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19 CAPITOLO 2 LO SPETTRO SOLARE E LA SUA ...

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1. Lo spettro solare<br />

FISICA <strong>SO<strong>LA</strong>RE</strong> - <strong>CAPITO<strong>LO</strong></strong> 2 <strong>19</strong><br />

<strong>CAPITO<strong>LO</strong></strong> 2<br />

<strong>LO</strong> <strong>SPETTRO</strong> <strong>SO<strong>LA</strong>RE</strong> E <strong>LA</strong> <strong>SUA</strong> INTERPRETAZIONE<br />

Parlando di spettro solare è necessario premettere alcune considerazioni di carattere generale per precisarne<br />

meglio la definizione. Poiché il Sole può essere osservato ad alta risoluzione spaziale, è ovvio che non<br />

esiste un singolo spettro solare, ma esistono tanti spettri diversi che dipendono dal punto su cui è puntato<br />

il telescopio. Si può quindi distinguere fra lo spettro di un granulo, lo spettro di una zona intergranulare,<br />

lo spettro dell’ombra di una macchia, etc.. Per di più, esiste nello spettro solare un fenomeno di variazione<br />

con l’angolo eliocentrico per il quale uno spettro ottenuto al centro del Sole differisce, anche se in maniera<br />

non molto pronunciata, da uno spettro ottenuto al lembo. Esistono in effetti due possibilità di definire lo<br />

spettro solare “standard”. La prima è quella di osservare il centro del Sole, facendo attenzione che non sia<br />

ivi presente una macchia al momento dell’osservazione, e sfuocando l’immagine in modo da ottenere una<br />

media fra regioni granulari e intergranulari. La seconda possibilità è quella di rinunciare totalmente alla<br />

risoluzione spaziale e ottenere uno spettro del Sole come stella. Nel seguito di questo paragrafo ci riferiremo<br />

per le nostre considerazioni a quest’ultimo spettro.<br />

Fig. 2.1. Lo spettro solare nel visibile. L’immagine composita è ottenuta sovrapponendo singoli tratti di<br />

spettro di ampiezza dell’ordine di 100 ˚A. Si noti la presenza di alcune righe particolarmente prominenti (fra<br />

cui la riga Hα dell’Idrogeno nel rosso e le righe D del Sodio nel giallo) e l’aumento della densità di righe<br />

procedendo dal rosso verso il violetto.<br />

All’osservazione moderna lo spettro solare si presenta come uno spettro continuo solcato da un numero<br />

elevatissimo di righe spettrali (si veda la Fig. 2.1). Da un punto di vista più generale, ovvero dal punto di<br />

vista della classificazione di Harvard degli spettri stellari, lo spettro del Sole è tipico di una stella di tipo<br />

spettrale G2. In tale spettro, le righe dell’Idrogeno risultano molto attenuate rispetto a quelle osservate<br />

nel tipo spettrale anteriore (F), esiste una grande abbondanza di righe atomiche, e cominciano ad apparire<br />

alcune bande molecolari. Dal punto di vista dello spettro continuo, lo spettro solare si adatta abbastanza<br />

fedelmente allo spettro di un corpo nero di temperatura T⊙ = 5780 K, sebbene la concordanza sia migliore<br />

nell’infrarosso che nel visibile o nell’UV. Se ci si limita a considerare lunghezze d’onda superiori a 2500 ˚A,<br />

la differenza fra lo spettro solare e quello del corpo nero di riferimento risulta, in valore assoluto, sempre<br />

inferiore o dell’ordine del 10%. Come negli spettri di moltissime stelle, appare poi evidente la cosiddetta<br />

discontinuità di Balmer che consiste in una brusca diminuzione dell’intensità spettrale (andando dal rosso<br />

verso il violetto) in corrispondenza della lunghezza d’onda di 3646 ˚A, la lunghezza d’onda di soglia per


20 EGIDIO <strong>LA</strong>NDI DEGL’INNOCENTI<br />

Fig. 2.2 Lo spettro del “Sole come stella” in corrispondenza di tre diversi intervalli di lunghezza d’onda<br />

(espressa in ˚A). Sull’asse verticale è riportata l’intensità specifica, I(λ), normalizzata all’intensità del continuo.<br />

Si noti, nel pannello in alto, l’elevata densità di righe nella regione violetta dello spettro e l’impressionante<br />

larghezza delle righe H e K del Calcio ionizzato, le più intense dello spettro solare. Nel pannello<br />

intermedio sono visibili le righe D del Sodio neutro e, nel pannello in basso, la riga Hα dell’Idrogeno.<br />

fotoionizzazione dell’Idrogeno a partire dal livello eccitato n = 2. Dal punto di vista della ripartizione nelle<br />

diverse finestre, la radiazione solare (prima di subire l’assorbimento dell’atmosfera terrestre) consta per il<br />

7% di radiazione ultravioletta (λ < 3800 ˚A), per il 40% di radiazione visibile (3800 ˚A < λ < 7000 ˚A) e per<br />

il 53% di radiazione infrarossa (λ > 7000 ˚A).<br />

Per lo studio dello spettro di righe, è consuetudine riportare in grafico lo spettro solare su intervalli<br />

spettrali di ampiezza limitata (tipicamente qualche decina fino a un centinaio di ˚A), come illustrato per tre<br />

diversi intervalli spettrali nella Fig. 2.2. In tale rappresentazione le righe, quando isolate, appaiono come<br />

schematicamente illustrato nella Fig. 2.3 e vengono caratterizzate da tre parametri: la lunghezza d’onda<br />

centrale, λ0, la depressione centrale, d0 (con 0 ≤ d0 ≤ 1), e la larghezza equivalente, Wλ. Queste due ultime<br />

quantità sono definite da<br />

d0 = Ic<br />

<br />

− I(λ0)<br />

Ic − I(λ)<br />

, Wλ =<br />

dλ ,<br />

Ic<br />

dove Ic è l’intensità del continuo adiacente la riga. Mentre d0 è una quantità adimensionale, la larghezza<br />

equivalente ha le dimensioni di una lunghezza e viene solitamente espressa in m˚A 1 . Dal punto di vista<br />

geometrico, la larghezza equivalente è uguale all’area della regione compresa fra la retta di equazione I/Ic = 1<br />

e la curva della funzione I(λ)/Ic.<br />

Le righe visibili più importanti dello spettro solare, ovvero quelle che hanno maggiore larghezza equivalente,<br />

sono riportate nella Tab. 2.1. Alcune di queste righe sono quelle “originali” osservate da Fraunhofer<br />

e da esso individuate per mezzo di una lettera dell’alfabeto, da A a K, in ordine di lunghezza d’onda<br />

decrescente. Oggi sappiamo che le righe A e B di Fraunhofer, vicine a 7000 ˚A, sono in effetti delle cosiddette<br />

“righe telluriche” dovute alla molecola di Ossigeno (O2). Esse non hanno niente a che vedere col Sole ma<br />

sono formate per assorbimento della radiazione solare nell’atmosfera terrestre.<br />

1 A questa unità di misura si dà anche il nome di “Fraunhofer” anche se tale denominazione è oggi caduta in disuso.<br />

riga<br />

Ic


1<br />

0<br />

I / I c<br />

FISICA <strong>SO<strong>LA</strong>RE</strong> - <strong>CAPITO<strong>LO</strong></strong> 2 21<br />

λ<br />

0<br />

Fig 2.3. Andamento schematico dell’intensità in funzione della lunghezza d’onda nelle adiacenze di una<br />

tipica riga spettrale isolata.<br />

Elemento λ0 (˚A) Wλ (m˚A) Denominazione Denominazione<br />

o molecola moderna di Fraunhofer<br />

Ca II 3934 20253 K K<br />

Ca II 3968 15467 H H<br />

H I 4102 3133 Hδ -<br />

Ca I 4227 1476 h -<br />

CH 4300 - Banda G G<br />

H I 4340 2855 Hγ -<br />

H I 4861 3680 Hβ F<br />

Mg I 5167 935 b3 -<br />

Mg I 5173 1259 b2 -<br />

Mg I 5183 1584 b1 -<br />

Fe I 5270 478 E E<br />

Na I 5890 752 D2 D<br />

Na I 5896 564 D1 D<br />

H I 6563 4020 Hα C<br />

Tab 2.1. Principali righe dello spettro solare.<br />

Per l’interpretazione dello spettro solare, sia quello continuo che quello di righe, si fa oggi ricorso<br />

alla teoria del trasporto radiativo. Sviluppata all’inizio degli anni <strong>19</strong>20 con il contributo fondamentale di<br />

famosissimi astronomi quali Milne ed Eddington (che estesero lavori precedenti di Schüster e Schwarzschild),<br />

essa ha raggiunto oggi un notevole livello di sofisticazione, soprattutto nelle applicazioni numeriche che<br />

sono realizzate utilizzando elaboratori elettronici sempre più potenti. I paragrafi successivi sono dedicati a<br />

sviluppare questo argomento nel contesto della fisica solare.<br />

2. L’equazione del trasporto<br />

Consideriamo un pennello di radiazione che si propaga lungo una particolare direzione Ω in un punto<br />

P di un mezzo arbitrario. Se si indica con dE la quantità infinitesima di energia raggiante, con frequenza<br />

compresa fra ν e ν + dν e direzione contenuta in un angolo solido dΩ centrato intorno a Ω, che attraversa,<br />

nell’intervallo di tempo dt, un elemento di superficie dS disposto perpendicolarmente a Ω, tale quantità è<br />

ovviamente proporzionale a dS, a dt, a dν e a dΩ, ovvero<br />

d0<br />

λ


22 EGIDIO <strong>LA</strong>NDI DEGL’INNOCENTI<br />

dE = Iν(P, Ω, t) dS dt dν dΩ .<br />

Il coefficiente di proporzionalità, che dipende dalla frequenza ν, dal punto P, dalla direzione Ω e dal tempo t,<br />

definisce la cosiddetta intensità specifica (del campo di radiazione). Se il campo di radiazione non è funzione<br />

di t si dice stazionario, se non è funzione di Ω si dice isotropo, e se non è funzione di P si dice omogeneo.<br />

Un caso ideale in cui il campo di radiazione è stazionario, isotropo e omogeneo è quello della radiazione di<br />

corpo nero. In tale caso l’intensità specifica è data dalla funzione di Planck<br />

Iν = Bν(T ) = 2hν3<br />

c 2<br />

−1 hν<br />

exp − 1<br />

kBT<br />

dove h è la costante di Planck, c la velocità della luce, kB la costante di Boltzmann, e T la temperatura<br />

assoluta del corpo nero.<br />

Quando la radiazione si propaga in un mezzo materiale essa subisce vari fenomeni di trasporto che contribuiscono<br />

a modificarla. Tali fenomeni possono essere descritti attraverso l’introduzione di due coefficienti,<br />

detti rispettivamente coefficiente di assorbimento e coefficiente di emissione che vengono tradizionalmente<br />

indicati, rispettivamente, con i simboli kν e ɛν. Entrambi questi coefficienti possono essere definiti in maniera<br />

euristica. Per definire il coefficiente di assorbimento si parte dalla relazione empirica<br />

dIν<br />

Iν<br />

= −kν ds ,<br />

che esprime la diminuzione relativa dell’intensità che si verifica quando la radiazione attraversa un elemento<br />

infinitesimo di lunghezza ds del mezzo. Per il coefficiente di emissione si fa invece riferimento all’energia<br />

dE emessa da un elemento di volume dV nell’intervallo di tempo dt, nell’intervallo di frequenza (ν, ν + dν),<br />

e nell’angolo solido dΩ centrato intorno alla direzione Ω. Il coefficiente di emissione, ɛν, è implicitamente<br />

definito dall’equazione<br />

dE = ɛνdV dt dν dΩ .<br />

Con queste definizioni, l’equazione del trasporto per l’intensità specifica del campo di radiazione si scrive<br />

nella forma 1<br />

d<br />

ds Iν = −kνIν + ɛν ,<br />

dove s è la coordinata misurata lungo il raggio.<br />

Questa equazione costituisce la base teorica per l’interpretazione dello spettro solare e di tutti gli spettri<br />

astrofisici.<br />

3. Soluzione formale dell’equazione del trasporto<br />

Per affrontare il problema della sua soluzione, l’equazione del trasporto viene spesso espressa in una<br />

forma equivalente. Definendo la funzione sorgente, Sν, attraverso l’equazione<br />

Sν = ɛν<br />

l’equazione del trasporto può essere posta nella forma<br />

1 Per una deduzione formale dell’equazione del trasporto dai principi dell’elettrodinamica quantistica si veda E. Landi<br />

Degl’Innocenti & M. Landolfi Polarization in Spectral Lines, Kluwer Acad. Publ., Dordrecht, 2004. Tale deduzione fornisce<br />

anche l’espressione di kν e ɛν in funzione delle proprietà del mezzo e mostra che kν consta in effetti di due contributi: kν =<br />

k (a)<br />

ν −k (s)<br />

ν , dove k (a)<br />

ν è il coefficiente di assorbimento vero e proprio e k (s)<br />

ν è il coefficiente di emissione stimolata (o di assorbimento<br />

negativo). Quella qui presentata non è una vera e propria deduzione dell’equazione del trasporto in quanto i coefficienti kν e<br />

ɛν sono implicitamente definiti dall’equazione stessa.<br />

kν<br />

,<br />

,


FISICA <strong>SO<strong>LA</strong>RE</strong> - <strong>CAPITO<strong>LO</strong></strong> 2 23<br />

O P2 P P1 A<br />

s<br />

s<br />

s<br />

2<br />

1<br />

Fig 2.4. La radiazione si propaga nella direzione che va dal punto P2 al punto P1. La coordinata spaziale<br />

è misurata a partire dal punto O mentre la profondità ottica è misurata nella direzione contraria alla<br />

propagazione a partire dal punto A.<br />

d<br />

ds Iν = −kν(Iν − Sν) .<br />

In generale, kν e Sν sono funzioni del punto, ovvero della coordinata s. Se si suppone che tali funzioni<br />

siano note, l’equazione può essere facilmente risolta. A questo scopo introduciamo, in luogo della coordinata<br />

geometrica s, la cosiddetta profondità ottica specifica (funzione di ν), attraverso l’equazione<br />

dτν = −kν ds .<br />

Come si vede da questa equazione, la profondità ottica è definita in direzione opposta a quella di propagazione<br />

della radiazione, il che riflette il punto di vista di un osservatore che riceve la radiazione nel proprio strumento.<br />

Considerando il plasma contenuto entro uno spessore geometrico fissato, ad esempio fra s1 e s2 (con s1 < s2),<br />

lo spessore ottico risulta, per semplice integrazione dell’equazione precedente<br />

τν(s1, s2) =<br />

s2<br />

s1<br />

(1)<br />

τν τ ν<br />

(2)<br />

τν kν(s) ds .<br />

Lo spessore ottico dipende dalla frequenza e uno spessore geometrico fissato si definisce “otticamente sottile”<br />

quando τν ≪ 1 oppure “otticamente spesso” quando τν ≫ 1. In termini fisici, un mezzo è otticamente sottile<br />

alla frequenza ν quando un fotone di quella frequenza ha una probabilità trascurabile di essere assorbito<br />

nell’attraversarlo. Viceversa, se il mezzo è otticamente spesso, il fotone ha una probabilità praticamente pari<br />

a uno di essere assorbito nel mezzo stesso.<br />

Dividendo l’equazione del trasporto per kν e cambiando di segno, si ottiene<br />

dIν<br />

dτν<br />

= Iν − Sν .<br />

Per risolvere questa equazione moltiplichiamo ambo i membri per il fattore e −τν . Si ottiene<br />

ovvero<br />

dIν −τν<br />

e<br />

dτν<br />

= e −τν Iν − e −τν Sν ,<br />

d −τν −τν e Iν = − e Sν .<br />

dτν<br />

Con riferimento alla Fig. 2.4, integriamo questa equazione fra i punti P1 e P2 del cammino percorso dal<br />

(con<br />

raggio ai quali corrispondono le coordinate s1 e s2 (con s2 < s1) e le profondità ottiche τ (1)<br />

ν<br />

τ (1)<br />

ν<br />

< τ (2)<br />

ν ). Si ottiene<br />

e τ (2)<br />

ν


24 EGIDIO <strong>LA</strong>NDI DEGL’INNOCENTI<br />

ovvero<br />

Iν<br />

(1)<br />

−τ<br />

e ν Iν<br />

(1) −τ<br />

τ ν − e (2)<br />

ν Iν<br />

(1)<br />

(2) −<br />

τ ν = Iν τ ν e<br />

(2)<br />

τ ν<br />

(2)<br />

τ ν =<br />

τ (1)<br />

Sν(τν) e<br />

ν<br />

−τν dτν ,<br />

(2)<br />

τ<br />

(2) (1)<br />

ν<br />

τ ν −τ ν +<br />

τ (1)<br />

Sν(τν) e<br />

ν<br />

−<br />

<br />

(1)<br />

τν−τ ν<br />

Questa formula si interpreta facilmente osservando che l’intensità nel punto P1 è data dall’intensità presente<br />

nel punto P2 (la condizione al contorno) moltiplicata per il fattore di attenuazione dovuto all’assorbimento<br />

fra i punti P2 e P1, alla quale si aggiunge il contributo dovuto all’emissione nell’intervallo compreso fra i due<br />

punti. Il contributo relativo all’intervallo infinitesimo dτν, situato nel punto generico P, è moltiplicato per il<br />

relativo fattore di attenuazione dovuto all’assorbimento fra i punti P e P1. In particolare, se si considera la<br />

= 0, l’equazione precedente risulta<br />

radiazione emergente da un plasma e si pone quindi τ (1)<br />

ν<br />

Iν(0) = Iν(τν) e −τν +<br />

τν<br />

Sν(τ<br />

0<br />

′ ν) e −τ ′ ν dτ ′ ν .<br />

In molti casi, soprattutto in astrofisica, si ha a che fare con plasmi che risultano praticamente infiniti in una<br />

direzione (si pensi ad esempio a un’atmosfera stellare della quale interessi esprimere l’intensità emergente in<br />

funzione delle proprietà locali dell’atmosfera stessa). In tali casi, si deve considerare il limite dell’equazione<br />

precedente per τν → ∞, e, supponendo matematicamente che si abbia<br />

si ottiene<br />

lim<br />

τν→∞ Iν(τν) e −τν = 0 ,<br />

Iν(0) =<br />

∞<br />

0<br />

Sν(τν) e −τν dτν .<br />

Il limite matematico di cui sopra è sempre soddisfatto in pratica, per cui questa equazione esprime in tutta<br />

generalità l’intensità emergente da un’atmosfera stellare.<br />

4. Trasporto radiativo nelle atmosfere stellari<br />

Per determinare l’intensità specifica del campo di radiazione emesso da un’atmosfera stellare vengono<br />

spesso introdotte un certo numero di approssimazioni che servono a semplificare il problema e a renderlo<br />

trattabile dal punto di vista matematico in modo da ottenere alcuni risultati analitici validi come approssimazione<br />

di ordine zero. La prima di tali approssimazioni è quella detta dell’atmosfera piana che consiste nel<br />

trascurare la curvatura degli strati superficiali della stella dovuta alla forma sferica della stella stessa. Tale<br />

approssimazione è in generale ben giustificata in quanto lo spessore dell’atmosfera (definita come lo strato<br />

superficiale dal quale proviene la radiazione osservata) è molto minore del raggio della stella. Per il Sole, ad<br />

esempio, lo spessore H è dell’ordine di un migliaio di Km, per cui si ha<br />

H<br />

R⊙<br />

103<br />

7 × 10 5 1.4 × 10−3 .<br />

Si suppone poi che le proprietà fisiche dell’atmosfera dipendano soltanto dalla quota z (misurata da un’origine<br />

che non è necessario per il momento specificare) e non anche dalle altre due coordinate x e y. Il campo di<br />

radiazione, che in situazioni stazionarie dipende, oltre che dalla frequenza, dal punto P e dalla direzione Ω,<br />

viene così a dipendere unicamente dalla quota z e dall’angolo θ (detto angolo eliocentrico nel caso del Sole),<br />

<br />

dτν .


FISICA <strong>SO<strong>LA</strong>RE</strong> - <strong>CAPITO<strong>LO</strong></strong> 2 25<br />

z<br />

Fig 2.5. Schematizzazione di un’atmosfera piano-parallela nella quale le proprietà fisiche dipendono solo<br />

dalla quota z e il campo di radiazione solo da z e dall’angolo eliocentrico θ.<br />

definito come in Fig. 2.5. Quando si introduce questa ulteriore approssimazione si dice che si ha a che fare<br />

con un’atmosfera piano-parallela.<br />

Indicando con Iν(z, µ) l’intensità specifica della radiazione che si propaga nella direzione individuata<br />

dall’angolo θ (con µ = cos θ), l’equazione del trasporto risulta<br />

θ<br />

Ω<br />

µ d<br />

dz Iν(z, µ) = −kν [Iν(z, µ) − Sν] ,<br />

e, se si suppone valida l’ipotesi dell’Equilibrio Termodinamico Locale (ETL) 1 ,<br />

µ d<br />

dz Iν(z, µ) = −kν [Iν(z, µ) − Bν] ,<br />

dove Bν è la funzione di Planck che dipende solo dalla temperatura locale. L’equazione del trasporto può<br />

essere formalmente risolta introducendo la profondità ottica specifica, tν, misurata lungo la verticale nel<br />

senso delle profondità crescenti (si noti che questa quantità differisce da quella definita col simbolo τν nel<br />

paragrafo precedente e che si riferisce alla profondità ottica misurata lungo un raggio generico).<br />

dtν = −kν dz .<br />

Utilizzando i risultati del paragrafo precedente si ha, per l’intensità emergente<br />

Iν(0, µ) =<br />

∞<br />

0<br />

−tν/µ dtν<br />

Bν e<br />

µ .<br />

Questa espressione può essere convenientemente approssimata al fine di dedurre alcuni risultati di tipo<br />

qualitativo. Se si suppone ad esempio che la funzione di Planck abbia un andamento lineare con tν, ovvero<br />

che valga un’espressione del tipo<br />

si ottiene, con facili passaggi<br />

Bν(τν) = aν + bν tν ,<br />

1 Tale ipotesi consiste nell’assumere che il mezzo materiale con cui interagisce il campo di radiazione si trovi all’equilibrio<br />

termodinamico. In tale caso, in base al principio di Kirchhof si ha S ν = ɛ ν /k ν = B ν , dove B ν è la funzione di Planck.


26 EGIDIO <strong>LA</strong>NDI DEGL’INNOCENTI<br />

Iν(0, µ) = aν + bν µ = Bν(tν = µ) .<br />

La cosiddetta approssimazione di Eddington-Barbier consiste nel supporre che questa identità, rigorosamente<br />

valida nel caso di una funzione di Planck lineare con tν, sia valida in generale. Si ha quindi, in questa<br />

approssimazione<br />

Iν(0, µ) Bν(tν = µ) .<br />

Se si pensa che la temperatura nell’atmosfera stellare sia un’assegnata funzione della quota geometrica<br />

z (T = T (z)), per determinare l’intensità emergente attraverso l’approssimazione di Eddington-Barbier è<br />

sufficiente calcolare la quota ˜z alla quale si ha tν = µ e si ottiene<br />

Iν(0, µ) Bν[T (˜z)] .<br />

Poiché in generale la temperatura decresce con z, ci si devono attendere due fenomeni diversi:<br />

a) Fissata la frequenza, l’intensità emessa dalla stella è maggiore al centro (µ = 1) che non al bordo (µ → 0).<br />

Questo fenomeno, che prende il nome di “oscuramento al bordo”, è osservabile soltanto sul Sole (in quanto è<br />

impossibile con le tecnologie attuali risolvere spazialmente la radiazione proveniente dalle stelle). In ultima<br />

analisi, tale fenomeno è dovuto al fatto che, osservando al centro del Sole, si riesce a penetrare più in<br />

profondità entro l’atmosfera solare. Osservando al bordo, invece, si vedono gli strati più superficiali che sono<br />

anche più freddi (e quindi meno luminosi).<br />

b) Fissato µ, poichè il coefficiente di assorbimento è funzione della frequenza, si ottiene un’intensità minore a<br />

quelle frequenze per le quali il coefficiente di assorbimento è più elevato e un’intensità maggiore alle frequenze<br />

per le quali il coefficiente di assorbimento è più basso. Ovviamente, “minore” e “maggiore” vanno qui intesi<br />

in senso relativo, ovvero rispetto a una funzione di Planck “media” non meglio specificata. In altre parole, si<br />

può pensare che uno spettro stellare sia costituito da una funzione di Planck “modulata” con una tendenza<br />

all’aumento alle frequenze dove il coefficiente di assorbimento è basso e una tendenza alla diminuzione dove<br />

il coefficiente di assorbimento è alto. In questo modo si spiegano facilmente le discontinuità del continuo<br />

che si osservano ai limiti delle serie (tipica l’improvvisa diminuzione del continuo a lunghezze d’onda minori<br />

di 3646 ˚A, la cosiddetta discontinuità di Balmer). Analogamente, se si considera un intervallo di frequenza<br />

centrato intorno a una riga spettrale, il coefficiente di assorbimento ha qui una variazione rapida, passando<br />

da un valore molto elevato al centro della riga a un valore molto minore nelle ali della riga stessa. Questo<br />

spiega, qualitativamente, la presenza di righe di assorbimento negli spettri stellari e induce a ritenere che,<br />

nei casi in cui si osservino righe di emissione, la temperatura debba invece avere un andamento crescente<br />

con la quota (cromosfere stellari).<br />

Per quanto riguarda le stelle, come abbiamo detto, non è possibile effettuare osservazioni dell’andamento<br />

dell’intensità in funzione di µ. Quello che si osserva è invece l’intensità media della radiazione sul disco<br />

stellare, Īν definita da (si veda la Fig. 2.6).<br />

ovvero<br />

π R 2 ∗ Īν<br />

2π<br />

=<br />

0<br />

dφ<br />

Īν(0) = 2<br />

π/2<br />

dθ Iν(0, θ) R<br />

0<br />

2 ∗<br />

1<br />

0<br />

Iν(0, µ) µ dµ .<br />

cos θ sin θ ,<br />

Sostituendo in questa equazione la soluzione formale trovata precedentemente, e invertendo l’ordine delle<br />

integrazioni, si ottiene<br />

Īν(0) = 2<br />

∞<br />

0<br />

dtνBν(T )<br />

1<br />

0<br />

e −tν/µ dµ .<br />

L’integrale in dµ può essere trasformato in termini di funzioni note. Attraverso la sostituzione w = 1/µ si<br />

ha


FISICA <strong>SO<strong>LA</strong>RE</strong> - <strong>CAPITO<strong>LO</strong></strong> 2 27<br />

R<br />

*<br />

θ<br />

θ<br />

all’osservatore<br />

Fig 2.6. La radiazione emessa dall’elemento di superficie stellare individuato dall’angolo al centro θ è inclinata<br />

dello stesso angolo rispetto alla verticale.<br />

1<br />

0<br />

e −tν/µ dµ =<br />

∞<br />

1<br />

1 −wtν<br />

e dw ,<br />

w2 e introducendo la funzione integro-esponenziale di ordine n, definita dall’equazione<br />

si ottiene<br />

per cui<br />

En(x) =<br />

1<br />

0<br />

Īν = 2<br />

∞<br />

1<br />

e−wx dw , (n ≥ 1) ,<br />

wn e −tν/µ dµ = E2(tν) ,<br />

∞<br />

0<br />

Bν(tnu) E2(tν) dtν .<br />

L’analogo dell’approssimazione di Eddington-Barbier si ottiene supponendo che Bν sia una funzione lineare<br />

di tν. In questo caso, tenendo conto che<br />

si ottiene<br />

∞<br />

0<br />

En(x) dx = 1<br />

n ,<br />

∞<br />

Īν = Bν(tν = 2<br />

3 ) .<br />

L’approssimazione di Eddington-Barbier risulta quindi<br />

5. Il modello di atmosfera grigia<br />

Īν Bν(tν = 2<br />

3 ) .<br />

0<br />

x En(x) dx = 1<br />

n + 1 ,<br />

Consideriamo un’atmosfera piano-parallela in equilibrio termodinamico locale. Come abbiamo visto<br />

nel paragrafo precedente, l’intensità emergente può essere espressa attraverso un integrale che implica la


28 EGIDIO <strong>LA</strong>NDI DEGL’INNOCENTI<br />

conoscenza della funzione di Planck (ovvero della temperatura) alle diverse profondità ottiche. Quando si<br />

conosce l’andamento con la profondità della temperatura e, eventualmente, delle altre grandezze fisiche (quali<br />

ad esempio la pressione), si dice che si dispone di un “modello di atmosfera”.<br />

Si possono costruire modelli di atmosfera più o meno sofisticati, a seconda della quantità di informazioni<br />

fisiche che si introducono nella descrizione dell’atmosfera stessa. Il più semplice di tali modelli, e anche il<br />

primo dal punto di vista storico, è il cosiddetto “modello dell’atmosfera grigia”. In tale modello si considera,<br />

come punto di partenza, un’atmosfera piano-parallela in equilibrio termodinamico locale e in equilibrio<br />

radiativo. Riguardo a quest’ultimo concetto bisogna osservare che l’energia può fluire attraverso un’atmosfera<br />

stellare per mezzo di tre meccanismi fisici distinti: irraggiamento, convezione, e conduzione. Un’atmosfera<br />

stellare si dice in equilibrio radiativo quando l’energia fluisce solamente per irraggiamento.<br />

Consideriamo una assegnata quota z nell’atmosfera stellare. L’energia netta di frequenza ν che fluisce,<br />

per unità di tempo, attraverso l’unità di superficie è data da<br />

1<br />

Fν(z) = 2π µ Iν(z, µ) dµ .<br />

−1<br />

La quantità Fν(z) viene detta flusso monocromatico. Ad essa contribuisce la radiazione proveniente dall’interno<br />

col segno positivo (µ > 0) e quella proveniente dall’esterno col segno negativo (µ < 0). In particolare, il<br />

flusso monocromatico alla superficie è connesso alla quantità Īν, introdotta precedentemente, dalla relazione<br />

Fν(0) = π Īν .<br />

La condizione dell’equilibrio radiativo implica che l’integrale del flusso monocromatico su tutte le frequenze<br />

sia costante, cioè indipendente da z. In formule, definendo il flusso totale F attraverso l’equazione<br />

F =<br />

∞<br />

l’ipotesi dell’equilibrio radiativo implica<br />

0<br />

Fν dν = 2π<br />

dF<br />

dz<br />

∞<br />

0<br />

= 0 .<br />

1<br />

dν µ Iν(z, µ) dµ ,<br />

−1<br />

Il valore di F viene in genere parametrizzato attraverso la cosiddetta “temperatura efficace”, Teff, definita<br />

dalla relazione<br />

F = σ T 4 eff ,<br />

(dove σ è la costante di Stefan-Boltzmann) e che ovviamente rappresenta la temperatura che dovrebbe avere<br />

un corpo nero per irradiare lo stesso flusso della stella. Il flusso è anche connesso alla luminosità L∗ e al<br />

raggio R∗ della stella attraverso la relazione<br />

F = L∗<br />

4πR 2 ∗<br />

L’ulteriore ipotesi semplificatrice che viene introdotta nel modello dell’atmosfera grigia (che ne giustifica<br />

il nome) è quella di assumere il coefficiente di assorbimento kν indipendente dalla frequenza. Questa ipotesi<br />

semplifica notevolmente il problema dal punto di vista matematico ma non è affatto realistica dal punto di<br />

vista fisico. Ovviamente il modello che così si ottiene deve essere considerato come una sorta di modello di<br />

ordine zero per una vera e propria atmosfera stellare.<br />

Nell’atmosfera grigia si può definire, in luogo della profondità ottica monocromatica tν, una profondità<br />

ottica “universale” t e l’equazione del trasporto si scrive<br />

µ d<br />

dt Iν(t, µ) = Iν(t, µ) − Bν(t) .<br />

Integrando l’equazione del trasporto in dν e definendo<br />

.


si ottiene<br />

I(t, µ) =<br />

FISICA <strong>SO<strong>LA</strong>RE</strong> - <strong>CAPITO<strong>LO</strong></strong> 2 29<br />

∞<br />

0<br />

Iν(t, µ) dν , B(t) =<br />

∞<br />

µ d<br />

I(t, µ) = I(t, µ) − B(t) .<br />

dt<br />

0<br />

Bν(t) dν ,<br />

Come si vede, l’ipotesi del coefficiente di assorbimento indipendente dalla frequenza permette di scrivere<br />

un’unica equazione del trasporto per le quantità integrate in frequenza. Questa è la semplificazione fondamentale<br />

dell’atmosfera grigia.<br />

A partire dalla I(t, µ) si possono definire i relativi momenti integrando sulle direzioni. Il momento di<br />

ordine n, Mn(t) è definito da<br />

Mn(t) = 1<br />

<br />

4π<br />

µ n I(t, µ) dΩ = 1<br />

1<br />

µ<br />

2 −1<br />

n I(t, µ) dµ .<br />

Il momento di ordine zero è l’intensità media (sulle direzioni) del campo di radiazione ed è indicato col<br />

simbolo J(t)<br />

J(t) = M0(t) = 1<br />

1<br />

I(t, µ) dµ .<br />

2 −1<br />

Il momento di ordine uno è proporzionale al flusso di energia raggiante. Infatti si ha<br />

1<br />

F (t) = 4πM1(t) = 2π µ I(t, µ) dµ .<br />

−1<br />

Infine il momento di ordine due è proporzionale alla pressione di radiazione ed è indicato col simbolo K(t)<br />

Integrando l’equazione del trasporto in dµ si ottiene<br />

K(t) = M2(t) = 1<br />

1<br />

µ<br />

2 −1<br />

2 I(t, µ) dµ .<br />

1 dF (t)<br />

= J(t) − B(t) ,<br />

4π dt<br />

e sfruttando l’ipotesi dell’equilibrio radiativo (F = cost) si ha<br />

J(t) = B(t) .<br />

Moltiplicando poi l’equazione del trasporto per µ e integrando in dµ si ottiene<br />

che risolta dà<br />

dK(t)<br />

dt<br />

K(t) =<br />

= F<br />

4π ,<br />

F t<br />

4π<br />

+ C ,<br />

dove C è una costante da determinare attraverso le condizioni al contorno.<br />

Osserviamo che per t → ∞, ovvero alla base dell’atmosfera, dobbiamo aspettarci che il campo di radiazione<br />

tenda a divenire praticamente isotropo. Se la dipendenza da µ dell’intensità può essere rappresentata<br />

da una funzione lineare del tipo<br />

I(t, µ) = a(t) + b(t)µ ,<br />

con a(t) e b(t) indipendenti da µ, si possono collegare fra loro le quantità J e K, e si ha


30 EGIDIO <strong>LA</strong>NDI DEGL’INNOCENTI<br />

Fig 2.7. Confronto fra la legge dell’oscuramento al bordo relativa all’atmosfera grigia (linea continua) e i<br />

valori solari osservati (punti).<br />

K(t) = 1<br />

3 J(t) .<br />

Se si suppone che questa relazione sia valida per qualsiasi valore di t (e non solo per t → ∞) si adotta la<br />

cosiddetta “approssimazione di Eddington” con la quale il problema dell’atmosfera grigia può essere risolto<br />

analiticamente. Infatti, attraverso le relazioni trovate precedentemente si ha<br />

B(t) = J(t) = 3K(t) = 3<br />

F t + C′<br />

4π<br />

con C ′ = 3C. Per determinare la costante C ′ sfruttiamo le condizioni al contorno relative alla superficie<br />

della stella (t = 0). Se la stella è isolata (cioè non appartiene a un sistema doppio o multiplo), il flusso alla<br />

superficie si può calcolare attraverso l’equazione (ottenuta per mezzo della soluzione formale dell’equazione<br />

del trasporto)<br />

F = 2π<br />

1<br />

0<br />

µ I(0, µ) dµ = 2π<br />

1<br />

0<br />

dµ µ<br />

∞<br />

0<br />

,<br />

−t/µ dt<br />

B(t)e<br />

µ .<br />

Sostituendo l’espressione per B(t) e svolgendo il calcolo si ottiene facilmente<br />

dimodoché si ha per B(t)<br />

Ricordando infine che<br />

C ′ = F<br />

2π ,<br />

B(t) = 3F<br />

4π<br />

<br />

2 t + 3 .<br />

B(t) = σ<br />

π T 4 (t) , F = σ T 4 eff ,<br />

si ottiene l’andamento della temperatura con t per l’atmosfera grigia (nell’approssimazione di Eddington)<br />

T (t) = Teff 4<br />

<br />

3<br />

4<br />

In particolare si vede che alla superficie dell’atmosfera si ha<br />

<br />

2 t + 3 .


FISICA <strong>SO<strong>LA</strong>RE</strong> - <strong>CAPITO<strong>LO</strong></strong> 2 31<br />

Fig 2.8. Andamento della temperatura in funzione di t in un’atmosfera grigia. La linea continua è la soluzione<br />

esatta mentre la linea punteggiata è la soluzione ottenuta per mezzo dell’approssimazione di Eddington.<br />

T (0) = 0.841 Teff ,<br />

e che, per t = 2<br />

3 , si ottiene T = Teff.<br />

Dall’espressione di B(t) si può anche determinare l’andamento centro-lembo dell’intensità emergente<br />

dalla stella. Si ha infatti<br />

I(0, µ) =<br />

∞<br />

0<br />

3F<br />

4π<br />

<br />

2 −t/µ<br />

t + 3 e dt<br />

µ = 3F<br />

4π<br />

<br />

2 µ + 3 .<br />

Definendo il rapporto di oscuramento al lembo, r(µ), attraverso l’equazione<br />

si ottiene<br />

r(µ) =<br />

r(µ) =<br />

I(0, µ)<br />

I(0, 1) ,<br />

3µ + 2<br />

5<br />

Questa legge di oscuramento al bordo può essere confrontata coi risultati osservativi disponibili per il Sole.<br />

La differenza fra il valore di r(µ) teorico e quello osservato si mantiene sempre al di sotto del 5% (si veda la<br />

Fig. 2.7).<br />

È necessario infine sottolineare che il problema dell’atmosfera grigia può essere risolto esattamente dal<br />

punto di vista matematico (si veda ad es. S. Chandrasekhar, Radiative Transfer, Oxford, At the Clarendon<br />

Press, <strong>19</strong>50). Il risultato finale può essere condensato nelle equazioni<br />

B(t) = 3F<br />

4π<br />

<br />

4 3<br />

[t + q(t)] , T (t) = Teff 4 [t + q(t)] ,<br />

dove q(t) è un’opportuna funzione, detta funzione di Hopf, che cresce in maniera monotona dal valore 0.577<br />

per t = 0 fino al valore 0.710 per t → ∞. Essa differisce molto poco dal valore approssimato, pari a 2<br />

3 ,<br />

ottenuto attraverso l’approssimazione di Eddington.<br />

L’andamento della temperatura in funzione di t è illustrato nella Fig. 2.8 (curva continua) insieme<br />

alla funzione ottenuta nell’approssimazione di Eddington (curva tratteggiata). La variazione percentuale<br />

massima fra le due curve è pari al 3.5% a t = 0.<br />

.


32 EGIDIO <strong>LA</strong>NDI DEGL’INNOCENTI<br />

6. Modelli realistici di atmosfere stellari<br />

Il modello dell’atmosfera grigia che abbiamo sviluppato nel paragrafo precedente costituisce un’approssimazione<br />

grossolana delle atmosfere stellari in quanto il coefficiente di assorbimento è una funzione variabile<br />

della frequenza e, in realtà, può essere supposto costante soltanto in intervalli di frequenza estremamente<br />

ridotti. Il vantaggio del modello dell’atmosfera grigia è unicamente quello di fornire un’approssimazione<br />

analitica (o semi-analitica) della struttura fisica dell’atmosfera. Da questo punto di vista esso può essere<br />

paragonato ai modelli politropici degli interni stellari.<br />

Con l’avvento dei moderni elaboratori elettronici è stato possibile, a partire dalla fine degli anni <strong>19</strong>50,<br />

costruire dei modelli più realistici delle atmosfere stellari. Tali modelli implicano la soluzione autoconsistente<br />

di un insieme di equazioni differenziali e sono basati, in generale, sulla solita approssimazione<br />

dell’atmosfera piano-parallela in equilibrio termodinamico locale. Accanto all’equazione del trasporto radiativo<br />

per l’intensità specifica<br />

µ d<br />

dz Iν(z, µ) = −kν[Iν(z, µ) − Bν(z)] ,<br />

si considerano l’equazione dell’equilibrio radiativo, l’equazione dell’equilibrio idrostatico e l’equazione di stato<br />

dei gas perfetti, ovvero<br />

dF<br />

dz<br />

= d<br />

dz<br />

dP<br />

dz<br />

∞<br />

0<br />

1<br />

dν 2π µ Iν(z, µ) dµ = 0 ,<br />

−1<br />

ρ<br />

= −ρ g , P = kBT .<br />

¯µmH<br />

In queste equazioni, P è la pressione del gas atmosferico, ρ è la densità, g è la gravità alla superficie della<br />

stella, ¯µ è il peso molecolare medio e mH è l’unità di peso atomico. Considerando P e T come variabili<br />

indipendenti, e supponendo di conoscere le relazioni che collegano kν e ¯µ a P e T (si veda il paragrafo<br />

successivo per l’espressione di kν in funzione di queste due variabili), le equazioni possono essere risolte<br />

numericamente tenendo conto delle opportune condizioni al contorno. Tali condizioni sono le seguenti<br />

che fissa l’entità del flusso radiativo;<br />

F = σ T 4 eff ,<br />

Iν(0, µ < 0) = 0 ,<br />

che traduce il fatto che la stella è isolata e quindi non illuminata dall’esterno.<br />

Dalla soluzione delle equazioni si ricava il modello teorico dell’atmosfera stellare, ovvero una tabella di<br />

numeri che danno l’andamento delle due funzioni P (z) e T (z). Il modello viene a dipendere esplicitamente<br />

da tre soli parametri, ovvero dalla temperatura efficace Teff, dalla gravità superficiale g e da un insieme<br />

di numeri {Ai} che stabiliscono le abbondanze relative dei vari elementi. La dipendenza da quest’ultimo<br />

parametro è contenuta nelle funzioni kν(P, T ) e ¯µ(P, T ).<br />

Nel caso del Sole, data la notevole vicinanza e la possibilità di osservarne lo spettro in maniera molto<br />

dettagliata, è anche possibile ottenere dei “modelli empirici” dell’atmosfera solare. Un modello teorico, infatti,<br />

è basato sull’ipotesi dell’equilibrio radiativo e porta necessariamente a un andamento decrescente della<br />

temperatura con la quota. Nel caso solare, sappiamo invece che esiste una deposizione di energia (probabilmente<br />

dovuta a onde meccaniche o magneto-idrodinamiche) negli strati fotosferici più elevati. Questa<br />

deposizione di energia fa sì che, procedendo dagli strati fotosferici più profondi verso l’alto, la temperatura<br />

inizialmente diminuisca, passi per un minimo (il cosiddetto “minimo di temperatura”) a circa 4000 K, e poi<br />

risalga per raggiungere valori dell’ordine di 10,000 K nella cromosfera. Questo andamento della temperatura<br />

può essere dedotto utilizzando l’enorme quantità di informazioni contenuta nello spettro, in modo che è possibile<br />

ottenere dei modelli empirici dell’atmosfera solare, sempre basati sull’ipotesi dell’equilibrio idrostatico,<br />

che danno l’andamento delle varie quantità termodinamiche in funzione della quota. I più noti di tali modelli<br />

sono il modello HSRA (Harvard Smithsonian Reference Atmosphere) e i modelli VAL (dalle iniziali delle


FISICA <strong>SO<strong>LA</strong>RE</strong> - <strong>CAPITO<strong>LO</strong></strong> 2 33<br />

Fig 2.9. Andamento della temperatura con la profondità ottica a 5000 ˚A per i due modelli VAL-A e VAL-C.<br />

Il primo descrive l’atmosfera solare media mentre il secondo descrive una tipica regione attiva (plage).<br />

persone, Vernazza, Avrett e Looser, che li hanno proposti). Nei modelli empirici dell’atmosfera solare, la<br />

scala di profondità è data sia in km, sia in funzione della profondità ottica misurata a una lunghezza d’onda<br />

di riferimento (generalmente τ5000, la profondità ottica alla lunghezza d’onda di 5000 ˚A) 1 . Per convenzione<br />

si suppone poi di misurare la quota a partire dal livello in cui si ha τ5000 = 1. Un esempio dell’andamento<br />

della temperatura in funzione di τ5000 per due modelli empirici è rappresentato nella Fig. 2.9<br />

7. Lo spettro continuo<br />

Per l’analisi dello spettro solare, è spesso necessario calcolare, in funzione della frequenza, il valore<br />

dell’intensità specifica che emerge dall’atmosfera, descritta da un adeguato modello teorico o empirico. Assegnate<br />

le funzioni P (z) e T (z) si tratta quindi di valutare un integrale della forma (si vedano le equazioni<br />

del Par. 2.4)<br />

Iν(0, µ) =<br />

∞<br />

0<br />

−tν/µ dtν<br />

Bν(tν) e<br />

µ ,<br />

La difficoltà maggiore del calcolo consiste nell’esprimere la relazione esistente fra tν e la quota, ovvero nel<br />

trovare la funzione<br />

tν = tν(z) .<br />

Poiché, d’altra parte, questa relazione deriva dall’integrazione dell’equazione differenziale<br />

dtν = −kν(z) dz ,<br />

il problema è ricondotto, in ultima analisi, a trovare l’espressione del coefficiente di assorbimento kν per una<br />

quota z assegnata.<br />

Nelle zone di spettro nelle quali non sono presenti righe spettrali, il coefficiente di assorbimento kν (detto<br />

anche, in astrofisica, “opacità” 2 è dovuto ai soli processi fisici del tipo legato-libero e libero-libero. I processi<br />

1 Il simbolo comunemente usato nei modelli per la profondità ottica misurata lungo la verticale è τ e non t. Per essere<br />

consistenti con le nostre notazioni dovremmo scrivere piuttosto t 5000 .<br />

2 Sebbene questa distinzione non sia universalmente accettata, in questo volume preferiamo riservare il nome di coefficiente<br />

di opacità alla quantità κ ν definita come il rapporto k ν /ρ, con ρ densità. κ ν è anche talvolta denominato “coefficiente di<br />

assorbimento massico”.


34 EGIDIO <strong>LA</strong>NDI DEGL’INNOCENTI<br />

che contribuiscono maggiormente al coefficiente di assorbimento nelle atmosfere stellari sono i seguenti:<br />

a) fotoionizzazione dell’atomo di Idrogeno; un atomo di Idrogeno che si trova in un livello legato assorbe<br />

un fotone e viene così ionizzato. Un tale processo può essere schematizzato come una “reazione” del tipo<br />

H + hν → H + + e − ;<br />

b) transizioni libero-libero fra stati a energia positiva dell’atomo di Idrogeno (o processi di bremsstrahlung<br />

inversa): H + + e − + hν → H + + e − ;<br />

c) fotoionizzazione dello ione negativo di Idrogeno: H − + hν → H + e − ;<br />

d) processi di tipo a) e b) per atomi di Elio e altri elementi relativamente abbondanti nelle atmosfere stellari<br />

(O, C, N, Si, Mg, Ne, Fe, etc.);<br />

e) diffusione Thomson su elettroni e diffusione Rayleigh su atomi o ioni.<br />

Il contributo al coefficiente di assorbimento relativo a ciascun processo può essere calcolato attraverso dei<br />

metodi generali, basati sull’elettrodinamica classica e quantistica, sui quali non possiamo però addentrarci<br />

in questa sede (ulteriori approfondimenti su questo argomento sono contenuti nel Par. 6.5). In molti casi,<br />

è però sufficiente utilizzare un metodo classico relativamente semplice basato sulla teoria dell’elettrone di<br />

Lorentz che è presentata nel paragrafo seguente. Senza analizzare in dettaglio tutti i processi elencati, ci<br />

limitiamo qui a considerare il contributo al coefficiente di assorbimento dovuto allo ione H − che risulta il più<br />

importante nel caso dell’atmosfera del Sole per le lunghezze d’onda del visibile e del vicino infrarosso.<br />

Un atomo di Idrogeno e un elettrone libero possono, per così dire, “combinare” per dare uno ione<br />

negativo stabile avente un’energia di legame dell’ordine di 0.75 eV. Lo stato che ne deriva, in analogia allo<br />

stato fondamentale dell’Elio, è uno stato del tipo 1s 2 1 S0. La stabilità di questo ione fu prevista teoricamente<br />

da Bethe nel <strong>19</strong>29 mediante un calcolo variazionale. Il valore attualmente accettato per l’energia di legame<br />

dello ione H − è pari a 0.75416 eV. Un fotone avente lunghezza d’onda inferiore al valore di soglia di 16438 ˚A<br />

è in grado di ionizzare lo ione H − e il relativo coefficiente di assorbimento è dato dall’equazione<br />

k (a)<br />

ν = N H − σν ,<br />

dove N H − è la densità degli ioni H − espressa in numero di particelle per unità di volume, e σν è la sezione<br />

d’urto del processo. Il calcolo teorico della sezione d’urto implica la valutazione dell’elemento di matrice di<br />

dipolo fra gli stati iniziali e finali della transizione e questo, a sua volta, implica la conoscenza delle autofunzioni<br />

dello stato legato e degli stati liberi dello ione H − . I calcoli dettagliati, eseguiti da Chandrasekhar<br />

e altri autori negli anni <strong>19</strong>50, danno per σν i valori riportati nella Fig 2.10. La sezione d’urto presenta un<br />

massimo intorno a 8500 ˚A (dove vale circa 1.4 a 2 0, essendo a0 il raggio della prima orbita di Bohr) e risulta<br />

di poco inferiore a tale valore in tutta la regione dello spettro visibile (la regione dove l’intensità del campo<br />

di radiazione è massima per stelle di tipo solare).<br />

Noto σν, il problema di trovare il valore del coefficiente di assorbimento si riconduce al problema di<br />

determinare la densità degli ioni H − in un punto dell’atmosfera caratterizzato da valori di P e di T dati<br />

dal modello. Questo è, a sua volta, un problema molto generale che, come vedremo, coinvolge l’equilibrio di<br />

ionizzazione di tutti gli elementi presenti nell’atmosfera stessa. Il calcolo dettagliato, sviluppato nel seguito,<br />

può essere considerato come un esempio caratteristico di calcoli analoghi che devono essere effettuati per<br />

determinare le densità di tutte le specie chimiche presenti nell’atmosfera stellare.<br />

Supponiamo di conoscere le abbondanze relative di tutti gli elementi rispetto all’Idrogeno e indichiamo<br />

tali abbondanze con il simbolo AHe per l’Elio, e con AMi per il generico elemento caratterizzato dall’indice i.<br />

Se si suppone per semplicità che nell’atmosfera il grado di ionizzazione massimo dell’Elio e di tutti gli altri<br />

elementi sia 1, e trascurando il contributo delle “specie minori” (quali le molecole e lo ione H − stesso, il che<br />

costituisce una buona approssimazione nel caso solare), si ha, per la legge di Dalton<br />

P = Pe + (PH + P H +) + (PHe + P He +) + <br />

i<br />

(PMi + P M +<br />

i<br />

dove Pe è la pressione elettronica, PH la pressione dovuta agli atomi di Idrogeno neutri, P H + la pressione<br />

dovuta agli atomi di Idrogeno ionizzati, etc.. D’altra parte, affinché sia soddisfatta la condizione di neutralità<br />

del plasma, si deve anche avere<br />

) ,


FISICA <strong>SO<strong>LA</strong>RE</strong> - <strong>CAPITO<strong>LO</strong></strong> 2 35<br />

Fig 2.10. Sezione d’urto per fotoionizzazione dello ione negativo dell’atomo di Idrogeno. La sezione d’urto<br />

è in unità di a2 0 , mentre la lunghezza d’onda è espressa in µm.<br />

Pe = P H + + P He + + <br />

i<br />

P M +<br />

i<br />

Introduciamo adesso i rapporti di ionizzazione per le singole specie<br />

x =<br />

P H +<br />

PH + P H +<br />

, y =<br />

P He +<br />

PHe + P He +<br />

.<br />

, zi =<br />

P M +<br />

i<br />

PMi + P M +<br />

i<br />

che, in base all’equazione di Saha1 , sono funzioni note di T e Pe. Sostituendo nelle equazioni precedenti e<br />

introducendo le abbondanze relative all’Idrogeno si ha<br />

<br />

P = Pe + (PH + PH +) 1 + AHe + <br />

<br />

,<br />

dalle quali si ottiene<br />

Pe = (PH + P H +)<br />

<br />

x + yAHe + <br />

<br />

P = Pe 1 + 1 + AHe + <br />

x + yAHe + <br />

i<br />

i<br />

i AMi<br />

i ziAMi<br />

AMi<br />

ziAMi<br />

A proposito di questa equazione si può osservare che, essendo tutte le abbondanze AMi praticamente trascurabili<br />

rispetto alle abbondanze dell’Idrogeno e dell’Elio, al numeratore della frazione la somma su i può<br />

essere omessa. Al denominatore però la somma non si può omettere in quanto, dato il basso potenziale di<br />

ionizzazione dei metalli, in molti casi si può avere che alcuni degli zi siano molto vicini all’unità mentre x<br />

e y sono praticamente nulli. In questo senso P risulta una funzione di Pe molto sensibile alle abbondanze<br />

AMi, cosa che è del resto intuitiva dal punto di vista fisico. Ritornando all’equazione di sopra, e ricordando<br />

che x, y e zi sono funzioni di T e Pe, si ha<br />

P = P (T, Pe) .<br />

1 Si suppone qui che il lettore sia a conoscenza di tale equazione e del suo significato. La sua espressione esplicita è data nel<br />

Par. 5.2.<br />

<br />

<br />

.<br />

,<br />

,


36 EGIDIO <strong>LA</strong>NDI DEGL’INNOCENTI<br />

Questa equazione può essere invertita mediante calcoli numerici così da ottenere<br />

Pe = Pe(T, P ) .<br />

Nota Pe, le pressioni parziali delle singole specie possono essere facilmente ottenute. Ad esempio, per la<br />

pressione parziale dell’Idrogeno neutro si ha<br />

PH = (1 − x) (PH + P H +) = (1 − x)<br />

P − Pe<br />

1 + AHe + <br />

i AMi<br />

Infine si può determinare, sempre attraverso l’equazione di Saha, il rapporto r fra la pressione parziale dello<br />

ione H − e la pressione parziale dell’Idrogeno neutro, e si ottiene<br />

N H − = P H −<br />

kBT<br />

= rPH<br />

kBT<br />

= r (1 − x)<br />

kBT<br />

P − Pe<br />

1 + AHe + <br />

i AMi<br />

A proposito di questo risultato bisogna osservare che esso è stato ottenuto supponendo che la densità degli<br />

ioni di Idrogeno negativo sia molto minore delle densità degli atomi di Idrogeno neutri o ionizzati (altrimenti<br />

il contributo esplicito della pressione parziale degli H − avrebbe dovuto essere incluso nelle equazioni di<br />

partenza per P e Pe). Questa approssimazione è del tutto giustificata per l’atmosfera solare nella quale<br />

l’Idrogeno si trova nella forma di ione negativo per una frazione trascurabile dell’Idrogeno totale (il rapporto<br />

N H −/NH varia sostanzialmente fra 10 −9 e 10 −7 a seconda della quota).<br />

Il problema della determinazione del contributo al coefficiente di assorbimento kν dovuto allo ione H −<br />

è così risolto. In effetti bisogna tener conto anche del fatto che il coefficiente di assorbimento che abbiamo<br />

calcolato è k (a)<br />

ν e non kν = k (a)<br />

ν − k (s)<br />

ν . Tuttavia, quando vale l’equilibrio termodinamico locale, si ha<br />

semplicemente<br />

kν = k (a)<br />

ν<br />

<br />

−hν/(kBT<br />

1 − e<br />

)<br />

per cui la correzione dovuta all’emissione stimolata è facilmente introdotta. Per mezzo di calcoli analoghi<br />

si possono poi ottenere tutti gli altri contributi a kν e il coefficiente di assorbimento risulta determinato in<br />

funzione di T e P , ovvero in funzione della quota z. Questo permette di risolvere l’equazione del trasporto<br />

e di determinare lo spettro continuo della radiazione emessa dal Sole o dalla stella.<br />

8. La teoria dell’elettrone di Lorentz<br />

Prima dell’avvento della meccanica quantistica, i fenomeni di irraggiamento delle cariche elettriche<br />

avevano ricevuto un’adeguata interpretazione nell’ambito di una teoria relativamente semplice alla quale<br />

avevano contribuito diversi autori e, in particolare, il fisico olandese Lorentz. Sebbene tale teoria sia oggi<br />

sorpassata dall’elettrodinamica quantistica, essa permette di ottenere con semplicità dei risultati importanti<br />

e sostanzialmente corretti, validi però entro l’ambito ristretto della fisica classica. In molti casi, tuttavia, tali<br />

risultati possono essere convenientemente estesi in maniera fenomenologica per tener conto delle correzioni<br />

introdotte dalla meccanica quantistica. Nel seguito illustreremo alcuni delle applicazioni più importanti della<br />

teoria classica dell’elettrone (o teoria di Lorentz).<br />

A) L’elettrone libero: diffusione Thomson<br />

Consideriamo un elettrone libero investito da un’onda elettromagnetica monocromatica il cui vettore campo<br />

elettrico è descritto, in notazioni complesse, dall’equazione<br />

E(t) = E0 e −i (ωt−ϕ) ,<br />

dove E0 è l’ampiezza dell’onda, ω è la frequenza angolare e ϕ è un fattore di fase. L’equazione di moto<br />

dell’elettrone risulta<br />

ma = −e0 E0 e −i (ωt−ϕ) ,<br />

,<br />

.<br />

.


FISICA <strong>SO<strong>LA</strong>RE</strong> - <strong>CAPITO<strong>LO</strong></strong> 2 37<br />

dove m e e0 sono, rispettivamente, la massa e la carica dell’elettrone (quest’ultima espressa in valore assoluto).<br />

L’accelerazione dell’elettrone è quindi data da<br />

a = − e0<br />

m E0 e −i (ωt−ϕ) .<br />

Come è noto, una carica q in moto accelerato irradia, in approssimazione non-relativistica, secondo la formula<br />

seguente (detta equazione di Larmor)<br />

W = 2 q2 a 2<br />

3 c 3<br />

dove W è la potenza dell’emissione, ovvero l’energia emessa in tutto l’angolo solido per unità di tempo e<br />

dove c è la velocità della luce. Applicando questa equazione al nostro caso particolare, e tenendo presente<br />

il carattere sinusoidale dell’accelerazione, la potenza media emessa dall’elettrone su un periodo dell’onda è<br />

data da<br />

Wmed = e40 E2 0<br />

3 m2 .<br />

c3 D’altra parte, l’elettrone risulta investito da un flusso di energia elettromagnetica dato da<br />

F = 1<br />

8π (E2 + B 2 ) c .<br />

Per la nostra onda, essendo E = B e mediando su un periodo, si ha<br />

Fmed = 1<br />

8π E2 0 c .<br />

Si può quindi definire la sezione d’urto di diffusione dell’elettrone mediante l’equazione<br />

Wmed = σFmed .<br />

Nel nostro caso dell’elettrone libero, la sezione d’urto del processo di diffusione è detta sezione d’urto Thomson<br />

ed è indicata col simbolo σT. Essa vale<br />

ovvero, numericamente<br />

σT = 8π<br />

3<br />

,<br />

e4 0<br />

m2 ,<br />

c4 σT = 6.652 × 10 −25 cm 2 .<br />

Introducendo la quantità rc, detta “raggio classico dell’elettrone”, definita dall’equazione<br />

rc = e2 0<br />

m c 2 = 2.818 × 10−13 cm ,<br />

la sezione d’urto Thomson può essere anche espressa nella forma<br />

σT = 8π<br />

3 r2 c .<br />

B) L’elettrone legato: diffusione Rayleigh<br />

Si consideri adesso il caso di un elettrone legato in un atomo o in una molecola. Seguendo il modello atomico<br />

di Lorentz, si assume che le forze che tengono legato l’elettrone all’atomo possano essere schematizzate<br />

con un’unica forza di richiamo elastica del tipo F = −kx, dove x è il vettore che individua la posizione<br />

dell’elettrone rispetto al nucleo atomico (al centro di massa delle cariche elettriche positive nel modello<br />

originario di Lorentz). In assenza di termini forzanti, il modello di Lorentz fornisce per l’elettrone l’equazione<br />

differenziale


38 EGIDIO <strong>LA</strong>NDI DEGL’INNOCENTI<br />

m d2x = −kx ,<br />

dt2 la quale, risolta, dà per x una soluzione di carattere oscillatorio caratterizzata dalla frequenza angolare ω0<br />

definita da<br />

<br />

k<br />

ω0 =<br />

m .<br />

Nella vecchia teoria atomica classica, la frequenza ω0 veniva assunta come un parametro. Tale parametro era<br />

fissato fenomenologicamente facendolo coincidere con la frequenza angolare della riga di risonanza dell’atomo<br />

stesso. Ad esempio, nel caso dell’atomo di Sodio, la riga di risonanza (che è in verità un doppietto) cade alla<br />

lunghezza d’onda λ0 pari a 5890 ˚A. In termini di ω0 si ha<br />

ω0 = 2π c<br />

= 3.20 × 10<br />

λ0<br />

15 s −1 .<br />

Tenendo conto di questa forza di richiamo elastica, l’equazione di moto dell’elettrone soggetto all’azione<br />

perturbatrice dell’onda elettromagnetica risulta<br />

d 2 x<br />

dt 2 = −ω2 0x − e0<br />

m E0 e −i (ωt−ϕ) .<br />

Questa equazione differenziale si risolve cercando una soluzione del tipo<br />

Con facili passaggi si ottiene<br />

L’accelerazione dell’elettrone è quindi data da<br />

x = x0 e −i (ωt−ϕ) .<br />

x0 = − e0<br />

m<br />

a = d2 x<br />

dt 2 = −ω2 x = e0<br />

m<br />

1<br />

ω 2 0 − ω2 E0 .<br />

ω 2<br />

ω 2 0 − ω2 E0 e −i (ωt−ϕ) .<br />

A questo punto si possono ripetere gli stessi ragionamenti fatti a proposito dell’elettrone libero e si ottiene,<br />

per l’elettrone legato, una nuova sezione d’urto, detta sezione d’urto Rayleigh, data da<br />

che può anche essere scritta nella forma<br />

σR = 8π<br />

3<br />

σR =<br />

ω 4<br />

(ω 2 0 − ω2 ) 2<br />

e4 0<br />

m2 ,<br />

c4 ω 4<br />

(ω 2 0 − ω2 ) 2 σT .<br />

Si noti che, nel caso limite ω0 ≪ ω, che rappresenta il caso di un elettrone libero, si ritrova<br />

mentre nel caso opposto, ω0 ≫ ω, si ottiene<br />

σR = σT ,<br />

σR = ω4<br />

ω4 σT .<br />

0<br />

Questa dipendenza della sezione d’urto Rayleigh con la quarta potenza della frequenza (ovvero con la potenza<br />

-4 della lunghezza d’onda) è tipica di un gran numero di sostanze, almeno quando ci si limita a considerare la<br />

radiazione dello spettro visibile. Questo è dovuto al fatto che le righe di risonanza di tali sostanze cadono nella


FISICA <strong>SO<strong>LA</strong>RE</strong> - <strong>CAPITO<strong>LO</strong></strong> 2 39<br />

regione ultravioletta dello spettro. Il colore azzurro del cielo e, il fenomeno, ad esso correlato, della colorazione<br />

rossa del Sole (o della Luna) all’alba e al tramonto, sono due esplicite manifestazioni dell’andamento della<br />

sezione d’urto Rayleigh con la frequenza secondo la formula data sopra.<br />

C) Righe spettrali<br />

La formula della sezione d’urto Rayleigh trovata precedentemente presenta una divergenza alla frequenza<br />

di risonanza ω0. Tale divergenza può essere rimossa introducendo nell’equazione di moto dell’elettrone un<br />

termine di smorzamento. L’esistenza di uno smorzamento è d’altra parte ovvia dal punto di vista fisico in<br />

quanto l’elettrone irradia e deve quindi subire un fenomeno che tende a sottrargli energia meccanica. Per<br />

descrivere quantitativamente tale smorzamento, si può seguire il seguente ragionamento.<br />

Innanzitutto si osserva che, poiché<br />

<br />

2 d d x dx<br />

·<br />

dt dt2 dt<br />

= d3x dx<br />

·<br />

dt3 dt +<br />

2 d x<br />

dt2 2<br />

per un moto periodico, integrando lungo un periodo e dividendo per il periodo stesso, si ottiene, per le<br />

quantità medie<br />

d 3 2 d x dx<br />

x<br />

· = −<br />

dt3 dt med dt2 2 <br />

.<br />

med<br />

Se si ricorda adesso la formula di Larmor, per la conservazione dell’energia si deve avere che sull’elettrone<br />

agisce una forza di smorzamento, Fsmorz, tale che<br />

Fsmorz · dx<br />

dt = −W = −2e2 0<br />

3c3 2 d x<br />

dt2 2<br />

Confrontando le due equazioni precedenti, se ne deduce che la forza di smorzamento è data, in media,<br />

dall’espressione<br />

Fsmorz = 2 e20 3 c3 d3x dt3 .<br />

Si riscrive adesso l’equazione di moto dell’elettrone tenendo conto anche della forza di smorzamento. L’equazione<br />

risulta<br />

d2x dt2 = −ω2 0 x + 2 e20 3 m c3 d3x Al solito, si cerca una soluzione di questa equazione del tipo<br />

e si trova, con facili passaggi<br />

dove si è posto<br />

Passando all’accelerazione, si trova infine<br />

x0 = − e0<br />

m<br />

a = d2 x<br />

dt 2 = −ω2 x = e0<br />

m<br />

e0<br />

−<br />

dt3 m E0 e −i (ωt−ϕ) .<br />

x = x0 e −i (ωt−ϕ) ,<br />

1<br />

ω 2 0 − ω2 − iγω E0 ,<br />

γ = 2 e2 0<br />

3 m c 3 ω2 .<br />

ω 2<br />

ω 2 0 − ω2 − iγω E0 e −i (ωt−ϕ) .<br />

A questo punto si possono di nuovo ripetere gli stessi ragionamenti fatti precedentemente (con la differenza<br />

che adesso il vettore a è complesso e dobbiamo quindi considerarne il modulo quadro). Per l’elettrone legato<br />

in presenza di smorzamento si ottiene una nuova sezione d’urto, che indichiamo con σA, data da<br />

.<br />

,


40 EGIDIO <strong>LA</strong>NDI DEGL’INNOCENTI<br />

σA =<br />

ω 4<br />

(ω 2 0 − ω2 ) 2 + γ 2 ω 2 σT .<br />

Osserviamo adesso che il termine in γ 2 al denominatore può essere trascurato a meno che non ci si trovi<br />

in vicinanza della risonanza. Questo è dovuto al fatto che il rapporto γ0/ω0 (dove γ0 è il valore di γ per<br />

ω = ω0) è molto minore di 1. Si ha infatti, per frequenze tipiche dello spettro visibile (ω0 3 × 10 15 s −1 )<br />

γ0<br />

ω0<br />

= 2 e2 0<br />

3 m c 3 ω0 2 × 10 −8 .<br />

Quando si trascura tale termine si ritrova ovviamente l’espressione della sezione d’urto di Rayleigh. Altrimenti,<br />

in vicinanza della risonanza, γ può essere identificato con γ0, e ponendo<br />

si ottiene, essendo ω ω0<br />

ω 2 0 − ω 2 = (ω0 + ω)(ω0 − ω) 2 ω0(ω0 − ω) ,<br />

σA = σT<br />

4<br />

ω2 0<br />

(ω0 − ω) 2 .<br />

+ (γ0/2) 2<br />

È interessante osservare che alla risonanza, ovvero per ω = ω0, la sezione d’urto σA assume il valore<br />

ω<br />

σA(ω = ω0) = σT<br />

2 0<br />

γ2 0<br />

ovvero, sostituendo il valore di γ0 trovato precedentemente,<br />

σA = 3<br />

2π λ2 0 ,<br />

dove λ0 = 2πc/ω0 è la lunghezza d’onda della riga. Questa espressione mostra che il picco di risonanza della<br />

sezione d’urto atomica è estremamente elevato. In altre parole, la sezione d’urto per diffusione di un elettrone<br />

legato è, alla risonanza, circa 10 15 volte maggiore della corrispondente sezione d’urto di un elettrone libero.<br />

L’espressione per σA che abbiamo trovato è tradizionalmente scritta in maniera diversa. Ricordando le<br />

espressioni di σT e di γ0, si ha infatti<br />

σA = π e2 0<br />

m c<br />

γ0<br />

(ω0 − ω) 2 .<br />

+ (γ0/2) 2<br />

Inoltre, introducendo la frequenza in luogo della frequenza angolare, ovvero sostituendo<br />

si ha<br />

ω = 2πν , ω0 = 2πν0 ,<br />

σA = π e2 0<br />

m c<br />

1<br />

π<br />

Γn<br />

(ν0 − ν) 2 + Γ 2 n<br />

dove la cosiddetta “larghezza naturale della riga”, Γn, è data da<br />

Se adesso si osserva che<br />

∞<br />

−∞<br />

Γn = γ0<br />

4π = 2π e20 ν2 0<br />

3 m c3 1<br />

π<br />

Γn<br />

(ν0 − ν) 2 + Γ2 dν = 1 ,<br />

n<br />

(come si può facilmente mostrare eseguendo nell’integrale il cambiamento di variabile x = (ν − ν0)/Γn), si<br />

ottiene<br />

,<br />

.<br />

,


FISICA <strong>SO<strong>LA</strong>RE</strong> - <strong>CAPITO<strong>LO</strong></strong> 2 41<br />

Fig 2.11. Andamento del profilo Lorentziano in funzione della frequenza ridotta v = (ν −ν0)/Γn. Il massimo<br />

del profilo vale 1/(πΓn).<br />

∞<br />

σA dν =<br />

−∞<br />

π e20 m c .<br />

In definitiva, la sezione d’urto atomica può essere posta nella forma<br />

σA = π e2 0<br />

m c φ(ν − ν0) ,<br />

dove il profilo φ(ν − ν0), normalizzato all’unità in frequenza, è dato da<br />

φ(ν − ν0) = 1<br />

π<br />

Γn<br />

(ν0 − ν) 2 + Γ2 n<br />

.<br />

Un simile profilo è detto Lorentziano. Esso è riportato in grafico nella Fig. 2.11. Si tratta di un profilo molto<br />

stretto che si riduce di un fattore 1<br />

2 a una distanza ∆ν dalla frequenza centrale pari a Γn. Per una tipica<br />

riga del visibile (a λ0 = 5000 ˚A), si ha<br />

∆ν = Γn 7.1 × 10 6 s −1 .<br />

In lunghezza d’onda la larghezza del profilo risulta<br />

∆λ = λ20 Γn<br />

c = 2π e20 2π<br />

=<br />

3 m c2 3 rc 0.06 m˚A .<br />

D) Correzioni dovute alla Meccanica Quantistica<br />

Il modello classico di Lorentz è ovviamente valido in un ambito molto ristretto. Esso porta alla seguente<br />

espressione per il coefficiente di assorbimento dovuto a una riga spettrale<br />

πe<br />

kν = NAσA = NA<br />

2 0<br />

m c φ(ν − ν0) ,<br />

dove NA è la densità numerica degli atomi. Passando alla meccanica quantistica, bisogna ricordare che ogni<br />

riga spettrale si origina dalla transizione tra due livelli, un livello inferiore (o livello basso, contrassegnato<br />

dall’indice b) e un livello superiore (o livello alto, contrassegnato dall’indice a). La formula di Lorentz si<br />

generalizza semplicemente al caso quantistico dove assume la forma<br />

kν = Nb<br />

π e 2 0<br />

m c fba φ(ν − ν0) ,


42 EGIDIO <strong>LA</strong>NDI DEGL’INNOCENTI<br />

dove Nb è la densità numerica degli atomi che si trovano nel livello b, e dove fba è la cosiddetta “forza di<br />

oscillatore” della riga, ovvero il numero equivalente di oscillatori classici che bisogna pensare essere presenti<br />

nell’atomo in modo da poter applicare la formula classica del coefficiente di assorbimento. L’elettrodinamica<br />

quantistica fornisce l’espressione della forza di oscillatore in termini dell’elemento di matrice di dipolo fra le<br />

autofunzioni atomiche dei livelli a e b. In notazione di Dirac si ha<br />

fba = 8π2 m ν0<br />

3 h |〈b| r |a〉|2 .<br />

La forza di oscillatore è un numero puro. Essa può essere posta in una forma equivalente ricordando la<br />

definizione della lunghezza d’onda Compton dell’elettrone, λC = h/(mc). Esprimendo l’elemento di matrice<br />

di dipolo in termini del raggio della prima orbita di Bohr, a0, ovvero ponendo<br />

dove ξ è un numero adimensionale, si ottiene<br />

Per una riga a 5000 ˚A, si ha ad esempio<br />

|〈b| r |a〉| 2 = ξ a 2 0 ,<br />

fba = 8π2<br />

3 ξ a2 0<br />

λ0λC<br />

fba 0.0607 ξ .<br />

E) Correzioni del profilo dovute alle collisioni e ai moti termici<br />

Per quanto riguarda il profilo, bisogna tener conto di vari fenomeni che contribuiscono al suo allargamento.<br />

Oltre all’allargamento naturale, descritto classicamente dalla quantità Γn del punto C), si ha anche un<br />

allargamento collisionale e un allargamento dovuto all’effetto Doppler.<br />

L’allargamento collisionale produce ancora un profilo del tipo Lorentziano della forma 1<br />

dove<br />

φ(ν − ν0) = 1 Γ<br />

π (ν − ν0) 2 ,<br />

+ Γ2 Γ = Γn + Γc ,<br />

Γn essendo la costante definita precedentemente e Γc, il contributo collisionale alla costante di smorzamento,<br />

essendo dato da<br />

Γc = f<br />

2π ,<br />

con f frequenza delle collisioni.<br />

Riguardo all’allargamento prodotto dall’effetto Doppler, bisogna considerare il fatto che gli atomi che<br />

assorbono la radiazione hanno una distribuzione di velocità che supponiamo essere una Maxwelliana caratterizzata<br />

dalla temperatura T . Indichiamo con P (w) dw la probabilità che la componente della velocità<br />

dell’atomo lungo la direzione della radiazione assorbita sia compresa fra w e w + dw. La funzione di distribuzione<br />

normalizzata, P (w), è data da<br />

P (w) =<br />

1<br />

√ e<br />

π wT<br />

−(w/wT)2<br />

dove la velocità termica, wT, è connessa alla temperatura e alla massa M dell’atomo dall’equazione<br />

<br />

2kBT<br />

wT =<br />

M .<br />

1 Per una dimostrazione semiclassica di questa equazione si veda ad es. G.B. Rybicki & A.P. Lightman Radiative Processes<br />

in Astrophysics, John Wyley & Sons, New York etc., <strong>19</strong>79.<br />

.<br />

,


FISICA <strong>SO<strong>LA</strong>RE</strong> - <strong>CAPITO<strong>LO</strong></strong> 2 43<br />

Fig 2.12. Grafico della funzione di Voigt H(v, a) per a = 0 (linea continua), a = 0.2 (linea punteggiata) e<br />

a = 1 (linea tratteggiata).<br />

Un atomo che si muova con velocità w presenta (all’ordine più basso della teoria della relatività) un profilo<br />

di assorbimento centrato intorno alla frequenza ν ′ 0 data da<br />

ν ′ <br />

0 = ν0 1 + w<br />

<br />

.<br />

c<br />

Il profilo di assorbimento dovuto all’insieme degli atomi è quindi dato da<br />

ϕ(ν − ν0) =<br />

∞<br />

−∞<br />

ovvero, ricordando l’espressione della funzione P (w)<br />

ϕ(ν − ν0) =<br />

∞<br />

−∞<br />

1<br />

π<br />

Γ<br />

ν − ν0 − ν0 w<br />

c<br />

φ(ν − ν ′ 0 ) P (w) dw ,<br />

2 + Γ 2<br />

1<br />

√ e<br />

π wT<br />

−(w/wT)2<br />

dw .<br />

Questa espressione viene comunemente semplificata introducendo le quantità<br />

wT<br />

∆νD = ν0<br />

c<br />

, a = Γ<br />

∆νD<br />

ν − ν0<br />

, v =<br />

∆νD<br />

che rappresentano, rispettivamente, la larghezza Doppler del coefficiente di assorbimento (in unità di frequenza),<br />

la costante di smorzamento ridotta, e la distanza in frequenza dal centro della riga normalizzata<br />

alla larghezza Doppler. Attraverso il cambiamento di variabile y = w/wT, l’integrale precedente può essere<br />

posto nella forma<br />

ϕ(ν − ν0) =<br />

1<br />

√ H(v, a) ,<br />

π ∆νD<br />

dove la funzione H(v, a), detta funzione di Voigt, è definita da<br />

H(v, a) = a<br />

∞<br />

π −∞<br />

e−y2 (v − y) 2 dy .<br />

+ a2 La funzione di Voigt gode di alcune proprietà che possono essere dedotte dalla sua espressione generale:<br />

∞<br />

−∞<br />

H(v, a) dv = √ π ,<br />

,


44 EGIDIO <strong>LA</strong>NDI DEGL’INNOCENTI<br />

lim H(v, a) = e−v2<br />

a→0<br />

1<br />

lim H(v, a) = √<br />

a→∞ π<br />

,<br />

a<br />

v2 .<br />

+ a2 La prima proprietà permette di dimostrare con facili trasformazioni che il profilo ϕ(ν − ν0) è normalizzato<br />

a 1 in frequenza<br />

∞<br />

−∞<br />

ϕ(ν − ν0) dν = 1 .<br />

Le altre due proprietà mostrano che, nel caso limite di smorzamento trascurabile, la funzione di Voigt assume<br />

la forma gaussiana, mentre, nel caso limite opposto in cui l’allargamento termico è trascurabile la funzione<br />

di Voigt degenera in una lorentziana. In generale, la funzione di Voigt presenta un andamento gaussiano<br />

intorno a v = 0 e un andamento Lorentziano nelle ali. Casi tipici sono illustrati nella Fig. 2.12.<br />

9. Righe spettrali in equilibrio termodinamico locale<br />

Nell’intorno di una riga spettrale in equilibrio termodinamico locale, l’equazione del trasporto assume<br />

la forma<br />

µ dI(ν, µ)<br />

dz<br />

= −[kν + kR ϕ(ν − ν0)] [I(ν, µ) − Bν] ,<br />

dove kR è il coefficiente di assorbimento della riga integrato in frequenza, dato da<br />

kR = Nb<br />

π e 2 0<br />

m c fba ,<br />

e dove ϕ(ν − ν0) è il profilo (normalizzato a 1 in frequenza) dato da<br />

ϕ(ν − ν0) =<br />

1<br />

√ H(v, a) .<br />

π∆νD<br />

Il coefficiente di assorbimento del continuo, kν, è praticamente costante nell’intorno della riga (la larghezza<br />

di una riga spettrale è, tipicamente, dell’ordine della frazione di ˚A mentre kν varia su scale dell’ordine del<br />

centinaio di ˚A). Poniamo quindi kν = kc e definiamo la profondità ottica tc con l’equazione<br />

dtc = −kc dz .<br />

Con questa definizione l’equazione del trasporto assume la forma<br />

dove abbiamo posto<br />

µ dI(ν, µ)<br />

= [1 + η0H(v, a)] [I(ν, µ) − Bν] ,<br />

dtc<br />

η0 =<br />

kc<br />

kR<br />

√ π ∆νD<br />

Assegnato un modello atmosferico, questa equazione può essere risolta numericamente. Il calcolo della<br />

quantità η0 può essere impostato in maniera del tutto analoga a quanto fatto nel paragrafo precedente per<br />

il calcolo del coefficiente di assorbimento del continuo. Basta per questo andarsi a calcolare la densità degli<br />

atomi assorbenti (atomi di Ferro ionizzato, ad esempio, per il caso di una riga appartenente allo spettro del<br />

FeII) e dedurre, attraverso l’equazione di Boltzmann, la frazione di tali atomi presenti nel livello inferiore<br />

della transizione. La conoscenza di tale quantità, unita a quella della forza di oscillatore per la transizione<br />

considerata, alla conoscenza di kc e a quella di ∆νD, permette di ricavare η0 a tutte le quote. Per quanto<br />

riguarda il profilo di Voigt, è poi necessario conoscere il valore della costante di smorzamneto ridotta, a, e il<br />

.


FISICA <strong>SO<strong>LA</strong>RE</strong> - <strong>CAPITO<strong>LO</strong></strong> 2 45<br />

valore della larghezza Doppler ∆νD. In generale anche queste quantità variano con z in quanto variano la<br />

pressione (e quindi la frequenza delle collisioni) e la temperatura. Anche il profilo di Voigt è quindi funzione<br />

di z e ciò deve essere tenuto in dovuto conto nel calcolo numerico.<br />

Sebbene l’analisi quantitativa dei profili di righe richieda, in molti casi, una soluzione numerica dell’equazione<br />

del trasporto, è possibile trovare una soluzione analitica introducendo una serie di ipotesi semplificatrici.<br />

Tali ipotesi, pur non essendo strettamente verificate nelle atmosfere stellari, riescono comunque a dare un’idea<br />

qualitativa dei meccanismi che contribuiscono a caratterizzare la forma dei profili di riga osservati negli spettri<br />

stellari. Supponiamo quindi che:<br />

a) il rapporto η0 fra il coefficiente di assorbimento della riga e il coefficiente di assorbimento del continuo sia<br />

costante con tc;<br />

b) il profilo di Voigt H(v, a) sia costante con tc;<br />

c) la funzione di Planck, Bν, sia esprimibile linearmente in funzione della profondità ottica tc<br />

Bν = B0(1 + β tc) ,<br />

con β costante. Quando si introducono queste ipotesi si dice che si ha a che fare con un’atmosfera di<br />

Milne-Eddington.<br />

Sostituendo l’espressione di Bν nella soluzione formale dell’equazione del trasporto si ottiene per l’intensità<br />

emergente<br />

Iν(0, µ) = B0<br />

<br />

1 +<br />

<br />

β µ<br />

1 + η0 H(v, a)<br />

Osserviamo che, se siamo molto lontani dal centro della riga (H(v, a) → 0), l’intensità tende a un valore<br />

costante, che rappresenta l’intensità del continuo adiacente la riga, dato da<br />

Ic = B0 (1 + β µ) .<br />

Viceversa, se si considera il limite di una riga molto intensa (η0 → ∞), l’intensità tende a un valore di<br />

saturazione (al di sotto della quale non può mai spingersi) dato da<br />

Is = B0 .<br />

Si può quindi definire una sorta di “profilo universale”, rν, sottraendo dall’intensità il valore di saturazione<br />

e normalizzando poi all’intensità del continuo. Si ottiene<br />

rν = Iν(0, µ) − Is<br />

Ic<br />

= β µ<br />

1 + β µ<br />

1<br />

1 + η0H(v, a) .<br />

Il fattore βµ/(1+βµ) è connesso alle caratteristiche termodinamiche dell’atmosfera (attraverso β) e al valore<br />

dell’angolo eliocentrico (attraverso µ). Il fattore restante dà invece la forma del profilo di riga. Esso dipende<br />

dalla frequenza solo attraverso il parametro v (si ricordi che v = (ν − ν0)/∆νD). Indicando tale fattore con<br />

p(v), ovvero ponendo<br />

possiamo osservare che:<br />

p(v) =<br />

1<br />

1 + η0 H(v, a) ,<br />

a) per righe deboli (η0 ≪ 1) si ottiene, sviluppando in serie<br />

p(v) = 1 − η0 H(v, a) .<br />

In questo caso siamo lontani dalla saturazione e il profilo di riga risulta proporzionale al profilo del coefficiente<br />

di assorbimento.<br />

.


46 EGIDIO <strong>LA</strong>NDI DEGL’INNOCENTI<br />

Fig 2.13. Grafico del profilo p(v) in funzione della lunghezza d’onda ridotta, v, per vari valori della forza<br />

della riga η0. Il grafico è ottenuto per un valore della costante di smorzamento a = 0.1.<br />

b) per righe forti (η0 ≫ 1), si ottiene che p(v) tende a zero per tutto un intervallo di valori di v tali che<br />

η0 H(v, a) ≫ 1 .<br />

Qui siamo in una situazione di saturazione estrema. Il profilo della riga risulta molto diverso da quello di<br />

assorbimento presentando una zona praticamente piatta al centro (nel cosiddetto “core” della riga) e ali<br />

molto estese (dipendenti in forte misura dal valore della costante di damping a). La Fig. 2.13 mostra la<br />

forma del profilo p(v) per diversi valori di η0 e per a = 0.1.<br />

10. Righe spettrali in condizioni di non equilibrio<br />

L’ipotesi dell’equilibrio termodinamico locale permette di determinare con una certa semplicità i profili<br />

delle righe che si originano in un’atmosfera stellare di cui si conosca il modello. Tale ipotesi non è tuttavia<br />

sempre verificata perché le righe più intense si formano negli strati più alti dell’atmosfera stellare laddove la<br />

densità è più bassa e le collisioni con gli elettroni del plasma non sono sufficienti a termalizzare le popolazioni<br />

atomiche. Nel caso dell’atmosfera solare, ad esempio, l’ipotesi dell’equilibrio termodinamico locale non può<br />

essere applicata per il calcolo dei profili delle righe H e K del CaII, delle righe dello spettro dell’Idrogeno<br />

(quali ad esempio la Hα), delle righe D del NaI, e di diverse altre righe dello spettro visibile e ultravioletto.<br />

In questi casi l’equazione del trasporto è la stessa di quella scritta nel paragrafo precedente con la differenza<br />

che, in luogo della funzione di Planck Bν si deve considerare la funzione sorgente Sν. Per un atomo a due<br />

livelli, ad esempio, si può dimostrare che la funzione sorgente è data dall’espressione<br />

Sν = Jν + εBν(T )<br />

1 + ε<br />

dove Jν è il valor medio sull’angolo solido del campo di radiazione<br />

Jν = 1<br />

<br />

Iν(<br />

4π<br />

Ω) dΩ ,<br />

e dove ε è un coefficiente che pesa l’efficienza delle collisioni nel popolare (e depopolare) il livello superiore<br />

dell’atomo. Si ha infatti, con buona approssimazione<br />

ε = Cab<br />

Aab<br />

,<br />

,


si scrivono<br />

Intensita‘ del<br />

campo di radiazione<br />

si risolvono<br />

FISICA <strong>SO<strong>LA</strong>RE</strong> - <strong>CAPITO<strong>LO</strong></strong> 2 47<br />

Collisioni<br />

Equazioni dell’equilibrio<br />

statistico<br />

auto−<br />

consistenza<br />

Equazioni del<br />

trasporto radiativo<br />

si risolvono<br />

Popolazioni<br />

atomiche<br />

si scrivono<br />

Fig 2.14. Per risolvere le equazioni accoppiate dell’equilibrio statistico e del trasporto radiativo si segue il<br />

“loop” di autoconsistenza qui schematizzato.<br />

dove Cab e Aab sono, rispettivamente, le probabilità che ha l’atomo di decadere dal livello a (alto) al livello<br />

b (basso) per transizioni collisionali o per transizioni radiative. Come si vede facilmente, se le transizioni<br />

collisionali sono molto più importanti di quelle radiative (ε ≫ 1), la funzione sorgente è uguale alla funzione<br />

di Planck, e si ritrova il caso dell’ETL. Viceversa, se le collisioni sono trascurabili (ε ≪ 1), la funzione<br />

sorgente non ha più niente a che vedere con la funzione di Planck, essendo Sν = Jν.<br />

In questi casi il profilo della riga che emerge dall’atmosfera può essere calcolato ricorrendo alla cosiddetta<br />

teoria del “non-ETL”. Esemplificando al massimo le cose, il problema può essere affrontato nel modo seguente.<br />

Supponiamo di conoscere un approssimazione di ordine zero per le popolazioni, in funzione della quota z, dei<br />

livelli di una determinata specie atomica (ad esempio le popolazioni dei livelli dell’atomo di Calcio ionizzato,<br />

se interessa calcolare i profili delle righe H e K). Come approssimazione di ordine zero si può considerare, ad<br />

esempio, quella data dall’equazione di Boltzmann utilizzando i valori di P e T dati dal modello di atmosfera.<br />

Note le popolazioni, si possono calcolare localmente i coefficienti che compaiono nell’equazione del trasporto<br />

radiativo (scritta per ciascuna direzione nell’atmosfera stellare). Risolvendo con metodi numerici l’equazione<br />

del trasporto si può così determinare (in funzione della frequenza e della direzione) il campo di radiazione<br />

presente in un punto qualsiasi dell’atmosfera. A questo punto si considerano le equazioni dell’equilibrio<br />

statistico per le popolazioni atomiche tenendo conto sia dei processi radiativi che di quelli collisionali. Queste<br />

equazioni formano, per ogni quota z, un sistema a coefficienti noti (in quanto il campo di radiazione è noto)<br />

e il sistema può essere risolto attraverso opportuni metodi numerici. Si ottiene quindi un’approssimazione di<br />

ordine 1 per le popolazioni e si ripete il procedimento finché si arriva alla convergenza della soluzione come<br />

esemplificato nella Fig. 2.14. La soluzione per il campo di radiazione alla superficie dell’atmosfera fornisce i<br />

profili delle righe che ci interessavano calcolare.<br />

Sebbene il metodo sia, in linea di principio, semplice e diretto, esso richiede la conoscenza di un certo<br />

numero di tecniche numeriche sulle quali non possiamo qui addentrarci. Tali tecniche sono state sviluppate<br />

a partire dagli inizi degli anni <strong>19</strong>60 e sono tuttora in fase di evoluzione.

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