bollettino completo 1991 - Società Tarquiniese Arte e Storia
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VENTENNALE DELLA SOCIETA’ TARQUINIENSE D’ARTE E STORIA<br />
Quando nel febbraio del 1917, il prof. Giuseppe Cultrera, direttore del Museo<br />
Nazionale <strong>Tarquiniese</strong>, insieme ad un ristretto gruppo di cittadini, tra i quali l’avv. Latino<br />
Latini, fondò la “<strong>Società</strong> Tarquiniense d’<strong>Arte</strong> e <strong>Storia</strong>”, certamente non pensava che la vita<br />
di questo sodalizio sarebbe stata così duratura (anche se agitata) e la sua azione così<br />
meritoria nei confronti della sua città.<br />
Era un momento un po' critico, l’Italia era in guerra, ed alcuni obiettarono<br />
sull’opportunità di fondare una associazione culturale in quei frangenti, ma il prof.<br />
Cultrera, nella “famosa” adunanza nella Sala Gialla del Comune (11 febbraio 1917), mise a<br />
tacere tutti dicendo:<br />
.<br />
Il nome dato all’associazione, prima della fondazione ufficiale, fu quello di “Amici<br />
dei Monumenti” e già in esso c’era l’indicazione di quello che ne sarebbe stato il<br />
programma.<br />
E’ stata la prima iniziativa di questo genere nel nostro centro? No, se vogliamo però<br />
trovarle un’antenata, occorre risalire nel tempo, al 1874 quando nella nostra città agiva una<br />
1
2<br />
“Associazione Archeologica Cornetana”, che, come lascia ben capire il nome stesso, avrà<br />
rivolto la sua attenzione particolarmente al patrimonio artistico del periodo etrusco.<br />
All’atto pratico, come avrebbe espletato la sua attività la neonata <strong>Società</strong><br />
Tarquniense d’<strong>Arte</strong> e <strong>Storia</strong>? In vari modi:<br />
3<br />
di centro culturale cittadino). Poi fu compilato l’elenco degli edifici monumentali della<br />
città, si iniziò una cooperazione con la Direzione del Museo per la raccolta nel Museo<br />
stesso degli antichi stemmi gentilizi, allora esistenti in Corneto, si curò il restauro del<br />
Portico di Fontana Nuova, venne proposta la riapertura al pubblico del piazzale contiguo<br />
alla Chiesa di Santa Maria in Castello ecc. ecc.<br />
In occasione delle manifestazioni per il centenario dantesco (verbale 8 settembre<br />
1921), fu dato un contributo di 500 lire.<br />
Benché il suo inizio sia stato così promettente, nel corso degli anni ci saranno delle<br />
crisi; ci saranno dei periodi in cui sembrerà cessare ogni attività ma, come l’Araba fenice,<br />
riuscirà sempre a risorgere dalle sue ceneri più ricca che mai di entusiasmo e di idee per<br />
proteggere e promuovere iniziative a favore del patrimonio artistico e culturale di<br />
Tarquinia.<br />
La prima crisi è del 1923.<br />
Nel 1930 il prof. Cultrera tentò di far riprendere le attività al sodalizio ma<br />
inutilmente.<br />
Era quindi conclusa la sua vita? No.<br />
Nell’aprile del 1935, nella “Sala degli Eroi” del Palazzo Municipale, la <strong>Società</strong> viene<br />
rifondata, mantenendo sempre le stesse finalità.<br />
Tra i suoi animatori, oltre all’avv. Latini, il marchese G.B. Sacchetti, il prof.<br />
Romanelli.<br />
Intorno ad essa rinasce interesse e curiosità.<br />
Questa testimonianza indiretta ci fa capire come fosse importante fanne parte. Nel<br />
verbale del 9 maggio 1935, si legge quanto segue:.... “Per quanto riguarda le categorie dei<br />
soci, il consigliere Latini ha presentato la proposta di qualche operaio che, trovandosi nella<br />
quasi impossibilità di sborsare le quote, ha offerto una giornata di lavoro a pagamento<br />
delle dodici rate annuali (si doveva pagare la somma di 12 lire annuali, in dodici rate da 1<br />
lira l’una)”.<br />
Nel 1935 fu vicina al prof. Romanelli (nuovo direttore del Museo), per promuovere<br />
gli scavi della “Civita”. Saranno scavi importanti, infatti, oltre a tratti delle mura della città<br />
etrusca e al basamento di un grande tempio, saranno ritrovati anche i “Cavalli Alati” di<br />
terracotta, diventati poi, dopo un accurato restauro, il simbolo di Tarquinia.<br />
Con grande emozione il prof. Romanelli comunicò ai consiglieri della STAS quanto<br />
si andava trovando nella campagna di scavo, (verbale del 10 dicembre 1935).<br />
3
4<br />
Nel 1952 si ha, forse, il momento più critico per la società che dal 1940/41 di fatto<br />
non esiste più: il trapasso del materiale amministrativo e del fondo cassa alla Pro<br />
Tarquinia .<br />
Da questa brutta situazione si risollevò solo nel 1971, quando alcuni vecchi soci<br />
ridettero nuovamente vita all’associazione. Tra questi oltre a Rolando Brunori e mons.<br />
Luigi Di Lazzari, anche il cardinale Sergio Guerri che ne diventerà e resterà Presidente fino<br />
al 1990.<br />
Da quell’anno l’attività della S.T.A.S. è andata sempre crescendo.<br />
Il 3 agosto 1973, con decreto del Presidente della Repubblica n.21493 viene<br />
riconosciuta come “Ente Morale”, riconoscimento che la pone in una particolare posizione<br />
tra le Associazioni di <strong>Storia</strong> Patria dell’Alto Lazio; fa parte poi del ed è iscritta tra le <strong>Società</strong> culturali e di <strong>Storia</strong> Patria<br />
riconosciute dal Ministero dei Beni Culturali. Proprio in questo ultimo anno è stata anche<br />
inserita nell’elenco delle Associazioni Culturali più meritorie della Regione Lazio.<br />
Si può dire che in ogni angolo di Tarquinia si nota l’azione di questo sodalizio il<br />
quale tiene sempre presenti gli scopi statutari: proteggere i monumenti e promuovere idee<br />
ed iniziative per il mantenimento del patrimonio artistico e culturale e la conoscenza della<br />
storia cittadina.<br />
Tra le sue opere più importanti si possono ricordare: il restauro del complesso<br />
architettonico in cui ha la sua sede, che comprende antiche costruzioni medievali e una<br />
parte del Palazzo dei Priori, il restauro del già citato San Pancrazio con la valorizzazione<br />
dell’Auditorium, quello della Chiesa di Santa Maria di Castello (uno dei monumenti più<br />
insigni di Tarquinia che, grazie alla STAS, ha ritrovato la dignità che le era propria in<br />
origine), quello di Porta Nuova, opera del 1580 e delle aree annesse, quello della “Torre di<br />
“Dante” e dell’antica Porta Maddalena, e quello di alcuni quadri nella Chiesa di S. Maria di<br />
Valverde (i “Misteri del Rosario”) e dell’Addolorata, nonché il ritrovamento e relativo<br />
restauro delle Statue del Presepio Settecentesco del Suffragio ecc. ecc.<br />
La S.T.A.S. però ha dato il suo contributo anche nel campo editoriale, infatti,<br />
continuando la raccolta iniziata dal prof. Francesco Guerri<br />
con il suo e con gli , ha<br />
stampato di M. Corteselli e A. Pardi, <br />
di Mutio Polidori (da un manoscritto del XVII sec.), gli , ed ogni anno presenta il , diventato un punto di riferimento per<br />
approfondire e conoscere avvenimenti e personaggi inerenti alla storia antica, medievale e<br />
moderna di Tarquinia.<br />
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5<br />
E’ anche grazie alla sua azione se negli ultimi anni è rinato l’amore per il patrimonio<br />
artistico, culturale e paesaggistico.<br />
Presente e vigile è stata anche nel sorvegliare i restauri in corso nella nostra città, ed<br />
è intervenuta con decisione se non rispondenti al rispetto dell’antico (vedi restauro del<br />
Prospetto principale del Palazzo Comunale).<br />
Estremamente importante la sua opera di recupero e conservazione di alcuni<br />
archivi, quali quello Falzacappa, quello Bruschi-Falgari e quello Quaglia che, altrimenti,<br />
sarebbero andati perduti. Molti sono gli studiosi che vengono a consultare queste antiche<br />
carte che, unitamente a quelle dell’Archivio Storico Comunale, sono preziose<br />
testimonianze di avvenimenti e personaggi del passato oltre che della società dei secoli che<br />
ci hanno preceduto.<br />
Il <strong>1991</strong>, che ha visto per iniziativa della STAS, nel mese di ottobre le Celebrazioni in<br />
onore di Giovanni Battista Marzi, si è concluso con la solenne celebrazione religiosa,<br />
celebrata dal Vescovo, mons. Girolamo Grillo, per festeggiare la conclusione della prima<br />
parte dei restauri dei mosaici cosmateschi di Santa Maria in Castello, restauro che ha dato<br />
la possibilità di riportare in piena luce i magnifici colori che gli antichi maestri marmorari<br />
romani avevano profuso per evidenziare gli eleganti motivi geometrici del pavimento<br />
musivo. E’ stato ripulito anche l’altare ed il fonte battesimale ad immersione. In questa sua<br />
ultima fatica la S.T.A.S. è stata affiancata dal locale Lions Club, dall’Associazione Pro<br />
Tarquinia, dal Centro Studi Cardarelliano e da benemeriti cittadini. Di questo restauro,<br />
come del Convegno su Marzi, si parla diffusamente in altra parte del Bollettino. Qui ci<br />
limiteremo a dire che vedere rifiorire quest’opera d’arte è per tutti i soci della Stas motivo<br />
di orgoglio e sprone per cercare di fare sempre meglio e sempre di più per questa Chiesa<br />
che da sola già nobiliterebbe artisticamente Tarquinia.<br />
Ancora sono molti i lavori che devono essere affrontati con spese niente affatto<br />
indifferenti, ma la <strong>Società</strong> confida che altri enti e associazioni tarquiniesi, che hanno a<br />
cuore i monumenti del passato di cui la nostra città è ricca, le staranno vicino per aiutarla a<br />
raggiungere questo suo intento. E’ di questi giorni poi la notizia che il Comune ha affidato<br />
alla STAS il restauro della Fontana di Piazza e questo è quanto farà la <strong>Società</strong> nel prossimo<br />
futuro.<br />
In questo ultimissimo periodo poi, nel suo interno, ad opera di soci desiderosi di<br />
fare qualcosa in prima persona, con il proprio contributo manuale, è nato il Gruppo<br />
Operativo, il quale sta portando a termine la ripulitura dell’andito d’armi della Torre di<br />
Dante, durante i weekend.<br />
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6<br />
La presenza della <strong>Società</strong> nella vita cittadina è quindi sempre molto attiva ed<br />
indirizzata ad incentivare anche iniziative di altri enti e gruppi culturali. E’ sempre<br />
coerente perciò nel suo modo di agire a quelle che sono le finalità che nel lontano 1917 il<br />
prof. Cultrera presentava nella “Sala gialla” del Palazzo Municipale ad un ristretto numero<br />
di ascoltatori.<br />
Sono stati anni molto densi di attività questi venti anni che sono intercorsi dalla sua<br />
rifondazione e ritengo che l’auspicio migliore che si possa farle, sia quello di trovare<br />
sempre tra i suoi soci, persone pronte ad impegnarsi per proseguire nella strada tracciata<br />
da coloro che hanno fatto di lei un sodalizio così importante per la cultura cittadina.<br />
ENEA SILVIO PICCOLOMINI<br />
Lilia Grazia Tiberi<br />
E UN MONUMENTO DEL QUATTROCENTO<br />
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7<br />
CORNETANO<br />
L’Estate di Emilio Greco si protende dal margine della strada. Da alcuni mesi<br />
richiama lo sguardo dei passanti: del cittadino forse non ancora del tutto abituato<br />
all’incombere delle sue forme e, più ancora, del turista che segua i contorni del Palazzo<br />
Vitelleschi. Certamente contende al pozzo del Palazzo del Magistrato la centralità<br />
materialmente occupata da oltre mezzo secolo all’interno della risega che separa la mole<br />
quattrocentesca dagli edifici allineati lungo il Corso Vittorio Emanuele.<br />
E la difficoltà a ricomporre unitariamente quello spazio, che provoca un<br />
allontanamento, quasi una ulteriore rimozione del monumento antico, è avvertita ancora<br />
più profondamente da chi si sia avvicinato ed abbia letto, nel riquadro più interno della<br />
vera ottagonale, il monito solenne: OPUS IN PERPETUAM MEMORIAM. I nomi dei<br />
magistrati e le figure dei quattro protettori di Corneto hanno perduto quasi per intero la<br />
nettezza originaria e la lunga esposizione alle intemperie, forse accentuatasi dopo la<br />
rimozione dal piccolo cortile del Palazzo Comunale, ha esalto la scabrosità del nenfro, la<br />
sua naturale opacità che si oppone ai morbidi chiaroscuri dell’opera moderna.<br />
Ma ancora ben si stagliano, allineati sui bracci della croce sovrastata dal triregno e<br />
dalle chiavi di Pietro, le cinque lune crescenti dei Piccolomini così come, a sinistra<br />
dell’iscrizione, nitidamente si allargano sui bracci di un’altra croce latina i rami del<br />
corniolo e, nel riquadro rivolto verso la strada, i due torelli dei Vitelleschi continuano ad<br />
affrontarsi fieramente sotto i sei gigli fiorentini.<br />
Questi tre stemmi, che richiamano rapporti e presenze tanto lontane nella storia<br />
della nostra città, la perentorietà della iscrizione, che data l’opera al 10 agosto 1459, mi<br />
hanno spinto a tentare il recupero della perpetua memoria per cui venne posto l’austero<br />
monumento1) .<br />
Il 21 gennaio di quell’anno, prima ancora che il sole si levasse, aveva attraversato le<br />
Terme di Diocleziano ed era sceso fino alla porta del Popolo e a ponte Milvio. Lo<br />
1) La proposta di restaurare e collocare il pozzo “al di sopra di un gradino di travertino, entro una breve area sistemata a<br />
giardino poco a destra di chi guardi il prospetto monumentale del palazzo Vitelleschi”, avanzata dal Soprintendente S.<br />
Aurigemma, venne accolta dal Podestà di Tarquinia nell’ottobre del 1940. Nell’Archivio Storico Comunale si<br />
conservano due lettere dell’Aurigemma che ci informano dettagliatamente della vicenda. Nell’anno seguente,<br />
l’Aurigemma ha anche dedicato al monumento un articolo pubblicato dal Giornale d’Italia del 27 maggio, poi ampliato<br />
e replicato in “Le Arti” V, 1943, fasc. VI, pp. 250-255, che sottolinea l’originalità del puteale e ne fornisce una<br />
completa descrizione. Ecco il testo dell’epigrafe: OPUS IN PERPETUAM MEMORIAM TEMPORE<br />
MAGNIFICORUM DOMINORUM MARCI OCTAVIANI DE VITELLENSIBUS CONFALONIERII PETRI<br />
BARTHOLOMAEI VIVIANI JOHANNIS CONSULUM FRANCISCI NICOLAI (Anno) MCCCCLIX (die) X<br />
AUGUSTI. L’ultimo nome si riferisce evidentemente al detentore della terza magistratura in ordine di importanza di<br />
elezione popolare, quella del Capitano di Cinquecento.<br />
7
8<br />
accompagnavano i cardinali, i personaggi più in vista della città e gran parte della plebe<br />
romana, mentre iniziava il viaggio che doveva portarlo a Mantova.<br />
Con la bolla Vocavit nos Pius del 13 ottobre 1458, all’indomani della elezione al<br />
pontificato, Enea Silvio Piccolomini chiamava a raccolta i principi cristiani nella città di<br />
Virgilio per contrastare l’espansionismo turco che aveva occupato Costantinopoli cinque<br />
anni prima ed era penetrato nei Balcani 2) .<br />
Suggestioni letterarie e progetti politici tornavano a mescolarsi nella mente di Pio II.<br />
Facevano parte del suo seguito cardinali di gran nome come Guglielmo d’Estouteville,<br />
Alano di Coetivy, Filippo Calandrini, Pietro Balbo, Prospero Colonna e Rodrigo Borgia.<br />
Dopo una prima sosta a Campagnano, feudo degli Orsini, il corteo papale si diresse verso i<br />
territori invasi alcuni mesi prima dal condottiero Jacopo Piccinino.<br />
Toccò Nepi e Civitacastellana, passò il Tevere su un ponte di legno fatto costruire nei<br />
pressi di Magliano. “Dovunque passava, le popolazioni riempivano le strade e salutavano il<br />
pontefice; i sacerdoti con le sacre immagini pregavano perché il viaggio fosse felice; i<br />
bambini e le vergini con le tempie incoronate d’alloro e con in mano i ramoscelli d’ulivo<br />
auguravano vita e fortuna al grande presule. Chi riusciva a toccare i lembi della veste si<br />
riteneva beato. Piene dovunque le strade di popolazione e cosparse d’erba verdeggiante, le<br />
piazze dei centri minori e delle città addobbate con stoffe preziose, le case private e le<br />
chiese del gran Dio ornate splendidamente” 3) .<br />
A Narni l’entusiasmo della folla giunse a mettere a repentaglio la vita stessa del<br />
pontefice per il riproporsi dell’usanza italiana di lasciare al popolo il cavallo e il<br />
baldacchino dei personaggi illustri4) .<br />
Il breve inviato ai Cornetani in data 25 Gennaio 1459 potrebbe suggerirci che tra<br />
coloro che difesero la persona del pontefice in quella pericolosa circostanza ci fosse il miles<br />
2) L’organizzazione della “santa crociata” contro gli infedeli è uno dei leit motiv del pontificato di Pio II. Tra le<br />
numerosissime testimonianze letterarie segnalo la famosa Epistula in Maumethem perfidum Turchorum regem e il<br />
capitolo dei Commentariirelativo alla scoperta ed alla utilizzazione dell’allume in territorio cornetano. Ma voglio<br />
soprattutto ricordare che la vita di quest’uomo tanto spregiudicato e privo di illusioni si concluse ad Ancona mentre,<br />
ormai vecchio e malato, era in procinto di imbarcarsi alla guida della crociata.<br />
3) Quacumque iter fecit populi, obviam effusi, Pontificem salutare; sacerdotes sacra ferentes felicem viam eunti<br />
precari; pueri innuptaeque puellae, redimiti tempora lauro et olivarum ramos manu gestantes, vitam et felicitatem<br />
magno praesuli optare. Qui fimbrias vestimentorum contingere possent beatos sese arbitrari. Plena ubique populi<br />
itinera et strata virentibus herbis, oppidorum et urbium plateae pretiosioribus opertae pannis, domus civium templaque<br />
magni Dei praecipius ornata modis. E. S. PICCOLOMINI PAPA PIO II, I Commentarii, a cura di L. Totaro, II,<br />
Milano, 1984, pp. 288 e 290.<br />
4) L’imperatore Federico III fu vittima di una analoga manifestazione di pericoloso entusiasmo popolare a Viterbo, nel<br />
corso del viaggio alla volta di Roma organizzato dal Piccolomini, allora vescovo di Siena ma ancora segretario<br />
imperiale, nel 1452, per la celebrazione del matrimonio con Eleonora di Portogallo e per l’incoronazione da parte di<br />
Niccolò V (cfr. F. GREGOROVIUS, <strong>Storia</strong> della città di Roma nel Medioevo, III, n.e. Torino 1973, p. 1891 e C.<br />
PINZI, <strong>Storia</strong> della città di Viterbo lungo il Medioevo, III, Viterbo, 1913, pp. 83-86).<br />
8
9<br />
Biagio Vittori. Certamente la lettura del documento conservato nell’Archivio Storico di<br />
Tarquinia istituisce una relazione fondamentale con il nostro monumento:<br />
5) .<br />
La singularis affectio del cavaliere di Narni aveva dunque indotto Enea Silvio<br />
Piccolomini ad abbandonare la dimensione ecumenica del suo viaggio ed a calarsi per un<br />
momento in una modesta questione di amministrazione municipale per rimuovere il suo<br />
precedente divieto di offrire qualsiasi dono al podestà, compreso quello tradizionale dello<br />
stendardo con le insegne del comune. La motivazione del divieto contenuto nella bolla del<br />
17 ottobre 1458 è di carattere finanziario: si vogliono ridurre al massimo le spese<br />
amministrative. Ma nel contempo si interrompe una usanza antica, collegata alla storia<br />
della indipendenza comunale e quindi profondamente sentita dai magistrati e dai<br />
consiglieri, prima ancora che dal podestà destinatario del dono6) .<br />
E’ certamente per questo motivo che la concessione di Pio II viene accolta con tanta<br />
soddisfazione da essere celebrata con la posa IN PERPETUAM MEMORIAM del puteale in<br />
nenfro che ornava la cisterna del Palazzo Comunale.<br />
Noi non sappiamo se a sostenere la causa del miles narniensis sia intervenuto il<br />
vescovo di Corneto Bartolomeo Vitelleschi allora, e già dal 1455, titolare della Legazione<br />
5) Dilectis filiis salutem et apostolicam benedictionem. Quia diligimus et paterna caritate complectimur dilectum filium<br />
Blasium Victorij militem Narniensem propter suam erga nos singularem affectionem idcirco hortamur devotiones<br />
vestras ut dilectum filium Bartholomeum presentem potestatem vestrum qui de parentela dicti Blasj existit velitis in<br />
omnibus honorem et commodum suum concernentibus propitius commendatum suscipere. Concedentes vobis et<br />
unicuique vestrum ut pro ipso Bartholomeo in consilio vestro liceat aringare et proponere sicut alias asseritis fieri<br />
consuevisse bullis brevibus et alijs quibuscumque indultis et statutis ceterisque contrarijs non obstantibus<br />
quibuscumque. Quod intuitu prefati Blasij nobis gratum erit. Datum Interamnis Sub anulo piscatoris MCCCCLIX die<br />
XXV Ianuarii Pontificatus nostri Anno Primo. In Arch. Stor. Com. Tarquinia, , 4, 106.<br />
Ringrazio Piera Ceccarini per la consueta cortesia con la quale mi ha agevolato nella consultazione dei documenti.<br />
Ringrazio altresì G. Seghenzi, autore delle fotografie pubblicate a corredo dell’articolo.<br />
6) Ceterun ut commoda nostre rei publice quoad honeste possumus modis omnibus procuremus vobis sub Centum<br />
similum florenorum pena quam vos si contra feceritis incurrere volumus eo ipso et quam per thesaurarum nostrim in<br />
Provincia Patrimonii pro tempore deputatum exigi volumus illico et cum effectu districtius inhiventes ne cui Potestati<br />
eiusdem Civitatis Vexillum sive Stendardum cum insignis dicte Civitatis ut moris est aut alias dare vel donare quomodo<br />
libet presumatis. In Arch. Stor. Com. Tarquinia, , 4.103.<br />
9
10<br />
dell’Umbria. Possiamo soltanto immaginare che egli si sia fatto incontro dalla sua sede di<br />
Foligno all’amico pontefice il quale peraltro con queste parole celebra, poco più avanti nel<br />
racconto dei suo Commentarii, la riconquista di Foligno ad opera di Giovanni Vitelleschi<br />
nel 1439:<br />
7) . Il ricordo di quella coppia di tori che<br />
sembravano volare si sarà forse offerto alla mente di Enea Silvio Piccolomini nel momento<br />
in cui gli si chiedeva di rimuovere il divieto di donare lo stendardo cornetano al podestà<br />
Bartolomeo Vittori ed avrà facilmente avuto la meglio sulle modeste preoccupazioni<br />
finanziarie.<br />
Ma anche nella nostra mente, per un’altra via, può insinuarsi la suggestione di quel<br />
ricordo, se riusciamo a distinguere in uno dei riquadri del pozzo del Magistrato i contorni<br />
di un cavaliere che solleva e lascia sventolare lo stendardo con l’insegna del corniolo: è<br />
l’immagine di S. Secondiano, il martire cristiano di Centumcellae divenuto principale<br />
protettore di Corneto agli albori dell’età medievale, di cui proprio nei giorni<br />
immediatamente precedenti quel 10 agosto veniva celebrata solennemente la festa8) . E’<br />
7) Haec civitas, Eugenio quarto sedente, ex manibus tyrannorum ad Romanam Ecclesiam rediit. Ferunt eius urbis<br />
regulum sanctum quendam virum propheticum habentem spiritum olim consuluisse, an regno sua posteritas aliquando<br />
privanda esset; illumque rwspondisse privandam, cum boves circus moenia civitatis evolarent. Quod cum impossibile<br />
videretur, aeternum sibi posterisque imperium urbis tyrannus persuasit. Verum nepotibus regnum tenentibus, Iohannes<br />
Vitellensis, Alexandrinus patriarcha, eo cum copiis profectus, cum obsidere urbem coepisset, explicatis vexillis, in quis<br />
insigne fuit par bovum qui, flante vento et agitante vexilla, volare quodammodo videbantur, magnum civitati terrorem<br />
incussit. Erat enim cunctis optimatibus notum vaticinium. Nec multis post diebus civitas dedita est, quae usque in hanc<br />
diem Romanis pontificibus paret. Tyranni dissipati sunt. PICCOLOMINI, Commentarii cit., II, p. 298.<br />
8) Oltre alla figura dominante di Secondiano, i santi patroni sono il comes Teofanio, anch’esso legato alla storia della<br />
distrutta Centumcellae, Pantaleimone (comunemente noto come S. Pantaleo) e Lituardo. Sotto il profilo della<br />
iconografia, può essere interessante un raffronto con la pala marmorea che contornava l’immagine miracolosa della<br />
Madonna di Valverde. Se, come propone S. Aurigemma, si accettasse l’identificazione con S. Margherita della figura<br />
10
11<br />
la sua figura, agghindata da magistrato, che materialmente rappresenta la concessione di<br />
Pio II e ne proclama la perpetua memoria.<br />
Quando, alla vigilia della seconda guerra mondiale, si decise di rimuovere il pozzo<br />
dalla sua sede originaria, nella nuova collocazione si mise in particolare rilievo lo stemma<br />
dei Vitelleschi, scolpito nel riquadro opposto a quello della iscrizione e affiancato dalle due<br />
coppie dei santi protettori. C’era forse l’intenzione di offrire una più austera replica della<br />
vera marmorea che campeggia nel cortile del Palazzo Vitelleschi, distante soltanto pochi<br />
metri 9) .<br />
Il riferimento a Marco Ottaviano Vitelleschi, allora gonfaloniere comunale, non<br />
sembra certo sufficiente a giustificare una sottolineatura così solenne. Molto di più conta il<br />
richiamo ad una famiglia che aveva già esercitato (e proprio in quegli anni recuperava<br />
pienamente) un ruolo predominante nella storia di Corneto.<br />
Ma è soprattutto la figura di Bartolomeo Vitelleschi che ci viene incontro, se è vero<br />
che nessuno che conosca la storia del profondo legame di amicizia che unì questo<br />
personaggio ad Enea Silvio Piccolomini può tentare con qualche successo di sottrarsi alle<br />
suggestioni provocate dalla unicità dell’accostamento materiale delle insegne10) .<br />
La più antica testimonianza di un rapporto diretto tra Bartolomeo ed Enea Silvio è<br />
costituita dalla annotazione che leggiamo negli Atti del Concilio di Basilea sotto la data di<br />
sabato 23 settembre 1442. Nella congregazione di quel giorno incorporatus fuit medio<br />
juramento reverendus pater dominus episcopus Cornetanus ed alla cerimonia che<br />
suggella l’ingresso di Bartolomeo Vitelleschi nel concilio, su cui da tre anni si era abbattuta<br />
la scomunica di Eugenio IV, è presente Enea de Senis, che già dal 1436 aveva ricoperto, in<br />
rapida successione, gli incarichi di abbreviatore apostolico, autore delle lettere e degli<br />
opuscoli sinodali, membro autorevole della cancelleria dell’antipapa Felice V, ed era stato<br />
più volte impiegato in importanti legazioni ufficiali11) . In particolare, la partecipazione alla<br />
recante la palma del martirio, si istituirebbe un ulteriore collegamento con il vescovo Bartolomeo Vitelleschi che<br />
proprio in quegli anni riprendeva l’edificazione della Cattedrale dedicata alla martire di Antiochia. Sulla particolare<br />
testimonianza storica offerta dalle traslazioni delle reliquie dei martiri di Centocelle, rinvio alla mia relazione La<br />
rappresentazione di Centumcellae nel racconto delle Passioni, in “Atti del Convegno Dal Porto di Traiano alla Città<br />
di Gregorio Magno”, Civitavecchia, <strong>1991</strong>, pp. 43-67.<br />
9)<br />
Un più interessante confronto può essere istituito con il coevo pozzo di S. Marco (1453) anch’esso in nenfro ed a<br />
pianta ottagona, da molti anni ormai collocato nei pressi della chiesa di S. Francesco. Le due vere sono della stessa<br />
altezza (circa un metro) ma quella in origine collocata nel convento degli Agostiniani è chiusa, nella parte superiore, da<br />
un elegante margine marmoreo ed è di diametro molto maggiore.<br />
10)<br />
Le due insegne dovevano ben più solennemente appaiarsi nella chiesa cattedrale consacrata il 3 luglio 1463 ed<br />
andata distrutta in seguito all’incendio del 1642.<br />
11)<br />
Concilium Basiliense, VII, Die Protokolle des Concils 1440-1443, a cura di H. Herre, Basel, 1910, pp. 427-428.<br />
11
12<br />
Commissione dei Dodici aveva consentito al Piccolomini di valutare titoli e poteri di<br />
Bartolomeo Vitelleschi prima di accettarne la richiesta di ammissione al Concilio.<br />
L’itinerario che lo aveva condotto a Basilea e che stava per aprirgli le porte della<br />
cancelleria imperiale (di cui lo stesso Piccolomini si propone scintillante cronista nella<br />
parte iniziale dei Commentarii) aveva già conosciuto momenti drammatici e vicende<br />
avventurose nel corso delle quali si sarà certamente offerta ai nostri personaggi qualche<br />
occasione di incontro. Fin dal autunno 1434, quando Eugenio IV si rifugiò a Firenze,<br />
Bartolomeo Vitelleschi soggiornò più volte in quella città al seguito del patriarca<br />
Giovanni12) . Si può ipotizzare, senza risalire agli anni degli studi senesi e fiorentini, che i<br />
due si siano frequentati nella primavera del 1435, in occasione della permanenza a Firenze<br />
di Enea Silvio, allora segretario del vescovo di Novara Bartolomeo Visconti. Il Piccolomini,<br />
come è noto, rimase coinvolto in un tentativo di rapimento di Eugenio IV e poté salvarsi<br />
soltanto grazie alla ospitalità del cardinale Albergati. A proposito di questo drammatico<br />
frangente, è certamente necessario ricordare, anche per gli sviluppi successivi della nostra<br />
storia, la lunghissima e devota permanenza al servizio dell’Albergati di Tommaso<br />
Parentucelli, il futuro Niccolò V, iniziata dopo un giovanile incarico di precettore in casa di<br />
Rinaldo degli Albizi, grande amico di Giovanni Vitelleschi13) .<br />
Ben diverse ci appaiono le esperienze compiute da Bartolomeo. L’attribuzione del<br />
feudo della Tolfa Nuova (1435), l’amministrazione della Chiesa cornetana (1437), la<br />
nomina a vescovo della nuova diocesi di Corneto e Montefiascone (1438), la reggenza del<br />
Patrimonio di S. Pietro (1439) sono le tappe di un cursus honorum costruito dalla potente<br />
protezione dello zio pià che dalla affermazione di personali virtù.<br />
Nella ricostruzione del drammatico momento che seguì alla cattura e all’uccisione di<br />
Giovanni Vitelleschi nella primavera del 1440 merita una particolare considerazione<br />
l’annotazione che leggiamo del racconto di un autorevole testimone. Per lo passato dissi la<br />
morte del cardinale di Fiorenza, e come lui rimase un nepote, che aveva già fatto fare<br />
vescovo di Montefiascone e Corneto. Questo vescovo, sentito ch’era preso il zio, fuggì a<br />
Siena con molti denari del detto cardinale con certi suoi seguaci. Onde il papa mandò più<br />
volte a dire a’ Senesi che li mandassero detto vescovo e seguaci, overo li denari che<br />
avevano. Ma li Senesi non ne volsero far niente, anzi dicevano essere liberi, e non aver a<br />
far niente con persona. Per il che il papa li fe’ fare una correria in Valdorcia, e raccolse<br />
12)<br />
Proprio a Firenze Bartolomeo è sorpreso dalla notizia dell’arresto dello zio (cfr. N. DELLA TUCCIA, Cronaca di<br />
Viterbo, in Cronache e Statuti della città di Viterbo, a cura di I. Ciampi, Firenze, 1872, p. 173.)<br />
13)<br />
E’ forse questo il primo collegamento con il pontefice che consentì ai Vitelleschi di recuperare il loro primato nella<br />
città di Corneto.<br />
12
13<br />
gran quantità di bestiame e prigioni nell’entrata d’agosto. Onde per questo li Senesi<br />
disposero stare alle difese, e fero celare detto vescovo, dando nome ch’era fuggito 14) .<br />
Il cronista viterbese Niccolò della Tuccia sottolinea dunque la generosa (e<br />
pericolosa) ospitalità che per un tempo forse non molto breve i Senesi concessero allo<br />
smarrito vescovo cornetano e viene voglia di chiedersi per quale motivo, al di là della<br />
tradizionale e sempre rinnovata contrapposizione a Firenze, dopo aver inviato<br />
ambasciatori presso Eugenio IV per chiedere la liberazione del cardinale Vitelleschi, si<br />
siano tanto impegnati nella difesa di Bartolomeo. Le numerose lettere inviate da Basilea<br />
alla città e a diversi privati cittadini di Siena da parte di Enea Silvio Piccolomini, nel<br />
periodo in cui egli portava dalla cancelleria dell’antipapa Felice V l’attacco più violento<br />
contro Eugenio IV, non avranno sollecitato quel comportamento?<br />
Inoltre la correria in Valdorcia, se fu qualcosa di più che una generica pressione<br />
esercitata sulla repubblica senese, ci fa ricordare un passo della famosa descrizione del<br />
monastero del Monte Oliveto contenuto nel libro decimo dei Commentarii: 15) .<br />
Si tratta, forse, di una suggestione letteraria. Eppure, se dovessimo tentare di<br />
individuare il luogo dove i Senesi fero celare detto vescovo nessuno farebbe meglio al caso<br />
nostro. E non soltanto per la vicinanza della Val d’Orcia e per le naturali garanzie di difesa<br />
efficacemente sottolineate dalla descrizione di Pio II. Molto più eloquente è per noi il<br />
legame spirituale che si stabilì tra Bartolomeo Vitelleschi e gli Olivetani, ricordati con le<br />
commosse parole della riconoscenza nel Testamento del 146316) .<br />
14) DELLA TUCCIA, Cronaca, cit., p. 180.<br />
15) Collis sublimis est ad Occidentem respiciens, thofo cretaque compactus, stadio circiter longus, latitudine multo<br />
minor. Si formam quaeris, castaneae folium imitatur. Unique rupes in baratra pergunt profundissima, in quae horror<br />
sit aspiscere. Qua iungitur reliquae terrae collis, dorso modico turris erecta est lateritia quae omnem prohibet<br />
accessum non amicum et fossa deducta quae in utrunque baratrum emittit aquas. Ea ponte coniungitur; quo sublato,<br />
nulli patet ad coenobium aditus. PICCOLOMINI, Commentarii cit., X, pp. 1944 e 1946. Da questo luogo, situato tra<br />
Asciano e Buonconvento, dove nel 1313 si ritirarono Giovanni Tolomei, Ambrogio Piccolomini e Patrizio Patrizi, ebbe<br />
origine l’ordine degli Olivetani.<br />
16) G. INSOLERA, I riti della morte nel Testamento di Bartolomeo Vitelleschi, in “Bollettino dell’anno 1984” della<br />
<strong>Società</strong> Tarquiniense di <strong>Arte</strong> e <strong>Storia</strong>, pp. 23-35, al quale faccio riferimento anche per quanto riguarda l’ultima<br />
evoluzione dei rapporti tra Bartolomeo ed Enea Silvio.<br />
13
14<br />
Da Siena, probabilmente lungo lo stesso itinerario percorso da Enea Silvio otto anni<br />
prima, Bartolomeo raggiunse Basilea dopo aver toccato Genova e Milano ed aver valicato le<br />
Alpi attraverso il S. Gottardo.<br />
Gli Atti del Concilio di Basilea ci consentono un piccolo passo indietro nella nostra<br />
ricostruzione, facendoci risalire fino alla data del 4 luglio 1442, sotto la quale annotano<br />
l’incarico attribuito a Niccolò Amici di ricevere, a nome del Concilio, il giuramento di<br />
Bartolomeo Vitelleschi allora ambasciatore in Inghilterra. In questo incarico, che lo poneva<br />
ancora sulle orme dell’amico, Bartolomeo venne sostituito dall’episcopus Vicensis,<br />
probabilmente perché chiamato a rappresentare il concilio alla dieta di Francoforte nella<br />
legazione cui partecipò anche il Piccolomini 17) .<br />
Successivamente la medesima fonte ci attesta l’inserimento del vescovo cornetano<br />
nella deputazione pro reformatorio e la partecipazione a quattro congregazioni generali<br />
nei mesi di novembre e dicembre, oltre alla già ricordata legazione presso l’imperatore<br />
Federico III.<br />
Tre lettere, inviate al Piccolomini tra la fine del 1443 e l’inizio del 1444, oltre a<br />
fornirci ulteriori e significativi elementi di conoscenza sugli anni dell’esilio, ci fanno<br />
entrare in un rapporto diretto con il personaggio, che si rivolge all’amico e presenta la<br />
propria condizione al di fuori di qualsiasi velleità o mistificazione letteraria.<br />
La prima lettera, del dicembre 1443, si apre con gli squillanti ringraziamenti per<br />
l’inserimento tra i consiglieri dell’imperatore. Anche il padre Jacopo ha esercitato le sue<br />
pressioni sulla corte, ma certamente più potenti saranno state le raccomandazioni di Enea,<br />
poeta laureautus dal luglio del ‘42 e da oltre un anno autorevole membro della cancelleria<br />
imperiale18) .<br />
Ci troviamo di fronte a un documento di grande solidarietà umana. Enea, il più<br />
fortunato, maschera generosamente l’aiuto prestato a Bartolomeo il quale, dal canto suo,<br />
promette di corrispondere alle esortazioni dell’amico e di essere, nel Concilio, un<br />
osservatore fedele agli interessi di Federico III.<br />
17) Post quamquidem conclusionem dominus Arelatensis recepit iuramentum a domino Nicolao Amici ambassiatore.<br />
Cui domino Nicolao sacra congregacio commisit ut juramentum nomine concilii reciperet a domino episcopo<br />
Cornetano ambassiatore in Britanniam. E’ il 4 luglio 1442. Niccolò Amici è presentato dagli Atti come ambassiator<br />
universitatis Parisiensis. L’8 luglio il vescovo di Vich sostituisce nell’incarico di ambasciatore Bartolomeo Vitelleschi<br />
in procinto di partire per Francoforte (cfr. Concilium cit., p. 472 e p.477). Quanto ai rapporti tra Pio II e l’Inghilterra,<br />
mi riferisco naturalmente ai capitoli 5 e 6 del primo libro dei Commentarii che contengono la narrazione della missione<br />
18) Jacopo Vitelleschi ci è noto anche quale teste agli atti di donazione di Rainuccio Farnese al fratello Giovanni e, in<br />
successione immediata, di questi alla Comunità di Corneto del palazzo con quattro apothece, sito in contrada S.<br />
Bartolomeo, perché se ne curi la demolizione e si provveda alla costruzione della resecata (cfr. La “Margarita<br />
Cornetana”, Regesto dei Documenti, a cura di P. Supino, Roma, 1969, pp. 396 e 397).<br />
14
15<br />
Colpisce, in particolare, una frase nella quale certamente riaffiora il ricordo<br />
bruciante della fuga e della perdita della diocesi cornetana ().<br />
All’inizio della seconda lettera del febbraio 1444, cogliamo il ricordo della legazione<br />
a Francoforte, alla quale i due amici parteciparono insieme nell’estate del ‘42, e della<br />
richiesta avanzata allora direttamente da Bartolomeo di essere assunto ad consiliaratum<br />
Cesaris. Allora, di nuovo, intervenne la separazione ed Enea Piccolomini, con il<br />
conseguimento della corona di poeta caldeggiato dal vescovo di Chiemsee Silvestro<br />
Pflieger, iniziò la carriera presso la cancelleria imperiale. In perfetta consonanza con le<br />
parole dello stesso Piccolomini, la lettera segnala un importante progresso con il<br />
conseguimento della promozione a primo segretario imperiale 19) .<br />
Ma nella lettera troviamo altre interessanti coincidenze con il racconto dei<br />
Commentarii. Nel lamentare che la comunicazione ufficiale della nomina non gli sia<br />
ancora pervenuta, Bartolomeo avanza il sospetto che ciò sia da addebitarsi ad un<br />
Wilhelmus de Constantia che sembra essere il medesimo Wilhelmus, spregiatore degli<br />
italiani ed alto funzionario della cancelleria imperiale, che ostacolò in ogni modo Enea<br />
nella fase iniziale della sua carriera. Prima di professarsi observantissimus et predicator<br />
indefessus del nome dell’imperatore, Bartolomeo fornisce informazioni sui preparativi di<br />
guerra di Firenze e Venezia, sulle missioni diplomatiche di Alfonso d’Aragona e di<br />
Francesco Sforza, che mirava alla nomina di vicario del concilio ed insidiava il possesso<br />
delle Marche ad Eugenio IV, da poco rientrato a Roma.<br />
Il vescovo cornetano dimostra insomma di voler rispettare gli impegni conseguenti<br />
alla nomina non ancora notificata ed informa scrupolosamente su questioni militari e<br />
diplomatiche relative allo scontro decisivo allora in atto in Italia.<br />
Affari di stato e preoccupazioni personali si susseguono così in questa lettera che si<br />
chiude con l’omaggio al grande protettore di Enea Silvio presso l’imperatore, l’episcopus<br />
Chiemensis conosciuto da Bartolomeo alla dieta di Francoforte.<br />
La terza lettera, ancora del febbraio ‘44, a differenza delle precedenti, non è spedita<br />
dalla residenza di Losanna. Bartolomeo è stato costretto ad accettare la lontana diocesi<br />
delle Cevenne e vi si è recato in una prima e faticosa visita pastorale. Da lì scrive ad<br />
Enea per lamentare la propria miseria e chiedere con forza ulteriori interventi a proprio<br />
favore.<br />
19)<br />
(Aenas) apud Caesarem indiescrescens, ad res magnas et arduas vocatus, in Consilium secretius tandem receptus<br />
est. Commentarii, cit., I, p. 52.<br />
15
16<br />
E’ l’insistenza, quasi la sfrontatezza delle richieste, giustificate dalla affermazione<br />
finale (), a denunciare un<br />
legame di amicizia straordinariamente saldo e confidente.<br />
Ma ecco il testo e la traduzione delle tre lettere20) .<br />
Bartholomeus ep. Corn. Enee Silvio<br />
laureato poeta salutem dicit plurimam<br />
Suscepi hesterno die gratissimas<br />
litteras tuas, mi clarissime, quibus non<br />
modo gratulor ego, sed omnis mea<br />
domus quam vehementius gaudet, cum<br />
in primis sospitatem tuam, que nobis<br />
omnibus extar auro pretiosior, et demum<br />
nostri te memorem intelligamus. nec tu<br />
plurimorum mores servas, qui tanto ad<br />
rem afficiuntur, quanto illam aspiciunt<br />
dataque absentia ad amicitiam se prebent<br />
immemores. sed quidem ab horum opinione<br />
devias, qui, etsi me presens colueris, absens<br />
et me meosque omnes diligis magis et amorem<br />
in me ostentas tuum. et si hec scripserim non<br />
aberro. scribis enim, me ad hosce dies a cesare<br />
inter alteros ejus consiliaros ascriptum esse, quod<br />
ad grandem cepi animi voluptatem et gratitudinem<br />
parem. et tu id existimor vales, si ad gratiam cesserint<br />
cum nec ignores, quanto id studio Francofordie flagitarim<br />
quod autem in presentiarum, me inscio, me non sperante<br />
me denique ad eam rem tunc non habente animum, id<br />
ipsum factum extiterit, magnifico et chooperatorum<br />
probo et laudo amicitiam, quique fuerint. nuntias dominum<br />
Jacobum, patrem meum, ad ream rem dedisse opus nec<br />
a te quidquam scribis, ut qui erga te non habeam gratias<br />
pro munere tanto. facis, rem intelligo et scio, non te<br />
16
17<br />
mutum aut elinguem obvenisse facto nec rei obfuisse<br />
in quoquam. sed quocumque res cesserint, nuntiant<br />
tibi rem adeo gratam habeo gratias et ingentes et eas<br />
pares facies meis verbis domino Jacobo, quem huiusce<br />
rei ducem fuisse denuntias. congratulor equidem ea re,<br />
ac si episcopatum meum nactus essem. ideo ut scribis<br />
itidem facias, ad me consiliaratus litteras quam citius<br />
mittas et ego ad rem cesaris, ut me hortaris, vigil ero<br />
semper et intentior, tuque ad eum cesarem me<br />
commissum facias. rursus te oro et obsecro, si amas<br />
me, et quam crebrius ad me scribas et hanc nostrorum<br />
corporum absentiam crebro vincamus sermone et<br />
absentie huius pondus litterarum nostrarum vicissitudine<br />
et beneficio leniamus. quod equidem servabo tibi, si modo<br />
scribendi facultas assit, supplicantiam pro genito domini<br />
Jacobi. nondum expeditam reppereram Lausanne, quod<br />
non sine mollitione et machina factum fore arbitratus sum.<br />
sed celeri remedio usus fui, ut ex litteris meis ad dominum<br />
Jacobum coniectaberis. vale decus amicitia et me, quemad<br />
modum, semper facis, ama. ex Lausanne, idibus decembris.<br />
Il vescovo di Corneto Bartolomeo saluta affettuosamente Enea Silvio poeta laureato.<br />
Ho ricevuto ieri la tua graditissima lettera, mio illustre amico, per la quale non solo io mi<br />
congratulo,ma tutti i miei familiari sono oltre modo felici nell’apprendere anzitutto<br />
della tua salute, che è per noi più preziosa dell’oro, e poi che ti ricordi di noi. Non ti<br />
comporti come la maggior parte delle persone, che si prendono cura della cosa soltanto<br />
quanto ce l’hanno davanti agli occhi e, dopo che è intervenuto la lontananza, non si<br />
ricordano più dell’amicizia. E certamente sei lontano dall’opinione di costoro tu che,<br />
avendo curato di me quando eri presente, ora che sei lontano hai riguardi ancora maggiori<br />
per me e per tutti i miei manifesti pienamente il tuo amore verso di me. E non sbaglio a<br />
scrivere queste cose. Scrivi infatti che io in questi giorni sono stato ascritto dall’imperatore<br />
tra i suoi consiglieri, cosa che ho appreso con grande piacere e con pari gratitudine. Anche<br />
tu puoi renderti conto di quanto la cosa mi sia gradita, giacché sai bene con quanta<br />
20) Le tre lettere sono state pubblicate da R. WOLKAN, Der Briefwechsel des Eneas Silvius Piccolomini, in Fonres<br />
17
18<br />
insistenza ne abbia fatto richiesta a Francoforte. E ora che, senza che io lo sapessi, senza<br />
che lo sperassi, senza che più ci pensassi, proprio questa cosa si è realizzata, io esalto,<br />
plaudo e lodo l’amicizia di quanti mi hanno aiutato, chiunque sia stato. Mi informi che il<br />
signor Jacopo, mio padre, si è molto impegnato in questa impresa e di te non dici niente,<br />
perché non debba esserti riconoscente per un servigio tanto grande. Ammetti, comprendo<br />
perfettamente la cosa, che non sei rimasto muto e senza lingua di fronte all’iniziativa e che<br />
hai dato il tuo nullaosta. Ma, comunque siano andate le cose, a te che annunci un esito<br />
tanto gradito porgo i miei vivi ringraziamenti e ti prego di farne altrettanti a nome mio al<br />
signor Jacopo, che tu presenti come il condottiero dell’impresa. Di ciò io mi compiaccio<br />
come se avessi ottenuto il mio episcopato e dunque fa come scrivi, inviami al più presto la<br />
notifica della nomina ed io, come mi esorti, vigilerò sempre e con grande cura sugli<br />
interessi dell’imperatore, mentre tu comunicherai all’imperatore la mia più completa<br />
disponibilità. Di nuovo ti prego e ti scongiuro di scrivermi più spesso che puoi per vincere<br />
questa lontananza dei nostri corpi con una continua comunicazione e per lenire con lo<br />
scambio delle nostre lettere e con la benevolenza il peso della lontananza. Io ti conserverò,<br />
se ci sarà la possibilità di scriverti, la supplica per il figlio del signor Jacopo. L’ho trovata,<br />
non ancora spedita, a Losanna e ho pensato che la cosa si sarebbe realizzata non senza<br />
qualche espediente, ma ho trovato un rapido rimedio, come potrai congetturare dalla<br />
lettera al signor Jacopo. Ti saluto carissimo amico e ti prego di riservarmi, come sempre, il<br />
tuo affetto.<br />
Da Losanna, 13 dicembre.<br />
B. ep. C. sal. pl. d. E.s., regio protonotario. Jocundissimis litterulis tuis, vir<br />
clarissime, quibus generosi militis Jacobi ac tua opera me assumptum esse ad<br />
consiliataroum cesaris nuntiabas ab duobus mensibus responderam per alias meas<br />
litteras, quas si habueris letor. cognosces enim quantam ex eo mihi jocunditatem<br />
attuleris, vibebis et gratias, quas huiusce rei vobis cooperatoribus offerebam ob hoc<br />
insigne munus, quod nosti quanto ego cum studio flagitarim, dum una essemus in<br />
Germania apud regem; posthac nullis alteris tuis litteris quicquam de te concepi nisi,<br />
quemadmodum enuntiat Peregallus noster, te valere et apud cesarem in dies te pluris<br />
existimari et ad utramque cancellariam in pronotonotarium jussu regio absumptumesse,<br />
quo gratulor cupioque, ut in dies feliciores successus de te sentiam, unde ne hoc meum<br />
desiderium frustra sit stude. precor semper, ut cesaris rebus intentus sis ac illis continuo<br />
Rerum Austriacarum, Vienna, 1909, pp. 247-248, 292-293, 296-297.<br />
18
19<br />
morem geras. quod si effeceriss, crede mihi, melius secundaberis et eos omnes, quos tibi<br />
amicos habes, letos ac perjocundos efficies. Verum, ut ad eam remregrediar, vereor, me<br />
litteras super consiliariatu, quas ex litteris domini Jacobi ad me. nuperrime intelligo<br />
fuisse traditas domino Wilhelmo de Constantia, ut illas aut ad me mitteret aut daret, ob<br />
ipsius amiserim fortasse portatoris infidiam, cum nusquam eas ad me miserit quod et,<br />
me magis excruciat, nec mittet ex causis, quas tu tecum ipse conjectaberis. nam ipse est<br />
apud Constantiensem episcopum et nos abnegavit. intellegis jam quod in ea re actum sit<br />
ut, nisi tu iterum juveris, privabor munere hoc ingenti, quare velim sicque oro te, ut eam<br />
litteram una cum domino Jacobo, cui scribo, renovari facias, quod facile impetrabis, et<br />
eam domum ad me mittas, securiori modo ad manus Onnisboni. quod si efficies, mihi in<br />
ea re quam maxime complacebis nec usquam hoc in gens obsequium obliterabunt<br />
tempora nec etates. nulla ex regionibus Italie altera nova apud nos sunt, que ad te<br />
scribam, nisi Venetos et Florentiam parare maritimas et terrestres copias quam ingentes.<br />
rursus apus pontificem nostrum maximum due pratice sunt serenissimi scilicet regis<br />
Aragonum, pro quo ad mensem hic fuit reverendissimus dominus Vicensis ac comitis<br />
Francisci, a quo missus est dominus Thomas Reatinus, quem noscis et eum vidisti apud<br />
cesarem, quos tractatus et practicas pontifex noster ex animo et corde complecitur et ex<br />
utravis harum, quam bene sperem et quem ad modum res ipsa succedet, ex post<br />
intelliges. rei domini Jacobi non secus quam mee intentus fui, ut ei scribo ubere, a quo<br />
scire valebis omnia aspiciesque ex bullis desuper confectis. scito tamen Peregallum<br />
nostrum pro minuta et grossa prime littere dedisse pecunias. sepius ac sepius me<br />
commendatum facias cesaris et iteratas gratias pro consiliariatu sue majestati reddas<br />
meo nomine, cui era observantissimus et gloriosissimi nominis sui predicator indefessus.<br />
itidem et facias apud reverendissimum patrem dominum meum Chiemensem. et tu vale<br />
ac amorem nostrum et amicitiam observa cordi crebioribusque tuis litteris cum<br />
contingentiis patrie ac regionis illius. vale iterum. ex Laus.<br />
Il vescovo di Corneo Bartolomeo saluta affettuosamente Enea Silvio, primo segretario<br />
imperiale.<br />
Avevo risposto da due mesi con una mia lettera, illustrissimo amico, alla tua breve lettera<br />
quanto mai gradita con la quale annunciavi che io ero stato assunto tra i consiglieri<br />
dell’imperatore grazie all’opera tua e del nobile cavaliere Iacopo e, se l’hai ricevuta, me ne<br />
rallegro. Saprai infatti che grande gioia con questo mi hai dato e vedrai i ringraziamenti<br />
che porgevo a voi che avevate cooperato alla cosa per la prestigiosa carica, dal momento<br />
che tu sai con quanta insistenza io la richiedessi mentre ci trovavamo insieme in Germania<br />
19
20<br />
presso il re. Ma poi non ho più saputo nulla di te da altre due lettere se non, come mi fa<br />
sapere il nostro Peregallo, che tu stai bene, che godi di sempre maggiore stima presso<br />
l’imperatore e sei stato assunto per ordine del re al primo segretariato di entrambe le<br />
cancellerie; di questa cosa io mi congratulo e desidero ascoltare di te sempre maggiori<br />
successi e tu impegnati affinché non sia vano questo mio desiderio. Prego sempre che tu ti<br />
applichi con impegno e dedizione assoluta all’amministrazione imperiale. Se farai cio,<br />
credimi, asseconderai meglio anche tutti noi che ti siamo amici e ci farai veramente felici.<br />
Ma, per tornare a quella cosa, temo di aver perso la notifica della carica di consigliere<br />
imperiale, che dalla lettera del signor Iacopo so che fu quanto prima trasmessa al signor<br />
Guglielmo di Costanza affinché me la facesse pervenire, forse per la slealtà di chi me la<br />
doveva consegnare, poiché non me l’ha inviata affatto e, cosa che mi tormenta di più, non<br />
me la invierà per i motivi che tu potrai comprendere da solo. Infatti egli si trova presso il<br />
vescovo di Costanza e ci si è negato. Ora puoi capire che cosa sia accaduto e se non mi<br />
aiuterai di nuovo sarò privato di questa ingente ricompensa.<br />
Perciò vorrei, e te ne prego, che tu facessi scrivere di nuovo quella lettera insieme<br />
con il signor Iacopo, a cui anche mi rivolgo, cosa che tu facilmente otterrai, e che me la<br />
inviassi a casa in un modo più sicuro per mano di Onnisbono. Se farai ciò mi farai un<br />
grandissimo piacere e né i tempi né le età faranno dimenticare questo grande servigio.<br />
Dalle regioni d’Italia non c’è nessun’altra nuova che possa scriverti se non che Venezia e<br />
Firenze preparino forze marittime e terrestri imponenti. Di nuovo presso il nostro<br />
pontefice massimo ci sono due pratiche e cioè del serenissimo re d’Aragona, per il quale in<br />
questo mese è stato qui il reverendissimo monsignor Vich, e del conte Francesco,<br />
rappresentato dal signor Tommaso di Rieti, che tu conosci e hai visto presso l’imperatore.<br />
Il nostro pontefice tiene molto a cuore queste trattative e pratiche e in seguito capirai<br />
quanto io speri bene di entrambe e come avranno naturalmente un esito positivo. Ho avuto<br />
cura della situazione del signor Iacopo non diveramente che della mia, come gli scrivo<br />
diffusamente, e da lui potrai sapere ogni cosa e potrai controllare dai sigilli apposti. Sappi<br />
tuttavia che il nostro Peregallo ha pagato per la minuta e la stesura definitiva della prima<br />
lettera. Raccomandami sempre di più all’imperatore e ringrazia reiteramente a nome mio<br />
per la nomina a consigliere sua maestà cui sarò obbedientissimo oltre che indefesso<br />
predicatore del suo gloriosissimo nome. Lo stesso ti chiedo di fare presso il reverendissimo<br />
padre monsignor di Chiemsee. E tu sta bene e osserva il nostro amore e la nostra amicizia<br />
con il cuore e con più frequenti lettere che mi diano notizie della patria e di quella regione.<br />
Di nuovo ti saluto.<br />
Da Losanna, febbraio 1444.<br />
20
21<br />
B. e C. S. pl. d. E. S., poetae clarissimo et amico praestanti. Dulce mihi admodum et<br />
suave est, vir clarissime, quod valeas, dummodo recte valeas, quando te apud tuum<br />
cesarem honore primum et commodis non carere existimem sed apud eum in dies te ob<br />
ingentes virtutes tuas et doctrinam magni pendi sciam et intelligam. Scripsissem ad te<br />
crebrius, nisi provolutus visitatione episcopatus Gebennensis, quam ob gravem meam<br />
penuriam ut viverem absumpsi invitus. cum enim ut solent visitatores ipso in esercitio<br />
per eam diocesim cucurrerim hinc inde distolus, non potui nec crebrius nec prius scribere<br />
ad te. scias itaque me valere cum omni famiglia quamquam misere suscepissseque<br />
litteras consiliariatus regii, ad quas tu tantopere laborasti, mihi quidem caras et gratas<br />
et inter res alteras cariores. et ea propter cesari tuo primum, qui tanta in me humanitate<br />
usus est, tibique ac domino Jacobo, qui et initium et incepte rei finem prebuistis, ago<br />
gratias indefessas, non recusans, si modo mossim, vestris honori, et commodo praebere<br />
vires. restat aliud, ut communi rei nostre tractande nunc, admotis calcaribus, totis<br />
viribus te exhibeas in medium, pro veritate neminem extimescens. potes enim nunc, quo<br />
gratulor te, rei nostre apprime favere, et vales apud cesarem et omnes suos. idcirco<br />
tamquam fortis athleta ac certator in medium occurras et ut res successerint, me avises et<br />
si, ut gliscimus, successerit apud regem et suos, rem meam, que tua est, singulari affectu<br />
suscipies, ut sic videam, te me alterum esse in re mea, quemadmodum et in tuis agerem<br />
indefessus. vale et me ama, ut ceperas, licet absentem et insudes gratificari tuo<br />
humanissimo Cesari. ex Gebennis..<br />
Il vescovo di Corneto Bartolomeo saluta affettuosamente Enea Silvio, poeta chiarissimo e<br />
amico insigne. E’ per me un grandissimo piacere, illustre amico, sapere che stai bene,<br />
purché veramente tu stia bene, dal momento che ritengo che presso il tuo imperatore tu<br />
goda anzitutto di ogni onorevole considerazione ma anche perché io so e comprendo che tu<br />
sei stimato sempre di più presso di lui per le tue grandi virtù e per la tua dottrina. Ti avrei<br />
scritto più spesso se non fossi stato distolto dalla visita alla diocesi delle Cevenne, che sono<br />
stato costretto ad accettare per la mia grande indigenza. Avendo infatti corso per il<br />
territorio della diocesi, come sono soliti i visitatori nell’esercizio della loro funzione,<br />
sbattuto di qua e di là, non ho potuto scriverti né più spesso né prima. Sappi dunque che io<br />
con tutti i miei familiari sto bene in salute, anche se in miseria, ed ho ricevuto la lettera<br />
della nomina a consigliere dell’imperatore, per la quale ti sei tanto dato da fare, certamente<br />
a me cara e gradita e più cara delle altre cose. Per questo non mi stanco di rendere grazie<br />
21
22<br />
anzitutto al tuo imperatore, che mi ha dimostrato tanta generosità, poi a te e al signor<br />
Iacopo che avete dato inizio e compimento alla cosa, non recusando, se solo io lo possa, di<br />
offrire le mie forze per il vostro onore e il vostro vantaggio. Ora non rimane, per trattare la<br />
nostra comune situazione, che tu entri in campo a spron battuto con tutte le forze, non<br />
temendo nessuno a vantaggio della verità. Puoi infatti ora, e di ciò ti ringrazio, favorire<br />
potentemente i nostri interessi giacché hai voce in capitolo presso l’imperatore e tutta la<br />
corte. Per questo, come un forte atleta e un combattente, corri in campo e avvisami di<br />
come vanno le cose e se, come desideriamo ardentemente, avranno successo presso<br />
l’imperatore e la corte, sorreggerai con straordinario affetto la nostra situazione così che io<br />
veda che nel trattare di essa tu sia un altro me stesso, come da parte mia instancabilmente<br />
mi comporterei nei tuoi confronti. Sta bene e amami, come il tuo solito, anche da lontano e<br />
impegnati a compiacere il tuo generosissimo imperatore.<br />
Dalle Cevenne, febbraio 1444.<br />
Bartolomeo Vitelleschi attendeva dunque con impazienza che il suo nuovo<br />
protettore scendesse in campo, ne seguiva con affetto - ma anche con un compiacimento<br />
interessato - i crescenti successi, fino alla clamorosa missione a Roma, presso Eugenio IV,<br />
dell’aprile 1445, proprio a dieci anni di distanza dall’ fiorentino.<br />
E’ ben nota l’accusa di incoerenza, se non di carrierismo, che è stata lanciata contro<br />
il Piccolomini, passato nell’arco di sei anni dalla celebrazione dell’antipapa, di cui era<br />
segretario, alla ritrattazione e all’obbedienza. Nei due anni che separano l’incoronazione di<br />
Felice V dall’ingresso nella cancelleria imperiale, Enea Silvio si rese conto che i conciliaristi<br />
non avevano nessuna seria prospettiva e maturò una graduale revisione delle sue posizioni.<br />
Più corretto sarebbe dunque parlare di realismo e sottolineare la straordinaria abilità<br />
diplomatica del segretario di Federico III. Allora ebbe inizio la stagione della pacificazione<br />
e si posero le premesse per lo storico concordato di Vienna del 1448 che assicurò al papa la<br />
vittoria sul movimento conciliare ed avviò la definitiva trasformazione del Patrimonio di S.<br />
Pietro in Stato della Chiesa. Mi sembra particolarmente significativo che nel racconto di<br />
quella missione il Piccolomini abbia voluto evidenziare il riavvicinamento a Tommaso<br />
Parentucelli, il cui pontificato stava per aprirsi all’insegna della conciliazione e del<br />
temporalismo.<br />
Ricordo come al tornar indietro feci la via di Gienevera che ci era il vescovo di<br />
Corneto mio parente et padrone, che stava con papa Felice duca di Savoia fatto antipapa.<br />
Havea sette cardinali, et in quel tempo fece cardinale il prefato vescovo Vitellesco, ciovè<br />
22
23<br />
messer Bartolomeo: quale poi venne a Roma, morto papa Eugenio, alla creatione di papa<br />
Nicola V, et fece unione fra papa Felice et papa Nicola V, dove io fui presente et<br />
negoziatore di questa buon’opera, et la Santità di papa Nicola ne promise confirmare il<br />
cappello e di novo leggitimamente criar cardinale il prefato messer Bartolomeo vescovo<br />
Vitellesco, et da poi mancò et non lo fece 21) .<br />
Il viterbese Pier Gian Paolo Sacchi, segretario di Giovanni Vitelleschi e, dopo la<br />
liberazione da Castel S. Angelo, compagno di esilio di Bartolomeo, con queste parole ci<br />
apre uno scenario nel quale nuovamente personaggi e avvenimenti della Grande <strong>Storia</strong> si<br />
mescolano con le vicende della comunità cornetana.<br />
Alla morte di Eugenio IV, i diciotto cardinali presenti a Roma si erano radunati a<br />
conclave nel chiostro di Santa Maria sopra Minerva, la chiesa dove vituperoso fo de notte<br />
portato in iuppetto scalzo e senza brache e dove ancora era sepolto il cadavere di Giovanni<br />
Vitelleschi. Enea Piccolomini era presente come oratore dell’imperatore e da quel<br />
momento affiancò Niccolò V nella attuazione di un progetto di riconciliazione generale. Se<br />
dobbiamo credere al ricordo del Sacchi, Bartolomeo Vitelleschi, ancora una volta sulle<br />
orme di Enea, svolse un ruolo di rilievo nello scioglimento patteggiato del consiglio di<br />
Basilea, certamente non fu soltanto una pedina nelle mani dell’amico, grande artefice degli<br />
accordi di Vienna.<br />
Si trovò un compromesso per ogni situazione e per ogni caso personale: l’antipapa<br />
Felice V depose la tiara e si vide in cambio riconosciuta la dignità cardinalizia con il titolo<br />
di S. Sabina; lo stesso eroe della resistenza ad oltranza a Roma, il D’Aleman, morì vescovo<br />
di Arles; i Colonna, gli antichi nemici dell’autorità di Eugenio IV, ebbero il permesso di<br />
ricostruire Palestrina, che Giovanni Vitelleschi aveva raso al suolo nel ‘37; perfino Lorenzo<br />
Valla, l’inflessibile accusatore del potere temporale dei preti, fu richiamato a Roma.<br />
In questo contesto, per tornare ai nostri personaggi, decolla la carriera ecclesiastica<br />
di Enea Piccolomini e, nell’ambito della nostra storia cittadina, ma non senza qualche<br />
interessante proiezione all’esterno, matura la più completa riabilitazione di Bartolomeo<br />
Vitelleschi: dopo l’obbedienza del ‘47, egli ottiene il recupero della diocesi cornetana nel<br />
‘49, la restituzione del feudo della Tolfa Nuova nel ‘54, il governo della Legazione umbra<br />
nel ‘55, in una progressione che sarebbe stata drammaticamente interrotta soltanto dalla<br />
sconfitta di Nidastore del ‘61.<br />
Tutto sembra svolgersi nell’ambito di un richiamo alla grande figura del Patriarca<br />
Alessandrino ancora assolutamente incombente: il recupero della doppia carica religiosa e<br />
21) DELLA TUCCIA, Cronaca cit., p. 206.<br />
23
24<br />
politica, il ritorno di un Vitelleschi sui territori che appartennero a Corrado Trinci, la<br />
funzione di comandante militare per tanti anni esercitata dallo zio con straordinari<br />
successi.<br />
Ma proviamo a raccogliere le ultime testimonianze che ci provengono dal pozzo del<br />
Palazzo del Magistrato.<br />
La collocazione dello stemma cardinalizio dei Vitelleschi per onorare l’oscuro<br />
gonfaloniere Marco Ottaviano potrebbe essere avvertita come una patetica ostentazione<br />
d’orgoglio familiare a distanza di quasi venti anni dalla morte del patriarca e quando non<br />
era stata ancora mantenuta la promessa fatta a Bartolomeo nel ‘47, se non ci soccorresse<br />
Muzio Polidori. Alla pagina 65 delle sue Croniche leggiamo infatti questo breve profilo di<br />
Sante e Alessandro Vitelleschi.<br />
Fratelli dell’antedetto Vescovo Bartholomeo, ambi Cavalieri et Conti Palatini,<br />
creati da Federico Terzo Imperatore, conforme dai Privilegi si potrà vedere. Anzi, da<br />
detto Imperatore, non solo ottennero esser creati Cavalieri et Conti Palatini, ma anco<br />
ottennero la confirmatione della propria insegna con l’aggiunta delli sei gigli d’oro nel<br />
modo che cominciò usare il Cardinal Vitelleschi, con l’autorità di detto Imperatore22) .<br />
Fu dunque per una concessione dell’imperatore Federico III che la famiglia<br />
Vitelleschi tornava a fregiarsi dell’insegna di Giovanni, adorna dei sei gigli e del cappello<br />
cardinalizio che ricordavano la più alta carica guadagnata dal patriarca al servizio di<br />
Eugenio IV.<br />
Ho pensato che quanto già riferito sui rapporti diretti che Bartolomeo e Jacopo<br />
Vitelleschi ebbero con l’imperatore nel periodo dell’esilio fosse di per sufficiente a<br />
giustificare la concessione. Nondimeno mi ha incuriosito la nota apposta a piè di pagina<br />
dalla curatrice della edizione delle Croniche che segnala l’esistenza, nel manoscritto<br />
conservato dalla <strong>Società</strong> Tarquiniense di <strong>Arte</strong> e <strong>Storia</strong>, di due privilegi imperiali sotto la<br />
data 22 marzo 1452.<br />
Il cattivo stato di conservazione del primo documento, che con ogni probabilità non<br />
ne ha consentito la pubblicazione, non impedisce di cogliere per intero il potente richiamo<br />
alla figura di Giovanni Vitelleschi.<br />
Dopo una precisa descrizione della partitura dello scudo, dei gigli e delle figure dei<br />
due vituli che si fronteggiano con le corna erette e con una zampa anteriore alzata come a<br />
mostrare l’imminenza dell’assalto, riusciamo infatti a leggere le parole:
25<br />
Vitelleschi e di Corneto, Cardinale Fiorentino, senza tuttavia i gigli, sempre dall’antichità<br />
usavano. Ed anche lo stesso Cardinale Fiorentino, nel corso della sua vita terrena, ne fece<br />
uso dopo aver aggiunto nella parte superiore i Gigli ad uso dell’Arme>> 23) .<br />
Voglio sottolineare l’inadeguatezza della traduzione dell’inciso che richiama la<br />
figura del Patriarca (dum adhuc ageret in humanis). Ma soprattutto non voglio neppure<br />
tentare di nascondere la grande emozione con la quale, in fondo al privilegio,<br />
immediatamente prima della sottoscrizione dell’imperatore Federico, ho letto<br />
l’annotazione Enea referente.<br />
Non più il brillante segretario Enea de Senis del ‘42 ma il dominus Eneas episcopus<br />
Senensis aveva dunque istruito la pratica per la concessione imperiale. Dopo il<br />
conseguimento di quell’episcopato, Enea Piccolomini aveva infatti conservato la qualifica<br />
di protonotarius imperiale ed era stato il grande regista del matrimonio con Eleonora di<br />
Portogallo e della incoronazione romana di Federico III immediatamente successiva (19<br />
marzo 1452) 24) .<br />
Non si era dunque interrotto - non si sarebbe mai interrotto fino alla morte - quel<br />
rapporto amicale di cui abbiamo percorso l’itinerario fin dalle sue lontane origini.<br />
Esso diede anzi in quei giorni un altro potente segno della sua vitalità: il breve di<br />
Niccolò V che concedeva al vescovo Bartolomeo di trasferire in Corneto il cadavere del suo<br />
zio Cardinale e di sepelirlo nella Cattedrale, nella Cappella maggiore da esso<br />
fabbricata 25) .<br />
Almeno due considerazioni mi spingono infatti a ritenere che l’Enea Piccolomini del<br />
privilegio si fosse adoperato anche per ottenere la traslazione della salma di Giovanni<br />
Vitelleschi.<br />
La prima deriva dalla valutazione del privilegio imperiale come atto di riabilitazione<br />
politica e morale della figura del patriarca, preliminare alla stessa concessione elargita a<br />
Sante ed Alessandro: corre una linea diretta tra gli interventi dei rappresentanti dei due<br />
poteri universali in favore dei Vitelleschi in quella primavera del ‘52 e nessuno più<br />
23) Quibus Armis Antecessores et progenitores quondam Rmi Patris Dni Ioannis de Vitelleschis et de Corneto,<br />
Cardinalis Florentini absque tame Lilijs, semper antiquitus utebantur. Ipse etiam Cardinalis Florentinus, dum adhuc<br />
ageret in humanis, est usus, per ipsum additis supra Lilijs ad usum Armorum. Ringrazio M. Lidia Perotti per le<br />
preziose indicazioni che anche in occasione di questa ricerca ha voluto fornirmi.<br />
24) In fondo alla pagina 126 del manoscritto, dopo il locus sigilli imperialis, si legge: De Nto Dni Imperatoris D. Enea<br />
Epo Benev. (?) referente. Non credo che possa sussistere qualche dubbio sulla individuazione di Enea Piccolomini nel<br />
notarius imperiale di nome Enea, provvisto di titolo episcopale, anche perché il vescovo di Benevento in carica nel<br />
1452 era il famigerato Jacopo della Ratta, deposto per indegnità proprio da Pio II nel 1462. Né, in luogo di Benev.,<br />
potrebbe leggersi Bonon,perché il vescovo di Bologna allora in carica era Filippo Calandrini, fratello naturale di<br />
Niccolò V: non rimane pertanto che pensare ad un errore di trascrizione del Polidori, che scrive Benev. o Bonon. in<br />
luogo di Senense.<br />
25) POLIDORI, Croniche cit., p. 246.<br />
25
26<br />
efficamente del Piccolomini, in procinto di essere elevato, quasi contemporaneamente, al<br />
rango di principe della Chiesa e principe dell’impero, avrebbe potuto farsene promotore.<br />
La seconda considerazione può essere introdotta dal brano dei Commentarii<br />
riportato all’inizio, in cui si celebra in termini di completa esaltazione la riconquista di<br />
Foligno alla Chiesa. In quel passo, così come nei numerosi accenni che si trovano sparsi<br />
negli altri libri dell’opera del pontefice, la figura di Giovanni Vitelleschi viene<br />
costantemente tenuta al riparo dalle roventi accuse che le rivolgevano intellettuali del<br />
calibro di Lorenzo Valla 26) .<br />
Tutto ciò potrebbe certamente spiegarsi come una conseguenza dell’antico vincolo<br />
di amicizia. Ma sarebbe una spiegazione ancora riduttiva, certamente poco rispettosa della<br />
profondità e consequenzialità della elaborazione ideologica che Enea Piccolomini aveva<br />
prodotto fin dagli anni della adesione alle tesi conciliariste. Ed è proprio su questo terreno<br />
che recentemente Paolo Prodi ha riscattato la figura di Enea Piccolomini dalle ingenerose<br />
semplificazioni del passato, facendo emergere le linee di una coerenza di fondo nella<br />
giustificazione della sovranità temporale e dell’intervento diretto dei chierici nel<br />
governo27) .<br />
A Lorenzo Valla, che dall’interno dell’opuscolo sulla Donatio Constantini lanciava la<br />
tremenda invettica contro Giovanni Vitelleschi (), poteva pertanto rispondere<br />
con questi argomenti: .<br />
Risulta evidente l’assoluta contrapposizione dei due passi e le parole di Enea<br />
Piccolomini introducono naturalmente il documento più solenne della riabilitazione di<br />
Giovanni Vitelleschi, l’epitaffio apposto in posteritatem dal vescovo Bartolomeo:<br />
QUANDO EGO PRO PATRIA MAIESTATE REPRESSI<br />
PONTIFICIS FURIAS BELLORUM HOSTESQUE SUBIEGI<br />
26) Come ulteriore, seimbolica prova della riconciliazione perseguita da Niccolò V voglio ricordare che, accanto a Sante<br />
e Alessandro, proprio sul ponte di Castel S. Angelo dove era stato drammaticamente catturato ventidue anni prima<br />
Giovanni Vitelleschi, venne armato cavaliere imperiale anche il grande umanista e accusatore del Cardinale Fiorentino.<br />
26
27<br />
ECCLESIAE NOSTRIS QUAE FLORUIT AUCTA SUB ARMIS<br />
RESTITUI RES EFFLUXAS URBESQUE DECUSQUE<br />
INVIDIT SORS ATRA MIHI MAGIS EMULA VIRTUS<br />
IMMERITAM STATUENS NON AEQUO MUNERE MORTEM 28)<br />
I sei esametri che compongono il solenne discorso del defunto appaiono strutturati<br />
intorno ad un implacabile rapporto di causalità denunciata dall’apertura Quando ego. I<br />
versi 1-4 scandiscono i trionfanti passaggi della restitutio del potere temporale della<br />
Chiesa, esaltano l’opera del pacificatore e dell’avversario implacabile di ogni anarchia<br />
baronale, mentre il distico finale, dopo aver introdotto il topos della Fortuna, fa emergere<br />
la figura del rivale e lancia il grido di protesta contro la morte ingiustamente e<br />
indegnamente subita.<br />
Non è questo il luogo per affrontare l’impegnativa analisi stilistica dell’epitaffio. Qui<br />
devo limitarmi a segnalare che la figura di Giovanni Vitelleschi corrisponde del tutto a<br />
quella che ritroviamo, direttamente o indirettamente, nell’opera di Enea Piccolomini, nella<br />
quale pretendono un particolare richiamo il carme Ad Fridericum III Caesarem e<br />
l’Epitaphium Martini Pape V (il Piccolomini fu anche un geniale autore di epitaffi!), per la<br />
presenza del medesimo motivo dell’eroe che si oppone alla rovina della Chiesa, sgombra il<br />
campo dagli usurpatori e impone una pace sicura.<br />
Tanto basta per convincermi a concludere che nell’epitaffio cornetano, se non<br />
proprio la mano del futuro pontefice, possiamo certamente cogliere quella comune<br />
concezione della storia e della vocazione temporale della Chiesa da cui direttamente<br />
discende la riabilitazione di Giovanni Vitelleschi.<br />
I due monumenti, che nel corso di quegli anni centrali del quindicesimo secolo l’uno<br />
dal Palazzo del Magistrato, l’altro dalla Chiesa Cattedrale tornata saldamente nelle mani di<br />
Bartolomeo Vitelleschi - ambivano a trasmettere la perpetua memoria di episodi e<br />
personaggi per noi tanto lontani, possono dunque apparirci naturalmente collegati nel<br />
nome di Enea Silvio Piccolomini. E non senza una qualche commozione riusciamo a<br />
leggere nel nostro Archivio Storico il breve con cui Pio II ordinava ai Cornetani di<br />
macinare gratuitamente e ridurre a biscotto il grano offerto per la guerra imminente, pro<br />
munitione classis in Turcos armandae et sustentatione eorum qui pro fide pugnabunt29) .<br />
27) Il sovrano pontefice, Bologna, 1982, pp. 13-40, dove si leggono anche i passi che produco in traduzione nel testo.<br />
28) Poiché io per la Patria e la maestà del Pontefice respinsi le furie della guerra e i nemici schiacciai/della Chiesa che<br />
più grande fiorì sotto le nostre armi/ricomposi lo stato smembrato e le città e l’onore/ n’ebbe invidia la nera sorte e<br />
ancor più il rivale valoroso/stabilendo per me con ingiusto compenso una morte senza colpa.<br />
29) “Fondo pergamenaceo”, 4.130.<br />
27
28<br />
Porta la data dell’11 giugno 1464 e precede soltanto di sei giorni la partenza per<br />
Ancona. In quella città egli avrebbe atteso invano di farsi, per la prima volta, seguace di<br />
Bartolomeo, pellegrino ai Luoghi Santi nell’estate del ‘63. Il quindici di agosto la morte lo<br />
sorprese nell’atteggiamento del soldato di Cristo.<br />
Giovanni Insolera<br />
A PROPOSITO DI UNA CONSERVA D’ACQUA<br />
DISEGNATA DA SANGALLO IL GIOVANE (*)<br />
In questa sede sarà preso in esame un disegno autografo dell’architetto Antonio il<br />
Giovane da Sangallo (Firenze 1484-Roma 1546), conservato nell’Archivio degli Uffizi di<br />
Firenze1) , e considerato per la prima volta nel Catalogo a stampa dei disegni di architettura<br />
raccolti nella stessa Galleria2) . Il foglio è stato in seguito ripreso da M. Pallottino nella sua<br />
monografia su Tarquinia etrusca3) e, di recente, esaminato più dettagliatamente da O.<br />
(*) Nel presente lavoro abbiamo esaminato in modo preliminare il disegno cinquecentesco di Sangallo il Giovane e<br />
considerato alcune fonti ad esso collegabili, in modo da offrire un primo inquadramento generale sulle problematiche<br />
che ne scaturiscono. Ringrazio il Prof. G. Miarelli Mariani per la gentile disponibilità sempre dimostrata e per aver<br />
fornito alcuni dati utili ai fini della ricerca; particolare interesse nei confronti di questo studio e delle problematiche<br />
annesse è stato sin dall’inizio manifestato da Bruno Blasi, cui va la mia stima. Preziose considerazioni sono state<br />
espresse da Fabio Barilari in merito alle caratteristiche architettoniche della pianta del Sangallo. Ringrazio inoltre per la<br />
collaborazione Marzia Maglio.<br />
1)<br />
Nella raccolta degli Uffizi si conserva una cospicua serie di disegni di Sangallo il Giovane, che documenta gran parte<br />
della sua attività professionale.<br />
2)<br />
Ministero della Pubblica Istruzione, Indici e Cataloghi III, (Nerino Ferri), Disegni di Architettura esistenti nella R.<br />
Galleria degli Uffizi in Firenze, Roma 1885, p. 216.<br />
3)<br />
M. Pallottino, Tarquinia, Monumenti Antichi dei Lincei XXXVI, 1937, col. 92, fig.13.<br />
28
29<br />
Vasori, nell’ambito di una ricerca inerente ad alcuni disegni di antichità etrusche custoditi<br />
agli Uffizi 4) .<br />
L’attenzione rivolta allo schizzo cinquecentesco da parte di G. Miarelli Mariani, ha<br />
contribuito a far sì che alcuni studiosi che operano nel territorio a cui il documento si<br />
riferisce5) , si interessassero al disegno, in modo seppur non approfondito, comunque tale<br />
da impostare una ancora densa di interrogativi; la presente ricerca<br />
rappresenta un primo sommario tentativo di riordino delle varie testimonianze<br />
concernenti il documento, almeno di quelle che sono oggi a nostra conoscenza.<br />
Il disegno del Sangallo, già ad una prima osservazione, può considerarsi distinto in<br />
due parti: a sinistra, è rappresentata la pianta schematica di una conserva d’acqua situata,<br />
a detta dello scritto posto subito al disopra di essa (),<br />
nell’area ivi denominata , oggi comunemente identificata con la località<br />
, sede dell’antica città etrusca e romana6) ; a destra, invece, è presente una<br />
topografia approssimativamente delineata, tramite un’unica linea continua, che costituisce<br />
a tutt’oggi l’immagine più antica dell’area urbana della vecchia Tarquinia.<br />
Dal Catalogo manoscritto dell’Archivio degli Uffizi, il disegno in oggetto (n.1222A) è<br />
descritto come e le sue dimensioni<br />
sono definite in mm. 151x2117) .<br />
La scelta di riprodurre una struttura del genere (di età classica o medioevale) rientra<br />
nel quadro delle attività svolte dal Sangallo, soprattutto nella prima fase della sua opera di<br />
architetto. I primi decenni del XVI secolo, che coincidono con un periodo di frequente<br />
presenza nel viterbese8) , vedono infatti l’artista fiorentino dedicarsi con particolare<br />
interesse allo studio degli antichi monumenti, come d’altronde era d’uso tra gli architetti<br />
del Rinascimento, eseguito attraverso un rilievo di grande obiettività e chiarezza.<br />
4) O. Vasori, , Studi Etruschi XLIII, 1979, p. 139 sgg., fig.7; IDEM, , XENIA, Quaderni, n. 1, 1981, pp. 143-144.<br />
5) In particolare: AA.VV., , Quaderno del IX settore G.A.R.<br />
Tarquinia, 1974, pp.6-7; B. Blasi, , Bollettino della <strong>Società</strong><br />
Tarquiniense di <strong>Arte</strong> e <strong>Storia</strong>, 8, 1979, p. 14, tav. II.<br />
6) L’area ha sempre mantenuto in passato il nome di Tarquinia (Tarquinio, la Tarquinia, tenuta Tarquinia, etc.); nel<br />
medioevo il toponimo fu conservato dalla parrocchia di S. Maria in Tarquinio (vd. con bibliografia: Pallottino, op.cit.,<br />
alla nota 3, col. 19).<br />
7) Disegno a penna su carta bianca (dal Catalogo manoscritto). Un contributo utile alla datazione del disegno potrebbe<br />
essere il ricorso all’analisi della filigrana cartacea, seppur non sempre attendibile: su un analogo problema di cronologia<br />
v. G. Miarelli Mariani, ; Bollettino della Soc.<br />
Tarqu. <strong>Arte</strong> e St., 17, 1988, pp. 119-126).<br />
8) Numerosi sono gli interventi dell’architetto, più o meno impegnativi, documentati nella Tuscia (Cellere,<br />
Capodimonte, Montefiascone, Caprarola, Castro, Civitavecchia, Nepi, etc.), riferiti a vari periodi della sua attività.<br />
29
30<br />
La pianta della conserva disegnata dal Sangallo presenta una forma rettangolare,<br />
internamente suddivisa in venti ambienti uguali di forma quadrata (campate) separati da<br />
12 grandi pilastri a sezione cruciforme. Le dimensioni della struttura sono indicate da un<br />
appunto situato nella parte interna dell’angolo superiore sinistro, da cui si apprende la<br />
misura del lato di ogni ambiente () e la dimensione dei pilastri (palmi<br />
, indicazione subito a destra della precedente), valida sia per quelli centrali che per<br />
quelli addossati al muro perimetrale: è certo che le misure indicate nel disegno siano<br />
riferite al palmo romano, che equivale a 22,34 cm.<br />
In seguito a semplici calcoli, è quindi possibile risalire alle probabili dimensioni<br />
della conserva, che risultano piuttosto notevoli: il lato maggiore esterno si aggirerebbe,<br />
secondo il disegno, intorno ai 108 palmi (circa 24,12 m.), mentre quello minore intorno<br />
agli 88 palmi (circa 19,65 m.).<br />
Le misure più sicure sono quelle interne, sebbene da considerarsi con cautela, sia<br />
per le approssimazioni di calcolo e sia per le incertezze legate al problema della<br />
ricostruzione della struttura: le singole campate quadrate misurano 16 palmi di lato (3,57<br />
x3,57m.), mentre i pilastri che suddividono tali campate misurano, come già noto, 4 palmi<br />
di lato (0,89 m.). Il lato maggiore interno risulta così lungo 100 palmi (22,34 m., in quanto<br />
va dimezzata la dimensione del pilastro addossato all’angolo), il lato minore, invece, 80<br />
palmi (17,87 m.).<br />
Dall’osservazione degli elementi strutturali raffigurati nella pianta si possono<br />
esprimere alcune considerazioni utili per la formulazione delle ipotesi inerenti alla<br />
ricostruzione architettonica dell’opera, la cui effettiva realizzazione sembra confermata da<br />
fonti letterarie del secolo scorso, che più avanti andremo ad esaminare.<br />
Un primo aspetto che possiamo rilevare riguarda l’ampiezza delle strutture portanti,<br />
che appaiono nel disegno piuttosto massicce, il che può trovare una duplice giustificazione:<br />
da una parte, infatti, i muri perimetrali dovevano probabilmente sostenere le forti spinte<br />
orizzontali provocate dal peso del volume dell’acqua contenuto, e dall’altra, ipotesi forse<br />
avvalorata dalla presenza di una serie di contrafforti tendenti ad irrobustire la struttura,<br />
dovevano contenere la spinta delle eventuali volte degli ambienti perimetrali interni.<br />
Altro elemento interessante è rappresentato dalla grossa sezione cruciforme dei<br />
pilastri interni, che può sembrare eccessiva (circa 1/4 della luce libera della volta) visto che<br />
i pilastri avrebbero dovuto sostenere esclusivamente i carichi della copertura (serie di volta<br />
a crociera?): questo può far presumere la presenza di un prolungamento superiore della<br />
costruzione, il cui ulteriore peso avrebbe giustificato il sovradimensionamento della<br />
30
31<br />
struttura portante ( a un secondo piano della cisterna fanno accenno infatti alcune fonti a<br />
nostra disposizione).<br />
I segni ad arco presenti su tutto il muro perimetrale interno, potrebbero lasciar<br />
pensare in un primo momento al tipo di copertura adottata; in realtà, la presenza di quei<br />
dentelli sul secondo arco in basso a destra e il tratto più marcato (a volte il segno è<br />
ripassato) con cui gli archi sono disegnati, rispetto alle linee continue su cui sono<br />
, sono due elementi che fanno pensare che l’autore volesse invece evitare<br />
che quei tratti fossero scambiati per una pura proiezione a terra delle volte, ed evidenziare<br />
invece il loro essere elementi architettonico-strutturali della pianta.<br />
D’altra parte questa configurazione architettonica interna potrebbe trovare ragion<br />
d’essere nelle esigenze statiche cui è soggetto il fabbricato: muri così arcuati tra i pilastri,<br />
infatti, avrebbero potuto lavorare come volte a botte che, soggette ad un determinato<br />
carico, vanno a ripartire questo sui due muri portanti su cui sono impostate. Nel caso<br />
specifico, questa particolare conformazione delle pareti faceva, quindi, confluire il peso<br />
dell’acqua in modo più specifico sui pilastri interni, esternamente rinforzati dai<br />
contrafforti.<br />
Per quanto riguarda la copertura interna, si possono ipotizzare diverse soluzioni ma,<br />
tra le più probabili, per la presenza dei pilastri che distinguono l’ambiente in campate,<br />
troviamo i due tipi di volta, a crociera e a vela.<br />
I contrafforti esterni, allineati nel disegno ai pilastri interni in modo regolare su tutti<br />
e quattro i prospetti, e il rilievo netto del profilo perimetrale esterno, fanno supporre che al<br />
momento della realizzazione del disegno da parte del Sangallo, la conserva fosse visibile<br />
almeno parzialmente dall’esterno o comunque, si trovasse in posizione tale da consentire<br />
una sommaria ricostruzione generale della pianta.<br />
Inoltre, l’avere l’artista così dettagliatamente raffigurato il vano interno della<br />
conserva, è elemento certo per affermare che esso fosse raggiungibile, come è d’altronde<br />
attestato fino al secolo scorso9) .<br />
Nella parte destra del foglio, è invece riportata una planimetria, in evidente<br />
relazione con la conserva già descritta, che sembra assumere valore esplicativo ai fini della<br />
localizzazione del monumento a fianco riprodotto.<br />
Lo schizzo topografico traccia il perimetro naturale del pianoro della Civita, come<br />
chiarito dal termine (ovvero calcarea), situato lungo la linea di<br />
9) E’ presumibile che l’ingresso all’ambiente interno fosse posto in alto, onde evitare che sulle pareti si determinassero<br />
dei punti deboli, in una struttura come quella in oggetto, costantemente sottoposta ad un carico notevole per il peso<br />
dell’acqua; inoltre, un ingresso laterale avrebbe forse fatto sorgere problemi di tenuta stagna.<br />
31
32<br />
delimitazione del rilievo. L’area così delineata, che equivale in superficie a circa 150 ettari,<br />
viene a comprendere gli attuali Piani di Civita e della Regina in basso nel disegno, l’altura<br />
isolata della Castellina in alto (qui denominata ) e il Poggio di<br />
Cretoncini a sinistra.<br />
Sotto la topografia della Civita è una scrittura dello stesso disegnatore, relativa al<br />
posizionamento geografico del luogo sopra rappresentato 10) : .<br />
Sulla stessa planimetria sono riportate alcune precisazioni topografiche come , che indica l’area perimetrata coincidente con la Tarquinia etrusca, o il , riferito all’altura isolata oggi comunemente denominata , sede nel medioevo di un fortilizio appartenuto alla famiglia Vaccari e<br />
distrutto dai cornetani nel 1307.<br />
Ma l’indicazione più evidente, alla quale lo stesso schizzo topografico sembra quasi<br />
finalizzato, compare subito al disotto del : il disegnatore, infatti,<br />
mediante una forte marcatura, risalta il collegamento esistente tra una propaggine<br />
dell’area della (Pian della Regina) e l’antistante poggio, situato a sinistra nella<br />
topografia (Poggio di Cretoncini).<br />
Se confrontiamo il disegno con una moderna carta topografica che raffigura la stessa<br />
zona della Civita, notiamo che questo punto è ancora oggi facilmente individuabile: il<br />
Sangallo, infatti, segnala con chiarezza il passaggio presente lungo la sella che divide le due<br />
parti - il Pian della Regina e il Poggio Cretoncini - che risulta sul disegno stesso essere<br />
raggiunto da una strada, il cui andamento è rappresentato sull’altura di sinistra.<br />
Vicino alla marcatura in questione compaiono due appunti ad essa relativi: il primo,<br />
costituito dal solo termine , è posto subito al di sotto del punto indicato, mentre<br />
il secondo - più articolato - si trova a sinistra dello stesso, sopra l’area di Cretoncini.<br />
Quest’ultima nota fa luce sulle ragioni per le quali il disegnatore evidenzia quel luogo:<br />
, il che<br />
testimonia la presenza di un’opera artificiale particolarmente degna di considerazione.<br />
10) Ringrazio la sig.ra Lidia Perotti per le trascrizioni delle note presenti sul disegno.<br />
32
33<br />
Il Sangallo sembra riferirsi ad una costruzione sopraelevata necessaria al<br />
raggiungimento della città antica, da parte di coloro che, provenendo da nord,<br />
percorrevano la strada che dalla valle del fiume Marta risaliva i versanti fino alla Civita 11) .<br />
Attualmente questo percorso è in parte ricalcato da una carrareccia, riassestata ad<br />
opera del locale Consorzio di Bonifica e denominata ,<br />
utilizzata dagli agricoltori per raggiungere le varie quote di terreno situate nei suoi pressi;<br />
lo stesso tratto di strada permette di arrivare alla Civita, malgrado il più delle volte si<br />
preferisca per comodità percorrere la parte opposta della stessa carrareccia che si<br />
congiunge alla moderna Aurelia-bis, e che consente l’accesso alla stessa zona da est.<br />
Sopralluoghi condotti dallo scrivente nel punto indicato nel disegno, hanno<br />
verificato la presenza di una possente opera di collegamento tra le due alture, che<br />
attraversa in modo ortogonale la stretta sella che le divide.<br />
Nella visione attuale, la struttura antica si presenta come un viadotto sul quale corre<br />
la , e che consente alla stessa di proseguire senza risentire<br />
del forte dislivello presente in quel punto, determinato dall’andamento della sella.<br />
L’opera risulta in buona parte coperta da depositi recenti di terreno, accumulatisi<br />
soprattutto ai lati presumibilmente durante i lavori agricoli praticati nei campi circostanti<br />
e in seguito alla ristrutturazione della strada consorziale; solo lungo il lato settentrionale<br />
del viadotto è possibile vedere, fra la fitta vegetazione di tipo arbustivo, alcuni tratti<br />
sconnessi di una lunga muratura assai imponente, il cui andamento corre parallelamente<br />
alla strada. Il muro in questione nei tratti ove è possibile osservarlo, è realizzato in opera<br />
quadrata, con blocchi regolari di calcare di forma parallelepipeda disposti per tela e per<br />
taglio, in uno schema piuttosto regolare.<br />
Il lato meridionale del viadotto, e quindi il muro che correva lungo questa parte,<br />
risulta invece, in parte forse distrutto, e comunque sepolto da un potente accumulo di<br />
terreno disposto a scarpata.<br />
Nel suo insieme, la struttura assume le forme di una antica costruzione viaria, forse<br />
di epoca etrusca12) , costruita a sostegno di un importante percorso che, partendo dal<br />
settore settentrionale della città, dove in passato fu individuato un accesso13) , proprio nelle<br />
11)<br />
Ancora oggi sono visibili, in particolare presso il Casale detto , alcuni tratti di questo antico<br />
percorso.<br />
12)<br />
Sulla base dell’opera muraria, spesso identica ad alcuni tratti delle mura urbane etrusche. Il Canina considerava<br />
l’opera di epoca imperiale, in quanto asservente le terme dette .<br />
13)<br />
P. Romanelli, ; Notizie degli Scavi 1948, in particolare pp. 198-<br />
199.<br />
33
34<br />
immediate vicinanze del viadotto, si allontanava dalla città dirigendosi verso nord,<br />
oltrepassando la valle del fiume Marta.<br />
Interessante presenza, ai lati della costruzione viaria, quella di alcuni bottini ancora<br />
colmi d’acqua, sicuramente di epoca antica. La notevole quantità di acqua testimoniata in<br />
questo luogo anche dagli affioramenti diretti sul terreno, è tale da far pensare all’esistenza<br />
di un’importante sorgente: non è escluso che proprio in questo punto abbia avuto origine<br />
l’acquedotto che dal medioevo, probabilmente fino al secolo scorso, trasportava le acque<br />
dalla zona della Castellina a Corneto, attraverso una condotta in parte sotterranea ed in<br />
parte costruita14) .<br />
Il viadotto antico era già noto almeno dal secolo scorso: l’architetto A. Canina,<br />
infatti, nell’ambito di uno studio generale sulla topografia dei principali centri etruschi,<br />
realizzò una mappa della Tarquinia etrusca15) dove vennero riportate le principali<br />
testimonianze archeologiche fino allora conosciute, che lo stesso autore ebbe modo in<br />
parte di visitare.<br />
Sulla carta egli rappresentò la nota carrareccia e riportò in coincidenza della sella,<br />
nello stesso punto ove si è individuata la costruzione, in corrispondenza del lato<br />
meridionale del passaggio attualmente interrato, la dicitura di , mentre,<br />
sul lato opposto - quello settentrionale - riportò in senso perpendicolare alla strada la<br />
scritta . Se la prima definizione conferma la presenza di una costruzione diretta a<br />
facilitare il transito, la seconda aggiunge un ulteriore elemento alle caratteristiche<br />
architettoniche della struttura.<br />
Nel capitolo esplicativo relativo alla detta tavola, inerente alla città antica di<br />
Tarquinia, lo stesso autore scrive16) : .<br />
14)<br />
Un’ipotesi affascinante relativa ad un acquedotto sotterraneo che trasportava le acque da Poggio della Sorgente al<br />
centro dell’attuale Tarquinia, è stata recentemente formulata in un lavoro realizzato da alunni ed insegnanti della Scuola<br />
Media Statale di Tarquinia: M. Gori (a cura), L’acquedotto antico, verifica di un’ipotesi, Tarquinia<br />
<strong>1991</strong>.<br />
15)<br />
A. Canina, L’antica Rtruria marittima, Roma 1849, tavole del vol. II.<br />
16)<br />
A. Canina, op.cit., alla nota 15, vol. II, pp. 35-36.<br />
34
35<br />
Questo passo rappresenta una ulteriore prova a favore delle precedenti<br />
considerazioni: se da una parte, infatti, esso conferma l’ipotesi della presenza, in questo<br />
settore settentrionale della Civita, di abbondanti sorgenti d’acqua, tali - secondo l’autore -<br />
da poter costituire una delle principali fonti di approvvigionamento per la città etrusca e la<br />
medioevale Corneto, dall’altra si può ritenere plausibile la tesi del Canina circa la<br />
possibilità che la sostruzione viaria potesse servire anche da sostegno per una condotta<br />
d’acqua.<br />
L’interpretazione del Canina e il modo in cui è riportata l’indicazione dell’arco fanno<br />
presumere che quest’ultimo si trovasse alla base della sostruzione, con l’ipotetico compito<br />
di svolgere funzione fognaria (convogliare a sè le acque di scarico provenienti dalla<br />
soprastante strada) o, diversamente, con finalità di accesso alla condotta cui sottintende il<br />
testo ottocentesco, forse posta all’interno della struttura. D’altronde, quando lo stesso<br />
Sangallo nella nota presente sul disegno definisce la sostruzione viaria, è<br />
probabile voglia in realtà riferirsi con questo termine al nostro arco, nel caso in cui<br />
quest’ultimo raggiungesse un’ampiezza maggiore di quella precedentemente immaginata e<br />
superasse la parte più bassa della sella in modo da dare alla struttura la parvenza di un<br />
vero e proprio ponte.<br />
Più recentemente P. Romanelli, nell’ambito di una serie di ricerche archeologiche<br />
mirate all’identificazione di alcuni capisaldi topografici della città etrusca, ritornò sulla<br />
sostruzione. Nella relazione sui principali risultati ottenuti durante questa indagine,<br />
l’autore scrive17) : .<br />
Sembra chiaro come, ancora alla metà del nostro secolo, i due muri di sostegno della<br />
strada fossero visibili - ricordo che attualmente è possibile osservare solo alcuni tratti di<br />
17) P. Romanelli, op.cit., alla nota 13, p. 198.<br />
18) In realtà il disegno dell’arco pubblicato dal Canina, si riferisce ad una struttura situata nei pressi dell’Ara della<br />
Regina e ancora oggi visibile: A. Canina, tav. del vol. II.<br />
35
36<br />
quello settentrionale -, mentre l’arco visto dal Canina risultava già completamente coperto<br />
dal terreno.<br />
Tornando al disegno del Sangallo si osserva che in nessuna nota presente sulla<br />
planimetria della Civita si trovano espliciti riferimenti sull’esatta ubicazione della<br />
conserva; è invece postulabile che le informazioni relative alla posizione geografica della<br />
e la sua raffigurazione grafica, oltre ad un accenno sul tracciato<br />
necessario - almeno all’epoca del disegno - al suo raggiungimento, siano da considerarsi<br />
come generali indicazioni topografiche che l’artista fornisce sull’area nell’ambito della<br />
quale è probabilmente ubicata tale testimonianza.<br />
Questa constatazione solleva spontaneamente un problema legato all’effettiva<br />
localizzazione all’interno della Civita della conserva ritratta dal Sangallo.<br />
Per fare più luce sulla questione, conviene tornare al Canina che, procedendo nella<br />
descrizione della presenze archeologiche relative all’area della Tarquinia etrusca, offre una<br />
testimonianza di indubbio significato ai fini della nostra ricerca19) .<br />
.<br />
La notizia del ritrovamento archeologico ottocentesco trova un immediato<br />
collegamento con la pianta di conserva del Sangallo, in particolare nel chiaro riferimento<br />
del Canina alla dimensione della costruzione rinvenuta e alla presenza dei pilastri: questi<br />
ultimi, d’altronde, già nel suesposto esame architettonico relativo al disegno, avevano dato<br />
adito di pensare alla presenza di un proseguimento in elevato della struttura (il secondo<br />
piano del Canina?) in virtù del loro accentuato spessore.<br />
Il fatto che la scoperta della conserva d’acqua si dati intorno all’anno 1829, può<br />
trovare conferma negli scavi non regolari che furono intrapresi sulla Civita tra il 1829 e il<br />
1831 da parte di due privati, il Manzi ed il Fossati, volti all’identificazione di alcuni edifici<br />
dell’antica città. Le ricerche, le cui relazioni sono state rese note dagli stessi autori sul<br />
Bullettino dell’Instituto di corrispondenza archeologica, si concentrarono sul solo Pian<br />
della Regina, dove più risultavano evidenti gli affioramenti di strutture antiche: in<br />
dettaglio, si riportarono alla luce un grande edificio termale (le cosiddette , i cui resti attualmente interrati sono situati subito a sud del Casale detto<br />
, e parte del podio del tempio detto .<br />
19) A. Canina, op. cit. alla nota 15, vol. II, p. 36.<br />
36
37<br />
Nella relazione edita nel 1831 relativa a queste ricerche, vi è un breve ma<br />
significativo riferimento ad una conserva d’acqua 20) , la stessa ricordata dal Canina:<br />
.<br />
Le evidenti analogie fra la pianta della conserva del Sangallo e quelle descritte nei<br />
due passi ottocenteschi, sebbene sia ancora assente un elemento probatorio, possibile a<br />
questo punto soltanto attraverso un’osservazione di verifica diretta del monumento, ci<br />
consentono di ritenere le diverse documentazioni relative alla stessa testimonianza.<br />
Dalle indicazioni che emergono dalla lettura delle due fonti letterarie, comunque<br />
non sufficienti, sembrerebbe che i resti della conserva vadano ricercati in particolar modo,<br />
lungo l’area sommitale del Pian della Regina - nella cui prossimità furono intraprese le<br />
ricerche del Manzi e del Fossati - cioè nel settore più elevato della Civita e quindi<br />
particolarmente idoneo all’ubicazione di un grande deposito d’acqua, come quello da noi<br />
esaminato.<br />
Sopralluoghi preliminari condotti nella zona suddetta non sono ancora valsi<br />
all’identificazione della struttura; è probabile che l’accesso alla conserva sia attualmente<br />
interrato, vista la celerità con cui agiscono sul terreno alcuni elementi o fenomeni naturali<br />
(erosioni o accumuli praticati dai mezzi agricoli o dagli agenti atmosferici), il che<br />
renderebbe piuttosto difficile la localizzazione del monumento. In questo caso, ai fini<br />
dell’identificazione, sarebbe opportuno un intervento programmatico sul terreno mediante<br />
una serie di saggi archeologici, magari sulla base di particolari informazioni fornite da<br />
strumentazioni tecniche già sperimentate in materia, come ad esempio le prospezioni<br />
magnetiche, capaci di individuare eventuali presenti nel sottosuolo.<br />
L’analisi del disegno di Sangallo il Giovane pone una serie di interrogativi, viste le<br />
riconosciute capacità dell’artista nel riprodurre fedelmente e con scrupolosità le antiche<br />
testimonianze architettoniche: in primo luogo è infatti da rilevare ocme sia quantomeno<br />
anomalo che un così attento artista, dopo essersi attardato sulla raffigurazione grafica della<br />
conserva, non riporti sulla topografia a lato l’esatta ubicazione del monumento, all’interno<br />
dell’area della città di Tarquinia, centrando invece l’attenzione sull’itinerario utile a<br />
raggiungere la zona. La mancanza di un preciso riferimento sulla planimetria potrebbe<br />
anche giustificarsi considerando la possibilità che il Sangallo avesse ripreso la<br />
20) Fossati-Manzi, Bull. Inst. 1831, p. 5.<br />
37
38<br />
testimonianza da un precedente disegno, come era d’uso in quel tempo, e quindi si trovasse<br />
nella impossibilità di localizzare ulteriormente la conserva.<br />
Anche il fatto che il Sangallo possa non aver visitato direttamente la conserva non<br />
toglie valore al suo documento, e comunque non inficia l’attendibilità della pianta da lui<br />
disegnata, in virtù della possibilità di accesso al monumento, ancora in buono stato di<br />
conservazione agli inizi del cinquecento; inoltre, dalla lettura dei passi ottocenteschi citati,<br />
fra cui in particolare quello del Manzi e del Fossati, è presumibile che, almeno fino ai primi<br />
decenni del XIX secolo, la struttura si fosse in gran parte conservata (ricordiamo il piano<br />
inferiore secondo il Manzi) almeno in maniera sufficiente da poter<br />
essere identificata e visitata dalla superficie. Attualmente non sono percepibili sul terreno<br />
tracce significative, tali da poter indurre a pensare all’esistenza di una costruzione del<br />
genere.<br />
Le varie attività agricole svolte in questa zona hanno in parte modificato, nello<br />
spazio di alcuni decenni, il profilo originale del piano: resta certo che, probabilmente a<br />
differenza del secolo scorso, quasi nessuna testimonianza archeologica significativa è<br />
possibile osservare in superficie, al di fuori delle costruzioni liberate dal terreno in seguito<br />
a specifici interventi di scavo.<br />
Fra le poche testimonianze oggi rilevabili sulla parte alta del piano della Regina,<br />
meriterrebero forse maggiore attenzione i resti, ancora non chiaramente indagati, di una<br />
costruzione situata subito a nord dell’Ara della Regina, nel punto più alto della zona, di cui<br />
sono ancora visibili strutture in elevato (due tratti di parete in opera cementizia prive di<br />
cortina esterna).<br />
Della costruzione non conosciamo ancora l’esatta funzionalità: nella parte interna<br />
della struttura si apre un incavo che scende oltre l’attuale piano di campagna, la cui<br />
larghezza iniziale è all’incirca coincidente con il perimetro esterno delle murature<br />
conservate e la cui profondità non è possibile valutare con precisione, a causa della<br />
presenza al suo interno di un consistente accumulo che lo ricolma, costituito in gran parte<br />
da blocchi antichi21) . Una ricerca più approfondita di questa testimonianza archeologica<br />
consentirebbe di definire la tipologia della costruzione e le sue effettive funzionalità22) .<br />
* * *<br />
21) Tali blocchi, riferibili a strutture antiche, sono probabilmente affiorati in passato sulla superficie del terreno durante<br />
le arature, e successivamente accumulati dagli agricoltori per liberare i campi.<br />
22) La possibilità che si celi, al disotto degli attuali resti murari, un prolungamento della struttura (un piano sotterraneo?)<br />
può giustificare un intervento mirato all’indagine della parte interrata, magari con un primo asporto dell’accumulo<br />
presente nell’incavo interno alla struttura.<br />
38
39<br />
Sebbene non siano stati ancora rintracciati con precisione i resti della conserva<br />
raffigurata da Sangallo il Giovane, della quale grazie al suo disegno conosciamo la<br />
planimetria, al documento considerato in questa sede va comunque attribuita una certa<br />
importanza di ordine storico; esso rientra infatti in quella serie di riproduzioni grafiche,<br />
realizzate da molti artisti del passato, di opere e monumenti antichi, che assumono<br />
particolare valore al momento della più o meno definitiva delle stesse<br />
testimonianze raffigurate. E’ comunque indubbio che planimetria di questa conserva, o<br />
qualche suo elemento peculiare, avesse suscitato in un artista come il Sangallo curiosità o<br />
interesse, tanto da indurlo ad eseguire un , magari durante un soggiorno<br />
dell’architetto a Corneto.<br />
Tuttavia, le notizie forniteci dal Sangallo sono insufficienti ai fini della esatta<br />
localizzazione della conserva e devono essere necessariamente integrate con le fonti più<br />
recenti, come le già menzionate del Manzi-Fossati e del Canina, nelle quali è chiaro come<br />
ancora nel secolo scorso fosse possibile rintracciare la conserva; allo stato attuale, invece,<br />
non è possibile riconoscere alcuna traccia significativa della struttura, il che fa pensare che<br />
qualche circostanza contingente possa essere intervenuta a provocare forse una precoce<br />
scomparsa delle evidenze superficiali residue della costruzione.<br />
Durante questo breve percorso, si è cercato di sottolineare tutti quegli elementi<br />
finora a nostra disposizione, che possano costituire il primo approccio per una ricerca<br />
sistematica finalizzata all’individuazione della conserva, il cui effettivo ritrovamento è da<br />
ritenersi strettamente legato all’intervento archeologico: la questione resta ancora insoluta<br />
e, per chi scrive, costituisce sicuramente elemento di particolare interesse, oltre che a forte<br />
incentivo per una più prossima soluzione.<br />
Alessandro Mandolesi<br />
IL SANTUARIO DELL’<br />
39
40<br />
1.Topografia e prime evidenze archeologiche<br />
Il santuario è situato sul margine sud della zona centrale della città antica e domina<br />
sia la vallata sotto il fosso di San Savino sia il colle occupato dalla Tarquinia etrusca e<br />
romana.<br />
Il tempio venne scavato da Pietro Romanelli nel 1938 e nel 1946 e pubblicato<br />
parzialmente nel 1948; altri scavi furono condotti dal Torelli nel 1969 lungo il lato nord del<br />
tempio.<br />
L’edificio era sorto nel IV secolo a.C. in sostituzione di un tempio arcaico del quale<br />
sono presenti delle tracce evidenti.<br />
Infatti, nell’angolo sud-est del basamento, c’è una struttura rettangolare orientata<br />
quasi perfettamente secondo i punti cardinali e inserita nell’avancorpo della scalea. Questa<br />
struttura è un parallelepipedo di tufo chiaro lungo m. 7,45, largo m.3,95 sporgente dal<br />
basamento, ed è preceduta da una platea (5,60x4,70) con fori per l’inserimento di una<br />
transenna lignea o metallica. Anche le terracotte architettoniche di prima fase, raccolte in<br />
superficie, sono un valido inizio della preesistenza del culto che, nella metà del IV secolo<br />
a.C. assume forma monumentale.<br />
2. Struttura del santuario<br />
Il terreno, prima della costruzione dell’alto basamento, seguiva l’orientamento<br />
generale del rilievo, con una pendenza di circa 6-8 metri in direzione nord-sud, cioè<br />
dall’angolo nord-est del tempio all’estremità sud-ovest del basamento.<br />
La grande pendenza del suolo originario ha costretto i costruttori del IV secolo a<br />
realizzare una imponente costruzione, larga 34 metri e lunga 77 m. contenuta da muri in<br />
blocchi di macco posti in prevalenza di testa.<br />
Il pavimento del tempio, scoperto solo in un breve tratto presso la fontana di<br />
Cossuzio, era costituito da lastre di macco con una crepidine di blocchi squadrati e aveva<br />
una lunghezza di 4,5 m. circa.<br />
Il tempio era rivolto ad est-sud est (108 gradi); il basamento era accessibile da est<br />
tramite due o tre scalee larghe 15 metri, fra avancorpi muniti di sagome e rivestiti di<br />
nenfro.<br />
Aveva un primo ripiano profondo m. 16,50 sul quale dava l’altare e da questo, per<br />
mezzo di due scalinate laterali e un piano centrale inclinato, si arrivava al secondo ed<br />
ultimo ripiano dove si trovava lo stilobate del tempio che sorgeva su un proprio podio di<br />
100x176 piedi, foderato da un paramento di nenfro.<br />
40
3. La leggenda della nascita di Tagete<br />
41<br />
La maggior larghezza del basamento rispetto al tempio sembra motivata dalla<br />
volontà di inglobare due strutture preesistenti, allineate fra loro e quasi perfettamente<br />
orientate, in cui si riconosce l’epicentro religioso del santuario arcaico.<br />
Il nucleo maggiore è stato identificato con l’altare sopra citato; in quello minore,<br />
secondo un’ipotesi moderna, si è voluto riconoscere il luogo mitico della nascita di Tagete,<br />
rivelatore della aruspicina. La leggenda narrava come, tra la città sul colle e la riva del<br />
mare, mentre Tarconte (il mitico fondatore di Tarquinia) arava, dal solco fresco fosse<br />
balzata fuori la strana figura di un giovinetto con i capelli canuti. Tagete, giovane e vecchio<br />
insieme, era considerato simbolo dell’eterna gioventù della terra e della matura saggezza<br />
della divinità. Egli avrebbe dettato a Tarconte le regole della Disciplina religiosa. Un<br />
reperto che testimonia quanto profondamente fosse radicato tra gli Etruschi il ricordo di<br />
quel mitico evento, è uno specchio di bronzo trovato presso Tuscania. Il disegno che vi è<br />
inciso rappresenta un giovinetto interno all’esame del fegato di una pecora sacrificata, che<br />
tiene nella mano sinistra. Il suo abbigliamento lo rivela aruspice; sopra una veste a<br />
maniche corte, egli ne porta un’altra a pieghe, lunga sino alle ginocchia. Sul capo porta il<br />
tipico copricapo sacerdotale etrusco, un cono a punta. Accanto a lui c’è un vecchio con la<br />
barba e indossa lo stesso abbigliamento sacerdotale. Sul bordo dello specchio si trovano<br />
delle iscrizioni incise; sopra il giovane aruspice c’è scritto Pavia Tarchies, formula<br />
onomastica che si riferisce a Tagete; il personaggio alla sua destra è detto Tarchunus,<br />
Tarconte dunque. La scena e il testo dello specchio bronzeo di Tuscania (opera datata al III<br />
secolo a.C.) rivela la stretta connessione di Tarconte, il leggendario fondatore di Tarquinia,<br />
con il mitico fanciullo.<br />
4. Ricostruzione del tempio<br />
Il tempio, secondo la ricostruzione del Romanelli, aveva una pianta ad alae con un<br />
pronao colonnato. I muri di sostegno delle alae hanno uno spessore di 1,60 metri; le mura<br />
della cella, invece, misurano 1,40 m. Sul fondo si aprono tre stanzette; la stanzetta centrale<br />
aveva la larghezza della cella, mentre quelle laterali erano lunghe come le alae; queste tre<br />
stanzette vanno identificate con le favisse del tempio (ricostruzioni ipotetiche).<br />
Le dimensioni del tempio si possono così riassumere:<br />
lunghezza m. 39,95 - larghezza m. 25,35; alae larghe 4,90 m.;<br />
anticamere lunghe m. 6,55 - larghe 9,55 m.; favisse et adyton profondi 5,30 m.<br />
41
42<br />
Ad epoca imprecisabile appartengono le due stanzette sul lato nord, costruite con<br />
materiale di reimpiego, poggianti al basamento e alla sostruzione, comunicanti fra loro e<br />
accessibili tramite una doppia scaletta, dove furono rinvenuti i frammenti degli :<br />
Un’altra aggiunta è quella della fontana di M. Cossuzio, quattorviro, tarquiniese,<br />
probabilmente della prima età augustea.<br />
Alle spalle delle due stanzette sopra nominate, si trova una struttura in laterizio<br />
intonacata di cocciopesto; tale struttura, datata al I secolo d.C., era la del<br />
basamento costruita per evitare che l’acqua stagnasse. L’ultima vicenda architettonica<br />
dell’edificio si ha nel V-IV secolo d.C. quando fu trasformato in chiesa.<br />
5. La decorazione architettonica fittile<br />
Il grande edificio dell’ fu fornito di un frontone aperto di tipo<br />
tradizionale, nella metà del IV secolo a.C., che venne decorato con un complesso di<br />
terrecotte architettoniche; le terrecotte che erano applicate alle testate dei travi principali<br />
del tetto (columen e mutili) erano plasmate a mano; gli altri elementi minori erano<br />
ottenuti a stampo. Della decorazione frontale restano solamente due lastre frammentarie<br />
ad alto rilievo: al mutulo destro era forse applicata la figura femminile, di cui resta soltanto<br />
parte della veste dipinta, che viene datata alla seconda metà del IV secolo a.C.<br />
Viene ritenuta rivestimento da columen o destinata a coprire la testata del mutulo di<br />
sinistra, la famosissima coppia dei cavalli alati datata anch’essa alla metà del IV secolo a.C.<br />
Interessante è notare che la lastra dei cavalli dà con un taglio obliquo del margine<br />
superiore la pendenza del tetto (22 gradi e 30 primi).<br />
Delle terrecotte architettoniche ottenute a stampo, attribuibili alla decorazione<br />
originale del tempio in base all’analisi dei caratteri stilistici e tecnici, nessun esemplare è<br />
giunto a noi integro o ricostruibile tranne la tegola di gronda.<br />
Della decorazione del tetto sono stati individuati tutti gli elementi come la sima<br />
frontonale con sovrastante cornice traforata.<br />
La sima frontonale (cm. 50x18) presenta un motivo a rilievo con fiori di loto e<br />
palmette che è molto comune; lo ritroviamo infatti anche a Civita Castellana (tempio dei<br />
Sassi Caduti) a Bolsena, a Cosa (tempio di Giove) e a Talamone. La cornice traforata (cm.<br />
49x29,7) presenta una decorazione a rilievo, anch’essa molto comune, con nastro a<br />
serpentina sormontato da palmette.<br />
Delle lastre di rivestimento quella con palmette oblique contrapposte a spirali<br />
doppie era destinata agli spioventi frontonali; la decorazione è realizzata nei due sensi ed<br />
42
43<br />
esiste un frammento dell’esemplare terminale del colmo destro tagliato per adattarlo alla<br />
pendenza del tetto.<br />
Abbiamo altri tipi di lastre di rivestimento: quelle decorate a rilievo con palmette,<br />
spirali e loti, motivo questo molto diffuso che troviamo in quasi tutti i templi (fase di IV-III<br />
secolo). La lastra con kyma lesbico a decorazione a X con fiori a calice e rosette la<br />
ritroviamo molto simile a Volterra e a Orvieto (Belvedere).<br />
Tra le antefisse a noi note ci sono quelle a testa di menade e di sileno che, molto<br />
probabilmente, risalgono alla metà del IV secolo a.C. caratterizzate da un nimbo, di cui<br />
rimangono solo delle tracce, decorato con viticci, fiori e boccioli e anche dalla stessa altezza<br />
di 25-26 cm. Forse un po' più recente (fine IV sec. a.C.) è l’antefissa a testa di menade con<br />
nimbo coronato da palmette, fiori e calici alternati.<br />
Oltre alle caratteristiche antefisse a testa di sileno e di menade sono state trovate<br />
anche delle antefisse a testa maschile con berretto frigio che, dall’esame stilistico, possono<br />
essere datata alla metà del IV sec. a.C. (come il gruppo precedente). Risalgono alla fase di<br />
IV-III secolo le antefisse a figura intera quella disposta orizzontalmente rappresenta una<br />
figura femminile alata sorgente da volute (cm. 37x45); l’altra è sempre raffigurante una<br />
figura femminile alata che però è posta in modo verticale e regge tra le mani un vasetto<br />
(53x31).<br />
6. Influssi stilistici delle terrecotte architettoniche<br />
I coroplasti si ispirarono, per quanto riguarda le terrecotte a stampo, al programma<br />
decorativo creato alla fine del V secolo-inizi III sec. per il tempio di Belvedere a Orvieto con<br />
l’aggiunta di elementi comuni in altre località come la sima frontonale e la cornice<br />
traforata. Analogamente al complesso frontonale di Belvedere anche negli altorilievi di<br />
Tarquinia c’è un forte interesse per il linguaggio figurativo e decorativo di età classica ma<br />
con modi più evoluti.<br />
I caratteri stilistici della figura femminile con lunga veste fiorita, e della coppia dei<br />
cavalli alati riportano al clima artistico dell’Atene post-fidiaca, che si riflette nella<br />
ceramografia attica alla fine del V sec. a.C. e che è ripreso in ambiente magno-greco e<br />
italico nella prima metà del IV secolo a.C.<br />
7. Parallelismo con gli altri templi e ultime conclusioni<br />
La fase delle terrecotte architettoniche che possiamo studiare in modo più <strong>completo</strong><br />
è quella risalente alla metà del IV sec. La decorazione di queste terrecotte, come abbiamo<br />
43
44<br />
visto, è abbastanza comune e ricorre in molti altri santuari, quali il tempio di<br />
Talamonaccio, il tempio di Juppiter a Cosa (Ansedonia), il tempio di Belvedere a Orvieto e,<br />
limitatamente ad alcuni elementi, il tempio dello Scasato a Falerii.<br />
Interessante sarà quindi confrontare le dimensioni degli edifici aventi in comune le<br />
stesse terrecotte per delineare il rapporto tra le proporzioni della pianta e della<br />
trabeazione.<br />
Il tempio dell’ , messo a confronto con i dati vitruviani<br />
riguardo al rapporto tra lunghezza e larghezza (6:5), risulta più allungato, specialmente per<br />
quel che riguarda il podio.<br />
Le dimensioni del tempio sono monumentali: largo 34 m. lungo 77 m. con un<br />
imponente terrapieno è il più grande tempio fra quelli dotati delle stesse lastre di<br />
rivestimento, delle stesse sime, etc. Le lastre di rivestimento, sia quelle con palmette a<br />
spirali, sia quelle a decorazione a X, appaiono quindi, rispetto alla monumentalità del<br />
tempio, piuttosto esigue; infatti l’altezza media ricostruibile non supera i 60 centimetri.<br />
Queste misure sono le medesime che ricorrono in edifici più piccoli come il tempio di<br />
Belvedere, quello di Giove o, ancora, il tempio dello Scasato. Riportando alcuni dati, per<br />
esempio, il tempio di Belvedere è lungo 21,9 m. e largo 16,90 (esatta metà dell’Ara della<br />
Regina); i materiali architettonici, pertinenti alla fase più antica della decorazione del<br />
tempio, risalgono agli inizi del V sec. a.C. Di questa fase ci sono giunte lastre di<br />
rivestimento che ritroviamo anche, come già accennato, a Tarquinia.<br />
Il santuario dello Scasato di Civita Castellana, il più recente dei grandi templi di<br />
questa fase conosciuti, è un altro esempio da paragonare al tempio di Tarquinia. Largo 17<br />
m. esibiva un sistema decorativo molto simile per le dimensioni a quello dell’Ara della<br />
Regina.<br />
Il tempio di Talamone, eretto nella metà del IV sec. a.C., aveva delle dimensioni<br />
molto più modeste rispetto al tempio tarquiniese anche se sono accomunati da una<br />
decorazione architettonica molto simile.<br />
Il tempio di Giove a Cosa, specialmente nella sua seconda fase, ha moltissimi<br />
elementi in comune con l’Ara della Regina come l’architrave rivestita da lastre con<br />
decorazione a X e la sima frontonale sormontata dalla cornice traforata. Ma anche le<br />
dimensioni del tempio di Giove sono minori rispetto a quelle di Tarquinia.<br />
Da queste osservazioni possiamo concludere che il tetto dell’Ara della Regina<br />
risultava non molto appesantito dalla decorazione architettonica rispetto agli altri templi<br />
che, pur avendo la stessa decorazione e quindi più o meno lo stesso peso, erano di<br />
dimensioni notevolmente minori. Il tempio tarquiniese era rettangolare oblungo simile a<br />
44
45<br />
quello greco e alla monumentalità della pianta e degli alzati non corrispondeva<br />
un’adeguata trabeazione.<br />
Bibliografia<br />
Massi Elena<br />
A. Andren, Origine e formazione dell’architettura templare etrusco-italica, in<br />
Rend. Pont. Acc. XXXII, Stoccolma 1959-1960.<br />
P. Bergellini, Belvedere, Firenze 1962.<br />
M. Bonghi Jovino, Gli Etruschi di Tarquinia, Modena 1986.<br />
G. Colonna, Santuari d’Etruria, Roma 1985.<br />
A.M. Comella, Deposito votivo presso l’Ara della Regina, Roma 1982.<br />
M. Cristofani, L’arte degli Etruschi, produzione e consumo, Torino 1978.<br />
W. Keller, La civiltà etrusca, Zurigo 1977.<br />
M. Pallottino, Tarquinia, Roma 1948.<br />
M. Pallottino, Etruscologia, Milano 1985.<br />
P. Romanelli, Tarquinia, in Notizie e scavi, Roma 1948.<br />
M. Torelli, Etruria, Roma-Bari 1980.<br />
ACCADDE A CORNETO NEL 1848:<br />
TANTO RUMORE PER UNA CAMBIALE<br />
Io credo che una delle azioni più importanti, che svolge il Bollettino della Stas, sia<br />
quella di far conoscere o di spingere a conoscere meglio alcuni episodi che riguardano la<br />
vita della nostra città. E’ stato infatti leggendo un breve articolo di Cesare De Cesaris,<br />
pubblicato sul Bollettino del 1977 e riguardante un fatto avvenuto a Corneto nel 1848, che è<br />
nata in me la curiosità di conoscere qualcosa di più sull’argomento. Per questo motivo ho<br />
ricercato documenti e qualsiasi altra cosa che avesse potuto farmelo approfondire e<br />
comprendere meglio. Dato che coinvolto in questa vicenda era lo stesso Gonfaloniere della<br />
città, Domenico Boccanera, era più che logico che le mie ricerche si indirizzassero verso<br />
l’Archivio Storico Comunale. Qui, la mia curiosità è stata accontentata. Ora, unendo alla<br />
documentazione presente nell’Archivio della Stas, quella rintracciata nell’Archivio Storico<br />
Comunale, la visione di quello che accadde a Corneto in quel fatidico 30 giugno 1848 e nei<br />
45
46<br />
mesi successivi mi risulta più chiara. Eccomi dunque ad esporre quello che ho potuto<br />
appurare e ricostruire.<br />
Cosa importante è conoscere bene il personaggio di cui si parlerà, in quanto sarà<br />
proprio per proteggere la sua persona da un arresto non giustificato che scoppierà una<br />
sommossa che avrà ripercussioni sull’intera cittadinanza.<br />
Domenico Boccanera, nato nel 1810, apparteneva ad una famiglia che era giunta a<br />
Corneto (almeno da quanto ci dice il manoscritto di P. Falzacappa dedicato alle famiglie<br />
illustri della città, presente nell’Archivio della Stas), nel 1743 proveniente con molta<br />
probabilità dall’Umbria, forse dalla città di Orvieto. Il padre di Domenico, Benedetto,<br />
aveva scelto come moglie una nobile signorina orvietana e così farà anche il figlio il cui<br />
matrimonio è ricordato nella (un altro manoscritto del citato<br />
Pietro Falzacappa): >.<br />
Precisa come annotazione vero?<br />
Comunque si può dire che sia nata da questi<br />
due sposi: infatti ebbero sette figli, quattro maschi e tre femmine.<br />
Ora che si era sposato, Domenico desiderava che la nobiltà della sua famiglia<br />
venisse riconosciuta ufficialmente, con l’iscrizione nell’albo dei Patrizi della città. Era una<br />
cosa molto importante questa perché, come si legge nel Procaccia (giornale dell’Archivio<br />
Storico, n.12)
47<br />
ascritto all’albo dei Patrizi Cornetani, ferme restando le ingiunzioni di fare a proprie spese<br />
la Festa di sant’Agapito ed un donativo. Il verbale del Consiglio, dopo il visto del Delegato<br />
Apostolico, verrà inviato a Sua Beatitudine Gregorio XVI per l’approvazione finale>>.<br />
Così Domenico Boccanera entra ufficialmente tra i Patrizi Cornetani, diventa nobile<br />
cornetano. Sembra che per lui tutto proceda nel migliore dei modi.<br />
Per avere un quadro più <strong>completo</strong> della situazione è bene tener presente che il 7<br />
agosto 1828 si è celebrato il matrimonio di una sorella di Domenico, Maria, con Agostino<br />
Mastelloni.<br />
Pietro Falzacappa, attento osservatore di quanto accade a Corneto a questo<br />
proposito annota: . Candido Mastelloni ha altri figli oltre ad Agostino, fra i quali Luigi che poi<br />
tanta parte avrà nella nostra storia.<br />
La famiglia Mastelloni non si trova molto bene finanziariamente tanto che la notizia<br />
della morte di Candido il 10 maggio 1830, viene commentata dal solito cronista così.<br />
.<br />
Passano gli anni, l’unione di Domenico e Marianna viene allietata dalla nascita dei<br />
primi figli: Maria Felicita (1833), Teresa (che muore ad appena un anno di vita nel 1836),<br />
Benedetto (1836), Francesco Maria (1839), Giacomo Maria (1841) e Luigi Maria (1845). La<br />
vita della famiglia va avanti serenamente. Il capofamiglia, possidente, ogni tanto deve<br />
ricorrere a qualche cambiale, che puntualmente onora. E’ stimato e benvoluto dai suoi<br />
concittadini tanto che nel 1848 lo troviamo Gonfaloniere, ossia capo dell’amministrazione<br />
comunale.<br />
Sembra che nulla in questo periodo debba turbare il normale svolgimento della vita<br />
di Corneto, malgrado la tensione politica stia crescendo un po' dappertutto in Italia.<br />
Nel 1846 è stato eletto al soglio pontificio il cardinale Mastai Ferretti, Pio IX, che<br />
con i suoi primi atti aveva acceso le aspettative di tutti coloro che speravano in<br />
cambiamenti radicali ed in una apertura ad un modo di vivere più libero e più rispettoso<br />
dei diritti dei cittadini: amnistia, riforme, libertà di stampa e di riunione, parole di pace e<br />
di progresso..... Ma le cose si erano improvvisamente aggravate quando nel 1848, mentre<br />
47
48<br />
Carlo Alberto stava portando avanti la I Guerra di Indipendenza, il pontefice, dopo aver<br />
permesso che il generale Durando guidasse i volontari romani ad unirsi all’esercito<br />
piemontese, aveva pronunciato la famosa “allocuzione del 29 aprile” con la quale<br />
dichiarava apertamente che non poteva assolutamente dichiarare guerra all’Austria: . Se queste parole andavano bene per i reazionari non andavano<br />
altrettanto bene per “i rivoluzionari” che videro in esse la prova del “tradimento” del papa.<br />
Per cercare di calmare l’indignazione popolare, Pio IX aveva nominato allora Ministro<br />
dell’Interno il conte Terenzio Mamiani, quello stesso Mamiani che nel 1831 era stato<br />
esiliato dallo Stato Pontificio per aver preso parte ai moti di Bologna. Il conte Mamiani,<br />
però, resterà al potere per pochi mesi, e saranno proprio quei mesi in cui avviene il fatto<br />
che indigna la popolazione cornetana.<br />
Cosa accadde dunque?<br />
Come si è già accennato, nel 1848, alla carica di Gonfaloniere era stato eletto<br />
Domenico Boccanera, che succedeva così al conte Lorenzo Soderini. Domenico Boccanera<br />
in virtù della sua carica non avrebbe dovuto temere nessuna mancanza di rispetto in<br />
quanto godeva di particolari garanzie a difesa dalla sua persona. Comunque dovrebbe aver<br />
avuto sentore di qualcosa che si stava tramando contro di lui perché nell’Archivio Storico<br />
Comunale è conservata una lettera indirizzata appunto dal Boccanera al Conte Terenzio<br />
Mamiani, Ministro dell’Interno in data 30 giugno 1848, in cui dice che già due volte, il 16 e<br />
il 23 giugno aveva indirizzato “due rispettosissime... onde arrestare il corso alle inique<br />
trame di Luigi Mastelloni... per garantirmi da un affronto che comunque si sarebbe tentato<br />
e per non rendermi responsabile di una sollevazione popolare”. Cosa era successo<br />
dunque?, perché Luigi Mastelloni avrebbe dovuto ordire qualcosa contro il Gonfaloniere?<br />
Questo Mastelloni certamente non era un tipo molto raccomandabile, da come lo descrive<br />
Pietro Falzacappa: . Luigi Mastelloni dunque era riuscito a mettere le mani su delle cambiali che<br />
il Boccanera aveva già pagato ma che, ingenuamente, non aveva ritirato, si era però fatto<br />
* Il Mastelloni, con il Di Nicola, e altri amici per riuscire a far uscire dal Monastero si era<br />
travestito da Notaro, e Cancelliere Vicarile, e con un finto mandato aveva sorpreso la .<br />
Così aveva rapito .<br />
48
49<br />
fare una dichiarazione dal suo ex-creditore in cui quest’ultimo affermava “Che a tutto il<br />
presente giorno non ha alcuna cambiale firmata dal sig. Domenico Boccanera né in<br />
portafoglio da girarsi, né fuori già messa in giro, per cui ne faccio fede da servire nel modo<br />
più valido”. Il Mastelloni per portare avanti questo suo intrigo si era servito dell’aiuto di<br />
uomini della sua risma. Seguitiamo a leggere il manoscritto del Falzacappa: Il meschino<br />
spinto da pressanti bisogni, perseguitato da mandati spediti e prossimo ad essere ricercato,<br />
profugo, ramingo, vilipeso, .... si collegò in perfido conciliabolo con un tal Devenux di<br />
nazione francese, fallito, disperato, ed oggi, per vivere, fra i volontari romani con un pasto<br />
al giorno, e pagnottone... ed il troppo noto Tuccimei>>.<br />
Dunque ritorniamo a quanto il diretto interessato, Domenico Boccanera scrive in<br />
merito all’accaduto al Ministro Mamiani.
50<br />
dei danni e pregiudizi che ne derivano dalle loro sentenze, come appunto è nel caso mio ** ;<br />
se il Governo... non estirpa prima otto o dieci ladri interni in questa Provincia fra i quali<br />
diversi della nostra città, ed in capo Luigi Mastelloni, le sostanze e la vita dei cittadini<br />
saran sempre compromessi per i fatti di questi iniqui a cui i tribunali tengono mano negli<br />
assassini domestici che essi commettono a man salva e impunemente sotto l’Egida delle<br />
ingiuste sentenze dei tribunali... il poderoso braccio del Governo ci assista e garantisca<br />
soprattutto i rappresentanti del popolo che sopportando il peso di una carica del tutto<br />
onerosa e responsabile non siano poi costretti a subire anche nella propria residenza atti di<br />
violenza e di ingiustizia... Né si creda da V. Ecc.nza forza di un animo commosso<br />
l’espressione che i birbi trovano appoggio negli stessi esecutori della giustizia mentre cosa<br />
di fatto è che l’indegno Luigi Mastelloni ha fuori circa dieci mandati personali e non si<br />
trova chi li eseguisca là dove ad istanza del medesimo si trovano e forza e cursori che<br />
eseguiscono tali atti contro un gonfaloniere che ha mezzi e fondi per soddisfare al preteso<br />
debito... Ripeto ancora una volta che si permetta pure una esecuzione sopra i miei beni di<br />
qualunque specie meno alla mobilia di casa, che sarebbe un eguale sfregio, ma si emani un<br />
ordine che mi garantisca degli affronti, senza il quale io sarò sempre esposto e la<br />
popolazione sempre compromessa”.<br />
Non si può dire che quel 30 Giugno il Gonfaloniere si sia risparmiato nello scrivere,<br />
infatti ha inviato una lettera anche al Delegato Apostolico e al Ministro di Grazia e<br />
Giustizia, avv. Pasquale De Rossi. In tutte è espresso il suo sdegno e il pensiero che la<br />
popolazione non possa più sopportare senza reagire un altro oltraggio simile. Ecco quanto<br />
scrive al delegato Diocesano:
51<br />
perché da me si paghino i mille scudi che ingoiati in un baleno nello sterminato pozzo delle<br />
sue trufferie non sarebbero da me più affatto recuperabili. Questi fatti sono noti<br />
all’augusto Pio IX che si degnò rimettere un mio ricorso al Ministro di Grazia e Giustizia,<br />
noti all’intero Consiglio dei Ministri, notissimi al Ministro dell’Interno, il quale<br />
riconoscendo l’aperto furto che mi si vuole fare, si è degnato di farmi assicurare che io nella<br />
mia Residenza, non avrei ricevuto alcun affronto... Io non posso persuadermi che sia per<br />
opera di V. Ecc.naza, come si asserisce e se ciò fosse io non dovrei che dolermene<br />
altamente.... ripeto di non crederlo e ne sono in modo tale persuaso che ricorro a Lei...<br />
perché mi si renda la dovuta soddisfazione e giustizia...>>“<br />
Ed il responsabile della Delegazione Apostolica di Civitavecchia risponde nello<br />
stesso giorno: “Ill.mo Signore, il rapporto che V.S. Ill.ma mi ha fatto trovare per spedizione<br />
intorno al tentato di lei arresto mi ha recato la più grande meraviglia. Ho chiamato subito<br />
il Comandante dei Carabinieri a darmi subito esatto conto dell’operato dei suoi dipendenti<br />
ed inspecie di essermi attribuita a mia insaputa una esecuzione che io avrei... evitata se si<br />
fosse portato a mia conoscenza il fatto che si meditava>>. Poi prosegue specificando che il<br />
Cursore Sales dovrà difendersi sia per la tentata , sia e che scriverà subito al Ministro dell’Interno sul<br />
.<br />
Come si vede fin dall’inizio si sente che l’episodio difficilmente non avrà<br />
conseguenze spiacevoli.<br />
A dare man forte al Cursore Sales e alla però erano<br />
intervenuti anche alcuni cornetani che prontamente erano stati riconosciuti e che secondo<br />
tutti meritavano una punizione. Alcuni di essi facevano parte della Guardia Civica di<br />
Corneto, per questo motivo in data 1 luglio 1848, 64 cittadini, componenti della stessa,<br />
inviano al Capitano Comandante, una precisa richiesta:
52<br />
sottotenente, Giuseppe Panzani sottotenente, Evangelista Pasquini sottotenente, Andrea<br />
Mercati sergente, N. Maneschi sergente maggiore, Giuseppe Compagnucci sergente, N.<br />
Maneschi sergente maggiore, Giuseppe Compagnucci sergente, Luigi Maneschi caporale,<br />
Francesco Mastini sergente maggiore, Lorenzo Benedetti caporale, Alessandro Calvigioni<br />
caporale, Pietro Bruschi caporale, Eugenio Lucidi, Mario Calvigioni, Giuseppe Mattioli,<br />
Antonio Scappini, Giuseppe Marzi, Tommaso Simoncelli, Francesco Dasti, Nicola Soderini,<br />
Pietro Marzoli, Benedetto Caltraj sergente foriere, F. Falzacappa, F. Grispini, Mattia<br />
Sacchi, Luigi...., Giuseppe Querciola, Lorenzo Ferri, Lorenzo Crispini caporale, Domenico<br />
Avvolta, Alfonso Grispini,... Falzacappa, Lorenzo Mencarelli sergente, Giuseppe Pandicico,<br />
Salvatore Govi, Bernardino Milizia, Milizia A., Vincenzo Ajelli, Pietro Prosperi, Gio. De<br />
Angeli, Sebastiano Fiorani (?), Vincenzo Viti, Sinibaldo Loreti, Nicola Fidenza, Mario<br />
Massi, Vincenzo Toti, Francesco Campesi, Lorenzo Pigolotti, Giovanni Verzini, Milizia<br />
Giuseppe, Giuseppe Celli caporale, Giovanni Celli civico, Rinaldo Pivitelli, Tripoli (?)<br />
Vincenzo, Gonfaloni Luigi, Mariano Gelli, Francesco Benigni (?), Costantino Pampersi,<br />
Forcella Giuseppe, Giacchetti Antonio, Romualdo Maneschi>>.<br />
I capitani della seconda Compagnia della Guardia Civica Pontificia di Corneto,<br />
Antonio... e Luigi Benedetti, ricevuta questa richiesta la inviano, il 3 luglio, al Governatore<br />
Antonio Adriani, Presidente del consiglio di divisione, pregandolo di convocare il più<br />
presto possibile il Consiglio di Divisione per decidere in merito. A questo riguardo ho<br />
trovato solo la difesa presentata da Gio. Battista Valletti al Consiglio di Revisione della<br />
Guardia Civica. Una difesa portata avanti con abilità, di cui però, almeno per il momento,<br />
non se ne conosce l’esito. Vale la pena leggerla:
53<br />
chi fugge per salvarsi la vita. Egli prega soltanto a riflettere che in atto dell’avvenimento<br />
trovavasi fuori di casa, che seguì i suoi compagni per tutte le vie e per ogni dove s’indicasse<br />
la fuga del Sales, che sulle voci che il medesimo si fosse nascosto nella indicata bottega,<br />
condusse subito i suoi compagni a perquisirla, che egli stesso salito in casa, guardò nelle<br />
più recondite parti, che persistendo la voce, insisté per più volte che si tornasse ad altra<br />
perquisizione, e che finalmente egli non fu mai in casa fino all’arresto del Sales, meno il<br />
momento che vi entrò con altri a perquisirla. Aggiunge in ultimo non esser vero altrimenti<br />
che il ragazzo che svelò allo stesso esponente ed al sig. Mattia Sacchi dove era nascosto il<br />
Cursore, dicesse al Valletti - Voi lo sapete -, ma bensì in senso dubitativo - E che voi non lo<br />
sapete? - Meravigliato a par di esso ch’Egli fosse in luogo di sua pertinenza senza sua<br />
saputa. Dopo tuttociò, a cui si potrebbe aggiungere altre molte giustificazioni, che si<br />
lasciano per brevità, spera il Valletti che l’Ecc.mo Consiglio di Revisione sarà per<br />
riconoscere al di lui innocenza, e per non permettere la dimandata espulsione dal Corpo<br />
Civico>>:<br />
Una difesa intelligente, che cerca di capovolgere tutti i capi d’accusa.<br />
Ci sarà riuscita?<br />
Intanto però anche la Congregazione Consigliare di Corneto non sta con le mani in<br />
mano. Il 7 luglio si svolge una riunione i cui sono stati<br />
. Vi partecipano anche Antonio Adriani,<br />
governatore, Domenico Boccanera, gonfaloniere, Giuseppe Falzacappa, anziano, Vincenzo<br />
Maneschi, anziano, il canonico Angelo Marzi deputato ecclesiastico, il preposto don<br />
Michele Bruschi, Francesco Bruschi, il conte Casimiro Falzacappa, il conte Lorenzo<br />
Soderini, Benedetto Mariani, Eugenio Lucidi, Francesco Angelo Marzoli, Giuseppe<br />
Ponzani, Federico Petrighi, Giuseppe Latini. In questa occasione Domenico Boccanera<br />
ancora una volta ripete come sia potuto accadere che il Mastelloni potesse giungere a tanto<br />
contro la sua persona con il beneplacito della legge:
54<br />
quel Ministero degnato di onorarmi di alcuna risposta... tornai sotto il 23 del mese stesso a<br />
scrivere al Ministero dell’Interno * , osservando che, quantunque io non dubitassi dei miei<br />
privilegi, pur se il Ministro con una speciale disposizione non poteva o non credeva<br />
rendermi giustizia e farmi scudo con il suo potere contrro gli attentati degli empi, io avrei<br />
dimesso spontaneamente la mia qualifica per mettere in sicuro la mia persona; per non<br />
arrossire di una rappresentanza conferita dal Sovrano e resa il dilegio dei birbanti, per non<br />
farmi truffare la indicata somma, e per non rendermi infine responsabile dell’operato della<br />
Popolazione che non avrebbe veduto con indifferenza commettere una violenza qualunque<br />
contro il primario suo rappresentante... Il Ministero... per vie trasversali mi fece intendere<br />
che io non sarei mai stato in Corneto arrestato e che egli curava non solo la mia persona<br />
ma pur’anche il mio interesse. Dopo di ciò pareva impossibile che dovesse succedere<br />
l’avvenimento del 30 giugno. Ma la massiccia parte della popolazione ne fu spettatrice, e<br />
vide con i suoi propri occhi se un malfattore, un reo di stato, uno dei più barbari omicida<br />
venisse mai arrestato con più eclatanza, con maggiore pubblicità. Io non posso<br />
risovvenimmi senza la commozione più viva, la parte che ebbe l’intera città senza<br />
distinzione di sesso e di ceto in quel momento per liberarmi dalle mani di quei manigoldi,<br />
che senza le debite facoltà eseguivano una violenza tenendo mano a miei assassini...<br />
Per tornare però al principio del mio proposito, io debbo dirvi con sommo dolore<br />
che sono nella ferma deliberazione di emettere la mia rinuncia alla qualifica onorevole di<br />
che mi trovo insignito.... se si volesse osservare la legge e le disposizioni contenute<br />
nell’ultima circolare del Ministero approvata da ambo i consigli legislativi, gli autori, gli<br />
esecutori, e i complici del tentato arbitrario arresto avendo agito senza le debite facoltà<br />
dovevano essere immediatamente destituiti dai loro posti... Io non avrei voluto<br />
incomodarvi o Signori, né tediarvi con questo ragionamento, ma il mio core sentiva una<br />
ripugnanza troppo grande nell’emettere una rinuncia all’insaputa di voi che di tanta<br />
benevolenza mi onoraste, che di tanti lumi mi forniste nei pochi mesi della mia<br />
Amministrazione, di voi che io stimo ed amo sopra ogni credere...>>.<br />
Si sente in queste parole del Boccanera la delusione, la rabbia, la tristezza per<br />
quanto gli sta accadendo. Queste dimissioni sono veramente dolorose per lui che sente di<br />
non aver fatto nulla di male.<br />
Il Consiglio però non vuole tali dimissioni e questo è chiaramente espresso nel<br />
verbale della riunione, inviato alla Delegazione Apostolica di Civitavecchia, nel quale si<br />
precisa che:
55<br />
non emettere la sua rinuncia e portato sentimento che invece si spedisca una deputazione a<br />
Roma, perché presso il Ministero dell’Interno, presso quello di Grazia e Giustizia, presso<br />
quello di Polizia, presso i Consigli e al Trono Sovrano se occorre, esponga con gli<br />
antecedenti il fatto che ebbe luogo il 30 giugno, sostenga le ragioni della Città e Popolo e<br />
difenda la persona e la convenienza del lodato sig. Gonfaloniere, e implori una disposizione<br />
e delle misure energiche dal Governo per estirpare e punire gli autori di tali attentati che<br />
con le sostanze pongono a pericolo la vita e la libertà dei buoni. La deputazione è stata di<br />
viva voce acclamata nelle persone del sig. Conte Pietro Falzacappa e sig. Lorenzo<br />
Benedetti, e siccome il sig. Falzacappa non si trova presente all’adunanza è stato pregato il<br />
sig. Francesco Bruschi Falgari ad interporsi presso il medesimo per l’accettazione>>.<br />
Ecco, a questo punto si può ben capire per quale motivo Pietro Falzacappa abbia<br />
lasciato vari scritti in proposito (lo esigeva il compito che gli era stato affidato). E’ del 10<br />
luglio lo scritto inviato al Ministro Galletti in cui viene puntualizzata della città di Corneto, e come<br />
.<br />
Tra le carte di Falzacappa si ritrovarono pure le copie delle memorie inviate al<br />
Mamiani (11 luglio) e al Ministro di Grazia e Giustizia, De Rossi (12 luglio) e una<br />
. E sì perchè nel mese di luglio a Roma (ma poi anche nella Provincie) era apparso<br />
un foglio stampato in cui era possibile leggere un Rapporto inviato alla Camera dei<br />
Deputati di Roma .<br />
Certamente chi doveva farsi un’idea di quanto era accaduto quel fatidico 30 giugno nella<br />
nostra città, leggendo solo quello che era scritto su quel rapporto avrebbe potuto<br />
veramente credere che ci fosse stata una vera e propria ribellione pericolosa per i tempi.<br />
giugno nelle dimissioni del Mamiani e di tutti gli altri ministri, che resteranno però in carica fino al 6 agosto.<br />
55
56<br />
Decisamente le cose venivano presentate in un modo molto diverso da quanto letto fino<br />
adesso. Esistendo presso l’Archivio della Stas una copia di questo manifesto, se ne possono<br />
rilevare direttamente i punti più esasperati:
57<br />
resto. Ammaestrati forseo coloro dagli ultimi recenti fatti di Napoli, sull’esempio dei<br />
Lazzaroni al saccheggio, invasero (ciocché davvero è orrendo) le case di ben onesti e<br />
tranquilli Cittadini non solo, ma pure le Chiese di Monache con la più nera esecrabile<br />
impudenza a mano armata... Dal rapporto dei Carabinieri sembra non esser dubbio che il<br />
Ministero stesso ha già ben fondati punti di appoggio per poter senza ulteriori indagini<br />
procedere speditamente e con tutta energia contro Benedetto Mariani, di cui<br />
maggiormente perché ricco deve assicurarsi come autore originario della sommossa, e<br />
perciò reo responsabile di tutte le conseguenze di Essa...<br />
Giova pertanto di stare in osservanza delle mosse Politico-Ministeriali, anche<br />
rispetto a quella parte di Civica insorta e alla illegalità dei seguiti arresti, nei quali si sappia<br />
che tuttora in segreta si ritiene strettamente il Cursore,.... Si spera poi che il Ministero non<br />
indugerà più oltre a prendere attivissimi temperamenti sia rapporto alle garanzie<br />
necessarie per la restituzione in patria dell’esule De Nicola, che ha diritto ad essere<br />
protetto dalla legge.... sia in rapporto ad una più energica e spedita misura dovuta<br />
sacrosantemente per la esecuzione dei mandati contro il Boccanera, e per l’integrità dei<br />
diritti del creditore, che non devono restare menomamente pregiudicati dalla criminosa<br />
violenza degl’insorgenti...>>.<br />
Sono accuse molto forti che mirano a mettere in cattiva luce non solo il<br />
Gonfaloniere, ma anche il Governatore, la Guardia Civica, Benedetto Mariani e la stessa<br />
Popolazione. Si rischia di far apparire la città di Corneto come una città ribelle all’autorità<br />
costituita, cosa molto pericolosa in quel periodo di confusione politica.<br />
Quando Pietro Falzacappa ha in mano questo scritto sente che è suo dovere<br />
. Ecco quindi la sua a questo foglio, nella quale<br />
ribatte punto per punto gli argomenti addotti contro i suoi concittadini. Comincia con il<br />
dire che
58<br />
incolpa di un moto naturale e provocato l’onesto cittadino sig. Benedetto Mariani, accusa<br />
un forte possidente quale sig. Boccanera quasi non potesse pagare la meschina somma di<br />
scudi 1040. Non ci vuole che un inverecondo Tuccimei cognito a tutta Roma non secondo<br />
davvero fra i mozzorecchi della Capitale, Tuccimei ben differente dai suoi illibati fratelli, a<br />
quali fa onta e vergogna, dispiacere e rancore>>. Passa quindi a delineare la figura di<br />
Luigi Mastelloni nel modo che già abbiamo visto e a precisare come sia stato tessuto<br />
l’inganno contro il Boccanera;
59<br />
pago io sul momento, faccio sicurtà, che bricconata è questa di legare il primo Magistrato,<br />
Civica accorrete a liberare il nostro Gonfaloniere. I tranquilli cittadini, la truppa Civica<br />
corse in folla a circuire il Cursore inonesto, li Carabinieri forestieri... sopraggiunse il<br />
Governatore, che ad evitare scandali di sommo rilievò intimò al Cursore, ai Carabinieri di<br />
desistere e liberare il già circondato Gonfaloniere e procurò quindi che i nominati<br />
Carabinieri fossero accompagnati dal sig. Eugenio Lucidi fuori la Città, né altro di rilevante<br />
o tristo accadesse. La popolazione allora furiosa si dette alla ricerca delle spie, dei<br />
testimoni, del Cursore. Ma questi sollecito evadendo dalla folla si nascose in Casa Valletti.<br />
Nella ricerca per tutta la città si trovò un solo testimonio, che volendo far forza e fuggire fu<br />
alquanto malmenato, ma non ferito, non contuso, non battuto, perché difeso da vari onesti<br />
cittadini e Civici e solo accompagnato fino al Quartiere con urti, fischi, contumelie. Qui<br />
ricevette tutti i soccorsi, che sa donare una popolazione indignata sì, ma onesta; furibonda<br />
contro il Cursore sì, ma ragionevole nel distinguere il testimonio dall’esecutore. E guai<br />
davvero se in quel momento di effervescenza si fosse trovato il Sales Corsore: ben difficile<br />
momento di effervescenza si fosse trovato il Sales Corsore: ben difficile sarebbe stato<br />
rispondere della sua vita, tanto era l’esaltamento dell’intera Popolazione. Lo sdegno allora<br />
si rivoltò a perseguitare il manutengolo, la spia, il complice di tanti e tanti delitti del<br />
Mastelloni; Vincenzo Di Nicola, riguardato da più anni dai più indifferenti per uomo<br />
cattivo, in odio alla popolazione intera. Egli però prevenne le indagini, si nascose in casa di<br />
un suo amico (che amici!!!) del consigliere del Mastelloni sig. Giovanni Bruschi e nella<br />
carrozza dello stesso Bruschi nella notte fuggì e raggiunse il collegato alle sue iniquità,<br />
Luigi Mastelloni. Ambedue si ripararono in Roma. Mentre in gran parte si era calmato<br />
tanto subuglio il Valletti nella di cui casa si era rifugiato e nascosto il Cursore, ne fece<br />
palese l’asilo, ma fu allora che alquanto sopita l’effervescenza popolare, da vari Civici preso<br />
in mezzo, il poco ravveduto Cursore si consegnò più per sua grazia che per altro nelle<br />
pubbliche carceri, accompagnato solo da una moltitudine con urli, fischi, schiamazzi, ove<br />
dimorò per otto giorni sino a tantoché fu tranquillamente scortato dalla pubblica forza in<br />
Civitavecchia. Non si fece perquisizione ulteriore in alcuni domicili, non s’insultò il figlio<br />
ben grande del De Nicola, come falsamente asserisce lo scritto contrario, ma quel figlio,<br />
che vedea nel pubblico, scappò, accompagnato da un onesto cittadino, e solo fu riportato a<br />
casa con preghiera che non sortisse, e così non compromettesse una tranquilla ma<br />
indignata popolazione. Falso che si tentassero visite domiciliari, falso che si eccitasse al<br />
tumulto, al saccheggio la troppo morigerata popolazione, falso che i monasteri fossero<br />
aggrediti o semplicemente avvicinati, minacciati come si asserisce nella contraria legenda<br />
dal più che cognito Tuccimei.<br />
59
60<br />
Sono queste favole della sua malvagità....<br />
Che sia irregolare e troppo precipitosa, per non dire ingiusta la sentenza del<br />
Tribunale di Commercio lo prova la sospensione di ogni atto pronunciato dalla S. Rota con<br />
sentenza del 24 giugno 1848 coram Quaglia ed accordante al Boccanera di far deposito di<br />
scudi 1040 dietro idonea sicurtà, lo prova il richiamare a sè tutti gli atti per farne<br />
disposizione e giudizio sul merito nel futuro dicembre o gennaio; lo prova il solo riflesso di<br />
non esigere una cambiale nel luogo corso di anni cinque (caso del tutto nuovo): al che il<br />
diligente Boccanera subito si è prestato per stare in ogni evento dalla parte della ragione ed<br />
a tramite del giusto. Che i Gonfalonieri godino di questa personale esenzione basta leggere<br />
i privilegi notati dal Devecchis fino dal 1724, privilegi che mai sono stati revocati...<br />
Vituperio, infamia a chi ha meditato, in oltraggio della gratitudine, amicizia, compassione<br />
quest’atto illegale, inverecondo da fare epoca nei fasi di Corneto>>.<br />
Ed i fatti, come si può notare, questo è rimasto nella storia<br />
minore del tempo.<br />
Comunque mentre a Corneto si vivevano questi giorni così agitati anche nello Stato<br />
della Chiesa la vita non si presentava affatto tranquilla. I contrasti tra il Mamiani e Pio IX<br />
erano diventati sempre più aspri, secondo i fautori del papa perché il Ministro<br />
. Quindi la situazione giunge ad un punto tale che, il 6 agosto Pio IX, dopo<br />
aver accettato le riconfermate dimissioni del Mamiani, nomima Ministro dell’Interno il<br />
Conte Edoardo Fabbri, un liberale assai moderato.<br />
Il 6 agosto però è anche la data in cui una lettera inviata dal Delegato Apostolico al<br />
Gonfaloniere getta quest’ultimo in una grave agitazione. Infatti il Delegato scriveva:<br />
<br />
In sostanza quindi si chiedeva al Boccanera di essere oltremodo generoso, facendolo<br />
addirittura di uno dei suoi persecutori. Non sembra però dalla risposta del<br />
Gonfaloniere, scritta il 7 agosto, che sia proprio questo il suo stato d’animo.
61<br />
Reverendissima, resto inteso dal ritorno di Vincenzo Di Nicola. Il timore di quest’uomo<br />
dovrebbe essere posto in quella pessima coscienza che l’indusse a fuggirre senza minacce<br />
senza offese: comunque sia però io non potrei menomamente occuparmi di lui, perché dai<br />
miei stessi buoni uffici si troverebbe argomento in sinistro anche per una occhiata non<br />
confacente a suoi desideri. Inoltre l’E.V.R. ben vede quale influenza potrebbero avere le<br />
parole di un Gonfaloniere che dal Ministro di Polizia non fu onorato di quella tutela che<br />
non si nega a un Vincenzo Di Nicola!! Ormai non è più del mio decoro il rimanere anche<br />
per poco in una carica di tante umiliazioni: la mia causa mi chiama a momenti a Roma; in<br />
questa occasione umilierò ai piedi del Pontefice la mia rinuncia, esporrò nel vero aspetto i<br />
fatti che le hanno imposte per ottenere da lui quella giustizia che tuttora non si rende a una<br />
città e ad un popolo altamente offesi nella persona del loro primario rappresentante...>><br />
Per tutta risposta dal Segretario Generale della Delegazione Apostolica di<br />
Civitavecchia giunge qualche giorno dopo al Gonfaloniere questa comunicazione del<br />
Delegato: .<br />
Questo ci fa capire che le indagini proseguivano per appurare quanto realmente era<br />
successo. Intanto però chi aveva pagato per primo tra coloro che erano intervenuti a difesa<br />
del era stato il Governatore Antonio Adriani che era stato<br />
sospeso dal suo incarico. Le cose poi sembrano non mettersi molto bene per i<br />
. Per questo motivo il 10 agosto viene dato un delicato compito al conte<br />
Francesco Soderini, agli avvocati Giuseppe De Sanctis e Federico Galeotti, e al canonico D.<br />
Domenico Sensi. Ecco come viene comunicato l’incarico al conte Soderini da Domenico<br />
Boccanera:
62<br />
di cattiva fama interessate o attinenti cogli autori dell’attentato e si procede ad atti punitivi<br />
senza prima sentirne la difesa contro il sig. Governatore che già si trova chiamato in quella<br />
città, sospeso nelle funzioni del proprio ufficio. Queste misure indispongono sempre più<br />
una popolazione comunque d’indole tranquilla... il Municipio in questo giorno stabiliva che<br />
una nuova deputazione di persone probe e colte si rechi ai piedi del Pontefice, ed esposte le<br />
ragioni che militano in favore della stessa città, implori ed ottenga da lui quella giustizia<br />
che con tanta ingiuria fin qui nelle vie ordinarie le si nega. L’unanime voto per una così<br />
importante missione è caduto sulla persona degnissima di Vostra Ecc.nza insieme a quella<br />
del Rev.mo sig. canonico D. Domenico Sensi e sig.ri avvocati De Sanctis e Federico<br />
Galeotti...>><br />
Da questo momento accanto alle vicende del Boccanera ecco che si inseriscono<br />
quelle riguardanrti la sorte del Governatore Antonio Adriani che certamente non deve<br />
trovarsi molto bene oltre che moralmente anche economicamente, almeno da quanto<br />
scrive da Roma al Gonfaloniere in data 7 ottobre 1848. <br />
Ancora il 9 ottobre torna a ripetere come sia importante che la causa si discuta al<br />
più presto e come sia grato . Le risposte del Boccanera sono sempre improntate a<br />
sentimenti di stima e di rispetto per l’Adriani e c’è sempre espressa l’assicurazione che tutti<br />
faranno il possibile per farlo riabilitare. Una cura particolare è anche messa nel rassicurare<br />
il padre dell’Adriani che nulla, in quello che ha fatto il figlio, è da ritenersi disdicevole o<br />
poco onorevole. Intanto, a Roma, va avanti la causa di Domenico Boccanera, sono giorni di<br />
grande perché, anche se tutto lascia prevedere che finalmente sarà fatta giustizia, il dubbio<br />
permane fino alla fine. Finalmente nel mese di novembre si giunge ad un verdetto<br />
definitivo a favore del Gonfaloniere. Tutti tirano un sospiro di sollievo e addirittura viene<br />
fatta in onore di quest’ultimo una pubblica festa con luminarie, banda ed altro. Boccanera<br />
fa appena in tempo a vedere conclusa la sua causa che a Roma accade un atto ben più grave<br />
di quello al quale era stato sottoposto lui: viene ucciso infatti il 15 novembre il Ministro<br />
Pellegrino Rossi che aveva sostituito nel mese di settembre il conte Fabbri.<br />
62
63<br />
L’uccisione di Rossi aveva determinato una paralisi nell’attività governativa e i<br />
ministri avevano presentato le loro dimissioni al Papa. Certamente in quei frangenti non si<br />
pensava alle cause pendenti, ma a salvare la propria vita dalle dimostrazioni violente<br />
scoppiate nella città dove a detta di alcuni . Il 24 novembre poi il<br />
Pontefice, fuggito da Roma vestito da semplice prete, si era rifugiato a Gaeta.<br />
Una volta tanto in questa ingarbugliata vicenda cornetana, il Boccanera aveva avuto<br />
la fortuna dalla sua parte.<br />
L’Adriani invece per essere inserito nel suo posto dovrà aspettare ancora un anno,<br />
infatti la sua riabilitazione avverrà nel novembre del 1849.<br />
Dopo cinque mesi quindi si chiude questa parentesi burrascosa per la maggior parte<br />
degli interessati. Corneto tira un sospiro di sollievo ma sarà qualcosa di molto breve perché<br />
negli ultimi mesi del 1848 e nel 1849 la sua vita sarà nuovamente sconvolta questa volta da<br />
vicende politiche. Ma questa è un’altra storia.<br />
Lilia Grazia Tiberi<br />
Fonti<br />
Stas -Archivio Falzacappa - 1848 Carte concernenti la pretesa Rivoluzione di<br />
Corneto<br />
Stas -Archivio Falzacappa - P. Falzacappa: “Cronica Cornetana”<br />
Archivio Storico Comunale - Titolo XIV, fac. 10, anno 1848<br />
Archivio Storico Comunale - Titolo IX, fac. 2, anno 1848<br />
Archivio Storico Comunale - Titolo IX, fac. 2, anno 1849<br />
Carlo Castiglioni - <strong>Storia</strong> dei Papi - U.T.E.T.<br />
David Silvagni - La corte Pontificia e la società romana ed. Biblioteca di <strong>Storia</strong> Patria<br />
Franco Migliori - Roma nel 1848-49 - Le fonti della <strong>Storia</strong> ed. La Nuova Italia<br />
63
64<br />
S. FRANCESCO DI TARQUINIA NEL SECOLO XVII<br />
Sarebbe interessante potere sviluppare tutto il materiale di archivio da me rinvenuto<br />
su S. Francesco di Tarquinia e riguardante i secoli passati. Mi limiterò per ora a presentare<br />
quello del secolo XVII, perché quasi sconosciuto e di un certo valore per la chiesa, il nuovo<br />
caratteristico campanile e le relazioni religiose e sociali dei frati del convento. Per questo<br />
mi soffermerò solo su alcuni punti principali: la chiesa, il campanile, il convento, i frati, i<br />
predicatori dell’avvento e della quaresima.<br />
Il convento di S. Francesco in questo periodo è ancora al centro della politica<br />
cittadina, perché come nei secoli immediatamente precedenti vi si conservava il bussolo<br />
per eleggervi i pubblici amministratori della città. Questo avveniva, con un rituale ormai<br />
stereotipato, ogni due mesi per il gonfaloniere, il console ed il capitano. Essi si recavano<br />
nella chiesa di S. Francesco, ascoltavano la messa e subito dopo il baiulo prendeva la tipica<br />
cassetta e la portava nella sala dei rettori dove venivano estratti gli ufficiali ricordati. Nel<br />
64
65<br />
consiglio di S. Lucia (il 13 dicembre) venivano scelti tutti i consiglieri. Finita la cerimonia,<br />
il P. guardiano di S. Francesco riprendeva in consegna la cassetta 1) .<br />
La chiesa di S. Francesco<br />
La monumentale chiesa di S. Francesco all’inizio di questo secolo si presenta quasi<br />
intatta nel suo stile romanico-gotico del 1300. Essa ha tre navate con volte a crociera<br />
poggianti su pilastri solidi ed eleganti in macco, la tipica pietra locale. Le navate terminano<br />
con absidi proporzionate. Le attraversa un transetto slanciato che forma con esse la croce<br />
latina. Le sue nervature sorreggono il tetto visibile, diviso da travi in legno. Sulla navata<br />
destra si approfondiscono cinque cappelle con relativi altari. In quella sinistra invece ci<br />
sono alcuni altari poggiati alla parete.<br />
Per un motivo che si potrebbe dire occasionale, l’abside centrale veniva spogliata<br />
dell’antico altare e la sua bifora, che la univa al coro retrostante, veniva chiusa. Infatti il<br />
23/3/1587 moriva a Corneto nel palazzo Vitelleschi il cardinale di Rambouillet Carlo<br />
d’Angennes (1530-1587) vescovo di Le Mans e governatore locale. Sorgeva il problema<br />
della sua sepoltura nella cattedrale S. Margherita o a S. Marco degli Agostiniani, perché<br />
egli aveva disposto nel suo testamento di volere essere sepolto nella chiesa più vicina.<br />
La questione non era oziosa, perché vi era in gioco un vistoso legato di mille scudi.<br />
In attesa di una decisione definitiva, egli fu sepolto nella chiesa di S. Francesco. Sisto V col<br />
motu proprio del 18/1/1859 disponeva che il corpo del cardinale<br />
dovesse restare sepolto in S. Francesco ed il legato fosse diviso equamente tra la cattedrale<br />
ed il convento con l’obbligo di celebrare annualmente ciascuno un funerale solenne2) .<br />
I nipoti del cardinale Cristoforo di Rantigni ed il protonotario apostolico Claudio<br />
Lupi ereditarono 80.000 scudi d’oro e promisero di fargli costruire un monumento e di<br />
rimettere in ordine la cappella con la spesa di 1.000 scudi. Essi ottennero il permesso per<br />
demolire l’antico altare il 25/3/1591, ma non si decidevano mai a realizzare l’opera su<br />
disegno dell’architetto Ottavio Mascarini. Questo causava malcontento tra i religiosi che<br />
vedevano la manomissione della chiesa e se ne lamentavano presso le autorità civili che<br />
intervennero presso gli eredi con i loro agenti, senza concludere nulla fino al 2 dicembre<br />
15973) .<br />
1) Elezione degli ufficiali 20/3/1605, 20/3/1606 Reformationes 1604-1607 ff. 59-59v, 125; Elezione degli ufficiali 20/9<br />
e 19/12/1615 Reformationes 1612-1621 ff. 141 v, 150-150 v ASCT; Gli statuti della città di Corneto a cura di<br />
Massimo Ruspantini (Tarquinia 1982) 79-96.<br />
2) Annales Minorum a cura di P. Stanislao Melchiorri da Cerreto 22 (Quaracchi 1934) 553-554.<br />
3) Sono molte le lettere che riguardano l’argomento: A Caludio Lupi 2/10/1951, 5/1/1594, a Teofilo Scauri procuratore<br />
a Roma (senza data, ma non oltre il 9/3/1593), a Nicolò Benigni agente a Roma 5/1 e 10/2/1594, 3/3/1595 e 8/2/1596<br />
65
66<br />
L’abside rimane certamente in disordine fino al 25/10/1599, quando in pubblico<br />
consiglio Muzio Vipereschi propose che fosse restaurata. Probabilmente si deve a questa<br />
trasformazione della cappella principale l’intervento dello scalpellino Pietro Tortora o<br />
Tortola e i frati, per farsi approvare dal comune la spesa o il lavoro il 9/10/1600 e la<br />
consultazione dei periti del comune il muratore Alessandro Bartolani e lo scalpellino<br />
Filippo da Viterbo. Sulle loro stime molto differenti veniva richiesto un terzo stimatore.<br />
Credo che in questo periodo si debba inserire la richiesta di intervento urgante per il<br />
chiostro e la chiesa: .<br />
Il 21/7/1603 il consigliere Vincenzo Panzani propone ai Priori di . Anche il coro della chiesa mostra delle deficenze e ne parla in<br />
pubblico consiglio Marco Antonio Vitelleschi il 19/10/1603.<br />
Nel 1603 vi dovette essere un lavoro consistente nella sistemazione dell’enorme<br />
tetto della chiesa, se il cardinale Scipione Borghese il 28 giugno permise di spendere 295<br />
scudi e 44 baiocchi e saldati l’8/5/1609: 4) .<br />
Nel consiglio del 13/12/1625 vi è certamente un problema di interesse per il<br />
convento e la chiesa perché viene richiesta la consulenza di 4 uomini o questo si riferisce<br />
alla richiesta più chiara dell’anno successivo del P. guardiano Stefano da Sarzana per la<br />
pessima condizione del nuovo campanile e la mancanza di un pulpito nella chiesa, di<br />
particolare interesse per un predicatore come lui. Sia il 24/10/1627 che 12 e 26/3.1628<br />
Registro lettere 1587-1596 ff. 129 v, 166v-167, 189, 189 v, 190, 192v-193, 195v v, 246, 276; Lettera a Nicolò Benigni<br />
agente a Roma 2/12/1597, Lettera a Giuseppe Valente agente a Roma 8/7/1602 Registro lettere 1596-1603 ff. 22 v,<br />
162; Lettera al cardinale di S. Marcello (senza data, ma tra 6/7/1604) Registro lettere 1603-1613 f.29; Decreto per<br />
l’altare maggiore di S. Francesco 25/3/1591 Libri dei decreti 1560-1692 f. 77 ASCT; Epigrafe del monumento al<br />
cardinale di Rabouillet nella chiesa di S. Francesco.<br />
4) Consiglio 25/10/1599 Reformationes 1599 ff.2-2 v; Consigli 23/7 e 9/10/1600, 21/7 e 19/10/1603 Reformationes<br />
1600-1604 ff. 34v, 35v, 41v, 42v, 233,233v-234,241,241v; Consiglio 23/3/1608 Reformationes 1607-1910 ff.27v,28v;<br />
Lettera al cardinale Borghese 8/6/1608, Lettera a Domenico Chellio agente in Roma 8/6/1608 Registro lettere 1603-<br />
1613 ff. 1254; Speculi 1608-1610 f. 55 ASCT.<br />
66
67<br />
venngono spesi 10 scudi per il riordinamento della chiesa. Così succede il 27/7/1629 5) .<br />
Questo credo che rientrasse nella manutenzione ordinaria. Ma in condizioni straordinarie<br />
dovevano mutare. Come avvenne il 26/10/1636 quando una tromba d’aria aveva recato<br />
gravi danni nella città e particolarmente in S. Francesco che è ubicato nel punto più alto di<br />
essa. Ne parlò in pubblico consiglio Antimo Cesarei 6) .<br />
Pur con tutti questi interventi qualche cosa non funzionò, perché nella seconda metà<br />
del 1600 la chiesa deperì così tanto che crollarono due colonne della navata centrale per lo<br />
stillicidio della pioggia. Esse portarono con sé una buona parte delle antiche crociere della<br />
navata centrale e di quella di destra. Questo è ancora visibile perché i pilastri ricostruiti<br />
mostrano un materiale di recupero molto diverso dagli altri antichi, che furono ricoperti di<br />
malta rendendoli pesanti e barocchi. Le volte invece furono ricostruite a vela, senza la<br />
chiave di volta e senza nervature.<br />
Chi ebbe sentore che qualche cosa di grosso si stava maturando nella chiesa di S.<br />
Francesco fu il P. Giacomo da Pisticci che vi era stato come frate semplice nel 1652, come<br />
vicario nel 1653, come guardiano mel 1666-1667, nel 1674 e 1678. Forse proprio questa<br />
frequenza gli permise di osservare le cose con più acume, anche se egli non riuscì a<br />
prevenire tutti i guai futuri della chiesa. Egli morì in Aracoeli il 21/7/1682. Sull’argomento<br />
il suo pensiero è molto chiaro e lo espose al consiglio comunale nel 1674 così: . Infatti nel 1674 il problema fu portato in consiglio comunale, come si può<br />
rilevare:
68<br />
ogni assistenza e consenso necessario per esigere gli scudi 400 di quattro luoghi de monti<br />
estratti et applicarvi li scudi 50 che stanno infruttuosi e che si convertino però nell’uso<br />
della riattazione e del riparare della chiesa et a questo effetto il signor Capitano Vittorio<br />
Benenghi e il signor Giovanni Casimiro (?) Scacchia habbiano facoltà di assistere a tutti<br />
quegli atti che saranno necessari in nome del pubblico per detta esigenza et (costruzione?)<br />
e che realmente siano li denari convertiti nell’uso destinato e si cautelino>>. Vi si nota una<br />
completa disposizione alla collaborazione tra i frati ed il comune per gli impegni<br />
fondamentali. Ciò non di meno nel 1691 caddero due pilastri della chiesa con grave danno<br />
della medesima7) .<br />
In forma velata ne parla il predicatore P. Leopoldo da Mondanio nella sua richiesta<br />
di predicazione della quaresima del 1694. Egli è uno dei testimoni del fatto, come si<br />
esprime: .<br />
Più chiaramente ne parlò il consigliere comunale D. Agapito Bruschi il 13/12/1750:<br />
8) .<br />
Certamente tra il 1691 e 1750 la chiesa completò la sua barocchizzazione. Nelle<br />
cappelle invece questo lavoro era avvenuto già prima. Basta osservare quella Falzacappa,<br />
ereditata da Domenica Cardini nata nel 1635 da Arcangelo Cardini e Chiara Parma e sposa<br />
di Francesco Falzacappa. La cappella trasformata in barocco da Arcangelo Cardini (+1642)<br />
di cui porta lo stemma, conserva ancora l’arco acuto originale e la sovrapposizione dell’arco<br />
a tutto sesto con gli stucchi stile rococò. Nelle altre invece si notano soltanto alcuni resti<br />
degli archi acuti.<br />
L’organo<br />
7) Visita pastorale di Mons. Gaspare Cecchinelli 1652 f.42 AVT; Lettera del P. Giacomo da Pisticci 23/1/1653 Carte<br />
sparse secolo XVII a. 1653; Lettera del P. Giacomo da Pisticci per la chiesa pericolante e consiglio comunale del 1674<br />
Instrumenta, consilia, et iura diversa 1674 ff. 152, 407; Lettera del P. Giacomo da Pisticci per l’uliveto vicino alla<br />
chiesa della Trinità e per la precedenza nella processione di S. Agapito 25/3/1678 Instrumenta, consilia, et iura diversa<br />
1677-1678 ff. 397,398 v; Lettera al Provinciale (23/8/1674?) Registro lettere 1622-1677 (fascicolo allegato); Lettera<br />
del P. Vincenzo da Bassiano 28/4/1683, consiglio 26/5/1683 reformationes 1680-1689 ff. 185,189, 192; Lettera ai<br />
conservatori 22/5/1683 Carte sparse secolo XVIIa. 1683 ASCT; Questione con i Serviti 16/11/1666-29/1/1667 ASFT.<br />
8) Lettera del P. Giovanni Francesco da Caprarole dicembre 1778 Instrumenta, consilia, et iura diversa 1677-1678 ff.<br />
396,399; Lettera del P. Leopoldo da Mondanio Reformationes 1696-1701 ff. 10, 17; Consiglio 13/12/1750<br />
Reformationes 1745-1755 ff. 135, 136v ASCT.<br />
68
69<br />
Nella parte terminale del transetto, sulla sinistra, vi era un antico organo a canne a<br />
cui si accedeva dal vecchio campanile. Esso aveva un palco per il suonatore ed i cantori. Fu<br />
tolto nei restauri del 1956 ed al suo posto si notano dei residui di antiche pitture. Nei secoli<br />
passati esso dette qualche preoccupazione per i restauri e per l’organista che doveva essere<br />
pagato.<br />
Già nel secolo precedente era stato posto il problema di pagare il frate organista. Si<br />
pose il problema nel consiglio del 3/9/1599 alla presenza del gonfaloniere Rigoglio, del<br />
capitano Rebechini e del console Tiberio Rossi, ma non riuscendo a concludere, fu<br />
rimandato ad altro consiglio per chiedere il permesso alla Congregazione del Buon<br />
Governo. Il testo di difficile lettura, lacunoso e quasi incomprensibile anche dopo il<br />
restauro, fa capire che il problema c’era. Facilmente giunsero a qualche conclusione perché<br />
il 25/7/1600 furono pagati 12 scudi all’organista di S. Francesco Paolo Parmigiano.<br />
Forse i frati desideravano un organista stabile, perciò si rivolsero al comune per<br />
ottenere 30 scudi assegnati dalla Congregazione del Buon Governo, cioè da Roma, il<br />
2/9/1602. Il 5/6/1604 il cardinale di S. Marcello e vescovo di Corneto e Montefiascone<br />
Paolo Emilio Zacchia (1601-1605) dette il suo consenso9) .<br />
Nel 1605 Marzia Gubernali nel suo testamento, rogato dal notaio capitolino<br />
Ottaviani, lasciava un legato perché fossero pagati 36 scudi all’organista di S. Francesco,<br />
purché suonasse l’organo. Allora il comune decise di devolvere 36 scudi all’organista della<br />
cattedrale S. Margherita che doveva essere un conventuale o agostiniano. L’unico organista<br />
conosciuto è il conventuale P. Ludovico da Bagnoregio10) .<br />
Per S. Francesco provvedevano gli eredi della signora Gubernali cioè i fratelli<br />
Callimaci che in un primo tempo dovettero essere puntuali a pagare ogni novembre,<br />
successivamente invece qualche volta si fecero desiderare. I Padri guardiani di S.<br />
Francesco lo ricordavano loro ed essi rispondevano ai vari problemi da Roma. Conosciamo<br />
così che i beni della Gubernali venivano affittati dai fratelli Callimaci ed altre persone e dal<br />
ricavato veniva pagato l’organista. Il 22/6/1652 l’affittuario era Pasquale Benedetti, il<br />
guardiano di S. Francesco P. Vincenzo da Napoli ed il debitore era Paolo Callimaci.<br />
9) Consiglio 9/3/1599 Reformationes 1599 ff. 33,34; Speculi 1600-1601 f. 10 ASCT; Lettera del guardiano di S.<br />
Francesco e risposta della congregazione del buon governo 5/6/1604 ASFT. Interessante è la ricerca e studio di Pietro<br />
Falzacappa sulla donaazione fatta da Marzia Gubernali per l’organo di francesco nel 1605, ma è incompleta ed errata<br />
perché i suoi eredi fecero amministrare i beni ereditati a questo scopo e la quota affidata dal comune all’organista fu<br />
trasferita all’organista agostiniano o conventuale di S. Margherita. Pietro Falzacappa, Memorie di Corneto, S.<br />
Francesco convento dei Minori Osservanti fasc.lO AF Ff. 13 presso STAS.<br />
10) Consiglio 15/1/1606 Reformationes 1604-1607 ff. 115-115v; Organista agostiniano o conventuale per la cattedrale<br />
S. Margherita 8/5/1613 Reformationes 1612-1621 f.55; Consiglio 27/7/1629 Reformationes 1623-130 ff.221-222<br />
ASCT; Pietro Falzacappa, Memorie di Corneto, S. Francesco, Memorie di Corneto, S. Francesco convento dei Minori<br />
Osservanti fasc.lO AF F13 presso STAS.<br />
69
70<br />
Lo stesso Paolo il 20/5/1654 indicava al P. guardiano l’affittuario Domenico di<br />
Martino Pizzicarolo ed 25/8/1655 Paolo faceva sapere al P. guardiano Giovanni Andrea da<br />
Roma che nei due anni precedenti li aveva un certo Flaminio ed il debitore non era stato<br />
più soddisfatto perché il guardiano precedente non lo aveva richiesto. Il 12/1/1658<br />
l’affittuario era Cesare Benedetti che aveva versato 90 scudi a Consalvo Consalvi. Il<br />
4/2/1660 Giovanni Francesco Gallimaci faceva sapere al P. guardiano di S. Francesco di<br />
essere disposto ad accettare la proposta di Francesco Falgari, procuratore o sindaco<br />
apostolico dei frati, di arrivare a 700 scudi da impiegare in beni immobili come (non sappiamo quale) ed applicare il fruttato di 20 scudi per l’organista.<br />
Vi si nota una riduzione della quota dovuta forse alla svalutazione che doveva<br />
incidere anche allora. Forse per questo motivo i Frati nel 1726 erano disposti a rinunziare<br />
ai legati onerosi, compreso questo, passandoli al comune attraverso i monti di pietà. Essi<br />
desideravano però che fossero salvaguardate alcune loro necessità: 40 scudi per il vestito,<br />
25 scudi per il medico della loro infermeria di Viterbo, e 15 scudi per l’olio delle lampade.<br />
Benedetto XIII col motu proprio del 4/6/1727 riordinò tali<br />
legati.<br />
In S. Francesco dovettero esserci molti organisti nominati dai Frati, altrimenti non<br />
ricevevano la quota. Ci restano tuttavia sconosciuti. Gli unici ricordati sono Paolo<br />
Parmigiano e P. Antonio da Roma ivi presente nel 1698 e morto a Viterbo il 30/10/172011) .<br />
Il campanile e le campane<br />
L’antica torre campanaria della chiesa di S. Francesco ricordata dal motu proprio di Pio V<br />
del 21/2/1752 sembrerebbe ubicata tra la chiesa e la<br />
costruzione dei magazzini dell’annona, cioè nella rampata di scale che ora dall’inizio del<br />
convento salgano al piano superiore. Forse essa era un tipico campanile a vela come era in<br />
uso presso gli antichi conventi francescani. Dopo questa data i Frati dovettero provvedersi<br />
di una nuova torre campanaria ubicabile vicino alla cappella del SS. Crocifisso, secondo P.<br />
Romanelli. Questo corrisponde al vero perché vi è una stanza con ingresso dalla rampa di<br />
scale che dalla chiesa salgono al convento. Essa ora è buia e nella volta si notano tre buchi<br />
paralleli che certamente indicano i fori dove passavano le corde delle campane. Fino a<br />
quando vi era l’organo antico vi si accedeva alla cantoria. Nel piano superiore è restata una<br />
finestrella rettangolare verso il chiostro che a prima vista sembrerebbe inutile, invece serve<br />
11) Lettere al P. guardiano di S. Francesco (alcune sono anonime altre con nome) 22/6/1652, 20/51654, 25/8/1655,<br />
12/1/1658, 4/2/1660, Lettera del P. guardiano al comune (senza data, ma è del 1726), Motu proprio di Benedetto XIII<br />
“Cum sicut accepimus” 14/6/1727 (copia) ASFT; Famiglie 1683-1733 f. 253 v APA.<br />
70
71<br />
a dare luce alla soffitta della chiesa sopra la cappella del Crocifisso. Osservando bene<br />
l’interno ci si accorge che qui era la parte superiore del campanile della fine 1500 inizi<br />
1600. Vi manca solo la parete sopra la cappella del Crocifisso. Doveva essere una torre<br />
campanaria ordinaria, cioè senza troppe pretese, e diciamo rimediata. Questo credo<br />
dovette essere il motivo della sua fatiscenza e del doverla sostituire presto col nuovo<br />
grandioso campanile in stile composito del 1612.<br />
I problemi sorsero proprio all’inizio del secolo perché era necessario fare trapanare<br />
una campana il 23/7/1600 ed accomodare o dare una sistemazione alle altre, il 19/2/1606,<br />
infatti si dice: . Essi fecero esaminare il problema e ne dedussero che occorrevano<br />
,<br />
come scrissero il 21/11/1606 al cardinale Scipione Borghese (1576-1633). Si trattò quindi di<br />
un tetto in pieno disordine.<br />
Era guardiano del convento P. Dionisio da Roma che era molto stimato dalla gente<br />
del luogo, tanto che gli amministratori il 28/4/1607 inviarono una lettera al ministro<br />
provinciale P. Bernardino da Modena (1605-1608) dicendo: . Un discorso così positivo su questo<br />
Padre guardiano è molto bello. Basterebbe confrontarlo con quello salace sul P. Leonardo<br />
da Roma qualche tempo dopo.<br />
Non sappiamo se il P. Provinciale lo abbia riconfermato guardiano del convento S.<br />
Francesco in questo periodo intenso per il rinnovo edilizio del convento, la chiesa ed il<br />
campanile. Egli morì in Roma nel convento di Aracoeli l’8/9/1608 e poco prima era morto<br />
71
72<br />
a Viterbo il vicario del convento di S. Francesco di Corneto P. Raffaele da Roma<br />
(+11/8/1608) 12) .<br />
Nel 1610 era guardiano P. Girolamo da Corneto. Fu un periodo di attività febbrile<br />
per la richiesta dei dovuti permessi per la ricostruzione del nuovo campanile. Il<br />
5/3/1610 infatti fu presentata al consiglio comunale la richiesta che fu discussa ed<br />
approvata con 29 voti favorevoli e due contrari. L’argomento era interessante e chi lo<br />
espose mise in luce i punti principali dicendo:<br />
. Idee simili<br />
sono espresse anche in una lettera forse del 1611 per ottenere un ulteriore finanziamento<br />
dell’opera. Certo qualche cosa cominciò a muoversi perché il cardinale Borghese il<br />
3/7/1610 predispose 50 scudi ed il vescovo della città<br />
Laudivio Zacchia (1605-1637) il 17/10/1610 concesse che fossero pagati 50 scudi . I lavori dovettero proseguire nel 1611 e 1612 come è<br />
possibile intuire da altri interventi. Così il 20/11/1611 fu concesso ai segatori Arduino<br />
e compagni di tagliare due querce nella bandita S. Pantaneo per due . Il 31/12/1611 il capitano Sisto Vipereschi ed il console Dionisio Gronchi<br />
concessero una verga di ferro di 51 libbre e mezzo per fare la chiave del campanile. Questo<br />
era segno che il lavoro era a buon punto. Il 1/4/1612 Antonio di Domenico preparò 4 travi<br />
dalla Selva di Ancarano. Tutto questo era segno che i lavori proseguivano ed il comune<br />
concorreva alla costruzione13) .<br />
La struttura architettonica del campanile in stile composito doveva essere terminata<br />
nel 1612, come è intuibile dalla data posta nello stemma francescano sistemato nella<br />
colonna settentrionale della torre campanaria. Vi dovrebbe essere anche il nome del P.<br />
Provinciale Bernardo scritto sul fregio del tiburio, ma oggi non è pio osservabile, perché ci<br />
è stata tolta la ringhiera e perché forse non vi è stato mai, poiché i probabili Padri<br />
12) Motu proprio di Pio V 21/2/1572 ASFT; Consigli 23/7 e 9/10/1600, 21/7 e<br />
19/10/1603 Reformationes 1600-1604 ff. 34v, 35 v, 41 v, 42v, 233, 233v-234, 241,241v: Consigli 19/2 e 6/8/1606,<br />
Reformationes 1604-1607 ff. 117v, 118v-119, 143 v, 144-144v; Lettera al cardinale Borghese 22/11/1606, Lettera al P.<br />
Provinciale 28/4/1607 Registro lettere 1603-1613 f. 93v, 106 ASCT; Necrologio di Orte ASBO.<br />
13) Consigli 5/3, 1/4, e 3/6/1610 Reformationes 1607-1610 ff. 164, 164v, 165, 177, 177v, 138, 138 v; Speculi 1608-<br />
1609-1610 f.175v; Speculi 1601-1630 ff. 125,126v, 129 ASCT.<br />
72
73<br />
Provinciali potevano essere o P. Salvatore da Roma (1611-1612) o P. Antonio da Caprarola<br />
(1612-1615) 14) .<br />
Il lavoro tuttavia non doveva essere ancora <strong>completo</strong>, perché vi dovevano mancare i<br />
piani divisori. Per questo fu concesso ai frati di ricavare 150 tavole e 21 morali per il<br />
campanile dalla tenuta della Roccaccia il 28/12/1614. Questo materiale non dovette essere<br />
di prima qualità o stagionato se il 28/4/1626 il P. guardiano Stefano da Sarzana si<br />
lamentava che le campane erano in continuo pericolo di cadere ed il sagrestano poteva<br />
precipitare dal campanile. Finalmente nel 1641 dovettero essere costruite le volte dei vari<br />
piani. Un ulteriore intervento vi dovette essere nel 1645 perché nel consiglio del 16/7/1645<br />
si dice esplicitamente: .<br />
Nel vecchio campanile le campane dovevano essere tre ed in cattive condizioni,<br />
come si è detto. Esse dovettero certamente essere poste in quello nuovo, ma non dovevano<br />
più corrispondere alla mole del campanile. Sorse quindi il problema di fonderne una nuova<br />
più grossa. A questo ci pensò il P. Marcello da Corneto già pratico di questi problemi<br />
perché aveva fatto fondere una campana nel convento di Velletri. Nel 1629 ordinò la nuova<br />
campana grande alla ditta di Norcia di Simone e Prospero De Prosperis che la fusero in<br />
quell’anno.<br />
Il comune cominciò a pagare ratealmente la campana, ma quando nel 1631 fu<br />
portata dal mare in convento, P. Marcello era già morto il 13/12/1630. E’ l’unica campana<br />
antica rimasta nell’attuale campanile.<br />
Infatti la campana media fusa nel 1615, fu rifusa nel 1921 dal P. Tommaso Palliccia<br />
di Cori, e così anche l’altra quasi della stessa grandezza sul lato opposto che dovrebbe<br />
essere l’antica campana detta portata dal cardinale Giovanni<br />
Vitelleschi, dopo la distruzione della cittadina, rifusa dai piemontesi Giovanni Andrea<br />
Berardi e dal figlio Giacomo Antonio su commissione del guardiano P. Alessio da Roma e<br />
pagata dal sindaco apostolico Gioacchino Falgari il 14/3/179715) .<br />
14) Pietro Falzacappa nelle f. 249 nota (a) dice: : Nel campanile vi era una ringhiera di ferro. AF Fb 12 presso STAS.<br />
15) Speculi 1601-1630 f.136; Consiglio 31/7/1617 Reformationes 1612-1621 f.245; Consiglio 13/12/1625<br />
Reformationes 1623-1630 ff. 106 v, 107 v, 128; Memoriale per li Frati di S. Francesco 16/4/1626, Lettera ai Priori<br />
nell’offitio presente (senza data, ma dello stesso periodo della precedente) Registro delle lettere 1618-1620 ff. 118,118-<br />
73
74<br />
Quella piccola invece fu fatta fondere dal P. Stefano Padovani nel 1926 per il<br />
centenario della morte di S. Francesco.<br />
Reliquie e feste dei santi<br />
In un clima religioso come quello del 1600, la venerazione delle reliquie aveva un<br />
grande valore, tanto da cercarle affannosamente nelle catacombe. Corneto, che aveva dei<br />
santi ivi venerati da molto tempo, non sfuggì a tale fenomeno.<br />
Quando fu necessario demolire l’antico altare maggiore le reliquie furono murate in<br />
sagrestia per non farsele portare via. Poi fu fatto costruire un deposito sull’altare nuovo e<br />
deposte in 5 cassettine vi vennero traslate in forma solenne con una processione nella festa<br />
di S. Agapito protettore della città il 18 agosto 1602 o 1603 16) .<br />
Il cardinale Francesco Barberini (1597-1679) ottenne dai Cornetani l’11/3/1633<br />
alcune reliquie tra cui alcune della chiesa di S. Francesco: .<br />
Da Palestrina ogni tanto si riprendevano qualche reliquia del loro protettore S.<br />
Agapito, come era avvenuto già nel 158817) .<br />
Una reliquia del braccio di S. Agapito che era conservata nella chiesa di S. Pancrazio<br />
e fu portata nella cattedrale per conservarla meglio. Alla vigilia della festa cioè il 17 agosto<br />
veniva riportata in S. Pancrazio e da lì partiva una processione col capitolo della cattedrale,<br />
gli Agostiniani, i Serviti, i Conventuali e la magistratura e si fermava nella chiesa di S.<br />
Croce dell’ospedale dei Fate Bene Fratelli. Da S. Francesco ne partiva un’altra con la testa<br />
di S. Agapito portata da un frate, seguita dagli altri confratelli e dall’<strong>Arte</strong> dei calzolai e si<br />
riuniva alla precedente. La festa si faceva con numerose messe in S. Pancrazio e S.<br />
Francesco.<br />
118v, ASCT; Contratto per la fusione della campana 15/12/1696, Dichiarazione del peso della<br />
campana 14/3/1697, Dichiarazione del pagamento della campana 14/3/1697 ASFT.<br />
16) Memorie ecclesiastiche appartenenti alla storia, ed al culto di Sant’Agapito Prenestino fasc. 5 AF Fb 12 presso<br />
STAS; Consiglio 14/4/1602 Reformationes 1600-1604 ff. 163-164; Lettera all’agente Giuseppe Valente a Roma<br />
8/7/1602 Registro lettere 1596-1602 f. 162 ASCT.<br />
17) Brevi di Sisto V 7/7/1588 e 18/7/1588 Annales Minorum 22<br />
(Quaracchi 1934) 532, 533; Nota delle reliquie donate al card. Francesco Barberini 11/3/1633 Carte sparse secolo XVII<br />
a. 1633 ASCT.<br />
74
75<br />
Questo modo singolare di devozione e partecipazione alla festa, portò i frati a fare<br />
qualche debituccio come è ricordato il 29/11/1612 al cardinale Scipione Borghese. Si<br />
trattava di 5 scudi spesi in agosto. Un altro P. Guardiano invece richiedeva un contributo<br />
per fornire la chiesa di drappi per ricoprire le colonne senza ricorrere ad altri (la lettera è<br />
senza data). P. Giacomo da Pisticci il 25/3/1678 ricorreva al comune per le spese sostenute<br />
di 10 scudi per il ricorso riguardo alla precedenza dell’<strong>Arte</strong> dei calzolai nella processione18) .<br />
In tanta emulazione non mancarono quindi motivi di attrito ed incomprensioni,<br />
dovute alla sovrabbondanza di clero.<br />
Intanto la Congregazione dei Riti il 18/9/1666 concedeva di poter celebrare a<br />
Corneto la messa solenne e l’ufficio di S. Agapito come a Palestrina19) .<br />
Nel 1680 il P. guardiano di S. Francesco Giacomo da Monte Castello o forse più<br />
giustamente da Montecastrillo voleva fare inserire una cornice nell’altare maggiore ed<br />
incaricò il falegname mastro Giacomo Brunai, ma aperta una piccola fessura sulla destra di<br />
esso o come si diceva allora alla parte dell’epistola, ne uscì un odore particolare: . Il P. Ludovico da Orvieto vicario del convento<br />
ampliò l’apertura con un palo, entrò dentro l’altare e vide che vi erano delle cassettine di<br />
marmo ed apertane una, si accorse che dentro vi era un’altra di ferro che fece vedere al P.<br />
guardiano. Il P. Ludovico fece la sua deposizione il 3 agosto e non il 3 luglio. Egli<br />
confermava al vicario generale della diocesi Carlo Scacchia il racconto del P. guardiano<br />
aggiungendo qualche particolare interessante: . Successivamente alla presenza dei testi<br />
Alberto Falgari e Bonaventura Cesarei furono prese le cassette, trasportate in sagrestia<br />
18) Muzio Polidori, Croniche di Corneto a cura di Anna Rita Moschetti (Tarquinia 1977) 112; Lettera al cardinale<br />
Borghese 29/11/1612 Registro lettere 1612-1616 ff. 6v, 7, Lettera di P. Giacomo da Pisticci alla precedenza nella<br />
processione di S. Agapito 25/3/1678 Instrumenta, consilia, et iura diversa 1677-1678 ff.394, 397, 398 v, ASCT; Lettera<br />
del guardiano di S. Francesco per la festa di S. Agapito (senza data) in Memorie ecclesiastiche appartenenti alla<br />
memoria, ed al culto di S. Agapito Prenestino fasc. 4 AF Fb 12 presso STAS.<br />
19) Rescritto della Congregazione dei Riti 18/9/1666 (copia) ASFT.<br />
75
76<br />
perché fosse riparato l’altare. Esse furono chiuse a chiave in una stanzetta finché non<br />
furono rimesse nell’altare alla presenza del P. guardiano e del sindaco apostolico Francesco<br />
Falgari. Stilò la relazione il notaio cornetano Egidio Querciola 20) .<br />
La festa di S. Agapito fu tenuta in rilievo fino al secolo scorso. Ora non vi è più<br />
nessuna manifestazione esterna.<br />
Una delle feste ancora in vigore è quella di S. Antonio di Padova. Finché nella<br />
cittadina vi erano stati gli Osservanti o i Conventuali in S. Francesco essa dovette essere<br />
ricordata solo quì. Quando invece si stabilirono in S. Maria in Castello anche i Conventuali,<br />
cominciarono a ricordare la festa di S. Antonio. Naturalmente iniziarono le discussioni tra<br />
le due comunità francescane e quello che si doveva risolvere pacificamente divenne motivo<br />
di contesa. Essi ricorsero alla Congregazione dei Riti che dispose di celebrare la festa<br />
alternativamente con la partecipazione delle due comunità.<br />
Questo durò finché i Conventuali restarono nella città con la soppressione<br />
napoleonica.<br />
Invece riguardo alle reliquie conservate in S. Francesco il 20/7/1655 i frati<br />
richiesero al comune che fosse data loro una chiave e le altre due fossero date al comune o<br />
al cancelliere Mattia Martellacci. Questo fu approvato in consiglio comunale con 17 voti<br />
favorevoli e 6 contrari. In realtà la famiglia Martellacci mantenne quelle affidategli anche<br />
nel secolo seguente. Le reliquie venivano esposte il lunedì di Pasqua, mentre si celebrava<br />
una congregazione generale delle confraternite del Gonfalone e della Santissima Trinità a<br />
cui partecipava fino al 1700 il consiglio comunale inviato dai Padri<br />
del convento21) .<br />
Il convento<br />
Chi osserva il convento oggi resta colpito dal chiostro grandioso e dal convento<br />
esteso con un piano terra ed un primo piano. Esso in origine doveva essere molto modesto<br />
e concentrato nella parte absidale dell’antica chiesa della Trinità. Di esso si conserva<br />
ancora il portichetto duecentesco addossato alla chiesa e quel tratto che unisce alla<br />
palazzina di Giulio II. Ivi dovettero risiedere i frati per gran parte del 1200 ed i guardiani<br />
20)<br />
Atto di rinvenimento di alcune reliquie in S. Francesco del notaio Egidio Querciola 3/7/1680 (meglio agosto) in<br />
Memorie ecclesiastiche che appartenenti alla memoria, ed al culto di S. Agapito Prenestino fasc. 4 AF Fb 12 presso<br />
STAS; Casimiro da Roma, Memorie istoriche delle chiese, e dei conventi dei Frati Minori della Provincia Romana<br />
(Roma 1764) 136-137.<br />
21)<br />
Consiglio 20/7/1655 Reformationes 1657-1666f. 116 ASCT; Diario Cornetano 1778-Feste religiose e profane - Parte<br />
Prima AF Fa 16 presso STAS.<br />
76
77<br />
erano detti della Trinità. Verso la fine del 1200 ed inizi del 1300 quando fu innalzata la<br />
grandiosa chiesa di S. Francesco vi fu certamente unita la sagrestia ed il piano<br />
immediatamente superiore. Contemporaneamente si sviluppò l’ala frontale ad ovest,<br />
comprendente l’antico refettorio ed il piano superiore che fu donato come granaio<br />
dell’annona nel 1572. Vi era qualche casupola di mezzo, tra la chiesa della Trinità ed il<br />
corpo attuale dell’edificio. Il prefetto dell’annona Ludovico Torres vi fece costruire una<br />
scalinata il 25/2/1572 per farvi salire gli asini carichi di frumento e fu tolta dal prefetto<br />
Mons. Nicola Del Giudice perché portava umidità alla chiesa e non vi si potevano celebrare<br />
messe sul lato per e nel 1712 ne fece<br />
costruire un’altra distanziata dalla chiesa. Di ambedue le scalinate oggi restano solo le<br />
iscrizioni22) .<br />
Tra il magazzino dell’annona ed il lato opposto del fabbricato fino al 1937-1938 vi<br />
era solo la chiesa della Trinità e l’antico portico del chiostro del 1200. Il primo piano vi fu<br />
aggiunto dal guardiano P. Angelico Scipioni.<br />
L’antico convento aveva ospitato S. Bernardino da Siena e apparteneva alcune volte<br />
agli Osservanti oltre ai Conventuali.<br />
Nel 1563 vi dovettero essere dei notevoli lavori di ampliamento del convento perché<br />
il Provinciale Stefano Sommariva da Molina (+11/10/1579) scrisse una lettera da Velletri<br />
per alcune misure dei muratori sostenute dai PP. Cristoforo e Giacomo. La lettera molto<br />
lacunosa non chiarisce molto. Forse in questo periodo era stato costruito il nuovo<br />
refettorio ed il piano superiore. Questo può essere tanto più vero in quanto nel 1581 il<br />
convento fu scelto come sede del capitolo provinciale alla presenza del P. Generale<br />
Francesco Gonzaga e vi fu eletto provinciale il P. Sante da Orte (1581-1584). Ciò non<br />
sarebbe stato possibile, se il convento non fosse stato riordinato e capiente. Altri lavori<br />
grandiosi non compaiono nel 1600. Il chiostro quindi è certamente della fine del 1500.<br />
Tanto più è vero che il 15/1/1538 vi era una sola cisterna per la raccolta di acque piovane,<br />
mentre il 13/12/1631 ve ne erano due ed ambedue avevano caratteristiche cinquecentesche<br />
nei plutei di peperino con stemma del comune. La più grande di esse ancora esiste ed è<br />
vicina al porticato più antico, quindi si può presumere che essa sia la prima. L’altra invece<br />
era più vicina alla chiesa attuale e scomparve nel 193123) .<br />
22)<br />
Memorie istoriche della città di Corneto estratte dal codice manoscritto Vallesiano esistente nell’archivio di<br />
Campidoglio ff. 290-291 AF Ff4 presso STAS.<br />
23)<br />
Bullarium Franciscanum nova series IV-2 a cura di P. Cesare Cenci, n. 2255, p.810; Lettera del P. Stefano Molina<br />
marzo 1563 ASFT; Consiglio 15/1/1538 Reformationes 1537-1538 ff. 199, 200,201; Consiglio 13/12/1631<br />
Reformationes 1631-1637 ff. 39v, 41v ASCT; Sergio Mecocci Il B. Giovanni da Triora e Tarquinia Bollettino<br />
dell’anno 1988 STAS 153-155; Luigi Sergio Mecocci, Il B. Giovanni Lantrùa da Triora a Tarquinia (Corneto)<br />
77
78<br />
Il 17/3/1602 si trattò di restaurare un camino ed alcuni luoghi del convento. Nel<br />
1604 era pericolante la prima volta del chiostro unita al magazzino dell’annona. Credo che<br />
sia quella che unisce il porticato duecentesco con tutto l’altro, perché è di struttura<br />
intermedia. penso che a questo lavoro si riferiscano gli eredi di Belardino (Bernardino)<br />
Coltrino quando richiedevano di essere risarciti giustamente del lavoro prestato dal padre.<br />
L’unico lavoro di un certo rilievo nel convento fu fatto dal P. guardiano e architetto<br />
Giorgio Marziale da Fermo nel 1651 quando fece costruire la volta al dormitorio del<br />
convento. Questo era segno che prima vi fosse solo il tetto ed il soffitto. Nel piano sopra il<br />
refettorio si nota ancora questa trasformazione perché il tetto è stato rialzato. Il chiostro<br />
era istoriato con scene della vita di S. Francesc, ma furono ricoperte con calce nel 1931.<br />
Quando la parete è umida vi si notano ancora le figure24) .<br />
I frati<br />
Abbiamo avuto più volte occasione di ricordare qualche frate. Nel convento all’inizio<br />
del secolo vi doveva essere una comunità abbastanza completa, perché vi compaiono<br />
studenti e lettori cioè professori di teologia. Questo indicava che il convento era luogo di<br />
studio. Certo le notizie non sono complete, ma di fronte alla totale mancanza di notizie è<br />
già importante scoprirne qualcuno e nei momenti più fortunati intere comunità.<br />
Il 18/2/1600 vi morì il P. Ludovico da Orte. Nei momenti di bisogno il comune<br />
forniva i frati del necessario. Così l’11/3/1601 venivano offerti loro 40 scudi per il vino, ma<br />
questo avveniva già dal 1565. Il 3/12/1602 il P. guardiano ottiene 50 scudi in più, perché la<br />
comunità era grande e vi erano anche gli studenti. Nel 1604 il lettore di teologia di S.<br />
Francesco P. Giacomo da Palestrina partecipa alla predicazione in S. Martino, subendo<br />
prima gli esami relativi.<br />
Il 31/12/1608 uno degli studenti cantò la prima messa in S. Francesco e furono<br />
offerti in dono 1 scudo e cinquanta baiocchi. Per lo stesso motivo fu fatto altrettanto per P.<br />
Giovanni Francesco da Bergamo il 21/4/1609 e per P. Francesco da Roma il 23/2/1610.<br />
Questo era segno che gli studenti che finivano il corso teologico vi ricevevano l’ordinazione<br />
sacerdotale. Tra i padri guardiani di questo periodo vi sono il P. Dionisio da Roma 1605-<br />
Documenti inediti (1790-1798) in AFH 82 (1989) 406-424; Attilio De Fazi-Angelo Porchetti, S. Francesco in Corneto<br />
Bollettino dell’anno 1984 STAS 5-22.<br />
24) Onorato da Casabasciana, Memorie della Provincia Romana f.92 Ms88 APA; Lettere al comune per una volta<br />
pericolante nel chiostro (senza data, ma del 1602-1604) ASFT; Consigli 17/2/1602, 24/6/1604 Reformationes 1600-<br />
1604 ff. 158,159v, 292-292v; Consigli 12/12/1604 e 6/8/1606 Reformationes 1604-1607 ff. 30v, 31v-32,143 v-144,144<br />
v ASCT; Memorie istoriche della città di Corneto estratte dal codice manoscritto Vallesiano....: f. 289 AF<br />
Ff4 presso STAS; Lettera dell’avvocato Latino Latini a P. Sebastiano Nanni 13/2/1931 ASFT.<br />
78
79<br />
1607, P. Girolamo Sacco da Corneto 3/6/1610, e P. Francesco da Velletri che pagò 5 scudi<br />
per un quadro di S. Carlo Borromeo al pittore viterbese Pirro Conti il 23/5/1613.<br />
Il 13/5/1618 vi moriva il chierico, cioè lo studente, Fra Giovanni da Caprarola. Segno<br />
questo che il convento era ancora luogo di studio 25) .<br />
Il 13/5/1623 vi fu eletto guardiano P. Bonaventura Vipereschi di origine<br />
tarquiniense, ma forse nato a Roma e per questo detto romano e teologio cioè professore di<br />
teologia oltre che definitore della Provincia Romana.<br />
Il suo successore o vicario nel 1625 fu il P. Angelo e dopo di lui venne il P. Stefano da<br />
Sarzana predicatore che si trovava nel convento del 1626. Il P. Tommaso da Roma nel 1629<br />
portò in porto la transazione dei legati onerosi al comune ed il 13/12/1630 vi morì il P.<br />
Marcello da Corneto che riuscì a fare fondere la nuova campana grande. Nel 1631 era stato<br />
eletto guardiano P. Leonardo da Roma, ma fu energicamente ricusato<br />
dall’amministrazione di Corneto.<br />
Il 15/6/1631 vi morì P. Giacomo delle Fiandre l’11/12/1638 il P. guardiano Bonifacio<br />
da Paleroviso ed il 22/11/1640 P. Sante da Tolfa. Il 21/2/1664 era guardiano del convento<br />
P. Giovanni da Roma. Si doveva tenere il capitolo provinciale a Tivoli il 10/3/1646 ed egli<br />
fu inviato a pagare 15 scudi di contributo per il capitolo da tenersi dal commissario<br />
visitatore cioè dal visitatore generale P. Stefano da Roma. Nel 1648 era guardiano<br />
P.Giovanni Battista da Pistoia che si interessò di partecipare ad una predicazione ed alla<br />
questione dei Serviti che avevano costruito un oratorio troppo vicino a S. Francesco pur<br />
avendo la cura del santuario della Madonna di Valverde fuori le mura della città. Il P.<br />
Giorgio da Fermo vi era guardiano nel 1651 e si interessò di migliorare il convento dal<br />
punto di vista architettonico26) .<br />
Per trovare una comunità completa bisogna risalire al 1652 con la visita pastorale<br />
del vescovo di Corneto e Montefiascone Gaspare Cecchinelli (1630-1666). Di essa vi<br />
facevano parte il guardiano P. Vincenzo da Napoli, il vicario P. Pietro Maria Charabelli da<br />
Roma, i Padri Domenico da Tivoli, Pacifico da S. Angelo, Giacomo da Pisticci che avrà più<br />
volte incidenza nella storia del convento, un Padre originario di Maiorca nelle Baleari, gli<br />
oblati Fra Gabriele da Valmontone, uno di Maiorca, e Fra Crisanto da Viterbo. Il P.<br />
Vincenzo da Napoli oltre che guardiano era predicatore, teologo e confessore.<br />
25) Consiglio 3/12/1602 Reformationes 1600-1604 ff. 191, 192; Consiglio 31/7/1617 Reformationes 1612-1621 ff.245<br />
v,246; Spesso si trovano sovvenzioni del comune per i singoli frati o comunità: Speculi 1601-1630 ff. 125,126c, 129,<br />
136; Speculi 1607-1615 ff.9 v, 11,16,21, 97; Speculi 1608-1610 ff. 34, 43v, 44,55, 97, 106v, 197, 156, 165v, 166,<br />
175v, ASCT; Saldo per il quadro di S. Carlo Borromeo 25/3/1613 ASFT; Necrologio di Orte ASBO.<br />
26) Onorato da Casabasciana, Memorie della Provincia Romana f. 82 Ms. 88 APA; Consiglio 27/8/1625 Reformationes<br />
1623-1630 f.101; Speculi 1625-1629 f. 44, ASCT; per questo periodo: P.Luigi Sergio Mecocci, P. Bonaventura<br />
Vipereschi da Corneto + 3/2/1639 Bollettino dell’anno 1990 STAS 143-157.<br />
79
80<br />
Lo stesso vescovo compì altre due visite pastorali, cioè quelle del 1656 e del 1662.<br />
Intanto il P. Giacomo da Pisticci nel 1653 era diventato vicario del convento. Tra queste<br />
due visite vi è un totale mutamento di personale del convento di S. Francesco. Si<br />
ripropongono per poterlo osservare.<br />
Nel 1656 era guardiano P. Giovanni Andrea da Roma, vicario P. Dionisio di Corsica.<br />
Vi erano inoltre P. Basilio da Caprarola che vi morirà l’11/9/1657, P. Pietro Paolo<br />
Garfagnino, P. Giuseppe da Anagni, P. Giovanni Battista di Corsica, P. Bernardo da<br />
Bitonto, i fratelli laici Fra Pacifico da Lugnano, Fra Antonio da Osimo, Fra Pietro da<br />
Bassano. I confessori erano P. Giovanni Andrea da Roma, P. Dionisio di Corsica e P.<br />
Basilio da Caprarola.<br />
Nel 1662 il guardiano era P. Francesco Antonio da Tivoli. Gli altri erano P. Antonio<br />
Francesco da Firenze, P. Giuseppe da Cori che era cappellano della confraternita della<br />
Trinità, P. Francesco di Francia, P. Emanuele di Portogallo, i fratelli laici Fra Innocenzo da<br />
Farnese e Fra Giuseppe Antonio da Onano ed il terziario Marco da Toscanella (Tuscania).<br />
Erano comunità numerose con i fratelli in preparazione della vita religiosa come gli<br />
oblati e terziari, ma vi erano assenti i chierici o studenti.<br />
Il 4/1/1655 vi moriva P. Giorgio di Portogallo, mentre era guardiano P. Filippo da<br />
Roma che fu trasferito a Cori con lo stesso incarico e fu sostituito dal P. Giovanni Andrea<br />
da Roma27) .<br />
Il 21/9/1660 vi morì il guardiano P. Francesco Felice da Roma ed il 1/12/1667 il<br />
chierico o studente Fra Giovanni da Roma. Questo indicava che il convento era di nuovo<br />
casa di studio. Nel 1670 era guardiano P. Giovanni Carlo da Roma. Nel 1671 il P.<br />
Michelangelo da Caprarola comparve davanti al vicario vescovile di Corneto per la<br />
questione dei Serviti. Egli era presidente del convento, cioè era stato eletto superiore fuori<br />
del capitolo provinciale. Il testo è quasi illegibile.<br />
Nel 1673 si presentò come predicatore P. Giovanni Carlo da Roma dichiarando di<br />
essere stato guardiano del convento, ma non precisando la data. Il P. Giacomo Pisticci che<br />
era stato guardiano nel 1666-1667 ed aveva ricorso per la sentenza favorevole ai Serviti, vi<br />
ritornò nel 1674 per il problema della stabilità della chiesa e nel 1678 per la causa della<br />
precedenza nella processione di S. Agapito e la richiesta in affitto di un oliveto vicino alla<br />
27) Visita pastorale di Mons. Gaspare Cecchinelli 1652 ff. 42, 46; Visita pastorale di Mons. Gaspare Cecchinelli 1656<br />
ff.8,10; Visita pastorale di Mons. Gaspare Cecchinelli 1662 ff. 16,17 AVT; Lettera del P. Giacomo da Pisticci<br />
23/1/1653, Lettera del P. Giovanni Andrea da Roma per la predicazione 17/7/1655 Carte sparse secolo XVII a. 1653,<br />
1655; Consiglio 19/7/1655 Reformationes 1650-1656 ff. 102 v, 103 v ASCT.<br />
80
81<br />
chiesa della Trinità, dove si trova oggi il campetto sportivo del convento. L’1/9/1678 vi<br />
morì il P. Giuseppe da Giuliano 28) .<br />
P. Giovanni Francesco da Caprarola vi fu guardiano nel 1678 nel mese di dicembre e<br />
presentò la sua richiesta di predicazione dell’avvento 1679. Nel 1680 era guardiano del<br />
convento P. Giacomo da Montecastrilli e suo vicario era P. Ludovico da Orvieto, come<br />
abbiamo visto per la scoperta delle reliquie. Il 10/1/1683 era guardiano P. Francesco<br />
Antonio da Caprarola che chiese la predicazione dell’avvento, ma fu trasferito come<br />
guardiano al convento S. Martino di Veroli e da lì richiese la predicazione mettendo in<br />
mostra di avere salito molti pulpiti.<br />
Dopo di lui nello stesso 1683 fu eletto guardiano di Corneto P. Vittorio da Cori e con<br />
lui inizia una serie di frati continua e più specifica fino al 1733. Egli oltre a essere<br />
guardiano era anche confessore. Gli altri frati erano P. Angelo Antonio da Viterbo vicario e<br />
confessore, P. Giuseppe Maria da Roma, P. Giovanni Luca da Toscanella, P. Francesco da<br />
Corleto confessore, i fratelli laici Fra Antonio da Villafranca, Fra Innocenzo da Bergamo e<br />
fra Primo da Garessio che essendo cancellati tutti e tre erano certamente stati inviati<br />
altrove. Vi rimanevano invece Fra Modesto da Roma ed i terziari Domenico da Radicofani<br />
e Andrea da Sezze. Anche Angelo da Napoli vi era cancellato29) .<br />
Nel 1684 il guardiano era P. Antonio da Lauro o, secondo manoscritti posteriori, da<br />
Cori che vi morì il 31/7/1684. Il vicario era P. Giovanni Battista da Caprarola che diverrà<br />
superiore alla morte del P. guardiano. Gli altri erano il P. Venanzio da Roma predicatore<br />
annuale e confessore che morì a Viterbo il 28/5/1684, P. Giuseppe Maria da Roma, e P.<br />
Francesco da Corleto presenti già nell’anno precedente, i fratelli Fra Alessandro da Rupilio<br />
ed il terziario Domenico da Radicofani.<br />
Per il 1685 il guardiano era P. Gregorio da Venezia. P. Giovanni Battista da<br />
Caprarola divenne di nuovo vicario. Gli altri erano P. Girolamo da Acquapendente che vi<br />
morirà il 20/2/1687 predicatore annuale, P. Giuseppe Maria e P. Andrea da Roma, i fratelli<br />
28) Lettera del P. Giovanni Cristoforo da Roma per l’avvento 1670 e patente tra il 28 febbraio e 16/3/1670 Instrumenta,<br />
consilia, et iura diversa 1668-1670 f.57; Lettera del P. Giovanni Carlo da Roma del 13/12/1673 per la quaresima 1675<br />
Instrumenta, consilia, et iura diversa 1672-1673 f.185; Lettera del P. Giacomo da Pisticci 23/1/1653 Carte sparse secolo<br />
XVIIa. 1653; Lettera del P. Giacomo da Pisticci sulle 6 colonne pericolanti della chiesa S. Francesco e consiglio<br />
comunale 1674 Instrumenta, consilia, et iura diversa 1674 fff. 152, 164, 407; Lettera del P. Giacomo da Pisticci per un<br />
uliveto vicino la chiesa della Trinità e per la precedenza nella processione di S. Agapito 25/3/1678 Instrumenta,<br />
consilia, et iura diversa 1677-1678 ff. 394,397,398 ASCT; Visita pastorale di Mons. Gaspare Cecchinelli 1652 f. 42<br />
AVT; Questione con i serviti di P. Giacomo da Pisticci 16/11/1666-29/1/1667, Questione con i Serviti di P. Michele<br />
Arcangelo da Caprarola 1671 (detto in documenti successivi Michelangelo) ASFT; Necrologio di Orte ASBO.<br />
29) Lettera del P. Giovanni Francesco da Caprarola dicembre 1678 Instrumenta consilia, et iura diversa 1677-1678<br />
ff.396,399 v; Consiglio 10/1/1683 Reformationes 1680-1689 f. 141 v ASCT; Memorie ecclesiastiche appartenenti alla<br />
memoria ed al culto di Sant’Agapito Prenestino fasc. 4 AF Fb 12 presso STAS; Famiglie 1683-1733 f. 20 Ms. 63 APA.<br />
81
82<br />
laici Fra Carlo da Bolsena, Fra Giovanni Bartolomeo da Caprarola ed il terziario Lorenzo<br />
da Sarzana.<br />
Nel 1686 era ancora guardiano P. Gregorio da Venezia che dovette affrontare anche<br />
lui la questione con i Serviti (24/7/1686). P. Girolamo da Acquapendente divenne vicario.<br />
P. Bernardino da Città di Castello era predicatore annuale. Vi erano inoltre P. Angelo<br />
Antonio da Viterbo, il fratello laico Fra Vincenzo da Tivoli ed i terziari Domenico da<br />
Bologna, Domenico da Radicofani e Domenico da Gallicano. Vi si nota una triade di<br />
postulanti con lo stesso nome.<br />
Nel 1687 il guardiano era P. Lorenzo da Roma, vicario P. Angelo Antonio da Viterbo.<br />
Vi erano i Padri Bernardino da Caprarola e Francesco da Corleto, i fratelli laici Fra<br />
Modesto e Fra Vitale da Roma, i terziari Domenico da Radicofani e Domenico da Bologna,<br />
e Francesco da Poggio Mirteto.<br />
Nel 1688 il guardiano era P. Giovanni Crisostomo da Varese che nel secolo seguente<br />
fu Provinciale. Con lui erano il concittadino P. Giovanni Pietro vicario, P. Benedetto da<br />
Caprarola, P. Francesco da Corleto ed il fratello laico Fra Vebano da Frascati. Era una delle<br />
più piccole comunità di questo periodo nel convento.<br />
Nel 1689 il P. Costantino da Roma era guardiano e confessore. L’ungherese P.<br />
Virginio era vicario. Vi erano il francese P. Bernardino, P. Giovanni da Rende, P. Pietro<br />
Nicola da Roma predicatore annuale, i fratelli laici Fra Antonio Maria da Milano, Fra Paolo<br />
da Marino, i terziari Domenico da Radicofani e Ludovico da Milano. Il 13/7/1689 vi moriva<br />
affogato nel Mignone Fra Vitale da Roma.<br />
Nel 1690 restava guardiano e predicatore P. Costantino da Roma ed il suo vicario<br />
era P. Francesco da Corleto che vi morì l’8/6/1690. Vi erano inoltre il P. Severino da<br />
Concorizio predicatore annuale, P. Ignazio da Siracusa, P. Bonaventura da Cilezia, i fratelli<br />
laici Fra Paolo da Tricarico, Fra Francesco Antonio da Borgo Sommo ed il solito terziario<br />
Domenico da Radicofani.<br />
Nel 1691 si ebbero due comunità diverse. La prima il 27/4/1691 col P. Costantino da<br />
Roma predicatore e guardiano, P. Anastasio da Bergamo predicatore e vicario, P. Giuseppe<br />
Maria da Napoli predicatore annuale, P. Nicola da Orbetello, P. Anselmo da Roma, P.<br />
Giovanni Maria da Napoli, il chierico studente Fra Pietro da Campagnano, i fratelli laici<br />
Fra Antonio da Celli, Fra Giacomo da Guastalla, Fra Pietro Angelo da Crema ed i terziari<br />
Domenico da Radicofani e Tommaso d’Acquaviva. Vi ricominciano ad essere gli studenti<br />
ed i frati sono molti.<br />
Nella seconda il 21/11/1691 vi erano destinati il P. Fulgenzio da Roma guardiano e<br />
predicatore generale, P. Anastasio da Bergamo predicatore e vicario, P. Giacomo Antonio<br />
82
83<br />
da Monte Silatrano, P. Antonio da Ferentino confessore, P. Francesco da Rotonda<br />
predicatore annuale, i fratelli laici Fra Bonaventura da Farnese, Fra Antonio di Sardegna<br />
ed i terziari Domenico da Radicofani e Stefano da Sanguineto. In poco tempo le mutazioni<br />
furono molte. Anche se il 1694 non è registrato, si sa che vi morì il 6/2/1694 il P. Luca<br />
Antonio da Roma.<br />
Si deve giungere al 1695 per avere un nuovo gruppo di frati. Il guardiano e<br />
predicatore era P. Giovanni Battista da Roma e con lui vi erano il vicario P. Giovanni<br />
Francesco da Roma confessore, P. Bernardo da Città di Castello, P. Francesco Maria da<br />
Vallico, i fratelli laici Fra Antonio da Morazzone e fra Bonaventura da Cassano ed il<br />
terziario Nicola da Rimini.<br />
Nel 1696 vi fu mandato come predicatore e guardiano e teologo P. Vincenzo da<br />
Roma che vi moriva il 28/7/1696. Gli dovette succedere come superiore P. Alessio da<br />
Roma che fece fondere la campana detta e la pagò 14/3/1697. Vi<br />
erano invece i lettori di teologia e confessori i Padri Angelo Antonio da Farnese e<br />
Michelangelo da Pitigliano. Il P. Pietro Maria da Bergamo era invece vicario, predicatore e<br />
moderatore del coro, cioè uno dei pochi musicisti dell’epoca ricordati. Vi erano anche i<br />
Padri Giovanni Francesco e Antonio da Vallico e Giuseppe da Roma che vi morì il<br />
21/8/1696. Non si sa perché egli morì. Facilmente avvenne per malaria, allora frequente<br />
nella zona ed è singolare che fu qualche giorno prima del concittadino P. Vincenzo.<br />
Con loro vi erano il P. Albero da Cori, i chierici Fra Pietro da Limano, Fra Giovanni<br />
Ambrogio da Gattinara, Fra Pietro Maria da Valmadera, Fra Carlo Antonio da Massa, i<br />
fratelli laici Fra Pietro Antonio da Cicciana, Fra Angelo da Roma ed i terziari Nicola da<br />
Rimini e Domenico da Bologna. E’ una delle comunità più numerose tra quelle conosciute<br />
con professori di teologia e studenti, con l’imprevisto di ben due morti della stessa città.<br />
Nel 1697 vi ritorna come guardiano e predicatore P. Giovanni Battista da Roma. Il<br />
vicario è P. Luigi da Roma e vi è il P. Antonio da Penna. I lettori e confessori restano il P.<br />
Angelo Antonio da Farnese e P. Michelangelo da Pitigliano. Alcuni degli studenti di<br />
teologia sono già sacerdoti come i compaesani P. Giovanni Pietro, P. Antonio e P.<br />
Bartolomeo da Vallico ed i Padri Alberto da Cori e Francesco Maria da Casorate. Gli<br />
studenti chierici invece sono Fra Andrea da Sabaudia, Fra Giovanni Pietro da Limano che<br />
morirà in concetto di santità a S. Liberata il 7/1/1736, Fra Giovanni Antonio da Casamari,<br />
Fra Antonio da Bassano, vi sono pure i fratelli laici Fra Alessandro da Pontremoli e<br />
Michelangelo da Massa ed i terziari Nicola da Rimini e Romano da Ferrara.<br />
Gli studenti sono veramente molti in questo anno.<br />
83
84<br />
Nel 1698 diventa guardiano P. Teodoro da Roma che è contemporaneamente<br />
predicatore. Il P. Anastasio da Bergamo è vicario e confessore. Vi resta P. Antonio da<br />
Penna e vi si aggiungono P. Giulio Sormani o da Sormanno Lettore e predicatore annuale e<br />
P. Antonio da Roma organista che è l’unico frate ricordato con questo incarico. Vi restano<br />
come lettori di teologia e confessori P. Angelo Antonio da Farnese che morirà il 27/6/1699<br />
in Aracoeli, P. Michelangelo da Pitigliano. Vi sono i sacerdoti studenti P. Giovanni<br />
Francesco, P. Antonio e P. Bartolomeo da Vallico, P. Francesco Maria da Casorate e P.<br />
Isidoro da Farnese, i chierici Fra Sebastiano (Pietro) da Vallico, Fra Francesco Nicola da<br />
Bolsena, Fra Bernardino da Roma, Fra Francesco da Morrone e Fra Cesare Vincenzo da<br />
Lucca I fratelli laici sono Fra Bartolomeo da Caprarola, Fra Giovanni e Arcangelo da Roma<br />
ed il terziario Martino di Sardegna.<br />
Nel 1699 il guardiano è ancora P. Teodoro da Roma che è anche predicatore P.<br />
Anastasio da Bergamo è vicario predicatore e confessore. I lettori di teologia sono tre<br />
perché al P. Michelangelo da Pitigliano si aggiungono il P. Antonio da Tivoli e P.<br />
Alessandro da Orte futuro custode della Provincia Romana. Vi sono P. Felice da Roma<br />
predicatore annuale e i Padri Giovanni Francesco da Vallico e Francesco Maria da Casorate<br />
che da studenti che erano l’anno precedente entrano invece nella comunità come giovani<br />
sacerdoti. Tra i sacerdoti studenti invece ci sono il P. Francesco Nicola da Bolsena, P.<br />
Giovanni Pietro da Pozzo, P. Nicola da Monte Aubiano e P. Paolo da Bassiano. I chierici<br />
sono invece Fra Sigismondo da Vico e Fra Bernardino da Roma. I fratelli laici sono Fra<br />
Arcangelo da Roma e Fra Antonio da Recineto ed il terziario Antonio da Tivoli30) .<br />
Vi si notano in questo periodo delle comunità numerose che aumentano per gran<br />
parte del 1700 e cominceranno ad essere ridimensionate con le restrizioni delle corti<br />
borboniche, con la rivoluzione francese e con le soppressioni del secolo XIX.<br />
I predicatori<br />
Più volte si è avuta occasione di incontrare nel nostro studio il titolo di predicatore<br />
attribuito ai frati. Era una prerogativa che veniva rilasciata solo a chi subiva degli esami<br />
per questa attività, mostrando di avere le doti necessarie, ed ottenevano il titolo di<br />
predicatore annuale cioè per il solo anno o per il luogo dove risiedevano o di predicatore<br />
generale cioè non approvazione del P. Generale e per qualsiasi luogo sempre col permesso<br />
del Vescovo dove si svolgeva la predicazione. Nelle singole diocesi essi potevano essere<br />
sottomessi a nuovi esami come il 3/12/1603 nella curia vescovile di Corneto per il P.<br />
30) Famiglie 1683-1733 ff. 37 v, 56,76,94,111 v, 128v, 147,166v, 185,198v-199,214,233v,253v,264 v Ms. 63 APA.<br />
84
85<br />
Marcellino da Siena per la predicazione dell’Avvento nella cattedrale e per P. Giacomo da<br />
Palestrina per quella in S. Martino. Essi furono approvati.<br />
Vi era una prassi standardizzata nella Corneto di allora, come viene notato nel<br />
: 31) .<br />
Vi era molto clero e per il turno della predicazione in genere venivano presentati tre<br />
candidati. Per essere considerati accettati dal consiglio comunale, dovevano ottenere i due<br />
terzi di voti bianchi su quelli neri ed era il predicatore chi ne otteneva di più. Era un<br />
pulpito ricercato dagli oratori che presentavano nelle loro richieste le loro referenze, i<br />
meriti acquisiti nella predicazione in altri pulpiti. Raramente venivano tenute in conto le<br />
domande dei predicatori annuali e si preferivano quelli più noti. Spesso erano accettati<br />
quelli raccomandati da persone influenti od amici conosciuti come erano il P. Bonaventura<br />
Vipereschi o il cardinale Francesco Barberini o il cardinale Giulio Rospigliosi. Tra gli<br />
oratori vi sono personalità che hanno ricoperto uffici importanti nella chiesa e nell’Ordine<br />
Francescano: il cardinale Lorenzo Cozza da S. Lorenzo, i provinciali P. Bernardino<br />
Turamini da Siena, P. Giovanni da Roma, P. Girolamo da Velletri, P. Onorato Finucci da<br />
Casabasciana, P. Antonio Soffianti da Caprarola, i guardiani del convento S. Francesco P.<br />
Girolamo Sacco da Corneto, P. Giovanni Battista da Pistoia, P. Giovanni Carlo da Roma, P.<br />
85
86<br />
Cristoforo da Roma, P. Giovanni Francesco e P. Francesco Antonio da Caprarola, P.<br />
Giovanni Andrea da Roma. Altri presentano le loro specializzazioni teologiche come i<br />
lettori o professori del convento di S. Francesco di Corneto, del Paradiso di Viterbo o di S.<br />
Bartolomeo all’Isola Tiberina di Roma.<br />
I primi predicatori richiesti in questo secolo dai Padri Francescani del convento S.<br />
Francesco appaiono in forma anomima nel 1604 quando dal comune viene richiesto un<br />
predicatore dell’avvento al P. Guardiano, mentre per la quaresima viene desiderato il<br />
Conventuale P. Francesco da Castiglione. Chi in realtà concorse alla predicazione<br />
dell’Avvento fu proprio il P. Marcellino da Siena, già ricordato nell’esame che dovette<br />
sostenere nella curia vescovile col P. Giacomo da Palestrina.<br />
Nel 1609 il predicatore della quaresima era stato P. Celso da Firenze pagato 40 scudi<br />
il 19/4/1609. Il 3/6/1610 il P. guardiano di S. Francesco P. Girolamo Sacco da Corneto<br />
ottenne la completa approvazione per la predicazione dell’avvento perché conosciuto come<br />
e nel 1634 si rivolsero al<br />
cardinale Francesco Barberini per averlo come guardiano del luogo, morendo in Aracoeli il<br />
7/1/1647. Questo era un segno di stima verso il proprio concittadino.<br />
Il 7/10/1618 si presentò come predicatore della quaresima P. Bernardino<br />
Turamini da Siena, futuro Provinciale della Provincia Romana ed ebbe 28<br />
voti favorevoli e due contro. Il 27/8/1625 invece il P. Angelo guardiano o vicario di S.<br />
Francesco (non viene qualificato) presentò il predicatore Gian Francesco Menghizzi da<br />
Celleno che ottenne 20 voti favorevoli. Non viene precisato per quale predicazione era<br />
destinato, ma con probabilità per l’avvento. Nel 1620 era stato fatto un sollecito ai Padri<br />
Generali dei quattro Ordini esistenti nella città perché facessero provvederli di confessori e<br />
predicatori sufficienti per il servizio religioso ordinario. Altrettanto fecero verso il Papa32) .<br />
L’avvento del 1626 lo predicò il guardiano di S. Francesco P. Stefano da Sarzana che<br />
fu pagato 12 scudi. Il 29/12/1629 la stessa somma fu pagata al P. Gerolamo da Velletri ed al<br />
suo socio. Questo indicava che chi veniva da fuori città portava con sè un altro frate che lo<br />
accompagnava. Il 3/2/1632 si presentò per l’avvento il P. Ferdinando che ottenne 13 voti<br />
favorevoli e 7 contrari cioè fu rifiutato. Il 19/10/1631 si era presentato il P. Giovanni<br />
31) Iura ecclesiastica 1580-1584 f. 29 AVT; Diario cornetano 1678 - Feste religiose e profane - Parte prima AF Fa 16<br />
presso STAS.<br />
32) Consiglio 17/10/1604 Reformationes 1604-1607 ff.20,20 v-21; Speculi 1607-1615 f.16; Speculi 1608-1610 f. 97;<br />
Consiglio 3/6/1610 Reformationes 1607-1610 f.138 v, 139; Consiglio 7/10/1618 Reformationes 1612-1621 ff.272 v,<br />
273 (minuta), 293 v, 294 v (bella copia); Consiglio 20/5/1625 Reformationes 1623-1630 f.101 ASCT (il presentatore<br />
del predicatore P. Angelo di S. Francesco non è indicato con nessuna carica). Lettera ai Padri Generali dei Serviti, degli<br />
Osservanti, dei Conventuali, degli Agostiniani 19/6/1620; Lettera al Papa (senza data, ma dello stesso periodo) Pietro<br />
Falzacappa Cronache di Corneto AF Ff12 presso STAS.<br />
86
87<br />
Francesco da Caprarola per l’avvento in concorrenza col cornetano P. Marco Antonio<br />
Cehtera Conventuale o Servita o Agostiniano che fu preferito con 18 voti a favore e due<br />
contrari.<br />
Per la quaresima del 1635 si presentò il P. Giovanni Antonio da Roma con la<br />
raccomandazione del P. Bonaventura Vipereschi che ebbe l’approvazione completa ed<br />
incoraggiato da questo allo stesso modo desiderava predicare anche l’avvento, ma già era<br />
stato affidato all’agostiniano di Corneto P. Stefano Raffi.<br />
Il 27/4/1636 il P. guardiano di S. Francesco presentò come predicatore dell’avvento<br />
il P. Giovanni Paolo Bonelli che piacque tanto da essere scelto per la quaresima 1640, ma<br />
egli morì l’8/7/1639 ed in suo ossequio la predicazione fu affidata al suo confratello P.<br />
Agostino Caravita il 7/8/163933) .<br />
Il 27/4/1642 furono presentate diverse richieste di predicazione tra Conventuali e<br />
Osservanti. Per la quaresima del 1645 il P. Atanasio da Roma si ritirava dall’impegno ed in<br />
sua vece veniva proposto il 27/4/1642 il guardiano di S. Francesco P. Girolamo da Roma<br />
che veniva accettato. A sostenere la candidatura del P. Gerolamo c’era la signora Lucidi<br />
Vipereschi che doveva avere influenza perché apparteneva ad una delle famiglie più in<br />
vista della città. Allo stesso P. Girolamo fu attribuito l’avvento del 1644. Il conventuale P.<br />
Giulio da Acquapendente otteneva di predicare la quaresima del 1646, ma si ritirava e fu<br />
eletto in sua vece il confratello P. Antonio da (P. Antonio Castra da Orte),<br />
mentre per l’avvento fu scelto P. Clemente Francia dello stesso Ordine34) .<br />
Il P. guardiano di S. Francesco Giovanni da Pistoia presentò la sua richiesta per<br />
predicare la quaresima del 1650 il 9/8/1648 ed ebbe 20 voti favorevoli e 3 contrari. Il<br />
23/1/1653 egli era nel convento S. Giuseppe di Acquapendente ed il 16/10/1655 moriva<br />
presso S. Casciano come ex definitore.<br />
Nel 1649 il convento era stato designato come luogo del capitolo provinciale ed<br />
erano stati fatti i preparativi, ma il P. Benigno da Genova ex Generale e discreto perpetuo<br />
mandò tutto in fumo con la scusa che era troppo lontano da Roma ed egli era vecchio per<br />
andarci.<br />
Il 21/12/1653 fu discussa la richiesta di predicazione della quaresima del P. Antonio<br />
Soffianti da Caprarola in Aracoeli che nel 1671<br />
33) Speculi 1625-1629 ff. 44, 137v; Consigli 19/10/1631, 2/3/1632, 27/7 e 27/12/1636 Reformationes 1631-1637<br />
ff.27,29v, 57,58,119v, 121,234,237-237v, 257,259; Consiglio 7/8/1639 Reformationes 1638-1644 ff. 39-40,40-40 v;<br />
Lettera a P. Giovanni Antonio da Roma 29/12/1633, Lettere a P. Bonaventura Vipereschi 2/5/1634 e 20/2/1635<br />
Registro lettere 1631-1636 ff. 107-107v, 20-20v, 119v, 32 v, 158, 21 (vi è una doppia numerazione) ASCT.<br />
34) Consigli 27/4/1642, 21/4 e 21/9/1644 Reformationes 1638-1644 ff. 98 v, 99,99 v, 101, 150, 151 v; Consiglio<br />
22/10/1645 Reformationes 1645-1655 ff. 17-17 v ASCT.<br />
87
88<br />
divenne prima custode della Provincia e poi vicario provinciale. Eppure la sua richiesta<br />
ottenne 11 voti favorevoli e 7 contro 35) .<br />
Il P. Onorato Finucci da Casabasciana detto di Lucca, buon cronista della Provincia<br />
Romana il 19/7/1654 richiese la quaresima del 1655. Con lui concorreva il guardiano di S.<br />
Francesco P. Filippo da Roma. Essi furono votati il 29/7/1654. Il P. Onorato ottenne 14<br />
voti a favore e 4 contro, mentre P. Filippo ne ottenne 12 a favore e 6 contro. Il P. Onorato<br />
era stato Provinciale della Provincia Romana ed era definitore generale, era quindi una<br />
persona di riguardo. P. Filippo il 19/6/1655 fu eletto guardiano di Cori e gli subentrò<br />
nell’ufficio il P. Giovanni Andrea da Roma a cui fu affidata la predica dell’avvento con 14<br />
voti favorevoli e 5 contrari36) .<br />
Il 17/6/1658 il P. Alessio da Roma lettore di teologia in Aracoeli chiese la predica<br />
della quaresima del 1660 e la ottenne con 18 voti a favore e 2 contro. Egli fu eletto<br />
Provinciale nel 1665 e morì in Aracoeli il 15/1/1666. P. Alberto Vannini da Roma il<br />
15/1/1666. P. Alberto Vannini da Roma il 15/1/1664 richiedeva di predicare la quaresima<br />
del 1665, ma otteneva 10 voti favorevoli e 9 contro. Il 16/3/1664 ci riprovò con l’aiuto del<br />
cardinale Giulio Rospigliosi poi Clemente IX (1600-1669) e ne ottenne 15 in favore e 6<br />
contro. Per il 1670 concorsero per la predicazione della quaresima P. Cristoforo da Roma<br />
lettore, predicatore e guardiano del convento S. Francesco ed il P. Giovanni Girolamo da<br />
Roma predicatore annuale nella chiesa S. Bartolomeo all’Isola di Roma per l’avvento. Le<br />
loro richieste furono votate ed il P. Cristoforo fu accettato tra il 27 febbraio 16 marzo 1670,<br />
mentre il P. Giovanni ottenne 12 voti a favore e 7 contro il 27/7/1670 ed il 12/10 ne ottenne<br />
10 favorevoli e 9 contro cioè non fu accettato.<br />
Prima del 12/3/1673 presentarono le loro richieste per la quaresima 1675 il<br />
P.Giovanni Carlo da Roma
89<br />
Nel dicembre 1678 presentarono le loro richieste P. Cosma Bernasconi da Roma<br />
per la<br />
quaresima 1679 e P. Giovanni Francesco da Caprarola per l’avvento 1679. Essi con le caratteristiche<br />
presentate erano dei concorrenti insuperabili.<br />
Il P. Francesco Antonio da Caprarola concorse il<br />
10/1/1683 e fu votato col P. Enrico Rainieri il 10/1/1683, ma quest’ultimo ottenne più voti.<br />
Egli allora ripresentò la sua domanda come guardiano di Veroli, dove era stato trasferito,<br />
facendo notare la molteplicità di pulpiti da lui calcati. Guardiano di Corneto intanto era<br />
diventato P. Vittorio da Cori a cui indirizzò una lettera il P. Provinciale P. Vincenzo Marra<br />
da Bassiano detto Junior, minacciando che avrebbe ritirato i frati dal convento, se non<br />
fossero stati provvisti di vino, come era consuetudine dal 156538) .<br />
Per la predicazione della quaresima del 1685 si presentarono il custode della<br />
Provincia Romana P. Alessandro da Magliano ed P. Lorenzo Cozza da S. Lorenzo. Nella votazione per loro del 27/4/1684 il P.<br />
Alessandro ottenne 9 voti a favore e 9 contro, mentre P. Lorenzo ne ottenne 14 a favore e 4<br />
contro attribuendosi la predicazione. Nella nota marginale di quest’ultimo è aggiunto con<br />
una certa soddisfazione: . Pur<br />
essendoci l’errore della data perché egli morì nel convento S. Bartolomeo all’Isola di Roma<br />
il 19/1/1729, vi si nota la stima per la sua personalità che la meritava certamente come<br />
uomo di cultura, scrittore, diplomatico ed uomo pratico, essendo stato Custode di Terra<br />
Santa, Provinciale della Provincia Romana, Generale dell’Ordine e Cardinale39) .<br />
Il 14/12/1687 il P. Giovanni Nicola da Roma viene messo a votazione per l’avvento<br />
1688 col P. Giovanni Meconi dei Serviti ed ottiene 15 voti a favore e 8 contro, mentre il P.<br />
Meconi ne ottiene 16 a favore e 7 contro, vincendo.<br />
Lo stesso P. Giovanni Nicola da Roma si ripresenta per l’avvento 1689 ed il<br />
5/4/1688 viene approvato con 18 voti favorevoli ed uno contro. Nello stesso anno si<br />
presenta per la quaresima del 1690 il P. Cosma o Cosimo Bernasconi da Roma e gli viene<br />
38) Lettera del P. Cosma da Roma, Lettere del P. Giovanni Francesco da Caprarola guardiano del convento dicembre<br />
1678 Instrumenta, consilia, et iura diversa 1677-1678 ff. 395,396,399 v, 400 v; Lettera del P. Francesco Antonio da<br />
Caprarola guardiano di S. Francesco 10/1/1683, Lettera del P. Francesco Antonio da Caprarola guardiano di Veroli che<br />
ha predicato a , Consigli 10/1/1683, e 16/5/1683 Lettera del P.<br />
Vincenzo da Bassiano 28/4/1683, Lettera del convento al consiglio (senza data, ma di questo periodo), Reformationes<br />
1680-1689 ff. 141 v, 147, 162 v, 185, 189, 192, 192 v; Lettera del vescovo Romano di... ai Conservatori 22/5/1683<br />
Carte sparse secolo XVII a. 1683; Famiglie 1683-1733 f. 20 Ms. 63 APA.<br />
39) Consiglio 27/4/1684, Lettera del P. Alessandro da Magliano, Lettera del P. Lorenzo da S. Lorenzo Reformationes<br />
1680-1689 ff. 289-189 v, 291,293, 296 v ASCT; Colombo Angeletti, Necrologio della provincia Romana dei SS.<br />
Apostoli Pietro e Paolo (Roma 1969) 66.<br />
89
90<br />
concessa , ma egli deve poi rinunziarci il 18/9/1689 perché . Egli morì ad Orte il 20/4/1691. Furono allora<br />
presentati i Padri Fortunato da Roma e teologo e P. Callisto da<br />
Siena. Nella votazione del 7/12/1689 il P. Fortunato ottenne 8 voti favorevoli e 13 contrari,<br />
mentre il P. Callisto ne ebbe 17 a favore e 4 contro. Questo indica che si guardava nella<br />
scelta alle qualità del predicatore anziché alle note presentate.<br />
Per la predicazione dell’avvento 1691 si presentarono il P. Severino da Milano ed il<br />
P. Anastasio Certi (o Cerli?) da Bergamo e P. Giovanni Pietro da Roma. Il primo fu<br />
approvato e gli fu mandata la patente l’8/1/1691 per avere ottenuto 19 voti favorevoli<br />
contro 5. Il P. Anastasio ottenne 17 voti a favore e 7 contro, e P. Pietro Giovanni ne aveva<br />
ottenuti 16 favorevoli ed 8 contrari.<br />
Il P. Giuseppe Maria Padovano da Napoli lettore, teologo e predicatore richiedeva la<br />
predicazione dell’avvento 1692 e quella del 1693. Per quest’ultima veniva votato e la<br />
otteneva con 16 voti a favore e 4 contro40) . Per la quaresima del 1694 si presentava il P.<br />
Leopoldo da Mondanio oggi Mondonio che era stato predicatore annuale in S. Francesco<br />
durante la rovinosa caduta delle due colonne della chiesa nel 1691. Contemporaneamente<br />
ritornava a chiedere la quaresima del 1695 il P. Fortunato da Roma che l’ottenne con 23<br />
voti a favore ed uno contro, mentre P. Leopoldo ottenne 8 voti a favore e 16 contro. Forse<br />
gli giocò un brutto scherzo il ricordo funesto della chiesa di S. Francesco.<br />
Nel 1698 furono numerosi i concorrenti Osservanti per le predicazioni. Il P.<br />
Marcellino da Roma si presentava per l’avvento 1698 e l’ottenne con un buon ascolto, tanto<br />
da essere proposto ed accettato per la predicazione e la quaresima del 1700 in concorrenza<br />
con i Padri Silvestro da Orvieto e Basilio da<br />
Caprarola . Nella votazione del 14/12/1698 il P. Silvestro<br />
ottenne 13 voti favorevoli e 10 contrari, P. Basilio 10 favorevoli e 13 contrari, P. Marcellino<br />
invece 22 favorevoli e nessuno contro. Evidentemente uno dei votanti era uscito perché i<br />
voti erano 23 per tutti, come risulta dalla votazione degli altri due e del P. Pietro Paolo da<br />
Roma per l’avvento del 1699 come lettore di teologia di Viterbo che ottenne 21 voti<br />
favorevoli e 2 contro.<br />
Gli ultimi di questo periodo che si presentarono come predicatori furono i Padri<br />
Felice da Roma per l’avvento del 1700 e P. Giuseppe Maria da Torino lettore di teologia in<br />
40) Consigli 14/12/1687, 5/4 e 13/11/1688 Reformationes 1685-1690 ff. 55,55 v, 59, 60, 76; Consiglio 7/12/1689 ff. 7,<br />
16,24 v, 25 v; Reformationes 1689-1695 ff.128,148 v, 159, 161,166 v, 173,178 v ASCT.<br />
90
91<br />
S. Francesco. Il P. Felice ottenne 24 voti favorevoli e 5 contro e P. Giuseppe Maria ne<br />
ottenne 13 a favore e 10 contro 41) .<br />
Questa carrellata di predicatori ci dice che la presenza dei frati in S. Francesco era<br />
utile per far conoscere la cultura religiosa del tempo presso il popolo, poiché la<br />
predicazione era molto seguita. E’ vero che mi sono limitato ai soli Osservanti e con rari<br />
accenni agli altri, lasciando l’opportunità di farlo a chi desidera approfondire l’argomento.<br />
* * *<br />
L’interesse della presenza dei frati è dimostrata dalla ricerca che ne faceva la stessa<br />
amministrazione civile per gli impegni di assistenza religiosa verso la popolazione. I frati<br />
infatti avevano cura di aiutare i cittadini nelle confessioni, nella giusta recezione<br />
dell’eucaristia, nella preghiera corale, nel suono e canto religioso, nella preghiera comune.<br />
Essi non mancavano di soccorrere i più bisognosi con la loro carità, non ultima quella<br />
paziente della distribuzione dell’acqua delle cisterne durante l’estate per una popolazione<br />
assetata come quella di Corneto in questo periodo. Per questo essi erano molto apprezzati e<br />
ricercati, nonostante qualche immancabile controversia col clero locale per la festa di S.<br />
Agapito, con i Conventuali per quella di S. Antonio di Padova, con i Serviti per la<br />
costruzione prima di un oratorio troppo vicino al convento S. Francesco e poi di una chiesa<br />
vera e propria S. Maria Addolorata con relativo convento e l’abbandono del santuario di S.<br />
Maria di Valverde. I frati più volte si interessarono presso le autorità competenti della<br />
manutenzione della bella chiesa sia pure con trasformazioni barocche. Ne fecero presenti i<br />
problemi principali: riparazioni di tetti, imminenze di crolli come quello delle colonne<br />
centrali, costruzione del nuovo monumentale campanile. Le amministrazioni cittadine se<br />
ne presero cura nei loro limiti. Tutte queste cose unite alle nuove notizie su un personaggio<br />
o l’altro credo che siano degne di essere conosciute perché anche esse sono alla base della<br />
presenza attuale dei frati nella Tarquinia odierna.<br />
FONDI ARCHIVISTICI<br />
P. Luigi Sergio Mecocci<br />
AF presso STAS Archivio Falzacappa presso <strong>Società</strong> Tarquiniense<br />
<strong>Arte</strong> e <strong>Storia</strong><br />
41) Reformationes 1696-1701 ff,7,10,17, 17v, 88, 95v, 140, 153v, 230,233,234,237,240v, 241,283,294 v ASCT.<br />
91
114.<br />
STAS 5-22.<br />
92<br />
APA Archivio Provinciale Aracoeli<br />
ASBO Archivio S. Bernardino Orte<br />
ASCT Archivio Storico Comunale Tarquinia<br />
ASFT Archivio S. Francesco Tarquinia<br />
AVT Archivio Vescovile Tarquinia<br />
BIBLIOGRAFIA<br />
Corteselli Mario-Pardi Antonio, Corneto com’era (Tarquinia 1977).<br />
Corteselli Mario, Un santo venuto da lontano Bollettino dell’anno 1986 STAS 105-<br />
De Fazi Attilio-Porchetti Angelo, S. Francesco in Corneto, Bollettino dell’anno 1984<br />
Foschi Rossella, La chiesa di S. Maria Addolorata in Tarquinia, Bollettino dell’anno<br />
1980 STAS 115-135.<br />
1982)<br />
Gli Statuti della città di Corneto MDXLV a cura di Massimo Ruspantini (Tarquinia<br />
Mecocci P. Luigi Sergio, P. Bonaventura Vipereschi da Corneto +3/2/1639<br />
Bollettino dell’anno 1990 STAS 143-157.<br />
Polidori Muzio, Croniche di Corneto a cura di Anna Rita Moschetti (Tarquinia 1977)<br />
Romanelli Emanuele, S. Francesco di Tarquinia (Roma 1967)<br />
Sensi Mario, S. Maria di Valverde a Corneto Bollettino dell’anno 1987 STAS 79-113.<br />
Tiziani Giannino, Famiglie e stemmi cornetani dalla schedatura di beni artistici di<br />
Tarquinia Bollettino dell’anno 1985 STAS 147-211.<br />
92
93<br />
RICERCHE ARCHEOLOGICHE ALL’EREMO DELLA SS. TRINITA’ DI<br />
ALLUMIERE<br />
Breve premessa<br />
L’Eremo della SS. Trinità di Allumiere, è uno dei più antichi monasteri della<br />
Provincia romana ed esiste, secondo alcuni storici del XIV secolo, fin dai tempi di Gregorio<br />
IV (827/844) (Enrico di Friemar; Giordano di Sassonia).<br />
Ma anche lapidi del XII sec., esistenti fino agli inizi del nostro secolo, sulla facciata<br />
dell’Eremo, e recenti ritrovamenti archeologici, danno concrete possibilità di conferma<br />
all’ipotesi della sua esistenza fin dai tempi di Agostino e del suo soggiorno in zona<br />
Centumcellae (387-388 d.C.).<br />
I ritrovamenti di reperti di epoca romana, colonne, capitelli e mattoni, alcuni dei<br />
quali con bollo di fabbrica dell’imperatore Traiano, fanno ritenere assai probabile che<br />
l’edificazione del Romitorio sia stata realizzata, utilizzando preesistenti strutture e<br />
materiali pertinenti, verosimilmente ad un piccolo tempio dedicato alle ninfe delle acque.<br />
Proprio in quest’area, infatti, si trova uno dei più consistenti bacini idrici, dai quali<br />
furono captate le sorgenti che dovevano rifornire di ottima acqua potabile il costruendo<br />
porto di Traiano a Centumcellae, agli inizi del II sec. d.C.<br />
Anche al fine di poter documentare la possibilità di un soggiorno di S. Agostino in<br />
questo Eremo, è stata intrapresa, in questi ultimi anni, una prima campagna archeologica<br />
da parte della Associazione Archeologica di Allumiere, in<br />
93
94<br />
stretta collaborazione con la Soprintendenza Archeologica per l’Etruria Meridionale. I<br />
risultati di questa prima campagna archeologica formano l’argomento della presente<br />
comunicazione.<br />
Relazione sulla prima campagna archeologica<br />
Facendo seguito alla iniziativa promossa nel 1975, durante la quale furono<br />
recuperati e posti nel civico museo un capitello corinzio e due antiche campane di bronzo,<br />
il quadro della SS. TRINITA’ ed altri oggetti sacri, l’Associazione Archeologica A.<br />
KLITSCHE DE LA GRANGE, ha intrapreso una serie di ulteriori lavori fin dal maggio del<br />
1987, al fine di sensibilizzare la popolazione locale e gli enti pubblici alla salvaguardia e al<br />
recupero del più antico luogo di culto cristiano del comprensorio.<br />
Il sito si presentava interamente avvolto da rampicanti di vario genere e l’unico<br />
locale ancora con il tetto in discreto stato di conservazione era la CHIESA DELLA<br />
TRINITA’, la quale però, avendo il cancello senza chiusura, era utilizzata come ricovero di<br />
animali, con il pavimento interamente coperto di letame. La situazione si presentava<br />
quindi catastrofica.<br />
Tuttavia la consapevolezza dell’alto valore storico e spirituale del luogo noto alla<br />
tradizione popolare locale come soggiorno di S.AGOSTINO, ci fece superare quel senso di<br />
impotenza di fronte alla mole dei lavori da eseguire e dei fondi necessari per le urgenti<br />
riparazioni.<br />
Per prima cosa si iniziò la ripulitura dell’interno della Chiesa dal letame, poi si<br />
estirparono i rovi dall’accesso Romitorio liberando anche il chiostro; fu utilizzata una<br />
catena con lucchetto per serrare momentaneamente il cancello di ingresso ed evitare così il<br />
ripetersi dell’uso, molto deprecabile, di ricoverare gli animali nel sito.<br />
Ripulendo il pavimento e l’altare della Chiesa, che era stato divelto da ignoti nella<br />
speranza di trovarvi all’interno degli oggetti, abbiamo constatato che il detto altare<br />
inizialmente era più piccolo e che il monolite di copertura vi era stato adattato poiché era<br />
più grande dell’altare iniziale e troppo piccolo per il più recente altare ingrandito (forse si<br />
trattava di un recupero da qualche altra struttura nelle vicinanze).<br />
Tra un lato di altare e il muro di ampliamento vi era rimasto murato anche un ex<br />
voto di rame a forma di cuore e lettere PGR (per grazia ricevuta).<br />
Il 20 giugno 1987 fu organizzata in collaborazione col comune di Allumiere una<br />
Mostra sulla Chiesa della Trinità in occasione del XVI Centenario del Battesimo di S.<br />
Agostino. Contribuirono a questa iniziativa anche altre Associazioni ed Enti coinvolgendo<br />
più largamente possibile la popolazione nel progetto di ricostruzione e recupero.<br />
94
95<br />
La mostra rimase aperta al pubblico tutti i giorni fino al 20 luglio e per l’occasione<br />
venne anche realizzata una video-cassetta ed una pubblicazione-catalogo.<br />
A settembre dello stesso anno furono ripresi i lavori, con la partecipazione di<br />
numerosi soci e volontari sotto la direzione dello scrivente, dell’Ispettore di zona, Dr.<br />
Gianfranco GAZZETTI e l’assistenza del sig. FEDELI.<br />
Vennero dapprima operati degli interventi d’urgenza su alcune strutture pericolanti,<br />
quali il tetto dell’oratorio di S. Maria delle Grazie, (o di S. Agostino), che ormai crollato,<br />
non assolveva più al compito di copertura e protezione anche dell’abside della chiesa della<br />
Trinità sottostante.<br />
Quindi a spese dell’Associazione Archeologica si<br />
provvide immediatamente al rifacimento del tetto tamponando contemporaneamente alla<br />
meglio una copertura nell’atrio dello stesso oratorio in imminente pericolo di cedimento,<br />
che avrebbe causato una serie di crolli a catena delle strutture.<br />
I lavori furono effettuati dal 15.9.1988 al 24.9.1988, determinando per la prima<br />
volta, dopo decenni di abbandono spoliazioni e devastazioni, una inversione di tendenza,<br />
che alimentò e rafforzò la volontà di recupero insista in vasti strati della popolazione, la<br />
quale chiamata poco più tardi a dare il suo contributo rispose così generosamente alla<br />
richiesta ed alle iniziative avanzate da apposito Comitato pro-restauro costituito nel<br />
frattempo, che le somme raccolte permisero l’esecuzione di altre opere di salvaguardia.<br />
Contemporaneamente attente osservazioni ed analisi delle strutture murarie e delle<br />
sovrastrutture che con i secoli si erano innestate hanno permesso in molti casi una nuova<br />
lettura del divenire di questo antichissimo Romitorio.<br />
Così l’attuale campanile a vela in mattoni è un evidente struttura sovrapposta ad<br />
una parte dell’antico campanile a pianta quadrata in grossi conci di pietra locale<br />
scalpellinata e verosimilmente terminante in una guglia appuntita, come appare in una<br />
stampa del XVII secolo.<br />
I locali della sottostante sacrestia sono stati ugualmente ricavati in un secondo<br />
tempo (verosimilmente nel contempo della realizzazione del predetto Oratorio),<br />
utilizzando il vano del campanile e ampliandolo dal lato nord verso l’abside della Chiesa<br />
della Trinità ove è ben definita dai conci di tufo agli angoli.<br />
Da rilevare, inoltre, che l’angolo sud-est di questa Chiesa è stato unito all’angolo del<br />
campanile da una evidente muratura di collegamento.<br />
Allo stesso periodo dovrebbe risalire anche la realizzazione della scala di accesso al<br />
predetto Oratorio.<br />
95
96<br />
I gradini estremamente consunti dall’uso sono di nenfro, ma potrebbero trovarsi in<br />
giacitura secondaria in quanto non completano tutta la gradinata ed inoltre sono stati<br />
rilevati, sotto di essi, gradini di mattoni in taglio.<br />
Lo stesso ingresso dell’Oratorio ha subito nel tempo uno spostamento verso il centro<br />
della precedente posizione a destra, come è testimone lo stipite e parte dell’arco murati e<br />
reintonacati a seguito dello spostamento dell’ingresso.<br />
Risulta evidente che la prima posizione dell’ingresso sulla destra era dovuta al fatto<br />
che le campane nel vecchio campanile a pianta quadrata erano posizionate più all’interno<br />
rispetto al campanile a vela e quindi le funi per suonarle passavano più internamente<br />
occupando parte dell’atrio; di conseguenza il passaggio delle persone doveva spostarsi<br />
verso destra.<br />
Una botola ancora visibile sulla volta della sacrestia testimonia questo passaggio più<br />
interno delle funi.<br />
Il tipo di calce più utilizzato e la presenza di una croce templare incisa nell’intonaco<br />
relativo allo stipite in tufo del più antico ingresso dell’Oratorio, fanno supporre la sua<br />
realizzazione o almeno un suo rimaneggiamento, nel XIII-XIV secolo.<br />
Risalirebbero a questo periodo anche le due lapidi incise in caratteri gotici.<br />
Una, viene ricordata da documenti del 1650 in<br />
poi ed era apposta sulla facciata esterna della Chiesa della S.S. Trinità.<br />
Dell’altra, si conosce soltanto l’ultima<br />
ubicazione, ossia a destra dell’ingresso al sopracitato Oratorio di S. Maria delle Grazie.<br />
Infatti ancora oggi si può vedere incavata nel muro la nicchia per l’alloggiamento di<br />
tale lapide, che ha permesso di conoscerne le dimensioni: 62x31 cm.<br />
Questa giacitura è sicuramente secondaria in quanto poggiante parte sul vecchio<br />
stipite e parte sul muro accostatogli per lo spostamento dell’ingresso verso il centro, come<br />
abbiamo visto sopra.<br />
L’ubicazione originaria è invece ipotizzabile accanto all’ingresso dell’antico<br />
Romitorio, anche perché ad esso sulla lapide si fa espresso riferimento.<br />
Probabilmente questa lapide deve aver subito più di uno spostamento, se nel 1657<br />
(LANDUCCI, 1657), poi nel 1667 (come riportato da CORTESELLI-PARDI, 1983, 146)<br />
risulta a destra dell’ingresso citato, mentre P. BONASOLI che scrive le memorie nel 1782,<br />
la descrive nel muro divisorio tra le due Chiese (della Trinità e del Soccorso).<br />
Comunque nel corso del XIX secolo, sia il FALZACAPPA (ms. F.F. 24) sia<br />
l’ANNOVAZZI (1853, 162) che il MIGNANTI la ubicano fuori del predetto Oratorio,<br />
dedicato a S. Maria delle Grazie (le due lapidi più non esistono; furono asportate da mons.<br />
96
97<br />
D’ARDIA CARACCIOLO ai primi del nostro secolo, forse destinate al museo di<br />
Civitavecchia (D. KLITSCHE ms.) che subì nel 1945 i bombardamenti alleati.<br />
Fortunatamente ci rimangono le copie disegnate lettera per lettera da Pietro<br />
FALZACAPPA nella I metà del secolo scorso.<br />
Un’altra lapide di contenuto e caratteri analoghi, proveniente dai ruderi di antiche<br />
strutture nell’area del Porto di Bertaldo, (oggi S. Agostino) ed anticamente chiamato Porto<br />
di Giano, fu ritrovata al tempo di Papa Clemente VIII (1583-1605) e trasportata nella<br />
chiesa di S. Marco in Corneto (LANDUCCI -1617). Anche di questa epigrafe ci rimane la<br />
copia trascritta da Pietro Falzacappa.<br />
Un’altra epigrafe proveniente dalla finestrella al lato della Chiesa della Madonna del<br />
Soccorso, con caratteri gotici, è invece conservata presso il locale museo civico.<br />
La Chiesa della Madonna del Soccorso, anche se presenta una tecnica costruttiva<br />
con impiego di conci di tufo nei punti d’angolo, simile a quella utilizzata per la Chiesa della<br />
Trinità, tuttavia la sua costruzione dovrebbe essere di molto posteriore.<br />
D’altronde l’utilizzazione di tufi agli spigoli appare anche in un evidente<br />
ampliamento verso sud-est del Romitorio.<br />
Il muro divisorio tra le due chiese presenta alla base un rinforzo ,<br />
tipico della parte esterna di edifici costruiti su terreni in pendio.<br />
Inoltre tra le due chiese si nota un dislivello di circa 50 centimetri, colmato da due<br />
gradini che salgono alla chiesa della Trinità attraverso una porticina, aperta per mettere in<br />
comunicazione le due chiese.<br />
Infine la costruzione di un unico tetto a due pendenze, mantenendo nella chiesa<br />
della Trinità la sua originaria capriata di legno, è una ulteriore dimostrazione della<br />
differenza cronologica tra le due costruzioni.<br />
Ciò permise di ricoprire nuovamente il tetto della Chiesa della Trinità come in<br />
origine, quando nel 1950 dovette crollare il tetto della attigua chiesa della Madonna del<br />
Soccorso.<br />
Nulla ci è finora pervenuto circa l’epoca di costruzione della chiesa dedicata alla<br />
Madonna del Soccorso. La sua prima menzione risalirebbe al 1667, nella relazione della<br />
visita pastorale del Vescovo di Corneto, PALUZZI, (così almeno ci viene detto da PARDI e<br />
CORTESELLI autori di che riportano ampli brani di questa<br />
relazione, nei quali in verità non figura la Chiesa dedicata alla Madonna del Soccorso; ma<br />
potrebbe trattarsi di una lacuna).<br />
Anche un inventario del 1669 redatto dal notaio DE ROSSI in cui sono elencati i<br />
beni esistenti presso l’Eremo della Trinità, si riferirebbe a questa chiesa, ad un antico<br />
97
98<br />
quadro su tavola della Madonna del Soccorso e ad un breviario (MIGNANTI/MORRA<br />
1936).<br />
Purtroppo anche questo secondo documento non si trova più nell’archivio storico di<br />
Tolfa.<br />
Il POLIDORI, che scrisse tra il 1673 e il 1683 e che come segretario del Cardinale<br />
PALUZZI-ALTIERI, forse l’accompagnò nella visita pastorale del 1667, tra l’altro<br />
riferendosi all’Eremo della Trinità, parla di Chiesa primaria e ,<br />
sottintendendo un’altra chiesa accanto, appunto quella della Madonna del Soccorso.<br />
Comunque quest’ultima chiesa è esplicitamente citata nella descrizione della visita<br />
pastorale effettuata dal Vescovo di Sutri e Nepi nel 1707 e nelle memorie del Padre<br />
BONASOLI redatte nel 1782.<br />
Da una attenta osservazione di una pianta dipinta nel 1609 da Bernabeo LIGUSTRI,<br />
si desume che in quel periodo non era ancora stata costruita la seconda chiesa. Anche nella<br />
lettera del Vescovo Anania del 1660 non si fa cenno alla Chiesa del Soccorso.<br />
Pertanto è da ritenere la costruzione della chiesa del Soccorso in un periodo che va<br />
dal 1609 al 1667, al fiine di dirimere la controversia fra Sutri e Corneto.<br />
Non trattandosi di ampliamento della Chiesa della S.S. Trinità ma di una nuova<br />
Chiesa affiancata all’altra e posta in comunicazione, attraverso un’angusta porticina, il<br />
motivo della sua costruzione va ricercato nella lunga disputa tra le diocesi di Corneto e di<br />
Sutri circa la Giurisdizione sulla Chiesa ed Eremo della Trinità ed annessi privilegi,<br />
proprietà e diritti.<br />
La costruzione quindi di una seconda chiesa da attribuire ad una delle due diocesi<br />
avrebbe dovuto porre fine alla lunga disputa che però sembra si sia protratta per circa<br />
duecento anni, fino al 1845, o 1854 (CORTESELLI-PARDI, 147; MIGNANTI-MORRA).<br />
Dall’esame delle visite pastorali risulterebbe che l’ultima visita effettuata alla Chiesa<br />
ed Eremo della Trinità dal Vescovo di Corneto, PALUZZI fu quella del 1667, mentre in<br />
seguito vennero fatte dai vescovi di Sutri negli anni 1670,1672, 1695, 1697, 1701 e 1707<br />
(CHIRICOZZI 1990, 340).<br />
C’è da supporre quindi che dal 1670 circa la Chiesa della Trinità con l’oratorio di S.<br />
Agostino e l’annesso Convento sia stato assegnato alla diocesi di Sutri, mentre la Chiesa<br />
della Madonna del Soccorso alla diocesi di Corneto.<br />
Sembra però che dal 1710 al 1845 le due diocesi continuassero a scambiarsi minacce<br />
di scomuniche e rivendicazioni della proprietà e delle visite pastorali.<br />
Nel 1794 vi furono posti due confessionali, riservati uno al vescovo di Corneto,<br />
l’altro a quello di Sutri (CORTESELLI PARDI, 147).<br />
98
99<br />
Soltanto nel 1850 con la costruzione della Diocesi di Civitavecchia che comprendeva<br />
anche i comuni di Tolfa ed Allumiere, la competenza passò alla nuova diocesi e nel 1854,<br />
con l’unione delle Diocesi di Civitavecchia e Corneto finirono definitivamente le secolari<br />
controversie.<br />
Ritrovamenti all’interno della Chiesa della Madonna del Soccorso<br />
Durante una ricognizione effettuata con alcuni Soci, nel 1984 lo scrivente ha<br />
recuperato, tra i calcinacci di crollo, parte di un mattone romano bipedale con il bollo<br />
, che era stato riutilizzato nell’erezione dell’altare della Chiesa della<br />
Madonna del Soccorso.<br />
Recentemente durante i lavori di sgombero del materiale di crollo, che aveva<br />
raggiunto oltre un metro di altezza, sono stati recuperati altri frammenti di mattoni<br />
romani, sia vicino all’altare, sia nell’area d’ingresso della chiesa.<br />
Sono stati inoltre recuperati durante la ripulitura della Chiesa della Madonna del<br />
Soccorso i seguenti materiali:<br />
una lampada votiva di rame, frammenti di lastra di rame forata per uso di<br />
confessionale, un blocco di pietra con intacca laterale, una doppia carrucola e due ex-voto<br />
d’argento e di rame.<br />
Area Claustrale<br />
Da ulteriori osservazioni delle strutture murarie è emerso che nella parete sud della<br />
chiesa della S.S. Trinità, sono state aperte poi richiuse, due porticine che immettevano nel<br />
chiostro.<br />
Almeno una delle due porticine esisteva nel 1667, in quanto ne fa cenno la<br />
descrizione della visita pastorale.<br />
Il livello dei gradini, costruiti con mattoni rettangolari in taglio come il gradino<br />
dell’ingresso principale, è pertinente alla ultima e attuale pavimentazione della Chiesa.<br />
Lungo la parete esterna della chiesa, ove sono le due porticine, esiste un canale<br />
acciottolato per il deflusso delle acque piovane che vengono convogliate attraverso<br />
apposita canalizzazione al di fuori dell’area claustrale.<br />
Lo sgombero del materiale di crollo del chiostro, come degli altri ambienti, ha<br />
richiesto notevole impegno, per la necessità di selezionare i materiali al fine di una loro<br />
riutilizzazione e per meglio leggere le eventuali stratificazioni.<br />
Nell’area circoscritta dal chiostro è venuta alla luce una gradinata con ampi gradini<br />
formati da ciottoli e frammenti laterizi tenuti da pietre più grandi più o meno squadrate,<br />
99
100<br />
che immetteva nell’atrio del porticato a nove arcate antistante l’ingresso all’area<br />
conventuale.<br />
Detta gradinata, era formata da detriti e materiali di crollo con frammenti ceramici<br />
di epoca rinascimentale e post-rinascimentale.<br />
Nel lato sud a fianco della gradinata fino al muro d’angolo del chiostro, in un<br />
periodo posteriore al 1867, era stato costruito un acciottolato che ha praticamente sigillato<br />
il materiale sottostante di riempitura, alla cui base era stata ricavata una vasca, scavandola<br />
nel terreno vergine reno argilloso impermeabile.<br />
Saggio allargato (*)<br />
Sotto questo acciottolato infatti a cm.10 è stata ritrovata una monetina del 1867 di<br />
Vittorio Emanuele II; in uno strato di qualche centimetro sotto, un’altra monetina del 1802<br />
di PIO VII, confermava la disposizione cronologica degli strati, ribadita dalla presenza sul<br />
fondo, a contatto del terreno argilloso della vasca anzidetta, di ceramica rinascimentale.<br />
Saggio <br />
In uno strato nerastro a contatto del terreno vergine ritrovata una pipa nera con<br />
dentellature ed una monetina romana, molto corrosa, attribuibile al II secolo dopo Cristo.<br />
Dalla stessa area C e dalle vasche ad arco provengono altre monetine e frammenti<br />
ceramici post-rinascimentali.<br />
Anche l’acciottolato che costituisce la pavimentazione dell’atrio del chiostro e del<br />
primo ambiente interno (B) del convento è stato realizzato in epoca tarda, forse<br />
contemporaneo alla gradinata antistante.<br />
Saggio <br />
Sotto l’acciottolato a cm. 15 circa sono stati infatti ritrovati frammenti ceramici<br />
riferibili al XVI-XVIII sec.; a 30 cm. sono stati notati segni di rimaneggiamenti forse di un<br />
più vecchio lastricato o di un vespaio.<br />
Settore <br />
Al fine di accertare la presenza o meno nel chiostro di eventuali antiche strutture, è<br />
stata operata una trincea in senso sud-nord quasi a contatto del terreno vergine, sotto il<br />
piano biancastro renoso di calpestio, formato alla base dello scalino di pietra venuto alla<br />
100
101<br />
luce e pertinente alla suaccennata gradinata di accesso al convento, sono stati ritrovati<br />
frammenti ceramici del XVII-XVIII sec.; un frammento del XV-XVI sec. è emerso a<br />
contatto del vergine.<br />
Ciò potrebbe significare che in questo periodo si è provveduto probabilmente ad una<br />
ripulitura dell’area (forse con lo scopo di costruire una gradinata) fino al terreno vergine,<br />
sul quale si sarebbe depositata la ceramica contemporanea, poi coperta da questo strato<br />
renoso biancastro del XVI-XVIII sec. (ossia a 160 cm. quota rossa). *<br />
Continuando lo scavo della trincea ci si è imbattuti a cm. 40 da terra e 160<br />
cm. dalla quota rossa, in una struttura muraria con andamento trasversale, asimmetrico<br />
rispetto a tutte le emergenze murarie esistenti.<br />
Misura cm. 100 di larghezza e costituisce una canalizzazione in pietra legata con<br />
malta, scavata nella roccia friabile e con spondine interne in mattoni rettangolari in taglio<br />
intonacati; nel terreno di contatto della volta, esternamente, è stata ritrovata una monetina<br />
d’argento di INNOCENZO XI (1686).<br />
Questo ritrovamento ha naturalmente determinato un allargamento dell’area del<br />
saggio predisponendo una quadrettatura di cm. 200 x200 e accompagnando la<br />
con i numeri da 1 a 15 (vedi grafico ANGIONI).<br />
Seguendo la canalizzazione si è riscontrato che in corrispondenza del muro di<br />
chiusura dell’area claustrale, il condotto è stato troncato e deviato demolendo la parte<br />
sinistra onde permettere all’acqua di riversarsi in un passaggio a tal uopo ricavato nel detto<br />
muro con un arco di mattoni.<br />
Detto canale doveva esistere già prima delle sepolture A e B del saggio D/D1 in<br />
quanto lo strato sabbioso ritrovato a quota 280 in quel saggio è probabilmente il risultato<br />
dello scorrimento dell’acqua fuoriuscita dall’arco in mattoni e prima anche di ricavare<br />
l’area antistante tramite riempitura.<br />
E’ probabile che detto canale preesistesse anche alla Chiesa della SS. Trinità in<br />
quanto seguendo il suo andamento obliquo avrebbe dovuto attraversare le fondamenta<br />
dell’angolo sud.<br />
E’ proprio a seguito dell’erezione della Chiesa che forse si rese necessaria la<br />
deviazione del condotto, come abbiamo visto.<br />
(*) Per l’individuazione dei vari saggi e settori si fa riferimento al grafico ANGIONI che si riporta a pag...<br />
* Per quota rossa si intende il livello convenzionalmente corrispondente al piano di calpestio acciottolato nell’atrio del<br />
Romitorio (settore B), che rappresenta appunto la quota 0. Per quota nera si intende invece un livello posto per motivi<br />
di praticità, cm. 35 più in alto della quota rossa.<br />
101
102<br />
Lungo la base del condotto, a cm. 180 da quota rossa, ritrovati mattoni rossi<br />
rettangolari, posti in piano, quasi a contatto del vergine; a cm. 200 quota rossa un<br />
frammento ceramico graffito della II metà del XV secolo.<br />
Nel settore è venuta alla luce una sepoltura, orientata est-ovest.<br />
La fossa è in gran parte scavata nel terreno vergine e ricoperta dallo stesso terreno<br />
argillo-renoso senza humus (è probabile che sia stata scavata in una fase di artificioso<br />
livellamento del terreno vergine).<br />
L’inumato, lungo circa cm. 165, ha le braccia incrociate e presenta la parte anteriore<br />
del teschio frantumata e caduta al suo interno.<br />
Le estremità inferiori sono leggermente piegate con una lacuna nell’osso femorale<br />
sinistro, forse per la posa di un palo di legno, come si può vedere anche di altri vicini buchi.<br />
Nel settore a cm. 155 quota rossa ritrovato un frammento ceramico di tazza<br />
blu cobalto e lettera.<br />
Nel settore , in prossimità dell’arco in mattoni, a circa 250 cm. dalla quota<br />
nera, all’altezza dell’imposta d’arco ritrovato un frammento ceramico e ramina con motivi<br />
lanceolati e puntini (XIV secolo).<br />
Settore <br />
Ripuliti dal materiale di crollo i gradini della scala e dell’atrio d’ingresso al convento<br />
e ritrovati: parti del di colonna di marmo verosimilmente spaccato per<br />
utilizzarlo in pezzi nei muri, e numerosi frammenti di mattoni romani di cui uno con bollo<br />
.<br />
E’ stato poi eseguito un saggio nel settore , a lato della scala che porta<br />
all’oratorio delle Grazie, che risultava coperto da un tavolato spesso ma marcio,<br />
sovrapposto ad un acciottolato leggermente più basso dell’acciottolato anteriore (H1),<br />
posto sullo stesso livello di quello relativo all’atrio del chiostro.<br />
In uno strato che va da 40 a 100 cm. dall’acciottolato, che corrisponde all’incirca alla<br />
quota 0 rossa, ritrovati frammenti ceramici da cucina in biscotto e due grossi frammenti di<br />
tazze con motivi a , un frammento di boccale e alcune ossa di animali non<br />
combuste; a cm. 80-100, uno spesso strato carbonioso con ceramica da cucina, vetrini e<br />
carboni.<br />
Allungato il saggio in , sotto l’acciottolato trovata una monetina di<br />
Pio VII (1800-1823), che può rappresentare un relativo a<br />
quell’acciottolato; a cm. 100 uno strato renoso biancastro, a cm. 130 uno strato grigio<br />
compatto sul quale poggia il muro delle scale (da notare infatti che l’intonaco del<br />
102
103<br />
campanile in quella faccia, arriva all’incirca proprio a quell’altezza; tra le scale ed il muro<br />
di base all’arcate del chiostro c’è uno strato di riempimento rossastro, resosi necessario per<br />
il livellamento della trincea operata per posare il detto muro.<br />
Tra i due strati tra cm. 120 e 130 rinvenuti frammenti ceramici in ferraccia e blu<br />
cobalto (XV-XVI sec.); a cm. 160, accanto al muro del campanile, frammento ceramico<br />
rinascimentale (I e II metà del XVI sec.).<br />
Nel saggio H-H1 i reperti ritrovati sotto l’acciottolato coprono un periodo che va<br />
dagli inizi del XVI agli inizi del XIX sec., con un termine per l’acciottolato<br />
di inizio XIX secolo.<br />
Nella ripulitura del settore , ritrovato a contatto dell’acciottolato, forse<br />
proveniente da crolli sovrastanti oppure da caduta di intonaci cui erano serviti da<br />
, un frammento di tazza decorata a (XVII secolo), simili a<br />
quelli ritrovati nel saggio , un elemento architettonico in nenfro con motivi scolpiti<br />
ad intreccio, un’ansa di boccale con tratteggio in manganese e ramina, un fondo tazza con<br />
motivo ad in manganese.<br />
Inoltre sono stati ritrovati colature e globi di fusione di rame ossidato in verde e<br />
frammenti ceramici tardi (XVII-XVIII) forse utilizzati come .<br />
Con la ripulitura del settore si è messa in luce una porta di comunicazione,<br />
in seguito murata, ed una fontana a edicola con vasca di raccolta e cannello in pietra<br />
scanalato.<br />
Sopra il parapetto della vasca era stata murata una lastra di marmo bianco venato<br />
con solco per grappe di unione: evidente riutilizzo.<br />
Nel settore ritrovati, durante la ripulitura, oltre a numerose pianelle e<br />
coppi anche interi, pezzi di intonaco giallognolo con strisce orizzontali rosse, come ancora<br />
si vedono in alcuni ambienti soprastanti del Romitorio, segno che anche in quel settore del<br />
chiostro esistevano degli ambienti sovrastanti.<br />
Rilevante il ritrovamento, tra i crolli, di un lumino da tavola (tavolozza o leggio), in<br />
ferro ed un concio di tufo scalpellinato per imposta d’arco del chiostro.<br />
Al fine di verificare l’esistenza o meno di un condotto per il deflusso dell’acqua dalla<br />
fontanina ad arco, fino alle vasche arcuate sottostanti, è stato effettuato un saggio nel<br />
settore contraddistinto con .<br />
E’ stata scelta quest’area di anche perché in quel punto mancavano dei<br />
mattoni del pavimento; infatti a pochi centimetri dal piano di calpestio ritrovata una<br />
canaletta con muratura in pietrame ricoperta da uno strato di argilla, forse per evitare<br />
infiltrazioni di acqua.<br />
103
104<br />
A cm. 10 dal massetto di rena e calce per l’allettamento del pavimento in mattoni,<br />
sono stati rinvenuti 5 frammenti di ceramica invetriata pertinente ad una ciotola ed un<br />
frammento di forma chiusa in in blu cobalto (II metà XV, I metà XVI<br />
sec.).<br />
argilloso <br />
grigio<br />
rossastre.<br />
Stratigrafia<br />
Centimetri 3<br />
______________________<br />
______________________ mattoni rettangolari;<br />
“ 6<br />
“ _____________________<br />
1 ______________________ massetto rena-calce;<br />
cenere e suolo bruciato;<br />
“ 10 - - - - - - - - - - - - - - - - - - - argilla o impasto argilloso<br />
renoso cotto rossastrro;<br />
“ 30 strato scuro di humus;<br />
_____________________<br />
///////////////////////////////////// terreno reno-<br />
///////////////////////////////////// vergine bianco-<br />
///////////////////////////////////// con striature<br />
Tra lo strato argilloso cotto e quello scuro humico ritrovati fram. ceram. II metà XV<br />
secolo.<br />
A 20/25 cm. dal pavimento sotto lo strato rosso cotto, sono stati ritrovati framm.<br />
ceram. con blu cobalto del XV sec. e ramina-manganese del XIV secolo.<br />
A 30/40 cm. con un’ansa larga in biscotto.<br />
Settore <br />
In questo settore è stata riportata alla luce l’angusta scala con volta a botte che<br />
immetteva in un pianerottolo, dal quale si sarebbe dovuto accedere, forse tramite gradini<br />
in legno, al porticato sottotetto, relativo agli ambienti conventuali del II piano.<br />
104
105<br />
I gradini della scala, sono risultati sconnessi, ed erano formati da mattoni in taglio;<br />
in qualche punto sostituiti da blocchi più o meno squadrati di pietra.<br />
Settore (ripulitura)<br />
Ritrovati nella prima metà del settore , dei frammenti ceramici relativi alla II<br />
metà del XV sec.<br />
Presentano della malta attaccata, segno del loro riutilizzo come rincocciatura di<br />
intonaco in una delle fasi di costruzione o ricostruzione del Romitorio, quella appunto<br />
documentata, dopo il 1462.<br />
Settore (ripulitura e saggio)<br />
Questo settore occupa la parte posteriore dell’ambiente .<br />
A contatto dell’acciottolato ritrovate numerose medagliette ovali fuse in mistura di<br />
rame (bronzo) con doppio appiccagnolo, pertinenti ad una o più corone da rosario, che<br />
forse erano a corredo di una statua lignea raffigurante forse la Madonna dei Sette Dolori.<br />
Infatti su quasi tutte le medagliette è rappresentata al dritto appunto la Madonna<br />
dei Sette Dolori ed al rovescio 7 scene della vita di Gesù; inoltre poco distante a 20 cm.<br />
dall’acciottolato è venuto alla luce un bel diadema di vaghi di ferro e intarsi di rame con<br />
ancora incastonati 5 ovali di ametista dei 7 originari, a simboleggiare anche questo<br />
ornamento del capo i 7 Dolori.<br />
Un chiodino di rame ancora inserito nella parte terminale del diadema, ci ha<br />
convinti della sua appartenenza ad una statua lignea di Madonna.<br />
Ritrovati inoltre, sempre in questa piccola area, un crocefisso di metallo con i<br />
simboli della Passione di Cristo e una perlina celeste forata.<br />
Tra il materiale di crollo, ritrovato anche un cucchiaio, una colata circolare di<br />
piombo ed un calamaio di vetro, integro, con stampigliate le lettere AN.<br />
Al fine di accertare anche in questo settore la consistenza degli strati sottostanti<br />
l’acciottolato, è stato fatto un saggio esplorativo in , dove l’acciottolato sembrava<br />
sconnesso o avvallato; a circa cm. 60 dall’acciottolato ritrovato terreno vergine e argilloso<br />
di colore grigio; sopra di esso un vespaio di pietre arrossate da percolazione di acqua<br />
ferruginosa (che interessa anche tutta l’attigua area ) coperto di uno strato di circa<br />
5 cm. in media di massetto di malta rena-calce, su cui poggia l’acciottolato di calpestio. Il<br />
saggio non ha restituito reperti.<br />
Settore (ripulitura e saggio F)<br />
105
106<br />
Tra il materiale di crollo ritrovato un mattone romano triangolare con solcature.<br />
Il piano di calpestio di questo settore è composto da uno spesso massetto di impasto<br />
biancastro composto di rena e calce, situato sopra un vespaio poggiante sul terreno<br />
vergine.<br />
Un apposito saggio è stato effettuato per accertare la consistenza di<br />
eventuali stratificazioni in questo settore considerato la parte più antica del complesso<br />
monastico della Trinità.<br />
sterile<br />
vene<br />
Il saggio non ha restituito reperti.<br />
Stratigrafia saggio <br />
- - - - - - - -- - - - - - - - - -<br />
centimetri 6/8 massetto di rena e calce<br />
“ ----------------------------------<br />
biancastro;<br />
5/10 vespaio di pietre;<br />
----------------------------------<br />
/////////////////////////////////////// terreno argilloso<br />
////////////////////////////////////// con presenza di<br />
////////////////////////////////////// silicee.<br />
(N.B.) Questo massetto gettato in unica soluzione ricopriva sul lato sud-est una<br />
canaletta per l’acqua (ferruginosa), costruita in mattoni rettangolari di buona cottura legati<br />
con malta.<br />
E’ stato inoltre accertato in questo settore che il muro di riempitura, forse a<br />
sostegno degli archi in peperino (la differenza tecnica costruttiva faceva ritenere<br />
quest’ultimi di più antica costruzione, forse alto medievale), risulta poggiante sul plancito<br />
o terreno vergine, al di sotto quindi del massetto bianco di calpestio che invece gli è<br />
sovrapposto.<br />
Ciò fa ritenere che detto massetto è posteriore sia alla esecuzione degli antichi archi<br />
in conci di peperino, sia al posteriore muro di riempitura o di sostegno di quegli archi.<br />
106
Sepolture<br />
107<br />
Durante l’esecuzione dei lavori ed in particolare nel seguire il tracciato di vecchi<br />
fognoli da riutilizzare, previa rimozione di terra e radici, per lo smaltimento delle acque<br />
piovane dell’area del chiostro, sono venute alla luce alcune sepolture cristiane a fossa, prive<br />
di suppellettili (da notare che tra il terreno superficiale sopra il fognolo è stato<br />
ritrovato un fermaglio d’argento, forse pertinente ad una sepoltura sconvolta dai lavori di<br />
scavo per il fognolo).<br />
Di quella rinvenuta nel saggio abbiamo già parlato, le altre sono state<br />
ritrovate nell’area antistante la Chiesa della Trinità.<br />
Saggio <br />
Alcune sepolture, sconvolte dai lavori per la costruzione del<br />
fognolo di scolo , erano poste per lungo tra le fondamenta della Chiesa ed il<br />
suddetto fognolo, ad una profondità di cm. 265 dalla quota nera e cm. 80 dalla quota del<br />
pavimento della Chiesa della Trinità; altri due teschi giacevano a quota 325 cm. ed erano<br />
reclinati di lato in senso contrapposto.<br />
Queste sepolture sono sicuramente posteriori alla costruzione dove sorge ora<br />
l’attuale Chiesa della Trinità, in quanto le ossa di una mano erano appoggiate alle<br />
fondamenta.<br />
C’è da rilevare che la Chiesa della Trinità è stata costruita previo livellamento di un<br />
terreno in pendio, quindi su di un pianoro artificiale e ciò spiega anche il fatto che le sue<br />
fondamenta risultano molto profonde, proprio per la necessità di poggiarle sul masso<br />
compatto del terreno vergine grigio-rossastro, ad una profondità di circa cm. 180<br />
dall’attuale livello di pavimento della chiesa e cm. 365 dalla quota nera.<br />
Anche le mura attualmente interrate risultano intonacate fino a cm. 245 quota nera.<br />
Anche questo indizio avvalora l’ipotesi di un più antico livello di pavimentazione<br />
sottostante l’attuale e di conseguenza un più basso livello di calpestio esterno.<br />
Quindi la piazzetta antistante, costituente il Sagrato, è stata realizzata con terreno di<br />
risulta ed i fognoli hanno in parte sconvolto le preesistenti sepolture.<br />
Nel saggio , tra gli 80/100 cm. dall’attuale livello di calpestio, sono stati<br />
ritrovati resti di inumati e due frammenti di ceramica riferibili al XIV secolo.<br />
Circa l’orientamento delle sepolture, non è stato rilevato alcun criterio uniforme;<br />
prevalgono tuttavia le giaciture sud nord.<br />
Saggio <br />
107
108<br />
Anche nel saggio D e D1, le due sepolture (A e B) venute alla luce giacevano in<br />
posizione contrapposta su differenti livelli, ma entrambe sottostanti al fognolo .<br />
La prima sepoltura (A), integra, in posizione supina e braccia incrociate sul petto,<br />
aveva le estremità inferiori inglobate in un muro di recinzione dell’area claustrale in pietra<br />
e malta bianca; costruito quindi in epoca posteriore alla sepoltura e forse coevo dei fognoli,<br />
nell’ambito di una generale ristrutturazione del complesso monastico e dell’area claustrale.<br />
Nella pittura su tela raffigurante le tenute della Camera Apostolica di Bernabeo<br />
LIGUSTRI del 1609, si vede chiaramente delineato l’Eremo della Trinità ed il tracciato del<br />
muro di recinzione di cui trattasi, sotto il quale giacevano le ossa delle estremità inferiori<br />
della sepoltura .<br />
Il saggio è stato effettuato seguendo un criterio stratigrafico, rilevando i<br />
dati più significativi.<br />
Partendo da una quota (nera) posta in quel punto a circa 150 cm.<br />
dall’attuale livello di calpestio, è stata delimitata un’area di cm. 200x150 e quindi sono<br />
stati operati dei tagli orizzontali successivi di circa 10 cm. ciascuno.<br />
- - - - - - - - - - - - - - quota (nera);<br />
cm. 150 livello di calpestio attuale;<br />
-------------------------cm.<br />
180 staterello biancastro con calce;<br />
--------------------------- framm. cer. (ferraccia, manganese, ramina).<br />
cm. 213 corrispondente alla parte superiore esterna del fognolo ,<br />
una monetina e framm. ceram. Fondo ciotola motivo a cuore verde ramina. Altro con<br />
tratteggi interni in manganese (XIV sec.), frammento forma chiusa con linee manganese e<br />
tracce ramina (XV) simile ad altro frammento ritrovato a quota 200.<br />
-------------------------da<br />
cm. 225 a 250 Ossa umane di sepolture più superficiali sconvolte dai lavori del<br />
fognolo o del muro recinzione.<br />
---------------------------cm.<br />
260 Scheletro integro di cristiano inumato con braccia incrociate sul<br />
petto. A contatto del teschio un framm. ceram. medievale. Accanto al bacino un framm. di<br />
boccale con ramina diluita, manganese e ferraccia, attribuibile al XIII/XV sec.; lunghezza<br />
della sepoltura circa 170 cm.<br />
---------------------------<br />
108
109<br />
cm. 270/280 Dopo la rimozione della sepoltura, nello strato immediatamente<br />
sotto, framm. ceram. d’uso non invetriati e in biscotto grigio, altri invetriati, tra cui la parte<br />
carenata di una tazzina decorata con fasce ramina ed il fondo di boccale invetriato. Tra i<br />
frammenti non invetriati uno è di impasto nero ingubbiato di tipo protostorico.<br />
cm. 280/290 (cioè circa 20/30 cm. sotto lo scheletro) uno strato di circa 10<br />
cm. di fine sabbia, verosimilmente ivi depositata da acque di scorrimento. Ciò fa supporre<br />
che in origine, comunque in un periodo anteriore alla realizzazione della spianata con terra<br />
di riporto per l’erezione della Chiesa, è corsa dell’acqua che trascinava con sè della sabbia<br />
fine che si depositava negli avvallamenti del terreno. Da rilevare che in concomitanza di<br />
questa sepoltura, nel muro di recinzione del chiostro c’è l’arco in mattoni, nel cui livello<br />
all’altezza dell’imposta d’arco, come abbiamo visto trattando del settore , è stato<br />
ritrovato un framm. ceram. attribuibile al XIV secolo.<br />
Siccome in antico quell’arco doveva servire per permettere la fuoriuscita dell’acqua,<br />
anche piovana, dall’area del chiostro, è da ritenere che quello strato di sabbia fine di cui si<br />
tratta, sia dovuto appunto a questo scorrimento.<br />
- - - - - - - - - - - - - - - - -<br />
cm. 300 trovato terreno vergine grigiastro.<br />
Dalla stessa area del saggio , opportunamente allargata, proviene un’altra<br />
sepoltura (B) deposta in senso contrario all’altra, ossia con la testa a nord e piedi a sud.<br />
Giace in un livello superiore di cm. 15/20 rispetto alla sepoltura , cioè a quota 245.<br />
Questa sepoltura, contrariamente a quella , che è stata rimossa e trasportata<br />
al Palazzo Camerale per porla nel civico museo, dopo rilievi e foto, è stata ricoperta e<br />
lasciata in sito.<br />
Nella terra di copertura, a contatto con lo scheletro, ritrovato un framm. ceram.<br />
biscotto un bianco con ramina.<br />
Lo strato sottostante la sepoltura è composto da terreno rossastro e grigio<br />
più compatto, entro il quale è stata scavata la fossa.<br />
A quota 295 di questo strato, trovati ancora framm. ceram. in biscotto ed un<br />
elemento di ferro.<br />
La sepoltura presentava il cranio fratturato nella parte del setto nasale, forse a causa<br />
della pressione del terreno sottoposto a continuo calpestio e le braccia incrociate;<br />
presentava un dente canino sovrapposto e ciò ha fatto supporre la sua identificazione con il<br />
leggendario , eroe popolare dell’omonima rievocazione storica<br />
109
110<br />
romanzata della seconda metà del XV secolo di Antonietta KLITSCHE de la GRANGE, in<br />
cui si descrive la sepoltura appunto di e sua madre all’Eremo della Trinità.<br />
All’epoca in cui fu scritto questo romanzo storico (II metà del XIX sec.), poteva<br />
ancora esistere una biblioteca o archivio conventuale, tra i cui documenti o memorie<br />
tramandate potrebbe esservi stato anche quello relativo appunto alle sepolture<br />
sopradescritte.<br />
Una firma di Antonietta KLITSCHE de la GRANGE, ritrovata sopra la parete di un<br />
ambiente superiore del Romitorio e datata 1874 5 febbraio, testimonia la frequentazione<br />
del luogo da parte della scrittrice.<br />
Abbreviazioni bibliografiche<br />
Ennio Brunori<br />
Cat I= Catalogo Mostra Documentaria .<br />
La Chiesa della SS. Trinità nella tradizione eremitica agostiniana salvaguardia e<br />
recupero, a cura della Ass. Archeologica A. Klitsche de la Grange - Allumiere 1987.<br />
Cat. II= Catalogo II Mostra Documentaria , a<br />
cura della Ass. Archeologica A. Klitsche de la Grange - Allumiere <strong>1991</strong>.<br />
Graf. Ang.= Elaborato grafico a cura di Angioni Sandro<br />
Crusenio=N. Cruesen, Monasticon Autustinanium, Münich 1623.<br />
Giordano di Sassonia=Liber vitasfratrum Ediz. Arbesman 1943 (scritto circa il 1357)<br />
Enrico D. Friemar = Tractatus de origine et progressu ordinis fratrum eremitarum<br />
et de vero ac proprio titulo eiusdem. Ediz. Arbesman 1956 (scritto all’incirca il 1334).<br />
Landucci, 1657 = Ambrogio LANDUCCI, Sacra Leccetana Selva Roma 1657<br />
110
1983<br />
111<br />
Corteselli-Pardi 1983 = Mario Corteselli/Antonio Pardi, Corneto com’era, Tarquinia<br />
Falzacappa= Pietro Falzacappa (1788-1875), Iscrizioni lapidarie di Corneto, Archivio<br />
Ms. F.F.24 - Archivio Soc. Tarquiniense d’<strong>Arte</strong> e <strong>Storia</strong>.<br />
Annovazzi 1853= Vincenzo ANNOVAZZI, <strong>Storia</strong> di Civitavecchia, Roma 1853.<br />
Mignanti, Mignanti/Morra 1936 = Filippo Maria MIGNANTI, Santuario della<br />
Regione di Tolfa-Memorie storiche a cura di Ottorino Morra, Roma 1936<br />
D. Klitsche= Daniela KLITSCHE ANNESI, Pro-memoria, ms. senza data (1960-<br />
1970?)<br />
Polidori= Muzio Polidori, Croniche di Corneto, Tarquinia 1977 (trascrizione dal ms;<br />
1673/1683)<br />
Bonasoli = Tommaso Bonasoli, Notizie della Religione Agostiniana e della Provincia<br />
Romana, ms. 1782 - Archivio Generale Agostiniano<br />
Chiricozzi 1990, Pacifico Chiricozzi. Le Chiese delle Diocesi di Sutri e Nepi nella<br />
Tuscia meridionale, Grotte di Castro 1990<br />
Ant. Klitsche= Antonietta Klitsche de la Grange Ed.<br />
Paoline Vicenza 1965 (II ediz.)<br />
111
112<br />
RESTAURATI I MOSAICI COSMATESCHI<br />
NELLA BASILICA DI S. MARIA IN CASTELLO<br />
E’ nota a tutti, Soci e lettori del Bollettino, l’attenzione rivolta in questi ultimi anni<br />
dal nostro Sodalizio alla chiesa di Santa Maria in Castello, unanimemente dichiarata il<br />
maggior monumento del nostro Centro Storico e della città in generale. E come, per<br />
realizzare questo impegno, siano state spese, grazie anche e soprattutto alla Cassa di<br />
Risparmio di Civitavecchia, notevoli somme di denaro perché la basilica mariana<br />
riprendesse quel ruolo goduto in passato.<br />
La cerimonia pubblica, avvenuta due anni fa, con la presenza del cardinale Sergio<br />
Guerri, del Presidente della Cassa di Risparmio di Civitavecchia, dott. Vittorio Enrico Tito,<br />
e di molte altre autorità, compreso il popolo fedele, è valsa a tener desto l’interesse affinché<br />
di volta in volta si potesse dare all’occhio dei turisti, ma più a quello della nostra gente, la<br />
sensazione che il monumento da salvare e ripristinare non era altro che quello voluto dai<br />
nostri avi che impiegarono quasi cento anni di lavoro per innalzare ai fastigi della storia<br />
una fede e un amore che non hanno avuto l’eguale.<br />
Seguendo perciò questa doverosa attenzione, la <strong>Società</strong> Tarquiniense d’<strong>Arte</strong> e <strong>Storia</strong><br />
ha inteso voler dare inizio ai lavori di restauro del pavimento di mosaici cosmateschi, che<br />
rappresentano la parte più delicata e costosa di tutta l’opera di risanamento, effondendo<br />
quasi tutte le proprie risorse, con l’aiuto di altri Enti e privati della nostra città, fino a<br />
portare a termine un primo lotto: vale a dire l’altare basilicale, il presbiterio e il transetto<br />
che hanno visto brillare, grazie alla perizia della Ditta Medici Paolo & F. di Roma, lo<br />
splendore cromatico delle antiche pietre e delle antiche decorazioni. Ed è doveroso a<br />
questo punto dare atto alla generosità del Lions Club di Tarquinia, dell’Associazione Pro<br />
Tarquinia, del Centro Studi Cardarelliani, dei Soci signori Asquini Cambon Letizia, Pottino<br />
Guido, Savino Oberdan, Eusepi Bruno, Grispini Galatà Lidia e dell’Impresa edilizia di Luigi<br />
Lenzo.<br />
Non altri.<br />
Né è da tacere il fatto che il nostro Sodalizio ha sollecitato la Soprintendenza alle<br />
Antichità dell’Etruria Meridionale a scandagliare il substrato del tempio alla ricerca di<br />
112
113<br />
testimonianze che accertassero la presenza di quello che veniva chiamato in epoca remota<br />
il Castel di Corneto, probabile insediamento etrusco. E così infatti è stato. Lo scavo<br />
stratigrafico in trincea, avvenuto da personale specializzato, ha dato il risultato previsto:<br />
sotto le basi della chiesa di S. Maria in Castello sono state rinvenute strutture risalenti ad<br />
epoca villanoviana.<br />
Non appena le condizioni stagionali lo permetteranno, lo scavo verrà ripreso in<br />
modo da chiarire la posizione e la funzione di questo castello, ignorato perfino dallo storico<br />
romano Tito Livio che ne ha nominati soltanto due a presidio e difesa dell’antica città di<br />
Tarquinia, la Civita appunto: precisamente i castelli di Cortuosa e Contenebra, volti uno a<br />
nord e l’altro a sud-est del territorio.<br />
Ma al di là di queste testimonianze storiche che avranno bisogno di tempo e di<br />
studio per acclarare tutto un passato ancora sepolto sotto i nostri piedi, la <strong>Società</strong><br />
Tarquiniense d’<strong>Arte</strong> e <strong>Storia</strong>, avrebbe il desiderio di completare il restauro di tutto il<br />
pavimento cosmatesco della basilica: il che verrà a richiedere notevoli somme di denaro, se<br />
si considera che la parte restaurata, la quale rappresenta una parte di tutta l’opera, è<br />
venuta a costare oltre 56 milioni di lire.<br />
Se ci fosse sostegno da parte di tutti i cittadini e delle pubbliche Amministrazioni<br />
che governano il territorio, e principalmente degli Enti finanziari che amministrano tutta<br />
l’economia della nostra città e con notevoli profitti, si potrebbe nel breve giro di pochi anni,<br />
ancor prima del millennio che ci separa dalla posa della prima pietra, far sì che la basilica<br />
di S. Maria in Castello non solo potrebbe rappresentare un punto fisso nel prestigio<br />
turistico e artistico della nostra città, ma soprattutto un ritorno alla funzionalità di un<br />
edificio sacro che meriterebbe di essere officiato alla alla stregua di tutti i residui templi<br />
che sono sopravvissuti al tempo e alla distruzione.<br />
A conclusione di questa breve nota di cronaca perché resti documentata negli annali<br />
con esatta datazione, vorremmo far notare ai Soci e ai lettori che la ripulitura e il restauro<br />
dei resti dell’altare basilicale (demolito in buona parte dal vescovo di Corneto Cardinale<br />
Paluzzi Altieri per ornare la sua dimora romana) ha rimesso in piena luce un distico latino<br />
che corre su due lati delle architravi e che, a un’attenta lettura, rappresenta un modo di<br />
poetare in versi baciati, con qualche anticipazione su quel modo di poetare, tanto per citare<br />
un esempio, che ebbe in Jacopone da Todi uno dei maggiori esponenti. Basti pensare al<br />
suo . Lo si pubblica in versi alternati perché ci si accorga di quanto<br />
detto.<br />
+VIRGINIS ARA PIE<br />
113
114<br />
SIC EST DECORATA MARIE<br />
QUE GENUIT CHISTUM<br />
TANTO SUB TEMPORE SCRIPTUM<br />
ANNO MILLENO CENTENO<br />
SEXTO ET AGENO<br />
OCTO SUPER RURSUS<br />
FUIT ET PRIOR OPTIMUS URSUS<br />
CUI CHRISTUS REGNUM<br />
CONCEDAT HABERE SUPERNUM.<br />
AMEN.<br />
Che tradotto in lingua corrente, vuol tramandare il nome del priore Orso che fece<br />
eseguire l’opera dell’altare basilicale da Guido e Giovanni, marmorari romani. Esso dice:<br />
.<br />
Oltre a ciò, sono ritornate alla luce altri marmi con scritte latine, dato che tutto il<br />
materiale marmoreo venne sottratto ai cimiteri etruschi e romani, per essere riciclati e<br />
riutilizzati per le opere musive di tutta la nostra basilica che Vincenzo Cardarelli definì, in<br />
una sua accorata poesia, .<br />
A noi cittadini dunque spetta di proteggere dalla rovina e dall’incuria questo sacro<br />
sito anche per ridargli quell’aspetto maestoso che ancora emana dall’alto sperone che lo<br />
sostiene.<br />
Bruno Blasi<br />
CHIESA DI SANTA MARIA IN CASTELLO<br />
IN TARQUINIA<br />
Analisi Storico-Critica. Anno 1983<br />
La Chiesa di Santa Maria in Castello a Tarquinia, fu iniziata nel 1121 e ciò è provato<br />
dalla lapide esistente ancora nell’interno presso la porta maggiore, scritta in caratteri gotici<br />
che tradotta significa: . Tuttavia è molto<br />
probabile che un’altra chiesa di S. Maria preesistette già nel luogo stesso, dove fu fondata<br />
114
115<br />
quella attuale, confermato ciò da un documento citato da numerosi studiosi come il Porter,<br />
il Pardi, il Dasti etc...., nel quale si sottopone alla giurisdizione del Vescovo di Toscanella<br />
.<br />
Ed infatti sia la prima che la seconda Chiesa sorsero sopra un alto dirupo, che<br />
prospetta la valle del Fiume Marta ad ovest. Non ci è giunto il nome dell’architetto, ma<br />
sembra che il disegno dell’edificio, o almeno la direzione di esso, si debba attribuire ad un<br />
prete del luogo, di nome Giorgio, che insieme all’altro, prete Panvino, priore della nuova<br />
Chiesa, dopo Guido, ce ne tramandò la memoria scolpita in marmo in versi rimati leonini.<br />
Infatti la si può leggere sull’architrave del portale principale, che fu splendidamente ornato<br />
nel 1143 dai maestri marmorari romani dei Cosmati.<br />
Tradotti quei versi, dalla costruzione intralciata ed oscura, hanno in sostanza il<br />
seguente significato:
116<br />
Questa grandiosa chiesa è formata da un rettangolo lungo circa 45 metri, e largo<br />
circa 23 metri, (Dasti Luigi - vedi nota bibl.). Ha tre navate terminate da tre absidi con<br />
dieci archi per lato, e relativi piedritti con colonnine. Ad eccezione delle absidi coperte da<br />
semicupole, e lo spazio centrale delle navate, sormontata precedentemente da una cupola<br />
su pennacchi, (Artur Kingsley Porter, Lombard Architecture) ma ora ricoperta con tetto<br />
di legno, la chiesa è coperta con volte a costoloni innalzate su piani approssimativamente<br />
retti. Il sistema è alternato, così che due campate delle navate laterali corrispondono ad<br />
una singola campata della navata centrale. L’altare unico, isolato su quattro gradini, è<br />
coperto da un ciborio sorretto a sua volta da quattro colonne, ed un fonte battesimale<br />
composto da una vasca ottagonale cui fanno da ornamento marmi rari e svariatissimi. Lo<br />
stile delle cornici, delle decorazioni e delle lastre quadrate di alabastri senza fasce, né<br />
intarsi di tessellato, fa concludere che il battistero sia anteriore al secolo XI e provenga<br />
dalla primitiva chiesa che era sul luogo.<br />
Il pavimento a mosaico, che si conserva attualmente in circa metà dell’originario,<br />
secondo il parere del professor Carlo Boibo deve attribuirsi . Vi fu anche una cupola ardita e<br />
bellissima nel centro della navata maggiore, ma purtroppo andò distrutta. Secondo Carlo<br />
Promis, è stata la prima cupola ad essere innalzata nell’Italia centrale. Era di forma<br />
leggermente ellittica nella parte inferiore, e traforata da sei archi, fra i quali sorgevano<br />
altrettanti piedritti per reggere una specie di tamburo di poca altezza. E’ esistita fino al 26<br />
Maggio 1819, quando un violento terremoto ondulatorio distrusse in un momento l’opera<br />
durata per secoli. (Agincourt, <strong>Storia</strong> dell’<strong>Arte</strong> dimostrata con documenti. Ediz. di Prato<br />
del 1828. Memorie Falzacappa) Sono indicati in più luoghi gli artefici, che lavorarono in<br />
questa chiesa. eseguì i lavori della facciata. Nel grande arco<br />
della cornice, che sormonta la porta, è incisa a semicerchio in due linee la seguente<br />
iscrizione ritrovata da Giovanni Battista De Rossi: .<br />
Nella finestra a doppio arco marmoreo retto da una colonnina nel mezzo, è scritto<br />
che il lavoro di opera tessellata cosmatesca di porfidi serpentini e giallo antico qui esistenti,<br />
fu fatto da . Il ciborio fu costruito nel 1168 dai<br />
maestri marmorari romani come può leggersi nel rovescio<br />
dell’epistilio. E su due lati di questo, l’epoca è determinata dall’altra iscrizione metrica che<br />
dice:
117<br />
essendo nuovamente priore Orso, uomo egregio, cui Dio conceda godere il regno eterno,<br />
così sia>>:<br />
Le quattro colonne assai comuni e tozze, che reggono ora il ciborio, sono moderne;<br />
quelle che c’erano anticamente, molto più grandi e belle, perché di verde antico, furono<br />
tolte dalla chiesa nel 1672, dal Cardinale Paluzio Albertoni detto Altieri, vescovo di Corneto<br />
(De Novaes, Elementi di <strong>Storia</strong> dei Sommi Pontefici. Siena, 1803, tomo X) che non<br />
dubitando del consenso almeno tacito del Pontefice Clemente X Altieri, suo parente, fece<br />
trasportare le quattro colonne a Roma, e ne decorò il proprio palazzo (Valesio Cod. Capit.<br />
Memorie Falzacappa). Quaranta anni dopo la costruzione del ciborio fu fatto il pulpito,<br />
ossia l’ambone, che ha data certa e stabilisce con sicurezza l’artefice. . Vi sono poi<br />
all’interno altre interessanti iscrizioni oltre quelle già riportate.<br />
La prima è situata in fondo alla chiesa, a destra entrando, e da essa si rilevano dati<br />
certi della consacrazione avvenuta nel modo più solenne nell’anno 1207.<br />
La cerimonia fu eseguita da dieci Vescovi della Tuscia invitati per questo. L’insegna<br />
di memoria scritta sul marmo ha il seguente significato: .<br />
Nella parte esterna della porta maggiore, lungo lo stipite destro, esiste un’altra<br />
epigrafe pure in versi leonini, meritevole di attenzione, perché dà l’indizio e la prova che<br />
nella chiesa di Santa Maria di Castello furono portati, non si sa in quale epoca, i corpi di<br />
quattro martiri cristiani: . L’epigrafe dice<br />
così: .<br />
In seguito la chiesa decadde dal suo originale splendore e fu abbandonata, non<br />
appena dopo il Medioevo si spense la egemonia principale. Infatti nel 1435 il Papa Eugenio<br />
IV toglie a Santa Maria di Castello la Collegiata, e la Chiesa comincia a decadere nel 1566; il<br />
Comune, vi chiama i padri carmelitani i quali, per dissensi sorti fra di loro, ben presto<br />
l’abbandonano. (Cronache ms. del Polidori Vol. I). Nel 1569 era già sconsacrata ed<br />
117
118<br />
abbandonata che il Vicario generale di quel tempo, visitandola, ordinò che si<br />
.<br />
(Relazione della Visita Vescovile del 1569 pag. 24 esistente nella cancelleria del<br />
Vescovato).<br />
Per ciò il Vescovo Bentivoglio nel 1583 procurò che il Comune cedesse la Chiesa ai<br />
padri Conventuali: ciò fu fatto nel 1585. (Epistolario dell’arch. Comunale, memorie<br />
Falzacappa).<br />
Nel giro di circa due secoli dopo i padri conventuali custodirono la Chiesa, ma la<br />
deturparono nella sua parte antica e monumentale con altari posticci nelle navate e nelle<br />
Absidi, con l’aprire e chiudere finestre e porte in perfetta disarmonia col primitivo genere<br />
di architettura.<br />
Dal 1809 fu nuovamente abbandonata per la soppressione dei Padri conventuali<br />
ordinata da Napoleone I.<br />
Il terremoto del 1819 ne fece cadere la cupola.<br />
Per molti anni lasciata aperta al pubblico con le macerie della cupola ammucchiate<br />
nel centro della navata maggiore, fu deturpata da ogni tipo di profanazione.<br />
Più tardi il Vescovo cardinale Velzi, grazie ai sussidi del Comune e dei privati, fece<br />
costruire un tetto nel punto dove esisteva già la cupola e, ripulita la chiesa dalle macerie, ne<br />
restaurò le porte per impedire almeno ulteriori degradazioni, poiché i marmi del mosaico<br />
venivano rubati sempre più. Quindi nel tempo dell’occupazione francese dal 1849 al 1869<br />
la Chiesa, con il consenso dell’autorità ecclesiastica, venne ridotta a Caserma per i soldati<br />
francesi, che avevano il merito di difendere la Santa Sede.. Questi ultimi oltre ad avere<br />
adoperato le loro baionette per scavare e rompere i mosaici, staccarono dall’ambone una<br />
delle quattro colonnine marmoree e la gettarono sotto terra in un punto dove fu ritrovata<br />
per caso un anno dopo. Nel 1857, giunto a Corneto, il Papa Pio IX accolse benevolmente la<br />
proposta dei rappresentanti della città e decretò che la Chiesa fosse restaurata nella sua<br />
forma antica e annoverata tra i monumenti pubblici di antichità.<br />
In seguito a questo decreto furono eseguiti da quel periodo in poi lavori successivi di<br />
riparazione nell’ intento di rimettere la Chiesa nel suo stato originale ed in varie epoche<br />
fino al 1870 il Ministero del Commercio e lavori pubblici del governo del lavoro pontificio<br />
vi impiegò la somma complessiva di L. 10.937.137.<br />
Dopo l’unione d’Italia in un solo regno, il governo con disposizione del 10 Luglio<br />
1875 riconobbe la Chiesa di Santa Maria di Castello come monumento pubblico nazionale e<br />
si dichiarò disposto ad assegnare i fondi occorrenti per il completamento del restauro e per<br />
118
119<br />
la sua conservazione. Nel 1878 fu compiuto il restauro ad opera del governo e del<br />
Municipio.<br />
Attualmente la chiesa è chiusa al culto; le chiavi sono tenute da un custode<br />
comunale che ha l’incarico di aprirla e farla vedere a chiunque desideri visitarla. (DASTI.<br />
Notizie storiche arch. di Tarquinia e Corneto - Roma 1878).<br />
Esaminando la pianta si può notare la quasi perfetta ortogonalità esistente tra fronte<br />
e fianchi, (dal rilievo da noi eseguito risulta che la collaterale destra rispetto al fronte<br />
principale è leggermente inclinata). Buono è l’allineamento dei muri di perimetro e la<br />
regolarità di successione dei contrafforti. Questa precisione nel tracciato non si riscontra<br />
per il piazzamento delle strutture interne; qui forse il costruttore (ma più probabilmente i<br />
costruttori) si trovò nella necessità di adottare gli elementi portanti a dimensioni obbligate<br />
di lunghezza e larghezza e pertanto i pilastri furono allungati od accorciati allo scopo di<br />
ottenere la serie: pilastro cruciforme - arco, pilastro con semicolonna - arco, pilastro<br />
cruciforme ecc. (Pardi - Nuovi rilievi della chiesa di Santa Maria di Castello in Tarquinia<br />
Riv. Palladio anno 1959) la più regolare possibile.<br />
Si può notare ancora l’imperfetto tracciamento dei piloni ad eccezione dei primi<br />
sette di sinistra e dei primi tre di destra a partire dalla facciata. Per ciò che riguarda<br />
l’alzato, anzi meglio la configurazione architettonica, l’interno dell’edificio dà al primo<br />
sguardo l’impressione di essere costituito da una unica navata coperta da volte a crociera.<br />
La visione delle collaterali è del tutto impedita dai grossi pilastri allineati su linee<br />
divergenti verso il centro; si ha così la sensazione che le ultime campate e l’abside siano più<br />
vicine al reale.<br />
La superficie semi cilindrica formata dalla successione delle coperture è conclusa<br />
dal catino absidale.<br />
Le piccole campate delle navate laterali sono tracciate su una serie di rombi. Secono<br />
il Porter che si occupò del monumento, la costruzione deve essere stata terminata sin dal<br />
1150, mentre la consacrazione avvenne soltanto nel 1207.<br />
E’ certo che l’edificio, nei cinquantasette anni intercorrenti tra le due date, subì<br />
rimaneggiamenti in seguito al crollo di buona parte delle strutture, ad eccezione, forse, di<br />
due terzi della navata sinistra oltre alla parte centrale e sinistra della facciata e dei pilastri a<br />
pianta regolare. (Pardi - opera preced. cit.).<br />
Tali differenze, però, non possono invariabilmente essere ascritte a crolli seguiti da<br />
ricostruzione, bensì più convincentemente, al cambiamento di maestranze susseguitosi<br />
nello spazio di 86 anni, fra il 1121 ed il 1207.<br />
(Pardi - nota de la chiesa di S. Maria di Castello Bollet. STAS 1975).<br />
119
120<br />
Che il terreno sia stato interessato da continui fenomeni di cedimento verificatosi in<br />
corrispondenza della collaterale nord est è indicato dai filari di pietra che si inclinano verso<br />
terra se, guardando la facciata, si procede da sinistra verso destra.<br />
Altri indizi di avvenuti crolli seguiti da ricostruzione sono rappresentati dalla<br />
mancanza di omogeneità e di simultaneità costruttiva, tra le pareti della fronte<br />
corrispondenti alle navate centrali e sinistra e la parte sinistra e la parte destra che sembra<br />
aggiunta. E’ da notarsi inoltre la diversa posizione della finestra al di sopra dei due portali<br />
minori: quella di sinistra impostata più in basso dell’altra. (Pardi opera citat. Preced.).<br />
La facciata principale è divisa in tre parti da paraste; originariamente la parte<br />
centrale era più alta delle altre. Era senza dubbio intenzione dei costruttori finire tutti e tre<br />
gli intercolumni con una cornice orizzontale, ma quella dell’intercolumnio centrale non fu<br />
mai eseguita o fu distrutta.<br />
La cornice orizzontale doveva essere sormontata da un muro che seguiva<br />
l’inclinazione dei tetti, come si può vedere nel muro settentrionale della chiesa. Più tardi,<br />
senza dubbio durante il XVII secolo, fu aggiunto il campanile a vela, ad ovest e la parte<br />
sinistra di divisione della facciata divenne così più alta di quella centrale. Nello stesso<br />
periodo un inutile muro di mascheramento fu eretto sopra la parte destra della facciata.<br />
(A.K. Porter, Lombard Architecture New Haven Vol. II 1916).<br />
La chiesa secondo lo schema attuale, consiste in un organismo di architettura<br />
romanica lombarda offrente volte sostenute da costoloni ricadenti su pilastri cruciformi e<br />
polilobati. I primi esempi di consimili coperture si ritrovano nei seguenti organismi:<br />
a) - S. Pietro di Casalvolone (Novara), chiesa consacrata nel 1118 o 1119.<br />
b) - S. Giulio di Dulzago (Novara), consacrata fra il 1118 e il 1148.<br />
c) - Duomo di Novara consacrato nel 1182 e l’innalzamento delle volte di S.<br />
Ambrogio in Milano nel 1125.<br />
d) - Duomo di Novara consacrato nel 1182 e l’innalzamento delle volte di S.<br />
Ambrogio in Milano nel 1125.<br />
Sulla base di siffatta comparazione credo essere difficilmente sostenibile che, fin dal<br />
tracciamento dell’impianto, si sia inteso esemplare la Chiesa di Santa Maria di Castello<br />
secondo l’attuale composizione. Infatti a mio avviso è necessario lasciare un congruo lasso<br />
di tempo fra l’epoca di innalzamento delle coperture di prime grandi basiliche romanicolombarde<br />
e quelle delle volte di Tarquinia. (Pardi - vedi cit. prec.).<br />
Anche Richard Krautheimer ritiene che le volte della suddetta S. Maria siano<br />
posteriori almeno al 1143, anno in cui fu finito il portale principale e nel quale,<br />
conseguentemente, i lavori dovevano riguardare l’ulteriore innalzamento della facciata; ad<br />
120
121<br />
essa in permanente sono appoggiate le colonnine di sostegno delle volte e le volte stesse<br />
insieme ai relativi costoloni a sezione quadrata.<br />
In conclusione, sembra ragionevole distanziare le coperture di Tarquinia di una<br />
ventina di anni rispetto a quello di S. Ambrogio in Milano. La Chiesa di S. Maria però<br />
possiede anche volte sorrette da costoloni a sezione rotonda: siffatto tipo di costolone,<br />
compare in Italia verso il 1136-1132 alla chiesa Cistercense di S. Benedetto di Vallalta.<br />
Quelli di Tarquinia, secondo la Fraccaro ed il Porter, apparterrebbero ad una ricostruzione<br />
del 1190, dovuta alla necessità di procedere ad estese riparazioni dell’edificio.<br />
Si può osservare che in tutti i pilastri della Chiesa le colonnine diagonali sono state<br />
installate senza malta mediante il semplice intaglio delle murature: ciò è deducibile<br />
dall’ampia fessura tra le attuali colonnine e le facce dei pilastri cruciformi. Essi non hanno<br />
mai posseduto simili elementi costruttivi, cioè sono soltanto infate dentro gli angoli interni<br />
dei pilastri stessi. Sembra, pertanto, di dover dedurre che le colonnine in discussione<br />
vennero installate secondo quando si trattò di provvedere la Chiesa di volte a crociera<br />
costolonata che dal Krautheimer è stato indicato come rotante verso il 1143. Secondo<br />
questo ultimo, la Chiesa dal 1121 al 1143, sarebbe stata progettata per essere coperta da una<br />
grande volta a botte; dal 1173 al 1174, l’organismo fu trasformato in senso stilisticamente<br />
lombardo con le attuali volte a crociera costolonata; mentre per il Pardi, non si saprebbe<br />
dove individare la struttura resistente, atta ad assorbire la fortissima spinta esercitata sui<br />
muri laterali da una volta di questo tipo sulla navata centrale. Inoltre, osservando la<br />
posizione dei tetti sopra le navate laterali, si può notare che ciascuna falda taglia le finestre<br />
appartenenti ai muri della navata centrale nonché la parte inferiore del rosone.<br />
Poiché le suddette finestre sono assegnate dal Porter al XVII secolo, secondo Pardi<br />
sembra di poter assumere che l’attuale falda è posteriore all’epoca di costruzione delle<br />
finestre stesse; quindi, qualora si volesse riportare in piena luce rosone e finestre, la falda<br />
del tetto dovrebbe essere abbassata ad una pendenza massima del 14%. Il Porter pensa che<br />
le navate laterali dovessero essere in origine coperte quasi in piano: ma una pendenza<br />
tanto modesta non assicurerebbe il buon deflusso dell’acqua piovana. Tuttavia all’esterno,<br />
circa a metà altezza dei muri delimitanti la navata centrale, vi sono tracce di una serie di<br />
fori disposti fittamente su una linea orizzontale, praticati evidentemente non per sostenere<br />
una impalcatura - perché sarebbero più distanti e più grandi - bensì la piccola orditura di<br />
un tetto.<br />
Si potrebbe pertanto ritenere che i fori rappresentino il margine superiore<br />
dell’antico tetto che ricopriva le navate laterali: ma ricostruendo l’inclinazione partendo<br />
dalla linea di gronda che deve per forza costituire un punto fermo, essendo ornata di<br />
121
122<br />
cornice e di fregio ad arcatelle lombarde, otteniamo una pendenza di circa il 46%, dato dal<br />
tutto inaccettabile quale caratteristica di un tetto appartenente ad un edificio ubicato in<br />
una zona dal clima mite.<br />
Non resta quindi che ritenere che le tracce debbano essere riferite ad un terzo tetto,<br />
a suo tempo imposto al di sopra della piatta copertura delle navate laterali: provando a<br />
disegnare la falda con pendenza parallela alle attuali coperture, si ottiene una sezione<br />
offrente, al di sopra delle navate laterali, due ambienti di altezza interna minima pari a<br />
circa metri 1,70, altezza confacente alla agibilità degli stessi ambienti.<br />
Sembra abbastanza logico a questo punto che l’osservazione ricavata dalla lettura<br />
diretta del monumento configuri l’esistenza di due matronei o gallerie al di sopra delle<br />
navate laterali.<br />
(Pardi opera citat. prec.).<br />
A questa supposizione vi è arrivato anche l’Apollony che nel suo libro<br />
ne dà una possibile restituzione grafica. Ulteriori elementi<br />
possono essere chiamati in causa a favore di siffatta raffigurazione. Anzitutto, si può<br />
produrre la scaletta esistente nel muro, circa a metà della navata laterale destra tuttora<br />
adducente a livello delle coperture: essa per i paramenti murari si rileva essere coeva al<br />
monumento medievale e quindi è escluso che possa trattarsi di un inserimento posteriore.<br />
Inoltre, essendo stata ricavata nel muro su cui poggiano i pilastri, colonnine parietali e<br />
volte, deve essere stata costruita o prima insieme al muro stesso e non dopo l’innalzamento<br />
delle volte a crociera pertinenti alle navate laterali.<br />
In conclusione, secondo Pardi, la scaletta fu installata prima del 1143, prima ancora<br />
dell’innalzamento delle volte e, per tale ragion, essa non può essere stata costruita che per<br />
assolvere alla funzione di addurre i fedeli dalle navate al superiore matroneo.<br />
Tuttavia, la presenza di una sola scaletta induce a domandarsi come si potesse<br />
raggiungere la galleria di sinistra: ma esaminando all’esterno la zona absidale, si vede che<br />
la possibilità di un passaggio fra l’una e l’altra navata a livello di un probabile matroneo,<br />
non solo esiste, ma forse si è tentato anche di darle concreta realizzazione. Infatti la parete<br />
di testata della navata centrale è spostata, rispetto alle corrispondenti pareti di testata delle<br />
navate laterali di circa 60 cm. in avanti, cioè verso il fronte; inoltre dalle citate pareti<br />
concludenti la navata laterale, si elevano due muri, con pendenza obbliqua, i quali devono<br />
essere i resti della facciata absidale della chiesa. E’ da escludere, in ogni caso, che detti<br />
muri siano due contrafforti sia perché non sono collegabili, in quanto arretrati, alle pareti<br />
di perimetro della navata centrale sia perché sono anche staccati dalle pareti di perimetro<br />
122
123<br />
stesse, mediante un taglio regolare che sembra indicare la posizione di alcune finestre<br />
probabilmente disposte in serie. Da queste osservazioni ricaviamo le seguenti conclusioni:<br />
a)- i due muri a pendenza obbliqua non sono due contrafforti bensì i resti della<br />
facciata posteriore della chiesa.<br />
b) - I due muri stessi fissano le quote originarie delle falde di copertura.<br />
c) - I tali regolari che li staccano dalle pareti di navata centrale individuano le<br />
finestre illuminanti il percorso collegante la navata laterale sinistra a quella destra.<br />
d) - Il suddetto percorso doveva svolgersi nello stretto spazio pari a circa 60 cm.,<br />
situato tra la faccia posteriore e la parete di testata delle navate centrali: il percorso in<br />
questione scavalcava il semicatino absidale attraverso due rampe, lievemente inclinate<br />
secondo l’estradosso del semicatino stesso.<br />
Ulteriori prove e deduzioni sono riscontrabili sui paramenti murari della navata<br />
centrale in cui si può cogliere circa a metà altezza della Chiesa, un lieve arretramento delle<br />
pareti. Tale arretramento nella metà superiore è visibilissimo in corrispondenza del terzo e<br />
del settimo pilastro di destra, nonché del quinto pilastro di sinistra, rispettivamente presso<br />
il primo filare di pietra corrente al di sopra della semicolonna appartenente al pilastro<br />
debole e presso il terzo filare di pietra, sempre sopra la semicolonna negli altri due casi. Ciò<br />
dimostra che la costruzione subì un arresto nel momento in cui giunse al livello sopra<br />
indicato.<br />
Siffatta sospensione dei lavori non può che essere connessa con un cambiamento di<br />
progetto che va relazionato al momento in cui ci orientò verso la trasformazione<br />
dell’organismo in senso romanico-lombardo, con l’innalzamento delle volte a crociera<br />
fornite di costoloni quadrati o rotondi.<br />
Secondo Peroni la volta a crociera abbisogna di una forma di piante piuttosto<br />
regolare; questa necessità si profila soprattutto nel tracciamento di volte a crociera dalle<br />
grandi dimensioni, onde permettere il regolare congiungimento in chiave dei costoloni<br />
diagonali tracciati a semicerchio: mentre nelle piccole volte il relazionamento degli<br />
elementi costruttivi è più arrangiabile. Diventa evidente, allora che, quando in Tarquinia<br />
vennero abbracciate le forme romanico-lombarde fu necessario correggere il difettoso<br />
allineamento dei pilastri della chiesa, al fine di rendere la pianta delle grandi campate di<br />
navata centrale la più vicina possibile al quadrato: ma siffatte correzioni costituiscono una<br />
ulteriore prova per asserire che la versione romanico-lombarda fu cominciata ad essere<br />
attuata soltanto quando era stata già innalzata la metà inferiore dell’ossatura del<br />
monumento.<br />
123
124<br />
Occorre, inoltre e finalmente, esaminare l’elemento architettonico che rappresenta il<br />
dei numerosi problemi presentati da S. Maria in Castello: la semicolonna<br />
apposta frontalmente al pilastro intermedio o debole.<br />
Il Krautheimer esclude che essa servisse a concorrere alla portata di una volta a sei<br />
costoloni, mentre non sembra convincere l’ipotesi del Porter che essa svolgesse funzioni di<br />
controspinta nei confronti delle volte insistenti sulle navate laterali. Tutto ciò premesso<br />
sembrerebbe di dover intanto osservare che, se nella prima fase di costruzione della chiesa<br />
si previde di realizzare un matroneo in corrispondenza delle navate laterali, sarebbe stato<br />
di conseguenza impossibile installare una volta a botte, munita di sottarchi al di sopra della<br />
navata centrale, dal momento che siffatta copertura avrebbe completamente otturato le<br />
aperture, verso la navata, del matroneo stesso.<br />
Il matroneo pertanto, e nel caso del tempio tarquiniese, è incompatibile con la volta<br />
a botte nonché con i sottarchi sostenenti la volta stessa: si conclude conseguentemente che,<br />
in presenza di due gallerie sulle navate laterali, le semicolonne dei pilastri intermedi o<br />
deboli non potevano assolvere che funzioni decorative. Si ritiene inoltre che le semicolonne<br />
di cui sopra siano frutto di un’addizione effettuata dopo il 1143, non solo perché esse<br />
recano uno sviluppato capitello di stile romanico-lombardo, ma anche perché le soluzioni<br />
architettoniche proposte dalla loro presenza sono troppo legate all’espressione offerta da<br />
più insigni monumenti milanesi e pavesi.<br />
A questo punto sulla base degli argomenti svolti si può fare una ricostruzione della<br />
possibile forma della Chiesa tra il 1121 e il 1143.<br />
Occorre, innanzitutto, espellere dalla fabbrica tutti gli elementi stilisticamente<br />
romanico-lombardi e invece aggiungere sulle navate laterali i due matronei: si ottiene una<br />
chiesa divisa alternatamente da pilastri forti e deboli, i primi a sezione cruciforme e<br />
sviluppati superiormente in archi attraversanti la navata maggiore e sostenenti il tetto, i<br />
secondi invece con sezione a T.<br />
In corrispondenza delle navate laterali figurerebbe un matroneo a solaio ligneo,<br />
sostenuto dalla fitta rete di archi traversali, insistenti sulle navate laterali medesime. Tra il<br />
1143 ed il 1174 vennero aggiunte colonnine diagonali per ricevere la ricaduta dei costoloni<br />
delle volte a crociera nonché le volte a crociera stesse; ai pilastri deboli furono applicate le<br />
semicolonne, da sviluppare superiormente in arcate di inquadratura delle aperture del<br />
matroneo verso la navata centrale; intorno al 1190, si ricostruirono due volte crollate e si<br />
abolì contemporaneamente il matroneo sulle navate laterali probabilmente perché si<br />
reputò di robustire le pareti di perimetro attraverso il tamponamento con pietra da taglio<br />
delle aperture verso la navata centrale del citato matroneo. Inoltre si provvide a costruire<br />
124
125<br />
una serie di forti speroni esterni riconosciuti dal Porter come di aggiunta posteriore,<br />
speroni che in parte restano ed in parte lasciano visibilmente tracce della loro avvenuta<br />
instaurazione in corrispondenza delle pareti della navata centrale.<br />
Infine tra il 1190 e il 1207 fu innalzata la cupola poggiante coi pennacchi su quattro<br />
snelle colonnine apposte presso gli angoli interni dei pilastri nel momento in cui ci si<br />
orientò verso la costruzione della cupola suddetta.<br />
Quest’ultima, è composta da pennacchi sferoidici, da archi a sesto acuto e da quattro<br />
colonnine diagonali le quali hanno un diametro in cm. 26, a differenza delle altre il cui<br />
minomo diametro è di cm. 34; inoltre esse sono sormontate da capitelli di stile gotico e non<br />
romanico.<br />
Il De Angelis D’Ossat, nel suo articolo sulla ha stabilito che la<br />
calotta di Tarquinia appartiene alla stessa famiglia di quelle toscane, peraltro coeve, del<br />
Duomo e della Chiesa di S. Paolo a Ripa d’Arno in Pisa, nonché della Cattedrale di Siena;<br />
anzi egli restringe l’inserimento e addirittura, l’ideazione della calotta stessa tra il 1174 -<br />
data di un trattato di alleanza tra Tarquinia e Pisa - ed il 1207, data della consacrazione<br />
della Chiesa.<br />
Deve essere conseguentemente escluso che la cupola sia stata progettata sin<br />
dall’inizio dei lavori: al contrario si deve ritenere che - prima del 1174 - al posto della<br />
cupola in questione dovesse essere eretta una volta a crociera provvista di costoloni, uguale<br />
in tutto alle altre insistenti sulle restanti quattro campate dell’edificio (Pardi - bol. Stas 1975).<br />
Bibliografia<br />
Arch. Mario Augusta<br />
Apollonj-Ghetti Bruno M, Architettura della Tuscia Tip. Poliglotta, Roma 1960.<br />
Dasti L. Notizie Storiche archeologiche di Tarquinia e Corneto. Tip. dell’Opinione,<br />
Roma 1878.<br />
G. De Angelis D’Ossat, La distrutta cupola di Castello, Palladio I-IV 1969.<br />
Pardi R. Nuovi rilievi della chiesa di Santa Maria in Castello in Tarquinia Riv.<br />
Palladio Anno 1959.<br />
Pardi R., La chiesa di Santa Maria in Castello, Bollet. Stas 1975.<br />
Porter A.K., Lombard Architecture, New Haven Yale univ. Press. vol. II 1916.<br />
Raspi Serra J. Tuscia Romana, Electa editrice Milano.<br />
125
126<br />
Seroux D’Agincourt G.B.L.G., <strong>Storia</strong> dell’arte architettura, ed. di Prato 1828.<br />
Introduzione al Convegno su Giovanni Battista Marzi<br />
Chi è GIOVANNI BATTISTA MARZI? Perché abbiamo voluto ricordarlo e<br />
riproporlo all’attenzione della gente con particolare riferimento a quelli che ?<br />
Io credo che i tarquiniesi che sanno chi è, dove e quando è nato, cosa ha dato alla<br />
umanità, dove ha concluso la sua vita terrena, si possono contare sulle dita di una mano.<br />
Non tanti di più ne troveremmo tra gli italiani tutti. Anche e soprattutto perché i nostri<br />
dizionari, compresi quelli di maggior fama e prestigio, riportano dati inesatti. GIOVANNI<br />
BATTISTA MARZI non è nato a Roma nel 1860 ma è nato a CORNETO (oggi TARQUINIA)<br />
il 3 agosto 1857 ed è morto a Roma il 16 giugno 1928 e non nel 1927.<br />
La soddisfazione di poter contribuire a correggere il duplice errore unitamente alla<br />
conferma del riconoscimento di un primato che appartiene al nostro illustre concittadino -<br />
è questo il motivo che più conta - sono alla base del Convegno che la SOCIETA’<br />
TARQUINIENSE d’ARTE E STORIA, gelosa custode dei valori cittadini in qualsiasi campo<br />
espressi, ha voluto degnamente celebrare. Perché GIOVANNI BATTISTA MARZI è<br />
l’inventore, il creatore, del primo CENTRALINO TELEFONICO AUTOMATICO che sia<br />
stato conosciuto ed applicato nel mondo. Luogo della prima sperimentazione, gli Uffici<br />
della Biblioteca Vaticana. Una testimonianza più religiosa e più indiscutibile non si<br />
potrebbe trovare. S.S. LEONE XIII fu così il primo Pontefice che ne fece uso. Gli altri che si<br />
sono occupati con successo di questa materia, sono arrivati molto più tardi. Infatti,<br />
soltanto tre anni dopo (nel 1889) un americano, ALMON B. STROWGER di Kansas City,<br />
brevettò un apparecchio che somigliava a quello del MARZI ed ancora più tardi, nel 1892,<br />
si ebbe il pratico funzionamento della prima Centrale Automatica (Indiana - Stati Uniti).<br />
Come spesso accade nella vita degli uomini, non sempre chi ha seminato riesce a<br />
raccogliere il frutto delle proprie fatiche.<br />
126
127<br />
Tante invenzioni, nate nel nostro paese grazie all’ingegno della nostra mirabile<br />
gente, sono finite in mani altrui per un insieme di circostanze che non sempre si riesce a<br />
capire. Così è accaduto a GIOVANNI BATTISTA MARZI che non seppe o non volle o non<br />
riuscì o non credette opportuno e necessario far valere il suo indiscutibile primato, quel<br />
primato che costituisce appunto lo scopo fondamentale del Convegno, che la terra dove<br />
nacque tenacemente e fermamente persegue per quel senso di gratitudine e di giustizia che<br />
merita e che gli deve essere riconosciuto.<br />
Ma il genio di GIOVANNI BATTISTA MARZI non si esaurisce con l’invenzione del<br />
Centralino Telefonico Automatico. Va ben oltre! Ed ecco arrivare, uno di seguito all’altro,<br />
la prima trasmittente radio con trasmettitore microfonico a ricambio automatico, il<br />
bersaglio elettromagnetico, il telegoniometro elettrico a base orizzontale ed il telefono<br />
altisonante con relative conseguenti applicazioni, alcune delle quali investono l’intero<br />
settore della Marina Militare. Un’altra virtù si rivelò nel nostro concittadino: la conoscenza<br />
perfetta della lingua latina (si laureò nella Regia Accademia di Amsterdam), che gli<br />
consentì, più tardi, di dettare l’epigrafe della corona di alloro offerta alla salma del Milite<br />
Ignoto nella solenne tumulazione sotto l’altare della Patria il 3 novembre 1921.<br />
Ci troviamo quindi dinanzi ad una delle figure più belle, più nobili, più interessanti<br />
della nostra gente, una delle creature che, col proprio ingegno, col proprio lavoro, spesso<br />
tra difficoltà, incomprensioni e gelosie di ogni genere, seppe onorare, sulla via dell’umano<br />
progresso, non soltanto la terra natia ma l’Italia per la quale nutrì sempre un amore<br />
profondo. La PATRIA! Così era solito chiamarla. Quell’amore, privo ormai del grande<br />
significato dei tempi passati, sta scomparendo nel cuore degli italiani per i quali la PATRIA<br />
e già chiamata PAESE. E noi di Tarquinia dobbiamo essere fieri ed orgogliosi di aver<br />
contribuito con un genio di casa nostra al progresso dell’umanità grazie ad un uomo che<br />
avrebbbe potuto crearsi una invidiabile fortuna e che morì invece povero e dimenticato.<br />
Giuseppe Santiloni<br />
Presidente <br />
SOCIETA’ TARQUINIENSE D’ARTE E STORIA<br />
TARQUINIA<br />
Per le realizzazioni dei programmi della <strong>Società</strong>, tendenti a porre nella giusta e<br />
doverosa collocazione quei nostri concittadini che, nel campo delle scienze, dell’arte, della<br />
127
128<br />
letteratura, della religione e della storia, hanno reso onore e gloria alla nostra città, avrà<br />
luogo quest’anno il<br />
CONVEGNO<br />
su<br />
GIOVANNI BATTISTA MARZI<br />
Scienziato e Poeta<br />
nato a Corneto il 3.8.1857 e morto a Roma il 15.6.1928, che prevede le seguenti<br />
manifestazioni:<br />
SABATO 12 Ottobre <strong>1991</strong> nella Residenza Comunale:<br />
ORE 16.00 - Saluto del Sindaco e del Presidente della <strong>Società</strong><br />
Tarquiniense d’<strong>Arte</strong> e <strong>Storia</strong>.<br />
ORE 17.00 - In Piazza San Giovanni:<br />
Scoprimento della lapide in memoria di Giovanni<br />
Battista Marzi.<br />
DOMENICA 13 Ottobre <strong>1991</strong>, nella Sala Sacchetti, Sede Sociale della S.T.A.S.<br />
ORE 10.00 - Conferenze sul tema:<br />
VITA ed OPERE dell’Elettrotecnico Giovanni Battista<br />
Marzi.<br />
Le Autorità civili, militari e religiose, i Soci del Sodalizio, i cittadini<br />
tutti, sono vivamente pregati di partecipare al Convegno.<br />
TARQUINIA, li 5 ottobre <strong>1991</strong><br />
IL PRESIDENTE<br />
Bruno Blasi<br />
Interverrà la banda G. Setaccioli diretta dal Maestro Bruno Benedetti.<br />
IL SALUTO DEL SINDACO GIOVANNI CHIATTI<br />
Debbo confessare che non conoscevo, prima di questa occasione questo personaggio<br />
così importante per la nostra città: Giovanni Battista Marzi scienziato, poeta e patriota. E<br />
come me anche tanta parte della nostra cittadinanza. E’ un onore ed un piacere quindi, per<br />
me oggi, dare il benvenuto a tutti voi che siete venuti a Tarquinia per partecipare a questo<br />
Convegno, che ha come scopo quello di riproporre e di spiegare l’importanza di questo<br />
128
129<br />
nostro concittadino all’opinione pubblica non solo tarquiniese ma dell’intera Italia.<br />
Tarquinia, ha tra i suoi figli, molte grandi personalità, oggi ufficialmente a queste, si<br />
aggiunge quella di Marzi, un uomo al quale la nostra nazione deve molto per le sue<br />
invenzioni e per le sue intuizioni nel campo scientifico.<br />
INTERVENTO DEL PRESIDENTE DELLA SOCIETA’ TARQUINIENSE D’ARTE<br />
E STORIA<br />
Se dovessi cedere a un principio di orgoglio o a un motivo di personale<br />
soddisfazione, dovrei ascrivere al mio passato di pubblico amministratore un vanto: quello<br />
cioè di avere intestato, nel lontano 1958, allorquando ricoprivo la carica di sindaco della<br />
nostra città, una nuova strada, appena alla periferia, al nome di Giovanni Battista Marzi.<br />
Devo però ammettere allo stesso tempo la mia scarsa conoscenza riguardo alla genialità di<br />
questo nostro concittadino intorno alla sua invenzione del telefono automatico, giacché la<br />
mia cultura nel campo elettronico si era fermata a quella che ci veniva insegnata nella<br />
scuola: che cioè l’invenzione del telefono apparteneva a un italiano, Antonio Meucci, che<br />
dovette ricorrere altrove per affermare quella sua scoperta.<br />
Siccome ebbi poi occasione di leggere su di una rivista l’invenzione di Giovanni<br />
Battista Marzi che aveva messo in opera all’interno della Città del Vaticano un primo<br />
impianto del telefono in maniera automatica, dovendo perciò dedicare nuove vie nel centro<br />
abitato, feci deliberare dal Consiglio Comunale la dedicazione di una via al nome di questo,<br />
almeno per me, illustre sconosciuto, quale era a quel momento il Marzi. Allora non ci<br />
furono cerimonie, né pubbliche, né private, nell’apporre una targa di marmo.<br />
Né avendo senso profetico, potevo minimamente immaginare che a distanza di<br />
quasi un quarantennio, avrei dovuto interessarmi di una manifestazione pubblica, come si<br />
sta facendo oggi, in onore del suo nome, che è passato alla storia, oltre che per la prima<br />
automazione del telefono, anche per l’invenzione di strumenti per la Marina Italiana,<br />
alcuni dei quali godono tuttora del segreto militare; e per la sua attività letteraria e poetica<br />
che gli meritò l’alloro della Reale Accademia di Amsterdam.<br />
Mi sovviene di aver sfruttato in seguito il suo nome allor che, vantandomi della sua<br />
invenzione, convinsi il Presidente della SIP, l’allora onorevole Paganelli, a non sottoporre<br />
ulteriormente la nostra città, che aveva dato i natali all’inventore del telefono automatico,<br />
alle lungaggini di un unico centralino che andava sempre più arricchendosi di numeri. E<br />
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130<br />
prima che lasciassi, nel 1960, la carica sindacale, ebbi la fortuna e la soddisfazione di veder<br />
realizzata a Tarquinia la prima centrale automatica del telefono.<br />
Ora, dopo le parole commemorative del Sindaco che ha illustrato, per linee generali,<br />
la figura del nostro concittadino, a me non resta che congratularmi con i congiunti e i<br />
parenti per questa loro illustre ascendenza, e ringraziare e salutare tutti i convenuti che<br />
hanno voluto con la personale presenza partecipare a queste commemorazioni che la<br />
<strong>Società</strong> Tarquiniense d’<strong>Arte</strong> e <strong>Storia</strong>, così come fece in passato per altre personalità, quali<br />
Lawrence, Stendhal e Cardarelli, ha voluto promuovere in onore di Giovanni Battista<br />
Marzi. Perché resti nella memoria e negli annali della città di Tarquinia questa data e<br />
questa commemorazione che noi e i famigliari vogliamo fissare, anche se tardivamente,<br />
nella storia e nel marmo che questa sera verrà scoperto sulla sua casa natale.<br />
IL RINGRAZIAMENTO<br />
Dell’Amm. di Div. Orazio Luigi Marzi<br />
Ringraziamento alla STAS ed al Comune di Tarquinia per questa celebrazione.<br />
Compiacimento per la partecipazione dei familiari, giunti da varie città italiane per<br />
godere di questa giornata dedicata ad un rappresentante tanto insigne della loro famiglia.<br />
SALUTO DELL’ISPETTORE GENERALE<br />
Dr. LUCIANO MARZIANO<br />
in rappresentanza del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali - Ufficio<br />
Centrale Beni Librari e Istituti Culturali<br />
Mi è gradito porgere un cordiale saluto mio personale e del prof. Francesco Sicilia,<br />
Direttore Generale dell’Ufficio Centrale per i Beni librari e gli Istituti culturali del<br />
Ministero per i Beni Culturali e Ambientali che avrebbe voluto essere presente a questa<br />
manifestazione ma inderogabili impegni connessi alla sua carica glielo hanno impedito.<br />
La mia presenza in rappresentanza del Ministero per i Beni Culturali e ambientali,<br />
vuole avere il significato di testimonianza dell’attenzione che lo stesso Ministero porta<br />
verso tutto quanto contribuisce alla crescita di quella memoria storica attraverso la quale<br />
viene a configurarsi l’identità e il destino di una comunità.<br />
E’, oramai, ben noto come siano queste ragioni per le quali negli ultimi tempi si è<br />
avuta una modificazione dell’idea del bene culturale che, da semplice , intesa<br />
questa quale documento visivamente evidente (quadro, statua, architettura, reperto<br />
archeologico, codice, libro ecc.) ha esteso il proprio interesse alla sfera più impropriamente<br />
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131<br />
concettuale. Ne consegue che la salvaguardia, la tutela, la valorizzazione del bene culturale<br />
vanno intese come interessanti anche le Istituzioni che dedicano la propria attività alla<br />
conservazione del patrimonio storico.<br />
Per questi motivi, il Ministero per i Beni Culturali e ambientali nella corretta<br />
estensività della propria competenza, oltre ai beni artistici (Musei, Gallerie ecc.) ai Beni<br />
librari (Biblioteche) intende tutelare e valorizzare l’immenso patrimonio fisico e morale<br />
costituito dalle varie istituzioni culturali fra le quali grande importanza e sicuro prestigio<br />
riveste la <strong>Società</strong> Tarquiniense di <strong>Arte</strong> e <strong>Storia</strong>, la cui attività, mi sia consentito darne<br />
diretta testimonianza, è molto importante e riscuote apprezzati riconoscimenti a livello di<br />
Amministrazione centrale.<br />
La manifestazione odierna dedicata alla figura di G.B. Marzi, conferma,<br />
ulteriormente la funzione positiva di una Istituzione culturale e si inserisce in quel<br />
programma di valorizzazione della memoria locale. Occorre aggiungere, conclusivamente,<br />
come la personalità del Marzi, superando i confini della città natale, nonché, come<br />
acutamente ha ieri sottolineato il sindaco dr Chiatti, le griglie delle varie discipline, ha<br />
apportato un notevole contributo alla cultura nazionale.<br />
E’ con questi sentimenti che mi è gradito augurare pieno successo all’odierno<br />
convegno.<br />
COMMEMORAZIONE<br />
DELL’ELETTROTECNICO G.B. MARZI<br />
INTERVENTO DELL’AMMIRAGLIO FRANCO PAPILI<br />
Sig. Sindaco di Tarquinia, qui presente anche se temporaneamente assente, sig.<br />
presidente della STAS, prof. Fedi, famiglia Marzi qui presente attraverso varie generazioni,<br />
e in varie forme, un particolare saluto a quei congiunti della famiglia Marzi che durante la<br />
II guerra mondiale (ho visto ora i quadri nel palazzo avito) hanno lasciato la loro vita al<br />
servizio della patria. Erano nomi ovviamente noti dalla lettura di storie e fatti d’arme;<br />
adesso ho potuto vedere le loro sembianze. Amici di Tarquinia e in particolare amici<br />
marinai di Tarquinia che ho appreso con piacere, essere numerosi, e questo d’altronde non<br />
mi meraviglia affatto perché tutte le province italiane hanno contribuito a formare nel<br />
tempo, nei secoli vorrei dire, gli equipaggi della marina militare.<br />
L’attuale sistema di reclutamento taglia una sola provincia, Terni, e i marinai di<br />
Terni numerosissimi per la vicinanza con la famosa fabbrica di corazze e di cannoni di cui<br />
avrò modo di parlare, soffrono moltissimo di questo fatto. Non esitano ogni anno a<br />
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132<br />
ricorrere a ministri, a deputati o agli alti gradi dello Stato Maggiore nel tentativo di riavere<br />
che il reclutamento dei marinai raggiunga di nuovo la provincia di Terni, che guarda caso,<br />
faceva capo qui alla Capitaneria di Civitavecchia.<br />
Chiudo questa parentesi per delineare la vita di Gian Battista Marzi (1857-1928) e<br />
inquadrerò la sua vita in quella che è stata, a brevissime linee, a colpi di accetta, la vita<br />
della Nazione ed in particolare quella della Marina Militare al servizio di questa Nazione.<br />
Quando Giovanni Battista Marzi vide la luce in quella che allora si chiamava<br />
Corneto, il Regno d’Italia non era ancora formato: c’era il Regno di Sardegna che<br />
combatteva per l’unità d’Italia e quindi quando nel novembre 1861 si formò il Regno<br />
d’Italia che allora comprendeva l’Italia attuale meno il Triveneto ed il Lazio, che allora era<br />
ancora sotto il papato, ovviamente Marzi non era in condizioni né di intendere né di volere<br />
per la tenera età.<br />
Peraltro sono certo che, a partire da Lissa e da Custoza, G.B. Marzi, che nella sua<br />
autobiografia risulta molto attento a quelle che sono le esigenze della nazione in tutti i<br />
campi, nel campo tecnico e scientifico sarà stato ben in grado di capire quella che era<br />
l’evoluzione di questo regno che nasceva già con ambizioni di potenza medio-grande.<br />
Al momento della sua formazione, la politica estera prevedeva che il nemico numero<br />
uno (io parlo storicamente e quindi non ho alcuna reverenza a pronunciare parole come<br />
nemico, guerra, politica, perché questa conferenza va inquadrata nel periodo in cui si<br />
parlava in questi termini e gli stati, i governi, i monarchi ragionavano in questi termini)<br />
poteva essere considerata la Spagna (non è molto noto) perché veniva considerata il<br />
naturale erede del Regno dei Borboni che sì, aveva lasciato piuttosto precipitosamente,<br />
senza una particolare resistenza tutta l’Italia Meridionale e la Sicilia sia prima ai<br />
garibaldini e poi all’armata del Re, però non aveva trascurato di far presente, e lo fece<br />
presente in tutte le maniere allora possibili (la guerriglia, la corruzione, l’elargizione di<br />
fondi) una intensa volontà di rivincita che praticamente venne a mancare solo quando la<br />
giovane regina Sofia di Baviera, che era il del regime, lasciò questa<br />
terra nel non troppo lontano 1925.<br />
Quindi ecco che agli inizi del Regno è la Spagna più ancora che il secolare nemico<br />
Austria, che condiziona gli orientamenti militari del momento. Cavour era ben convinto di<br />
quello che aveva detto Napoleone che l’Italia sarebbe stata una potenza, o non sarebbe<br />
stata una potenza, ed eccolo quindi prendere quelle decisioni, a tutti ben note in ambito<br />
Marina, come la suddivisione di quello che allora era il Segretario della Guerra e Marina,<br />
assumendo per sè l’incarico di Stato per la Marina, Ministro cioè della Marina (è stato il<br />
primo ministro per la marina che abbiamo avuto anche se per pochi mesi), l’impostazione<br />
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di un programma ambizioso di navi, l’impostazione di quella costruzione che di lì a nove<br />
anni sarebbe stato l’Arsenale Militare Marittimo di La Spezia, concepito nel 1852, sospeso<br />
per la guerra di Crimea, ripreso dopo la guerra di Crimea e assegnato all’allora cap. Chiodo<br />
perché fosse costruito. Chi di voi ha avuto modo di andare a La Spezia, visitare l’Arsenale e<br />
il contiguo Museo Navale, potrà aver visto l’ampiezza della visione che Cavour aveva delle<br />
necessità della Marina come strumento di una nazione marinara. Ma a parte le navi e<br />
l’Arsenale era però necessario formare gli uomini. Tre o quattro marine confluirono in<br />
quella che fu l’Armata Navale: la Marina sardo-piemontese rigidamente organizzata<br />
secondo gli schemi piemontesi,la Marina borbonica più grande, con un regolamento più<br />
moderno se vogliamo, ma meno addestrata perché il Borbone, oltre tutto non gradiva che i<br />
suoi ufficiali viaggiassero molto in maniera che non venissero in contatto con altre civiltà o<br />
altre nazioni e con le democrazie. E naturalmente se da un punto di vista della concezione<br />
politica la Marina ebbe una nascita, dal punto di vista della formazione degli uomini la<br />
ebbe meno. Quindi sono certo che il giovane Marzi, che allora aveva 8/9 anni, quindi era in<br />
grado di intendere, volere e ricordare, fu certamente in grado di percepire, acuto studioso,<br />
intelligenza, precoce, cultore di studi classici, il dramma allora non solo della Marina ma<br />
anche dell’esercito italiano, drammi che si videro chiaramente a Custoza e a Lissa dove gli<br />
uomini provenienti dal sud non si erano ancora amalgamati con gli uomini provenienti dal<br />
nord. Molti incarichi quindi dovevano essere assegnati per motivi politici. E’ ben noto che<br />
il Persano a Lissa voleva come suo Capo di Stato Maggiore il contrammiraglio Anguissola<br />
che aveva conosciuto all’epoca dei fatti di Palermo (1860) (l’ammiraglio proveniva dalla<br />
Marina delle Due Sicilie, la Marina Garibaldina) mentre per ragioni politiche gli fu imposto<br />
il napoletano Edoardo D’Amico, persona degnissima, grande marinaio, ma con il quale<br />
l’ammiraglio Persano, nato a Vercelli, non si prendeva particolarmente anche perché prima<br />
non si erano mai incontrati. E quindi in questa atmosfera il Marzi segue, vive quelle che<br />
sono i primi passi della nazione.<br />
Ho detto politica da medio-grande potenza. Indubbiamente lo fu anche se la politica<br />
estera italiana a quel tempo fu probabilmente oscillante. E’ stata severamente criticata non<br />
solo oggi ma anche allora, però indubbiamente la nazione cercava un suo spazio di vita, un<br />
suo spazio d’azione ed ecco allora che le navi o provenienti dalla marina borbonica o<br />
provenienti dalla marina del Granduca di Toscana, o provenienti dalla marina sardopiemontese,<br />
o alcune addirittura acquisite all’estero, iniziano subito quelle che allora erano<br />
le attività principali di una marina militare, l’attività politico-diplomatica che vedeva le<br />
navi a mostrare bandiera e a rappresentare il governo del Re in tutti i porti del mondo. Può<br />
essere sintomatico pensare che mentre nel luglio del ‘66 aveva luogo l’infausto episodio di<br />
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134<br />
Lissa, quello che poi fu anche discusso in Italia con un autolesionismo degno di miglior<br />
causa, che dette inizio a quello che poi venne chiamato , una nave di S.M. il Re, la , costruita nei cantieri di Livorno e<br />
quindi poi completata sotto l’egida dell’Armata Navale, si trovava nell’agosto del ‘66 a<br />
Tokyo dove il cav. Arminjon comandante della nave, investito dall’incarico di Ministro<br />
plenipotenziario di I classe e ambasciatore straordinario di S.M. il Re, firmava con il<br />
governo giapponese, dopo essere stato ricevuto in udienza, del tutto straordinaria, dal<br />
Mikado (che non riceveva facilmente stranieri) firmava dunque un trattato commerciale e<br />
culturale con il Giappone, il primo stabilito dal neonato Regno d’Italia, e due mesi dopo a<br />
Pechino, dentro la Città Sacra avveniva la stessa cerimonia con l’allora Imperatore della<br />
Cina. Allora erano le navi che portavano non solo la bandiera ma quelli che erano gli<br />
interessi nazionali in tutto il mondo. Oggigiorno si parla alcune volte ingiustamente,<br />
alcune volte con sprezzo , di politica delle cannoniere<br />
ormai finita, ultimata che non deve essere continua. Può darsi che oggi la situazione sia<br />
diversa, sta di fatto che allora la classifica direi, la graduatoria delle nazioni veniva dalla<br />
potenza della loro marina militare in grado di difendere gli interessi nazionali in tutte le<br />
parti del mondo. Già il piccolo Regno di Sardegna aveva mandato navi nella Plata, dove<br />
c’erano numerosi italiani (ci sono anche ora) per difendere gli interessi di quelle popolose<br />
colonie. Già il Regno di Sardegna aveva mandato navi nella Plata, dove c’erano numerosi<br />
italiani (ci sono anche ora) per difendere gli interessi di quelle popolose colonie. Già<br />
il piccolo Regno di Sardegna aveva mandato navi nella Plata, dove c’erano numerosi<br />
italiani (ci sono anche ora) per difendere gli interessi di quelle popolose colonie. Già il<br />
Regno di Sardegna aveva mandato la corvetta Eridano con una macchina della potenza di<br />
150 cavalli giù nel Pacifico fino a Valparaiso e poi fino al Perù perché allora questa era la<br />
politica. Questo era l’ambiente in cui Marzi sviluppò la sua cultura tecnica e la sua cultura<br />
umanistica. Va detto che assieme ad una Marina Militare rinasce subito il problema delle<br />
navi. Non c’è dubbio che Marzi seguì, fu viva parte di quello che allora fu il problema, la<br />
tra uomini del calibro del Riboty (il ministro della rivincita, della<br />
rinascita, della riscossa della Marina Italiana), Saint Bon il vincitore di Porto San Giorgio a<br />
Lissa e Benedetto Brin, uno dei nostri più noti costruttori navali. Ma non va dimenticato<br />
quanto segue: l’eredità di Persano, l’eredità di Lissa, la raccolse Riboty decorato di<br />
medaglia d’oro a Lissa, comandante del . Fu lui che nel 1871, un<br />
anno critico per la Marina Militare, quando il bilancio per la marina scese a 29,1 milioni di<br />
lire (Quintino Sella diceva: ma naturalmente il Parlamento, che<br />
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135<br />
era ben consapevole della necessità per l’Italia di continuare una politica navale malgrado<br />
Lissa, non accettò mai queste sue proposte), nel 1871 dunque, Riboty fece approvare dal<br />
Parlamento la legge che lo autorizzava ad impostare nei cantieri di Castellamare di Stabia e<br />
in quelli di La Spezia le navi da battaglia e . Il Duilio è quello più<br />
famoso perché quando scese in mare nel 1876 con i suoi cannoni da 450 mm (aveva per la<br />
prima volta cannoni in torrette asimmetriche binova), la vicina nazione francese cominciò<br />
a pensare seriamente che in quel momento cominciava per lei un periodo di inferiorità e<br />
corse subito ai ripari.<br />
Dicevo dunque a Riboty va attribuito questo merito. Il progetto della <br />
era ovviamente di Brin allora giovane Ispettore del Genio Navale. Successivamente Brin<br />
divenne Ministro della Marina e da contraltare gli faceva Saint Bon, altra medaglia d’oro di<br />
Lissa, comandante della , il quale da buon Ufficiale di Stato Maggiore<br />
non si lasciava ingannare dall’aspetto guerriero delle navi o dalla potenza delle macchine,<br />
ma ovviamente aveva a cuore il problema dell’addestramento, il problema del personale, il<br />
problema della logistica e quelli della tattica e dell’impiego.<br />
E’l’epoca in cui anche D’Annunzio, allora poco più che ventenne, entra in campo a<br />
favore di Saint Bon contro Brin, scrivendo quel famoso libretto-opuscolo dopo aver passato sette giorni su una nave da guerra che lo aveva salvato in<br />
Adriatico durante una infelice crociera su una barca a vela con un amico. D’Annunzio<br />
chiamava Brin , lo accusava di fare delle navi bellissime e<br />
potentissime sotto tutti i punti di vista, ma una volta che le navi avevano completato le<br />
prove di macchina se ne disinteressava mentre Saint Bon si occupava seriamente di tutto il<br />
resto. Ma allora Saint Bon non aveva i poteri degli attuali Capi di Stato Maggiore, era solo<br />
capo dell’Ufficio di Stato Maggiore che si interessava di pianificazione, attività tattica ed<br />
operativa. Siamo quindi in un momento in cui si sviluppano le navi, si sviluppano le<br />
macchine, le artiglierie ed il Marzi intanto ha ottenuto già i suoi primi successi nel campo<br />
della telefonia. Ovviamente chiamato a fare il servizio militare, siamo nel 1879, viene<br />
rapidamente catturato dal Genio Militare dell’Esercito, provvede di telefoni e collega tra<br />
loro tutte le caserme di Roma e successivamente si dedica a quell’impianto famoso di<br />
telefonia dello Stato della Città del Vaticano di cui oggi sono piene le enciclopedie ed i testi<br />
tecnici. Siamo nel 1880, è un periodo in cui quando alla Camera il 20/2/1880, ministro<br />
Ferdinando Acton, questi informa i deputati che il alle prove di macchina ha<br />
superato abbondantemente i 15 nodi previsti dalle specifiche, interviene Crispi che<br />
propone alla Camera un o.d.g. che dice che la Camera dei Deputati prende, con grande<br />
soddisfazione, nota dei risultati ottenuti in prova dalle macchine del e auspica<br />
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che questa nave porterà ovunque il tricolore nella difesa dei supremi interessi della<br />
nazione. E successivamente poi il entrerà in squadra con il gemello<br />
e poi i vari ministri, che si succederanno, dovranno combattere con la<br />
situazione che in quel momento circondava l’Italia per attuare quella Marina di cui aveva<br />
bisogno il paese.<br />
E’ il periodo in cui Saint Bon, diventato poi ministro dopo Riboty, alternandosi con<br />
Benedetto Brin, pone la questione delle navi. Saint Bon non era insensibile al pericolo<br />
francese. La Francia in quel momento, sfumata la Spagna, era il pericolo numero uno.<br />
C’era il problema della Tunisia, delle migliaia e migliaia di siciliani che vivevano in Tunisia.<br />
Già allora Biserta era considerata una pistola puntata al fianco dell’Italia.<br />
Nel 1864 quando dei tumulti misero in pericolo gli italiani in Tunisia, l’Albini fu<br />
mandato davanti a Tunisi con una squadra, e aveva già a bordo le truppe (altre erano<br />
pronte a Napoli e a Palermo) per, se necessario, invadere la Tunisia. Successivamente<br />
allora la Sinistra criticò aspramente il governo (destra) per non aver occupato la Tunisia.<br />
Successivamente tutti i tentativi furono frustrati quando nel 1881, all’epoca in cui si faceva<br />
la politica (ossia di nessuno), la Francia con il Trattato del Pardo, si<br />
impossessò della Tunisia.<br />
E’ questo il periodo in cui Marzi si interessava sempre di più dei problemi della<br />
Marina Militare, rimane colpito, nella guerra ispano-americana di lì a pochi anni, dal fatto<br />
che le batterie costiere spagnole sono rapidamente vittime delle navi da guerra americane e<br />
concepisce quel sistema che in definitiva si può spiegare così: se io nascondo le batterie<br />
mentre sulla spiaggia metto due uomini con un qualsiasi sistema che mi indichi la<br />
posizione della nave nemica, dalla congiunzione delle due visuali e tenendo presente la<br />
posizione dei due uomini rispetto alla mia posizione dei cannoni con normali risoluzioni<br />
trigonometriche, è possibile puntare i cannoni nella direzione del nemico. Il<br />
Telegoniometro Marzi venne approvato dalla Marina Militare che lo sperimentò a La<br />
Maddalena, piazzaforte che per essere molto vicina alla Corsica, era allora considerata<br />
anche base di prima linea e quindi potentemente rafforzata, difesa da batterie, sbarramenti<br />
ecc.<br />
Ed è del 1890 una lettera del contrammiraglio Federico Labrano, in cui si elogia<br />
appunto il Marzi per i risultati del telegoniometro che potremo chiamare e che successivamente viene non solo elogiato<br />
dal Ministero della Marina ed anche dalla Direzione delle Armi e materiale d’Artiglieria<br />
dell’Esercito cioè dal Tenente Generale Matti che a quell’epoca ne era il Direttore. Nel<br />
frattempo aveva anche sperimentato quei bersagli che, sfruttando l’energia del proiettile<br />
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che li colpiva, potevano segnalare il risultato del tiro stesso. Naturalmente credo che si<br />
riferisse a tiri di armi leggere non certamente a tiri con cannone. Tiri su sagome che<br />
riguardano quindi fucili, pistole, roba di grande interesse non solo per l’Esercito ma anche<br />
per la Marina di allora.<br />
Il tempo passa e si sviluppano le artiglierie là dove i potenti cannoni <br />
avevano aperto una via! Non più cannoni in batteria ma torri corazzate in coperta mosse da<br />
pompe idrauliche, con due canne a caricamento ad avancarica.<br />
Se c’è qualche artigliere qui può avere un’idea di cosa vuol dire ad avancarica:<br />
sparavano praticamente un colpo ogni 12/15 minuti. Il proiettile pesava 907 chili, la carica<br />
di lancio era di 240 chili e la velocità iniziale del proiettile era 500 e rotti metri al secondo.<br />
Oggigiorno i proiettili di artiglieria, anche i grossi calibri ne fanno 1000/900. Comunque, a<br />
parte questo, perché questo proiettile indubbiamente costoso anche per allora, arrivasse a<br />
destinazione, dove era in grado di perforare una corazza di 65cm, bisognava dirigerlo ossia<br />
bisognava imprimere al cannone una direzione, che noi artiglieri come<br />
l’ammiraglio Marzi1) ben sa. Ebbene tutto questo veniva fatto con quella che veniva<br />
chiamata la cioè in un punto centrale il Direttore del Tiro calcolava in<br />
una maniera qualsiasi i dati che poi, attraverso i degli uomini dai polmoni<br />
robusti venivano ritrasmessi al punto centrale che poi li ritrasmetteva ai cannoni dove<br />
degli uomini introducevano questi dati in una maniera qualsiasi nei congegni di punteria.<br />
Ed ecco che Marzi con il risolve questo problema. Adesso<br />
non è nelle mie possibilità tecniche discutere sul come Marzi, che quando seppe che la<br />
marina si approvvigionava all’estero dalla Siemens e da altri, di questi telefoni di cui la<br />
Marina non era soddisfatta, andò a sentire e si accorse che, proprio quando a bordo c’era<br />
silenzio (e a bordo non c’è mai silenzio), questi telefoni altosonanti facevano sentire questi<br />
dati al massimo ad un metro di distanza. Ed allora ecco il suo telefono che sfruttò credo<br />
l’energia meccanica ed è noto che questo sistema messo su varie navi da battaglia di I o II<br />
classe, incrociatori, corazzate etc. attirò anche l’attenzione del Kaiser, il quale durante una<br />
crociera in Adriatico, assistette da 100 metri di distanza ad una sperimentazione del genere<br />
su uno dei suoi incrociatori: questo fatto interessò anche altre Marine straniere, e la notizia<br />
raggiunse anche lo zar che, veleggiando nel mar Baltico, dalle parti dell’allora Reval<br />
(dicono le storie) la Tallin dell’attuale neonata repubblica di Estonia, e volle assistere<br />
anche lui dal suo panfilo ad una manifestazione del genere. Questo è un qualcosa che non<br />
1) Presente nel Salone Sacchetti della SOCIETA’TARQUINIENSE D’ARTE E STORIA c’è anche l’Amm. Div.<br />
ORAZIO LUIGI MARZI al quale l’oratore si riferirà spesso.<br />
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solo contribuì notevolmente all’efficienza dei servizi artigliereschi, ma in alcuni casi rimase<br />
in servizio fino alla II guerra mondiale. Tra le navi che ebbero istallato questo sistema a<br />
bordo, c’era per esempio l’incrociatore corazzato , che forse l’amm. Orazio<br />
Luigi Marzi ha visto. Io non l’ho mai visto, ma come molti ricordano, durante la II guerra<br />
mondiale era a Tobruk e lì salto in aria nel gennaio del ‘41 alla prima occupazione inglese,<br />
non solo ma, e questa credo fu l’ultima opera del Marzi a favore della Marina Militare, a<br />
cavallo degli anni 1910/11 fece istallare sugli esploratori , e<br />
degli speciali telegrafi di macchina. E va detto che l’ultima nave di queste che<br />
lasciò il servizio fu il che nel 1939, declassato e radiato dal quadro del naviglio<br />
militare dello stato, rimase in servizio come nave-caserma per alcuni anni, credo nel porto<br />
di La Spezia.<br />
Questo è grosso modo il quadro di quello che fece G.Battista Marzi nel momento che<br />
la Marina Militare sosteneva la vita della nazione. Ancora cinque minuti per approfondire<br />
qualche cosa del periodo in cui Marzi operava. Nel 1911, in ottobre (sono passati pochi<br />
giorni dall’ottantesimo anniversario che non è stato né celebrato né ricordato nemmeno<br />
inter nos), ma non va dimenticato che tra il 29 settembre del 1911 e la prima decade di<br />
ottobre, la Marina italiana operava, in base alle direttive del governo di allora, il primo<br />
Ministro era G. Giolitti, quelle operazioni di sbarco sulla costa libica (ossia Tripolitania e<br />
Cirenaica) dell’impero ottomano (una Libia ancora non c’era) che rese celebri i<br />
del mare, comandante Cagni, marinai delle compagnie da sbarco, sbarcati<br />
a Tripoli, a Bengasi, a Tobruk, a Misurata, a Derna e la Marina teneva quelle piazze e quei<br />
porti fino all’arrivo dell’Esercito. Era una Marina che in quell’epoca teneva alta la bandiera<br />
e all’occasione anche con il fuoco difendeva gli interessi nazionali. Non dimentichiamo per<br />
esempio all’epoca della dell’1881 (tra Cile, Perù e Bolivia) vinta dal<br />
Cile, al largo delle coste peruviane c’erano tre navi italiane insieme a quelle inglesi,<br />
americane, austriache e germaniche, tutte per la difesa degli interessi delle colonie lì<br />
presenti. La Marina Italiana però era presente con tre navi perché aveva le stazioni navali<br />
di Rio de la Plata, del Sud Pacifico e Valparaiso nel Cile, e della Califormia a San Francisco.<br />
C’era un incrociatore, il comandante Morin ecc. ed avevamo poi la stazione<br />
in Cina e la stazione del Levante. All’epoca della guerra di Libia, ci ritorno, non<br />
dimentichiamo che all’occasione la Marina Italiana sequestrò due piroscafi e resistette a<br />
tutte le minacce francesi quando i francesi, da buoni vicini, rifornivano i Turchi di<br />
munizioni, di fucili ecc. Marzi assistette, probabilmente in rapporti non felici con la Marina<br />
Militare, a quella che è stata la I guerra mondiale, come risulta dalle istorie. In effetti in<br />
quel periodo non ci sono prodotti a favore della Marina Militare; dopo i suoi successi con le<br />
138
139<br />
trasmissioni radiofoniche da Bruxelles a Parigi, risulta che si è dedicato soprattutto ad<br />
apparati radiotelefonici che riguardavano gli aerei; gli aerei allora erano dell’esercito e<br />
della Marina, ma mancava ancora una aeronautica militare. Mi risulta che si è dedicato<br />
soprattutto a questi esperimenti. Successivamente, un po' rattristato perché nel suo<br />
stabilimento di Cornigliano Ligure non aveva più quei successi ed anche la stampa parlava<br />
poco di quello che faceva, probabilmente rattristato negli ultimi anni della sua vita<br />
assistette alla naturale riduzione delle Forze Armate di un paese che esce vittorioso da una<br />
guerra. Ma è motivo di soddisfazione per me pensare che se il Marzi, come tutti noi<br />
dobbiamo ritenere, seguiva ancora attentamente le vicende della nazione, prima di<br />
chiudere gli occhi vide andare per mare quelle che erano le prime unità della rinascita, di<br />
quella marina oceanica che nella visione del governo di allora doveva spezzare quella che<br />
era considerata la chiusa da Suez e da Gibilterra.<br />
Avrei terminato ma devo solo aggiungere alcuni dettagli di colore. Quando Marzi comincia<br />
ad intendere e volere le navi più grosse, in servizio nella marina erano il vascello , le fregate da 3000 tonnellate ed avevano da 32 a 50 cannoni. Erano navi<br />
più corte di 100 metri il che parlando di fregate può ancora andare bene perché<br />
l’ammiraglio Orazio Luigi Marzi ha comandato la fregata che era lunga 93<br />
metri (negli anni’60) ed io ho comandato dopo, negli anni ‘70, il che era<br />
lungo 113 metri. Mentre oggi per le fregate che si sono distinte anche nel<br />
Golfo Persico due e nel Persico uno, e che si sono distinte anche nel Libano quando c’ero<br />
io, sono lunghe 123m; però la tecnologia camminava anche allora e quando nel 1892<br />
(quattrocentesimo anniversario della scoperta dell’America) ci fu la parata navale di<br />
Genova la nave più importante italiana era la che era lunga già 122m. aveva<br />
una potenza di macchina di 16000 cavalli, e faceva 18 nodi contro i 15 del con<br />
un equipaggio di 600 persone. La vita a bordo era dura, era quasi inumana, a quell’epoca<br />
(1863 primo ), una colazione tra le<br />
8/8,30 del mattino, e un pranzo alle 16. Quindi oggi è cambiato notevolmente l’aspetto<br />
sociale della vita militare della marina. Come l’amm. Marzi sa e lo so anch’io, quando<br />
siamo entrati in Marina i marinai si facevano la branda e ogni mattina riponevano la<br />
branda nelle impavesate e fino a che la sera non veniva dato l’ordine il marinaio non aveva di che riposare, al massimo si sedeva per terra. Oggi,<br />
invece, le cuccette permettono a tutti una vita tranquilla.<br />
Non c’era allora il telefono altosonante Marzi e i segnali venivano dati a bordo delle<br />
navi dal in quattro maniere diverse: o con la tromba, o con il fischietto, o<br />
con il fischio (quello dei nostromi) o con il tamburo. Finisco accennando al fatto che Marzi<br />
139
140<br />
non era solo uno scienziato ma un patriota, oltre che uomo di cultura. Mi sia contentito di<br />
leggere in italiano non in latino (Marzi scriveva in latino) una/due strofe di due odi scritte<br />
in occasione di avvenimenti della nostra vita nazionale: (scritta a<br />
Cornegliano Ligure il 5 maggio 1915. Nel giorno 4 D’Annunzio con il discorso sullo scoglio<br />
di Quarto, condizionava l’ingresso dell’Italia nella I guerra mondiale. Il Parlamento era<br />
contrario) Marzi scriveva così: . E nel 1920, in occasione del trasferimento prima in treno poi su traino a<br />
cavalli del Milite Ignoto da Aquileila al Vittoriano, dove si trova adesso, scriveva un’ode<br />
: .<br />
Signori vi ringrazio.<br />
Franco Papili<br />
140
141<br />
Lettere del Legato Vitelleschi ai Priori di Viterbo<br />
Il dott. Antonio Pardi, vice-presidente della <strong>Società</strong> Tarquiniense d’<strong>Arte</strong> e <strong>Storia</strong>,<br />
pubblicò sul Bollettino dello scorso anno 1990, precisamente nel numero 19, dalla pagina<br />
223 e seguenti fino al 229, un suo lavoro dal titolo:<br />
, sintetizzando lo stile e la<br />
maniera con cui il Cardinale era abituato trattare i viterbesi e spillar denaro per far fronte<br />
alle necessità militari della Chiesa contro i propri nemici.<br />
Incuriosito da questa iniziativa, ho cercato di leggere attentamente tutte le<br />
numerose lettere del cardinale Giovanni Vitelleschi, scritte in lingua corrente del XV<br />
secolo, mentre altre furono redatte in lingua latina. E poiché i nostri Bollettini hanno lo<br />
scopo di trattare le storie della nostra città, dei suoi personaggi e del nostro territorio, ho<br />
pensato, d’accordo con il Consiglio Direttivo del Sodalizio, di pubblicare integralmente<br />
tutte le lettere inviate ai Priori di Viterbo, facilitando il lettore con la traduzione di quelle<br />
scritte in latino, una lingua che, disgraziatamente per la nostra cultura, non viene più<br />
studiata nemmeno nei seminari religiosi. Si deve però dire che tutte le lettere, con una<br />
perspicace prefazione dello storico Cesare Pinzi, furono pubblicate nel 1908 dalla <strong>Società</strong><br />
di <strong>Storia</strong> Patria e che si riproducono fedelmente così come furono stampate a quel tempo, e<br />
come si fece, anni fa, con gli , tradotti e curati dal<br />
nostro storico Francesco Guerri.<br />
Mi scuso con i lettori di questo scritto, forse un po' troppo lungo, con la certezza<br />
però di aver portato alla lettura e alla conoscenza dei Soci questo ulteriore documento,<br />
riguardante il nostro conterraneo, a cui la sfortuna e l’invidia tagliarono il cammino verso<br />
un avvenire glorioso che l’avrebbe condotto a tenere, in mani abbastanza salde, le chiavi di<br />
San Pietro.<br />
Come pure ringrazio la socia Lidia Perotti per avermi aiutato in questa realizzazione<br />
storica.<br />
N.B. Tutte le lettere sono presenti nella copia del presente <strong>bollettino</strong> dell’archivio della<br />
S.T.A.S. n.20 (anno <strong>1991</strong>)e possono essere fotocopiate (pagg. 228-283).<br />
141
142<br />
TITTA MARINI<br />
<br />
Titta Marini, il . Oggi, a distanza di dodici anni dalla sua<br />
scomparsa, solo pochi tarquiniesi lo ricordano, quelli che lo hanno più amato e compreso;<br />
indubbiamente non ha lasciato un segno tangibile, ma chi, tirando le somme, come<br />
tarquiniese ha lasciato un segno a Tarquinia, una città che ha sempre prediletto . Giovanni Battista Marini, in arte Titta, nacque a Tarquinia nella Parrocchia<br />
di San Martino il 6 luglio 1902; figlio di agricoltori, non amava la campagna anche se<br />
questa ha lasciato un’impronta sulla sua personalità. Ed è sulla natura che riteniamo<br />
opportuno cominciare l’analisi di questo poeta privo di ogni cultura ma il cui intento di<br />
migliorarsi in ogni momento lo ha portato ad un accettabile livello artistico.<br />
Secondo alcuni ha letto il libro della natura come pochi hanno saputo fare; il<br />
contrasto tra le grandi cose della natura creatrice e delle piccole cose dell’uomo distruttore<br />
è espresso nella poesia considerata da molti la più bella e profonda<br />
anche perché si parla di Tarquinia:<br />
La torre che ti fa da sentinella<br />
con un raggio di luna s’incorona<br />
e sembra in lontananza un’altra stella<br />
Ma appena vedo là nella vallata<br />
nelle strade contorte<br />
le luci del baccano e della morte,<br />
143<br />
sento che più profondo, e guardo in alto<br />
mentre va sempre più precipitando il mondo.<br />
Marini fu costretto a trasferirsi con la famiglia in campagna per lavorare, all’età di<br />
undici anni. Si ritiene che proprio dal suo contatto con la natura siano nate le cosiddette<br />
che si rifanno essenzialmente ad un linguaggio campagnolo oggi del<br />
tutto scomparso. Sono poesie che risentono del passaggio agreste, delle immense distese di<br />
campi di quel tempo dove non esistevano agi e comodità e dove si andava avanti con<br />
spirito di sacrificio e di adattamento. Tra le più rilevanti di questo genere ricordiamo:<br />
Er cornuto scornato<br />
Er re avventato<br />
è sempre stato<br />
quello de scappà via<br />
da la trappola boia ndo’ so’nato.<br />
Prima perà vorrebbe salutà<br />
sti quattro disgraziati<br />
de somari castrati,<br />
co’ un cristere sonoro<br />
de nocciole de persico<br />
e vetriolo<br />
Addio.<br />
145<br />
La lingua con cui Titta Marini ha scritto le sue poesie è senza dubbio la lingua natia<br />
senza forzature. Il prof. Luigi Volpicelli, critico e studioso della poesia del Marini, parla di<br />
.<br />
Secondo il Volpicelli la poesia del Marini era nata nella sua lingua, una lingua che in<br />
ogni caso era da considerarsi italiana; l’italiano naturalmente parlato dal poeta.<br />
Tutti i vari personaggi nelle sue poesie parlano un loro linguaggio che viene adattato<br />
in base al tema e all’epoca (linguaggio bastardo, dei morti, dei pazzi, degli animali ecc.).<br />
L’Hotel Tarconte di Tarquinia metteva a disposizione del poeta le sue sale tutte le volte in<br />
cui si radunavano professori per frequentare corsi di aggiornamento o congressi; qui il<br />
poeta insegnava i diversi linguaggi da lui creati e fatti conoscere da lui stesso nelle varie<br />
scuole di Tarquinia, Civitavecchia, Viterbo, Roma ecc. Nell’opera <br />
furono riportate alcune poesie dialettali, pubblicate o inedite, tradotte direttamente in<br />
lingua italiana o perfezionate adattandole al gusto linguistico; nonostante questo non<br />
persero mai la loro efficacia e il loro scopo, a dimostrazione della tesi portata avanti dal<br />
Volpicelli.<br />
Molti sono i linguaggi ravvisabili nelle poesie di Titta Marini e da lui stesso coniati:<br />
il linguaggio butteresco ( da Truitume,<br />
espressione poi pubblicata anche da Il Popolo firmata da E. Ravel); il linguaggio butteresco<br />
gigante (>);<br />
linguaggio bastardo accademico sul modello del linguaggio di cattedra (Broccoli:
146<br />
piano, ir greppo, pe’piantacce li broccoli cor zeppo. - E se Adamo non ebbe più riposo fu<br />
perché li piantò co’ un altro coso>>.<br />
E se Adamo non ebbe più riposo fu perché li piantò co’ un altro coso>>.<br />
Primo pelo; Lettera fra l’emigrato e la moglie: ; L’Acquacotta;<br />
147<br />
<br />
<br />
<br />
Mentre in Trilussa o Esopo gli animali assumono un aspetto umano quelle di Titta<br />
esprimono i loro pensieri restando animali.<br />
Il linguaggio dei pazzi è rappresentato invece dalla poesia che<br />
descriveremo più avanti.<br />
Si parla anche di come genere di linguaggio del Marini, e considerata<br />
dal Cardarelli come il lato più interessante della sua opera; molti critici erano concordi nel<br />
ritenere che l’originalità della sua poetica avrebbe potuto costituire consiglio al linguaggio<br />
teatrale, offrendo nuove espressioni sceniche. Nel 1968 furono realizzate due opere per il<br />
teatro, e , quest’ultima messa in scena nella<br />
Pineta interpretata dal pittore Santucci con musiche di Biagio<br />
Biagiola.<br />
Abbiamo il linguaggio paesano antico butteresco (che adé, che adé, tutto sto’ gran<br />
girà fin capo ar monno ministri e re e perfinete er papa? Tanto la guerra nun potrà schippà<br />
perché la bomba tonica nun capà!) e il linguaggio toscaneggiante con :
148<br />
poetica. Una poetica densa di ironia, di un sarcasmo dirompente con cui, si ritiene, abbia<br />
voluto celare una certa amarezza e indifferenza nei confronti delle cose e dell’esistenza<br />
umana che egli avvertiva nella sua inutilità, una delusione derivata dal malcostume, dalla<br />
viltà, dall’ignoranza, dai mali cioè della nostra società e dai personaggi che li<br />
rappresentavano i quali diventavano oggetto delle sue sferzate.<br />
Diceva il Bulicame nel 1962 .<br />
Considerato un Virgilio meno elegante ma meno simbolico, non descrittivo come<br />
Trilussa, ha cercato di constatare la realtà con una esposizione semplice, tranquilla, serena.<br />
Il Cruciani lo considerava un personaggio uscito da uno degli affreschi tombali di<br />
Tarquinia etrusca con . La<br />
poesia del Marini si rifà essenzialmente alle origini classiche dell’epigramma, dove il suo<br />
genio si rivela a volte icastico e dove raggiunge una certa sicurezza di effetti.<br />
L’origine dell’epigramma risale alla più antica letteratura greca e significa iscrizione.<br />
Era infatti un’iscrizione, dapprima destinato ad essere inciso, brevemente, su monumenti o<br />
lapidi sepolcrali, su templi o doni votivi, poi destinato a più argomenti assumendo i<br />
caratteri di breve concetto, arrivando ad esprimere, sempre in forma concisa, pensieri,<br />
riflessioni filosofiche, giudizi su artisti o poeti, sentimenti, giudizi su statue o libri, tratti di<br />
spirito, giochi di parole, spunti satirici e soprattutto dichiarazioni, lamenti e sfoghi<br />
amorosi. Titta Marini lo ha fatto diventare, in un secolo dove non si faceva più uso di<br />
questo genere letterario, un commento a vignette caricaturali.<br />
Ciò che distingue il poeta tarquiniese è l’umore di un uomo sempre vivo, una<br />
concezione della vita dolce e amara ma sempre vitale. La sua poesia ha spaziato, toccando<br />
diversi generi e temi e trattando quasi tutto e tutti con sarcasmo e ironia. Sferzante e<br />
provocatore innanzitutto nei confronti dello Stato e dell’ordine pubblico, della struttura<br />
giuridica e politica con una serie di poesie che vale la pena ricordare:<br />
Filosofia del Buttero<br />
L’intruio<br />
E l’artro: - penso quello che faranno<br />
150<br />
se...ci...ri...li...be...re...ran...no.. (Tritume)<br />
Finale travolgente<br />
151<br />
per esse troppo bello sverto de mascelle<br />
magna e rimagna ce lasciò la pelle.<br />
Contestazione<br />
perché non c’è er governo d’una vorta<br />
co’capocce de fama nazzionale.<br />
Dico: - Però fra tanti,<br />
fra chirurghi e avvocati,<br />
beccamorti e laureati,<br />
volete che nun sanno fa er mestiere?!<br />
.... Ma fateme er piacere.<br />
Dice: - Er ministro dell’Agricoltura,<br />
ch’è medico e, dioguardi, de la destra,<br />
farà finì la terra in seportura.<br />
152<br />
Dico: - Macché! sta sempre su in finestra<br />
a sgarufà su un vaso de verdura;<br />
ar mi parere<br />
ce vò, pe fa contenti sti maligni,<br />
la supposta e er cristere...<br />
Ma fateme er piacere!!<br />
Dice: - però ce so’ certi ministri,<br />
che, detto interenosse, so’ sinistri,<br />
vecchi tarlati, e cianno<br />
trippa e sfegati guasti<br />
pe li pasti e rimpasti!<br />
Dico: - Per me è er contrario: er Presidente<br />
nun cià malanni e nun je manca un dente;<br />
Sua Eccellenza Mascella<br />
batte ancora la sella;<br />
perfino Don Veleno<br />
giura la serva che lavora in pieno;<br />
in quanto all’Onorevole Ganassa<br />
nun è più un giovinotto,<br />
però sa come daje de grancassa<br />
152
e maneggià er pancotto.<br />
153<br />
D’altronne a commannà chi ce mettemo?<br />
Un facchino de porto, un corazziere?....<br />
ma fateme er piacere!...<br />
Piuttosto, pe’ sta gente che protesta,<br />
ce vo quarcuno forte come un mulo<br />
che spacca li cocomberi a rinculo<br />
e che pija a serciate su la testa<br />
a chiunque: bianco, rosso o giù de lì,<br />
canti la Marsijese o er Miserere<br />
Pure maria, Marì.<br />
... Ma fateme er piacere!<br />
Titta Marini amava il suo paese e lo dimostra il discreto numero di poesie scritte su<br />
questo tema. Una volta disse di Tarquinia: E’ uno strano paese, mentre immobile va in<br />
salita discende contemporaneamente a valle; La gente oscilla tra il Partito Comunista e la<br />
Democrazia Cristiana, critica l’ozio cercando un lavoro a non fa; d’estame insieme ai<br />
vetrallesi e ai viterbesi si trasferisce al lido dove ruzza e sguazzuglia, si rotola e si<br />
spoltracchia sulla sabbia calda assaporando cocomeri e pesce.<br />
Spiccano tra la gente la signorina Rottame, che non parla per non sbagliare,<br />
Pommidoropelato che chiacchiera chiacchiera e non dice niente, Castruccio di Castro, il<br />
commendator Menzogna.<br />
- secondo Titta - .<br />
Tra le poesie più significative di Titta Marini su Tarquinia ricordiamo, oltre la già<br />
citata e bellissima , :<br />
muta la chiesa di Santa Maria<br />
Non fiata il gufo, e s’assonna l’allocco.<br />
Il rosone è una bocca di vento,<br />
e dentro è un pantano. San Sinforiano<br />
154<br />
nel sepolcro bofonchia un lamento: - Tu<br />
cristiano<br />
m’hai ridotto tre volte più... fu!<br />
Gli risponde soltanto l’allocco:<br />
- Uh uh uh,uh,uh, uh, uh, uh, uh!! (1960)<br />
Rilevante anche <br />
Non qui<br />
sotto di voi morrò,<br />
mura cadenti<br />
ove il cipresso nero<br />
a lutto veglia<br />
il vostro cimitero.<br />
Addio, torre<br />
screpolata dal fico.<br />
E te saluto,<br />
cornacchia torraiola,<br />
che un giorno sparirai<br />
dal covo antico.<br />
o queste tre righe:<br />
Paese di Tarquinia, dove spesso,<br />
come pignatta al fuoco quando fuma<br />
bolle e ribolle, in alto va la schiuma!<br />
Ostile nei confronti dei suoi simili, delle cose e dell’esistenza umana e quindi, a<br />
volte, anche nei confronti dei suoi concittadini, Titta cambia umore e genere quando parla<br />
della sola Tarquinia, svuotata e deserta, assume una certa riverenza e rispetto,<br />
rimpicciolendosi di fronte all’austerità del paese che egli ama e da cui non vorrebbe mai<br />
staccarsi. Non c’è più quell’ironia travolgente e provocatrice che lascia il posto ad un tenue<br />
romanticismo così inusuale per questo poeta a dimostrazione di una sensibilità esistente<br />
154
155<br />
ma non espressa. E da buon tarquiniese non volle mancare all’appuntamento con la<br />
processione del Cristo Risorto con una poesia vivace ma profonda:<br />
:<br />
Passa Gesù Risorto: troppo bello<br />
per avello scorpito uno scalpello.<br />
A mano arzate<br />
ce benedice a tutti<br />
pure li farabutti che so tanti<br />
perché qui fu ritrovo de briganti.<br />
tra la folla e parapia,<br />
spari de castagnole<br />
trombe e tromboni strombazzanti ar sole,<br />
Gesù! quante persone che non credono<br />
te se portano a spalla in processione.<br />
Tra gli aneddoti più curiosi su Titta Marini e il suo rapporto con Tarquinia il più<br />
originale senza dubbio è quello della dichiarazione d’amore. Titta era solito scrivere<br />
dichiarazioni galanti su richiesta di giovani tarquiniesi meno colti, soprattutto quando la<br />
ragazza era proprio restia. Scriveva quindi delle lettere romantiche e sentimentali<br />
mischiando parole poetiche che non avevano molto senso ma che riuscivano a confondere<br />
le fanciulle che finalmente aprivano il loro cuore.<br />
Una volta un giovane contadino dopo aver tentato a più riprese di conquistare una<br />
ragazza del posto senza riuscire nel suo scopo, si rivolse al poeta per una lettera d’amore.<br />
La fanciulla non poté resistere alla bellezza della lettera, anche se non capì molto e, su<br />
consiglio della comare più esperta di lei, concesse il suo amore al contadino e in breve<br />
tempo si sposarono. La lettera era di questo tenore:
156<br />
tracotante. E allora si, quando ci immergeremo nell’affetto reciprocamente desiderato,<br />
allora come piccoli suini innocenti vagheremo fausti e giulivi per il sentiero del mondo,<br />
cosparso di nitrato d’argento e di rose e di gelsomini. Ed io sarò ben lieto di vederla<br />
sgalluzzare di palo in frasca come una palombella inquieta riscaldata dal calduccio del<br />
focolare domestico. Speranziando in una inculcata, soave ed effimera, la bacio con rispetto<br />
la candida mano>>.<br />
I guai cominciarono dopo; i due non si comprendevano perché lei aveva creduto di<br />
trovare nel marito lo spirito del poeta mentre in realtà non era così. Ci furono liti e<br />
discussioni fino a quando non decisero di lasciarsi, secondo alcuni, per colpa del poeta.<br />
Molti aneddoti mi sono stati tramandati dal rag. Giuseppe Santiloni che lo conobbe<br />
abbastanza bene.
157<br />
Ricordo infine la sua risposta alla mia domanda sul perché aveva venduto un pezzo<br />
di terreno che aveva ereditato: Il giorno prima infatti un<br />
violento temporale lo sorprese su quel terreno e, non avendo ripari, tornò a casa<br />
fradicio>>.<br />
Titta Marini debuttò inizialmente come scultore (la più celebre opera scultorea è<br />
sicuramente da cui il noto : ), abbastanza<br />
apprezzato anche dallo stesso Cardarelli che lo volle conoscere ed instaurare con lui un<br />
rapporto.<br />
Non si può dire nulla di certo circa l’opinione di Cardarelli su Titta e i suoi versi;<br />
secondo alcuni lo stimava come artista e come uomo secondo altri niente di tutto ciò e a<br />
questo proposito è rimasta celebre una battuta dello stesso Cardarelli: a Titta Marini che<br />
volendo iniziare un discorso con lui disse:
se ne va per la sua via,<br />
né d’altrui cura le spocchie<br />
.......................................................<br />
... e sfaticato,<br />
grazie alla guerra e all’orto è diventato<br />
l’uomo più ricco della Ficonaccia.<br />
Ti scova a fiuto e, lieve come un cane<br />
158<br />
randagio, ti accompagna e poi si perde,<br />
ché ti vuol bene sì, ma pensa al pane<br />
che può mancargli e all’orto sempreverde...>><br />
La seconda lettera è datata 13 ottobre 1945: <br />
Indubbiamente Marini non era considerato un gran personaggio da Cardarelli e lo<br />
dimostra il fatto che in questa ultima lettera esordisce con la richiesta di una bottiglia di<br />
olio. Nelle lettere a Titta Marini non sono mai presenti dissertazioni critiche tra artisti<br />
come l’usanza vuole. Nonostante tutto Marini comparve positivamente in diverse lettere<br />
che Cardarelli indirizzò ad altre persone. Una, datata 7 maggio 1943, è indirizzata a Bina<br />
Blasi e Cardarelli parla di Titta Marina a proposito di una Nannina che sta dando alla luce<br />
un figlio, figlio nelle veglie d’inverno tra i discorsi dei due poeti cosicché se<br />
nasce maschio c’è l’augurio che diventi un po' estroso e se sarà femmina che possa<br />
ereditare dai due un po' di fantasia musicale.<br />
Un’altra lettera è indirizzata a Nino Calandrini il 2 ottobre 1945 e Cardarelli parla<br />
del suo compaesano come portavoce dei suoi saluti e delle sue condizioni di vita. Del 20<br />
agosto 1945 è una lettera indirizzata a Bruno Blasi nella quale Cardarelli esorta il parente a<br />
salutare Titta Marini ed ancora altre datate settembre 1945 sempre dirette a Bruno Blasi:<br />
158
159<br />
.<br />
<br />
In una lettera del 21 ottobre 1945 diretta al Blasi, Cardarelli informa che la poesia su<br />
Titta Marini ha avuto uno strano successo tanto che ne parla anche la rivista Cosmopolita<br />
in uno degli ultimi numeri>>.<br />
Artisti nettamente diversi l’uno dall’altro, Marini e Cardarelli si attiravano proprio<br />
per la loro diversità; là dove il primo poneva accenti sarcastici ed ironici nella descrizione<br />
dei suoi soggetti, l’altro faceva dello scritto un’espressione romantico-sentimentale.<br />
Certamente Titta ha tenuto in considerazione Cardarelli più di quanto avesse fatto<br />
quest’ultimo nei suoi confronti. Nota è la poesia (visto da un<br />
grassone):<br />
Un grassonaccio a larga intravatura<br />
sta, tutto trippa, in un caffé e fa il chilo<br />
e, ignorante di fronte di profilo,<br />
critica il premio letteratura.<br />
Dice fra l’altro: - Cardarelli è noto,<br />
però è finito povero, per cui<br />
io, essendo ricco, conto più di lui:<br />
non perdo un pasto e rutto a terremoto.<br />
... La penserà così fin quando muore,<br />
finché il grasso gli avrà sommerso il cuore.<br />
Sempre molto ironica e provocatrice è la poesia <br />
Bande e bandiere, che bell’accompagno!<br />
Fin laggiù framezzo a la fiumana,<br />
che se sperdeva da la vista umana,<br />
c’era chi a Cencio, quanno aveva fame,<br />
nun lo guardava manco a la lontana<br />
e mo j’annava appresso come un cane;<br />
c’era gente de fama nazzionale;<br />
cricche che je facevano la corte<br />
159
invidiannolo a morte,<br />
venuti p’esse messi sur giornale.<br />
Tutta ‘na zepparella, un tiettelà:<br />
un mare de ceriole e baccalà.<br />
E pure in chiesa fu (‘n’acciaccapisto),<br />
160<br />
tanto che, in mezzo a quella confusione,<br />
nun vedevamo manco Gesù Cristo!<br />
... Questo p’un morto è ‘na soddisfazione!<br />
Oppure del 1969:<br />
.<br />
Altre poesie di Titta Marini su Cardarelli sono :<br />
Tu dalla quiete del dilà<br />
potresti spiegarci<br />
perché oggi la vita<br />
straripa in tragefia<br />
Io qui, tra tanto mistero<br />
di morti e viventi,<br />
non so se mi vedi<br />
né so se mi senti,<br />
fra tutto un frondeggiar del Cimitero<br />
;<br />
e <br />
Hai fatto l’arte per arte,<br />
nulla hai chiesto e tutto hai dato,<br />
povero sei nato e povero sei morto<br />
Tra i poveri hai avuto sepoltura<br />
e con la mano,<br />
che ha fatto con l’inchiostro monumenti,<br />
160
oggi insegni Tarquinia da lontano>>.<br />
161<br />
Artista dalla personalità non molto complessa, Titta Marini si può riassumere in<br />
questi versi: . Ed infatti ciò che lo contraddistinse fu un’innata e perdurante pigrizia,<br />
una profonda ed incurabile svogliatezza che cercò di trasmettere agli altri attraverso le sue<br />
teorie sull’ozio e sul dolce far niente. Considerato il precursore del tempo libero, elaborò<br />
nel 1946 il famoso piano (o pianone) iniziato a Tarquinia presso il Consorzio Agrario<br />
insieme al ragionier Giuseppe Santiloni. Creò il il cui stemma<br />
raffigurava un granchio con lo slogan e : Molti giornali si<br />
interessarono al lavoro del Marini; Elio Filippo Accrocca (un giornalista che lo seguì dal<br />
punto di vista critico per moltissimo tempo) in un giornale genovese scriveva:
162<br />
lavorare molto quando lavorando poco, ma in modo più razionale, si potevano raggiungere<br />
i medesimi risultati.<br />
Il binomio produzione-riposo trova quindi una completa esaltazione in questa teoria<br />
che rivisitata opportunamente, non è da disprezzare del tutto. Ci sono stati tramandati<br />
numerosi aneddoti che sottolineano questa sua attitudine a lavorare poco o, comunque, a<br />
far lavorare gli altri. Anche il suo aspetto esteriore era sinonimo del suo io: disordinato nel<br />
vestire, le sue tasche sempre piene di fogli, foglietti pieni di versi o ispirazioni alla rinfusa,<br />
trasandato anche nel muoversi.<br />
Tra i suoi primi libri ricordiamo con cui si<br />
fece conoscere guadagnandosi anche la stima di Trilussa (1930), del 1931,<br />
del 1932, del 1946, <br />
del 1950. Tra il 1968 e il 1970 uscirono Tritume, Primo pelo, Ladri e castroni, Zitti tutti che<br />
parlo io, dove oggetto del suo sarcasmo e della sua ironia erano i tipi saccenti del paese.<br />
Nel 1973 è uscito , che poi in realtà è l’ultima opera pubblicata. Tra<br />
il 1973 e il 1978, data del definitivo ricovero in ospedale, scrisse le poesie che avrebbero<br />
dovuto formare un nuovo libro (TUTTO TITTA), rimasto poi inedito, raccolto in un blocco<br />
notes. Furono scoperte dal prof. Maurizio Brunori nell’abitazione di Marisa Marini e rese<br />
note da quest’ultimo nell’opera uscita nel luglio del 1981 quasi<br />
contemporaneamente alla rappresentazione, presso il teatro Etrusco, di una sceneggiata<br />
sulla vita e le opere del poeta dal titolo messa in scena dalla<br />
Filodrammatica Cornetana. può essere definita la raccolta più<br />
completa e matura con le ultime, nuove poesie di una certa intensità e bellezza che<br />
denotano nuovi tratti della sua personalità fino allora sconosciuti. L’autobiografismo che si<br />
comincia ad intravedere in un poeta così sempre restio a parlare si dè, i passaggi da toni<br />
drammatici a quelli più propriamente ironico-sarcastici, da un mondo fantastico-surreale<br />
ad uno più realistico della vita che in quel momento lo stava per lasciare rappresentano la<br />
definitiva consacrazione artistica, la maturazione completa di un personaggio poco<br />
considerato e poco compreso in patria.<br />
Risale tuttavia a qualche anno prima una delle poesie più belle che il Marini tenne<br />
nascosta fino alla morte e che fu pubblicata solo nel 1981: Annuncio mortuario o Avviso<br />
mortuario, secondo il Brunori una specie di testamento scritto in versi, colorito da un tono<br />
provocatorio, beffardo e insolente, una poesia ricca di ironia destinata a lasciare una<br />
traccia per la sua vena scherzosa e scanzonata:<br />
come se cojonasse le persone,<br />
ha fatto rabbia pure al beccamorto,<br />
che da la bile è diventato giallo<br />
tanto che non voleva più incassallo.<br />
O sacrestani, scampanate a festa,<br />
perché ‘sto fregno ce tratto’ da fessi.<br />
Dar camposanto pure li cipressi<br />
se ne so’annati in segno di protesta.<br />
163<br />
Le sue opere e le sue poesie furono oggetto di numerosi riconoscimenti, tra questi, il<br />
più importante, gli fu conferito nel 1964. Nel corso di una solenne cerimonia alla presenza<br />
di numerose autorità culturali dell’epoca, in occasione del centocinquantatreesimo anno<br />
accademico della Tiberina, istituzione fondata da Giuseppe Gioacchino Belli che contava<br />
tra i suoi membri illustri uomini d’arte (Canova, Quasimodo, Gioberti, Rossini, Croce,<br />
Marconi ecc.), fu insignito del Lauro Tiberino, per i suoi meriti di poeta dialettale in<br />
vernacolo romanesco; unico poeta dialettale a cui fu conferita questa onorificenza dopo<br />
Gioacchino Belli, Marini tenne molto a questo premio. Nel 1966 ottenne per meriti letterari<br />
un premio dell’Azienda autonoma di soggiorno e turismo di Tuscania.<br />
Nel 1968 vinse la poesia il primo premio in un concorso<br />
bandito dall’Associazione Culturale per la Gioventù fondata da Nicola Pende e Lucia Poli.<br />
Di questa associazione ci è stata tramandata una lettera scritta dal presidente Romolo<br />
Volpini a Titta che riportiamo: caro e buon amico Titta, i tuoi recenti volumi e , che ho letto centellinandoli, sono permeati dal pesante odore<br />
della terra maremmana che è un po' anche la mia, e, per tale ragione, vi trovo le vecchie<br />
cose della mia giovinezza, dette con quello spirito furbesco, scanzonato e pieno di calore di<br />
gente che sa discendere da un popolo che aveva già scritto centinaia di volumi della sua<br />
storia quando gli altri popoli ancora non avevano imparato a scrivere. I titoli stessi dei tuoi<br />
volumi sono pesanti, e le immagini degli etruschi, immortalati nell’antica pietra sono<br />
pesanti, ma tu sai ammorbidire tutto e tutti col tuo sorriso genuino, franco, di uomo puro e<br />
sicuro che poeteggia non per dare ad intendere di avere una cultura ermetica, ma per il<br />
bisogno di cantare, in faccia al mondo e alle sue brutture, che se anche s’imbellettano<br />
rimangono sempre brutture perché oltre il , il , e il non<br />
rimane che che il , il e l’.<br />
Dalle cose insignificanti, giornaliere, alla portata di tutti, ricchi e poveri di spirito,<br />
sai salire senza reticenze per le vie dell’<strong>Arte</strong> e lo fai con umiltà cosciente perché sei buono,<br />
163
164<br />
generoso e sembri dire ad ogni istante . Grazie, caro<br />
amico Titta Marini, per avermi data la possibilità di trascorrere alcune ore non soltanto in<br />
tua compagnia spirituale ma anche avvolto nel profumo inconfondibile della nostra terra di<br />
perfetti menefreghisti! Ti abbraccio con cordialità affettuosa. Romolo Volpini>>.<br />
Nel 1979 il comune e l’Azienda autonoma di soggiorno e turismo di Tarquinia lo<br />
onorarono con una Medaglia d’oro. Nel 1972 vinse il premio per, cito<br />
testualmente, :<br />
Ricco di poesie significative e degne di rilevanza è l’argomento religioso da dove<br />
traspare l’animo sensibile e nobile che il poeta forse non ha mai espresso pienamente nei<br />
suoi versi. Poesie come , , (1944), , , , , , , , , ; ecc. alcune scritte in<br />
lingua italiana altre in dialetto, mostrano come a volte Titta Marini desiderasse<br />
trasmigrare dalla realtà delle cose e dell’esistenza umana per instaurare un dialogo<br />
soprannaturale con Dio, reso spesso molto vicino a noi nel linguaggio, quasi a volersi<br />
rassicurare della sua esistenza o consolarsi e sfogarsi con qualcuno per le Amarezze terrene<br />
da sopportare insistentemente; ed anche queste poesie possono collocarsi tra quelle che<br />
sono servite a Titta per attaccare indirettamente il male della società ed i personaggi che<br />
per lui lo hanno più o meno rappresentato.<br />
Titta Marini è stato solito dedicare alcune delle sue poesie a pesonaggi generici o<br />
definiti. Soggetti come il Commendator Monnezza, il Ministro de Stato, lo Scapocciato, il<br />
genio, il Monsignore, Trilussa, la socera, l’omo, il cavajere, lo scontento, l’avaro, il<br />
lavoratore, il contadino ecc. danno il titolo ai rispettivi epitaffi.<br />
Vere e proprie dediche furono invece riservate al Barone Enrico di Portanova, a<br />
Giovacchino Rosati, ad Alberto Renzi, a Claudio Breccia, al dottor Antonio Pardi<br />
ch’aringrazziava de core p’aveje sarvato er core, all’avvocato Attilio Bandiera, suo migliore<br />
amico e suo peggior cliente, al pittore tuscanese Renato Morelli, a Piperno a Monte Cenci,<br />
a Viviana ed Ambrogio Camurani, al pittore Amilcare Tomassetti, a Corrado Marini, al<br />
dottor Giampiero Leoni, al dottor Luigi Sereno, al Principe Vittorio Massimo, a Gastone<br />
Venzi, a Giovanni Perone, Andrea Castra, Peppone, Zuccone, magnacane che<br />
con lui in campagna da giovani, alla pittrice e scultrice Lucia Poli, al<br />
164
165<br />
dottor Corrado Chiatti, ai baroni Renato e Gislero Flesch ed agli amici Vergilio Valentini,<br />
Tommaso Maggi, Stefano Albertini, Manlio e Vittorio Alfieri, Andrea Amici, Gastone<br />
Venzi. Dell’agosto 1969 è una significativa lettera di R. Loverme: Caro poeta, ho letto il suo<br />
volume di poesie romanesche, Tritume, e le confesso che mi ha sorpreso la singolare<br />
originalità del mezzo tecnico-espressivo, il quale si sostanzia di incomparabili espressioni<br />
primordiali ricollegantisi ad una unica matrice: il .<br />
Al riguardo bene ha precisato uno dei prefatori, Trieste Valdi: .<br />
Ritengo che la icasticità del suo linguaggio, quella efficacia di rappresentazione che i<br />
Greci chiamavano enargia e, soprattutto la peculiare musicalità di talune composizioni, si<br />
debbano proprio al fatto che Lei è rimasto fedele, per sentimento, al linguaggio<br />
primordiale d’un mondo favoloso che ha così viva risonanza nella Sua poesia. E sotto<br />
questo aspetto può considerarsi l’ultimo discendente degli etruschi...<br />
Titta Marini è noto anche per i suoi epitaffi.<br />
L’epitaffio era un insieme di parole scritte sopra una tomba e riferire al defunto<br />
anche se in origine il termine o non comporava neppure l’idea<br />
di uno scritto: stava ad indicare invece il discorso pronunciato in lode del defunto nel<br />
momento della sua sepoltura. In seguito, ai tempi della repubblica romana, indicò la scritta<br />
posta sulla tomba e recante l’indicazione del nome e delle cariche ricoperte dal defunto.<br />
Più tardi si diffuse l’usanza di aggiungere a queste brevi indicazioni anche un accenno alle<br />
sue virtù. E’ fuor di dubbio che Titta Marini usò l’epitaffio solo ed esclusivamente per<br />
finalità ironiche e satiriche, rifacendosi, come già detto all’origine dell’epigramma classico<br />
che aveva anche questi intenti.<br />
Vale la pena ricordare i più famosi:<br />
: Er ministro de stato, che qui sott’è incassato, per esse<br />
troppo sverto de mascelle e rimagna ce lasciò la pelle; : Siccome<br />
p’impegnamme ner peccato, mo sto’ ner regno de la scottatura, nun scocciate Chi m’ha<br />
creato, spaternostra no su sta sepportura; : la pace, spaventata da la guerra<br />
s’è so’er padrone de me stesso perché sto scantinato è senza ingresso; :<br />
La terra, brutta impresa, da vivo è bassa e da defunto pesa; : Qui nun<br />
pago piggione, ciò er giardino in terrazza, e Bella soddisfazione! ma, se rinasco, sai che fo?<br />
Rimoro! : Io sottoscritto... morto, siccome già lo so che chiunque prega vo’,<br />
avverto tutti che me trovo a corto; perciò nun do’; : Onesto e laborioso<br />
165
166<br />
qui, finarmente, se fa un sonno... coso; : Senza nemmanco l’urtimo<br />
conforto, come la libbertà, so’ nato morto; : Qui s’ariposa Ava che se vestiva<br />
quanno se spojava; : Qui ce sta l’omo da la testa dura, che se creò la doppia<br />
fregatura, perché fabbrico l’armi p’ammazzasse e, pe fà l’armi, nun pagò che tasse; : Fu fatto pe’ lamoje cavajere, terra e corna je siano leggere; :<br />
Da quanno che mi socera qui giace lei... nu’ lo so, ma io riposo in pace!; :<br />
Visse cantanno, sempre applaudito, tra fama e fame, fin quanno er falegname l’ha<br />
inchiodato nell’urtimo vestito; : Fu ‘na pecora pazza e disgrazziata che, pe<br />
seguì la strada d’un leone, morì scapicollata. poteva sceje quella der montone; : dato ch’è senza testa, sto signore se non è deputato è... senatore.<br />
E’ molto difficile parlare di Titta Marini, scavare nella sua personalità, sia per la<br />
carenza di fonti documentali (i pochi libri pubblicati sono attualmente nelle mani di pochi<br />
privati e introvabili nelle librerie), sia per le poche persone in grado di poterlo descrivere in<br />
modo esauriente; ritengo inoltre inutile il voler capire da persone tarquiniesi frasi o<br />
spiegazioni sulla sua poetica o sul suo modo di vivere, e questa mia sensazione deriva da<br />
quell’atteggiamento, peraltro involontario, di indifferenza ed incomprensione che<br />
Tarquinia ha sempre avuto nei suoi confronti. L’ho visto solo una volta, da piccolo, quando<br />
in un pomeriggio d’estare regalò uno dei suoi libri a mio padre con una dedica. Titta<br />
Marini è morto il 25 luglio 1980. Sono riuscito a scoprirlo solo ora attraverso i suoi scritti e<br />
forse c’è in me un pizzico di rimpianto per non averlo conosciuto più a fondo di persona; E’<br />
d’uopo chiudere questa trattazione con due sue poesie scritte all’ospedale di Tarquinia<br />
dove era ricoverato, poesie molto profonde che racchiudono tutta la sua vita di<br />
incompreso, fatta di amarezze, solitudine e insofferenza verso qualcuno o qualcosa che sta<br />
al di sopra della vita terrena quasi a volersi finalmente estraneare dal mondo in modo<br />
definitivo; per me possono collocarsi tra le sue poesie supreme per la loro crudezza<br />
estremamente serena.<br />
: Sto a letto, stanco, è tanto che cammino, solo, sul filo teso<br />
del destino: ma adesso ci sei tu, spalanca la finestra: ch’entri l’aria, brindiamo insieme, o<br />
Morte solitaria. : Da te nacqui malato; poi aucchiai dalla tua vita il latte<br />
avaro. Crebbi tra lupi e scrofe, e mai scorderò quando mi dicesti morendo: Come stai?>><br />
: Notte. Sto sempre in ospedale, c’è soltanto il crocefisso che sta peggio<br />
di me. E vedo pure, nel dormiveglia, te, che al dilà dell’azzurro mi vegli nel tormento. E<br />
benché sei lontana ti risento.<br />
Giulio Giannuzzi<br />
166
167<br />
Bibliografia<br />
T. Marini - Zitti tutti che parlo io - Ediz. Accademia Dell’ozio<br />
T. Marini - Poesie inedite - Ediz. a cura Comune di Tarquinia<br />
T. Marini - Tritume - Ediz. Accademia Dell’Ozio<br />
T. Marini - <strong>Storia</strong> sì <strong>Storia</strong> no - Ediz. Accademia Dell’Ozio<br />
T. Marini - Primo pelo - Ediz. Accademia Dell’Ozio<br />
ATTIVITA’ SVOLTA NELL’ANNO <strong>1991</strong><br />
L’insufficienza del tempo a nostra disposizione (appena sei mesi di impegno) non ci<br />
permise, lo scorso anno, di impostare e portare a compimento ciò che avevamo in animo di<br />
fare. Ma le promesse, fatte allora, di adoperarci di più e meglio per il raggiungimento dei<br />
nostri obiettivi nel proseguimento del nostro mandato, crediano siano state mantenute a<br />
tutto vantaggio e nell’interesse della <strong>Società</strong>, dei soci, di Tarquinia.<br />
Sono diverse le manifestazioni e le realizzazioni portate avanti e quasi tutte, se non<br />
tutte, in linea con gli scopi sociali che intendiamo perseguire nella maniera più conforme al<br />
nostro Statuto e tutte hanno ottenuto favorevoli consensi entro e fuori i confini della nostra<br />
167
168<br />
città, dando ampia dimostrazione della vitalità della SOCIETA’ TARQUINIENSE d’ARTE E<br />
STORIA e della necessità della sua presenza nel tessuto connettivo di Tarquinia.<br />
Ciò premesso, riportiamo, in sintesi, qui di seguito, quanto è stato fatto nell’anno<br />
<strong>1991</strong> da soli o in collaborazione con altre Asssociazioni e gruppi locali:<br />
- partecipazione attiva alla Mostra del Presepio di Tarquinia con la concessione<br />
gratuita del Salone Sacchetti e della organizzazione interna;<br />
- serie di conferenze tenute dal Dr. Filippo Salvati nel<br />
salone suddetto;<br />
- partecipazione attiva ai Concerti dell’A.GI.MUS. con relativa concessione del<br />
salone di cui sopra;<br />
- conferenza del Dr. LUCIANO MARZIANO sul tema ;<br />
- celebrazione della in collaborazione con<br />
l’Associazione di Tarquinia;<br />
- distribuzione ai soci del BOLLETTINO dell’anno 1990;<br />
- celebrazione del VENTENNALE della nascita della <strong>Società</strong> (24.04.71) con<br />
l’ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA dei SOCI, pranzo sociale e concerto strumentale<br />
del maestro pianista MAURIZIO MASTRINI;<br />
- presentazione del libro di PIETRO CICERCHIA dal titolo Relatore il prof. Arch. GAETANO MIARELLI MARIANI;<br />
- Mostra Fotografica Collettiva dal titolo ;<br />
- quattro Concerti della ASSOCIAZIONE CULTURALE EST. FEST. FESTIVAL con<br />
ingresso gratuito;<br />
- presentazione del libro su GIOVANNI VITELLESCHI dal titolo dello scrittore UGO REALE;<br />
- gita turistico-culturale della durata di due giorni ai CASTELLI ROMANTICI<br />
DELLA ROMAGNA, riservata ai soci;<br />
- saggio di fine anno della durata di tre giorni per gli studenti di musica della scuola<br />
media ;<br />
- in collaborazione con l’Associazione MUSICA e<br />
TRADIZIONE di Tarquinia;<br />
- mostra di pittura di RENZO VESPIGNANI nell’Auditorium di San Pancrazio;<br />
- inaugurazione dei lavori di restauro dell’altare e dei mosaici cosmateschi del<br />
presbiterio e del transetto di Santa Maria in Castello con la presenza di Mons. Girolamo<br />
168
169<br />
Grillo Vescovo di Civitavecchia-Tarquinia, con la partecipazione della corale di Magliano in<br />
Toscana;<br />
Sacchetti.<br />
- video cassetta dal titolo di Vincenzo Cardarelli nel Salone<br />
Ma i fiori all’occhiello della S.T.A.S. sono rappresentati da:<br />
1) Convegno su GIOVANNI BATTISTA MARZI nato a Tarquinia il 3 agosto 1857 scienziato<br />
e poeta, inventore del primo centralino telefonico automatico nei locali della Biblioteca<br />
Vaticana ed autore della epigrafe dettata per la corona di alloro offerta alla Salma del<br />
MILITE IGNOTO nella solenne tumulazione sotto l’Altare della Patria il 3 novembre 1921.<br />
2) Restauro dei mosaici cosmateschi della basilica di Santa Maria in Castello per l’importo<br />
complessivo di £. 53.100.000 con il contributo di:<br />
LIONS CLUB con £. 9.500.000.<br />
ASSOCIAZIONE PRO TARQUINIA £. 5.600.000.<br />
CENTRO STUDI CARDARELLIANI £. 3.000.000.<br />
EUSEPI TOMMASO BRUNO £. 1.300.000.<br />
LENZO LUIGI £. 1.000.000.<br />
ASQUINI LETIZIA £. 1.000.000.<br />
POTTINO GUIDO £. 1.000.000.<br />
SAVINO OBERDAN £. 500.000.<br />
GRISPINI LIDIA £. 100.000.<br />
3) nuovo impianto di riscaldamento a metano dei locali della Sede Sociale per il costo<br />
complessivo di £. 32.750.000. Una esigenza questa la cui soluzione si imponeva per<br />
motivi facilmente comprensibili, onde renderne più facile ed assidua la permanenza. Una<br />
cura particolare è stata dedicata al settore . Al 31 dicembre 1989 erano 746 al 31<br />
dicembre <strong>1991</strong> sono 724, alla data della Assemblea odierna 731.<br />
A prima vista sembrerebbe che le adesioni abbiano subito un arresto anche se lieve<br />
ma non è così. Infatti, con l’adesione di nuovi soci (ben 46 soltanto nel <strong>1991</strong>), siamo riusciti<br />
a contenere il sensibile calo dovuto non soltanto ai soci deceduti ed ai pochissimi che si<br />
sono dimessi, ma anche e soprattutto alla cancellazione, d’ufficio, di un rilevante numero<br />
di persone residenti lontano da Tarquinia - qualcuno persino oltre i confini d’Italia che si<br />
erano iscritti alla <strong>Società</strong> per motivi di convenienza dovute a mostre, concerti, conferenze,<br />
convegni ecc. ecc. Con questa azione di aggiornamento oggi possiamo contare su un<br />
quadro soci quasi tutti tarquiniesi, quindi più facili da avvicinare e seguire.<br />
169
170<br />
Con la speranza che il 1992 sia un anno ancor più fecondo, crediamo giusto e<br />
doveroso ringraziare tutti coloro che in un modo o nell’altro hanno offerto la loro<br />
collaborazione per il raggiungimento degli scopi sociali.<br />
Il Consiglio di Amministrazione<br />
APPENDICE AL GLOSSARIO CORNETANO<br />
A<br />
Agnellotto (s.m.) - Deformazione di agnolotto, tipo di lasagna ripiena<br />
di carne, condita alla maniera della pasta alimentare con salsa e formaggio.<br />
C<br />
Centopelle (s.m.) - Una delle cavità dello stomaco dei ruminanti, cioè<br />
l’omaso, che viene cucinato e mangiato col nome di trippa o frattaglie vaccine. E’<br />
coperta di sottili lamelle carnose che danno il nome al tipo delle interiora animali. Il<br />
riferimento va alla difficoltà di digerire e assimilare determinati alimenti assai pesanti<br />
che stazionano nello stomaco umano, quasi fosse la penultima cavità dei ruminanti, e<br />
non riescono ad essere smaltiti. C’è un detto popolare in proposito che dice: . Nel senso cioè che il centopelle è la parte meno<br />
ricercata della trippa in genere.<br />
Concasse’ (s.m.)- Macchina per frantumare pietre per costruire strade e fare il<br />
calcestruzzo. Derivazione del francese che significa appunto frantumare<br />
e frangere.<br />
D<br />
Doro (s.m.) - Sta per il nome oro. Usato specie nel linguaggio dei bambini che chiamano<br />
con questa parola la stagnola che avvolge caramelle e cioccolatini e qualsiasi altro<br />
di dolciume. Il riferimento va alle parole e .<br />
tipo<br />
170
L<br />
171<br />
Laniccia (s.f.)- Specie di lana che si forma sotto i letti o sotto i mobili per scarsa<br />
pulizia. Derivazione dalla parola usato in senso dispregiativo.<br />
M<br />
Maccarone (s.m.)<br />
nulla.<br />
- Sta per maccherone. Usato in senso derisorio verso persona buona a<br />
Marrone (s.m.) - E’ il cavallo anziano che si affianca, durante il periodo della<br />
doma, al puledro indomo, per non spaventarlo e abituarlo gradatamente a convivere<br />
il cavaliere. Etimologia incerta.<br />
con<br />
Mazzarella (s.f.) - Bastone lungo e sottile di corniolo o di nespolo selvatico, usato dai<br />
vergari, dai butteri e dai massari. Derivazione da mazza. C’è un canto popolare che<br />
dice .<br />
gli diventi d’oro / d’oro e<br />
Monichella (s.f.) - Vezzeggiativo di monaca. E’ riferito anche alla mantide religiosa.<br />
P<br />
Palombaccio (s.m.) - Viene spesso usato in forma ironica verso persona di poca astuzia e<br />
di scarsissima personalità. Derivazione dal nome del volatile che è di facile preda: il<br />
quale si ammaestra come zimbello per richiamare gli uccelli di passo. Così viene chiamato<br />
il colombo selvatico migratorio.<br />
Panzone (s.m.)- Persona dal ventre o dalla pancia molto pronunciata. Derivazione da<br />
pancia che in gergo vien detta .<br />
Pecettone (s.m.) - Persona eccessivamente appiccicosa, da non distaccarsi quasi mai,<br />
come se fosse attaccata con la pece. Da cui deriva questo vocabolo. Sinonimo di<br />
appiccicoso e fastidioso.<br />
Pelare (v.t.) - Siccome le bruciature portano via pelle e pelo,<br />
ecco l’uso che se ne fa per significare appositamente ciò che brucia eccessivamente,<br />
specie se riferito alle pentole o ad altri oggetti da cucina.<br />
Perazzeta (s.f.) - Campo su cui si trovano piantati alberi di pero<br />
selvatico il cui frutto viene chiamato in dialetto perazza.<br />
Puntata (s.f.) - Fitta dolorosa che punge. Dal latino .<br />
R<br />
171
172<br />
Rimessino (s.m.)- Alto recinto di passoni all’interno del quale si<br />
chiudono cavalli e buoi allo stato brado. Vi si domano i puledri e si marchiano a<br />
fuoco vitelli e cavalli. Derivazione da rimessa.<br />
T<br />
Trippone (s.m.)- Dicesi di persona eccessivamente panciuta. E dato che in gergo la pancia<br />
vien detta anche trippa, eccone la derivazione in forma accrescitiva.<br />
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173<br />
173
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