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La realtà della finzione. Unamuno e Pirandello all'orizzonte di ...

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LA REALTÀ DELLA FINZIONE.<br />

UNAMUNO E PIRANDELLO<br />

ALL’ORIZZONTE DI CERVANTES *<br />

<strong>di</strong> Otello Lottini<br />

1. <strong>La</strong> prima volta che <strong>Pirandello</strong> appare all’orizzonte vitale e intellettuale <strong>di</strong><br />

<strong>Unamuno</strong> è nel 1922, quando i loro nomi vengono accostati, nei commenti alla traduzione<br />

italiana del romanzo Niebla. Lo stesso <strong>Unamuno</strong> ne dà notizia, in una lettera,<br />

ad un amico: «Le manderò […] Niebla, tradotto in italiano, al cui riguardo si<br />

è parlato <strong>di</strong> <strong>Pirandello</strong>» 1 .<br />

Anche la conoscenza personale avviene dopo quella data, ed è, pertanto,<br />

alquanto tar<strong>di</strong>va (e non sarà mai approfon<strong>di</strong>ta), se appena si pensi che <strong>Unamuno</strong> e<br />

<strong>Pirandello</strong> erano nati rispettivamente nel 1864 e nel 1867.<br />

Si incontrarono <strong>di</strong>rettamente solo in due occasioni. <strong>La</strong> prima, nel 1925, a<br />

Parigi, in occasione del Terzo congresso internazionale del “Pen Club”. Il secondo<br />

incontro avvenne a Lisbona, nel 1935, ad un’altra riunione <strong>di</strong> scrittori 2 .<br />

Ricordando il primo incontro, tre anni dopo, <strong>Unamuno</strong> informava un suo<br />

interlocutore <strong>di</strong> aver parlato con <strong>Pirandello</strong> dei Sei personaggi in cerca d’autore,<br />

affermando che si trattava <strong>di</strong> «un problema <strong>di</strong> scacchi»: «Una volta gli <strong>di</strong>ssi che,<br />

nei Sei personaggi, la soluzione non si trova nelle persone, ma nello scrittore che<br />

cerca <strong>di</strong> incontrare i sei personaggi» 3 .<br />

Vi fu anche qualche in<strong>di</strong>retto contatto tra i due: uno avvenne sicuramente, nel<br />

1927, quando Gilberto Beccari, traduttore <strong>di</strong> <strong>Unamuno</strong>, adattò per le scene Nada<br />

menos que todo un hombre (1920). In quell’occasione, <strong>Pirandello</strong> si interessò all’iniziativa,<br />

facendo rappresentare l’opera dalla sua compagnia, e consigliando anche<br />

<strong>di</strong> sopprimere il quinto atto. In seguito, si occuperà pubblicamente, ancora una<br />

volta, <strong>di</strong> un testo <strong>di</strong> <strong>Unamuno</strong>, nel 1933, quando presiederà un Comitato culturale,<br />

tra le cui iniziative vi era la rappresentazione <strong>della</strong> Medea <strong>di</strong> Seneca, nella traduzione<br />

unamuniana.<br />

Nei loro rapporti, esiste una evidente <strong>di</strong>ssimmetria <strong>di</strong> parola, nel senso che,<br />

mentre <strong>Unamuno</strong> ha parlato <strong>di</strong> <strong>Pirandello</strong>, almeno in alcune occasioni, lo scrittore<br />

* Questo saggio è uscito, in origine, nel volume P. Carriglio, G. Strehler (a cura <strong>di</strong>), Teatro<br />

italiano, vol. I, <strong>La</strong>terza, Roma-Bari 1993.<br />

Poiché il volume è da tempo esaurito, ho deciso <strong>di</strong> ripubblicarlo, apportandovi solo lievi<br />

aggiornamenti <strong>di</strong> stile e lasciandolo inalterato nella forma, nei contenuti e nelle citazioni.<br />

È chiaro che se ripropongo ora uno scritto <strong>di</strong> oltre quin<strong>di</strong>ci anni fa, è perché sono convinto<br />

che il <strong>di</strong>scorso complessivo regga ancora, in quanto l’intuizione critica e la linea interpretativa<br />

che lo ispirarono rimangono ancora vali<strong>di</strong> sul piano scientifico e stimolanti su quello culturale.


308 OTELLO LOTTINI<br />

siciliano, a quanto si sa, non ha mai fatto <strong>di</strong>chiarazioni o commenti sullo scrittore<br />

spagnolo, anche se, come abbiamo visto, lo conosceva bene 4 . Del resto, <strong>Unamuno</strong>,<br />

assai prima e molto più <strong>di</strong> <strong>Pirandello</strong>, era <strong>di</strong>ventato un personaggio <strong>di</strong> grande<br />

notorietà internazionale, almeno a partire dall’inizio del secolo.<br />

Malgrado la quasi perfetta coetaneità (sono morti, infatti, nello stesso anno,<br />

cioè il 1936), non vi fu tra <strong>di</strong> loro, dunque, una approfon<strong>di</strong>ta conoscenza personale.<br />

E nemmeno una conoscenza intellettuale <strong>di</strong>retta, almeno fino all’inizio degli<br />

anni Venti.<br />

2. Come si è accennato, l’incontro intellettuale e artistico tra i due scrittori è<br />

documentato da <strong>Unamuno</strong>: «Io che sono un curioso e <strong>di</strong>ligente osservatore <strong>della</strong><br />

vita italiana, non sapevo niente <strong>di</strong> lui [<strong>Pirandello</strong>], fino a poco tempo fa, meno <strong>di</strong><br />

un anno» 5 . L’autore scrive queste parole nel 1923, nell’articolo <strong>Pirandello</strong> y yo 6 , in<br />

cui in<strong>di</strong>ca la vicinanza tra <strong>di</strong> loro, interpreta le gran<strong>di</strong> coincidenze costruttive e<br />

commenta i motivi essenziali delle rispettive filosofie estetiche, dall’impostazione<br />

letteraria antinaturalistica all’io <strong>di</strong>viso, dalla concezione del personaggio a quella<br />

del mondo come rappresentazione.<br />

<strong>Unamuno</strong> trova concordanze sull’impianto costruttivo e ideativo delle rispettive<br />

opere narrative. In <strong>Pirandello</strong> y yo scrive: «I romanzi e i racconti <strong>di</strong> <strong>Pirandello</strong><br />

sono brevi e schematici, concepiti e sviluppati come drammi, in cui i personaggi<br />

hanno il minor numero possibile <strong>di</strong> in<strong>di</strong>cazioni e sono costruiti in modo che li si<br />

veda vivere, cioè, cambiare e contrad<strong>di</strong>rsi e svilupparsi come un fascio <strong>di</strong> io»<br />

(PyY, p. 547).<br />

Nella capacità e nell’abilità <strong>di</strong> <strong>Pirandello</strong> <strong>di</strong> costruire opere narrative, ricche <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>aloghi e intensamente drammatiche, in cui i personaggi realizzano la loro personalità,<br />

come se fossero sulle tavole <strong>di</strong> un palcoscenico, <strong>Unamuno</strong> vede la presenza<br />

<strong>di</strong> una cellula o germe drammatico, che considera anche come specchio <strong>della</strong> propria<br />

narrativa.<br />

A questa caratteristica delle rispettive opere in prosa, si può far risalire la frequente<br />

<strong>di</strong>sponibilità a ridurre per il palcoscenico i loro romanzi e racconti: la loro<br />

scrittura narrativa, infatti, è espressione <strong>di</strong> una intensa potenzialità drammatica e<br />

<strong>di</strong> un essenziale <strong>di</strong>alogismo, al <strong>di</strong> fuori <strong>di</strong> ogni pausa descrittiva e <strong>di</strong> ogni pittoresca<br />

presenza degli effetti <strong>di</strong> colore: «Ogni opera d’arte, viva e durevole, vera,<br />

anche se non presenta particolarità geografiche o cronologiche, e non descrive<br />

gesti, vestiti, maniere, ha la profonda <strong>realtà</strong> del luogo e del tempo in cui fu concepita»<br />

(ibid.).<br />

Ambedue considerano che il romanzo e il dramma sono meto<strong>di</strong>che estetiche,<br />

con le quali si possono affrontare i problemi <strong>di</strong> verità dell’esistenza umana, nella<br />

sua autentica e originale essenza. In questo senso, <strong>Unamuno</strong> accomuna <strong>Pirandello</strong><br />

all’idea che la letteratura e il teatro siano la via per elevarsi ad una analitica esistenziale<br />

e ad una metafisica <strong>della</strong> vita umana, cioè alle problematiche che riguardano<br />

l’essere <strong>della</strong> persona, che <strong>di</strong>venta l’oggetto essenziale <strong>della</strong> loro riflessione.<br />

L’impianto gnoseologico, comune ai due scrittori, si fonda su una concezione<br />

<strong>di</strong>alettica del mistero e dell’arcano, che governano la natura e l’esistenza, in una<br />

polarità estetica ed etica, nella coscienza mobile dell’io, tra la società e la cultura.


LA REALTÀ DELLA FINZIONE. UNAMUNO E PIRANDELLO ALL’ORIZZONTE DI CERVANTES 309<br />

L’uomo vive tra i fenomeni, cioè tra le cose, che appaiono e si manifestano in<br />

mo<strong>di</strong> <strong>di</strong>versi. È questo un primo livello <strong>di</strong> <strong>realtà</strong>, quello che gli si impone in modo<br />

<strong>di</strong>retto, imme<strong>di</strong>ato ed evidente: è l’esperienza <strong>della</strong> <strong>realtà</strong> come percezione. Ma le<br />

cose si mostrano non come sono, ma come non sono, nel senso che si mostrano<br />

come pure apparenze, perché dotate <strong>di</strong> un essenziale dualismo tra la superficie e<br />

la profon<strong>di</strong>tà, tra l’esterno e l’interno.<br />

Dietro le <strong>realtà</strong> imme<strong>di</strong>ate, infatti, ne esistono altre, più profonde e <strong>di</strong>screte,<br />

che emergono solo se ci sforziamo <strong>di</strong> raggiungerle. Come in ogni persona, c’è una<br />

superficie e una profon<strong>di</strong>tà, così c’è un vedere passivo e un vedere attivo, una lettura<br />

<strong>di</strong> superficie e una lettura profonda. Il vedere attivo interpreta vedendo e<br />

vede interpretando, cioè è in grado <strong>di</strong> guardare effettivamente le cose; allo stesso<br />

modo esiste un leggere, che è un intelligere, un leggere dentro: queste attitu<strong>di</strong>ni<br />

percettive e concettuali, rovesciandosi, si innalzano e si fondano nelle <strong>di</strong>mensioni<br />

metaforiche <strong>della</strong> letteratura, del teatro e dell’arte.<br />

Le «terre» profonde delle cose e delle persone, dunque, sono esterne al soggetto<br />

e si consegnano solo alla sua tensione conoscitiva. Il mondo si duplica necessariamente<br />

<strong>di</strong> fronte a lui, che vive circondato da entità evidenti ed imme<strong>di</strong>ate<br />

(naturali e umane), <strong>di</strong>etro la cui presenza percettiva ed apparenziale vi è l’autentica<br />

<strong>realtà</strong> e verità dell’essere.<br />

Perciò l’esperienza in<strong>di</strong>viduale si svolge in una costante e perenne interrogazione<br />

del mondo, degli altri e <strong>di</strong> sé, decifrando le apparenze e orientandosi tra le<br />

maschere, i ruoli e i segni: l’essere o l’essenza delle cose e delle persone è frutto <strong>di</strong><br />

ricerca: non è un dato, è un risultato. Ma la vita come necessità <strong>di</strong> scelta e come<br />

vicenda interpretativa si realizza nel dubbio e nell’incertezza, perché niente garantisce<br />

la correttezza e la congruità, rispetto al progetto vitale, delle decisioni che,<br />

necessariamente, si è costretti a prendere.<br />

Perché le cose o le persone possano mettere in luce il loro vero essere, si<br />

richiedono strumenti e mezzi adeguati: la verità, <strong>di</strong>fatti, è un processo <strong>di</strong> pura<br />

illuminazione, che si raggiunge nell’istante in cui viene scoperta. Il suo nome<br />

greco – alétheia – vuol <strong>di</strong>re presenza dell’essere, ottenuta me<strong>di</strong>ante rivelazione e<br />

svelamento, e consiste metaforicamente nell’azione <strong>di</strong> togliere il velo e la maschera,<br />

in modo che si possa manifestare l’assenza, per eccellenza, cioè la vita autentica<br />

e originale.<br />

Il romanzo e il teatro permettono <strong>di</strong> affrontare il tema dell’esistenza, interiore<br />

e vera, <strong>della</strong> persona umana, e <strong>di</strong> penetrare nel segreto <strong>della</strong> vita, avvalendosi <strong>di</strong><br />

finzioni immaginarie, nelle quali l’esistenza si identifica con l’essenza. Gli esseri<br />

“irreali” o oggetti ideali <strong>della</strong> letteratura, del teatro e dell’arte, infatti, sono <strong>di</strong>aframmi,<br />

si lasciano penetrare dal pensiero e mostrano il loro essere, senza alcuna<br />

resistenza. Essi non hanno <strong>realtà</strong>, poiché si tratta <strong>di</strong> enti <strong>di</strong> <strong>finzione</strong>, <strong>di</strong> persone<br />

immaginarie. Ma la fantasia creatrice e l’intuizione immaginativa – come è più dell’intuizione<br />

dei fatti reali – consentono <strong>di</strong> “realizzarne” le essenze: «si suole contrapporre<br />

il reale all’ideale […]. Ma le idee non sono vere come ciò che chiamiamo<br />

cose? Anzi, più vere, perché sono più durature. E anche la verità delle cose sta<br />

nella loro idealità» (ibid.).<br />

Poiché attraverso il romanzo e il teatro, si può scavare nella vera <strong>realtà</strong> dell’uomo,<br />

<strong>Unamuno</strong> e <strong>Pirandello</strong> cercano, nelle loro opere, <strong>di</strong> conseguire la mag-


310 OTELLO LOTTINI<br />

giore nu<strong>di</strong>tà e autenticità possibili, sforzandosi <strong>di</strong> arrivare all’imme<strong>di</strong>atezza del<br />

dramma umano e <strong>di</strong> raccontarlo o rappresentarlo, lasciandolo essere ciò che è.<br />

Compito <strong>della</strong> letteratura e del teatro, <strong>di</strong>fatti, è quello <strong>di</strong> rendere manifesta la storia<br />

dell’uomo, me<strong>di</strong>ata dagli enti <strong>di</strong> <strong>finzione</strong>, lasciando che si sviluppi in piena<br />

luce, nella varietà e nella molteplicità contrad<strong>di</strong>ttoria dei suoi aspetti e nei suoi<br />

interni movimenti, in mo – do che si possa svelarne l’autentico nucleo intimo:<br />

«Un’altra delle concezioni che quell’io sconosciuto seminò in me e in <strong>Pirandello</strong><br />

è il modo <strong>di</strong> vedere e <strong>di</strong> sviluppare le personalità storiche – cioè <strong>di</strong> <strong>finzione</strong> –<br />

come un flusso vivo <strong>di</strong> contrad<strong>di</strong>zioni, come una serie <strong>di</strong> io, come un fiume spirituale»<br />

(PyY, p. 546).<br />

Gli enti <strong>di</strong> <strong>finzione</strong>, dunque, ci consentono <strong>di</strong> conoscere le essenze dei mo<strong>di</strong><br />

d’essere, che costituiscono gli uomini. <strong>Unamuno</strong>, infatti, concorda nella <strong>di</strong>stinzione<br />

fondamentale – sua e <strong>di</strong> <strong>Pirandello</strong> – fra l’io empirico e fisiologico e l’io trascendente,<br />

storico, immanente e profondo, dalla cui scissione o dualità emergono<br />

le problematiche, che informano la loro filosofia estetica.<br />

Per raggiungere l’essere degli oggetti, cioè per pervenire alla loro autentica<br />

<strong>realtà</strong> interiore, si utilizzano immagini artistiche e schematismi concettuali e logici,<br />

me<strong>di</strong>ante i quali è possibile rivelarne la contestura definitiva e vera.<br />

L’essere, infatti, è costruzione e questa è la zattera che può dare all’in<strong>di</strong>viduo<br />

sicurezza vitale, rispetto delle cose, consentendogli <strong>di</strong> salvarsi dal caos<br />

fenomenico.<br />

Gli oggetti reali sono opachi, sono maschere: hanno un dentro che non si<br />

lascia penetrare facilmente, per cui <strong>di</strong>venta un arcano: ogni conoscenza <strong>della</strong> <strong>realtà</strong><br />

– naturale o umana – è un’interpretazione, in base ad un orizzonte o prospettiva,<br />

determinata dalla ricerca dell’illuminazione. E poiché le apparenze fenomeniche,<br />

entro cui vive l’uomo, mandano segnali caotici e contrad<strong>di</strong>ttori, che spesso rinviano<br />

all’essere, ma in modo equivoco, la ricerca è una dolorosa ermeneutica, durante<br />

la quale l’uomo conosce che non vi sono tracce <strong>di</strong>rette, che portino all’autenticità<br />

e verità delle cose e delle persone.<br />

Il doppio nasce dalla ra<strong>di</strong>cale <strong>di</strong>fferenza problematica tra l’io esterno e sociale<br />

(frutto <strong>della</strong> percezione dell’Altro) e l’io come coscienza e come ricerca interiore,<br />

cioè tra l’io pubblico e l’io riflessivo. Dalla stessa dualità <strong>di</strong> azioni, sorge la <strong>di</strong>fferenza<br />

e l’alienazione: è un salto tra ciò che l’io sente come riflesso <strong>della</strong> coscienza e<br />

l’io quoti<strong>di</strong>ano e osservabile. Quest’ultimo non rappresenta l’altro, perché vi è <strong>di</strong>fferenza<br />

e <strong>di</strong>stanza tra persona pubblica (maschera) e io in<strong>di</strong>viduale e interiore<br />

(essere).<br />

<strong>La</strong> persona, l’attore, la maschera sono il portato <strong>della</strong> filosofia <strong>della</strong> vita come<br />

esistenza, contrapposta alla vita come essenza: il doppio, il simbolo dello specchio,<br />

la percezione dell’Altro costituiscono il problema <strong>della</strong> personalità. L’io non ha<br />

altra <strong>realtà</strong> che il suo rovescio, il suo contrario, in un processo <strong>di</strong> alienazione <strong>di</strong> sé<br />

da sé e <strong>di</strong> alienazione maturata sotto lo sguardo dell’Altro. Esso si costituisce nell’atto<br />

<strong>di</strong> mostrarsi e <strong>di</strong> esibirsi, alterandosi in persona, in maschera. Si esiste in<br />

quanto si è percepiti nelle azioni e nelle opere: operari sequitur esse 7 .<br />

<strong>La</strong> maschera è la nostra azione, è il ruolo che rappresentiamo sul portico <strong>della</strong><br />

vita. Ora l’agire si duplica nella scrittura (il suo scenario), in cui l’io si conferma<br />

come cambiamento, come storia e come <strong>finzione</strong>. Egli si converte, così, in spetta-


LA REALTÀ DELLA FINZIONE. UNAMUNO E PIRANDELLO ALL’ORIZZONTE DI CERVANTES 311<br />

tore e attore <strong>della</strong> propria persona, prendendo coscienza <strong>della</strong> fragile temporalità<br />

personale, ma anche <strong>della</strong> stabilità e <strong>della</strong> permanenza nell’arte.<br />

Da qui l’importanza che i due scrittori attribuiscono agli enti <strong>di</strong> <strong>finzione</strong> o<br />

personaggi immaginari, come strumenti essenziali per raggiungere la conoscenza<br />

dell’uomo (in quanto si può dare in profon<strong>di</strong>tà la rappresentazione figurativa e<br />

immaginaria <strong>della</strong> <strong>realtà</strong> umana), ma anche come espressione immanente <strong>di</strong> virtualità<br />

significative. Perciò, <strong>Unamuno</strong>, con <strong>Pirandello</strong>, considera che «don Chisciotte<br />

e Sancio hanno più <strong>realtà</strong> storica <strong>di</strong> Cervantes e che non è Shakespeare che ha<br />

creato Macbeth, Amleto, Otello, Re Lear; ma sono questi che hanno creato lui»<br />

(PyY, p. 545).<br />

Al centro delle loro preoccupazioni estetico – filosofiche, dunque, è sempre<br />

l’uomo come essere vivente, teso tra la nascita e la morte, che costruisce gradualmente<br />

la propria personalità. <strong>La</strong> ra<strong>di</strong>ce del suo essere interiore è nel progetto<br />

vitale, nel voler essere, che è una ir<strong>realtà</strong>, ciò che non è ancora, se non appunto<br />

come desiderio e come sogno. Quest’ultimo non si oppone alla veglia, come<br />

qualcosa <strong>di</strong> irreale a ciò che è reale, ma implica un altro tipo <strong>di</strong> <strong>realtà</strong> – la <strong>realtà</strong><br />

del sogno –, che si va facendo nel tempo e che cessa <strong>di</strong> essere, nella misura in cui<br />

si va facendo.<br />

Proprio perché irreale, rispetto alle cose, e poiché non è mescolato alle cose, il<br />

sogno è l’esempio più puro <strong>di</strong> quel modo sottile <strong>di</strong> <strong>realtà</strong> temporale, <strong>di</strong> storia, <strong>di</strong><br />

romanzo e <strong>di</strong> leggenda, <strong>di</strong> cui è fatta la vita umana. In base a questa modalità <strong>di</strong><br />

essere, gli uomini sono uguali ai personaggi <strong>di</strong> <strong>finzione</strong>, perciò è possibile sostenere,<br />

per esempio, che don Chisciotte è uguale a Cervantes o che don Abbon<strong>di</strong>o è<br />

uguale a Manzoni. Ciò significa che vi è coincidenza nel modo d’essere e che vi è<br />

somiglianza tra il personaggio artistico-letterario e quello empirico.<br />

Anche i personaggi <strong>di</strong> <strong>finzione</strong>, infatti, hanno vita, storia e leggenda; hanno<br />

biografia, insomma: sono qualcosa che si può raccontare – tema <strong>di</strong> narrazione –, e,<br />

insieme, persone con coscienza <strong>della</strong> propria leggenda e <strong>della</strong> propria <strong>realtà</strong> (come<br />

vedremo): tra l’io empirico e l’io <strong>di</strong> <strong>finzione</strong>, vi è la comune riven<strong>di</strong>cazione del<br />

modo d’essere temporale e personale, che consiste in storia.<br />

<strong>La</strong> personalità dell’ente <strong>di</strong> <strong>finzione</strong> somiglia a quella reale, perché non è fatta,<br />

ma si sta facendo e si può raccontare: in ciò consiste il suo dramma o romanzo e<br />

perciò possiamo parlare con piena assennatezza <strong>di</strong> don Chisciotte o <strong>di</strong> madama<br />

Pace. Essi hanno un’esistenza propria, una struttura e una logica interna, che li<br />

determinano e li in<strong>di</strong>viduano; nei personaggi <strong>di</strong> <strong>finzione</strong>, si incontra – se si vuole,<br />

in modo spettrale e subor<strong>di</strong>nato – lo stesso essere dell’uomo: «Ente <strong>di</strong> <strong>finzione</strong>?<br />

ente <strong>di</strong> <strong>realtà</strong>? Di <strong>realtà</strong> <strong>di</strong> <strong>finzione</strong>, che è <strong>finzione</strong> <strong>di</strong> <strong>realtà</strong>» 8 . <strong>La</strong> loro <strong>realtà</strong> consiste<br />

nel loro essere fittizio, che è <strong>di</strong>fferente dall’essere fisico: ciò che in loro è <strong>finzione</strong>,<br />

nell’uomo è la <strong>realtà</strong> piena <strong>della</strong> vita.<br />

<strong>La</strong> letteratura è in grado, dunque, <strong>di</strong> mostrare e <strong>di</strong> presentare qualcosa che<br />

avviene nel tempo e <strong>di</strong> sod<strong>di</strong>sfare le nostre esigenze <strong>di</strong> sapere, mentre il linguaggio<br />

è un mezzo che attribuisce <strong>realtà</strong>, in quanto è conoscenza poetica e forma in movimento,<br />

cioè vita. Perché gli oggetti – cose o persone – si mostrino nella loro forma<br />

autentica – nella loro verità e nella loro purezza originarie –, infatti, è necessario<br />

che operi il logos, in quanto la costruzione immaginaria <strong>della</strong> <strong>realtà</strong> temporale<br />

<strong>della</strong> vita umana ha carattere verbale.


312 OTELLO LOTTINI<br />

<strong>La</strong> letteratura e il teatro sono un “<strong>di</strong>re essenziale”, ma non è la stessa cosa,<br />

naturalmente, vivere e narrare (o rappresentare): le due <strong>di</strong>mensioni trascorrono<br />

nel tempo, però la vita è chiusa in un arco temporale perituro, mentre “<strong>di</strong>re”<br />

significa sempre affermare qualcosa su qualcosa, cioè interpretarla [la vita?]<br />

me<strong>di</strong>ante il linguaggio, partendo da un certo punto <strong>di</strong> vista e nella consapevolezza<br />

<strong>della</strong> sua [?] perennità.<br />

Ebbene, la vita è effimera e temporale, dunque, mortale; la letteratura, invece,<br />

è permanenza eterna. In ogni forma d’arte, in ogni linguaggio, il personaggio<br />

vive più del suo autore e creatore: <strong>di</strong>nanzi alla letteratura, al teatro, all’arte, che<br />

cosa può fare il povero volto mortale dello scrittore, del drammaturgo?<br />

Scomparire, perdersi nel nulla <strong>della</strong> finitu<strong>di</strong>ne dell’esistenza, mentre l’arte celebra<br />

l’epifania <strong>della</strong> presenza e <strong>della</strong> sopravvivenza, nell’immanenza e nella pienezza<br />

dei segni.<br />

È la stessa impostazione <strong>di</strong> <strong>Pirandello</strong> nei Sei personaggi, affidata alle parole<br />

del Padre:<br />

[…] perché chi ha la ventura <strong>di</strong> nascere personaggio vivo, può ridersi anche<br />

<strong>della</strong> morte. Non muore più! Morrà l’uomo, lo scrittore, strumento <strong>della</strong> creazione:<br />

la creatura non muore più! E per vivere eterna non ha neanche bisogno<br />

<strong>di</strong> straor<strong>di</strong>narie doti o <strong>di</strong> compiere pro<strong>di</strong>gi. Chi era Sancio Panza? chi era don<br />

Abbon<strong>di</strong>o? Eppure vivono eterni, perché – vivi germi – ebbero la ventura <strong>di</strong><br />

trovare una matrice feconda, una fantasia che li seppe allevare e nutrire, far<br />

vivere per l’eternità 9 .<br />

Nel rilevare le coincidenze e le somiglianze con <strong>Pirandello</strong>, <strong>Unamuno</strong> si sente<br />

sconcertato e impressionato, per il fatto che, senza conoscere o aver letto le opere<br />

l’uno dell’altro, i due scrittori siano arrivati a risultati così vicini: «È un fenomeno<br />

curioso, che è avvenuto molte volte nella storia <strong>della</strong> letteratura, dell’arte, <strong>della</strong><br />

scienza o <strong>della</strong> filosofia, cioè che due in<strong>di</strong>vidui, senza conoscersi né conoscere le<br />

rispettive opere, senza mettersi in contatto l’uno con l’altro, abbiano intrapreso<br />

uno stesso cammino e abbiano sviluppato analoghe concezioni o siano giunti agli<br />

stessi risultati», aggiungendo che la spiegazione del fenomeno, va ricercata in<br />

«qualcosa che fluttua nell’ambiente» (PyY, p. 544).<br />

Dopo aver chiarito la funzione <strong>di</strong> specchio che ha la scrittura <strong>di</strong> <strong>Pirandello</strong>,<br />

rispetto alle sue problematiche («e più <strong>di</strong> una volta mi sono detto, leggendolo: “lo<br />

stesso avrei detto io”») e dopo averne sottolineato l’originalità («e proprio perché<br />

è originale, mi riconosco in lui»), conclude, affermando che uno stesso folletto si è<br />

impadronito <strong>di</strong> entrambi: «è un ingegno x, un io più profondo del mio io empirico<br />

o fisiologico e dell’io empirico e fisiologico dello scrittore <strong>Pirandello</strong>, che ha cercato<br />

<strong>di</strong>mora in lui e in me, un io x» (PyY, p. 545).<br />

Anche la maggior parte dei critici 10 , che si sono occupati dei due scrittori,<br />

tende a vedere le somiglianze, più che in una <strong>di</strong>retta influenza dell’uno sull’altro,<br />

nell’autonoma poligenesi delle rispettive problematiche, influenzata da letture<br />

comuni, particolarmente significative.<br />

Ma la coincidenza problematica è anche frutto del clima culturale d’inizio<br />

secolo. Sono gli anni in cui, nel mondo occidentale, si manifesta una frattura, nella<br />

secolare tra<strong>di</strong>zione dei linguaggi artistico-letterari, e si inverte la funzione dell’arte:


LA REALTÀ DELLA FINZIONE. UNAMUNO E PIRANDELLO ALL’ORIZZONTE DI CERVANTES 313<br />

più che continuare a creare “buone forme”, nuove “buone forme”, nella tra<strong>di</strong>zionale<br />

ritualità, che le consentivano <strong>di</strong> comunicare, me<strong>di</strong>ante la partecipazione dell’autore<br />

e del lettore, allo stesso sottosuolo <strong>di</strong> senso, essa tende a stabilire uno iato<br />

tra la pratica dell’autore e l’esperienza del lettore (o dello spettatore): decostruzione<br />

<strong>della</strong> forma ed elaborazione <strong>di</strong> una nuova sensibilità estetico-filosofica, che ha i<br />

suoi riflessi in un’ispirazione artistica, che passa dalle cose alle idee e sviluppa<br />

ra<strong>di</strong>cali processi <strong>di</strong> irrealizzazione 11 .<br />

In luogo <strong>di</strong> continuare a produrre forme unificanti e riconciliatrici, anche sul<br />

piano <strong>della</strong> ricezione sociale, tra il quoti<strong>di</strong>ano, marcato dal testo e il sacro, marcato<br />

dalla forma, cioè dall’arte, l’attività artistica e letteraria <strong>di</strong>venta decostruttiva,<br />

cioè attività critica, che è, insieme, referenziale (critica sociale) e autoreferenziale<br />

(critica del linguaggio).<br />

Ciò significa, in primo luogo, la messa in crisi dell’aspetto formale, cioè dell’organizzazione<br />

significante dei testi, più che dei loro significati. Emergono, così,<br />

sfide e domande, sul modo in cui un testo <strong>di</strong>ce, oltre che su ciò che <strong>di</strong>ce. L’arte, il<br />

teatro, la letteratura mostrano una nuova attività pratica, in funzione <strong>della</strong> loro<br />

configurazione: vulnerando la <strong>di</strong>sposizione canonica 12 , fanno apparire nuovi significati,<br />

al <strong>di</strong> là <strong>della</strong> tirannia del verosimile. Arte teorica, arte critica, arte artistica:<br />

le forme non più come acca<strong>di</strong>menti naturali, ma come possibilità <strong>di</strong> integrazione<br />

gnoseologica, in quanto riflessione sul fare, sul tempo e sullo spazio in cui si producono<br />

i segni, nella <strong>di</strong>namica funzionale <strong>della</strong> società.<br />

3. Le idee <strong>di</strong> <strong>Unamuno</strong> che venivano commentate in Italia, in relazione ai Sei<br />

personaggi, erano quelle contenute nel romanzo Niebla (1914) 13 . Più <strong>di</strong> quanto avesse<br />

fatto in passato (per esempio, con Amor y Pedagogía, 1902), <strong>Unamuno</strong> si de<strong>di</strong>ca<br />

con decisione alla creazione <strong>di</strong> enti <strong>di</strong> <strong>finzione</strong>, cioè <strong>di</strong> eventi temporali e fittizi,<br />

costruendo la materia narrativa, in modo da fare e <strong>di</strong>sfare la <strong>realtà</strong>, in base al presupposto<br />

che il tempo «è sostanza <strong>della</strong> nebbia quoti<strong>di</strong>ana» 14 . Elabora così la <strong>di</strong>alettica<br />

tra <strong>realtà</strong> e <strong>finzione</strong>, come gioco dell’essere e dell’apparire, come duplicazione<br />

e rovesciamento del testo, in un ar<strong>di</strong>to tentativo <strong>di</strong> naturalizzare il segno e <strong>di</strong><br />

significare il naturale.<br />

I punti centrali sono i capitoli XXX e XXXI del romanzo. Fino ad allora, il protagonista,<br />

Augusto Pérez, aveva vissuto la sua vita <strong>di</strong> personaggio, secondo gli<br />

schemi tra<strong>di</strong>zionali.<br />

Nel capitolo XXX, in un <strong>di</strong>alogo con Víctor Goti, l’alter ego <strong>di</strong> <strong>Unamuno</strong>, nonché,<br />

a sua volta, autore del Prólogo del romanzo, afferma che il grande dolore,<br />

provocatogli dalla relazione conflittuale con Eugenia, lo ha trasformato completamente<br />

e, soprattutto, lo ha dotato <strong>di</strong> esistenza reale.<br />

L’elemento motivazionale <strong>della</strong> metamorfosi da ente <strong>di</strong> <strong>finzione</strong> a “persona<br />

reale”, è costituito dal dolore, in quanto solo esso dà all’uomo la coscienza <strong>di</strong> esistere,<br />

la coscienza <strong>della</strong> propria identità; il dolore <strong>di</strong>venta operatore <strong>di</strong> <strong>realtà</strong>, cioè<br />

<strong>di</strong> creazione 15 .<br />

Dopo questo <strong>di</strong>alogo, Augusto Pérez, sopraffatto dalla <strong>di</strong>sperazione, prende<br />

la decisione <strong>di</strong> suicidarsi; ma prima <strong>di</strong> mettere in atto il suo proposito, decide <strong>di</strong><br />

andare a consultarsi con l’autore del romanzo. Questo accade nel capitolo XXX.


314 OTELLO LOTTINI<br />

Nel successivo capitolo si svolge una drammatica conversazione, in cui<br />

<strong>Unamuno</strong> fa emergere <strong>di</strong>versi no<strong>di</strong> problematici sulla <strong>realtà</strong> e sulla <strong>finzione</strong> letteraria,<br />

sul tempo e sulla persona.<br />

Il processo <strong>di</strong> neutralizzazione <strong>della</strong> <strong>finzione</strong> è accompagnato da un sapiente<br />

dosaggio <strong>di</strong> «effetti <strong>di</strong> <strong>realtà</strong>» 16 : <strong>Unamuno</strong> riceve il personaggio nel suo stu<strong>di</strong>obiblioteca,<br />

<strong>di</strong>scute con lui dei propri lavori filosofici e letterari, menziona il proprio<br />

ritratto, il braciere, il letto ecc. Questi “effetti” hanno la funzione <strong>di</strong> accompagnare<br />

la naturalizzazione del <strong>di</strong>alogo tra l’autore e il personaggio, tra il creatore<br />

e la creatura, rafforzando la prospettiva culturale, che vede nella concretezza del<br />

reale la possibilità e la giustificazione del “<strong>di</strong>re”.<br />

Queste notazioni realistiche sono particolarmente vistose e significative,<br />

per la loro novità, in quanto <strong>Unamuno</strong>, <strong>di</strong> norma, esclude dalla propria narrativa<br />

ogni “lusso” descrittivo (l’ambiente, il paesaggio ecc.); esse tendono a potenziare<br />

il verosimile del racconto e sono perfettamente funzionali all’opera <strong>di</strong><br />

creazione <strong>della</strong> “<strong>realtà</strong>” del personaggio e del suo ancoraggio concreto alla vita<br />

quoti<strong>di</strong>ana.<br />

<strong>Unamuno</strong>, che è autore onnisciente, conosce i pensieri <strong>di</strong> Augusto e sa che<br />

vuole mettere fine alla propria vita. Lo <strong>di</strong>ssuade da questo proposito, <strong>di</strong>cendogli<br />

che non può suicidarsi, perché non è un essere vivo (anche se non è morto), non è<br />

sveglio e non è addormentato; in breve: è un essere inesistente; e gli chiarisce:<br />

Non esisti altro che come ente <strong>di</strong> <strong>finzione</strong>; non sei, povero Augusto, nient’altro<br />

che un prodotto <strong>della</strong> mia fantasia e <strong>di</strong> quella dei miei lettori che potrebbero leggere<br />

il racconto delle tue finte avventure e sfortune che io ho scritto; tu non sei<br />

altro che un personaggio <strong>di</strong> romanzo e <strong>di</strong> nivola o come vuoi chiamarlo. Ora sai,<br />

perciò, il tuo segreto (Nie, p. 143).<br />

Il personaggio, però, si ribella al suo creatore, con grande energia, fino a minacciarlo<br />

<strong>di</strong> togliergli la vita. Tra i due si instaura una tenzone <strong>di</strong>alettica, la cui posta<br />

in gioco è il potere <strong>di</strong> creare: il personaggio cerca <strong>di</strong> usurpare le prerogative “<strong>di</strong>vine”<br />

dell’autore, cioè la possibilità <strong>di</strong> <strong>di</strong>sporre a suo piacimento <strong>della</strong> vita e <strong>della</strong><br />

morte degli enti <strong>di</strong> <strong>finzione</strong>. Perciò, vuole andare oltre la propria con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong><br />

“creatura”, per <strong>di</strong>ventare “creatore”, in quanto solo così può dare scacco alla<br />

morte e al nulla, sostituendosi a Dio, in un estremo peccato <strong>di</strong> orgoglio.<br />

Augusto afferma che egli è dotato <strong>di</strong> esistenza e <strong>di</strong> <strong>realtà</strong> e appoggia le sue<br />

argomentazioni sulle idee «reali» <strong>di</strong> <strong>Unamuno</strong>, cioè desunte dai suoi scritti: «non<br />

è stato lei che, non una, ma varie volte, ha detto che don Chisciotte e Sancio sono,<br />

non altrettanto reali, ma più reali <strong>di</strong> Cervantes?» (ibid.).<br />

Nell’interpretazione unamuniana, ciò significa che l’uomo in carne ed ossa e<br />

l’ente <strong>di</strong> <strong>finzione</strong> sono uguali, in quanto ambedue sono opere create e, dunque,<br />

portatrici <strong>di</strong> un’autentica, sia pur <strong>di</strong>versa, <strong>realtà</strong>, che accade nel tempo, che è racconto<br />

o sogno; l’uomo vive la vita, ma non ha un autentico sapere <strong>della</strong> sua <strong>realtà</strong>,<br />

pur essendo presente alla sua coscienza: per averne un sapere rigoroso, deve elaborare<br />

una vera e propria ontologia dell’esistenza, che sia fondata sulla presenza<br />

<strong>di</strong> un io puro (cioè autentico) o <strong>di</strong> un io ideale (cioè <strong>di</strong> <strong>finzione</strong>), ambedue <strong>di</strong>stinti<br />

e in conflitto con il mondo empirico delle cose e delle persone, da cui sono compressi<br />

e alterati.


LA REALTÀ DELLA FINZIONE. UNAMUNO E PIRANDELLO ALL’ORIZZONTE DI CERVANTES 315<br />

In questo senso, Augusto può introdurre il tema <strong>della</strong> propria referenza, come<br />

alterità ontologica e <strong>di</strong>alettica rispetto all’autore concreto, in quanto ha l’esistenza<br />

«reale» dell’ente <strong>di</strong> <strong>finzione</strong>:<br />

Quando un uomo addormentato ed inerte nel letto sogna qualcosa, cosa è che esiste<br />

<strong>di</strong> più: egli, come coscienza che sogna, o il suo sogno?<br />

– E se sogna che esiste egli stesso, il sognatore? – replicai a mia volta.<br />

– In questo caso, amico Michele, le domando a mia volta: in che modo esiste lei,<br />

come sognatore che sogna o come sognato da se stesso? E pensi, inoltre, che<br />

accettando e permettendo questa <strong>di</strong>scussione con me, mi riconosce un’esistenza<br />

in<strong>di</strong>pendente dalla sua (ibid.).<br />

Augusto Pérez lotta con l’autore, con l’obiettivo <strong>di</strong> salvaguardare la propria in<strong>di</strong>pendenza<br />

e autonomia <strong>di</strong> personaggio. <strong>Unamuno</strong>, a sua volta, cerca <strong>di</strong> affermare<br />

le prerogative dell’autore e le con<strong>di</strong>zioni del linguaggio, quando sostiene che<br />

Augusto non esiste «al <strong>di</strong> fuori <strong>della</strong> produzione romanzesca»; con ciò <strong>di</strong>stinguendo<br />

accuratamente tra il vissuto e l’intelligibile, tra la vita e il linguaggio, il quale<br />

implica un emittente reale, che può anche autorappresentarsi nel testo, ma che,<br />

comunque, esiste come in<strong>di</strong>viduo concreto.<br />

Il personaggio, consapevole <strong>di</strong> ciò, cerca <strong>di</strong> mettere in <strong>di</strong>scussione la funzioneautore<br />

<strong>di</strong> <strong>Unamuno</strong>, la sua effettiva <strong>realtà</strong>, anteriore e preesistente al testo e al personaggio.<br />

<strong>La</strong> contestazione consiste nel proporre una circolarità significativa,<br />

affermando che l’autore è subor<strong>di</strong>nato all’ente <strong>di</strong> <strong>finzione</strong> e non esiste al <strong>di</strong> fuori<br />

dei personaggi che ha creato e, dunque, dell’universo del <strong>di</strong>scorso: «Ed io le insinuo<br />

un’altra volta l’idea che sia lei colui che non esiste fuori <strong>di</strong> me e <strong>di</strong> tutti gli<br />

altri personaggi che lei crede <strong>di</strong> avere inventato» (ibid.). In questa visione, all’autore<br />

viene negata l’esistenza autonoma, e viene considerato solo un attributo delle<br />

sue creature, mentre, al <strong>di</strong> fuori <strong>di</strong> esse, rimane schiacciato in un desolante anonimato<br />

esistenziale.<br />

Dinanzi all’ostilità <strong>di</strong> <strong>Unamuno</strong>, che continua a considerarlo come esistente<br />

solo nella propria fantasia d’autore, Augusto introduce un’altra riflessione <strong>di</strong>alettica:<br />

pur ammettendo che non esista veramente, che sia solo un ente <strong>di</strong> <strong>finzione</strong>, un<br />

prodotto <strong>della</strong> fantasia romanzesca, e che l’esistenza sia prerogativa dell’autore,<br />

nemmeno in quel caso può essere soggetto al suo arbitrio o al suo capriccio, perché<br />

«persino i cosiddetti enti <strong>di</strong> <strong>finzione</strong> posseggono la loro logica interiore» (Nie,<br />

p. 144).<br />

Questa logica è, insieme, logica artistica (o, se vogliamo, coscienza del genere<br />

letterario): «un ente <strong>di</strong> <strong>finzione</strong> romanzesca può fare, secondo le leggi dell’arte,<br />

ciò che nessun lettore potrebbe sperare che facesse» (ibid.); e logica o coerenza<br />

in<strong>di</strong>viduale e personale (in quanto ogni personaggio ha una sua struttura funzionale):<br />

«ho il mio carattere, il mio modo <strong>di</strong> essere, la mia logica interiore, e questa<br />

logica richiede che mi uccida» (ibid.). Esse implicano un libero arbitrio, cui l’autore<br />

deve rimanere estraneo, in quanto non può coartare la volontà né entrare nella<br />

sfera <strong>di</strong> autonomia del personaggio.<br />

Il desiderio <strong>di</strong> Augusto <strong>di</strong> <strong>di</strong>sporre pienamente <strong>della</strong> propria autonomia è un<br />

espe<strong>di</strong>ente <strong>di</strong>alettico; egli vuole darsi la morte, ma perché vuole vivere, sia pure<br />

una vita <strong>di</strong>versa: solo scomparendo come personaggio, infatti, potrà rivivere come


316 OTELLO LOTTINI<br />

autore. <strong>La</strong> sua riven<strong>di</strong>cazione <strong>di</strong> libertà è finalizzata al progetto <strong>di</strong> uccidere l’autore,<br />

per potersi sostituire a lui ed acquisire così il più grande dei poteri concessi<br />

all’uomo, cioè il potere <strong>di</strong> creare (che lo rende simile a Dio).<br />

<strong>La</strong> decisa volontà <strong>di</strong> sopravvivenza, che <strong>di</strong>mostra il personaggio e che si manifesta<br />

come il tentativo <strong>di</strong> prendere il posto dell’autore, rende sempre più inquieto<br />

<strong>Unamuno</strong>, per cui, alla fine, comunica seccamente ad Augusto che lo farà morire,<br />

che ha deciso <strong>di</strong> ucciderlo, cioè, aggiungiamo noi, <strong>di</strong> terminare il romanzo. Questa<br />

ferma determinazione dell’autore mette in crisi le risorse <strong>di</strong>alettiche <strong>di</strong> Augusto:<br />

implora <strong>Unamuno</strong> <strong>di</strong> non eseguire il suo proposito, respinge la morte e sostiene<br />

che vuol vivere, anche a costo <strong>di</strong> «una vita qualsiasi»: nell’impossibilità <strong>di</strong> realizzare<br />

la propria sfida e, dunque, <strong>di</strong>nanzi alla prospettiva del nulla, si accontenta <strong>di</strong><br />

mantenere il suo io, la sua personalità e la sua autonomia <strong>di</strong> creatura.<br />

Nelle parole <strong>di</strong> Augusto, sembra echeggiare la convinzione che solo il racconto<br />

è vita, come avviene nelle Mille e una notte, dove il non morire è la motivazione e<br />

il pretesto dell’affabulazione: si parla e si narra fino all’alba, per evitare la morte,<br />

per evitare quella scadenza, che chiuderebbe la bocca del narratore. Il racconto <strong>di</strong><br />

Shéhérazade è lo sforzo simbolico, ripetuto ogni notte, per riuscire a mantenere la<br />

morte fuori dal cerchio dell’esistenza.<br />

Ma la decisione è già presa, anzi è «già scritta»: la scrittura è la morte o,<br />

meglio, la condanna a morte: la lettera uccide 17 .<br />

Condannato a morire, il personaggio compie un’estrema ribellione <strong>di</strong>alettica,<br />

che si tramuta in una chiamata <strong>di</strong> correità mortale, con un ghigno beffardo verso<br />

l’autore e i lettori reali: non solo gli enti <strong>di</strong> <strong>finzione</strong>, ma anche gli enti reali sono<br />

destinati a scomparire, non c’è alcuna <strong>di</strong>fferenza tra <strong>di</strong> loro. Muore il personaggio,<br />

ma muoiono anche l’autore e il lettore:<br />

Lei non vuole lasciarmi essere io, uscire dalla nebbia, vivere, vivere, vivere, vedermi,<br />

u<strong>di</strong>rmi, toccarmi, sentirmi, soffrire, essere. Così, non vuole? Così, devo morire<br />

come ente <strong>di</strong> <strong>finzione</strong>? Ebbene, mio creatore, mio signor Michele, anche lei<br />

morrà, anche lei tornerà al nulla dal quale venne […]. Dio tralascerà <strong>di</strong> sognarla.<br />

Morirà lei e moriranno tutti coloro che leggeranno la mia storia, tutti, tutti, tutti,<br />

senza che uno rimanga! Enti <strong>di</strong> <strong>finzione</strong> come me; uguali a me! Moriranno tutti,<br />

tutti, tutti; ve lo <strong>di</strong>co io, Augusto Pérez, ente fittizio come voi, nivolesco, tanto<br />

quanto voi. Perché lei, mio creatore, mio signor Michele, lei non è altro che un<br />

ente nivolesco, ed enti nivoleschi i suoi lettori, tanto quanto me, Augusto Pérez,<br />

sua vittima» (Nie, p. 147).<br />

Il tema del racconto, fatto per scongiurare la morte, subisce uno scacco e la sua<br />

metamorfosi in scrittura si lega al nulla, al sacrificio stesso <strong>della</strong> <strong>realtà</strong>: esso si<br />

manifesta con l’eclissarsi dei caratteri in<strong>di</strong>viduali del soggetto scrivente e del lettore,<br />

presi, assieme agli enti <strong>di</strong> <strong>finzione</strong>, nella <strong>di</strong>alettica del nulla come destino.<br />

In conclusione: <strong>Unamuno</strong> mira a rappresentare, rispetto ai personaggi, il<br />

ruolo che Dio ha verso gli uomini, sia per il suo desiderio <strong>di</strong> conoscere la <strong>realtà</strong><br />

dell’uomo, sia anche per porsi, in modo figurato, al <strong>di</strong> sopra <strong>della</strong> morte, poiché<br />

nell’attività letteraria riesce a <strong>di</strong>sporre a suo piacimento <strong>della</strong> vita e <strong>della</strong> morte<br />

altrui. Perciò, l’oggetto vero <strong>della</strong> conversazione con il personaggio è il tema <strong>della</strong><br />

personalità e del potere <strong>di</strong> creazione, <strong>della</strong> mortalità e dell’immortalità o, se


LA REALTÀ DELLA FINZIONE. UNAMUNO E PIRANDELLO ALL’ORIZZONTE DI CERVANTES 317<br />

vogliamo, del tempo e dell’eternità: sono questi gli autentici ed eterni problemi<br />

<strong>della</strong> riflessione <strong>di</strong> <strong>Unamuno</strong> e, più in generale, essi costituiscono «la questione<br />

umana» per eccellenza, che riguarda, dunque, tutti gli uomini.<br />

L’impianto estetico-ontologico, che informa il romanzo, si può interpretare in<br />

chiave duale, <strong>di</strong>stinguendo l’ente <strong>di</strong> <strong>finzione</strong>, in base ai moduli significativi del<br />

participio e dell’infinito: esso, in quanto fictum, in quanto racconto o sogno, è<br />

reale, cioè è vita ed esistenza temporale, simile a quella dell’uomo, ma in quanto<br />

risultato <strong>di</strong> un fingere, <strong>di</strong> un sogno dell’autore, non ha alcuna sostantività e appare<br />

come ente privo <strong>di</strong> fondamento, che non sostiene da sé la propria esistenza e cade<br />

nel vuoto, nel nulla 18 .<br />

Ma se consideriamo anche la <strong>realtà</strong> dell’uomo, abbiamo un’analoga situazione:<br />

guardata dal punto <strong>di</strong> vista <strong>di</strong> Dio, egli manca <strong>di</strong> sostantività, in quanto è<br />

ra<strong>di</strong>cale mortalità e <strong>di</strong>pende integralmente dal suo Creatore, <strong>di</strong> cui appare come<br />

un sogno. Tuttavia, è una <strong>finzione</strong> <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne superiore, nel senso che è capace <strong>di</strong><br />

produrre finzioni <strong>di</strong> secondo grado, che sono gli enti fittizi, i personaggi artisticoletterari.<br />

Si delinea, così, una chiara gerarchia ontologica: Dio, l’uomo, l’ente <strong>di</strong> <strong>finzione</strong>.<br />

Sono tre gra<strong>di</strong> dell’essere personale, del tipo <strong>di</strong> essere che può <strong>di</strong>re «io». <strong>La</strong><br />

<strong>finzione</strong> letteraria o artistica e la <strong>realtà</strong> umana sono vincolate a un livello <strong>di</strong> consistenza,<br />

<strong>di</strong> natura subor<strong>di</strong>nata: il reale del personaggio è fittizio, se si guarda dal<br />

punto <strong>di</strong> vista dell’uomo; ma, a sua volta, anche l’uomo è fittizio, se è guardato dal<br />

punto <strong>di</strong> vista <strong>di</strong> Dio.<br />

4. In questo celebre locus romanzesco, il personaggio ha coscienza reale <strong>di</strong> sé,<br />

segue la propria legge e, una volta definito, ha esistenza propria, <strong>realtà</strong> obiettiva,<br />

in<strong>di</strong>pendente e personale e può mantenerla (fino a un certo punto) <strong>di</strong>nanzi al suo<br />

autore.<br />

Fin dal suo apparire in Italia, questo romanzo viene accostato ai Sei personaggi<br />

<strong>di</strong> <strong>Pirandello</strong>, in ragione dei proce<strong>di</strong>menti costruttivi delle due opere e delle relative<br />

filosofie estetiche, singolarmente coincidenti (come abbiamo visto), anche se le<br />

due opere non sono uguali e presentano <strong>di</strong>versità nell’ideazione e <strong>di</strong>vergenze nell’ontologia<br />

esistenziale dei personaggi e dei loro problemi (come vedremo).<br />

Il punto <strong>di</strong> partenza comune è la scoperta <strong>della</strong> coscienza dell’ente <strong>di</strong> <strong>finzione</strong>,<br />

volto alla ricerca <strong>della</strong> propria identità.<br />

Anche in <strong>Pirandello</strong>, i personaggi sono «vivi»: l’autore gli ha dato la vita, pur<br />

non riuscendo a terminare la comme<strong>di</strong>a, che aveva ideato per loro. Nasce da qui il<br />

loro dramma e la loro frustrazione. Si tratta, perciò, <strong>di</strong> personaggi non finiti, che<br />

vanno cercando un autore che formalizzi la loro esistenza, cioè che li faccia agire<br />

sul palcoscenico e li faccia vivere nel loro ruolo, senza alcuna me<strong>di</strong>azione, nemmeno<br />

quella degli attori.<br />

In questa <strong>di</strong>rezione, <strong>di</strong>venta preminente la caratterizzazione <strong>della</strong> coscienza<br />

generica dei personaggi 19 , considerati come enti <strong>di</strong> <strong>finzione</strong>, con vita propria e personale.<br />

Ma essi, contrariamente ad Augusto Pérez, non sono uomini concreti: anzi,<br />

si sentono orgogliosi <strong>della</strong> loro natura <strong>di</strong> creature artistiche, perché considerano i<br />

“personaggi” superiori all’uomo, in quanto, nella percezione culturale, presentano


318 OTELLO LOTTINI<br />

un profilo e una visibilità, non solo <strong>di</strong>fferenti, ma anche più niti<strong>di</strong> <strong>di</strong> quelli che si<br />

hanno nella comune esistenza umana:<br />

IL PADRE (con <strong>di</strong>gnità, ma senza alterigia): Un personaggio, signore, può sempre<br />

domandare a un uomo chi è. Perché un personaggio ha veramente una vita sua,<br />

segnata <strong>di</strong> caratteri suoi, per cui è sempre «qualcuno». Mentre un uomo – non<br />

<strong>di</strong>co lei, adesso – un uomo così in genere, può non esser «nessuno» 20 .<br />

I personaggi, insomma, sono “illusioni”, essenze pure e, insieme, esseri “reali”,<br />

cioè dotati <strong>della</strong> <strong>realtà</strong>, che conferisce loro la poesia e l’arte.<br />

<strong>La</strong> ricerca <strong>di</strong> <strong>Pirandello</strong> è volta a scoprire in che cosa consiste l’identità degli<br />

enti <strong>di</strong> <strong>finzione</strong>. Perciò, voltando le spalle alla <strong>realtà</strong>, inventa questi strani esseri,<br />

queste figure poetiche che, in quanto schemi soggettivi e interiorizzati, pensano <strong>di</strong><br />

andare in cerca <strong>di</strong> un autore, mentre, in <strong>realtà</strong>, cercano solo un palcoscenico su<br />

cui esibirsi.<br />

Essi, infatti, vivono del loro ruolo e questo consiste nella continua ripetizione<br />

<strong>di</strong> uno stesso comportamento: la loro <strong>realtà</strong> è immutabile, sono idee incarnate in<br />

maschere. Nel loro mondo non esiste libertà e, pertanto, si conducono con fatalità:<br />

il loro ruolo è il loro destino.<br />

<strong>Pirandello</strong> dà maggior rilievo alla coscienza generica dei personaggi <strong>di</strong> <strong>finzione</strong>,<br />

più che a quella in<strong>di</strong>viduale (in contrasto con l’emergere <strong>della</strong> coscienza personale<br />

e <strong>della</strong> libertà dei personaggi unamuniani), per cui la loro caratterizzazione è<br />

approssimativa e priva <strong>di</strong> intimità personale: la loro vita è apparente come il loro<br />

corpo e si definiscono solo per la situazione vitale, in cui sono drammatizzati.<br />

L’accentuazione nasce dal fatto che lo scrittore scava nella coscienza dei personaggi<br />

in quanto tali, cioè <strong>di</strong> personaggi che non sono nati per vivere nel mondo, ma<br />

che sono nati per la scena e costituiscono “l’eterno teatrale”, se così possiamo <strong>di</strong>re,<br />

la grande sfida che il teatro e la rappresentazione lanciano all’uomo, nella continua<br />

ricerca <strong>della</strong> verità dell’essere: non è vera la loro vita, ma è vero il loro dramma.<br />

IL PADRE (interrompendo e incalzando con foga): Ecco! benissimo! a esser vivi, più<br />

vivi <strong>di</strong> quelli che respirano e vestono panni! Meno reali, forse; ma più veri! Siamo<br />

dello stessissimo parere 21 .<br />

Tra il ruolo (pre<strong>di</strong>sposto dall’autore) e l’interpretazione (come possibilità dell’attore),<br />

il personaggio pirandelliano, proiettato nella logica teatrale, mira ad assumere<br />

il corpo dell’attore, ma per poter vivere come personaggio. Il quale, così, <strong>di</strong>venta<br />

qualcosa <strong>di</strong> più dell’insieme <strong>di</strong> ruolo e <strong>di</strong> interpretazione (rappresentazione): è<br />

un’immagine artistica, con <strong>realtà</strong> peculiare e in<strong>di</strong>pendente che, sospendendo la<br />

frattura originaria tra vita e linguaggio, si eleva per improvvisa rivelazione a una<br />

intuizione superiore non <strong>della</strong> materialità, ma <strong>della</strong> forma <strong>della</strong> vita, <strong>di</strong> cui crea la<br />

totalità fittizia.<br />

I personaggi pirandelliani devono agire sul palcoscenico come immagine artistica,<br />

ricreando <strong>di</strong> continuo la stessa situazione in cui si iscrive il loro dramma personale,<br />

perché il loro essere consiste nel soffrire, non nel vivere. E poiché sono già<br />

delimitati nella loro <strong>realtà</strong> <strong>di</strong> personaggi <strong>di</strong> <strong>finzione</strong>, si presentano più reali e più<br />

veri delle persone empiriche: mentre la <strong>realtà</strong> umana, fatta <strong>di</strong> tempo, cambia e si


LA REALTÀ DELLA FINZIONE. UNAMUNO E PIRANDELLO ALL’ORIZZONTE DI CERVANTES 319<br />

mo<strong>di</strong>fica, la loro <strong>realtà</strong>, invece, fatta <strong>di</strong> segni si ripeterà identica in eterno.<br />

L’essenza finzionale stabilizza la sofferenza, <strong>di</strong> cui sono portatori, e funziona come<br />

operatrice <strong>di</strong> <strong>realtà</strong>: con un rovesciamento <strong>di</strong>alettico, <strong>Pirandello</strong> fonda gli enti <strong>di</strong><br />

<strong>finzione</strong> come <strong>realtà</strong> ra<strong>di</strong>cali, autentiche e imme<strong>di</strong>ate, mentre gli altri (gli attori, gli<br />

spettatori) si trasformano in <strong>realtà</strong> derivate e secondarie, in apparenze o fantasmi:<br />

IL CAPOCOMICO (rivolgendosi a prenderla in riso): Ah, benissimo! E <strong>di</strong>ca per giunta<br />

che lei, con codesta comme<strong>di</strong>a che viene a rappresentarmi qua, è più vero e reale<br />

<strong>di</strong> me!<br />

IL PADRE (con la massima serietà): Ma questo senza dubbio, signore!<br />

IL CAPOCOMICO: Ah sì?<br />

IL PADRE: Credevo che lei lo avesse già compreso fin dal principio.<br />

IL CAPOCOMICO: Più reale <strong>di</strong> me?<br />

IL PADRE: Se la sua <strong>realtà</strong> può cangiare dall’oggi al domani…<br />

IL CAPOCOMICO: Ma si sa che può cangiare, sfido! Cangia continuamente; come<br />

quella <strong>di</strong> tutti!<br />

IL PADRE (con un grido): Ma la nostra no, signore! Vede? <strong>La</strong> <strong>di</strong>fferenza è questa!<br />

Non cangia, non può cangiare, né esser altra, mai, perché già fissata – così – «questa»<br />

– per sempre – (è terribile, signore!) <strong>realtà</strong> immutabile, che dovrebbe dar loro<br />

un brivido nell’accostarsi a noi! 22<br />

Si tratta <strong>di</strong> personaggi, dunque, che non <strong>di</strong>spongono <strong>di</strong> sé: sono solo il loro ruolo,<br />

definiti per sempre, in modo da ripetere la loro drammatica situazione, sulle tavolo<br />

del palcoscenico, rappresentando la <strong>realtà</strong> degli oggetti ideali. Essi sono idee<br />

<strong>di</strong>sincarnate, che si muovono con incerto e malfermo procedere, ma con profilo<br />

trasparente e puro, e gravitano su pressioni atmosferiche <strong>di</strong>verse, tra il palcoscenico<br />

e la sala, in quanto vivono <strong>della</strong> loro stessa ir<strong>realtà</strong>, e realizzano l’irreale in<br />

quanto irreale, oggettivando l’interiorità e la soggettività.<br />

Rispetto a questi personaggi, quelli unamuniani non identificano la loro personalità<br />

con il loro ruolo, né si considerano astrazioni, che devono ripetere in eterno<br />

la loro essenza: sono esseri liberi e il loro dramma non è definito in anticipo;<br />

non sono idee, ma persone. Non si considerano ascritti a una sola situazione<br />

romanzesca, né la loro personalità è determinata dalla situazione o è fissata ad<br />

alcuni fatti, in quanto il loro mondo è costitutivamente apertura verso gli altri.<br />

<strong>La</strong> coscienza <strong>di</strong> identità dei Sei personaggi, invece, è creazione puramente<br />

situazionale e le passioni sono sempre identicamente definite, in una meccanica<br />

che dà plasticità mondana ai paesaggi interiori, nella ra<strong>di</strong>cale essenzialità dell’arte.<br />

5. Con Niebla e con i Sei personaggi, <strong>Unamuno</strong> e <strong>Pirandello</strong> inventano, a <strong>di</strong>stanza<br />

<strong>di</strong> pochi anni l’uno dall’altro, il tema poetico <strong>della</strong> <strong>realtà</strong> e <strong>della</strong> <strong>finzione</strong>, sperimentando<br />

i limiti e i problemi <strong>della</strong> rappresentazione e <strong>della</strong> significazione. Ma<br />

non lo inventano ex nihilo: alla loro ra<strong>di</strong>ce, vi è il gesto profondo e creativo <strong>di</strong><br />

Cervantes che, tre secoli prima, apriva il grande capitolo moderno del romanzo,<br />

<strong>della</strong> rappresentazione e del linguaggio, <strong>della</strong> verità e <strong>della</strong> <strong>finzione</strong>, riuscendo per<br />

primo, con il suo «ingenioso hidalgo» a pensare «pensieri vari non mai finora da<br />

alcun altro immaginati» 23 .


320 OTELLO LOTTINI<br />

Cervantes è perfettamente consapevole <strong>di</strong> collocarsi in una con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> frattura<br />

epistemica, e cioè <strong>di</strong> scrivere nel momento <strong>di</strong> svolta da una fase storico-culturale<br />

ad un’altra, la cui gnoseologia è vincolata al passaggio dalla naturalità <strong>della</strong><br />

parola all’instaurarsi del linguaggio come rappresentazione, duplicato fantasmatico,<br />

conflittuale e arbitrario <strong>della</strong> <strong>realtà</strong>. Se prima c’era la somiglianza («Io non ho<br />

potuto contravvenire», <strong>di</strong>ce ancora Cervantes nel Prologo, «all’or<strong>di</strong>ne naturale che<br />

vuole che ogni cosa generi ciò che le somiglia») 24 , da allora in poi ci saranno<br />

«<strong>realtà</strong>» che non erano state mai immaginate in precedenza.<br />

Lo scrittore, dunque, non solo percepisce, ma contribuisce a creare l’episteme<br />

moderna <strong>della</strong> cultura occidentale: rottura <strong>della</strong> similitu<strong>di</strong>ne tra i segni e le cose in<br />

senso ideografico e instaurazione dell’alfabeto come doppio: «<strong>La</strong> scrittura alfabetica<br />

è già in se stessa una forma <strong>di</strong> duplicazione, poiché rappresenta non il significato,<br />

ma gli elementi fonetici che lo significano; l’ideogramma, al contrario,rappresenta<br />

<strong>di</strong>rettamente il significato in<strong>di</strong>pendentemente dal sistema fonetico, che è<br />

un modo <strong>di</strong>verso <strong>di</strong> rappresentazione» 25 .<br />

Rompendo l’Analogo ideografico, Cervantes scopre il potere rappresentativo<br />

del linguaggio, quando le parole si chiudono nella loro natura <strong>di</strong> segni e si apre<br />

uno spazio del sapere, nel quale non si avrà più a che fare con similitu<strong>di</strong>ni, ma con<br />

identità e <strong>di</strong>fferenze.<br />

Egli opera (teatralizza, rende romanzesca) la rottura epistemica. Fino a lui, ma<br />

anche fino a Velázquez (<strong>La</strong>s meninas, <strong>La</strong>s hilanderas) e a Calderón (<strong>La</strong> vida es<br />

sueño, El gran teatro del mundo), il sapere si fondava sulla convinzione che, come<br />

osserva Ortega y Gasset, «tutte le cose che hanno a che vedere tra <strong>di</strong> loro, in qualunque<br />

modo, le une con le altre, sono la stessa cosa. Per cui, il nome <strong>di</strong> una cosa<br />

ha a che vedere con essa; la cosa sarà identica al suo nome o, detto in altri termini,<br />

il nome <strong>della</strong> cosa sarebbe la cosa allo stesso modo <strong>della</strong> cosa stessa» 26 .<br />

Per cui – continua Ortega – nella cultura premoderna la vera <strong>realtà</strong> non consiste<br />

negli enti singoli e in<strong>di</strong>pendenti, ma in gran<strong>di</strong> insiemi <strong>di</strong> fenomeni in cui essi si<br />

confondono, si unificano e si identificano: «Sulla base <strong>di</strong> questi “sincreti” o confusioni<br />

venerabili si sono poi praticate tutte le <strong>di</strong>stinzioni successive» 27 .<br />

Questa concezione del sapere e <strong>della</strong> <strong>realtà</strong>, chiusi in se stessi come in un<br />

mondo magico, era frutto <strong>della</strong> galassia mentale <strong>di</strong> quegli in<strong>di</strong>vidui. Con la sua<br />

grande intuizione, Cervantes lancia un fascio <strong>di</strong> luce nella frattura che si è creata<br />

tra le Similitu<strong>di</strong>ni e le Somiglianze: le parole non contrassegnano più le cose e,<br />

vagando all’avventura, producono identità e <strong>di</strong>fferenze, in primo luogo tra <strong>di</strong> loro<br />

e la <strong>realtà</strong>. Il linguaggio si contrae nella sua natura semiotica, allontanandosi dalla<br />

naturalità definitoria e ideogrammatica e rimane come puro segno, come rappresentazione,<br />

non più analogo al reale, ma suo doppio, fantasma, maschera: «<strong>La</strong><br />

<strong>realtà</strong> <strong>di</strong> don Chisciotte non è nel rapporto tra parole e mondo, ma nella tenue e<br />

costante relazione che i segni verbali intrecciano tra sé e sé. <strong>La</strong> <strong>finzione</strong> delusa<br />

delle epopee è <strong>di</strong>ventata il potere rappresentativo del linguaggio» 28 .<br />

6. L’accostamento <strong>di</strong> <strong>Pirandello</strong> a Cervantes si deve ad una intuizione <strong>di</strong> Américo<br />

Castro, il quale, già negli anni Venti del secolo scorso, ne sottolineava la filiazione<br />

<strong>di</strong>retta 29 . Successivamente, Luis Rosales sviluppava le in<strong>di</strong>cazioni <strong>di</strong> Castro, inclu-


LA REALTÀ DELLA FINZIONE. UNAMUNO E PIRANDELLO ALL’ORIZZONTE DI CERVANTES 321<br />

dendovi anche <strong>Unamuno</strong>, realizzando così un triangolo creativo che saldava il precedente<br />

seicentesco alle inquietu<strong>di</strong>ni e alle problematiche dell’inizio del XX secolo 30 .<br />

Sia Castro che Rosales fondavano le loro riflessioni sul fatto che <strong>Unamuno</strong> in<br />

Spagna e <strong>Pirandello</strong> in Italia, in<strong>di</strong>pendentemente l’uno dall’altro, riprendevano<br />

nelle loro opere e, in particolare, in Niebla e nei Sei personaggi, il tema del personaggio<br />

autonomo dal proprio autore e quello del teatro nel teatro, collocandosi<br />

così nell’imme<strong>di</strong>ato orizzonte creativo <strong>di</strong> Cervantes.<br />

Avvicinare <strong>Unamuno</strong> a Cervantes è nell’or<strong>di</strong>ne consueto e naturale delle cose,<br />

letterarie e culturali. Anzi, è ben noto che <strong>Unamuno</strong> si sentiva legato a Cervantes<br />

da un rapporto <strong>di</strong> intenso feticismo intellettuale, quasi glottofagico, fino al punto<br />

che, con la Vida de Don Quijote y Sancho… (1905), non solo riscrive il capolavoro<br />

cervantino, ma ne ri-crea il fantasma, infiammato dalla passione del senso.<br />

Mentre il rapporto <strong>di</strong> <strong>Pirandello</strong> con Cervantes non è così imme<strong>di</strong>ato e <strong>di</strong>retto,<br />

sul piano estetico e culturale; anzi, spesso è stato segnalato come riflesso <strong>della</strong><br />

me<strong>di</strong>azione unamuniana 31 .<br />

E invece, già nel 1908, <strong>Pirandello</strong> fa una significativa e acuta lettura 32 del capolavoro<br />

<strong>di</strong> Cervantes (che è, dunque, precedente all’uscita <strong>di</strong> Niebla, nel 1914), nella<br />

quale in<strong>di</strong>vidua alcune problematiche, che costituiscono anche temi essenziali<br />

<strong>della</strong> propria filosofia estetica e <strong>della</strong> propria tecnica artistica.<br />

Sottolinea, anzitutto, la scoperta dell’esistenza autonoma e reale del personaggio<br />

<strong>di</strong> <strong>finzione</strong>: «Certo, quando un poeta riesce a dar veramente vita a una sua<br />

creatura, questa vive in<strong>di</strong>pendentemente dal suo autore, tanto che noi possiamo<br />

immaginarla in altre situazioni in cui l’autore non pensò <strong>di</strong> collocarla, e vederla<br />

agire secondo le intime leggi <strong>della</strong> sua propria vita, leggi che neanche l’autore<br />

avrebbe potuto violare» 33 .<br />

In<strong>di</strong>vidua ancora il tema del rapporto tra letteratura e mondo, come <strong>di</strong>saccordo<br />

tra idealità e <strong>realtà</strong>, considera Cervantes come personaggio, alla stessa stregua<br />

del Chisciotte e segnala, infine, le potenzialità creative del romanzo: «Nei capolavori<br />

del genio umano vive nascosta una plusvalenza futura, la quale si svolge <strong>di</strong> per<br />

sé sola, in<strong>di</strong>pendentemente dagli autori medesimi, come dal germe si svolgono il<br />

fiore e il frutto» 34 .<br />

Con queste parole, <strong>Pirandello</strong> coglie le possibilità espansive del capolavoro <strong>di</strong><br />

Cervantes, in quanto contenitore ed espressione <strong>di</strong> un valore aggiunto, che può<br />

andare anche al <strong>di</strong> là delle stesse intenzioni dell’autore, e costituirsi come tra<strong>di</strong>zione<br />

e orizzonte culturale, all’interno dei quali altri libri e altri autori possono prendere<br />

posto a loro volta, come sarà il suo caso è quello <strong>di</strong> <strong>Unamuno</strong> 35 .<br />

<strong>Pirandello</strong>, dunque, sembra vedere in Cervantes uno <strong>di</strong> quegli autori, che,<br />

nella storia <strong>della</strong> civiltà occidentale, hanno svolto il ruolo proprio dei fondatori <strong>di</strong><br />

«<strong>di</strong>scorsività», cioè <strong>di</strong> coloro che rendono effettiva la produzione <strong>di</strong> un’infinita<br />

catena <strong>di</strong> <strong>di</strong>scorsi. Oltre che autore <strong>della</strong> propria opera, insomma, <strong>di</strong>venta creatore<br />

<strong>di</strong> possibilità e <strong>di</strong> regole <strong>di</strong> formazione <strong>di</strong> altri testi. Perciò, <strong>di</strong>rige e governa molto<br />

<strong>di</strong> più del suo romanzo: ha semplicemente aperto il continente dell’immaginario<br />

<strong>della</strong> modernità, inventando la <strong>realtà</strong> romanzesca e le possibilità <strong>della</strong> <strong>finzione</strong> e,<br />

dunque, la sua funzione-autore si iscrive nella sua stessa opera, per cui si può parlare<br />

<strong>di</strong> un chisciottismo del personaggio e del libro, come anche <strong>di</strong> un chisciottismo<br />

<strong>di</strong> Cervantes 36 .


322 OTELLO LOTTINI<br />

Il suo apporto non consiste solo nel rendere possibile un certo numero <strong>di</strong><br />

somiglianze e <strong>di</strong> analogie, che hanno il loro modello o principio nella sua opera<br />

(struttura, rapporti, composizione ecc.), ma anche nell’aprire il campo ad un<br />

certo numero <strong>di</strong> <strong>di</strong>fferenze, iscritte nella stessa matrice, in modo da allargare lo<br />

spazio creativo e culturale a nuovi anelli <strong>di</strong> significazione, nella <strong>di</strong>acronia letteraria<br />

e artistica.<br />

In questo senso, si può <strong>di</strong>re che all’origine <strong>di</strong> <strong>Unamuno</strong> e <strong>di</strong> <strong>Pirandello</strong> vi sia<br />

Cervantes, cioè nel senso che, partendo dalla scoperta cervantina, hanno scritto<br />

opere che hanno in sé nuove virtualità. Più che <strong>di</strong> un ritorno all’origine, si tratta<br />

dell’inserimento <strong>di</strong> testi e <strong>di</strong> <strong>di</strong>scorsi in un regno <strong>di</strong>acronico <strong>di</strong> applicazioni artistico-letterarie,<br />

nella riattualizzazione <strong>di</strong> proce<strong>di</strong>menti originari, frutto <strong>di</strong> trasformazioni<br />

problematiche del senso.<br />

7. Il rapporto fra i tre scrittori, dunque, non implica affatto una relazione intertestuale,<br />

cioè incroci o contatti <strong>di</strong> enunciati superficiali, <strong>di</strong> esteriore mimesi o <strong>di</strong><br />

semplice riproduzione, ma un influsso profondo, che si manifesta nelle opere<br />

come sviluppo creativo del <strong>di</strong>scorso altrui, in un contesto <strong>di</strong>alogico, che è più filosofico-estetico-semiotico<br />

che strettamente linguistico, ed è caratterizzato dalla<br />

emergenza <strong>di</strong> materiali antropologico-culturali e letterario-ideologici, tematizzati<br />

in movimenti archetipici <strong>di</strong> rappresentabilità.<br />

Del resto, Ortega y Gasset aveva ben avvertito che «il segreto <strong>di</strong> una geniale<br />

opera d’arte non si consegna […] facilmente all’invasione intellettuale […].<br />

Un’opera del rango del Chisciotte deve essere espugnata come Gerico»; e aggiungeva<br />

che sono necessari «ampi giri» intorno, in modo che «i nostri pensieri e le<br />

nostre emozioni» possano «avvicinarlesi lentamente» 37 .<br />

L’accostamento a quelle «mura <strong>di</strong> Gerico» consiglia prudenza, pertanto. Ma,<br />

certo, è possibile in<strong>di</strong>viduare e segnalare, nel Chisciotte, un nucleo problematico<br />

centrale, cioè l’invenzione dell’autocoscienza reale dei personaggi, da cui si possono<br />

far derivare <strong>Unamuno</strong> e <strong>Pirandello</strong>.<br />

Abbiamo già visto che Augusto Pérez «si alza» dalle pagine del libro e protesta<br />

con l’autore, perché vuole suicidarlo. E anche i sei personaggi pirandelliani<br />

vanno in cerca <strong>di</strong> un autore, come conseguenza del fatto che si sentono personaggi.<br />

Ebbene, il tema del personaggio cosciente <strong>della</strong> propria esistenza, all’interno <strong>di</strong><br />

un’opera, è un’invenzione <strong>di</strong> Cervantes. <strong>La</strong> letteratura moderna deve a lui la scoperta<br />

<strong>della</strong> possibilità <strong>di</strong> stabilire interferenze tra il reale e l’immaginario: in lui si<br />

trova, per la prima volta, il personaggio che parla <strong>di</strong> sé come personaggio, che<br />

reclama per sé l’esistenza, insieme reale e letteraria.<br />

All’inizio <strong>della</strong> seconda parte, Sancio Panza informa don Chisciotte che è<br />

stato pubblicato un libro, El Ingenioso Hidalgo Don Quijote de la Mancha, scritto<br />

da Ci<strong>di</strong> Hamete Benengeli, in cui sono descritte e raccontate le loro storie ed<br />

avventure: accade allora un fatto inau<strong>di</strong>to: essi sono i personaggi protagonisti <strong>di</strong><br />

un libro famoso e <strong>di</strong> gran successo e sanno <strong>di</strong> esserlo: il libro <strong>di</strong> Cervantes si ripiega<br />

su <strong>di</strong> sé, <strong>di</strong>ventando oggetto <strong>della</strong> propria narrazione.<br />

Lo scrittore, sottolineando il fatto che il personaggio riflette su se stesso, avvia<br />

un processo per cui, me<strong>di</strong>ante l’artificio del teatro nel teatro, ne sdoppia il profilo


LA REALTÀ DELLA FINZIONE. UNAMUNO E PIRANDELLO ALL’ORIZZONTE DI CERVANTES 323<br />

in due immagini <strong>di</strong>verse: la prima, che corrisponde all’immagine letteraria <strong>di</strong> don<br />

Chisciotte, scritta da Ci<strong>di</strong> Hamete; la seconda, corrispondente all’immagine reale<br />

<strong>di</strong> don Chisciotte, che commenta la propria storia.<br />

Con questa invenzione, il personaggio si libera <strong>della</strong> sua natura testuale, si alza<br />

sui caratteri scritti e si mette a camminare nel nostro mondo reale <strong>di</strong> lettori reali.<br />

Se nella prima parte, don Chisciotte si comportava come un libro – un libro <strong>di</strong><br />

cavalleria – allo scopo <strong>di</strong> saggiare se i libri – dunque, la letteratura – <strong>di</strong>cevano il<br />

vero, ora egli deve essere fedele al “suo” libro, e deve conservarne la verità. Tra la<br />

prima e la seconda parte, in virtù del potere <strong>della</strong> letteratura, don Chisciotte ha<br />

acquistato la propria <strong>realtà</strong>, che deve solo al linguaggio, in quanto è un essere<br />

interno alle parole 38 .<br />

Assieme a Sancio mostra, così, una doppia personalità: è un essere «reale» e,<br />

insieme, è una <strong>finzione</strong> letteraria. Cervantes inventa la rappresentazione <strong>della</strong> rappresentazione,<br />

il gioco del teatro nel teatro, i cui piani si confondono nella problematica<br />

del linguaggio e <strong>della</strong> <strong>finzione</strong> <strong>della</strong> non <strong>finzione</strong>, in un sottile gioco <strong>di</strong><br />

verità e <strong>di</strong> falsità, <strong>di</strong> vita e <strong>di</strong> letteratura, <strong>di</strong> tempo e <strong>di</strong> eternità 39 .<br />

Il fatto che un personaggio letterario, per la prima volta nella storia, si alzi<br />

all’interno <strong>di</strong> un libro e si definisca come personaggio, correggendo anche il suo<br />

autore, ha una importante conseguenza: significa l’intuizione <strong>della</strong> piena autonomia<br />

degli enti <strong>di</strong> <strong>finzione</strong> e l’allargamento dell’ambito romanzesco, che <strong>di</strong>venta un<br />

mondo a tre <strong>di</strong>mensioni: il piano <strong>della</strong> <strong>realtà</strong> empirica, quello <strong>della</strong> <strong>realtà</strong> storica e<br />

quello <strong>della</strong> <strong>realtà</strong> letteraria.<br />

Con la creazione <strong>della</strong> coscienza del personaggio letterario e con il suo sdoppiamento<br />

in immagini <strong>di</strong>fferenziate, Cervantes è riuscito a risolvere il conflitto tra<br />

la forma <strong>di</strong>namica e mutevole <strong>della</strong> vita e il valore immutabile e permanente <strong>della</strong><br />

forma artistica.<br />

<strong>La</strong> conseguenza più significativa <strong>di</strong> questa scoperta consiste nella possibilità <strong>di</strong><br />

mettere in luce e in risalto il grande problema dell’in<strong>di</strong>pendenza <strong>della</strong> creazione<br />

artistica e, se si vuole, <strong>della</strong> figura artistica, da qualsiasi altra <strong>realtà</strong> (come ha<br />

segnalato Castro). Con l’invenzione del teatro nel teatro, Cervantes libera l’immagine<br />

artistica da ogni <strong>di</strong>pendenza figurativa dal mondo naturale e conferisce all’arte<br />

(al linguaggio) la sua piena autonomia, dando vita, nei suoi continuatori, a<br />

nuove possibilità <strong>di</strong> interpretazione del mondo.<br />

<strong>La</strong> sua riflessione rappresenta uno degli sforzi più profon<strong>di</strong> e originali dell’arte<br />

moderna, nel tentativo <strong>di</strong> aprire nuove strade e consentire ad ogni scrittore, pur<br />

nelle sue peculiari modulazioni problematiche, <strong>di</strong> recuperare la “presenza” <strong>della</strong><br />

<strong>realtà</strong> e penetrare nell’“essenza” dell’uomo, contro gli involucri e le finzioni che lo<br />

sguardo altrui e l’alienazione propria impongono continuamente.<br />

8. <strong>La</strong> ricerca dell’identità del personaggio costituisce una complessa figura tematica<br />

che postula la coscienza generica, quella personale e quella reale come tre<br />

aspetti <strong>di</strong> uno stesso problema, in cui si racchiude la possibilità <strong>di</strong> ricerca <strong>della</strong><br />

verità umana, me<strong>di</strong>ata dal gioco <strong>della</strong> <strong>finzione</strong>.<br />

Di questa scoperta si sono avvalsi sia <strong>Unamuno</strong> che <strong>Pirandello</strong>: la coincidenza<br />

è evidente, anche se lo sviluppo dell’intuizione cervantina è filtrato dalle proble-


324 OTELLO LOTTINI<br />

matiche dei due scrittori e l’impostazione del tema ha accenti <strong>di</strong>fferenziati e sviluppi<br />

in<strong>di</strong>pendenti.<br />

Il punto <strong>di</strong> partenza è la rappresentazione nella rappresentazione, il quadro<br />

nel quadro, il teatro nel teatro, cioè la strana e sorprendente situazione in cui<br />

Cervantes colloca i suoi personaggi, all’inizio <strong>della</strong> seconda parte.<br />

In particolare, <strong>Pirandello</strong> accentua la coscienza generica del personaggio, cioè<br />

la riflessione su <strong>di</strong> sé, in quanto personaggio (essere <strong>di</strong> <strong>finzione</strong>), <strong>Unamuno</strong> accentua<br />

la coscienza personale (essere in<strong>di</strong>vidualizzato), mentre in Cervantes il nodo<br />

centrale è la coscienza del carattere <strong>di</strong> <strong>realtà</strong> del personaggio (essere reale). Sono<br />

tre aspetti o espressioni <strong>di</strong> una verifica poetica dell’esistenza e dell’identità del<br />

personaggio letterario e teatrale, <strong>della</strong> sua funzione conoscitiva, nella ricerca del<br />

senso del mondo e del valore dei segni.<br />

Alla ra<strong>di</strong>ce delle due opere, il germe che ne attiva la concezione problematica<br />

sembra fondarsi sulla visione dell’esperienza più ra<strong>di</strong>cale ed estrema che l’uomo<br />

possa fare riguardo alla propria vita: la scoperta che essa è una <strong>realtà</strong> limitata<br />

da ogni lato e in tutte le <strong>di</strong>rezioni. <strong>La</strong> con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> finitu<strong>di</strong>ne e <strong>di</strong> alterità del<br />

mondo ne definisce i limiti e l’impotenza e gli fa comprendere che può raggiungere<br />

solo alcune delle cose che desidera, ma non può raggiungere tutte le cose<br />

che vorrebbe.<br />

Una tale cognizione lo conduce ad immaginare un’altra <strong>realtà</strong>, in cui possa<br />

impossessarsi, senza alcun limite, <strong>di</strong> tutto ciò che vuole: perciò, per la con<strong>di</strong>zione<br />

umana, sembra inelu<strong>di</strong>bile duplicare il mondo, in quanto la coscienza <strong>della</strong> relatività<br />

è inseparabile dalla coscienza che postula l’assoluto. <strong>La</strong> dualità<br />

impotenza/onnipotenza accompagna la vicenda dei personaggi <strong>di</strong> <strong>Unamuno</strong> e <strong>di</strong><br />

<strong>Pirandello</strong> e il contrasto, che ne scaturisce, è mobile: la limitatezza e la finitu<strong>di</strong>ne<br />

sono indefinite ed elastiche, per cui non si possono delimitare entro termini rigorosi:<br />

è impossibile <strong>di</strong>segnare la frontiera momentanea tra l’impotenza reale e l’onnipotenza<br />

immaginaria.<br />

I personaggi trascorrono la propria vita, volendo essere Altro, lottando contro<br />

tutte le <strong>di</strong>fficoltà e scoprendo che, per raggiungere un “oltre” pieno, autentico e<br />

assoluto, devono incatenarsi al gioco del doppio; l’unico modo perché un ente<br />

(una cosa o una persona) possa essere un’altra è la metafora, “l’essere come” un<br />

altro, il quasi-essere: perciò, hanno un essenziale destino metaforico 40 .<br />

Nella scoperta <strong>della</strong> loro limitatezza e incongruenza tra ciò che vogliono essere<br />

e ciò che possono essere, tra ciò che sono e ciò che appaiono, emerge la <strong>di</strong>namica<br />

dello sdoppiamento come risorsa creativa e <strong>della</strong> maschera come interpretazione<br />

<strong>della</strong> vita e <strong>della</strong> <strong>realtà</strong>, come dualità e alterazione e come passaggio dalla presenza<br />

all’assenza, tra il fenomeno e il noumeno, tra l’Io e l’Altro.<br />

Note<br />

1. V. González Martín, <strong>La</strong> cultura italiana en Miguel de <strong>Unamuno</strong>, E<strong>di</strong>ciones de la<br />

Universidad de Salamanca, Salamanca 1988, pp. 249-50.<br />

2. E. Salcedo, Vida de don Miguel, Anaya, Madrid 1964, p. 394.<br />

3. B. Ra<strong>di</strong>tsa, Mis encuentros con <strong>Unamuno</strong>, in “Cuadernos”, I, 1959, p. 47. <strong>La</strong> stessa idea era<br />

venuta all’attore catalano Joaquín Montero, che aveva paro<strong>di</strong>ato i Sei personaggi, rappresentando


LA REALTÀ DELLA FINZIONE. UNAMUNO E PIRANDELLO ALL’ORIZZONTE DI CERVANTES 325<br />

al Teatro Romea <strong>di</strong> Barcellona, il 28 <strong>di</strong>cembre 1928, una farsa dal titolo Sis autors cerquen un personatge.<br />

Cfr. L. De Filippo, <strong>Pirandello</strong> in Spagna, in “Nuova Antologia”, 1964 (fasc. 1962), p. 203.<br />

4 È noto anche che <strong>Pirandello</strong> aveva nella sua biblioteca i principali libri <strong>di</strong> <strong>Unamuno</strong>: cfr.<br />

F. F. Nardelli, <strong>Pirandello</strong>. L’uomo segreto, Bompiani, Milano 1986, p. 222.<br />

5. In <strong>realtà</strong>, sembra molto insolito che <strong>Unamuno</strong> non abbia sentito parlare <strong>di</strong> <strong>Pirandello</strong>,<br />

prima del 1922, perché lo scrittore siciliano era già noto in Spagna. Di lui si era parlato sulle riviste<br />

“<strong>La</strong> Pluma” ed “España” ed era stato anche rappresentato dalla compagnia <strong>di</strong> Dario<br />

Nicodemi e Vera Vergani. Poiché, però, mancano riscontri sicuri e precisi in senso contrario,<br />

lasciamo aperto, l’interrogativo, attenendoci alla <strong>di</strong>retta testimonianza <strong>di</strong> <strong>Unamuno</strong>. Su questi<br />

problemi, cfr. González Martín, <strong>La</strong> cultura italiana, cit., p. 250.<br />

6. Pubblicato su “<strong>La</strong> Nación” <strong>di</strong> Buenos Aires, il 15 luglio 1923. Poi raccolto in Obras<br />

Completas, Vergara, Barcelona 1964, vol. X, pp. 544-8. Le citazioni che seguono (in<strong>di</strong>cate da ora in<br />

avanti con la sigla PyY, seguita dal numero <strong>di</strong> pagina) sono tratte da quest’ultima e<strong>di</strong>zione. <strong>La</strong> traduzione<br />

è mia.<br />

7. Cfr. M. de <strong>Unamuno</strong>, Vita <strong>di</strong> don Chisciotte e <strong>di</strong> Sancio (1905), trad. it., Rizzoli, Milano<br />

1933, pp. 139-41.<br />

8. Cfr. J. Marias, Miguel de <strong>Unamuno</strong>, Revista de Occidente, Madrid 1969, p. 307.<br />

9. Queste parole sono commentate da <strong>Unamuno</strong>, nell’articolo citato, anche se non tutte<br />

sono tradotte letteralmente, almeno nella parte iniziale e finale. <strong>La</strong> nostra citazione, invece, è<br />

tratta da L. <strong>Pirandello</strong>, Sei personaggi in cerca d’autore, Mondadori, Milano 1984, pp. 37-8.<br />

10. Ampia bibliografia in González Martín, <strong>La</strong> cultura italiana, cit., pp. 245-9.<br />

11. Su questi temi e su queste problematiche, oltre a J. Ortega y Gasset, Me<strong>di</strong>tazioni del<br />

Chisciotte (1914), trad. it., Guida, Napoli 1986, cfr. Id., <strong>La</strong> <strong>di</strong>sumanizzazione dell’arte (1925), trad.<br />

it., Lerici, Roma 1984. In quest’ultimo testo, Ortega vede nei Sei personaggi una conferma empirica<br />

delle sue impostazioni estetico-programmatiche, relative all’evoluzione «<strong>di</strong>sumanizzante» dell’arte,<br />

all’inizio del secolo. L’opera, a suo giu<strong>di</strong>zio, «è un chiaro esempio <strong>della</strong> inversione artistica<br />

che sto cercando <strong>di</strong> descrivere. Il teatro tra<strong>di</strong>zionale si propone <strong>di</strong> farci vedere nei suoi personaggi<br />

delle persone e, nelle loro passioni, l’espressione <strong>di</strong> un dramma umano. Qui, al contrario,<br />

<strong>Pirandello</strong> è riuscito a farci interessare ad alcuni personaggi in quanto tali: vale a <strong>di</strong>re, in quanto<br />

idee o puri schemi […]. <strong>La</strong> rappresentazione del loro doloroso destino è un mero pretesto e praticamente<br />

è elusa; invece assistiamo al dramma reale <strong>di</strong> alcune idee in quanto tali, <strong>di</strong> alcuni fantasmi<br />

soggettivi, che si <strong>di</strong>menano nella mente <strong>di</strong> un autore», mentre, al posto del dramma umano,<br />

è messa «in primo piano la stessa <strong>finzione</strong> teatrale in quanto <strong>finzione</strong>». E conclude: «il tentativo<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>sumanizzazione è chiarissimo, come è visibilmente provata, in questo caso, la possibilità <strong>di</strong><br />

realizzare un simile proce<strong>di</strong>mento» (ivi, pp. 73-4).<br />

12. <strong>Unamuno</strong>, come è noto, “giocando” con la parola novela (romanzo) ha perfino inventato<br />

un nuovo e personale genere letterario, la nivola, in cui far entrare le sue produzioni narrative.<br />

13. Ora in <strong>Unamuno</strong>, Obras Completas, cit., vol. X; trad. it. in M. de <strong>Unamuno</strong>, Romanzi e<br />

drammi, Casini E<strong>di</strong>tore, Roma 1955. Le citazioni che seguono (in<strong>di</strong>cate da ora in avanti con l’abbreviazione<br />

Nie, seguita dal numero <strong>di</strong> pagina) sono tratte da questa traduzione italiana.<br />

14. Cfr. Marías, Miguel de <strong>Unamuno</strong>, cit., p. 98.<br />

15. Cfr. González Martín, <strong>La</strong> cultura italiana, cit., p. 253. Sul rapporto fra <strong>realtà</strong> e dolore, ve<strong>di</strong><br />

anche Ortega y Gasset, L’uomo e la gente (1948), trad. it., Armando, Roma 1979, passim, in particolare,<br />

pp. 73-89.<br />

16. L’espressione è <strong>di</strong> Roland Barthes: cfr. L’effet du réel, in “Communication”, 11, 1968, pp.<br />

84 ss.<br />

17. Cfr. su questo tema, O. Lottini, <strong>Unamuno</strong> linguista, Cadmo, Roma 1984, in particolare,<br />

pp. 209 ss.<br />

18. Cfr. Marías, Miguel de <strong>Unamuno</strong>, cit., pp. 96-101.<br />

19. Per questa interpretazione, cfr. L. Rosales, <strong>La</strong> come<strong>di</strong>a de la personalidad, in “Cuadernos<br />

Hispano-Americanos”, 118, 1959, pp. 249 ss., in particolare, pp. 261-5.<br />

20. <strong>Pirandello</strong>, Sei personaggi in cerca d’autore, cit., p. 108.<br />

21. Ivi, p. 35.<br />

22. Ivi, p. 109.<br />

23. M. de Cervantes, Don Chisciotte <strong>della</strong> Mancia (1605), trad. it., Mondadori, Milano 1950, p. 13.


326 OTELLO LOTTINI<br />

24. Cit. ivi. Corsivo mio.<br />

25. M. Foucault, Scritti letterari, Feltrinelli, Milano 1971, p. 75.<br />

26. Ortega y Gasset, Me<strong>di</strong>tazioni del Chisciotte, cit., p. 190.<br />

27. Ivi, p. 191.<br />

28. M. Foucault, Le parole e le cose (1966), trad. it., Rizzoli, Milano 1967, p. 63.<br />

29. A. Castro, Cervantes y <strong>Pirandello</strong>, in “<strong>La</strong> Nación”, 16 novembre 1924. Poi raccolto in<br />

Hacia Cervantes, Taurus, Madrid 1967, pp. 477-85.<br />

30. Rosales, <strong>La</strong> come<strong>di</strong>a de la personalidad, cit., passim.<br />

31. Stabilendo anche ingenue primogeniture, in chiave nazionalistica. Cfr., per esempio, J.<br />

Chicharro de León, Pirandelismos en la literatura española, in “Quaderni Ibero-Americani”, 15,<br />

1954, pp. 406-14; J. Chantraine de von Praag, España tierra de elección del pirandellismo, in<br />

“Quaderni Ibero-Americani”, 28, 1962, pp. 218-22.<br />

32. Cfr. le pagine de<strong>di</strong>cate al capolavoro cervantino, in L’umorismo (1908), Signorelli, Roma<br />

1933, pp. 129-39.<br />

33. Ivi, p. 136.<br />

34. Ivi, pp. 135-6.<br />

35. Per sondaggi più estesi, cfr. J. E. Gillet, The Autonomous Character in Spanish and<br />

European Literature, in “Hispanic Review”, 3, 1956, pp. 179-90; S. Cro, <strong>Pirandello</strong> and the<br />

Baroque, prefazione <strong>di</strong> M. Verdone, The Symposium Press, Hamilton (Ontario, Canada) 1993.<br />

36. Oltre che intuizione pirandelliana, questa è anche problematica <strong>di</strong> Ortega y Gasset: cfr.<br />

Id., Me<strong>di</strong>tazioni del Chisciotte, cit., pp. 48 ss.<br />

37. Ivi, p. 50.<br />

38. Foucault, Le parole e le cose, cit., p. 63.<br />

39. Questa invenzione cervantina non è la prima, né sarà l’ultima: è solo la più complessa (e<br />

commentata); analoga tecnica era stata usata già nel prologo, con lo sdoppiamento dell’autore e<br />

anche, tra l’altro, nell’episo<strong>di</strong>o del teatrino <strong>di</strong> Maese Pedro: <strong>di</strong> fronte ad una rappresentazione <strong>di</strong><br />

marionette, emerge la “follia” <strong>di</strong> don Chisciotte, che si manifesta con la <strong>di</strong>struzione del teatro, a<br />

colpi <strong>di</strong> spada, perché, pur avendo il senso <strong>della</strong> <strong>realtà</strong>, don Chisciotte è privo del senso <strong>della</strong> <strong>finzione</strong>,<br />

e questo deficit lo induce ad entrare “in scena” ed a trattare come vere le figure in movimento.<br />

40. Ortega y Gasset, Me<strong>di</strong>tazioni del Chisciotte, cit., p. 192.

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