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Appunti Storia naturale dei Campi Flegrei

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I CAMPI FLEGREI-INTRODUZIONE<br />

L'ampia area <strong>dei</strong> <strong>Campi</strong> <strong>Flegrei</strong> descrive già con il nome, che deriva dal greco e significa<br />

campi ardenti, la sua caratteristica principale. Tutta la zona, infatti, è vulcanica, ma con<br />

una struttura piuttosto singolare, almeno per chi si aspetta un vulcano con la forma di cono<br />

troncato.<br />

Al contrario, qui si trova una<br />

superficie ribassata, ampia circa<br />

12x15 km, che forma un semicerchio<br />

bordato da numerosi coni e crateri<br />

vulcanici, prevalentemente formatisi<br />

ognuno nel corso di una sola<br />

eruzione.<br />

Le aree vulcaniche di questo tipo<br />

sono chiamate, in vulcanologia,<br />

C aldera,<br />

con forma più o meno<br />

rotonda e sprofondate rispetto al<br />

territorio circostante. Le caldere si<br />

formano dopo violente eruzioni, nel<br />

corso delle quali sono emessi<br />

rapidamente volumi di magma tali da<br />

causare collassi, a profondità di decine di km, che si propagano fino alla superficie.<br />

Può accadere anche che nuovi accumuli/svuotamenti di magma e di gas (che da questo si<br />

liberano) in profondità al di sotto del fondo della caldera, nella Camera Magmatica, o<br />

anche variazioni di calore che influiscono sul volume dell'acqua contenuta nel sottosuolo<br />

molto poroso, possono rigonfiare/sgonfiare il fondo della caldera senza dar luogo ad<br />

eruzioni, ma provocando movimenti del suolo che prendono il nome di Bradisismo.<br />

Questo fenomeno (il cui nome deriva dal greco e significa lento movimento del suolo, in<br />

contrapposizione con il movimento veloce che si realizza nel corso di un terremoto)<br />

consiste in un periodico abbassamento (bradisismo negativo) o innalzamento (bradisismo<br />

positivo) del livello del suolo, relativamente lento sulla scala <strong>dei</strong> tempi umani (normalmente<br />

è nell'ordine di 1 cm per anno) ma molto veloce rispetto ai tempi geologici. Esso non è<br />

spesso avvertibile in se stesso, ma riconoscibile visivamente lungo la riva del mare,<br />

mostrando la progressiva emersione o sommersione di edifici, coste, territori.<br />

I CAMPI FLEGREI-STORIA ERUTTIVA<br />

I <strong>Campi</strong> <strong>Flegrei</strong> sono un campo vulcanico all’interno del quale sono stati attivi numerosi<br />

centri eruttivi differenti. Tali eruzioni sono connesse ad alcuni episodi di sprofondamento<br />

che, sovrapponendosi, hanno generato una caldera complessa che rappresenta la<br />

struttura più evidente del<br />

Distretto Vulcanico Flegreo.<br />

Quest'ultimo comprende non<br />

solo i <strong>Campi</strong> <strong>Flegrei</strong>, parte della<br />

città di Napoli (Bagnoli-<br />

Fuorigrotta), le isole vulcaniche<br />

di Procida ed Ischia, e la parte<br />

nord-occidentale del Golfo di<br />

Napoli.


L’attività vulcanica del Distretto Flegreo, è connessa agli eventi tettonici distensivi che<br />

hanno determinato la formazione della depressione, compresa tra il Monte Massico a nord<br />

e la penisola sorrentina a sud, che prende il nome di Graben della Piana Campana.<br />

L’età di inizio del vulcanismo nell’area flegrea<br />

non è precisamente noto: sequenze di lave e<br />

Piroclasti di circa 2 milioni di anni di età sono<br />

state incontrate in perforazione tra Villa Literno<br />

e Parete, in affioramento i prodotti vulcanici più<br />

antichi hanno un’età di circa 60.000 anni e<br />

sono costituiti principalmente da depositi di<br />

Piroclasti e da resti di duomi lavici.<br />

Come si evince dalla figura a lato, che<br />

riproduce un cronogramma dell'attività<br />

vulcanica <strong>dei</strong> campi <strong>Flegrei</strong>, l'attività vulcanica<br />

<strong>dei</strong> <strong>Campi</strong> <strong>Flegrei</strong> iniziò intorno a 60000 anni fa<br />

in corrispondenza dell'odierna area di Cuma.<br />

Eruzioni, per quanto improvvise e devastanti,<br />

avevano tempi diversi da quelli umani e, tra un<br />

evento e l'altro, intere generazioni potevano<br />

prosperare, costruendo le basi per lo sviluppo<br />

di un'area destinata a diventare il centro vitale del Mediterraneo. I prodotti vulcanici<br />

creavano alterne condizioni di vita e, pur cancellando ogni cosa al loro passaggio,<br />

diventavano poi terreni eccezionalmente fertili che si coprivano di folta vegetazione.<br />

Questa era una circostanza determinante quando il sostentamento derivava<br />

esclusivamente dalle risorse del territorio e, nonostante le ripetute distruzioni, l'uomo si è<br />

sempre reinsediato in tempi relativamente brevi in questi luoghi.<br />

La storia geologica <strong>dei</strong> <strong>Campi</strong> <strong>Flegrei</strong> è stata dominata<br />

da due grandi eruzioni: l'eruzione dell’Ignimbrite<br />

Campana (IC-avvenuta 39.000 anni fa) e l'eruzione<br />

del Tufo Giallo Napoletano (TGN-avvenuta 15.000<br />

anni fa). Tali eruzioni determinarono due episodi di<br />

sprofondamento che, sovrapponendosi, hanno generato<br />

una caldera complessa che rappresenta la struttura più<br />

evidente del sopracitato Distretto Vulcanico Flegreo.<br />

Dalla figura del cronogramma dell'attività vulcanica <strong>dei</strong><br />

campi <strong>Flegrei</strong>, si nota che nel periodo successivo alle<br />

due grandi eruzioni, a partire da circa 9500 anni fa,<br />

l'intensa attività eruttiva è stata interrotta da lunghi<br />

periodi di quiescenza.<br />

L'eruzione dell'Ignimbrite Campana<br />

(IC-39000 anni fa)<br />

L'Ignimbrite Campana (IC) è il prodotto della<br />

maggiore eruzione esplosiva avvenuta nell'area<br />

mediterranea negli ultimi 200.000 anni. Tale eruzione,<br />

avvenuta in un centro ubicato nei <strong>Campi</strong> <strong>Flegrei</strong>, ha<br />

seppellito gran parte della Campania sotto una spessa<br />

coltre di tufi. Durante l’eruzione si formò una caldera


che determinò lo sprofondamento di una vasta area che comprende i <strong>Campi</strong> <strong>Flegrei</strong>, parte<br />

della città di Napoli ed una parte delle baie di Napoli e Pozzuoli.<br />

L’eruzione è verosimilmente iniziata con una fase esplosiva Freatomagmatica di apertura<br />

del condotto, cui ha fatto seguito una fase Pliniana, con la<br />

formazione di una colonna eruttiva alta fino a 44 km, durante la<br />

quale venivano estratti i magmi presenti nel serbatoio o<br />

camera magmatica.<br />

L'eruzione ebbe fasi esplosive nel corso delle quali si<br />

formarono enormi flussi di pomici e ceneri che, spinti dai gas,<br />

scivolarono sul terreno e si allargarono fino agli Appennini e<br />

valicando rilievi alti oltre 1000 m. Questi prodotti col tempo si<br />

compattarono fino a diventare una roccia leggera e resistente,<br />

chiamata Tufo Grigio o, più propriamente, Ignimbrite<br />

Campana (IC), mostrata nella figura a fianco.<br />

Al termine di questa eruzione i due terzi della Campania apparivano ricoperti da una coltre<br />

di tufi spessa fino a 100 m, mentre enormi volumi di cenere vulcanica rimanevano sospesi<br />

nell’atmosfera causando, probabilmente, sconvolgimenti climatici estesi all’intero pianeta.<br />

Il volume di magma emesso nel corso dell'eruzione è stimato in circa 150 km 3 e<br />

corrisponde al volume collassato del fondo della caldera, con uno sprofondamento di circa<br />

600m. Ancora non c'era il Vesuvio e forse nemmeno l'ampio vulcano del Monte Somma, i<br />

cui resti ora circondano il suo cono.<br />

Vulcanismo tra 39.000 e 15.000 anni<br />

Dopo l'eruzione dell'Ignimbrite Campana, l'attività<br />

vulcanica si distribuì su una zona che comprendeva,<br />

oltre ai <strong>Campi</strong> <strong>Flegrei</strong>, anche le aree di Procida e di<br />

Napoli.<br />

I centri eruttivi, che hanno generato principalmente<br />

attività esplosiva, erano ubicati all'interno della<br />

caldera dell'Ignimbrite Campana, sia nella parte<br />

attualmente emersa, sia nella parte che attualmente<br />

si trova sotto il livello del mare nel golfo di Napoli. In<br />

particolare a Torregaveta, Monticelli, Monte Echia,<br />

lungo il versante meridionale delle colline di San<br />

Martino e Capodimonte, e lungo i versanti nordoccidentale<br />

e sud-occidentale della collina di<br />

Posillipo. La collina di San Martino è una cupola<br />

lavica ricoperta da prodotti piroclastici. Anche i vulcani sommersi del Banco di<br />

Pentapalummo e del Banco di Miseno, che si trovano nella Baia di Pozzuoli, appartengono<br />

a questo periodo di attività.<br />

Tra Procida e Monte di Procida, dove ora vi sono due chilometri di mare, le eruzioni<br />

iniziarono circa 40.000 anni fa, in corrispondenza dell'isolotto di Vivara.<br />

Il territorio subiva continui e rapidi cambiamenti ad ogni eruzione. A questo si<br />

aggiungevano le lente variazioni del livello del mare, causate soprattutto dall'alternarsi di<br />

periodi interglaciali, climaticamente simili a quello odierno, a epoche glaciali in cui le<br />

calotte polari si espandevano fino a latitudini ora temperate. Durante l'ultima fase di<br />

espansione <strong>dei</strong> ghiacciai, circa 18.000 anni fa, il mare raggiunse picchi di 85 metri al di<br />

sotto dell'attuale e la linea di costa poteva essere spostata al largo di 2-3 km nella parte<br />

meridionale del golfo di Napoli e forse tra i 5-10 km in corrispondenza <strong>dei</strong> <strong>Campi</strong> <strong>Flegrei</strong>,


in modo che la penisola Sorrentina risultava riunita a Capri, e si estendeva a Nord in<br />

maniera continua fino all'isola d'Ischia. Il ritorno a condizioni climatiche più miti e il<br />

progressivo sciogliersi <strong>dei</strong> ghiacciai, ripristinarono l'afflusso al Mediterraneo di grossi corsi<br />

d'acqua. Favorito anche dai movimenti della crosta terrestre, il livello del mare tornò<br />

lentamente intorno alla posizione odierna.<br />

Il Tufo Giallo Napoletano (TGN-15.000 anni fa)<br />

Intorno a 12.000-15.000 anni fa, un evento di<br />

dimensioni catastrofiche sconvolse nuovamente la<br />

regione. Seppure di volume inferiore (40 km 3 di<br />

prodotti, distribuiti su un'area di circa 350 km 2 )<br />

rispetto all'Ignimbrite Campana, l'eruzione deve aver<br />

modificato profondamente la morfologia e l'ambiente<br />

di tutta l'area, modellando il Golfo di Napoli più o<br />

meno nella forma che conserva tutt'ora.<br />

E' probabile che proprio la rapida emissione della<br />

grande quantità di magma avvenuta nel corso<br />

dell'eruzione del Tufo Giallo abbia causato, o<br />

accentuato, lo sprofondamento della parte centrale<br />

<strong>dei</strong> <strong>Campi</strong> <strong>Flegrei</strong>. Le rocce che racchiudevano il<br />

serbatoio magmatico, in parte lasciato vuoto dall'eruzione, si fratturarono e collassarono,<br />

innescando ribassamenti in profondità che si propagarono fino alla superficie.<br />

Sebbene nel corso dell'eruzione incominciò a verificarsi un collasso calderico, il bordo<br />

della caldera non è visibile in affioramento. La sola evidenza morfologica, visibile nella<br />

parte continentale della caldera, è data dal versante occidentale ad alto angolo della<br />

collina di Posillipo, che probabilmente, rappresenta l'evoluzione morfologica di una<br />

scarpata di faglia prodottasi durante il collasso calderico.<br />

Anche in questo caso, forse non si trattò di un<br />

solo evento, ma di una successione di diverse<br />

esplosioni che provocarono ondate di flussi di<br />

cenere. I prodotti coprirono tutta l'area dove<br />

ora sorge Napoli, formando i rilievi della collina<br />

di Posillipo e del Vomero e, con il tempo,<br />

diventarono una roccia compatta (come<br />

mostrato nella figura a fianco in una parete<br />

rocciosa tra Napoli e Nisida), chiamata Tufo<br />

Giallo Napoletano (TGN). Il volume di magma<br />

emesso nel corso dell'eruzione è stimato in<br />

circa 54 km 3 e corrisponde al volume<br />

collassato del fondo della caldera, con uno sprofondamento di circa 600m.<br />

L'eruzione fece tabula rasa di ogni forma di vita, ma nello stesso tempo creò i presupposti<br />

per la straordinaria avventura di una regione che l'attività<br />

vulcanica rendeva invivibile e che poi, in tempi<br />

relativamente brevi, restituiva più generosa di prima. Le<br />

terre devastate dalle eruzioni furono occupate in<br />

successione da vari popoli che si contesero un territorio<br />

tanto fragile quanto ricco di risorse.<br />

Non sorprende, però, che l'uomo sia tornato nel cuore <strong>dei</strong><br />

<strong>Campi</strong> <strong>Flegrei</strong> molto tempo dopo l'eruzione del Tufo Giallo,


nell'area compresa tra Monte di Procida (mostrato nella figura a fianco) e le colline di<br />

Posillipo, rimasta dopo la formazione della caldera al di sotto del livello del mare. Il golfo di<br />

Pozzuoli, i promontori e le insenature odierni, si delineeranno solo in seguito ad una serie<br />

di eruzioni lungo i bordi della depressione.<br />

Vulcanismo più recente di 15.000 anni<br />

Il vulcanismo più recente del Tufo Giallo Napoletano<br />

è concentrato in tre epoche di intensa attività,<br />

alternate a lunghi periodi di quiescenza. Negli ultimi<br />

10.000 anni le eruzioni si sono concentrate lungo un<br />

anello non più ampio di 4-5 km che demarca il bordo<br />

del ribassamento causato dall'eruzione del Tufo<br />

Giallo. Si tratta di eruzioni di modesto volume (circa<br />

1 km 3 di prodotti o meno ciascuna), quasi tutte<br />

esplosive, intervallate da almeno due lunghi<br />

periodi di quiescenza, tra 8200 e 4800 anni fa e tra<br />

3800 anni fa e il 1538, anno dell'ultima eruzione <strong>dei</strong><br />

<strong>Campi</strong> <strong>Flegrei</strong>.<br />

Secondo gli studi più recenti, nella prima epoca<br />

(periodo tra 15.000 e 9.500 anni fa) hanno avuto luogo 34 eruzioni esplosive, con una<br />

media di una eruzione ogni 70 anni. Nella seconda epoca (periodo tra 8.600 e 8.200 anni<br />

fa) si sono verificate 6 eruzioni esplosive, con una media di una eruzione ogni 65 anni.<br />

Nel corso della prima fase di stasi, l'evento geologico<br />

più importante avvenuto nell'area è stato il<br />

sollevamento della costa, ancora evidente in un<br />

blocco lungo 5 km tra La Solfatara e Monte Nuovo.<br />

Questo terrazzo marino (visibile in località La Starza,<br />

come mostrato nella figura a fianco) si trova<br />

attualmente circa 40 m sopra il livello del mare e reca<br />

nella parete verticale le tracce di tre antichi livelli di<br />

spiaggia, l'ultimo datato a 4500 anni fa.<br />

La terza epoca (periodo tra 4.800 e 3.800 anni fa) è stata caratterizzata da un numero<br />

rilevante di eruzioni nei <strong>Campi</strong> <strong>Flegrei</strong> ,16 eruzioni esplosive e 4 eruzioni effusive, che si<br />

sono succedute con una frequenza media di una eruzione ogni 50 anni, avvenute dai<br />

crateri di Fondi di Baia, Agnano-Monte Spina, Solfatara, Monte Olibano, Astroni, Averno e<br />

Senga. Il vulcanismo attivo in questo periodo ha generato numerosi edifici vulcanici, molti<br />

<strong>dei</strong> quali ancora ben conservati ed esposti nei <strong>Campi</strong> <strong>Flegrei</strong>.<br />

L'ultima eruzione è stata quella del Monte<br />

Nuovo nel 1538 dopo un periodo di<br />

quiescenza durato circa 3.000 anni ed è tra le<br />

eruzioni di minore intensità avvenute ai <strong>Campi</strong><br />

<strong>Flegrei</strong>. L'eruzione di monte Nuovo fu<br />

preceduta da un ciclico sollevamento ed<br />

abbassamento dell'area e da una serie di forti e<br />

frequenti terremoti; Il rigonfiamento in superficie<br />

indicava un aumento di pressione nel<br />

sottosuolo, causato dalla risalita di magma che<br />

sarebbe sfociato nell'eruzione di Monte Nuovo.


Le scosse durarono fino al 27 settembre del 1538 e, due giorni dopo, preceduta<br />

dall'apertura di fratture, dalla formazione di nuove sorgenti di acqua e dall'arretramento del<br />

mare, cominciò l'eruzione. La bocca eruttiva si aprì alla una di notte del 29 settembre sulla<br />

sponda orientale del lago di Averno, dove sorgeva un piccolo il borgo (borgo di Tripergole).<br />

Dopo una settimana, il 6 ottobre l'eruzione era finita e una montagnola, alta circa 130 m,<br />

era cresciuta intorno alla bocca eruttiva.<br />

I CAMPI FLEGREI-BRADISISMO<br />

Dopo quella di Monte Nuovo, nei <strong>Campi</strong> <strong>Flegrei</strong> non sono avvenute altre eruzioni, ma il<br />

suolo ha continuato a muoversi verso l'alto o verso il basso. Il fenomeno, chiamato<br />

bradisismo, un termine che deriva dal greco e significa lento movimento del suolo, era<br />

già noto ai Romani.<br />

Il luogo, più di ogni altro, testimonianza<br />

nei secoli del bradisismo flegreo è il<br />

macellum (mercato di epoca romana<br />

meglio conosciuto con il nome di Tempio<br />

di Serapide, riportato nella figura a<br />

fianco) situato in prossimità del Porto di<br />

Pozzuoli. Le rovine di tale costruzione<br />

(che risale alla fine del I sec.d.C) sono<br />

state di grande utilità per la ricostruzione<br />

dell'andamento del bradisismo grazie ai<br />

fori prodotti dai litodomi (i cosiddetti<br />

datteri di mare, ovvero molluschi marini<br />

che vivono in ambiente costiero al limite<br />

tra l'alta e la bassa marea) sulle colonne<br />

(come si evidenzia dalla figura a fianco, particolare) che, a partire dal IV sec. d.C. in poi,<br />

testimoniano le variazioni del suolo rispetto al livello marino.<br />

I segni lasciati da questi organismi marini e presenti sulle colonne ancora verticali arrivano<br />

a circa 10 metri di altezza e indicano un abbassamento del suolo di altrettanti metri,<br />

dall'epoca di costruzione fino alla massima sommersione, probabilmente avvenuta in<br />

epoca medioevale. Dopo di che il suolo riprese a sollevarsi e, poco prima dell'eruzione di<br />

Monte Nuovo del 1538, il Tempio di Serapide era sicuramente tutto al di sopra del livello<br />

marino.<br />

Sulla base di misure effettuate a partire dall'inizio del 1800, sappiamo che il livello del<br />

Tempio di Serapide si è abbassato in maniera regolare con una velocità media di circa 1<br />

cm per anno fino al 1970. In quell'anno iniziava una fase di bradisismo positivo<br />

(innalzamento), accompagnata da una serie di terremoti di bassa energia intervallati da<br />

eventi più forti.<br />

Nei periodi di tempo compresi<br />

tra il 1970-72 ed il 1982-84 gli<br />

abitanti dell’area flegrea, e di<br />

Pozzuoli in particolare, sono<br />

stati testimoni e vittime di un<br />

fenomeno di sollevamento<br />

del suolo che, in pochi mesi,<br />

ha portato quest’ultimo ad un<br />

livello, complessivamente, di<br />

circa 3.5 m più alto (come<br />

evidenziato nella figura a a<br />

fianco). Il rigonfiamento aveva


una forma a cupola, con il massimo in Via Napoli a Pozzuoli, e diminuiva in maniera<br />

regolare, fino ad annullarsi alla periferia <strong>dei</strong> <strong>Campi</strong> <strong>Flegrei</strong>. In occasione di queste crisi si è<br />

avuta una intensa attività sismica. In particolare l'ultima crisi è stata accompagnata da<br />

oltre 10.000 terremoti, spesso in sciami. In questi periodi di rapida deformazione del suolo<br />

si è osservato anche un incremento dell'attività idrotermale nella zona della Solfatara, in<br />

cui si trova un esteso campo di fumarole. Dopo il 1984 nell'area flegrea è iniziato un<br />

processo di lento abbassamento del suolo, con episodi minori di sollevamento.<br />

Le scosse sismiche e la deformazione del suolo, portarono allo sgombero dell'intero Rione<br />

Terra. Il nucleo antico di Pozzuoli non verrà più rioccupato e diventerà un luogo fantasma<br />

fino a pochi anni fa, quando sono iniziati lavori di recupero e di valorizzazione.<br />

Bradisismo-Situazione Attuale<br />

Lo stato di attività dell'area vulcanica <strong>dei</strong> <strong>Campi</strong> <strong>Flegrei</strong> è controllato attraverso strumenti<br />

per il monitoraggio di parametri Geofisici e Geochimici. Tali strumenti, installati in vari punti<br />

<strong>dei</strong> <strong>Campi</strong> <strong>Flegrei</strong>, permettono il monitoraggio continuo della sismicità, delle deformazioni<br />

del suolo e delle emissioni di gas dal suolo e dalle fumarole.<br />

Parametri Geofisici<br />

-sismicità:<br />

L'area <strong>dei</strong> <strong>Campi</strong> <strong>Flegrei</strong> è<br />

sede di una modesta<br />

sismicità che si presenta<br />

generalmente a sciami.<br />

La sismicità nei periodi<br />

di più intensa<br />

deformazione del suolo<br />

aumenta<br />

considerevolmente sia<br />

come Magnitudo degli<br />

eventi che come<br />

frequenza di<br />

accadimento <strong>dei</strong><br />

terremoti o degli sciami<br />

sismici. Dal 2000 a oggi<br />

si sono avuti oltre 10<br />

sciami sismici ed alcuni<br />

eventi individuali. Tutti<br />

questi terremoti hanno<br />

avuto Magnidudo molto<br />

bassa, generalmente < 1. La maggior parte degli eventi localizzati ricade nell’area<br />

Solfatara-Agnano ed in prossimità di Monte Nuovo (come evidenziato nella figura).<br />

-deformazioni del suolo:<br />

Nell’area flegrea, le misure delle maggiori deformazioni verticali del suolo, come rilevate<br />

tramite stazione GPS localizzata al Rione Terra a Pozzuoli, evidenziano un progressivo<br />

sollevamento.


Nelle seguenti figure, dove le<br />

variazioni di quota (millimetri,<br />

sull'asse verticale) sono<br />

riportate in funzione del tempo<br />

(anni, riportati sull'asse<br />

orizzontale), si evidenzia un<br />

periodo di stasi tra il 2004-<br />

2006, ed un sollevamento<br />

complessivo di circa 18 cm<br />

tra il 2005 ed l'inizio del 2013.<br />

In particolare, come riportato<br />

nella figura che mostra<br />

l'andamento della quota dal 01<br />

gennaio 2012 al 5 Marzo 2013,<br />

si nota una generale tendenza<br />

al sollevamento con<br />

un’accelerazione del fenomeno<br />

nel periodo da giugno ad agosto<br />

2012 e dall’inizio di dicembre<br />

2012. Il sollevamento<br />

complessivo da gennaio 2012 è<br />

di circa 9.5 cm.<br />

-emissioni di gas:<br />

Le osservazioni geochimiche nell’area flegrea consistono in misure, in corrispondenza<br />

dell'area craterica della Solfatara di Pozzuoli della zona <strong>dei</strong> Pisciarelli, <strong>dei</strong> valori di<br />

temperatura e della composizione chimica delle Fumarole.<br />

A partire dal 2006, alle fumarole della Solfatara, va segnalata la continua e lenta crescita<br />

del rapporto CO2/H2O (biossido di carbonio /acqua) e <strong>dei</strong> valori di temperatura.


Secondo le più recenti interpretazioni, tali cambiamenti possono essere compatibili con<br />

l'entrata nel sistema idrotermale (più superficiale e che alimenta i gas emessi dalle<br />

fumarole) di una nuova componente magmatica di gas proveniente da una zona più<br />

profonda d'accumulo di gas magmatici, probabilmente localizzata al di sopra della camera<br />

magmatica in un mezzo plastico e molto caldo.<br />

A partire dal 2000 questa sorgente di gas magmatici e' attiva e causa sismicità' e<br />

deformazioni. Anche se tale attività' molto probabilmente può limitarsi all'espulsione di<br />

grandi quantità' di gas ed energia termica, come osservato in altri vulcani e nella storia<br />

passata <strong>dei</strong> <strong>Campi</strong> <strong>Flegrei</strong>, il comportamento del sistema in futuro non e' al momento<br />

prevedibile.<br />

Bradisismo-Situazione Attuale-CFDDP<br />

(<strong>Campi</strong> <strong>Flegrei</strong> Deep Drilling Project)<br />

Allo scopo di studiare e<br />

monitorare la dinamica<br />

vulcanica <strong>dei</strong> <strong>Campi</strong><br />

<strong>Flegrei</strong> e i meccanismi<br />

che generano il<br />

bradisismo (ovvero, i<br />

fenomeni di sollevamento<br />

ed abbassamento della<br />

caldera), è in corso un<br />

progetto internazionale di<br />

ricerca scientifica,<br />

denominato <strong>Campi</strong><br />

<strong>Flegrei</strong> Deep Drilling<br />

Project (CFDDP), che<br />

prevede la perforazione<br />

del suolo <strong>dei</strong> <strong>Campi</strong><br />

<strong>Flegrei</strong>. La prima<br />

perforazione, completata<br />

nel dicembre 2012, è stata eseguita nella zona di Bagnoli, riportata in figura , (sul bordo<br />

orientale della caldera), nell'ex area industriale dove sorgeva lo stabilimento ILVA di<br />

Bagnoli, portando alla formazione del primo “pozzo pilota”.<br />

Il pozzo pilota, profondo 502 m,<br />

servirà principalmente a studiare in<br />

dettaglio la stratigrafia e la storia<br />

eruttiva del bordo orientale della<br />

caldera, che è il meno noto per<br />

l'assenza di perforazioni precedenti<br />

di una certa profondità, ed anche<br />

l'area a più alto rischio per l'alta<br />

densità di popolazione. In seguito, il<br />

pozzo pilota servirà per alloggiare<br />

una sorta di 'Osservatorio<br />

Vulcanologico Profondo', con<br />

l'installazione di sensori<br />

tecnologicamente avanzati per la<br />

misura della temperatura, delle<br />

deformazioni del suolo e della


sismicità, con una sensibilità molto più alta (di circa 1000 volte) rispetto a quanto ottenibile<br />

con la usuale strumentazione di superficie. Queste misure saranno di grande utilità per<br />

l'identificazione <strong>dei</strong> precursori di una possibile eruzione.<br />

Il progetto prevede una seconda<br />

perforazione, non ancora iniziata,<br />

per la formazione del “pozzo<br />

profondo”, che si spingerà fino a<br />

circa 3500m in profondità. Il pozzo<br />

profondo servirà invece<br />

essenzialmente a studiare i<br />

meccanismi di genesi dell'attività<br />

vulcanica e del bradisismo,<br />

attraverso la misura 'in loco' <strong>dei</strong><br />

principali parametri geofisici e<br />

geochimici delle rocce profonde<br />

flegree. Inoltre, dalle misure della<br />

variazione di temperatura con la<br />

profondità nella parte più profonda,<br />

si ricaverà con notevole precisione<br />

la profondità della camera<br />

magmatica, che comunque resterà a diversi migliaia di metri di distanza dal pozzo stesso.<br />

L’obiettivo generale del progetto CFDDP è quello di utilizzare i risultati scientifici e i dati di<br />

monitoraggio ottenuti a favore dell'intera comunità scientifica e pubblica, per lo sviluppo e<br />

la sperimentazione di tecnologie di salvaguardia ambientale e sviluppo sostenibile. Queste<br />

includono la mitigazione del rischio vulcanico e <strong>dei</strong> rischi naturali, lo sviluppo di tecnologie<br />

avanzate per il monitoraggio ambientale e lo sviluppo di metodologie sostenibili ed ecocompatibili<br />

per l'utilizzo ottimale dell'energia geotermica.<br />

IL VULCANO SOLFATARA<br />

A circa 100 metri sopra il livello del mare, la Solfatara corre per 33 ettari nella sua<br />

caratteristica forma ovale con i due assi pari a 770 e 580 metri. Appartenente alla<br />

categoria <strong>dei</strong> cosiddetti Vulcani Quiescenti (in una fase definita, non a caso, “solfatarica”),<br />

la Solfatara si colloca nel III Periodo Eruttivo Flegreo (terza epoca) e la sua formazione è<br />

avvenuta in un’ unica esplosione (monogenetico) 3.700-3.900 anni fa. Questo cratere è<br />

l’unico <strong>dei</strong> <strong>Campi</strong> <strong>Flegrei</strong> a “vantare” una colata lavica che, attraverso il monte Olibano e<br />

sotto le scarpate dell'attuale Accademia Aeronautica di Pozzuoli, si riversò direttamente a<br />

mare.


I siti principali all'interno della Solfatara sono:<br />

La Grande Fumarola o Bocca Grande<br />

E' il nome della principale fumarola della Solfatara con<br />

temperatura del vapore acqueo di circa 160° C.<br />

Nell’interno di tale bocca i vapori acquei, arricchiti di vari<br />

minerali, subiscono il processo di brinamento, cioè<br />

passano direttamente dalla fase gassosa a quella solida a<br />

causa di una repentina diminuzione di temperatura e<br />

pressione, formando un grande varietà di composti chimici<br />

che si depongono sotto forma di patine, croste e cristalli.<br />

Tra questi il realgar (As4S4), il cinabro (HgS) e l’orpimento<br />

(As2S3) che danno una colorazione giallo rossiccia alle rocce circostanti; è inoltre presente<br />

l’acido solfridrico (H2S), dal caratteristico odore di uova putride.<br />

Il Pozzo<br />

Il pozzo attualmente visibile venne costruito nei primi<br />

anni del ‘800 per estrarre allume (KAl(SO4)2·12 H2O)<br />

dall’acqua emunta dalla sottostante falda. Ha una<br />

profondità di circa 10 metri e la sua falda varia nel<br />

tempo a seconda sia delle precipitazioni sia per<br />

l'effetto del bradisismo Tali acque risultano ricche di<br />

allume, ossidi dello zolfo, solfati di calcio, magnesio e<br />

altre sostanze.<br />

La Fangaia<br />

E' costituita da acque di origine piovana e<br />

acqua di condensazione <strong>dei</strong> vapori, che si<br />

mescolano con il materiale di tipo argilloso<br />

presente alla superficie del cratere. La<br />

composizione <strong>dei</strong> gas che fuoriescono<br />

dalla fangaia è molto varia (acido solfidrico<br />

H2S, monossido di diazoto N2O, acqua<br />

H2O, metano CH4, e altri); La composizione<br />

chimica <strong>dei</strong> gas indica una presumibile<br />

origine <strong>dei</strong> vapori a poche centinaia di<br />

metri sotto il suolo della Solfatara, ad una<br />

temperatura fra i 170° ed i 250° C. La<br />

composizione del liquido è altrettanto ricca<br />

(Boro B, Sodio Na, Magnesio Mg, Vanadio<br />

V, Arsenico As, Zinco Zn, Iodio I, Antimonio Sb, Rubidio Rb e altri). Le scure striature sulla<br />

superficie del fango sono costituite da colonie di batteri chiamati Sulfolobus solfataricus,<br />

resistenti a condizioni estreme di acidità e temperatura e riscontrate solo in tali luoghi.<br />

Le Stufe<br />

Sono due antiche grotte scavate nel fianco della<br />

montagna sul lato nord alla fine del ‘800 per realizzare<br />

sudatorii naturali e successivamente rivestite di muratura.<br />

Nelle vicinanze delle stufe è possibile ritrovare cristalli di<br />

zolfo S e una roccia biancastra detta “bianchetto”<br />

costituita prevalentemente di caolinite (Al2Si2O5(OH)4 ).


I principali minerali (composti ed elementi) della Solfatara<br />

Nome (simbolo)<br />

Descrizione<br />

allume (KAl(SO4)2·12 H2O), composto<br />

caolinite (Al2Si2O5(OH)4 ), composto<br />

cinabro (HgS), composto<br />

orpimento (As2S3), composto<br />

realgar (As4S4), composto<br />

zolfo (S), elemento<br />

Immagine


DIZIONARIETTO<br />

Caldera<br />

Camera<br />

magmatica<br />

Fumarole<br />

Geochimici<br />

Geofisici<br />

Graben<br />

Freatomagm<br />

atica<br />

Piroclasti<br />

Pliniana<br />

deriva dal collasso di parte dell'edificio vulcanico all'interno della camera magmatica una volta che questa si è<br />

svuotata del magma interno. Ciò che fa collassare il vulcano è l'intenso svuotamento della camera magmatica che,<br />

a causa della pressione persa dopo l'eruzione, non riesce più a sostenere l'edificio vulcanico. Nelle epoche<br />

successive, quando il vulcano rientra in attività, comincia a ricostruire l'edificio vulcanico all'interno della caldera.<br />

Spesso, data la loro geomorfologia concava, le caldere sono la sede di laghi formatisi dall'accumulo dell'acqua<br />

piovana che rimane intappolata all'interno della caldera.<br />

rappresenta la zona all'interno di un vulcano in cui i magmi possono stazionare prima di<br />

essere eruttati in superficie o spostarsi più vicino alla superficie. Generalmente si tratta di<br />

una zona serbatoio, definita da rocce incassanti iniettate abbondantemente e fittamente da<br />

magma.<br />

La camera magmatica non coincide necessariamente con la zona sorgente del magma, di<br />

solito rappresenta uno spazio che il magma occupa in uno stadio intermedio della sua<br />

risalita verso la superficie.<br />

Le fumarole sono piccole ma profonde fessure nel suolo da cui i gas vulcanici fuoriescono. Le temperature delle<br />

emissioni fumaroliche variano da circa 100°C fino a 900°C; a contatto con l’aria, per la diminuzione di temperatura,<br />

i gas condensano dando luogo a caratteristici fumi da cui deriva il nome del fenomeno. Le fumarole possono<br />

restare attive anche per decenni se si trovano sopra una fonte di calore o scomparire entro poche settimane o mesi<br />

se si trovano sopra un deposito vulcanico che si raffredda rapidamente.<br />

La composizione chimica <strong>dei</strong> gas vulcanici è molto varia. Sono presenti generalmente CO2, CO, SO2, H2S, HCL,<br />

HF sia come costituenti maggiori che minori. Vi sono poi, sotto forma di elementi in tracce, metalli pesanti e altri<br />

elementi estremamente tossici quali Pb, Cd, Pd, Hg, Tl, As ecc, nonché composti organici.<br />

riferito ad una disciplina che studia la Terra e le sue componenti, osservando la loro evoluzione nello spazio e nel<br />

tempo, attraverso indagini sulla distribuzione e sul comportamento degli elementi e composti chimici.<br />

Riferito ad una disciplina che in generale prevede l'applicazione di misure e metodi fisici allo studio delle proprietà<br />

fisiche del pianeta terra.<br />

è un termine proveniente dalla letteratura scientifica tedesca che in geologia<br />

strutturale indica una fossa tettonica, ovvero una porzione di crosta terrestre<br />

sprofondata a causa di un sistema di faglie dirette (o normali) in regime tettonico<br />

distensivo.<br />

dal greco phréar-atos, pozzo+magmatico]. In geologia, di fenomeno magmatico accompagnato da esplosioni legate<br />

alla pressione esercitata dalla componente volatile costituita essenzialmente da vapore acqueo di origine freatica,<br />

originatosi per riscaldamento dell'acqua della falda da parte della massa magmatica fusa.<br />

deriva dal greco, pyr (fuoco) e klastó[s], (spezzato), e si intende l'insieme di tutti i frammenti in volo prodotti durante<br />

una eruzione vulcanica, non ancora caduti al suolo; Generalmente formano <strong>dei</strong> depositi i cui elementi non sono<br />

ancora cementati. Una volta giunti a terra i clasti sono considerati tefriti a meno che non rimangano abbastanza<br />

caldi per fondersi in rocce piroclastiche I piroclasti possono essere classificati anche a seconda delle loro<br />

dimensioni: bombe vulcaniche, lapilli e cenere vulcanica.<br />

Le eruzioni sono prodotte da magma molto viscoso. Si formano<br />

frequentemente nubi ardenti, formate da gas e lava polverizzata.<br />

Sono eruzioni molto pericolose che si concludono generalmente con il<br />

collasso parziale o totale dell'edificio vulcanico o con la fuoriuscita di<br />

un tappo di lava detto spina vulcanica o duomo.<br />

In<br />

alcuni casi si<br />

verificano entrambi i fenomeni. Gli apparati vulcanici che<br />

manifestano questo comportamento eruttivo sono caratterizzati dalla<br />

forma a cono. Queste eruzioni prendono il nome da Plinio il giovane<br />

che per primo descrisse questo tipo di eruzione osservando<br />

l'eruzione del Vesuvio del 79 d.C. (eruzione che sommerse di ceneri<br />

Pompei ed Ercolano).


Risorse Web:<br />

http://www.ov.ingv.it/ov/it/campi-flegrei.html<br />

vulcan.fis.uniroma3.it/italia/campania/ campi/right-left.html<br />

https://sites.google.com/site/cfddpproject<br />

www.solfatara.it/vulcano/it<br />

http://it.wikipedia.org<br />

http://www.catalogomultimediale.unina.it<br />

http://www.vincenzoboccardi.altervista.org (Boccardi, V., “Un viaggio al Forum Vulcani: La<br />

Solfatara di Pozzuoli”,Didattica Delle Scienze, 18-25, 231, La Scuola, aprile2004)

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