settembre 2008.qxp - Diocesi Suburbicaria Velletri - Segni
settembre 2008.qxp - Diocesi Suburbicaria Velletri - Segni
settembre 2008.qxp - Diocesi Suburbicaria Velletri - Segni
Create successful ePaper yourself
Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.
Pegistrazione al Tribunale di <strong>Velletri</strong> n. 9/2004 del 23.04.2004 - Redazione: C.so della Repubblica 343 - 00049 VELLETRI RM - 06.9630051 - fax 96100596 - curia@diocesi.velletri-segni.it Mensile a carattere divulgativo e ufficiale per gli atti della Curia e pastorale per la vita della <strong>Diocesi</strong> di <strong>Velletri</strong>-<strong>Segni</strong> Anno 5 - numero 8 (46) - Settembre 2008<br />
IN QUESTO NUMERO:<br />
Benedetto XVI: un anno<br />
fa l’abbraccio alla nostra<br />
<strong>Diocesi</strong><br />
Grandi Temi<br />
- La vita e la morte:<br />
Eluana e gli altri<br />
Concilio Vaticano II<br />
- Il Vescovo, sommo<br />
sacerdote della sua<br />
Chiesa (II parte)<br />
Caritas<br />
- Immigrati: superare<br />
con coraggio le<br />
difficoltà<br />
- Giustizia:<br />
l’importante è avere<br />
tutti più coraggio<br />
Spiritualità<br />
- Santa Chiara di<br />
Montefalco<br />
Anno Paolino<br />
- Vocabolario paolino 1<br />
- Le 2 Lettere ai Corinzi<br />
- I compagni di S. Paolo<br />
S. Sila<br />
- Il 2° viaggio missionario<br />
- L’Apostopo Paolo<br />
attraversò le nostre<br />
contrade<br />
- I luoghi Paolini: Corinto<br />
Vocazioni<br />
- Povertà, castità, obbedienza:<br />
Doni per una vita sacerdotale<br />
allegra<br />
Educare oggi<br />
- Assenze “ingiustificate” di<br />
famiglia scuola e società
2<br />
L’avvio del nuovo anno pastorale<br />
Vincenzo Apicella, vescovo<br />
L’avvio del nuovo anno pastorale si annuncia<br />
già denso di avvenimenti e occasioni<br />
importanti e significative per la<br />
nostra <strong>Diocesi</strong>; desidero sottolinearne<br />
soprattutto tre.<br />
Seguendo l’ordine, che non è solo cronologico,<br />
inizio dall’Ordinazione sacerdotale di don<br />
Andrea Pacchiarotti, originario di Colleferro<br />
e che già da un anno svolge il suo servizio<br />
presso la Cattedrale di San Clemente.<br />
Per un vescovo ordinare un nuovo sacerdote<br />
diocesano credo sia la gioia più grande e<br />
il dono più prezioso che possa ricevere dal<br />
Signore.<br />
Già nella preghiera di consacrazione si legge:<br />
“Ora, o Signore, vieni in aiuto alla nostra<br />
debolezza e donaci questi collaboratori di cui<br />
abbiamo bisogno per l’esercizio del sacerdozio<br />
apostolico”.<br />
Il vescovo nulla potrebbe senza i sacerdoti,<br />
così come i sacerdoti non potrebbero esistere<br />
senza il vescovo: è una reciproca interdipendenza,<br />
che è norma costante della comunione ecclesiale,<br />
fatta di diversità di ruoli, ma anche di<br />
unità inscindibile nello spirito e nell’azione.<br />
Unico, infatti, è lo scopo e la meta da raggiungere,<br />
che viene espressa con queste parole:<br />
“Siano degni cooperatori dell’ordine episcopale,<br />
perché la parola del vangelo<br />
mediante la loro predicazione, con la grazia<br />
dello Spirito Santo, fruttifichi nel cuore degli<br />
uomini e raggiunga i confini della terra. Siano,<br />
insieme con noi, fedeli dispensatori dei tuoi<br />
misteri (sacramenti), perché il tuo popolo sia<br />
rinnovato con il lavacro di rigenerazione e nutrito<br />
alla mensa del tuo altare; siano riconciliati<br />
i peccatori e i malati ricevano sollievo. Siano<br />
uniti a noi, o Signore, nell’implorare la tua misericordia<br />
per il popolo a loro affidato e per il<br />
mondo intero. Così la moltitudine delle genti,<br />
riunita in Cristo, diventi il tuo unico popolo,<br />
che avrà il compimento nel tuo regno”.<br />
La vita di don Andrea sarà da quel momento<br />
orientata in modo irrevocabile a diventare<br />
strumento e segno di comunione, affinché<br />
anche attraverso di lui Cristo possa incontrare,<br />
radunare, nutrire, guidare i figli di Dio dispersi<br />
e mostrare a tutti il suo volto di compassione<br />
e misericordia.<br />
Ma un nuovo sacerdote non nasce dal nulla,<br />
viene da quello stesso popolo che è chiamato<br />
a servire in modo particolare, nasce quando<br />
in questo popolo la fede viene nutrita dall’ascolto<br />
della Parola di Dio, la speranza orienta<br />
la vita quotidiana e la carità accende il cuo-<br />
re con la sollecitudine per i fratelli.<br />
Per questo l’Ordinazione di un nuovo presbitero<br />
è segno di una comunità viva ed è stimolo<br />
perché questa vita cresca e si rafforzi in ogni<br />
membro e componente del corpo ecclesiale.<br />
Il secondo appuntamento del mese<br />
è la celebrazione dell’anniversario della visita<br />
di Papa Benedetto XVI alla nostra diocesi:<br />
un evento indimenticabile, che ci ha fatto<br />
sperimentare la profondità del legame che<br />
unisce la nostra chiesa alla Sede di Pietro<br />
e, in particolare, a questo Pontefice, per lunghi<br />
anni nostro Vescovo titolare.<br />
Per rendere grazie al Signore e perché la gioia<br />
di quel momento possa rivivere nei nostri cuori,<br />
la sera del 23 <strong>settembre</strong> celebreremo l’Eucarestia<br />
nella Cattedrale di San Clemente con la partecipazione<br />
di tutte le realtà diocesane e sarà<br />
collocata una lapide commemorativa accanto<br />
alla colonna di bronzo, che il Papa ci ha<br />
donato e ci ha lasciato come segno perenne<br />
del suo affetto paterno.<br />
Per fargli giungere direttamente la testimonianza<br />
della nostra filiale devozione, si è deciso<br />
di organizzare un pellegrinaggio diocesano<br />
a San Pietro per partecipare insieme<br />
all’Udienza generale di mercoledì 1° ottobre:<br />
non è semplicemente un modo per ricambiare<br />
la visita, ma l’occasione per comprendere che<br />
non si è trattato solo di un fatto eccezionale<br />
fine a se stesso e ormai consegnato alla storia<br />
passata.<br />
Infine, il 28 <strong>settembre</strong>, <strong>Velletri</strong> ospiterà il Cammino<br />
regionale delle Confraternite: da tutto il Lazio<br />
converranno nella nostra diocesi i membri di<br />
questi sodalizi, patrimonio della religiosità e<br />
della cultura delle nostre genti e promessa<br />
di una rinnovata vitalità.<br />
Sono state la prima forma di iniziativa e di<br />
partecipazione laicale all’opera della Chiesa<br />
e tornano ad essere un potenziale formidabile<br />
perché nel popolo cristiano possa maturare<br />
la convinzione che tutti siamo corresponsabili<br />
della testimonianza al Vangelo e costruttori<br />
di una convivenza ispirata alla carità e alla<br />
misericordia.<br />
Questi nostri fratelli vengono da lontano e<br />
camminano verso il futuro e anche nella nostra<br />
chiesa locale rappresentano una realtà<br />
significativa e vitale, cui occorre pensare non<br />
solo in occasione delle processioni e delle feste<br />
patronali.<br />
Iniziamo, quindi, il nostro anno pastorale nella<br />
gioia della speranza cristiana, chiedendo<br />
al Signore di condurre ogni giorno i nostri passi<br />
sulle sue vie.<br />
Settembre<br />
2008<br />
Ecclesia in cammino<br />
Bollettino Ufficiale per gli atti di Curia<br />
Mensile a carattere divulgativo e ufficiale per gli atti<br />
della Curia e pastorale per la vita della<br />
<strong>Diocesi</strong> di <strong>Velletri</strong>-<strong>Segni</strong><br />
Direttore Responsabile<br />
Don Angelo Mancini<br />
Collaboratori<br />
Stanislao Fioramonti<br />
Tonino Parmeggiani<br />
Gaetano Campanile<br />
Proprietà<br />
<strong>Diocesi</strong> di <strong>Velletri</strong>-<strong>Segni</strong><br />
Registrazione del Tribunale di <strong>Velletri</strong> n. 9/2004 del<br />
23.04.2004<br />
Stampa: Tipolitografia Graphicplate Sr.l.<br />
Via delle Viti, 1 - Cancelliera di Albano Laziale<br />
Redazione<br />
C.so della Repubblica 343<br />
00049 VELLETRI RM<br />
06.9630051 fax 96100596<br />
curia@diocesi.velletri-segni.it<br />
A questo numero hanno collaborato<br />
inoltre: S.E. mons. Vincenzo Apicella, S.E. Mons. Pietro<br />
Gasparri, S.E. Mons. Andrea Maria Erba, mon. Luigi<br />
Vari, Costantino Coros, don Dario Vitali, mons. Franco<br />
Risi, don Cesare Chialastri, Maria Pietroni, Antonio<br />
Galati, Daniele Pietrosanti, Pietro Latini, Fabio<br />
Pontecorvi, Massimo Marigliano, Claudio Capretti, Mara<br />
Della Vecchia, Pier Giorgio Liverani, Antonio Venditti,<br />
Emanuela Ciarla, Alessandro Gentili, Valentina<br />
Fioramonti, Sara Bianchini, don Marco Nemesi,<br />
Fabricio Cellucci, Felice Lombardo, don Daniele Valenzi,<br />
Sara Gilotta, Fabio Pontecorvi, Francesco Cipollini,<br />
Fernanda Spigone<br />
Consultabile online in formato pdf sul sito:<br />
www.diocesi.velletri-segni.it<br />
DISTRIBUZIONE GRATUITA<br />
In copertina:<br />
San Paolo e Papa Clemente I<br />
davanti al Cristo benedicente.<br />
Mosaico, (part.) catino dell’abside<br />
Cattedrale di S. Clemente <strong>Velletri</strong>,<br />
Giovanni Hajnal - 1954<br />
Il contenuto di articoli, servizi<br />
foto e loghi nonché quello voluto<br />
da chi vi compare rispecchia<br />
esclusivamente il pensiero<br />
degli artefici e non vincola mai<br />
in nessun modo Ecclesìa in Cammino,<br />
la direzione e la redazione<br />
Queste, insieme alla proprietà,<br />
si riservano inoltre il pieno<br />
ed esclusivo diritto di pubblicazione, modifica e stampa a<br />
propria<br />
insindacabile discrezione<br />
senza alcun preavviso<br />
o autorizzazioni. Articoli, fotografie<br />
ed altro materiale, anche se<br />
non pubblicati, non si restituiscono.<br />
E’ vietata ogni tipo di riproduzione<br />
di testi, fotografie, disegni, marchi, ecc. senza esplicita<br />
autorizzazione del direttore.
Decidere tra l’egoismo e l’amore, tra<br />
la giustizia e la disonestà, questo il<br />
messaggio di Benedetto XVI al mondo<br />
e alla nostra <strong>Diocesi</strong>. Ricordo della<br />
visita di un anno fa.<br />
Fabricio Cellucci*<br />
“La visita pastorale alla diocesi suburbicaria<br />
di <strong>Velletri</strong>-<strong>Segni</strong> nella mattina di<br />
domenica 23 <strong>settembre</strong>, è stata una nuova<br />
tappa del Grande Pellegrinaggio che<br />
Benedetto XVI sta compiendo per<br />
testimoniare la gioia e la bellezza della<br />
fede in Dio che è amore”.<br />
La visita del Papa possiamo ricordarla<br />
come un incontro di famiglia perché<br />
tanti sono i ricordi che ci legano alla<br />
sua figura di uomo e di pastore che ha<br />
condiviso molti momenti importanti della<br />
nostra vita diocesana come le feste<br />
dei santi patroni Clemente e Bruno oppure<br />
come i convegni diocesani, in cui la<br />
nostra chiesa radunata intorno al suo<br />
pastore, cerca di preparare il cammino<br />
pastorale.<br />
Sembra ieri, che la nostra città di <strong>Velletri</strong><br />
“per un momento è stata il centro del<br />
mondo cattolico”, come ben scriveva<br />
il nostro vescovo Vincenzo, sul bollettino<br />
diocesano.<br />
Sembra ieri ma il tempo è passato e<br />
già siamo ad un anno da quella visita<br />
del Santo Padre, in cui a condiviso con<br />
noi il Pane della Parola e dell’Eucaristia.<br />
Nella celebrazione eucaristica ci ha donato<br />
una profonda riflessione, riguardante<br />
l’urgente necessità per l’uomo di oggi<br />
di scegliere tra la logica del profitto e<br />
la logica della condivisione e della solidarietà.<br />
La condizione necessaria per vivere questa<br />
dimensione della solidarietà e della<br />
condivisione è ricordare che tutti siamo<br />
parte di un medesimo corpo, cioè<br />
del corpo di Cristo. Solamente se ragioniamo<br />
in questa prospettiva potremo<br />
realizzare la scelta della condivisione<br />
e della solidarietà.<br />
Settembre<br />
2008<br />
3<br />
Questo argomento toccato dal Papa nella<br />
sua omelia, è stato riportato da molte<br />
testate giornalistiche come “L’Eco di<br />
Bergamo” che scriveva “ No alla logica<br />
del profitto.” , “La ricchezza va condivisa”<br />
E poi ancora “Il Papa: la solidarietà<br />
con i poveri può orientare la rotta verso<br />
il bene di tutti. La sete di guadagno incrementa<br />
anche il rovinoso sfruttamento del<br />
pianeta”.<br />
Mentre nel servizio d’informazione SIR<br />
potevamo trovare pubblicato “ Benedetto<br />
XVI a <strong>Velletri</strong>: decidere tra l’egoismo e<br />
l’amore, tra la giustizia e la disonestà ”.<br />
Molto bello è il paragone fatto da Alberto<br />
Bobbio, inviato del quotidiano “IL MES-<br />
SAGGERO”, che paragona l’omelia di<br />
Benedetto XVI ad programma di vita per<br />
tutti gli uomini.<br />
Articolo, nelle cui righe successive ricorda<br />
che “ Ratzinger non ha usato mezze<br />
parole e l’ha chiamata lotta “definitiva tra<br />
Dio e Satana. Ha ricordato la “Centesimus<br />
annus” di Karol Wojtyla, nella quale si affermava<br />
che il capitalismo non è l’unico modello<br />
valido di organizzazione economica,<br />
per spiegare che si devono coniugare modelli<br />
di sviluppo e responsabilità. Per combattere<br />
anche l’emergenza della fame e<br />
quella ecologica”.<br />
Altrettanto importante è anche ricordare<br />
la familiarità con cui si è mostrato il<br />
Santo Padre verso la cittadinanza e la<br />
familiarità della cittadinanza. Affetto del<br />
Papa che si percepiva dalle parole della<br />
sua riflessione, nella cui introduzione<br />
scriveva “ Sono tornato con gioia per incontrare<br />
la vostra comunità diocesana, che<br />
per diversi anni è stata in modo singolare<br />
anche la mia e che mi resta tuttora<br />
tanto cara”.<br />
Affetto della cittadinanza, che è stato dimostrato<br />
sia dalle tante persone che hanno<br />
collaborato per la realizzazione della<br />
visita e sia dalle tante persone che in<br />
maniera numerosa, sin dalle prime ore<br />
del mattino, avevano riempito le strade<br />
e le piazze della città per fare corona al<br />
Vescovo di Roma, che veniva in visita alla<br />
nostra Chiesa locale.<br />
Mentre riflettevo sulle parole del Papa,<br />
mi tornava alla mente una riflessione fatta<br />
da Don Tonio Bello, vescovo, in cui soste-
4<br />
neva “il cristianesimo è la religione dei nomi<br />
propri, non delle essenze. Dei volti concreti, non<br />
degli ectoplasmi, del prossimo in carne ed ossa<br />
con cui conformarsi, non delle astrazioni<br />
volontaristiche con cui crogiolarsi”. Questo per<br />
dire che i tempi cambiano,<br />
ma che ci sono problemi che<br />
da tempo rimangono senza<br />
una risposta concreta che possa<br />
portare ad una soluzione<br />
definitiva, e di come la<br />
Chiesa, nella figura dei suoi<br />
pastori si prodighi molto verso<br />
tali problemi sociali del<br />
nostro tempo,attraverso<br />
interventi concreti e non smettendo<br />
mai di ricordarli alla<br />
coscienza dei cristiani, attraverso<br />
le catechesi, come quella<br />
fatta da Benedetto XVI nella<br />
visita alla nostra diocesi.<br />
La dimostrazione tangibile<br />
che questi problemi sociali<br />
ancora esistono, denunciati<br />
dal Santo Padre e dagli altri<br />
Settembre<br />
2008<br />
vescovi , è evidente nelle varie<br />
crisi di sfruttamento che ci<br />
sono nel mondo; in particolare<br />
oggi sotto gli occhi di tutti è la<br />
situazione che si trovano a vivere<br />
gli abitanti del Benin. Queste<br />
situazioni di difficoltà molte volte<br />
neppure le conosciamo, perché<br />
i mass media non né trasmettono<br />
alcuna traccia.<br />
Da questo capiamo che l’insegnamento,<br />
sempre attuale, che<br />
il Santo Padre a voluto lasciarci<br />
come impegno è il dover vivere<br />
bene il nostro oggi, in cui siamo<br />
chiamati a compiere scelte<br />
di campo, prima di tutto la scelta<br />
di Dio, per testimoniare la gioia<br />
e la bellezza della fede in Dio<br />
che è amore; attraverso la<br />
scelta dell’essere solidali con il<br />
nostro prossimo.<br />
*Seminarista
di Pier Giorgio Liverani<br />
Settembre<br />
2008<br />
Eluana e gli altri. Mentre scrivo<br />
queste semplici considerazioni<br />
non so ancora se<br />
e come andrà a finire il “caso Eluana”.<br />
So solamente che la sua vicena –<br />
comunque si concluderà : se con la<br />
morte per fame e per sete o, invece,<br />
nell’apparente serenità del suo<br />
sonno – avrà indotto la gente, se non<br />
altro, a riflettere sulla vita e sulla morte.<br />
Sarà già molto, perché quella povera<br />
ragazza in bilico tra la vita e la<br />
morte è striscia di essere ridotta a<br />
“un caso”: giuridico, medico, tecnico,<br />
terapeutico, etico, ideologico, politico<br />
… Addirittura un partito: della vita<br />
per alcuni, della morte secondo altri.<br />
Eluana non è più un persona, che<br />
forse soffre, forse capisce e forse<br />
invece, è invece serena nell’assenza<br />
della sua coscienza. E’ piuttosto un<br />
argomento, un’occasione, un motivo,<br />
una polemica: un “caso” insomma,<br />
e tuttavia ha posto, gradito o no,<br />
un interrogativo sul senso della vita<br />
e sul significato della morte. Che cos’è<br />
la vita? Che cosa, chi è un essere umano che<br />
dorme un sonno di sedici anni, una donna che<br />
molti pensano non sia più lei: soltanto un corpo,<br />
che non ha più coscienza di sé. La coscienza<br />
di sé, però – ha scritto un filosofo e bioticista<br />
dell’Università Cattolica di Milano, Adriano<br />
Pessina – “non costituisce l’identità umana”.<br />
Non avevamo coscienza di noi quando eravamo<br />
nel grembo materno né nei primi tempi che<br />
sono seguiti alla nostra nascita, non l’abbiamo<br />
quando dormiamo o quando in sala operatoria<br />
ci addormentano e non ci accorgiamo che – lo<br />
dico per dire – ci stanno sventrando, ma nessuno<br />
pensa che in quelle situazioni non si sia<br />
persone. E allora si può intenzionalmente causare<br />
la morte di una persona affamandola e assetandola?<br />
Se la si vuole morta, non sarebbe meno<br />
ipocrita - lo dico per assurdo e soltanto come<br />
provocazione – ucciderla all’istante in modo indolore?<br />
E poi che sappiamo noi della vita e della coscienza<br />
di Eluana da poterci ergere a padroni della<br />
sua vita, a giudici dei suoi pensieri e dei suoi<br />
desideri? Molti malati svegliatisi dopo anni di coma<br />
hanno detto di aver avvertito ciò che accadeva<br />
intorno a loro anche se non poteva esprimersi.<br />
Le suore Misericordine della clinica “Beato Luigi<br />
Telamoni”, dove Eluana è nata e dove ora l’accudiscono<br />
con amore dal giorno dell’incidente,<br />
hanno chiesto di lasciarla a loro. Dicono: “E’ una<br />
di noi, è della nostra famiglia”. E pensano che<br />
qualche cosa avverta: “Qualche volta, specialmente<br />
quando le parla suor Rosangela, che le<br />
è particolarmente addetta, muove gli occhi”. E<br />
il prof. Adrian Owen, responsabile dell’unità neurologica<br />
dell’Università di Cambridge, concorda:<br />
ha le prove scientifiche che chi è in stato vegetativo<br />
sente, capisce e compie azioni mentali anche<br />
se abbastanza elementari. Dunque, se invece<br />
di morire, come i testimoni di tanti anni fa affermano<br />
che Eluana abbia detto di volere, ora preferisse<br />
vivere? Svegliarsi o se fosse è terrorizzata<br />
dall’idea di morire di fame e di sete senza<br />
il sondino naso-gastrico?<br />
Eluana e gli altri. Gli altri, però, non siamo noi,<br />
che per lei almeno un po? Di pietà la nutriamo<br />
né coloro che freddamente si occupano, a distanza,<br />
del suo “caso” ergendosi a giudici della sua<br />
vita e della sua morte e che ne vogliono per forza<br />
essere i tutori terminali, pesandone la vita con<br />
il bilancione della Giustizia (ma è Giustizia far<br />
morire un’innocente solo perché non capisce ed<br />
è un peso per gli altri?) e con la stadera dei politici.<br />
Gli altri sono tutti i piccolissimi esseri umani<br />
che ogni giorno, sempre e soltanto perché non<br />
hanno consapevolezza di esistere o perché sono<br />
malati o, in ogni caso, non sono come li si vorrebbe,<br />
vengono rifiutati come prodotti mal<br />
riusciti e abbandonati alla morte. O quelli che,<br />
con un’assurda logica contraria, vengono fabbricati<br />
in laboratorio tra gente estranea, tra pro-<br />
5<br />
vette, aspiratori, frigoriferi e gran parte<br />
dei quali sono poi lasciati morire nel<br />
gelo dell’azoto (meno 270 gradi) o sezionati<br />
per un esame di qualità o adoperati<br />
come terapie sperimentali finora del<br />
tutto inutili.<br />
Qualche settimana fa, il 25 luglio, Louise<br />
Brown, la prima bambina nella storia<br />
dell’uomo a essere concepita fuori del<br />
grembo materno, ha compiuto trent’anni.<br />
E’ bella, sta bene, si è sposata, è diventata<br />
mamma. Auguri. Erano passati appena<br />
due mesi dal giorno in cui, in Italia,<br />
l’aborto era diventato legittimo e di Stato<br />
con la legge 194. Da allora quasi cinque<br />
milioni di “altri” sono stati buttati<br />
tra i rifiuti speciali ospedalieri. Negli stessi<br />
trent’anni, in tutto il mondo, gli aborti<br />
sono stai un miliardo 650 milioni (55<br />
milioni l’anno, scrive Carlo Flamini, il<br />
ginecologo più ideologizzato e competente<br />
in materia di aborti e fecondazioni artificiali).<br />
Che valore aveva, che valore<br />
ha la vita di questi “babies for burning”<br />
bambini da bruciare, come diceva il titolo<br />
di un libro di qualche anno fa? Questi<br />
poveri uomini in embrione e senza apparenze<br />
umane? A questi milioni di<br />
“altri” ormai si è fatta l’abitudine e nessuno, o<br />
quasi, pensa nemmeno più.<br />
La sera del primo agosto su Raitre è andato in<br />
onda un bel documentario su Madre Teresa di<br />
Calcutta. Quando fu nella sala dell’Accademia<br />
di Stoccolma per ricevere il Premio Nobel per<br />
la pace, quella piccola suora disse, davanti ai<br />
Reali di Svezia, al Governo, agli Accademici e<br />
ai potenti di quel Paese: “Il primo delitto contro<br />
la pace è l’aborto. SE una madre può uccidere<br />
suo figlio nel proprio seno, chi impedirà a me<br />
e a voi di ucciderci a vicenda?<br />
Sempre in questi ultimi trent’anni, dal 25 luglio<br />
1978, i bambini nati come Luisa Brown per mano<br />
di “altri” – medici, tecnici di laboratorio, spesso<br />
anche genitori o uno di loro – sono circa tre milioni<br />
nel mondo. Stanno bene, ma l’unico che io<br />
ho conosciuto – una bambina davvero bellissima<br />
– non sorride mai. Mi sono domandato perché<br />
e una risposta l’avrei, anche. Nessuno ha<br />
calcolato quanti fratellini e sorelline sono morti<br />
per farli nascere: probabilmente non meno di<br />
una ventina di milioni, considerati gli embrioni<br />
di scarto e quelli soprannumero. Nessuno ha mai<br />
dato loro un nome, come nessuno lo ha dato a<br />
quel miliardo e mezzo (e passa) di bambini abortiti.<br />
La loro vita, per chi non li vuole, vale meno<br />
di un nome, che non costa nulla dire. Anche meno<br />
del nome comune di “uomo”. Forse si chiamavano<br />
tutti Eluana.
6<br />
Marta Pietroni<br />
. Con queste parole, contenute<br />
nell’enciclica Evangelium Vitae n.27, l’allora pontefice<br />
Giovanni Paolo II volle assegnare alla bioetica<br />
un compito che andasse al di là di una particolare<br />
visione religiosa e che interpellasse direttamente la<br />
ragione dell’uomo, chiamandolo a riflettere in primis<br />
sull’intimo significato della sua stessa esistenza1<br />
. La bioetica esprime innanzitutto proprio questa<br />
necessità di dialogo tra le diverse forme di razionalità<br />
dell’uomo. La recente comparsa del termine, risalente<br />
al 1970 ad opera dell’oncologo americano V.R.<br />
Potter2 , rispondeva proprio alla necessità di una riflessione<br />
per l’uomo contemporaneo volta alla creazio-<br />
ne di un “ponte” tra<br />
le scienze naturali<br />
bio-sperimentali e le<br />
scienze umane etico-antropologiche<br />
per far fronte alla<br />
necessità di nuove<br />
forme di responsabilità<br />
dell’uomo nei<br />
confronti della vita.<br />
Di fronte alle incredibili<br />
conquiste della<br />
tecnica e della<br />
conoscenza scientifica,<br />
la bioetica si<br />
pone quindi come<br />
coscienza critica,<br />
indispensabile per<br />
far fronte ai nuovi<br />
sforzi richiesti all’unità<br />
della ragione3 .<br />
Sempre di più l’uomo<br />
sta prendendo<br />
coscienza che non<br />
sempre è eticamente<br />
lecito fare ciò<br />
che è tecnicamente<br />
possibile, una scienza e una tecnica senza una<br />
seria riflessione morale sono pericolose e falsamente<br />
neutrali, proprio perché in realtà dietro ogni agire c’è<br />
sempre una particolare visione dell’uomo, una particolare<br />
concezione del senso del suo esistere e del<br />
suo esserci. Ed è proprio su questo piano antropologico<br />
ed ontologico che è urgente discutere.<br />
Davanti agli occhi di tutti si stanno dispiegando modelli<br />
antropologici di riferimento che condizionano più<br />
o meno chiaramente la nostra esistenza, le nostre<br />
concezioni di corpo, malattia, e salute, di dignità e<br />
qualità della vita umana. Proprio per questo è doverosa<br />
e soprattutto non delegabile un’approfondita rifles-<br />
Settembre<br />
2008<br />
sione sulle questioni in gioco, sulla portata culturale<br />
dei cambiamenti in atto e sul necessario confronto<br />
tra quelle visioni antropologiche erroneamente e forzatamente<br />
rinchiuse all’interno del binomio laicità-cattolicesimo.<br />
A tal fine, tentando di spostare il confronto<br />
sul problema della fondazione del giudizio etico e sulla<br />
forza delle argomentazioni razionali e partendo proprio<br />
dalla nascita della bioetica, affronteremo, nei prossimi<br />
numeri di Eccelsia, cruciali e complesse questioni<br />
– quali la sperimentazione sugli embrioni, la<br />
diagnosi preimpianto, l’aborto, l’eutanasia, ecc. – con<br />
l’intento di offrire validi spunti di riflessione. presentando<br />
una chiave di lettura che fa riferimento a quella<br />
visione antropologica definita personalismo ontologicamente<br />
fondato4 . Esso, senza negare l’importanza<br />
dell’aspetto relazionale della soggettività e della<br />
coscienza, vuole sottolineare che 5 . E oggi una nuova sfida è posta proprio<br />
dall’utilizzo di questo importante e determinante<br />
concetto – persona – che sembra essere divenuto<br />
ancora di più un “attributo a discrezione”. Lungo il<br />
suo cammino l’uomo ha fatto grandi conquiste culturali,<br />
ha scoperto – e non inventato – valori oggi da<br />
molti condivisi ma purtroppo l’occhio umano pecca<br />
di vista ancora fortemente imperfetta, che rende l’uomo<br />
incapace di riconoscere sé stesso e di conoscersi.<br />
Se non saremo in grado di lottare e soprattutto di educare,<br />
quello che lasceremo alle nuove generazioni<br />
sarà un bagaglio culturale misero e biasimevole, quello<br />
di una società nella quale l’aborto vuole essere<br />
un diritto, dove per amore dei figli si lascerebbero<br />
sopravvivere quelli sani, dove per amore si staccherebbe<br />
la spina.<br />
1 Per la trattazione degli argomenti presentati si è fatto particolarmente riferimento al volume I del Manuale di bioetica,<br />
Fondamenti ed etica biomedica di Elio Sgreccia, Vita e Pensiero, Milano 2003.<br />
2 V.R.Potter, Bioethics. The science of Survival, in “Prospectives in Biology and Medicine”, 14(1), 1970, pp.127-153; Id.,<br />
Bioethics. Bridge to the Future, Prince-Hall, Henglewood Cliffs (N.J.) 1971.<br />
3 A.Pessina, Bioetica. L’uomo sperimentale, Bruno Mondadori, Milano 2000.<br />
4 Cfr E.Sgreccia, Manuale di bioetica, vol. I.<br />
5 Ivi, cit., pp. 60, 61.
Settembre<br />
2008<br />
Per il concilio Vaticano II il vescovo è «il principio<br />
visibile e il fondamento dell’unità della sua<br />
Chiesa» (LG 23). In essa e a suo favore, egli<br />
è il maestro della fede, il sommo sacerdote dei<br />
santi misteri, la guida del popolo di Dio a lui affidato. LG<br />
27 descrive il terzo di questi compiti, quello che si definisce<br />
munus regendi, cioè la funzione di guida o di governo<br />
nella Chiesa.<br />
Anche in questo caso il testo si offre come un esempio<br />
di progresso dottrinale nella continuità della Tradizione.<br />
Il paragrafo, infatti, accosta al dato già recepito dal Vaticano<br />
I – la funzione di «pastore universale» del papa, soggetto<br />
di autorità propria, diretta e immediata su tutta la<br />
Chiesa – l’affermazione dell’autorità propria, diretta e immediata<br />
del vescovo nella sua diocesi.<br />
Le due affermazioni sono suonate a molti come alternative<br />
e inconciliabili: come possono esistere contemporaneamente<br />
due autorità proprie, dirette e immediate?<br />
La storia del II millennio della Chiesa in Occidente,<br />
con la progressiva affermazione della visione piramidale<br />
e centralizzata della Chiesa che si era imposta nel Medioevo<br />
con la riforma gregoriana e aveva trovato il suo punto<br />
massimo di espressione nella definizione del primato<br />
petrino e dell’infallibilità del papa al Vaticano I sembravano<br />
sancire questa linea d’interpretazione. Peraltro, dopo<br />
il concilio si è imposta una recezione molto restrittiva del<br />
Vaticano I, che ha spesso ridotto i vescovi a funzionari<br />
e delegati del papa, unico detentore dell’autorità nella<br />
Chiesa.<br />
Contro questa lettura massimalista stavano le parole dello<br />
stesso Pio IX, il quale riconobbe come interpretazione<br />
autentica del Vaticano I e delle sue affermazioni dogmatiche<br />
la risposta dei vescovi tedeschi all’allora cancelliere<br />
tedesco, von Bismarck. I fatti sono presto riassunti:<br />
dopo il concilio, nel clima della Kulturkampf, il cancelliere<br />
prussiano aveva emanato una circolare in cui<br />
si sosteneva che, a seguito delle deliberazioni del Vaticano<br />
I, i vescovi risultavano privati della loro autorità, assorbita<br />
completamente da quella papale, ridotti al rango di<br />
funzionari di un sovrano straniero, per cui dovevano essere<br />
privati di ogni diritto attivo e passivo nel territorio dell’impero<br />
prussiano. I vescovi tedeschi avevano replicato<br />
che «tutte queste asserzioni sono prive di fondamento<br />
e in aperta contraddizione con il testo e il senso delle<br />
decisioni del concilio Vaticano I», asserendo che «l’autorità<br />
di giurisdizione ecclesiastica, posseduta dal<br />
papa, è una potestà suprema, ordinaria e immediata,<br />
conferita al papa da nostro Signore Gesù Cristo nella<br />
persona di Pietro ed estendentesi direttamente su tut-<br />
ta la Chiesa, e perciò sopra tutte e singole le diocesi e<br />
si tutti i fedeli per il mantenimento dell’unità della fede,<br />
della disciplina e del governo della Chiesa… Secondo<br />
questa dottrina, il papa è vescovo di Roma, non vescovo<br />
di alcun’altra diocesi o città; egli non è il vescovo di<br />
Colonia o di Breslavia etc. Ma in quanto vescovo di Roma,<br />
egli è anche papa, cioè pastore e capo della Chiesa universale,<br />
capo di tutti i vescovi e di tutti i fedeli». Dopo<br />
aver illustrato ampiamente la funzione del papa, i vescovi<br />
tedeschi affermano esplicitamente: «Come il papato<br />
è di istituzione divina, così lo è pure l’episcopato. Anch’esso<br />
ha i suoi diritti in virtù di questa istituzione, che il papa<br />
non ha il diritto né il potere di cambiare». Tali affermazioni<br />
sono state solennemente confermate come interpretazione<br />
autentica del concilio Vaticano I da Pio IX stesso,<br />
in una lettera apostolica del 4. 03. 1875, per dissipare<br />
il dubbio che la Santa Sede non fosse d’accordo<br />
con la risposta dell’episcopato tedesco: «la vostra dichiarazione<br />
– afferma il papa – riporta la dottrina cattolica<br />
autentica e per questo del sacro concilio e di questa<br />
Santa Sede».<br />
Il concilio Vaticano II non solo ha affermato con particolare<br />
enfasi la sacramentalità dell’episcopato (cfr LG<br />
21), ma ha voluto armonizzare i rapporti tra papa e vescovi<br />
soprattutto con la questione della collegialità (LG 22-<br />
23). LG 27 affronta questo medesimo tema sul piano<br />
del governo della Chiesa, risolvendo l’apparente concorrenza<br />
di due potestà proprie, ordinarie e immediate.<br />
Il problema che si presentava ai Padri del concilio<br />
era di non facile soluzione: come affermare l’autorità del<br />
vescovo sulla sua Chiesa senza compromettere l’autorità<br />
del papa sulla Chiesa universale, e quindi su ogni<br />
singola diocesi. Il testo si apre con un’affermazione che<br />
mette subito in chiaro la natura della funzione pastorale<br />
del vescovo verso la sua Chiesa: nel governo delle<br />
Chiese particolari a loro affidate i vescovi sono «vicari<br />
e delegati di Cristo», afferma il testo, che invoca a conferma<br />
due documenti del magistero pontificio: il breve<br />
Romana Ecclesia di Benedetto XIV (1752) e l’enciclica<br />
Mystici Corporis di Pio XII (1943). «Questa potestà, che<br />
i vescovi esercitano personalmente in nome di Cristo,<br />
è propria, ordinaria e immediata, quantunque il suo esercizio<br />
sia in definitiva regolato dalla suprema autorità della<br />
Chiesa e, entro certi limiti, in vista dell’utilità della Chiesa<br />
o dei fedeli, possa essere circoscritta». I due poteri stanno<br />
su due piani diversi: «Ai vescovi è pienamente affidato<br />
l’incarico pastorale ossia l’abituale e quotidiana cura<br />
del loro gregge, né devono essere considerati i vicari<br />
dei romani pontefici, perché esercitano una potestà che<br />
seconda parte<br />
7<br />
è loro propria e con tutta verità sono detti capi (Antistites)<br />
dei popoli che governano. La loro potestà, quindi, non<br />
è sminuita dalla potestà suprema e universale, ma anzi<br />
è da essa affermata, corroborata e rivendicata, poiché<br />
lo Spirito santo conserva invariata la forma di governo<br />
stabilita da Cristo Signore nella sua Chiesa».<br />
In questo numero sul munus regendi dei vescovi non<br />
era necessario spiegare oltre il rapporto papa-vescovi,<br />
già ampiamente illustrato nel tema della collegialità. Il<br />
testo invece continua con un’ampia esortazione, con continui<br />
rimandi biblici, che disegna il profilo del vescovo<br />
come Buon Pastore del suo gregge: «Il vescovo, mandato<br />
dal Padre di famiglia a governare la sua famiglia,<br />
tenga innanzi agli occhi l’esempio del Buon Pastore, che<br />
è venuto non per essere servito ma per servire e dare<br />
la sua vita per le pecore. Preso di mezzo agli uomini e<br />
soggetto a debolezze, egli può compatire quelli che sono<br />
nell’ignoranza o nell’errore. Non rifugga dall’ascoltare i<br />
sudditi che cura come veri figli suoi e che esorta a cooperare<br />
alacremente con lui. Dovendo render conto a Dio<br />
delle loro anime, con la preghiera, la predicazione e ogni<br />
opera di carità abbia cura di loro, e anche di quelli che<br />
non sono ancora dell’unico gregge, che deve considerare<br />
come affidati a sé nel Signore. Poiché egli, come<br />
l’apostolo Paolo, è debitore a tutti, sia pronto ad annunziare<br />
il vangelo a tutti e a esortare i suoi fedeli all’attività<br />
apostolica e missionaria».<br />
Il numero e l’intero capitolo – i nn. 28 e 29, sui presbiteri<br />
e i diaconi sono un’aggiunta dello Schema III – si<br />
conclude con una citazione di Ignazio di Antiochia applicata<br />
al rapporto dei fedeli con il loro vescovo: «I fedeli<br />
poi devono aderire al vescovo come la Chiesa a Gesù<br />
Cristo e come Gesù Cristo al Padre, affinché tutte le cose<br />
siano d’accordo nell’unità, e crescano per la gloria di Dio».<br />
Chiusa migliore non poteva esserci. L’intera sezione sui<br />
vescovi, che occupa il capitolo quasi per intero, trova<br />
qui un modello di Chiesa che, fondata nella correlazione<br />
tra il vescovo e la sua Chiesa, di cui è principio e<br />
fondamento dell’unità, trova e manifesta il suo principio<br />
fondante nella comunione: con le altre Chiese e con Pietro,<br />
principio e fondamento visibile dell’unità di tutta la Chiesa;<br />
con il Popolo a lui affidato, nell’unità con il presbiterio,<br />
e promuovendo tutti i ministeri, i carismi, le vocazioni<br />
necessarie alla sua Chiesa per essere la Sposa bella<br />
del Cristo<br />
Don Dario Vitali<br />
parroco e teologo
8<br />
Don Dario Vitali<br />
Il 17 agosto la Chiesa fa memoria di s. Chiara<br />
della Croce. Il 17 agosto 1308, infatti, a soli<br />
40 anni, Chiara di Damiano muore a<br />
Montefalco, nel monastero di s. Croce, dove<br />
era badessa. Le sue monache, assolutamente convinte<br />
della sua santità, nel desiderio di conservarne<br />
il corpo, procedono a tutte le operazioni necessarie<br />
al caso. Quando tolgono il cuore, ricordando<br />
le parole insistenti della loro badessa – Ajo Jesu<br />
Cristo meo entro lo core meo – lo aprono come si<br />
aprirebbe una melagrana e, a loro dire, vi trovano<br />
i segni della Passione di Cristo: la croce, la colonna,<br />
lo staffile, la lancia, l’asta con la spugna per l’aceto.<br />
La notizia si propaga in un battibaleno e le<br />
strade della bella cittadina umbra, oggi giustamente<br />
famosa per il Sagrantino, si riempiono di gente, con<br />
in testa il podestà e le autorità civili. Il medico ha<br />
certificato l’eccezionalità della scoperta e anche le<br />
autorità religiose, salite da Spoleto a Montefalco per<br />
punire una forma di esaltazione religiosa, si sono<br />
arrese di fronte a quelli che a tutti apparivano come<br />
i segni della passione nel cuore di Chiara.<br />
Oggi la scienza può spiegare meglio quella particolare<br />
morfologia cardiaca, sgombrando il terreno<br />
dagli aspetti troppo miracolistici per focalizzarsi sull’aspetto<br />
più propriamente spirituale della vicenda<br />
di Chiara. Vicenda davvero straordinaria per intensità<br />
e passione dell’amore, dove i segni della passione<br />
rimandano a un cammino di conformazione<br />
a Cristo unico, capace ancora<br />
oggi di stupire e di interrogare<br />
chi, senza preclusioni, voglia<br />
misurarsi con le scelte di<br />
questa donna di straordinaria<br />
bellezza, esteriore e interiore.<br />
Ma vediamo con ordine i fatti.<br />
Chiara nasce nel 1268 da<br />
Damiano e Giacoma, seconda<br />
di quattro figli: Teodora, la<br />
più piccola, morirà in fasce;<br />
Francesco, nato nel 1270, sarà<br />
frate francescano, lettore in teologia,<br />
provinciale dell’Ordine per<br />
la Valle spoletina; la prima,<br />
Giovanna, di 14 anni più<br />
grande, sarà la prima badessa<br />
del monastero di s. Croce.<br />
Tutto inizia con la scelta di<br />
Giovanna di farsi “reclusa”, di<br />
consegnarsi cioè a quella<br />
forma di consacrazione assai<br />
diffusa a quel tempo, che potremmo<br />
definire alternativa rispetto<br />
a quella praticata nei grandi<br />
ordini monastici e religiosi<br />
maschili e femminili. Il fenomeno,<br />
che investe tutta l’Europa, vede<br />
uomini o donne, singolarmente<br />
o in forma comunitaria,<br />
rinchiudersi volontariamente in<br />
un luogo – di qui il nome reclusorio<br />
o carcere (chi non ricorda le Carceri di Assisi?)<br />
ma anche “bizzocaggio”, perché queste donne venivano<br />
chiamate “bizzoche” – dove, vivendo di elemosina,<br />
si dedicavano a una vita di preghiera e di<br />
penitenza. Anche Giovanna fa questa scelta e si<br />
ritira con l’amica Andriola nel reclusorio a ridosso<br />
delle mura della città, costruito dal padre Damiano<br />
in un terreno di proprietà della famiglia (che doveva<br />
essere agiata, se nella parentela ci sono notai).<br />
A soli sei anni, Chiara prende a frequentare la sorella:<br />
ne imita i gesti, ne ripete le preghiere, incomincia<br />
le penitenze, entrando in un cammino di conformazione<br />
alla Passione di Cristo che caratterizzerà<br />
tutta la sua vita. Vuole essere tutta per il suo<br />
Signore e comincia un distacco da tutto e da tutti,<br />
infliggendosi penitenze severissime – flagellazioni,<br />
genuflessioni, prostrazioni, servizi umilianti, digiuni<br />
– che allarmano la stessa sorella, la quale la invita<br />
alla misura.<br />
L’esperienza di reclusa dura fino al 1290, anno in<br />
cui il vescovo di Spoleto erige s. Croce a monastero,<br />
scegliendo per le monache la regola agostiniana.<br />
La crescita numerica della comunità costringe questo<br />
gruppo di giovani donne a spostarsi dal primo<br />
reclusorio a uno più grande. La decisione è sostenuta<br />
ancora una volta da Damiano, il quale si fa carico<br />
della costruzione del secondo reclusorio, poco<br />
distante dal primo, dove ancora oggi sorge il monastero.<br />
La morte improvvisa del padre, a lavori non<br />
ancora ultimati, consegna le giovani a una esperienza<br />
drammatica: le altre case religiose e le stes-<br />
Settembre<br />
2008<br />
se autorità comunali osteggiano il nuovo reclusorio,<br />
con la motivazione che la città non è in grado<br />
di sostenere con la sua carità anche questo nuovo<br />
insediamento. Chiara e le sorelle sono costrette<br />
a una vita di stenti e devono ricorrere all’accattonaggio.<br />
Sarà un’esperienza che segnerà profondamente<br />
Chiara e la comunità. L’intervento del vescovo di<br />
Spoleto appiana la situazione, anche se non spegnerà<br />
le forme di ostilità verso questo nuovo monastero,<br />
posto sotto la guida di Giovanna, prima badessa,<br />
dal momento dell’erezione fino alla morte, avvenuta<br />
un anno e mezzo dopo, nell’autunno del 1291.<br />
È questo il primo periodo della vita di Chiara, che<br />
non è diverso da quello di tutte le recluse, se non<br />
per intensità della vita di penitenza e radicalità delle<br />
scelte. La sua regola è l’obbedienza alla sorella,<br />
donna di grande autorità che la guida e ne tempera<br />
le esagerazioni. La morte di Giovanna provoca<br />
uno sbandamento, acuito da uno stato interiore di<br />
deserto – la “notte dell’anima”, dirà Teresa d’Avila<br />
–, in cui sperimenta l’abbandono e il silenzio di Dio<br />
per ver peccato di vanità, «essendosi sentita qualcuno»<br />
perché il Signore rispondeva alle sue<br />
richieste di grazia. Questo periodo, che la purificherà<br />
e l’affinerà, durerà undici anni, durante i quali un<br />
senso profondo di indegnità e di inadeguatezza la<br />
spinge a cercare con ancora più intensità il<br />
Signore. È in questo travaglio che Chiara comprende<br />
la vita in Cristo e i suoi dinamismi, e matura una<br />
capacità di discernimento, accompagnata da carismi<br />
straordinari, che ancora oggi destano stupore.<br />
Peraltro, questa prova avviene quando Chiara è già<br />
badessa: le sorelle l’hanno indicata all’unanimità a<br />
succedere a Giovanna. Dopo aver supplicato di esse-
Settembre<br />
2008<br />
re risparmiata, assume questo incarico e serve le<br />
sorelle con grande capacità di guida della comunità.<br />
Attenta ai bisogni di tutte, ne rafforza il desiderio<br />
di santità, alimentandolo con la proposta dell’ideale<br />
di vita comune che sta alla base della regola<br />
agostiniana. È in questo periodo che rivela doni<br />
incredibili, come la conoscenza del cuore altrui, la<br />
preveggenza, la profezia. A scorrere la Vita scritta<br />
da Berengario, il vicario del vescovo di Spoleto che<br />
curerà i due processi di canonizzazione – quello diocesano<br />
e quello papale –si resta sorpresi dal numero<br />
degli episodi in cui Chiara rivela al suo interlocutore<br />
ciò che egli cela in cuore, invitandolo alla conversione.<br />
L’episodio più famoso è lo scontro con fra’<br />
Bentivenga, un grande predicatore francescano che<br />
aveva aderito alla setta del Libero Spirito – un gruppo<br />
spirituale nella galassia dei movimenti pauperistici<br />
del Medioevo che professava e praticava una<br />
dottrina in cui si giustificava la lussuria in nome della<br />
libertà dello spirito – e che aveva tentato di piegare<br />
la giovane badessa alle sue idee. Chiara non<br />
solo non cade nel tranello, ma ne smaschera le argomentazioni<br />
e, attraverso il fratello, lo denuncia al<br />
tribunale dell’Inquisizione. Per la nostra coscienza<br />
critica, che giudica un istituto ecclesiastico dai suoi<br />
abusi e dalle sue degenerazioni, questa scelta appare<br />
criticabile. Ma la decisione di Chiara è in linea<br />
con la sua volontà di custodire la comunità che le<br />
era affidata: troppi monasteri, per aver aperto le porte<br />
alla setta del Libero Spirito, si erano trasformati<br />
in bordelli. D’altronde, la donna non era sprovveduta:<br />
raccontano le fonti che alla grata del mona-<br />
DECRETO DI NOMINA A DIRETTORE<br />
DELL’ UFFICIO DIOCESANO PER L’INSEGNAMENTO DELLA<br />
RELIGIONE CATTOLICA<br />
stero arrivavano in continuazione prelati e teologi,<br />
a porre a Chiara – «donna illetterata» – questioni<br />
dottrinali, a cui sempre rispose con chiarezza e acume.<br />
Non per nulla le si attribuisce il titolo, tutto maschile,<br />
di defensor fidei. Ma più dei teologi e degli ecclesiastici<br />
– compresi i cardinali Colonna e Orsini – alla<br />
grata del monastero Chiara accolse i poveri nel corpo<br />
e nello spirito: a tutti dona ciò di cui hanno bisogno,<br />
fosse anche il necessario per il monastero, nella<br />
più completa fiducia in Dio provvidente; a nessuno<br />
fa mancare la sua parola che illumina le anime.<br />
Ogni giorno da s. Croce partiva per l’ospizio<br />
di s. Leonardo un paniere con 12 pani, in memoria<br />
dei 12 apostoli.<br />
Questa attività febbrile a favore degli altri – la comunità<br />
delle monache e i tanti che bussavano alla porta<br />
del monastero – mai la sottrassero dalla ricerca<br />
radicale ed esclusiva di Dio. La Vita racconta di una<br />
visione in cui Gesù stesso le appare come pellegrino<br />
alla ricerca di «un luogo forte» dove piantare<br />
la sua croce. È il cuore stesso di Chiara: «Ajo<br />
Jesu Cristo meo entro lo core meo». Il suo rapporto<br />
con Dio è tutto segnato di ripetute estasi, in una delle<br />
quali vede i tempi e i modi della Passione e percepisce<br />
anche sensibilmente il dramma della crocifissione.<br />
Dopo periodi prolungati di malattia, le monache<br />
le fanno preparare un lettino mobile. Adagiata<br />
su questo, si fa portare nell’oratorio, dove muore.<br />
L’affresco della cappella la ritrae seduta sul lettuccio,<br />
circondata dalle sorelle, tutta tesa all’incontro<br />
con Cristo. «Portami con te!», diceva al Signore; e<br />
alle sorelle, in una concitazione d’amore: «Tutte le<br />
cose ardono, tutte le cose ardono, e voi che fate?».<br />
Prot. VSCA 38/2008<br />
Fino ad oggi il Servizio di Direttore dell’Ufficio Scuola è stato svolto da Mons.<br />
Luigi Vari, vicario episcopale per la Pastorale.<br />
Al fine di ripartire più adeguatamente gli oneri e ringraziando Mons. Vari per<br />
l’ulteriore lavoro fin qui svolto,<br />
nomino con effetto immediato<br />
il Dr. Nicolino Tartaglione Direttore dell’Ufficio Scuola<br />
con l’incarico di curare i rapporti con le autorità scolastiche competenti e la gestione<br />
degli incarichi del corpo docente.<br />
Mons. Vari continuerà a seguire l’aspetto pastorale e formativo di indirizzo generale.<br />
<strong>Velletri</strong>, 01.09.2008.<br />
Il cancelliere vescovile<br />
Mons. Angelo Mancini<br />
BOLLETTINO DIOCESANO<br />
Vincenzo Apicella, vescovo<br />
9<br />
I suoi ultimi detti riverberano questo desiderio in cui<br />
si consuma la sua vita: «Bel gli è, bel gli è, bel gli<br />
è vita eterna! Non mi si afà, Segnore, sì gran pagamento»;<br />
«Tucta vita eterna me s’apparecchia, che<br />
me se revôle»; «Tucti noi ci allegriamo e cantiamo<br />
Te Deum laudamus, che Jesu meo me se revôle».<br />
Tutto della vita di Chiara esprime una sequela di<br />
Cristo nella radicalità evangelica della morte a se<br />
stessa, che trova il suo compimento alla comunione<br />
d’amore con Dio: «O Segnore, qui sci salli e quali<br />
son le scale per le quali sci salli? Non lo po dire,<br />
Segnore, se non chi è enflammato d’amore». Per<br />
chi sale a Monfefalco ed entra nel monastero di s.<br />
Croce, oggi di s. Chiara, è possibile percepire il riverbero<br />
di questo amore che ha consumato una donna<br />
straordinaria e ce ne riconsegna la memoria, perché<br />
possiamo – alla luce del suo esempio – rivedere<br />
e rafforzare le nostre fragili scelte di amore per<br />
Dio e per i fratelli.<br />
Chiara di Montefalco è una delle sante più documentate.<br />
Le testimonianze del processo diocesano del 1309 (di<br />
cui esiste un frammento) sono riassunte nella Vita di<br />
Chiara di Montefalco scritta da Berengario, tradotta<br />
in italiano dalla Città Nuova, Roma 1991. È stato pubblicato<br />
anche il Processo di canonizzazione di Chiara<br />
di Montefalco, a cura di E. Menestò (La nuova Italia<br />
editrice, Firenze1984) che contiene numerose delle<br />
486 testimonianze del processo papale. In preparazione<br />
è anche l’edizione critica della Relazione dei tre<br />
Cardinali, vale a dire la sintesi della vita che conferma,<br />
in buona sostanza, quanto detto da Berengario.
10<br />
don Cesare Chialastri*<br />
Per diverse settimane i mass media non hanno<br />
fatto altro che parlare di caccia ai rom,<br />
di blitz notturni della polizia nei luoghi dove<br />
vivono più o meno accampati gli extracomunitari,<br />
di gesti razzisti e violenti in alcune<br />
città del Sud e del Nord. Nel riportare queste notizie<br />
non sono mancati i sondaggi tutti concordi nell’attribuire<br />
ai clandestini la colpa principale dell’insicurezza<br />
che oggi colpisce il nostro Paese. I dati dei<br />
sondaggi ci devono far riflettere perché appaiono condizionati<br />
dal pregiudizio che equivale<br />
a e è sinonimo di .<br />
Poi è arrivato il del governo<br />
a cercare di dare risposte senza aver bene fissato<br />
le possibili soluzioni. Il rischio che si intravede in questo<br />
provvedimento è quello di mischiare problematiche<br />
che richiedono ulteriori precisazioni e soprattutto<br />
quello di lasciarsi prendere dalla fretta per dimostrare<br />
l’efficacia della maggioranza: in questo modo<br />
gli animi, già provati da fatti allarmanti che si sono<br />
verificati negli ultimi anni: stupri, violenze, rapine, ecc<br />
spesso compiuti da persone arrivate clandestinamente<br />
sul territorio italiano, si esasperano ancora di più.<br />
E nel mirino sono finite, oltre le etnie oggi più colpite<br />
e cioè romeni e rom, anche le scelte, considerate<br />
insufficienti e garantiste del precedente governo.<br />
Certo, l’immigrazione porta con sé problemi, anche<br />
complessi e gravi; ma è ancora più grave lasciarsi<br />
guidare dalla paura e dall’emotività, che sono sempre<br />
cattive consigliere (soprattutto per chi ha il dovere<br />
di decidere per il bene comune). In questo clima<br />
mi sembra utile non soffermarsi soltanto ad esaminare<br />
il approvato dal governo,<br />
ma provare<br />
a guardare gli<br />
immigrati dentro<br />
un contesto più<br />
ampio e cogliere<br />
come questo<br />
fenomeno ha<br />
bisogno di risposte<br />
si di tipo<br />
egolamentativi<br />
ma non meno<br />
importanti di tipo<br />
culturale. Un primo<br />
passo è da<br />
fare è quello di<br />
aiutare la gente<br />
a prendere<br />
coscienza che<br />
siamo di fronte<br />
ad un ,<br />
come ha<br />
scritto Benedetto<br />
XVI nel<br />
Messaggio per la<br />
Giornata mondiale<br />
del migrante<br />
e del rifugiato<br />
2007: non si<br />
può continuare ad affrontare il fenomeno con logiche<br />
emergenziali e a litigare, riempiendo tante trasmissioni,<br />
solo per dimostrare chi ha la strategia più<br />
efficace per controllarlo e snocciolare qualche risultato<br />
che qualcun altro proverà velocemente a sconfessare.<br />
Per tentare di risolverlo occorre risalire alle<br />
cause: la via insostituibile è la cooperazione internazionale.<br />
In questi anni i governi, di destra e di sinistra,<br />
hanno fatto tagli alla cooperazione internazionale<br />
ed aumentato la mitica voce .<br />
Da stime prudenziali effettuate dai tecnici del<br />
Ministero degli Interni si prevede che per attuare il<br />
nuovo pacchetto sicurezza occorrono, da qui al 2010<br />
circa, 390 milioni di euro. Oggi si calcola che i migranti<br />
siano nel mondo circa 195 milioni: una persona su<br />
35, più del 3% dell’umanità. Molti sono rifugiati e profughi<br />
che lasciano la patria controvoglia, spinti dalla<br />
miseria e dalla fame, dalla violenza, dalle guerre,<br />
dai conflitti etnici. Il fenomeno è inarrestabile e il suo<br />
prezzo è altissimo: dal 1988 ad oggi sono più di 12mila<br />
gli immigrati che hanno perso la vita nel tentativo di<br />
raggiungere l’Europa. L’ Italia (insieme alla Spagna)<br />
è il Paese più esposto per la sua posizione geografica:<br />
da noi, gli stranieri irregolari –individuati dalle forze<br />
dell’ordine- superano le 120mila unità l’anno, mentre<br />
gli stranieri residenti regolari (comunitari e non<br />
comunitari) sono circa 3.690.000, il 6,2% della popolazione<br />
totale (al 2006). Dunque non abbiamo a che<br />
fare con flusso transitorio che prima o poi finirà, ma<br />
con un fenomeno che sta dentro cambiamenti globali<br />
e il futuro dell’Italia sarà legato strutturalmente<br />
all’apporto degli immigrati. La cosa importante da fare<br />
(è questo il secondo passaggio dell’articolo) è cogliere<br />
le valenze positive del fenomeno. La prima positività<br />
riguarda il lavoro. I lavoratori immigrati aumentano:<br />
nel nostro paese sono 1 su 10 occupati. Nel<br />
Settembre<br />
2008<br />
2006 la forza lavoro straniera arrivava a 1.475.000<br />
persone, con un’incidenza del 6,1% sul PIL. Il 40%<br />
degli stranieri risultava impiegato nell’industria, il 55%<br />
sul terziario; più ridotta è la percentuale che si dedica<br />
all’agricoltura. Senza parlare del grande numero<br />
delle badanti e delle colf, che svolgono il loro servizio<br />
nelle famiglie a reddito modesto. Gli immigrati<br />
ultrasettantenni sono meno di 100mila è questa è<br />
un’altra risorsa da un punto di vista pensionistico e<br />
della previdenza. Una seconda positività che l’immigrazione<br />
porta con sé è l’equilibrio demografico.<br />
Qualche anno fa un documento dell’ONU affermava<br />
perché la generazione che nasce sia in grado di<br />
rimpiazzare quella che muore, ogni famiglia dovrebbe<br />
avere in media 2 figli. Oggi in Italia l’equilibrio demografico<br />
è garantito dalle donne immigrate. Questo sarà<br />
ancora più vero per il futuro. È certo che la struttura<br />
della popolazione italiana, da qui fino al 2020, subirà<br />
profondi mutamenti: i giovani lavoratori fino a 44<br />
anni diminuiranno di 4,5 milioni di unità (già ora né<br />
vengono meno 300mila l’anno); gli ultrasessantacinquenni<br />
passeranno dal 19% di oggi al 35%, cioè 1 su 3 supererà<br />
i 65 anni. Tutto questo per dire che risulta necessario<br />
l’apporto degli immigrati per la<br />
popolazione.<br />
Oltre a questo l’immigrazione offre una terza positività,<br />
non meno importante, di natura culturale, morale<br />
e religiosa. Essa contribuisce a rafforzare la dimensione<br />
di che è il tratto fondamentale<br />
della nuova società interreligiosa e interculturale<br />
di questo millennio. Innanzitutto :<br />
gli stranieri con almeno 5 anni di soggiorno che<br />
a fine 2006 erano 1.311.000 saranno 2.151.000 a<br />
fine 2008. sono una compenente stabile della nostra<br />
società. Nella : oggi su 10 immigrati 5<br />
sono europei (in particolare dall’Est Europa), 2 africani,<br />
2 asiatici<br />
e 1 americano.<br />
Nella scuola<br />
italiana, gli alunni<br />
figli di immigrati<br />
oggi sono<br />
più di mezzo<br />
milione, il 5,6%<br />
della popolazionescolastica:<br />
circa 1 su 16<br />
alunni. Il futuro<br />
del nostro<br />
Paese, quindi,<br />
è legato all’immigrazione:<br />
tra<br />
10 anni avremo<br />
più di mezzo<br />
milione nati da<br />
genitori stranieri<br />
residenti;<br />
tra 20 o 30<br />
anni gli immigrati<br />
supereranno la<br />
soglia dei 10<br />
milioni. Che<br />
senso ha continuare<br />
a criminalizzarli?<br />
Purtroppo va<br />
in questa linea
un provvedimento contenuto nel nuovo pacchetto<br />
di sicurezza: introduzione del reato<br />
di immigrazione clandestina. Esso tende ad<br />
abbassare in modo eccessivo la soglia di<br />
intervento penale fino a pensare che diventa<br />
un delitto una forma di irregolarità di tipo<br />
amministrativo ingolfando ulteriormente il funzionamento<br />
della giustizia (i famosi tempi<br />
rapidi dei processi!!). inoltre non diventa funzionale<br />
per l’effettivo allontanamento del cittadino<br />
irregolare dal territorio nazionale. Ma<br />
una previsione di questo tipo ha come presupposto<br />
che ogni clandestino corrisponda<br />
un criminale (si va nella linea dei famosi sondaggi!!),<br />
circostanza non confermata dalla<br />
realtà dei fatti né dai dati disponibili.<br />
Occorre pensare una efficace politica migratoria,<br />
che non solo formuli norme giuridiche<br />
adeguate a regolare i flussi, ma che si<br />
prenda a cuore l’inclusione degli immigrati.<br />
A questo riguardo, è un po’ desolante apprendere<br />
che l’attuale Governo, per garantire la<br />
copertura finanziaria alla detassazione<br />
dell’ICI sulla prima casa, ha tagliato (tra gli<br />
altri) più di 44 milioni di euro al Fondo per<br />
l’inclusione sociale degli immigrati (cfr Il Sole<br />
24 Ore, 28 maggio 2008). Ci illudiamo se<br />
continuiamo ad inseguire le soluzioni di emergenza<br />
(mi sembra che hanno il sapore degli<br />
spot o peggio ancora di chi mostra i muscoli),<br />
è necessario dare attenzione alla<br />
dimensione umana dell’accoglienza. Il miglior<br />
antidoto all’immigrazione illegale non è il carcere,<br />
ma una politica migratoria seria. La<br />
convivenza va costruita, non è solo un dato<br />
di fatto, non basta essere consapevoli della<br />
necessità della presenza degli immigrati.<br />
È lo Stato che deve stabilire i flussi di nuovi<br />
immigrati che è in grado di accogliere e<br />
di sostenere; preparare spazi di accoglienza<br />
degni di questo nome (basta con i blitz mattutini<br />
delle ruspe con a capo il sindaco di<br />
turno); perseguire giustamente i comportamenti<br />
illegali degli immigrati, ma, nello stesso tempo<br />
non faccia gesti che inducano alla xenofobia;<br />
abbia il coraggio di intervenire con decisione<br />
nel bloccare ogni forma di giustizia <br />
e dei blitz razzisti contro i rom e altri<br />
gruppi che non hanno nulla a che vedere<br />
con l’immigrazione clandestina, ma sono solo<br />
di essere quello che sono e di<br />
esistere. A conclusione di questa riflessione<br />
ci sembra di dire che di fronte ad un fenomeno<br />
così complesso non si devono chiudere<br />
gli occhi di fronte agli ostacoli da superare,<br />
inquietudini da vincere; l’incontro tra<br />
persone diverse ha creato e crea sempre<br />
delicati problemi in conoscenza e di accettazione<br />
culturale, sociale, politica e religiosa.<br />
Non ci dimentichiamo che ogni immigrato<br />
è persona, non solo forza lavora da utilizzare.<br />
In una visione cristiana, sono figli di<br />
Dio e nostri fratelli. Una politica che criminalizzi<br />
gli immigrati non è conciliabile con<br />
il Vangelo.<br />
* Direttore Caritas Diocesana<br />
Settembre<br />
2008<br />
I<br />
l 23 <strong>settembre</strong><br />
ricorrerà<br />
il terzo<br />
anniversario<br />
dall’inaugurazione<br />
del<br />
Progetto San<br />
Lorenzo della<br />
Caritas<br />
Diocesana di<br />
<strong>Velletri</strong>-<strong>Segni</strong>.<br />
L’anno appena<br />
trascorso ha<br />
visto volontari,<br />
operatori e<br />
detenuti della<br />
Casa<br />
Circondariale<br />
di <strong>Velletri</strong>,<br />
impegnati a<br />
collaborare<br />
per aprirsi<br />
all’esterno delle<br />
mura del<br />
carcere, in una<br />
parola, alla<br />
società. Oltre alle attività di sostegno morale e<br />
materiale ai detenuti e alle loro famiglie, all’interno<br />
e all’esterno del carcere, vari incontri nelle<br />
scuole, rappresentazioni teatrali e cineforum<br />
sono stati occasioni per raccontare e riflettere<br />
insieme su cosa siano concretamente la giustizia<br />
e il carcere in Italia, in questo momento in<br />
cui – con l’approvazione del cosiddetto “pacchetto<br />
sicurezza” – sono state approvate anche<br />
delle modifiche, che negativamente restringono<br />
le possibilità trattamentale all’interno degli<br />
istituti penitenziari.<br />
Ci è sembrato perciò significativo e necessario<br />
festeggiare questo terzo anniversario con un dibattito<br />
sul tema della giustizia. Durante il primo<br />
incontro di formazione, a novembre, don<br />
Sandro Spriano fondatore del VIC e cappellano<br />
di Rebibbia ci ha ricordato che noi siamo volontari<br />
non per il carcere ma per la giustizia e che<br />
la giustizia è una dimensione che nasce innanzitutto<br />
nel tipo di relazioni che ognuno di noi<br />
istaura con gli altri ad iniziare dalla propria famiglia<br />
e dall’ambiente circostante.<br />
La festa si svolgerà così venerdì 19 <strong>settembre</strong><br />
alle ore 20, a <strong>Velletri</strong>, in piazza San Clemente<br />
e sarà animata dall’esperienza di Don Luigi Ciotti,<br />
fondatore del Gruppo Abele e presidente di Libera.<br />
Il suo impegno per gli ultimi e per la costruzione<br />
di una società dove solidarietà e legalità viaggino<br />
insieme, è ben noto e possiamo confida-<br />
11<br />
re che sarà un’occasione importante anche per<br />
noi per accelerare su questa strada di giustizia.<br />
«Non abbiamo bisogno di città sicure ma di città<br />
vivibili. E il grado di vivibilità di una città<br />
lo si misura dal grado e dalla qualità delle relazioni<br />
sociali, dal grado e dalla qualità della partecipazione.<br />
Dall’attitudine dei suoi cittadini di<br />
guardarsi attorno, con un raggio di interesse e<br />
di conoscenza che non si limita a quello che li<br />
tocca in prima persona o a quello che accade<br />
nelle loro case. La sicurezza la si costruisce tutti<br />
insieme – cittadini, politici, amministratori –<br />
uscendo da ghetti mentali e culturali, maturando<br />
quella corresponsabilità che ci accomuna in<br />
quanto individui aperti alle relazioni, definiti nella<br />
nostra identità dal rapporto con gli altri».<br />
Don Luigi Ciotti<br />
“San Lorenzo” esiste:<br />
per aiutare la promozione e la formazione del volontariato<br />
penitenziario;<br />
per promuovere attività di sensibilizzazione sociale;<br />
per facilitare il godimento per i detenuti dei benefici<br />
di legge previsti.<br />
casa_sanlorenzo@yahoo.it<br />
tel/fax 069630845 (mattina)<br />
Piazza Ignazio Galli 7, 00049 <strong>Velletri</strong> (RM)
12<br />
Il 17 luglio 2008, nella vigilia della festa di<br />
S. Bruno, dopo una fase di progettazione,<br />
iniziata già da Don Franco Fagiolo, finalmente<br />
viene benedetta la Cappella Eucaristica rinnovata<br />
nei suoi arredi sacri.<br />
Per la Benedizione della cappella interviene il<br />
Vescovo S. Ecc. Mons. Vincenzo APICELLA, assistito<br />
dal diacono Vito<br />
CATALDI e coadiuvato<br />
dal Parroco Don Augusto<br />
FAGNANI e dal viceparroco<br />
Don Angelo<br />
PRIORESCHI.<br />
In osservanze delle<br />
norme liturgiche circa<br />
i luoghi propri della<br />
celebrazione e della<br />
custodia dell’eucaristia,<br />
nonché del decoro e giuste<br />
senso estetico la<br />
comunità di S. Bruno ha<br />
voluto fare del suo eglio<br />
per rendere questo spazio<br />
dell’edificio sacro confacente<br />
al suo significato<br />
ed alla sua finalità. E’<br />
nostra intima convinzione<br />
di aver un opera significativa,<br />
premessa di ulteriori impegni per l’arricchimento<br />
artistico della Chiesa.<br />
L’altare è STATO costruito in marmo per significare<br />
la presenza perenne di Cristo, donatore<br />
di forza per la chiesa.<br />
Il pannello frontale sempre in marmo bianco è<br />
impreziosito da una raffigurazione astratta del<br />
pane eucaristico per mettere in evidenza il luogo<br />
sul quale Cristo si dona alla chiesa e al mondo.<br />
Tale decorazione è decorata da accenni di<br />
foglia d’oro. L’ambone: essendo un luogo elevato<br />
(deriva infatti dal verbo greco anabàinein<br />
che significa salire), stabile, dal quale la Parola<br />
di Dio viene proclamata, è stato realizzato con<br />
lo stesso materiale e lavorazione dell’altare. Sul<br />
pannello frontale la lavorazione della pietra dà<br />
forma astratta ad una fiamma impreziosita anch’es-<br />
Settembre<br />
2008<br />
Colleferro, Parrocchia San Bruno:<br />
rinnovata la Cappella Eucaristica<br />
È prossimo il 28 Settembre, giorno in cui la<br />
città di <strong>Velletri</strong>, sarà invasa da migliaia di pellegrini<br />
che qui si incontreranno per pregare<br />
la Vergine Maria, insieme alla Comunità<br />
Cristiana della <strong>Diocesi</strong> <strong>Suburbicaria</strong> di<br />
<strong>Velletri</strong>-<strong>Segni</strong>.<br />
Questo incontro vuole essere una testimonianza<br />
che le confraternite laziali, vogliono<br />
fare con noi con l’aiuto di Maria Madre<br />
Nostra. La Testimonianza per un cristiano, è<br />
un fondamento della fede che non può essere<br />
omesso. È per questo motivo che tutte le<br />
comunità parrocchiali di questa diocesi, sono<br />
state invitate a partecipare a questo evento,<br />
proprio per testimoniare insieme, la Parola.<br />
Gesù portò la sua parola in ogni villaggio e<br />
territorio della Palestina, così i discepoli,<br />
dopo la sua morte e resurrezione, raccolti<br />
intorno alla Madre e sostenuti dallo Spirito<br />
Santo hanno annunciato il Vangelo a tutti fino<br />
agli estremi del mondo.<br />
sa con foglia d’oro ad evocare la presenza di<br />
Dio. Nella vetrata laterale sono rappresentati lateralmente<br />
il chicco di grano che sta germogliando<br />
sotto la terra bruna e la spiga di un giallo intenso;<br />
mentre nella parte centrale tre fasce luminose<br />
(simbolo della presenza di Dio) squarciano<br />
il pane eucaristico che è rappresentato come<br />
un grande sole splendente<br />
di luce propria. La sede<br />
del celebrante con due sgabelli<br />
laterali sono state realizzate<br />
con lo stesso<br />
marmo del resto dell’arredo,<br />
in particolare la sede<br />
è stata arricchita, sulla sua<br />
parte anteriore inferiore,<br />
di una decorazione dorata.<br />
Il tabernacolo, di forma cilindrica<br />
è posto su una colonna<br />
dello stesso marmo del<br />
resto dell’arredo, è di forma<br />
cilindrica ed è stato<br />
realizzato in metallo dorato<br />
e decorato per mettere<br />
in evidenza la preziosità<br />
del pane eucaristico<br />
che vi è custodito. Sulla<br />
superficie frontale è raffigurata l’ancora e due pesci,<br />
simbolo di Cristo. Il completamento di questa cappella<br />
è stato reso possibile anche con il contributo<br />
dei fratelli Claudio e Veraldo Gessi in memoria<br />
dei loro genitori defunti.<br />
Oggi tocca a noi e in modo proprio ogni confraternita<br />
ha come finalità, sull’esempio dei<br />
discepoli, uscire fuori dai propri oratori e<br />
testimoniare agli altri Cristo insieme a Maria.
Settembre<br />
2008<br />
L<br />
a morte in croce del Signore, sembrerebbe il momento più triste<br />
e senza futuro di tutta la Bibbia ma è, in realtà, il momento che<br />
protende il cristiano verso il momento più gioioso e più allegro della<br />
stessa Bibbia: la Risurrezione del Signore. Attraverso la croce e la morte,<br />
l’uomo è portato a sperimentare l’allegria della Vita che risorge e che<br />
traina la storia. Ed è questa stessa Vita, questa stessa allegria, che resta<br />
presente nella storia grazie alla Chiesa costruita con pietre vive.<br />
Il che non significa che anche il cristiano non possa sperimentare il dolore<br />
o la morte che portano tristezza, ma questo sentimento ha la caratteristica<br />
di essere provvisorio perché è circondato e pervaso da un atteggiamento<br />
di fondo del cristiano che è di allegria, atteggiamento che si acquista con<br />
il Battesimo e che non termina mai ma, anzi, trova il compimento nella visione<br />
beatifica di Colui che ci dona quest’allegria.<br />
Questa lunga premessa vuole essere un’introduzione a una serie di articoli<br />
e di interventi che durante quest’anno ci accompagneranno e ci aiuteranno<br />
a riflettere sui tre “consigli evangelici” di povertà, castità e obbedienza<br />
che la Chiesa chiede ad ogni sacerdote di accogliere e fare propri.<br />
Questi tre “consigli” sembrano, a una prima occhiata, una privazione, un<br />
rifiuto di beni materiali, di affetti e di libertà che porterebbero tristezza e che<br />
male si accompagnerebbero con quell’allegria che ci dona la fede nel Risorto.<br />
In realtà povertà, castità e obbedienza non sono “un di meno”, ma “un di<br />
più” che il sacerdote, e chi si prepara a diventarlo, deve accogliere. Essi<br />
sono un dono che il Signore fa a coloro che chiama a partecipare in maniera<br />
speciale al Suo sacerdozio. Ed essendo un dono sono un qualcosa in<br />
più che viene aggiunto alla natura umana e, come ogni cosa che<br />
viene aggiunta e donata, portano allegria in chi li accoglie. Essi,<br />
perciò, non sono in contrasto con l’allegria della fede ma la<br />
aumentano e la elevano, cosicché coloro che sono chiamati<br />
al sacerdozio possono partecipare in maniera il più<br />
possibile piena al sacerdozio unico di Cristo.<br />
In definitiva, il fatto che i “consigli evangelici” sono<br />
un dono del Padre è uno dei motivi che ne<br />
richiedano l’accettazione, anche se non è<br />
l’unico. Infatti ci sono altri motivi che spingono<br />
il cristiano che si incammina<br />
al sacerdozio ad accogliere i doni<br />
di povertà, castità e obbedienza.<br />
Tra tutti, una spinta all’accoglienza<br />
dei “consigli evangelici”<br />
viene anche<br />
dal radicalismo evangelico,<br />
cioè dall’accoglienza<br />
piena e<br />
senza<br />
limi-<br />
13<br />
tazioni del Vangelo e di tutte le sue istanze: «per tutti i cristiani, nessuno<br />
escluso, il radicalismo evangelico è un’esigenza fondamentale e irrinunciabile,<br />
che scaturisce dall’appello di Cristo a seguirlo e ad imitarlo, in forza dell’intima<br />
comunione di vita con lui operata dallo Spirito. Questa stessa esigenza<br />
si ripropone per i sacerdoti, non solo perché sono “nella” Chiesa, ma<br />
anche perché sono “di fronte” alla Chiesa, in quanto sono configurati a Cristo<br />
Capo e Pastore, abilitati e impegnati al ministero ordinato, vivificati dalla<br />
carità pastorale. Ora, all’interno e come manifestazione del radicalismo evangelico<br />
si ritrova una ricca fioritura di molteplici virtù ed esigenze etiche che<br />
sono decisive per la vita pastorale e spirituale del sacerdote, come, ad esempio,<br />
la fede, l’umiltà di fronte al mistero di Dio, la misericordia, la prudenza.<br />
Espressione privilegiata del radicalismo sono i diversi “consigli evangelici”,<br />
che Gesù propone nel Discorso della Montagna e tra questi i consigli,<br />
intimamente coordinati tra loro, d’obbedienza, castità e povertà: il sacerdote<br />
è chiamato a viverli secondo quelle modalità, e più profondamente secondo<br />
quelle finalità e quel significato originale, che derivano dall’identità propria<br />
del presbitero e la esprimono» 1 .<br />
Tralasciando le molte implicazioni che suscita questa citazione di Giovanni<br />
Paolo II, mi vorrei soffermare sul rapporto tra radicalismo evangelico e l’interconnessione<br />
di povertà, castità e obbedienza. Il papa fa notare che i tre<br />
“consigli evangelici” sono «intimamente coordinati tra loro», il che fa conseguire<br />
che dall’accettazione o dal rifiuto di uno di essi deriva l’accettazione<br />
o il rifiuto degli altri due. Nel caso di un rifiuto, il sacerdote, o chi si sente<br />
chiamato a diventarlo, non può evidentemente vivere il radicalismo evangelico,<br />
sperimentando così una mancanza rispetto alla pienezza con<br />
cui Cristo ci chiede di vivere la nostra vita di battezzati. Nel caso<br />
di un’accettazione piena di questi “consigli” si fa, invece, un<br />
passo in avanti nel radicalismo evangelico, il che porta a<br />
sperimentare una maggiore pienezza di vita e, come<br />
ogni cosa buona in più, fa sperimentare maggiore<br />
allegria.<br />
1 GIOVANNI PAOLO II, Pastores dabo vobis,<br />
27.<br />
Allegoria dell’obbedienza,<br />
Giotto, 1330;<br />
Assisi,<br />
Basilica di San Francesco
14<br />
Per la nostra comunità, Luglio significa<br />
Campeggio, perché è da 30 anni(cominciò<br />
don Franco Risi nel 1978) che la<br />
nostra parrocchia organizza questa attività<br />
che vede ogni anno la partecipazione di circa<br />
150 ragazzi, divisi in due turni: il primo per i<br />
ragazzi dell’ACR dai 12 ai 14 anni e il secondo<br />
per i giovanissimi.<br />
Mettere su un campo come il nostro non è cosa<br />
facile: sono tante le persone che gratuitamente<br />
si danno e mettono a disposizione il loro tempo,<br />
e alcune anche le loro ferie, per dare la possibilità<br />
ai ragazzi di vivere insieme un’esperienza<br />
che risulta essere indimenticabile. Sono gli uomini<br />
della “struttura” che, una settimana prima dell’inizio<br />
dell’attività partono, armati di tanto entusiasmo<br />
e buona volontà, per “montare” il campo:<br />
piantare le tende, mettere su la cucina, le<br />
docce, i bagni e il mitico capannone che ci accompagna<br />
da moltissimi anni. Sono le cuoche che<br />
fanno con noi questa esperienza e che, con il<br />
forno sempre acceso e i pentoloni sempre pieni<br />
, ci coccolano come vere mamme, preparando<br />
ogni giorno piatti prelibati e sfiziosi. E poi ci sono<br />
tutti i ragazzi che decidono di partecipare al campeggio.<br />
Sono in media otto per tenda, guidati<br />
da un educatore, il capotenda, che dorme con<br />
loro e svolge insieme a loro tutte le attività.<br />
Come è una giornata al campo? Dopo la sveglia,<br />
al suono dell’immancabile fischietto del governatore(il<br />
responsabile del campo), c’è un<br />
momento di preghiera con il quale chiediamo al<br />
Signore di vegliare sulla nostra giornata e di guidare<br />
tutte le nostre attività. Dopo la colazione<br />
c’è il momento della “pulizia tenda” durante il quale,<br />
a ritmo di musica e a passo di samba, salsa<br />
e cha cha cha, i ragazzi sistemano sacchi a<br />
pelo, materassi, cuscini,… Poi c’è il momento<br />
dedicato all’argomento: i ragazzi si incontrano<br />
tutti insieme per ascoltare la presentazione del<br />
tema della giornata che, in genere viene fatta<br />
dagli educatori, dopodiché si dividono in gruppi,<br />
insieme ai loro capitenda, per riflettere , confrontarsi<br />
e svolgere delle attività che verranno<br />
poi presentate nel momento di preghiera della<br />
sera. Gli argomenti di entrambi i turni sono pensati<br />
e scritti dal nostro parroco Don Gigi, e dagli<br />
educatori della parrocchia che propongono gli<br />
obiettivi e preparano i gesti e le attività da svolgere.<br />
Quest’anno l’argomento del campo ACR<br />
aveva per titolo “…FORZA IN MARE” ed è stata<br />
una riflessione sulla loro vita, le loro paure,<br />
le scelte, le loro certezze, partendo dai ricordi<br />
di un vecchio pescatore che raccontava alcuni<br />
momenti della vita di Gesù con i suoi discepoli<br />
sulla barca, sul lago di Tiberiade.<br />
Attraverso la riflessione sui relativi brani evangelici,<br />
le attività e i momenti di preghiera, i ragazzi<br />
hanno scoperto che è bello gettare sempre<br />
le reti e mettere la nostra vita nelle mani di Dio,<br />
e anche che la vita riserva sorprese non sempre<br />
piacevoli, ma con noi sulla barca c’è Gesù,<br />
l’amico che ci tende continuamente<br />
la mano. Il campo dei giovanissimi aveva<br />
per tema “MA DAVVERO BASTA<br />
IL PROFUMO DELLE VIOLE?”, tratto<br />
dalla canzone “Cammina nel sole”<br />
di Gianluca Grignani ed era una riflessione<br />
sulle problematiche relative a<br />
questa fascia di età, partendo da sei<br />
canzoni: “Cammina nel sole”, “Il<br />
Maestro” di Renato Zero, “Dare to live”<br />
di Laura Pausini e Bocelli, “Così celeste”<br />
di Zucchero, “Strada facendo” di<br />
Baglioni e “Cambio stagione” di Ron<br />
e Carmen Consoli. Ad ogni canzone<br />
Settembre<br />
2008<br />
era legato un brano del Vangelo che ha aiutato<br />
a riflettere sul coraggio, sulla passione,<br />
sull’importanza di fare scelte, guidati da Gesù<br />
il “Maestro” che punta su ciascuno di noi.<br />
“Strada facendo”, a ritmo di musica , i ragazzi<br />
hanno capito che è bello camminare insieme<br />
e con passione migliorare ciò che ci circonda,<br />
colorando la nostra anima, rendendola<br />
“così celeste”. I ragazzi ,nelle loro riflessioni,<br />
hanno espresso il desidero e la volontà,<br />
di poter continuare il loro cammino “iniziato<br />
nel sole”.<br />
Dopo questo momento la mattinata al campo<br />
prosegue con i servizi: i campeggiatori<br />
sono, cioè, impegnati a svolgere delle attività<br />
che servono per vivere bene insieme i<br />
giorni al campo. Ecco allora i ragazzi, che,<br />
a turno ,si dedicano alla pulizia del campo,<br />
vanno in cerca della legna che servirà per<br />
il falò della sera, preparano le scenette da<br />
presentare agli altri ragazzi per passare insieme<br />
la serata, aiutano in cucina e curano i<br />
momenti di preghiera con il “servizio liturgia”.<br />
Dopo il pranzo e un po’ di riposo, ci si ritrova<br />
di nuovo tutti insieme per un’ escursione o<br />
per fare dei giochi.<br />
Dopo le docce(rigorosamente fredde), la Messa<br />
e la cena, c’è un momento molto particolare, chiamato<br />
“momento di interiorità”, durante il quale,<br />
per un po’, ogni tenda si ritrova con il proprio<br />
capotenda per parlare, ripensare alla giornata<br />
e risolvere eventuali problemi che possono nascere<br />
all’interno del gruppo.<br />
Poi c’è il momento del falò dove tutto il campo,<br />
riunito attorno al fuoco, canta, gioca, ride delle<br />
scenette preparate e ascolta le lettere dello struzzo:<br />
una scatola dove ognuno può imbucare una<br />
lettera con riflessioni, ringraziamenti, pensieri e…tutto<br />
ciò che vuole. Alla fine della serata c’è un canto<br />
che ormai ci accompagna da trent’anni e che<br />
tutti i valmontonesi, che in questi anni hanno partecipato<br />
al campeggio ricordano con piacere: “Al<br />
cadere della giornata”, una preghiera che i ragazzi<br />
amano cantare abbracciati l’un l’altro guardando<br />
le stelle, intorno al fuoco acceso.<br />
Due giornate, in ogni turno, sono dedicate alla<br />
“grande gita”: una scalata sui monti dell’Abruzzo,
Settembre<br />
2008<br />
il Gran Sasso, Serra Celano, il monte Sirente,<br />
un’ escursione della Valle dell’Orfento o una passeggiata<br />
molto suggestiva nel Canyon delle Gole<br />
di Celano. Molto sentita è anche la “giornata dei<br />
genitori”, la domenica in cui i genitori, parenti e<br />
amici vengono a farci visita , è il giorno in cui<br />
tutta la nostra comunità parrocchiale, e non solo,<br />
si sposta ad Ovindoli…<br />
Ecco, il nostro campeggio è tutto questo e molto<br />
di più perché, come ha scritto, in una lettera<br />
allo struzzo,un amico di Gavignano che quest’anno<br />
ha voluto fare questa esperienza con noi, “in alcune<br />
situazioni senti veramente la presenza del<br />
Signore accanto a te, e questa è una di quelle”<br />
. Al campeggio, nel corso di questi anni, abbiamo<br />
avuto la gioia di vivere insieme intensi momenti<br />
di comunità: abbiamo per esempio festeggiato<br />
Sara Gilotta<br />
“ Fra tutte le schiere di curve, egli si<br />
distingueva per il portamento eretto…<br />
i capelli, gli erano caduti tutti per quella<br />
bella vita. I suoi occhi non correvano<br />
qua e la per la mensa, ma fissavano<br />
qualcosa di invisibile… Mangiava<br />
calmo la sua brodaglia acquosa e<br />
non chinava la testa nella scodella,<br />
come tutti, ma la teneva alta, portandosi<br />
il cucchiaio alla bocca. Di denti<br />
non ne aveva più uno, né sopra, né<br />
sotto. Aveva una faccia estenuata,<br />
ma non tale da farlo sembrare un<br />
invalido ridotto ad un cencio, bensì da<br />
dar l’impressione di essere scolpita in<br />
pietra dura… E si vedeva anche che<br />
si ostinava a rimanere sempre quello<br />
di una volta…”<br />
In un caldo giorno d’agosto è morto in<br />
tarda età lo scrittore russo del XX secolo<br />
più famoso e più letto, colui che rivelo<br />
al mondo in pagine immortali, che gli<br />
valsero ne 1970 il premio nobel per la<br />
letteratura, il vero volto dell’URSS e soprattutto<br />
quello dei terribili anni in cui governò<br />
Stalin e le parole sopra riportate, tratte<br />
dal romanzo-diario “Una giornata di<br />
Ivan Dennisovic, rivelano subito che cosa<br />
lo scrittore pensasse dei gulag e della vita che in essi<br />
si svolgeva. Infatti, se il vecchio sopra descritto è<br />
simbolo della ribellione muta, che tuttavia non nuoce<br />
al regime, è Ivan che insieme a molte migliaia di<br />
sventurati compagni, rappresenta nel desiderio di sopravvivenza,<br />
che nemmeno il carcere più duro riesce ad<br />
uccidere, i milioni di Sovietici, che hanno dovuto piegarsi,<br />
senza spezzarsi, che hanno imparato ad arrangiarsi,<br />
cercando di sottrarsi alla violenza e ai soprusi,<br />
che inevitabilmente il gulag porta con sé. E non<br />
solo il gulag, perché è evidente che la denuncia di<br />
Solgenitsin tocca tutta la società sovietica del tempo<br />
di Stalin, nella quale non piegarsi, significò spesso<br />
non semplicemente ribellarsi eroicamente e mori-<br />
un XXV anniversario di matrimonio e quest’anno,<br />
una famiglia della nostra parrocchia, ha deciso<br />
di far battezzare la loro quarta figlia,<br />
Rachele, lì tra i boschi di Ovindoli e le nostre<br />
tende, perché hanno scritto: “il campeggio della<br />
nostra parrocchia è un esempio fantastico di<br />
comunità”. Qui si è se stessi, senza paure, non<br />
conta il vestito che porti, l’età, l’aspetto…quello<br />
che conta davvero è vivere senza “sprecare”<br />
nemmeno un minuto del tempo trascorso lì,<br />
aprirsi a nuove amicizie conoscere il cuore di<br />
chi vive con te questa esperienza e dare il meglio<br />
di te per stare bene e far star bene chi sta lì. Il<br />
campeggio riesce a insegnare tanto e lascia ricordi<br />
incancellabili come tante piccole perle da conservare<br />
nel sacchetto del proprio cuore.<br />
Vogliamo chiudere con uno stralcio di una let-<br />
re per le proprie idee, ma ancor più adattarsi, continuare<br />
a lavorare, cercando di mantenere viva la propria<br />
dignità,nella dolorosa consapevolezza che significa<br />
accettare con lucidità dolorosa anche il peggiore<br />
dei sistemi politici, per cercare di modificarlo dall’interno<br />
e forse contribuire ad abbatterlo. Insomma Ivan rappresenta<br />
tutto il popolo russo, che sempre ha subito<br />
la storia, senza tuttavia perdere se stesso e le sue<br />
virtù. Un popolo eroicamente silenzioso dunque, quello<br />
descritto da Solgenitsin, che per bocca dello scrittore<br />
ha posto al presente e al futuro domande fondamentali,<br />
domande però, che, nonostante tutto non<br />
hanno ancora trovato risposte concrete e definitive.<br />
Intanto perché, se pure il comunismo sovietico si sia<br />
15<br />
tera scritta da una famiglia di Palestrina che è<br />
venuta a farci visita: “lasciamo questo campeggio<br />
con un pizzico di malinconia, ma con tanta gioia<br />
nel cuore, perché in questi due giorni in vostra<br />
compagnia abbiamo respirato un clima di serenità<br />
e gioia vera date dall’amore di Dio che anima<br />
le vostre giornate, il vostro cammino.<br />
Anche se non conosciamo tutti i nomi, certamente<br />
i vostri volti e i vostri sorrisi rimarranno sempre<br />
impressi nel nostro cuore. Ringraziamo don Gigi<br />
per questa bella occasione”.<br />
Anche noi, a nome di tutta la nostra comunità<br />
parrocchiale e insieme ai tantissimi campeggiatori<br />
vogliamo ringraziare don Gigi che, nonostante<br />
la fatica che comporta organizzare questa<br />
attività, continua a farlo con l’umorismo, l’entusiasmo<br />
e la passione di sempre.<br />
esaurito, non è ancora tramontato davvero<br />
il genere della dittatura comunista, se è<br />
vero che i Cinesi, che costituiscono un quinto<br />
della razza umana ancora vive sotto un<br />
regime, che le cronache recenti hanno confermato<br />
essere sanguinario e repressivo,<br />
nonostante da parte di tutto il mondo, si<br />
chieda al governo cinese il rispetto dei diritti<br />
umani. E purtroppo i diritti umani non sono<br />
rispettati in troppe parti del mondo e comunque<br />
sempre essi vengono traditi, nel momento<br />
in cui anche una sola condanna a morte<br />
venga eseguita, quale che sia il governo<br />
che prenda tale decisione. Non solo,<br />
ma, purtroppo il principio della “cosiddetta<br />
politica di lavoro correzionale”, che è<br />
stato ben conosciuto dall’intera Europa nella<br />
prima metà del secolo ventesimo, con<br />
il nazismo e il comunismo, non sembra scomparso<br />
davvero se da più fonti giungono notizie<br />
che confermano il timore che nel mondo<br />
ad esso si continui a ricorrere per perseguitare<br />
i propri simili nel mondo più abbietto,<br />
così come la tortura, la violenza e il sopruso<br />
non appartengono al passato, ma fanno<br />
parte molte terribili realtà contemporanee,<br />
che fingiamo di non conoscere, come<br />
accade con i terribili s6termini, che hanno<br />
insanguinato il secolo ventesimo.<br />
Dunque le pagine dello scrittore russo, non<br />
solo non hanno perso nulla della loro importante attualità,<br />
ma continuano ad interrogarci , affinché l’uomo<br />
del nostro tempo voglia tentare di comprendere che<br />
la società contemporanea, come quella descritta in<br />
“Divisione cancro” brucia di colpevoli silenzi, di falsa<br />
giustizia, dove il cancro, come suggerisce<br />
Solgenitsin, diventa simbolo e misura del male che<br />
avvolge il mondo travolto da problemi gravissimi, da<br />
cui a mala pena comprende il senso e che cerca di<br />
risolvere o con atteggiamenti di fatalismo distruttivo<br />
o con la superficialità di chi crede ancora che si<br />
possa essere qualcuno cui affidarsi, per cambiare<br />
il mondo, senza impegno personale e senza sacrifici<br />
personali.
16<br />
ELEVAZIONI SPIRITUALI<br />
ALL’ORGANO “MORETTINI”<br />
Tra i tanti, preziosi gioielli d’arte<br />
che la Cattedrale di <strong>Segni</strong> racchiude,<br />
un posto di rilievo<br />
spetta allo storico organo<br />
“Morettini”.<br />
Costruito nel 1857, è situato nella cantoria<br />
principale della chiesa ed è un esempio<br />
classico di organaria italiana ottocentesca:<br />
dotato di una sola tastiera e di una pedaliera<br />
di ridotte dimensioni, è ricco, però,<br />
di registri “da concerto”. Caratteristica principale<br />
è la purezza e gravità della sonorità<br />
“da ripieno”, la varietà timbrica nei<br />
registri “ad ancia” e la sfavillante lucentezza<br />
dei registri di “flauto”, non ultimo<br />
il brillante effetto del registro dei “campanelli”.<br />
Strumento principe per dare solennità e<br />
decoro alle celebrazioni liturgiche, nello<br />
scorso mese di agosto l’organo è stato<br />
il protagonista di una singolare iniziativa<br />
ideata dal parroco, Mons. Franco<br />
Fagiolo, e molto apprezzata dai segnini<br />
e dai forestieri in vacanza nella nostra<br />
cittadina.<br />
Le note dell’organo si sono unite, in un<br />
percorso fluido e coinvolgente, ai versi<br />
di poeti contemporanei per dar vita, il 10<br />
ed il 15 agosto, alle Elevazioni Spirituali.<br />
Nel primo appuntamento i testi di Padre<br />
Turoldo, Marco Beck e Giuliano Ladolfi,<br />
hanno proposto il tema della fede, le difficoltà<br />
del credere, della coerenza, della<br />
testimonianza, per giungere ad un appro-<br />
do fiducioso, consapevole e rassicurante<br />
(Ora vedo, Ti riconosco./ Hai<br />
folgorato/ lo sguardo incerto, non la via,/<br />
quando tra le Tue Braccia/ mi sono addormentato).<br />
Nel giorno dell’Assunta, invece,<br />
sono state le parole di don Tonino<br />
Bello, tratte da Maria, donna dei nostri<br />
giorni, a guidare l’elevazione: la primizia<br />
dei risorti, la Regina del Cielo è donna<br />
dei nostri giorni, ha vissuto e capisce<br />
le nostre difficoltà, i nostri timori, le<br />
nostre incertezze e proprio per questo<br />
è per noi Madre, sorella, confidente, solerte<br />
compagna di strada. Il tessuto musicale<br />
con il quale i versi si sono intersecati<br />
ha proposto Autori quali Zipoli,<br />
Frescobaldi, Buxtehude, Corelli, particolarmente<br />
consoni alle caratteristiche<br />
dell’organo Morettini e capaci, in virtù<br />
del linguaggio universale della musica,<br />
di toccare l’intimo dei presenti, di<br />
accompagnare nella riflessione e nell’approfondimento<br />
dei temi presentati.<br />
All’organo, efficace esecutrice, Cristina<br />
Bonanni, mentre i lettori sono stati Flavia<br />
Barcellona ed Annalisa Ciccotti.<br />
Nella fretta e superficialità che spesso<br />
caratterizza le vacanze estive, le<br />
Elevazioni Spirituali hanno costituito un<br />
momento veramente significativo per approfondire<br />
la propria fede, per riflettere sulla<br />
propria vita, ed al tempo stesso sono<br />
state un vero godimento artistico e spirituale.<br />
Settembre<br />
2008
Settembre<br />
2008<br />
Fernanda Spigone<br />
A <strong>Segni</strong>, in via Rossi, timida, quasi<br />
vergognosa di esserci, c’è una<br />
bella costruzione dal fianco<br />
rotondeggiante e morbido, simile<br />
ad una materna figura che prelude<br />
ad accoglienza e generosità:<br />
è la ex chiesa di San Lorenzo.<br />
Anticamente, se vado ad attingere<br />
ai miei ricordi di bambina,<br />
la chiesa era sede di confraternite,<br />
in modo particolare ricordo<br />
quella della “ Buona Morte”:<br />
era proprio da lì, dalla chiesa di<br />
San Lorenzo che uscivano gli adepti<br />
di questa confraternita per accingersi<br />
a seguire la processione<br />
del Cristo Morto.<br />
Noi bambini atterrivamo nel<br />
vedere i neri uomini incappucciati<br />
che, furtivamente, uscivano<br />
dalla chiesa per raggiungere,<br />
poco più giù, la cattedrale e<br />
quindi schierarsi, in ordine, dietro<br />
il lungo corteo.<br />
Tutto questo ha sempre contribuito<br />
a circondare di fascino e<br />
mistero la chiesa quasi fagocitata<br />
dalle abitazioni modeste che<br />
la attorniano, in esilio dalle<br />
grandi piazze e sempre lontana<br />
dai solenni fasti religiosi, a darle<br />
aria solo lo squarcio stupendo<br />
sui monti Lepini che si fa strada<br />
fra un caseggiato e l’altro e<br />
va a corrispondere proprio con<br />
l’entrata principale della Chiesa.<br />
Oggi la ex chiesa di San<br />
Lorenzo, è la suggestiva sede<br />
dell’Associazione Artisti <strong>Segni</strong>ni<br />
egregiamente diretta dal presi-<br />
dente Massimo Cherubini artista di squisita sensibilità.<br />
L’Associazione è nata per portare<br />
avanti iniziative ed attività<br />
culturali di vario genere<br />
come la promozione e l’organizzazione<br />
di mostre d’arte,<br />
di pittura, di scultura, eventi<br />
musicali e letterari, tra le<br />
manifestazioni di particolare<br />
rilievo merita di essere<br />
ricordato il aperto ad artisti<br />
italiani e stranieri.<br />
Ed è proprio la seconda edizione<br />
del prestigioso premio<br />
che ha scritto una delle più<br />
belle pagine della ricca e nutrita<br />
“Estate segnina”: esso ha<br />
visto la partecipazione di molti<br />
autori, alcuni dei quali legati<br />
alla galleria “il Canovaccio<br />
, studio del Canova” di<br />
Roma che hanno presenta-<br />
17<br />
Premio Internazionale di Arti figurative e<br />
plastiche “Città di <strong>Segni</strong>”<br />
to opere pittoriche e scultoree di alta valenza<br />
artistica.<br />
L’attenta e qualificata giuria del Premio composta<br />
da Massimo Cherubini (Presidente), Mara<br />
Albonetti ( gallerista), Vittorio Esposito (critico<br />
d’arte), Mara Ferloni (giornalista), Luigi Tallarico<br />
(critico d’arte), Duccio Trombadori (Criticod’arte),<br />
ha assegnato il Primo Premio alla pittrice romana<br />
Emma Cosimini, il secondo premio alla pittrice<br />
russa Mila Eleznikova, targa dell’Associazione<br />
Artisti <strong>Segni</strong>ni è stata poi consegnata a numerosi<br />
artisti dei quali è stata apprezzata la chiarezza<br />
d’esecuzione e la qualità espressiva.<br />
L’evento del premio è stato inserito nel percorso<br />
culturale “ Ciclopicomania”, la bella manifestazione<br />
promossa dall’assessore alla cultura del<br />
Comune di <strong>Segni</strong>, dott.Piero Cascioli, che mira<br />
a diffondere conoscenza e rispetto per le antichissime<br />
mura che cingono la città di <strong>Segni</strong>, studiandone<br />
l’arte, la storia, la natura.
18<br />
di avv. Daniele Pietrosanti e dr. Costantino Coros<br />
Il prossimo 3 ottobre verrà inaugurato a <strong>Velletri</strong>,<br />
in via Privata Jori 17 alla presenza di S. E.<br />
Rev.ma Mons. Vincenzo Apicella una nuova<br />
sede del patronato Acli (Associazione<br />
cristiana lavoratori italiani). L’iniziativa, promossa<br />
dalla <strong>Diocesi</strong> di <strong>Velletri</strong>-<strong>Segni</strong> e sostenuta dal<br />
nostro vescovo, si propone di mettere a disposizione<br />
della comunità diocesana un servizio di<br />
informazione, assistenza e tutela del cittadino,<br />
teso al conseguimento delle prestazioni di qualsiasi<br />
genere in materia di sicurezza sociale. Il<br />
tutto nello spirito tipico dell’associazione ACLI<br />
che da sempre si assume “il compito della formazione<br />
religiosa, morale e sociale dei lavoratori<br />
cristiani, necessaria per la tutela della franca<br />
professione di fede da parte di<br />
tutti i lavoratori”.<br />
Proprio tale finalità morale costituisce<br />
l’elemento distintivo del patronato<br />
ACLI rispetto alle altre sigle sindacali<br />
caratterizzate da un’innegabile<br />
neutralità religiosa, rendendo di<br />
fatto quest’ultimo un unicum all’interno<br />
del panorama legislativo e sociale<br />
italiano, così come testimoniato<br />
dagli obiettivi e dalle finalità che il<br />
Patronato Acli si propone di raggiungere<br />
e che così possono essere riassunte:<br />
Educare il lavoratore perché dia il<br />
suo contributo al perfezionamento<br />
ed alla pratica applicazione delle leggi<br />
sociali, specie a quelle che concretano<br />
le previdenze del lavoro;<br />
Spiritualizzare l’assistenza, permeandola<br />
delle idealità cristiane onde<br />
tutti i rapporti siano ispirati dalla morale<br />
e dal bene comune contro ogni<br />
falso egoismo e deviazione di male<br />
intesi interessi;<br />
Rendere l’assistenza sociale espressione<br />
di amore vivo ed operante, fervido<br />
di iniziativa, sensibile ad ogni<br />
dolore, pronto al sacrificio, quale la<br />
fede lo inculca in chi si sente vicino ad una missione,<br />
cioè all’apostolato sociale;<br />
Agire in profondità non soltanto con la vastità<br />
delle opere, ma nel senso qualitativo perché il<br />
servizio, la consulenza, la<br />
tecnica di ogni atto rappresenti<br />
il più sollecito, affettuoso ed<br />
elevato intervento per la corretta<br />
applicazione delle<br />
leggi protettive del lavoro,<br />
per rendere il lavoratore soggetto<br />
del diritto nella pienezza<br />
della sua personalità, non<br />
secondo ad alcuno, avendo a disposizione mezzi<br />
efficientissimi di difesa sul piano giuridico;<br />
Intessere rapporti di cordiale e fattiva collaborazione<br />
con tutti gli organismi interessanti l’assistenza,<br />
e particolarmente con gli organi dello<br />
Stato e con gli Istituti gestori delle assicurazioni<br />
sociali, affinché dalle rispettive funzioni scaturiscano<br />
rette interpretazioni, che fissino diritti<br />
e doveri e soluzioni idonee a potenziare i fini<br />
della previdenza e dell’assistenza;<br />
Approfondire gli studi ed elaborare dottrine che<br />
offrano valido contributo alla sicurezza sociale,<br />
anche per delineare la migliore struttura della<br />
previdenza e di altri Istituti nell’interesse dei lavoratori<br />
tutti, quali fattori primi della produzione.<br />
Tali obiettivi rendono il patronato ACLI un vero<br />
alleato al fianco del cittadino contro le discriminazioni<br />
del mondo del lavoro e per il conseguimento di<br />
quei diritti che troppo spesso sono negati o peggio<br />
ancora non conosciuti dalla stessa cittadinanza.<br />
Per tali motivi il nuovo Patronato Acli di <strong>Velletri</strong><br />
oltre a porsi come punto di riferimento per tutti<br />
i lavoratori in ambito previdenziale e fiscale,<br />
si occuperà di agevolare il cittadino svolgendo<br />
compiti di assistenza sociale e ponendosi<br />
come interlocutore privilegiato e diretto tra gli assistiti<br />
e gli Istituti Previdenziali, mettendo a disposizione<br />
dell’intera <strong>Diocesi</strong> il proprio servizio<br />
di informazione, consulenza e tutela – anche in<br />
sede giudiziale – in merito alle più variegate esi-<br />
Settembre<br />
2008<br />
Patronato Acli. Con la <strong>Diocesi</strong> al servizio del cittadino.<br />
genze, tra cui:<br />
1. Questioni previdenziali (verifica dei con<br />
tributi versati, domande di pensione<br />
INPS, INPDAP);<br />
2. Malattie professionali e infortuni sul lavo<br />
ro;<br />
3. Invalidità civili e trattamenti di famiglia;<br />
4. Indennità di disoccupazione e assistenza<br />
socio-sanitaria;<br />
5. Previdenza complementare e rappor<br />
ti di lavoro;<br />
6. Procedimenti amministrativi di regola<br />
rizzazione di lavoratori e lavoratrici<br />
immigrati.<br />
Il patronato ACLI di <strong>Velletri</strong> si va ad aggiungere<br />
alle oltre 8mila strutture territoriali, composte<br />
da 4000 circoli, 105 sedi provinciali e 21 regionali.<br />
L’Associazione conta oggi in Italia<br />
oltre 980mila iscritti e gli utenti raggiunti<br />
dai diversi servizi sono ogni<br />
anno circa 3 milioni e mezzo. Le Acli,<br />
contribuiscono da più di 60 anni a<br />
promuovere il lavoro e i lavoratori,<br />
ad educare ed incoraggiare la cittadinanza<br />
attiva, a difendere aiutare<br />
e sostenere i cittadini con particolare<br />
riferimento a tutti coloro che<br />
si trovano in condizione di emarginazione<br />
o a rischio di esclusione sociale.<br />
Tra i numerosi settori di intervento<br />
ci sono la tutela e la promozione dei<br />
diritti sociali, l’educazione alla cittadinanza<br />
attiva, l’assistenza previdenziale<br />
(Patronato) e fiscale (Caf), la difesa<br />
dell’ambiente (Anni Verdi) e del<br />
consumatore (Lega consumatori<br />
Acli), il sostegno agli agricoltori (Acli<br />
Terra) e la formazione professionale<br />
(Enaip).<br />
Le attività di consulenza ed assistenza<br />
verranno messe a disposizione<br />
della cittadinanza a partire dal<br />
prossimo 16 Settembre presso la nuova<br />
sede del Patronato Acli situato in via Privata<br />
Jori 17 (adiacente Piazza Garibaldi) nei giorni<br />
di martedì dalle 15.00 alle 17.00 - Tel.<br />
06/96142532, con la speranza di aumentare presto<br />
i giorni e gli orari di ricevimento in base alla<br />
risposta ed alle esigenze della cittadinanza.<br />
Il Patronato Acli collaborerà con un’Agenzia privata<br />
specializzata nell’intermediazione del lavoro,<br />
nella ricerca e selezione del personale e nella<br />
formazione e ricollocamento professionale. Anche<br />
in questo caso, chiunque fosse in cerca di un’occupazione<br />
potrà trovare presso il Patronato tutte<br />
le informazioni relative al servizio d’intermediazione<br />
tra domanda e offerta di lavoro, con l’in-
Settembre<br />
2008<br />
dicazione della sede in cui verrà svolto detto servizio,<br />
i recapiti telefonici e l’indirizzo e-mail per<br />
mettersi in contatto con l’Agenzia.<br />
Riflessioni in libertà di un addetto ai lavori *<br />
Io, al posto tuo<br />
Capita spesso di trovarsi in situazioni di particolare<br />
disagio, di non sapere<br />
come fare, di essere disposti a pagare anche somme<br />
favolose, solamente immaginarie,<br />
pur di trovare qualcuno disposto a prendere, solo per<br />
quella del<br />
tutto speciale contingenza, il posto nostro.<br />
“Darei un milione”, oggi si arriva anche ad offrire “un<br />
miliardo” … ma<br />
ciononostante non si trova, e sarebbe oltretutto un<br />
vero guaio in quanto dal<br />
regno delle grandi cifre, dovrebbe vergognosamen-<br />
Copercom: un coordinamento che<br />
da più di dieci anni promuove<br />
la cultura delle comunicazioni<br />
sociali.<br />
Costantino Coros<br />
“I Cristiani devono sentirsi responsabili di fronte<br />
ai mondi della comunicazione e dell’educazione,<br />
per far sentire la presenza della Chiesa<br />
nella società e animare con intelligenza, nel rispetto<br />
della loro legittima autonomia, i diversi linguaggi<br />
dell’arena pubblica”. La citazione è stata<br />
estrapolata dal volume “Comunicazione e missione”<br />
a cura del Direttorio sulle comunicazioni<br />
sociali nella missione della Chiesa. E’ questo<br />
lo spirito che guida l’azione del Copercom,<br />
che sta per Coordinamento per la comunicazione.<br />
Al Coordinamento, nato a Roma nel 1996,<br />
aderiscono 24 associazione familiari, educati-<br />
Tonino Parmeggiani<br />
A 145 anni dalla sua istituzione, anche quest’anno presso la<br />
Parrocchia di S. Maria in Trivio in <strong>Velletri</strong>, si svolgerà la Festa<br />
della Madonna della Salute. Il titolo è molto antico, si origina<br />
circa quattro secoli orsono - secondo quanto si è ritrovato<br />
nei testi - come ringraziamento del popolo per la protezione<br />
celeste avuta nelle ricorrenti epidemie del tempo, come per quella<br />
di Venezia dell’anno 1630 in cui il Senato veneto al cessare<br />
della peste (che causò 80.000 decessi solo in città) fece costruire<br />
la grandiosa Basilica di Santa Maria della Salute (per le cui<br />
fondamenta occorse infilare oltre un milione di pali nel terreno);<br />
a Roma il culto si originò presso la Chiesa di S. Maria<br />
Maddalena, tenuta dall’Ordine dei Ministri degli Infermi, dal<br />
secondo decennio del sec. XVII. A <strong>Velletri</strong> non sappiamo quando<br />
questa devozione iniziò a diffondersi: negli ultimi anni del<br />
te ripiegare a pochi spiccioli,<br />
chi si mette al nostro posto.<br />
Però a pensarci bene, noi Addetti Sociali del<br />
Patronato Acli, siamo proprio<br />
quelli a cui andrebbero i tanti milioni della fantasia,<br />
perché ogni qualvolta<br />
doniamo la nostra prestazione assistenziale, ci mettiamo<br />
al posto di quello<br />
che non sa come fare, di quello che avverte tutto il<br />
disagio di essere solo<br />
contro tanti, piccolo, di fronte a colossi.<br />
E i milioni … arrivano, non visti, ma arrivano, perché<br />
sfuggono alla arida<br />
elencazione di un libro cassa. Lo si avverte quasi sempre,<br />
quando alla fine<br />
della giornata, raccolti in noi stessi, pensiamo che<br />
dove c’era bisogno grande,<br />
noi abbiamo fatto in modo che potesse arrivare la<br />
risorsa che la società<br />
ve, di educatori e specialistiche nel settore della<br />
comunicazione sociale in rappresentanza di<br />
due milioni di utenti. La forza e l’originalità della<br />
proposta Copercom, consta nell’obiettivo di<br />
creare un lavoro di rete, promuovere lo scambio<br />
associativo e stimolare il ruolo politico delle<br />
associazioni nel leggere i problemi, le esigenze<br />
del territorio e degli ambienti e individuare<br />
delle risposte. Il Coordinamento delle associazioni<br />
per la comunicazione si propone di contribuire,<br />
con un’azione unitaria fondata sulla comune<br />
ispirazione cristiana e sui principi della Carta<br />
costituzionale: all’affermazione della dignità e<br />
dei diritti della persona e della famiglia nel campo<br />
della comunicazione sociale; alla sensibilizzazione<br />
e allo sviluppo della capacità e della coscienza<br />
critica dei cittadini; alla promozione della loro<br />
tutela e autotutela: in particolare di quella dei<br />
minori e delle fasce deboli; alla formazione di<br />
19<br />
aveva previsto e predisposto.<br />
E’ un conto tanto lungo, ma il saldo è altamente consolante:<br />
abbiamo fatto<br />
del bene!<br />
E a tutto ciò si aggiunge una duplice certezza: quella<br />
di essere incamminati<br />
su una strada già percorsa da Colui che “è venuto<br />
per servire e non per<br />
essere servito”; e che ha detto “quanto voi avete fatto<br />
ad uno tra questi minimi<br />
miei fratelli, l’avete fatto a me”.<br />
Di tanto, non c’è Addetto Sociale che non sia convinto,<br />
perché il rammarico<br />
che non tutti quelli che hanno necessità del nostro<br />
aiuto non ancora e non<br />
sempre ce lo chiedono, è motivo di intima ansia legato<br />
al desiderio di dare<br />
sempre e sempre di più.<br />
* Tratto da “Informazioni Sociali” - annata 1962<br />
animatori competenti, in grado di diventare moltiplicatori<br />
e diffusori della cultura della comunicazione<br />
e al sostegno della responsabilità professionale<br />
dei comunicatori e alla valorizzazione<br />
degli aspetti. Nuovo impulso è derivato al Copercom<br />
proprio dalla pubblicazione del Direttorio C.E.I.<br />
“Comunicazione e Missione”. Il lavoro che il<br />
Coordinamento si propone è, su questa linea,<br />
quello di focalizzare sempre meglio e formare<br />
all’interno delle varie associazioni la figura dell’animatore<br />
della comunicazione e della cultura.<br />
Per questo è stata avviata la sfida del Laboratorio<br />
Cultura e Comunicazione. Tra le numerose iniziative<br />
proposte dal Laboratorio assume un carattere<br />
di novità l’offerta d’incontri sulla comunicazione,<br />
fruibili on line, in videoconferenza all’indirizzo<br />
www.copercom.it. Alla voce “archivio” si<br />
possono riascoltare gli incontri avvenuti nei primi<br />
sei mesi del 2008.<br />
Festa della Madonna della Salute<br />
‘700 venne decisa la costruzione di un Ospedale per le Donne,<br />
approfittando di un lascito e della successiva destinazione a ciò<br />
dei beni della Cappella di S. Antonio di Padova esistente nella<br />
Chiesa di S. Maria in Trivio, in un atto notarile del 1835 si<br />
legge “…Ven. Ospedale di S. Maria della Salute detto delle povere<br />
Donne inferme…”. Non è quindi da meravigliarsi se nella<br />
stessa chiesa, pochi anni dopo, l’allora parroco D. Giuseppe<br />
Morza, istituì la Pia Unione della Madonna della Salute a cui<br />
S.S. Pio IX nel 1864 concesse le stesse indulgenze e grazie<br />
spirituali della Pia Unione nella chiesa della Maddalena in Roma.<br />
Per la storia successiva ci siamo già occupati, vedi Ecclesia<br />
del <strong>settembre</strong> 2005. La festa avrà luogo il 21 <strong>settembre</strong> p.v.<br />
con la presenza del nostro Vescovo Mons. Apicella; il triduo<br />
verrà officiato da P. Vincenzo Molinaro omd, parroco di S. Maria<br />
Intemerata a Lariano.
20<br />
Prosegue dal numero precedente<br />
’editto è testimoniato da Svetonio 20 e da<br />
Orosio 21<br />
L il quale riferisce la notizia della pubblicazione<br />
dell’editto, avvenuta nel nono anno<br />
di Claudio, cioè nel 49-50, attingendola da<br />
Giuseppe Flavio, ma affermando di dare maggior credito<br />
alla testimonianza di Svetonio, che non assegna<br />
data alcuna per l’editto di Claudio.<br />
Per altro, Giuseppe Flavio non parlando affatto di quell’editto,<br />
si deve pensare o che il passo, al quale Orosio<br />
fa riferimento, sia andato perduto o che Orosio abbia<br />
confuso Flavio con altro storico. Riteniamo perciò di<br />
non poter basare sicuramente la nostra cronologia<br />
su una testimonianza che rimane controversa.<br />
Il riferimento al proconsole Gallione ci offre invece<br />
migliori possibilità.<br />
Una descrizione trovata nelle rovine di Delfo e pub-<br />
blicata nel 1905 da Bourguet 22<br />
ci permette di stabilire<br />
che Gallione fu proconsole dell’Acaia nel 52. La<br />
carica di proconsole era annua. I proconsoli dovendo<br />
lasciare Roma per la sede non dopo il 15 aprile<br />
23<br />
, entravano in carica nell’aprile stesso o nel maggio.<br />
Si può dunque ritenere che Gallione era a Corinto<br />
dal maggio 52 al maggio 53 e che, durante quel tempo,<br />
S. Paolo si incontrò con lui.<br />
La dimora di S. Paolo a Corinto fu lunga. In Atti XVIII,<br />
4 si legge : parlava in sinagoga ogni sabato; in XVIII,<br />
11 : Paolo si trattenne un anno e mezzo ad insegnare<br />
tra loro (i Corinzi) la parola di Dio; in XVIII, 18 : Paolo<br />
si trattenne ancora (cioè dopo il processo al tribunale<br />
di Gallione) molti giorni. Alcuni<br />
pensano che l’indicazione di Atti XVIII,<br />
11 includa quella dei versetti 4 e 18.<br />
Basandoci sulle abitudini letterarie<br />
di S. Luca 24<br />
pensiamo diversamente.<br />
Lo svolgimento dei fatti, riguardanti<br />
la biografia di S. Paolo in quegli anni,<br />
in base alle<br />
convergenze<br />
degli indici<br />
di probabilità,<br />
può<br />
essere ricostruita<br />
così :<br />
Nel <strong>settembre</strong><br />
– ottobre<br />
del 50 Paolo<br />
si incontra<br />
a Corinto con Aquila e Priscilla (decreto di Claudio<br />
nel 50) – Paolo si ferma a Corinto prima 18 mesi (alcuni<br />
mesi del 50, tutto il 51, inizio del 52) – poi, dopo<br />
il viaggio in Illiria ( E’ attestato dalla lettera ai Romani<br />
XV, 19 - scritta sulla fine del terzo viaggio apostolico.<br />
Come si ricava da 2 Cor. - XII, 14: Sono pronto<br />
a venire da voi per la terza volta – inviata durante il<br />
terzo viaggio apostolico, il viaggio in Illiria è da collocarsi<br />
tra Atti XVIII, 11 e XVIII, 18a , riferentisi a due<br />
soggiorni di Paolo a Corinto durante il secondo viaggio<br />
apostolico ) ancora circa un anno (coincidenza<br />
a un dipresso con l’anno del proconsolato di<br />
Gallione, fissato dal maggio 52 al maggio 53).<br />
Dall’incontro con Gallione alla prigionia di Paolo, non<br />
passano meno di cinque anni : ritorno e breve permanenza<br />
in Antiochia (XVIII, 18b-23a ); visita alle chiese<br />
della Galazia e della Frigia ( XVIII, 23b ); soggiorno<br />
ad Efeso di tre anni [Atti XIX, 8: per tre mesi + XIX,<br />
10: per due anni. In cifra tonda (aggiunto pure qualche<br />
tempo trascorso sia prima che poi: cfr. Atti XIX,<br />
22: si trattenne un po’ di tempo nell’Asia proconsolare):<br />
tre anni: Atti XX, 23]; da Efeso (1 Cor. XVI, 8:<br />
« Ad Efeso resterò fino a Pentecoste », cioè ancora<br />
due mesi, essendo l’epistola scritta nel tempo pasquale,<br />
cfr. 1 Cor. V, 8 : ma la partenza fu anticipata<br />
a causa del tumulto di Demetrio) a Gerusalemme,<br />
un anno ( Atti XX, 16).<br />
Poiché l’incontro con Gallione era avvenuto nel 52-<br />
53, arriviamo al 57-58 per la prigionia di S. Paolo,<br />
al 59-60 per il richiamo di Felice. Fissando per l’anno<br />
1961 la celebrazione del diciannovesimo centenario<br />
del primo viaggio di S. Paolo a Roma, si sono<br />
tenute presenti le considerazioni fatte fin qui.<br />
Settembre<br />
2008<br />
3. – Paolo sul XLIII miglio dell’Appia, alla<br />
volta di Roma<br />
a) Il racconto di quella parte degli Atti che incomincia<br />
con il capitolo XIII e finisce con il XXVIII,<br />
può definirsi una grande Odissea di cui Paolo<br />
è l’Ulisse: ma i due ultimi capitoli, che narrano<br />
il viaggio dell’Apostolo da Cesarea a Roma,<br />
sono senza dubbio la pagina più avvincente<br />
della straordinaria avventura. Non intendiamo interessarci<br />
della meravigliosa narrazione, ma è sufficiente,<br />
per il nostro scopo, rilevare che le precise indicazioni<br />
riferite dal bollettino di viaggio, scritto da S.<br />
Luca compagno di Paolo durante la fortunosa traversata,<br />
concordanti con le norme del calendario della<br />
navigazione, che seguivano i romani e che conosciamo<br />
dalla Epitome di Vegezio, ci permettono di<br />
affermare che il viaggio romano dell’Apostolo si iniziò<br />
a Cesarea verso l’autunno del 60 e si compì nella<br />
primavera del 61. In quello scorcio di tempo, Paolo<br />
metteva il piede nella terra del Lazio e, tra i luoghi<br />
che egli attraversò, due inclusi oggi nel territorio del-<br />
la nostra diocesi 25<br />
:<br />
Foro Appio e Tre Taberne, hanno l’onore di essere nominati<br />
nel testo ispirato degli Atti, dove, al versetto 15°<br />
del capitolo XXVIII è scritto che Paolo, vedendo i cristiani<br />
venuti da Roma per incontrarlo e salutarlo, a Foro<br />
Appio e Tre Taberne, ringraziò Dio e riprese coraggio.<br />
Da Tre Taberne, l’Appia saliva verso Velitrae, l’odierna<br />
<strong>Velletri</strong>, per costeggiare i Monti Albani e quindi discendeva<br />
verso Roma. Seguendo la traccia indicata dalle<br />
dure lastre di basalto, affioranti qua e là, della via romana,<br />
è possibile indovinare il percorso della Via Appia<br />
Antica attraverso le campagne di <strong>Velletri</strong>. L’uomo che<br />
portava il seme dell’idea cristiana, il germe dell’alleanza<br />
che doveva fondere insieme Oriente, Atene e Roma,<br />
passando vicino alla nostra città – considerata per la<br />
sua posizione come atrio della capitale, cui la Gens<br />
Octavia, oriunda di <strong>Velletri</strong>, aveva dato il primo Imperatore<br />
Cesare Ottavio Augusto – rifletteva ai destini dell’Impero<br />
di Roma e ricordava le parole che Gesù gli aveva rivolto<br />
nella cittadella del Tempio : Coraggio! Come hai reso<br />
testimonianza per me a Gerusalemme, così devi rendermela<br />
in Roma 26<br />
.<br />
21 – Hist. adv. Paganos 7, 6, 15: Anno eiusdem (Claudii )<br />
nono expulsos per Claudium urbe iudaeos Josephus refert.<br />
Sed me magis Svetonius movet qui ait hoc modo: Claudius<br />
iudaeos impulsore chresto assidue tumultantes Roma<br />
PIU SEXTUS P. O. M.<br />
expulit.<br />
PONTINI AGRI A SE CONSTANTI OPERE AB INUNDANTIBUS<br />
22 – De rebus delphicis imperatoriae aetatis capita duo, p.<br />
AQUIS EXSICCATI COLONIS NE RELIGIONIS SUBSIDIA<br />
63.<br />
23 – Dione Cassio : Hist. 60, 11 e 17.<br />
DEESSENT TEMPLUM IN HONOREM PAULI APOSTOLI<br />
24 – Atti XIX, 8 e 10 confrontati con XX, 31a. CUIUS OLIM PEDUM VESTIIGIS HIC LOCUS CONSECRATUS EST<br />
25 – All’ingresso della chiesa parrocchiale di Tor Tre Ponti<br />
(Trepontium) – tra Forum Appii e Tres Tabernae – dedicata CUM COENOBIO A FUNDAMENTIS EREXIT OMNIQ.CULTU DITAVIT<br />
all’Apostolo Paolo, è collocata una lapide marmorea che ricor- TUTIONE EIUS CURAQ. SODALIBUS ORDINIS CAPPUCCINORUM<br />
da il passaggio di S. Paolo per quelle contrade. La lapide,<br />
PERPETUO CONLATA<br />
messa a memoria della erezione della chiesa per i coloni dell’Agro<br />
Pontino, fa riferimento all’opera grandiosa per il prosciuga-<br />
Anno D.ni MDCCXCVI - Pont. XXII<br />
mento e la bonifica di quelle terre, intrapresa nel 1777 da Pio<br />
VI, il quale pose la premessa delle successive e recenti sistemazioni<br />
che portarono alla definitiva redenzione delle terre<br />
pontine. Il testo dell’epigrafe è questo :<br />
26 - Atti XXIII, 11.
Settembre<br />
2008<br />
Intervista di Stanislao Fioramonti a don<br />
Luigi Vari, parroco e biblista<br />
Sembra che di Lettere ai Corinzi Paolo<br />
ne abbia scritte in realtà quattro: una<br />
“precanonica” che non ci è pervenuta;<br />
la 1Cor; una lettera severa “scritta<br />
tra molte lacrime”; e infine la 2Cor.<br />
Ci spieghi la loro connessione?<br />
Quella delle quattro lettere di Paolo<br />
è una teoria suggestiva che si basa su<br />
alcuni accenni che l’Apostolo fa sia<br />
ad una lettera scritta fra le due che conosciamo<br />
(la cosiddetta “precanonica”,<br />
della quale avremmo un frammento<br />
in 2Cor 6,14-7,1), sia alla lettera scritta<br />
“fra le lacrime”, che viene individuata<br />
in 2Cor, capitoli 10-13. Il lettore<br />
attento vedrà che questi due frammenti<br />
sono alquanto diversi dal contesto<br />
per tono, stile e contenuti, ma la<br />
diversità potrebbe giustificarsi anche<br />
con un inserimento dal vivo, nel corpo<br />
della lettera, ad opera di qualche<br />
redattore di frammenti di scritti di origine<br />
ignota ma comunque riferibili a<br />
Paolo. La teoria delle quattro lettere<br />
non è dunque dimostrabile. C’è poi<br />
una lettera alla quale si riferisce esplicitamente<br />
Paolo (1Cor 5, 9-13), che<br />
però non è stata conservata.<br />
1Cor è molto lunga e importante;<br />
si rivolge a una comunità cristiana<br />
giovane, formata da persone umili<br />
e incolte, esposte alle lusinghe di una<br />
città famosa per la sua apertura (era<br />
un grande porto di mare) e per la sua<br />
immoralità. Quale è lo scopo primario<br />
di Paolo nello scriverla?<br />
Venuto a conoscenza di alcune difficoltà<br />
nelle quali si dibatteva la comunità<br />
da lui fondata a Corinto, Paolo decide<br />
di intervenire per rispondere ad alcune<br />
domande che gli erano state poste.<br />
Il problema più grave di quella comunità<br />
erano le divisioni tra i fedeli, che<br />
si erano organizzati in veri e propri partiti<br />
attorno a qualche personaggio in base<br />
a chi aveva loro predicato la fede. Queste<br />
divisioni danno a Paolo l’occasione di<br />
chiarire la vera funzione dei predicatori,<br />
e soprattutto di puntualizzare che è<br />
Cristo che fa crescere una comunità cristiana.<br />
I temi principali in essa trattati sono<br />
quelli della divisione interna, della morale<br />
sessuale, matrimoniale e celibataria,<br />
delle carni sacrificate agli idoli,<br />
della vita religiosa comunitaria (abbigliamento,<br />
pasto del Signore, doni spirituali<br />
e carismi riguardo ai quali c’è<br />
il famoso inno alla carità) e della resurrezione<br />
dei morti. Puoi parlarcene brevemente?<br />
Oltre alla questione ricordata prima,<br />
21<br />
ve ne erano altre che riguardavano la<br />
vita morale dei cristiani di Corinto.<br />
Un malinteso senso della libertà li portava<br />
a veri comportamenti immorali:<br />
incesto, abitudine ad appellarsi ai<br />
tribunali pagani, fornicazione. Paolo<br />
cerca di suggerire le soluzioni (cap.<br />
7), chiarendo il vero senso della libertà<br />
cristiana (capp. 8 e 9).<br />
Un altro problema è quello dell’assemblea<br />
eucaristica, che veniva celebrata<br />
con grande disordine in quanto, più che<br />
occasione di comunione era motivo di<br />
divisione. Nel cap. 11 Paolo riporta la<br />
testimonianza più antica della cena del<br />
Signore (vv. 23-25). Il discorso<br />
sull’Eucaristia lo porta a parlare della<br />
Chiesa, introducendo (cap. 12) il famoso<br />
paragone della Chiesa come corpo e<br />
di Cristo come sua testa.<br />
La comunità di Corinto era una<br />
comunità molto vivace; in essa c’era<br />
grande abbondanza di doni spirituali,<br />
e si innescava una curiosa gara<br />
su chi possedesse il dono più importante,<br />
con le conseguenti difficoltà<br />
per la vita comunitaria. Paolo<br />
suggerisce una sua visione di questi<br />
doni, il più alto dei quali è il dono dell’amore.<br />
L’inno all’amore del cap. 13<br />
è uno dei punti più alti della poesia<br />
biblica, e non solo (vedi riquadro di<br />
13, 1-13).<br />
1Cor continua con l’esortazione<br />
a ricercare la carità (cap. 14) e suggerisce<br />
il criterio del discernimento<br />
di ciò che è bene e ciò che è male nella<br />
vita della Chiesa: è il criterio dell’utilità<br />
comune.<br />
Quanto alla risposta al problema<br />
della resurrezione dei morti (cap. 15),<br />
essa è costruita sulla predicazione primitiva<br />
(vv. 1-11) e si sviluppa in una<br />
argomentazione che pone la resurrezione<br />
dei morti come la chiave per la<br />
comprensione della vita cristiana. Come<br />
già in 1Tes, san Paolo<br />
si occupa anche del<br />
modo della resurrezione,<br />
ribadendo quanto detto<br />
in quella lettera: una<br />
trasformazione nella<br />
quale il corpo corruttibile<br />
e mortale si veste<br />
di incorruttibilità e di<br />
immortalità. Introduce
22<br />
questo suo pensiero con le parole quanto<br />
mai preziose: “Ecco. Io vi annunzio<br />
un mistero”. Il capitolo 15 si chiude con<br />
il famoso inno trionfale: “Dov’è, o morte,<br />
la tua vittoria? Dov’è, o morte, il tuo<br />
pungiglione?”.<br />
L’ultimo capitolo raccoglie esortazioni<br />
e saluti, ed è interessante in quanto<br />
il v. 21 ci illumina sul modo della redazione<br />
delle lettere di Paolo: scrive infatti:<br />
“Il saluto è di mia mano, di Paolo”.<br />
Verso la fine di 1Cor e in 2Cor si parla<br />
della colletta organizzata da Paolo<br />
nelle comunità da lui fondate per aiutare<br />
i fratelli di Gerusalemme.<br />
Raccontaci questo fatto e come si è concluso.<br />
L’Apostolo promosse una raccolta<br />
in favore dei cristiani di Gerusalemme,<br />
in gravi difficoltà. Tale raccolta era da<br />
lui considerata anche un segno di vitalità<br />
delle comunità nascenti, ne accenna<br />
in diverse occasioni, impegna in essa<br />
anche i suoi collaboratori più stretti e lui<br />
stesso si impegna ad organizzarla, dando<br />
prova di grande senso pratico. Per tutto<br />
questo la colletta ebbe successo (cf.<br />
At 24,17).<br />
Quali motivi hanno portato Paolo a<br />
scrivere 2Cor poco tempo dopo la prima<br />
lettera? Sembra che ci fu una crisi<br />
nella comunità di Corinto, una sua<br />
rapida visita, un’offesa a Paolo che impedì<br />
il suo ritorno e gli fece preferire la<br />
lettera severa, una missione di Tito che<br />
portò buone notizie a Paolo e quindi<br />
la più fiduciosa 2Cor. Cosa si sa o si<br />
ipotizza di tutto questo?<br />
La seconda ai Corinzi sembra essere<br />
piuttosto un modo per non affrontare<br />
direttamente la comunità che, in occasione<br />
della famosa offesa (quasi certamente<br />
un dubbio sul suo<br />
stato di Apostolo e sul<br />
suo ruolo a Corinto), non<br />
lo aveva difeso. In<br />
seguito la comunità<br />
emarginò l’offensore e<br />
l’Apostolo decide di scrivere<br />
questa lettera, che<br />
è importante soprattutto<br />
perché ci svela il carat-<br />
tere di Paolo, tutt’altro che mite, come<br />
si vedrà nella terza parte del documento,<br />
nella quale l’Apostolo fa la sua apologia.<br />
2Cor è formata appunto da tre parti:<br />
una prima in cui Paolo torna sugli<br />
incidenti passati, una seconda sull’organizzazione<br />
della colletta (della<br />
quale già si è parlato) e una terza sull’autodifesa<br />
di Paolo, accusato di debolezza<br />
e di ambizione. Puoi farci una<br />
sintesi?<br />
Tutta la lettera è una riflessione sul<br />
suo apostolato, sulla natura della sua predicazione,<br />
sulle sue tribolazioni e speranze.<br />
Proprio il taglio così diretto e personale<br />
dà alla lettera l’impressione di un<br />
torrente in piena; per questo chiarisce<br />
il suo carattere. Paolo parla di sé e del<br />
suo modo di fare. Particolarmente suggestivo<br />
l’esordio della lettera (v. box dei<br />
vv. 1, 1-11).<br />
Nella seconda parte si conferma quanto<br />
detto delle sue capacità organizzative<br />
in quanto esorta alla generosità e sottolinea<br />
come chi fa del bene riceve benefici,<br />
perché “Dio ama chi dona con gioia”<br />
(v. 9,7).<br />
Infine la risposta ad alcune accuse<br />
che gli venivano rivolte di essere debole<br />
e ambizioso gli offre l’occasione di<br />
tessere con grande abilità retorica una<br />
sua autodifesa, che si trasforma in un vero<br />
e proprio auto elogio, pericoloso per tutti<br />
ma non per una persona geniale e santa<br />
come lui.<br />
In questa parte c’è un altro dei misteri<br />
della letteratura paolina, quello della<br />
spina nella carne (12,7): “Perché non<br />
montassi in superbia per la grandezza<br />
delle rivelazioni, mi è stata messa una<br />
spina nella carne, un inviato di satana<br />
incaricato di schiaffeggiarmi, perché io<br />
non vada in superbia”. Queste parole,<br />
che hanno incuriosito generazioni di studiosi,<br />
ora non sono più tanto al centro<br />
dell’attenzione perché il testo non è criticamente<br />
sicuro.<br />
Come ultima nota, la lettura di questa<br />
lettera, oltre che farci conoscere Paolo<br />
per il suo carattere forte, ci permette di<br />
apprezzare anche il suo umorismo, la sua<br />
ironia, insomma la sua umanità.<br />
Settembre<br />
2008<br />
IL DISCORSO DI PAOLO NELL’A-<br />
REOPAGO DI ATENE (At 17,16-31)<br />
“… Ad Atene Paolo fremeva nel suo spirito al vedere<br />
la città piena di idoli. Discuteva frattanto nella<br />
sinagoga con i Giudei e i pagani credenti in<br />
Dio e ogni giorno nella piazza principale con quelli<br />
che incontrava. Anche certi filosofi epicurei e<br />
stoici discutevano con lui e alcuni dicevano: “Che<br />
cosa vorrà mai insegnare questo ciarlatano?”. E<br />
altri: “Sembra essere un annunziatore di divinità<br />
straniere”, poiché annunziava Gesù e la risurrezione.<br />
Presolo con sé, lo condussero nell’Areòpago e<br />
dissero: “Possiamo dunque sapere qual è questa<br />
nuova dottrina predicata da te? Cose strane<br />
per vero ci metti negli orecchi; desideriamo dunque<br />
conoscere di che cosa si tratta”. Tutti gli Ateniesi<br />
infatti e gli stranieri colà residenti non avevano<br />
passatempo più gradito che parlare e sentir parlare.<br />
Allora Paolo, alzatosi in mezzo all’Areòpago, disse:<br />
“Cittadini ateniesi, vedo che in tutto siete molto<br />
timorosi degli dèi. Passando infatti e osservando<br />
i monumenti del vostro culto, ho trovato anche<br />
un’ara con l’iscrizione: Al Dio ignoto. Quello che<br />
voi adorate senza conoscere, io ve lo annunzio.<br />
‘Il Dio che ha fatto il mondo e tutto ciò che contiene’,<br />
che è signore del cielo e della terra, non<br />
dimora in templi costruiti dalle mani dell’uomo né<br />
dalle mani dell’uomo si lascia servire come se avesse<br />
bisogno di qualche cosa, essendo lui che dà<br />
a tutti la vita e il respiro e ogni cosa. Egli creò<br />
da uno solo tutte le nazioni degli uomini, perché<br />
abitassero su tutta la faccia della terra. Per essi<br />
ha stabilito l’ordine dei tempi e i confini del loro<br />
spazio, perché cercassero Dio, se mai arrivino<br />
a trovarlo andando come a tentoni, benché non<br />
sia lontano da ciascuno di noi. In lui infatti viviamo,<br />
ci muoviamo ed esistiamo, come anche alcuni<br />
dei vostri poeti hanno detto: Poiché di lui stirpe<br />
noi siamo.<br />
Essendo noi dunque stirpe di Dio, non dobbiamo<br />
pensare che la divinità sia simile all’oro, all’argento<br />
o alla pietra, che porti l’impronta dell’arte<br />
e dell’immaginazione umana. Dopo essere passato<br />
sopra ai tempi dell’ignoranza, ora Dio ordina<br />
a tutti gli uomini di tutti i luoghi di ravvedersi,<br />
poiché egli ha stabilito un giorno nel quale dovrà<br />
giudicare la terra con giustizia per mezzo di un<br />
uomo che egli ha designato, dandone a tutti prova<br />
sicura col resuscitarlo dai morti”.<br />
Quando sentirono parlare di risurrezione di morti,<br />
alcuni lo deridevano, altri dissero: “Ti sentiremo<br />
su questo un’altra volta”.<br />
Così Paolo uscì da quella riunione. Ma alcuni aderirono<br />
a lui e divennero credenti; fra questi anche<br />
Dionigi membro dell’Areòpago, una donna di nome<br />
Dàmaris e altri con loro”.
Settembre<br />
2008<br />
S.E. Mons. Andrea Maria Erba*<br />
Una espressione caratteristica e frequente<br />
del pensiero di San Paolo è racchiusa<br />
in una formula di straordinaria efficacia:<br />
“Rivestirsi di Cristo;” Nella Lettera<br />
ai Galati (3,27) l’Apostolo scrive: “Voi che siete<br />
stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo”,<br />
mentre nella lettera ai Romani questa immagine<br />
è legata alla contrapposizione di due stili di<br />
vita. Contro coloro che si dedicano in modo sregolato<br />
al mangiare e al bere, Paolo esorta con<br />
decisione: “Non fate questo ma rivestitevi nel<br />
Signore Gesù Cristo e non seguendo la carne<br />
con i suoi desideri” (13,14). PIù ANCORA. Nella<br />
lettera agli Efesini lo stesso pensiero viene espresso<br />
in maniera radicale, con riferimento a Cristo<br />
“Uomo nuovo”: Rivestitevi dell’uomo nuovo, creato<br />
secondo Dio nella giustizia e nella santità vera”<br />
(4,24).<br />
Stanislao Fioramonti<br />
Una bella descrizione della<br />
città greca al tempo di<br />
Paolo ce la offre Gerard<br />
Le Mouel nel suo volumetto<br />
“Scoprire san Paolo” (Editrice Elle Di<br />
Ci, Leumann (Torino) 1995, pp. 34-<br />
36):<br />
“Quando Paolo vi arriva, nella primavera del 50, è una<br />
città di 600mila abitanti, capitale della provincia romana<br />
di Acaia, centro marittimo di primaria importanza.<br />
Ma è anche la città di Afrodite, la dea del libero amore…<br />
Due porti, uno a est e uno a ovest dell’istmo, esportano<br />
statuette di bronzo e specchi metallici ricercati in<br />
tutto l’Impero. Sulle banchine, una folla di gente e mer-<br />
Nella lettera ai Colossesi sottolinea: “Vi siete rivestiti<br />
dell’uomo nuovo, che si va rinnovando a immagine<br />
di colui che ha creato. Nell’uomo nuovo non<br />
c’è più né greco né giudeo né barbaro né Scita,<br />
né schiavo né libero, ma soltanto Cristo che è<br />
tutto in tutti” (3,10-11).<br />
Ma che significa concretamente rivestirsi di Cristo?<br />
Non è indossare un vestito ma si tratta di un<br />
cambiamento interiore, che mira a al rinnovamento<br />
dell’uomo dall’intimo, al divenire realmente<br />
simile a Cristo. Tale immagine richiama quindi<br />
un fatto dinamico, una trasformazione cristiforme,<br />
canzie giunte da tutte le parti del Mediterraneo. Tra i<br />
due porti, una specie di traghetto via terra permette<br />
alle piccole navi mercantili di superare l’istmo su ingegnosi<br />
mezzi di trasporto, pagando un pedaggio. Corinto<br />
è un centro commerciale attivissimo, con una mescolanza<br />
di marinai, viaggiatori, commercianti di tutti i paesi<br />
e di tutte le razze. La colonia ebraica è molto importante.<br />
La città è<br />
nuova:<br />
completamente<br />
distrutta dal<br />
generale<br />
Mummio<br />
nel 146 a.<br />
C., fu ricostruita<br />
da<br />
Giulio<br />
Cesare circa<br />
100 anni<br />
dopo e<br />
divenne<br />
punto d’incontro<br />
tra<br />
Italia e Asia.<br />
Tutti coloro<br />
che si stabiliscono<br />
a<br />
Corinto possonodive-<br />
23<br />
un assumere i sentimenti di Cristo, la sua “misericordia,<br />
bontà, umiltà, mansuetudine, pazienza”<br />
(Col 3,12), così che il cristiano può ripetere<br />
con Paolo: “non sono più io che vivo, è Cristo<br />
che vive in me” (Gal 2,20). La veste bianca che<br />
viene consegnata nel Battesimo è simbolo non<br />
solo di purezza e di santità, ma è un richiamo<br />
al rivestirsi di Cristo, a divenire membra del suo<br />
Corpo, ad essere una sola cosa con lui. E’ il programma<br />
e il compito di un vero cristiano.<br />
*Vescovo emerito di <strong>Velletri</strong>-<strong>Segni</strong><br />
nirne cittadini: schiavi liberati, commercianti,<br />
artigiani, anche gli indesiderabili possono<br />
tentare di rifarsi una vita.<br />
Corinto è così, con Alessandria, il centro<br />
più cosmopolita dell’Impero. Vi si<br />
contano più di 150 culti diversi, e questo<br />
dà un’idea di quello che doveva<br />
essere la popolazione.<br />
A sud della città, su un’alta collina, si<br />
erge il tempio di Afrodite; in città si possono vedere<br />
gli ‘idoli’, statue delle divinità delle varie religioni, ma<br />
anche tutto ciò che in un porto di tale importanza può<br />
divertire i marinai, i viaggiatori, i soldati: cantanti, danzatori,<br />
spettacoli di ogni sorta, e tante prostitute, riconoscibili<br />
dal fatto che girano in città con i capelli corti<br />
e il capo scoperto. Corinto ha la fama di luogo malfamato,<br />
una specie di bassoporto dove le ragazze “si corintizzano”<br />
– come si diceva in gergo – sotto lo sguardo<br />
dei “corintiasti” (ruffiani). L’omosessualità è pratica diffusa<br />
e al tempio di Afrodite un migliaio di ragazzette<br />
si danno alla prostituzione sacra, propagando la “malattia<br />
di Corinto”, tristemente nota in tutto l’Impero. La città<br />
è corrotta dal denaro e dalla depravazione.<br />
La maggior parte dei cristiani di Corinto appartiene al<br />
popolino; artigiani, mercanti, marinai, facchini, schiavi<br />
(ce ne sono 400mila). Non sono istruiti: sentono nelle<br />
piazze pubbliche gli oratori che espongono le loro<br />
idee, le discutono spesso senza capirle, e le mescolano<br />
con quanto ha predicato Paolo. L’ambiente cittadino<br />
non aiuta: i costumi sono<br />
tanto rilassati da ritenerli normali”.<br />
Corinto, grande città e porto della<br />
Grecia, conserva oggi molti templi<br />
pagani, l’agorà, alcune basiliche,<br />
resti della sinagoga degli<br />
ebrei e il tribunale dove Paolo<br />
fu trascinato per essere presentato<br />
al console Gallione (che era il fratello<br />
del famoso filosofo Lucio Anneo<br />
Seneca).
24<br />
Dei cristiani di Corinto, ai quali Paolo indirizzò due famose<br />
lettere, gli Atti degli Apostoli e le Lettere paoline stesse<br />
ricordano alcuni personaggi notevoli. La più importante<br />
è forse una donna, Stefana: prima convertita di<br />
quella città, battezzata da Paolo con tutta la sua famiglia<br />
(1Cor 1,16), di condizione agiata, mette la sua casa<br />
a disposizione della comunità; con altri due corinzi, Fortunato<br />
e Acaico, fa visita ad Efeso all’apostolo, che così la<br />
raccomanda a quei fratelli (1Cor 16,15 ss): “Conoscete<br />
la famiglia di Stefana, che è primizia di Acaia; hanno<br />
dedicato sé stessi a servizio dei fedeli; siate anche voi<br />
deferenti verso di loro e verso quanti collaborano e si<br />
affaticano con loro”. Altri due cristiani di Corinto della<br />
prima ora, battezzati personalmente da Paolo, furono<br />
Gaio (1Cor 1,14) e Crispo, capo della sinagoga<br />
Stanislao Fioramonti<br />
Si sviluppò<br />
dall’autunno dell’anno<br />
49 o 50 all’autunno<br />
del 52 e fu<br />
determinato dal desiderio<br />
di Paolo di<br />
verificare la vitalità del-<br />
Stanislao Fioramonti<br />
Silvano e Sila sono i nomi latino e greco di<br />
un giudeo molto in vista della primitiva chiesa<br />
di Gerusalemme. Gli Atti (15,22) affermano<br />
che era tenuto in grande considerazione tra i<br />
fratelli e che perciò fu scelto dagli apostoli, gli<br />
anziani e tutta la comunità, insieme a Giuda<br />
Barsabba, per accompagnare Paolo e<br />
Barnaba ad Antiochia, con una lettera che<br />
riferisse ai cristiani di Siria e di Cilicia quanto<br />
era stato deciso dal concilio di Gerusalemme:<br />
che cioè per la fede dei non ebrei non era<br />
le comunità di credenti da<br />
lui fondate in Asia nel primo<br />
viaggio. L’apostolo<br />
partì da Antiochia, ma<br />
senza Barnaba: questi voleva<br />
che li accompagnasse<br />
ancora Marco, mentre Paolo<br />
non era d’accordo perché<br />
nel viaggio precedente il futuro<br />
evangelista li aveva<br />
della città, che credette nel Signore insieme a tutta la<br />
sua famiglia (At 18,8). Erasto, tesoriere della città (Rm<br />
16,24), probabilmente convertito da Paolo, ne divenne<br />
discepolo e collaboratore: è inviato con Timòteo in<br />
Macedonia a prepararne la visita (At 19,22); invia saluti<br />
ai cristiani di Roma insieme a Paolo e al fratello Quarto<br />
(Rm 16,24); rimane a Corinto quando Paolo viene trasferito<br />
a Roma ((2Tm 4,20). Un’altra donna di Corinto,<br />
Cloe, rappresentò un altro punto di riferimento per alcuni<br />
cristiani di Corinto (“la gente di Cloe”, 1Cor 1,11); fu<br />
lei a segnalare a Paolo le discordie tra fedeli che lo<br />
indussero a scrivere la prima lettera. Sòstene, altro<br />
capo della sinagoga di Corinto (At 18,17), fu catturato<br />
dai Giudei avversi a Paolo e percosso davanti al tribunale<br />
di Gallione, proconsole di Acaia; in seguito lo<br />
necessaria la circoncisione, ma l’astinenza<br />
dalle carni offerte agli idoli, dal sangue, dagli<br />
animali soffocati e dall’impudicizia. Giunti ad<br />
Antiochia e svolta correttamente la loro missione,<br />
Giuda e Sila, “essendo anch’essi profeti,<br />
parlarono molto per incoraggiare i fedeli<br />
e li fortificarono”, e dopo qualche tempo rientrarono<br />
a Gerusalemme (At 15,32 ss).<br />
Dopo che Paolo, preparando il suo secondo<br />
viaggio missionario, decise di separarsi da<br />
Barnaba che voleva portare con sé Marco,<br />
come suo compagno scelse proprio Sila (At<br />
15,40) e con lui attraversò la Siria e la Cilicia,<br />
abbandonati; allora Barnaba con Marco tornarono<br />
partirono insieme per Cipro, mentre Paolo<br />
scelse come compagno Sila, il “profeta” di<br />
Gerusalemme. Attraverso la Siria e la Cilicia giunsero<br />
a Derbe e Listra; qui si associò ad essi il<br />
giovane Timòteo, figlio di un greco e di una giudea<br />
credente, forse convertito durante il primo<br />
viaggio, e proprio per la sua maternità Paolo decise<br />
di farlo circoncidere, per riguardo ai giudei<br />
di quelle regioni.<br />
Settembre<br />
2008<br />
ritroviamo accanto all’apostolo nel suo secondo viaggio<br />
missionario e da Efeso apre con lui la prima lettera<br />
ai Corinzi (1Cor 1,1). Tizio Giusto è infine il gentile<br />
“che onorava Dio” e che ospitò nella sua casa, posta<br />
accanto alla sinagoga di Corinto, Paolo e i suoi collaboratori<br />
quando decisero di smettere di predicare ai<br />
Giudei e di rivolgersi ai pagani (At, 18,7). Di CENCRE,<br />
uno dei due porti sull’istmo di Corinto (quello sul mare<br />
Egeo), era diaconessa Febe, cristiana che Paolo definisce<br />
“nostra sorella” e che dimostra di amare molto;<br />
raccomandandola ai Romani (Rm 16,1) infatti scrive:<br />
“Ricevetela nel Signore, come si conviene ai credenti,<br />
e assistetela in qualunque cosa abbia bisogno; anch’essa<br />
infatti ha protetto molti, e anche me stesso”. La Chiesa<br />
la considera santa e la ricorda il 3 <strong>settembre</strong>.<br />
la Pisidia e la Licaonia, l’Asia, la Macedonia<br />
e l’Acaia; insieme sopportarono disagi, persecuzioni,<br />
pericoli, prigionia, insomma le fatiche<br />
e le gioie del lungo viaggio e della predicazione<br />
di Gesù Cristo a tante genti diverse<br />
(cf. 2Cor 1,19). Silvano risulta anche come<br />
mittente, insieme a Paolo, delle due lettere ai<br />
Tessalonicesi che, come è noto, sono i documenti<br />
più antichi del Nuovo Testamento (anni<br />
50-52 circa).<br />
Successivamente Silvano, rientrato a<br />
Gerusalemme, fu accanto all’apostolo Pietro<br />
e lo seguì anche durante la sua ultima attività<br />
in Roma; nella seconda Lettera di Pietro<br />
(5,12) si dice infatti: “Vi ho scritto per mezzo<br />
di Silvano, fratello fedele”.<br />
Uomo profetico, personalità di mediazione tra<br />
credenti di diversa provenienza, collaboratore<br />
diretto dell’apostolo dei Gentili e di quello del<br />
popolo eletto, Silvano è ricordato nel<br />
Martirologio Romano al 13 luglio, giorno della<br />
sua festa liturgica.<br />
Dalle città<br />
della Licaonia,<br />
dove le comunità<br />
cristiane<br />
crescevano di<br />
numero e di<br />
convinzione,<br />
Paolo decise<br />
di proseguire<br />
attraverso la<br />
Frigia, la Galazia e la Misia; il progetto era di<br />
avanzare verso la Bitinia, al nord dell’attuale Turchia,<br />
ma alla fine scelsero di puntare verso il mare<br />
Egeo, a Troade. La città era una colonia romana<br />
(Alessandria Troade) a 40 chilometri dall’antica<br />
Troia ed era un porto di imbarco per l’Europa;<br />
qui di notte Paolo sognò un macedone che lo<br />
supplicava di passare per la sua terra e di salvarli<br />
e l’apostolo, sensibile all’ispirazione dello<br />
Spirito Santo, seguì la misteriosa indicazione.
Settembre<br />
2008<br />
Attraverso l’isola di Samotracia e la città<br />
di Neapoli (oggi Kavalla), il gruppo (al quale<br />
si era aggiunto probabilmente anche l’autore<br />
degli Atti, Luca, che da questo momento scrive<br />
in prima persona plurale) giunge a Filippi,<br />
importante colonia<br />
romana e capitale<br />
del primo distretto<br />
della Macedonia,<br />
nonché centro commerciale<br />
sulla via<br />
romana Egnazia<br />
(tesa da Durazzo a<br />
Costantinopoli come<br />
prolungamento della<br />
via Appia, che terminava<br />
a Brindisi).<br />
Vi si fermarono<br />
per alcuni<br />
giorni e il sabato uscirono<br />
dalla porta<br />
lungo il fiume per predicare<br />
alle donne.<br />
Lidia di Tiàtira, commerciante<br />
di porpora,<br />
si fece battezzare<br />
con tutta la sua famiglia<br />
e volle ospitarli<br />
tutti in casa sua.<br />
Paolo continuava a<br />
predicare nella sinagoga<br />
della città e un<br />
giorno incontrò una giovane schiava dotata di<br />
facoltà divinatorie, che indicava quei forestieri<br />
come annunciatori della salvezza. Dopo qualche<br />
tempo Paolo la guarì scacciandone lo spirito<br />
divinatorio, ma i padroni della ragazza, non<br />
potendo più trarre guadagno dalla facoltà di lei,<br />
accusarono Paolo e Sila di fomentare disordini<br />
e di predicare usanze illecite ai Romani. Il<br />
popolo inveì e i magistrati cittadini li fecero catturare<br />
e bastonare. Un terremoto notturno scosse<br />
però la prigione e li liberò, mentre il carceriere<br />
terrorizzato si fece battezzare con la sua<br />
famiglia e li portò in casa sua. Il giorno dopo i<br />
magistrati, saputo che erano cittadini romani, timorosi<br />
per quanto avevano fatto si scusarono con<br />
Paolo e Sila e li invitarono a partire.<br />
Salutati i fratelli riuniti nella casa di Lidia,<br />
essi procedettero per Anfìpoli, a 44 km da Filippi,<br />
e per Apollonia, 46 km più oltre, fino a Tessalonica<br />
(a 57 km da Anfipoli), capitale del secondo distretto<br />
della provincia romana di Macedonia e sede<br />
proconsolare. Per tre sabati Paolo parlò nella<br />
sinagoga cittadina, annunciando che Gesù era<br />
il Cristo; aderirono alcuni Giudei, un buon numero<br />
di Greci credenti in Dio e non poche donne<br />
nobili, ma gli altri Giudei ostili sobillarono la piazza<br />
e, non riuscendo a catturare Paolo e Sila, trascinarono<br />
in giudizio Giasone e altri fedeli, poi<br />
rilasciati dietro cauzione.<br />
Di notte i fedeli fecero partire Paolo e<br />
Sila per Berea (oggi Verria), distante 65 km da<br />
Tessalonica, sotto il monte Olimpo. Anche qui<br />
la predicazione nella sinagoga fece molte conversioni,<br />
ma gli stessi giudei tessalonicesi sol-<br />
levarono il popolo, e allora i fratelli fecero partire<br />
Paolo per la strada verso il mare, trattenendo<br />
invece Sila e Timoteo; l’apostolo giunse così ad<br />
Atene. La città aveva perso molta dell’importanza<br />
passata, ma restava il centro della vita filosofica<br />
ellenica, con la quale ora si incontrava il Vangelo.<br />
Paolo ad Atene parlò sia nella sinagoga che in<br />
piazza, cercando di adattare la sua fede alla cultura<br />
greca; e in piazza incontrò alcuni epicurei<br />
e stoici che lo condussero nell’Areopago, alto<br />
tribunale cittadino e luogo di culto del dio Ares<br />
(Marte), perché spiegasse la sua nuova dottrina.<br />
Le parole dell’Apostolo, considerate il culmine<br />
della missione di Paolo ai pagani (cf. il testo qui<br />
allegato), presero lo spunto dall’esistenza di un<br />
altare “al dio ignoto” incontrato ad Atene, ma alla<br />
fine non convinsero gli ascoltatori, incapaci di<br />
accettare la prospettiva della resurrezione della<br />
carne; tuttavia alcuni credettero, come la donna<br />
Damaris e Dionigi, un membro dell’Areopago<br />
destinato a divenire il primo vescovo e il patrono<br />
di Atene.<br />
Paolo lascia Atene senza formarvi una<br />
comunità cristiana e prosegue per Corinto, capitale<br />
della provincia romana di Acaia, grande metropoli<br />
commerciale dotata di due porti sulle due<br />
sponde, adriatica ed egea, dell’istmo. Qui è raggiunto<br />
da Sila e Timoteo e qui incontra i coniu-<br />
25<br />
gi Aquila e Priscilla, venuti da Roma dopo l’espulsione<br />
dei giudei dall’Urbe decretata dall’imperatore<br />
Claudio (50 d.C.); anch’essi come Paolo erano<br />
fabbricanti di tende ed ospitarono l’apostolo, che<br />
poteva così lavorare con loro. Anche a Corinto<br />
Paolo predicava nella sinagoga e nelle piazze,<br />
ma non riuscendo a far breccia sui suoi connazionali,<br />
a parte il capo della sinagoga Crispo, decise di<br />
dedicarsi all’evangelizzazione dei Gentili (cioè<br />
dei pagani), che credettero in molti. Confortato<br />
anche da una visione notturna del Signore, Paolo<br />
restò un anno e mezzo a Corinto, organizzando<br />
una bella comunità; alla fine i giudei a lui avversi<br />
lo condussero in tribunale davanti al proconsole<br />
di Acaia Gallione (fratello del filosofo Seneca),<br />
il quale non volle sentire le loro accuse in base<br />
a una ordinanza dell’imperatore Tiberio dell’anno<br />
35. Quelli allora afferrarono Sostene, altro capo<br />
della sinagoga che aveva seguito il Vangelo, e<br />
lo percossero.<br />
Paolo lasciò Corinto insieme ad Aquila<br />
e Priscilla; fece sosta a Cencre, dove per adempiere<br />
a un voto si fece tagliare i capelli, quindi<br />
proseguì fino ad Efeso, dove lasciò i compagni<br />
e discusse nella sinagoga,<br />
promettendo ai giudei che<br />
sarebbe tornato per loro. Quindi<br />
sbarcò a Cesarea e salì a<br />
Gerusalemme, per celebrare<br />
la Pasqua e salutare<br />
i confratelli della chiesamadre;<br />
infine, dopo più di due<br />
anni di peripezie, rientrò ad<br />
Antiochia.
26<br />
Alessandro Gentili<br />
Rimango atterrito<br />
dalla calma che<br />
avvolge come una<br />
calda coperta di lusso,<br />
i cristiani del terzo<br />
millennio.<br />
Sulla strada che<br />
porta a Dio, c’è una<br />
terra di cristiani che<br />
vivono come se<br />
Dio fosse l’ultimo<br />
best-seller da<br />
acquistare (e neppure<br />
da leggere…).<br />
In questa terra<br />
di cristiani che<br />
vivono senza Dio,<br />
chi vive in santità<br />
e purezza è la prima<br />
vittima, perfino<br />
di coloro che si autoproclamano cristiani. Ai<br />
tempi della Roma Imperiale, il cristianesimo era<br />
scandaloso, un pericolo e i cristiani considerati<br />
rivoluzionari. Oggi l’unico scandalo è l’asservimento<br />
dei cristiani alla mentalità odierna. Avere<br />
il coraggio di accettare i propri limiti: una formuletta<br />
che salvaguardia i mediocri, i vili, chiamando difficili<br />
le istanze radicali del Vangelo. Ne abbiamo<br />
abbastanza di vedere affondare il cristianesimo<br />
in questo mare di pressappochismo. Il cristiano<br />
nasconde la propria fede. Ma non è iniziativa<br />
sua. E’ la fede che si nasconde perché si vergogna<br />
di chi la sta indossando. L’intimità di Dio<br />
che si è allontananato da questi presunti cristiani,<br />
si può ormai raggiungere solo con una prova di<br />
forza e di coraggio, una prova estrema: abbracciare<br />
una volta per tutte il suo invito, abbandonando<br />
la zavorra che ci opprime. Ma chi ha il<br />
coraggio di farlo? E le rassicuranti prove della<br />
bontà di Dio? L’agiatezza economica, la casa,<br />
i beni di lusso? Non sono forse proprio queste<br />
a testimoniare la presenza di Dio nella nostra<br />
vita? Non ci ama forse Dio quando concede i<br />
suoi favori attraverso un benessere faticosamente<br />
conquistato dopo il secolo del martirio? E questa<br />
generazione di figli a cui tutto è dovuto senza<br />
il minimo sacrificio? Non è forse un diritto spezzare<br />
una famiglia comunque di fatto divisa, abbandonare<br />
i figli, cestinare i feti, approvare guerre<br />
di prevenzione, cacciare i clandestini? Ma Dio<br />
nasconde il Suo volto, non la Sua umiltà: nella<br />
ripetizione quotidiana della consacrazione delle<br />
Sacre Specie, Egli s’inchina nuovamente ver-<br />
so quest’uomo che traffica con le faccende umane<br />
con lo stesso impegno con cui i primi cristiani<br />
testimoniavano con la loro vita l’appartenenza<br />
a questo stesso Dio. Dunque è il medesimo? I<br />
martiri siciliani adoravano lo stesso Dio che il<br />
Signor Pincopallino, diacono della Chiesa<br />
Romana, con una casa di duecento metri quadri,<br />
tre auto, quattro televisori, per tacere del resto,<br />
dice di adorare tutte le mattine quando concelebra?<br />
In una lettera d’un ebreo sopravvissuto<br />
all’Olocausto, ho trovato questa frase: “L’Olocausto<br />
è una specie di buco nel cosmo, è il garante dell’esistenza<br />
del Male. Per gli ebrei è l’equivalente<br />
della Crocifissione”.<br />
E aggiungiamo: l’Olocausto spirituale dei cristiani<br />
di oggi è la voragine entro cui è affossata tutta<br />
la nostra società. La prova del nascondimento<br />
di Dio. Per i cristiani di oggi è l’equivalente del<br />
comportamento del Sinedrio al processo contro<br />
Gesù. In un tremendo racconto, lo scrittore<br />
(Nobel 1978 per la letteratura) Isaac Bashevis<br />
Singer descrive l’arrivo di ebrei americani nella<br />
Terra Promessa nei primi anni cinquanta: borsoni,<br />
magliette variopinte, donne truccatissime,<br />
uomini con cravatte sgargianti e scarpe firmate.<br />
Si chiede: “ E questi sarebbero i successori<br />
di Abramo?”<br />
Immaginiamo come uno scrittore possa raccontare,<br />
tra cento anni, chi erano i cristiani che passeggiavano<br />
tra Roma e <strong>Velletri</strong> nel duemilaotto. Come li descriverà?<br />
Auto di lusso, case super-accessoriate,<br />
in ripicca col vicino o con chi gli calpesta l’unghia<br />
del mignolo, sbocconcellando sentenze contro<br />
gli immigrati, i detenuti e il governo che non<br />
Settembre<br />
2008<br />
sa garantire l’ordine…e<br />
i sacri luoghi<br />
di aggregazione:<br />
ristoranti e<br />
pizzerie affollati,<br />
strade trafficate,<br />
supershopping<br />
negli immensi<br />
centri commerciali,<br />
banche, finanziarie,concessionarie…per<br />
tacere delle luminarie<br />
a natale<br />
(enne minuscola)<br />
e dei “ponti” festivi<br />
(dell’Immacolata,<br />
dei Santi, l’Assunta<br />
divenuta un miserabile<br />
ferragosto<br />
… occasioni non<br />
più sacre ma utilizzate<br />
per le vacanze).<br />
Urge la domanda e la riflessione: gli ebrei rifiutarono<br />
Gesù e continuano ad adorare il Dio della<br />
Torah. Siamo certi che al loro rifiuto non si<br />
sia opposto altro che una banale accettazione<br />
della religione da parte di questi cristiani? Che<br />
cosa significa questa professione di fede? (così<br />
la Messa domenicale è una delle tante attività:<br />
le partite, la cena, il programma televisivo, etc.)<br />
Non testimonia appunto l’abbandono di Dio di<br />
una terra dove l’uomo governa, regge, guida sé<br />
stesso come fosse il creatore?<br />
Ma Dio c’è, e paradossalmente lo prova questa<br />
insipida, incolore e inodore presenza dei cristiani<br />
in una terra vuota e desertica. Dio si manifesta<br />
per l’appunto attraverso il vuoto dei suoi<br />
figli, momento nel quale Egli si ritira dal mondo<br />
e nasconde il Suo volto. Egli ha consegnato la<br />
Sua creazione agli istinti selvaggi dell’uomo e<br />
i Suoi pochi figli che vivono in santità e purezza<br />
lo testimoniano nelle loro coscienze, nelle loro<br />
sofferenze, in questo loro anelito disperato ma<br />
colmo di speranza. Questi pochi siano fieri: perché<br />
essere veri discepoli del Signore, oggi, è<br />
pur sempre un genere di martirio. Essere veri<br />
cristiani significa portare il cilicio, essere santi<br />
e immacolati all’interno di una generazione perversa,<br />
in sintesi: avere il coraggio di non aggregarsi<br />
ai modi d’uso e di costumi degli altri presunti<br />
fratelli di fede. Il modello è l’unico Maestro.<br />
Il testimone è colui che accetta di salire sulla<br />
Croce. Il discepolo è colui che non dorme, non<br />
riposa, ma instancabilmente cerca e ricerca la<br />
vera, l’unica imitazione di Cristo.
Diacono<br />
Pietro Latini<br />
Settembre<br />
2008<br />
La riunione ha<br />
avuto luogo<br />
domenica 22/6<br />
u.s. ed è stata<br />
introdotta da<br />
due riflessioni<br />
su “Il ruolo<br />
della moglie nel<br />
Ministero del<br />
Diacono”, tenuterispettivamente<br />
dal<br />
Diacono Pietro<br />
e da Angela<br />
Giudice, moglie<br />
del diacono<br />
Angelo<br />
Amendola. Si riporta una sintesi di questi<br />
interventi che hanno prodotto un approfondito<br />
dialogo sull’argomento da parte dei partecipanti.<br />
La moglie del diacono non ha un semplice ruolo di<br />
aiuto nella vocazione del marito: ella assume forti connotati<br />
di vocazione propria e le radici di questi connotati<br />
affondano nelle ragioni stesse del ministero cui<br />
il diacono e la moglie sono chiamati, pur se con ruoli<br />
distinti. Ciò significa che nel diaconato il contributo<br />
della moglie è essenziale e che, se quel contributo<br />
venisse a mancare, anche quel ministero non<br />
sarebbe più lo stesso. Si potrebbe parlare del servizio<br />
della moglie nel contesto più ampio del ministero<br />
del diaconato. Il servizio della moglie nel diaconato<br />
è dono e gratuità. È dono perché quel donarsi<br />
reciproco, che gli sposi si son fatti il giorno del matrimonio,<br />
con il diaconato si fortifica e si sublima nel<br />
dono di sé che entrambi fanno a se stessi ed alla<br />
comunità cui sono chiamati a svolgere il servizio. Il<br />
marito con il diaconato non appartiene più solo alla<br />
moglie come potrebbe essere per gli altri sposi, ma<br />
anche alla comunità. Lo dimostra la separazione nell’assemblea<br />
liturgica: la moglie e i figli tra i banchi;<br />
il marito all’altare per il servizio liturgico. Il servizio<br />
della moglie nel diaconato è gratuità perché il servizio<br />
svolto è donato nell’ombra, senza essere visto<br />
e riconosciuto; spesso senza esser neanche richiesto<br />
e sotto la titolarità del marito o addirittura di altri.<br />
Di fronte alle incomprensioni, alle avversità ad ai conflitti,<br />
quando il ministero è duramente messo alla prova<br />
e le risorse sembrano essere insufficienti la vicinanza<br />
della moglie potrebbe rivelarsi risolutiva. La<br />
Scrittura indica sotto questo aspetto funzioni di soste-<br />
gno e di stimolo. Per il sostegno basti pensare ai viaggi<br />
missionari degli apostoli che potevano essere pensati<br />
proprio per lo spirito di abnegazione e di sostegno<br />
che le mogli assicuravano. Non era poco: la moglie<br />
nei viaggi missionari avocava a sé tutto il compito<br />
di supporto che solitamente una moglie esercita in<br />
famiglia ed accettava il ruolo delicato che una comunità<br />
perseguitata le assegnava.<br />
Compito certamente prezioso nella vita missionaria<br />
dell’apostolo ed indispensabile per la sopravvivenza<br />
stessa della missione, se pensiamo che altrimenti<br />
l’apostolo avrebbe dovuto spendere energie importanti<br />
per la gestione ordinaria ed avrebbe così sacrificato<br />
inevitabilmente gli ambiti più importanti dell’apostolato.<br />
È per questo che la moglie veniva considerata nell’antichità<br />
la prerogativa dell’apostolo al punto tale<br />
che se un apostolo fosse stato trovato senza moglie<br />
avrebbe avuto remore ad essere riconosciuto apostolo,<br />
come è successo all’apostolo Paolo. I nemici<br />
dell’apostolo Paolo infatti mettevano in forse la sua<br />
missione di apostolo non sulla base delle opere ma<br />
semplicemente sul fatto che egli aveva rinunciato alla<br />
moglie. Oltre al sostegno, la moglie nei confronti del<br />
diaconato esprime funzioni di stimolo, come testimoniano<br />
la moglie di Pilato che ha preso iniziativa con il marito<br />
in favore di Gesù o come testimonia Abigael che<br />
con profonda umiltà e con dolcezza, tipicamente femminile,<br />
è intervenuta nelle iniziative di David e lo ha<br />
dissuaso da azioni legittime, ma poco ispirate e lo<br />
ha aiutato a tuffarsi in una scelta superiore di fede.<br />
Sostegno e stimolo significano che la moglie è coinvolta<br />
fino in fondo con il ministero del marito e ne<br />
segue le sorti senza distinguo e senza presa di distanze<br />
come potrebbe essere per qualsiasi altro lavoro<br />
pubblico; che essa segue le sorti del marito fino alla<br />
fine come è accaduto alla moglie del servo nel racconto<br />
evangelico che si è ritrovata in prigione con il<br />
27<br />
marito a seguito di operazioni sbagliate. Il ministero<br />
del diaconato è totalizzante e non ammette ripensamenti:<br />
così in passato, così oggi; così per il diacono,<br />
così per la moglie. Esso va scelto e non subito<br />
e richiede il sì convinto ed assoluto come ha fatto<br />
Maria nell’annunciazione e una profonda adesione<br />
al progetto, non scelto né subito ma accettato perché<br />
pensato da Iahvè. È difficile per l’uomo di oggi<br />
accettare progetti pensati da altri, ma è possibile. Sara,<br />
la moglie di Abramo, ne è l’esempio: ella per fede<br />
ha accettato la maternità quando era già vecchia e<br />
per fede ha abbandonato le sicurezze del mondo e<br />
si è tuffata dentro un progetto che rimaneva oscuro,<br />
ma che lei abbracciava solo perché veniva da Dio.<br />
Oggi noi accettiamo con difficoltà progetti che non<br />
sono sicuri e governabili; rifiutiamo senz’altro progetti<br />
che altri hanno pensato e di cui noi non conosciamo<br />
le ragioni; ma la moglie di Abramo, Sara, e le mogli<br />
degli apostoli lo hanno fatto, a rischio della vita; le<br />
mogli dei diaconi debbono imparare a farlo anche<br />
loro, semplicemente perché il progetto viene da Dio.<br />
Anche oggi la moglie è preziosa ed è prerogativa apostolica<br />
nella missione della evangelizzazione. Infatti<br />
quando il mondo vede il pieno coinvolgimento non<br />
del singolo ma di una comunità sia pur piccola in un<br />
progetto totalizzante e quando vede che per questo<br />
progetto vengono spese energie profonde ed addirittura<br />
la stessa vita, solo allora il mondo rimane colpito<br />
e riflette. Perché non sono le parole che colpiscono<br />
ma la testimonianza personale e della comunità.<br />
Personalmente cito questo ricordo: quando venivo<br />
interpellato su questioni profonde ed affascinanti<br />
subito qualcuno si rivolgeva a mia moglie e le chiedeva:<br />
e tu cosa ne pensi? Come ti comporti? Ecco<br />
dunque che la testimonianza della moglie diventava<br />
la prova della vita vissuta nel ministero ed il servizio<br />
nuovo di cui il mondo ha bisogno.
28<br />
La “Christifideles Laici” presenta tutto il Popolo<br />
di Dio, la Chiesa, come il luogo idoneo per la formazione<br />
spirituale del laico. Dio è soggetto attivo<br />
e promotore del grande itinerario educativo nella<br />
vita spirituale e, in dipendenza ed in comunione<br />
con Lui, anche la Chiesa di Cristo è soggetto<br />
educativo; la Chiesa, infatti, sa di essere chiamata<br />
a “prendere parte all’opera educativa divina”<br />
che trova nel Padre “la sua radice e la sua<br />
forza” e che, pienamente rivelata, in Gesù<br />
Cristo “raggiunge dal di dentro il cuore di ogni uomo<br />
grazie alla presenza dinamica dello Spirito” (Ch.L.<br />
61).<br />
Da ciò scaturisce che la formazione non è uno<br />
dei tanti compiti che la Chiesa deve assolvere ma<br />
costituisce la sua più profonda preoccupazione,<br />
alla quale continuamente si riconduce a partire<br />
dalla coscienza della propria maternità.<br />
Per la Chiesa rispondere a questa chiamata è aver<br />
coscienza piena della propria missione e del proprio<br />
servizio, ben sapendo che nel “mistero del<br />
Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo<br />
e che Cristo, proprio rivelando il mistero del Padre<br />
e del Suo amore, svela all’uomo e gli fa notare<br />
la Sua altissima vocazione” (GS 22).<br />
La Chiesa, conseguentemente, diventa qui sulla<br />
terra il luogo primario della formazione permanente<br />
del laico cristiano; a tale riguardo il Philips già scriveva<br />
che “La Chiesa sarà il principio verificatore<br />
della società umana. Tutte le componenti della<br />
civiltà risentiranno il suo influsso trasformatore.<br />
[…] Nessuna miseria umana lascia insensibile<br />
la Chiesa”. 1<br />
Il tutto della vita della Chiesa: annuncio, predicazione,<br />
catechesi, liturgia, sacramenti, attività pastorale,<br />
è un continuo orientarsi alla formazione integrale<br />
della persona umana, perché la Chiesa stessa<br />
possa contemplare nei suoi figli “Cristo speranza<br />
della gloria” (Col. 1,27). Agendo così,<br />
la Chiesa risponde in positivo alla chiamata<br />
divina: “Come il Padre ha mandato<br />
me, anch’io mando voi” (Gv. 20,21)<br />
“Come tu mi hai mandato nel<br />
mondo, anch’io li ho mandati nel<br />
mondo” (Gv. 17,18). È tutta la Chiesa<br />
che, rivestita dello Spirito di testimonianza<br />
e della profezia, è inviata<br />
al mondo per esservi il luogo primario<br />
della formazione per ogni<br />
uomo di buona volontà; difatti la “Lumen<br />
Gentium” attesta che “Cristo, quando<br />
fu elevato in alto da terra, attirò<br />
tutti a sé; risorgendo dai morti immise<br />
negli Apostoli il suo Spirito vivificatore<br />
e, per mezzo di Lui, costituì il Suo<br />
Corpo, che è la Chiesa, quale universale<br />
sacramento di salvezza” (LG<br />
48).<br />
Tale fisionomia della Chiesa va collegata a tre realtà<br />
fondamentali:<br />
Settembre<br />
2008<br />
1- il rinnovamento definitivo in Cristo: “ I nuovi cieli<br />
e la nuova terra dove abiterà la giustizia” (Ap.<br />
21, 1-2); alla base di ogni autentico progetto di<br />
formazione vi è sempre “l’esigenza della nuova<br />
creazione in Cristo” (2 Cor. 5,17). La formazione<br />
spirituale e culturale è un continuo processo<br />
di conversione che ci porta a sperare e a vivere<br />
quotidianamente la «novità pasquale»;<br />
2- il Mistero pasquale di Gesù, come centro della<br />
nostra vita e azione, come punto essenziale<br />
di riferimento per la formazione di ogni laico fedele;<br />
3- la Chiesa stessa, come corpo organico, animato<br />
dallo Spirito di vita e da lui costituita missionaria;<br />
la Chiesa ha il compito di formare il laico<br />
affinché viva simultaneamente la crescita in<br />
Cristo, la comunione ecclesiale e l’inserimento nel<br />
mondo; questo dinamismo di grazia porta a maturazione<br />
la fede dei credenti, rendendoli capaci di<br />
crescere nella vita spirituale.<br />
Il servizio alla formazione è un continuo confermarsi<br />
nella fede: a questo proposito è essenziale<br />
riconoscere il ruolo primario del Papa che, nella<br />
Chiesa di cristo, ha ricevuto il carisma di confermare<br />
nella fede i fratelli; la Chiesa universale sospinge<br />
il fedele laico ad agire nella vita formativa mediante<br />
la Chiesa particolare e, per ultimo, attraverso<br />
una sua cellula fondamentale, la parrocchia. È<br />
in essa, infatti, che la preghiera liturgica e personale,<br />
tutta una serie di attenzioni e di rapporti<br />
interpersonali si tessono di quotidianità e, dunque,<br />
di concretezza; è a partire da essa che s’imparano<br />
a coniugare idealità e vissuto, straordinarietà<br />
e ferialità, specificità e globalità, intenzionalità<br />
e realtà.<br />
La parrocchia, vera cellula educativa della<br />
Chiesa, mette a contatto categorie sociali diversi<br />
con la fonte della santità, Gesù Cristo, in Lui<br />
fa riconoscere la fondamentale dignità di ciascuno<br />
ed in lui lo educa ad una sincera fraternità. La<br />
parrocchia, assumendo l’attenzione pastorale per<br />
un determinato territorio, dà spessore di missionarietà<br />
e capacità di inculturare la fede che diventa,<br />
allora, pienamente accolta, interamente pensata,<br />
fedelmente vissuta; la comunità parrocchiale,<br />
facendo interagire<br />
in questo modo vocazioni, ministeri, carismi diversi<br />
educa in modo permanente e costante ogni laico<br />
fedele a scoprirsi Popolo di Dio e costruttore<br />
di esso.<br />
La “Christifideles Laici”, per offrire maggiore sicurezza<br />
alla Chiesa, come madre di formazione laicale,<br />
fa emergere in questo contesto Maria, madre<br />
di Cristo, come modello ed archetipo di formazione<br />
della chiesa, per la chiesa e nella chiesa<br />
e lo fa con questa affermazione: “Vergine madre,<br />
guidaci e sostienici perché viviamo sempre come<br />
autentici figli e figlie della chiesa di Tuo Figlio e<br />
possiamo contribuire a stabilire sulla terra la civiltà<br />
della verità e dell’amore secondo il desiderio
Settembre<br />
2008<br />
di dio e per la sua gloria” (Ch.L. 64).<br />
Per questo la Chiesa, come Maria, mentre nel suo cuore<br />
intercede per gli uomini, ripete a ciascuno dei suoi<br />
figli: “Fate quello che vi dirà (Gv. 2,5) suscitando così<br />
la dinamica della fede. Da ciò scaturisce che la maternità<br />
della Chiesa non si esaurisce nel considerare questo<br />
sublime modello di maternità che le è offerto in Maria,<br />
ma si apre alla gioia di constatare come Maria continuamente<br />
cooperi alla rigenerazione e formazione dei<br />
credenti e perciò educa i suoi figli ad incontrarsi con<br />
Lei per ottenere aiuti particolari per crescere nella formazione<br />
cristiana; così si attua la maternità della Chiesa<br />
non solo secondo il modello e la figura della Madre di<br />
Dio ma anche con la sua cooperazione e ad essa si<br />
applica l’espressione dell’apostolo Paolo che, rivolgendosi<br />
ai Galati, riconosceva come “Figlioli miei, che io di nuovo<br />
partorisco nel dolore finchè non sia fondato Cristo<br />
in voi” (Gal. 4, 19).<br />
Certamente la chiesa, come luogo primario voluto da<br />
Dio per la formazione dei fedeli laici di tutte le età e di<br />
tutte le situazioni di vita, richiede dai fedeli stessi piena<br />
fiducia e collaborazione, perché possa compiere la<br />
sua opera formatrice anche in tutte le aggregazioni laicali;<br />
E. Mainati esprime questo pensiero con queste parole:<br />
“Il laico cristiano, inserendosi nelle strutture pastorali<br />
della Chiesa, lo deve fare con grande rispetto e amore<br />
e la deve riconoscere come «strumento» voluto da<br />
Cristo, perché l’umanità incontri ed esperimenti la Salvezza”. 2<br />
Di qui la necessita che la Chiesa incontri i laici nella<br />
loro esperienza associativa e li educhi costantemente<br />
a non indugere verso nessun tipo di chiusura ed intimismo;<br />
per questo la Chiesa deve guidare ogni movimento,<br />
gruppo ed associazione ad “essere luogo di annuncio<br />
e di proposta di fede e di educazione ad essa nel<br />
suo integrale contenuto” (Ch.L. 30).<br />
Ugualmente la Chiesa, secondo l’Esortazione post-sinodale<br />
deve esigere che ogni aggregazione laicale si caratterizzi<br />
per la “testimonianza di una comunione salda e<br />
convinta, in relazione filiale al Papa, perpetuo e visibile<br />
centro di unità della Chiesa universale” e con il Vescovo<br />
“principio visibile e fondamento dell’unità” della Chiesa<br />
particolare e nella “stima vicendevole tra tutte le forme<br />
di apostolato nella Chiesa” (Ch. L. 30).<br />
Solo nell’attuazione concreta di tali principi, la Chiesa<br />
aiuta il laico cristiano a capire che non bastano le affermazioni<br />
teoriche ma occorre la testimonianza dei atti,<br />
per tendere a realizzare nella propria vita la vera formazione<br />
spirituale, capace di aiutare a costruire nel mondo<br />
il Regno di Dio; soltanto in questa prospettiva globale<br />
la Chiesa si rivela essere per il laico cristiano luogo<br />
primario per la crescita costante nella formazione<br />
della propria spiritualità.<br />
1 Philips G., “Laicato adulto, Sa.Le.S., Roma 1965,<br />
pag. 121.<br />
2 Mainati E., “Teologia del laicato”, citt. Pp. 159.<br />
La Madonna Immacolata scolpita per<br />
la Cappella dei PP. del F.I.C. di <strong>Velletri</strong><br />
è stata eseguita su espresso<br />
desiderio ed indicazione del P.<br />
Domenico D’Angelo. Come tutte le opere<br />
della casa d’arte Stuflesser di Ortisei,<br />
anche questa è un’opera unica garantita<br />
anche dal marchio della stessa ditta, che<br />
da ben 133 anni e cinque generazioni opera<br />
nel campo della scultura e degli arredi<br />
religiosi. L’opera unica è stata discussa<br />
in ogni minimo particolare e poi eseguita<br />
gli antichi sistemi Stuflesser: il legno<br />
di cinnolo (della famiglia dei pini), seccato<br />
in modo corretto, incolato da formare un<br />
unico blocco. Ottenuto il blocco si inizia<br />
a scolpirlo interamente ed esclusivamente<br />
a mano dal primo momento, passando<br />
dall’ascia agli scalpelli sempre minori<br />
e precisi.<br />
La pittura anch’essa eseguita interamente<br />
a mano, è stata eseguita con colori<br />
ad olio.<br />
Tra le opere di recente realizzazione vi è<br />
anche un bellissimo San Luigi Gonzaga<br />
ritratto nel pieno non solo della sua gioventù<br />
ma anche del suo impegno caritatevole,<br />
mentre raccoglie un appestato. Questa<br />
scultura, destinata ad una comunità della<br />
Sicilia, è stata unanimemente riconosciuta<br />
in ambienti artisti ed ecclesiastici,<br />
come la migliore opera unica dell’anno.<br />
29
30<br />
Stanislao Fioramonti<br />
Questa estate ho fatto un viaggio in Spagna.<br />
Ho visitato tre grandi città, Madrid Saragozza e Barcellona,<br />
ricche sia dal punto di vista architettonico che artistico.<br />
Approfondendo anche, come a me piace, la<br />
loro storia, ho trovato all’origine sempre la Vergine<br />
Maria e due<br />
apostoli, che<br />
sono san<br />
Giacomo il<br />
Maggiore<br />
(Santiago) nel<br />
caso di Madrid<br />
e Saragozza,<br />
san Pietro per<br />
Barcellona.<br />
Conoscere queste<br />
storie ci<br />
consentirà di<br />
cogliere l’essenza<br />
profonda,<br />
religiosa e civile<br />
insieme, della<br />
nazione spagnola.<br />
L’apostolo<br />
Giacomo, figlio<br />
di Zebedeo e di<br />
Salome e fratello<br />
dell’evangelista<br />
Giovanni, celebrato<br />
dalla<br />
Chiesa cattolica<br />
il 25 luglio,<br />
dopo l’Ascensione di Gesù al cielo predicò il Vangelo<br />
in Giudea e in Samaria, finché fu fatto uccidere<br />
di spada a Gerusalemme dal re Erode Agrippa I<br />
(nipote di Erode il Grande) verso l’anno 42 o 44,<br />
primo degli apostoli a subire il martirio (cf. Atti degli<br />
Apostoli, 12,1). San Giacomo (Santiago) è anche<br />
patrono della Spagna perché, secondo un’antica<br />
tradizione, prima della sua morte sarebbe venuto<br />
ad evangelizzarla, predicando in particolare per<br />
sette anni nella regione nord occidentale della Galizia.<br />
Qui, dopo il martirio, alcuni discepoli avrebbero poi<br />
trasportato il suo corpo, e una stella apparsa dopo<br />
alcuni secoli (nell’anno 813) avrebbe indicato il luogo<br />
della sua sepoltura. Su quel “Campus Stellae”<br />
(Compostella) il re delle Asturie Alfonso II il Casto<br />
fece costruire un santuario che ben presto divenne,<br />
con Roma e Gerusalemme, una delle grandi<br />
mete dei pellegrinaggi medievali.<br />
Sempre secondo la tradizione, nell’anno 38 dell’era<br />
cristiana uno dei discepoli di Santiago, ancora<br />
impegnato sul suolo iberico, si recò in un pic-<br />
colo villaggio della Spagna centrale, del quale ignoriamo<br />
il nome preciso, lasciandovi una statuetta<br />
della Madonna col Bambino Gesù, che si cominciò<br />
a venerare nella chiesa di Santa Maria (la prima<br />
della futura città di Madrid). Quel villaggio attraversò<br />
senza storia i trecento anni in cui la Spagna<br />
fu sottoposta al regno dei Visigoti (409-711), che<br />
aveva per capitale<br />
Toledo,<br />
distante appena<br />
70 chilometri.<br />
Quando<br />
però nell’anno<br />
711 l’ultimo re<br />
goto Rodrigo<br />
venne sconfitto<br />
e ucciso nella<br />
battaglia di<br />
Guadalete, l’intera<br />
penisola<br />
(eccetto le regioni<br />
più settentrionali)<br />
subì<br />
una rapida conquista<br />
da parte<br />
dei musulmaniprovenienti<br />
dall’Africa;<br />
solo nel 1492 gli<br />
ultimi mori,<br />
asserragliati a<br />
Granada, sarebbero<br />
stati sconfitti<br />
ed espulsi<br />
da quella terra,<br />
che pure avevano arricchito di opere e monumenti.<br />
Conquistata Toledo, i musulmani vollero proteggerla<br />
fortificando i borghi circostanti, tra i quali quel<br />
villaggio posto 70 chilometri più a nord, in posizione<br />
strategica lungo il fiume Manzanares, del quale<br />
non si conosce il nome ma che loro chiamarono<br />
“Magerit” (da cui Madrid). I suoi abitanti cristiani,<br />
prima dell’inevitabile attacco che avrebbe trasformato<br />
la loro chiesa in moschea, per evitare la profanazione<br />
della loro Madonna decisero di chiuderla dentro<br />
la cavità di un muro, sistemandola in una nicchia,<br />
illuminandola con due candele e poi ricoprendo il<br />
tutto.<br />
Tre secoli durò l’occupazione musulmana di Magerit:<br />
solo nel 1085 il re Alfonso VI di Castiglia, soprannominato<br />
“El Bravo” (il valoroso), riconquistò Toledo<br />
e il territorio circostante. A Magerit si riconvertì la<br />
moschea in chiesa parrocchiale e si decise di ricercare<br />
l’immagine mariana nascosta per riportarla<br />
sull’altare maggiore; nessuno però sapeva dove<br />
fosse nascosta, tanto che re Alfonso ordinò una<br />
Settembre<br />
2008<br />
novena di preghiere perché il<br />
Cielo desse un segnale, e la concluse<br />
con una processione solenne<br />
alla quale, oltre che l’intera popolazione,<br />
partecipò lui stesso con il<br />
figlio Fernando, il re di Aragona e<br />
Navarra Sancio e il condottiero Rodrigo Dìaz de<br />
Vivar, più famoso come el Cid Campeador.<br />
Quando il corteo giunse alla Cuesta de la Vega,<br />
l’antico muro che nascondeva la statuetta crollò<br />
e apparve la Virgen ancora illuminata dalle due<br />
candele accese nell’anno 712 ! Il luogo in cui era<br />
celata era chiamato dagli arabi “almudin” (granaio)<br />
e quindi da allora la Patrona di Madrid ebbe il titolo<br />
di Almudena. Dalla chiesetta di Santa Maria<br />
essa passò nella chiesa del Sacramento, poi nella<br />
cattedrale provvisoria di San Isidro (dal 1954<br />
al 1993) e infine in uno scenografico altare laterale<br />
neogotico della nuova imponente cattedrale<br />
metropolitana di Madrid, Santa Maria la Real de<br />
la Almudena, situata accanto al Palazzo Reale e<br />
consacrata da papa Giovanni Paolo II nel giugno<br />
1993.<br />
La statua attuale, scolpita nella pietra, risale al XVI<br />
secolo; l’8 <strong>settembre</strong> 1945 (dopo la sanguinosa<br />
guerra civile spagnola, 1936-39, e il secondo conflitto<br />
mondiale) ricevette la medaglia d’oro della Città<br />
di Madrid e il 10 novembre 1948 l’incoronazione<br />
canonica. La sua festa è il 9 novembre, giorno del<br />
suo ritrovamento nel 1085.<br />
La storia di “Nuestra Senora del Pilar”, patrona<br />
dell’Aragona e della Spagna, ce la racconta l’arcivescovo<br />
di Saragozza mons. Manuel Urena Pastor<br />
nelle pagine della rivista “El Pilar” (fondata nel 1883,<br />
stampata in 6000 copie mensili e distribuita in 68<br />
Paesi “per la diffusione nel mondo della devozione<br />
alla SS.ma Vergine del Pilar”). Scrive il prelato<br />
che nella notte tra il 1° e il 2 gennaio dell’anno<br />
40 la Vergine Maria fu trasportata da uno stuolo<br />
di angeli da Gerusalemme a Saragozza (la romana<br />
Caesarea Augusta) per confortare l’apostolo Santiago<br />
nel suo impegno missionario, per invitarlo a tornare<br />
a Gerusalemme incontro al martirio e per ordinargli<br />
la costruzione sulla riva del grande fiume<br />
Ebro di una chiesa cristiana dedicata a Dio e in<br />
onore di Maria; la quale donò personalmente all’apostolo<br />
i due elementi che avrebbero caratterizzato<br />
quel tempio, anch’essi portati dagli angeli: una<br />
colonna di alabastro (in spagnolo “pilar”) e una statuetta<br />
della Vergine da collocare su quella colonna.<br />
Maria prometteva grandi grazie a quanti visitassero<br />
con fede e devozione quel luogo.<br />
La piccola chiesa costruita dall’apostolo Santiago,<br />
che farebbe del Pilar il santuario più antico di Spagna<br />
e forse di tutta la cristianità, “fu il germe di ciò che<br />
è oggi questa vasta, complessa e splendida Basilica-<br />
Cattedrale di Nostra Signora del Pilar di Saragozza”,<br />
prosegue l’arcivescovo, riferendosi alle dimensioni<br />
e alle caratteristiche architettoniche davvero<br />
imponenti del tempio: 135 metri di lunghezza, 67
Settembre<br />
2008<br />
di larghezza, 4 facciate, 3 navate, 4 torri e 11<br />
cupole, di cui la centrale alta 80 metri; per non<br />
parlare delle sue opere d’arte: affreschi di Velasquez,<br />
Goya e Francisco Bayen, un magnifico “retablo”<br />
(fondale dell’altare maggiore) del 1515 di<br />
Damien Forment, che narra nell’alabastro scene<br />
della vita di Maria. Il Pilar attuale, iniziato<br />
nel 1681 e consacrato nel 1872, è insomma uno<br />
dei santuari mariani più grandi e frequentati del<br />
mondo, con una media di 11 milioni di visitatori<br />
l’anno. Il suo cuore rimane la “Santa Capilla”<br />
nella navata centrale, di stile barocco e pianta<br />
ellittica, ricca di luci, marmi, argenti, bronzi<br />
e bandiere dei vari Paesi della “hispanidad”.<br />
Sul lato destro di essa, la statuetta lignea della<br />
Madonna, del secolo XIV, rivestita e contornata,<br />
insieme al “pilar” su cui poggia, di preziosi<br />
paramenti continuamente rinnovati, a seconda<br />
delle circostanze e dei tempi liturgici. Incoronata<br />
il 20 maggio 1905, la Vergine del Pilar si festeggia<br />
il 12 ottobre, data della scoperta del Nuovo<br />
Mondo e della cacciata definitiva dei Mori dalla<br />
Spagna, non solo in Spagna, ma in tutte le<br />
nazioni di lingua e cultura spagnola (America<br />
Latina e Filippine), che in quel giorno fanno suonare<br />
a distesa tutte le campane delle loro chiese.<br />
Fatto curioso ma non troppo, perché dimostra<br />
quanto la Vìrgen sia parte viva della città,<br />
l’Associazione Culturale “Gli Assedi di Saragozza”,<br />
nell’Assemblea Generale Straordinaria del 24<br />
aprile 2008, ha concesso la Medaglia di Socio<br />
d’Onore (sua massima onorificenza) alla<br />
Vergine del Pilar, riconoscendo “il ruolo da Lei<br />
svolto come baluardo morale dei difensori di<br />
Saragozza nel 1808 e 1809”, al tempo dell’invasione<br />
napoleonica della Spagna. Ma l’affetto<br />
per Maria può esprimersi anche in forme più<br />
comuni: sul pullmann che mi portava a<br />
Barcellona, dietro al sedile del conducente, ho<br />
trovato scritto: “Yo conduzco, Ella me guìa”, “Io<br />
guido, Lei mi guida”; se non è fiducia questa!<br />
Non per nulla, nota sempre l’arcivescovo, “el<br />
Pilar es el mayor orgullo de Aragona”.<br />
Quanto alla Madonna di Montserrat, venerata<br />
su una montagna dal profilo seghettato<br />
(da cui il nome) 60 chilometri circa nell’entroterra<br />
di Barcellona, anch’essa ha origini precedenti<br />
l’invasione araba della Spagna (sec. VIII); non<br />
ha però legami con l’apostolo Santiago, bensì<br />
con san Pietro: un elemento, questo, che<br />
forse contribuisce a spiegare le differenze tra<br />
Castiglia e Catalogna, e il nazionalismo di quest’ultima,<br />
che fa uso comune della lingua catalana<br />
come prima lingua e della bandiera regionale<br />
a strisce giallorosse al posto di quella<br />
nazionale. Della sua autonomia la Catalogna<br />
è molto gelosa, anche perché grazie ad essa<br />
(ma non solo per essa, ovviamente) è diventata<br />
la regione più ricca e trainante del paese.<br />
Il collegamento con san Pietro è una tradizione<br />
locale non dimostrabile, secondo la<br />
quale la statua della Virgen de Montserrat sarebbe<br />
stata scolpita dall’evangelista san Luca e portata<br />
in Catalogna dal primo degli apostoli nell’anno<br />
50 dell’era cristiana. A me<br />
risultava che fu san Paolo a<br />
progettare e forse realizzare,<br />
poco prima della sua cattura<br />
definitiva, un viaggio evangelizzatore<br />
in Spagna: è lui<br />
stesso a scriverlo nell’epilogo<br />
della Lettera ai Romani<br />
(15,24). Che anche san<br />
Pietro sia passato nella penisola<br />
iberica prima di morire<br />
a Roma, l’ho trovato solo qui.<br />
Ma se di una tradizione,<br />
specie se antica, si può<br />
anche dubitare, non si fa però<br />
fatica a credere al resto della<br />
storia della madonna catalana:<br />
una statua lignea del secolo<br />
XII, alta 95 centimetri, che<br />
rappresenta in forme di stile<br />
romanico Maria seduta in<br />
trono con il Bambino sulle ginocchia;<br />
statua di color marrone<br />
scuro, ulteriormente annerita<br />
da fiaccole e ceri accesi<br />
nei secoli davanti a lei, tanto<br />
che i fedeli la chiamano affettuosamente<br />
“La Moreneta”<br />
(Morenita sarebbe in castigliano!).<br />
Già presente sulla<br />
montagna prima dell’invasione<br />
musulmana, all’arrivo di questa l’immagine fu nascosta<br />
in una grotta non molto distante dal moderno<br />
santuario; nel secolo IX fu ritrovata da alcuni pastori<br />
in quella che oggi è chiamata la “Santa Cova”<br />
(la grotta santa), grazie al chiarore e al coro angelico<br />
che da essa proveniva. Il vescovo del luogo<br />
ordinò di trasferirla in cattedrale, ma quando il corteo<br />
ebbe percorso un breve tragitto la statua divenne<br />
talmente pesante da risultare intrasportabile,<br />
per cui fu deposta in una cappella vicina. In seguito<br />
il re catalano Wilfredo il Villoso fece erigere in<br />
31<br />
quel luogo, a 720 metri di altitudine sotto una suggestiva<br />
corona di rocce granitiche, un monastero<br />
benedettino fondato dall’abate Oliva, proveniente<br />
dal venerabile monastero catalano di Ripoll. Il<br />
sito divenne ben presto famoso e importante per<br />
i prodigi operati dalla Vergine, per i personaggi che<br />
ospitò (ad es. il card. Della Rovere, poi papa Giulio<br />
II), per i santi cui dette rifugio e conforto (Pedro<br />
Nolasco, Vincenzo Ferrer, Ignazio di Loyola, Luigi<br />
Gonzaga e tanti altri) e per gli artisti cui dette ispirazione<br />
(Goethe, Schiller, Wagner ecc.). Celebre<br />
nel mondo è poi La Escolanìa, il coro di Montserrat<br />
specializzato in canto gregoriano, derivato forse<br />
dai cori angelici presenti un tempo nella santa grotta.<br />
Il monastero fu ricostruito nel secolo XIII e dopo<br />
la distruzione napoleonica del 1812; la sua<br />
chiesa, a navata unica con 6 cappelle laterali, fu<br />
eretta alla fine del ‘500 e più volte rimaneggiata:<br />
la facciata è del 1939. La Moreneta, dichiarata Patrona<br />
della Catalogna da papa Leone XIII, si trova in una<br />
preziosa nicchia (“camarìn”) sull’altare maggiore,<br />
alla quale si accede con una scalinata ornata di<br />
marmi pregiati e mosaici.<br />
Tre Madonne, tre aspetti particolari di una sola grande<br />
storia, che è la storia della fede di una nazione,<br />
la Spagna, un tempo definita “cattolicissima”;<br />
ed è anche la storia della sua civiltà e della sua<br />
cultura: non a caso anche oggi, nonostante una<br />
laicizzazione galoppante, tante ragazze spagnole<br />
sono ancora chiamate Almudena, Pilar o Montserrat
32<br />
di Pontecorvi Fabio<br />
Quale bellezza salverà il mondo?<br />
In questo periodo estivo si guarda<br />
molto all’estetica a come comparire<br />
davanti agli altri, si guarda soprattutto<br />
alla bellezza esteriore. Ecco l’estetica<br />
sappiamo come è importante perché ci<br />
mette in relazione tramite lo sguardo nell’osservare<br />
ciò che noi riteniamo bello guardando<br />
con curiosità e giudizio quello che<br />
ci circonda, cercando di percepire dei messaggi<br />
che poi andiamo ad elaborare. Allora<br />
pensavo a quell’immagine che tutti portano<br />
nel cuore, che è Madre Teresa di<br />
Calcutta questa donna che esteticamente<br />
non bella ma resa bella dall’Amore di Dio,<br />
resa bella per quello che faceva per quello<br />
che riusciva a comunicare, attraverso<br />
le sue opere annunciava l’Amore di<br />
Dio tramite questo corpo non bello ma<br />
trasfigurato dall’Amore in Cristo Gesù. Quale<br />
bellezza oggi l’uomo va cercando? in particolare<br />
per i giovani che cercano testimonianze<br />
concrete e belle. Dostoevskij<br />
ha scritto: “Il mondo sarà salvato dalla<br />
bellezza... La bellezza è Cristo. Egli non<br />
fa altro che raccogliere ciò che tutta la<br />
Sacra Scrittura e la Tradizione attestano:<br />
Dio è “la Verità”, “la Bontà” e perciò<br />
anche “la Bellezza”.La bellezza che salva<br />
il mondo e l’arte stanno in relazione,<br />
Giovanni Paolo II alla lettera agli artisti<br />
scrive:” il tema della bellezza è qualificante<br />
per un discorso sull’arte. Esso si<br />
è già affacciato,quando ho sottolineato<br />
lo sguardo compiaciuto di Dio di fronte<br />
alla creazione, nel rilevare che quanto<br />
aveva creato era cosa buona, Dio vide<br />
anche che era cosa bella. Il rapporto tra<br />
buono e bello suscita riflessioni stimolanti,<br />
la bellezza è in un certo senso l’espressione<br />
visibile del bene,come il bene è la con-<br />
dizione metafisica della bellezza”.<br />
L’ incontro con Cristo è quella trasformazione(Trasfigurazione)<br />
che oggi cerchiamo,<br />
allora l’arte sacra può aiutarci facendoci<br />
percepire lo spirito, di Dio.”il soggetto<br />
religioso è fra i più trattati dagli artisti di<br />
ogni epoca. La chiesa ha fatto sempre<br />
appello alle loro capacità creative per interpretare<br />
il messaggio evangelico e la sua<br />
concreta applicazione nella vita della comunità<br />
cristiana, questa collaborazione è stata<br />
fonte di reciproco arricchimento spirituale………...Quale<br />
impoverimento<br />
sarebbe per l’arte l’abbandono del filone<br />
inesauribile del Vangelo!”GPII L.a.A.<br />
Questo parallelismo tra la figura di<br />
Madre Teresa e l’icona e strettamente legata<br />
perché tutte e due ci conducono ad<br />
una tras-formazione e a guardare verso<br />
l’Alto. Oggi facciamo memoria e ricordiamo<br />
la vita dei Santi e le loro opere attraverso<br />
le immagini tramandate da pittori<br />
e scultori, artisti che hanno abbellito le<br />
chiese di tutto il mondo. L’iconografia bizantina<br />
che cerca di spiritualizzare i soggetti<br />
che vengono rappresentati ci aiutano a<br />
capire il messaggio del Santo.<br />
“Nell’iconografia bizantina,il volto diventa<br />
il centro della rappresentazione: esso<br />
è il luogo della<br />
presenza dello<br />
Spirito di Dio,perché<br />
la testa è la<br />
sede dell’intelligenza<br />
e della<br />
saggezza. Tutta<br />
l’attenzione è<br />
concentrata sullo<br />
sguardo che<br />
irradia verso lo<br />
spettatore”(Egon<br />
Sendler). Il volto<br />
dell’icona quindi<br />
è la parte più<br />
Settembre<br />
2008<br />
importante assieme alle mani.<br />
Molti iconografi cercano di curare<br />
di più il volto rispetto alle vesti per<br />
rappresentare al meglio l’anima. Il<br />
naso fino e allungato ci indica la<br />
nobiltà, la bocca di solito piccola simbolo<br />
di preghiera,di umiltà di silenzio,<br />
il collo ritrova un rigonfiamento simbolo<br />
dello Spirito Santo,intorno alla<br />
testa il nimbo(aureola) d’oro simbolo della<br />
santità e della gloria. Ogni particolare<br />
del volto è ben curato,tutto concorre<br />
a trasmettere quella bellezza estetica e<br />
spirituale che lo spettatore accoglie per<br />
aiutarlo ad e entrare nel mistero del<br />
Divino.”Come i pittori innanzitutto tracciano<br />
con un solo colore l’abbozzo del<br />
ritratto e poi,a poco a poco, facendo fiorire<br />
un colore sull’altro, portano il ritratto<br />
della somiglianza del modello,così anche<br />
la grazia di Dio comincia nel battesimo<br />
con il riportare l’immagine a quello che<br />
era quando l’uomo venne all’esistenza.<br />
Poi, quando ci vede aspirare con tutto<br />
il nostro animo alla bellezza della somiglianza,lasciando<br />
fiorire virtù su virtù, elevando<br />
la bellezza dell’anima di splendore<br />
in splendore, le aggiunge allora l’impronta<br />
della somiglianza” (Diadoco di Fotica Capita<br />
centum de perfectione spirituali,89).<br />
nell’iconografia bizantina<br />
“La bellezza circonda sempre con un brillio<br />
impalpabile il volto del vero e delbuono”<br />
(H.U. Von Balthasar).
Settembre<br />
2008<br />
Antonio Venditti<br />
Accadono, non sono nel mondo giovanile, ma anche<br />
in quello dei fanciulli e dei preadolescenti, fatti gravi,<br />
sconcertanti per disumanità ed efferatezza, che<br />
certamente commuovono tutti, per qualche giorno,<br />
ma poi, scomparsi dalla scena mediatica, vengono<br />
liquidati come “fatalità” e così, salvo qualche rara<br />
e marginale voce divergente, si mettono in pace<br />
le coscienze di tutti… fino al fatto successivo, trattato<br />
alla stessa maniera, anche se ravvicinato nel<br />
tempo.<br />
In questo nostro “villaggio globale”, tutti veniamo a<br />
conoscenza dei fatti tragici che avvengono in ogni<br />
parte del mondo, tutti ascoltiamo “inorriditi” sul momento<br />
i particolari più raccapriccianti, tutti siamo compartecipi<br />
del dolore dei parenti e delle comunità intere<br />
affrante, ma, dopo i funerali “pubblici”, palesemente<br />
liberatori, voltiamo pagina, ripresi nel vortice<br />
della vita “normale”. In genere, sono generici i<br />
“perché” che ci poniamo, forse anche per non appesantire<br />
ancor più la nostra vita, e non abbiamo nemmeno<br />
la volontà e la pazienza di ricercare le risposte,<br />
che riteniamo compito degli investigatori e della<br />
Magistratura, che in realtà ha soltanto il compito<br />
di accertare le responsabilità personali, cosa spesso<br />
difficile, che oltretutto richiede tempi lunghissimi.<br />
Ma, comunque, il problema resta insoluto, perché<br />
ha radici ben più profonde di quanto si creda.<br />
Noi, infatti, stiamo parlando non di adulti che delinquono,<br />
per tante ragioni e circostanze, che riguardano<br />
la sfera delle loro precise responsabilità, in relazione<br />
a determinate scelte dannose per la società.<br />
Stiamo parlando di teneri fanciulli e fanciulle che,<br />
secondo la metafora educativa, sono “fiori” di splendida<br />
bellezza, ancora legati in tutto e per tutto a chi<br />
li ha generati. Stiamo parlando degli adolescenti,<br />
nel momento delicatissimo in cui si aprono al mondo<br />
e prendono coscienza dei loro ruoli, faticosamente,<br />
al punto che devono essere assistiti e sostenuti<br />
con amorevole cura, come l’albero che per ben<br />
attecchire e crescere “dritto” senza deviazioni, ha<br />
bisogno di un “tutore”. Stiamo parlando dei giovani,<br />
ormai prossimi alla maturità, che però ugualmente<br />
hanno bisogno di aiuto e sostegno, per inserirsi seriamente<br />
ed utilmente nella società.<br />
Com’è possibile, allora, che la fanciullezza sia calpestata<br />
così brutalmente e che fanciulli e fanciulle<br />
si ritrovino all’improvviso senza la bellezza della loro<br />
“innocenza”, ammesso che l’abbiano mai avuta? Com’è<br />
possibile che i preadolescenti, come se fossero già<br />
adulti, e non della specie migliore, abbiano esperienze<br />
così pericolose e spesso destinate a segnarli<br />
terribilmente per tutta la vita, da subito immiserita<br />
e perdente? Com’è possibile che i giovani rinuncino<br />
alla ricerca di una loro identità nuova e di nuovi<br />
orizzonti di vita, rinuncino al vero “amore”, quello<br />
costruito su solidi rapporti e finalizzato alla trasmissione<br />
della vita, perdendo in tal modo il loro futuro?<br />
Tentando di dare delle prime risposte, non certo esaustive<br />
delle problematiche tanto complesse, appare<br />
evidente che dobbiamo guardare al di là dei fanciulli,<br />
degli adolescenti, dei giovani, che in nessun<br />
caso possono essere ritenuti esseri a se stanti, ma<br />
sono inseriti naturalmente in contesti ben precisi che<br />
sono la famiglia, la scuola, la società, che hanno,<br />
nei diversi ambiti, un ruolo precisamente educativo.<br />
È questo il fulcro del problema, partendo dal quale<br />
si possono individuare le cause dei fatti ai quali<br />
abbiamo penosamente assistito.<br />
La famiglia ha un compito difficile e complesso, riferendoci<br />
alla realtà in cui viviamo. Davvero ammirevoli<br />
sono i genitori che si occupano, anche lavorando<br />
ed affrontando le mille difficoltà del presente,<br />
dei loro figli sempre, senza nulla tralasciare, prevenendo<br />
i pericoli, con un controllo continuo ed efficace,<br />
senza oppressioni ma nemmeno senza inopportune<br />
permissioni, in modo che si instauri con loro<br />
un dialogo, basato sulla sincerità e sul rispetto, nella<br />
comprensione reciproca.<br />
La scuola, come la famiglia e con la famiglia, deve<br />
portare avanti con convinzione il discorso educativo,<br />
con una disciplina che deve essere sì preventiva<br />
ma assolutamente efficace : il che significa che,<br />
ricorrendo solo eccezionalmente alle sanzioni, ottiene<br />
un comportamento virtuoso da alunni e alunne,<br />
senza dover reprimere gravi infrazioni alle regole<br />
di convivenza civile.<br />
La società, ossia la comunità nella quale la famiglia<br />
e la scuola sono inserite, deve assecondare gli<br />
sforzi educativi e rafforzarli, evitando che quello che<br />
faticosamente si costruisce in famiglia e a scuola,<br />
33<br />
venga subito distrutto, appena fuori del portone di<br />
casa e dei cancelli di scuola.<br />
E passiamo dai principi alla loro pratica applicazione.<br />
Ahimé ci accorgiamo che tutti e tre gli “enti” educativi,<br />
quale più quale meno, non hanno svolto la<br />
loro funzione! E purtroppo, senza ombra di dubbio!<br />
Infatti, non si può spiegare altrimenti come una ragazzina<br />
abbia la “libertà” di allontanarsi tanto spesso<br />
da casa , con un gruppo di ragazzi con i quali aveva<br />
rapporti forse consuetudinari, al punto di ritenersi<br />
“incinta” di uno di essi; né si può spiegare come quest’ultimi<br />
avessero non soltanto certe abitudini, ma<br />
fossero capaci di abusare, con o senza un iniziale<br />
consenso di una compagna, di picchiarla selvaggiamente,<br />
di ucciderla, di tentare di bruciarla, occultandone<br />
poi il cadavere.<br />
Si tratta di minori di fatto “indipendenti”, perché si<br />
sono sottratti ad ogni controllo e gli adulti, però, almeno<br />
indirettamente lo hanno permesso, rinunciando<br />
a loro precisi doveri. Sono stati assenti dall’inizio,<br />
da quando questi fanciulli sono entrati nel tunnel funesto<br />
della deviazione, percorrendolo, purtroppo, senza<br />
ostacoli fino alla rovina delle loro vite.<br />
Al di là della pietà, umana e cristiana, per la famiglia,<br />
si deve riconoscere che è stata assente. Ed<br />
assente è stata la scuola, che ha chiuso quanto meno<br />
gli occhi, per non accorgersi di quanto stava succedendo,<br />
oppure non ha offerto un’ancora di salvezza,<br />
per evitare che i quattro precipitassero nel<br />
baratro. Assente è stata la comunità cittadina, che<br />
non si è accorta della libertà di movimento e delle<br />
consuetudini della ragazza e dei ragazzi, non contrastati<br />
in qualche modo, con la segnalazione a chi<br />
di dovere, o forse la mentalità “moderna” non ha<br />
ravvisato niente di strano in tutto questo, salvo poi<br />
a manifestare, a tragedia avvenuta, un rammarico<br />
senza senso.<br />
Le assenze sono tutte “ingiustificate” : e se ne<br />
deve prendere coscienza, per una inversione di<br />
tendenza, se si vuole evitare il ripetersi di fatti<br />
del genere.<br />
La redazione esprime sentite condoglianze<br />
al prezioso collaboratore<br />
Stanislao Fioramonti, per la scomparsa<br />
dell’amata suocera
34<br />
Tonino Parmeggiani<br />
Uno degli aspetti, spesso considerato solo come marginale,<br />
legato alle feste religiose è lo svolgimento della<br />
fiera. Oggigiorno queste, almeno a livello di piccole<br />
città, sono uno dei tanti appuntamenti commerciali<br />
che si ripropongono nel corso dell’anno ma in antico,<br />
quando le comunicazioni nel territorio e gli scambi<br />
commerciali tra i vari centri erano di certo difficoltosi,<br />
l’occasione dello svolgimento di una fiera andava<br />
a costituire un momento importante nell’ambito della<br />
vita di una famiglia, dell’economia dell’intera<br />
comunità: era il momento - spesso uno dei pochi, se<br />
non l’unico -in cui ci si poteva approvvigionare delle<br />
sementi, di capi di bestiame, di merci non comuni o<br />
rare, come tessuti, strumenti di lavoro oppure oggetti<br />
per la casa; era altresì anche il momento in cui a<br />
volte si potevano vendere all’esterno i prodotti realizzati<br />
in loco. L’argomento delle fiere valmontonesi è<br />
già stato trattato da Paolo Di Re nel suo volume<br />
“Valmontone”, Roma, 1984, vogliamo ora<br />
riprenderlo, per quanto riguarda la Fiera settembrina<br />
di S. Luigi Gonzaga, sulla scorta di una documentazione<br />
esistente presso l’Archivio di Stato<br />
di Roma (Camerlengato, Parte seconda, Busta<br />
699, fasc. 180). Valmontone già dall’anno 1638<br />
aveva ottenuto dal Papa Urbano VIII, la possibilità<br />
di istituire “una fiera franca di merci e di<br />
bestiami, che fu considerata una delle più grandi<br />
della Campagna Romana, sia per la durata<br />
(10 giorni) sia per l’enorme afflusso di forestieri”<br />
(Di Re, cit., pp. 78-81), in occasione della festa<br />
della Pentecoste, da svolgersi nei due giorni precedenti<br />
ed otto consecutivi.<br />
Nell’anno 1826, il consiglio comunale, dietro ipotizzabilee<br />
sollecitazione popolare, pensò di richiedere<br />
l’istituzione di un’altra fiera: l’evento religioso<br />
ovvio a cui affiancarsi poteva essere la<br />
festa del Santo Patrono, S. Luigi Gonzaga (ricorre<br />
il 21 giugno) ma la vicinanza con la precedente<br />
festa di Pentecoste (l’intervallo può essere<br />
anche di pochi giorni) ed il periodo in cui la<br />
gente era impegmnata nella mietitura, lo sconsigliavano.<br />
Perciò si pensò di spostare dapprima<br />
la festa del Patrono nell’ultima domenica di<br />
<strong>settembre</strong> quando, terminati i lavori della vendemmia,<br />
il pensiero di ognuno volgeva all’imminente<br />
inverno e poi di chiederne l’annessa fiera.<br />
Il primo documento che abbiamo è una delibera del<br />
Consiglio della Comunità del 15 Gennaio (invero il mese<br />
non è indicato, lo conosciamo dalla successiva lettera<br />
di trasmissione) 1826 in cui il Consigliere anziano<br />
Gregorio Cataldi espose che «…desiderio sarebbe della<br />
popolazione di attivare una fiera nella festa che si<br />
celebra in onore del Protettore S. Luigi Gonzaga; e<br />
perché questa fiera non cada nel mese di giugno in<br />
cui ricorrerebbe la festa troppo prossima a quella già<br />
seguita nella Pentecoste, si penserebbe trasferire la<br />
festa stessa nel mese di <strong>settembre</strong> con l’istituzione<br />
della nuova fiera, di cui trattasi» ed il Consigliere Dionisio<br />
Prosperi intervenne definendone il tempo «sarebbe<br />
sicuramente di sommo utile al Pubblico l’istituzione di<br />
una fiera per la festa del glorioso Protettore S. Luigi<br />
Gonzaga, e mio sentimento sarebbe che s’impetrasse<br />
dalla Superiorità con la franchiggia di trè giorni d’a-<br />
ver luogo per la ultima domenica di <strong>settembre</strong> di ogni<br />
anno».<br />
Posta ai voti la proposta venne approvata con 14 voti<br />
favorevoli e 2 contrari (16 presenti su 23, quindi si era<br />
superata la soglia dei due terzi, come prevedeva l’art.<br />
178 del M.P. del 5.10.1824) ma nell’atto si erano dimenticati<br />
di indicare quali fossero i giorni vicini alla domenica<br />
scelta e così troviamo, poco dopo, un’altra delibera<br />
del 19 maggio 1826. La scrupolosità era dovuta<br />
al fatto che da due anni era stata emanata una Circolare<br />
(del 26 marzo 1824, del Card. Pacca) che regolamentava,<br />
facilitandole, le procedure per le istituzioni e trasferimenti<br />
di fiere e mercati; ogni proposta in merito doveva<br />
essere espressa con delibera consiliare da presentarsi<br />
alla propria Delegazione [l’allora provincia di<br />
Frosinone, quella di <strong>Velletri</strong> sarà istituita nel 1832] e<br />
da questa alla Congregazione Governativa. In questo<br />
nuovo provvedimento il Consigliere Provvisorio Vittorio<br />
Luciani espose che «la straordinaria Delegazione con<br />
…dispaccio dei 26 passato aprile ha fatto conoscere<br />
che per coltivare proggetto della nuova fiera di tre giorni…rendasi<br />
necessario, che il Publico Consiglio varii<br />
li giorni destinati, per detta fiera, essendo mente di Sua<br />
Santità, che non debbano mai cadere in giorno di festa<br />
di precetto». A questo punto si originarono nell’assemblea<br />
due posizioni: il consigliere Vincenzo Binarelli disse<br />
«Essendosi stabilito secondo mé la istituzione della<br />
Fiera per l’ultima domenica di <strong>settembre</strong>, onde avere<br />
un concorso col richiamo della festa che a quel giorno<br />
si vorrebbe trasferire, e vedendo che ciò non possa<br />
accordarsi… opino che attivandosi in giorni feriali<br />
mancherà la constanza de commercianti, e di ogni<br />
altra sorte di persona, per cui sarei di sentimento tralasciarne<br />
l’istituzione»; un altro consigliere, Vincenzo<br />
Maria Bellini si dimostrò invece favorevole lo stesso<br />
«Non trovo valutabili li discorsi del Sig.r Binarelli, e vedo<br />
benissimo conciliabile che nella domenica ultima di<br />
Settembre<br />
2008<br />
La fiera di S. Luigi a Valmontone<br />
<strong>settembre</strong> ricorra la festa del Protettore S. Luigi, e che<br />
nei trè giorni seguenti di Lunedì, Martedì, e Mercoledì,<br />
cada la fiera… ». La prima proposta venne respinta<br />
con 14 voti contro e 3 favorevoli, mentre la seconda<br />
ricevette 15 voti a favore contro due. Così il Delegato<br />
spedì in data 16 giugno 1826 le due delibere al Cardinal<br />
Camerlengo che, con dispaccio del 1 agosto, tuttavia<br />
«non credè di assecondarla per essere eccessiva<br />
la durata della richiesta fiera, ed invitò quindi …ad<br />
accontentarsi di soli due giorni». Per questo occorse<br />
però una nuova delibera consiliare, presa il giorno 13<br />
dicembre 1826, in cui non rimase che «doversi uniformare<br />
alle disposizioni superiori, e che perciò la fiera…può<br />
stabilirsi e limitarsi ai due giorni di lunedì, e<br />
marted, seguenti l’ultima Domenica di <strong>settembre</strong>», ancora<br />
14 i voti favorevoli e 2 i contrari.; il Delegato la trasmise<br />
al Cardinale il 31 gennaio 1827; sul retro della<br />
lettera di trasmissione di quest’ultimo venne scritto<br />
«Si faccia relazione favorevole a Sua S.tà,<br />
non omettendo di far risultare l’esclusione data<br />
al terzo giorno richiesto».<br />
La “Relazione alla Santità di Nostro Signore Papa<br />
Leone XII” del Cardinale Camerlengo, datata 5<br />
aprile, «Potendo tale istituzione riescir di molto<br />
vantaggio al Commercio della impetrataria Comune,<br />
la quale fra l’anno non celebra che un’altra fiera<br />
soltanto, il Cardinal Camerlengo sarebbe del<br />
subordinato parere di favorevolmente accogliere<br />
la fatta istanza, qualora piaccia alla Santità Vostra<br />
di convenirvi» venne finalmente approvata<br />
nell’Udienza di Nostro Signore del 21 maggio<br />
successivo. La Notificazione a stampa, promulgata<br />
dal Cardinal Pier Francesco Galleffi, reca la data<br />
del 7 giugno 1827 e dal suo testo ne appare evidente<br />
lo scopo, cioè promuovere lo scambio di<br />
merci e prodotti comuni e non, ovvero evitare<br />
che speculatori possano approfittarsi del monopolio<br />
locale, facilitando così la circolazione di beni,<br />
altrimenti impossibili a reperirsi o di costo eccessivo;<br />
la fiera, oltre che di cereali e merci varie<br />
riguardava anche il bestiame, e per tale periodo<br />
di due giorni i prezzi erano oltremodo vantaggiosi<br />
in quanto dovevano essere esenti da<br />
tasse locali e dello stato: era evidente che simili<br />
condizioni erano certamente attese dalle popolazioni<br />
per cui si sfruttava l’occasione del raduno di<br />
persone convenute per l’occasione di una festa religiosa<br />
per offrire loro anche questa opportunità economica.<br />
Non rimaneva che adempiere ad una ultima<br />
formalità, il rimborso spese per la stampa di più esemplari<br />
della Notificazione e così il Delegato il 22 giugno,<br />
scriveva al Cardinale «…in questo stesso corso<br />
di Posta le rimetto li scudi dieci ritirati dalla Magistratura<br />
di detta Comune per importo di competenze e spese<br />
di stampa… ».<br />
Valmontone aveva così la sua seconda fiera!<br />
Come apprendiamo dal testo del Di Re (p. 125), l’anno<br />
successivo il consiglio comunale decise di aumentare<br />
anche il contributo (da 6 a 60 scudi) per la festa<br />
religiosa che veniva ad assumere, in tale nuovo contesto,<br />
con prevedibile incremento di persone, di certo<br />
un ruolo più solenne. In seguito si cambiò giorno,<br />
per cui nel 1850 risulta “nell’ultima domenica di <strong>settembre</strong><br />
e dura tre giorni”.
Settembre<br />
2008<br />
Tonino Parmeggiani<br />
Come inquadramento storico del ruolo assunto dalle<br />
fiere, si legga quanto riportato nell’articolo su Valmontone,<br />
per una storia sulla Chiesa e sulla festa di Maria SS.ma<br />
del Soccorso, vedi: Luigi Roberti, ‘Maria Soccorso<br />
Nostro’, Montelanico, 1996. La città di Montelanico<br />
che non aveva mai avuta alcuna fiera, già nell’anno<br />
1820 aveva avviato una richiesta in tal senso ma<br />
per vari motivi dovette attendere ancora sei anni. Ad<br />
illustrare bene la vicenda ci viene in aiuto la “Relazione<br />
alla Santità di Nostro Signore Papa Leone XII…”, datata<br />
9 <strong>settembre</strong> 1826: «La Magistratura di Montelanico<br />
nell’anno 1820 implorò l’istituzione di una Fiera annuale<br />
nella terza Domenica di Settembre. Tale dimanda<br />
però è rimasta fino al dì d’oggi senza sortire alcun<br />
definitivo effetto, avvegnachè il Camerlengato non<br />
credè di aderirvi per essere un tal giorno festivo di<br />
precetto, ed insinuò invece di sceglierne uno feriale.<br />
La Comune suddetta si ristette dal più insistere,<br />
avendo dichiarato ancora di non essere in suo potere<br />
la eccessiva somma di scudi 48. in allora occorrente<br />
per tali concessioni. Torna in oggi però a rinnovare<br />
le sue istanze in proposito, ed implora che<br />
la suddetta Fiera siagli conceduta pel Lunedi susseguente<br />
alla terza Domenica di Settembre, da incominciare<br />
però alle ore 20. della Domenica stessa,<br />
non potendogli esser d’aggravio la tenue spesa<br />
di scudi dieci occorrente dopo le facilitazioni<br />
a questo riguardo accordate. Essendo il Pubblico<br />
Consiglio Comunale favorevole a tale dimanda,<br />
il Cardinal Camerlengo sarebbe del subordinato<br />
parere che la Santità Vostra si degnasse di<br />
benignamente aderirvi, limitandola peraltro al solo<br />
lunedì, escluso sempre in qualunque modo il giorno<br />
festivo» [Il carteggio si trova presso l’Archivio<br />
di Stato di Roma, Camerlengato, Parte Seconda,<br />
Busta 700, fasc. 186].<br />
Torniamo indietro nel tempo, in un mese centrale<br />
dell’anno 1820, il Gonfaloniere della<br />
Comune di Montelanico inviò una supplica (non<br />
datata) al Cardinal Camerlengo con la quale «rappresenta,<br />
che ricorrendo annualmente in detta<br />
Comune nella terza Domenica di Settembre la<br />
festa della Madonna SS.ma del Soccorso con<br />
numeroso intervento delle convicine Popolazioni,<br />
si desiderarebbe dal Popolo il privilegio di potere<br />
in detto giorno, e nel luogo della festa perpetuare<br />
l’uso della Fiera tanto di bestiame, che<br />
di mercanzie qualunque, che già altre volte dall’Em.za<br />
V.ra R.ma si è per rescritto ottenuta: costando<br />
dall’esperienza avuta essere molto vantagiosa,<br />
e comoda non solo alla Comune sì detta ma ben’anche<br />
a tutti li Commercianti convicini»<br />
[Archivio di Stato di Roma, Camerlengato,<br />
Parte Prima, Busta 92, fasc. 186].<br />
Il Delegato di Frosinone, nella camicia che<br />
racchiude i documenti, scrisse, il 23 di agosto<br />
(la Supplica era stata protocollata al giorno<br />
19, evidentemente era stata inoltrata qualche<br />
giorno prima, sperando di essere in tempo<br />
utile per la festa imminente): “che si scelga<br />
un giorno non festivo, altrimenti”. Così,<br />
subito radunato il Consiglio il giorno 27 agosto<br />
1820, «Li Signori Gonfaloniere, ed Anziani<br />
partecipano alle Signorie loro che avendo<br />
avanzata supplica…ci hà fatto sapere l’E.<br />
Sua R.ma per mezzo di Mr…Delegato<br />
Apostolico in Frosinone come da Sua veneratissima<br />
in data li 25 corrente Agosto… affinche<br />
avessimo fatto adunare il Consiglio acciò<br />
le Sig.e loro si risolvessero far celebrare<br />
la sudetta Fiera in un giorno non festivo di<br />
precetto, però ognuno su di ciò dica il suo<br />
parere». Due consiglieri, Francesco quem<br />
(fù) Giuseppe Raimondi e Vincenzo<br />
Palanche «arringando dicono che per utile<br />
di questa Popolazione e per lo smercio<br />
di generi, ed altro sarebbe bene che detta<br />
fiera si facesse il Lunedì immediatamente<br />
sequente la terza domenica di Settembre<br />
di ogn’Anno»: la proposta venne approvata<br />
con sedici voti contro due. Il Delegato Apostolico<br />
la inoltrò al Cardinale Camerlengo il 6 <strong>settembre</strong><br />
successivo; la cosa sembrava fatta<br />
ma, come abbiamo appreso sei anni dopo,<br />
venne interrotta perché la Comune non pagò<br />
i 48 scudi (in altri fogli è riportata la cifra<br />
di 42) dovuti per la tassa relativa. Sei anni<br />
35<br />
La fiera della Madonna del SS.mo Soccorso a Montelanico<br />
dopo, il 3 <strong>settembre</strong> 1826 [nel frattempo era intervenuta<br />
la Circolare del 26 marzo 1824 che riduceva<br />
la tassa a 10 scudi, stampa compresa!], il Comune<br />
approvò una nuova delibera «Il Sig. Giovanni<br />
Calamari Gonfaloniere, hà esposto, che desiderandosi<br />
da tutta questa Popolazione attivare la fiera nella<br />
festiva ricorrenza della Madonna SS.ma del Soccorso,<br />
che cade la 3° domenica di <strong>settembre</strong>, e siccome<br />
previe le sovrane disposizioni non si permettono le<br />
fiere in dì festivi, per ciò le SS. LL. risolvino, se credono<br />
attivarla il giorno avanti della fiera, ò pure il giorno<br />
dopo». Il primo a prendere la parola, Pasquale<br />
Iannucci «dice, che detta fiera è molto utile per la<br />
Comune, e per gli abitanti; e non potendosi ottenere<br />
per il dì festivo come sopra espresso, si domandi<br />
per il dì seguente..». Messa ai voti, la proposta<br />
venne approvata all’unanimità dei 14 presenti ma,<br />
nella successiva lettera di trasmissione al Camerlengato,<br />
venne aggiunta una condizione, non prevista nella<br />
delibera stessa «con aver principio detta fiera alle<br />
ore 20 della domenica suddetta, e terminare alle ore<br />
24 del lunedì», per cui nella nota dell’istruttoria del<br />
9 seguente venne ovviamente deciso di “escluderla,<br />
e di limitare la fiera stessa al solo lunedi”. Come<br />
avvenne in effetti nell’udienza di Sua Santità dell’11<br />
<strong>settembre</strong> 1826; il giorno 14 “Fatta ed impressa la<br />
Notificazione consueta si trasmetta al Delegato di Frosinone<br />
per la pubblicazione colle consuete cautele e colla<br />
richiesta della stabilita tassa di scudi 10 per competenze<br />
e spese di stampa”. Questi 10 scudi dovevano<br />
essere proprio di peso per il Comune se il 16<br />
novembre il Camerlengato dovette sollecitare il Delegato,<br />
questi il Comune … ed infine il 3 dicembre il Delegato<br />
inviò i 10 scudi richiesti. Montelanico aveva la sua<br />
prima fiera, della cui Notificazione rimane una bozza<br />
per la stampa, fatta su un altro esemplare. In seguito<br />
si cambiò giorno, per cui nel 1850 risulta “ Nel sabato<br />
che precede la terza Domenica di Settembre, e<br />
dura tre giorni”.
36<br />
Emanuela Ciarla<br />
L’aceto, uno dei condimenti per eccellenza, è<br />
una sostanza antichissima ricavata principalmente<br />
dal vino, ma anche dalla trasformazione della<br />
birra, del sidro e dell’acquavite. Ne troviamo notizia<br />
nella Bibbia, nel Talmud e delle tracce materiali<br />
nei vasi egizi, che risalgono a 10.000 anni<br />
fa, dalle quali si può dedurre che il primo utilizzo<br />
era sicuramente la conservazione dei cibi.<br />
In Oriente, precisamente nell’antica Cina, il boccale<br />
colmo di aceto era un immagine simbolo<br />
di vita. Sicuramente l’aceto è una<br />
delle prime scoperte alimentari, in<br />
quanto risulta legato alla possibilità<br />
di conservare i prodotti che la natura<br />
offre e per questo, paradossalmente,<br />
potrebbe essere stato<br />
realizzato prima del vino.<br />
Parlando del prodotto possiamo<br />
dire che si tratta di un condimento<br />
naturale, con un basso apporto di<br />
calorie, ottenuto con la fermentazione<br />
acetica svolta dai batteri omonimi<br />
(acetobacter e gluconobacter)<br />
secondo tre diversi metodi: l’olandese,<br />
in cui il vino viene collocato in una<br />
botte riempita a metà, il lussemburghese,<br />
ottenuto attraverso<br />
una botte girevole riempita di trucioli<br />
e il tedesco, anche detto rapido,<br />
in quanto il vino scende su strati<br />
di trucioli e dopo averli attraversati<br />
si trasforma in aceto. Può essere<br />
prodotto nella tipologia bianco<br />
o rosso, da vini D.O.C. o D.O.C.G.,<br />
aromatizzato, di mele, di miele di<br />
birra anche a doppio malto.<br />
Diluito in acqua era la bevanda di<br />
marinai, artigiani, contadini e soldati<br />
ed andava sotto il nome di posca<br />
ed era considerato un antidoto contro<br />
il contagio della peste. I<br />
Romani, che avevano imparato la<br />
tecnica di produzione dagli Etruschi,<br />
lo davano in dotazione alle loro armate<br />
fin dai tempi di Cesare, mentre nei ricchi banchetti<br />
mettevano vicino ad ogni commensale un<br />
acetabolo, cioè una ciotolina in cui si intingevano<br />
pezzetti di pane per pulire la bocca tra le innumerevoli<br />
portate. Ippocrate lo prescriveva<br />
miscelato al miele per curare il mal di gola. Cleopatra,<br />
famosa per le sue stravaganze, lo utilizzava con<br />
una perla liquefatta come lussuoso balsamo di<br />
bellezza. A Babilonia era impiegato come condimento<br />
e conservante, mentre in Grecia e a Roma<br />
nell’epoca imperiale lo usavano per i vegetali creando<br />
così una sorta di sottaceti, chiamandolo in<br />
modo diverso in relazione alla differente gradazione<br />
zuccherina (caroenum, defrutum, sopa o sapa).<br />
Riguardo alle ricette per produrlo Columella nel<br />
“De re rustica” del I sec. d.C. usa un vino evaporato<br />
come base a cui aggiunge fichi, sale, orzo<br />
tostato, noci, pigne, pinoli e ferri arroventati, ponendo<br />
il tutto in un luogo caldo ed arieggiato e in<br />
giare scolme. Naturalmente noi oggi possiamo<br />
solo immaginare il gusto del tempo, considerando<br />
che spesso i sapori erano mitigati dall’aggiunta<br />
di vini cotti, miele e frutta. Questi caratteri del<br />
gusto permangono spesso nelle cucine tradizionali<br />
del nord Europa e in quelle dell’Italia settentrionale.<br />
Ad Atene era il condimento prediletto e paradossalmente<br />
lo chiamavano “dolcezza”. Ne par-<br />
lano nei loro scritti Apicio, Plinio il Vecchio, Orazio,<br />
Marziale, Columella. I Romani preparavano salse<br />
e condimenti agrodolci con miele e vino cotto(defrutum),<br />
ma in generale lo impiegavano per<br />
conservare carni, pesci, formaggi, vegetali, aromatizzato<br />
o in salamoia. Famose erano le acetarie,<br />
una sorta di insalate di verdure e carni macinate,<br />
in cui l’aceto frollava le carni più tenaci.<br />
Una leggenda narrava che persino Annibale lo<br />
usò per superare le Alpi per sciogliere le rocce<br />
e permettere il passaggio degli elefanti nei valichi<br />
alpini. Durante le invasioni barbariche non<br />
se ne parla in quanto il contado risulta in abbandono,<br />
ma lo ritroviamo nel 1046 quando Enrico<br />
III di Franconia ricevette del pregiato aceto in<br />
Settembre<br />
2008<br />
dono da Bonifacio, padre di Matilde di Canossa,<br />
prodotto che secondo le cronache del tempo era<br />
definito “famoso aceto che si prepara nella luminosa<br />
rocca di Canossa”. La preziosa confezione<br />
in argento, con cui fu donato, era una botticella<br />
su un carro trainato da due buoi. Nel Medioevo<br />
l’aceto riprende terreno come balsamo e medicamento,<br />
però solo per re e prelati. Solo nel<br />
Rinascimento verrà usato di nuovo come condimento<br />
nella lussuosa ripresa delle tavole nobiliari.<br />
Alla corte degli Estensi, dove Cristoforo<br />
Messisburgo scrisse il più celebre trattato di cucina<br />
rinascimentale, egli stesso usò<br />
il suo celebre liquido, fatto di aceto<br />
forte di mosto e di mosto cotto,<br />
caratterizzando così questa corte<br />
come una delle più raffinate. Nel 1747<br />
la “Corporazione dei Cerusici” lo introdurrà<br />
ufficialmente in piccole dosi<br />
nell’alimentazione e a testimonianza<br />
di ciò, l’Ariosto, che ne era<br />
fine estimatore, lo considerava un<br />
elisir che rende sublimi anche le rape.<br />
Nella città di Marsiglia nel ‘700 si<br />
parlava dell’ aceto dei sette ladri.<br />
Si trattava di un prodotto in dotazione<br />
di una squadra di briganti, che<br />
rubavano l’aceto agli appestati e si<br />
immunizzavano dalla malattia facendo<br />
abluzioni e dedicandosi poi a razziare.<br />
Durante la Guerra di Secessione<br />
americana le truppe ne facevano uso<br />
come antidoto per lo scorbuto.<br />
Ritroviamo il nostro prodotto sotto<br />
la croce di Cristo: in quel momento<br />
non c’era più vino, allora i soldati<br />
bagnarono una spugna e la collocarono<br />
su un rametto di issopo,<br />
lo stesso arbusto con cui gli ebrei<br />
avevano segnato gli stipiti delle porte.<br />
Precisamente nel Vangelo di<br />
Giovanni (Gv 19,29-30) i soldati offrono<br />
a Gesù una bevanda a base di<br />
aceto:<br />
“Vi era lì un vaso pieno d’aceto; posero<br />
perciò una spugna imbevuta di<br />
aceto in cima a una canna e gliela accostarono<br />
alla bocca. E dopo aver ricevuto l’aceto, Gesù<br />
disse : “Tutto è compiuto!” . E chinato il capo<br />
spirò”<br />
Il vaso era forse quello della posca, che abbiamo<br />
già nominato. Naturalmente rimane sempre<br />
il dilemma se si trattasse di un gesto di compassione<br />
o di crudeltà. Il testo richiama un Salmo<br />
(Sal 69,21) dove il porgere aceto rappresenta<br />
un gesto che assume un significato di ostilità:<br />
“Nella mia sete, mi hanno dato a bere l’aceto”.<br />
In conclusione possiamo dire che effettivamente<br />
l’aceto costituisce l’ultima bevanda assunta da<br />
Cristo e quindi è l’ultimo segno della sua umanità.
“Regina da città’’<br />
Mamma do<br />
ciele Vergine Maria<br />
Madonna e tutte e figlie e chesta terra,<br />
siente sta voce fosse a’sta citta,<br />
te chiama a tiempe e tu arrive a me.<br />
Tu ca ma<br />
viste a crescere a guaglione<br />
e me vestite e tante sentimente<br />
pa’ gente so chiamate ò malamente<br />
Mara Della Vecchia<br />
Settembre<br />
2008<br />
Claudio Capretti<br />
Se dovessimo dare una definizione alla parola<br />
poesia,forse non sarebbe azzardato definirla come<br />
“il respiro dell’uomo”. A volte sgorga da un cuore<br />
felice di esistere,e allora attraverso le parole,<br />
l’animo del poeta, non potendo trattenere per<br />
se tanta gioia, si innalza in senso verticale,verso<br />
l’alto, cioè<br />
verso il suo Creatore,per poi ritornare sulla terra<br />
ed espandersi in senso orizzontale verso tutti<br />
coloro che la ascoltano coinvolgendoli nella<br />
sua gioia. Si trasforma quindi in preghiera di ringraziamento.<br />
Altre volte una poesia nasce da<br />
un cuore ferito,deluso di sé stesso e dagli altri,<br />
o schiacciato dai pesi che la vita porta con sé,e<br />
in questo caso si trasforma in una preghiera di<br />
soccorso. Ma sia in un caso che nell’altro la poesia<br />
ha lo scopo di condurci altrove,fuori da noi<br />
Nella basilica di S. Paolo fuori<br />
le mura a Roma ha avuto<br />
luogo, il 30 giugno scorso, l’inaugurazione<br />
dell’anno dedicato<br />
alle celebrazioni in onore<br />
di S. Paolo apostolo a duemila anni<br />
dalla sua nascita, si è tenuto in tale occasione<br />
uno straordinario concerto diretto<br />
dal Maestro Lorin Mazel. È stato eseguito<br />
il celebre oratorio di Joseph<br />
Hadyn la Creazione del mondo.<br />
Probabilmente non è proprio esatto classificare<br />
questa opera come oratorio in<br />
quanto il testo non è tratto direttamente da una narrazione<br />
biblica, come succede nel genere in oggetto,<br />
ma si tratta di un poema scritto da un letterato<br />
tedesco dell’epoca che lo tradusse da un componimento<br />
di un poeta inglese, a sua volta ispiratosi al<br />
Paradiso perduto di Milton. Dunque un origine del<br />
testo non proprio eccellente, ma questo non ha impedito<br />
a Hadyn di esprimere il meglio della sua creatività<br />
musicale.<br />
Questa grandiosa composizione è una delle ultime<br />
del musicista, eseguita per la prima volta a Vienna<br />
nel 1798, e dunque si arricchisce della enorme esperienza<br />
sinfonica del maestro.<br />
ma tu nù dice niente ma pecchè?<br />
Parlane che guappe a nomme mio<br />
nù stesse a sentere e chiacchiere da gente,<br />
io porto mpiette sempe ò nomme e Dio<br />
e nummò leve maie pe dinta’mente.<br />
Tu ca si a mamma miezze a tutte e mamme<br />
nu può restive a tutto ò male,<br />
tu cà può tutte cielo apri nu mare,<br />
arape e bracce strigneme mpiette a te,<br />
famme vulà po’ ciele comm’aucielle<br />
voglie vedè a bellezze a l’uocchie tuoie<br />
stà scritt’amore.<br />
stessi, prendere una “boccata d’aria” per poi<br />
rientrare in se stessi dopo aver ritrovato la luce<br />
della speranza. A scriverla non è principalmente<br />
il dotto o l’intellettuale, ma è l’uomo con tutte le<br />
sue umane debolezze,e le sue bellezze che porta<br />
racchiuse in sé. Il suo dono di essere poeta<br />
lo rende capace di vedere ciò che la gran parte<br />
della gente non vede,per questo ha il dovere<br />
di non tenere nulla per se ma trasmetterlo agli<br />
altri,di farli partecipi.<br />
Ma se la poesia che è soprattutto parola umana,<br />
può beneficare la nostra vita,quanto bene<br />
infinitamente più grande può operare in noi la<br />
Parola di Dio accolta e vissuta? Oggi siamo così<br />
obesi dall’abuso della tecnologia, diventando in<br />
questo modo dipendenti da infinite cose inutili.<br />
Ci siamo così disabituati all’ascolto della poesia,(a<br />
qualsiasi tipo di ascolto in generale) che<br />
Hadyn era un uomo gioioso, animato da una profonda<br />
spiritualità, pur essendo radicato nel suo tempo,<br />
del quale aveva accolto con convinzione gli ideali<br />
illuministici. Nella sua Creazione egli rende lode<br />
alla gloria di Dio, come creatore del mondo, ma anche<br />
come intelligenza ordinatrice del caos primigenio ed<br />
infatti l’oratorio si apre con la Rappresentazione del<br />
caos nella quale da un continuo variare armonico,<br />
ricco di dissonanze, emerge infine uno splendente<br />
ed energico accordo di do maggiore, che illumina e<br />
dà ragione all’inquietudine precedente.<br />
Sono gli angeli Raffaele (basso), Uriele (tenore), e<br />
Gabriele (soprano) che narrano i diversi momenti del-<br />
37<br />
Arape e braccia e figlie malamente<br />
fa che sta droga sa purtasse ò viente,<br />
e nu tormiente a vede e cire a gente,<br />
fa cà nu sentimmo ò frate che dice..”è cose e<br />
niente”.<br />
Tu ca si a mamma e tutte sfortunate<br />
Num può lasciare m’piette tante spine<br />
Stiennece e braccia tuoie tant’affatate<br />
Tu ca do ciele è ò mare e sta citta,…si a regina.<br />
Massimo Marigliano<br />
a mala pena trova un risicato spazio nella nostra<br />
vita, forse è anche per questo che siamo tutti<br />
un po’ più poveri. La prima volta che ho parlato<br />
con Massimo, mi ha detto di scrivere poesie<br />
solo dopo avermi parlato della sua storia,della<br />
sua famiglia. Ci siamo lasciati con l’impegno che<br />
un giorno me le avrebbe fatte leggere. Dopo un<br />
po’ di tempo quel giorno arrivò, e invece di farmele<br />
leggere le ha recitate, e allora insieme a<br />
tutti quelli che eravamo presenti in quel momento<br />
abbiamo riscoperto la bellezza della poesia,una<br />
bellezza che ora Massimo desidera condividere<br />
con tutti i lettori del nostro mensile diocesano.<br />
Massimo ha 39 anni,è sposato e padre di<br />
due figli,è detenuto presso la casa circondariale<br />
di <strong>Velletri</strong>. Massimo è soprattutto figlio di Dio e<br />
nostro fratello.<br />
la creazione.<br />
Il testo presenta spunti per la descrizione<br />
musicale degli eventi naturali: Raffaele<br />
nel recitativo canta la tempesta e la pioggia,<br />
mentre nella successiva aria eccolo<br />
dipingere la spuma del mare e la limpidezza<br />
dell’acqua del ruscello. Gabriele<br />
esalta la frescura del verde e Uriele lo<br />
splendore della del sole. Così, in successione,<br />
tutte le creature di Dio vengono<br />
cantate dai tre speciali narratori,<br />
ma quello che emerge chiaro da tutta<br />
la composizione è l’espressione della<br />
felicità e profonda gioia che l’uomo prova<br />
a contatto con il creato, di fronte a<br />
una natura incontaminata, sentimenti ed emozioni<br />
che lo stesso musicista condivideva e che riesce a<br />
comunicare attraverso il canto di tre personaggi talmente<br />
irreali e astratti, da poter rappresentare chiunque<br />
tra gli esseri umani nutra sincero amore e provi<br />
stupore per quanto è stato creato. L’opera termina<br />
con un solenne Alleluia, eseguito da un coro, che<br />
sigilla le intenzioni di una vita dedicata alla musica,<br />
con la quale Hadyn non cercato la celebrità e la ricchezza,<br />
ma ha vissuto come “servizio” e la sua Creazione<br />
è, oltre che una pagina di grande musica, una testimonianza<br />
della sua riconoscenza per una vita ben<br />
spesa.
38<br />
di Valentina Fioramonti<br />
Il cavaliere oscuro (The Dark Knight), Un film<br />
di Christopher Nolan, con Christian Bale, Heath<br />
Ledger, Gary Oldman, Michael Caine, Aaron Eckhart,<br />
Maggie Gyllenhaal, Morgan Freeman. Genere Azione,<br />
colore 152 minuti. - Produzione USA 2008. - Distribuzione<br />
Warner Bros Italia.<br />
È uno dei film più attesi dell’anno, se non il più atteso<br />
in assoluto. Sicuramente il merito è dei grandi<br />
nomi del cast artistico, soprattutto per quel Christian<br />
Bale che ha saputo interpretare in modo magistrale<br />
il supereroe negli ultimi due film di Barman firmati<br />
da Christopher Nolan. Ma a suscitare un così tanto<br />
interesse intorno a Il cavaliere oscuro – The dark<br />
knight è il fatto che questa sarà l’ultima pellicola<br />
in cui potremo vedere in vita Heath Ledger, l’attore<br />
australiano morto a gennaio di quest’anno in<br />
circostanze ancora da chiarire. Il Joker interpretato<br />
da Heath Ledger sembra valere già da solo<br />
l’intero film, al punto che in molti hanno già chiesto<br />
che venga riconosciuto all’attore un Oscar postumo.<br />
Peter Travers, critico di “Rolling Stone America” che<br />
ha avuto l’onore di assistere ad una proiezione privata<br />
del film, in un articolo esprime tutto l’entusiasmo<br />
per il film e per l’interpretazione di Ledger: “Non<br />
posso che elogiare Ledger, che è stravagante, pazzesco<br />
e brillante come Joker”. Verrebbe quasi di accostarlo,<br />
a mio parere, alla figura classica del Diavolo<br />
in una Sacra Rappresentazione. Un Joker che, sempre<br />
secondo Travis, supera di gran lunga la già meravigliosa<br />
interpretazione che ne diede Jack Nicholson<br />
nel Batman di Tim Burton, per anni citato come esempio<br />
migliore di interpretazione del cattivo nella storia<br />
del cinema.<br />
Il Barman di Cristopher Nolan sembra uscire vincente<br />
dal confronto con le versioni che lo hano preceduto:<br />
da Tim Burton a Joel Schumacher, passando per<br />
molte altre ancora, più o meno riuscite.<br />
Quasi tutti i titolari dei grandi quotidiani hanno posto<br />
il problema morale, cosa che in America non succede<br />
quasi mai. Risultato: in America Il cavaliere oscuro<br />
è stato vietato ai minori, mentre da noi è per tutti.<br />
Sembra infatti che chi decide la distribuzione di<br />
un film in Europa abbia capito ciò che i ragazzini appassionati<br />
di fumetti sanno già da un po’: e cioè che c’è<br />
ben altro dietro la violenza di Batman o il ghigno diabolico<br />
di Joker. La violenza di Batman è sempre indirizzata<br />
alla giustizia; Batman è un eroe, combatte il<br />
male, e il male è organizzato, violento e spietato, e<br />
per combatterlo occorrono forza e violenza maggiori.<br />
Travers continua dicendo che “Il cavaliere oscuro crea<br />
un luogo dove bene e male - che solitamente si scontrano<br />
- decidono invece di accettare la sfida e danzare.<br />
Non voglio ucciderti, rivela il Joker psicopatico<br />
di Heath Ledger al prode Batman di Christian Bale.<br />
Tu mi completi”.<br />
Il tributo di Masaccio<br />
Don Marco Nemesi<br />
Nella Chiesa di Santa Maria del Carmine a Firenze,<br />
si conserva una delle più alte testimonianze della<br />
pittura di tutti i tempi: gli affreschi della Cappella<br />
Brancacci; commissionati nel 1424 a Masolino<br />
da Panicale, dal mercante Felice Brancacci, ma<br />
buona parte degli affreschi furono opera dell’allievo<br />
di Masolino: Masaccio e dopo la morte di quest’ultimo,<br />
il lavoro fu terminato da Filippino Lippi.<br />
Attraverso le dodici scene con il Peccato<br />
Originale e le Storie della vita di San Pietro si<br />
illustra la storia della salvezza realizzata dalla<br />
Chiesa attraverso Pietro. Tra tutti gli affreschi<br />
presenti “notabilissimo” - come scrive Vasari -<br />
è “Il tributo” di Masaccio che narra l’episodio tratto<br />
dal vangelo di Matteo (17, 24-27) nel quale<br />
è descritto l’ingresso di Cristo e dei suoi dodi-<br />
ci apostoli nella città di Cafarnao. Come<br />
di consuetudine, il gabelliere pretende<br />
da loro un tributo per poter visitare<br />
il tempio all’interno della città; Gesù<br />
pur ironizzando sul fatto che proprio<br />
il figlio di Cristo debba pagare per accedere<br />
alle case del padre, non vuole<br />
trasgredire le leggi degli avi e a tal fine<br />
incarica Pietro di pescare un pesce nella<br />
cui bocca troverà miracolosamente<br />
una moneta d’argento per pagare<br />
la tassa dovuta.<br />
L’artista concentra nello stesso dipinto<br />
tre momenti temporalmente diversi.<br />
Il primo, al centro, corrisponde a<br />
quando il gabelliere, rappresentato di<br />
spalle, esige il tributo da Gesù. Si tratta<br />
di una rappresentazione di grande<br />
Settembre<br />
2008<br />
Volendo giocare con la psicoanalisi, prendiamo<br />
a supporto i tre ruoli del modello sociale e psicologico<br />
noto come triangolo drammatico di Stephen<br />
Karpman: vittima, persecutore e salvatore.<br />
All’interno della formula, vittima, persecutore e salvatore<br />
si scambiano di ruolo, incarnando ora l’uno<br />
ora l’altro. Questa formula è riscontrabile nel<br />
nuovo film di Christopher Nolan dove Joker interpreta<br />
il persecutore, Batman il salvatore e il procuratore<br />
Harvey Dent (Aaron Eckhart) la vittima.<br />
È proprio il Joker di Heath Ledger a mischiare le<br />
carte nel tentativo di tirare fuori il lato oscuro dai<br />
suoi nemici. Joker vuole annientare Batman, dimostrare<br />
che ognuno ha un prezzo e che persino Batman<br />
può essere comprato in modo tale da compromettere<br />
i suoi principi di giustizia.<br />
È una favola politico-filosofica, questo bel Batman<br />
di Christopher Nolan, in cui ognuno sarà tentato<br />
di vederci una propria morale. Batman è il volto<br />
favolistico, e si potrebbe anche dire mitico, dell’ideologia<br />
della tolleranza zero, dell’ossessione<br />
dell’ordine e della sicurezza. Qualcuno dirà che<br />
è solo un fumetto, ma tra una sequenza e l’altra la<br />
narrazione riesce a trasmettere il brivido che danno<br />
certe orribili notizie di cronaca in cui la cattiveria umana<br />
si scatena in modo inspiegabile. L’ambizione di<br />
Nolan è stata proprio quella di elevare il comic a dimensione<br />
simbolico-monumentale.<br />
Così come è simbolica la rappresentazione di Gotham<br />
City, rifatta con realismo a Chicago, con immagini quasi<br />
sempre buie, sciorinate da ritmi così martellanti e<br />
affannati da risultare inarrestabili. Senza una pausa,<br />
solo azione allo stato puro. E’ il principio solidissimo<br />
del “Cliffhanger”, il film d’azione col cuore in gola, integrato<br />
però con la tecnica narrativa delle ultime serie<br />
televisive di grande successo, che proprio sulla moltiplicazione<br />
dei personaggi e delle azioni in parallelo<br />
basano la propria efficaciaUn colossal, certo. Sicuramente<br />
un campione di incassi, ma con intelligenza e sapienza.
Settembre<br />
2008<br />
intensità in quanto in essa Masaccio mette ben<br />
in evidenza l’incredulità e lo stupore nei volti degli<br />
apostoli che si guardano fra loro, incerti sul da<br />
farsi, poiché nessuno di essi possiede il denaro<br />
necessario. In questa scena vi è già il preannuncio<br />
di quella successiva posta in secondo<br />
piano sulla sinistra. Cristo comanda imperiosamente<br />
a Pietro di recarsi a pescare e questi indica a<br />
sua volta il lago di Tiberiade, quasi a chiedere<br />
conferma di un ordine che, in quel momento, gli<br />
sembra un po’ singolare (da notare il braccio destro<br />
di Gesù indicante il lago, rafforzato e amplificato<br />
dal braccio destro di Pietro). Sulla riva a sinistra<br />
è raffigurato Pietro, da solo, intento alla pesca<br />
prodigiosa. A destra, infine, nuovamente in primo<br />
piano, ricompare il momento in cui, con un<br />
gesto deciso, consegna il denaro all’esattore.<br />
Il punto principale dell’affresco è Cristo e le leggi<br />
ottiche vengono da Masaccio usate per indirizzare<br />
la nostra attenzione a Lui e sono rappresentate<br />
come sotto il suo controllo; infatti le<br />
linee di fuga delle grondaie,<br />
delle finestre e degli scalini<br />
dell’edificio posto a<br />
destra dell’affresco conducono<br />
il nostro sguardo al<br />
loro punto di intersezione<br />
che coincide con il volto di<br />
Cristo. Masaccio considera<br />
la soluzione spaziale non<br />
come un problema esclusivamente<br />
geometrico, ma<br />
come un problema estetico,<br />
non come un insieme<br />
di regole da applicare, ma<br />
come un metodo espressivo<br />
del suo modo di concepire<br />
la vita e la storia.<br />
La prospettiva aiuta non solo a dare<br />
coesione all’intera opera, ma contribuisce<br />
a proporre una gerarchia di valori<br />
e a dare un accento di realismo all’avvenimento<br />
che viene descritto.<br />
Masaccio utilizza la prospettiva come metafora<br />
per comunicarci la sua concezione cristocentrica<br />
della vita, usa l’innovativo strumento prospettico<br />
per comunicarci l’Avvenimento di Cristo che<br />
giunge a noi attraverso la tradizione.<br />
Per evidenziare il realismo dell’intero racconto<br />
Masaccio rappresenta Cristo e gli altri personaggi<br />
come persone concrete, in carne ed ossa, ben<br />
studiate anatomicamente, tanto umane da<br />
proiettare una consistente quantità di ombre sul<br />
terreno. Nel suo complesso, la scena risulta profondamente<br />
umana per via dei gesti ripetuti e<br />
degli sguardi drammatici. Gesti e sguardi inducono<br />
a pensare che l’affresco abbia un significato<br />
più profondo di<br />
quanto si riesca a<br />
cogliere a prima<br />
vista. I personaggi<br />
sono esseri umani<br />
ben caratterizzati<br />
singolarmente tanto<br />
che mai si ha l’impressione<br />
di avere<br />
davanti ai propri<br />
occhi una folla od<br />
un gruppo anonimo.<br />
Pur trattandosi di<br />
uomini semplici,<br />
Masaccio descrive<br />
gli apostoli come persone<br />
piene di dignità,<br />
familiari fra loro,<br />
perché hanno incontrato<br />
il significato dell’esistenza,<br />
Cristo,<br />
da cui originano la<br />
grandezza e la<br />
dignità dell’uomo.<br />
S. Pietro appare<br />
39<br />
tre volte nell’affresco; nella zona centrale ripete<br />
il gesto di Cristo, fissando lo sguardo in Lui.<br />
Questa pronta immedesimazione coincide con<br />
la richiesta che la sua umanità sia assimilata sempre<br />
di più a Cristo.<br />
Il suo sguardo infatti è carico di stupore per quell’uomo<br />
che gli rivela l’inimmaginabile, cioè svela<br />
ciò a cui il suo cuore anela e che la sola ragione<br />
non può raggiungere.<br />
Il gabelliere, costituendo un ostacolo imprevisto,<br />
con la sua robusta prestanza fisica e con un inconfutabile<br />
gesto, sbarra la strada a Cristo e ai Dodici;<br />
per loro la sua presenza, però, si rivela essere<br />
un’occasione propizia per un avvenimento<br />
imprevedibile. Si capisce quindi, perché Masaccio
dà maggiore spazio alla descrizione di Gesù<br />
e dei suoi apostoli, piuttosto che soffermarsi<br />
sul miracolo che accade sulle rive del mare<br />
di Galilea: perché nella nostra vita quotidiana,<br />
in ogni istante di ogni ora, anche nei momenti<br />
di maggiore difficoltà, quando le cose non<br />
vanno come noi vorremmo, può accadere<br />
il miracolo di una Presenza eccezionale<br />
che riesce a dare senso alle nostre contrarietà,<br />
anzi le valorizza.<br />
Nonostante l’artificio di rappresentare contemporaneamente<br />
tre azioni successive,<br />
la prospettiva adottata dall’artista è sempre<br />
la stessa; essa unifica pertanto sia lo<br />
spazio sia il tempo in una visione chiara<br />
e unitaria della realtà. Il paesaggio appare<br />
brullo e desolato, con le montagne che,<br />
per accentuare il senso della prospettiva,<br />
sono disposte in una successione cromatica:<br />
verdi quelle più vicine e grigio-azzurrognole<br />
quelle in lontananza, con le vette imbiancate<br />
di neve. Anche le architetture sulla destra,<br />
ispirate all’edilizia fiorentina del tempo, contribuiscono<br />
alla definizione spaziale della scena,<br />
creando un insieme di volumi puri e geometricamente<br />
ben definiti. Poiché le ombre proiettate<br />
per terra dai vari personaggi hanno tutte<br />
una stessa direzione, la fonte luminosa che<br />
Masaccio utilizza è evidentemente unica (il sole)<br />
e viene immaginata proveniente dal lato destro,<br />
in alto, fuori dai limiti dell’affresco. Dopo il restauro,<br />
la scena appare cromaticamente caratterizzata<br />
dall’uso di tinte vivaci che ben si addicono<br />
a persone vive. È da notare la scelta dei<br />
colori dell’abbigliamento di Cristo che<br />
Masaccio deriva dalla tradizionale iconografia:<br />
tunica rossa e mantello azzurro. Il rosso,<br />
colore della regalità e della divinità, poggia<br />
direttamente sul corpo di Cristo; il blu, colore<br />
usato per indicare l’umanità, è posto sopra<br />
il rosso.<br />
Cristo, pur essendo vero Dio, ha assunto su<br />
di Sé la natura umana. Il tributo è l’opera con<br />
cui ogni storia dell’arte si misura, nel presentare<br />
la figura di Masaccio. Non sembra particolarmente<br />
convincente il riferimento spesso presentato<br />
alla situazione storica fiorentina di allora,<br />
come se Il tributo volesse quasi essere un invito,<br />
un’approvazione al gesto esattoriale.<br />
Non dobbiamo, infatti, dimenticare che nell’episodio<br />
evangelico riprodotto non si tratta<br />
del problema delle tasse civili. Il tema<br />
della tassazione è, invece, un aspetto del<br />
più noto brano evangelico del “Date a Cesare<br />
quel che è di Cesare” che, comunque, è<br />
espressione che, nel testo evangelico, prelude<br />
all’invito finale, con il quale il Cristo<br />
capovolge la domanda iniziale, rivolto ad<br />
ogni uomo perché, se con tanta facilità è<br />
disposto ad obbedire a qualsiasi potere<br />
terreno, usando la sua monetazione e le<br />
successive tassazioni, sia piuttosto teso<br />
al servizio di Dio, al “rendere a Dio quel<br />
che è di Dio”, lui che un potere ben maggiore<br />
di Cesare ha sulla vita degli uomini. Il<br />
brano evangelico è tutto teso a mostrare che<br />
Gesù è il Figlio di Dio, e perciò anche il padrone<br />
del Tempio.<br />
Il testo afferma, infatti, che ai figli non è mai<br />
chiesta una tassa dal proprio padre. È solo<br />
per non scandalizzare che Gesù acconsente<br />
a provvedere all’offerta per il culto del<br />
Tempio, attraverso il miracolo della moneta<br />
presa dalla bocca del pesce.