‟anima.” In un tale<br />
teatro tutto tende alla formazione umana: Teatro umano e umanante.<br />
75 Op. cit.<br />
45
Ovviamente il Teatro di cui si parla è quello con la T maiuscola, quello che<br />
oggi vuole parlare agli uomini come avveniva in Grecia, quello che torna a<br />
celebrare la sacralizzazione dell‟uomo per dire i suoi moti e le sue forme, il<br />
Teatro che torna alla paideia in cui trova la ragione del suo esistere. Il <strong>se</strong>nso<br />
del Teatro è nella paideia. Jacques Copeau per primo <strong>se</strong>ntì l‟esigenza di<br />
rinnovare il Teatro e capì che per farlo bisognava partire da un certo<br />
“capriccio superiore dello spirito”. Egli stesso descrivendo il suo approdo al<br />
Teatro scrive:<br />
“E‟ a causa di quei giochi che hanno riempito la mia infanzia, poi tutto il<br />
tempo libero della mia giovinezza, quei giochi dove si mescolavano verità e<br />
poesia, e per ritrovarli e per continuarli, io credo proprio, che, es<strong>se</strong>ndomi<br />
innamorato del teatro nello stesso tempo che della vita, io me ne sono<br />
avvicinato tardivamente, chiedendogli for<strong>se</strong> più di quanto non potes<strong>se</strong><br />
darmi. Ed è <strong>se</strong>nza dubbio perché niente di impuro, niente di grossolano né di<br />
brutale offendes<strong>se</strong> queste fantastiche magie che avevo sognato, che ho<br />
voluto disfare e ricomporre lo strumento del teatro, come un bambino<br />
smonta il suo giocattolo, al fine di distoglierlo, per così dire, dal suo <strong>se</strong>nso<br />
primo, dalla sua banale accezione, e di costringerlo a diventare il <strong>se</strong>gno ben<br />
visibile di un capriccio superiore dello spirito.” 76<br />
Un teatro puro, prezioso che, distolto dalla banalità, aves<strong>se</strong> a che fare con lo<br />
spirito, un teatro che aves<strong>se</strong> l‟uomo e la sua formazione come oggetto<br />
primario d‟attenzione. Formando una bella umanità si sarebbe formato un<br />
bell‟attore che a sua volta avrebbe fatto un bel Teatro. La voce che<br />
riecheggia in questa pedagogia dell‟attore è una delle più <strong>se</strong>mplici eppur<br />
76 BOGGIO, M., Il corpo creativo. La parola e il gesto in Orazio Costa, Bulzoni, Roma<br />
2001, p.32.<br />
46
misterio<strong>se</strong>: “l‟umanità dell‟uomo fa il Teatro, e il Teatro fa l‟umanità<br />
dell‟uomo.” 77<br />
Formare un uomo nuovo, un individuo dignitoso, che sappia esprimere, con<br />
profonda sincerità, ciò che vuole dire l‟autore, catturandone il movimento<br />
interiore;<br />
“realizzare un teatro non toccato da banalità, interpretato da attori la cui<br />
educazione non prescinde dalla loro formazione di uomini, prima che da<br />
quella di artisti, in una linea ininterrotta che unisce l‟umanità e l‟arte- dove<br />
la differenza si realizza soltanto nel diverso grado di affinamento delle<br />
qualità espressive- che parte da una creatività personale, fino ad arrivare alla<br />
creatività rivolta alla parola poetica.” 78 In effetti <strong>se</strong> si educa un uomo si<br />
forma anche un possibile artista, poiché l‟artista è <strong>se</strong>nz‟altro un umanità<br />
perfettamente riuscita. Perciò differentemente da ogni altra arte, ciò che<br />
caratterizza l‟arte dell‟attore è il suo es<strong>se</strong>re uomo, pos<strong>se</strong>dere in modo<br />
elevatissimo tutte le potenzialità espressive e lavorare proprio su di un<br />
materiale costituito da <strong>se</strong> stesso in quanto appunto uomo. 79<br />
77 SCARAMUZZO, G., Un teatro nuovo?, in pubblicazione.<br />
78 BOGGIO, M., Il corpo creativo. La parola e il gesto in Orazio Costa, Bulzoni, Roma<br />
2001, p. 34.<br />
79 Cf. Op. cit., p. 112 sgg.<br />
47
2. In-tendere l’autore<br />
Per addentrarci nel testo di un autore, dobbiamo fare in modo che il nostro<br />
zaino non sia pesante, abbandonare ogni tentazione di giudicare, inglobare,<br />
fissare; e che i nostri passi siano cadenzati e lenti, avere la volontà di<br />
camminare e la pazienza di farlo <strong>se</strong>guendo fedelmente il nostro tempo. Non<br />
ci si può avvicinare ad un autore restandone distanti, come freddi<br />
os<strong>se</strong>rvatori o ancor peggio critici ingenui, né for<strong>se</strong> possiamo velocizzare<br />
troppo la nostra andatura saltando per non inciampare, possiamo solo<br />
accostare il suo cammino, amarlo profondamente, con passione e dedizione,<br />
per assaporare in noi tutta la ricchezza della sua verità. Certo è che non si<br />
tratta di un processo passivo, ma è necessario volere, per far rivivere:<br />
“Si tratta di fare appello alle proprie risor<strong>se</strong> per produrre in noi una mimesi<br />
con l‟autore che possa con<strong>se</strong>ntire il rivivere, il giungere, cioè, ad attivare<br />
tutte le fibre del nostro es<strong>se</strong>re, tutte le nostre energie spirituali nell‟incontro<br />
vitale.” 80<br />
La volontà è <strong>se</strong>mpre il motore:<br />
Volere per creare;<br />
Ma creare che cosa? Creare una mimesi con l‟autore cioè volere il volere<br />
dell‟altro;<br />
Come? Attivando tutte le fibre del nostro es<strong>se</strong>re per volere un'unica<br />
direzione;<br />
Perché? Per con<strong>se</strong>ntire il rivivere cioè volere il volere dell‟altro come esso<br />
si vuole in me;<br />
80 SCARAMUZZO, G., In-tendere. L’umana sophia di Luigi Pirandello, Anicia, Roma<br />
2005, p.15.<br />
48
Arrivando così all‟incontro vitale in cui si vuole la verità. Si arriva ad in-<br />
tendere 81 , a tendere-in, cioè verso l‟altro, con tutta la nostra verità verso la<br />
sua verità.<br />
L‟autore nel compiere la sua arte è mosso da un impulso creativo,<br />
incontenibile, egli non può non scrivere e proprio per questo è un artista.<br />
Rilke esplica bene questo temperamento artistico quando scrive al giovane<br />
poeta che gli invia versi chiedendo un suo parere:<br />
Nessuno può darle consiglio o aiuto, nessuno. Non v’è che un mezzo.<br />
Guardi dentro di sé. Si interroghi sul motivo che le intima di scrivere;<br />
verifichi <strong>se</strong> esso protenda le radici nel punto più profondo del suo cuore;<br />
confessi a <strong>se</strong> stesso: morirebbe, <strong>se</strong> le fos<strong>se</strong> negato di scrivere? Questo<br />
soprattutto: si domandi, nell’ora più quieta della sua notte: “devo”<br />
scrivere? Frughi dentro di sé alla ricerca di una profonda risposta. E <strong>se</strong><br />
sarà di as<strong>se</strong>nso, <strong>se</strong> lei potrà affrontare con un forte e <strong>se</strong>mplice “Io devo”<br />
questa grave domanda, allora costruisca la sua vita <strong>se</strong>condo questa<br />
necessità. 82<br />
L‟autore, dunque, <strong>se</strong> è un artista nel <strong>se</strong>nso pieno come ci viene qui<br />
pre<strong>se</strong>ntato allora sarà costretto a scrivere per un bisogno spirituale che non<br />
può ovviare in alcun modo: deve assolutamente esprimere la propria<br />
particolare visione del mondo, il proprio <strong>se</strong>ntire pneumatologico con cui si<br />
dispiega tutto il suo es<strong>se</strong>re. Ciò significa mantenere quella primitività che<br />
81 L‟in-tendere è usato in relazione alla lettura che Gilberto Scaramuzzo dà della poetica di<br />
Luigi Pirandello. Op. cit., p.113: “L‟atto dell‟intendere (…) non è un atto del conoscere ma<br />
un atto del volere. Procedendo un poco oltre il nostro indagare non tardiamo a scoprire<br />
trattarsi di un atto particolare del volere: un atto d‟amore; e, inoltre, di un atto libero, perché<br />
il principio è tutto interno al soggetto che opera l‟intendere.”<br />
82 RILKE, R.M., Lettere a un giovane poeta, Oscar Mondadori, Milano 1994, p.38.<br />
49
consiste nell‟obbligatorietà di “con<strong>se</strong>rvare, sotto il prezioso accumulo<br />
culturale, il tessuto vivo del proprio pensare e <strong>se</strong>ntire, del proprio avvertire e<br />
percepire, dell‟apprezzare, godere e intravedere, e della singolarità del<br />
proprio esprimere.” 83<br />
Così per in-tendere l‟autore dobbiamo attuare in noi lo stesso movimento<br />
spirituale, vitale, che ha fatto lui per creare, addentrarci con il nostro<br />
particolare e unico <strong>se</strong>ntire nel <strong>se</strong>ntire dell‟altro, soffrendo in tal mondo<br />
profondamente l‟uomo. Questo processo è faticoso e richiede<br />
l‟indispensabile responsabilità del soggetto che sceglie di volere, sceglie di<br />
soffrire la propria e l‟altrui verità e di troverne il <strong>se</strong>nso nel soffrire di ogni<br />
umanità. Soffrire la propria umanità e quella degli altri come <strong>se</strong> fos<strong>se</strong> la<br />
nostra, <strong>se</strong>nza restarne incastrati, come <strong>se</strong> ci appartenes<strong>se</strong> per il <strong>se</strong>mplice<br />
fatto di es<strong>se</strong>re uomini, e muovere da lì la nostra edificazione di attori:<br />
creare. 84<br />
Il lavoro dell‟attore che si accinge ad entrare in un testo, per poter parlare da<br />
uomo agli altri uomini, è innanzitutto corporeo, poiché tramite<br />
l‟immedesimazione, la mimesi, <strong>se</strong>ntire il <strong>se</strong>ntire dell‟altro, si attua una<br />
trasposizione antropomorfica o antropomorfizzazione, in cui egli cercherà di<br />
cogliere il riflesso mimico che sta alla ba<strong>se</strong> della creazione poetica,<br />
83 DUCCI, E., Approdi dell’umano. Il dialogare minore, Anicia, Roma 1992, p.28. Ancora<br />
più ampiamente sull‟importanza della primitività: “Della realtà educativa – presa nel <strong>se</strong>nso<br />
latissimo di perfettibilità o sviluppo affermativo del soggetto-, tutti hanno un‟esperienza,<br />
positiva o negativa, legata al processo del vivere, soprattutto del vivere interiore. Di essa,<br />
perciò, ogni es<strong>se</strong>re umano dovrebbe avere un suo <strong>se</strong>ntito reale(…). Tale <strong>se</strong>ntito è prezioso,<br />
va custodito e salvaguardato. Esso facilita un avvertimento interiore, che può avere un buon<br />
potere decondizionante, che nelle situazioni vitali agevola il discernimento del trasbordare<br />
delle ideologie o delle dottrine oggettivate in genere avvalendosi di un <strong>se</strong>nso primario di<br />
soddisfazione o insoddisfazione, stato di benes<strong>se</strong>re o di males<strong>se</strong>re, <strong>se</strong>nso di ariosità o di<br />
soffocamento, di unificazione o frantumazione interiore, etc. Non appesantito dai risultati<br />
degli altri, ma da essi avvantaggiato, è dunque chi salva questa primitività dal rigor mortis,<br />
l‟ascolta consapevole della sua funzione, ne vaglia impietosamente lo stato: in una parola la<br />
spende bene, sia nel vivere sia nell‟indagare sull‟educativo e scrivere di esso.”<br />
84 Cf. SCARAMUZZO, G., In-tendere. L’umana sophia di Luigi Pirandello, Anicia, Roma<br />
2005, p.17 sgg. “La vita è creazione continua, e l‟arte ne è la sua pura manifestazione.”<br />
50
l‟urgenza spirituale che è sbocciata nell‟anima del poeta. Se il poeta ha<br />
usato una parola per dire una realtà noi dobbiamo prima contattare<br />
esattamente quella realtà che nel poeta si è fatta parola, andando a ritroso<br />
fino all‟impulso originario che ha determinato quella creazione.<br />
L‟interpretazione a cui perviene l‟attore, è questo andare dalla parola<br />
all‟originario movimento per tornare alla parola.<br />
“Quante volte noi ci chiediamo: che cos‟è un attore? Nei riguardi della<br />
rappre<strong>se</strong>ntazione l‟attore è la materia per mezzo della quale si manifesta lo<br />
spirito dell‟autore, la materia più nobile e come tale la più ribelle. Materia<br />
umana, materia autonoma: strana contraddizione in termini: ma la realtà e <strong>se</strong><br />
vogliamo il dramma dell‟attore come uomo è proprio in questa<br />
contraddizione: es<strong>se</strong>re materia, cioè dover subire l‟impronta del genio altrui,<br />
es<strong>se</strong>re autonomo, cioè soffrire di questa imposizione o goderne, che è un po‟<br />
lo stesso - tale contrapposizione si risolve perché nel fondo dell‟attore c‟è -<br />
una potenzialità di vita, di attività, ricchissima, molteplice, che non attende e<br />
non vuole altro che la possibilità di manifestarsi.” 85<br />
Il poeta scrive perché ha un‟irrefrenabile voglia di esprimersi, un‟esigenza<br />
mimica, che deve farsi suono e linguaggio; l‟attore, d‟altro canto, ha questa<br />
potenzialità di vita che lo spinge a ritornare al nucleo di quel processo<br />
creativo, subendo l‟impronta del genio altrui, per riattualizzarlo in sé,<br />
<strong>se</strong>condo il proprio particolare modo di <strong>se</strong>ntire. In tal modo riducendo<br />
lentamente il movimento del corpo, egli fa sì che l‟urgenza mimica si<br />
85 ORAZIO COSTA in COLLI, G.G., Una pedagogia dell’attore. L’in<strong>se</strong>gnamento di<br />
Orazio Costa, Bulzoni, Roma 1996, p.76.<br />
51
esprima in lui per mezzo delle sole parole, vitalizzate proprio da quel<br />
lavoro. 86<br />
86 Cf. BOGGIO, M., Il corpo creativo. La parola e il gesto in Orazio Costa, Bulzoni, Roma<br />
2001, p.74.<br />
52
3. Il metodo mimico<br />
a) Immedesimarsi nella realtà 87<br />
“Os<strong>se</strong>rviamo un bambino che guarda intorno a sé: lo vediamo muoversi ed<br />
agitarsi in modo che solo superficialmente può <strong>se</strong>mbrare disordinato e<br />
inconcludente. In realtà ci possiamo avvedere che egli ha istintivamente<br />
individuato in ciò che fa l‟oggetto della sua attenzione capo, occhi, braccia,<br />
gambe, si tratti di un albero, di una <strong>se</strong>dia, di un uccello, di un qualunque<br />
giocattolo, e che muove le sue membra tutte e il suo viso in una stretta,<br />
anche <strong>se</strong> personale, individuale, corrispondenza, impos<strong>se</strong>ssandosi<br />
immediatamente del ritmo proprio dell‟oggetto, e rispecchiandone<br />
finalmente in sé un‟immagine allusiva.” 88<br />
L‟attore si differenzia dal bambino non tanto per l‟istinto mimico (che<br />
riscopre grazie ad una rieducazione mimica perché normalmente l‟uomo con<br />
l‟educazione viene mimicamente deprivato, limitato nei movimenti, nei<br />
gesti, nelle espressioni spontanee e così via) quanto per la creatività che è<br />
intesa come il grado di originalità dei rapporti tra oggetto e immagine<br />
riflessa.<br />
L‟attore affina le proprie qualità espressive <strong>se</strong>mplicemente<br />
immedesimandosi in ciò che lo circonda, sfruttando qualcosa di<br />
87 La spontanea capacità dell‟uomo di immedesimarsi nella realtà ha ultimamente trovato<br />
un riscontro scientifico nella scoperta compiuta da Giacomo Rizzolati dei “neuroni<br />
specchio”: “La grande novità di questa scoperta è l‟identificazione di un meccanismo<br />
neurale che potrebbe con<strong>se</strong>ntire il confronto diretto tra la descrizione <strong>se</strong>nsoriale (visiva o<br />
uditiva) di un‟azione e la sua e<strong>se</strong>cuzione. Questo meccanismo potrebbe rivelarsi cruciale<br />
per rappre<strong>se</strong>ntare le azioni degli altri nel proprio sistema motorio, e di con<strong>se</strong>guenza<br />
comprenderle in un modo piuttosto diretto o anche imitarle e apprendere.” (Risonanze e<br />
Imitazioni in Mente e cervello n.23, <strong>se</strong>tt. 2006).<br />
88 ORAZIO COSTA in COLLI, G.G., Una pedagogia dell’attore. L’in<strong>se</strong>gnamento di<br />
Orazio Costa, Bulzoni, Roma 1996, p.138.<br />
53
profondamente umano che è questa capacità di reagire alla realtà esterna,<br />
adeguandosi ad essa con tutto il proprio corpo e la propria anima fino a<br />
diventare in un suo proprio modo quella realtà.<br />
Guardando per e<strong>se</strong>mpio un mare mosso o un mare quieto la nostra<br />
interiorità cambia: siamo più agitati oppure <strong>se</strong>ntiamo un <strong>se</strong>nso di<br />
tranquillità, i nostri movimenti sono più o meno rapidi, le nostre parole più o<br />
meno nervo<strong>se</strong>. Insomma qualcosa in noi si sta immedesimando con ciò che<br />
vediamo.<br />
Si potrebbe dire che si tratta di un rispecchiamento, di un riflesso mimico<br />
istintivo, cioè di un contatto con la realtà, intimo e naturale, che è<br />
principalmente corporeo e che avviene con la stessa rapidità di un riflesso<br />
fisico.<br />
L‟attore cerca di perfezionare questo aspetto istintivo puramente umano con<br />
tutto il suo allenamento, e con la mimesi, diventa quella realtà attraverso una<br />
trasposizione antropomorfica di essa. Egli vede le co<strong>se</strong> e crea l‟immagine di<br />
quella particolare realtà diventando tutte le possibilità di quell‟incontro, in<br />
cui la mia umanità ne sposa un‟altra. E‟ un processo delicato che non<br />
avviene solo esteriormente, prendendo una forma fisica di un albero o un<br />
uccello ma in cui il corpo aderisce con tutte le fibre del proprio es<strong>se</strong>re al<br />
moto che <strong>se</strong>nte alla radice di quella realtà. 89<br />
“Ponendoci all‟aperto, davanti al mare, in montagna, in un bosco, davanti ad<br />
una cascata, sotto un cielo stellato, la nostra risposta è istintiva: diventiamo<br />
la cosa. Ma non è che diventiamo soltanto nella nostra immaginazione<br />
interiore: qualche cosa della nostra attività muscolare si adegua<br />
all‟immagine che abbiamo di fronte, «diventa!», ci <strong>se</strong>ntiamo effettivamente<br />
89 Cf. Op. cit., p.57 sgg.<br />
54
diventare, godiamo di questo diventare, qualche volta persino con un certo<br />
sgomento.” 90<br />
In questo modo possiamo effettivamente <strong>se</strong>ntire le co<strong>se</strong> nella loro realtà<br />
perché in noi es<strong>se</strong> si sono fatte e volute così come sono. Avendo avvertito in<br />
tal modo un contatto con la natura possiamo trasferire l‟attenzione da essa<br />
alla poesia per accogliere e rivivere le immagini del poeta.<br />
90 ORAZIO COSTA in BOGGIO, M., Il corpo creativo. La parola e il gesto in Orazio<br />
Costa, Bulzoni, Roma 2001, p.71.<br />
55
) Mimesi<br />
Nell‟avvicinarci al personaggio di Antigone u<strong>se</strong>remo il metodo mimico<br />
ideato da Orazio Costa Giovangigli, allievo di Copeau, e attualmente<br />
portato avanti a Roma da Gilberto Scaramuzzo. Il metodo mimico ha una<br />
duplice funzione: si può intendere sia come metodo di avviamento<br />
all‟espressione sia come metodo per l‟interpretazione teatrale. “Da una parte<br />
vuole recuperare nell‟uomo, potenziale attore ma anche potenziale artista in<br />
generale, quella attiva disponibilità al mondo, propria nel bambino nei primi<br />
anni di vita, che gli permetta di intuire e quindi conoscere qualsiasi<br />
manifestazione della realtà sforzandosi poi di darne un‟analoga immagine<br />
fisica, ed è questa, in pratica, la condizione di cui, <strong>se</strong>condo Costa, necessita<br />
l‟uomo per sviluppare qualsiasi attività artistica. Dall‟altra vuol permettere<br />
all‟attore in quanto uomo che ha raggiunto un certo grado di maturazione in<br />
quella che si può definire una rieducazione mimica, di interpretare qualsiasi<br />
immagine suggerita dal testo, che è pur <strong>se</strong>mpre natura, in quanto anche<br />
l‟immagine creata dall‟autore, così come l‟immagine fisica prodotta<br />
dall‟uomo, nasce sulla ba<strong>se</strong> dell‟istinto mimico: l‟interprete si sforza di<br />
rivivere il rispecchiamento mimico da cui è scaturita l‟immagine poetica,<br />
che di quel rispecchiamento ne è la trascrizione.” 91<br />
Il metodo si basa sulla mimesi cioè la capacità dell‟uomo di dar vita,<br />
movimento e voce ad un fenomeno os<strong>se</strong>rvato. In buona sostanza è<br />
accogliere liberamente dentro di noi l‟energia che proviene da quel<br />
determinato fenomeno e darle vita tramite il nostro corpo, rispettando i suoi<br />
ritmi e le sue forme.<br />
91 COLLI, G.G., Una pedagogia dell’attore. L’in<strong>se</strong>gnamento di Orazio Costa, Bulzoni,<br />
Roma 1996, p.116.<br />
56
Con l‟azione mimica “l‟uomo dà occhi, arti e voce ai fenomeni o alle co<strong>se</strong>,<br />
che in realtà non ne hanno.” 92<br />
Fare la mimesi è molto diverso dall‟imitare, perché l‟imitazione non ha<br />
nulla di interiore, è solo esteriorità. La mimesi è invece qualcosa di più<br />
intenso, una metamorfosi che avviene in noi e che ci permette di trasformare<br />
in ritmi umani ciò che invece umano non è: il mare, il cielo oppure una<br />
nuvola possono entrare in noi, muoverci <strong>se</strong>condo il loro movimento, che da<br />
noi è <strong>se</strong>mplicemente as<strong>se</strong>condato. Palpitiamo così in una danza dai ritmi<br />
inimmaginabili, così come essi risuonano nei nostri luoghi più reconditi.<br />
Tale possibilità avviene per un “antropomorfismo” di ciò che è natura o<br />
meglio un “angelotropismo” che ci permette cioè di afferrare l‟angelo delle<br />
co<strong>se</strong> esplicando una libertà di autotrasformazione che ci con<strong>se</strong>nte di<br />
ricondurre a noi l‟infinità della natura. E‟ un‟assimilazione, la <strong>se</strong>nsazione di<br />
un contatto <strong>se</strong>ntimentale tra le co<strong>se</strong> e me e tra me e le co<strong>se</strong>. 93<br />
Se tutto si può riprodurre in noi, allora si può es<strong>se</strong>re tutte le co<strong>se</strong>. Tale<br />
libertà è propria dell‟attore. L‟attore in effetti <strong>se</strong> vuole rappre<strong>se</strong>ntare dei<br />
personaggi <strong>se</strong>nza restarne imprigionato e <strong>se</strong>nza doverne escludere qualcuno<br />
(perché troppo lontano dal proprio modo di vivere, dalle proprie idee etc.),<br />
deve trovare in sé questa libertà che gli con<strong>se</strong>nta di assumere qualunque<br />
forma egli desideri.<br />
In un certo <strong>se</strong>nso la personalità dell‟attore con la mimesi si dilata, si allarga,<br />
impara ad accogliere ogni umanità così come ogni realtà <strong>se</strong>nza mai perdersi,<br />
altrimenti si finirebbe con lo scomparire nelle co<strong>se</strong>, naufragare in es<strong>se</strong>.<br />
Invece l‟attore resta <strong>se</strong>mpre pre<strong>se</strong>nte in quel movimento allo stretto, <strong>se</strong>ppur<br />
indispensabile, confine tra razionalità e a-razionalità.<br />
92 ORAZIO COSTA in Op. cit., p.229.<br />
93 Cf. Op. cit., p.142.<br />
57
Il personaggio torna così a vivere nell‟attore che ne fa la mimesi. L‟attore si<br />
accende e si conforma in un movimento del tutto disinteressato volto a<br />
ricercare la trasparenza, l‟es<strong>se</strong>re, il <strong>se</strong>mplice eppur inafferrabile mistero del<br />
vivere. E‟ un movimento questo che vibra di verità. E‟ un incontro prezioso<br />
tra due verità che riguarda la vita spirituale e quella relazionale in cui<br />
l‟umanità del personaggio ha un potere umanante sull‟umanità dell‟uomo e<br />
viceversa. 94 E‟ come <strong>se</strong> tra personaggio ed interprete si stabilis<strong>se</strong> un vero e<br />
proprio contatto interumano, intimo e sofferto come sanno es<strong>se</strong>re quei<br />
contatti colmi di compassione che penetrano nei labirinti della nostra verità<br />
sbrogliandone i nodi più arcani. Eleonora Du<strong>se</strong> 95 descris<strong>se</strong> il contatto con i<br />
suoi personaggi in una lettera al marche<strong>se</strong> d‟Arcais che merita d‟es<strong>se</strong>re<br />
citata:<br />
Quelle povere donne delle mie commedie mi sono talmente entrate nel cuore<br />
e nella testa che mentre io mi ingegno di farle capire alla meglio a quelli<br />
che mi ascoltano, quasi volessi confortarle, sono es<strong>se</strong> che adagio adagio<br />
hanno finito per confortar me!...Come- e perché- e da quando mi sia<br />
successo questo ricambio fra queste donne e me…sarebbe troppo lungo, e<br />
anche difficile per esattezza a raccontare. Io non guardo <strong>se</strong> hanno mentito,<br />
<strong>se</strong> hanno tradito, <strong>se</strong> hanno peccato- o <strong>se</strong> nacquero perver<strong>se</strong>- purchè io <strong>se</strong>nta<br />
94<br />
Cf. SCARAMUZZO, G., In-tendere. L’umana sophia di Luigi Pirandello, Anicia, Roma<br />
2005, p.27 sgg.<br />
95<br />
Eleonora Du<strong>se</strong> fu nel 1913 tra le prime a rispondere all‟appello di Copeau sulla<br />
rieducazione del teatro, durante i suoi anni di silenzio dalla scena. Nel 1921 tornò sul<br />
palcoscenico, dopo dodici anni, interpretando Ellida ne “La donna del mare” di Ib<strong>se</strong>n, testo<br />
poi ripreso dalla coppia Luigi Pirandello-Marta Abba. Il commento della prima (tratto dalla<br />
Pre<strong>se</strong>ntazione de La donna del mare in IBSEN, H., I capolavori, Newton, Roma 1973, p.<br />
312.) fu di una “traduzione, in una artistica realtà visibile e tangibile, di alti <strong>se</strong>greti dello<br />
spirito (…) L‟arte di Eleonora Du<strong>se</strong> ha raggiunto una incredibile lievità espressiva e<br />
insieme una potente densità interiore (…) Il gesto, la voce, le mani-e tutte le co<strong>se</strong> che quelle<br />
sue mani spirituali toccavano-creavano un‟armonia prodigiosa. Ad ogni momento eravamo<br />
sorpresi da tratti di vera ispirazione, da scoperte psicologoche, da invenzioni poetiche di<br />
grandissimo valore. Verità e bellezza, per esprimersi compiutamente, si appagavano dei<br />
minimi mezzi.”<br />
58
che es<strong>se</strong> hanno pianto, hanno sofferto per mentire per tradire o per<br />
amare... 96<br />
E‟ un atteggiamento in cui il <strong>se</strong>ntire e l‟in-tendere si slargano in un<br />
atteggiamento di profondo accoglimento, di compassione (nel suo <strong>se</strong>nso<br />
etimologico di “soffrire insieme”), di quei personaggi e della loro<br />
sofferenza.<br />
“Il personaggio è, dunque, per l‟uomo, ambiente vitale per la vita dello<br />
spirito, poiché è espressione vera della vita. Questo ambiente è abitabile da<br />
tutti, e la modalità per farlo è la mimesi. La mimesi è il rendere attuale la<br />
connaturalità vitale che <strong>se</strong>gna l‟uomo e il personaggio, è il dare vita<br />
spirituale allo spirituale per l‟uomo; e, al tempo stesso, la connaturalità,<br />
costituisce il fondamento della mimesi. Il condividere la stessa natura<br />
spirituale rende, infatti, attuabile la mimesi. La mimesi è attività spirituale<br />
dell‟uomo che opera con materia spirituale umana.” 97<br />
La libertà dell‟attore si manifesta in questo poter es<strong>se</strong>re tutte le co<strong>se</strong> per poi<br />
umanarsi nella mimesi del personaggio che va ad interpretare.<br />
96 MOLINARI, C., L’attore e la recitazione, Laterza, Bari 1992, p.53.<br />
97 SCARAMUZZO, G., In-tendere. L’umana sophia di Luigi Pirandello, Anicia, Roma<br />
2005, p.31.<br />
59
Capitolo quarto<br />
L’ANTIGONE<br />
1. L’attore e il testo<br />
Dato che l‟attore è colui che entra profondamente all‟interno del testo e data<br />
la sua libertà nel poter es<strong>se</strong>re ogni umanità è anche colui che, grazie alla<br />
mimesi, riesce più di altri ad abbeverarsi alla fonte dei grandi autori.<br />
Analizzeremo ora alcuni momenti della tragedia sofoclea: la scelta, la<br />
giustizia, il coraggio e la magnanimità, aretè che ben si coniugano con il<br />
personaggio di Antigone, cercando di descrivere il lavoro fatto sul<br />
personaggio e ricordando cosa è significato per me interpretarla.<br />
La prima battuta dell‟Antigone 98 è pronunciata proprio dalla protagonista, la<br />
scena si svolge all‟alba davanti alla reggia dei Labdàcidi da cui escono<br />
Antigone ed Ismene.<br />
ANTIGONE<br />
O mia compagna, o mia sorella, Ismene,<br />
98 Per la traduzione ci si riferisce a ROMAGNOLI, E., I poeti tragici tradotti da Ettore<br />
Romagnoli, vol 2, Zanichelli, Bologna 1954.<br />
60
sai tu quale dei mali che provengono<br />
da Edipo, Giove sopra noi non compia,<br />
mentre siamo ancor vive? Oh!, nulla v‟è<br />
di doloroso, di funesto e turpe,<br />
di vergognoso, che fra i mali tuoi,<br />
fra i mali miei visto non abbia. E adesso,<br />
qual bando è questo, che il signore, dicono,<br />
fece or ora gridar nella città?<br />
Lo sai? Lo udisti? O ignori tu che offe<strong>se</strong>,<br />
come a nemici, sugli amici incombono?<br />
Come si fa ad interpretare questa battuta? Come ci avviciniamo a <strong>se</strong>ntire<br />
come <strong>se</strong>nte Antigone?<br />
Innanzitutto proviamo a calarci dentro il testo con la mimesi.<br />
Proviamo a diventare le parole con tutto il corpo: diamo vita a quella realtà,<br />
<strong>se</strong>ntiamola respirare in noi <strong>se</strong>nza tensioni o resistenze, restando <strong>se</strong>mpre<br />
concentrati, <strong>se</strong>nza smettere mai il movimento. La testa, le spalle, il busto, le<br />
braccia, il bacino, le gambe, i piedi, ogni parte del nostro corpo diventa<br />
esattamente quella realtà che viene evocata dal poeta. Sentiamo che la<br />
<strong>se</strong>quenza di quelle parole ci illumina la strada. Lentamente iniziamo a<br />
<strong>se</strong>ntire il movimento che alimenta l‟interiorità del personaggio, iniziamo un<br />
viaggio dentro di lei che non ha nulla di logico o razionale o definito ma è<br />
puro andare. Senza avere la pretesa di capire, <strong>se</strong>ntiamo un contatto con il<br />
suo <strong>se</strong>ntire.<br />
61
Aggiungiamo al corpo la voce: dei suoni oppure le parole così come escono<br />
naturalmente, in modo che aderiscano completamente al movimento del<br />
corpo e che sfruttino ogni risuonatore. La voce è il nostro strumento. Deve<br />
es<strong>se</strong>re suono e non fiato, piena e non frenata da tensioni, asciutta, vera e non<br />
artificiale, articolata, deve inoltre guadagnare la tinta emotiva più tenue così<br />
come quella più dura, sfruttando tutte le possibilità espressive dell‟apparato<br />
fono-articolatorio. Essa può es<strong>se</strong>re orchestrata da ogni parte del nostro corpo<br />
e perciò assumere toni e colori inimmaginabili. La voce non <strong>se</strong>mpre però<br />
aderisce con facilità al movimento del corpo. Alle volte essi non vanno<br />
insieme, ma ciascuno per la sua tangente. Ciò accade perché la voce viene<br />
trattenuta, frenata dalla “troppa testa”, raffreddata, appiattita, indebolita.<br />
Invece essa va lasciata libera di modellarsi, ammorbidirsi o indurirsi a<br />
<strong>se</strong>conda della richiesta.<br />
Avendo contattato la verità del personaggio, abbiamo individuato una<br />
temperie di ba<strong>se</strong>, un substrato emotivo su cui vanno collocate tutte le altre<br />
parole. Questa è come <strong>se</strong> fos<strong>se</strong> un colore emotivo su cui scivolano le altre<br />
parole, un “particolare clima in cui si produce la mimazione, ad un livello di<br />
tensione espressiva esigente la trasposizione o traduzione in linguaggio.” 99<br />
Possiamo ora riprenere il testo provando a leggere <strong>se</strong>nza utilizzare il<br />
movimento del corpo, aiutandoci con la mimesi fatta con la mano, che<br />
risveglia lo stesso movimento mimico percepito dal corpo e facilita l‟attore<br />
a contattare la vitalità delle parole. Importante per la lettura, oltre ai colori<br />
emotivi, la respirazione diaframmatica, l‟uso dei fiati, le pau<strong>se</strong>, l‟attenzione<br />
alle finali delle parole, la spinta della voce che parte dal diaframma ed esce<br />
in maschera.<br />
99 ORAZIO COSTA in BOGGIO, M., Il corpo creativo. La parola e il gesto in Orazio<br />
Costa, Bulzoni, Roma 2001, p.289.<br />
62
La mimesi sulla scena sarà comunque totalmente interiore, cioè <strong>se</strong>ntita<br />
visceralmente e non agita, quindi il passaggio successivo è produrre con la<br />
voce quella stessa intenzione mimica, in cui sono le sole parole a vibrare di<br />
quella vitalità scoperta precedentemente. Dunque corpo, corpo e voce, voce<br />
e viscere. In questa fa<strong>se</strong> è l‟interpretazione ad avere la meglio. Il lavoro<br />
corporeo è dunque finalizzato a risvegliare quella vitalità che sarà poi<br />
determinante per recitare sulla scena.<br />
63
2. La scelta<br />
Dalle prime parole del testo si evidenzia già il forte legame esistente tra le<br />
due donne, sono compagne, condividono cioè una stessa sorte, e sono<br />
sorelle, discendenti da un'unica stirpe e legate da un legame di sangue.<br />
L‟immagine specifica su cui si è adoperata la mimesi (e con cui poi si è<br />
aperto lo spettacolo) è stata questa <strong>se</strong>conda.<br />
Diventare un “flusso sanguigno”: unito, fluido, indissolubile, continuo,<br />
inarrestabile, costante, omogeneo, che <strong>se</strong>gue la sua strada, pulsante, goccia<br />
di sangue, afflusso, sostanza, nutritivo, rosso, caldo, vitale, naturale.<br />
Questa metafora ci ha permesso di <strong>se</strong>ntire profondamente che tipo di<br />
relazione esiste tra le due attrici sulla scena e di rendere tale vissuto vivo,<br />
come substrato su cui far emergere le altre parole. La relazione è molto forte<br />
quella di due compagne, di due sorelle ma anche di due figlie. Antigone<br />
conosce già la sofferenza dei mali arrecati dal padre Edipo, sa che la casa<br />
dei Labdacidi è in odio agli dei e si chiede cos‟altro c‟è in <strong>se</strong>rbo per lei ed<br />
Ismene, uniche superstiti di quella stirpe. In realtà è una domanda di cui già<br />
conosce la risposta: i loro fratelli Eteocle e Polinice sono morti, Creonte ha<br />
vietato di <strong>se</strong>ppellire lo sventurato Polinice che ha combattuto contro la<br />
patria e il destino che si prospetta davanti ai suoi occhi è altrettanto<br />
doloroso.<br />
La forza incalzante di Antigone si coglie già nel tono tenero eppur deciso<br />
con cui irrompe nello spirito assorto ed alieno di Ismene, a cui chiede <strong>se</strong> è<br />
pronta a collaborare con lei.<br />
64
Le due infatti pur soffrendo delle stes<strong>se</strong> sventure hanno un animo molto<br />
diverso. Per Antigone il male fatto al fratello già morto è come <strong>se</strong> fos<strong>se</strong> stato<br />
inflitto a lei stessa perché per lei “il mondo degli uomini <strong>se</strong>mbra dividersi in<br />
due: da una parte gli amici, dall‟altra i nemici degli amici: perché, nata per<br />
amare piuttosto che per odiare, essa giudica nemico solo il nemico delle<br />
persone amate.” 100 Ismene invece ha tutto un altro <strong>se</strong>ntire. Per lei il mondo è<br />
diviso tra creature deboli e uomini potenti, le donne, come loro due, che<br />
hanno vissuto tante sventure e che sono ormai sole, non sono “tali da lottar<br />
con gli uomini”, e dunque non possono opporsi a ciò che impongono i<br />
potenti. La varietà degli animi crea un netto contrasto tra le due, che dà<br />
maggior rilevanza al personaggio di Antigone, che inizia ad illuminarsi di<br />
pura luce.<br />
Antigone non si chiede <strong>se</strong> Polinice è stato nobile in vita oppure no, la cosa<br />
che le preme è che è stata trasgredita una legge e violato un <strong>se</strong>nso di<br />
giustizia molto più alto di quello mortale, <strong>se</strong>nso di giustizia che lei deve<br />
ristabilire. E‟ pronta a lottare per questo contro il male e l‟empietà anche <strong>se</strong><br />
da sola e anche <strong>se</strong> il prezzo da pagare è la morte. Lei non sarà una degenere,<br />
una traditrice, lei lo onorerà:<br />
ANTIGONE<br />
Più non ti prego; né <strong>se</strong> ancor tu l‟opera<br />
partecipar volessi, io di buon grado<br />
t‟accetterei: sii tu quale es<strong>se</strong>r brami.<br />
Sepolcro io gli darò: bella <strong>se</strong> l‟opera<br />
avrò compiuta, mi parrà la morte.<br />
100 MADDALENA, A., Sofocle, Ed. di Filosofia, Torino 1959, p.52.<br />
65
E cara giacerò presso a lui caro,<br />
d‟un pio misfatto rea: poiché piacere<br />
più lungo tempo a quelli di laggiù<br />
debbo, che a quelli che qui sono. Là<br />
giacer debbo in eterno. E tu, <strong>se</strong> credi,<br />
disprezza pure ciò che i Numi pregiano.<br />
Antigone sceglie.<br />
La scelta è una dimensione dell‟umano profondamente connessa con le virtù<br />
ed ha a che fare con il volontario anche <strong>se</strong> non vi si identifica. La volontà ha<br />
come oggetto piuttosto il fine, la scelta, invece, i mezzi: per e<strong>se</strong>mpio, noi<br />
vogliamo star bene di salute e scegliamo i mezzi per star bene; vogliamo<br />
es<strong>se</strong>re felici e diciamo appunto che lo vogliamo, ma è stonato dire che lo<br />
scegliamo. In generale, infatti, <strong>se</strong>mbra che la scelta riguardi solo le co<strong>se</strong><br />
che dipendono da noi. 101 Oggetto della scelta è perciò qualcosa che dipende<br />
da noi, che è voluto in ba<strong>se</strong> ad una certa deliberazione e che ha a che fare<br />
con i mezzi. Dipende perciò da noi il vizio così come la virtù ed in questo<br />
<strong>se</strong>nso possiamo dire che è scegliendo bene o male che qualifichiamo la<br />
nostra esistenza e che diamo moralità al nostro agire, in funzione di una<br />
volontà di felicità che è il fine. 102 Antigone vuole onorare il fratello morto e<br />
perciò sceglie di trasgredire l‟editto del re, dimostrando di <strong>se</strong>guire una legge<br />
che è divina.<br />
Come attori ci si trova immersi in un grande oceano.<br />
101 ARISTOTELE, Etica Nicomachea, 1111b 26, trad. Bompiani, Milano 2000.<br />
102 Cf. Op. cit., 1111b 30 sgg.<br />
66
Antigone è un oceano: vasto, ampio, immenso, limpido, mosso, tumultuoso,<br />
agitato, denso di correnti, profondo, insondabile, fondo, silenzioso, prezioso,<br />
dimora, acqua, azzurro, impetuoso, tempesta, orizzonte.<br />
Il grande spirito di una donna eroica, guerriera, che sceglie liberamente di<br />
andare incontro alla morte, con salda determinazione. Ci si trova oltre gli<br />
scogli dell‟obbedienza, della viltà, della passività in cui è incagliata Ismene,<br />
guidati, verso qualcosa di infinitamente vasto, da un imperativo morale che<br />
supera ogni perplessità rispettando le norme del vivere bene e del nobile<br />
morire. Antigone è rea ma di un pio misfatto, la sua tragedia è una passione<br />
e non una redenzione perché il suo dramma è postumo all‟azione e la sua<br />
strada è l‟amore. 103<br />
Certo razionalmente è difficile pensare a come potrebbe es<strong>se</strong>re una donna<br />
del genere, la ragione for<strong>se</strong> non può spingersi così oltre, non ce la fa, può<br />
solamente adoperarsi per conoscere. La conoscenza si ha nel momento in<br />
cui diamo una forma, una realtà, alla cosa, a cui ci rapportiamo:<br />
giudichiamo, nominiamo, categorizziamo <strong>se</strong>nza vederne la sua vera es<strong>se</strong>nza.<br />
Ciò che con la razionalità possiamo conoscere è solamente la forma <strong>se</strong>conda<br />
della realtà, ciò che appare, mentre la forma prima cioè quella che preesiste<br />
alla trasformazione umana può es<strong>se</strong>re solamente in-tesa: si può così, per noi<br />
attori, scegliere di accantonare la ragione e di non conoscere ma solo di in-<br />
tendere in modo che il personaggio palpiti spontaneamente in noi con tutta<br />
la sua ricchezza. 104 Infatti lasciando che le parole entrino in noi, ci si <strong>se</strong>nte<br />
103 Cf. MADDALENA, A., Sofocle, Ed. di Filosofia, Torino 1959, p.55.<br />
104 Cf. SCARAMUZZO, G., In-tendere. L’umana sophia di Luigi Pirandello, Anicia, Roma<br />
2005, p.64 sgg.<br />
67
vivere effettivamente in quella realtà, nel <strong>se</strong>ntire di quel personaggio <strong>se</strong>nza<br />
aver pensato a come doverlo fare ma solo facendolo, accogliendo quelle<br />
parole, scritte immortalmente su carta, nella nostra finitezza di uomini. In<br />
questo modo “nell‟interpretazione di un personaggio si può arrivare ad<br />
es<strong>se</strong>re espressivamente più ricchi di quello che siamo nella nostra realtà,<br />
perché attraverso l‟immedesimazione nell‟opera poetica superiamo i limiti<br />
della nostra personalità.” 105<br />
105 BOGGIO, M., Il corpo creativo. La parola e il gesto in Orazio Costa, Bulzoni, Roma<br />
2001, p.93.<br />
68
3. La giustizia<br />
Il testo ci pre<strong>se</strong>nta ora Creonte, antagonista di Antigone. Il linguaggio è<br />
freddo e pungente diversissimo dalla calda passione che alimenta il cuore<br />
della nostra eroina. Lui è il re di Tebe e lo zio di Antigone, ha la forza e il<br />
potere e il suo unico scopo è governare la patria <strong>se</strong>guendo l‟idea del bene<br />
comune. Egli vuole che ci sia giustizia come fondamento della città, perciò<br />
è indispensabile premiare i giusti e punire gli ingiusti come Polinice, poichè<br />
solo così si difende la patria rettamente. Creonte giudica aspramente la<br />
condotta di Polinice, Antigone non giudica, ama. Lei accoglie nella sua<br />
verginea purezza il fratello, la sua sofferenza, come <strong>se</strong> fos<strong>se</strong> quella<br />
dell‟intera umanità. Accoglie l‟altro con pietà e con quella compassione<br />
insaziabile 106 , che fa della religiosità la propria salvezza. Creonte ed<br />
Antigone parlano due linguaggi diversi pur adoperando le stes<strong>se</strong> parole:<br />
entrambi <strong>se</strong>guono la legge, entrambi vogliono giustizia.<br />
Ma cosa si intende per giustizia? Aristotele la definisce come una<br />
disposizione che porta gli uomini ad agire giustamente e a volere le co<strong>se</strong><br />
giuste. Questa giustezza si delinea in conformità alla legge: <strong>se</strong> questa è<br />
stabilita rettamente imponendo delle co<strong>se</strong> e proibendone altre si fa il giusto<br />
altrimenti <strong>se</strong> è fatta in fretta può es<strong>se</strong>re ingiusta e indurre in errore. Inoltre il<br />
giusto sarà quello che rispetterà l‟uguaglianza non volendo avere né meno<br />
né più degli altri. 107 Ovviamente in questo caso, cioè quello di colui che<br />
rispetta la legge e l‟uguaglianza, la giustizia sarà la virtù perfetta, al punto di<br />
es<strong>se</strong>re la più importante delle virtù, e che né la stella della <strong>se</strong>ra né la stella<br />
106 Tale espressione è utilizzata da Dostoevskij (DOSTOEVSKIJ, F., Delitto e castigo,<br />
Mondadori, Milano 1994, p.391) per descrivere la candida anima di Sonja, <strong>se</strong>gnata dalle<br />
tante offe<strong>se</strong> eppur libera d‟amare.<br />
107 Cf. ARISTOTELE, Etica Nicomachea, 1129a sgg., trad. Bompiani, Milano 2000.<br />
69
del mattino siano altrettanto degne di ammirazione. 108 In termini generali è<br />
ciò che con<strong>se</strong>nte l‟attuazione di ogni altra virtù e può es<strong>se</strong>re e<strong>se</strong>rcitata sia<br />
dal soggetto verso <strong>se</strong> stesso, sia verso gli altri. Ma del giusto in verità ne<br />
esistono due specie: quella naturale e quella legale. Il giusto naturale è<br />
quello che ha la stessa validità in ogni dove e che esiste al di là del fatto che<br />
venga o meno riconosciuto; quello legale è quello che viene scelto<br />
arbitrariamente dagli uomini e che una volta stabilito non è più indifferente.<br />
Dunque quest‟ultimo è una costruzione esterna stabilita per mezzo delle<br />
leggi per convenzioni e per fini utili, mentre il giusto naturale è qualcosa<br />
che, fondandosi sulla Legge di natura, appartiene nell‟uomo stesso, di ogni<br />
tempo ed ogni luogo. 109<br />
In effetti risulta lampante come alcuni termini passando dal singolare al<br />
plurare cambiano totalmente il loro significato, poiché non mutano<br />
<strong>se</strong>mplicemente quantitativamente ma qualitativamente. Questo è<br />
esattamente ciò che accade nel testo: contrasto tra Legge/leggi. 110<br />
L‟immagine è quella del più brutale conflitto che nasce dalla differenza dei<br />
caratteri, razionale quello di Creonte e passionale quello di Antigone, e<br />
ancora più nel profondo, di due concezioni etiche o, meglio, attegiamenti<br />
rispetto alla spiritualità e al divino. Il contrasto in realtà è quello tra le leggi,<br />
cioè il diritto della città e la Legge, cioè il diritto di famiglia; tra chi crede di<br />
poter da solo definire le leggi a cui attenersi e chi si ispira alla necessità di<br />
rispettare le Leggi non scritte degli dei. 111<br />
Che cos‟è giusto? Quale delle due leggi va <strong>se</strong>guita? Creonte con la sua<br />
lucida razionalità o Antigone con la sua impetuosa passione?<br />
108 Op. cit., 1129b 28.<br />
109 Cf. Op. cit., 1134b 18 sgg.<br />
110 Tale distinzione è rilevata da Edda Ducci anche in relazione ad Es<strong>se</strong>re-es<strong>se</strong>ri; Bene-beni;<br />
Parola-parole. in DUCCI, E., Libertà liberata. Libertà Legge Leggi, Anicia, Roma 1994,<br />
p.22.<br />
111 Cf. MADDALENA, A., Sofocle, Ed. di Filosofia, Torino 1959, p.61.<br />
70
Il coro che <strong>se</strong>gue ci funge <strong>se</strong>nz‟altro da monito. E‟ il “primo canto intorno<br />
all‟ara” in cui è commentata la vita dell‟uomo guidato da ragione.<br />
CORO<br />
Strofe I<br />
Molti si danno prodigi, e niuno<br />
meraviglioso più dell‟uomo.<br />
Sino di là dal canuto mare,<br />
col tempestoso Noto, procede<br />
l‟uomo, valica l‟estuare<br />
dei flutti, e il mugghio; e la più antica<br />
degli Dei, l‟immortale Terra,<br />
l‟infaticata, col giro spossa,<br />
anno per anno, degli aratri,<br />
col travaglio d‟equina prole.<br />
Antistrofe I<br />
E degli augelli le stirpi liete<br />
cinge di reti, ne fa preda,<br />
e le tribù di <strong>se</strong>lvagge fiere,<br />
71
e le marine stirpi del ponto<br />
con le spire d‟inteste reti,<br />
l‟uomo scaltrissimo: è signore,<br />
con l‟astuzia, di quante fiere<br />
movon <strong>se</strong>lvagge tra i monti, e il giogo<br />
pone al crinito cavallo, e al toro<br />
infaticato, sovressi i monti.<br />
Strofe II<br />
L‟infaticato pensiero, e i suoni<br />
vocali rinvenne, e le norme<br />
del viver civile, e a fuggire<br />
gli etèrei dardi<br />
d‟inospiti ghiacci,<br />
di piogge nemiche.<br />
Gran copia d‟astuzie possiede;<br />
né verso il futuro, <strong>se</strong> mezzi<br />
di scempo non vede, s‟inoltra.<br />
Solo trovar dall‟Ade<br />
scampo non può; ma contro immedicabili<br />
morbi, rinvenne salutari strade.<br />
72
Antistrofe II<br />
Oltre ogni umana credenza, il genio<br />
dell‟arti inventore possiede;<br />
ed ora si volge a tristizia,<br />
ed ora a virtù.<br />
Se onora le leggi<br />
dei padri, e degl‟Inferi<br />
il giuro, la patria egli esalta.<br />
Ma patria non ha chi per colmo<br />
d‟audacia s‟appiglia a tristizia.<br />
Vicino all‟ara mia<br />
mai non s‟annidi l‟uom che così adopera,<br />
e mai concorde al mio pensier non sia.<br />
L‟uomo è la creatura più prodigiosa d‟ogni altro es<strong>se</strong>re vivente. Egli<br />
procede oltre il mare tempestoso, oltre le ardenti onde e il loro lamento<br />
tumultuoso, dominando con l‟ingegno le tempeste; e con l‟ingegno ha reso<br />
feconda la terra con l‟aratro trascinato dai cavalli. Cinge di reti gli uccelli e i<br />
pesci, doma le <strong>se</strong>lvagge fiere diventandone signore, mette il giogo al cavallo<br />
e al toro infaticato. Con il suo ingegno scopre il pensiero, la sapienza, la<br />
bellezza delle parole, le leggi della società, e sa trovar riparo, dalle più<br />
infelici condizioni climatiche, nelle ca<strong>se</strong> da lui costruite. L‟unica cosa per<br />
cui non trova riparo è la morte ma anche per le malattie ha trovato rimedio.<br />
Egli pur avendo scoperto tante arti non è riuscito con il suo ingegno a<br />
trovare il modo di es<strong>se</strong>re felice. “C‟è qualcosa che trascende la sua ragione.<br />
73
Se l‟uomo disconosce o mal conosce ciò che trascende la sua ragione, è, con<br />
tutto il suo ingegno, come canna battuta al vento: muove ignaro verso il<br />
bene e verso il male, incapace di distinguere il bene dal male.” 112 La sua<br />
felicità e la sua pace può trovarle nella città <strong>se</strong> onora le leggi degli dei. Ma<br />
stolto è colui che si lascia guidare solo dalla ragione in cui trova l‟unico<br />
strumento per proteggere la città è in effetti quello che per primo così la<br />
distrugge, perché la ragione salamente quando è ispirata dalla pietà può dirsi<br />
un bene.<br />
Creonte nella sua salda razionalità, pur per<strong>se</strong>guendo un ordine, è cieco, non<br />
riesce a vedere con gli occhi dell‟anima, ed inoltre ingiusto, perchè va a<br />
sovvertire un ordine di natura a cui gli uomini non possono opporsi,<br />
credendosi pio piuttosto che empio; Antigone, pur ribellandosi ad una legge<br />
della polis rappre<strong>se</strong>nta, <strong>se</strong>ppur con la sua impetuosa ingenuità di fanciulla,<br />
la saggezza: ella è pia e in accordo con gli ordini divini. 113<br />
Per la sua ricchezza immaginifica, con la mimesi si è cercato di riscoprire<br />
quella condizione in cui l‟attore riesce ad “es<strong>se</strong>re le co<strong>se</strong>, passando via via<br />
dall‟oggetto inanimato a quello in movimento passivo, dall‟animale al<br />
fenomeno naturale, attraverso l‟esperienza personale.” 114 Quello che si<br />
coglie con la mimesi è il vero verso dell‟uomo: così come il leone ruggisce<br />
e il cavallo nitrisce, il verso dell‟uomo è sì quello di parlare, ma ancor prima<br />
quello di poter es<strong>se</strong>re tutto, cioè avere la possibilità di penetrare la realtà con<br />
una coscienza non soltanto razionale ma e, for<strong>se</strong> soprattutto, corporea. Non<br />
112 Op. cit., p.68.<br />
113 Cf. Op. cit., p.68 sgg.<br />
114 ORAZIO COSTA in COLLI, G.G., Una pedagogia dell’attore. L’in<strong>se</strong>gnamento di<br />
Orazio Costa, Bulzoni, Roma 1996, p.57.<br />
74
si fa la pantomima della realtà, non si cerca di imitarla, la si os<strong>se</strong>rva con una<br />
sincerità in grado di mostrarci l‟es<strong>se</strong>nza di ciò che guardiamo. 115<br />
Lavorando a contatto con la natura, si affina questa capacità os<strong>se</strong>rvativa,<br />
<strong>se</strong>nsibilizzando la sincerità apprensiva rispetto alle co<strong>se</strong>.<br />
Per questo coro si è lavorato in un bosco al limite tra l‟inverno e la<br />
primavera, in cui os<strong>se</strong>rvando i fenomeni e avendoli di fronte a me<br />
rintracciavo una loro più ampia verità. Il contrasto che esisteva nel bosco tra<br />
la neve e l‟appena accennata primavera era esattamente quello che <strong>se</strong>ntivo<br />
tra il freddo e razionale Creonte e la fragile, candida e decisa Antigone.<br />
Antigone è la primavera: delicata, candida, profumata, sbocciare, fiorire,<br />
sciogliere, rinascita, doloroso venire alla luce, colore, rispetto dei cicli<br />
naturali, fragile, tenera, assolata.<br />
Così non si è fatto altro che trasportare i ritmi della primavera ad Antigone.<br />
Questo è un procedimento che dalla mimica arriva al personaggio e che<br />
Manfredi ricordando gli anni trascorsi con Costa racconta così:<br />
“In Accademia Orazio m‟ha fatto far tante formiche, che quindi mi<br />
venivano bene. Una volta mi fece fare una formica nel suo filare che<br />
trasportava un chicco di grano, e io pensavo «Vabbè, finchè <strong>se</strong> fanno le<br />
formiche…», siccome io sono figlio di contadini, di formiche ne avevo viste<br />
tante; però ad un certo momento Costa mi dis<strong>se</strong> «Dalle voce, falla<br />
parlare!...». <strong>Ah</strong>io! Lì me s‟aggricciò un po‟ la pelle. Dico: «Ma in che<br />
dialetto parla la formica?». Dice:«In quale dialetto? Dove sta la formica,<br />
quello è il suo dialetto!». Allora stavo a fa‟ „sta formica, e facevo…Si<br />
115 Cf. BOGGIO, M., Il corpo creativo. La parola e il gesto in Orazio Costa, Bulzoni,<br />
Roma 2001, p.69.<br />
75
muove con piccole mos<strong>se</strong> strattonanti, a pas<strong>se</strong>tti laterali, le mani prote<strong>se</strong> in<br />
aventi come a tirare un grosso peso. «Permesso!...Permesso!...<strong>Ah</strong>! ma qui<br />
nun te dà „na mano nessuno!...Vediamo un po‟ tante volte…» torna sui suoi<br />
passi con mos<strong>se</strong> frenetiche, guardando da ogni parte.(…) Se questo, tu lo<br />
trasporti in un personaggio che è un po‟ arruffone…riprende i movimenti<br />
della formica, ma in<strong>se</strong>rendovi il personaggio di cui vuole sottolineare le<br />
incertezze, i ripensamenti, l’ansia e la premura. «Cara!...Eh!?...dov‟è la<br />
rubrica del telefono per favore?...Senti!...<strong>Ah</strong>! Preparami un panino!»” 116<br />
L‟attore così traendo la sua ispirazione dalla natura mantiene l‟aderenza di<br />
cui ha bisogno per nutrire il suo personaggio.<br />
116 Op. cit., p.255.<br />
76
4. Il coraggio<br />
Dopo il discorso di Creonte sull‟editto che vieta di <strong>se</strong>ppellire Polinice, che è<br />
all‟origine del dramma, e il coro che canta i numerosi prodigi dell‟uomo,<br />
torna sulla scena Antigone che, nel frattempo, è stata arrestata da una<br />
guardia mentre versava libami al fratello morto. Il coro vedendola comparire<br />
è stupito non perché pensa che lei abbia commesso ingiustizia ma perché<br />
pur reputando stolto Creonte e conoscendo la giustezza dell‟atto di<br />
Antigone, crede che sia altrettanto stolto mettere a respentaglio la propria<br />
vita, il bene più prezioso. Così Antogone è nuovamente sola con il suo<br />
amore e la sua pietà, al cospetto del re. Tra lei e Creonte c‟è una distanza<br />
abissale, due rette che non si incontreranno mai, due concezioni di vita e del<br />
giusto che nella loro rettitudine impediranno ogni possibile dialogo. Creonte<br />
è glaciale, sa che una sua legge è stata trasgredita e dunque ciò che gli<br />
preme sapere è <strong>se</strong> la legge è stata o meno violata e <strong>se</strong> colei che l‟ha violata<br />
la conosceva: 117<br />
CREONTE<br />
Dì tu, che il capo chini al suol: confessi<br />
d‟aver compiuta, l‟opera, o lo neghi?<br />
ANTIGONE<br />
L‟ho compiuta: confesso, e non lo nego<br />
117 MADDALENA, A., Sofocle, Ed. di Filosofia, Torino 1959, p.72.<br />
77
CREONTE<br />
(…) Il bando che vietava<br />
di far ciò che facesti, era a te noto?<br />
ANTIGONE<br />
Certo. E come ignorarlo? Esso era pubblico.<br />
Tali risposte risultano a Creonte incomprensibili, in verità l‟intera natura di<br />
Antigone gli è del tutto incomprensibile al punto da apparirgli folle. Egli<br />
non capisce perché ha compiuto un‟opera in netto contrasto con la ragione e<br />
il diritto, e così richiosa da mettere a repentaglio la propria vita <strong>se</strong>nza che<br />
ciò abbia alcun vantaggio per lei.<br />
CREONTE<br />
E pur la legge violare osasti?<br />
ANTIGONE<br />
Non Giove a me lanciò simile bando,<br />
né la Giustizia, che dimora insieme<br />
coi Dèmoni d‟Averno, onde altre leggi<br />
furono imposte agli uomini; e i tuoi bandi<br />
io non credei che tanta forza aves<strong>se</strong>ro<br />
da far sì che le leggi dei Celesti,<br />
78
non scritte, ed incrollabili, potes<strong>se</strong><br />
soverchiare un mortal: ché non adesso<br />
furon sancite, o ieri: eterne vivono<br />
es<strong>se</strong>; e niuno conosce il dì che nacquero.<br />
E violarne e renderne ragione<br />
ai Numi, non potevo io, per timore<br />
d‟alcun superbo. Ch‟io morir dovessi,<br />
ben lo sapevo, e come no?, pur <strong>se</strong>nza<br />
l‟annuncio tuo. Ma <strong>se</strong> prima del tempo<br />
morrò, guadagno questo io lo considero:<br />
per chi vive, com‟io vivo, fra tante<br />
pene, un guadagno non sarà la morte?<br />
Per me, dunque, affrontar tale destino,<br />
doglia è da nulla. Ma <strong>se</strong> l‟uomo nato<br />
dalla mia madre abbandonato avessi,<br />
salma in<strong>se</strong>polta, allor sì, mi sarei<br />
accorata: del resto non m‟accoro.<br />
Tu dirai che da folle io mi comporto;<br />
ma for<strong>se</strong> di follia m‟accusa un folle.<br />
Le parole di Antigone sono chiare, lei freme nella sua voglia di es<strong>se</strong>re <strong>se</strong><br />
stessa e non si piega davanti a nulla. “Si, essa ha osato contravvenire alle<br />
leggi del re e della città, perché sa che ci sono altre leggi, e più sante di<br />
79
quelle del re e della città; ha osato sfidare la forza del re, perché sa che ci<br />
sono altre forze oltre quella del re, e più forti di quella del re; ha voluto<br />
affrontare il pericolo della morte, perché sa che ci sono altri mali oltre<br />
quello della perdita della vita, e maggiori di quel male che pare sia la perdita<br />
della vita.” 118 La morte è per lei un guadagno: piuttosto che vivere una vita<br />
disonorevole e immersa nelle sventure, Antigone sceglie la morte<br />
volontaria, di <strong>se</strong>guire ciò in cui crede e di non tradire le leggi divine. Se non<br />
lo faces<strong>se</strong> la sua non sarebbe più una vita vivibile, troppo grande sarebbe il<br />
peso sulla sua coscienza di questa ingiustizia. Lei non disprezza le leggi<br />
degli uomini purchè es<strong>se</strong> si pongano in continuità con le leggi celesti.<br />
Creonte in questo <strong>se</strong>nso è empio ed è come <strong>se</strong> dices<strong>se</strong>: “Io sono Dio” non<br />
curandosi di nulla e non accettando consigli da nessuno.<br />
Antigone scegliendo in tal modo non è impavida bensì coraggiosa poiché si<br />
chiamerà propriamente coraggioso colui che sta <strong>se</strong>nza paura di fronte ad<br />
una morte bella, e di fronte a tutte le circostanze che costituiscono rischio<br />
immediato che conduce ad una tale morte. 119 Il coraggio è qualcosa che si<br />
trova a metà tra paura e temerarietà cioè quello che ci permetterà di temere<br />
solo ciò che è bello temere come per e<strong>se</strong>mpio il disonore o ciò che deriva<br />
dal vizio. La morte perciò è ciò che reca con sé maggior paura e proprio di<br />
fronte ad essa, es<strong>se</strong>ndo l‟oggetto per l‟uomo più temibile, che si va<br />
profilando quest‟aretè. 120<br />
Lo scontro tra Creonte e Antigone ha il suo sigillo con il verso di Antigone<br />
che recita “Gli amori teco e non gli odii partecipo”, vive non per<br />
condividere l‟odio ma per rispondere all‟amore, la forza di questa battuta è<br />
tutta nel cuore, nella purezza di cui è rivestita ed è come <strong>se</strong> irrompes<strong>se</strong> come<br />
una freccia infuocata e incandescente scagliata nella neve.<br />
118 Op. cit., p.73.<br />
119 ARISTOTELE, Etica Nicomachea, 1115a 32, trad. Bompiani, Milano 2000.<br />
120 Cf. Op. cit., 1115a 7 sgg.<br />
80
Antigone è il fuoco: si anima, divampa, si contorce, tremola, cambia forma,<br />
illumina, riscalda, brucia, scoppietta, rosso, imprevedibile, incandescente,<br />
libero, ingestibile, si alimenta con il vento, fiamme, fumo, spirare,<br />
avvolgere, tende in alto, mostra la verità.<br />
A proposito del fuoco Costa scrive:<br />
“Solo il fuoco probabilmente ha donato all‟uomo ciò che chiamiamo e<br />
continueremo a chiamare il fuoco dello spirito dell‟attività della fantasia<br />
della gioia. Rivivere la realtà del fuoco, ora che va mano a mano sparendo<br />
dalla nostra esperienza visibile, direi tattile, è es<strong>se</strong>nziale. Se non salveremo<br />
il fuoco, perderemo il fuoco. Se dovremo riviverlo solo grazie al<br />
vocabolario e alle tracce incancellabili che giacciono nel discorso, ne<br />
perderemo il ritmo meraviglioso che ci ha for<strong>se</strong> per la prima volta scatenato<br />
fisico e mente in una dimensione che non è di nessun animale.” 121<br />
Il fuoco è il ritmo, il calore, l‟impeto, la passione dello spirito, è come un<br />
terzo occhio che disamora le ombre e che fa risplendere il reale di un<br />
bagliore puro e cristallino, con<strong>se</strong>ntendo il libero dispiegarsi della<br />
dimensione spirituale. Primitivo ed es<strong>se</strong>nziale esso è la <strong>se</strong>te dell‟anima.<br />
A questo punto torna Ismene sulla scena, in lacrime per la sventurata sorte<br />
della sorella, e si accusa di es<strong>se</strong>re stata complice. Antigone rifuta, è stata<br />
sola, è sola e sarà sola. Tutte le grandi opere per compiersi hanno bisogno di<br />
solitudine. Essa muove però a compassione e ciò reca alla sua solitudine un<br />
conforto, il coro, gli dei e il pubblico sono dalla sua parte, pur es<strong>se</strong>ndo il suo<br />
destino ormai inderogabilmente <strong>se</strong>gnato: la pena è di morte.<br />
121 BOGGIO, M., Il corpo creativo. La parola e il gesto in Orazio Costa, Bulzoni, Roma<br />
2001, p.223.<br />
81
Ma di chi è la vittoria di Creonte o di Antigone? Gli dei hanno aiutato<br />
Antigone a <strong>se</strong>ppellire il corpo del fratello, però hanno permesso anche alla<br />
guardia di arrestarla, inoltre la casa dei Labdacidi è da <strong>se</strong>mpre in odio agli<br />
dei. Dunque gli dei sono ingiusti e la vittoria è di Creonte o gli dei sono<br />
giusti, oltre le apparenze e la vittoria è di Antigone?<br />
Gli dei sono giusti: Antigone deve purtroppo patire le pene che vengono<br />
dalla superbia di Laio, il suo destino come quello di ogni uomo è nel dolore<br />
di una colpa propria o tramandata; ma Creonte constaterà, nella solitudine,<br />
la fallacia della sua ragione calcolatrice e soffrirà confermando la saggia<br />
<strong>se</strong>ntenza del coro: “spesso il male <strong>se</strong>mbra un bene ad un uomo a cui la<br />
mente vol<strong>se</strong> un Nume alla rovina. E da rovina ben poco tempo lontano<br />
resta.” Creonte ha scambiato il male col bene e perciò il dolore che lo<br />
attende sarà il trionfo della pietà di Antigone e dell‟immenso potere<br />
dell‟Amore. 122<br />
CORO<br />
Amore, invitto nelle battaglie,<br />
Amor che piombi fra le conte<strong>se</strong>,<br />
che su le molli gote<br />
di vergini dimori,<br />
che sopra il mare, sopra le agresti<br />
ca<strong>se</strong> t‟aggiri,<br />
né alcuno t‟evita dei Numi eterni,<br />
né alcun degli uomini che un giorno vivono,<br />
122 Cf. MADDALENA, A., Sofocle, Ed. di Filosofia, Torino 1959, p.75 sgg.<br />
82
e i cuor delirano che tu pervadi!<br />
Amore che trionfa, che piomba, che dimora, che s‟aggira, che trascina, che<br />
inebria le menti, Amore con tutta la forza di un dio, o meglio di un demone,<br />
<strong>se</strong>gna l‟inizio del tragico svolgersi degli eventi.<br />
È ormai l‟alba della sua morte. Antigone parla con parole lente, quasi<br />
volas<strong>se</strong>ro come foglie nell‟aria: “ Vedete me che il tramite ultimo batto,<br />
l‟ultima luce del sole miro, né più mai la vedrò.” Il suo viaggio verso la<br />
morte è come <strong>se</strong> costituis<strong>se</strong> una tragedia nella tragedia: il lamento, le<br />
risposte corali, l‟intervento brutale di Creonte e l‟orazione finale tutto per la<br />
sua densità si annoda intorno ad un vero e proprio rito. 123 Ora Antigone<br />
<strong>se</strong>nte la morte in modo diverso: <strong>se</strong> precedentemente essa era una liberazione<br />
dalle sofferenze della vita, ora si accorge che così come toglie i dolori essa<br />
toglie anche le speranze di gioia. La sua corazza da guerriera si è sciolta, la<br />
sua virilità ha lasciato il posto alla dolcezza, alla fragilità di una donna che<br />
sa che mai potrà provare le gioie di nozze o parti e che presto spo<strong>se</strong>rà il suo<br />
unico e possibile marito: il dio degli Inferi. Si <strong>se</strong>nte viva e non viva, in<br />
bilico, smarrita tra la vita e la morte, <strong>se</strong>nza amici che la piangano, <strong>se</strong>nza<br />
canzoni, <strong>se</strong>nza inni nunziali, sola eppur in compagnia della sua pietà. Dopo<br />
la prima parte del suo lamento intervallato dal coro entra in scena Creonte<br />
adirato, dicendo alle guardie di trascinarla via perché nessuno mai<br />
smetterebbe di cantare i propri lamenti prima della morte e Antigone<br />
riprende con un tono più pacato il suo ultimo monologo: 124<br />
123 Cf. STEINER, G., Le Antigoni, Garzanti, Milano 2003, p.307.<br />
124 Cf. MADDALENA, A., Sofocle, Ed. di Filosofia, Torino 1959, p.87.<br />
83
ANTIGONE<br />
O tomba, o nuzial camera, o eterna<br />
mia prigione rupestre, ove m‟avvio<br />
verso i miei cari che defunti giacciono<br />
la più gran parte, e li ospita Persèfone!<br />
Ultima ora io fra loro, e assai più mi<strong>se</strong>ra,<br />
discendo, prima che sia giunto il termine<br />
della mia vita. E, lì discesa, spero<br />
giunger diletta al padre, a te diletta,<br />
madre, diletta, o mio fratello, a te.<br />
Chè, poiché spenti foste, io vi lavai<br />
Con queste mani, vi vestii, v‟offersi<br />
Le libagioni funebri. E perché<br />
Cura mi presi della salma tua,<br />
o Polinìce, il mio compenso è questo.<br />
Pure, per quanti han <strong>se</strong>nno, io bene feci<br />
ad onorarti. Chio non mai, <strong>se</strong> figli<br />
avessi avuti, <strong>se</strong> lo sposo morto<br />
mi fos<strong>se</strong>, e stes<strong>se</strong> a imputridire, mai<br />
questa fatica assunta non avrei<br />
contro il voler dei cittadini. E quale<br />
legge m‟incuora a dire ciò? Se morto<br />
84
uno sposo mi fos<strong>se</strong>, un altro sposo<br />
avrei potuto avere; e un altro figlio<br />
da un altr‟uomo, <strong>se</strong> un figlio era la perdita.<br />
Ma poi che padre e madre asconde l‟Orco,<br />
germogliar non mi può nuovo fratello.<br />
Per questa legge onor ti volli rendere<br />
Più che ad altri, o fratello; ed a Creonte<br />
Sembrò che rea, che temeraria io fossi;<br />
e a forza ora m‟ha presa, e mi trascina,<br />
che non talemo <strong>se</strong>ppi od imenei,<br />
né sorte ebbi di nozze, e non di pargoli<br />
ch‟io nutricassi; ma, così tapina,<br />
dagli amici de<strong>se</strong>rta, io viva scendo<br />
alle fos<strong>se</strong> dei morti. E qual giustizia<br />
di Numi violai? Ma gli occhi agl‟Inferi<br />
volgere ancora, che ti giova, o mi<strong>se</strong>ra?<br />
Quale alleato invocherò, <strong>se</strong> taccia<br />
d‟empietà guadagni per es<strong>se</strong>r pia?<br />
Antigone è burrasca: tempesta, caos, ondeggiare, freddo, vortici, brutale,<br />
violenta, inquietudine, sconvolgimento, oscurità, buio, folate di vento,<br />
schizzi, trascinare, sommergere, disperdere, naufragare.<br />
85
Si sta incamminando verso la sua futura dimora, eppure una speranza le<br />
alimenta l‟anima, di giungere lì diletta ai suoi cari. “Già ritorna in lei,<br />
<strong>almeno</strong> in parte l‟animo antico, l‟antico coraggio, l‟antica non spenta<br />
coscienza della sua santità.” 125 E‟ per lei un onore aver lavato i corpi dei<br />
genitori morti così come lo è es<strong>se</strong>rsi presa cura del corpo di Polinice. Se<br />
aves<strong>se</strong> avuto un marito o dei figli non si sarebbe presa questa briga, ma dato<br />
che per lei sia madre che padre sono morti è impossibile che le rinasca un<br />
fratello. Antigone è preda ambita dell‟angoscia, pur mantenendo <strong>se</strong>mpre la<br />
sua nobiltà, si chiede quale legge ha trasgredito, quale giustizia ha violato,<br />
<strong>se</strong> gli dei sono giusti quelli stessi che hanno permesso la sua pena. Ma non<br />
si rammarica, lei sa che ha ristabilito un ordine e che gli dei l‟hanno in<br />
grazia. La furia degli dei dopo questo momento si scaglierà prepotentemente<br />
su Creonte che perderà sia il figlio Emone promesso sposo di Antigone che<br />
la moglie Euridice, entrambi per suicidio, restando perciò solo a piangere <strong>se</strong><br />
stesso.<br />
125 MADDALENA, A., Sofocle, Ed. di Filosofia, Torino 1959, p.87.<br />
86
5. La magnanimità<br />
Antigone è magnanima, ha un animo grande, si stima degna di grandi co<strong>se</strong> e<br />
lo è davvero. Aristotele scrive: «Es<strong>se</strong>re degno di» si dice in relazione ai<br />
beni esterni: il più grande di essi ammetteremo che è quello che offriamo in<br />
omaggio agli dei, ed a cui soprattutto aspirano gli uomini di elevata<br />
dignità, e che è la ricompensa per le azioni più belle. Ora cosa di tale<br />
natura è l’onore, giacchè questo è certamente il più grande dei beni<br />
esteriori. Dunque è riguardo all’onore e al disonore che il magnanimo si<br />
comporta come si deve. 126 Es<strong>se</strong>ndo il più grande dei beni esterni l‟onore e il<br />
più eccellente di quelli interni la virtù, egli sarà virtuoso e consapevole di<br />
meritare il più alto onore. In questo <strong>se</strong>nso magnanima è la persona più<br />
perfetta, buona, che è grande in ciascuna virtù e che sa comportarsi con<br />
misura anche per quanto riguarda gli altri beni esterni come per e<strong>se</strong>mpio la<br />
nobiltà, la ricchezza, il potere e la fortuna. Ama i grandi rischi ed è<br />
consapevole del fatto che non <strong>se</strong>mpre la vita è degna di es<strong>se</strong>re vissuta a<br />
qualunque condizione. 127 “Vedete, o signori di Tebe, che debbo soffrir, da<br />
quali uomini, perché pietosa volli es<strong>se</strong>re, io, sola superstite del sangue dei<br />
re”, Antigone si <strong>se</strong>nte stretta tra le grinfie della mediocrità, non si<br />
accontenta di una vita che palpita animata da mezzo battito, essa si stima<br />
degna di condurre una vita nobile ed e<strong>se</strong>mplare, di sacrificarsi per tradurre<br />
la sua anima in atto. Il sacrificio è l‟amore pio che risponde alla chiamata<br />
degli dei. La folta interiorità, grande, aperta, splendente è totalmente rivolta<br />
verso la sua azione. L‟amore di cui è intrisa è una porta aperta sul divino,<br />
vibra, danza, esplode di colori, trasportandoci in una terra vasta e sconfinata<br />
in cui si perdono i confini personali e in cui tutto è in tutto. La forza<br />
126 ARISTOTELE, Etica Nicomachea, 1123b 18, trad. Bompiani, Milano 2000.<br />
127 Cf. Op. cit., 1123b 27 sgg.<br />
87
dell‟amore, luminoso aroma, faro nell‟aria, si propaga con passo delicato<br />
eppur inesorabile.<br />
“Creonte non ha mai capito la forza dell‟amore: è forza irresistibile.<br />
Antigone per amore ha affrontato la morte, per amore Emone si è ucciso,<br />
per amore Euridice si ucciderà. Creonte deve restare solo a patire e a<br />
scontare le sue colpe. Solo deve restare, come solo è stato nella superbia<br />
funesta della sua ragione: solo, e <strong>se</strong>nza il conforto della compassione, come<br />
è stato <strong>se</strong>nza compassione per i vivi e per i morti.” 128 La sua punizione non<br />
è la morte ma il vivere struggendosi nella colpa, nella solitudine, nell‟odio,<br />
nel vivere cioè una vita che è di gran lunga peggiore d‟ogni morte. I lamenti<br />
dell‟ultima scena non sono condivisi da nessuno, niente della sua sorte<br />
poteva es<strong>se</strong>re evitato, tutta l‟infelicità che l‟invade è stata causata dalla sua<br />
folle cecità.<br />
Gli dei mostrano come sugli uomini gravi <strong>se</strong>mpre il peso del dolore: “E‟<br />
retaggio dell‟uomo il dolore. Soffre per le colpe sue proprie o soffre per una<br />
colpa altrui. Ma sulla pena della colpa s‟alza il compenso della compassione<br />
nella vita, dell‟amore dopo la morte a chi ha più amato che odiato, a chi ha<br />
per amore e per pietà sofferto. Soffrono, durante la vita, i giusti e gli<br />
ingiusti. Ma l‟amore del giusto mitiga la sua pena in vita, la compensa dopo<br />
la morte: l‟odio dell‟ingiusto priva l‟ingiusto d‟ogni conforto, in vita e in<br />
morte. Antigone, in vita e in morte, trionfa su Creonte; la pietà trionfa<br />
sull‟empietà; l‟amore trionfa sull‟odio.” 129<br />
L‟amore riscatta ogni peccato proprio o altrui, salva ogni umanità dal<br />
rischio dell‟infelicità perché è per la felicità che invece gli uomini sono stati<br />
creati. La pratica dell’amore attivo è amare instancabilmente e attivamente<br />
il prossimo, è giungera alla totale abnegazione, rinunciare ai propri interessi<br />
128 MADDALENA, A., Sofocle, Ed. di Filosofia, Torino 1959, p.95.<br />
129 Op. cit., p.97.<br />
88
o vantaggi personali per onorare qualcosa di più alto. Non è un amore<br />
astratto che necessita di gesta edificanti per es<strong>se</strong>re notato, ma è sforzo,<br />
passione, dedizione, è staccarsi dall‟ideale generico di chi dice “io amo<br />
l‟umanità”, per tornare ad amare i singoli uomini nella loro <strong>se</strong>mplicità,<br />
particolarità, imperfezione, è amare incondizionatamente ogniuno nella<br />
propria verità. 130 Amare è accogliere in noi la Legge, e farne il nostro<br />
respiro più puro. Rispettare la Legge divina significa es<strong>se</strong>re liberi per mezzo<br />
dell‟amore. Non vi è costrizione o rinuncia per colui che sceglie di <strong>se</strong>guirla,<br />
solo libertà.<br />
Antigone è Libertà: estensione, allargamento, sollevarsi, leggero, respiro,<br />
aria, volo, soffio, es<strong>se</strong>re, apertura, pienezza, realizzazione, salvezza,<br />
scioglimento, forza, redenzione, <strong>se</strong>renità.<br />
Abbiamo detto che “l‟uomo è libero dopo che ha deciso, dopo che ha preso<br />
la deliberazione di rispondere, in maniera adeguata alle proprie esigenze<br />
es<strong>se</strong>nziali per realizzarsi e concretarsi” 131 , in questo Antigone è <strong>se</strong>nz‟altro<br />
libera, libera di rispettare la Legge, libera di es<strong>se</strong>re pienamente <strong>se</strong> stessa, di<br />
amare e di agire in piena conformità con la spinta di quell‟amore verso ciò<br />
che sa es<strong>se</strong>re un bene. Essa ha ispirato la sua vita a qualcosa che la<br />
trascente, a qualcosa di qualitativamente diverso dalla sua natura, ad una<br />
Parola che la chiama ad es<strong>se</strong>re <strong>se</strong> stessa e che può es<strong>se</strong>re udita solamente in<br />
un cieco silenzio.<br />
130 Cf. DOSTOEVSKIJ, F., I fratelli Karamàzov, Mondadori, Milano 1994, p.79 sgg.<br />
131 DUCCI, E., Libertà liberata. Libertà Legge Leggi, Anicia, Roma 1994, p.60.<br />
89
Conclusioni<br />
Con il principio mimico si possono perfezionare non solo tanti aspetti<br />
artistici dell‟attore nell‟arte ma anche tanti aspetti umani dell‟uomo nella<br />
vita.<br />
Ricordo che prima del debutto dell‟Antigone al Kataklisma Teatro, oltre<br />
all‟emozione che anticipava l‟evento, si agitava in me una <strong>se</strong>nsazione di<br />
vellutata tristezza, tipica della nostalgia. Essa era propriamente alimentata<br />
dall‟idea che mettere in scena un personaggio potes<strong>se</strong> significare, in qualche<br />
modo, dargli poi morte. Antigone, nei mesi di prove antecedenti, era stata<br />
per me qualcuno con cui convivere. Con lei avevo amato, sofferto, pianto,<br />
avevo toccato con lei dimensioni che mai avrei creduto di pos<strong>se</strong>dere e che<br />
stupivano persino me stessa per la loro intensità.<br />
E adesso? Cosa ne sarebbe stato di tutto questo?<br />
Le prove erano finite. La parte era saldamente impressa nella memoria. Il<br />
costume, che era un <strong>se</strong>mplice sacco di juta modellato con delle corde,<br />
pronto.<br />
L‟opera era giunta al suo compimento.<br />
Avrei dato vita a quelle parole e a quel personaggio che tanto avevo amato<br />
per l‟ultima volta, per l‟ultima volta in me avrebbe palpitato, avrebbe<br />
vissuto, sì, per quell‟istante per poi, a sipario chiuso, sparire per <strong>se</strong>mpre.<br />
90
Scrissi quel pomeriggio:<br />
E così sono qui.<br />
Io.<br />
Le mani congiunte, avvolte tra i sospiri, in attesa dell‟ultima scena, quella<br />
stessa che ci ritrarrà e ci sorprenderà sull‟orlo dell‟ormai certa notte dei<br />
tempi. Renderei, anima, immortale questo momento <strong>se</strong> solamente <strong>potessi</strong>,<br />
perché non s‟avveras<strong>se</strong> mai quell‟amara profezia che conosco da<br />
tempo…ma so, per questa verità, che scolpirò il mio volto d‟un ambra<br />
raggiante <strong>se</strong>ppur frangibile, e vivrò, per un attimo, come <strong>se</strong> quello fos<strong>se</strong> il<br />
primo istante che vedo, sotto una pioggia di luce.<br />
Qualche ora dopo andammo in scena. Lo spettacolo andò bene.<br />
Le luci si spen<strong>se</strong>ro.<br />
Quello che vidi, immediatamente dopo, fu che quell‟ambra raggiante che<br />
Antigone mi aveva permesso di <strong>se</strong>ntire sulla pelle del mio volto non si era<br />
sgretolata, come una maschera, alla fine dello spettacolo, così come sapevo<br />
non si sarebbe sgretolata in futuro; che ormai es<strong>se</strong>ndomi entrata dentro,<br />
nelle vene e fors‟anche nelle ossa, sarebbe rimasta lì a dimorare, non come<br />
un ricordo nostalgico, bensì come una pre<strong>se</strong>nza, mescolando la scena con la<br />
vita.<br />
Già <strong>se</strong>ntivo che la mia vita si alimentava di quella stessa ricerca.<br />
91
Mi chiedevo: Quanto vale? Quanto vale <strong>se</strong>ntire profondamente qualcosa,<br />
dentro le fibre più profonde dell‟es<strong>se</strong>re? E ascoltare quel <strong>se</strong>ntire e credere a<br />
quell‟ascolto? Quanto vale quel coraggio che non si fa scudo tremante ma<br />
che irrompe come saetta infuocata? Quanto vale <strong>se</strong>guire la propria verità, <strong>se</strong><br />
questo significa dare la propria vita? Quanto vale l‟amore? Quest‟amore<br />
appassionato, quest‟amore che fa compiere azioni folli, che fa di un sussurio<br />
un richiamo chiassoso, si può for<strong>se</strong> sopprimere, raffreddare, dimenticare? Si<br />
può for<strong>se</strong> restare disinteressati di fronte a lui, <strong>se</strong>nza curar<strong>se</strong>ne neppure,<br />
freddi, <strong>se</strong>nza legami, <strong>se</strong>nza pienezza, <strong>se</strong>nza vita?<br />
Questo mi chiedevo.<br />
La vita <strong>se</strong>nz‟altro era stata smossa dal mio incontro con Antigone (e chissà<br />
in quale altro modo avrebbe potuto orientarsi <strong>se</strong> avessi interpretato un altro<br />
personaggio, per e<strong>se</strong>mpio Ismene o Creonte, chissà quali altri mondi avrei<br />
scoperto!), essa si era riaccesa con una scintilla ed ora appariva più calda,<br />
rinnovata. La cosa che più d‟ogni altra ri-vivevo, e che tutt‟ora ri-vivo, è<br />
l‟aver in-teso. L‟aver in-teso che nella vita bisogna credere a ciò che si <strong>se</strong>nte<br />
e che la libertà è poi, soltanto, ad un piccolo passo da lì.<br />
92
Appendice<br />
Bosco di Sant‟Antonio in Abruzzo,<br />
ricerca delle immagini mimiche del coro dell‟Antigone.<br />
93
Mimesi dell‟inverno<br />
95
Mimesi della primavera.<br />
96
L‟Antigone di Sofocle regia di Gilberto Scaramuzzo,<br />
rappre<strong>se</strong>ntata al Kataklisma Teatro nel Giugno 2006.<br />
Ismene e Antigone.<br />
97
La solenne decisione di Antigone.<br />
98
Antigone dopo aver violato l‟editto al cospetto di Creonte.<br />
99
Il viaggio ultimo di Antigone, l‟addio alla patria.<br />
Gli attori dell‟Antigone sono: Laura Bartoletti (aiuto regia-Tiresia),<br />
Alessandro D‟Amico (Creonte), Silvia Mazzieri (Ismene-Emone-Euridice),<br />
Karen Medici (Antigone-Emone-Messo), Elisa Muscillo (Antigone-Emone-<br />
Messo), Valentina Tinelli (Guardia-Corifeo).<br />
Per gli scatti un ringraziamento molto particolare a Massimo Mattei.<br />
100
Bibliografia<br />
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ARISTOTELE, Poetica, Bompiani, Milano 2000.<br />
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Bulzoni, Roma 1996.<br />
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DOSTOEVSKIJ, F., I fratelli Karamàzov, Mondadori, Milano 1994.<br />
DUCCI, E., Approdi dell’umano. Il dialogare minore, Anicia, Roma 1992.<br />
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MOLINARI, C., L’attore e la recitazione, Laterza, Bari 1992.<br />
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SCARAMUZZO, G., In-tendere. L’umana sophia di Luigi Pirandello,<br />
Anicia, Roma 2005.<br />
102
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103