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guida turistica - Poggio Picenze

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UN GIRO ALLA SCOPERTA DELLA NATURA<br />

“scegliere l’Abruzzo significa scegliere un’ospitalità..<br />

… in grado di soddisfare l’esigenza di tutti.”<br />

1


“A seguito del sisma del 06 aprile 2009 il patrimonio artistico,<br />

culturale e religioso del comprensorio è stato, in alcuni casi,<br />

gravemente danneggiato.<br />

L’AQUILA<br />

L'Aquila è una città italiana di<br />

circa 70.000 abitanti capoluogo<br />

della regione Abruzzo e<br />

dell'omonima provincia.<br />

Situata sul declivio di un colle,<br />

alla sinistra del fiume Aterno in<br />

posizione predominante rispetto<br />

al massiccio del Gran Sasso,<br />

conta una presenza giornaliera<br />

sul territorio di oltre 100.000<br />

persone per studio, attività<br />

terziarie, lavoro e turismo.<br />

La città è sede di Università e di<br />

enti ed associazioni che la<br />

rendono vivace sotto il profilo<br />

culturale.<br />

L'Aquila è posta nell'entroterra abruzzese e possiede una superficie comunale di 467 km² che, su<br />

scala nazionale, la pone al decimo posto per ampiezza. Proprio a causa dell'estensione del territorio<br />

sparso su una zona montuosa interna, L'Aquila dispone di una rete infrastrutturale e di servizi ardua<br />

e di amministrazione molto complessa: conta infatti più di dieci cimiteri, diversi depuratori, decine<br />

di complessi scolastici, quasi 3.000 km di strade e molte migliaia di chilometri di reti<br />

impiantistiche. È divisa in 59 tra quartieri e frazioni.<br />

Parte del territorio comunale è compresa nel Parco nazionale del Gran Sasso e Monti della<br />

Laga, ed alcuni punti superano i 2.000 metri di quota.<br />

L'Aquila è situata nell'omonima conca sulle sponde del fiume Aterno, ad un'altitudine di 721 metri<br />

sul livello del mare che la rende terza tra i capoluoghi italiani più alti, appena dopo Enna e<br />

Potenza.<br />

Il centro storico sorge su di un altipiano in posizione pressoché baricentrica rispetto alla<br />

conca; numerose sono le frazioni situate sul declivio o sulla sommità dei colli circostanti, tra cui è<br />

bene ricordare Roio, Pianola, Bagno, San Giacomo e Collebrincioni.<br />

Nel dopoguerra, l'espansione urbanistica si è concentrata nella periferia occidentale della città, a<br />

carattere pianeggiante, e ad oggi, il tessuto urbano si estende in maniera disomogenea lungo la<br />

direttrice est-ovest, parallelamente al percorso del fiume.<br />

Il territorio comunale, suddiviso in 12 circoscrizioni, è uno dei più estesi d'Italia. Nei suoi<br />

467 km 2 abbraccia numerosi paesi o frazioni e alcuni grandi centri che in passato hanno avuto<br />

identità municipale, come Paganica.<br />

2


L'Aquila è sede di una Università, la<br />

più antica d'Abruzzo, e conta 27.168<br />

iscritti (dato per l'anno accademico<br />

2008-2009). Comprende nove facoltà<br />

organizzate logisticamente su tre poli:<br />

Ingegneria ed Economia a Roio,<br />

Medicina e Chirurgia, Scienze<br />

Matematiche Fisiche e Naturali,<br />

Biotecnologie e Psicologia a Coppito,<br />

nei pressi dell'Ospedale Regionale San<br />

Salvatore, mentre il polo umanistico con<br />

le facoltà di Lettere e Filosofia e di<br />

Scienze della Formazione ha sede nel<br />

centro storico della città e la facoltà di<br />

Scienze Motorie è collocata nel<br />

quartiere del Torrione a poca distanza. È<br />

sede della Laurea Magistrale di Eccellenza Europea in Ingegneria Matematica<br />

L'attività di ricerca viene svolta attraverso 18 dipartimenti e due centri di eccellenza: il CETEMPS<br />

(Centro di Eccellenza per l'integrazione di Tecniche di Telerilevamento e Modellistica Numerica<br />

per la Previsione di Eventi Meteorologici Severi) ed il DEWS (Design Methodologies for<br />

Embedded controllers, Wireless interconnect and System-on-a-chip).<br />

L'Università comprende al suo interno anche un Centro Linguistico e un Centro di Microscopia;<br />

gestisce il Giardino Botanico Alpino nei pressi di Assergi e l'orto botanico adicente la basilica di<br />

Santa Maria di Collemaggio. Gli impianti sportivi dell'Università, gestiti dal Centro Universitario<br />

Sportivo (CUS) e sono situati lungo la S.S. 17 in località "Centi Colella".<br />

A causa del terremoto che ha colpito L'Aquila nel 2009, la didattica dell'anno accademico<br />

2008-2009 è stata portata a termine ricorrendo a strutture d'emergenza o, in alcuni casi, a<br />

sedi fuori città. Per l'anno accademico 2009-2010 l'Università ha recuperato gran parte del<br />

polo di Coppito, preso in affitto l'ex sede della Scuola Superiore "Guglielmo Reiss Romoli" e<br />

altre strutture idonee alla attività didattica nelle zone industriali di Pile e Bazzano.<br />

Per favorire la rinascita dell'Ateneo il Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca ha<br />

firmato un protocollo d'intesa con l'Ateneo della durata di tre anni, che stabilizza il Fondo di<br />

Funzionamento Ordinario e abolisce il pagamento delle tasse universitarie. Rimane non risolto il<br />

problema, di competenza della Regione, delle residenze universitarie e dei servizi per gli studenti.<br />

Di grande rilievo internazionale sono i laboratori dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare<br />

(INFN) e realizzati sotto il massiccio omonimo con una copertura di roccia di oltre 1400 metri,<br />

dove vengono realizzate importanti ricerche nel settore della Fisica delle Particelle. Tra gli<br />

esperimenti qui svolti si possono annoverare quelli sui decadimenti rari o quelli sulle particelle di<br />

materia oscura provenienti dall'universo. La struttura ha collaborazioni permanenti con centri in<br />

Germania, Giappone, Stati Uniti e con il CERN di Ginevra.<br />

3


Il 6 aprile 2009, alle ore 3:32,<br />

dopo diversi mesi di lievi<br />

scosse localizzate e percepite<br />

in tutta la zona dell'aquilano,<br />

L'Aquila è stata colpita da un<br />

terremoto di 6.3 (6.3 Mw)<br />

gradi della Scala Richter e<br />

tra l'8º e il 9º grado di<br />

distruzione della Scala<br />

Mercalli, con epicentro<br />

situato tra le località di Roio,<br />

Santa Rufina e Collefracido.<br />

Il bilancio finale è stato di<br />

308 vittime ed oltre 1.500<br />

feriti, mentre la quasi totale<br />

evacuazione della città ha<br />

portato a 65.000 il numero<br />

degli sfollati.<br />

Nei giorni successivi al sisma principale altre forti scosse, pur se di intensità minore, hanno<br />

colpito l'aquilano: una forte scossa di 5.3 gradi della Scala Richter alle ore 19.47 del 7 aprile<br />

2009; una scossa di 5,1 gradi della Scala Richter alle ore 2:52 del 9 aprile 2009 ed una di 4,9<br />

gradi della Scala Richter alle ore 21:38 del 9 aprile 2009.<br />

Il sisma ha riversato la sua forza sull'abitato e sui paesi limitrofi, tra i quali Onna, Villa<br />

Sant'Angelo, Castelnuovo, Tempera, San Gregorio e Paganica. I<br />

l capoluogo stesso presenta crolli anche totali in molte zone e gravissimi danni alla maggior<br />

parte degli edifici di valore storico e culturale. Le chiese principali risultano gravemente<br />

danneggiate o quasi completamente crollate. Particolare rilevanza ha avuto la mancata<br />

resistenza e quindi il danneggiamento talvolta irreversibile della maggioranza degli edifici<br />

pubblici, sia antichi che moderni: ad esempio il moderno polo d'Ingegneria, la prefettura (che<br />

aveva sede nel Palazzo del Governo), la Casa dello studente di via XX Settembre, l'ospedale<br />

San Salvatore e molti palazzi signorili del Settecento e dell'Ottocento.<br />

La città dell'Aquila sorge su uno dei territori a alta sismicità della nostra penisola e, fin dalla sua<br />

fondazione, è stata funestata molte volte da eventi tellurici. Il primo terremoto di cui si abbia<br />

notizia risale al 13 dicembre 1315.<br />

Un forte terremoto si verificò il 9 settembre 1349: si stima che abbia avuto un'intensità pari a<br />

magnitudo 6,5 della Scala Richter e che abbia prodotto danni valutabili nel X grado della Scala<br />

Mercalli. Furono sbrecciati e atterrati ampi tratti delle mura cittadine e crollarono moltissime case e<br />

chiese. Le vittime furono ottocento e, poiché all'epoca gli abitanti dell'Aquila erano meno di<br />

diecimila, si trattò di quasi il 10% della popolazione.<br />

La gran polvere che si alzò gravò sulla città per molto tempo, impedendo il salvataggio repentino di<br />

coloro che erano stati travolti dalle macerie.<br />

La difficile e laboriosa ricostruzione scoraggiò una parte della popolazione, che preferì tornare ai<br />

villaggi e castelli dai quali erano venuti i loro avi. Di fronte all'esodo massiccio della popolazione e<br />

alla conseguente prospettiva di veder prematuramente cancellata L'Aquila dalle città del Regno,<br />

Camponeschi fece presidiare le mura cittadine e ne fece chiudere con tavoloni di legno le brecce.<br />

Contemporaneamente, le vicende politiche stavano trascinando Aquila verso una sanguinosa guerra.<br />

La città, rimasta fedele alla casa angioina, appoggiò il casato francese e venne, quindi,<br />

individuata come obiettivo sensibile durante la guerra tra i D'Angiò e gli aragonesi. Questi<br />

ultimi assoldarono Braccio Fortebraccio da Montone, promettendogli la signoria di Aquila nel caso<br />

in cui fosse riuscito a prenderla. Dopo un anno di assedio (1423-1424) Aquila, anche se stremata ed<br />

esausta, ne uscì vincente: si affrancò così dal potere regio e rafforzò il suo ordinamento sociale che<br />

venne liberato dai vincoli feudali, preparandosi così ad un periodo di rinascita<br />

4


LE 99 CANNELLE - L'AQUILA -<br />

Fra i monumenti più originali<br />

e significativi che esaltano L'<br />

Aquila, un posto a sé merita<br />

la monumentale "Fontana<br />

delle 99 Cannelle", l' unica nel<br />

suo genere è assurta ad insegna<br />

araldica della città, di cui nel<br />

tenue gorgoglio delle sue gelide<br />

acque, sembrano riecheggiare<br />

leggende arcane. Situata nella zona chiamata Rivera,<br />

ricca di polle d' acqua, non è lontana dal pigro corso<br />

del fiume Aterno.<br />

La sua costruzione è sicuramente databile al 1272,<br />

come ci informa la lapide, di chiara fattura trecentesca,<br />

inserita nella parte centrale: in essa, sono leggibili il<br />

nome del governatore regio, il quale commissionò l'<br />

opera all' allora noto architetto Tancredi da Pentima,<br />

che una diceria priva di fondamento ripetuta per secoli<br />

vorrebbe sepolto sotto la pietra ben visibile al centro<br />

della piazza. Destinata sin dall' inizio a pubblico<br />

lavatoio, rimasto in esercizio fino ai primi decenni del '900, le sue acque, oltre che dalle solerti<br />

lavandaie aquilane, furono utilizzate anche dalla famosa corporazione dai Lanaioli.<br />

Importanti interventi di ampliamento subì la fontana tra il 1582 ed il 1585 allorché, molto<br />

probabilmente, si aggiunsero circa sessanta mascheroni a quelli originari, per suffragare un' antica<br />

leggenda secondo la quale alla fondazione della città di L' Aquila concorsero 99 castelli.<br />

Ciò è quanto si è potuto appurare a seguito di un recente e vasto restauro (1994), che ha interessato<br />

sia la parte idraulica che quella artistico - architettonica restituendo la fontana all' antico splendore.<br />

Ha chiara forma trapezoidale ed è cinta da un elegante muro, di data posteriore, in pietra di marmo a<br />

scacchi bianca e rosa, non dissimili da quelli della facciata di S. Maria di Collemaggio.<br />

Bello lo stemma della città, al centro, con un' aquila dallo scudo a testa di cavallo e nastri<br />

svolazzanti simmetricamente.<br />

L' acqua fuoriesce abbondante da 99 cannelle, di cui 93 fisse nelle bocche di altrettanti<br />

mascheroni, tutti diversi l' uno dall'altro. Si alternano con le figure, formelle, nelle quali sono<br />

scolpiti rosoni circolari a quattro foglie piene o a girello, motivi comuni nell' arte abruzzese.<br />

Avvolta nel mistero era rimasta fino ad oggi l' ubicazione della sorgente principale, il cui<br />

segreto l' architetto avrebbe portato con se nella tomba, ma che gli esperti, quasi concordemente,<br />

localizzano nella zona sovrastante vicino la chiesa di S Chiara d' Aquili, Convento dei Frati<br />

Cappuccini, dove sorse il primo insediamento<br />

alto medievale di "Acquili" cui L' Aquila legò<br />

il nome e da cui si sviluppò.<br />

Nel 1744 la fontana subì un restauro a<br />

seguito dei danni del terremoto del 1703 e il<br />

lato destro venne riedificato in stile barocco.<br />

La recinzione dell'area risale invece al 1934.<br />

Durante il terremoto del 6 aprile 2009 la<br />

fontana non ha riportato gravi danni, e ha<br />

presto ripreso la sua funzione.<br />

5


LA FONTANA LUMINOSA - L'AQUILA –<br />

Venne creata nel 1934 da Nicola D' Antino a conclusione di un<br />

lungo e impegnativo progetto di sistemazione urbanistica della città<br />

cominciato nel 1927 e che lo portò anche alla realizzazione delle<br />

due fontane di Piazza Duomo. Prende il nome dal suggestivo<br />

gioco di luci sull’acqua che si anima nelle ore notturne.<br />

Troneggiano sulla marmorea struttura due nudi femminili in bronzo<br />

sorreggenti la caratteristica "conca abruzzese". Recentemente<br />

restaurata offre ai visitatori notturni un suggestivo gioco di luci<br />

colorate.<br />

Dal 1912 la sua opera, rivolta soprattutto al nudo femminile, si<br />

risolse elegantemente con un ritmo slanciato e lineare di stile tra il<br />

veristico e il liberty. dal 1927 al 1938, Nicola D' Antino, partecipò<br />

alla sistemazione urbanistica della città dell’Aquila che si concluse<br />

con la realizzazione della Fontana Luminosa; entrò a far parte<br />

dell’Accademia di San Luca, e fu insignito del titolo di Grande Ufficiale della Corona d’Italia.<br />

Negli ultimi anni della sua vita tornò a dipingere, prima di<br />

spegnersi a Roma a 86 anni nella sua Villa di stile<br />

dannunziano sulla Cassia, nel novembre 1966.<br />

Caratterizzata da due nudi femminili in bronzo<br />

sorreggenti la caratteristica conca abruzzese, posti su una<br />

vasca a pianta circolare, è posta rialzata da gradini rispetto al<br />

livello della strada.<br />

Situata al centro di Piazza Battaglione Alpini, alla sommità<br />

di Corso Vittorio Emanuele II, in una zona particolarmente<br />

amata e frequentata dagli aquilani, è circondata solo per<br />

metà da edifici, aprendosi per un quarto al Parco del Castello<br />

e per il restante quarto alla zona degli impianti sportivi.<br />

Particolarmente apprezzato è il panorama che si ha dalla<br />

fontana verso il Gran Sasso.<br />

Recentemente la zona è stata oggetto di un progetto di riqualificazione e si è discusso sulla<br />

possibilità di costruire un parcheggio<br />

sotterraneo ed una fermata della<br />

metropolitana di superficie nelle vicinanze.<br />

Nel 2007 la viabilità della piazza è stata<br />

modificata e l'area che circonda la fontana è<br />

stata chiusa al traffico veicolare.<br />

La Fontana Luminosa non ha subito danni<br />

nel terremoto che ha colpito L'Aquila nel<br />

2009 e la zona è stata, fin dalle prime ore<br />

dopo la tragedia, luogo di ricovero per gli<br />

sfollati ed è attualmente uno dei tre accessi<br />

al centro storico.<br />

6


BASILICA SANTA MARIA DI COLLEMAGGIO<br />

La basilica, che per dimensioni è la più<br />

grande d'Abruzzo, è strutturata a croce<br />

latina. Un recente restauro ha liberato<br />

l'interno dalle sovrastrutture barocche e<br />

ha restituito alle tre navate la spazialità<br />

originaria scandita dalle arcate ogivali<br />

poggianti su pilastri ottagonali.<br />

La copertura è a capriate lignee a<br />

vista, la pavimentazione di stile<br />

cosmatesco, disseminata di pietre<br />

tombali, in massima parte di abati<br />

generali dell'Ordine celestino, ripete il<br />

motivo policromo delle pietre bianche e<br />

rosa.<br />

L'illuminazione è data da una fila di finestre gotiche<br />

sulle navate laterali, dai rosoni posti sulla parete di<br />

ingresso e dalle aperture del presbiterio e della cupola. Sulla<br />

parete della navata di destra si aprono tre nicchie gotiche<br />

racchiudenti dipinti quattrocenteschi che raffigurano,<br />

rispettivamente, la Madonna con le Sante Apollonia e<br />

Agnese, l'Assunzione e incoronazione della Vergine, la<br />

Crocifissione. Sempre nella navata di destra un bell'organo<br />

monumentale (sec. XVIII) in legno intagliato e dorato con<br />

cantoria decorata a bassorilievi con scene della vita di<br />

Cristo. Una serie di olii di Karl Rutter (sec. XVII), pittore<br />

fiammingo divenuto monaco celestino con il nome di<br />

Andrea di Danzica, illustra, sulle pareti, la vita di Celestino<br />

V.<br />

Tre archi immettono nel transetto che mantiene le forme barocche e si conclude in tre absidi.<br />

Sull'altare di destra è esposta una Madonna realizzata in terracotta policroma da Silvestro<br />

dell'Aquila (sec. XVI). Dal 1327 Santa Maria di Collemaggio accoglie le spoglie di San Pietro<br />

Celestino. Il mausoleo di marmo eseguito nel 1517, su commissione dell'Ordine della Lana da<br />

Girolamo da Vicenza, ripete con eleganza le forme del rinascimento lombardo.<br />

Finemente decorato con due ordini di colonnine e pilastrine racchiude l'urna delle spoglie del Santo<br />

che, in passato, subirono una duplice dispersione, la prima volta nel 1528,<br />

da parte delle truppe del Principe d'Orange che asportarono la cassa in<br />

argento cesellato di scuola sulmonese e la seconda, nel 1799, da parte dei<br />

francesi che trafugarono l'urna settecentesca.<br />

I tre splendidi rosoni della facciata presentano molteplici particolarità che<br />

destano la curiosità e lo studio degli appassionati. Quasi un ossessione per<br />

l'Imperatore Federico II. In questo insolito viaggio vedremo come anche in<br />

questo caso spesso si è scritto non propriamente il vero anche a livello<br />

architettonico e come i Rosoni aquilani provengano tutti dalla stessa scuola.<br />

I Tre rosoni di Collemaggio sono uno diverso dall'altro, (due gotici e<br />

uno romanico) e posizionati in modo che al tramonto del solstizio<br />

d'estate il sole penetri attraverso di essi e vada a colpire un punto<br />

importantissimo del pavimento della Basilica: il Labirinto.<br />

Le vicende della costruzione della basilica di Santa Maria di Collemaggio<br />

si susseguono lungo un arco apparentemente breve ma crolli, restaurazioni,<br />

aggiunte e mutamenti di gusto continueranno fino ai giorni nostri. Oggi la<br />

basilica è il risultato di una complessa sintesi tra l'architettura romanica,<br />

l'aspirazione gotica e le forme barocche.<br />

7


La costruzione della basilica<br />

Prima della costruzione della basilica, l'area di Collemaggio, un piccolo promontorio alle porte della<br />

città dell'Aquila, era occupata dalla Chiesa di Santa Maria dell'Assunzione ci cui fino al 1888<br />

sopravviveva l'antico campanile.<br />

Proprio in questa chiesa trovò rifugio, nel 1275, Pietro da Morrone: l'eremita, secondo la tradizione,<br />

incontrò in sogno la Vergine e con essa accordò la costruzione nel medesimo luogo di una nuova<br />

maestosa basilica.<br />

Il progetto di Pietro da Morrone prese vita ed il 25 agosto 1288, con una solenne concelebrazione di<br />

otto vescovi, venne consacrata Santa Maria di Collemaggio.<br />

Il terremoto del 1703 e la ricostruzione barocca<br />

Il 2 febbraio 1703, giorno della Candelora, si verificò all'Aquila un devastante terremoto che causò<br />

più di 3000 vittime. Ne risentirono anche i tanti palazzi medioevali e rinascimentali e le chiese di<br />

San Bernardino e di San Domenico, al cui interno morirono 600 persone. La basilica di Santa Maria<br />

di Collemaggio rimase gravemente danneggiata e fu necessario provvedere ad un restauro della<br />

facciata ed un totale rifacimento dell'interno. Si salvarono, invece, le reliquie di Celestino V.<br />

Come avvenne per molti altri edifici della città, tra cui la stessa Basilica di San Bernardino, la<br />

ricostruzione fu portata avanti secondo lo stile dell'epoca.<br />

Durante il novecento si è assistito a importanti lavori<br />

di carattere urbanistico e artistico che hanno donato<br />

alla basilica un nuovo autentico splendore.<br />

Nei primi anni del novecento, la volontà di attraversare<br />

la parte meridionale della città con un'arteria stradale ha<br />

portato alla creazione di un viadotto di collegamento tra<br />

la zona della Villa e la basilica di Collemaggio.<br />

Il Viale di Collemaggio, ampio e alberato su entrambi<br />

i lati, ha fatto sì che la basilica potesse essere<br />

raggiunta direttamente e quindi inglobata nel centro<br />

storico, da cui invece è avulsa per motivi storici e<br />

religiosi. Il nuovo viale ha tuttavia creato un nuovo e<br />

suggestivo punto di vista della basilica eccentuandone il<br />

carattere di maestosità e di innegabile bellezza.<br />

Negli anni sessanta è stato interdetto alle autovetture<br />

l'accesso all'area antistante la basilica e negli anni<br />

successivi si è provveduto a ricoprire di verde l'intero<br />

piazzale.<br />

In tempi più recenti, la creazione del Parco del Sole, alla destra della basilica, e dell'orto botanico,<br />

sul retro, hanno donato all'area un forte carattere ambientale.<br />

Del 1972 è invece l'importante restauro con cui si sono eliminate le aggiunte barocche<br />

avvenute in seguito al terremoto del 1703 ed è stato riportato alla luce l'originario splendore<br />

romanico.<br />

Il terremoto del 2009<br />

Il 6 aprile 2009 un nuovo violentissimo terremoto ha ferito la città dell'Aquila. Il sisma<br />

ha provocato danni a tutto il patrimonio artistico della città, compresa la basilica di<br />

Collemaggio rimasta colpita in modo evidente e gravissimo. La volta della basilica è<br />

crollata nel punto in cui è sito il mausoleo di Celestino V: le spoglie, miracolosamente<br />

integre, sono state recuperate nei giorni successivi. Lesionate e a rischio crollo le due<br />

absidi mentre sono completamente distrutti gli altari maggiori e quello laterale.<br />

Il 28 aprile 2009 la basilica ha ricevuto la visita di Papa Benedetto XVI accompagnato<br />

da monsignore Georg Gaenswein e dall'arcivescovo dell'Aquila Giuseppe Molinari. Il<br />

papa ha posto il suo pallio sulla teca contenente le spoglie di Celestino V.<br />

8


LA BASILICA DI SAN BERNARDINO<br />

La Basilica di San Bernardino a<br />

L'Aquila fu costruita nel 1454 per<br />

volere dei Santi Giovanni da<br />

Capestrano e Giovanni della Marca,<br />

discepoli del santo senese. La<br />

facciata, tipicamente<br />

rinascimentale, venne realizzata da<br />

Nicola Filottesio detto Cola<br />

dell'Amatrice, e consta di una<br />

struttura che si articola in tre livelli,<br />

in ognuno del quali si inseriscono<br />

quattro coppie di colonne,<br />

rispettivamente di ordine dorico,<br />

ionico e corinzio.<br />

Al centro, troviamo uno splendido<br />

portale sormontato da un<br />

bassorilievo della Vergine con<br />

Gesù Bambino, accompagnata da San Francesco, San Bernardino e San Girolamo da Norcia.<br />

Il tempio presenta una pianta a croce latina, con tre navate sulle quali si aprono cappelle laterali,<br />

recanti cupole ottagonali.<br />

Lo stile che caratterizza l'interno è quello ricco del barocco, rappresentato esemplarmente dal<br />

soffitto in legno policromo e dorato, opera di Ferdinando Mosca da Pescocostanzo, al quale è<br />

attribuito anche l'organo monumentale.<br />

La seconda cappella a destra presenta una pala d'altare in terracotta smaltata bianca su fondo<br />

azzurro, di Andrea della Robbia.<br />

Di Silvestro dell'Aquila, a sinistra dell'altare maggiore, possiamo<br />

ammirare l'elegante sepolcro di Maria Pereyra Camponeschi, e<br />

soprattutto il cuore della devozione facente capo alla Basilica, il<br />

mausoleo del Santo dedicatario, San Bernardino da Siena, che si trova<br />

sulla navata destra.<br />

Le spoglie del Santo sono racchiuse in un'urna argentea moderna<br />

(a sostituzione dell'esemplare antico che fu trafugato dai Francesi<br />

all'epoca dell'invasione), la quale si trova all'interno di un<br />

monumento funebre, interamente cesellato a bassorilievi<br />

marmorei.<br />

Accanto al sacello, si trova una maschera mortuaria del Santo, in cera.<br />

Sempre per quanto riguarda il mausoleo, cuore ideale della Basilica,<br />

sono degni di nota gli affreschi che ricoprono la volta, di Girolamo<br />

Cenatempo, e i due candelabri del '500, in legno policromo.<br />

Le vicende della fondazione della basilica sono legate alla figura<br />

del santo che, nonostante fosse da tempo malato, nel 1444 si recò all'Aquila per tentare di<br />

riappacificare due fazioni in lotta fra loro. Alla sua morte, avvenuta il 20 maggio proprio nel<br />

capoluogo abruzzese, la cittadinanza chiese e ottenne da papa Eugenio IV il permesso di<br />

custodirne le spoglie.<br />

La prima fase dei lavori, più volte interrotti, cominciò nel 1454 e si concluse nel 1472 con la<br />

realizzazione della cupola, che consentì lo spostamento delle spoglie all'interno della basilica.<br />

Solo successivamente si passò alla realizzazione della facciata sotto la direzione di Silvestro<br />

dall'Aquila.<br />

Alla morte di quest'ultimo, avvenuta nel 1506, i lavori si fermarono e la facciata rimase incompiuta<br />

per quasi vent'anni. Nel 1524 l'incarico venne affidato a Nicola Filotesio, meglio noto come Cola<br />

dell'Amatrice, e venne finalmente portato a termine nel 1542.<br />

9


In seguito al terremoto del 1703 l'interno venne completamente<br />

ricostruito in stile barocco ad opera di tre celebri architetti<br />

dell'epoca: Cipriani, Contini e Biarigioni.<br />

In questo periodo venne anche aggiunta una curiosa finestra trifora alla<br />

facciata principale. Nel 1724 Ferdinando Mosca realizzò lo splendido<br />

soffitto in legno che venne dipinto da Girolamo Cenatiempo.<br />

Quest'ultimo è anche l'autore degli affreschi nella cappella che ospita<br />

il mausoleo. Nel 1773 Donato Rocco di Ciccio realizzò l'altare<br />

maggiore.<br />

Un ulteriore violento terremoto ha colpito L'Aquila il 6 aprile<br />

2009 danneggiando la parte absidale della basilica e distruggendo<br />

parzialmente l'antico campanile. Hanno, inoltre, subito lesione di<br />

grave entità anche il tamburo della cupola, le pareti longitudinali e<br />

il complesso limitrofo del convento.<br />

Il giorno del sisma, il presidente del gruppo Montepaschi di Siena, Giuseppe Mussari, ha<br />

garantito in diretta televisiva un ingente intervento finanziario per consentire il restauro della<br />

basilica.[2] Il costo stimato per il restauro della basilica è oltre i 40 milioni di Euro, per un<br />

periodo di intervento di oltre 10 anni.<br />

La basilica è situata in pieno centro storico, lungo la strada che prende il nome di Via San<br />

Bernardino, a pochi passi da Corso Vittorio Emanuele. È posta a coronamento di una<br />

monumentale scalinata che da Piazza Bariscianello arriva fino alla basilica creando un notevole<br />

impatto scenografico per chi proviene da Via Fortebraccio. Una seconda scalinata la pone rialzata<br />

rispetto al livello della strada e ne fa da sagrato.<br />

La facciata rinascimentale in pietra è stata edificata su progetto di Cola dell'Amatrice tra il<br />

1524 ed il 1542. Essa è ripartita in tre ordini con diversi stili decorativi: il primo è di ordine dorico,<br />

il secondo ionico ed il terzo corinzio. Nella trabeazione del primo ordine vi sono raffigurate delle<br />

metope, nel secondo ordine vi è una elegante trifora, aggiunta durante i lavori di restaurazione<br />

operati nel settecento, mentre nel terzo sono siti tre grandi oculi. Quattro file di doppie colonne la<br />

suddividono verticalmente creando un suggestivo ed armonico disegno di nove quadrati su tre file.<br />

Il portale centrale, ulteriormente incassato fra colonne a spirale, ha nella lunetta un<br />

altorilievo di Silvestro dell'Aquila raffigurante la Madonna col bambino fra i Santi Francesco<br />

d'Assisi e Bernardino da Siena.<br />

L'interno è a croce latina con tre navate ed è lungo circa cento metri. Il suo aspetto fastosamente<br />

barocco è dovuto ai restauri seguiti al terremoto del 1703 che rasero al suolo la navata centrale, la<br />

cupola ed il tamburo.<br />

Oggi la navata centrale dispone di un pregevole soffitto a<br />

cassettoni lignei, intagliati, dipinti e dorati, ad opera di<br />

Ferdinando Mosca da Pescocostanzo (1723-27), cui è attribuito<br />

anche il magnifico organo monumentale. Il soffitto venne poi dipinto<br />

da Girolamo Cenatiempo, allievo di Luca Giordano. Le navate<br />

laterali si aprono su numerose cappelle recanti cupole ottagonali.<br />

L'ultima cappella a sinistra contiene l'elegante Mausoleo<br />

Camponeschi, ad opera di Silvestro dell'Aquila, mentre la seconda a<br />

destra presenta la Resurrezione, una pala d'altare in terracotta<br />

smaltata bianca su fondo azzurro, di Andrea della Robbia. Nella<br />

quarta cappella a destra si ammira la tela raffigurante l'Adorazione<br />

dei Magi del caposcuola Pompeo Cesura, allievo del Raffaello.<br />

La quinta cappella a destra, molto grande rispetto alle altre,<br />

conserva il Mausoleo di San Bernardino da Siena. Venne<br />

commissionato a Silvestro dell'Aquila nel 1489 da Jacopo di Notar<br />

Nanni e fu completato dal nipote Angelo, detto L'Ariscola, nel 1505.<br />

Considerato il capolavoro della scultura rinascimentale aquilana, il mausoleo ha la base quadrilatera<br />

a due ordine di lesene decorate da nicchie con all'interno sculture sacre.<br />

10


99 CHIESE: IL DUOMO DEI SANTI MASSIMO E GIORGIO<br />

Il Duomo venne edificato nel Duecento e<br />

intitolato a San Massimo.<br />

Nel corso dei secoli si susseguirono<br />

cedimenti e continui lavori di restauro. La<br />

facciata, di gusto neoclassico, è<br />

caratterizzata da due imponenti torri<br />

campanarie poste ai lati e da un portale<br />

d'ingresso sormontato da un frontone<br />

triangolare, sostenuto da quattro colonne.<br />

La fiancata che si affaccia sulla via laterale,<br />

conserva tratti della costruzione originaria,<br />

come le finestre ad ogiva. L'interno è<br />

composto da una sola navata e custodisce<br />

importanti opere, quali un sarcofago risalente<br />

al periodo paleocristiano.<br />

Ha subito danni di rilevo a seguito del<br />

terremoto dell'Aquila del 6 aprile 2009 a<br />

causa del quale è avvenuto il crollo della<br />

parte sinistra e della copertura del<br />

transetto<br />

L'AQUILA - La diocesi dell’Aquila ha<br />

origini antichissime, essendo nel suo nucleo<br />

originario la continuazione di quella di<br />

Forcona, quando nel dicembre del 1256 papa<br />

Alessandro IV, ordinò il trasferimento dell’ultimo vescovo forconese Berardo di Padula nella sede<br />

aquilana.<br />

Con la bolla del 20 febbraio 1257 Alessandro IV dichiarò Aquila sede vescovile. Anche la storia<br />

del Duomo dei Santi Massimo e Giorgio, prima del terremoto del dicembre 1315 in stile romanico a<br />

tre navate, con il suo rosone e il campanile, s’intreccia con le furiose lotte tra il papato e l’impero.<br />

L’Aquila di Federico II è di nuovo il punto strategico nelle mire dei due contendenti del dominio<br />

temporale: Papa Alessandro IV e l’erede dello svevo, Manfredi.<br />

Quando, verso la fine del 1257, Manfredi aveva riconquistato tutto il Regno dalla mani del Papa,<br />

restava solo Aquila. È degna di attenzione la richiesta d’aiuto che il Papa fece pervenire al re<br />

d’Inghilterra Enrico III con la città sotto l’assedio dell’esercito imperiale nella quale ne descrisse sia<br />

l’importanza che la sua speciale forma urbica: “un’Aquila che, con le sue ali spiegate, apre e chiude<br />

le porte del Regno”.<br />

Uno dei serpenti con fanciullo del Duomo<br />

Le varie ricostruzioni e rimaneggiamenti subiti nei secoli dal<br />

Duomo ci consegnano il tempio che appare oggi, nella sua<br />

ultima versione con la sua facciata in stile neoclassico con le<br />

quattro poderose colonne ioniche e le torrette estreme dove 8<br />

(otto) campane compongono un suggestivo concerto e godono<br />

del diritto di precedenza su tutte le altre della città. Molti di voi<br />

avrete avuto il privilegio di visitare Roma, ma non tutti avrete<br />

notato la straordinaria somiglianza tra il Duomo dell’Aquila e la<br />

chiesa di S.S. Trinità dei Monti che domina Piazza di Spagna.<br />

11


gerarchie della chiesa.<br />

Inoltre l’obelisco di granito rosso davanti alla chiesa<br />

romana è l’obelisco Sallustiano rimasto per secoli<br />

interrato nella Villa Ludovisi, dopo essere stato portato<br />

da Clemente XII in piazza S.Giovanni venne portato a<br />

Trinità dei Monti dall’architetto Antinori per volere di<br />

Pio VI.<br />

Come è facilmente comprensibile per chi ci segue con<br />

assiduità, la città antitesi di Roma non poteva mancare<br />

di rappresentarne uno degli esempi più manifesti<br />

proprio nel Duomo.<br />

A chi vi accede dall’ingresso principale si presenta<br />

nella sua grandiosa solennità, con l’ampia navata<br />

centrale lunga 66,60 metri, primo accenno di<br />

stranezza. Nella regione di Tolosa e in special modo<br />

nei pressi di Rennes le Chateau, appare frequente l’JHS<br />

di S.Bernardino rapprese ntato con la “S” rovesciata<br />

che nella tradizione ebraica e cristiana è il simbolo del<br />

serpente (la conoscenza) che viene visto come il più<br />

astuto di tutti gli animali creati da Dio.<br />

Ed il serpente dell’Eden viene identificato come il<br />

maligno, in questo caso il male insinuato nelle<br />

Nella seconda metà del Quattrocento il Duomo dei Santi Massimo e Giorgio visse il momento<br />

di maggior importanza tramite Amico Agnifili, per due volte Vescovo dell’Aquila dal 1431 al<br />

1472 ed ancora nel 1476, quando riprese la sede per l’avvenuta morte del nipote in carica,<br />

Francesco Agnifili. Amico divenne Cardinale tra i più influenti in Vaticano. Nel conclave<br />

successivo alla morte di Paolo II non fu eletto Papa per due soli voti.<br />

Nell’epitaffio riportato sul suo monumento sepolcrale del Duomo, opera del 1480 di un giovane<br />

Silvestro dell’Aquila, è presente più volte e intenzionalmente la “S” rovesciata, come più volte nella<br />

navata sinistra della chiesa, tra le sculture in stucco del bel Barocco settecentesco, è rappresentato il<br />

serpente che ghermisce un infante, antitetico alle aquile reali che risaltano nella navata di destra.<br />

L'epitaffio con le "S" diritte e rovesciate<br />

Naturalmente nel simbolo del serpente con<br />

l’infante tra le fauci, misterioso stemma dei<br />

Visconti, sono ovvii i riferimenti ai Lombardi che<br />

ivi possedevano il loro patronato.<br />

Il Duomo dell'Aquila è disseminato dello strano<br />

stemma dei Visconti che nel capoluogo lombardo è<br />

ritenuto un mistero Lo strazio della peste di Milano<br />

del 1576 si pronuncia nella pala di Teofilo Patini<br />

nell’altare dedicato a San Carlo.<br />

Tra le decine di migliaia di ricercatori che ogni anno traversano l’alta valle dell’Ariége,<br />

qualcuno, essendo tutti di buona cultura, arriverà a noi e si sorprenderà delle presenze ancora<br />

evidenti tra gli stucchi del Duomo; vedrà due angeli con in mano, misteriosamente, l’uno uno<br />

spicchio di Luna e l’altro uno specchio.<br />

Questa rappresentazione esoterica appartiene agli studi di Atanasio Kircher (1601-1680), Gesuita<br />

tedesco del collegio Romano dal quale dipese quello Aquilano. Lo spicchio di luna con lo specchio<br />

erano i suoi emblemi.<br />

12


LA CINTA MURARIA E LE PORTE D’ACCESSO<br />

In pietra bianca, spesse due metri e lunghe 4,8 km, le mura intorno a L’Aquila furono<br />

completate nel 1316.<br />

Lungo il tracciato si innalzavano 86 torri merlate, sulle quali spiccava la Torre Civica, e si<br />

aprivano ben 17 porte di collegamento con il territorio circostante, storicamente considerato parte<br />

integrante della città.<br />

Col tempo molte porte furono murate, fino a lasciarne aperte quattro, una per ogni quarto: Porta<br />

Barete per S. Pietro, Porta Bazzano per l’attuale Santa Giusta, Porta Rivera per S. Giovanni e<br />

Porta Paganica per S. Maria Paganica.<br />

Oggi le porte in uso in città sono:<br />

Porta Branconia, lungo Viale Duca degli Abruzzi, all’altezza di Piazza S. Silvestro,<br />

restaurata da pochi anni;<br />

Porta Rivera, ricostruita dopo il terremoto del 1703 e posta in una zona di grande interesse<br />

archeologico, poiché le mura che la circondano poggiano su una zoccolatura più antica della<br />

città stessa; Porta Rivera è uno dei diciassette antichi ingressi della città, posti lungo la<br />

trecentesca cinta muraria.<br />

Con il passare dei secoli la maggior parte delle porte venne murata e ne vennero lasciate<br />

intatte solo quattro.<br />

Porta Rivera è uno degli accessi attualmente utilizzati. Venne restaurata in seguito a un<br />

terremoto nel Settecento e la sua importanza è dovuta al fatto di trovarsi in punto<br />

storicamente rilevante.<br />

In questo tratto della cinta muraria, infatti, le mura si trovano sopra ad un basamento<br />

precedente alla fondazione della città.<br />

Porta Roiana, restaurata recentemente, nei pressi della chiesa S. Maria del Borgo o delle<br />

Buone Novelle;<br />

Porta Napoli, inizialmente chiamata Porta S. Ferdinando;<br />

Porta Bazzano, la cui esistenza era già attestata nel 1400, ma che fu ricostruita dopo il<br />

sisma del 1703 e restaurata negli ultimi mesi;<br />

Porta Leone, vicina alla Basilica di S. Bernardino, il cui nome deriva dal capitano regio<br />

Leone di Cicco da Cascia, direttore dei lavori di fortificazione;<br />

Porta Castello, nei pressi del Forte Spagnolo, originaria del XVI secolo, ma ricostruita nel<br />

1769.<br />

13


CASTELLI - BORGHI DELLA PROVINCIA DI L’AQUILA<br />

POGGIO PICENZE (AQ) – STORIA<br />

<strong>Poggio</strong> <strong>Picenze</strong> è un comune di 1.023<br />

abitanti della provincia dell'Aquila: fa anche<br />

parte della Comunità montana Campo<br />

Imperatore-Piana di Navelli.<br />

<strong>Poggio</strong> <strong>Picenze</strong>, situato sulla strada statale 17<br />

dell' Appennino abruzzese a 14 km<br />

dall'Aquila, su un' altura di 760 metri dalla<br />

quali si può ammirare l' ampio panorama<br />

della conca aquilana.<br />

Il nome <strong>Poggio</strong> <strong>Picenze</strong> deriva dal fatto che<br />

l'antico castello fu costruito su un fianco<br />

del Monte <strong>Picenze</strong>, tale nome deriverebbe a<br />

sua volta dai Piceni, detti anche Picenti, che<br />

stabilirono diversi insediamenti nella zona<br />

intorno al III secolo a. C.<br />

La data di edificazione del castello si fa risalire intorno all' anno mille, trovandosi citazioni di esso<br />

già in un documento del 1173 "Podio de Picentia" nel quale appariva come un castello con mura<br />

fortificate e " sei torri, di cui una alta al centro". Resti del castello sono ancora visibili nella parte<br />

vecchia del paese.<br />

In epoca prefeudale, la posizione di valico del <strong>Poggio</strong> lo espose più volte alle scorrerie degli eserciti<br />

diretti alla volta dell'Aquila, infatti nel 1423 il castello resistette per due lunghi giorni all'assedio di<br />

Braccio da Montone dando tempo alle popolazioni oltre di esso di organizzarsi per la resistenza, ma<br />

alla fine capitolò dinanzi allo spietato conquistatore.<br />

Con il feudalesimo spagnolo Il <strong>Poggio</strong> venne assegnato a Giagiacomo dei Leognani-Castriota,<br />

valente condottiero che nel 1566 vi si stabilì preferendolo a tutti i suoi molti possedimenti. Dopo i<br />

Leognani, il feudo comprendente il <strong>Poggio</strong> passò nel 1700 alla famiglia Sterlick di Chieti.<br />

Nel 1806 su chiudeva l'epoca del feudalesimo, di cui il castello restava antico e maestoso<br />

simbolo, il quale però nel 1832 fu parzialmente demolito poiché diventato pericolante a causa<br />

dei fortissimi terremoti di cui era stato testimone.<br />

LA PIETRA BIANCA<br />

Una considerazione a parte va fatta per l'<br />

attività di estrazione e lavorazione della "<br />

Pietra Bianca " che ha rappresentato per<br />

diversi secoli l'elemento distintivo di <strong>Poggio</strong><br />

<strong>Picenze</strong>.<br />

La Pietra bianca del <strong>Poggio</strong> ha natura calcarea,<br />

aspetto candido e gentile e caratteristiche fisiche<br />

che la rendono facile da lavorare, ma di più, essa<br />

ha anche la proprietà di indurire coprendosi di<br />

una patina dorata con il passare del tempo.<br />

I maestri scalpellini di <strong>Poggio</strong> sono stati autori<br />

di centinaia di ornati portali, logge, cortili,<br />

porticati, fontane dell'aquilano come le<br />

magnifiche 99 cannnelle nei pressi della stazione ferroviaria dell'Aquila.<br />

Per secoli le cave di <strong>Poggio</strong> <strong>Picenze</strong> hanno fornito una finissima pietra bianca che fu adoperata<br />

nell'edificazione di molti palazzi gentilizi della zona ed anche per la realizzazione del mausoleo<br />

dedicato a Papa Celestino V, conservato nella basilica aquilana di S. Maria di Collemaggio. <strong>Poggio</strong><br />

<strong>Picenze</strong> era nota in passato anche per la bravura dei suoi "Maestri scalpellini", che sono stati autori<br />

di pregevoli lavori in numerosi centri della provincia.<br />

14


IL FORTE SPAGNOLO IL CASTELLO DI L’AQUILA<br />

Chiamato erroneamente castello, questo<br />

stupendo esempio di architettura militare<br />

unico per le sue caratteristiche, in realtà è<br />

un forte.<br />

Venne eretto a partire dal 1534 per<br />

iniziativa del vicerè di Napoli Don Pedro di<br />

Toledo «ad reprimendam audaciam<br />

Aquilanorum», ovvero per repressione<br />

contro gli abitanti della ricca città di<br />

L'Aquila che si era ribellata agli Spagnoli e<br />

schierata con i Francesi.<br />

Progettista della grandiosa opera fu lo<br />

spagnolo Don Pirro Luis Escribà, capitano<br />

ed architetto militare di Carlo V, già<br />

impegnato nella realizzazione di Castel<br />

Sant'Elmo a Napoli.<br />

Lo Escribà, o Scrivà, iniziò la costruzione il 30 maggio del 1534, su un terreno che dominava la<br />

città e dove si dice che nel 1401 fu eretto da re Ladislao un fortilizio. Per circa due anni l'architetto<br />

Escrivà rimase a seguire i lavori che furono poi continuati da Gian Girolamo Escrivà,<br />

probabilmente suo parente.<br />

I lavori continuarono fino al 1567, anno in cui gli aquilani non potendo più continuare a versare le<br />

esose tasse con le quali veniva pagata la realizzazione della costruzione, chiesero agli Spagnoli di<br />

fermare l'opera. Da allora, il castello fu utilizzato come alloggiamento per le truppe.<br />

Le successive fasi costruttive, si ebbero nel 1606 e nel 1698; mentre nel 1843 venne sostituito il<br />

ponte di legno semilavatoio con l'ultima campata di quello attuale, in pietra.<br />

Il forte che non fu mai utilizzato dal punto di vista militare, conserva ancora intatta la sua forma<br />

originaria che si rivela una delle più evolute dell'intera penisola.<br />

La pianta è quadrata racchiudente un cortile con quattro bastioni ai vertici delle diagonali; è<br />

circondato da un ampio fossato largo 2 3 m., profondo 14 m., l'altezza totale dell'edificio è di 30 m.,<br />

la distanza tra i vertici dei bastioni è di 130 m ., la lunghezza delle cortine è di 60 m.<br />

L'innovazione più importante rispetto agli altri forti della penisola, è dovuta alla presenza, dei<br />

doppi orecchioni policilindrici che raccordano i bastioni con le cortine. Questa accortezza oltre<br />

a migliorare la plasticità dell'edificio, era stata adottata per un motivo funzionale: in questo modo<br />

infatti le due serie di cannoniere, avevano aperture doppie che permettevano un maggior fuoco di<br />

fiancheggiamento a difesa delle cortine murarie ed inoltre, la loro posizione angolata, impediva a<br />

possibili colpi di entrare nell'interno.<br />

Il portale d'ingresso, costituito da due lesene doriche e lo stemma di Carlo V, reca l'iscrizione<br />

del 1543 ed è opera di Salvato Salvati e Pietro di<br />

Stefano, entrambi aquilani.<br />

All'interno, il porticato risale al vecchio progetto<br />

cinquecentesco, gli altri tre lati, sono aggiunte del sec.<br />

XVII e XVIII.<br />

Dopo l'ultima guerra è stato reaurato ed oggi<br />

ospita il museo Nazionale d'Abruzzo, la sezione<br />

archeologica, ed in una delle casematte dei bastioni, il<br />

famosissimo Elephas Meridionalis rinvenuto presso<br />

l’Aquila nel 1954 e anche materiale proveniente dai<br />

popoli italici e dalle antiche città romane; al piano<br />

superiore sono raccolte opere di scuola abruzzese dal<br />

XIII al XVIII secolo. Inoltre, periodicamente vi si<br />

tengono congressi e mostre.<br />

Il Forte ha subito danni ingenti a seguito del terremoto del 2009, soprattutto per quanto<br />

riguarda il ponte di collegamento sul fossato ed i piani superiori.<br />

15


ROCCA CALASCIO – CALASCIO (AQ)<br />

Rocca Calascio è il castello più alto<br />

dell'Appennino. La torre si erge ad<br />

una altezza di 1520 m. s.l.m. Domina<br />

il versante sud del Gran Sasso<br />

d'Italia e si trova ai confini di<br />

Campo Imperatore, ai suoi lati<br />

scopre: ad ovest il Monte Sirente ed il<br />

Velino, a nord il Gran Sasso e Campo<br />

Imperatore, a sud e parte di est la Piana<br />

di Navelli.<br />

Domina il sottostante paese di<br />

Calascio che si trova a 1200 metri di<br />

quota.<br />

In un documento del 1380 si ha la prima citazione di Rocca Calascio, intesa come torre di<br />

avvistamento isolata, ma la costruzione della torre è da collocarsi intorno all'anno 1000.<br />

Ad Antonio Piccolomini si deve attribuire, verso il 1480, la realizzazione delle 4 torri attorno<br />

all'originario torrione di Rocca Calascio, il muro di cinta attorno al paese e la ricostruzione di<br />

gran parte dell'abitato distrutto dal furioso terremoto del 1461.<br />

Nelle vicinanze della Rocca si trova la Chiesa di Santa Maria della Pietà, costruita dai pastori<br />

intorno al 1400 per ringraziamento alla Madonna in quanto i soldati dei Piccolomini respinsero, in<br />

una sanguinosa battaglia, un gruppo di briganti provenienti dal confinante Stato Pontificio.<br />

Punto di osservazione di elevata strategia militare, era in grado di comunicare, mediante l'ausilio<br />

di torce durante la notte e di specchi nelle ore diurne con innumerevoli collegamenti ottici<br />

disseminati nel territorio, fino ad arrivare ai castelli della costa adriatica.<br />

Con la dominazione aragonese fu istituita la "Dogana della mena delle pecore in Puglia" e la<br />

pastorizia transumante divenne la principale fonte di reddito del Regno.<br />

Fu quindi un momento di notevole sviluppo per i paesi della Baronia che nel 1470 possedevano<br />

oltre 90.000 pecore e fornivano ingenti quantitativi di pregiata "lana carapellese" a citta' come<br />

l'Aquila e Firenze.<br />

Nel 1579 Costanza Piccolomini, l'ultima della famiglia, vendette la Baronia, il Marchesato di<br />

Capestrano e le terre di Ofena e<br />

Castel del Monte a Francesco Maria<br />

De' Medici, Granduca di Toscana<br />

per 106.000 ducati. Nel 1743 la<br />

zona passò sotto la dominazione<br />

Borbonica.<br />

Nel 1703 intanto un disastroso<br />

terremoto aveva demolito il<br />

castello ed il ed il paese di Rocca<br />

Calascio: furono ricostuite solo le<br />

case nella parte bassa dell'abitato<br />

e molti abitanti preferirono<br />

trasferirsi nella sottostante<br />

Calascio.<br />

16


Una progressiva discesa<br />

ha ridotto la<br />

popolazione da circa<br />

800 abitanti nel 1600 a<br />

zero nel 1957.<br />

Calascio, a sua volta, ha<br />

iniziato il suo declino a<br />

fine '800, subendo gli<br />

effetti di una massiccia<br />

emigrazione nei primi<br />

decenni del '900. Una<br />

popolazione di circa<br />

1900 abitanti nel 1860,<br />

ammontata nel 1982 a<br />

soli 299.<br />

Gia' avviato verso il lento<br />

disfacimento che<br />

caratterizza i paesi<br />

spopolati, Calascio ha<br />

arrestato ed invertito<br />

questa tendenza per mezzo di numerosi interventi di risanamento spesso da parte di cittadini non<br />

residenti.<br />

Interessato da un complesso progetto di recupero, anche il borgo di Rocca Calascio sta<br />

cambiando la sua fisionomia.<br />

Un intervento necessario per un insediamento particolarmente suggestivo ed ad un castello che,<br />

oltre a suscitare interesse negli studiosi del settore, e' ritenuto il più' elevato della catena<br />

appenninica e forse dell'intera penisola.<br />

Oggi la Rocca è conosciuta dal grande pubblico per essere, molto spesso, oggetto di grandi set<br />

cinematografici, citiamo tra questi il più importante, il film dal titolo "Lady Hawak" una<br />

stupenda favola ambientata nel medio evo.<br />

Il borgo, posto a nord rispetto al bastione, era abitato sino al primissimo dopoguerra; fu<br />

sottoposto a numerosi restauri conservativi necessari per impedire lo sfacelo provocato<br />

dall'abbandono delle<br />

strutture abitative (peraltro<br />

già iniziato dopo il rovinoso<br />

terremoto del 1703).<br />

Accanto a forme di restauro,<br />

per così dire "pubbliche"<br />

vanno segnalati anche<br />

interventi di semplici<br />

appassionati della montagna<br />

abruzzese che hanno<br />

contribuito con i loro<br />

interventi al recupero del<br />

sito.<br />

Il borgo è collegato alla<br />

rocca vera e propria<br />

grazie ad un ponte che<br />

possedeva una struttura<br />

lignea di tipo retrattile.<br />

17


CASTELLO CAMPONESCHI – PRATA ‘ANSIDONIA (AQ)<br />

La cinta fortificata dei Camponeschi, si trova a<br />

circa un chilometro da Prata, a tutt'oggi, il borgo<br />

è oggetto di restauro.<br />

Si adagia alla sommità di un colle e presenta<br />

due porte d'ingresso e una unica via centrale con<br />

brevi diramazioni laterali.<br />

Nel suo interno si trova la chiesa di San<br />

Pietro, con un bel portale del 1313. E' stato<br />

eretto come fortificazione sulla via del tratturo e<br />

per secoli è stato un ottimo punto di difesa per<br />

tutto l'altipiano di Navelli.<br />

Il borgo presenta due porte e una cinta<br />

muraria con due torri e sei bastioni e per la sua<br />

costruzione sono stati riutilizzati molti elementi lapidei provenienti dalla vicina Peltuinum. E' stata<br />

residenza dei Camponeschi che erano uomini d'arme degli Angioini e degli Aragonesi. In<br />

seguito, da uso esclusivo militare si trasformò anche come abitato civile intensificando le<br />

fortificazioni. Il castello passò da un feudatario all'altro e alla fine venne lasciato ai contadini<br />

locali che lo abitarono fino alla fine della seconda guerra mondiale.<br />

CASTELLO DI OCRE – (AQ)<br />

I ruderi del borgo fortificato di Ocre, sorgono<br />

su di un altura a 933 metri di quota e godono<br />

di un panorama straordinario.<br />

Questo castello, posto al centro della Valle<br />

dell’Aterno, assunse nel Medioevo una posizione<br />

strategica determinante poiché poteva controllare<br />

gran parte della conca aquilana.<br />

Fondato intorno al XII secolo, fu distrutto una<br />

prima volta dagli aquilani nel 1280, ricostruito fu<br />

nuovamente espugnato da Fortebraccio da<br />

Montone nel 1424.<br />

Dopo alterne vicende il borgo si avviò, intorno al<br />

XVI secolo, verso un lento declino.<br />

In seguito al disastroso terremoto del 6 aprile 2009 che ha colpito la regione Abruzzo con<br />

epicentro nelle zone aquilane, anche il comune di Ocre ha riportato notevoli danni. Risulta<br />

gravemente danneggiato il castello di Ocre, si sono verificati numerosi crolli e molte abitazioni<br />

nei centri storici delle frazioni risultano inagibili.<br />

La cinta muraria, conservata pressoché per<br />

intero, presenta una pianta<br />

approssimativamente triangolare realizzata in<br />

pietra calcarea e interrotta da varie torri<br />

quadrate.<br />

Sul fianco ovest è posto l’unico accesso,<br />

attraverso una porta ogivale del XIII secolo.<br />

Il lato nord-est si affaccia su di uno<br />

strapiombo al di sotto del quale si trova<br />

l’abitato di Fossa.<br />

All’interno della cinta fortificata (non<br />

sempre visitabile) sono ben riconoscibili le<br />

antiche abitazioni, anche se in totale rovina;<br />

esse costituivano un vero e proprio nucleo<br />

urbano che comprendeva anche una chiesa.<br />

18


L'antico borgo fortificato di Ocre è posto sulla sommità della grande dolina del Monte Circolo (933<br />

metri sul livello del mare), da cui dominava, in posizione strategica, la Valle dell'Aterno per il<br />

controllo delle vie verso l'altopiano delle Rocche.<br />

Non sono precisate le origini dell'abitato, ma la prima data certa dell'esistenza di un castello<br />

nel feudo di Ocre è quella del 1178, relativa ad una Bolla di Papa Alessandro III in cui il fortilizio<br />

è citato tra i possedimenti del vescovo di Forcona.<br />

Il complesso è ricordato nel 1254 col nome di "Cassari Castro" allorché fu preservato dalla<br />

distruzione stabilita per tutti i castelli che avevano contribuito alla fondazione della città<br />

dell'Aquila.<br />

Con l'avvento di Carlo I d'Angiò il castello diverrà nel 1266 possesso della Regia Corte, che lo<br />

affiderà nel 1269 ad un fedele del re, Morel de Saours, ricordato spesso anche come Morello o<br />

Mauriello de Saurgio. Il declino del castello inizia nel XV secolo, quando la struttura subisce il<br />

grave attacco del capitano di ventura Fortebraccio da Montone (1423).<br />

Ocre, perso definitivamente il ruolo strategico nella gestione difensiva della città dell'Aquila, andrà<br />

progressivamente decadendo, e già all'inizio del XVI secolo il borgo non sarà più menzionato come<br />

"castrum" ma come "villa", circostanza significativa del fatto che la popolazione residente dentro il<br />

borgo fortificato andava sempre più scemando, fino al definitivo abbandono.<br />

Il sito costituisce un esempio unico nel genere, sia per il contesto paesaggistico in cui si trova,<br />

sia per la sopravvivenza della perimetrazione del piccolo impianto urbano all'interno della<br />

cinta muraria.<br />

Le mura formano<br />

planimetricamente una sorta di<br />

triangolo rinforzato da numerose<br />

torri: il lato nord-ovest, quello<br />

maggiormente munito, ne annovera tre<br />

disposte parallelamente.<br />

Il fianco nord-est invece appare<br />

meno difeso e presenta un'altezza<br />

ridotta della cortina muraria, perché<br />

protetto naturalmente dallo strapiombo<br />

roccioso; è munito infatti di un'unica<br />

torre rompitratta nella parte mediana<br />

ed è concluso, in corrispondenza dello<br />

spigolo nord, da una torre angolare<br />

quadrata.<br />

L'ultima, la torre-puntone, sorge<br />

isolata in corrispondenza del vertice meridionale, là dove le mura si restringono.<br />

Sul fianco ovest, presso la torre d'angolo, è presente l'unico ingresso al castello, consistente in<br />

una porta ogivale databile al XIII secolo e protetta da un sistema di difesa a tiro incrociato nonché<br />

dall' archibugiera ancora visibile sulla torre adiacente.<br />

Per quanto riguarda l'analisi tipologica dell'intero complesso, non si può parlare esattamente<br />

di castello-recinto, ma piuttosto di "borgo fortificato" o "cerchia-urbana", di cui il castello di<br />

Ocre rappresenta sicuramente uno dei casi meglio leggibili, al di la dello stato di rudere delle<br />

strutture. All'interno del perimetro sono ancora visibili infatti, le principali emergenze dell'abitato<br />

come le antiche abitazioni, le case-torri, i tracciati viari, le tre navate e l'abside della chiesa, posta<br />

nella punta meridionale del borgo.<br />

La chiesa, dedicata a San Salvatore "inter castrum Ocre" e di cui si ha notizia fino al 1581, allorché<br />

risulta completamente diruta, ha restituito i resti di un prezioso affresco, oggi al Museo Nazionale<br />

dell'Aquila, databile alla metà dell'XII secolo, con una Madonna in trono col Bambino tra due<br />

figure.<br />

19


BORGO FOTIFICATO DI ACCIANO E BEFFI (AQ)<br />

Il toponimo di Acciano<br />

sembra derivare da un furldus<br />

o saltus Accianus come<br />

testimonia il nome prediale<br />

Accius.<br />

Difficile è dire se si trattava di<br />

un pagus o un Vicus.<br />

La recente scoperta, tra la<br />

Chiesa di Santa Maria delle<br />

Grazie ed il cimitero, in<br />

contrada S. Lorenzo, di una<br />

struttura in opera quadrata,<br />

identificabile probabilmente in<br />

un tempietto italico-romano,<br />

nonché i notevoli frammenti<br />

ceramici rinvenuti nel corso del<br />

saggio eseguito dalla Sovrintendenza Archeologica di Chieti, collocano la datazione tra l'età<br />

repubblicana e la prima età imperiale.<br />

Vecchi ritrovamenti di alcune tombe ad inumazione e diversi frammenti di vasi di bucchero<br />

italico raccolti dal Fiorelli in varie occasioni intorno alla Chiesa di San Lorenzo, la scoperta di<br />

Antonio De Nino in contrada Vicenna di sudari antichi ed accanto al Cimitero di gallerie scavate nel<br />

tufo con varie diramazioni e tracce evidenti di pavimento a mosaico costituiscono elementi<br />

sufficienti a testimoniare che qui sorgeva un abitato antico.<br />

Nel 1092 Ugo di Girberto normanno, detto il Malmozzetto, vivente, secondo la legge longobarda,<br />

donò il 15 aprile alla chiesa di S. Pelino il Monastero di San Benedetto, costruito dal Vescovo<br />

Trasmondo, con tutti i suoi beni compresi quelli di Acciano.<br />

Nel 1183 nella Bolla di Lucio III sono menzionate le seguenti chiese: S. Pietro, Santa Petronilla, S.<br />

Lorenzo, S. Comizio e Santa Maria in Acciano.<br />

Nel 1188 il Monastero di S. Benedetto in Perillis possiede in Acciano la quarta parte della chiesa di<br />

S. Lorenzo e S. Petronilla e riceve in enfiteusi il Feudo tenuto da Rinaldo di Guglielmo.<br />

Nel 1223 nella Bolla di Onorio III, è citata la chiesa Saneti Antonini in Azano.<br />

Nel 1294 Celestino V passa per Acciano e qui opera un miracolo, così riportato dal Marino:<br />

''Mentre egli passava per il borgo di detto castello di Acciano per andare in L'Aquila a ricevere la<br />

corona dell'Apostolato a cui era stato assunto, guarì con la sua benedizione dal male caduco<br />

(epilessia) Dorricello, fratello di Berardo di<br />

Gordiarno di Acciano, come riferirono Velletta<br />

d'Acciano (teste 35) ed Odorisio d'Acciano<br />

(teste 37)".<br />

Nel 1316 Tommaso d'Acciano, per ordine di Re<br />

Roberto, viene tassato in relazione alla<br />

possidenza della quarta parte del borgo. Nel<br />

1360 la terra di Acciano non risulta ancora<br />

registrata fra quelle delle Diocesi Valvense.<br />

Cronologicamente Acciano verrà annessa dalla<br />

città dell'Aquila, poiché ceduta da Francesco di<br />

Cantelmo (1419) e quindi diviene contado della<br />

città stessa, ma Re Ladislao la ritoglie a quest'ultima in segno di condanna per aver appoggiato il<br />

partito di Luigi d'Angiò.<br />

20


Nel 1383 Carlo III di Durazzo dona Acciano a Matteo Gentile fratello del vescovo di Aquila per la<br />

ribellione di Caterina Cantelmi figlia di Restaino e moglie di Bartolomeo di Rillona. Nel 1409 la<br />

città dell Aquila ritoglie Acciano a quelle persone a cui il Re Ladislao l'aveva affidata.<br />

Diviene così territorio di regio demaino formando un tutt'uno con la città stessa, contribuendo con<br />

essa al pagamento delle tasse come le altre zone di quel contado.<br />

In questo periodo si segnano i confini con quelli di Rocca Preturo e<br />

Goriano Valli che pure fanno parte del Contado e con Molina che<br />

invece è al di fuori esso.<br />

Nel 1417 Acciano viene comperato dall'Aquila, in seguito passò<br />

come feudo agli Scialenghi, agli Strozzi ed ai Piccolomini. Nel 1419<br />

la regina Giovanna II, con Real Diploma "unì ed incorporò la terra<br />

alla Città dell'Aquila, in modo che fosse alla medesima unita,<br />

incorporata e annessa, quasi membro al suo corpo, siccome erano<br />

tutte le altre Terre, Luoghi del distretto e Territorio Aquilano".<br />

Nel 1529 il Principe d'Oranges concesse Acciano in feudo, con<br />

altri 62 castelli, ai vari capitani spagnoli.<br />

Fu poi da D. Pietro di Toledo venduta per 20.000 ducati.<br />

Nel 1533 Acciano, insieme con la terra di Beffi, è posseduta da<br />

Giacomo di Scalegni, a cui successe Carlo suo figlio e poi<br />

Ludovico.<br />

Il 1534 è la data riportata sul portale della chiesa a tre navate di S. Pietro e S. Lorenzo. Nel<br />

1546 la moglie di Annibale Libero di Acciano fa erigere la Cappella della Pietà nella chiesa di<br />

Santa Maria delle Grazie, riservandone il patronato al marito e agli eredi. Nel 1561 Ludovico vende<br />

per 25 mila ducati a Gio.<br />

Carlo Silveri Piccolomini il feudo di Acciano. Nel 1573 gli eredi del Notar Pietro di Sante de Galli<br />

di Acciano edificano la Cappella dei SS. Simone e Giudanella Chiesa di S. Pietro. Nel 1669 è<br />

Signore della Terra di Acciano, come anche di Beffi, Ferrante Silverio Piccolomini.<br />

Nel 1798 con istrumento del 29 marzo per Notar Luigi Palumbo di Napoli, Marchese Giovanni<br />

Piccolomini, erede e successore del detto Giò Carlo vende al Signore Vincenzo Treccia i feudi di<br />

Acciano e di Beffi con le rispettive Ville di Socciano e S. Lorenzo per lo prezzo di 6700 ducati. Nel<br />

1820 nasce Giuseppe, il Gigante, figlio di Margherita Perna e di Francesco Catoni.<br />

Egli seppe sfruttare l'interesse della gente per la sua ragguardevole altezza m. 2,35 così da<br />

mettere insieme un discreto patrimonio.<br />

Il primo è sicuramente un luogo già noto agli appassionati<br />

d’arte e ai conoscitori delle vicende del medioevo abruzzese,<br />

poiché ad esso fa riferimento il nome convenzionale di uno dei<br />

più stimolanti pittori di fine Trecento: quell’ignoto maestro al<br />

quale gli studiosi, in assenza di informazioni sulla sua vera<br />

identità, hanno dato il nome storico di “Maestro di Beffi”.<br />

Dalla chiesa di Santa Maria del Ponte di Tione, un bel<br />

borgo vicino a Beffi, proviene infatti uno straordinario<br />

capolavoro realizzato da questo artista abruzzese; si tratta di<br />

un trittico, ossia di un’opera composta da tre singole tavole in<br />

legno dipinte e montate assieme in una grande cornice dorata,<br />

detta carpenteria; i dipinti laterali vengono detti scomparti.<br />

Qualora le tavole fossero più di tre si parlerebbe invece di<br />

polittico.<br />

Nel capolavoro di Tione, al centro è raffigurata la Madonna<br />

col Bambino in trono, e ai lati le scene della Natività e della<br />

Morte e Incoronazione della Vergine.<br />

21


Oggi purtroppo esso non si trova più a Santa Maria del Ponte, ma è esposto, per motivi di<br />

sicurezza e conservazione, nel Museo Nazionale dell’Aquila. Il Maestro di Beffi è conosciuto<br />

anche come il “Maestro della tribuna di San Silvestro” poiché dipinse un bel ciclo di affreschi<br />

riscoperti di recente nell’omonima chiesa dell’Aquila.<br />

Del suo passato medievale Beffi<br />

conserva invece i resti del grande<br />

castello. Tra i ruderi ai piedi del paese<br />

emerge, ben conservata, la torre<br />

squadrata che aveva funzione di<br />

puntone, costituiva cioè l’elemento<br />

difensivo principale, posta in testa e<br />

nel punto più elevato; tutt’intorno<br />

venivano poi costruite le mura di<br />

recinzione rafforzate magari da<br />

piccole torri.<br />

Un simile tipo di struttura difensiva<br />

era detta “castello-recinto” e<br />

sfruttava di solito la pendenza naturale<br />

del terreno sul fianco di una<br />

montagna.<br />

Per questa ragione nei libri è detta anche “castello di pendio”.<br />

Per la sua forma gli studiosi ritengono che la torre risalga al XII secolo, ed è presumibile che il suo<br />

recinto fortificato fosse abitato non solo dalle guarnigioni militari ma anche dal feudatario.<br />

Questa datazione del castello è confermata dai più antichi documenti su Beffi che risalgono al<br />

1185, allorché “Beffe in Valva” risultava posseduta per un terzo dal figlio di Rainaldo di Beffe, per<br />

conto di un “Gentile” feudatario di Raiano.<br />

L’ingresso al recinto avveniva attraverso la porta ad arco, ancora esistente, dominata<br />

dall’emblema di Beffi: San Michele Arcangelo sopra una torre.<br />

Dall’altro lato della valle si scorge una torre cilindrica, alta e snella, che spicca nel bosco sotto<br />

Goriano Valli; si intuisce come le due fortificazioni facessero parte di un unico sistema difensivo<br />

integrato.<br />

Torri e castelli non vanno infatti immaginati isolatamente, ognuno a protezione del proprio<br />

borgo, ma come elementi di una ben più complessa struttura di difesa, diffusa sul territorio e<br />

coordinata. Ogni postazione era collocata in una posizione tale da poter vedere le altre, così da<br />

potere comunicare con esse in caso di pericolo, ad esempio attraverso segnali di fumo, e allarmare<br />

in tempo le popolazioni in caso di arrivo dei nemici.<br />

Il castello di Beffi fu abbandonato nel Settecento ed è stato recentemente restaurato; durante<br />

l’estate è teatro di suggestive rievocazioni in costume.<br />

L’altro fortilizio in terra di Acciano è quello di Roccapreturo; anch’esso un castello-recinto<br />

del quale resta in piedi solo la grande torre a base pentagonale.<br />

La sua è una struttura classica a forma di triangolo che scende lungo il pendio roccioso; sul vertice<br />

più in alto si trova la torre puntone, dalla quale scendono le mura che arrivano alle due torri più in<br />

basso.<br />

22


Esempi molto simili sono quelli di San Pio delle Camere, di Roccacasale o di Bominaco.<br />

Questa scelta architettonica era studiata per far fronte agli attacchi provenienti dalle alture, ai quali<br />

veniva contrapposta la mole del puntone, mentre nella parte più in basso sorgeva il borgo, come nel<br />

caso di Roccapreturo.<br />

Le notizie più antiche del castello portano la stessa data del forte di Beffi, citando nel 1185 i<br />

possedimenti di un tale Gualtieri, figlio di Gionata feudatario di Collepietro.<br />

La suggestiva Alta Valle dell’Aterno è ancora strutturata secondo la formula del “comune<br />

sparso”, composta da piccoli borghi ognuno dei quali possiede la sua chiesetta. In questo Abruzzo<br />

ancora tutto da scoprire non sarà quindi difficile imbattersi, anche nei luoghi più decentrati, in<br />

autentici tesori d’arte.<br />

Restando nei paraggi del castello di Beffi, che come si è detto ha come simbolo San Michele,<br />

vale la pena di visitare la bella chiesa omonima, richiedendo le chiavi presso le vicine<br />

abitazioni.<br />

Nell’interno è la splendida la statua in terracotta dipinta di una Madonna, che in origine era<br />

completata come sempre dal Bambino, ormai perduto e sostituito con una copia moderna.<br />

Scendendo per un sentiero verso il fondovalle, si incontra una graziosa chiesetta ancora decorata<br />

con affreschi del Cinquecento.<br />

Acciano, che secondo un'antica storia si trova nell'attuale posizione a seguito della totale<br />

distruzione del centro originario posto a valle, ha risentito della maggior parte delle scosse<br />

dello sciame sismico che ha investito la conca dell'Aquilano e la Valle dell'Aterno e a seguito<br />

di quella delle 3,32 del 6 aprile 2009 ha constatato ingenti danni.<br />

La Chiesa Parrocchiale dei SS. Pietro e Lorenzo ha riportato gravi lesioni interne ed esterne,<br />

come la caduta di un capitello della facciata e la scomposizione delle pietre che compongono il<br />

campanile, mentre il piccolo campanile della Congrega ha ceduto facendo cadere la campana<br />

alla base di questo.<br />

Gravi danni hanno riportato le facciate della Chiesa di Maria SS. delle Grazie e della<br />

Parrocchia di Succiano che sono crollate.<br />

Il Ministero dei Beni Culturali ha inserito le Chiese danneggiate nella lista dei "gioielli" che<br />

devono essere restaurati al più presto.<br />

23


CASTELLO DI SANT’EUSANIO FORCONESE (AQ)<br />

S .Eusanio Forconese è situato a 594 m. S.l.m. tra Fossa e il<br />

fiume Aterno su un piccolo rilievo a sud est del monte Cerro.<br />

Nel 1254 partecipò alla fondazione dell’Aquila.<br />

Nelle vicinanze, su di un colle i resti di un castello medioevale<br />

fortificato che domina la vallata sottostante. La parrocchia è<br />

dedicata a S.Eusanio, nel suo interno interessante è la cripta e la<br />

l’altare con la tomba del Santo.<br />

Da vedere ancora la chiesa Madonna Sotterra del sec XIII-<br />

XIV e il palazzo Barberini.<br />

Il comune di S. Eusanio ha una sola frazione Casentino la cui<br />

parrocchiale è dedicata a S. Giovanni Evangelista.<br />

CASTELLO-RECINTO DI BARISCIANO (AQ)<br />

Il castello di Barisciano posto sulle pendici del<br />

monte Selva, dai suoi quasi 1500 metri d'altezza,<br />

domina l'altopiano di Navelli.<br />

Esso era sorto a controllo di quella parte del territorio<br />

percorsa dal tratturo che congiungeva L'Aquila a<br />

Foggia.<br />

Il borgo sottostante, precedente al castello, sorse<br />

intorno all'VIII secolo e la sua posizione strategica,<br />

a difesa della piana di Navelli e di un importante<br />

accesso al Gran Sasso, lo pose costantemente al<br />

centro di scontri e battaglie.<br />

La fortificazione, notevolmente più in alto rispetto al<br />

centro abitato, è invece risalente al XIII secolo e fu tra<br />

quelle che parteciparono alla fondazione della città<br />

dell'Aquila, alla quale appartenne fino al 1529 per poi<br />

divenire feudo di famiglie aristocratiche.<br />

Nel terzo decennio del XV secolo fu occupata, dopo un<br />

duro assedio, dalle milizie di Braccio da Montone.<br />

Il castello di Barisciano, assieme al vicino castello di<br />

San Pio delle Camere, rappresenta un affascinante<br />

esempio di architettura difensiva del genere castello-recinto.<br />

Esso è ormai ridotto allo stato di rudere, ma ciò che rimane rende il sito ugualmente affascinante.<br />

La pianta era originariamente quadrangolare, con un torrione principale da cui partiva la cortina<br />

muraria spezzata da torri di fiancheggiamento.<br />

Ancora visibili sono le mura di cinta, il puntone pentagonale e le torri.<br />

In epoca successiva a quella di fondazione del fortilizio, venne costruita, addossata alla cortina<br />

muraria, la Cappella di San Rocco. Intorno al XVI secolo la struttura dovette essere abbandonata,<br />

non essendovi più necessità difensive alle quali far fronte.<br />

Il castello è oggi allo stato di rudere, ma il sito merita comunque una visita sia per la particolarità<br />

della sua collocazione strategica sia per la presenza dei suggestivi resti, importante testimonianza<br />

delle fortificazioni medievali abruzzesi.<br />

24


CASTELLO - RECINTO DI FOSSA (AQ)<br />

Ciò che rimane della struttura<br />

fortificata di Fossa è oggi visibile nelle<br />

parte più alta del paese, sul margine<br />

occidentale della Valle Subequana.<br />

L'intero borgo nacque sulle rovine<br />

dell'antica città, prima vestina e poi<br />

romana, di Aveia. Il toponimo ha origine<br />

dalla Fossa del monte Circolo, alle cui<br />

pendici è situato il paese con la sua<br />

fortificazione, la quale, più<br />

precisamente, occupa la località Funillo.<br />

Il castello fu realizzato, sfidando la<br />

pendenza del sito, allo scopo di<br />

garantire la presenza di un sicuro<br />

punto di controllo anche in un<br />

territorio così difficilmente<br />

accessibile. Il fortilizio presenta una pianta trapezoidale con quattro torri quadrangolari che<br />

contornano l'intero perimetro ed un torrione circolare posto in direzione della montagna;<br />

quest'ultimo dovrebbe rappresentare la costruzione più antica, riferibile ai secoli XII-XIII, come<br />

testimonia la differente tecnica costruttiva usata per erigerlo.<br />

Il resto del complesso dovrebbe appartenere invece al periodo immediatamente successivo,<br />

compreso tra la fine del XIII e gli inizi del XIV secolo.<br />

Sono ancora visibili elementi originari di quest'epoca come una balestriera, che si apre nel torrione<br />

cilindrico, e varie archibugiere nella cortina e nella torre posta a sud-est.<br />

L'accesso principale, caratterizzato da un arco ogivale in pietra, guarda verso il borgo, mentre sul<br />

lato opposto doveva esservi un ingresso secondario di dimensioni ridotte. Una disposizione<br />

particolare contraddistingue le torri, tre delle quali si trovano sul versante orientale.<br />

A Fossa, il terremoto ha causato cinque vittime, oltre ad aver arrecato danni ad edifici ed al<br />

patrimonio artistico, e numerosi crolli.<br />

BORGO FORTIFICATO ASSERGI<br />

Delle dodici torri<br />

originali di<br />

fiancheggiamento certe<br />

sono state incorporate<br />

negli edifici privati,<br />

invece mantiene tutt’ora<br />

intere le sue<br />

caratteristiche costruttive<br />

quella situata vicino alla<br />

Porta Carbonera.<br />

La cinta fortificata, tuttora ben conservata sul lato sud-est e per una pezzo a nord-ovest, si<br />

presenta inglobato a meridione nel complesso murario del presbiterio della chiesa principale e<br />

rappresenta così un palinsesto a più livelli di grande valore in campo storico-archietettonico.<br />

Il borgo di Assergi per tradizione fatto coincidere con Prifernum, arcaico insediamento della<br />

tribu’ italica dei vestini, ed è situato sul fianco aquilano del Gran Sasso, sopra una sporgenza<br />

rocciosa alla convergenza di due valli.<br />

A seguito di una citazione incerta risalente al X secolo vi è una fonte documentaria, che si riferisce<br />

all’antico insediamento ed è costituita dalla Bolla di Alessandro III (1178) indirizzata al vescovo di<br />

Forcona: in essa Assergi è indicato come Asserice, nome trovato pure nella Cedola di Tassazione<br />

per la Crociata proclamata da papa Gregorio VIII nel 1187.<br />

25


CASTELLO-RECINTO DI S. PIO DELLE CAMERE (AQ)<br />

Il castello di San Pio delle Camere, oggi allo stato<br />

di rudere, è aggrappato alle pendici del Monte<br />

Gentile, affacciandosi dalla montagna a controllo<br />

della valle sottostante e dell'area corrispondente al<br />

famoso Tratturo Magno, che collegava L'Aquila a<br />

Foggia.<br />

Il forte era posto a monte del paese ed inizialmente<br />

fungeva da rifugio per le popolazioni circostanti e per<br />

il loro bestiame, nei casi di maggior pericolo.<br />

Le prime notizie sul castello risalgono al 1173,<br />

quando risultava feudo dei baroni da Poppleto. La<br />

struttura, dato il forte pendio, dovette essere realizzata,<br />

nelle cortine e nel cammino di ronda, secondo la<br />

tecnica a gradoni; e se, da un lato, ciò costituiva un<br />

elemento di ostacolo per i difensori stessi, dall'altro,<br />

l'impervia disposizione garantiva una posizione<br />

vantaggiosissima nei confronti di eventuali assaltatori.<br />

La pianta si presenta triangolare, circoscritta da un<br />

puntone posto al vertice superiore e da più piccole<br />

torri rompitratta inserite nelle mura di cinta.<br />

La struttura originaria è stata più volte<br />

rimaneggiata nel corso dei secoli; un esempio è rintracciabile nelle mura che risultano sopralzate<br />

nell'ambito di lavori probabilmente riferibili al secolo XIV.<br />

Ciò che oggi si presenta dinanzi ai nostri occhi è ciò che rimane dopo l'assalto di Braccio da<br />

Montone nel 1424, che coinvolse analogamente anche il forte di Barisciano.<br />

Non è tuttora chiaro se il castello, a lungo feudo dei Caracciolo, oltre a rappresentare un<br />

luogo di difesa e di rifugio fu anche residenza stabile in epoca medievale.<br />

BORGO FORTIFICATO CASTEL DEL MONTE<br />

Sospeso tra le vette del<br />

Gran Sasso e la valle del<br />

Tirino, un miracolo di<br />

pietra prende forma sotto i<br />

nostri occhi: è Castel del<br />

Monte, annunciato dalla<br />

possente torre campanaria.<br />

La durata dei ricordi, qui, è<br />

più dolce che altrove e si<br />

materializza, appena entrati<br />

nel borgo, in quei mirabili<br />

pezzi di architettura popolare<br />

che sono gli antichi portali, le<br />

finestre, i “vignali” (le scale<br />

esterne), gli archi di<br />

passaggio.<br />

26


La compattezza dell’abitato, legata a<br />

questioni difensive, esigeva per la forte<br />

pendenza del terreno il modello della casatorre.<br />

Le abitazioni, disposte sulle direttrici<br />

parallele alle curve di livello (le strade<br />

principali) intersecate da vie di collegamento<br />

ripide e tortuose, si saldano le une alle altre<br />

attraverso archi e volte (gli “sporti”).<br />

La visita al paese antico può iniziare da<br />

Porta S. Rocco che un tempo faceva parte<br />

della cinta difensiva, ancora visibile.<br />

All’ingresso dell’abitato sorge la chiesa di S.<br />

Rocco, eretta dopo la peste del 1656 con una<br />

facciata “a vela” rettangolare.<br />

In via Duca degli Abruzzi si incontra uno dei<br />

tre antichi forni in cui i castellani venivano a<br />

cuocere il pane. Lungo la salita si trova il<br />

Palazzo del Governatore, costruito tra XV e<br />

XVI secolo su una superficie che occupava<br />

l’intero isolato.<br />

Gli smembramenti di proprietà ne rendono oggi ardua la lettura: da notare la struttura impostata su<br />

grandi archi, il bellissimo portale del 1559 e le due bifore ornamentali.<br />

Anche del vicino Palazzo Colelli, in via del Codacchio, è difficile oggi riconoscere l’antica<br />

grandezza, che sopravvive solo nel loggiato, nel torrione e nel ricordo delle cento stanze.<br />

Giunti a Porta di S. Maria, ci si ferma nell’omonima via per guardare il panorama e, in basso,<br />

la chiesetta della Madonna delle Grazie, unica sopravvissuta, insieme a quella di S. Donato, delle<br />

numerose chiese che sorgevano fuori le mura. Si arriva in breve alla Madonna del Suffragio,<br />

risalente alla prima metà del XV secolo e ricca di barocche decorazioni in stucco. Da<br />

ammirare, qui, l’altare maggiore alto 12 m, un capolavoro in legno scolpito e dorato che conserva al<br />

centro una statua della Vergine vestita come le castellane del tempo.<br />

Pregevoli sono anche l’organo dorato del 1508 e il dipinto del fiorentino Bernardino di<br />

Lorenzo (1585) in un altare laterale. Splendida, dalla piazza della chiesa, la vista su monti e valli,<br />

sul piano di S. Marco e Rocca Calascio. Piazzetta delle Mura, la sola alberata del vecchio borgo,<br />

riporta al tempo in cui le donne erano padrone del paese e venivano qui ad asciugare il grano, fare il<br />

bucato o chiacchierare, mentre i loro uomini erano lontani per la transumanza.<br />

Proseguendo verso la parte alta, per le vie S. Maria e Clemente, ci si imbatte in una bella<br />

sequenza di “sporti”, che sono come delle gallerie che corrono nelle viscere del borgo. Le<br />

leggende fiorite sugli sporti si spiegano con il loro fascino arcano, frutto di una sapienza costruttiva<br />

che sfruttava le pendenze del terreno e vi modellava le abitazioni, scavalcando la roccia o<br />

edificando su di essa.<br />

27


Oltrepassato un altro forno e il<br />

vecchio fondaco, si penetra nel<br />

cuore dell’abitato dove sorge la<br />

chiesa di S.Caterina, dall’aspetto<br />

dimesso. Oltrepassata la Casa<br />

Comunale, si entra, in fondo a via<br />

Duca degli Abruzzi, nel Ricetto, il<br />

villaggio originario, rimasto<br />

chiuso su se stesso là dove<br />

sorgeva il cortile del castello<br />

munito di torre, oggi parte<br />

integrante della Chiesa Matrice.<br />

Lo stretto passaggio verso il<br />

campanile reca uno splendido<br />

portale, mentre ad attirare<br />

l’attenzione uscendo dalla Porta del<br />

Ricetto verso la chiesa, è la<br />

muraglia difensiva trasformata in abitazioni. La Chiesa Matrice, dedicata a S. Marco, ha un<br />

accesso solo laterale e si presenta all’interno con una profusione di stili e materiali non priva di<br />

fascino: altari in legno, in marmo e in pietra, fregi rinascimentali, stucchi barocchi, sculture lignee e<br />

angeli di gesso. Colpisce sul fonte battesimale l’organo in legno dorato del XVI secolo.<br />

Dopo una sosta alla Taverna Matrice, si conclude la visita a Porta S. Ubaldo. Il piazzale<br />

antistante è punto d’incrocio di venti che d’inverno lo liberano dalla neve, per cui il viaggiatore che<br />

entra nel borgo da questa porta ha l’impressione di approdare a un rifugio sicuro, mentre chi ne esce<br />

si sente spiacevolmente esposto alle intemperie.<br />

Salendo da Castel del Monte verso la montagna, si scoprono gli immensi spazi di Campo<br />

Imperatore, che appare, a quota 1600 m, come una prateria senza confini dove lo sguardo si<br />

perde in un mare d’erba o di neve.<br />

Interessante, infine, la zona archeologica d i Colle S. Marco, con i resti tuttora evidenti di un<br />

insediamento (strutture di case, stalle, recinti di orti) risalente all’anno Mille, prima che gli antichi<br />

abitanti si rifugiassero nel Ricetto per dar vita all’attuale paese.<br />

La passeggiata nel borgo offre al visitatore scorci davvero suggestivi, con i monumentali<br />

palazzi che ricordano la maestosità degli uomini che li hanno costruiti, le tante chiese che fanno<br />

rivivere gli antichi fasti e i musei della cultura contadina che, in un percorso oggi valorizzato da<br />

opere d’arte a cielo aperto, raccontano di una storia non molto lontana.<br />

Un capolavoro di architettura in cui l’ingegno dell’uomo ha saputo risolvere la mancanza di spazio,<br />

problema tipico dei paesi fortificati d’alta quota.<br />

Di alta ingegneria sono, di fatto, gli sporti che coprono le vie e sui quali si sviluppano le abitazioni.<br />

Vere e proprie gallerie che caratterizzano<br />

il borgo e sembrano custodire l’anima più<br />

segreta del paese.<br />

La lavorazione della pietra in cui<br />

Castel del Monte ha fatto scuola, i<br />

gioielli architettonici ereditati dal passato,<br />

le tipicità custodite in modo sapiente, le<br />

tradizioni secolari tenute vive dai suoi<br />

abitanti, le iniziative culturali che<br />

animano il centro, fanno di Castel del<br />

Monte un borgo vivace, in cui la<br />

suggestione rivive ancora oggi nella<br />

magia di un passato da scoprire.<br />

28


LE PAGLIARE<br />

LE PAGLIARE DI TIONE<br />

Siamo a Tione degli<br />

Abruzzi (AQ), borgo di<br />

poco più di 400 anime,<br />

situato alle pendici del<br />

colle Alto, nella valle<br />

del fiume Aterno. È qui<br />

che si trovano le Pagliare<br />

più famose d’Abruzzo.<br />

Le Pagliare sono<br />

villaggi agresti di<br />

altura, “paesi in<br />

miniatura” di casette in<br />

pietra, situati su ampi<br />

pianori a 1000-1100 m<br />

di quota, tra la catena<br />

montuosa del Sirente<br />

(2348 m slm) e la Media<br />

Valle dell’Aterno, ai<br />

margini nord orientali dell’Altopiano delle Rocche. A dirci cosa hanno di particolare, Alvio Vespa,<br />

sindaco di Tione, che ce ne fa un po’ la storia.<br />

“Le Pagliare hanno un lungo passato, che risale già al XV secolo. Nacquero soprattutto come<br />

ricovero e deposito del fieno, come pagliai, da cui poi il nome Pagliare. In seguito, cominciarono ad<br />

essere utilizzate come dimore temporanee per la transumanza verticale, fenomeno tipico della<br />

nostra regione, che imponeva ad ogni cambio di stagione di migrare ad alta quota dai piccoli paesi a<br />

valle per trovare terre coltivabili e fertili pascoli”.<br />

In realtà, come ci dice ancora il primo cittadino, Tione rappresentava un’eccezione, perché<br />

disponeva di “un doppio livello di coltivazione”, quello delle campagne attorno al paese e quello<br />

in altura delle Pagliare. Il che consentiva una ricchezza economica invidiabile rispetto ai centri<br />

vicini.<br />

“Il paese aveva molte stalle e, in primavera, c’erano sempre due o tre persone che prendevano in<br />

custodia gli armenti (cd. vaccari) e li conducevano al pascolo. E la stessa cosa avveniva per le<br />

morre, le mandrie di pecore e<br />

capre”.<br />

Costruzioni semplici, spesso<br />

fabbricate a coppia e con il<br />

caratteristico tetto coperto di<br />

tegole, le Pagliare erano costituite<br />

per lo più da due locali sovrapposti.<br />

Quello superiore fungeva da fienile<br />

e da giaciglio per l’uomo, quello<br />

inferiore era utilizzato come stalla<br />

per gli animali. In tutto, 108 unità,<br />

sapientemente strutturate, capaci di<br />

ricostruire in piccolo un’area<br />

completa di lavoro, funzionale<br />

all’intera permanenza stagionale.<br />

Ogni casetta o gruppo di casette aveva un’aia comune, destinata alla trebbiatura.<br />

29


Senza dimenticare il grande pozzo cilindrico (ristrutturato nel 2006 grazie al contributo della Gran<br />

Sasso Acqua S.p.A), con scale di pietra simmetriche, scoli, parapetti, delimitato all’esterno di<br />

vasche di pietra per la raccolta dell’acqua piovana (pile).<br />

Un esempio di imponente opera idraulica a testimonianza di una cultura contadina antica ed<br />

ingegnosa.<br />

E poi la piccola chiesa della SS.Trinità, vero fulcro della vita comunitaria del villaggio, meta<br />

ancora oggi, nella prima domenica di giugno, di una processione religiosa che fa rivivere tutta<br />

la magia del cammino verso le Pagliare, disvelando lungo un antico sentiero che parte dal<br />

paese uno spazio ricco di biodiversità.<br />

Ad organizzare la processione-escursione è il Gruppo Archeologico Superequano di Castelvecchio<br />

Subequo (Aq), ormai da 28 anni impegnato a valorizzare l’identità dei borghi dell’area sirentina.<br />

“Quello della SS. Trinità è un appuntamento divenuto ormai rituale,- ci dice Giuseppe Cera,<br />

responsabile del Gruppo- che unisce natura, folklore e cultura, attirando sempre più visitatori”.<br />

Dagli anni ’60 in poi, la vita delle casette ha smesso di pulsare, tornando alla gestione privata<br />

dei proprietari, ma sono molti i turisti che hanno scoperto questo spazio incontaminato.<br />

E allora, quale ricetta per custodire questo connubio inedito di architettura naturalistica e cultura<br />

contadina?<br />

Come spiega il presidente della<br />

Comunità Montana Sirentina,<br />

Giuseppe Venta, molti interventi<br />

sono stati già fatti, ma “è in corso<br />

un progetto per la sistemazione<br />

definitiva del tratto di strada tra le<br />

Pagliare e Terranera, e tra le<br />

Pagliare e Goriano Valli”, due<br />

porte d’accesso ai villaggi. Non<br />

solo.<br />

“La piana del Sirente – anticipa<br />

– tornerà a vivere con un<br />

programma di escursioni sia<br />

verso il massiccio che verso le<br />

Pagliare”.<br />

Progetti confermati anche dal<br />

presidente del Parco Regionale<br />

Sirente-Velino, Nazzareno Fidanza: dopo il fitto calendario escursionistico dell’estate appena<br />

passata, il parco ha, infatti, avviato da qualche mese un restyling completo del proprio portale web,<br />

dove si possono trovare informazioni dettagliate sulle strutture.<br />

“Le Pagliare stanno crescendo e lo dimostra che alcuni tra gli insediamenti stanno utilizzando<br />

fondi PIT per la realizzazione della microricettività, che per questa zona può rappresentare un<br />

nuovo motore di sviluppo”.<br />

E per il futuro, il Parco scommette anche su una vocazione culturale delle Pagliare, facendone sede<br />

per convegni e studi ad hoc.<br />

Un modo per far parlare direttamente i luoghi e farli diventare il miglior spot di se stessi.<br />

Le Pagliare sono raggiungibili partendo dalla torre medievale di Tione, che si raggiunge da una<br />

strada ripida che inizia poco prima del paese,si percorre la strada asfaltata che sale per circa 2 Km,<br />

fino ad una piccola cappella con l'edicola dedicata alla Madonna nera con bambino.Si può<br />

proseguire ancora con l'automobile attraverso una strada in breccia avendo cura di seguire sempre il<br />

tracciato di sinistra in entrambe le biforcazioni che si incontreranno.<br />

Le Pagliare sono raggiungibili anche per un tracciato meno irto, che partendo da Tione verso<br />

Goriano, si incontra prendendo la prima strada a destra dopo il lago di Goriano Valli, perfettamente<br />

percorribile anch'essa con l'automobile.<br />

30


Sono caratteristiche strutture con funzioni simili a quelle dei masi del Trentino, ovvero<br />

residenze destinate ad ospitare pastori e contadini nel periodo del pascolo estivo e della raccolta del<br />

fieno e della paglia.<br />

E' un posto ancora isolato dal mondo,solo dove di recente è arrivata una piccola fornitura di<br />

acqua,non c'è luce (la notte è veramente buia e ci si rimette alla clemenza della luna).<br />

Un posto davvero da visitare per coloro che vogliono fare un salto indietro nel tempo e nella<br />

natura più incontaminata.<br />

PAGLIARE DI FONTECCHIO<br />

Oltre il versante destro ortografico della Valle<br />

dell'Aterno ed in corrispondenza dei Comuni di<br />

Fagnano Alto, Fontecchio e Tione degli<br />

Abruzzi, si trovano dei pianori di alta quota in<br />

cui sono situati dei villaggi temporanei chiamati<br />

“Pagliare”.<br />

L' origine delle Pagliare è da collegarsi alla<br />

scarsità di terreni coltivabili nella sottostante<br />

vallata per cui gli abitanti di questa contrada<br />

furono portati a sfruttare ogni superficie<br />

suscettibile di cultura situata sugli altipiani<br />

soprastanti i loro paesi.<br />

A causa della distanza e della difficoltà del<br />

cammino, dovuta essenzialmente ai dislivelli da superare, coloro che vi si recavano a colivare le<br />

terre furono costretti a costruirsi dei ricoveri che a poco a poco vennero trasformati in vere case.<br />

Fu così che per seguire i normali lavori agricoli e governare il bestiame ovino e bovino, i<br />

contadini di Fontecchio, Tione e Fagnano, da maggio ad ottobre, si spostavano in montagna<br />

con le famiglie e scendevano in paese di tanto in tanto solo per rifornirsi delle cose necessarie.<br />

Le costruzioni che costituiscono i tre villaggi sono molto simili l'una all'altra.<br />

Hanno in genere pianta rettangolare o quadrata e constano di due locali, uno superiore usato come<br />

abitazione, ed uno inferiore, adibito a stalla.<br />

I due piani sono separati da un pavimento di legno, le 3 mura sono in pietra e cemento, mentre il<br />

tetto ad uno o due spioventi è in legno coperto di tegole fermate da sassi.<br />

Nel locale superiore, in un angolo, è in genere<br />

localizzato un camino di forma molto semplice,<br />

utile sia per cucinare che per far seccare ed<br />

affumicare il formaggio. Fuori è facile trovare<br />

delle larghe pietre incavate a colpi di scalpello<br />

usate per raccogliere l'acqua piovana e , fissati sui<br />

muri esterni delle abitazioni degli anelli in pietra<br />

realizzati appositamente o di origine naturale<br />

(dovuti al continuo lavorio delle acque sulle rocce<br />

calcaree) per attaccavi l'asino o il cavallo. Il<br />

problema delle Pagliare era, oltre la lontananza<br />

dal paese, la scarsità d'acqua sia potabile che non.<br />

Per la prima si ricorreva a dei pozzi o sorgenti<br />

nelle Pagliare di Fontecchio e Tione, mentre in quelle di Fagnano si doveva raggiungere il<br />

paese di Terranera a 5Km sull'Altipiano delle Rocche.<br />

Per le altre necessità, diverse case furono dotate di cisterne sotterranee situate sotto le stalle o<br />

attigue a queste ultime in cui veniva convogliata l'acqua piovana che cadeva sui tetti mediante<br />

grondaie e canale.<br />

31


GROTTE DI STIFFE – STIFFE (AQ)<br />

Le Grotte di Stiffe sono, tecnicamente<br />

parlando, una risorgenza, cioè il punto in<br />

cui un fiume torna alla luce dopo un tratto<br />

sotterraneo; nel caso di Stiffe questo punto è<br />

situato all'apice della forra che sovrasta il<br />

piccolo paese omonimo.<br />

lungo rapide e cascate con un boato assordante.<br />

La presenza del corso d'acqua, che in alcuni<br />

periodi dell'anno raggiunge portate<br />

considerevoli, è sicuramente la caratteristica<br />

più importante delle Grotte, che a volte sono<br />

percorse da un piccolo ruscello le cui acque<br />

mormorano e bisbigliano, altre vengono<br />

attraversate da un fiume che si precipita a valle<br />

La risorgenza di Stiffe è conosciuta da molti anni dagli abitanti del luogo, infatti esistono<br />

documenti che ne fanno risalire la conoscenza dei primi ambienti in tempi molto lontani.<br />

Proprio la presenza di un copioso corso d'acqua all'interno della grotta ha permesso, agli inizi del<br />

XX secolo, la costruzione di una centrale idroelettrica: alimentata dalle acque trasportate a valle per<br />

mezzo di una condotta forzata, di cui qualche tratto è ancora visibile in prossimità dell'ingresso, ed<br />

ha costituito fonte di energia sino alla sua distruzione avvenuta durante la seconda guerra mondiale.<br />

Il progetto di valorizzazione della grotta risale a oltre trent'anni fa, ma solo negli anni ottanta si<br />

è provveduto alla realizzazione del stesso, per giungere, nel 1991, all'inaugurazione del Complesso<br />

Turistico "Grotte di Stiffe"; se, dopo aver visitato virtualmente questo sito, vorrai venire a trovarci,<br />

sappi che, mettendoti in contatto con il nostro centro prenotazioni, avrai tutte le informazioni di cui<br />

hai bisogno; in tal senso, è particolarmente indicato telefonare durante il periodo invernale e<br />

primaverile, poiché in qualche giorno dell'anno, a causa delle piene, le condizioni<br />

meteorologiche all'interno della grotta rendono impossibile la visita della Grotta<br />

DATI E NOTIZIE UTILI<br />

Le Grotte di Stiffe sono aperte tutti i giorni dalle ore 10:00 alle 13:00 e<br />

dalle 15:00 alle 18:00<br />

Per gruppi superiori alle 20 persone è consigliabile prenotare la visita, se si<br />

vuole usufruire del Biglietto ridotto per tutti i partecipanti.<br />

Il costo del biglietto d'ingresso, che include la visita <strong>guida</strong>ta della Grotta e<br />

l'accesso al Museo di Speleologia è di € 8.00, il biglietto ridotto costa €<br />

6.50 per i bambini di età compresa fra i 6 e i 10 anni.<br />

Le tariffe e gli orari potrebbero subire minime variazioni nei periodi di<br />

maggiore afflusso, per cui, prima della visita consigliamo di chiamare il<br />

Centro prenotazioni delle Grotte di Stiffe al numero 0682-86142.<br />

Nel periodo che va da Novembre ad Aprile, a causa delle incerte<br />

condizioni meteorologiche, è sempre consigliabile telefonare<br />

preventivamente.<br />

Dislivello 30 metri<br />

Durata 50 minuti<br />

Temperatura interna * 10 gradi centigradi<br />

la temperatura all'interno della grotta resta costante per tutto l'anno.<br />

32


REPERTI ARCHEOLOGICI<br />

AMITERNUM E LE CATACOMBE DI SAN VITTORINO - L'AQUILA<br />

Percorrendo la strada statale 80 che<br />

da L' Aquila conduce ad Amatrice,<br />

costeggiando il fiume Aterno, si<br />

impongono all' attenzione dei<br />

viaggiatori le possenti rovine dell'<br />

antica città sabina di Amiternum.<br />

Del suo fiorente passato si possono<br />

ammirare i resti del teatro, con una<br />

"cavea" dall' acustica perfetta,<br />

ricavata dal fianco di una collina.<br />

La scena conserva ancora degli<br />

elementi strutturali. Le murature<br />

sono in opera quasi reticolata e<br />

permettono di datare la struttura all'<br />

epoca augustea.<br />

Dalla parte opposta, a sinistra della<br />

strada principale, sorge l' anfiteatro che conserva l' intero perimetro e le murature in laterizio. Il<br />

monumento è databile al I sec. d.C., anche se vi sono stati, nel corso del tempo adattamenti e<br />

rifacimenti.<br />

Nei pressi dell' anfiteatro, gli archeologi hanno riportato alla luce una struttura tardo romana, di<br />

carattere pubblico, affiancata da una serie di ambienti mosaicati ed affrescati, disposti attorno ad un<br />

ampio cortile porticato.<br />

Risalendo verso il borgo di San Vittorino, nel cuore della chiesa romanica di San Michele, il<br />

visitatore scopre le catacombe dedicate a San Vittorino. Il cimitero sotterraneo si è sviluppato<br />

attorno alla tomba del Santo, risalente al V sec.; un' iscrizione ricorda che fu fatta edificare dal<br />

vescovo Quodvultdeus.<br />

Un primo vano è databile all' epoca romana, con lacerti di muro in opera reticolata ed<br />

incerta. Negli altri ambienti sono stati ritrovati resti umani di cristiani che vollero essere<br />

sepolti vicino alla tomba del Santo.<br />

Amiternum era un'antica città italica fondata dai Sabini, le cui rovine sorgono oggi a poca distanza<br />

dall'Aquila. Il suo nome deriva dal fiume, l'Aterno appunto, che l'attraversava anche se<br />

originariamente la città era collocata più a nord, sul colle di San Vittorino, e solo in seguito si<br />

spostò nella piana sottostante dove oggi è situata un'importante area archologica. Altre importanti<br />

testimonianze, tra cui una villa d'epoca romana, sono state rinvenute recentemente nell'area<br />

circostante, nei pressi di Coppito e Pizzoli.<br />

La città ha dato i natali ad uno dei maggiori storici romani, Sallustio ed è stata sede di diocesi<br />

insieme alle vicine città di Forcona e Pitinum. Pur essendo sopravvissuta alla caduta dell'Impero<br />

romano, Amiternum visse un periodo di grande decadenza fino a scomparire completamente nel X<br />

secolo.<br />

33


La città di Amiternum precede di<br />

molto l'epoca romana ed ha<br />

continuato a svilupparsi in maniera<br />

marcata fino al IV e V secolo d.C..<br />

Nel 293 a.C., durante la loro<br />

espansione nell'Italia centromeridionale<br />

al termine delle Guerre<br />

sannitiche, i romani conquistarono la<br />

città che divenne una prefectura, per<br />

essere promossa poi a municipium in<br />

età augustea.<br />

Sotto il dominio di Roma la città<br />

crebbe e diventò un grande centro<br />

urbano contando, nei periodi di<br />

massima espansione, decine di migliaia di abitanti.<br />

Nel II secolo a.C. Amiternum ottenne la cittadinanza optimo iure e con essa la possibilità, per i suoi<br />

abitanti, di contare politicamente nell'Impero. La città era inoltre un importante nodo stradale:<br />

situata lungo l'antica Via Cecilia che arrivava fino ad Hatria, da essa partivano inoltre la Via<br />

Claudia Nova e due diramazioni della Via Salaria.<br />

Per almeno quattro secoli, Amiternum ha rivestito il ruolo di centro del potere e vi hanno<br />

risieduto gli esponenti delle più importanti famiglie di Roma, mentre i normali cittadini<br />

vivevano, con ogni probabilità, nelle colline circostanti, le cosiddette Ville di Preturo. Dopo il V<br />

secolo la città cominciò a decadere in maniera lenta ma inesorabile.<br />

Nel Medioevo, fino a circa l'1000, era ancora presente ed ha dato i natali ad una serie di vescovi;<br />

successivamente venne unita alla diocesi di Rieti e da quel periodo cessò anche la sua già<br />

evanescente esistenza.<br />

L'area dell'originaria Amiternum è identificabile in base alle antiche strade che la lambivano<br />

sia a nord che a sud e che oggi corrispondono rispettivamente alla S.S. 80 e alla S.S. 17. La<br />

città era tagliata longitudinalmente da una strada interna, riportata alla luce recentemente, che ne<br />

costituiva il cardo e ne impostava lo sviluppo urbanistico, come testimoniano le rovine del teatro e<br />

dell'anfiteatro, costruiti in epoche differenti ma orientati entrambi sulla direttrice nord-sud.<br />

A nord del teatro, che costituiva il centro della città, era situato anche il Foro, il centro della<br />

vita pubblica in epoca romana; alla destra del fiume, sorgevano invece le terme alimentate da un<br />

acquedotto di cui restano alcuni ruderi<br />

Diversi personaggi di rilievo nella storia romana nacquero ad Amiternum, come testimoniano<br />

i fastosi palazzi e le ville rinvenuti nell'area. Il più antico di cui si hanno notizie è il console<br />

Appio Claudio Cieco, importante figura nel periodo delle guerre di Roma contro i Sanniti e<br />

ricordato soprattutto per aver avviato la costruzione della Via Appia nel 312 a.C.<br />

Nell'86 a.C. nacque in città lo storico Sallustio ed, alcuni decenni dopo, secondo alcune<br />

leggende, vi nacque Ponzio Pilato, futuro prefetto della Giudea, noto per aver processato e<br />

condannato Gesù Cristo ed in seguito condannato a morte da Tiberio.<br />

La regione circostante sarebbe legata anche all'ultima parte della vita di Pilato: secondo alcune<br />

leggende, il corpo del procuratore sarebbe stato lasciato insepolto e, chiuso in un sacco, affidato ad<br />

un carro di bufali lasciati liberi di peregrinare senza meta e sarebbe precipitato nel lago di Pilato, sui<br />

Monti Sibillini a circa 50 km da Amiternum, dall'affilata cresta della Cima del Redentore, come<br />

ulteriore punizione.<br />

Inoltre sembra che Pilato possedesse una villa nel luogo detto oggi Montagna di Pilato, presso<br />

San Pio di Fontecchio.<br />

Sempre ad Amiternum fu martirizzato, secondo la tradizione, San Vittorino.<br />

Di Amiternum, inoltre, fu vescovo Castorio, personaggio descritto da Gregorio Magno nei<br />

suoi Dialoghi.<br />

34


PELTUINUM – PRATA D’ANSIDONIA (AQ)<br />

Il sito di Peltuinum, il cui<br />

territorio è oggi compreso nei<br />

comuni di Prata d'Ansidonia e<br />

San Pio delle Camere, è inserito in<br />

un paesaggio unitario: la lunga<br />

vallata di Popoli mantiene quasi<br />

intatti i sistemi di comunicazione<br />

antichi (compreso l'asse tratturale)<br />

con tutti gli originari collegamenti tra castelli, borghi e pievi; è incorniciato a nord dal massiccio del<br />

Gran Sasso e a sud dal gruppo montuoso Sirente-Velino, vicino ai quattro grandi Parchi.<br />

La collocazione territoriale, esaltata dalla consistenza monumentale, focalizza l'attenzione,<br />

trasferendo il suo antico ruolo di punto commerciale nella rete viaria della transumanza in un<br />

nuovo ruolo di polo turistico che unisce l'interesse archeologico a quello ambientale nella stessa<br />

centralità topografica che aveva fatto la sua fortuna nell'età antica.<br />

Peltuinum è infatti facilmente raggiungibile da Roma, L'Aquila, Chieti, Pescara, ben servita da<br />

strade veloci (autostrada A24 e Provinciale 17). vicina ai grandi Parchi d'Abruzzo, equidistante dai<br />

mari.<br />

La storia della città<br />

La città di Peltuinum, fondata fra il I secolo a.C. ed il I secolo d.C. nel territorio abitato dal<br />

popolo dei Vestini, si estende su un pianoro sopraelevato rispetto all'Altopiano di Navelli emergente<br />

tra la valle dell'Aterno e quella del Tirino, naturali vie di attraversamento dell'Appennino<br />

Abruzzese.<br />

La città aveva un ruolo, sia politico che economico, strategico nel controllo dei traffici commerciali<br />

legati ai percorsi della transumanza; anche in tempi più vicini a noi il pianoro era attraversato in<br />

senso E-O dal Regio Tratturo Borbonico, le cui strutture doganali si sono insediate sul sistema di<br />

ingresso della città romana.<br />

La vita della città termina intorno al IV secolo, forse a causa di un terremoto più forte di quelli<br />

che si verificavano di frequente.<br />

Alla fase di abbandono segue poi un'intensa attività di spoliazione del materiale edilizio, come<br />

confermano i numerosi frammenti di decorazioni architettoniche, capitelli, colonne, grandi<br />

blocchi calcarei, sicuramente provenienti dagli edifici della città romana, riutilizzati nelle<br />

chiese e nei castelli medievali della vallata (in particolare nelle chiese di San Paolo a Peltuinum,<br />

Prata d'Ansidonia, Bominaco).<br />

Le ricerche tra passato e futuro<br />

Le prime campagne di scavo nella città furono<br />

condotte tra il 1983 e il 1985, in collaborazione fra<br />

la cattedra di Topografia dell'Italia antica<br />

dell'Università "La Sapienza" di Roma, la<br />

Soprintendenza archeologica d'Abruzzo, la<br />

Comunità Montana e gli Enti locali. La presenza di<br />

strutture emergenti dal livello del terreno nell'area<br />

centro-meridionale del pianoro, ha fatto sì che fosse<br />

data particolare attenzione a quello che poi si è<br />

rivelato essere un imponente complesso teatrotempio,<br />

che riprende modelli architettonici e<br />

urbanistici tipici della Roma augustea.<br />

35


Gli scavi misero in luce il tempio con il portico a tre bracci che lo circondava, e parte del<br />

teatro. Tra il 1986 e il 1996, la Soprintendenza ha quindi realizzato lavori volti al consolidamento e<br />

alla valorizzazione delle strutture note.<br />

Durante questo periodo si svolsero altre campagne di scavo che misero in evidenza il settore<br />

meridionale del teatro, su cui insisteva un piccolo apprestamento fortificato, interessante<br />

testimonianza della storia della Peltuinum medievale.<br />

Tra il 2000 e il 2002 le campagne di scavo si sono concentrate nell'area del teatro, portando in<br />

luce: parte delle gradinate per gli spettatori e del sistema di smaltimento delle acque<br />

meteoriche, le fondazioni della metà settentrionale dell'edificio scenico, la camera di manovra del<br />

sipario, il portico che chiudeva il complesso teatrale offrendo agli spettatori riparo dalla pioggia e<br />

dal sole in occasione delle rappresentazioni.<br />

L'impegno degli anni trascorsi, oltre all'acquisizione di importanti dati scientifici, ha consentito di<br />

evidenziare le articolazioni architettoniche del complesso monumentale.<br />

In prospettiva, come già accennato, c'è anche il recupero al complesso teatrale del castello<br />

medievale che, sfruttando ne le poderose strutture, sorse sull'antico ingresso meridionale e ne<br />

conserva all'interno resti importanti.<br />

Non è da dimenticare che, accanto al risultato più evidente delle campagne di scavo, costituito dalla<br />

riacquistata emergenza monumentale, esiste tutta una serie di materiali di differenti caratteristiche<br />

che costituisce già il nucleo iniziale per un antiquarium dell'antica Peltuinum.<br />

La città vestina di Peltuinum era attraversata dalla via Claudia Nova che corrisponde al<br />

tratturo. Si conservano i resti di lunghi tratti delle mura di cinta e ,parzialmente, anche della porta<br />

occidentale.<br />

Degli edifici pubblici attestati dalle fonti si conserva solo il teatro di età augustea che, diversamente<br />

dal solito, è esterno alle mura. La cavea, cosi come ad Amiternum, è ricavata sfruttando in<br />

parte il pendio naturale ed ha un diametro di 58 m.<br />

CORFINIUM –SULMONA (AQ)<br />

L’antica Corfinium si trova nella conca di<br />

Sulmona nei pressi dell'Aterno, a 345 metri<br />

d'altezza in posizione strategica sulla Via<br />

Valeria, prosecuzione della Tiburtina, percorso<br />

che collegava Roma con Ostia Aterni<br />

(Pescara) ovvero il Tirreno con l'Adriatico.<br />

L'attuale Corfinio, ha un aspetto medievale<br />

e sorge su uno sperone roccioso sull’attuale<br />

strada statale che nel tracciato ricalca<br />

quella secolare; anche l'abitato più antico si<br />

trova dov'era la vecchia capitale. Si entra nel<br />

centro storico lungo la Via Italiea e si giunge<br />

in Piazza Corfinio, ove le case disposte in<br />

curva seguono la linea della cavea dell'antico teatro romano.<br />

Qualche centinaio di metri prima di giungere a Corfinio, per chi proviene da Roma, accanto<br />

ai resti murari si erge la basilica Valvense, o di San Pelino, sorta sul luogo d’un cimitero<br />

paleocristiano dov'era sepolto Pelino, vescovo di Brindisi, martirizzato a Corfinium attorno all’anno<br />

350.<br />

La prima chiesa fu eretta nel V secolo; devastata tra il IX e il X secolo dai Saraceni e dagli Ungari,<br />

nel 1120 il vescovo Gualtiero la fece rifare in stile romanico e successivamente subì ulteriori<br />

trasformazioni, specie all'interno.<br />

36


Conserva uno splendido ambone<br />

commissionato dal vescovo Oderisio<br />

sul finire del 1170, importanti<br />

affreschi del XIV secolo e, nelle<br />

mura, parte delle circa 250 lapidi<br />

con iscrizioni che ci sono giunte<br />

dall'antichità.<br />

Forse non tutti sanno che<br />

Corfinium, già capitale dei<br />

Peligni, fu la prima capitale<br />

d'Italia.<br />

Quando la Roma precristiana iniziò<br />

la sua ascesa, assoggettando gran<br />

parte dei popoli della penisola, si<br />

limitava a concedere a taluni la<br />

cittadinanza latina, o, secondo criteri legati al censo, quella romana; ma questa prerogativa era<br />

legata più ai singoli che alle popolazioni nel loro insieme. Roma pensava così di mantenere il<br />

controllo in base al principio del "divide et impera".<br />

Ma le legittime aspirazioni dei popoli del centro-sud che spesso al suo fianco avevano combattuto<br />

nelle campagne di conquista, fecero sì che, nel 90 a. C., confederandosi, si ribellarono e istituirono<br />

un primo nucleo di Stato italiano eleggendo come capitale Corfinium, cui fu dato il nome di Italica,<br />

e coniando proprie monete.<br />

Come capitale ebbe però circa un anno di vita, perché la Lex Iulia, concedendo la cittadinanza<br />

romana alla maggior parte dei popoli confederati, sciolse la confederazione trasformando<br />

Corfinium in municipio romano.<br />

Già nel II secolo a.C. si dibatteva su quale status giuridico assicurare agli Italici. In proposito la<br />

"Lex Licinia Mucia de civibus redigendis” del 95 a.C., aveva mantenuto i criteri restrittivi di una<br />

precedente legge. 4 anni dopo però, il tribuno Livio Druso, vincendo le tante opposizioni, riuscì a<br />

far ottenere agli italiani il diritto di cittadinanza.<br />

Purtroppo, assassinato Druso, il tribuno Quinto Varo, cittadino romano, ma nativo di Sucrone in<br />

Iberia, fece abrogare la legge, scatenando il malcontento delle popolazioni colpite. Il pretore<br />

romano Servilio fu inviato ad Ascoli per inquisire secondo le nuove norme; qui si espresse in<br />

termini tanto minacciosi che fu massacrato assieme al seguito ed ai Romani residenti in città.<br />

Gli Italici si riunirono in un’assemblea per discutere su come reagire alle prepotenze di Roma. Vi<br />

parteciparono Marsi, Peligni, Marrucini, Vestini, Piceni, Sanniti, delegati dalla Lucania e<br />

dall'Apulia.<br />

I Vestini di Pinna, odierna Penne, la maggioranza degli Irpini, Nola e Nocera in Campania, le città<br />

greche di Napoli e Reggio parteggiarono per Roma. Erano popoli e città che già avevano ottenuto<br />

un trattamento di favore da Roma, come del resto Umbri ed Etruschi, che non intervennero<br />

all'assemblea dei rivoltosi. Tuttavia gli Italici fecero un ultimo tentativo di conciliazione, chiedendo<br />

nuovamente a Roma la cittadinanza.<br />

Di fronte all'ennesima risposta negativa, decisero di proclamare il nuovo Stato, con capitale<br />

Corfinium e creando una struttura politica simile a quella di Roma. Furono eletti due consoli, il<br />

marso Pompedio Silone ed il sannita Papio Mutilo, dodici pretori, nonché un Senato di 500 membri,<br />

e si coniarono monete con il nome del nuovo stato.<br />

La guerra divampò, con fasi alterne, specie in Abruzzo e Campania; molti gli scontri, migliaia<br />

i caduti da ambo le parti.<br />

Gli scontri militari continuarono, trasformandosi nella cosiddetta guerra sociale e nel<br />

conflitto tra Caio Mario e Cornelio Silla, che capeggiavano opposte fazione nell'ambito del<br />

potere romano. Corfinio si trovò coinvolta nelle lotta fin quando, nel 49 a.C., presidiata da<br />

truppe fedeli a Pompeo, fu conquistata.<br />

37


NECROPOLI DI POGGIO PICENZE (AQ)<br />

I giornalisti, si sa, sono di plastica e non avvertono<br />

emozioni, se non di fronte alla notizia. Meglio se cattiva<br />

notizia. Oggi, alcuni di loro hanno avuto un fremito, si<br />

sono accorti di avere un cuore oltre che una fotocamera e<br />

un portatile collegato in rete.<br />

E' stato quando una possente ruspa ha sollevato, delicata,<br />

il lastrone che chiudeva una tomba a camera, scavata<br />

appena l'altro ieri nella necropoli di <strong>Poggio</strong> <strong>Picenze</strong>. Sì,<br />

un'altra, presso quella di Fossa: i cimiteri dell'antica -<br />

e grande - città di Aveja, l'odierna Fossa. Già trovate o<br />

localizzate almeno 60 tombe: a tumulo (antichissime, settimo-ottavo secolo a.C.), a fossa (meno<br />

antiche) e a camera, più recenti (I-II sec. a.C.). Appunto a camera è la tomba aperta questa mattina<br />

dall'archeologo Vincenzo D'Ercole e dalle sue collaboratrici della Vestea.<br />

"Di solito - spiega D'Ercole - nelle tombe troviamo terriccio, detriti, resti e oggetti: si sono riempite<br />

nel corso dei millenni. Questa, dedicata ad una persona ricca, l'abbiamo trovata vuota guardando da<br />

un pertugio laterale. Caso raro, la prima volta in Abruzzo".<br />

Un portaprofumi di 2100 anni fa<br />

Per questo ai giornalisti è toccato di assistere all'apertura, al<br />

momento in cui il Sole ha accarezzato - dopo 2100 anni - le ossa<br />

fragili e minute di una donna, una fanciulla, visto che la prima<br />

cosa saltata fuori è un piccolo portaprofumi.<br />

Altri oggetti tondeggianti ("Vedo come delle palline" ha detto<br />

pragmatica una collega, dopo aver scrutato nella tomba), e<br />

probabilmente monili, si spera anche un letto o un giaciglio ornato<br />

di osso scolpito, potrebbero venire fuori dopo i primi scavi<br />

superficiali nel "pavimento" della tomba.<br />

L'ambiente funerario, sormontato da pietre, con soffitto a<br />

botte, è a forma di "L" molto tozza.<br />

Architrave e pareti perfettamente conservati, intonaco a posto, lastre levigate. La tomba, come<br />

le altre, si trova lungo una strada forse basolata che conduceva alla necropoli: un viale del cimitero,<br />

insomma. Lontano un paio di chilometri, il sito di Aveja a Fossa, e l'altro cimitero, la necropoli<br />

diciamo numero 1.<br />

E' una tomba femminile del II secolo a.C. quella mostrata questa mattina nella Necropoli di<br />

Varranone, nel cantiere della società Edimo, a <strong>Poggio</strong> <strong>Picenze</strong> (AQ).<br />

La scoperta ha riservato non poche sorprese, a cominciare dal fatto che è arrivata fino a noi ancora<br />

sigillata, senza che la terra l'abbia riempita nel corso dei secoli, come è accaduto per tutte le altre<br />

tombe scavate fino ad ora in Abruzzo.<br />

Così una volta sollevata la Pietra Sepolcrare che l'ha custodita fino ad oggi l'emozione è stata tanta.<br />

Nello spazio del sepolcro il primo raggio di sole dopo 2100 anni ha rivelato il contenuto:<br />

alcune ampolline porta profumo, brocche e pedine da gioco e una bella lucerna i primi oggetti<br />

di un luogo che sarà comunque scavato e studiato fin nei minimi dettagli.<br />

«Già da questi primi indizi – ha spiegato l'archeologo Vincenzo D'Ercole della Soprintendenza<br />

Archeologica per l'Abruzzo – possiamo asserire che si tratta di una sepoltura femminile del popolo<br />

dei Vestini. Anche lo scheletro, vista la dimensione ridotta delle ossa, rafforza questo dato.<br />

38


Una tomba di una donna molto ricca e che occupava una posizione privilegiata, vista la<br />

maestosità della sepoltura e la vicinanza con la strada romana che costeggia questa necropoli; quasi<br />

sempre, infatti, - continua D'Ercole – le tombe dei personaggi più importanti venivano posizionate<br />

nei pressi della via principale».<br />

Gli scavi alla Necropoli di Varranone, situata vicino quella di Fossa, sono iniziati da pochi giorni,<br />

dopo il lavoro di ricognizione tramite elicottero del Nucleo Tutela del Patrimonio dei Carabinieri<br />

iniziato nel 2003 che ha evidenziato la presenza di una sessantina di tombe e si stanno effettuando<br />

grazie al contributo proprio della ditta Edimo.<br />

«Questa nuova Necropoli – aggiunge D'Ercole – è molto simile a quella di Fossa. Presenta<br />

tombe a camera a tumulo e a fossa, collocabili in un periodo che va dall' VIII al I secolo a.C. e fa<br />

riferimento all'antica città di Aveja i cui resti sono ancora visibili alle pendici del vicino Monte<br />

Cerro. Per il momento – conclude l'archeologo della Soprintendenza – stiamo scavando grazie alla<br />

disponibilità di un privato, per il futuro auspichiamo un po' di attenzione da parte del Ministero per i<br />

Beni e le Attività Culturali affinché si possa ricostruire anche la storia di questa ultima necropoli<br />

che un ulteriore tassello nella costruzione della Via dei Vestini».<br />

La lastra funeraria di pietra bianca, custode di un tesoro sepolto da più di duemila anni, è<br />

stata sollevata in pochi minuti, ieri mattina, dal braccio di una ruspa, e ha restituito agli<br />

sguardi increduli degli archeologi, una tomba a camera risalente al II secolo avanti Cristo,<br />

ancora intatta.<br />

È la prima sepoltura del periodo rinvenuta in Abruzzo, con il vano interno libero dalla terra,<br />

e appartiene alla necropoli di Varranone, individuata nel territorio di <strong>Poggio</strong> <strong>Picenze</strong>, a pochi<br />

chilometri dall'Aquila, in una zona non molto distante dalla città funeraria di Fossa, all'interno del<br />

cantiere della Edimo costruzioni. Sono stati proprio gli operai della ditta, qualche giorno fa, a fare<br />

l'importante scoperta archeologica, dove è in costruzione un megacapannone in quella che dovrebbe<br />

diventare un'area di stoccaggio industriale.<br />

Lo scavo archeologico è stato eseguito dalla Soprintendenza, a cui è affidato il monitoraggio<br />

dell'area durante l'ampliamento della costruzione, in collaborazione con la cooperativa Vestea.<br />

I lavori di scavo, diretti dall'archeologo Vincenzo D'Ercole e finanziati proprio dall'impresa<br />

Edimo, hanno portato all'identificazione di una ventina di nuove tombe (ancora non scavate)<br />

appartenenti alla necropoli di Varranone, che già lo scorso anno aveva restituito 60 sepolture.<br />

L'estesa necropoli, insieme a quella di Fossa, faceva riferimento all'antica città romana di Aveja,<br />

che sorgeva con molta probabilità alle pendici del vicino Monte Cerro. La città funeraria<br />

conserva sepolture che possono essere datate tra l'VIII e il II secolo avanti Cristo.<br />

Proprio una tomba a camera del II secolo avanti Cristo, la numero 60, è stata aperta ieri mattina.<br />

Gli archeologi avevano già pulito l'ingresso della sepoltura, costituito da una breve scalinata ancora<br />

ben visibile, quando gli operai della Edimo, con una ruspa, hanno provveduto a sollevare la pesante<br />

lastra di pietra che chiudeva la camera funeraria. Illuminato dal sole particolarmente caldo della<br />

mattinata di ieri, il vano interno della tomba è apparso ben conservato, con chiari segni di intonaco<br />

sulle pareti e la volta a botte non ancora crollata.<br />

L'interno della sepoltura ha restituito le ossa di una donna accompagnate da un ricco<br />

corredo: alcune ampolline porta profumo, brocche, pedine da gioco e dadi.<br />

«Possiamo affermare con certezza che si tratta di una sepoltura femminile», ha spiegato D'Ercole,<br />

«lo testimoniano gli oggetti del corredo funebre e lo scheletro di dimensioni ridotte. La proprietaria<br />

della tomba doveva essere una donna molto ricca, con una posizione agiata all'interno della società<br />

dei Vestini». «La necropoli di Varranone», sottolinea il direttore degli scavi, D'Ercole,<br />

«insieme alle altre del territorio, testimonia come questa antica popolazione dell'Abruzzo<br />

interno godesse di notevoli privilegi: spesso, infatti, utilizzava le zone di pianura per le proprie<br />

necropoli, anziché sfruttarle per l'agricoltura».<br />

39


NECROPOLI DI FOSSA (AQ)<br />

I letti funerari in osso della necropoli di Fossa (AQ)<br />

I letti funerari in osso<br />

della necropoli di Fossa<br />

(Aq) sono certamente il<br />

rinvenimento più<br />

interessante che sia stato<br />

fatto a riguardo da<br />

almeno dieci anni ad oggi.<br />

Lo studio dei letti funerari<br />

dal punto di vista<br />

tipologico, iconografico e<br />

ricostruttivo è stato<br />

affrontato e portato avanti<br />

negli ultimi venti anni da<br />

molti studiosi che hanno<br />

posto le basi per una ricerca<br />

scientifica su questi<br />

esemplari.<br />

Le molteplici proposte di studio sono state rivolte all’individuazione delle caratteristiche<br />

specifiche dei vari tipi di letti. L’indagine è stata focalizzata soprattutto sul modo di realizzazione<br />

di questi esemplari, sul tipo di produzione, le botteghe e gli artisti, anche se, in un secondo<br />

momento, grazie alle fonti letterarie e alle testimonianze dei reperti, si è tentato un confronto fra i<br />

letti stessi, in cerca dei modelli che li avevano ispirati. Infine la ricerca è stata indirizzata verso<br />

l’interpretazione della simbologia funeraria presente nella decorazione di questi manufatti.<br />

L’analisi antroposociologica sembra al contrario non aver costituito un interesse precipuo della<br />

ricerca: infatti non ci si è mai soffermati, forse per mancanza di dati, a studiare attentamente i<br />

contesti di rinvenimento dei letti funerari. La comprensione del rito funerario in rapporto all’uso del<br />

letto in ambito locale è viceversa un dato fondamentale che non va perso di vista.<br />

Diverse notizie sul ritrovamento di letti funerari sono state affidate tra la fine dell’800 e gli<br />

inizi del ‘900 alla rivista di Notizie degli Scavi di antichità, con relazioni che però hanno il<br />

difetto di essere molto diaristiche e, nella maggior parte dei casi, poco utili alla documentazione<br />

scientifica.<br />

Una pietra miliare per la conoscenza e la classificazione dei<br />

letti è certamente lo studio di C. Letta, che, partendo<br />

dall’esame analitico della struttura della decorazione sia dei<br />

letti in avorio che di quelli in osso, ne ha fornito un metodo<br />

di lettura.<br />

Per oltre un decennio l’interesse verso i letti in osso è rimasto<br />

sopito, ma negli ultimi anni ci sono state nuove pubblicazioni.<br />

Nel recentissimo lavoro di Chiara Bianchi sui letti in osso della<br />

necropoli di Cremona si tenta, attraverso una attenta documentazione, di risalire ai centri di<br />

produzione dei letti di un’area che resta fuori dall’orbita commerciale.<br />

40


Il rinvenimento dei letti in osso della necropoli di Fossa ed il confronto con quelli della vicina<br />

necropoli di Bazzano evidenziano un quadro complesso dell’Abruzzo in età ellenistico –<br />

romana. La scoperta integra le nostre conoscenze sui costumi funerari dell’epoca e sui significati<br />

religiosi e sociali che concernevano l’uso di questi letti.<br />

Inoltre la presenza di simili oggetti di lusso va letta come un significativo documento del tenore dei<br />

manufatti circolanti nell’area aquilana in epoca romana e permette di chiarire meglio i rapporti con<br />

le più grandi e ricche città del centro Italia in cui essa gravitava.<br />

Da questo dato si può, forse, dedurre anche il compito svolto presso i popoli Vestini dalla<br />

romanizzazione.<br />

Le tombe della fase ellenistica<br />

E’ possibile delineare il quadro della fase<br />

ellenistico - romana della necropoli di Fossa<br />

attraverso l’analisi di circa centocinquanta<br />

tombe, escluse quelle neonatali, che<br />

permettono di conoscere il costume funerario<br />

locale nel periodo compreso fra la metà del<br />

IV a.C. ed il I sec. a.C.<br />

Il tipo prevalente di sepoltura è<br />

sicuramente quello a fossa, che fu<br />

utilizzato con continuità per quattro secoli<br />

in tutta la necropoli senza alcuna volontà<br />

distintiva di tipo sessuale o di classe.<br />

Solo intorno alla fine del III sec. a.C. sembra esserci un primo tentativo di monumentalizzazione, o<br />

perlomeno di diversificazione, delle strutture tombali.<br />

Un elemento che certamente differenzia queste tombe dalle normali fosse terragne è la<br />

lucerna, la cui presenza testimonia una ormai diversa concezione del sepolcro come ambiente<br />

delimitato in uno spazio vuoto costruito rispetto ai riempimenti in terra e pietra della<br />

semplice fossa.<br />

Bisogna infatti considerare che nelle fosse lo spazio vuoto fra il piano d’inumazione ed il tavolato<br />

ligneo di copertura era solo quello strettamente necessario ad ospitare l’ingombro di un corpo<br />

umano disteso (25-30 cm) mentre nelle tombe a cassone lo spazio vuoto si dilatava in altezza<br />

raggiungendo a volte le dimensioni necessarie a permettere l’accesso ad un uomo in piedi (150-200<br />

cm).<br />

Il ritrovamento di numerosi chiodi, staffe, angolari e perni all’interno di queste sepolture<br />

rafforza l’ipotesi dell’intento costruttivo.<br />

Questo sistema di seppellire fu affiancato più<br />

tardi, intorno agli inizi del II sec. a C., da tombe<br />

a camera costruite ed elevate in alzato a circa<br />

due metri dal terreno. Finora le tombe a camera<br />

rinvenute e portate alla luce sono otto, ma solo<br />

in cinque di esse sono stati ritrovati i letti con<br />

decorazione in osso.<br />

Sembra che la disposizione di queste tombe<br />

rispetti un preciso piano ordinatore: di fatto<br />

sono disposte ad angolo retto, probabilmente in<br />

asse con la strada, secondo una lottizzazione<br />

della necropoli creata da coloro che ne<br />

usufruivano.<br />

41


Le camere sono costruite, in alcuni casi su crepidini di sepolture più antiche, dai quali hanno<br />

prelevato e reimpiegato il materiale da costruzione.<br />

Nel caso della tomba 124 si nota, accanto ai blocchi in opera quadrata, una lastra concava sul lato<br />

sud orientale di sicuro riutilizzo.<br />

Queste tombe hanno una struttura ricorrente: la pianta esterna e il vano interno sono<br />

irregolarmente rettangolari, mentre le pareti esterne sono realizzate in opus incertum con<br />

blocchi litici, di dimensione variabile, cementati da malta e pietrisco.<br />

La copertura non si presenta piana in tutte le tombe: a volte sono utilizzate pietre squadrate e<br />

piccole lastre, altre volte è ottenuta accostando due o più lastre litiche.<br />

All’interno le pareti sono intonacate,<br />

anche se ne restano poche tracce. Il<br />

pavimento della tomba è solitamente in<br />

ghiaino pressato oppure è costituito da<br />

uno strato sabbioso, che presenta una o<br />

più buche nel terreno, all’interno delle<br />

quali vengono solitamente deposti i resti<br />

di sepolture precedenti.<br />

Effettivamente le tombe a camera di<br />

Fossa non vennero utilizzate per una sola<br />

sepoltura: i resti antropologici<br />

testimoniano due o tre momenti di<br />

frequentazione, per cui è probabile<br />

ipotizzare che una stessa famiglia, nel corso degli anni, deponesse i propri defunti all’interno della<br />

medesima tomba.<br />

Solo la tomba 1 (Scavi Usai) pare sia stata destinata ad un’unica deposizione, almeno in base ai<br />

dati esistenti, ma è credibile che al momento dello scavo non si sia scesi in profondità fino alla buca<br />

di riduzione.<br />

Le prime tombe a camera vengono costruite all’inizio del II sec. a.C. ed hanno una continuità<br />

di utilizzo maggiore rispetto alle successive.<br />

In un secondo momento, intorno alla metà del II sec. a.C. sembra esplodere il “fenomeno” della<br />

tomba costruita in alzato (tt. 124, 516), simbolo e ricordo delle famiglie emergenti di una certa<br />

comunità, mentre fra gli ultimi decenni del II a.C. e la prima metà del I a.C. si hanno le ultime<br />

testimonianze.<br />

E’ interessante sottolineare però che proprio nel periodo in cui comincia l’utilizzo delle tombe<br />

a camera c’è un’inflessione nel numero delle sepolture.<br />

L’abitudine di deporre all’interno delle camere i catafalchi funebri è certamente più tarda:<br />

dall’inizio del I sec. a.C. fino ai primi anni dell’impero.<br />

E’ pur vero che all’interno delle tombe a camera non sempre troviamo catafalchi funebri con<br />

decorazioni in osso, per cui si ipotizza che gli inumati fossero posti sopra letti semplici, fercula,<br />

costituiti da assi di legno bloccate da chiodi, di cui abbiamo numerose testimonianze.<br />

In relazione a ciò bisogna ipotizzare che solo alcune delle famiglie, che in precedenza avevano<br />

avuto la possibilità di costruire tombe a camera, avevano mantenuto lo stesso status, tale da<br />

permettere anche l’acquisto di un oggetto così pregiato.<br />

42


I corredi<br />

Appare spesso più facile comprendere il<br />

significato e la complessità di alcuni fenomeni<br />

solo partendo da un chiaro quadro di<br />

riferimento, pertanto sembra utile mostrare<br />

come si è articolata la necropoli di Fossa nei<br />

quattro secoli considerati (IV – I sec. a.C.),<br />

soffermandosi in particolare su quelli centrali<br />

che hanno offerto più materiale di studio.<br />

Dall’analisi dei corredi risulta evidente una<br />

netta distinzione in due fasi della necropoli:<br />

la prima inerente alle deposizioni databili fra la<br />

metà del IV e la fine del III sec. a.C., la seconda circoscritta tra gli ultimi anni del III a.C. ed i primi<br />

decenni dell’età imperiale.<br />

Per ciò che attiene la prima fase si osserva come l’elemento costante, e che resterà tale anche nel<br />

secondo periodo, sia l’olla globulare, deposta il più delle volte ai piedi dell’inumato, ed affiancata<br />

alternativamente da pocula, coppe o skyphoi.<br />

Accanto ai materiali ceramici è frequente la presenza di ornamenti personali come armille, anelli,<br />

fibule e vaghi di collana, che si trovano indistintamente sia in tombe femminili che maschili. Al<br />

contrario una netta distinzione sessuale sembra presente nell’utilizzo di nettaunghie da parte delle<br />

donne e di pinzette da parte degli uomini .<br />

La seconda fase (III - I a.C.) sembra avere inizio proprio con la costruzione delle tombe a<br />

cassone in cui oltre ad una maggiore quantità di oggetti ceramici si comincia a trovare anche<br />

l’associazione, che sarà poi ricorrente, di coltello- spiedo- kreagra.<br />

La ricchezza e complessità del materiale ceramico delle tombe a cassone e delle tombe a camera<br />

distingue certamente questa seconda fase di vita della necropoli.<br />

Alla ormai consueta associazione olla - olletta si accosta anche il binomio piatto- coppa e<br />

balsamario- pisside, mentre scompaiono del tutto gli elementi dell’ornato personale.<br />

Il corredo presente nelle tombe a camera è molto ricco ed eccelle rispetto alle coeve<br />

deposizioni a fossa non tanto per la varietà delle forme quanto per la quantità delle stesse e la<br />

presenza di particolari oggetti. Un elemento distintivo e certamente di grande importanza è il letto<br />

funerario, che però non è stato rinvenuto in tutte le camere sino ad ora scavate .<br />

Nelle sepolture è attestato il vasellame da banchetto, deposto, il più delle volte, presso le gambe o ai<br />

piedi del defunto: sembra attendibile la ricostruzione di un corredo - base per ogni deposizione a<br />

partire dai materiali ricorrenti.<br />

Nei corredi delle tombe a camera è<br />

frequente l’associazione di un piatto e di<br />

una coppetta in vernice nera, che a volte è<br />

sostituita o accompagnata da una ciotola<br />

a vasca più ampia. Questi due oggetti sono<br />

ovviamente legati alla sfera del banchetto e<br />

della mensa, riproposta nel corredo funebre.<br />

Solitamente i vasi in vernice nera si<br />

rinvengono vicini: a volte la coppetta è<br />

posizionata dentro al piatto, testimoniando il<br />

significato strettamente simbolico di tale<br />

vasellame.<br />

Altre forme rinvenute sono la lagynos che<br />

sostituisce lo skyphos, presente più frequentemente nelle tombe a cassone, e le anforette, che si<br />

trovano esclusivamente nelle camere, peraltro in tutti i momenti deposizionali, sia nelle riduzioni<br />

che nell’ultimo piano di inumazione sul pavimento della camera.<br />

43


I vasi a pareti sottili non<br />

compaiono fra il materiale<br />

ceramico del corredo, ma<br />

alcune forme di ceramica<br />

comune sembrano imitare<br />

proprio questo tipo.<br />

Tale imitazione sembra<br />

frequente nei bicchieri in<br />

ceramica da mensa che<br />

presentano pareti molto sottili e<br />

lavorate al tornio, pur<br />

distinguendosi per le forme.<br />

Un elemento sempre, anche se<br />

non esclusivamente ,<br />

associato alla deposizione in tomba a camera con letto funebre è lo strigile in ferro.<br />

Lo strigile, finora ritenuto un oggetto legato solamente alla sfera maschile, serviva alle donne oltre<br />

che per detergere anche per togliere una quantità eccessiva di unguento profumato sulla pelle prima<br />

di indossare gli abiti.<br />

Il tipo più comune nelle tombe si presenta come un cucchiaio lungo e stretto piegato a gomito, la<br />

ligula, con un manico ricurvo, il capulus, senza traccia di decorazione.<br />

Dal momento che nelle sepolture si trovano solitamente due o tre strigili dall’immanicatura diversa<br />

si può ipotizzare una vera e propria differenziazione fra strigili maschili e femminili, ma anche<br />

pensare alla presenza di un set che comprendesse strumenti di varie misure in base all’esigenza.<br />

E’ interessante notare che all’interno di una tomba a camera gli strigili si trovano non solo<br />

nella deposizione principale, ma anche in quelle più antiche, a testimonianza di una continuità<br />

d’uso.<br />

Accompagna questo oggetto per la pulizia personale il balsamario, sia quello fusiforme che quello<br />

piriforme, prevalentemente in ceramica comune, di cui troviamo spesso un set di esemplari di varie<br />

dimensioni; all’interno di due tombe a camera è stata trovata anche la pisside minia<strong>turistica</strong> in<br />

vernice nera.<br />

L’associazione di balsamari e strigili è giustificabile in quanto sono utilizzati insieme per la pulizia<br />

e la cosmesi del corpo.<br />

Alla sfera femminile sono comunque riconducibili l’ago crinale e lo specchio, che si rinviene in<br />

modo esclusivo nelle tombe a camera. Nella tomba a camera sono stati recuperati balsamari e<br />

specchio accanto ad una borchia in bronzo a pelle di bue, probabile elemento di chiusura di una<br />

cassetta in legno.<br />

E’ evidente che l’individuo adagiato sul letto aveva fra gli oggetti personali anche una sorta di<br />

cofanetto, kibotion, che conteneva gli strumenti di bellezza.<br />

Nel corredo delle camere si trovano accanto alle lucerne, presenti anche nelle tombe a cassone,<br />

i thymiateria in ferro, che probabilmente erano stati utilizzati durante la cerimonia funebre e<br />

poi lasciati in situ al momento della chiusura della tomba.<br />

Bisogna notare però che all’interno di una tomba non si trova una singola lucerna per ogni<br />

individuo, ma una per ciascun momento deposizionale.<br />

Infatti ci sono cinque inumati e soltanto tre lucerne, che documentano come il loro utilizzo fosse<br />

legato al rito della sepoltura e non alla persona defunta.<br />

Un elemento interessante e distintivo del corredo delle tombe a camera rispetto a quelle a<br />

fossa è rappresentato dalla presenza di numerose pedine in pietra e dadi in osso.<br />

44


Tali oggetti non sono in associazione esclusiva con i letti in osso, dal momento che sono stati<br />

rinvenuti anche nelle camere che ne sono prive.<br />

Sono possibili confronti con la vicina necropoli di Bazzano (Aq), dove però sia le pedine che i<br />

dadi accompagnano anche il corredo di tombe a fossa.<br />

Le tombe di Fossa hanno restituito circa sessantacinque pedine ed una ventina di dadi: in particolare<br />

nella t.1 sono stati rinvenuti piccoli elementi in osso di forma romboidale, che potrebbero essere<br />

interpretati come speciali pedine da gioco o meglio come parti di una scacchiera di piccole<br />

dimensioni.<br />

Le pedine rinvenute hanno una forma semisferica a base piatta e sono realizzate in pietra tenera, ma<br />

anche, come nel caso della tomba 63, in pasta vitrea colorata.<br />

Numerosi sono i colori delle pedine: prevalgono il bianco, il nero ed il rosa, ma sono presenti anche<br />

il marrone, il grigio ed il blu.<br />

Il diverso colore delle pedine potrebbe corrispondere al valore assegnato ad esse durante il gioco<br />

oppure potrebbe indicare la posizione all’interno di una supposta tabula lusoria.<br />

I dadi recuperati sono tutti in osso e di dimensioni pressoché identiche; sulle facce recano numeri<br />

impressi con punti coronati. All’interno di una tomba si rinvengono al massimo tre dadi, per cui si<br />

può supporre che il gioco prevedesse l’utilizzo di una terna.<br />

Il ritrovamento di dadi e pedine insieme e nella stessa tomba può essere giustificato<br />

ipotizzando l’esistenza di un gioco che prevedesse l’utilizzo combinato di entrambi, come<br />

l’attuale gioco dell’oca.<br />

E’ significativo che in molte tombe sia le pedine che i dadi siano stati ritrovati vicino alla mano<br />

dell’inumato o in prossimità degli arti superiori, forse ad indicare una consuetudine al gioco da<br />

parte del defunto.<br />

Il significato della presenza<br />

di questi instrumenta può<br />

essere solo ipotizzato, dal<br />

momento che<br />

l’identificazione del<br />

personaggio a cui<br />

appartenevano è alquanto<br />

difficile e destinata a<br />

rimanere nel campo delle<br />

ipotesi.<br />

E’ certo che tali oggetti di<br />

ampia diffusione avevano<br />

una funzione esclusivamente<br />

ludica ed erano diletto<br />

soprattutto di persone di alto<br />

rango che potevano<br />

permettersi il tempo ed il<br />

lusso del gioco.<br />

Una importante testimonianza è data dai ritrovamenti pompeiani: l’enorme quantità di<br />

reperti ludici conservati ha permesso il confronto ed una migliore conoscenza di questi<br />

oggetti.<br />

45


Dall’analisi del corredo di accompagno risulta evidente che la deposizione in una tomba a<br />

camera presenta un contesto più ricco rispetto alle tombe a fossa dello stesso periodo.<br />

Ad un’attenta osservazione appare chiaro un processo di standardizzazione per quei manufatti<br />

“comuni” alle deposizioni a fossa e a camera .<br />

Dunque il corredo, che in qualche modo rispecchiava la ricchezza in vita dell’individuo, permette di<br />

fornire indicatori certi dello status dei vari segmenti in cui era articolato il popolo vestino.<br />

Si distinguono, verosimilmente, più livelli sociali in base alle deposizioni: dal ceto basso delle<br />

tombe a fossa a quello medio delle tombe a cassone fino a quello elevato delle strutture<br />

tombali a camera.<br />

In tal senso va letta la presenza del letto funebre, in quanto simbolico elemento distintivo per le<br />

famiglie di ceto “aristocratico”, alle quali la collettività riconosceva un ruolo prestigioso.<br />

La natura decisamente particolare del mobile suggerisce alcuni caratteri del personaggio che<br />

lo utilizzò: innanzitutto relativamente all’adesione che questi accordò ad un rituale funerario che<br />

prevedeva un cerimoniale piuttosto elaborato, certo finalizzato ad esaltare la figura del defunto<br />

mediante la deposizione delle spoglie su un oggetto tanto prezioso , probabilmente caricato anche di<br />

valenze simboliche attraverso il contenuto del ricco apparato figurativo.<br />

Si ha la netta impressione che le deposizioni in fosse semplici avessero carattere piuttosto<br />

individuale, di rilevanza privata o al massimo familiare, mentre le cerimonie con l’utilizzo del letto,<br />

relative alle sepolture in tombe a camera, avessero una valenza pubblica, investendo probabilmente<br />

l’intera comunità quasi come fossero funerali di stato.<br />

La sola analisi dei corredi, pur aiutando a chiarire alcuni aspetti del costume funerario, non<br />

esaurisce il difficile problema del significato e dell’attribuzione del manufatto in osso al<br />

singolo inumato.<br />

In ciò risulta un efficace alleata l’indagine antropologica degli individui rinvenuti nelle tombe a<br />

camera.<br />

Le sepolture della necropoli vestina, esclusivamente ad inumazione, quindi non intaccate dal fuoco<br />

come avviene per le incinerazioni, hanno reso più facile il compito di chi ha studiato ed analizzato i<br />

reperti ossei.<br />

Se per le tombe scavate precedentemente in ordine di tempo era possibile sostenere<br />

un’attribuzione per via matrilineare delle tombe a camera con o senza letto funebre, ora alla<br />

luce delle nuove scoperte risulta difficile provarlo.<br />

46


REGIONE ABRUZZO - I PARCHI<br />

PARCO NAZIONALE DEL GRAN SASSO E MONTI DELLA LAGA<br />

Esteso per ben 148.935 ettari, il<br />

Parco Nazionale del Gran Sasso e<br />

Monti della Laga è un mosaico di<br />

natura e cultura.<br />

Si sviluppa sui territori di tre regioni<br />

(Abruzzo, Lazio e Marche) e include quarantaquattro<br />

comuni. Entro i suoi confini la natura è grandiosa: Corno<br />

Grande, Camicia e le altre cime del Gran Sasso<br />

attraggono da tempo gli appassionati di alpinismo ed<br />

escursionismo.<br />

Recentemente i riflettori si sono accesi anche per la Laga, i monti Gemelli e la grande ricchezza<br />

costituita dalle fasce pedemontane.<br />

Con la nascita del parco nazionale hanno, assieme alla tutela dei fiori e animali, iniziato a trovare la<br />

meritata attenzione centri storici annidati sui cotoni, chiese romaniche, tradizioni artigianali,<br />

produzioni agricole locali. Le attrattive naturalistiche sono di primissimo piano.<br />

I 2.912 metri del Corno Grande, affiancati dai picchi di Pizzo d'Intermesoli (2.564 m), Corno<br />

Piccolo (2.655 m), monte Prena (2.561 m), monte Camicia (2.564 m) offrono scorci spettacolari a<br />

chi sale lassù e pure a chi si limita ad ammirarne il profilo da Campo Imperatore o dai Prati di Tivo,<br />

i due grandi "balconi" del Gran Sasso.<br />

Come si visita un parco naturale come quello del Gran Sasso e Monti della Laga? I<br />

centocinquantamila ettari del parco sono un territorio pari o in alcuni casi superiore a quello<br />

dell'intera provincia. Ce n'è per una settimana "verde" durante le più lunghe vacanze estive, e pure<br />

per diversi fine settimana durante il resto dell'anno.<br />

Per percorrere a piedi i sentieri centrali del Gran<br />

Sasso va scelta la piena estate.<br />

Le stagioni intermedie sono perfette per gli itinerari di<br />

media e bassa quota, numerosissimi e di estremo<br />

interesse nell'area protetta.<br />

Pure l'inverno ha le sue carte: la scoperta in<br />

un'atmosfera surreale di tesori d'arte dei centri<br />

storici e delle chiese romaniche oppure, per i più<br />

sportivi, la visita delle cascate di ghiaccio dei torrenti sulla Laga.<br />

La vastità del territorio, la notevole estensione altitudinale, la tormentata morfologia, la millenaria<br />

presenza dell'uomo, hanno favorito, nel Parco, l'affermazione di una copertura vegetale quanto mai<br />

varia e articolata. A ciò si deve aggiungere la natura litologica che differenzia i gruppi del Gran<br />

Sasso e della Montagna dei Fiori - Montagna di Campli da quello della Laga: calcareodolomitici i<br />

primi, marnoso-arenaceo l'ultimo.<br />

Le differenze litologiche che si riflettono sull'idrografia, in quanto le rocce della Laga<br />

favoriscono la presenza di sorgenti anche a quote relativamente elevate, ciò che non è possibile<br />

nei litotipi calcarei idrovori del gran Sasso: anche da ciò dipende una diversificazione<br />

vegetazionale, almeno nelle forme di dettaglio. le particolari condizioni geochimiche della Laga<br />

permettono poi l'affermazione, su questo massiccio, di specie e comunità vegetali silicicole, assenti<br />

o molto più rare sul Gran Sasso.<br />

47


Vita animale: Il parco, con la sua linea di cresta di circa 90 km, funge da naturale cerniera tra<br />

la parte più settentrionale del sistema delle aree protette centro-appenniniche, cioè il Parco dei<br />

Monti Sibillini e quella meridionale, costituito dal Parco della Majella e dallo storico Parco<br />

d'Abruzzo, risultando così di fondamentale importanza nel sistema dei parchi Nazionali dell'Italia<br />

Centrale.<br />

La permanenza e la possibilità si spostamento dei mammiferi minacciati di estinzione e dei<br />

più rari orso bruno marsicano, camoscio d'Abruzzo, lupo, lontra, gatto selvatico, martora,<br />

trovano in questo nuovo parco un alleato prezioso per la loro sopravvivenza.<br />

Comuni: L'Aquila, Cagnano Amiterno, Campotosto, Capitignano, Montereale, Pizzoli, Barisciano,<br />

Calascio, Capestrano, Carapelle Calvisio, Castelvecchio Calvisio, Castel del Monte, Ofena, S.<br />

Stefano di Sessanio, Villa Santa Lucia; Campli, Civitella del Tronto, Cortino, Rocca Santa Maria,<br />

Torricella Sicura, Valle Castellana, Arsita, Castelli, Crognaleto, Fano Adriano, lsola del Gran<br />

Sasso, Montorio al Vomano, Pietracamela, Tossicia; Brittoli, Montebello di Bertona, Bussi sul<br />

Tirino, Pescosansonesco, Carpineto della Nora, Villa Celiera, Castiglione a Casauria, Civitella<br />

Casanova, Corvara, Farindola; Acquasanta Terme, Arquata del Tronto; Accumoli, Amatrice.<br />

Province: L'Aquila, Teramo, Pescara, Ascoli Piceno, Rieti.<br />

Ente gestore: Ente Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga.<br />

Gestione tecnica: Ente Parco<br />

Estensione: circa 143.000 ettari<br />

STRUTTURE<br />

Ufficio: c/o Presidenza Giunta Regionale d'Abruzzo - 67100 L'Aquila<br />

Centri direzionali: Assergi - Sede Legale Polo Amministrativo - via del Convento - 67010 Assergi<br />

L'AquilaTel: 086260521 - Fax: 0862606675<br />

Centro visite ed informazioni turistiche: a Pietracamela; in attivazione nei Comuni del Parco e<br />

presso le Province<br />

Musei: in corso di allestimento presso i centri all'interno del Parco; attualmente diversi musei sono<br />

presenti all'Aquila, Teramo e in altri Comuni del Parco<br />

Area faunistica: Camoscio d'Abruzzo a Farindola (Pe) e Pietracamela (Te)<br />

Giardino Botanico: Giardino Alpino a Campo Imperatore, per specie vegetali di alta quota<br />

Percorsi escursionistici: sentieri del CAI<br />

48


PARCO REGIONALE DEL SILENTE VELINO<br />

Il Parco del Sirente-Velino si estende per oltre 60.000<br />

ettari ed è costituito da una doppia catena di ontagne<br />

intervallate dall'altopiano delle Rocche, dai piani di<br />

Pezza e dai Piani di campo felice.<br />

Il suo territorio confina con il Lazio ad ovest, con la Conca<br />

del Fucino a sud e con il corso dell'Aterno a nord-est ed è<br />

caratterizzato, specie nelle cime più alte, dai fenomeni<br />

glaciali del quaternario con ampi circhi e con i famosi massi erratici.<br />

Presenti sono anche i fenomeni carsici, a cominciare dal Pozzo Caldaio, un<br />

inghiottitoio che raccoglie le acque del bacino di Rocca di cambio per<br />

rilasciarle nella risorgenza di Stiffe dove un complesso di interessanti grotte<br />

ricche di concrezioni calcaree, di stalagmiti e stalattiti.<br />

E' stato aperto al pubblico da pochi anni e vi si può accedere seguendo dei percorsi <strong>guida</strong>ti.<br />

Numerose sono le arre selvagge di particolare interesse naturalistico, come le gole di celano, lungo<br />

e stupendo canyon; i piani di pezza, i prati del Sirente, la foresta dell'Anatella, la valle di Majelama.<br />

La struttura è quella di tanti piccoli altipiani o valli altomontane movimentate da colli e<br />

dirupi, da cui si ergono le numerose vette del gruppo, i cui fianchi sono ricoperte da estese<br />

faggete.<br />

Il clima particolarmente rigido dovuto alla lontananza dei mari, alla presenza di altipiani fortemente<br />

ventilati e alle zone cacuminali sovente ricoperte di neve; non ha limitato l'assetto vegetativo del<br />

territorio che si presenta quanto mai ricco ed interessante dal punto di vista botanico.<br />

L'altopiano delle Rocche è conosciuto per le intense fioriture primaverili del narciso che hanno dato<br />

vita ad una suggestiva sagra folcloristica, meta di turisti e amanti della natura.<br />

I paesi del parco presentano rilevanti elementi di interesse archeologico,storico ed artistico.<br />

Le rovine di Alba Fucens testimoniano la vita di una città che al tempo dell'impero ospitò illustri<br />

personaggi.Massa d'Albe conserva, tra la'ltro, la chiesa di san pietro, importante esempio di<br />

romanico benedettino.<br />

Una zona che merita sicuramente una visita da questo punto di vista, è la bassa valle dell'Aterno,<br />

punteggiata da numerosi piccoli paesi ricchi di testimonianze storiche ed artistiche, come<br />

Fontecchio, Secinaro, Acciano, Gagliano Aterno e Campagna.<br />

Nello spettacolare scenario del versante settentrionale del Sirente, tra ampie faggete, meritano<br />

una visita le Pagliare di Tione e di Fontecchio testimonianza degli antichi insediamenti<br />

altomontani per l'utilizzo dei pascoli, oppure gli attrezzati centri di turismo montano, come<br />

Rocca di mezzo, Rocca di cambio ed Ovindoli, ottimi punti di partenza per escursioni nel<br />

parco.<br />

Ente Gestore: Ente Parco Naturale Regionale Sirente-Velino<br />

Sede: Via degli Orti di S. Maria - 67048 Rocca di Mezzo (AQ) Tel.: 0862/916343 Fax:<br />

0862/916018<br />

E-mail: sirvel@tin.it<br />

Superficie: 59.186 ha<br />

Comuni: Acciano, Aielli, Castel di Ieri, Castelvecchio Subequo, Celano, Cerchio, Fagnano,<br />

Fontecchio, Gagliano Aterno, Goriano Sicoli, L'Aquila, Magliano dei Marsi, Massa d'Albe, Molina<br />

Aterno, Ocre, Ovindoli, Pescina, Rocca di Cambio, Rocca di Mezzo, Secinaro, Collarmele e Tione<br />

degli Abruzzi.<br />

Provincia: L'Aquila Istituzione: 1989<br />

49


PARCO NAZIONALE DELLA MAJELLA<br />

Da tempo immemorabile la Majella<br />

rappresenta per gli abruzzesi la montagna<br />

madre. Per secoli la Majella è stata<br />

considerata la montagna sacra, madre di tutti<br />

gli uomini: qui i riti precristiani e le<br />

testimonianze del passato si sono conservate nei<br />

luoghi, nelle grotte preistoriche e nei paesaggi<br />

straordinariamente integri.<br />

Questa montagna, ricchissima di presenze archeologiche, offre la possibilità di<br />

ammirare rifugi occasionali in cui i cacciatori paleolitici lavoravano la selce. Una delle più<br />

importanti testimonianze preistoriche del territorio è la Grotta dei Piccioni di Bolognano, santuario<br />

frequentato dalle genti neolitiche che sacrificarono due bambini per adempiere ai culti della Dea<br />

Terra.<br />

Nel Medioevo divenne luogo di preghiera per numerosi eremiti. Eremi e abbazie fiorirono così<br />

numerosi che il Petrarca la definì Domus Christi: dal famosissimo eremo di Santo Spirito,<br />

monumento nazionale, a vere e proprie grotte, quali gli eremi di S. Onofrio di Serramonacesca, S.<br />

Giovanni all'Orfento, S. Bartolomeo, etc. L'Ente Parco fu istituito nel 1991 insieme a quello del<br />

Gran Sasso-Laga. L'Ente Parco ha sede a Guardiagrele e uffici a Pacentro e Caramanico Terme.<br />

La cima principale, è il Monte Amaro (2795 m), ma ve ne sono una trentina che superano i 2000 m.<br />

Tra queste si ricordano il Monte Acquaviva (2737 m), la Cima delle Murelle (2596 m),il monte<br />

Rotondo (2656 m) il monte Macellaro (2646 m) e il Monte Focalone (2676 m) con pareti quasi<br />

dolomitiche.<br />

Comuni: Abbateggio, Ateleta, Bolognano, Campo di Giove, Cansano, Caramanico Terme, Civitella<br />

Messer Raimondo, Corfinio, Fara S. Martino, Gamberale, Guardiagrele, Lama dei Peligni,<br />

Lettomanoppello, Lettopalena, Manoppello, Montenerodomo, Rapino, Rivisondoli, Roccacasale,<br />

Roccamorice, Roccapia, Roccaraso, Pacentro, Palena, Palombaro, Pennapiedimonte,<br />

Pescocostanzo, Pizzoferrato, Popoli, Pratola Peligna, Pretoro, Salle, Sant'Eufemia, S. Valentino,<br />

Serramonacesca, Sulmona, Taranta Peligna, Tocco a Casauria, Pettorano sul Gizio<br />

Province: Chieti, Pescara, L'Aquila<br />

Ente gestore e gestione tecnica: Ente Parco Nazionale della Majella - Guardiagrele Tel.<br />

0871800713<br />

Estensione: 74. 095 ettari<br />

50


PARCO NAZIONALE D'ABRUZZO<br />

Un vero tuffo nella natura è un visita al Parco<br />

Nazionale d'Abruzzo.<br />

Nato da una antica riserva reale di caccia, si<br />

estende su circa 40.000 ettari di superficie,<br />

circondato da una zona di protezione. Oltre<br />

all'Abruzzo interessa anche il Lazio ed il Molise, da cui la<br />

dizione di Nazionale.<br />

Comprende gli insediamenti di Pescasseroli, Opi, Civitella Alfedena e Barrea.<br />

Il paesaggio è nella sua varietà straordinario e d'interesse scientifico enorme: le Montagne di<br />

natura dolomitica si prestano a studi geologici, mentre la varietà della fauna (orsi bruni marsicani,<br />

lupi appeninici, camosci d'Abruzzo, cervi, caprioli, Aquile reali, lontre, gatto selvatico, gracchio<br />

corallino e alpino, picchio dalamtico, corvo imperiale, etc) e dalla flora attraggono ricercatori e<br />

turisti. Zone di particolare rilievo per la loro bellezza, sono: la camosciare, la Val Fondillo, il lago<br />

di Barrea ed il valico di Forca d'Acero.<br />

Come arrivare: il Parco Nazionale d'Abruzzo è attraversato dalla SS 83 (casello di Pescina<br />

della A 25 Roma-Pescara).<br />

E' questa una spina dorsale che, dopo aver costeggiato la parte settentrionale della piana del Fucino,<br />

si avvia verso l'area che precede il Parco, toccando Gioia dei Marsi e salendo in quota. Da Gioia<br />

Vecchio entra nel parco, tocca i 1391 m del rifugio del Diavolo, per ridiscendere ai 1167 m di<br />

Pescasseroli, "capitale" e porta del Parco.<br />

La strada risale verso i 1250 m di Opi, seguendo il percorso del Sangro fino a Villetta Barrea.<br />

Percorrere il bordo settentrionale del lago di Barrea fino a quest'ultimo centro, per poi abbandonare<br />

il territorio del parco ai 1164 m del colle della Croce e avviarsi verso Alfedena.<br />

Altro accesso dal settore nord-occidentale è quello della SS 479 (casello di Cocullo della A 25<br />

Roma Pescara).<br />

La statale da Anversa degli Abruzzi segue la valle del Sagittario, supera il lago di Scanno,<br />

percorre il bordo nord-orientale del Parco, alle pendici dei monti Godi, la Montagnola e MAttone e,<br />

attraverso curve e tornantini, s'innesta sulla SS 83 a Villetta Barrea.<br />

Da sud si accede al parco dalla SS 509 della val di<br />

Comino che, superato il passo di Forca d'Acero a<br />

1535 m, si dirige su Opi e, quindi, sulla SS 83. Da<br />

est, infine, autostrada A2 Roma - Napoli, uscita al<br />

casello di Caianello, SS 85 per Venafro; da qui,<br />

strada veloce per Cerro al Volturno e Rionero<br />

Sannitico, dove s'imbocca la SS 83 per Alfedena. In<br />

ferrovia: da Roma, con la Roma-Avezzano-Pescara,<br />

si scende alla stazione di Avezzano, poi si procede in<br />

bus fino a Pescasseroli; da Napoli, con la Napoli-<br />

Castel di Sangro-Pescara, si scende alla stazione di Alfedena, poi in bus si arriva a Pescasseroli.<br />

Le passeggiate nella natura:da ciascuno dei comuni del Parco partono itinerari segnalati che<br />

<strong>guida</strong>no il visitatore alla scoperta dei singoli ambienti. Sono 150 itinerari, solitamente di non<br />

difficile percorrenza, da esaurire nella maggior parte dei casi entro l'ora. Alcuni sono più<br />

impegnativi, richiedono maggiore disponibilità alla scoperta dei luoghi.<br />

Il visitatore può percorrerli senza problemi perché ben segnalati, riconoscibili e programmabili sulla<br />

carta <strong>turistica</strong>, acquistabile presso gli uffici del Parco.<br />

51


Le visite partono dai 25 accessi attrezzati, contrassegnati da lettere dell'alfabeto.<br />

Comuni: in Abruzzo: Alfedena, Barrea, Bisegna, Civitella, Alfedena, Gioia dei Marsi, Lecce dei<br />

Marsi, Opi, Pescasseroli, Scanno, Villavallelonga, Villetta Barrea. Nel Lazio: Alvito, Campoli<br />

Appennino, Picinisco, San Biagio, Saracinisco, San Donato Val di Comino, Settefrati. In Molise:<br />

Castel S. Vincenzo, Filignano, Pizzone, Rocchetta al Volturno, Scapoli.<br />

Province: L'Aquila, Frosinone, Isernia.<br />

Ente gestore e gestione tecnica: Ente Autonomo Parco Nazionale d'Abruzzo.<br />

Estensione: 44400 ettari Simbolo: Orso bruno marsicano<br />

STRUTTURE<br />

Uffici: Sede Centrale: Via Tito Livio 12 - 00136 Roma (06) 35403331; Ufficio Operativo: Via S.<br />

Lucia - 67032 Pescasseroli (AQ) (0863) 912132 ; Centro Studi Ecologici Appenninici: Via S. Lucia<br />

- 67032 Pescasseroli (AQ) (0863) 910405; Servizio Sorveglianza: Via Rovereto 4 - 67032<br />

Pescasseroli (AQ) (0863) 91717<br />

CENTRI VISITA ED INFORMAZIONI TURISTICHE:<br />

Museo naturalistico, Parco faunistico e Giardino appenninico di Pescasseroli (0863) 910405<br />

Ufficio di Zona di Pescasseroli - Vico Consultore 1 - Pescasseroli (AQ) (0863) 91955<br />

Ufficio di Zona, Museo del Lupo, Area Faunistica del Lupo e della Lince di Civitella Alfedena -<br />

Via S. Lucia - 67030 Civitella Alfedena (AQ) (0864) 890141<br />

Ufficio di Zona di Villavallelonga e Laboratorio Ecologico Area Faunistica e Museo del Cervo -<br />

67050 Villavallelonga (AQ) (0863) 949261<br />

Ufficio di settore Mainarde e Museo dell'Orso - Via Nazionale 86076 Pizzone (lS) (0865) 951435<br />

Area Faunistica e Museo del Camoscio d'Abruzzo - Opi (AQ)<br />

Area Faunistica e Museo del Capriolo - Bisegna (AQ) (apertura stagionale)<br />

Area Faunistica Camoscio d'Abruzzo - Castelnuovo al Volturno (IS).<br />

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LE LOCALITA’ SCIISTICHE VICINE ALL’AQUILA<br />

CAMPO IMPERATORE –<br />

FONTE CERRETO (AQ)<br />

La quota elevata favorisce un ottimo<br />

innevamento per buona parte<br />

dell’inverno. A valle di Campo<br />

Imperatore, la conca di Monte Cristo<br />

(1.450 metri) ospita altri 4 skilift e<br />

alcune piste piu' brevi.<br />

L’altopiano di Campo Imperatore offre<br />

buone possibilita' agli appassionati del fondo, mentre i canaloni del<br />

Gran Sasso consentono innumerevoli itinerari di fuoripista e scialpinismo.<br />

Il piu' classico tra questi e' la discesa dei Tre Valloni, dall’albergo alla base della funivia.<br />

A Campo Imperatore sono un albergo e un ostello, altri 4 alberghi sono in funzione a Fonte Cerreto.<br />

E' possibile utilizzare anche le strutture ricettive de L’Aquila. Fonte Cerreto si raggiunge in 4 km<br />

dal casello di Assergi della A 24, ed e' quindi a 18 km da L’Aquila e a 41 km da Teramo. La<br />

stazione FFSS piu' vicina e' quella de L’Aquila.<br />

LA STAZIONE SCIISTICA<br />

La stazione sciistica di Campo Imperatore, (Funivia tel. 0862<br />

606143 - 0862 400007) nata intorno agli anni 50 attualmente<br />

offre 20 Km di piste con impianti di risalita che assicurano una<br />

portata oraria di 4.000 persone e una presenza di oltre 100.000<br />

sportivi l'anno.<br />

Come arrivare<br />

da Roma, A24 uscita Assergi<br />

Per informazioni:<br />

Centro Turistico del Gran Sasso 086222146 (impianti di risalita)<br />

Funivia del Gran Sasso 0862606143,<br />

Scuola di Sci 0862400012.<br />

Sito web: http://www.ilgransasso.it/<br />

FUNIVIA BIFUNE VA E VIENI<br />

Collega Fonte Cerreto, mt. 1100 (dal vicino casello autostradale uscita Assergi) al complesso<br />

sciistico di Campo Imperatore mt. 2200, superando in 7 minuti un dislivello di 1100 metri.<br />

Dotata di due cabine con portata singola di 100 passeggeri/corsa.<br />

SEGGIOVIA FONTARI<br />

Collega gli impianti sciistici, stazione di valle località FONTARI, alla stazione di monte con arrivo<br />

in prossimità dell'Albergo Campo Imperatore ed alla stazione della funivia.<br />

La seggiovia del tipo quadriposto ad ammorsamento automatico, con portata oraria di 2.200<br />

viaggiatori.<br />

SEGGIOVIA SCINDARELLA: nuovo impianto anno di costruzione 2003 del tipo quadriposto ad<br />

ammorsamento automatico, con portata oraria di 2.400 viaggiatori.<br />

Campo scuola con manovra.<br />

Il Centro Turistico Gran Sasso d'Italia ha attrezzato una pista per lo sci di fondo alla base della<br />

seggiovia FONTARI.<br />

Tracciati più impegnativi sono possibili lungo l'altipiano che si estende verso la località<br />

"RACOLLO" di S. Stefano di Sessanio e la "VETICA" di Castel del Monte, dove ogni anno si<br />

svolgono gare a carattere nazionale ed internazionale.<br />

53


CAMPO FELICE – ROCCA DI CAMBIO (AQ)<br />

Frequentatissimo dagli sciatori romani, che la<br />

raggiungono comodamente attraverso la A 24, le piste<br />

di Campo Felice si distendono poco a sud de L’Aquila,<br />

alle pendici del massiccio del Velino.<br />

Gli impianti di risalita, compresi tra i 1.400 e i 2.064 metri<br />

di quota, includono 6 seggiovie (di cui due quadriposto) e<br />

6 sciovie e servono 15 piste da discesa per complessivi 40<br />

km di sviluppo, cui si aggiungono 5 tracciati piu' brevi<br />

utilizzati dalla Scuola di Sci.<br />

Il fondista ha a disposizione le piste che si snodano<br />

sull’altopiano di Campo Felice e vari itinerari a carattere<br />

escursionistico.<br />

La localita' si raggiunge da L’Aquila attraverso Lucoli (31 km) o dal casello di Tornimparte della A<br />

24 (21 km). e' anche possibile arrivare sci ai piedi a Campo Felice da Rocca di Cambio (27 km da<br />

L’Aquila e 42 da Avezzano) utilizzando gli impianti della Brecciara.<br />

Come arrivare<br />

In auto da Roma<br />

Autostrada A24 per L’Aquila Uscita Tornimparte (Km. 84) e bretella di raccordo con la base degli<br />

impianti (Km.16).<br />

In auto da L’Aquila<br />

Versante Brecciara: Seguire le indicazioni per Avezzano, Rocca di Cambio e Campo Felice fino<br />

alla base della seggiovia Brecciara (Km.20).<br />

Versante Campo Felice: Prendere la SS. 584 per Lucoli fino alla base degli impianti (piana di<br />

Campo Felice).<br />

Per informazioni:<br />

Campo Felice S.p.A. numero verde 800-019129<br />

Direzione Stazione Rocca di Cambio (AQ) tel. 0862917803<br />

E-mail: mailto:campofelice@campofelice.it<br />

Web: www.campofelice.it<br />

Nella sua carta d’identità, alla voce piste, Campo Felice può scrivere piste per tutti i gusti e con<br />

dislivelli che superano anche i 600 metri; da quelle più facili, particolarmente indicate per i<br />

principianti (azzurre), a quelle intermedie (rosse), fino a quelle più impegnative in grado di<br />

soddisfare gli sciatori particolarmente esperti ed esigenti (nere). Piste sempre battute, lisciate e<br />

curate, con 6 moderni battipista.<br />

Impianti<br />

Servono tutte queste discese, 3 seggiovie biposto, 4 seggiovie quadriposto (di cui una ad<br />

ammorsamento automatico), e 3 sciovie, per una portata complessiva di oltre 15.000 persone<br />

l'ora.<br />

Innevamento programmato<br />

Neve caduta dal cielo, ma anche fatta in casa; un modernissimo impianto ad automazione<br />

integrale, dotato di 170 cannoni, è in grado di innevare oltre 10 Km di discese.<br />

Una tecnologia d’avanguardia che assicura la massima produzione di neve, anche alle temperature<br />

marginali, e l’utilizzazione di tutte le ore di freddo. 35 sonde di rilevamento termico dialogano<br />

costantemente con il computer che, al verificarsi delle condizioni idonee, dispone la messa in<br />

funzione dei 170 cannoni dislocati lungo le piste.<br />

Il fabbisogno idrico dell’impianto, del tutto autonomo, è assicurato da un lago di accumulo, della<br />

capacità di 35 milioni di litri, realizzato in un impluvio naturale alla base della seggiovia Cisterna.<br />

Piste<br />

La favorevole conformazione geografica, fa si che anche in presenza di nebbia, tutte le piste<br />

riconducano lo sciatore sul vasto plateau, come fa un telaio con i molti fili di una stessa trama.<br />

54


MONTE MAGNOLA - OVINDOLI (AQ)<br />

M. Magnola alt. 1350-2220m<br />

Come raggiungerci<br />

La zona dedicata agli sport invernali è quella di Monte Magnola accanto<br />

al Monte Velino a sud dell'Aquila, presso la cittadina di Ovindoli, dove<br />

si sviluppano oltre 30 chilometri di piste di varia difficoltà, alcune<br />

innevate anche artificialmente.<br />

Si scia dai 1440 m. ai 2200 in uno scenario di incomparabile<br />

bellezza. Da segnalare anche lo stadio per il fondo a 1800 m.<br />

In auto da Roma e da Pescara<br />

Autostrada A24-A25. Uscita consigliata Aielli-Celano e proseguire per la Strada Statale 5 Bis<br />

Sarentina<br />

In treno<br />

Stazioni consigliate: Celano o Avezzano<br />

In autobus<br />

Linee ARPA da Roma o da Avezzano<br />

Informazioni<br />

I.A.T. Ovindoli<br />

Informazioni turistiche<br />

telefono 0863706079 orario d'ufficio<br />

numero verde 800 502520<br />

Sito web: http://www.ovindolimagnola.it/<br />

55


RISERVE NATURALI – NAZIONALI E REGIONALI<br />

Le riserve naturali, come i numerosi<br />

parchi, ospitano moltissimi animali<br />

come il camoscio d’Abruzzo, l’Orso<br />

Bruno marsicano simbolo del parco<br />

Nazionale D’Abruzzo, cervi, diverse<br />

varietà di volatili ed altri animali<br />

presenti nei parchi che si possono<br />

avvistare durante le escursioni<br />

naturalistiche.<br />

Le riserve regionali istituite dalla Regione Abruzzo sono gestite dai<br />

Comuni che, in piu’ casi, si avvalgono di Comitati di Gestione allargati ad<br />

altri enti e associazioni.<br />

Alcune di queste riserve, avendo reintrodotto nel loro territorio animali ormai scomparsi e<br />

salvaguardato le specie esistenti, si configurano come veri e propri laboratori viventi poiche’<br />

offrono numerose possibilita’ di ricerche sul campo non solo agli addetti ai lavori ma, soprattutto,<br />

agli studenti di ogni ordine e grado.<br />

Nelle aree del Bosco di Don Venanzio e della Lecceta di Torino di Sangro, istituite con Legge<br />

Regionale n. 45 dell'11 settembre 1979, sono vietati l'abbattimento di ogni specie di pianta e la<br />

raccolta o l'estirpazione della flora minore, nonche’ l'apertura di strade carrabili e l'utilizzo del<br />

territorio per qualsiasi costruzione edilizia poiche’ sono state riconosciute biotopi di particolare<br />

interesse vegetazionale.<br />

Le Riserve statali abruzzesi, 13 per un totale di 19.421,7 ettari,<br />

sono sorte su terreni demaniali e gestite dal Corpo Forestale dello<br />

Stato attraverso le ex Aziende di Stato per le Foreste Demaniali.<br />

Il Parco Territoriale Attrezzato, come definito nell’art. 10 della Legge<br />

Regionale 61/80, e’ un territorio con notevoli caratteristiche naturali<br />

ed ambientali, atto a soddisfare le esigenze per l'impiego sociale del<br />

tempo libero nel rispetto del patrimonio naturalistico In Abruzzo ne<br />

sono stati istituiti sei: tre in provincia di Pescara e uno per ogni altra<br />

provincia (L'Aquila, Chieti, Teramo).<br />

Avviato nel 1971 e diffuso in tutto il territorio nazionale, il sistema<br />

delle oasi del WWF ha finalità didattiche e di conservazione della<br />

fauna.<br />

Oggi in Abruzzo sono in funzione 6 aree di questo tipo.<br />

Le oasi del Lago di Penne, del Lago di Serranella e della Majella<br />

Orientale coincidono però con le omonime riserve naturali regionali.<br />

56


VERDE E NATURA<br />

Le montagne d'Abruzzo<br />

sono formate in buona<br />

parte da calcare.<br />

Culminano nei 2912 metri<br />

del Gran Sasso, ai piedi del<br />

quale si cela il piccolo<br />

ghiacciaio del Calderone, il<br />

più meridionale in Europa e<br />

l’unico dell'Appennino.<br />

Grande importanza hanno<br />

anche i massicci della<br />

Majella (2795 metri), del Velino (2486 metri) e del Sirente (2358<br />

metri) e dei monti del Parco Nazionale d'Abruzzo, che hanno la loro<br />

vetta più elevata nel monte Marsicano (2253 metri).<br />

Sul confine con il Lazio, spicca la catena dei Simbruini-Ernici, la cui<br />

massima elevazione è il monte Viglio (2156 metri). Pareti rocciose<br />

compaiono sul Gran Sasso, sulla Majella, sul Velino e sul Sirente. Tipici della regione sono gli<br />

altopiani, gli inghiottitoi e i canyon.<br />

Da non perdere le cascate di Zompo lo Schioppo, della Sfischia e del Verde, i laghi di<br />

Campotosto, di Barrea e di Scanno e le grotte del Cavallone, Beatrice Cenci e di Stiffe. Sola<br />

eccezione geologica nel regno del calcare sono i Monti della Laga, costituiti da marne e arenarie, in<br />

cui svetta il monte Gorzano (2458 metri), ai quali si affiancano i massicci calcarei della Montagna<br />

dei Fiori e della Montagna di Campli.<br />

Al confine con il Molise si alzano i Monti Pizi e i Monti dei Frentani. Scandite dai fiumi (tra questi<br />

il Tronto, il Tordino, il Vomano, il Tavo-Saline, l'Aterno-Pescara, il Sangro e il Trigno), le colline<br />

abruzzesi sono in buona parte coltivate. Sorgenti, boschi e torrenti offrono però delle parentesi di<br />

natura intatta, cui si affiancano i calanchi di Atri e dell'Alento.<br />

Di grande valore naturalistico sono i laghi di Serranella e di Penne, dove sostano molte specie<br />

rare di uccelli. Anche il litorale merita una visita da parte degli appassionati della natura.<br />

In gran parte sabbiosa, la costa si alza tra Ortona e Vasto nei promontori di Punta del Cavalluccio e<br />

Punta d'Erce. Oasi verdi sono offerte dalle pinete di Santa Filomena e Pineto e dalla lecceta di<br />

Torino di Sangro.<br />

Orsi e camosci, pareti di<br />

roccia e foreste, dolci<br />

paesaggi collinari e<br />

magnifiche spiagge<br />

sabbiose.<br />

Tra le alte vette del Gran<br />

Sasso, della Majella e del<br />

Velino e la linea dorata<br />

della costa, la natura<br />

dell'Abruzzo forma un quadro di grande varietà e suggestione<br />

che e' possibile apprezzare in ogni momento dell'anno.<br />

Grazie ai parchi nazionali del Gran Sasso-Monti della Laga, della Majella e d'Abruzzo, al Parco<br />

Regionale Sirente - Velino, a una fitta rete di riserve naturali regionali e statali e di oasi gestite dalle<br />

associazioni ambientaliste, la natura dell'Abruzzo e' oggi adeguatamente salvaguardata, e può essere<br />

facilmente visitata da parte dei singoli appassionati come dei gruppi organizzati.<br />

57


Il signore assoluto e' il faggio. Dal bosco di Sant'Antonio al Gran<br />

Sasso, e dalla val Fondillo al Sirente, le faggete caratterizzano il<br />

paesaggio vegetale dell'Abruzzo, occupando quasi ovunque la fascia<br />

tra i mille metri e il limite superiore della vegetazione arborea.<br />

L'abete bianco, perseguitato da secoli di tagli, e' ancora presente<br />

sulla Laga, a Rosello e in val Fondillo.<br />

Nel vallone di Santo Spirito (Majella) e sul monte Godi (Parco<br />

Nazionale d'Abruzzo) cresce una sottospecie endemica di pino nero,<br />

mentre abbondano ovunque i rimboschimenti a pino nero d'Austria.<br />

Sotto ai mille metri di quota, la montagna abruzzese e' rivestita da boschi di cerro, carpino nero,<br />

nocciolo, acero campestre, acero minore, ciliegio e altre specie.<br />

Nelle zone piu' assolate fanno la loro apparizione specie tipiche della macchia mediterranea come il<br />

leccio, la roverella e il corbezzolo. Il castagno cresce in val Roveto e sulla Laga.<br />

I crinali della Camosciara e della Majella sono ricoperti da<br />

una fitta macchia di pino mugo, cui si affiancano uva ursina,<br />

ginepro nano e mirtillo nero.<br />

Qua e la', le betulle testimoniano di epoche piu' fredde<br />

dell'attuale. Tra la primavera e l'estate, in montagna fioriscono<br />

genziane, orchidee selvatiche, peonie, ciclamini, ranuncoli e<br />

viole. Tra le specie piu' rare sono il giglio rosso, il giglio<br />

martagone, l'aquilegia, la scarpetta di Venere e l'iris marsica.<br />

Ancora piu' su crescono la stella alpina appenninica<br />

(concentrata sulla Majella e sul Gran Sasso) i Sempervivum, il<br />

genepi' dell'Appennino, l'adonide curvata, la sesleria, la centaurea, la soldanella, l'anemone<br />

dell'Appennino, il papavero alpino e il salice erbaceo.<br />

L'orso marsicano e' l'animale piu' prezioso della regione. Concentrato tra la valle del Sangro e<br />

le Cinque Miglia, il plantigrado e' presente con piccoli nuclei sulla Maiella e sul Sirente, e forse sui<br />

Simbruini e sul Gran Sasso. e' molto difficile da osservare: una caratteristica che lo accomuna al<br />

lupo, eterno vagabondo dell’Appennino, che gode oggi di buona salute su tutti i massicci abruzzesi.<br />

Rare sono anche la lince e la lontra, segnalate rispettivamente nella valle del Sangro e sulla<br />

Majella.<br />

L'animale di grossa taglia piu' facile da osservare e' il<br />

camoscio appenninico, che vive in val di Rose e sul monte<br />

Amaro nel Parco Nazionale d'Abruzzo, nell'anfiteatro delle<br />

Murelle (Majella) e sul monte Camicia (Gran Sasso).<br />

Onnipresente e' il cinghiale, introdotto a scopo venatorio in molti<br />

boschi della regione.<br />

Poco diffusi rispetto alle Alpi sono invece il cervo e il capriolo.<br />

Tra i mammiferi di minor mole sono presenti il gatto selvatico, la<br />

martora, la volpe, il riccio, il tasso, la faina, il ghiro, la donnola,<br />

l'arvicola delle nevi e lo scoiattolo meridionale.<br />

Tra i rapaci sono diffusi l’aquila reale, la poiana, il nibbio<br />

bruno, il gheppio, l'albanella comune, il falco pellegrino e il<br />

lanario tra i diurni, il gufo reale, l'allocco e la civetta tra i<br />

notturni.<br />

L’elenco degli uccelli di montagna continua con il corvo imperiale, il gracchio, il codirosso<br />

spazzacamino, il sordone, la coturnice e il gracchio corallino.<br />

Nei boschi vivono il picchio verde, il picchio rosso maggiore e il picchio dorsobianco di Lilford.<br />

Nelle aree umide sostano l'airone cenerino, l'airone rosso, la nitticora, la garzetta, la spatola, lo<br />

svasso maggiore, la gru, la gallinella d'acqua, il cavaliere d'Italia, la cicogna bianca, il mignattaio e<br />

la folaga, e anatidi come la moretta tabaccata, il moriglione, il germano reale e il fischione. Sul<br />

litorale si avvistano il gabbiano reale, il gabbiano comune e il gabbianello, mentre al largo vivono il<br />

gabbiano tridattilo, la sterna comune e la berta maggiore.<br />

Tra i rettili sono presenti la vipera dell'Orsini, la vipera comune, la natrice e il cervone.<br />

58


I LAGHI DEL COMPRENSORIO AQUILANO<br />

LAGO LINIZZO – SAN DEMETRIO NE VESTINI (AQ)<br />

luogo di vacanza e piscina naturale.<br />

A circa un Km dal paese in un ambiente<br />

naturale intatto e suggestivo, si trova il<br />

Lago Sinizzo.<br />

A 702 m. s.l.m., di origine carsica, ha un<br />

diametro di circa 200 m. ed occupa una<br />

depressione che risale ad un milione di<br />

anni fa.<br />

Lo specchio d'acqua di forma circolare, e'<br />

circondato da una ricca vegetazione e si<br />

rispecchia nel verde delle stesse acque.<br />

Il posto, estremamente suggestivo, e'<br />

sempre stato per gli abitanti del luogo e<br />

delle zone circostanti, meta di escursioni,<br />

Nell'ultimo anno sono stati apportati importanti lavori di sistemazione delle aree verdi e di sosta che<br />

permettono ai visitatori un soggiorno sempre piu' gradevole e divertente.<br />

LAGO DI CALASCIO (AQ)<br />

E' un piccolo lago artificiale veramente molto<br />

caratteristico e degno di una visita.<br />

Innanzituuto, bisogna dire che l'abitato di Calascio<br />

per quanto riguarda l'acqua si approvvigiona<br />

direttamente da una sorgente del monte Prena, ma<br />

quando il serbatoio è pieno, si fa fuoriuscire l'acqua<br />

proprio nel lago e nel caso di invernate veramente<br />

copiose di neve, la portata dell'acqua che si riversa<br />

nel lago è veramente impressionante.<br />

Ed ecco allora, che la superficie del piccolo lago si<br />

allarga ulteriormente allagando i campi circostanti e<br />

gli impianti sportivi situati sulle rive. Naturalmente, tutto questo dura fino a primavera inoltrata, poi<br />

in estate le acque si ritirano e tutto rientra nella norma.<br />

59


IL LAGO DI CAMPOTOSTO (AQ)<br />

Lago artificiale di notevole estensione e profondità situato a quota discretamente elevata (<br />

circa 1300 m.), ha occupato una conca naturale dove, sino alla realizzazione del bacino, resa<br />

possibile con la costruzione di ben tre dighe, si trovavano delle zone paludose da cui veniva estratta<br />

la torba.<br />

Si raggiunge dall'Aquila percorrendo la<br />

vecchia statale del Passo delle<br />

Capannelle per Teramo, deviando per<br />

Campotosto poco dopo il passo stesso.<br />

Le acque del lago, che alimentano un<br />

complesso sistema per la produzione<br />

dell'energia idroelettrica, sono di ottima<br />

qualità, il clima ,data la quota e la<br />

posizione, a poca distanza da monti<br />

molto alti (Gran Sasso e Monti della<br />

Laga), è molto rigido.<br />

Il bacino si può quindi frequentare dalla<br />

primavera inoltrata al primo autunno,<br />

nei mesi invernali quasi sempre la sua<br />

superficie è gelata.<br />

Tutte le sponde del bacino sono percorse da strade asfaltate, l'agibilità delle sponde è buona. Si<br />

alternano rive degradanti in corrispondenza delle quali la profondità cresce lentamente e rive più<br />

scoscese dinnanzi alle quali la profondità dell'acqua è subito molto elevata.<br />

Le specie ittiche presenti sono soprattutto Coregoni, Tinche, Trote e Triotti,è presente ancora<br />

qualche rara trota residuo di una ben più abbondante popolazione presente anni fa.<br />

Sostanzialmente si possono effettuare due tipi di pesca distinti e diversi per zone e periodi:<br />

In primavera, nelle zone con maggiore profondità nei pressi della riva, si pescano i Coregoni che<br />

in questa stagione si avvicinano, con lunghe canne fisse o roubasienne, ma anche a fondo con il<br />

pasturatore.<br />

In estate, nelle zone di acqua più bassa e con presenza di vegetazione sommersa ( zone di Mascioni<br />

e Campotosto), si insidiano le Tinche a passata con esca appoggiata sul fondo, all'inglese e con la<br />

più classica pesca a fondo, esche impiegate i sempre validi bigattini, i classici vermi di terra o<br />

letame ed il mais.<br />

In tutte le stagioni ,sempre escluso l'inverno, soprattutto in prossimità degli affluenti<br />

artificiali o naturali, si possono insidiare le Trote a spinning ed anche con il vivo.<br />

I regolamenti: Il lago è attualmente gestito dal Comune di Campotosto (0862/900142) che rilascia<br />

permessi giornalieri - settimanali - quindicinali o annuali necessari per esercitare la pesca, oltre,<br />

ovviamente, alla licenza di tipo B.<br />

I permessi sono reperibili anche presso<br />

alcuni esercizi commerciali ( negozi di<br />

pesca e non) della zona e del capoluogo<br />

L'Aquila.<br />

Consigliamo di contattare il Comune per<br />

avere indicazioni più precise. Altro<br />

numero utile per avere informazioni è<br />

quello del Corpo Forestale dello Stato<br />

Stazione di Campotosto: 0862/900265<br />

Ricordiamo inoltre che, come in tutto<br />

l'Abruzzo, la detenzione di bigattini per<br />

pescatore non deve superare il 1/2<br />

chilogrammo.<br />

L'itinerario è senz'altro da consigliare soprattutto per la particolarità e la bellezza del posto, esistono<br />

lungo la strada che costeggia il lago aree attrezzate per i picnic. Tenere sempre presente la rigidità<br />

del clima anche nelle giornate assolate.<br />

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ALTRI LAGHI NEL COMPRENSORIO AQUILANO<br />

Barisciano: Lago Passaneta<br />

Calascio:- Lago di Calascio<br />

Caporciano: Lago di Caporciano e lago di Bominaco<br />

Castelvecchio Calvisio: Lago Morto<br />

Prata d'Ansidonia: Lago di Roffo<br />

San Benedetto in Perillis: Lago di S. Benedetto<br />

S. Stefano di Sessanio: Lago della Madonna<br />

I FIUMI DEL COMPRENSORIO AQUILANO<br />

IL FIUME ATERNO PESCARA<br />

Il fiume Aterno è il corso d'acqua<br />

principale della provincia di<br />

L'Aquila e, dopo l'immissione<br />

delle sorgenti del Pescara<br />

all'altezza di Popoli, il principale<br />

della Regione Abruzzo.<br />

Da questo punto, fino alla foce nel<br />

mare Adriatico, prende il nome di<br />

Pescara.<br />

Il fiume Aterno (145 km di<br />

lunghezza totale) drena<br />

direttamente, o tramite sorgenti, un<br />

bacino comprendente l'alta, la<br />

media e la bassa valle aquilana,<br />

una parte del massiccio del Gran<br />

Sasso, del Velino e del Sirente.<br />

L'Aterno nasce a Nord dell'abitato di Aringo, alimentato dalle omonime sorgenti situate sulle<br />

pendici di M. Capo-Cancelli (1398 m s.l.m.) e prende il nome di Torrente Mandragone fino alla<br />

località Piè di Colle.<br />

Il fiume attraversa e drena la Piana di Montereale-Capitignano, per una stretta gola, perviene al<br />

centro dell'Aquila dopo aver attraversato numerosi piccoli centri abitati.<br />

Nella piana a Nord della Città di L'Aquila, il fiume Aterno riceve importanti contributi dal fiume<br />

Vetoio, e dal torrente Raio; a sud dell'abitato di Bazzano, a circa 10 km ad est di L'Aquila, il fiume<br />

riceve, in sinistra, l'apporto del fiume Raiale.<br />

Il fiume Aterno ed i suoi affluenti, dalle sorgenti fino a monte della città di L'Aquila, non<br />

hanno significative utilizzazioni se si esclude la irrigazione di limitata importanza.<br />

La pratica irrigua si fa più intensa a valle dove i corsi d'acqua Aterno e Raiale vengono, pur<br />

se per limitati periodi estivi, utilizzati intensamente.<br />

All'altezza della piana di Molina, il fiume Aterno è rifornito dall'omonimo gruppo di sorgenti. In<br />

questo tratto non vi sono altre utilizzazioni tali da produrre riduzioni di portata, ad eccezione di<br />

prelievi, per usi potabili, da sorgenti con portata limitata.<br />

A valle di Molina il fiume Aterno scorre ripido ed incassato nelle aspre Gole di San Venanzio<br />

fino a raggiungere la piana di Molina e quella di Raiano; nelle gole è situata una traversa per la<br />

produzione di energia elettrica ed una presa per la irrigazione della sottostante vallata.<br />

Il fiume Aterno a monte dell'abitato di Popoli riceve, in destra, il fiume Sagittario, suo principale<br />

affluente, che a sua volta riceve le acque dal fiume Gizio e dal fiume Vella.<br />

Il fiume Pescara nasce dall'omonima sorgente (Riserva Naturale) poco a monte di Popoli. In<br />

corrispondenza dell'abitato di Popoli, il fiume Aterno riceve le acque del Pescara e prende il nome<br />

di Pescara.<br />

61


Il Pescara è composto da una rete idrica superficiale molto articolata, alimentata in parte da sorgenti<br />

perenni ed in parte dallo scioglimento dei nevai in quota, attraverso una ricca rete di torrenti<br />

stagionali.<br />

La geomorfologia del bacino a valle dell'abitato di Popoli cambia rapidamente e si conforma al<br />

modello comune di corsi d'acqua peninsulari adriatici, con progressiva trasformazione da tipologia<br />

montana, con sponde acclivi ed essenzialmente calcaree, a tipologia collinare, con sponde a debole<br />

pendenza costituite essenzialmente da argille e limi argillosi.<br />

Nella sua parte terminale, dall'attraversamento della città di Pescara fino alla foce, il fiume Pescara<br />

è stato arginato e canalizzato dopo la piena del 1934, che ha provocato ingenti danni alla città.<br />

L'intero corso del fiume Pescara e del suo principale affluente, il fiume Tirino, sono interessati da<br />

numerose captazioni d'acqua per la produzione di energia elettrica.<br />

Inoltre, il fiume Tirino è interessato da ulteriori captazioni da parte di allevamenti di trote.<br />

Il Fiume Pescara, che sfocia in Adriatico in corrispondenza dell’omonima città, è alimentato,<br />

nel suo corso più alto, dai deflussi dagli Appennini Abruzzesi, che raggiungono le quote più<br />

elevate della catena.<br />

Il corso d’acqua, che dalla gola di<br />

Popoli si dirige, con corso poco<br />

pendente, verso la costa Adriatica con<br />

direzione pressoché normale alla costa<br />

stessa, è alimentato, a monte della gola,<br />

dalla confluenza del Fiume Aterno, che<br />

proviene da Nord-Ovest, e del fiume<br />

Sagittario, che scorre da Sud-Est.<br />

Il primo spartiacque, orientale, è<br />

caratterizzato dalle quote più elevate che<br />

l’Appennino insulare raggiunge, col<br />

Monte Corno (Gran Sasso - 2814 m<br />

s.l.m.) e col Monte Amaro (Maiella -<br />

2714 m s.l.m.) Il secondo spartiacque,<br />

parallelo al primo, verso occidente, raggiunge quote meno elevate (M. Sirente - 2349 m s.l.m.), ma<br />

comunque ragguardevoli.<br />

La valle tra le due catene è drenata, come indicato, dall’Aterno e dal Sagittario, che scorrono<br />

ambedue, con diversa morfologia d’alveo, verso la gola di Popoli.<br />

le portate di massima piena del Pescara alla foce dipendono essenzialmente dalle precipitazioni che<br />

avvengono a valle della gola di Popoli, ed in particolare, dalla zona di Caramanico e S. Eufemia,<br />

ove tali precipitazioni (tavola 2) sono più intense. Il fiume Pescara ha il bacino imbrifero più esteso<br />

tra quelli dell’Italia insulare con foce in Adriatico, con una superficie di poco inferiore ai 3200<br />

Kmq.<br />

FIUME TIRINO<br />

Il fiume proviene dal Gran Sasso, dal sistema acquifero di Campo<br />

Imperatore e dopo un percorso carsico di 25 Km, fuoriesce a valle.<br />

Dopo i lavori del traforo del Gran Sasso, la sua capacità si è molto<br />

ridotta, ma rimane costante per tutto l'anno ( 6000 l/sec ) ad una<br />

temperatura di 11°, non avendo affluenti, le sue acque sono sempre<br />

limpide. A valle, alimenta tre sorgenti, Capo d'Acqua, Presciano e il<br />

piccolo lago sotto Capestrano, ma il maggiore afflusso proviene da Capo<br />

d'Acqua essendo le altre due quasi ferme.<br />

Il nome deriva dal greco " tritano " e vuol dire appunto triplice sorgente, la valle in cui scorre<br />

è anche detta valle Tritana o valle Trita. Il fiume ospita trote e gamberi rarissimi tra cui la famosa<br />

trota Fario, che può raggiungere anche oltre il chilogrammo di peso. Aironi, gallinelle di fiume e<br />

lontra è la fauna presente. Caratteristici di questo fiume sono i salici cinerini e i salici bianchi, ma<br />

anche i lecci ed il ginepro rosso.<br />

62


LA TRANSUMANZA<br />

La transumanza e i tratturi<br />

"Settembre andiamo. E' tempo<br />

di migrare. Ora in terra<br />

d'Abruzzi i miei pastori lascian<br />

gli stazzi e vanno verso il mare"<br />

............................ .Ah perché<br />

non son io co' miei pastori?"<br />

così canta D'Annunzio la<br />

transumanza.<br />

Nell'Abruzzo montano, per<br />

diversi secoli gli uomini hanno<br />

lasciato le loro case e le loro<br />

famiglie, per condurre le greggi e<br />

le mandrie, attraverso i sentieri<br />

erbosi detti tratturi, nel Tavoliere delle Puglie.<br />

Avveniva così la transumanza, il trasferimento di ovini e di bovini dai monti al piano o<br />

viceversa, secondo l'avvicendarsi delle diverse stagioni per trovare quei pascoli che servivano<br />

agli animali per vivere.<br />

Nella transumanza, coesistono quattro elementi, due legati al luogo: quello di andata dai monti e<br />

quello di ritorno dal Tavoliere e due elementi legati al tempo: l'estate che si trascorreva sui monti e<br />

l'inverno nella pianura pugliese.<br />

Nel periodo di massimo sviluppo la rete tratturale si estendeva da L'Aquila a Taranto, dalla<br />

costa Adriatica alle falde del Matese con uno sviluppo complessivo che superava i 3000 km.<br />

I Tratturi furono strade particolari, disposti come i meridiani (i tratturi) e come i paralleli (i<br />

tratturelli e i bracci) a formare una rete viaria che copriva tutto il territorio del Mezzogiorno<br />

orientale.<br />

Ancora oggi il territorio abruzzese mostra i segni di quell'andare e venire di mandrie e greggi.<br />

Lungo i tratturi sorsero le chiese tratturali, isolate e semplici che offrivano non solo sollievo<br />

spirituale, ma anche un ricovero sicuro per i pastori e le greggi, sorsero le taverne e i centri abitati<br />

compatti e arroccati sulle alture.<br />

Il tratturo da Pescasseroli a Candela da L'Aquila a Foggia e da Celano a Foggia furono i<br />

principali ma essi erano circondati da una fitta rete di tratturelli e di bracci che<br />

attraversavano l'Abruzzo.<br />

Oggi, non più utilizzati, sono diventati dei musei all'aperto che costituiscono preziose testimonianze<br />

storiche e culturali per lo studio della storia economica, sociale e culturale della nostra regione.<br />

PASTORI, PECORE, TRATTURI E TRANSUMANZA<br />

Le conche montane dell'Abruzzo, i suoi vasti e brulli<br />

altipiani, le sassose pendici dei suoi massicci sono stati,<br />

fin dalla piu’ remota antichita’, ambiente elettivo di<br />

greggi e pastori. Gia’ fra i secoli XVI e XII a.C., in piena<br />

Eta’ del Bronzo, la pastorizia risultava assai ampiamente<br />

praticata dalle popolazioni insediate nell'area abruzzese.<br />

Questa subi’ un certo regresso all'inizio del I<br />

millennio a.C., con l'affermarsi della cultura agricola dei<br />

Piceni (nel cui ambito si produsse lo straordinario<br />

Guerriero di Capestrano), i quali restrinsero l'area di<br />

insediamento dei pastori appenninici alle zone montane<br />

piu’ interne.<br />

63


A partire da VII secolo a.C., con l'imporsi delle<br />

popolazioni sabelliche, la pastorizia conobbe<br />

rinnovato impulso.<br />

Le stirpi sabelliche, suddividendosi in<br />

numerosissime genti, nel complesso dette italiche,<br />

praticarono una pastorizia circoscritta al territorio<br />

nel quale erano insediate, con spostamenti limitati<br />

fra il monte ed il piano direttamente sottostante.<br />

Con la romanizzazione, superato il<br />

frazionamento del territorio e soppressa la<br />

conflittualita’ fra le tribu’ sabelliche ed i Dauni<br />

(gli agricoltori del Tavoliere di Puglia), la<br />

pastorizia abruzzese pote’ estendere i propri orizzonti alla piana pugliese. Questa si presto’<br />

ottimamente ad una pastorizia di tipo imprenditoriale, sostenuta dai grandi capitali delle famiglie<br />

patrizie romane.<br />

E’ nella prima meta’ del XV secolo, tuttavia, che la pastorizia abruzzese conosce il periodo di<br />

maggiore sviluppo. Si stima infatti che in quel periodo circa 30.000 pastori conducessero a<br />

svernare in Puglia non meno di 3.000.000 di capi di ovini; rapportando tale cifra alla popolazione<br />

abruzzese dell'epoca - valutata in circa 300.000 unità, si ha una media di dieci capi per abitante.<br />

Se all'attivita’ pastorale in senso stretto si aggiungono le attivita’ indotte che essa stimolava, si puo’<br />

tranquillamente sostenere che almeno meta’ della popolazione abruzzese dipendeva direttamente<br />

dalla pastorizia. Oggi in Abruzzo si contano non piu’ di 450.000 ovini: 1 capo ogni tre abitanti.<br />

Lo straordinario sviluppo della pastorizia abruzzese fu determinato dallo sfruttamento della<br />

complementarieta’ dei pascoli montani abruzzesi - inagibili d'inverno ma rigogliosi d'estate -<br />

e le erbose pianure del Tavoliere di Puglia.<br />

Strumento di questa utilizzazione integrata fu la transumanza: spostamento stagionale di uomini e<br />

greggi che, alla fine della primavera e all'inizio dell'autunno, percorrendo a piedi centinaia di<br />

chilometri, si muovevano fra le due aree geografiche di pascolo.<br />

Il tragitto dei transumanti avveniva lungo una rete regolamentata di larghe vie erbose: i<br />

tratturi. Essi si snodavano dalle aree piu’ interne dell'Abruzzo, e precisamente dalla conca di<br />

L'Aquila, da Celano nella Marsica, e da Pescasseroli nell'alta Val di Sangro, fino al Tavoliere di<br />

Puglia nei dintorni di Foggia e Candela.<br />

I tratturi seguivano itinerari fissati dall'uso nei millenni, soprattutto a partire dall'epoca romana,<br />

quando la pastorizia abruzzese assunse il carattere transumante che ne consenti’ l'eccezionale<br />

sviluppo.<br />

Gia’ da allora i percorsi della transumanza furono<br />

determinati e protetti da leggi che divennero piu’<br />

rigorose durante la dominazione aragonese.<br />

Durante la transumanza il cammino dei pastori<br />

conosceva molte soste.<br />

Per il benessere di uomini ed animali, diverse<br />

furono nei secoli le soluzioni per offrire ai<br />

transumanti ricovero e ristoro.<br />

Particolari ed assai diffuse "strutture di servizio"<br />

lungo i tratturi erano le chiese tratturali, capaci di<br />

offrire non solo assistenza e sollievo spirituale, ma<br />

anche acqua per uomini e greggi, un sicuro<br />

ricovero alle bestie ed un tetto per la notte ai pastori.<br />

Esse erano disseminate con una certa regolarita’ lungo il percorso, cosi’ da poter essere raggiunte in<br />

tempo per la sosta notturna.<br />

Una volta raggiunte stabilmente le aree di pascolo montano, un ricovero relativamente meno<br />

precario per uomini ed animali era costituito dalle pajare, piccoli complessi di capanne in<br />

pietra a secco realizzate dagli stessi pastori.<br />

64


Direttamente mutuate dal trullo pugliese, le pajare si diffusero in Abruzzo non piu’ di 300 anni or<br />

sono, come portato dei contatti strettissimi che l'ambiente pastorale intratteneva con l'area pugliese.<br />

Questo fa si’ che oggi l'Abruzzo sia, dopo la Puglia, la regione con il piu’ alto numero di trulli.<br />

Presenti soprattutto sulla Majella, dove se ne contano circa un migliaio, le pajare si trovano spesso<br />

riunite in gruppi raccordati e conchiusi da stazzi, anch'essi in pietra a secco, le cui alte muraglie<br />

conferiscono a questi sorprendenti complessi l'aspetto di arcaici e primordiali fortilizi.<br />

Sul Gran Sasso si trovano strutture similari denominate "condole", risalenti al Medioevo,<br />

probabilmente riconducibili alle tecniche di costruzione benedettino-cistercensi.<br />

L'ANTICO TRATTURO<br />

La natura prevalentemente montuosa<br />

dell’Abruzzo ha favorito sin dall’antichità lo<br />

sfruttamento pastorale di buona parte del suo<br />

territorio; l’allevamento ovino ha svolto infatti<br />

per almeno tre millenni un ruolo determinante<br />

nell’economia della regione lasciando un<br />

impronta duratura su diversi aspetti del suo<br />

sviluppo storico, tanto da legare cosi<br />

strettamente alla pastorizia transumante la<br />

cultura, la religione e inevitabilmente la vita<br />

dei pastori e delle loro famiglie.<br />

Condizione essenziale di tale esistenza è stato<br />

il sistema transumante che grazie a<br />

spostamenti stagionali tra zone di montagna e di pianura ha sempre assicurato alle greggi pascoli<br />

abbondanti e clima temperato.<br />

I pastori abruzzesi si sono diretti in prevalenza verso il Tavoliere delle Puglie in minor misura<br />

verso la campagna romana. Era il 1447 quando Alfonso I ° d’Aragona Re di Napoli continuando<br />

l'operato di Federico II° di Svevia che già nel 1200 aveva istituito la “Dogana della Mena delle<br />

Pecore“ riprese ed ampliò l’attività di allevamento “transumante“ delle pecore, organizzandola sul<br />

modello della analoga “Mesta” spagnola , istituì i “Regi Tratturi“ una rete viaria di circa 3000<br />

km ordinata su tre grandi direttrici: il tratturo L'Aquila - Foggia detto anche il "tratturo del Re", il<br />

tratturo Celano - Foggia e il tratturo Pescasseroli - Candela.<br />

La transumanza consisteva nello spostamento stagionale del bestiame tra due zone di pascolo<br />

complementari: una in montagna sfruttata lungo la stagione estiva, l’altra in pianura, ottima per il<br />

pascolo invernale. Essa era resa dunque essenziale da particolari condizioni climatiche ambientali<br />

che non consentivano l’allevamento stanziale.<br />

Su queste grandi vie d’erba larghe sessanta<br />

“passi napoletani“ (unità di misura dell’allora<br />

Regno di Napoli equivalenti a circa 111 Mt.<br />

attuali) transitavano nel ‘600 e nel ‘700 (i due<br />

secoli d’oro della pastorizia transumante) circa<br />

tre milioni di capi di bestiame che attivavano una<br />

florida economia grazie alla vendita delle pelli, dei<br />

formaggi ma soprattutto dell’ enorme quantità di<br />

lana che veniva immagazzinata nei locali della<br />

Dogana della Mena delle Pecore a Foggia e<br />

venduta ad acquirenti che arrivavano da tutto il Nord Italia ed anche dal Nord Europa ad esempio<br />

dalle Fiandre, influenzando così fortemente lo sviluppo dell’Abruzzo montano, dell’intero Molise,<br />

di tutto il Tavoliere di Puglia e di parte della Basilicata e della Campania.<br />

Tanto da legare cosi strettamente alla pastorizia transumante la storia, la cultura, la religione e<br />

inevitabilmente la vita dei pastori e delle loro famiglie.<br />

Ripercorriamo a piedi lo stesso tracciato che per secoli è stato effettuato da carovane formate da<br />

centinaia di pastori, migliaia di pecore e dagli inseparabili cani da pastore.<br />

65


ZAFFERANO DELL'AQUILA<br />

Zafferano: che cos'è<br />

Lo zafferano che utilizziamo per condire i nostri piatti non è altro che lo<br />

stimma del fiore di Crocus Sativus, che fa parte della famiglia delle<br />

Iridacee: è un fiore di colore viola che fiorisce in autunno.<br />

La pianta adulta è costituita da un bulbo-tubero di un diametro di circa 5<br />

cm.<br />

Il fiore dello zafferano è un perigonio formato da 6 petali di colore<br />

violetto intenso. La parte maschile è costituita da 3 antere gialle su cui è<br />

appoggiato il polline.<br />

La parte femminile è formata dall'ovario, stilo e stimmi. Dall'ovario,<br />

collocato alla base del bulbo, si origina un lungo stilo di colore giallo che<br />

dopo aver percorso tutto il getto raggiunge la base del fiore, qui si divide<br />

in 3 lunghi stimmi di colore rosso intenso.<br />

Le foglie sono lineari, molto acute, a sezione triangolare e sono lunghe<br />

d 30 a 50 cm e larghe da 2 a 4 mm.<br />

Gli stimmi, dal profumo acutissimo e particolare, disseccati, interi o in<br />

polvere costituiscono lo zafferano.<br />

Lo Zafferano di L'Aquila (Crocus Sativus L.) si coltiva nell'areale<br />

dell'Altopiano di Navelli in provincia di L'Aquila e in zone limitrofe.<br />

L'origine<br />

Lo zafferano è un fiore, il Crocus sativus Linnaeus, con un bel colore che varia dal lilla chiaro<br />

al viola purpureo.<br />

All'interno della sua corolla si trovano, al termine di un filamento bianco, tre fili di colore arancio o<br />

rosso vivo (stigmi), che costituiscono lo zafferano propriamente detto, e due fili più corti gialli detti<br />

"femminelle" che non hanno nessun potere aromatizzante e odoroso (proprietà organolettiche) e<br />

quindi nessun valore commerciale.<br />

I fili di colore rosso vivo contengono la crocina che tinge di giallo le diverse preparazioni culinarie<br />

e dà loro un gusto particolare apprezzato in tutte le cucine del mondo.<br />

La produzione italiana è di ottima qualità, ma quantitativamente quasi trascurabile.<br />

Per ottenere 1 kg di zafferano secco occorrono 100-150 mila fiori.<br />

La raccolta è interamente manuale.<br />

Gi stimmi vengono essiccati al camino con legna di quercia o mandorlo, conservati con una umidità<br />

che deve mantenersi non troppo al di sopra del 10%, pena il deperimento del prodotto.<br />

Fin dall'antichità lo zafferano è utilizzato in cucina per speziare i cibi e, in una certa misura,<br />

anche nella farmacopea di molti paesi.<br />

Il costo molto elevato, motivato dalla laboriosità della raccolta e della successiva lavorazione, ha<br />

portato inevitabilmente a innumerevoli tentativi di sofisticazione.<br />

Un metodo rapido per evidenziare la presenza di coloranti sintetici è la cromatografia su<br />

carta e strato sottile.<br />

Raccolta<br />

La raccolta si svolge in autunno, la mattina presto a fiore ancora chiuso e si protrae per trenta<br />

giorni. Un chilogrammo di zafferano richiede circa 120.000/150.000 fiori ed è costituito da 450.000<br />

filamenti.<br />

La sfioritura<br />

La sfioratura consiste nel separare i fiori dagli stimmi che vengono essiccati. In questo processo<br />

si perde l’80% del peso ma s’intensifica notevolmente il sapore. Per ricavare 1 kg. di stimmi freschi<br />

occorrono circa 60 kg. di fiori.<br />

La tostatura<br />

La tostatura deve avvenire ponendo gli stimmi in setacci ed asciugandoli su brace di legna,<br />

utilizzando legna di quercia o mandorlo. Il prodotto in filamenti o polvere così ottenuto va<br />

conservato in sacchetti di tela ed in luoghi asciutti e bui.<br />

66


Storia dello zafferano dell'Aquila<br />

Lo zafferano arrivo' in Italia grazie ad un monaco<br />

domenicano appartenente alla famiglia Santucci di Navelli.<br />

Il monaco Santucci, membro del tribunale della Santa<br />

Inquisizione e grande appassionato di agricoltura, fu<br />

particolarmente colpito dalla piccola pianta e penso' cha<br />

avrebbe potuto trovare le condizioni ideali nei terreni della<br />

piana di Navelli.<br />

Il prodotto coltivato nella piana trovo' delle condizioni<br />

molto favorevoli, la coltura si estese nelle zone<br />

circostanti ed i nobili locali iniziarono a<br />

commercializzare lo zafferano nei mercati milanesi e veneziani.<br />

L'Aquila, appena fondata (XIII secolo), divento' famosissima per la qualita' dello zafferano<br />

che ne traino' l'economia per lungo tempo.<br />

La produzione si estese dalla piana di Navelli in tutta la provincia.<br />

Il Re Roberto D’Angiò (1317) abolì le tasse sullo zafferano per favorirne il commercio verso citta'<br />

estere: Francoforte, Marsiglia, Vienna, Norimberga ed Augusta.<br />

Lo zafferano dell’Aquila, affermatosi a livello internazionale, veniva conteso da tanti<br />

commercianti, ma il Re reintrodusse ed aumento' le tasse per poter realizzare importanti opere<br />

cittadine: l’ospedale nuovo e la basilica dedicata a San Berardino da Siena.<br />

Lo zafferano aquilano dovette anche affrontare anche il problema della contraffazione: Jobst<br />

Findenken di Norimberga acquistava personalmente lo zafferano a L'Aquila e poi lo sofisticava<br />

tornando nel suo paese.<br />

Quando venne scoperto, il 27 luglio 1444, venne bruciato vivo con il prodotto che portava e sua<br />

moglie fu mandata in esilio sull’altra sponda del Reno.<br />

Nel 1500 le famiglie Tuder, Immoff, Wachter e Munzer divennero cittadini aquilani acquistando<br />

case in citta'.<br />

Negli stessi anni il Re Ferrante I d’Aragona decretò il diritto alla città dell’Aquila di aprire una<br />

Università e venne posta la prima pietra della famosa basilica di S. Berardino.<br />

L'opera di costruzione della basilica venne finanziata da Jacopo Notar Nanni amico di San<br />

Berardino e grande commerciante di zafferano.<br />

Il ricavato dalle vendite dello zafferano venne utilizzato per pagare le tasse imposte alla citta'<br />

durante il dominio spagnolo.<br />

Il picco di produzione si raggiunse nel 1800 con l’arrivo dei Borboni sul regno di Napoli e<br />

tocco i 45 quintali.<br />

67


Lavorazione dello zafferano<br />

Il sistema di coltivazione del Crocus Sativus, dal quale si<br />

ottiene lo Zafferano DOP, adotta le seguenti pratiche<br />

colturali, desunte direttamente da quelle<br />

tradizionalmente in uso nella zona.<br />

Le operazioni di preparazione del terreno prevedono: aratura<br />

ad una profondità di 30 cm ed interramento di concime<br />

organico, affinamento e livellamento della superficie,<br />

preparazione delle aiuole e apertura da 2 a 4 solchi alla<br />

distanza di 20-25 cm che ospiteranno la nuova piantagione.<br />

È vietato l'apporto di qualsiasi altro tipo di fertilizzante durante il ciclo vegetativo.<br />

I bulbo-tuberi, raccolti nella prima metà di agosto, devono essere cerniti, avendo cura di selezionare<br />

quelli più grandi ed esenti da attacchi parassitari, reimpiantati, con l'apice vegetativo rivolto verso<br />

l'alto, nel nuovo terreno nella seconda metà di agosto.<br />

La rotazione colturale è di cinque anni.<br />

Entro ogni fila i bulbi vanno posti a fila continua, la quantità di bulbi necessari oscilla tra 500.000-<br />

600.000 per ettaro, ovvero 7-10 t/ha.<br />

Durante il mese di agosto i bulbi vengono trapiantati nel nuovo terreno.<br />

Vengono scoperti i solchi per consentire di prelevare i bulbi che si sono riprodotti.<br />

I bulbi vengono mondati (viene rimosso il vestito piu' esterno del bulbo) ed accuratamente<br />

selezionati in base alle loro dimensioni.<br />

I bulbi, mondati e selezionati, vengono riposti nel nuovo terreno in rase da 2, 3 o 4 file.<br />

Verso la meta' di ottobre inizia il periodo di fioritura. Ogni mattina, alle prime luci, prima che il sole<br />

li apra, vengono raccolti i fiori.<br />

I fiori, appena raccolti, subiscono il processo di sfioratura, che consiste nel separare gli stimmi<br />

dal resto del fiore. Il lavoro deve essere ultimanto nella stessa giornata del raccolto per non fare<br />

rovinare il raccolto e perche' il giorno successivo ci saranno altri fiori da sfiorare!!<br />

L'ultima fase di lavorazione e' l'essiccazione: gli stimmi vengono essiccati su un setaccio sopra a<br />

della cenera calda di legna. In questa fase il peso degli stimmi si riduce fino ad un decimo!!<br />

La zona di produzione dello Zafferano dell'Aquila comprende il territorio dei comuni di:<br />

Barisciano, Caporciano, Fagnano Alto, Fontecchio, L'Aquila, Molina Aterno, Navelli, <strong>Poggio</strong><br />

<strong>Picenze</strong>, Prata d'Ansidonia, San Demetrio nei Vestini, S. Pio delle Camere, Tione degli Abruzzi,<br />

Villa S. Angelo.<br />

I confini dell'area sono definiti dal perimetro dei territori dei comuni suddetti.<br />

Nell'ambito dell'area la coltivazione dovrà essere praticata in quei terreni posti ad un'altitudine<br />

compresa tra 350 e 1000 metri s.l.m.<br />

68


I SEGRETI DI CELESTINO, COLLEMAGGIO E LA BOLLA<br />

L’elezione del pontefice era diventata appannaggio delle<br />

famiglie aristocratiche romane, che imponevano a seconda<br />

della loro potenza l’elezione del proprio rappresentante.<br />

L’esigenza di rinnovamento spirituale all’interno della Chiesa<br />

portò all’elezione dell’eremita Pietro Angelieri da Morrone,<br />

che venne consacrato nel 1294 a L’Aquila col nome di<br />

Celestino V.<br />

Non appena si rese conto di essere un fantoccio nelle mani dei<br />

potenti, nel dicembre 1294 depose la tiara, diventando l’unico<br />

papa della storia a pronunciare il gran rifiuto (...).<br />

Questa in sintesi la storia fatta passare per vera su Pietro<br />

Angeleri. A ben approfondire i fatti reali la storia fu nettamente<br />

diversa e vedremo come Dante non si riferiva certo a Celestino<br />

nella celebre quartina dell' Inferno.<br />

Volle fortemente costruire, per poi esservi incoronato Papa nel 1294, l'imponente S. Maria di<br />

Collemaggio, consacrata in tutta fretta quando ancora incompleta tra il 23 e il 25 agosto 1288,<br />

nel ventennale esatto della battaglia di Tagliacozzo dove ebbe fine la dinastia Sveva.<br />

Perchè tanto interesse per quel sito? Perchè volle costruire la Basilica dopo il viaggio a Lione in cui<br />

entrò in contatto con i Templari? Anche qui, con polemiche strumentali, si nega spesso l’evidenza<br />

asserendo che non vi sono documenti cartacei che provino tali convergenze. Eppure la prova<br />

documentata del legame tra il Santo Pietro del Morrone e i Cavalieri del Tempio viene letta ed<br />

esposta il 28 agosto di ogni anno. La Bolla della Perdonanza.<br />

Altri misteri circondano la vita di Celestino come quel foro sul cranio che i rilievi hanno<br />

attribuito al conficcamento di un chiodo? (l'argomento è trattato anche nell'ultimo romanzo di<br />

DAN BROWN "Angeli e Demoni", di nuovo dall'autore del "Codice da Vinci").<br />

Come dice James Redfield Celestino V è un personaggio che interessa tutto il mondo, un esempio<br />

della evoluzione verso un nuovo passo della spiritualità umana. Il suo posto più adeguato era nella<br />

Decima Illuminazione, altro che fantoccio nelle mani dei potenti...<br />

Da non sottovalutare un altro elemento - il processo ai templari - in Italia gli interrogatori ai<br />

cavalieri del tempio iniziarono nel 1310 (tre anni dopo del processo in terra di Francia) ed i<br />

primi furono interrogati proprio a L'Aquila, a Collemaggio.<br />

LA STORIA DELLA BOLLA – PERDONANZA CELESTINIANA<br />

Visitare L'Aquila nei giorni del 28 e 29 agosto vi<br />

dà la possibilità di assistere e partecipare alla<br />

"Perdonanza" di Celestino V.<br />

Il nome Perdonanza deriva dalla Bolla del Perdono<br />

che Papa Celestino V emanò dall'Aquila alla fine di<br />

settembre del 1294.<br />

Sei anni prima della Bolla di Bonifacio VIII, che<br />

istituiva l'Anno Santo ufficiale della Chiesa,<br />

all'Aquila era nato il Giubileo per festeggiare la<br />

Bolla; un Giubileo che, per un giorno, si ripete ogni<br />

anno.<br />

Gli Aquilani hanno sempre custodito gelosamente la Bolla della Perdonanza, oggi conservata<br />

nella cappella blindata della Torre del Palazzo Comunale.<br />

Gli antichi statuti civici vollero che, proprio perché erano stati i cittadini a proteggere il prezioso<br />

documento, fosse l'autorità civile a indire la Festa del Perdono, rispettando, comunque, il dettato di<br />

Papa Celestino.<br />

69


E ancora oggi è il Sindaco del capoluogo abruzzese a leggere la Bolla del Pontefice, poco prima<br />

dell'apertura della Porta Santa della Basilica di Collemaggio da parte di un Cardinale designato<br />

dalla Santa Sede.<br />

L'apertura della Porta Santa, la sera del 28 agosto, è preceduta da un lungo corteo storico<br />

(circa 1.000 figuranti in costume d'epoca, in rappresentanza del gruppo storico del Comune<br />

dell'Aquila, di altri gruppi di città italiane, oltre che a esponenti di amministrazioni e al<br />

rappresentante del Governo) che, nel primo pomeriggio, parte dal Palazzo Comunale verso<br />

Collemaggio.<br />

I personaggi più importanti del corteo sono la Dama della Bolla, che porta l'astuccio nel quale<br />

fino al 1997 era conservata la Bolla del Perdono (dopo il suo restauro a cura dell'Istituto Centrale<br />

del Libro di Roma, avvenuto proprio in quell'anno, il documento papale viene condotto<br />

separatamente alla basilica di Collemaggio, come da indicazione dei restauratori stessi), e il Giovin<br />

Signore, che porta il ramo d'ulivo con il quale il Cardinale percuote per tre volte la Porta Santa,<br />

ordinando, in questo modo, la sua apertura. Anche il ramo, come la Bolla e le chiavi della Porta<br />

Santa della basilica di Collemaggio (la chiesa è di proprietà del Comune), è conservato nel forziere<br />

della Torre Civica.<br />

La Bolla del Perdono rimane esposta per un giorno intero all'interno della Basilica di<br />

Collemaggio e viene riportata in Comune la sera del 29 agosto, dopo la chiusura della Porta<br />

Santa, operata dall'Arcivescovo dell'Aquila.<br />

La Bolla di Celestino Dopo l'elezione del 5 luglio<br />

1294 ad opera del Collegio cardinalizio riunito da<br />

tempo a Perugia in Sede vacante e l'accettazione da<br />

parte di Pietro Angelerio, anziano eremita<br />

dimorante sul Monte Morrone presso Sulmona e<br />

dopo il corteo che condusse il sant'uomo da<br />

Sulmona all'Aquila, luogo da lui prescelto per la<br />

cerimonia, il 29 agosto del 1294, al cospetto di<br />

Carlo d'Angiò e di Carlo Martello, dei Cardinali e<br />

di una immensa folla di fedeli, Pietro veniva<br />

incoronato Papa con il nome di Celestino V.<br />

Si apriva la breve ma intensa storia di un<br />

pontificato che, alla luce degli studi più recenti,<br />

doveva segnare, senza fortuna, un tentativo di<br />

avvento della auspicata "ecclesia spiritualis".<br />

In questa stessa circostanza, il nuovo pontefice<br />

volle concedere al popolo dei credenti il dono di una grande indulgenza, che un mese più tardi, il 29<br />

settembre dei 1294, mentre la Corte papale risiedeva ancora all'Aquila, ufficializzò con un<br />

privilegio scritto, con la forma della "littera gratiosa", la "Inter sanctorum solemnia", di cui<br />

riportiamo testo originale e relativa traduzione.<br />

TESTO ORIGINALE<br />

“Servus servorum Dei, Universis Christi fidelibus<br />

presentes litteras inspecturis, salutern ci<br />

apostolicam benedictioriem. Inter sanctoruin<br />

solemnia S. Iohannis Baptiste memoria eo est<br />

solemnius honoranda, quo ipse de alvo sterilis<br />

rnatris procedens, fecunclus virtutibus, sacris<br />

eulogiis et ficunclus fons, apostolorurn labium et<br />

silentium prphentarum in terris Christi presentiam,<br />

caliginantis mundi lucernain, ignorantie obtectis<br />

tenebris, verbi preconio et inclicis (iudicis?) signo<br />

mirifico nuntiavit, propter quod cius gloriosurn rnartyriuni mulieris impudice indictum, intuitu<br />

misterialiter est secuturn. Nos, qui in ipsius Sanctidecollatione Capitis, in ecclesia sancte Marie de<br />

Collemayo Aquiiensi Ordinis S. Benedicti, suscepimus diadernatis, impositurn capiti nostro,<br />

70


insigne, hymnis et canticis ac fideliurn devotis dicta ecclesia precipuis extollatur honoribus et<br />

populi Domini devota frequentia tanto devotius et ferventius honoretur, quanto inibi querentium.<br />

Dominuiri supplex postulatio gemmas ecelesie donis rnicantes spiritualibus sibi reperiet in eternis<br />

tabernaculis profuturas, omnes vere penitentes et con fessos, qui a vesperis eisdern festivitatis<br />

vigilie usque ad vesperas festivitatem ipsam immediate sequentes ad premiss missam. ecclesiam<br />

accesserint annuatini, de omnipotentis Dei rnisericordia et beatoruni Petri et Pauli, apostolorum<br />

eius, auctoritate confisi, a baptismo absolvimus a culpa et pena, quam pro suis merentur<br />

corrimissis omnibus et delictis. Datum Aquile, III Kalendas octobris, pontificatus nostri anno<br />

primo.”<br />

TRADUZIONE<br />

"Celestino vescovo, servo dei servi di Dio, a<br />

tutti i fedeli di Cristo che vedranno questa<br />

lettera, porge il saluto e l'apostolica<br />

benedizione.<br />

Tra le feste dei santi tanto più solennemente<br />

deve onorarsi la memoria di san Giovanni<br />

Battista in quanto egli, nascendo dal grembo di<br />

una donna sterile, fecondo di virtù, di santi<br />

doni, fonte feconda della parola degli apostoli<br />

e silenzio dei presenti, annunciò con pubblici<br />

discorsi e col segno meraviglioso del suo<br />

indice la presenza di Cristo in terra, luce del<br />

mondo immerso nelle tenebre dell'ignoranza,<br />

per la qual cosa seguì misteriosamente il suo<br />

glorioso martirio, imposto dalla visione della<br />

donna impudica.<br />

Noi, che nel giorno della Decollazione di<br />

cotesto santo, nella chiesa aquilana di Santa Maria di Collemaggio dell'ordine di san Benedetto,<br />

ricevemmo l'insegna del diadema impostoci sul capo, desideriamo che questa chiesa sia ancora più<br />

onorata e venerata con inni e canti e con le preghiere devote dei fedeli.<br />

Perciò, affinché in questa, stessa chiesa la festa della Decollazione del Battista sia elevata ci onori<br />

speciali con la devota frequenza del popolo del Signore e tanto più devotamente e assiduamente sia<br />

onorata, quanto più la semplice invocazione di coloro che si rivolgono al Signore lì trovi i gioielli<br />

della Chiesa risplendenti di doni spirituali che giovino a essi nei tabernacoli della vita eterna, tutti<br />

coloro che saranno veramente pentiti dei peccati confessati e che dai vespri della vigilia della festa<br />

fino ai' vespri immediatamente seguenti la festa stessa ogni anno entreranno nella predetta chiesa,<br />

assolviamo da ogni colpa e pena che meriterebbero per i loro delitti e per tutto quel che commisero<br />

a partire dal battesimo, per la misericordia di Dio onnipotente, e confidando nell'autorità dei santi<br />

Pietro e Paolo, suoi apostoli.<br />

Dato all'Aquila, il 29 settembre del primo anno del nostro pontificato"<br />

71


Celestino V e la Bolla<br />

La Bolla: il significato storico Il nome Perdonanza deriva dalla Bolla<br />

del Perdono che Papa Celestino V emanò dall’Aquila alla fine di<br />

settembre del 1294.<br />

L’eremita Pietro Angelerio da Morrone era nativo di Isernia (secondo la<br />

versione più accreditata dagli storici) e aveva scelto, come luoghi per la<br />

predicazione, quelli dell’Abruzzo interno.<br />

Tra questi, l’Aquilano e il circondario di Sulmona, la città di Ovidio, in<br />

provincia dell’Aquila.<br />

Il 5 luglio 1294, dopo due anni di contrasti (successivi alla morte di papa<br />

Niccolò IV), il Conclave, riunito a Perugia, designò il monaco – fondatore<br />

di un ordine che per secoli ha avuto, per l’appunto, il nome dei Celestini –<br />

come Pontefice.<br />

Un corteo accompagnò il Papa da Sulmona all’Aquila, alla Basilica di<br />

Collemaggio, da lui stesso fatta erigere alcuni anni prima, e dove gli furono consegnati le vesti<br />

pontificali il 29 agosto 1294, davanti a una folla immensa e, soprattutto, a re Carlo d’Angiò e a<br />

Carlo Martello. Celestino V fu protagonista di un papato brevissimo: si dimise – unico caso della<br />

storia per un Pontefice – nel dicembre dello stesso anno e morì nell’esilio di Fumone (in provincia<br />

di Frosinone) due anni dopo.<br />

Alcuni seguaci del suo ordine trafugarono successivamente le sue spoglie mortali e le<br />

portarono nella basilica dell’Aquila di Santa Maria di Collemaggio, dove tuttora riposano.<br />

Fu canonizzato nel 1313 con il nome di San Pietro Celestino.<br />

In quei pochi mesi di pontificato, Papa Celestino lasciò alla città dell’Aquila, ma anche al mondo<br />

intero, un’eredità di portata straordinaria.<br />

Alla fine di settembre del 1294, infatti, proprio dalla basilica di Collemaggio emanò una Bolla con<br />

la quale concedeva un’indulgenza plenaria e universale a tutta l’umanità, senza distinzioni. Un<br />

evento eccezionale, visto che accadeva in un periodo in cui il perdono era spesso legato alla<br />

speculazione e al denaro.<br />

La Bolla di San Pietro Celestino, che introduceva i concetti di pace, solidarietà e riconciliazione,<br />

poneva solo due condizioni per ottenere il perdono.<br />

L’ingresso nella basilica di Collemaggio, nell’arco di tempo compreso tra le sere del 28 e del<br />

29 agosto di ogni anno, e l’essere “veramente pentiti e confessati”.<br />

Sei anni prima della Bolla di Bonifacio VIII, che istituiva l’Anno Santo ufficiale della Chiesa,<br />

all’Aquila era nato il Giubileo.<br />

L'ALTRA GERUSALEMME<br />

Quante incredibili similitudini tra le due città! Dal disegno delle mura antiche alla disposizione<br />

delle porte, da particolari architetture a Collemaggio fino alla perfetta localizzazione di alcuni<br />

monumenti come le 99 Cannelle (con la Piscina di Siloe) e sempre la Basilica di Collemaggio (con<br />

il Tempio di Salomone).<br />

Ancora la città Santa sorge su un altopiano sito a 750 m. sul livello del mare, metro più metro meno<br />

dell'Aquila. Le mura aquilane hanno dodici porte come la Città Santa.<br />

Il filo di Arianna che lega le due città si unisce ancora una volta con la storia di Federico II, in<br />

lotta perenne con il Papa, che forse volle costruire una nuova capitale spirituale europea, la Nuova<br />

Gerusalemme Celeste dell'Apocalisse.<br />

NOTIZIE TRATTE DA:<br />

sito della Regione Abruzzo – Promozione Turismo<br />

Sito della Perdonanza Celestiniana<br />

Sito di Turismo Aq<br />

Sito dell’ Università di l’Aquila<br />

e da altri portali presenti in rete.<br />

Immagini tratte in rete<br />

DAL SITO Wikipedia, l'enciclopedia libera<br />

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