10.06.2013 Views

settembre 2008.qxp - Diocesi Suburbicaria Velletri - Segni

settembre 2008.qxp - Diocesi Suburbicaria Velletri - Segni

settembre 2008.qxp - Diocesi Suburbicaria Velletri - Segni

SHOW MORE
SHOW LESS

Create successful ePaper yourself

Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.

Pegistrazione al Tribunale di <strong>Velletri</strong> n. 9/2004 del 23.04.2004 - Redazione: C.so della Repubblica 343 - 00049 VELLETRI RM - 06.9630051 - fax 96100596 - curia@diocesi.velletri-segni.it Mensile a carattere divulgativo e ufficiale per gli atti della Curia e pastorale per la vita della <strong>Diocesi</strong> di <strong>Velletri</strong>-<strong>Segni</strong> Anno 5 - numero 8 (46) - Settembre 2008<br />

IN QUESTO NUMERO:<br />

Benedetto XVI: un anno<br />

fa l’abbraccio alla nostra<br />

<strong>Diocesi</strong><br />

Grandi Temi<br />

- La vita e la morte:<br />

Eluana e gli altri<br />

Concilio Vaticano II<br />

- Il Vescovo, sommo<br />

sacerdote della sua<br />

Chiesa (II parte)<br />

Caritas<br />

- Immigrati: superare<br />

con coraggio le<br />

difficoltà<br />

- Giustizia:<br />

l’importante è avere<br />

tutti più coraggio<br />

Spiritualità<br />

- Santa Chiara di<br />

Montefalco<br />

Anno Paolino<br />

- Vocabolario paolino 1<br />

- Le 2 Lettere ai Corinzi<br />

- I compagni di S. Paolo<br />

S. Sila<br />

- Il 2° viaggio missionario<br />

- L’Apostopo Paolo<br />

attraversò le nostre<br />

contrade<br />

- I luoghi Paolini: Corinto<br />

Vocazioni<br />

- Povertà, castità, obbedienza:<br />

Doni per una vita sacerdotale<br />

allegra<br />

Educare oggi<br />

- Assenze “ingiustificate” di<br />

famiglia scuola e società


2<br />

L’avvio del nuovo anno pastorale<br />

Vincenzo Apicella, vescovo<br />

L’avvio del nuovo anno pastorale si annuncia<br />

già denso di avvenimenti e occasioni<br />

importanti e significative per la<br />

nostra <strong>Diocesi</strong>; desidero sottolinearne<br />

soprattutto tre.<br />

Seguendo l’ordine, che non è solo cronologico,<br />

inizio dall’Ordinazione sacerdotale di don<br />

Andrea Pacchiarotti, originario di Colleferro<br />

e che già da un anno svolge il suo servizio<br />

presso la Cattedrale di San Clemente.<br />

Per un vescovo ordinare un nuovo sacerdote<br />

diocesano credo sia la gioia più grande e<br />

il dono più prezioso che possa ricevere dal<br />

Signore.<br />

Già nella preghiera di consacrazione si legge:<br />

“Ora, o Signore, vieni in aiuto alla nostra<br />

debolezza e donaci questi collaboratori di cui<br />

abbiamo bisogno per l’esercizio del sacerdozio<br />

apostolico”.<br />

Il vescovo nulla potrebbe senza i sacerdoti,<br />

così come i sacerdoti non potrebbero esistere<br />

senza il vescovo: è una reciproca interdipendenza,<br />

che è norma costante della comunione ecclesiale,<br />

fatta di diversità di ruoli, ma anche di<br />

unità inscindibile nello spirito e nell’azione.<br />

Unico, infatti, è lo scopo e la meta da raggiungere,<br />

che viene espressa con queste parole:<br />

“Siano degni cooperatori dell’ordine episcopale,<br />

perché la parola del vangelo<br />

mediante la loro predicazione, con la grazia<br />

dello Spirito Santo, fruttifichi nel cuore degli<br />

uomini e raggiunga i confini della terra. Siano,<br />

insieme con noi, fedeli dispensatori dei tuoi<br />

misteri (sacramenti), perché il tuo popolo sia<br />

rinnovato con il lavacro di rigenerazione e nutrito<br />

alla mensa del tuo altare; siano riconciliati<br />

i peccatori e i malati ricevano sollievo. Siano<br />

uniti a noi, o Signore, nell’implorare la tua misericordia<br />

per il popolo a loro affidato e per il<br />

mondo intero. Così la moltitudine delle genti,<br />

riunita in Cristo, diventi il tuo unico popolo,<br />

che avrà il compimento nel tuo regno”.<br />

La vita di don Andrea sarà da quel momento<br />

orientata in modo irrevocabile a diventare<br />

strumento e segno di comunione, affinché<br />

anche attraverso di lui Cristo possa incontrare,<br />

radunare, nutrire, guidare i figli di Dio dispersi<br />

e mostrare a tutti il suo volto di compassione<br />

e misericordia.<br />

Ma un nuovo sacerdote non nasce dal nulla,<br />

viene da quello stesso popolo che è chiamato<br />

a servire in modo particolare, nasce quando<br />

in questo popolo la fede viene nutrita dall’ascolto<br />

della Parola di Dio, la speranza orienta<br />

la vita quotidiana e la carità accende il cuo-<br />

re con la sollecitudine per i fratelli.<br />

Per questo l’Ordinazione di un nuovo presbitero<br />

è segno di una comunità viva ed è stimolo<br />

perché questa vita cresca e si rafforzi in ogni<br />

membro e componente del corpo ecclesiale.<br />

Il secondo appuntamento del mese<br />

è la celebrazione dell’anniversario della visita<br />

di Papa Benedetto XVI alla nostra diocesi:<br />

un evento indimenticabile, che ci ha fatto<br />

sperimentare la profondità del legame che<br />

unisce la nostra chiesa alla Sede di Pietro<br />

e, in particolare, a questo Pontefice, per lunghi<br />

anni nostro Vescovo titolare.<br />

Per rendere grazie al Signore e perché la gioia<br />

di quel momento possa rivivere nei nostri cuori,<br />

la sera del 23 <strong>settembre</strong> celebreremo l’Eucarestia<br />

nella Cattedrale di San Clemente con la partecipazione<br />

di tutte le realtà diocesane e sarà<br />

collocata una lapide commemorativa accanto<br />

alla colonna di bronzo, che il Papa ci ha<br />

donato e ci ha lasciato come segno perenne<br />

del suo affetto paterno.<br />

Per fargli giungere direttamente la testimonianza<br />

della nostra filiale devozione, si è deciso<br />

di organizzare un pellegrinaggio diocesano<br />

a San Pietro per partecipare insieme<br />

all’Udienza generale di mercoledì 1° ottobre:<br />

non è semplicemente un modo per ricambiare<br />

la visita, ma l’occasione per comprendere che<br />

non si è trattato solo di un fatto eccezionale<br />

fine a se stesso e ormai consegnato alla storia<br />

passata.<br />

Infine, il 28 <strong>settembre</strong>, <strong>Velletri</strong> ospiterà il Cammino<br />

regionale delle Confraternite: da tutto il Lazio<br />

converranno nella nostra diocesi i membri di<br />

questi sodalizi, patrimonio della religiosità e<br />

della cultura delle nostre genti e promessa<br />

di una rinnovata vitalità.<br />

Sono state la prima forma di iniziativa e di<br />

partecipazione laicale all’opera della Chiesa<br />

e tornano ad essere un potenziale formidabile<br />

perché nel popolo cristiano possa maturare<br />

la convinzione che tutti siamo corresponsabili<br />

della testimonianza al Vangelo e costruttori<br />

di una convivenza ispirata alla carità e alla<br />

misericordia.<br />

Questi nostri fratelli vengono da lontano e<br />

camminano verso il futuro e anche nella nostra<br />

chiesa locale rappresentano una realtà<br />

significativa e vitale, cui occorre pensare non<br />

solo in occasione delle processioni e delle feste<br />

patronali.<br />

Iniziamo, quindi, il nostro anno pastorale nella<br />

gioia della speranza cristiana, chiedendo<br />

al Signore di condurre ogni giorno i nostri passi<br />

sulle sue vie.<br />

Settembre<br />

2008<br />

Ecclesia in cammino<br />

Bollettino Ufficiale per gli atti di Curia<br />

Mensile a carattere divulgativo e ufficiale per gli atti<br />

della Curia e pastorale per la vita della<br />

<strong>Diocesi</strong> di <strong>Velletri</strong>-<strong>Segni</strong><br />

Direttore Responsabile<br />

Don Angelo Mancini<br />

Collaboratori<br />

Stanislao Fioramonti<br />

Tonino Parmeggiani<br />

Gaetano Campanile<br />

Proprietà<br />

<strong>Diocesi</strong> di <strong>Velletri</strong>-<strong>Segni</strong><br />

Registrazione del Tribunale di <strong>Velletri</strong> n. 9/2004 del<br />

23.04.2004<br />

Stampa: Tipolitografia Graphicplate Sr.l.<br />

Via delle Viti, 1 - Cancelliera di Albano Laziale<br />

Redazione<br />

C.so della Repubblica 343<br />

00049 VELLETRI RM<br />

06.9630051 fax 96100596<br />

curia@diocesi.velletri-segni.it<br />

A questo numero hanno collaborato<br />

inoltre: S.E. mons. Vincenzo Apicella, S.E. Mons. Pietro<br />

Gasparri, S.E. Mons. Andrea Maria Erba, mon. Luigi<br />

Vari, Costantino Coros, don Dario Vitali, mons. Franco<br />

Risi, don Cesare Chialastri, Maria Pietroni, Antonio<br />

Galati, Daniele Pietrosanti, Pietro Latini, Fabio<br />

Pontecorvi, Massimo Marigliano, Claudio Capretti, Mara<br />

Della Vecchia, Pier Giorgio Liverani, Antonio Venditti,<br />

Emanuela Ciarla, Alessandro Gentili, Valentina<br />

Fioramonti, Sara Bianchini, don Marco Nemesi,<br />

Fabricio Cellucci, Felice Lombardo, don Daniele Valenzi,<br />

Sara Gilotta, Fabio Pontecorvi, Francesco Cipollini,<br />

Fernanda Spigone<br />

Consultabile online in formato pdf sul sito:<br />

www.diocesi.velletri-segni.it<br />

DISTRIBUZIONE GRATUITA<br />

In copertina:<br />

San Paolo e Papa Clemente I<br />

davanti al Cristo benedicente.<br />

Mosaico, (part.) catino dell’abside<br />

Cattedrale di S. Clemente <strong>Velletri</strong>,<br />

Giovanni Hajnal - 1954<br />

Il contenuto di articoli, servizi<br />

foto e loghi nonché quello voluto<br />

da chi vi compare rispecchia<br />

esclusivamente il pensiero<br />

degli artefici e non vincola mai<br />

in nessun modo Ecclesìa in Cammino,<br />

la direzione e la redazione<br />

Queste, insieme alla proprietà,<br />

si riservano inoltre il pieno<br />

ed esclusivo diritto di pubblicazione, modifica e stampa a<br />

propria<br />

insindacabile discrezione<br />

senza alcun preavviso<br />

o autorizzazioni. Articoli, fotografie<br />

ed altro materiale, anche se<br />

non pubblicati, non si restituiscono.<br />

E’ vietata ogni tipo di riproduzione<br />

di testi, fotografie, disegni, marchi, ecc. senza esplicita<br />

autorizzazione del direttore.


Decidere tra l’egoismo e l’amore, tra<br />

la giustizia e la disonestà, questo il<br />

messaggio di Benedetto XVI al mondo<br />

e alla nostra <strong>Diocesi</strong>. Ricordo della<br />

visita di un anno fa.<br />

Fabricio Cellucci*<br />

“La visita pastorale alla diocesi suburbicaria<br />

di <strong>Velletri</strong>-<strong>Segni</strong> nella mattina di<br />

domenica 23 <strong>settembre</strong>, è stata una nuova<br />

tappa del Grande Pellegrinaggio che<br />

Benedetto XVI sta compiendo per<br />

testimoniare la gioia e la bellezza della<br />

fede in Dio che è amore”.<br />

La visita del Papa possiamo ricordarla<br />

come un incontro di famiglia perché<br />

tanti sono i ricordi che ci legano alla<br />

sua figura di uomo e di pastore che ha<br />

condiviso molti momenti importanti della<br />

nostra vita diocesana come le feste<br />

dei santi patroni Clemente e Bruno oppure<br />

come i convegni diocesani, in cui la<br />

nostra chiesa radunata intorno al suo<br />

pastore, cerca di preparare il cammino<br />

pastorale.<br />

Sembra ieri, che la nostra città di <strong>Velletri</strong><br />

“per un momento è stata il centro del<br />

mondo cattolico”, come ben scriveva<br />

il nostro vescovo Vincenzo, sul bollettino<br />

diocesano.<br />

Sembra ieri ma il tempo è passato e<br />

già siamo ad un anno da quella visita<br />

del Santo Padre, in cui a condiviso con<br />

noi il Pane della Parola e dell’Eucaristia.<br />

Nella celebrazione eucaristica ci ha donato<br />

una profonda riflessione, riguardante<br />

l’urgente necessità per l’uomo di oggi<br />

di scegliere tra la logica del profitto e<br />

la logica della condivisione e della solidarietà.<br />

La condizione necessaria per vivere questa<br />

dimensione della solidarietà e della<br />

condivisione è ricordare che tutti siamo<br />

parte di un medesimo corpo, cioè<br />

del corpo di Cristo. Solamente se ragioniamo<br />

in questa prospettiva potremo<br />

realizzare la scelta della condivisione<br />

e della solidarietà.<br />

Settembre<br />

2008<br />

3<br />

Questo argomento toccato dal Papa nella<br />

sua omelia, è stato riportato da molte<br />

testate giornalistiche come “L’Eco di<br />

Bergamo” che scriveva “ No alla logica<br />

del profitto.” , “La ricchezza va condivisa”<br />

E poi ancora “Il Papa: la solidarietà<br />

con i poveri può orientare la rotta verso<br />

il bene di tutti. La sete di guadagno incrementa<br />

anche il rovinoso sfruttamento del<br />

pianeta”.<br />

Mentre nel servizio d’informazione SIR<br />

potevamo trovare pubblicato “ Benedetto<br />

XVI a <strong>Velletri</strong>: decidere tra l’egoismo e<br />

l’amore, tra la giustizia e la disonestà ”.<br />

Molto bello è il paragone fatto da Alberto<br />

Bobbio, inviato del quotidiano “IL MES-<br />

SAGGERO”, che paragona l’omelia di<br />

Benedetto XVI ad programma di vita per<br />

tutti gli uomini.<br />

Articolo, nelle cui righe successive ricorda<br />

che “ Ratzinger non ha usato mezze<br />

parole e l’ha chiamata lotta “definitiva tra<br />

Dio e Satana. Ha ricordato la “Centesimus<br />

annus” di Karol Wojtyla, nella quale si affermava<br />

che il capitalismo non è l’unico modello<br />

valido di organizzazione economica,<br />

per spiegare che si devono coniugare modelli<br />

di sviluppo e responsabilità. Per combattere<br />

anche l’emergenza della fame e<br />

quella ecologica”.<br />

Altrettanto importante è anche ricordare<br />

la familiarità con cui si è mostrato il<br />

Santo Padre verso la cittadinanza e la<br />

familiarità della cittadinanza. Affetto del<br />

Papa che si percepiva dalle parole della<br />

sua riflessione, nella cui introduzione<br />

scriveva “ Sono tornato con gioia per incontrare<br />

la vostra comunità diocesana, che<br />

per diversi anni è stata in modo singolare<br />

anche la mia e che mi resta tuttora<br />

tanto cara”.<br />

Affetto della cittadinanza, che è stato dimostrato<br />

sia dalle tante persone che hanno<br />

collaborato per la realizzazione della<br />

visita e sia dalle tante persone che in<br />

maniera numerosa, sin dalle prime ore<br />

del mattino, avevano riempito le strade<br />

e le piazze della città per fare corona al<br />

Vescovo di Roma, che veniva in visita alla<br />

nostra Chiesa locale.<br />

Mentre riflettevo sulle parole del Papa,<br />

mi tornava alla mente una riflessione fatta<br />

da Don Tonio Bello, vescovo, in cui soste-


4<br />

neva “il cristianesimo è la religione dei nomi<br />

propri, non delle essenze. Dei volti concreti, non<br />

degli ectoplasmi, del prossimo in carne ed ossa<br />

con cui conformarsi, non delle astrazioni<br />

volontaristiche con cui crogiolarsi”. Questo per<br />

dire che i tempi cambiano,<br />

ma che ci sono problemi che<br />

da tempo rimangono senza<br />

una risposta concreta che possa<br />

portare ad una soluzione<br />

definitiva, e di come la<br />

Chiesa, nella figura dei suoi<br />

pastori si prodighi molto verso<br />

tali problemi sociali del<br />

nostro tempo,attraverso<br />

interventi concreti e non smettendo<br />

mai di ricordarli alla<br />

coscienza dei cristiani, attraverso<br />

le catechesi, come quella<br />

fatta da Benedetto XVI nella<br />

visita alla nostra diocesi.<br />

La dimostrazione tangibile<br />

che questi problemi sociali<br />

ancora esistono, denunciati<br />

dal Santo Padre e dagli altri<br />

Settembre<br />

2008<br />

vescovi , è evidente nelle varie<br />

crisi di sfruttamento che ci<br />

sono nel mondo; in particolare<br />

oggi sotto gli occhi di tutti è la<br />

situazione che si trovano a vivere<br />

gli abitanti del Benin. Queste<br />

situazioni di difficoltà molte volte<br />

neppure le conosciamo, perché<br />

i mass media non né trasmettono<br />

alcuna traccia.<br />

Da questo capiamo che l’insegnamento,<br />

sempre attuale, che<br />

il Santo Padre a voluto lasciarci<br />

come impegno è il dover vivere<br />

bene il nostro oggi, in cui siamo<br />

chiamati a compiere scelte<br />

di campo, prima di tutto la scelta<br />

di Dio, per testimoniare la gioia<br />

e la bellezza della fede in Dio<br />

che è amore; attraverso la<br />

scelta dell’essere solidali con il<br />

nostro prossimo.<br />

*Seminarista


di Pier Giorgio Liverani<br />

Settembre<br />

2008<br />

Eluana e gli altri. Mentre scrivo<br />

queste semplici considerazioni<br />

non so ancora se<br />

e come andrà a finire il “caso Eluana”.<br />

So solamente che la sua vicena –<br />

comunque si concluderà : se con la<br />

morte per fame e per sete o, invece,<br />

nell’apparente serenità del suo<br />

sonno – avrà indotto la gente, se non<br />

altro, a riflettere sulla vita e sulla morte.<br />

Sarà già molto, perché quella povera<br />

ragazza in bilico tra la vita e la<br />

morte è striscia di essere ridotta a<br />

“un caso”: giuridico, medico, tecnico,<br />

terapeutico, etico, ideologico, politico<br />

… Addirittura un partito: della vita<br />

per alcuni, della morte secondo altri.<br />

Eluana non è più un persona, che<br />

forse soffre, forse capisce e forse<br />

invece, è invece serena nell’assenza<br />

della sua coscienza. E’ piuttosto un<br />

argomento, un’occasione, un motivo,<br />

una polemica: un “caso” insomma,<br />

e tuttavia ha posto, gradito o no,<br />

un interrogativo sul senso della vita<br />

e sul significato della morte. Che cos’è<br />

la vita? Che cosa, chi è un essere umano che<br />

dorme un sonno di sedici anni, una donna che<br />

molti pensano non sia più lei: soltanto un corpo,<br />

che non ha più coscienza di sé. La coscienza<br />

di sé, però – ha scritto un filosofo e bioticista<br />

dell’Università Cattolica di Milano, Adriano<br />

Pessina – “non costituisce l’identità umana”.<br />

Non avevamo coscienza di noi quando eravamo<br />

nel grembo materno né nei primi tempi che<br />

sono seguiti alla nostra nascita, non l’abbiamo<br />

quando dormiamo o quando in sala operatoria<br />

ci addormentano e non ci accorgiamo che – lo<br />

dico per dire – ci stanno sventrando, ma nessuno<br />

pensa che in quelle situazioni non si sia<br />

persone. E allora si può intenzionalmente causare<br />

la morte di una persona affamandola e assetandola?<br />

Se la si vuole morta, non sarebbe meno<br />

ipocrita - lo dico per assurdo e soltanto come<br />

provocazione – ucciderla all’istante in modo indolore?<br />

E poi che sappiamo noi della vita e della coscienza<br />

di Eluana da poterci ergere a padroni della<br />

sua vita, a giudici dei suoi pensieri e dei suoi<br />

desideri? Molti malati svegliatisi dopo anni di coma<br />

hanno detto di aver avvertito ciò che accadeva<br />

intorno a loro anche se non poteva esprimersi.<br />

Le suore Misericordine della clinica “Beato Luigi<br />

Telamoni”, dove Eluana è nata e dove ora l’accudiscono<br />

con amore dal giorno dell’incidente,<br />

hanno chiesto di lasciarla a loro. Dicono: “E’ una<br />

di noi, è della nostra famiglia”. E pensano che<br />

qualche cosa avverta: “Qualche volta, specialmente<br />

quando le parla suor Rosangela, che le<br />

è particolarmente addetta, muove gli occhi”. E<br />

il prof. Adrian Owen, responsabile dell’unità neurologica<br />

dell’Università di Cambridge, concorda:<br />

ha le prove scientifiche che chi è in stato vegetativo<br />

sente, capisce e compie azioni mentali anche<br />

se abbastanza elementari. Dunque, se invece<br />

di morire, come i testimoni di tanti anni fa affermano<br />

che Eluana abbia detto di volere, ora preferisse<br />

vivere? Svegliarsi o se fosse è terrorizzata<br />

dall’idea di morire di fame e di sete senza<br />

il sondino naso-gastrico?<br />

Eluana e gli altri. Gli altri, però, non siamo noi,<br />

che per lei almeno un po? Di pietà la nutriamo<br />

né coloro che freddamente si occupano, a distanza,<br />

del suo “caso” ergendosi a giudici della sua<br />

vita e della sua morte e che ne vogliono per forza<br />

essere i tutori terminali, pesandone la vita con<br />

il bilancione della Giustizia (ma è Giustizia far<br />

morire un’innocente solo perché non capisce ed<br />

è un peso per gli altri?) e con la stadera dei politici.<br />

Gli altri sono tutti i piccolissimi esseri umani<br />

che ogni giorno, sempre e soltanto perché non<br />

hanno consapevolezza di esistere o perché sono<br />

malati o, in ogni caso, non sono come li si vorrebbe,<br />

vengono rifiutati come prodotti mal<br />

riusciti e abbandonati alla morte. O quelli che,<br />

con un’assurda logica contraria, vengono fabbricati<br />

in laboratorio tra gente estranea, tra pro-<br />

5<br />

vette, aspiratori, frigoriferi e gran parte<br />

dei quali sono poi lasciati morire nel<br />

gelo dell’azoto (meno 270 gradi) o sezionati<br />

per un esame di qualità o adoperati<br />

come terapie sperimentali finora del<br />

tutto inutili.<br />

Qualche settimana fa, il 25 luglio, Louise<br />

Brown, la prima bambina nella storia<br />

dell’uomo a essere concepita fuori del<br />

grembo materno, ha compiuto trent’anni.<br />

E’ bella, sta bene, si è sposata, è diventata<br />

mamma. Auguri. Erano passati appena<br />

due mesi dal giorno in cui, in Italia,<br />

l’aborto era diventato legittimo e di Stato<br />

con la legge 194. Da allora quasi cinque<br />

milioni di “altri” sono stati buttati<br />

tra i rifiuti speciali ospedalieri. Negli stessi<br />

trent’anni, in tutto il mondo, gli aborti<br />

sono stai un miliardo 650 milioni (55<br />

milioni l’anno, scrive Carlo Flamini, il<br />

ginecologo più ideologizzato e competente<br />

in materia di aborti e fecondazioni artificiali).<br />

Che valore aveva, che valore<br />

ha la vita di questi “babies for burning”<br />

bambini da bruciare, come diceva il titolo<br />

di un libro di qualche anno fa? Questi<br />

poveri uomini in embrione e senza apparenze<br />

umane? A questi milioni di<br />

“altri” ormai si è fatta l’abitudine e nessuno, o<br />

quasi, pensa nemmeno più.<br />

La sera del primo agosto su Raitre è andato in<br />

onda un bel documentario su Madre Teresa di<br />

Calcutta. Quando fu nella sala dell’Accademia<br />

di Stoccolma per ricevere il Premio Nobel per<br />

la pace, quella piccola suora disse, davanti ai<br />

Reali di Svezia, al Governo, agli Accademici e<br />

ai potenti di quel Paese: “Il primo delitto contro<br />

la pace è l’aborto. SE una madre può uccidere<br />

suo figlio nel proprio seno, chi impedirà a me<br />

e a voi di ucciderci a vicenda?<br />

Sempre in questi ultimi trent’anni, dal 25 luglio<br />

1978, i bambini nati come Luisa Brown per mano<br />

di “altri” – medici, tecnici di laboratorio, spesso<br />

anche genitori o uno di loro – sono circa tre milioni<br />

nel mondo. Stanno bene, ma l’unico che io<br />

ho conosciuto – una bambina davvero bellissima<br />

– non sorride mai. Mi sono domandato perché<br />

e una risposta l’avrei, anche. Nessuno ha<br />

calcolato quanti fratellini e sorelline sono morti<br />

per farli nascere: probabilmente non meno di<br />

una ventina di milioni, considerati gli embrioni<br />

di scarto e quelli soprannumero. Nessuno ha mai<br />

dato loro un nome, come nessuno lo ha dato a<br />

quel miliardo e mezzo (e passa) di bambini abortiti.<br />

La loro vita, per chi non li vuole, vale meno<br />

di un nome, che non costa nulla dire. Anche meno<br />

del nome comune di “uomo”. Forse si chiamavano<br />

tutti Eluana.


6<br />

Marta Pietroni<br />

. Con queste parole, contenute<br />

nell’enciclica Evangelium Vitae n.27, l’allora pontefice<br />

Giovanni Paolo II volle assegnare alla bioetica<br />

un compito che andasse al di là di una particolare<br />

visione religiosa e che interpellasse direttamente la<br />

ragione dell’uomo, chiamandolo a riflettere in primis<br />

sull’intimo significato della sua stessa esistenza1<br />

. La bioetica esprime innanzitutto proprio questa<br />

necessità di dialogo tra le diverse forme di razionalità<br />

dell’uomo. La recente comparsa del termine, risalente<br />

al 1970 ad opera dell’oncologo americano V.R.<br />

Potter2 , rispondeva proprio alla necessità di una riflessione<br />

per l’uomo contemporaneo volta alla creazio-<br />

ne di un “ponte” tra<br />

le scienze naturali<br />

bio-sperimentali e le<br />

scienze umane etico-antropologiche<br />

per far fronte alla<br />

necessità di nuove<br />

forme di responsabilità<br />

dell’uomo nei<br />

confronti della vita.<br />

Di fronte alle incredibili<br />

conquiste della<br />

tecnica e della<br />

conoscenza scientifica,<br />

la bioetica si<br />

pone quindi come<br />

coscienza critica,<br />

indispensabile per<br />

far fronte ai nuovi<br />

sforzi richiesti all’unità<br />

della ragione3 .<br />

Sempre di più l’uomo<br />

sta prendendo<br />

coscienza che non<br />

sempre è eticamente<br />

lecito fare ciò<br />

che è tecnicamente<br />

possibile, una scienza e una tecnica senza una<br />

seria riflessione morale sono pericolose e falsamente<br />

neutrali, proprio perché in realtà dietro ogni agire c’è<br />

sempre una particolare visione dell’uomo, una particolare<br />

concezione del senso del suo esistere e del<br />

suo esserci. Ed è proprio su questo piano antropologico<br />

ed ontologico che è urgente discutere.<br />

Davanti agli occhi di tutti si stanno dispiegando modelli<br />

antropologici di riferimento che condizionano più<br />

o meno chiaramente la nostra esistenza, le nostre<br />

concezioni di corpo, malattia, e salute, di dignità e<br />

qualità della vita umana. Proprio per questo è doverosa<br />

e soprattutto non delegabile un’approfondita rifles-<br />

Settembre<br />

2008<br />

sione sulle questioni in gioco, sulla portata culturale<br />

dei cambiamenti in atto e sul necessario confronto<br />

tra quelle visioni antropologiche erroneamente e forzatamente<br />

rinchiuse all’interno del binomio laicità-cattolicesimo.<br />

A tal fine, tentando di spostare il confronto<br />

sul problema della fondazione del giudizio etico e sulla<br />

forza delle argomentazioni razionali e partendo proprio<br />

dalla nascita della bioetica, affronteremo, nei prossimi<br />

numeri di Eccelsia, cruciali e complesse questioni<br />

– quali la sperimentazione sugli embrioni, la<br />

diagnosi preimpianto, l’aborto, l’eutanasia, ecc. – con<br />

l’intento di offrire validi spunti di riflessione. presentando<br />

una chiave di lettura che fa riferimento a quella<br />

visione antropologica definita personalismo ontologicamente<br />

fondato4 . Esso, senza negare l’importanza<br />

dell’aspetto relazionale della soggettività e della<br />

coscienza, vuole sottolineare che 5 . E oggi una nuova sfida è posta proprio<br />

dall’utilizzo di questo importante e determinante<br />

concetto – persona – che sembra essere divenuto<br />

ancora di più un “attributo a discrezione”. Lungo il<br />

suo cammino l’uomo ha fatto grandi conquiste culturali,<br />

ha scoperto – e non inventato – valori oggi da<br />

molti condivisi ma purtroppo l’occhio umano pecca<br />

di vista ancora fortemente imperfetta, che rende l’uomo<br />

incapace di riconoscere sé stesso e di conoscersi.<br />

Se non saremo in grado di lottare e soprattutto di educare,<br />

quello che lasceremo alle nuove generazioni<br />

sarà un bagaglio culturale misero e biasimevole, quello<br />

di una società nella quale l’aborto vuole essere<br />

un diritto, dove per amore dei figli si lascerebbero<br />

sopravvivere quelli sani, dove per amore si staccherebbe<br />

la spina.<br />

1 Per la trattazione degli argomenti presentati si è fatto particolarmente riferimento al volume I del Manuale di bioetica,<br />

Fondamenti ed etica biomedica di Elio Sgreccia, Vita e Pensiero, Milano 2003.<br />

2 V.R.Potter, Bioethics. The science of Survival, in “Prospectives in Biology and Medicine”, 14(1), 1970, pp.127-153; Id.,<br />

Bioethics. Bridge to the Future, Prince-Hall, Henglewood Cliffs (N.J.) 1971.<br />

3 A.Pessina, Bioetica. L’uomo sperimentale, Bruno Mondadori, Milano 2000.<br />

4 Cfr E.Sgreccia, Manuale di bioetica, vol. I.<br />

5 Ivi, cit., pp. 60, 61.


Settembre<br />

2008<br />

Per il concilio Vaticano II il vescovo è «il principio<br />

visibile e il fondamento dell’unità della sua<br />

Chiesa» (LG 23). In essa e a suo favore, egli<br />

è il maestro della fede, il sommo sacerdote dei<br />

santi misteri, la guida del popolo di Dio a lui affidato. LG<br />

27 descrive il terzo di questi compiti, quello che si definisce<br />

munus regendi, cioè la funzione di guida o di governo<br />

nella Chiesa.<br />

Anche in questo caso il testo si offre come un esempio<br />

di progresso dottrinale nella continuità della Tradizione.<br />

Il paragrafo, infatti, accosta al dato già recepito dal Vaticano<br />

I – la funzione di «pastore universale» del papa, soggetto<br />

di autorità propria, diretta e immediata su tutta la<br />

Chiesa – l’affermazione dell’autorità propria, diretta e immediata<br />

del vescovo nella sua diocesi.<br />

Le due affermazioni sono suonate a molti come alternative<br />

e inconciliabili: come possono esistere contemporaneamente<br />

due autorità proprie, dirette e immediate?<br />

La storia del II millennio della Chiesa in Occidente,<br />

con la progressiva affermazione della visione piramidale<br />

e centralizzata della Chiesa che si era imposta nel Medioevo<br />

con la riforma gregoriana e aveva trovato il suo punto<br />

massimo di espressione nella definizione del primato<br />

petrino e dell’infallibilità del papa al Vaticano I sembravano<br />

sancire questa linea d’interpretazione. Peraltro, dopo<br />

il concilio si è imposta una recezione molto restrittiva del<br />

Vaticano I, che ha spesso ridotto i vescovi a funzionari<br />

e delegati del papa, unico detentore dell’autorità nella<br />

Chiesa.<br />

Contro questa lettura massimalista stavano le parole dello<br />

stesso Pio IX, il quale riconobbe come interpretazione<br />

autentica del Vaticano I e delle sue affermazioni dogmatiche<br />

la risposta dei vescovi tedeschi all’allora cancelliere<br />

tedesco, von Bismarck. I fatti sono presto riassunti:<br />

dopo il concilio, nel clima della Kulturkampf, il cancelliere<br />

prussiano aveva emanato una circolare in cui<br />

si sosteneva che, a seguito delle deliberazioni del Vaticano<br />

I, i vescovi risultavano privati della loro autorità, assorbita<br />

completamente da quella papale, ridotti al rango di<br />

funzionari di un sovrano straniero, per cui dovevano essere<br />

privati di ogni diritto attivo e passivo nel territorio dell’impero<br />

prussiano. I vescovi tedeschi avevano replicato<br />

che «tutte queste asserzioni sono prive di fondamento<br />

e in aperta contraddizione con il testo e il senso delle<br />

decisioni del concilio Vaticano I», asserendo che «l’autorità<br />

di giurisdizione ecclesiastica, posseduta dal<br />

papa, è una potestà suprema, ordinaria e immediata,<br />

conferita al papa da nostro Signore Gesù Cristo nella<br />

persona di Pietro ed estendentesi direttamente su tut-<br />

ta la Chiesa, e perciò sopra tutte e singole le diocesi e<br />

si tutti i fedeli per il mantenimento dell’unità della fede,<br />

della disciplina e del governo della Chiesa… Secondo<br />

questa dottrina, il papa è vescovo di Roma, non vescovo<br />

di alcun’altra diocesi o città; egli non è il vescovo di<br />

Colonia o di Breslavia etc. Ma in quanto vescovo di Roma,<br />

egli è anche papa, cioè pastore e capo della Chiesa universale,<br />

capo di tutti i vescovi e di tutti i fedeli». Dopo<br />

aver illustrato ampiamente la funzione del papa, i vescovi<br />

tedeschi affermano esplicitamente: «Come il papato<br />

è di istituzione divina, così lo è pure l’episcopato. Anch’esso<br />

ha i suoi diritti in virtù di questa istituzione, che il papa<br />

non ha il diritto né il potere di cambiare». Tali affermazioni<br />

sono state solennemente confermate come interpretazione<br />

autentica del concilio Vaticano I da Pio IX stesso,<br />

in una lettera apostolica del 4. 03. 1875, per dissipare<br />

il dubbio che la Santa Sede non fosse d’accordo<br />

con la risposta dell’episcopato tedesco: «la vostra dichiarazione<br />

– afferma il papa – riporta la dottrina cattolica<br />

autentica e per questo del sacro concilio e di questa<br />

Santa Sede».<br />

Il concilio Vaticano II non solo ha affermato con particolare<br />

enfasi la sacramentalità dell’episcopato (cfr LG<br />

21), ma ha voluto armonizzare i rapporti tra papa e vescovi<br />

soprattutto con la questione della collegialità (LG 22-<br />

23). LG 27 affronta questo medesimo tema sul piano<br />

del governo della Chiesa, risolvendo l’apparente concorrenza<br />

di due potestà proprie, ordinarie e immediate.<br />

Il problema che si presentava ai Padri del concilio<br />

era di non facile soluzione: come affermare l’autorità del<br />

vescovo sulla sua Chiesa senza compromettere l’autorità<br />

del papa sulla Chiesa universale, e quindi su ogni<br />

singola diocesi. Il testo si apre con un’affermazione che<br />

mette subito in chiaro la natura della funzione pastorale<br />

del vescovo verso la sua Chiesa: nel governo delle<br />

Chiese particolari a loro affidate i vescovi sono «vicari<br />

e delegati di Cristo», afferma il testo, che invoca a conferma<br />

due documenti del magistero pontificio: il breve<br />

Romana Ecclesia di Benedetto XIV (1752) e l’enciclica<br />

Mystici Corporis di Pio XII (1943). «Questa potestà, che<br />

i vescovi esercitano personalmente in nome di Cristo,<br />

è propria, ordinaria e immediata, quantunque il suo esercizio<br />

sia in definitiva regolato dalla suprema autorità della<br />

Chiesa e, entro certi limiti, in vista dell’utilità della Chiesa<br />

o dei fedeli, possa essere circoscritta». I due poteri stanno<br />

su due piani diversi: «Ai vescovi è pienamente affidato<br />

l’incarico pastorale ossia l’abituale e quotidiana cura<br />

del loro gregge, né devono essere considerati i vicari<br />

dei romani pontefici, perché esercitano una potestà che<br />

seconda parte<br />

7<br />

è loro propria e con tutta verità sono detti capi (Antistites)<br />

dei popoli che governano. La loro potestà, quindi, non<br />

è sminuita dalla potestà suprema e universale, ma anzi<br />

è da essa affermata, corroborata e rivendicata, poiché<br />

lo Spirito santo conserva invariata la forma di governo<br />

stabilita da Cristo Signore nella sua Chiesa».<br />

In questo numero sul munus regendi dei vescovi non<br />

era necessario spiegare oltre il rapporto papa-vescovi,<br />

già ampiamente illustrato nel tema della collegialità. Il<br />

testo invece continua con un’ampia esortazione, con continui<br />

rimandi biblici, che disegna il profilo del vescovo<br />

come Buon Pastore del suo gregge: «Il vescovo, mandato<br />

dal Padre di famiglia a governare la sua famiglia,<br />

tenga innanzi agli occhi l’esempio del Buon Pastore, che<br />

è venuto non per essere servito ma per servire e dare<br />

la sua vita per le pecore. Preso di mezzo agli uomini e<br />

soggetto a debolezze, egli può compatire quelli che sono<br />

nell’ignoranza o nell’errore. Non rifugga dall’ascoltare i<br />

sudditi che cura come veri figli suoi e che esorta a cooperare<br />

alacremente con lui. Dovendo render conto a Dio<br />

delle loro anime, con la preghiera, la predicazione e ogni<br />

opera di carità abbia cura di loro, e anche di quelli che<br />

non sono ancora dell’unico gregge, che deve considerare<br />

come affidati a sé nel Signore. Poiché egli, come<br />

l’apostolo Paolo, è debitore a tutti, sia pronto ad annunziare<br />

il vangelo a tutti e a esortare i suoi fedeli all’attività<br />

apostolica e missionaria».<br />

Il numero e l’intero capitolo – i nn. 28 e 29, sui presbiteri<br />

e i diaconi sono un’aggiunta dello Schema III – si<br />

conclude con una citazione di Ignazio di Antiochia applicata<br />

al rapporto dei fedeli con il loro vescovo: «I fedeli<br />

poi devono aderire al vescovo come la Chiesa a Gesù<br />

Cristo e come Gesù Cristo al Padre, affinché tutte le cose<br />

siano d’accordo nell’unità, e crescano per la gloria di Dio».<br />

Chiusa migliore non poteva esserci. L’intera sezione sui<br />

vescovi, che occupa il capitolo quasi per intero, trova<br />

qui un modello di Chiesa che, fondata nella correlazione<br />

tra il vescovo e la sua Chiesa, di cui è principio e<br />

fondamento dell’unità, trova e manifesta il suo principio<br />

fondante nella comunione: con le altre Chiese e con Pietro,<br />

principio e fondamento visibile dell’unità di tutta la Chiesa;<br />

con il Popolo a lui affidato, nell’unità con il presbiterio,<br />

e promuovendo tutti i ministeri, i carismi, le vocazioni<br />

necessarie alla sua Chiesa per essere la Sposa bella<br />

del Cristo<br />

Don Dario Vitali<br />

parroco e teologo


8<br />

Don Dario Vitali<br />

Il 17 agosto la Chiesa fa memoria di s. Chiara<br />

della Croce. Il 17 agosto 1308, infatti, a soli<br />

40 anni, Chiara di Damiano muore a<br />

Montefalco, nel monastero di s. Croce, dove<br />

era badessa. Le sue monache, assolutamente convinte<br />

della sua santità, nel desiderio di conservarne<br />

il corpo, procedono a tutte le operazioni necessarie<br />

al caso. Quando tolgono il cuore, ricordando<br />

le parole insistenti della loro badessa – Ajo Jesu<br />

Cristo meo entro lo core meo – lo aprono come si<br />

aprirebbe una melagrana e, a loro dire, vi trovano<br />

i segni della Passione di Cristo: la croce, la colonna,<br />

lo staffile, la lancia, l’asta con la spugna per l’aceto.<br />

La notizia si propaga in un battibaleno e le<br />

strade della bella cittadina umbra, oggi giustamente<br />

famosa per il Sagrantino, si riempiono di gente, con<br />

in testa il podestà e le autorità civili. Il medico ha<br />

certificato l’eccezionalità della scoperta e anche le<br />

autorità religiose, salite da Spoleto a Montefalco per<br />

punire una forma di esaltazione religiosa, si sono<br />

arrese di fronte a quelli che a tutti apparivano come<br />

i segni della passione nel cuore di Chiara.<br />

Oggi la scienza può spiegare meglio quella particolare<br />

morfologia cardiaca, sgombrando il terreno<br />

dagli aspetti troppo miracolistici per focalizzarsi sull’aspetto<br />

più propriamente spirituale della vicenda<br />

di Chiara. Vicenda davvero straordinaria per intensità<br />

e passione dell’amore, dove i segni della passione<br />

rimandano a un cammino di conformazione<br />

a Cristo unico, capace ancora<br />

oggi di stupire e di interrogare<br />

chi, senza preclusioni, voglia<br />

misurarsi con le scelte di<br />

questa donna di straordinaria<br />

bellezza, esteriore e interiore.<br />

Ma vediamo con ordine i fatti.<br />

Chiara nasce nel 1268 da<br />

Damiano e Giacoma, seconda<br />

di quattro figli: Teodora, la<br />

più piccola, morirà in fasce;<br />

Francesco, nato nel 1270, sarà<br />

frate francescano, lettore in teologia,<br />

provinciale dell’Ordine per<br />

la Valle spoletina; la prima,<br />

Giovanna, di 14 anni più<br />

grande, sarà la prima badessa<br />

del monastero di s. Croce.<br />

Tutto inizia con la scelta di<br />

Giovanna di farsi “reclusa”, di<br />

consegnarsi cioè a quella<br />

forma di consacrazione assai<br />

diffusa a quel tempo, che potremmo<br />

definire alternativa rispetto<br />

a quella praticata nei grandi<br />

ordini monastici e religiosi<br />

maschili e femminili. Il fenomeno,<br />

che investe tutta l’Europa, vede<br />

uomini o donne, singolarmente<br />

o in forma comunitaria,<br />

rinchiudersi volontariamente in<br />

un luogo – di qui il nome reclusorio<br />

o carcere (chi non ricorda le Carceri di Assisi?)<br />

ma anche “bizzocaggio”, perché queste donne venivano<br />

chiamate “bizzoche” – dove, vivendo di elemosina,<br />

si dedicavano a una vita di preghiera e di<br />

penitenza. Anche Giovanna fa questa scelta e si<br />

ritira con l’amica Andriola nel reclusorio a ridosso<br />

delle mura della città, costruito dal padre Damiano<br />

in un terreno di proprietà della famiglia (che doveva<br />

essere agiata, se nella parentela ci sono notai).<br />

A soli sei anni, Chiara prende a frequentare la sorella:<br />

ne imita i gesti, ne ripete le preghiere, incomincia<br />

le penitenze, entrando in un cammino di conformazione<br />

alla Passione di Cristo che caratterizzerà<br />

tutta la sua vita. Vuole essere tutta per il suo<br />

Signore e comincia un distacco da tutto e da tutti,<br />

infliggendosi penitenze severissime – flagellazioni,<br />

genuflessioni, prostrazioni, servizi umilianti, digiuni<br />

– che allarmano la stessa sorella, la quale la invita<br />

alla misura.<br />

L’esperienza di reclusa dura fino al 1290, anno in<br />

cui il vescovo di Spoleto erige s. Croce a monastero,<br />

scegliendo per le monache la regola agostiniana.<br />

La crescita numerica della comunità costringe questo<br />

gruppo di giovani donne a spostarsi dal primo<br />

reclusorio a uno più grande. La decisione è sostenuta<br />

ancora una volta da Damiano, il quale si fa carico<br />

della costruzione del secondo reclusorio, poco<br />

distante dal primo, dove ancora oggi sorge il monastero.<br />

La morte improvvisa del padre, a lavori non<br />

ancora ultimati, consegna le giovani a una esperienza<br />

drammatica: le altre case religiose e le stes-<br />

Settembre<br />

2008<br />

se autorità comunali osteggiano il nuovo reclusorio,<br />

con la motivazione che la città non è in grado<br />

di sostenere con la sua carità anche questo nuovo<br />

insediamento. Chiara e le sorelle sono costrette<br />

a una vita di stenti e devono ricorrere all’accattonaggio.<br />

Sarà un’esperienza che segnerà profondamente<br />

Chiara e la comunità. L’intervento del vescovo di<br />

Spoleto appiana la situazione, anche se non spegnerà<br />

le forme di ostilità verso questo nuovo monastero,<br />

posto sotto la guida di Giovanna, prima badessa,<br />

dal momento dell’erezione fino alla morte, avvenuta<br />

un anno e mezzo dopo, nell’autunno del 1291.<br />

È questo il primo periodo della vita di Chiara, che<br />

non è diverso da quello di tutte le recluse, se non<br />

per intensità della vita di penitenza e radicalità delle<br />

scelte. La sua regola è l’obbedienza alla sorella,<br />

donna di grande autorità che la guida e ne tempera<br />

le esagerazioni. La morte di Giovanna provoca<br />

uno sbandamento, acuito da uno stato interiore di<br />

deserto – la “notte dell’anima”, dirà Teresa d’Avila<br />

–, in cui sperimenta l’abbandono e il silenzio di Dio<br />

per ver peccato di vanità, «essendosi sentita qualcuno»<br />

perché il Signore rispondeva alle sue<br />

richieste di grazia. Questo periodo, che la purificherà<br />

e l’affinerà, durerà undici anni, durante i quali un<br />

senso profondo di indegnità e di inadeguatezza la<br />

spinge a cercare con ancora più intensità il<br />

Signore. È in questo travaglio che Chiara comprende<br />

la vita in Cristo e i suoi dinamismi, e matura una<br />

capacità di discernimento, accompagnata da carismi<br />

straordinari, che ancora oggi destano stupore.<br />

Peraltro, questa prova avviene quando Chiara è già<br />

badessa: le sorelle l’hanno indicata all’unanimità a<br />

succedere a Giovanna. Dopo aver supplicato di esse-


Settembre<br />

2008<br />

re risparmiata, assume questo incarico e serve le<br />

sorelle con grande capacità di guida della comunità.<br />

Attenta ai bisogni di tutte, ne rafforza il desiderio<br />

di santità, alimentandolo con la proposta dell’ideale<br />

di vita comune che sta alla base della regola<br />

agostiniana. È in questo periodo che rivela doni<br />

incredibili, come la conoscenza del cuore altrui, la<br />

preveggenza, la profezia. A scorrere la Vita scritta<br />

da Berengario, il vicario del vescovo di Spoleto che<br />

curerà i due processi di canonizzazione – quello diocesano<br />

e quello papale –si resta sorpresi dal numero<br />

degli episodi in cui Chiara rivela al suo interlocutore<br />

ciò che egli cela in cuore, invitandolo alla conversione.<br />

L’episodio più famoso è lo scontro con fra’<br />

Bentivenga, un grande predicatore francescano che<br />

aveva aderito alla setta del Libero Spirito – un gruppo<br />

spirituale nella galassia dei movimenti pauperistici<br />

del Medioevo che professava e praticava una<br />

dottrina in cui si giustificava la lussuria in nome della<br />

libertà dello spirito – e che aveva tentato di piegare<br />

la giovane badessa alle sue idee. Chiara non<br />

solo non cade nel tranello, ma ne smaschera le argomentazioni<br />

e, attraverso il fratello, lo denuncia al<br />

tribunale dell’Inquisizione. Per la nostra coscienza<br />

critica, che giudica un istituto ecclesiastico dai suoi<br />

abusi e dalle sue degenerazioni, questa scelta appare<br />

criticabile. Ma la decisione di Chiara è in linea<br />

con la sua volontà di custodire la comunità che le<br />

era affidata: troppi monasteri, per aver aperto le porte<br />

alla setta del Libero Spirito, si erano trasformati<br />

in bordelli. D’altronde, la donna non era sprovveduta:<br />

raccontano le fonti che alla grata del mona-<br />

DECRETO DI NOMINA A DIRETTORE<br />

DELL’ UFFICIO DIOCESANO PER L’INSEGNAMENTO DELLA<br />

RELIGIONE CATTOLICA<br />

stero arrivavano in continuazione prelati e teologi,<br />

a porre a Chiara – «donna illetterata» – questioni<br />

dottrinali, a cui sempre rispose con chiarezza e acume.<br />

Non per nulla le si attribuisce il titolo, tutto maschile,<br />

di defensor fidei. Ma più dei teologi e degli ecclesiastici<br />

– compresi i cardinali Colonna e Orsini – alla<br />

grata del monastero Chiara accolse i poveri nel corpo<br />

e nello spirito: a tutti dona ciò di cui hanno bisogno,<br />

fosse anche il necessario per il monastero, nella<br />

più completa fiducia in Dio provvidente; a nessuno<br />

fa mancare la sua parola che illumina le anime.<br />

Ogni giorno da s. Croce partiva per l’ospizio<br />

di s. Leonardo un paniere con 12 pani, in memoria<br />

dei 12 apostoli.<br />

Questa attività febbrile a favore degli altri – la comunità<br />

delle monache e i tanti che bussavano alla porta<br />

del monastero – mai la sottrassero dalla ricerca<br />

radicale ed esclusiva di Dio. La Vita racconta di una<br />

visione in cui Gesù stesso le appare come pellegrino<br />

alla ricerca di «un luogo forte» dove piantare<br />

la sua croce. È il cuore stesso di Chiara: «Ajo<br />

Jesu Cristo meo entro lo core meo». Il suo rapporto<br />

con Dio è tutto segnato di ripetute estasi, in una delle<br />

quali vede i tempi e i modi della Passione e percepisce<br />

anche sensibilmente il dramma della crocifissione.<br />

Dopo periodi prolungati di malattia, le monache<br />

le fanno preparare un lettino mobile. Adagiata<br />

su questo, si fa portare nell’oratorio, dove muore.<br />

L’affresco della cappella la ritrae seduta sul lettuccio,<br />

circondata dalle sorelle, tutta tesa all’incontro<br />

con Cristo. «Portami con te!», diceva al Signore; e<br />

alle sorelle, in una concitazione d’amore: «Tutte le<br />

cose ardono, tutte le cose ardono, e voi che fate?».<br />

Prot. VSCA 38/2008<br />

Fino ad oggi il Servizio di Direttore dell’Ufficio Scuola è stato svolto da Mons.<br />

Luigi Vari, vicario episcopale per la Pastorale.<br />

Al fine di ripartire più adeguatamente gli oneri e ringraziando Mons. Vari per<br />

l’ulteriore lavoro fin qui svolto,<br />

nomino con effetto immediato<br />

il Dr. Nicolino Tartaglione Direttore dell’Ufficio Scuola<br />

con l’incarico di curare i rapporti con le autorità scolastiche competenti e la gestione<br />

degli incarichi del corpo docente.<br />

Mons. Vari continuerà a seguire l’aspetto pastorale e formativo di indirizzo generale.<br />

<strong>Velletri</strong>, 01.09.2008.<br />

Il cancelliere vescovile<br />

Mons. Angelo Mancini<br />

BOLLETTINO DIOCESANO<br />

Vincenzo Apicella, vescovo<br />

9<br />

I suoi ultimi detti riverberano questo desiderio in cui<br />

si consuma la sua vita: «Bel gli è, bel gli è, bel gli<br />

è vita eterna! Non mi si afà, Segnore, sì gran pagamento»;<br />

«Tucta vita eterna me s’apparecchia, che<br />

me se revôle»; «Tucti noi ci allegriamo e cantiamo<br />

Te Deum laudamus, che Jesu meo me se revôle».<br />

Tutto della vita di Chiara esprime una sequela di<br />

Cristo nella radicalità evangelica della morte a se<br />

stessa, che trova il suo compimento alla comunione<br />

d’amore con Dio: «O Segnore, qui sci salli e quali<br />

son le scale per le quali sci salli? Non lo po dire,<br />

Segnore, se non chi è enflammato d’amore». Per<br />

chi sale a Monfefalco ed entra nel monastero di s.<br />

Croce, oggi di s. Chiara, è possibile percepire il riverbero<br />

di questo amore che ha consumato una donna<br />

straordinaria e ce ne riconsegna la memoria, perché<br />

possiamo – alla luce del suo esempio – rivedere<br />

e rafforzare le nostre fragili scelte di amore per<br />

Dio e per i fratelli.<br />

Chiara di Montefalco è una delle sante più documentate.<br />

Le testimonianze del processo diocesano del 1309 (di<br />

cui esiste un frammento) sono riassunte nella Vita di<br />

Chiara di Montefalco scritta da Berengario, tradotta<br />

in italiano dalla Città Nuova, Roma 1991. È stato pubblicato<br />

anche il Processo di canonizzazione di Chiara<br />

di Montefalco, a cura di E. Menestò (La nuova Italia<br />

editrice, Firenze1984) che contiene numerose delle<br />

486 testimonianze del processo papale. In preparazione<br />

è anche l’edizione critica della Relazione dei tre<br />

Cardinali, vale a dire la sintesi della vita che conferma,<br />

in buona sostanza, quanto detto da Berengario.


10<br />

don Cesare Chialastri*<br />

Per diverse settimane i mass media non hanno<br />

fatto altro che parlare di caccia ai rom,<br />

di blitz notturni della polizia nei luoghi dove<br />

vivono più o meno accampati gli extracomunitari,<br />

di gesti razzisti e violenti in alcune<br />

città del Sud e del Nord. Nel riportare queste notizie<br />

non sono mancati i sondaggi tutti concordi nell’attribuire<br />

ai clandestini la colpa principale dell’insicurezza<br />

che oggi colpisce il nostro Paese. I dati dei<br />

sondaggi ci devono far riflettere perché appaiono condizionati<br />

dal pregiudizio che equivale<br />

a e è sinonimo di .<br />

Poi è arrivato il del governo<br />

a cercare di dare risposte senza aver bene fissato<br />

le possibili soluzioni. Il rischio che si intravede in questo<br />

provvedimento è quello di mischiare problematiche<br />

che richiedono ulteriori precisazioni e soprattutto<br />

quello di lasciarsi prendere dalla fretta per dimostrare<br />

l’efficacia della maggioranza: in questo modo<br />

gli animi, già provati da fatti allarmanti che si sono<br />

verificati negli ultimi anni: stupri, violenze, rapine, ecc<br />

spesso compiuti da persone arrivate clandestinamente<br />

sul territorio italiano, si esasperano ancora di più.<br />

E nel mirino sono finite, oltre le etnie oggi più colpite<br />

e cioè romeni e rom, anche le scelte, considerate<br />

insufficienti e garantiste del precedente governo.<br />

Certo, l’immigrazione porta con sé problemi, anche<br />

complessi e gravi; ma è ancora più grave lasciarsi<br />

guidare dalla paura e dall’emotività, che sono sempre<br />

cattive consigliere (soprattutto per chi ha il dovere<br />

di decidere per il bene comune). In questo clima<br />

mi sembra utile non soffermarsi soltanto ad esaminare<br />

il approvato dal governo,<br />

ma provare<br />

a guardare gli<br />

immigrati dentro<br />

un contesto più<br />

ampio e cogliere<br />

come questo<br />

fenomeno ha<br />

bisogno di risposte<br />

si di tipo<br />

egolamentativi<br />

ma non meno<br />

importanti di tipo<br />

culturale. Un primo<br />

passo è da<br />

fare è quello di<br />

aiutare la gente<br />

a prendere<br />

coscienza che<br />

siamo di fronte<br />

ad un ,<br />

come ha<br />

scritto Benedetto<br />

XVI nel<br />

Messaggio per la<br />

Giornata mondiale<br />

del migrante<br />

e del rifugiato<br />

2007: non si<br />

può continuare ad affrontare il fenomeno con logiche<br />

emergenziali e a litigare, riempiendo tante trasmissioni,<br />

solo per dimostrare chi ha la strategia più<br />

efficace per controllarlo e snocciolare qualche risultato<br />

che qualcun altro proverà velocemente a sconfessare.<br />

Per tentare di risolverlo occorre risalire alle<br />

cause: la via insostituibile è la cooperazione internazionale.<br />

In questi anni i governi, di destra e di sinistra,<br />

hanno fatto tagli alla cooperazione internazionale<br />

ed aumentato la mitica voce .<br />

Da stime prudenziali effettuate dai tecnici del<br />

Ministero degli Interni si prevede che per attuare il<br />

nuovo pacchetto sicurezza occorrono, da qui al 2010<br />

circa, 390 milioni di euro. Oggi si calcola che i migranti<br />

siano nel mondo circa 195 milioni: una persona su<br />

35, più del 3% dell’umanità. Molti sono rifugiati e profughi<br />

che lasciano la patria controvoglia, spinti dalla<br />

miseria e dalla fame, dalla violenza, dalle guerre,<br />

dai conflitti etnici. Il fenomeno è inarrestabile e il suo<br />

prezzo è altissimo: dal 1988 ad oggi sono più di 12mila<br />

gli immigrati che hanno perso la vita nel tentativo di<br />

raggiungere l’Europa. L’ Italia (insieme alla Spagna)<br />

è il Paese più esposto per la sua posizione geografica:<br />

da noi, gli stranieri irregolari –individuati dalle forze<br />

dell’ordine- superano le 120mila unità l’anno, mentre<br />

gli stranieri residenti regolari (comunitari e non<br />

comunitari) sono circa 3.690.000, il 6,2% della popolazione<br />

totale (al 2006). Dunque non abbiamo a che<br />

fare con flusso transitorio che prima o poi finirà, ma<br />

con un fenomeno che sta dentro cambiamenti globali<br />

e il futuro dell’Italia sarà legato strutturalmente<br />

all’apporto degli immigrati. La cosa importante da fare<br />

(è questo il secondo passaggio dell’articolo) è cogliere<br />

le valenze positive del fenomeno. La prima positività<br />

riguarda il lavoro. I lavoratori immigrati aumentano:<br />

nel nostro paese sono 1 su 10 occupati. Nel<br />

Settembre<br />

2008<br />

2006 la forza lavoro straniera arrivava a 1.475.000<br />

persone, con un’incidenza del 6,1% sul PIL. Il 40%<br />

degli stranieri risultava impiegato nell’industria, il 55%<br />

sul terziario; più ridotta è la percentuale che si dedica<br />

all’agricoltura. Senza parlare del grande numero<br />

delle badanti e delle colf, che svolgono il loro servizio<br />

nelle famiglie a reddito modesto. Gli immigrati<br />

ultrasettantenni sono meno di 100mila è questa è<br />

un’altra risorsa da un punto di vista pensionistico e<br />

della previdenza. Una seconda positività che l’immigrazione<br />

porta con sé è l’equilibrio demografico.<br />

Qualche anno fa un documento dell’ONU affermava<br />

perché la generazione che nasce sia in grado di<br />

rimpiazzare quella che muore, ogni famiglia dovrebbe<br />

avere in media 2 figli. Oggi in Italia l’equilibrio demografico<br />

è garantito dalle donne immigrate. Questo sarà<br />

ancora più vero per il futuro. È certo che la struttura<br />

della popolazione italiana, da qui fino al 2020, subirà<br />

profondi mutamenti: i giovani lavoratori fino a 44<br />

anni diminuiranno di 4,5 milioni di unità (già ora né<br />

vengono meno 300mila l’anno); gli ultrasessantacinquenni<br />

passeranno dal 19% di oggi al 35%, cioè 1 su 3 supererà<br />

i 65 anni. Tutto questo per dire che risulta necessario<br />

l’apporto degli immigrati per la<br />

popolazione.<br />

Oltre a questo l’immigrazione offre una terza positività,<br />

non meno importante, di natura culturale, morale<br />

e religiosa. Essa contribuisce a rafforzare la dimensione<br />

di che è il tratto fondamentale<br />

della nuova società interreligiosa e interculturale<br />

di questo millennio. Innanzitutto :<br />

gli stranieri con almeno 5 anni di soggiorno che<br />

a fine 2006 erano 1.311.000 saranno 2.151.000 a<br />

fine 2008. sono una compenente stabile della nostra<br />

società. Nella : oggi su 10 immigrati 5<br />

sono europei (in particolare dall’Est Europa), 2 africani,<br />

2 asiatici<br />

e 1 americano.<br />

Nella scuola<br />

italiana, gli alunni<br />

figli di immigrati<br />

oggi sono<br />

più di mezzo<br />

milione, il 5,6%<br />

della popolazionescolastica:<br />

circa 1 su 16<br />

alunni. Il futuro<br />

del nostro<br />

Paese, quindi,<br />

è legato all’immigrazione:<br />

tra<br />

10 anni avremo<br />

più di mezzo<br />

milione nati da<br />

genitori stranieri<br />

residenti;<br />

tra 20 o 30<br />

anni gli immigrati<br />

supereranno la<br />

soglia dei 10<br />

milioni. Che<br />

senso ha continuare<br />

a criminalizzarli?<br />

Purtroppo va<br />

in questa linea


un provvedimento contenuto nel nuovo pacchetto<br />

di sicurezza: introduzione del reato<br />

di immigrazione clandestina. Esso tende ad<br />

abbassare in modo eccessivo la soglia di<br />

intervento penale fino a pensare che diventa<br />

un delitto una forma di irregolarità di tipo<br />

amministrativo ingolfando ulteriormente il funzionamento<br />

della giustizia (i famosi tempi<br />

rapidi dei processi!!). inoltre non diventa funzionale<br />

per l’effettivo allontanamento del cittadino<br />

irregolare dal territorio nazionale. Ma<br />

una previsione di questo tipo ha come presupposto<br />

che ogni clandestino corrisponda<br />

un criminale (si va nella linea dei famosi sondaggi!!),<br />

circostanza non confermata dalla<br />

realtà dei fatti né dai dati disponibili.<br />

Occorre pensare una efficace politica migratoria,<br />

che non solo formuli norme giuridiche<br />

adeguate a regolare i flussi, ma che si<br />

prenda a cuore l’inclusione degli immigrati.<br />

A questo riguardo, è un po’ desolante apprendere<br />

che l’attuale Governo, per garantire la<br />

copertura finanziaria alla detassazione<br />

dell’ICI sulla prima casa, ha tagliato (tra gli<br />

altri) più di 44 milioni di euro al Fondo per<br />

l’inclusione sociale degli immigrati (cfr Il Sole<br />

24 Ore, 28 maggio 2008). Ci illudiamo se<br />

continuiamo ad inseguire le soluzioni di emergenza<br />

(mi sembra che hanno il sapore degli<br />

spot o peggio ancora di chi mostra i muscoli),<br />

è necessario dare attenzione alla<br />

dimensione umana dell’accoglienza. Il miglior<br />

antidoto all’immigrazione illegale non è il carcere,<br />

ma una politica migratoria seria. La<br />

convivenza va costruita, non è solo un dato<br />

di fatto, non basta essere consapevoli della<br />

necessità della presenza degli immigrati.<br />

È lo Stato che deve stabilire i flussi di nuovi<br />

immigrati che è in grado di accogliere e<br />

di sostenere; preparare spazi di accoglienza<br />

degni di questo nome (basta con i blitz mattutini<br />

delle ruspe con a capo il sindaco di<br />

turno); perseguire giustamente i comportamenti<br />

illegali degli immigrati, ma, nello stesso tempo<br />

non faccia gesti che inducano alla xenofobia;<br />

abbia il coraggio di intervenire con decisione<br />

nel bloccare ogni forma di giustizia <br />

e dei blitz razzisti contro i rom e altri<br />

gruppi che non hanno nulla a che vedere<br />

con l’immigrazione clandestina, ma sono solo<br />

di essere quello che sono e di<br />

esistere. A conclusione di questa riflessione<br />

ci sembra di dire che di fronte ad un fenomeno<br />

così complesso non si devono chiudere<br />

gli occhi di fronte agli ostacoli da superare,<br />

inquietudini da vincere; l’incontro tra<br />

persone diverse ha creato e crea sempre<br />

delicati problemi in conoscenza e di accettazione<br />

culturale, sociale, politica e religiosa.<br />

Non ci dimentichiamo che ogni immigrato<br />

è persona, non solo forza lavora da utilizzare.<br />

In una visione cristiana, sono figli di<br />

Dio e nostri fratelli. Una politica che criminalizzi<br />

gli immigrati non è conciliabile con<br />

il Vangelo.<br />

* Direttore Caritas Diocesana<br />

Settembre<br />

2008<br />

I<br />

l 23 <strong>settembre</strong><br />

ricorrerà<br />

il terzo<br />

anniversario<br />

dall’inaugurazione<br />

del<br />

Progetto San<br />

Lorenzo della<br />

Caritas<br />

Diocesana di<br />

<strong>Velletri</strong>-<strong>Segni</strong>.<br />

L’anno appena<br />

trascorso ha<br />

visto volontari,<br />

operatori e<br />

detenuti della<br />

Casa<br />

Circondariale<br />

di <strong>Velletri</strong>,<br />

impegnati a<br />

collaborare<br />

per aprirsi<br />

all’esterno delle<br />

mura del<br />

carcere, in una<br />

parola, alla<br />

società. Oltre alle attività di sostegno morale e<br />

materiale ai detenuti e alle loro famiglie, all’interno<br />

e all’esterno del carcere, vari incontri nelle<br />

scuole, rappresentazioni teatrali e cineforum<br />

sono stati occasioni per raccontare e riflettere<br />

insieme su cosa siano concretamente la giustizia<br />

e il carcere in Italia, in questo momento in<br />

cui – con l’approvazione del cosiddetto “pacchetto<br />

sicurezza” – sono state approvate anche<br />

delle modifiche, che negativamente restringono<br />

le possibilità trattamentale all’interno degli<br />

istituti penitenziari.<br />

Ci è sembrato perciò significativo e necessario<br />

festeggiare questo terzo anniversario con un dibattito<br />

sul tema della giustizia. Durante il primo<br />

incontro di formazione, a novembre, don<br />

Sandro Spriano fondatore del VIC e cappellano<br />

di Rebibbia ci ha ricordato che noi siamo volontari<br />

non per il carcere ma per la giustizia e che<br />

la giustizia è una dimensione che nasce innanzitutto<br />

nel tipo di relazioni che ognuno di noi<br />

istaura con gli altri ad iniziare dalla propria famiglia<br />

e dall’ambiente circostante.<br />

La festa si svolgerà così venerdì 19 <strong>settembre</strong><br />

alle ore 20, a <strong>Velletri</strong>, in piazza San Clemente<br />

e sarà animata dall’esperienza di Don Luigi Ciotti,<br />

fondatore del Gruppo Abele e presidente di Libera.<br />

Il suo impegno per gli ultimi e per la costruzione<br />

di una società dove solidarietà e legalità viaggino<br />

insieme, è ben noto e possiamo confida-<br />

11<br />

re che sarà un’occasione importante anche per<br />

noi per accelerare su questa strada di giustizia.<br />

«Non abbiamo bisogno di città sicure ma di città<br />

vivibili. E il grado di vivibilità di una città<br />

lo si misura dal grado e dalla qualità delle relazioni<br />

sociali, dal grado e dalla qualità della partecipazione.<br />

Dall’attitudine dei suoi cittadini di<br />

guardarsi attorno, con un raggio di interesse e<br />

di conoscenza che non si limita a quello che li<br />

tocca in prima persona o a quello che accade<br />

nelle loro case. La sicurezza la si costruisce tutti<br />

insieme – cittadini, politici, amministratori –<br />

uscendo da ghetti mentali e culturali, maturando<br />

quella corresponsabilità che ci accomuna in<br />

quanto individui aperti alle relazioni, definiti nella<br />

nostra identità dal rapporto con gli altri».<br />

Don Luigi Ciotti<br />

“San Lorenzo” esiste:<br />

per aiutare la promozione e la formazione del volontariato<br />

penitenziario;<br />

per promuovere attività di sensibilizzazione sociale;<br />

per facilitare il godimento per i detenuti dei benefici<br />

di legge previsti.<br />

casa_sanlorenzo@yahoo.it<br />

tel/fax 069630845 (mattina)<br />

Piazza Ignazio Galli 7, 00049 <strong>Velletri</strong> (RM)


12<br />

Il 17 luglio 2008, nella vigilia della festa di<br />

S. Bruno, dopo una fase di progettazione,<br />

iniziata già da Don Franco Fagiolo, finalmente<br />

viene benedetta la Cappella Eucaristica rinnovata<br />

nei suoi arredi sacri.<br />

Per la Benedizione della cappella interviene il<br />

Vescovo S. Ecc. Mons. Vincenzo APICELLA, assistito<br />

dal diacono Vito<br />

CATALDI e coadiuvato<br />

dal Parroco Don Augusto<br />

FAGNANI e dal viceparroco<br />

Don Angelo<br />

PRIORESCHI.<br />

In osservanze delle<br />

norme liturgiche circa<br />

i luoghi propri della<br />

celebrazione e della<br />

custodia dell’eucaristia,<br />

nonché del decoro e giuste<br />

senso estetico la<br />

comunità di S. Bruno ha<br />

voluto fare del suo eglio<br />

per rendere questo spazio<br />

dell’edificio sacro confacente<br />

al suo significato<br />

ed alla sua finalità. E’<br />

nostra intima convinzione<br />

di aver un opera significativa,<br />

premessa di ulteriori impegni per l’arricchimento<br />

artistico della Chiesa.<br />

L’altare è STATO costruito in marmo per significare<br />

la presenza perenne di Cristo, donatore<br />

di forza per la chiesa.<br />

Il pannello frontale sempre in marmo bianco è<br />

impreziosito da una raffigurazione astratta del<br />

pane eucaristico per mettere in evidenza il luogo<br />

sul quale Cristo si dona alla chiesa e al mondo.<br />

Tale decorazione è decorata da accenni di<br />

foglia d’oro. L’ambone: essendo un luogo elevato<br />

(deriva infatti dal verbo greco anabàinein<br />

che significa salire), stabile, dal quale la Parola<br />

di Dio viene proclamata, è stato realizzato con<br />

lo stesso materiale e lavorazione dell’altare. Sul<br />

pannello frontale la lavorazione della pietra dà<br />

forma astratta ad una fiamma impreziosita anch’es-<br />

Settembre<br />

2008<br />

Colleferro, Parrocchia San Bruno:<br />

rinnovata la Cappella Eucaristica<br />

È prossimo il 28 Settembre, giorno in cui la<br />

città di <strong>Velletri</strong>, sarà invasa da migliaia di pellegrini<br />

che qui si incontreranno per pregare<br />

la Vergine Maria, insieme alla Comunità<br />

Cristiana della <strong>Diocesi</strong> <strong>Suburbicaria</strong> di<br />

<strong>Velletri</strong>-<strong>Segni</strong>.<br />

Questo incontro vuole essere una testimonianza<br />

che le confraternite laziali, vogliono<br />

fare con noi con l’aiuto di Maria Madre<br />

Nostra. La Testimonianza per un cristiano, è<br />

un fondamento della fede che non può essere<br />

omesso. È per questo motivo che tutte le<br />

comunità parrocchiali di questa diocesi, sono<br />

state invitate a partecipare a questo evento,<br />

proprio per testimoniare insieme, la Parola.<br />

Gesù portò la sua parola in ogni villaggio e<br />

territorio della Palestina, così i discepoli,<br />

dopo la sua morte e resurrezione, raccolti<br />

intorno alla Madre e sostenuti dallo Spirito<br />

Santo hanno annunciato il Vangelo a tutti fino<br />

agli estremi del mondo.<br />

sa con foglia d’oro ad evocare la presenza di<br />

Dio. Nella vetrata laterale sono rappresentati lateralmente<br />

il chicco di grano che sta germogliando<br />

sotto la terra bruna e la spiga di un giallo intenso;<br />

mentre nella parte centrale tre fasce luminose<br />

(simbolo della presenza di Dio) squarciano<br />

il pane eucaristico che è rappresentato come<br />

un grande sole splendente<br />

di luce propria. La sede<br />

del celebrante con due sgabelli<br />

laterali sono state realizzate<br />

con lo stesso<br />

marmo del resto dell’arredo,<br />

in particolare la sede<br />

è stata arricchita, sulla sua<br />

parte anteriore inferiore,<br />

di una decorazione dorata.<br />

Il tabernacolo, di forma cilindrica<br />

è posto su una colonna<br />

dello stesso marmo del<br />

resto dell’arredo, è di forma<br />

cilindrica ed è stato<br />

realizzato in metallo dorato<br />

e decorato per mettere<br />

in evidenza la preziosità<br />

del pane eucaristico<br />

che vi è custodito. Sulla<br />

superficie frontale è raffigurata l’ancora e due pesci,<br />

simbolo di Cristo. Il completamento di questa cappella<br />

è stato reso possibile anche con il contributo<br />

dei fratelli Claudio e Veraldo Gessi in memoria<br />

dei loro genitori defunti.<br />

Oggi tocca a noi e in modo proprio ogni confraternita<br />

ha come finalità, sull’esempio dei<br />

discepoli, uscire fuori dai propri oratori e<br />

testimoniare agli altri Cristo insieme a Maria.


Settembre<br />

2008<br />

L<br />

a morte in croce del Signore, sembrerebbe il momento più triste<br />

e senza futuro di tutta la Bibbia ma è, in realtà, il momento che<br />

protende il cristiano verso il momento più gioioso e più allegro della<br />

stessa Bibbia: la Risurrezione del Signore. Attraverso la croce e la morte,<br />

l’uomo è portato a sperimentare l’allegria della Vita che risorge e che<br />

traina la storia. Ed è questa stessa Vita, questa stessa allegria, che resta<br />

presente nella storia grazie alla Chiesa costruita con pietre vive.<br />

Il che non significa che anche il cristiano non possa sperimentare il dolore<br />

o la morte che portano tristezza, ma questo sentimento ha la caratteristica<br />

di essere provvisorio perché è circondato e pervaso da un atteggiamento<br />

di fondo del cristiano che è di allegria, atteggiamento che si acquista con<br />

il Battesimo e che non termina mai ma, anzi, trova il compimento nella visione<br />

beatifica di Colui che ci dona quest’allegria.<br />

Questa lunga premessa vuole essere un’introduzione a una serie di articoli<br />

e di interventi che durante quest’anno ci accompagneranno e ci aiuteranno<br />

a riflettere sui tre “consigli evangelici” di povertà, castità e obbedienza<br />

che la Chiesa chiede ad ogni sacerdote di accogliere e fare propri.<br />

Questi tre “consigli” sembrano, a una prima occhiata, una privazione, un<br />

rifiuto di beni materiali, di affetti e di libertà che porterebbero tristezza e che<br />

male si accompagnerebbero con quell’allegria che ci dona la fede nel Risorto.<br />

In realtà povertà, castità e obbedienza non sono “un di meno”, ma “un di<br />

più” che il sacerdote, e chi si prepara a diventarlo, deve accogliere. Essi<br />

sono un dono che il Signore fa a coloro che chiama a partecipare in maniera<br />

speciale al Suo sacerdozio. Ed essendo un dono sono un qualcosa in<br />

più che viene aggiunto alla natura umana e, come ogni cosa che<br />

viene aggiunta e donata, portano allegria in chi li accoglie. Essi,<br />

perciò, non sono in contrasto con l’allegria della fede ma la<br />

aumentano e la elevano, cosicché coloro che sono chiamati<br />

al sacerdozio possono partecipare in maniera il più<br />

possibile piena al sacerdozio unico di Cristo.<br />

In definitiva, il fatto che i “consigli evangelici” sono<br />

un dono del Padre è uno dei motivi che ne<br />

richiedano l’accettazione, anche se non è<br />

l’unico. Infatti ci sono altri motivi che spingono<br />

il cristiano che si incammina<br />

al sacerdozio ad accogliere i doni<br />

di povertà, castità e obbedienza.<br />

Tra tutti, una spinta all’accoglienza<br />

dei “consigli evangelici”<br />

viene anche<br />

dal radicalismo evangelico,<br />

cioè dall’accoglienza<br />

piena e<br />

senza<br />

limi-<br />

13<br />

tazioni del Vangelo e di tutte le sue istanze: «per tutti i cristiani, nessuno<br />

escluso, il radicalismo evangelico è un’esigenza fondamentale e irrinunciabile,<br />

che scaturisce dall’appello di Cristo a seguirlo e ad imitarlo, in forza dell’intima<br />

comunione di vita con lui operata dallo Spirito. Questa stessa esigenza<br />

si ripropone per i sacerdoti, non solo perché sono “nella” Chiesa, ma<br />

anche perché sono “di fronte” alla Chiesa, in quanto sono configurati a Cristo<br />

Capo e Pastore, abilitati e impegnati al ministero ordinato, vivificati dalla<br />

carità pastorale. Ora, all’interno e come manifestazione del radicalismo evangelico<br />

si ritrova una ricca fioritura di molteplici virtù ed esigenze etiche che<br />

sono decisive per la vita pastorale e spirituale del sacerdote, come, ad esempio,<br />

la fede, l’umiltà di fronte al mistero di Dio, la misericordia, la prudenza.<br />

Espressione privilegiata del radicalismo sono i diversi “consigli evangelici”,<br />

che Gesù propone nel Discorso della Montagna e tra questi i consigli,<br />

intimamente coordinati tra loro, d’obbedienza, castità e povertà: il sacerdote<br />

è chiamato a viverli secondo quelle modalità, e più profondamente secondo<br />

quelle finalità e quel significato originale, che derivano dall’identità propria<br />

del presbitero e la esprimono» 1 .<br />

Tralasciando le molte implicazioni che suscita questa citazione di Giovanni<br />

Paolo II, mi vorrei soffermare sul rapporto tra radicalismo evangelico e l’interconnessione<br />

di povertà, castità e obbedienza. Il papa fa notare che i tre<br />

“consigli evangelici” sono «intimamente coordinati tra loro», il che fa conseguire<br />

che dall’accettazione o dal rifiuto di uno di essi deriva l’accettazione<br />

o il rifiuto degli altri due. Nel caso di un rifiuto, il sacerdote, o chi si sente<br />

chiamato a diventarlo, non può evidentemente vivere il radicalismo evangelico,<br />

sperimentando così una mancanza rispetto alla pienezza con<br />

cui Cristo ci chiede di vivere la nostra vita di battezzati. Nel caso<br />

di un’accettazione piena di questi “consigli” si fa, invece, un<br />

passo in avanti nel radicalismo evangelico, il che porta a<br />

sperimentare una maggiore pienezza di vita e, come<br />

ogni cosa buona in più, fa sperimentare maggiore<br />

allegria.<br />

1 GIOVANNI PAOLO II, Pastores dabo vobis,<br />

27.<br />

Allegoria dell’obbedienza,<br />

Giotto, 1330;<br />

Assisi,<br />

Basilica di San Francesco


14<br />

Per la nostra comunità, Luglio significa<br />

Campeggio, perché è da 30 anni(cominciò<br />

don Franco Risi nel 1978) che la<br />

nostra parrocchia organizza questa attività<br />

che vede ogni anno la partecipazione di circa<br />

150 ragazzi, divisi in due turni: il primo per i<br />

ragazzi dell’ACR dai 12 ai 14 anni e il secondo<br />

per i giovanissimi.<br />

Mettere su un campo come il nostro non è cosa<br />

facile: sono tante le persone che gratuitamente<br />

si danno e mettono a disposizione il loro tempo,<br />

e alcune anche le loro ferie, per dare la possibilità<br />

ai ragazzi di vivere insieme un’esperienza<br />

che risulta essere indimenticabile. Sono gli uomini<br />

della “struttura” che, una settimana prima dell’inizio<br />

dell’attività partono, armati di tanto entusiasmo<br />

e buona volontà, per “montare” il campo:<br />

piantare le tende, mettere su la cucina, le<br />

docce, i bagni e il mitico capannone che ci accompagna<br />

da moltissimi anni. Sono le cuoche che<br />

fanno con noi questa esperienza e che, con il<br />

forno sempre acceso e i pentoloni sempre pieni<br />

, ci coccolano come vere mamme, preparando<br />

ogni giorno piatti prelibati e sfiziosi. E poi ci sono<br />

tutti i ragazzi che decidono di partecipare al campeggio.<br />

Sono in media otto per tenda, guidati<br />

da un educatore, il capotenda, che dorme con<br />

loro e svolge insieme a loro tutte le attività.<br />

Come è una giornata al campo? Dopo la sveglia,<br />

al suono dell’immancabile fischietto del governatore(il<br />

responsabile del campo), c’è un<br />

momento di preghiera con il quale chiediamo al<br />

Signore di vegliare sulla nostra giornata e di guidare<br />

tutte le nostre attività. Dopo la colazione<br />

c’è il momento della “pulizia tenda” durante il quale,<br />

a ritmo di musica e a passo di samba, salsa<br />

e cha cha cha, i ragazzi sistemano sacchi a<br />

pelo, materassi, cuscini,… Poi c’è il momento<br />

dedicato all’argomento: i ragazzi si incontrano<br />

tutti insieme per ascoltare la presentazione del<br />

tema della giornata che, in genere viene fatta<br />

dagli educatori, dopodiché si dividono in gruppi,<br />

insieme ai loro capitenda, per riflettere , confrontarsi<br />

e svolgere delle attività che verranno<br />

poi presentate nel momento di preghiera della<br />

sera. Gli argomenti di entrambi i turni sono pensati<br />

e scritti dal nostro parroco Don Gigi, e dagli<br />

educatori della parrocchia che propongono gli<br />

obiettivi e preparano i gesti e le attività da svolgere.<br />

Quest’anno l’argomento del campo ACR<br />

aveva per titolo “…FORZA IN MARE” ed è stata<br />

una riflessione sulla loro vita, le loro paure,<br />

le scelte, le loro certezze, partendo dai ricordi<br />

di un vecchio pescatore che raccontava alcuni<br />

momenti della vita di Gesù con i suoi discepoli<br />

sulla barca, sul lago di Tiberiade.<br />

Attraverso la riflessione sui relativi brani evangelici,<br />

le attività e i momenti di preghiera, i ragazzi<br />

hanno scoperto che è bello gettare sempre<br />

le reti e mettere la nostra vita nelle mani di Dio,<br />

e anche che la vita riserva sorprese non sempre<br />

piacevoli, ma con noi sulla barca c’è Gesù,<br />

l’amico che ci tende continuamente<br />

la mano. Il campo dei giovanissimi aveva<br />

per tema “MA DAVVERO BASTA<br />

IL PROFUMO DELLE VIOLE?”, tratto<br />

dalla canzone “Cammina nel sole”<br />

di Gianluca Grignani ed era una riflessione<br />

sulle problematiche relative a<br />

questa fascia di età, partendo da sei<br />

canzoni: “Cammina nel sole”, “Il<br />

Maestro” di Renato Zero, “Dare to live”<br />

di Laura Pausini e Bocelli, “Così celeste”<br />

di Zucchero, “Strada facendo” di<br />

Baglioni e “Cambio stagione” di Ron<br />

e Carmen Consoli. Ad ogni canzone<br />

Settembre<br />

2008<br />

era legato un brano del Vangelo che ha aiutato<br />

a riflettere sul coraggio, sulla passione,<br />

sull’importanza di fare scelte, guidati da Gesù<br />

il “Maestro” che punta su ciascuno di noi.<br />

“Strada facendo”, a ritmo di musica , i ragazzi<br />

hanno capito che è bello camminare insieme<br />

e con passione migliorare ciò che ci circonda,<br />

colorando la nostra anima, rendendola<br />

“così celeste”. I ragazzi ,nelle loro riflessioni,<br />

hanno espresso il desidero e la volontà,<br />

di poter continuare il loro cammino “iniziato<br />

nel sole”.<br />

Dopo questo momento la mattinata al campo<br />

prosegue con i servizi: i campeggiatori<br />

sono, cioè, impegnati a svolgere delle attività<br />

che servono per vivere bene insieme i<br />

giorni al campo. Ecco allora i ragazzi, che,<br />

a turno ,si dedicano alla pulizia del campo,<br />

vanno in cerca della legna che servirà per<br />

il falò della sera, preparano le scenette da<br />

presentare agli altri ragazzi per passare insieme<br />

la serata, aiutano in cucina e curano i<br />

momenti di preghiera con il “servizio liturgia”.<br />

Dopo il pranzo e un po’ di riposo, ci si ritrova<br />

di nuovo tutti insieme per un’ escursione o<br />

per fare dei giochi.<br />

Dopo le docce(rigorosamente fredde), la Messa<br />

e la cena, c’è un momento molto particolare, chiamato<br />

“momento di interiorità”, durante il quale,<br />

per un po’, ogni tenda si ritrova con il proprio<br />

capotenda per parlare, ripensare alla giornata<br />

e risolvere eventuali problemi che possono nascere<br />

all’interno del gruppo.<br />

Poi c’è il momento del falò dove tutto il campo,<br />

riunito attorno al fuoco, canta, gioca, ride delle<br />

scenette preparate e ascolta le lettere dello struzzo:<br />

una scatola dove ognuno può imbucare una<br />

lettera con riflessioni, ringraziamenti, pensieri e…tutto<br />

ciò che vuole. Alla fine della serata c’è un canto<br />

che ormai ci accompagna da trent’anni e che<br />

tutti i valmontonesi, che in questi anni hanno partecipato<br />

al campeggio ricordano con piacere: “Al<br />

cadere della giornata”, una preghiera che i ragazzi<br />

amano cantare abbracciati l’un l’altro guardando<br />

le stelle, intorno al fuoco acceso.<br />

Due giornate, in ogni turno, sono dedicate alla<br />

“grande gita”: una scalata sui monti dell’Abruzzo,


Settembre<br />

2008<br />

il Gran Sasso, Serra Celano, il monte Sirente,<br />

un’ escursione della Valle dell’Orfento o una passeggiata<br />

molto suggestiva nel Canyon delle Gole<br />

di Celano. Molto sentita è anche la “giornata dei<br />

genitori”, la domenica in cui i genitori, parenti e<br />

amici vengono a farci visita , è il giorno in cui<br />

tutta la nostra comunità parrocchiale, e non solo,<br />

si sposta ad Ovindoli…<br />

Ecco, il nostro campeggio è tutto questo e molto<br />

di più perché, come ha scritto, in una lettera<br />

allo struzzo,un amico di Gavignano che quest’anno<br />

ha voluto fare questa esperienza con noi, “in alcune<br />

situazioni senti veramente la presenza del<br />

Signore accanto a te, e questa è una di quelle”<br />

. Al campeggio, nel corso di questi anni, abbiamo<br />

avuto la gioia di vivere insieme intensi momenti<br />

di comunità: abbiamo per esempio festeggiato<br />

Sara Gilotta<br />

“ Fra tutte le schiere di curve, egli si<br />

distingueva per il portamento eretto…<br />

i capelli, gli erano caduti tutti per quella<br />

bella vita. I suoi occhi non correvano<br />

qua e la per la mensa, ma fissavano<br />

qualcosa di invisibile… Mangiava<br />

calmo la sua brodaglia acquosa e<br />

non chinava la testa nella scodella,<br />

come tutti, ma la teneva alta, portandosi<br />

il cucchiaio alla bocca. Di denti<br />

non ne aveva più uno, né sopra, né<br />

sotto. Aveva una faccia estenuata,<br />

ma non tale da farlo sembrare un<br />

invalido ridotto ad un cencio, bensì da<br />

dar l’impressione di essere scolpita in<br />

pietra dura… E si vedeva anche che<br />

si ostinava a rimanere sempre quello<br />

di una volta…”<br />

In un caldo giorno d’agosto è morto in<br />

tarda età lo scrittore russo del XX secolo<br />

più famoso e più letto, colui che rivelo<br />

al mondo in pagine immortali, che gli<br />

valsero ne 1970 il premio nobel per la<br />

letteratura, il vero volto dell’URSS e soprattutto<br />

quello dei terribili anni in cui governò<br />

Stalin e le parole sopra riportate, tratte<br />

dal romanzo-diario “Una giornata di<br />

Ivan Dennisovic, rivelano subito che cosa<br />

lo scrittore pensasse dei gulag e della vita che in essi<br />

si svolgeva. Infatti, se il vecchio sopra descritto è<br />

simbolo della ribellione muta, che tuttavia non nuoce<br />

al regime, è Ivan che insieme a molte migliaia di<br />

sventurati compagni, rappresenta nel desiderio di sopravvivenza,<br />

che nemmeno il carcere più duro riesce ad<br />

uccidere, i milioni di Sovietici, che hanno dovuto piegarsi,<br />

senza spezzarsi, che hanno imparato ad arrangiarsi,<br />

cercando di sottrarsi alla violenza e ai soprusi,<br />

che inevitabilmente il gulag porta con sé. E non<br />

solo il gulag, perché è evidente che la denuncia di<br />

Solgenitsin tocca tutta la società sovietica del tempo<br />

di Stalin, nella quale non piegarsi, significò spesso<br />

non semplicemente ribellarsi eroicamente e mori-<br />

un XXV anniversario di matrimonio e quest’anno,<br />

una famiglia della nostra parrocchia, ha deciso<br />

di far battezzare la loro quarta figlia,<br />

Rachele, lì tra i boschi di Ovindoli e le nostre<br />

tende, perché hanno scritto: “il campeggio della<br />

nostra parrocchia è un esempio fantastico di<br />

comunità”. Qui si è se stessi, senza paure, non<br />

conta il vestito che porti, l’età, l’aspetto…quello<br />

che conta davvero è vivere senza “sprecare”<br />

nemmeno un minuto del tempo trascorso lì,<br />

aprirsi a nuove amicizie conoscere il cuore di<br />

chi vive con te questa esperienza e dare il meglio<br />

di te per stare bene e far star bene chi sta lì. Il<br />

campeggio riesce a insegnare tanto e lascia ricordi<br />

incancellabili come tante piccole perle da conservare<br />

nel sacchetto del proprio cuore.<br />

Vogliamo chiudere con uno stralcio di una let-<br />

re per le proprie idee, ma ancor più adattarsi, continuare<br />

a lavorare, cercando di mantenere viva la propria<br />

dignità,nella dolorosa consapevolezza che significa<br />

accettare con lucidità dolorosa anche il peggiore<br />

dei sistemi politici, per cercare di modificarlo dall’interno<br />

e forse contribuire ad abbatterlo. Insomma Ivan rappresenta<br />

tutto il popolo russo, che sempre ha subito<br />

la storia, senza tuttavia perdere se stesso e le sue<br />

virtù. Un popolo eroicamente silenzioso dunque, quello<br />

descritto da Solgenitsin, che per bocca dello scrittore<br />

ha posto al presente e al futuro domande fondamentali,<br />

domande però, che, nonostante tutto non<br />

hanno ancora trovato risposte concrete e definitive.<br />

Intanto perché, se pure il comunismo sovietico si sia<br />

15<br />

tera scritta da una famiglia di Palestrina che è<br />

venuta a farci visita: “lasciamo questo campeggio<br />

con un pizzico di malinconia, ma con tanta gioia<br />

nel cuore, perché in questi due giorni in vostra<br />

compagnia abbiamo respirato un clima di serenità<br />

e gioia vera date dall’amore di Dio che anima<br />

le vostre giornate, il vostro cammino.<br />

Anche se non conosciamo tutti i nomi, certamente<br />

i vostri volti e i vostri sorrisi rimarranno sempre<br />

impressi nel nostro cuore. Ringraziamo don Gigi<br />

per questa bella occasione”.<br />

Anche noi, a nome di tutta la nostra comunità<br />

parrocchiale e insieme ai tantissimi campeggiatori<br />

vogliamo ringraziare don Gigi che, nonostante<br />

la fatica che comporta organizzare questa<br />

attività, continua a farlo con l’umorismo, l’entusiasmo<br />

e la passione di sempre.<br />

esaurito, non è ancora tramontato davvero<br />

il genere della dittatura comunista, se è<br />

vero che i Cinesi, che costituiscono un quinto<br />

della razza umana ancora vive sotto un<br />

regime, che le cronache recenti hanno confermato<br />

essere sanguinario e repressivo,<br />

nonostante da parte di tutto il mondo, si<br />

chieda al governo cinese il rispetto dei diritti<br />

umani. E purtroppo i diritti umani non sono<br />

rispettati in troppe parti del mondo e comunque<br />

sempre essi vengono traditi, nel momento<br />

in cui anche una sola condanna a morte<br />

venga eseguita, quale che sia il governo<br />

che prenda tale decisione. Non solo,<br />

ma, purtroppo il principio della “cosiddetta<br />

politica di lavoro correzionale”, che è<br />

stato ben conosciuto dall’intera Europa nella<br />

prima metà del secolo ventesimo, con<br />

il nazismo e il comunismo, non sembra scomparso<br />

davvero se da più fonti giungono notizie<br />

che confermano il timore che nel mondo<br />

ad esso si continui a ricorrere per perseguitare<br />

i propri simili nel mondo più abbietto,<br />

così come la tortura, la violenza e il sopruso<br />

non appartengono al passato, ma fanno<br />

parte molte terribili realtà contemporanee,<br />

che fingiamo di non conoscere, come<br />

accade con i terribili s6termini, che hanno<br />

insanguinato il secolo ventesimo.<br />

Dunque le pagine dello scrittore russo, non<br />

solo non hanno perso nulla della loro importante attualità,<br />

ma continuano ad interrogarci , affinché l’uomo<br />

del nostro tempo voglia tentare di comprendere che<br />

la società contemporanea, come quella descritta in<br />

“Divisione cancro” brucia di colpevoli silenzi, di falsa<br />

giustizia, dove il cancro, come suggerisce<br />

Solgenitsin, diventa simbolo e misura del male che<br />

avvolge il mondo travolto da problemi gravissimi, da<br />

cui a mala pena comprende il senso e che cerca di<br />

risolvere o con atteggiamenti di fatalismo distruttivo<br />

o con la superficialità di chi crede ancora che si<br />

possa essere qualcuno cui affidarsi, per cambiare<br />

il mondo, senza impegno personale e senza sacrifici<br />

personali.


16<br />

ELEVAZIONI SPIRITUALI<br />

ALL’ORGANO “MORETTINI”<br />

Tra i tanti, preziosi gioielli d’arte<br />

che la Cattedrale di <strong>Segni</strong> racchiude,<br />

un posto di rilievo<br />

spetta allo storico organo<br />

“Morettini”.<br />

Costruito nel 1857, è situato nella cantoria<br />

principale della chiesa ed è un esempio<br />

classico di organaria italiana ottocentesca:<br />

dotato di una sola tastiera e di una pedaliera<br />

di ridotte dimensioni, è ricco, però,<br />

di registri “da concerto”. Caratteristica principale<br />

è la purezza e gravità della sonorità<br />

“da ripieno”, la varietà timbrica nei<br />

registri “ad ancia” e la sfavillante lucentezza<br />

dei registri di “flauto”, non ultimo<br />

il brillante effetto del registro dei “campanelli”.<br />

Strumento principe per dare solennità e<br />

decoro alle celebrazioni liturgiche, nello<br />

scorso mese di agosto l’organo è stato<br />

il protagonista di una singolare iniziativa<br />

ideata dal parroco, Mons. Franco<br />

Fagiolo, e molto apprezzata dai segnini<br />

e dai forestieri in vacanza nella nostra<br />

cittadina.<br />

Le note dell’organo si sono unite, in un<br />

percorso fluido e coinvolgente, ai versi<br />

di poeti contemporanei per dar vita, il 10<br />

ed il 15 agosto, alle Elevazioni Spirituali.<br />

Nel primo appuntamento i testi di Padre<br />

Turoldo, Marco Beck e Giuliano Ladolfi,<br />

hanno proposto il tema della fede, le difficoltà<br />

del credere, della coerenza, della<br />

testimonianza, per giungere ad un appro-<br />

do fiducioso, consapevole e rassicurante<br />

(Ora vedo, Ti riconosco./ Hai<br />

folgorato/ lo sguardo incerto, non la via,/<br />

quando tra le Tue Braccia/ mi sono addormentato).<br />

Nel giorno dell’Assunta, invece,<br />

sono state le parole di don Tonino<br />

Bello, tratte da Maria, donna dei nostri<br />

giorni, a guidare l’elevazione: la primizia<br />

dei risorti, la Regina del Cielo è donna<br />

dei nostri giorni, ha vissuto e capisce<br />

le nostre difficoltà, i nostri timori, le<br />

nostre incertezze e proprio per questo<br />

è per noi Madre, sorella, confidente, solerte<br />

compagna di strada. Il tessuto musicale<br />

con il quale i versi si sono intersecati<br />

ha proposto Autori quali Zipoli,<br />

Frescobaldi, Buxtehude, Corelli, particolarmente<br />

consoni alle caratteristiche<br />

dell’organo Morettini e capaci, in virtù<br />

del linguaggio universale della musica,<br />

di toccare l’intimo dei presenti, di<br />

accompagnare nella riflessione e nell’approfondimento<br />

dei temi presentati.<br />

All’organo, efficace esecutrice, Cristina<br />

Bonanni, mentre i lettori sono stati Flavia<br />

Barcellona ed Annalisa Ciccotti.<br />

Nella fretta e superficialità che spesso<br />

caratterizza le vacanze estive, le<br />

Elevazioni Spirituali hanno costituito un<br />

momento veramente significativo per approfondire<br />

la propria fede, per riflettere sulla<br />

propria vita, ed al tempo stesso sono<br />

state un vero godimento artistico e spirituale.<br />

Settembre<br />

2008


Settembre<br />

2008<br />

Fernanda Spigone<br />

A <strong>Segni</strong>, in via Rossi, timida, quasi<br />

vergognosa di esserci, c’è una<br />

bella costruzione dal fianco<br />

rotondeggiante e morbido, simile<br />

ad una materna figura che prelude<br />

ad accoglienza e generosità:<br />

è la ex chiesa di San Lorenzo.<br />

Anticamente, se vado ad attingere<br />

ai miei ricordi di bambina,<br />

la chiesa era sede di confraternite,<br />

in modo particolare ricordo<br />

quella della “ Buona Morte”:<br />

era proprio da lì, dalla chiesa di<br />

San Lorenzo che uscivano gli adepti<br />

di questa confraternita per accingersi<br />

a seguire la processione<br />

del Cristo Morto.<br />

Noi bambini atterrivamo nel<br />

vedere i neri uomini incappucciati<br />

che, furtivamente, uscivano<br />

dalla chiesa per raggiungere,<br />

poco più giù, la cattedrale e<br />

quindi schierarsi, in ordine, dietro<br />

il lungo corteo.<br />

Tutto questo ha sempre contribuito<br />

a circondare di fascino e<br />

mistero la chiesa quasi fagocitata<br />

dalle abitazioni modeste che<br />

la attorniano, in esilio dalle<br />

grandi piazze e sempre lontana<br />

dai solenni fasti religiosi, a darle<br />

aria solo lo squarcio stupendo<br />

sui monti Lepini che si fa strada<br />

fra un caseggiato e l’altro e<br />

va a corrispondere proprio con<br />

l’entrata principale della Chiesa.<br />

Oggi la ex chiesa di San<br />

Lorenzo, è la suggestiva sede<br />

dell’Associazione Artisti <strong>Segni</strong>ni<br />

egregiamente diretta dal presi-<br />

dente Massimo Cherubini artista di squisita sensibilità.<br />

L’Associazione è nata per portare<br />

avanti iniziative ed attività<br />

culturali di vario genere<br />

come la promozione e l’organizzazione<br />

di mostre d’arte,<br />

di pittura, di scultura, eventi<br />

musicali e letterari, tra le<br />

manifestazioni di particolare<br />

rilievo merita di essere<br />

ricordato il aperto ad artisti<br />

italiani e stranieri.<br />

Ed è proprio la seconda edizione<br />

del prestigioso premio<br />

che ha scritto una delle più<br />

belle pagine della ricca e nutrita<br />

“Estate segnina”: esso ha<br />

visto la partecipazione di molti<br />

autori, alcuni dei quali legati<br />

alla galleria “il Canovaccio<br />

, studio del Canova” di<br />

Roma che hanno presenta-<br />

17<br />

Premio Internazionale di Arti figurative e<br />

plastiche “Città di <strong>Segni</strong>”<br />

to opere pittoriche e scultoree di alta valenza<br />

artistica.<br />

L’attenta e qualificata giuria del Premio composta<br />

da Massimo Cherubini (Presidente), Mara<br />

Albonetti ( gallerista), Vittorio Esposito (critico<br />

d’arte), Mara Ferloni (giornalista), Luigi Tallarico<br />

(critico d’arte), Duccio Trombadori (Criticod’arte),<br />

ha assegnato il Primo Premio alla pittrice romana<br />

Emma Cosimini, il secondo premio alla pittrice<br />

russa Mila Eleznikova, targa dell’Associazione<br />

Artisti <strong>Segni</strong>ni è stata poi consegnata a numerosi<br />

artisti dei quali è stata apprezzata la chiarezza<br />

d’esecuzione e la qualità espressiva.<br />

L’evento del premio è stato inserito nel percorso<br />

culturale “ Ciclopicomania”, la bella manifestazione<br />

promossa dall’assessore alla cultura del<br />

Comune di <strong>Segni</strong>, dott.Piero Cascioli, che mira<br />

a diffondere conoscenza e rispetto per le antichissime<br />

mura che cingono la città di <strong>Segni</strong>, studiandone<br />

l’arte, la storia, la natura.


18<br />

di avv. Daniele Pietrosanti e dr. Costantino Coros<br />

Il prossimo 3 ottobre verrà inaugurato a <strong>Velletri</strong>,<br />

in via Privata Jori 17 alla presenza di S. E.<br />

Rev.ma Mons. Vincenzo Apicella una nuova<br />

sede del patronato Acli (Associazione<br />

cristiana lavoratori italiani). L’iniziativa, promossa<br />

dalla <strong>Diocesi</strong> di <strong>Velletri</strong>-<strong>Segni</strong> e sostenuta dal<br />

nostro vescovo, si propone di mettere a disposizione<br />

della comunità diocesana un servizio di<br />

informazione, assistenza e tutela del cittadino,<br />

teso al conseguimento delle prestazioni di qualsiasi<br />

genere in materia di sicurezza sociale. Il<br />

tutto nello spirito tipico dell’associazione ACLI<br />

che da sempre si assume “il compito della formazione<br />

religiosa, morale e sociale dei lavoratori<br />

cristiani, necessaria per la tutela della franca<br />

professione di fede da parte di<br />

tutti i lavoratori”.<br />

Proprio tale finalità morale costituisce<br />

l’elemento distintivo del patronato<br />

ACLI rispetto alle altre sigle sindacali<br />

caratterizzate da un’innegabile<br />

neutralità religiosa, rendendo di<br />

fatto quest’ultimo un unicum all’interno<br />

del panorama legislativo e sociale<br />

italiano, così come testimoniato<br />

dagli obiettivi e dalle finalità che il<br />

Patronato Acli si propone di raggiungere<br />

e che così possono essere riassunte:<br />

Educare il lavoratore perché dia il<br />

suo contributo al perfezionamento<br />

ed alla pratica applicazione delle leggi<br />

sociali, specie a quelle che concretano<br />

le previdenze del lavoro;<br />

Spiritualizzare l’assistenza, permeandola<br />

delle idealità cristiane onde<br />

tutti i rapporti siano ispirati dalla morale<br />

e dal bene comune contro ogni<br />

falso egoismo e deviazione di male<br />

intesi interessi;<br />

Rendere l’assistenza sociale espressione<br />

di amore vivo ed operante, fervido<br />

di iniziativa, sensibile ad ogni<br />

dolore, pronto al sacrificio, quale la<br />

fede lo inculca in chi si sente vicino ad una missione,<br />

cioè all’apostolato sociale;<br />

Agire in profondità non soltanto con la vastità<br />

delle opere, ma nel senso qualitativo perché il<br />

servizio, la consulenza, la<br />

tecnica di ogni atto rappresenti<br />

il più sollecito, affettuoso ed<br />

elevato intervento per la corretta<br />

applicazione delle<br />

leggi protettive del lavoro,<br />

per rendere il lavoratore soggetto<br />

del diritto nella pienezza<br />

della sua personalità, non<br />

secondo ad alcuno, avendo a disposizione mezzi<br />

efficientissimi di difesa sul piano giuridico;<br />

Intessere rapporti di cordiale e fattiva collaborazione<br />

con tutti gli organismi interessanti l’assistenza,<br />

e particolarmente con gli organi dello<br />

Stato e con gli Istituti gestori delle assicurazioni<br />

sociali, affinché dalle rispettive funzioni scaturiscano<br />

rette interpretazioni, che fissino diritti<br />

e doveri e soluzioni idonee a potenziare i fini<br />

della previdenza e dell’assistenza;<br />

Approfondire gli studi ed elaborare dottrine che<br />

offrano valido contributo alla sicurezza sociale,<br />

anche per delineare la migliore struttura della<br />

previdenza e di altri Istituti nell’interesse dei lavoratori<br />

tutti, quali fattori primi della produzione.<br />

Tali obiettivi rendono il patronato ACLI un vero<br />

alleato al fianco del cittadino contro le discriminazioni<br />

del mondo del lavoro e per il conseguimento di<br />

quei diritti che troppo spesso sono negati o peggio<br />

ancora non conosciuti dalla stessa cittadinanza.<br />

Per tali motivi il nuovo Patronato Acli di <strong>Velletri</strong><br />

oltre a porsi come punto di riferimento per tutti<br />

i lavoratori in ambito previdenziale e fiscale,<br />

si occuperà di agevolare il cittadino svolgendo<br />

compiti di assistenza sociale e ponendosi<br />

come interlocutore privilegiato e diretto tra gli assistiti<br />

e gli Istituti Previdenziali, mettendo a disposizione<br />

dell’intera <strong>Diocesi</strong> il proprio servizio<br />

di informazione, consulenza e tutela – anche in<br />

sede giudiziale – in merito alle più variegate esi-<br />

Settembre<br />

2008<br />

Patronato Acli. Con la <strong>Diocesi</strong> al servizio del cittadino.<br />

genze, tra cui:<br />

1. Questioni previdenziali (verifica dei con<br />

tributi versati, domande di pensione<br />

INPS, INPDAP);<br />

2. Malattie professionali e infortuni sul lavo<br />

ro;<br />

3. Invalidità civili e trattamenti di famiglia;<br />

4. Indennità di disoccupazione e assistenza<br />

socio-sanitaria;<br />

5. Previdenza complementare e rappor<br />

ti di lavoro;<br />

6. Procedimenti amministrativi di regola<br />

rizzazione di lavoratori e lavoratrici<br />

immigrati.<br />

Il patronato ACLI di <strong>Velletri</strong> si va ad aggiungere<br />

alle oltre 8mila strutture territoriali, composte<br />

da 4000 circoli, 105 sedi provinciali e 21 regionali.<br />

L’Associazione conta oggi in Italia<br />

oltre 980mila iscritti e gli utenti raggiunti<br />

dai diversi servizi sono ogni<br />

anno circa 3 milioni e mezzo. Le Acli,<br />

contribuiscono da più di 60 anni a<br />

promuovere il lavoro e i lavoratori,<br />

ad educare ed incoraggiare la cittadinanza<br />

attiva, a difendere aiutare<br />

e sostenere i cittadini con particolare<br />

riferimento a tutti coloro che<br />

si trovano in condizione di emarginazione<br />

o a rischio di esclusione sociale.<br />

Tra i numerosi settori di intervento<br />

ci sono la tutela e la promozione dei<br />

diritti sociali, l’educazione alla cittadinanza<br />

attiva, l’assistenza previdenziale<br />

(Patronato) e fiscale (Caf), la difesa<br />

dell’ambiente (Anni Verdi) e del<br />

consumatore (Lega consumatori<br />

Acli), il sostegno agli agricoltori (Acli<br />

Terra) e la formazione professionale<br />

(Enaip).<br />

Le attività di consulenza ed assistenza<br />

verranno messe a disposizione<br />

della cittadinanza a partire dal<br />

prossimo 16 Settembre presso la nuova<br />

sede del Patronato Acli situato in via Privata<br />

Jori 17 (adiacente Piazza Garibaldi) nei giorni<br />

di martedì dalle 15.00 alle 17.00 - Tel.<br />

06/96142532, con la speranza di aumentare presto<br />

i giorni e gli orari di ricevimento in base alla<br />

risposta ed alle esigenze della cittadinanza.<br />

Il Patronato Acli collaborerà con un’Agenzia privata<br />

specializzata nell’intermediazione del lavoro,<br />

nella ricerca e selezione del personale e nella<br />

formazione e ricollocamento professionale. Anche<br />

in questo caso, chiunque fosse in cerca di un’occupazione<br />

potrà trovare presso il Patronato tutte<br />

le informazioni relative al servizio d’intermediazione<br />

tra domanda e offerta di lavoro, con l’in-


Settembre<br />

2008<br />

dicazione della sede in cui verrà svolto detto servizio,<br />

i recapiti telefonici e l’indirizzo e-mail per<br />

mettersi in contatto con l’Agenzia.<br />

Riflessioni in libertà di un addetto ai lavori *<br />

Io, al posto tuo<br />

Capita spesso di trovarsi in situazioni di particolare<br />

disagio, di non sapere<br />

come fare, di essere disposti a pagare anche somme<br />

favolose, solamente immaginarie,<br />

pur di trovare qualcuno disposto a prendere, solo per<br />

quella del<br />

tutto speciale contingenza, il posto nostro.<br />

“Darei un milione”, oggi si arriva anche ad offrire “un<br />

miliardo” … ma<br />

ciononostante non si trova, e sarebbe oltretutto un<br />

vero guaio in quanto dal<br />

regno delle grandi cifre, dovrebbe vergognosamen-<br />

Copercom: un coordinamento che<br />

da più di dieci anni promuove<br />

la cultura delle comunicazioni<br />

sociali.<br />

Costantino Coros<br />

“I Cristiani devono sentirsi responsabili di fronte<br />

ai mondi della comunicazione e dell’educazione,<br />

per far sentire la presenza della Chiesa<br />

nella società e animare con intelligenza, nel rispetto<br />

della loro legittima autonomia, i diversi linguaggi<br />

dell’arena pubblica”. La citazione è stata<br />

estrapolata dal volume “Comunicazione e missione”<br />

a cura del Direttorio sulle comunicazioni<br />

sociali nella missione della Chiesa. E’ questo<br />

lo spirito che guida l’azione del Copercom,<br />

che sta per Coordinamento per la comunicazione.<br />

Al Coordinamento, nato a Roma nel 1996,<br />

aderiscono 24 associazione familiari, educati-<br />

Tonino Parmeggiani<br />

A 145 anni dalla sua istituzione, anche quest’anno presso la<br />

Parrocchia di S. Maria in Trivio in <strong>Velletri</strong>, si svolgerà la Festa<br />

della Madonna della Salute. Il titolo è molto antico, si origina<br />

circa quattro secoli orsono - secondo quanto si è ritrovato<br />

nei testi - come ringraziamento del popolo per la protezione<br />

celeste avuta nelle ricorrenti epidemie del tempo, come per quella<br />

di Venezia dell’anno 1630 in cui il Senato veneto al cessare<br />

della peste (che causò 80.000 decessi solo in città) fece costruire<br />

la grandiosa Basilica di Santa Maria della Salute (per le cui<br />

fondamenta occorse infilare oltre un milione di pali nel terreno);<br />

a Roma il culto si originò presso la Chiesa di S. Maria<br />

Maddalena, tenuta dall’Ordine dei Ministri degli Infermi, dal<br />

secondo decennio del sec. XVII. A <strong>Velletri</strong> non sappiamo quando<br />

questa devozione iniziò a diffondersi: negli ultimi anni del<br />

te ripiegare a pochi spiccioli,<br />

chi si mette al nostro posto.<br />

Però a pensarci bene, noi Addetti Sociali del<br />

Patronato Acli, siamo proprio<br />

quelli a cui andrebbero i tanti milioni della fantasia,<br />

perché ogni qualvolta<br />

doniamo la nostra prestazione assistenziale, ci mettiamo<br />

al posto di quello<br />

che non sa come fare, di quello che avverte tutto il<br />

disagio di essere solo<br />

contro tanti, piccolo, di fronte a colossi.<br />

E i milioni … arrivano, non visti, ma arrivano, perché<br />

sfuggono alla arida<br />

elencazione di un libro cassa. Lo si avverte quasi sempre,<br />

quando alla fine<br />

della giornata, raccolti in noi stessi, pensiamo che<br />

dove c’era bisogno grande,<br />

noi abbiamo fatto in modo che potesse arrivare la<br />

risorsa che la società<br />

ve, di educatori e specialistiche nel settore della<br />

comunicazione sociale in rappresentanza di<br />

due milioni di utenti. La forza e l’originalità della<br />

proposta Copercom, consta nell’obiettivo di<br />

creare un lavoro di rete, promuovere lo scambio<br />

associativo e stimolare il ruolo politico delle<br />

associazioni nel leggere i problemi, le esigenze<br />

del territorio e degli ambienti e individuare<br />

delle risposte. Il Coordinamento delle associazioni<br />

per la comunicazione si propone di contribuire,<br />

con un’azione unitaria fondata sulla comune<br />

ispirazione cristiana e sui principi della Carta<br />

costituzionale: all’affermazione della dignità e<br />

dei diritti della persona e della famiglia nel campo<br />

della comunicazione sociale; alla sensibilizzazione<br />

e allo sviluppo della capacità e della coscienza<br />

critica dei cittadini; alla promozione della loro<br />

tutela e autotutela: in particolare di quella dei<br />

minori e delle fasce deboli; alla formazione di<br />

19<br />

aveva previsto e predisposto.<br />

E’ un conto tanto lungo, ma il saldo è altamente consolante:<br />

abbiamo fatto<br />

del bene!<br />

E a tutto ciò si aggiunge una duplice certezza: quella<br />

di essere incamminati<br />

su una strada già percorsa da Colui che “è venuto<br />

per servire e non per<br />

essere servito”; e che ha detto “quanto voi avete fatto<br />

ad uno tra questi minimi<br />

miei fratelli, l’avete fatto a me”.<br />

Di tanto, non c’è Addetto Sociale che non sia convinto,<br />

perché il rammarico<br />

che non tutti quelli che hanno necessità del nostro<br />

aiuto non ancora e non<br />

sempre ce lo chiedono, è motivo di intima ansia legato<br />

al desiderio di dare<br />

sempre e sempre di più.<br />

* Tratto da “Informazioni Sociali” - annata 1962<br />

animatori competenti, in grado di diventare moltiplicatori<br />

e diffusori della cultura della comunicazione<br />

e al sostegno della responsabilità professionale<br />

dei comunicatori e alla valorizzazione<br />

degli aspetti. Nuovo impulso è derivato al Copercom<br />

proprio dalla pubblicazione del Direttorio C.E.I.<br />

“Comunicazione e Missione”. Il lavoro che il<br />

Coordinamento si propone è, su questa linea,<br />

quello di focalizzare sempre meglio e formare<br />

all’interno delle varie associazioni la figura dell’animatore<br />

della comunicazione e della cultura.<br />

Per questo è stata avviata la sfida del Laboratorio<br />

Cultura e Comunicazione. Tra le numerose iniziative<br />

proposte dal Laboratorio assume un carattere<br />

di novità l’offerta d’incontri sulla comunicazione,<br />

fruibili on line, in videoconferenza all’indirizzo<br />

www.copercom.it. Alla voce “archivio” si<br />

possono riascoltare gli incontri avvenuti nei primi<br />

sei mesi del 2008.<br />

Festa della Madonna della Salute<br />

‘700 venne decisa la costruzione di un Ospedale per le Donne,<br />

approfittando di un lascito e della successiva destinazione a ciò<br />

dei beni della Cappella di S. Antonio di Padova esistente nella<br />

Chiesa di S. Maria in Trivio, in un atto notarile del 1835 si<br />

legge “…Ven. Ospedale di S. Maria della Salute detto delle povere<br />

Donne inferme…”. Non è quindi da meravigliarsi se nella<br />

stessa chiesa, pochi anni dopo, l’allora parroco D. Giuseppe<br />

Morza, istituì la Pia Unione della Madonna della Salute a cui<br />

S.S. Pio IX nel 1864 concesse le stesse indulgenze e grazie<br />

spirituali della Pia Unione nella chiesa della Maddalena in Roma.<br />

Per la storia successiva ci siamo già occupati, vedi Ecclesia<br />

del <strong>settembre</strong> 2005. La festa avrà luogo il 21 <strong>settembre</strong> p.v.<br />

con la presenza del nostro Vescovo Mons. Apicella; il triduo<br />

verrà officiato da P. Vincenzo Molinaro omd, parroco di S. Maria<br />

Intemerata a Lariano.


20<br />

Prosegue dal numero precedente<br />

’editto è testimoniato da Svetonio 20 e da<br />

Orosio 21<br />

L il quale riferisce la notizia della pubblicazione<br />

dell’editto, avvenuta nel nono anno<br />

di Claudio, cioè nel 49-50, attingendola da<br />

Giuseppe Flavio, ma affermando di dare maggior credito<br />

alla testimonianza di Svetonio, che non assegna<br />

data alcuna per l’editto di Claudio.<br />

Per altro, Giuseppe Flavio non parlando affatto di quell’editto,<br />

si deve pensare o che il passo, al quale Orosio<br />

fa riferimento, sia andato perduto o che Orosio abbia<br />

confuso Flavio con altro storico. Riteniamo perciò di<br />

non poter basare sicuramente la nostra cronologia<br />

su una testimonianza che rimane controversa.<br />

Il riferimento al proconsole Gallione ci offre invece<br />

migliori possibilità.<br />

Una descrizione trovata nelle rovine di Delfo e pub-<br />

blicata nel 1905 da Bourguet 22<br />

ci permette di stabilire<br />

che Gallione fu proconsole dell’Acaia nel 52. La<br />

carica di proconsole era annua. I proconsoli dovendo<br />

lasciare Roma per la sede non dopo il 15 aprile<br />

23<br />

, entravano in carica nell’aprile stesso o nel maggio.<br />

Si può dunque ritenere che Gallione era a Corinto<br />

dal maggio 52 al maggio 53 e che, durante quel tempo,<br />

S. Paolo si incontrò con lui.<br />

La dimora di S. Paolo a Corinto fu lunga. In Atti XVIII,<br />

4 si legge : parlava in sinagoga ogni sabato; in XVIII,<br />

11 : Paolo si trattenne un anno e mezzo ad insegnare<br />

tra loro (i Corinzi) la parola di Dio; in XVIII, 18 : Paolo<br />

si trattenne ancora (cioè dopo il processo al tribunale<br />

di Gallione) molti giorni. Alcuni<br />

pensano che l’indicazione di Atti XVIII,<br />

11 includa quella dei versetti 4 e 18.<br />

Basandoci sulle abitudini letterarie<br />

di S. Luca 24<br />

pensiamo diversamente.<br />

Lo svolgimento dei fatti, riguardanti<br />

la biografia di S. Paolo in quegli anni,<br />

in base alle<br />

convergenze<br />

degli indici<br />

di probabilità,<br />

può<br />

essere ricostruita<br />

così :<br />

Nel <strong>settembre</strong><br />

– ottobre<br />

del 50 Paolo<br />

si incontra<br />

a Corinto con Aquila e Priscilla (decreto di Claudio<br />

nel 50) – Paolo si ferma a Corinto prima 18 mesi (alcuni<br />

mesi del 50, tutto il 51, inizio del 52) – poi, dopo<br />

il viaggio in Illiria ( E’ attestato dalla lettera ai Romani<br />

XV, 19 - scritta sulla fine del terzo viaggio apostolico.<br />

Come si ricava da 2 Cor. - XII, 14: Sono pronto<br />

a venire da voi per la terza volta – inviata durante il<br />

terzo viaggio apostolico, il viaggio in Illiria è da collocarsi<br />

tra Atti XVIII, 11 e XVIII, 18a , riferentisi a due<br />

soggiorni di Paolo a Corinto durante il secondo viaggio<br />

apostolico ) ancora circa un anno (coincidenza<br />

a un dipresso con l’anno del proconsolato di<br />

Gallione, fissato dal maggio 52 al maggio 53).<br />

Dall’incontro con Gallione alla prigionia di Paolo, non<br />

passano meno di cinque anni : ritorno e breve permanenza<br />

in Antiochia (XVIII, 18b-23a ); visita alle chiese<br />

della Galazia e della Frigia ( XVIII, 23b ); soggiorno<br />

ad Efeso di tre anni [Atti XIX, 8: per tre mesi + XIX,<br />

10: per due anni. In cifra tonda (aggiunto pure qualche<br />

tempo trascorso sia prima che poi: cfr. Atti XIX,<br />

22: si trattenne un po’ di tempo nell’Asia proconsolare):<br />

tre anni: Atti XX, 23]; da Efeso (1 Cor. XVI, 8:<br />

« Ad Efeso resterò fino a Pentecoste », cioè ancora<br />

due mesi, essendo l’epistola scritta nel tempo pasquale,<br />

cfr. 1 Cor. V, 8 : ma la partenza fu anticipata<br />

a causa del tumulto di Demetrio) a Gerusalemme,<br />

un anno ( Atti XX, 16).<br />

Poiché l’incontro con Gallione era avvenuto nel 52-<br />

53, arriviamo al 57-58 per la prigionia di S. Paolo,<br />

al 59-60 per il richiamo di Felice. Fissando per l’anno<br />

1961 la celebrazione del diciannovesimo centenario<br />

del primo viaggio di S. Paolo a Roma, si sono<br />

tenute presenti le considerazioni fatte fin qui.<br />

Settembre<br />

2008<br />

3. – Paolo sul XLIII miglio dell’Appia, alla<br />

volta di Roma<br />

a) Il racconto di quella parte degli Atti che incomincia<br />

con il capitolo XIII e finisce con il XXVIII,<br />

può definirsi una grande Odissea di cui Paolo<br />

è l’Ulisse: ma i due ultimi capitoli, che narrano<br />

il viaggio dell’Apostolo da Cesarea a Roma,<br />

sono senza dubbio la pagina più avvincente<br />

della straordinaria avventura. Non intendiamo interessarci<br />

della meravigliosa narrazione, ma è sufficiente,<br />

per il nostro scopo, rilevare che le precise indicazioni<br />

riferite dal bollettino di viaggio, scritto da S.<br />

Luca compagno di Paolo durante la fortunosa traversata,<br />

concordanti con le norme del calendario della<br />

navigazione, che seguivano i romani e che conosciamo<br />

dalla Epitome di Vegezio, ci permettono di<br />

affermare che il viaggio romano dell’Apostolo si iniziò<br />

a Cesarea verso l’autunno del 60 e si compì nella<br />

primavera del 61. In quello scorcio di tempo, Paolo<br />

metteva il piede nella terra del Lazio e, tra i luoghi<br />

che egli attraversò, due inclusi oggi nel territorio del-<br />

la nostra diocesi 25<br />

:<br />

Foro Appio e Tre Taberne, hanno l’onore di essere nominati<br />

nel testo ispirato degli Atti, dove, al versetto 15°<br />

del capitolo XXVIII è scritto che Paolo, vedendo i cristiani<br />

venuti da Roma per incontrarlo e salutarlo, a Foro<br />

Appio e Tre Taberne, ringraziò Dio e riprese coraggio.<br />

Da Tre Taberne, l’Appia saliva verso Velitrae, l’odierna<br />

<strong>Velletri</strong>, per costeggiare i Monti Albani e quindi discendeva<br />

verso Roma. Seguendo la traccia indicata dalle<br />

dure lastre di basalto, affioranti qua e là, della via romana,<br />

è possibile indovinare il percorso della Via Appia<br />

Antica attraverso le campagne di <strong>Velletri</strong>. L’uomo che<br />

portava il seme dell’idea cristiana, il germe dell’alleanza<br />

che doveva fondere insieme Oriente, Atene e Roma,<br />

passando vicino alla nostra città – considerata per la<br />

sua posizione come atrio della capitale, cui la Gens<br />

Octavia, oriunda di <strong>Velletri</strong>, aveva dato il primo Imperatore<br />

Cesare Ottavio Augusto – rifletteva ai destini dell’Impero<br />

di Roma e ricordava le parole che Gesù gli aveva rivolto<br />

nella cittadella del Tempio : Coraggio! Come hai reso<br />

testimonianza per me a Gerusalemme, così devi rendermela<br />

in Roma 26<br />

.<br />

21 – Hist. adv. Paganos 7, 6, 15: Anno eiusdem (Claudii )<br />

nono expulsos per Claudium urbe iudaeos Josephus refert.<br />

Sed me magis Svetonius movet qui ait hoc modo: Claudius<br />

iudaeos impulsore chresto assidue tumultantes Roma<br />

PIU SEXTUS P. O. M.<br />

expulit.<br />

PONTINI AGRI A SE CONSTANTI OPERE AB INUNDANTIBUS<br />

22 – De rebus delphicis imperatoriae aetatis capita duo, p.<br />

AQUIS EXSICCATI COLONIS NE RELIGIONIS SUBSIDIA<br />

63.<br />

23 – Dione Cassio : Hist. 60, 11 e 17.<br />

DEESSENT TEMPLUM IN HONOREM PAULI APOSTOLI<br />

24 – Atti XIX, 8 e 10 confrontati con XX, 31a. CUIUS OLIM PEDUM VESTIIGIS HIC LOCUS CONSECRATUS EST<br />

25 – All’ingresso della chiesa parrocchiale di Tor Tre Ponti<br />

(Trepontium) – tra Forum Appii e Tres Tabernae – dedicata CUM COENOBIO A FUNDAMENTIS EREXIT OMNIQ.CULTU DITAVIT<br />

all’Apostolo Paolo, è collocata una lapide marmorea che ricor- TUTIONE EIUS CURAQ. SODALIBUS ORDINIS CAPPUCCINORUM<br />

da il passaggio di S. Paolo per quelle contrade. La lapide,<br />

PERPETUO CONLATA<br />

messa a memoria della erezione della chiesa per i coloni dell’Agro<br />

Pontino, fa riferimento all’opera grandiosa per il prosciuga-<br />

Anno D.ni MDCCXCVI - Pont. XXII<br />

mento e la bonifica di quelle terre, intrapresa nel 1777 da Pio<br />

VI, il quale pose la premessa delle successive e recenti sistemazioni<br />

che portarono alla definitiva redenzione delle terre<br />

pontine. Il testo dell’epigrafe è questo :<br />

26 - Atti XXIII, 11.


Settembre<br />

2008<br />

Intervista di Stanislao Fioramonti a don<br />

Luigi Vari, parroco e biblista<br />

Sembra che di Lettere ai Corinzi Paolo<br />

ne abbia scritte in realtà quattro: una<br />

“precanonica” che non ci è pervenuta;<br />

la 1Cor; una lettera severa “scritta<br />

tra molte lacrime”; e infine la 2Cor.<br />

Ci spieghi la loro connessione?<br />

Quella delle quattro lettere di Paolo<br />

è una teoria suggestiva che si basa su<br />

alcuni accenni che l’Apostolo fa sia<br />

ad una lettera scritta fra le due che conosciamo<br />

(la cosiddetta “precanonica”,<br />

della quale avremmo un frammento<br />

in 2Cor 6,14-7,1), sia alla lettera scritta<br />

“fra le lacrime”, che viene individuata<br />

in 2Cor, capitoli 10-13. Il lettore<br />

attento vedrà che questi due frammenti<br />

sono alquanto diversi dal contesto<br />

per tono, stile e contenuti, ma la<br />

diversità potrebbe giustificarsi anche<br />

con un inserimento dal vivo, nel corpo<br />

della lettera, ad opera di qualche<br />

redattore di frammenti di scritti di origine<br />

ignota ma comunque riferibili a<br />

Paolo. La teoria delle quattro lettere<br />

non è dunque dimostrabile. C’è poi<br />

una lettera alla quale si riferisce esplicitamente<br />

Paolo (1Cor 5, 9-13), che<br />

però non è stata conservata.<br />

1Cor è molto lunga e importante;<br />

si rivolge a una comunità cristiana<br />

giovane, formata da persone umili<br />

e incolte, esposte alle lusinghe di una<br />

città famosa per la sua apertura (era<br />

un grande porto di mare) e per la sua<br />

immoralità. Quale è lo scopo primario<br />

di Paolo nello scriverla?<br />

Venuto a conoscenza di alcune difficoltà<br />

nelle quali si dibatteva la comunità<br />

da lui fondata a Corinto, Paolo decide<br />

di intervenire per rispondere ad alcune<br />

domande che gli erano state poste.<br />

Il problema più grave di quella comunità<br />

erano le divisioni tra i fedeli, che<br />

si erano organizzati in veri e propri partiti<br />

attorno a qualche personaggio in base<br />

a chi aveva loro predicato la fede. Queste<br />

divisioni danno a Paolo l’occasione di<br />

chiarire la vera funzione dei predicatori,<br />

e soprattutto di puntualizzare che è<br />

Cristo che fa crescere una comunità cristiana.<br />

I temi principali in essa trattati sono<br />

quelli della divisione interna, della morale<br />

sessuale, matrimoniale e celibataria,<br />

delle carni sacrificate agli idoli,<br />

della vita religiosa comunitaria (abbigliamento,<br />

pasto del Signore, doni spirituali<br />

e carismi riguardo ai quali c’è<br />

il famoso inno alla carità) e della resurrezione<br />

dei morti. Puoi parlarcene brevemente?<br />

Oltre alla questione ricordata prima,<br />

21<br />

ve ne erano altre che riguardavano la<br />

vita morale dei cristiani di Corinto.<br />

Un malinteso senso della libertà li portava<br />

a veri comportamenti immorali:<br />

incesto, abitudine ad appellarsi ai<br />

tribunali pagani, fornicazione. Paolo<br />

cerca di suggerire le soluzioni (cap.<br />

7), chiarendo il vero senso della libertà<br />

cristiana (capp. 8 e 9).<br />

Un altro problema è quello dell’assemblea<br />

eucaristica, che veniva celebrata<br />

con grande disordine in quanto, più che<br />

occasione di comunione era motivo di<br />

divisione. Nel cap. 11 Paolo riporta la<br />

testimonianza più antica della cena del<br />

Signore (vv. 23-25). Il discorso<br />

sull’Eucaristia lo porta a parlare della<br />

Chiesa, introducendo (cap. 12) il famoso<br />

paragone della Chiesa come corpo e<br />

di Cristo come sua testa.<br />

La comunità di Corinto era una<br />

comunità molto vivace; in essa c’era<br />

grande abbondanza di doni spirituali,<br />

e si innescava una curiosa gara<br />

su chi possedesse il dono più importante,<br />

con le conseguenti difficoltà<br />

per la vita comunitaria. Paolo<br />

suggerisce una sua visione di questi<br />

doni, il più alto dei quali è il dono dell’amore.<br />

L’inno all’amore del cap. 13<br />

è uno dei punti più alti della poesia<br />

biblica, e non solo (vedi riquadro di<br />

13, 1-13).<br />

1Cor continua con l’esortazione<br />

a ricercare la carità (cap. 14) e suggerisce<br />

il criterio del discernimento<br />

di ciò che è bene e ciò che è male nella<br />

vita della Chiesa: è il criterio dell’utilità<br />

comune.<br />

Quanto alla risposta al problema<br />

della resurrezione dei morti (cap. 15),<br />

essa è costruita sulla predicazione primitiva<br />

(vv. 1-11) e si sviluppa in una<br />

argomentazione che pone la resurrezione<br />

dei morti come la chiave per la<br />

comprensione della vita cristiana. Come<br />

già in 1Tes, san Paolo<br />

si occupa anche del<br />

modo della resurrezione,<br />

ribadendo quanto detto<br />

in quella lettera: una<br />

trasformazione nella<br />

quale il corpo corruttibile<br />

e mortale si veste<br />

di incorruttibilità e di<br />

immortalità. Introduce


22<br />

questo suo pensiero con le parole quanto<br />

mai preziose: “Ecco. Io vi annunzio<br />

un mistero”. Il capitolo 15 si chiude con<br />

il famoso inno trionfale: “Dov’è, o morte,<br />

la tua vittoria? Dov’è, o morte, il tuo<br />

pungiglione?”.<br />

L’ultimo capitolo raccoglie esortazioni<br />

e saluti, ed è interessante in quanto<br />

il v. 21 ci illumina sul modo della redazione<br />

delle lettere di Paolo: scrive infatti:<br />

“Il saluto è di mia mano, di Paolo”.<br />

Verso la fine di 1Cor e in 2Cor si parla<br />

della colletta organizzata da Paolo<br />

nelle comunità da lui fondate per aiutare<br />

i fratelli di Gerusalemme.<br />

Raccontaci questo fatto e come si è concluso.<br />

L’Apostolo promosse una raccolta<br />

in favore dei cristiani di Gerusalemme,<br />

in gravi difficoltà. Tale raccolta era da<br />

lui considerata anche un segno di vitalità<br />

delle comunità nascenti, ne accenna<br />

in diverse occasioni, impegna in essa<br />

anche i suoi collaboratori più stretti e lui<br />

stesso si impegna ad organizzarla, dando<br />

prova di grande senso pratico. Per tutto<br />

questo la colletta ebbe successo (cf.<br />

At 24,17).<br />

Quali motivi hanno portato Paolo a<br />

scrivere 2Cor poco tempo dopo la prima<br />

lettera? Sembra che ci fu una crisi<br />

nella comunità di Corinto, una sua<br />

rapida visita, un’offesa a Paolo che impedì<br />

il suo ritorno e gli fece preferire la<br />

lettera severa, una missione di Tito che<br />

portò buone notizie a Paolo e quindi<br />

la più fiduciosa 2Cor. Cosa si sa o si<br />

ipotizza di tutto questo?<br />

La seconda ai Corinzi sembra essere<br />

piuttosto un modo per non affrontare<br />

direttamente la comunità che, in occasione<br />

della famosa offesa (quasi certamente<br />

un dubbio sul suo<br />

stato di Apostolo e sul<br />

suo ruolo a Corinto), non<br />

lo aveva difeso. In<br />

seguito la comunità<br />

emarginò l’offensore e<br />

l’Apostolo decide di scrivere<br />

questa lettera, che<br />

è importante soprattutto<br />

perché ci svela il carat-<br />

tere di Paolo, tutt’altro che mite, come<br />

si vedrà nella terza parte del documento,<br />

nella quale l’Apostolo fa la sua apologia.<br />

2Cor è formata appunto da tre parti:<br />

una prima in cui Paolo torna sugli<br />

incidenti passati, una seconda sull’organizzazione<br />

della colletta (della<br />

quale già si è parlato) e una terza sull’autodifesa<br />

di Paolo, accusato di debolezza<br />

e di ambizione. Puoi farci una<br />

sintesi?<br />

Tutta la lettera è una riflessione sul<br />

suo apostolato, sulla natura della sua predicazione,<br />

sulle sue tribolazioni e speranze.<br />

Proprio il taglio così diretto e personale<br />

dà alla lettera l’impressione di un<br />

torrente in piena; per questo chiarisce<br />

il suo carattere. Paolo parla di sé e del<br />

suo modo di fare. Particolarmente suggestivo<br />

l’esordio della lettera (v. box dei<br />

vv. 1, 1-11).<br />

Nella seconda parte si conferma quanto<br />

detto delle sue capacità organizzative<br />

in quanto esorta alla generosità e sottolinea<br />

come chi fa del bene riceve benefici,<br />

perché “Dio ama chi dona con gioia”<br />

(v. 9,7).<br />

Infine la risposta ad alcune accuse<br />

che gli venivano rivolte di essere debole<br />

e ambizioso gli offre l’occasione di<br />

tessere con grande abilità retorica una<br />

sua autodifesa, che si trasforma in un vero<br />

e proprio auto elogio, pericoloso per tutti<br />

ma non per una persona geniale e santa<br />

come lui.<br />

In questa parte c’è un altro dei misteri<br />

della letteratura paolina, quello della<br />

spina nella carne (12,7): “Perché non<br />

montassi in superbia per la grandezza<br />

delle rivelazioni, mi è stata messa una<br />

spina nella carne, un inviato di satana<br />

incaricato di schiaffeggiarmi, perché io<br />

non vada in superbia”. Queste parole,<br />

che hanno incuriosito generazioni di studiosi,<br />

ora non sono più tanto al centro<br />

dell’attenzione perché il testo non è criticamente<br />

sicuro.<br />

Come ultima nota, la lettura di questa<br />

lettera, oltre che farci conoscere Paolo<br />

per il suo carattere forte, ci permette di<br />

apprezzare anche il suo umorismo, la sua<br />

ironia, insomma la sua umanità.<br />

Settembre<br />

2008<br />

IL DISCORSO DI PAOLO NELL’A-<br />

REOPAGO DI ATENE (At 17,16-31)<br />

“… Ad Atene Paolo fremeva nel suo spirito al vedere<br />

la città piena di idoli. Discuteva frattanto nella<br />

sinagoga con i Giudei e i pagani credenti in<br />

Dio e ogni giorno nella piazza principale con quelli<br />

che incontrava. Anche certi filosofi epicurei e<br />

stoici discutevano con lui e alcuni dicevano: “Che<br />

cosa vorrà mai insegnare questo ciarlatano?”. E<br />

altri: “Sembra essere un annunziatore di divinità<br />

straniere”, poiché annunziava Gesù e la risurrezione.<br />

Presolo con sé, lo condussero nell’Areòpago e<br />

dissero: “Possiamo dunque sapere qual è questa<br />

nuova dottrina predicata da te? Cose strane<br />

per vero ci metti negli orecchi; desideriamo dunque<br />

conoscere di che cosa si tratta”. Tutti gli Ateniesi<br />

infatti e gli stranieri colà residenti non avevano<br />

passatempo più gradito che parlare e sentir parlare.<br />

Allora Paolo, alzatosi in mezzo all’Areòpago, disse:<br />

“Cittadini ateniesi, vedo che in tutto siete molto<br />

timorosi degli dèi. Passando infatti e osservando<br />

i monumenti del vostro culto, ho trovato anche<br />

un’ara con l’iscrizione: Al Dio ignoto. Quello che<br />

voi adorate senza conoscere, io ve lo annunzio.<br />

‘Il Dio che ha fatto il mondo e tutto ciò che contiene’,<br />

che è signore del cielo e della terra, non<br />

dimora in templi costruiti dalle mani dell’uomo né<br />

dalle mani dell’uomo si lascia servire come se avesse<br />

bisogno di qualche cosa, essendo lui che dà<br />

a tutti la vita e il respiro e ogni cosa. Egli creò<br />

da uno solo tutte le nazioni degli uomini, perché<br />

abitassero su tutta la faccia della terra. Per essi<br />

ha stabilito l’ordine dei tempi e i confini del loro<br />

spazio, perché cercassero Dio, se mai arrivino<br />

a trovarlo andando come a tentoni, benché non<br />

sia lontano da ciascuno di noi. In lui infatti viviamo,<br />

ci muoviamo ed esistiamo, come anche alcuni<br />

dei vostri poeti hanno detto: Poiché di lui stirpe<br />

noi siamo.<br />

Essendo noi dunque stirpe di Dio, non dobbiamo<br />

pensare che la divinità sia simile all’oro, all’argento<br />

o alla pietra, che porti l’impronta dell’arte<br />

e dell’immaginazione umana. Dopo essere passato<br />

sopra ai tempi dell’ignoranza, ora Dio ordina<br />

a tutti gli uomini di tutti i luoghi di ravvedersi,<br />

poiché egli ha stabilito un giorno nel quale dovrà<br />

giudicare la terra con giustizia per mezzo di un<br />

uomo che egli ha designato, dandone a tutti prova<br />

sicura col resuscitarlo dai morti”.<br />

Quando sentirono parlare di risurrezione di morti,<br />

alcuni lo deridevano, altri dissero: “Ti sentiremo<br />

su questo un’altra volta”.<br />

Così Paolo uscì da quella riunione. Ma alcuni aderirono<br />

a lui e divennero credenti; fra questi anche<br />

Dionigi membro dell’Areòpago, una donna di nome<br />

Dàmaris e altri con loro”.


Settembre<br />

2008<br />

S.E. Mons. Andrea Maria Erba*<br />

Una espressione caratteristica e frequente<br />

del pensiero di San Paolo è racchiusa<br />

in una formula di straordinaria efficacia:<br />

“Rivestirsi di Cristo;” Nella Lettera<br />

ai Galati (3,27) l’Apostolo scrive: “Voi che siete<br />

stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo”,<br />

mentre nella lettera ai Romani questa immagine<br />

è legata alla contrapposizione di due stili di<br />

vita. Contro coloro che si dedicano in modo sregolato<br />

al mangiare e al bere, Paolo esorta con<br />

decisione: “Non fate questo ma rivestitevi nel<br />

Signore Gesù Cristo e non seguendo la carne<br />

con i suoi desideri” (13,14). PIù ANCORA. Nella<br />

lettera agli Efesini lo stesso pensiero viene espresso<br />

in maniera radicale, con riferimento a Cristo<br />

“Uomo nuovo”: Rivestitevi dell’uomo nuovo, creato<br />

secondo Dio nella giustizia e nella santità vera”<br />

(4,24).<br />

Stanislao Fioramonti<br />

Una bella descrizione della<br />

città greca al tempo di<br />

Paolo ce la offre Gerard<br />

Le Mouel nel suo volumetto<br />

“Scoprire san Paolo” (Editrice Elle Di<br />

Ci, Leumann (Torino) 1995, pp. 34-<br />

36):<br />

“Quando Paolo vi arriva, nella primavera del 50, è una<br />

città di 600mila abitanti, capitale della provincia romana<br />

di Acaia, centro marittimo di primaria importanza.<br />

Ma è anche la città di Afrodite, la dea del libero amore…<br />

Due porti, uno a est e uno a ovest dell’istmo, esportano<br />

statuette di bronzo e specchi metallici ricercati in<br />

tutto l’Impero. Sulle banchine, una folla di gente e mer-<br />

Nella lettera ai Colossesi sottolinea: “Vi siete rivestiti<br />

dell’uomo nuovo, che si va rinnovando a immagine<br />

di colui che ha creato. Nell’uomo nuovo non<br />

c’è più né greco né giudeo né barbaro né Scita,<br />

né schiavo né libero, ma soltanto Cristo che è<br />

tutto in tutti” (3,10-11).<br />

Ma che significa concretamente rivestirsi di Cristo?<br />

Non è indossare un vestito ma si tratta di un<br />

cambiamento interiore, che mira a al rinnovamento<br />

dell’uomo dall’intimo, al divenire realmente<br />

simile a Cristo. Tale immagine richiama quindi<br />

un fatto dinamico, una trasformazione cristiforme,<br />

canzie giunte da tutte le parti del Mediterraneo. Tra i<br />

due porti, una specie di traghetto via terra permette<br />

alle piccole navi mercantili di superare l’istmo su ingegnosi<br />

mezzi di trasporto, pagando un pedaggio. Corinto<br />

è un centro commerciale attivissimo, con una mescolanza<br />

di marinai, viaggiatori, commercianti di tutti i paesi<br />

e di tutte le razze. La colonia ebraica è molto importante.<br />

La città è<br />

nuova:<br />

completamente<br />

distrutta dal<br />

generale<br />

Mummio<br />

nel 146 a.<br />

C., fu ricostruita<br />

da<br />

Giulio<br />

Cesare circa<br />

100 anni<br />

dopo e<br />

divenne<br />

punto d’incontro<br />

tra<br />

Italia e Asia.<br />

Tutti coloro<br />

che si stabiliscono<br />

a<br />

Corinto possonodive-<br />

23<br />

un assumere i sentimenti di Cristo, la sua “misericordia,<br />

bontà, umiltà, mansuetudine, pazienza”<br />

(Col 3,12), così che il cristiano può ripetere<br />

con Paolo: “non sono più io che vivo, è Cristo<br />

che vive in me” (Gal 2,20). La veste bianca che<br />

viene consegnata nel Battesimo è simbolo non<br />

solo di purezza e di santità, ma è un richiamo<br />

al rivestirsi di Cristo, a divenire membra del suo<br />

Corpo, ad essere una sola cosa con lui. E’ il programma<br />

e il compito di un vero cristiano.<br />

*Vescovo emerito di <strong>Velletri</strong>-<strong>Segni</strong><br />

nirne cittadini: schiavi liberati, commercianti,<br />

artigiani, anche gli indesiderabili possono<br />

tentare di rifarsi una vita.<br />

Corinto è così, con Alessandria, il centro<br />

più cosmopolita dell’Impero. Vi si<br />

contano più di 150 culti diversi, e questo<br />

dà un’idea di quello che doveva<br />

essere la popolazione.<br />

A sud della città, su un’alta collina, si<br />

erge il tempio di Afrodite; in città si possono vedere<br />

gli ‘idoli’, statue delle divinità delle varie religioni, ma<br />

anche tutto ciò che in un porto di tale importanza può<br />

divertire i marinai, i viaggiatori, i soldati: cantanti, danzatori,<br />

spettacoli di ogni sorta, e tante prostitute, riconoscibili<br />

dal fatto che girano in città con i capelli corti<br />

e il capo scoperto. Corinto ha la fama di luogo malfamato,<br />

una specie di bassoporto dove le ragazze “si corintizzano”<br />

– come si diceva in gergo – sotto lo sguardo<br />

dei “corintiasti” (ruffiani). L’omosessualità è pratica diffusa<br />

e al tempio di Afrodite un migliaio di ragazzette<br />

si danno alla prostituzione sacra, propagando la “malattia<br />

di Corinto”, tristemente nota in tutto l’Impero. La città<br />

è corrotta dal denaro e dalla depravazione.<br />

La maggior parte dei cristiani di Corinto appartiene al<br />

popolino; artigiani, mercanti, marinai, facchini, schiavi<br />

(ce ne sono 400mila). Non sono istruiti: sentono nelle<br />

piazze pubbliche gli oratori che espongono le loro<br />

idee, le discutono spesso senza capirle, e le mescolano<br />

con quanto ha predicato Paolo. L’ambiente cittadino<br />

non aiuta: i costumi sono<br />

tanto rilassati da ritenerli normali”.<br />

Corinto, grande città e porto della<br />

Grecia, conserva oggi molti templi<br />

pagani, l’agorà, alcune basiliche,<br />

resti della sinagoga degli<br />

ebrei e il tribunale dove Paolo<br />

fu trascinato per essere presentato<br />

al console Gallione (che era il fratello<br />

del famoso filosofo Lucio Anneo<br />

Seneca).


24<br />

Dei cristiani di Corinto, ai quali Paolo indirizzò due famose<br />

lettere, gli Atti degli Apostoli e le Lettere paoline stesse<br />

ricordano alcuni personaggi notevoli. La più importante<br />

è forse una donna, Stefana: prima convertita di<br />

quella città, battezzata da Paolo con tutta la sua famiglia<br />

(1Cor 1,16), di condizione agiata, mette la sua casa<br />

a disposizione della comunità; con altri due corinzi, Fortunato<br />

e Acaico, fa visita ad Efeso all’apostolo, che così la<br />

raccomanda a quei fratelli (1Cor 16,15 ss): “Conoscete<br />

la famiglia di Stefana, che è primizia di Acaia; hanno<br />

dedicato sé stessi a servizio dei fedeli; siate anche voi<br />

deferenti verso di loro e verso quanti collaborano e si<br />

affaticano con loro”. Altri due cristiani di Corinto della<br />

prima ora, battezzati personalmente da Paolo, furono<br />

Gaio (1Cor 1,14) e Crispo, capo della sinagoga<br />

Stanislao Fioramonti<br />

Si sviluppò<br />

dall’autunno dell’anno<br />

49 o 50 all’autunno<br />

del 52 e fu<br />

determinato dal desiderio<br />

di Paolo di<br />

verificare la vitalità del-<br />

Stanislao Fioramonti<br />

Silvano e Sila sono i nomi latino e greco di<br />

un giudeo molto in vista della primitiva chiesa<br />

di Gerusalemme. Gli Atti (15,22) affermano<br />

che era tenuto in grande considerazione tra i<br />

fratelli e che perciò fu scelto dagli apostoli, gli<br />

anziani e tutta la comunità, insieme a Giuda<br />

Barsabba, per accompagnare Paolo e<br />

Barnaba ad Antiochia, con una lettera che<br />

riferisse ai cristiani di Siria e di Cilicia quanto<br />

era stato deciso dal concilio di Gerusalemme:<br />

che cioè per la fede dei non ebrei non era<br />

le comunità di credenti da<br />

lui fondate in Asia nel primo<br />

viaggio. L’apostolo<br />

partì da Antiochia, ma<br />

senza Barnaba: questi voleva<br />

che li accompagnasse<br />

ancora Marco, mentre Paolo<br />

non era d’accordo perché<br />

nel viaggio precedente il futuro<br />

evangelista li aveva<br />

della città, che credette nel Signore insieme a tutta la<br />

sua famiglia (At 18,8). Erasto, tesoriere della città (Rm<br />

16,24), probabilmente convertito da Paolo, ne divenne<br />

discepolo e collaboratore: è inviato con Timòteo in<br />

Macedonia a prepararne la visita (At 19,22); invia saluti<br />

ai cristiani di Roma insieme a Paolo e al fratello Quarto<br />

(Rm 16,24); rimane a Corinto quando Paolo viene trasferito<br />

a Roma ((2Tm 4,20). Un’altra donna di Corinto,<br />

Cloe, rappresentò un altro punto di riferimento per alcuni<br />

cristiani di Corinto (“la gente di Cloe”, 1Cor 1,11); fu<br />

lei a segnalare a Paolo le discordie tra fedeli che lo<br />

indussero a scrivere la prima lettera. Sòstene, altro<br />

capo della sinagoga di Corinto (At 18,17), fu catturato<br />

dai Giudei avversi a Paolo e percosso davanti al tribunale<br />

di Gallione, proconsole di Acaia; in seguito lo<br />

necessaria la circoncisione, ma l’astinenza<br />

dalle carni offerte agli idoli, dal sangue, dagli<br />

animali soffocati e dall’impudicizia. Giunti ad<br />

Antiochia e svolta correttamente la loro missione,<br />

Giuda e Sila, “essendo anch’essi profeti,<br />

parlarono molto per incoraggiare i fedeli<br />

e li fortificarono”, e dopo qualche tempo rientrarono<br />

a Gerusalemme (At 15,32 ss).<br />

Dopo che Paolo, preparando il suo secondo<br />

viaggio missionario, decise di separarsi da<br />

Barnaba che voleva portare con sé Marco,<br />

come suo compagno scelse proprio Sila (At<br />

15,40) e con lui attraversò la Siria e la Cilicia,<br />

abbandonati; allora Barnaba con Marco tornarono<br />

partirono insieme per Cipro, mentre Paolo<br />

scelse come compagno Sila, il “profeta” di<br />

Gerusalemme. Attraverso la Siria e la Cilicia giunsero<br />

a Derbe e Listra; qui si associò ad essi il<br />

giovane Timòteo, figlio di un greco e di una giudea<br />

credente, forse convertito durante il primo<br />

viaggio, e proprio per la sua maternità Paolo decise<br />

di farlo circoncidere, per riguardo ai giudei<br />

di quelle regioni.<br />

Settembre<br />

2008<br />

ritroviamo accanto all’apostolo nel suo secondo viaggio<br />

missionario e da Efeso apre con lui la prima lettera<br />

ai Corinzi (1Cor 1,1). Tizio Giusto è infine il gentile<br />

“che onorava Dio” e che ospitò nella sua casa, posta<br />

accanto alla sinagoga di Corinto, Paolo e i suoi collaboratori<br />

quando decisero di smettere di predicare ai<br />

Giudei e di rivolgersi ai pagani (At, 18,7). Di CENCRE,<br />

uno dei due porti sull’istmo di Corinto (quello sul mare<br />

Egeo), era diaconessa Febe, cristiana che Paolo definisce<br />

“nostra sorella” e che dimostra di amare molto;<br />

raccomandandola ai Romani (Rm 16,1) infatti scrive:<br />

“Ricevetela nel Signore, come si conviene ai credenti,<br />

e assistetela in qualunque cosa abbia bisogno; anch’essa<br />

infatti ha protetto molti, e anche me stesso”. La Chiesa<br />

la considera santa e la ricorda il 3 <strong>settembre</strong>.<br />

la Pisidia e la Licaonia, l’Asia, la Macedonia<br />

e l’Acaia; insieme sopportarono disagi, persecuzioni,<br />

pericoli, prigionia, insomma le fatiche<br />

e le gioie del lungo viaggio e della predicazione<br />

di Gesù Cristo a tante genti diverse<br />

(cf. 2Cor 1,19). Silvano risulta anche come<br />

mittente, insieme a Paolo, delle due lettere ai<br />

Tessalonicesi che, come è noto, sono i documenti<br />

più antichi del Nuovo Testamento (anni<br />

50-52 circa).<br />

Successivamente Silvano, rientrato a<br />

Gerusalemme, fu accanto all’apostolo Pietro<br />

e lo seguì anche durante la sua ultima attività<br />

in Roma; nella seconda Lettera di Pietro<br />

(5,12) si dice infatti: “Vi ho scritto per mezzo<br />

di Silvano, fratello fedele”.<br />

Uomo profetico, personalità di mediazione tra<br />

credenti di diversa provenienza, collaboratore<br />

diretto dell’apostolo dei Gentili e di quello del<br />

popolo eletto, Silvano è ricordato nel<br />

Martirologio Romano al 13 luglio, giorno della<br />

sua festa liturgica.<br />

Dalle città<br />

della Licaonia,<br />

dove le comunità<br />

cristiane<br />

crescevano di<br />

numero e di<br />

convinzione,<br />

Paolo decise<br />

di proseguire<br />

attraverso la<br />

Frigia, la Galazia e la Misia; il progetto era di<br />

avanzare verso la Bitinia, al nord dell’attuale Turchia,<br />

ma alla fine scelsero di puntare verso il mare<br />

Egeo, a Troade. La città era una colonia romana<br />

(Alessandria Troade) a 40 chilometri dall’antica<br />

Troia ed era un porto di imbarco per l’Europa;<br />

qui di notte Paolo sognò un macedone che lo<br />

supplicava di passare per la sua terra e di salvarli<br />

e l’apostolo, sensibile all’ispirazione dello<br />

Spirito Santo, seguì la misteriosa indicazione.


Settembre<br />

2008<br />

Attraverso l’isola di Samotracia e la città<br />

di Neapoli (oggi Kavalla), il gruppo (al quale<br />

si era aggiunto probabilmente anche l’autore<br />

degli Atti, Luca, che da questo momento scrive<br />

in prima persona plurale) giunge a Filippi,<br />

importante colonia<br />

romana e capitale<br />

del primo distretto<br />

della Macedonia,<br />

nonché centro commerciale<br />

sulla via<br />

romana Egnazia<br />

(tesa da Durazzo a<br />

Costantinopoli come<br />

prolungamento della<br />

via Appia, che terminava<br />

a Brindisi).<br />

Vi si fermarono<br />

per alcuni<br />

giorni e il sabato uscirono<br />

dalla porta<br />

lungo il fiume per predicare<br />

alle donne.<br />

Lidia di Tiàtira, commerciante<br />

di porpora,<br />

si fece battezzare<br />

con tutta la sua famiglia<br />

e volle ospitarli<br />

tutti in casa sua.<br />

Paolo continuava a<br />

predicare nella sinagoga<br />

della città e un<br />

giorno incontrò una giovane schiava dotata di<br />

facoltà divinatorie, che indicava quei forestieri<br />

come annunciatori della salvezza. Dopo qualche<br />

tempo Paolo la guarì scacciandone lo spirito<br />

divinatorio, ma i padroni della ragazza, non<br />

potendo più trarre guadagno dalla facoltà di lei,<br />

accusarono Paolo e Sila di fomentare disordini<br />

e di predicare usanze illecite ai Romani. Il<br />

popolo inveì e i magistrati cittadini li fecero catturare<br />

e bastonare. Un terremoto notturno scosse<br />

però la prigione e li liberò, mentre il carceriere<br />

terrorizzato si fece battezzare con la sua<br />

famiglia e li portò in casa sua. Il giorno dopo i<br />

magistrati, saputo che erano cittadini romani, timorosi<br />

per quanto avevano fatto si scusarono con<br />

Paolo e Sila e li invitarono a partire.<br />

Salutati i fratelli riuniti nella casa di Lidia,<br />

essi procedettero per Anfìpoli, a 44 km da Filippi,<br />

e per Apollonia, 46 km più oltre, fino a Tessalonica<br />

(a 57 km da Anfipoli), capitale del secondo distretto<br />

della provincia romana di Macedonia e sede<br />

proconsolare. Per tre sabati Paolo parlò nella<br />

sinagoga cittadina, annunciando che Gesù era<br />

il Cristo; aderirono alcuni Giudei, un buon numero<br />

di Greci credenti in Dio e non poche donne<br />

nobili, ma gli altri Giudei ostili sobillarono la piazza<br />

e, non riuscendo a catturare Paolo e Sila, trascinarono<br />

in giudizio Giasone e altri fedeli, poi<br />

rilasciati dietro cauzione.<br />

Di notte i fedeli fecero partire Paolo e<br />

Sila per Berea (oggi Verria), distante 65 km da<br />

Tessalonica, sotto il monte Olimpo. Anche qui<br />

la predicazione nella sinagoga fece molte conversioni,<br />

ma gli stessi giudei tessalonicesi sol-<br />

levarono il popolo, e allora i fratelli fecero partire<br />

Paolo per la strada verso il mare, trattenendo<br />

invece Sila e Timoteo; l’apostolo giunse così ad<br />

Atene. La città aveva perso molta dell’importanza<br />

passata, ma restava il centro della vita filosofica<br />

ellenica, con la quale ora si incontrava il Vangelo.<br />

Paolo ad Atene parlò sia nella sinagoga che in<br />

piazza, cercando di adattare la sua fede alla cultura<br />

greca; e in piazza incontrò alcuni epicurei<br />

e stoici che lo condussero nell’Areopago, alto<br />

tribunale cittadino e luogo di culto del dio Ares<br />

(Marte), perché spiegasse la sua nuova dottrina.<br />

Le parole dell’Apostolo, considerate il culmine<br />

della missione di Paolo ai pagani (cf. il testo qui<br />

allegato), presero lo spunto dall’esistenza di un<br />

altare “al dio ignoto” incontrato ad Atene, ma alla<br />

fine non convinsero gli ascoltatori, incapaci di<br />

accettare la prospettiva della resurrezione della<br />

carne; tuttavia alcuni credettero, come la donna<br />

Damaris e Dionigi, un membro dell’Areopago<br />

destinato a divenire il primo vescovo e il patrono<br />

di Atene.<br />

Paolo lascia Atene senza formarvi una<br />

comunità cristiana e prosegue per Corinto, capitale<br />

della provincia romana di Acaia, grande metropoli<br />

commerciale dotata di due porti sulle due<br />

sponde, adriatica ed egea, dell’istmo. Qui è raggiunto<br />

da Sila e Timoteo e qui incontra i coniu-<br />

25<br />

gi Aquila e Priscilla, venuti da Roma dopo l’espulsione<br />

dei giudei dall’Urbe decretata dall’imperatore<br />

Claudio (50 d.C.); anch’essi come Paolo erano<br />

fabbricanti di tende ed ospitarono l’apostolo, che<br />

poteva così lavorare con loro. Anche a Corinto<br />

Paolo predicava nella sinagoga e nelle piazze,<br />

ma non riuscendo a far breccia sui suoi connazionali,<br />

a parte il capo della sinagoga Crispo, decise di<br />

dedicarsi all’evangelizzazione dei Gentili (cioè<br />

dei pagani), che credettero in molti. Confortato<br />

anche da una visione notturna del Signore, Paolo<br />

restò un anno e mezzo a Corinto, organizzando<br />

una bella comunità; alla fine i giudei a lui avversi<br />

lo condussero in tribunale davanti al proconsole<br />

di Acaia Gallione (fratello del filosofo Seneca),<br />

il quale non volle sentire le loro accuse in base<br />

a una ordinanza dell’imperatore Tiberio dell’anno<br />

35. Quelli allora afferrarono Sostene, altro capo<br />

della sinagoga che aveva seguito il Vangelo, e<br />

lo percossero.<br />

Paolo lasciò Corinto insieme ad Aquila<br />

e Priscilla; fece sosta a Cencre, dove per adempiere<br />

a un voto si fece tagliare i capelli, quindi<br />

proseguì fino ad Efeso, dove lasciò i compagni<br />

e discusse nella sinagoga,<br />

promettendo ai giudei che<br />

sarebbe tornato per loro. Quindi<br />

sbarcò a Cesarea e salì a<br />

Gerusalemme, per celebrare<br />

la Pasqua e salutare<br />

i confratelli della chiesamadre;<br />

infine, dopo più di due<br />

anni di peripezie, rientrò ad<br />

Antiochia.


26<br />

Alessandro Gentili<br />

Rimango atterrito<br />

dalla calma che<br />

avvolge come una<br />

calda coperta di lusso,<br />

i cristiani del terzo<br />

millennio.<br />

Sulla strada che<br />

porta a Dio, c’è una<br />

terra di cristiani che<br />

vivono come se<br />

Dio fosse l’ultimo<br />

best-seller da<br />

acquistare (e neppure<br />

da leggere…).<br />

In questa terra<br />

di cristiani che<br />

vivono senza Dio,<br />

chi vive in santità<br />

e purezza è la prima<br />

vittima, perfino<br />

di coloro che si autoproclamano cristiani. Ai<br />

tempi della Roma Imperiale, il cristianesimo era<br />

scandaloso, un pericolo e i cristiani considerati<br />

rivoluzionari. Oggi l’unico scandalo è l’asservimento<br />

dei cristiani alla mentalità odierna. Avere<br />

il coraggio di accettare i propri limiti: una formuletta<br />

che salvaguardia i mediocri, i vili, chiamando difficili<br />

le istanze radicali del Vangelo. Ne abbiamo<br />

abbastanza di vedere affondare il cristianesimo<br />

in questo mare di pressappochismo. Il cristiano<br />

nasconde la propria fede. Ma non è iniziativa<br />

sua. E’ la fede che si nasconde perché si vergogna<br />

di chi la sta indossando. L’intimità di Dio<br />

che si è allontananato da questi presunti cristiani,<br />

si può ormai raggiungere solo con una prova di<br />

forza e di coraggio, una prova estrema: abbracciare<br />

una volta per tutte il suo invito, abbandonando<br />

la zavorra che ci opprime. Ma chi ha il<br />

coraggio di farlo? E le rassicuranti prove della<br />

bontà di Dio? L’agiatezza economica, la casa,<br />

i beni di lusso? Non sono forse proprio queste<br />

a testimoniare la presenza di Dio nella nostra<br />

vita? Non ci ama forse Dio quando concede i<br />

suoi favori attraverso un benessere faticosamente<br />

conquistato dopo il secolo del martirio? E questa<br />

generazione di figli a cui tutto è dovuto senza<br />

il minimo sacrificio? Non è forse un diritto spezzare<br />

una famiglia comunque di fatto divisa, abbandonare<br />

i figli, cestinare i feti, approvare guerre<br />

di prevenzione, cacciare i clandestini? Ma Dio<br />

nasconde il Suo volto, non la Sua umiltà: nella<br />

ripetizione quotidiana della consacrazione delle<br />

Sacre Specie, Egli s’inchina nuovamente ver-<br />

so quest’uomo che traffica con le faccende umane<br />

con lo stesso impegno con cui i primi cristiani<br />

testimoniavano con la loro vita l’appartenenza<br />

a questo stesso Dio. Dunque è il medesimo? I<br />

martiri siciliani adoravano lo stesso Dio che il<br />

Signor Pincopallino, diacono della Chiesa<br />

Romana, con una casa di duecento metri quadri,<br />

tre auto, quattro televisori, per tacere del resto,<br />

dice di adorare tutte le mattine quando concelebra?<br />

In una lettera d’un ebreo sopravvissuto<br />

all’Olocausto, ho trovato questa frase: “L’Olocausto<br />

è una specie di buco nel cosmo, è il garante dell’esistenza<br />

del Male. Per gli ebrei è l’equivalente<br />

della Crocifissione”.<br />

E aggiungiamo: l’Olocausto spirituale dei cristiani<br />

di oggi è la voragine entro cui è affossata tutta<br />

la nostra società. La prova del nascondimento<br />

di Dio. Per i cristiani di oggi è l’equivalente del<br />

comportamento del Sinedrio al processo contro<br />

Gesù. In un tremendo racconto, lo scrittore<br />

(Nobel 1978 per la letteratura) Isaac Bashevis<br />

Singer descrive l’arrivo di ebrei americani nella<br />

Terra Promessa nei primi anni cinquanta: borsoni,<br />

magliette variopinte, donne truccatissime,<br />

uomini con cravatte sgargianti e scarpe firmate.<br />

Si chiede: “ E questi sarebbero i successori<br />

di Abramo?”<br />

Immaginiamo come uno scrittore possa raccontare,<br />

tra cento anni, chi erano i cristiani che passeggiavano<br />

tra Roma e <strong>Velletri</strong> nel duemilaotto. Come li descriverà?<br />

Auto di lusso, case super-accessoriate,<br />

in ripicca col vicino o con chi gli calpesta l’unghia<br />

del mignolo, sbocconcellando sentenze contro<br />

gli immigrati, i detenuti e il governo che non<br />

Settembre<br />

2008<br />

sa garantire l’ordine…e<br />

i sacri luoghi<br />

di aggregazione:<br />

ristoranti e<br />

pizzerie affollati,<br />

strade trafficate,<br />

supershopping<br />

negli immensi<br />

centri commerciali,<br />

banche, finanziarie,concessionarie…per<br />

tacere delle luminarie<br />

a natale<br />

(enne minuscola)<br />

e dei “ponti” festivi<br />

(dell’Immacolata,<br />

dei Santi, l’Assunta<br />

divenuta un miserabile<br />

ferragosto<br />

… occasioni non<br />

più sacre ma utilizzate<br />

per le vacanze).<br />

Urge la domanda e la riflessione: gli ebrei rifiutarono<br />

Gesù e continuano ad adorare il Dio della<br />

Torah. Siamo certi che al loro rifiuto non si<br />

sia opposto altro che una banale accettazione<br />

della religione da parte di questi cristiani? Che<br />

cosa significa questa professione di fede? (così<br />

la Messa domenicale è una delle tante attività:<br />

le partite, la cena, il programma televisivo, etc.)<br />

Non testimonia appunto l’abbandono di Dio di<br />

una terra dove l’uomo governa, regge, guida sé<br />

stesso come fosse il creatore?<br />

Ma Dio c’è, e paradossalmente lo prova questa<br />

insipida, incolore e inodore presenza dei cristiani<br />

in una terra vuota e desertica. Dio si manifesta<br />

per l’appunto attraverso il vuoto dei suoi<br />

figli, momento nel quale Egli si ritira dal mondo<br />

e nasconde il Suo volto. Egli ha consegnato la<br />

Sua creazione agli istinti selvaggi dell’uomo e<br />

i Suoi pochi figli che vivono in santità e purezza<br />

lo testimoniano nelle loro coscienze, nelle loro<br />

sofferenze, in questo loro anelito disperato ma<br />

colmo di speranza. Questi pochi siano fieri: perché<br />

essere veri discepoli del Signore, oggi, è<br />

pur sempre un genere di martirio. Essere veri<br />

cristiani significa portare il cilicio, essere santi<br />

e immacolati all’interno di una generazione perversa,<br />

in sintesi: avere il coraggio di non aggregarsi<br />

ai modi d’uso e di costumi degli altri presunti<br />

fratelli di fede. Il modello è l’unico Maestro.<br />

Il testimone è colui che accetta di salire sulla<br />

Croce. Il discepolo è colui che non dorme, non<br />

riposa, ma instancabilmente cerca e ricerca la<br />

vera, l’unica imitazione di Cristo.


Diacono<br />

Pietro Latini<br />

Settembre<br />

2008<br />

La riunione ha<br />

avuto luogo<br />

domenica 22/6<br />

u.s. ed è stata<br />

introdotta da<br />

due riflessioni<br />

su “Il ruolo<br />

della moglie nel<br />

Ministero del<br />

Diacono”, tenuterispettivamente<br />

dal<br />

Diacono Pietro<br />

e da Angela<br />

Giudice, moglie<br />

del diacono<br />

Angelo<br />

Amendola. Si riporta una sintesi di questi<br />

interventi che hanno prodotto un approfondito<br />

dialogo sull’argomento da parte dei partecipanti.<br />

La moglie del diacono non ha un semplice ruolo di<br />

aiuto nella vocazione del marito: ella assume forti connotati<br />

di vocazione propria e le radici di questi connotati<br />

affondano nelle ragioni stesse del ministero cui<br />

il diacono e la moglie sono chiamati, pur se con ruoli<br />

distinti. Ciò significa che nel diaconato il contributo<br />

della moglie è essenziale e che, se quel contributo<br />

venisse a mancare, anche quel ministero non<br />

sarebbe più lo stesso. Si potrebbe parlare del servizio<br />

della moglie nel contesto più ampio del ministero<br />

del diaconato. Il servizio della moglie nel diaconato<br />

è dono e gratuità. È dono perché quel donarsi<br />

reciproco, che gli sposi si son fatti il giorno del matrimonio,<br />

con il diaconato si fortifica e si sublima nel<br />

dono di sé che entrambi fanno a se stessi ed alla<br />

comunità cui sono chiamati a svolgere il servizio. Il<br />

marito con il diaconato non appartiene più solo alla<br />

moglie come potrebbe essere per gli altri sposi, ma<br />

anche alla comunità. Lo dimostra la separazione nell’assemblea<br />

liturgica: la moglie e i figli tra i banchi;<br />

il marito all’altare per il servizio liturgico. Il servizio<br />

della moglie nel diaconato è gratuità perché il servizio<br />

svolto è donato nell’ombra, senza essere visto<br />

e riconosciuto; spesso senza esser neanche richiesto<br />

e sotto la titolarità del marito o addirittura di altri.<br />

Di fronte alle incomprensioni, alle avversità ad ai conflitti,<br />

quando il ministero è duramente messo alla prova<br />

e le risorse sembrano essere insufficienti la vicinanza<br />

della moglie potrebbe rivelarsi risolutiva. La<br />

Scrittura indica sotto questo aspetto funzioni di soste-<br />

gno e di stimolo. Per il sostegno basti pensare ai viaggi<br />

missionari degli apostoli che potevano essere pensati<br />

proprio per lo spirito di abnegazione e di sostegno<br />

che le mogli assicuravano. Non era poco: la moglie<br />

nei viaggi missionari avocava a sé tutto il compito<br />

di supporto che solitamente una moglie esercita in<br />

famiglia ed accettava il ruolo delicato che una comunità<br />

perseguitata le assegnava.<br />

Compito certamente prezioso nella vita missionaria<br />

dell’apostolo ed indispensabile per la sopravvivenza<br />

stessa della missione, se pensiamo che altrimenti<br />

l’apostolo avrebbe dovuto spendere energie importanti<br />

per la gestione ordinaria ed avrebbe così sacrificato<br />

inevitabilmente gli ambiti più importanti dell’apostolato.<br />

È per questo che la moglie veniva considerata nell’antichità<br />

la prerogativa dell’apostolo al punto tale<br />

che se un apostolo fosse stato trovato senza moglie<br />

avrebbe avuto remore ad essere riconosciuto apostolo,<br />

come è successo all’apostolo Paolo. I nemici<br />

dell’apostolo Paolo infatti mettevano in forse la sua<br />

missione di apostolo non sulla base delle opere ma<br />

semplicemente sul fatto che egli aveva rinunciato alla<br />

moglie. Oltre al sostegno, la moglie nei confronti del<br />

diaconato esprime funzioni di stimolo, come testimoniano<br />

la moglie di Pilato che ha preso iniziativa con il marito<br />

in favore di Gesù o come testimonia Abigael che<br />

con profonda umiltà e con dolcezza, tipicamente femminile,<br />

è intervenuta nelle iniziative di David e lo ha<br />

dissuaso da azioni legittime, ma poco ispirate e lo<br />

ha aiutato a tuffarsi in una scelta superiore di fede.<br />

Sostegno e stimolo significano che la moglie è coinvolta<br />

fino in fondo con il ministero del marito e ne<br />

segue le sorti senza distinguo e senza presa di distanze<br />

come potrebbe essere per qualsiasi altro lavoro<br />

pubblico; che essa segue le sorti del marito fino alla<br />

fine come è accaduto alla moglie del servo nel racconto<br />

evangelico che si è ritrovata in prigione con il<br />

27<br />

marito a seguito di operazioni sbagliate. Il ministero<br />

del diaconato è totalizzante e non ammette ripensamenti:<br />

così in passato, così oggi; così per il diacono,<br />

così per la moglie. Esso va scelto e non subito<br />

e richiede il sì convinto ed assoluto come ha fatto<br />

Maria nell’annunciazione e una profonda adesione<br />

al progetto, non scelto né subito ma accettato perché<br />

pensato da Iahvè. È difficile per l’uomo di oggi<br />

accettare progetti pensati da altri, ma è possibile. Sara,<br />

la moglie di Abramo, ne è l’esempio: ella per fede<br />

ha accettato la maternità quando era già vecchia e<br />

per fede ha abbandonato le sicurezze del mondo e<br />

si è tuffata dentro un progetto che rimaneva oscuro,<br />

ma che lei abbracciava solo perché veniva da Dio.<br />

Oggi noi accettiamo con difficoltà progetti che non<br />

sono sicuri e governabili; rifiutiamo senz’altro progetti<br />

che altri hanno pensato e di cui noi non conosciamo<br />

le ragioni; ma la moglie di Abramo, Sara, e le mogli<br />

degli apostoli lo hanno fatto, a rischio della vita; le<br />

mogli dei diaconi debbono imparare a farlo anche<br />

loro, semplicemente perché il progetto viene da Dio.<br />

Anche oggi la moglie è preziosa ed è prerogativa apostolica<br />

nella missione della evangelizzazione. Infatti<br />

quando il mondo vede il pieno coinvolgimento non<br />

del singolo ma di una comunità sia pur piccola in un<br />

progetto totalizzante e quando vede che per questo<br />

progetto vengono spese energie profonde ed addirittura<br />

la stessa vita, solo allora il mondo rimane colpito<br />

e riflette. Perché non sono le parole che colpiscono<br />

ma la testimonianza personale e della comunità.<br />

Personalmente cito questo ricordo: quando venivo<br />

interpellato su questioni profonde ed affascinanti<br />

subito qualcuno si rivolgeva a mia moglie e le chiedeva:<br />

e tu cosa ne pensi? Come ti comporti? Ecco<br />

dunque che la testimonianza della moglie diventava<br />

la prova della vita vissuta nel ministero ed il servizio<br />

nuovo di cui il mondo ha bisogno.


28<br />

La “Christifideles Laici” presenta tutto il Popolo<br />

di Dio, la Chiesa, come il luogo idoneo per la formazione<br />

spirituale del laico. Dio è soggetto attivo<br />

e promotore del grande itinerario educativo nella<br />

vita spirituale e, in dipendenza ed in comunione<br />

con Lui, anche la Chiesa di Cristo è soggetto<br />

educativo; la Chiesa, infatti, sa di essere chiamata<br />

a “prendere parte all’opera educativa divina”<br />

che trova nel Padre “la sua radice e la sua<br />

forza” e che, pienamente rivelata, in Gesù<br />

Cristo “raggiunge dal di dentro il cuore di ogni uomo<br />

grazie alla presenza dinamica dello Spirito” (Ch.L.<br />

61).<br />

Da ciò scaturisce che la formazione non è uno<br />

dei tanti compiti che la Chiesa deve assolvere ma<br />

costituisce la sua più profonda preoccupazione,<br />

alla quale continuamente si riconduce a partire<br />

dalla coscienza della propria maternità.<br />

Per la Chiesa rispondere a questa chiamata è aver<br />

coscienza piena della propria missione e del proprio<br />

servizio, ben sapendo che nel “mistero del<br />

Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo<br />

e che Cristo, proprio rivelando il mistero del Padre<br />

e del Suo amore, svela all’uomo e gli fa notare<br />

la Sua altissima vocazione” (GS 22).<br />

La Chiesa, conseguentemente, diventa qui sulla<br />

terra il luogo primario della formazione permanente<br />

del laico cristiano; a tale riguardo il Philips già scriveva<br />

che “La Chiesa sarà il principio verificatore<br />

della società umana. Tutte le componenti della<br />

civiltà risentiranno il suo influsso trasformatore.<br />

[…] Nessuna miseria umana lascia insensibile<br />

la Chiesa”. 1<br />

Il tutto della vita della Chiesa: annuncio, predicazione,<br />

catechesi, liturgia, sacramenti, attività pastorale,<br />

è un continuo orientarsi alla formazione integrale<br />

della persona umana, perché la Chiesa stessa<br />

possa contemplare nei suoi figli “Cristo speranza<br />

della gloria” (Col. 1,27). Agendo così,<br />

la Chiesa risponde in positivo alla chiamata<br />

divina: “Come il Padre ha mandato<br />

me, anch’io mando voi” (Gv. 20,21)<br />

“Come tu mi hai mandato nel<br />

mondo, anch’io li ho mandati nel<br />

mondo” (Gv. 17,18). È tutta la Chiesa<br />

che, rivestita dello Spirito di testimonianza<br />

e della profezia, è inviata<br />

al mondo per esservi il luogo primario<br />

della formazione per ogni<br />

uomo di buona volontà; difatti la “Lumen<br />

Gentium” attesta che “Cristo, quando<br />

fu elevato in alto da terra, attirò<br />

tutti a sé; risorgendo dai morti immise<br />

negli Apostoli il suo Spirito vivificatore<br />

e, per mezzo di Lui, costituì il Suo<br />

Corpo, che è la Chiesa, quale universale<br />

sacramento di salvezza” (LG<br />

48).<br />

Tale fisionomia della Chiesa va collegata a tre realtà<br />

fondamentali:<br />

Settembre<br />

2008<br />

1- il rinnovamento definitivo in Cristo: “ I nuovi cieli<br />

e la nuova terra dove abiterà la giustizia” (Ap.<br />

21, 1-2); alla base di ogni autentico progetto di<br />

formazione vi è sempre “l’esigenza della nuova<br />

creazione in Cristo” (2 Cor. 5,17). La formazione<br />

spirituale e culturale è un continuo processo<br />

di conversione che ci porta a sperare e a vivere<br />

quotidianamente la «novità pasquale»;<br />

2- il Mistero pasquale di Gesù, come centro della<br />

nostra vita e azione, come punto essenziale<br />

di riferimento per la formazione di ogni laico fedele;<br />

3- la Chiesa stessa, come corpo organico, animato<br />

dallo Spirito di vita e da lui costituita missionaria;<br />

la Chiesa ha il compito di formare il laico<br />

affinché viva simultaneamente la crescita in<br />

Cristo, la comunione ecclesiale e l’inserimento nel<br />

mondo; questo dinamismo di grazia porta a maturazione<br />

la fede dei credenti, rendendoli capaci di<br />

crescere nella vita spirituale.<br />

Il servizio alla formazione è un continuo confermarsi<br />

nella fede: a questo proposito è essenziale<br />

riconoscere il ruolo primario del Papa che, nella<br />

Chiesa di cristo, ha ricevuto il carisma di confermare<br />

nella fede i fratelli; la Chiesa universale sospinge<br />

il fedele laico ad agire nella vita formativa mediante<br />

la Chiesa particolare e, per ultimo, attraverso<br />

una sua cellula fondamentale, la parrocchia. È<br />

in essa, infatti, che la preghiera liturgica e personale,<br />

tutta una serie di attenzioni e di rapporti<br />

interpersonali si tessono di quotidianità e, dunque,<br />

di concretezza; è a partire da essa che s’imparano<br />

a coniugare idealità e vissuto, straordinarietà<br />

e ferialità, specificità e globalità, intenzionalità<br />

e realtà.<br />

La parrocchia, vera cellula educativa della<br />

Chiesa, mette a contatto categorie sociali diversi<br />

con la fonte della santità, Gesù Cristo, in Lui<br />

fa riconoscere la fondamentale dignità di ciascuno<br />

ed in lui lo educa ad una sincera fraternità. La<br />

parrocchia, assumendo l’attenzione pastorale per<br />

un determinato territorio, dà spessore di missionarietà<br />

e capacità di inculturare la fede che diventa,<br />

allora, pienamente accolta, interamente pensata,<br />

fedelmente vissuta; la comunità parrocchiale,<br />

facendo interagire<br />

in questo modo vocazioni, ministeri, carismi diversi<br />

educa in modo permanente e costante ogni laico<br />

fedele a scoprirsi Popolo di Dio e costruttore<br />

di esso.<br />

La “Christifideles Laici”, per offrire maggiore sicurezza<br />

alla Chiesa, come madre di formazione laicale,<br />

fa emergere in questo contesto Maria, madre<br />

di Cristo, come modello ed archetipo di formazione<br />

della chiesa, per la chiesa e nella chiesa<br />

e lo fa con questa affermazione: “Vergine madre,<br />

guidaci e sostienici perché viviamo sempre come<br />

autentici figli e figlie della chiesa di Tuo Figlio e<br />

possiamo contribuire a stabilire sulla terra la civiltà<br />

della verità e dell’amore secondo il desiderio


Settembre<br />

2008<br />

di dio e per la sua gloria” (Ch.L. 64).<br />

Per questo la Chiesa, come Maria, mentre nel suo cuore<br />

intercede per gli uomini, ripete a ciascuno dei suoi<br />

figli: “Fate quello che vi dirà (Gv. 2,5) suscitando così<br />

la dinamica della fede. Da ciò scaturisce che la maternità<br />

della Chiesa non si esaurisce nel considerare questo<br />

sublime modello di maternità che le è offerto in Maria,<br />

ma si apre alla gioia di constatare come Maria continuamente<br />

cooperi alla rigenerazione e formazione dei<br />

credenti e perciò educa i suoi figli ad incontrarsi con<br />

Lei per ottenere aiuti particolari per crescere nella formazione<br />

cristiana; così si attua la maternità della Chiesa<br />

non solo secondo il modello e la figura della Madre di<br />

Dio ma anche con la sua cooperazione e ad essa si<br />

applica l’espressione dell’apostolo Paolo che, rivolgendosi<br />

ai Galati, riconosceva come “Figlioli miei, che io di nuovo<br />

partorisco nel dolore finchè non sia fondato Cristo<br />

in voi” (Gal. 4, 19).<br />

Certamente la chiesa, come luogo primario voluto da<br />

Dio per la formazione dei fedeli laici di tutte le età e di<br />

tutte le situazioni di vita, richiede dai fedeli stessi piena<br />

fiducia e collaborazione, perché possa compiere la<br />

sua opera formatrice anche in tutte le aggregazioni laicali;<br />

E. Mainati esprime questo pensiero con queste parole:<br />

“Il laico cristiano, inserendosi nelle strutture pastorali<br />

della Chiesa, lo deve fare con grande rispetto e amore<br />

e la deve riconoscere come «strumento» voluto da<br />

Cristo, perché l’umanità incontri ed esperimenti la Salvezza”. 2<br />

Di qui la necessita che la Chiesa incontri i laici nella<br />

loro esperienza associativa e li educhi costantemente<br />

a non indugere verso nessun tipo di chiusura ed intimismo;<br />

per questo la Chiesa deve guidare ogni movimento,<br />

gruppo ed associazione ad “essere luogo di annuncio<br />

e di proposta di fede e di educazione ad essa nel<br />

suo integrale contenuto” (Ch.L. 30).<br />

Ugualmente la Chiesa, secondo l’Esortazione post-sinodale<br />

deve esigere che ogni aggregazione laicale si caratterizzi<br />

per la “testimonianza di una comunione salda e<br />

convinta, in relazione filiale al Papa, perpetuo e visibile<br />

centro di unità della Chiesa universale” e con il Vescovo<br />

“principio visibile e fondamento dell’unità” della Chiesa<br />

particolare e nella “stima vicendevole tra tutte le forme<br />

di apostolato nella Chiesa” (Ch. L. 30).<br />

Solo nell’attuazione concreta di tali principi, la Chiesa<br />

aiuta il laico cristiano a capire che non bastano le affermazioni<br />

teoriche ma occorre la testimonianza dei atti,<br />

per tendere a realizzare nella propria vita la vera formazione<br />

spirituale, capace di aiutare a costruire nel mondo<br />

il Regno di Dio; soltanto in questa prospettiva globale<br />

la Chiesa si rivela essere per il laico cristiano luogo<br />

primario per la crescita costante nella formazione<br />

della propria spiritualità.<br />

1 Philips G., “Laicato adulto, Sa.Le.S., Roma 1965,<br />

pag. 121.<br />

2 Mainati E., “Teologia del laicato”, citt. Pp. 159.<br />

La Madonna Immacolata scolpita per<br />

la Cappella dei PP. del F.I.C. di <strong>Velletri</strong><br />

è stata eseguita su espresso<br />

desiderio ed indicazione del P.<br />

Domenico D’Angelo. Come tutte le opere<br />

della casa d’arte Stuflesser di Ortisei,<br />

anche questa è un’opera unica garantita<br />

anche dal marchio della stessa ditta, che<br />

da ben 133 anni e cinque generazioni opera<br />

nel campo della scultura e degli arredi<br />

religiosi. L’opera unica è stata discussa<br />

in ogni minimo particolare e poi eseguita<br />

gli antichi sistemi Stuflesser: il legno<br />

di cinnolo (della famiglia dei pini), seccato<br />

in modo corretto, incolato da formare un<br />

unico blocco. Ottenuto il blocco si inizia<br />

a scolpirlo interamente ed esclusivamente<br />

a mano dal primo momento, passando<br />

dall’ascia agli scalpelli sempre minori<br />

e precisi.<br />

La pittura anch’essa eseguita interamente<br />

a mano, è stata eseguita con colori<br />

ad olio.<br />

Tra le opere di recente realizzazione vi è<br />

anche un bellissimo San Luigi Gonzaga<br />

ritratto nel pieno non solo della sua gioventù<br />

ma anche del suo impegno caritatevole,<br />

mentre raccoglie un appestato. Questa<br />

scultura, destinata ad una comunità della<br />

Sicilia, è stata unanimemente riconosciuta<br />

in ambienti artisti ed ecclesiastici,<br />

come la migliore opera unica dell’anno.<br />

29


30<br />

Stanislao Fioramonti<br />

Questa estate ho fatto un viaggio in Spagna.<br />

Ho visitato tre grandi città, Madrid Saragozza e Barcellona,<br />

ricche sia dal punto di vista architettonico che artistico.<br />

Approfondendo anche, come a me piace, la<br />

loro storia, ho trovato all’origine sempre la Vergine<br />

Maria e due<br />

apostoli, che<br />

sono san<br />

Giacomo il<br />

Maggiore<br />

(Santiago) nel<br />

caso di Madrid<br />

e Saragozza,<br />

san Pietro per<br />

Barcellona.<br />

Conoscere queste<br />

storie ci<br />

consentirà di<br />

cogliere l’essenza<br />

profonda,<br />

religiosa e civile<br />

insieme, della<br />

nazione spagnola.<br />

L’apostolo<br />

Giacomo, figlio<br />

di Zebedeo e di<br />

Salome e fratello<br />

dell’evangelista<br />

Giovanni, celebrato<br />

dalla<br />

Chiesa cattolica<br />

il 25 luglio,<br />

dopo l’Ascensione di Gesù al cielo predicò il Vangelo<br />

in Giudea e in Samaria, finché fu fatto uccidere<br />

di spada a Gerusalemme dal re Erode Agrippa I<br />

(nipote di Erode il Grande) verso l’anno 42 o 44,<br />

primo degli apostoli a subire il martirio (cf. Atti degli<br />

Apostoli, 12,1). San Giacomo (Santiago) è anche<br />

patrono della Spagna perché, secondo un’antica<br />

tradizione, prima della sua morte sarebbe venuto<br />

ad evangelizzarla, predicando in particolare per<br />

sette anni nella regione nord occidentale della Galizia.<br />

Qui, dopo il martirio, alcuni discepoli avrebbero poi<br />

trasportato il suo corpo, e una stella apparsa dopo<br />

alcuni secoli (nell’anno 813) avrebbe indicato il luogo<br />

della sua sepoltura. Su quel “Campus Stellae”<br />

(Compostella) il re delle Asturie Alfonso II il Casto<br />

fece costruire un santuario che ben presto divenne,<br />

con Roma e Gerusalemme, una delle grandi<br />

mete dei pellegrinaggi medievali.<br />

Sempre secondo la tradizione, nell’anno 38 dell’era<br />

cristiana uno dei discepoli di Santiago, ancora<br />

impegnato sul suolo iberico, si recò in un pic-<br />

colo villaggio della Spagna centrale, del quale ignoriamo<br />

il nome preciso, lasciandovi una statuetta<br />

della Madonna col Bambino Gesù, che si cominciò<br />

a venerare nella chiesa di Santa Maria (la prima<br />

della futura città di Madrid). Quel villaggio attraversò<br />

senza storia i trecento anni in cui la Spagna<br />

fu sottoposta al regno dei Visigoti (409-711), che<br />

aveva per capitale<br />

Toledo,<br />

distante appena<br />

70 chilometri.<br />

Quando<br />

però nell’anno<br />

711 l’ultimo re<br />

goto Rodrigo<br />

venne sconfitto<br />

e ucciso nella<br />

battaglia di<br />

Guadalete, l’intera<br />

penisola<br />

(eccetto le regioni<br />

più settentrionali)<br />

subì<br />

una rapida conquista<br />

da parte<br />

dei musulmaniprovenienti<br />

dall’Africa;<br />

solo nel 1492 gli<br />

ultimi mori,<br />

asserragliati a<br />

Granada, sarebbero<br />

stati sconfitti<br />

ed espulsi<br />

da quella terra,<br />

che pure avevano arricchito di opere e monumenti.<br />

Conquistata Toledo, i musulmani vollero proteggerla<br />

fortificando i borghi circostanti, tra i quali quel<br />

villaggio posto 70 chilometri più a nord, in posizione<br />

strategica lungo il fiume Manzanares, del quale<br />

non si conosce il nome ma che loro chiamarono<br />

“Magerit” (da cui Madrid). I suoi abitanti cristiani,<br />

prima dell’inevitabile attacco che avrebbe trasformato<br />

la loro chiesa in moschea, per evitare la profanazione<br />

della loro Madonna decisero di chiuderla dentro<br />

la cavità di un muro, sistemandola in una nicchia,<br />

illuminandola con due candele e poi ricoprendo il<br />

tutto.<br />

Tre secoli durò l’occupazione musulmana di Magerit:<br />

solo nel 1085 il re Alfonso VI di Castiglia, soprannominato<br />

“El Bravo” (il valoroso), riconquistò Toledo<br />

e il territorio circostante. A Magerit si riconvertì la<br />

moschea in chiesa parrocchiale e si decise di ricercare<br />

l’immagine mariana nascosta per riportarla<br />

sull’altare maggiore; nessuno però sapeva dove<br />

fosse nascosta, tanto che re Alfonso ordinò una<br />

Settembre<br />

2008<br />

novena di preghiere perché il<br />

Cielo desse un segnale, e la concluse<br />

con una processione solenne<br />

alla quale, oltre che l’intera popolazione,<br />

partecipò lui stesso con il<br />

figlio Fernando, il re di Aragona e<br />

Navarra Sancio e il condottiero Rodrigo Dìaz de<br />

Vivar, più famoso come el Cid Campeador.<br />

Quando il corteo giunse alla Cuesta de la Vega,<br />

l’antico muro che nascondeva la statuetta crollò<br />

e apparve la Virgen ancora illuminata dalle due<br />

candele accese nell’anno 712 ! Il luogo in cui era<br />

celata era chiamato dagli arabi “almudin” (granaio)<br />

e quindi da allora la Patrona di Madrid ebbe il titolo<br />

di Almudena. Dalla chiesetta di Santa Maria<br />

essa passò nella chiesa del Sacramento, poi nella<br />

cattedrale provvisoria di San Isidro (dal 1954<br />

al 1993) e infine in uno scenografico altare laterale<br />

neogotico della nuova imponente cattedrale<br />

metropolitana di Madrid, Santa Maria la Real de<br />

la Almudena, situata accanto al Palazzo Reale e<br />

consacrata da papa Giovanni Paolo II nel giugno<br />

1993.<br />

La statua attuale, scolpita nella pietra, risale al XVI<br />

secolo; l’8 <strong>settembre</strong> 1945 (dopo la sanguinosa<br />

guerra civile spagnola, 1936-39, e il secondo conflitto<br />

mondiale) ricevette la medaglia d’oro della Città<br />

di Madrid e il 10 novembre 1948 l’incoronazione<br />

canonica. La sua festa è il 9 novembre, giorno del<br />

suo ritrovamento nel 1085.<br />

La storia di “Nuestra Senora del Pilar”, patrona<br />

dell’Aragona e della Spagna, ce la racconta l’arcivescovo<br />

di Saragozza mons. Manuel Urena Pastor<br />

nelle pagine della rivista “El Pilar” (fondata nel 1883,<br />

stampata in 6000 copie mensili e distribuita in 68<br />

Paesi “per la diffusione nel mondo della devozione<br />

alla SS.ma Vergine del Pilar”). Scrive il prelato<br />

che nella notte tra il 1° e il 2 gennaio dell’anno<br />

40 la Vergine Maria fu trasportata da uno stuolo<br />

di angeli da Gerusalemme a Saragozza (la romana<br />

Caesarea Augusta) per confortare l’apostolo Santiago<br />

nel suo impegno missionario, per invitarlo a tornare<br />

a Gerusalemme incontro al martirio e per ordinargli<br />

la costruzione sulla riva del grande fiume<br />

Ebro di una chiesa cristiana dedicata a Dio e in<br />

onore di Maria; la quale donò personalmente all’apostolo<br />

i due elementi che avrebbero caratterizzato<br />

quel tempio, anch’essi portati dagli angeli: una<br />

colonna di alabastro (in spagnolo “pilar”) e una statuetta<br />

della Vergine da collocare su quella colonna.<br />

Maria prometteva grandi grazie a quanti visitassero<br />

con fede e devozione quel luogo.<br />

La piccola chiesa costruita dall’apostolo Santiago,<br />

che farebbe del Pilar il santuario più antico di Spagna<br />

e forse di tutta la cristianità, “fu il germe di ciò che<br />

è oggi questa vasta, complessa e splendida Basilica-<br />

Cattedrale di Nostra Signora del Pilar di Saragozza”,<br />

prosegue l’arcivescovo, riferendosi alle dimensioni<br />

e alle caratteristiche architettoniche davvero<br />

imponenti del tempio: 135 metri di lunghezza, 67


Settembre<br />

2008<br />

di larghezza, 4 facciate, 3 navate, 4 torri e 11<br />

cupole, di cui la centrale alta 80 metri; per non<br />

parlare delle sue opere d’arte: affreschi di Velasquez,<br />

Goya e Francisco Bayen, un magnifico “retablo”<br />

(fondale dell’altare maggiore) del 1515 di<br />

Damien Forment, che narra nell’alabastro scene<br />

della vita di Maria. Il Pilar attuale, iniziato<br />

nel 1681 e consacrato nel 1872, è insomma uno<br />

dei santuari mariani più grandi e frequentati del<br />

mondo, con una media di 11 milioni di visitatori<br />

l’anno. Il suo cuore rimane la “Santa Capilla”<br />

nella navata centrale, di stile barocco e pianta<br />

ellittica, ricca di luci, marmi, argenti, bronzi<br />

e bandiere dei vari Paesi della “hispanidad”.<br />

Sul lato destro di essa, la statuetta lignea della<br />

Madonna, del secolo XIV, rivestita e contornata,<br />

insieme al “pilar” su cui poggia, di preziosi<br />

paramenti continuamente rinnovati, a seconda<br />

delle circostanze e dei tempi liturgici. Incoronata<br />

il 20 maggio 1905, la Vergine del Pilar si festeggia<br />

il 12 ottobre, data della scoperta del Nuovo<br />

Mondo e della cacciata definitiva dei Mori dalla<br />

Spagna, non solo in Spagna, ma in tutte le<br />

nazioni di lingua e cultura spagnola (America<br />

Latina e Filippine), che in quel giorno fanno suonare<br />

a distesa tutte le campane delle loro chiese.<br />

Fatto curioso ma non troppo, perché dimostra<br />

quanto la Vìrgen sia parte viva della città,<br />

l’Associazione Culturale “Gli Assedi di Saragozza”,<br />

nell’Assemblea Generale Straordinaria del 24<br />

aprile 2008, ha concesso la Medaglia di Socio<br />

d’Onore (sua massima onorificenza) alla<br />

Vergine del Pilar, riconoscendo “il ruolo da Lei<br />

svolto come baluardo morale dei difensori di<br />

Saragozza nel 1808 e 1809”, al tempo dell’invasione<br />

napoleonica della Spagna. Ma l’affetto<br />

per Maria può esprimersi anche in forme più<br />

comuni: sul pullmann che mi portava a<br />

Barcellona, dietro al sedile del conducente, ho<br />

trovato scritto: “Yo conduzco, Ella me guìa”, “Io<br />

guido, Lei mi guida”; se non è fiducia questa!<br />

Non per nulla, nota sempre l’arcivescovo, “el<br />

Pilar es el mayor orgullo de Aragona”.<br />

Quanto alla Madonna di Montserrat, venerata<br />

su una montagna dal profilo seghettato<br />

(da cui il nome) 60 chilometri circa nell’entroterra<br />

di Barcellona, anch’essa ha origini precedenti<br />

l’invasione araba della Spagna (sec. VIII); non<br />

ha però legami con l’apostolo Santiago, bensì<br />

con san Pietro: un elemento, questo, che<br />

forse contribuisce a spiegare le differenze tra<br />

Castiglia e Catalogna, e il nazionalismo di quest’ultima,<br />

che fa uso comune della lingua catalana<br />

come prima lingua e della bandiera regionale<br />

a strisce giallorosse al posto di quella<br />

nazionale. Della sua autonomia la Catalogna<br />

è molto gelosa, anche perché grazie ad essa<br />

(ma non solo per essa, ovviamente) è diventata<br />

la regione più ricca e trainante del paese.<br />

Il collegamento con san Pietro è una tradizione<br />

locale non dimostrabile, secondo la<br />

quale la statua della Virgen de Montserrat sarebbe<br />

stata scolpita dall’evangelista san Luca e portata<br />

in Catalogna dal primo degli apostoli nell’anno<br />

50 dell’era cristiana. A me<br />

risultava che fu san Paolo a<br />

progettare e forse realizzare,<br />

poco prima della sua cattura<br />

definitiva, un viaggio evangelizzatore<br />

in Spagna: è lui<br />

stesso a scriverlo nell’epilogo<br />

della Lettera ai Romani<br />

(15,24). Che anche san<br />

Pietro sia passato nella penisola<br />

iberica prima di morire<br />

a Roma, l’ho trovato solo qui.<br />

Ma se di una tradizione,<br />

specie se antica, si può<br />

anche dubitare, non si fa però<br />

fatica a credere al resto della<br />

storia della madonna catalana:<br />

una statua lignea del secolo<br />

XII, alta 95 centimetri, che<br />

rappresenta in forme di stile<br />

romanico Maria seduta in<br />

trono con il Bambino sulle ginocchia;<br />

statua di color marrone<br />

scuro, ulteriormente annerita<br />

da fiaccole e ceri accesi<br />

nei secoli davanti a lei, tanto<br />

che i fedeli la chiamano affettuosamente<br />

“La Moreneta”<br />

(Morenita sarebbe in castigliano!).<br />

Già presente sulla<br />

montagna prima dell’invasione<br />

musulmana, all’arrivo di questa l’immagine fu nascosta<br />

in una grotta non molto distante dal moderno<br />

santuario; nel secolo IX fu ritrovata da alcuni pastori<br />

in quella che oggi è chiamata la “Santa Cova”<br />

(la grotta santa), grazie al chiarore e al coro angelico<br />

che da essa proveniva. Il vescovo del luogo<br />

ordinò di trasferirla in cattedrale, ma quando il corteo<br />

ebbe percorso un breve tragitto la statua divenne<br />

talmente pesante da risultare intrasportabile,<br />

per cui fu deposta in una cappella vicina. In seguito<br />

il re catalano Wilfredo il Villoso fece erigere in<br />

31<br />

quel luogo, a 720 metri di altitudine sotto una suggestiva<br />

corona di rocce granitiche, un monastero<br />

benedettino fondato dall’abate Oliva, proveniente<br />

dal venerabile monastero catalano di Ripoll. Il<br />

sito divenne ben presto famoso e importante per<br />

i prodigi operati dalla Vergine, per i personaggi che<br />

ospitò (ad es. il card. Della Rovere, poi papa Giulio<br />

II), per i santi cui dette rifugio e conforto (Pedro<br />

Nolasco, Vincenzo Ferrer, Ignazio di Loyola, Luigi<br />

Gonzaga e tanti altri) e per gli artisti cui dette ispirazione<br />

(Goethe, Schiller, Wagner ecc.). Celebre<br />

nel mondo è poi La Escolanìa, il coro di Montserrat<br />

specializzato in canto gregoriano, derivato forse<br />

dai cori angelici presenti un tempo nella santa grotta.<br />

Il monastero fu ricostruito nel secolo XIII e dopo<br />

la distruzione napoleonica del 1812; la sua<br />

chiesa, a navata unica con 6 cappelle laterali, fu<br />

eretta alla fine del ‘500 e più volte rimaneggiata:<br />

la facciata è del 1939. La Moreneta, dichiarata Patrona<br />

della Catalogna da papa Leone XIII, si trova in una<br />

preziosa nicchia (“camarìn”) sull’altare maggiore,<br />

alla quale si accede con una scalinata ornata di<br />

marmi pregiati e mosaici.<br />

Tre Madonne, tre aspetti particolari di una sola grande<br />

storia, che è la storia della fede di una nazione,<br />

la Spagna, un tempo definita “cattolicissima”;<br />

ed è anche la storia della sua civiltà e della sua<br />

cultura: non a caso anche oggi, nonostante una<br />

laicizzazione galoppante, tante ragazze spagnole<br />

sono ancora chiamate Almudena, Pilar o Montserrat


32<br />

di Pontecorvi Fabio<br />

Quale bellezza salverà il mondo?<br />

In questo periodo estivo si guarda<br />

molto all’estetica a come comparire<br />

davanti agli altri, si guarda soprattutto<br />

alla bellezza esteriore. Ecco l’estetica<br />

sappiamo come è importante perché ci<br />

mette in relazione tramite lo sguardo nell’osservare<br />

ciò che noi riteniamo bello guardando<br />

con curiosità e giudizio quello che<br />

ci circonda, cercando di percepire dei messaggi<br />

che poi andiamo ad elaborare. Allora<br />

pensavo a quell’immagine che tutti portano<br />

nel cuore, che è Madre Teresa di<br />

Calcutta questa donna che esteticamente<br />

non bella ma resa bella dall’Amore di Dio,<br />

resa bella per quello che faceva per quello<br />

che riusciva a comunicare, attraverso<br />

le sue opere annunciava l’Amore di<br />

Dio tramite questo corpo non bello ma<br />

trasfigurato dall’Amore in Cristo Gesù. Quale<br />

bellezza oggi l’uomo va cercando? in particolare<br />

per i giovani che cercano testimonianze<br />

concrete e belle. Dostoevskij<br />

ha scritto: “Il mondo sarà salvato dalla<br />

bellezza... La bellezza è Cristo. Egli non<br />

fa altro che raccogliere ciò che tutta la<br />

Sacra Scrittura e la Tradizione attestano:<br />

Dio è “la Verità”, “la Bontà” e perciò<br />

anche “la Bellezza”.La bellezza che salva<br />

il mondo e l’arte stanno in relazione,<br />

Giovanni Paolo II alla lettera agli artisti<br />

scrive:” il tema della bellezza è qualificante<br />

per un discorso sull’arte. Esso si<br />

è già affacciato,quando ho sottolineato<br />

lo sguardo compiaciuto di Dio di fronte<br />

alla creazione, nel rilevare che quanto<br />

aveva creato era cosa buona, Dio vide<br />

anche che era cosa bella. Il rapporto tra<br />

buono e bello suscita riflessioni stimolanti,<br />

la bellezza è in un certo senso l’espressione<br />

visibile del bene,come il bene è la con-<br />

dizione metafisica della bellezza”.<br />

L’ incontro con Cristo è quella trasformazione(Trasfigurazione)<br />

che oggi cerchiamo,<br />

allora l’arte sacra può aiutarci facendoci<br />

percepire lo spirito, di Dio.”il soggetto<br />

religioso è fra i più trattati dagli artisti di<br />

ogni epoca. La chiesa ha fatto sempre<br />

appello alle loro capacità creative per interpretare<br />

il messaggio evangelico e la sua<br />

concreta applicazione nella vita della comunità<br />

cristiana, questa collaborazione è stata<br />

fonte di reciproco arricchimento spirituale………...Quale<br />

impoverimento<br />

sarebbe per l’arte l’abbandono del filone<br />

inesauribile del Vangelo!”GPII L.a.A.<br />

Questo parallelismo tra la figura di<br />

Madre Teresa e l’icona e strettamente legata<br />

perché tutte e due ci conducono ad<br />

una tras-formazione e a guardare verso<br />

l’Alto. Oggi facciamo memoria e ricordiamo<br />

la vita dei Santi e le loro opere attraverso<br />

le immagini tramandate da pittori<br />

e scultori, artisti che hanno abbellito le<br />

chiese di tutto il mondo. L’iconografia bizantina<br />

che cerca di spiritualizzare i soggetti<br />

che vengono rappresentati ci aiutano a<br />

capire il messaggio del Santo.<br />

“Nell’iconografia bizantina,il volto diventa<br />

il centro della rappresentazione: esso<br />

è il luogo della<br />

presenza dello<br />

Spirito di Dio,perché<br />

la testa è la<br />

sede dell’intelligenza<br />

e della<br />

saggezza. Tutta<br />

l’attenzione è<br />

concentrata sullo<br />

sguardo che<br />

irradia verso lo<br />

spettatore”(Egon<br />

Sendler). Il volto<br />

dell’icona quindi<br />

è la parte più<br />

Settembre<br />

2008<br />

importante assieme alle mani.<br />

Molti iconografi cercano di curare<br />

di più il volto rispetto alle vesti per<br />

rappresentare al meglio l’anima. Il<br />

naso fino e allungato ci indica la<br />

nobiltà, la bocca di solito piccola simbolo<br />

di preghiera,di umiltà di silenzio,<br />

il collo ritrova un rigonfiamento simbolo<br />

dello Spirito Santo,intorno alla<br />

testa il nimbo(aureola) d’oro simbolo della<br />

santità e della gloria. Ogni particolare<br />

del volto è ben curato,tutto concorre<br />

a trasmettere quella bellezza estetica e<br />

spirituale che lo spettatore accoglie per<br />

aiutarlo ad e entrare nel mistero del<br />

Divino.”Come i pittori innanzitutto tracciano<br />

con un solo colore l’abbozzo del<br />

ritratto e poi,a poco a poco, facendo fiorire<br />

un colore sull’altro, portano il ritratto<br />

della somiglianza del modello,così anche<br />

la grazia di Dio comincia nel battesimo<br />

con il riportare l’immagine a quello che<br />

era quando l’uomo venne all’esistenza.<br />

Poi, quando ci vede aspirare con tutto<br />

il nostro animo alla bellezza della somiglianza,lasciando<br />

fiorire virtù su virtù, elevando<br />

la bellezza dell’anima di splendore<br />

in splendore, le aggiunge allora l’impronta<br />

della somiglianza” (Diadoco di Fotica Capita<br />

centum de perfectione spirituali,89).<br />

nell’iconografia bizantina<br />

“La bellezza circonda sempre con un brillio<br />

impalpabile il volto del vero e delbuono”<br />

(H.U. Von Balthasar).


Settembre<br />

2008<br />

Antonio Venditti<br />

Accadono, non sono nel mondo giovanile, ma anche<br />

in quello dei fanciulli e dei preadolescenti, fatti gravi,<br />

sconcertanti per disumanità ed efferatezza, che<br />

certamente commuovono tutti, per qualche giorno,<br />

ma poi, scomparsi dalla scena mediatica, vengono<br />

liquidati come “fatalità” e così, salvo qualche rara<br />

e marginale voce divergente, si mettono in pace<br />

le coscienze di tutti… fino al fatto successivo, trattato<br />

alla stessa maniera, anche se ravvicinato nel<br />

tempo.<br />

In questo nostro “villaggio globale”, tutti veniamo a<br />

conoscenza dei fatti tragici che avvengono in ogni<br />

parte del mondo, tutti ascoltiamo “inorriditi” sul momento<br />

i particolari più raccapriccianti, tutti siamo compartecipi<br />

del dolore dei parenti e delle comunità intere<br />

affrante, ma, dopo i funerali “pubblici”, palesemente<br />

liberatori, voltiamo pagina, ripresi nel vortice<br />

della vita “normale”. In genere, sono generici i<br />

“perché” che ci poniamo, forse anche per non appesantire<br />

ancor più la nostra vita, e non abbiamo nemmeno<br />

la volontà e la pazienza di ricercare le risposte,<br />

che riteniamo compito degli investigatori e della<br />

Magistratura, che in realtà ha soltanto il compito<br />

di accertare le responsabilità personali, cosa spesso<br />

difficile, che oltretutto richiede tempi lunghissimi.<br />

Ma, comunque, il problema resta insoluto, perché<br />

ha radici ben più profonde di quanto si creda.<br />

Noi, infatti, stiamo parlando non di adulti che delinquono,<br />

per tante ragioni e circostanze, che riguardano<br />

la sfera delle loro precise responsabilità, in relazione<br />

a determinate scelte dannose per la società.<br />

Stiamo parlando di teneri fanciulli e fanciulle che,<br />

secondo la metafora educativa, sono “fiori” di splendida<br />

bellezza, ancora legati in tutto e per tutto a chi<br />

li ha generati. Stiamo parlando degli adolescenti,<br />

nel momento delicatissimo in cui si aprono al mondo<br />

e prendono coscienza dei loro ruoli, faticosamente,<br />

al punto che devono essere assistiti e sostenuti<br />

con amorevole cura, come l’albero che per ben<br />

attecchire e crescere “dritto” senza deviazioni, ha<br />

bisogno di un “tutore”. Stiamo parlando dei giovani,<br />

ormai prossimi alla maturità, che però ugualmente<br />

hanno bisogno di aiuto e sostegno, per inserirsi seriamente<br />

ed utilmente nella società.<br />

Com’è possibile, allora, che la fanciullezza sia calpestata<br />

così brutalmente e che fanciulli e fanciulle<br />

si ritrovino all’improvviso senza la bellezza della loro<br />

“innocenza”, ammesso che l’abbiano mai avuta? Com’è<br />

possibile che i preadolescenti, come se fossero già<br />

adulti, e non della specie migliore, abbiano esperienze<br />

così pericolose e spesso destinate a segnarli<br />

terribilmente per tutta la vita, da subito immiserita<br />

e perdente? Com’è possibile che i giovani rinuncino<br />

alla ricerca di una loro identità nuova e di nuovi<br />

orizzonti di vita, rinuncino al vero “amore”, quello<br />

costruito su solidi rapporti e finalizzato alla trasmissione<br />

della vita, perdendo in tal modo il loro futuro?<br />

Tentando di dare delle prime risposte, non certo esaustive<br />

delle problematiche tanto complesse, appare<br />

evidente che dobbiamo guardare al di là dei fanciulli,<br />

degli adolescenti, dei giovani, che in nessun<br />

caso possono essere ritenuti esseri a se stanti, ma<br />

sono inseriti naturalmente in contesti ben precisi che<br />

sono la famiglia, la scuola, la società, che hanno,<br />

nei diversi ambiti, un ruolo precisamente educativo.<br />

È questo il fulcro del problema, partendo dal quale<br />

si possono individuare le cause dei fatti ai quali<br />

abbiamo penosamente assistito.<br />

La famiglia ha un compito difficile e complesso, riferendoci<br />

alla realtà in cui viviamo. Davvero ammirevoli<br />

sono i genitori che si occupano, anche lavorando<br />

ed affrontando le mille difficoltà del presente,<br />

dei loro figli sempre, senza nulla tralasciare, prevenendo<br />

i pericoli, con un controllo continuo ed efficace,<br />

senza oppressioni ma nemmeno senza inopportune<br />

permissioni, in modo che si instauri con loro<br />

un dialogo, basato sulla sincerità e sul rispetto, nella<br />

comprensione reciproca.<br />

La scuola, come la famiglia e con la famiglia, deve<br />

portare avanti con convinzione il discorso educativo,<br />

con una disciplina che deve essere sì preventiva<br />

ma assolutamente efficace : il che significa che,<br />

ricorrendo solo eccezionalmente alle sanzioni, ottiene<br />

un comportamento virtuoso da alunni e alunne,<br />

senza dover reprimere gravi infrazioni alle regole<br />

di convivenza civile.<br />

La società, ossia la comunità nella quale la famiglia<br />

e la scuola sono inserite, deve assecondare gli<br />

sforzi educativi e rafforzarli, evitando che quello che<br />

faticosamente si costruisce in famiglia e a scuola,<br />

33<br />

venga subito distrutto, appena fuori del portone di<br />

casa e dei cancelli di scuola.<br />

E passiamo dai principi alla loro pratica applicazione.<br />

Ahimé ci accorgiamo che tutti e tre gli “enti” educativi,<br />

quale più quale meno, non hanno svolto la<br />

loro funzione! E purtroppo, senza ombra di dubbio!<br />

Infatti, non si può spiegare altrimenti come una ragazzina<br />

abbia la “libertà” di allontanarsi tanto spesso<br />

da casa , con un gruppo di ragazzi con i quali aveva<br />

rapporti forse consuetudinari, al punto di ritenersi<br />

“incinta” di uno di essi; né si può spiegare come quest’ultimi<br />

avessero non soltanto certe abitudini, ma<br />

fossero capaci di abusare, con o senza un iniziale<br />

consenso di una compagna, di picchiarla selvaggiamente,<br />

di ucciderla, di tentare di bruciarla, occultandone<br />

poi il cadavere.<br />

Si tratta di minori di fatto “indipendenti”, perché si<br />

sono sottratti ad ogni controllo e gli adulti, però, almeno<br />

indirettamente lo hanno permesso, rinunciando<br />

a loro precisi doveri. Sono stati assenti dall’inizio,<br />

da quando questi fanciulli sono entrati nel tunnel funesto<br />

della deviazione, percorrendolo, purtroppo, senza<br />

ostacoli fino alla rovina delle loro vite.<br />

Al di là della pietà, umana e cristiana, per la famiglia,<br />

si deve riconoscere che è stata assente. Ed<br />

assente è stata la scuola, che ha chiuso quanto meno<br />

gli occhi, per non accorgersi di quanto stava succedendo,<br />

oppure non ha offerto un’ancora di salvezza,<br />

per evitare che i quattro precipitassero nel<br />

baratro. Assente è stata la comunità cittadina, che<br />

non si è accorta della libertà di movimento e delle<br />

consuetudini della ragazza e dei ragazzi, non contrastati<br />

in qualche modo, con la segnalazione a chi<br />

di dovere, o forse la mentalità “moderna” non ha<br />

ravvisato niente di strano in tutto questo, salvo poi<br />

a manifestare, a tragedia avvenuta, un rammarico<br />

senza senso.<br />

Le assenze sono tutte “ingiustificate” : e se ne<br />

deve prendere coscienza, per una inversione di<br />

tendenza, se si vuole evitare il ripetersi di fatti<br />

del genere.<br />

La redazione esprime sentite condoglianze<br />

al prezioso collaboratore<br />

Stanislao Fioramonti, per la scomparsa<br />

dell’amata suocera


34<br />

Tonino Parmeggiani<br />

Uno degli aspetti, spesso considerato solo come marginale,<br />

legato alle feste religiose è lo svolgimento della<br />

fiera. Oggigiorno queste, almeno a livello di piccole<br />

città, sono uno dei tanti appuntamenti commerciali<br />

che si ripropongono nel corso dell’anno ma in antico,<br />

quando le comunicazioni nel territorio e gli scambi<br />

commerciali tra i vari centri erano di certo difficoltosi,<br />

l’occasione dello svolgimento di una fiera andava<br />

a costituire un momento importante nell’ambito della<br />

vita di una famiglia, dell’economia dell’intera<br />

comunità: era il momento - spesso uno dei pochi, se<br />

non l’unico -in cui ci si poteva approvvigionare delle<br />

sementi, di capi di bestiame, di merci non comuni o<br />

rare, come tessuti, strumenti di lavoro oppure oggetti<br />

per la casa; era altresì anche il momento in cui a<br />

volte si potevano vendere all’esterno i prodotti realizzati<br />

in loco. L’argomento delle fiere valmontonesi è<br />

già stato trattato da Paolo Di Re nel suo volume<br />

“Valmontone”, Roma, 1984, vogliamo ora<br />

riprenderlo, per quanto riguarda la Fiera settembrina<br />

di S. Luigi Gonzaga, sulla scorta di una documentazione<br />

esistente presso l’Archivio di Stato<br />

di Roma (Camerlengato, Parte seconda, Busta<br />

699, fasc. 180). Valmontone già dall’anno 1638<br />

aveva ottenuto dal Papa Urbano VIII, la possibilità<br />

di istituire “una fiera franca di merci e di<br />

bestiami, che fu considerata una delle più grandi<br />

della Campagna Romana, sia per la durata<br />

(10 giorni) sia per l’enorme afflusso di forestieri”<br />

(Di Re, cit., pp. 78-81), in occasione della festa<br />

della Pentecoste, da svolgersi nei due giorni precedenti<br />

ed otto consecutivi.<br />

Nell’anno 1826, il consiglio comunale, dietro ipotizzabilee<br />

sollecitazione popolare, pensò di richiedere<br />

l’istituzione di un’altra fiera: l’evento religioso<br />

ovvio a cui affiancarsi poteva essere la<br />

festa del Santo Patrono, S. Luigi Gonzaga (ricorre<br />

il 21 giugno) ma la vicinanza con la precedente<br />

festa di Pentecoste (l’intervallo può essere<br />

anche di pochi giorni) ed il periodo in cui la<br />

gente era impegmnata nella mietitura, lo sconsigliavano.<br />

Perciò si pensò di spostare dapprima<br />

la festa del Patrono nell’ultima domenica di<br />

<strong>settembre</strong> quando, terminati i lavori della vendemmia,<br />

il pensiero di ognuno volgeva all’imminente<br />

inverno e poi di chiederne l’annessa fiera.<br />

Il primo documento che abbiamo è una delibera del<br />

Consiglio della Comunità del 15 Gennaio (invero il mese<br />

non è indicato, lo conosciamo dalla successiva lettera<br />

di trasmissione) 1826 in cui il Consigliere anziano<br />

Gregorio Cataldi espose che «…desiderio sarebbe della<br />

popolazione di attivare una fiera nella festa che si<br />

celebra in onore del Protettore S. Luigi Gonzaga; e<br />

perché questa fiera non cada nel mese di giugno in<br />

cui ricorrerebbe la festa troppo prossima a quella già<br />

seguita nella Pentecoste, si penserebbe trasferire la<br />

festa stessa nel mese di <strong>settembre</strong> con l’istituzione<br />

della nuova fiera, di cui trattasi» ed il Consigliere Dionisio<br />

Prosperi intervenne definendone il tempo «sarebbe<br />

sicuramente di sommo utile al Pubblico l’istituzione di<br />

una fiera per la festa del glorioso Protettore S. Luigi<br />

Gonzaga, e mio sentimento sarebbe che s’impetrasse<br />

dalla Superiorità con la franchiggia di trè giorni d’a-<br />

ver luogo per la ultima domenica di <strong>settembre</strong> di ogni<br />

anno».<br />

Posta ai voti la proposta venne approvata con 14 voti<br />

favorevoli e 2 contrari (16 presenti su 23, quindi si era<br />

superata la soglia dei due terzi, come prevedeva l’art.<br />

178 del M.P. del 5.10.1824) ma nell’atto si erano dimenticati<br />

di indicare quali fossero i giorni vicini alla domenica<br />

scelta e così troviamo, poco dopo, un’altra delibera<br />

del 19 maggio 1826. La scrupolosità era dovuta<br />

al fatto che da due anni era stata emanata una Circolare<br />

(del 26 marzo 1824, del Card. Pacca) che regolamentava,<br />

facilitandole, le procedure per le istituzioni e trasferimenti<br />

di fiere e mercati; ogni proposta in merito doveva<br />

essere espressa con delibera consiliare da presentarsi<br />

alla propria Delegazione [l’allora provincia di<br />

Frosinone, quella di <strong>Velletri</strong> sarà istituita nel 1832] e<br />

da questa alla Congregazione Governativa. In questo<br />

nuovo provvedimento il Consigliere Provvisorio Vittorio<br />

Luciani espose che «la straordinaria Delegazione con<br />

…dispaccio dei 26 passato aprile ha fatto conoscere<br />

che per coltivare proggetto della nuova fiera di tre giorni…rendasi<br />

necessario, che il Publico Consiglio varii<br />

li giorni destinati, per detta fiera, essendo mente di Sua<br />

Santità, che non debbano mai cadere in giorno di festa<br />

di precetto». A questo punto si originarono nell’assemblea<br />

due posizioni: il consigliere Vincenzo Binarelli disse<br />

«Essendosi stabilito secondo mé la istituzione della<br />

Fiera per l’ultima domenica di <strong>settembre</strong>, onde avere<br />

un concorso col richiamo della festa che a quel giorno<br />

si vorrebbe trasferire, e vedendo che ciò non possa<br />

accordarsi… opino che attivandosi in giorni feriali<br />

mancherà la constanza de commercianti, e di ogni<br />

altra sorte di persona, per cui sarei di sentimento tralasciarne<br />

l’istituzione»; un altro consigliere, Vincenzo<br />

Maria Bellini si dimostrò invece favorevole lo stesso<br />

«Non trovo valutabili li discorsi del Sig.r Binarelli, e vedo<br />

benissimo conciliabile che nella domenica ultima di<br />

Settembre<br />

2008<br />

La fiera di S. Luigi a Valmontone<br />

<strong>settembre</strong> ricorra la festa del Protettore S. Luigi, e che<br />

nei trè giorni seguenti di Lunedì, Martedì, e Mercoledì,<br />

cada la fiera… ». La prima proposta venne respinta<br />

con 14 voti contro e 3 favorevoli, mentre la seconda<br />

ricevette 15 voti a favore contro due. Così il Delegato<br />

spedì in data 16 giugno 1826 le due delibere al Cardinal<br />

Camerlengo che, con dispaccio del 1 agosto, tuttavia<br />

«non credè di assecondarla per essere eccessiva<br />

la durata della richiesta fiera, ed invitò quindi …ad<br />

accontentarsi di soli due giorni». Per questo occorse<br />

però una nuova delibera consiliare, presa il giorno 13<br />

dicembre 1826, in cui non rimase che «doversi uniformare<br />

alle disposizioni superiori, e che perciò la fiera…può<br />

stabilirsi e limitarsi ai due giorni di lunedì, e<br />

marted, seguenti l’ultima Domenica di <strong>settembre</strong>», ancora<br />

14 i voti favorevoli e 2 i contrari.; il Delegato la trasmise<br />

al Cardinale il 31 gennaio 1827; sul retro della<br />

lettera di trasmissione di quest’ultimo venne scritto<br />

«Si faccia relazione favorevole a Sua S.tà,<br />

non omettendo di far risultare l’esclusione data<br />

al terzo giorno richiesto».<br />

La “Relazione alla Santità di Nostro Signore Papa<br />

Leone XII” del Cardinale Camerlengo, datata 5<br />

aprile, «Potendo tale istituzione riescir di molto<br />

vantaggio al Commercio della impetrataria Comune,<br />

la quale fra l’anno non celebra che un’altra fiera<br />

soltanto, il Cardinal Camerlengo sarebbe del<br />

subordinato parere di favorevolmente accogliere<br />

la fatta istanza, qualora piaccia alla Santità Vostra<br />

di convenirvi» venne finalmente approvata<br />

nell’Udienza di Nostro Signore del 21 maggio<br />

successivo. La Notificazione a stampa, promulgata<br />

dal Cardinal Pier Francesco Galleffi, reca la data<br />

del 7 giugno 1827 e dal suo testo ne appare evidente<br />

lo scopo, cioè promuovere lo scambio di<br />

merci e prodotti comuni e non, ovvero evitare<br />

che speculatori possano approfittarsi del monopolio<br />

locale, facilitando così la circolazione di beni,<br />

altrimenti impossibili a reperirsi o di costo eccessivo;<br />

la fiera, oltre che di cereali e merci varie<br />

riguardava anche il bestiame, e per tale periodo<br />

di due giorni i prezzi erano oltremodo vantaggiosi<br />

in quanto dovevano essere esenti da<br />

tasse locali e dello stato: era evidente che simili<br />

condizioni erano certamente attese dalle popolazioni<br />

per cui si sfruttava l’occasione del raduno di<br />

persone convenute per l’occasione di una festa religiosa<br />

per offrire loro anche questa opportunità economica.<br />

Non rimaneva che adempiere ad una ultima<br />

formalità, il rimborso spese per la stampa di più esemplari<br />

della Notificazione e così il Delegato il 22 giugno,<br />

scriveva al Cardinale «…in questo stesso corso<br />

di Posta le rimetto li scudi dieci ritirati dalla Magistratura<br />

di detta Comune per importo di competenze e spese<br />

di stampa… ».<br />

Valmontone aveva così la sua seconda fiera!<br />

Come apprendiamo dal testo del Di Re (p. 125), l’anno<br />

successivo il consiglio comunale decise di aumentare<br />

anche il contributo (da 6 a 60 scudi) per la festa<br />

religiosa che veniva ad assumere, in tale nuovo contesto,<br />

con prevedibile incremento di persone, di certo<br />

un ruolo più solenne. In seguito si cambiò giorno,<br />

per cui nel 1850 risulta “nell’ultima domenica di <strong>settembre</strong><br />

e dura tre giorni”.


Settembre<br />

2008<br />

Tonino Parmeggiani<br />

Come inquadramento storico del ruolo assunto dalle<br />

fiere, si legga quanto riportato nell’articolo su Valmontone,<br />

per una storia sulla Chiesa e sulla festa di Maria SS.ma<br />

del Soccorso, vedi: Luigi Roberti, ‘Maria Soccorso<br />

Nostro’, Montelanico, 1996. La città di Montelanico<br />

che non aveva mai avuta alcuna fiera, già nell’anno<br />

1820 aveva avviato una richiesta in tal senso ma<br />

per vari motivi dovette attendere ancora sei anni. Ad<br />

illustrare bene la vicenda ci viene in aiuto la “Relazione<br />

alla Santità di Nostro Signore Papa Leone XII…”, datata<br />

9 <strong>settembre</strong> 1826: «La Magistratura di Montelanico<br />

nell’anno 1820 implorò l’istituzione di una Fiera annuale<br />

nella terza Domenica di Settembre. Tale dimanda<br />

però è rimasta fino al dì d’oggi senza sortire alcun<br />

definitivo effetto, avvegnachè il Camerlengato non<br />

credè di aderirvi per essere un tal giorno festivo di<br />

precetto, ed insinuò invece di sceglierne uno feriale.<br />

La Comune suddetta si ristette dal più insistere,<br />

avendo dichiarato ancora di non essere in suo potere<br />

la eccessiva somma di scudi 48. in allora occorrente<br />

per tali concessioni. Torna in oggi però a rinnovare<br />

le sue istanze in proposito, ed implora che<br />

la suddetta Fiera siagli conceduta pel Lunedi susseguente<br />

alla terza Domenica di Settembre, da incominciare<br />

però alle ore 20. della Domenica stessa,<br />

non potendogli esser d’aggravio la tenue spesa<br />

di scudi dieci occorrente dopo le facilitazioni<br />

a questo riguardo accordate. Essendo il Pubblico<br />

Consiglio Comunale favorevole a tale dimanda,<br />

il Cardinal Camerlengo sarebbe del subordinato<br />

parere che la Santità Vostra si degnasse di<br />

benignamente aderirvi, limitandola peraltro al solo<br />

lunedì, escluso sempre in qualunque modo il giorno<br />

festivo» [Il carteggio si trova presso l’Archivio<br />

di Stato di Roma, Camerlengato, Parte Seconda,<br />

Busta 700, fasc. 186].<br />

Torniamo indietro nel tempo, in un mese centrale<br />

dell’anno 1820, il Gonfaloniere della<br />

Comune di Montelanico inviò una supplica (non<br />

datata) al Cardinal Camerlengo con la quale «rappresenta,<br />

che ricorrendo annualmente in detta<br />

Comune nella terza Domenica di Settembre la<br />

festa della Madonna SS.ma del Soccorso con<br />

numeroso intervento delle convicine Popolazioni,<br />

si desiderarebbe dal Popolo il privilegio di potere<br />

in detto giorno, e nel luogo della festa perpetuare<br />

l’uso della Fiera tanto di bestiame, che<br />

di mercanzie qualunque, che già altre volte dall’Em.za<br />

V.ra R.ma si è per rescritto ottenuta: costando<br />

dall’esperienza avuta essere molto vantagiosa,<br />

e comoda non solo alla Comune sì detta ma ben’anche<br />

a tutti li Commercianti convicini»<br />

[Archivio di Stato di Roma, Camerlengato,<br />

Parte Prima, Busta 92, fasc. 186].<br />

Il Delegato di Frosinone, nella camicia che<br />

racchiude i documenti, scrisse, il 23 di agosto<br />

(la Supplica era stata protocollata al giorno<br />

19, evidentemente era stata inoltrata qualche<br />

giorno prima, sperando di essere in tempo<br />

utile per la festa imminente): “che si scelga<br />

un giorno non festivo, altrimenti”. Così,<br />

subito radunato il Consiglio il giorno 27 agosto<br />

1820, «Li Signori Gonfaloniere, ed Anziani<br />

partecipano alle Signorie loro che avendo<br />

avanzata supplica…ci hà fatto sapere l’E.<br />

Sua R.ma per mezzo di Mr…Delegato<br />

Apostolico in Frosinone come da Sua veneratissima<br />

in data li 25 corrente Agosto… affinche<br />

avessimo fatto adunare il Consiglio acciò<br />

le Sig.e loro si risolvessero far celebrare<br />

la sudetta Fiera in un giorno non festivo di<br />

precetto, però ognuno su di ciò dica il suo<br />

parere». Due consiglieri, Francesco quem<br />

(fù) Giuseppe Raimondi e Vincenzo<br />

Palanche «arringando dicono che per utile<br />

di questa Popolazione e per lo smercio<br />

di generi, ed altro sarebbe bene che detta<br />

fiera si facesse il Lunedì immediatamente<br />

sequente la terza domenica di Settembre<br />

di ogn’Anno»: la proposta venne approvata<br />

con sedici voti contro due. Il Delegato Apostolico<br />

la inoltrò al Cardinale Camerlengo il 6 <strong>settembre</strong><br />

successivo; la cosa sembrava fatta<br />

ma, come abbiamo appreso sei anni dopo,<br />

venne interrotta perché la Comune non pagò<br />

i 48 scudi (in altri fogli è riportata la cifra<br />

di 42) dovuti per la tassa relativa. Sei anni<br />

35<br />

La fiera della Madonna del SS.mo Soccorso a Montelanico<br />

dopo, il 3 <strong>settembre</strong> 1826 [nel frattempo era intervenuta<br />

la Circolare del 26 marzo 1824 che riduceva<br />

la tassa a 10 scudi, stampa compresa!], il Comune<br />

approvò una nuova delibera «Il Sig. Giovanni<br />

Calamari Gonfaloniere, hà esposto, che desiderandosi<br />

da tutta questa Popolazione attivare la fiera nella<br />

festiva ricorrenza della Madonna SS.ma del Soccorso,<br />

che cade la 3° domenica di <strong>settembre</strong>, e siccome<br />

previe le sovrane disposizioni non si permettono le<br />

fiere in dì festivi, per ciò le SS. LL. risolvino, se credono<br />

attivarla il giorno avanti della fiera, ò pure il giorno<br />

dopo». Il primo a prendere la parola, Pasquale<br />

Iannucci «dice, che detta fiera è molto utile per la<br />

Comune, e per gli abitanti; e non potendosi ottenere<br />

per il dì festivo come sopra espresso, si domandi<br />

per il dì seguente..». Messa ai voti, la proposta<br />

venne approvata all’unanimità dei 14 presenti ma,<br />

nella successiva lettera di trasmissione al Camerlengato,<br />

venne aggiunta una condizione, non prevista nella<br />

delibera stessa «con aver principio detta fiera alle<br />

ore 20 della domenica suddetta, e terminare alle ore<br />

24 del lunedì», per cui nella nota dell’istruttoria del<br />

9 seguente venne ovviamente deciso di “escluderla,<br />

e di limitare la fiera stessa al solo lunedi”. Come<br />

avvenne in effetti nell’udienza di Sua Santità dell’11<br />

<strong>settembre</strong> 1826; il giorno 14 “Fatta ed impressa la<br />

Notificazione consueta si trasmetta al Delegato di Frosinone<br />

per la pubblicazione colle consuete cautele e colla<br />

richiesta della stabilita tassa di scudi 10 per competenze<br />

e spese di stampa”. Questi 10 scudi dovevano<br />

essere proprio di peso per il Comune se il 16<br />

novembre il Camerlengato dovette sollecitare il Delegato,<br />

questi il Comune … ed infine il 3 dicembre il Delegato<br />

inviò i 10 scudi richiesti. Montelanico aveva la sua<br />

prima fiera, della cui Notificazione rimane una bozza<br />

per la stampa, fatta su un altro esemplare. In seguito<br />

si cambiò giorno, per cui nel 1850 risulta “ Nel sabato<br />

che precede la terza Domenica di Settembre, e<br />

dura tre giorni”.


36<br />

Emanuela Ciarla<br />

L’aceto, uno dei condimenti per eccellenza, è<br />

una sostanza antichissima ricavata principalmente<br />

dal vino, ma anche dalla trasformazione della<br />

birra, del sidro e dell’acquavite. Ne troviamo notizia<br />

nella Bibbia, nel Talmud e delle tracce materiali<br />

nei vasi egizi, che risalgono a 10.000 anni<br />

fa, dalle quali si può dedurre che il primo utilizzo<br />

era sicuramente la conservazione dei cibi.<br />

In Oriente, precisamente nell’antica Cina, il boccale<br />

colmo di aceto era un immagine simbolo<br />

di vita. Sicuramente l’aceto è una<br />

delle prime scoperte alimentari, in<br />

quanto risulta legato alla possibilità<br />

di conservare i prodotti che la natura<br />

offre e per questo, paradossalmente,<br />

potrebbe essere stato<br />

realizzato prima del vino.<br />

Parlando del prodotto possiamo<br />

dire che si tratta di un condimento<br />

naturale, con un basso apporto di<br />

calorie, ottenuto con la fermentazione<br />

acetica svolta dai batteri omonimi<br />

(acetobacter e gluconobacter)<br />

secondo tre diversi metodi: l’olandese,<br />

in cui il vino viene collocato in una<br />

botte riempita a metà, il lussemburghese,<br />

ottenuto attraverso<br />

una botte girevole riempita di trucioli<br />

e il tedesco, anche detto rapido,<br />

in quanto il vino scende su strati<br />

di trucioli e dopo averli attraversati<br />

si trasforma in aceto. Può essere<br />

prodotto nella tipologia bianco<br />

o rosso, da vini D.O.C. o D.O.C.G.,<br />

aromatizzato, di mele, di miele di<br />

birra anche a doppio malto.<br />

Diluito in acqua era la bevanda di<br />

marinai, artigiani, contadini e soldati<br />

ed andava sotto il nome di posca<br />

ed era considerato un antidoto contro<br />

il contagio della peste. I<br />

Romani, che avevano imparato la<br />

tecnica di produzione dagli Etruschi,<br />

lo davano in dotazione alle loro armate<br />

fin dai tempi di Cesare, mentre nei ricchi banchetti<br />

mettevano vicino ad ogni commensale un<br />

acetabolo, cioè una ciotolina in cui si intingevano<br />

pezzetti di pane per pulire la bocca tra le innumerevoli<br />

portate. Ippocrate lo prescriveva<br />

miscelato al miele per curare il mal di gola. Cleopatra,<br />

famosa per le sue stravaganze, lo utilizzava con<br />

una perla liquefatta come lussuoso balsamo di<br />

bellezza. A Babilonia era impiegato come condimento<br />

e conservante, mentre in Grecia e a Roma<br />

nell’epoca imperiale lo usavano per i vegetali creando<br />

così una sorta di sottaceti, chiamandolo in<br />

modo diverso in relazione alla differente gradazione<br />

zuccherina (caroenum, defrutum, sopa o sapa).<br />

Riguardo alle ricette per produrlo Columella nel<br />

“De re rustica” del I sec. d.C. usa un vino evaporato<br />

come base a cui aggiunge fichi, sale, orzo<br />

tostato, noci, pigne, pinoli e ferri arroventati, ponendo<br />

il tutto in un luogo caldo ed arieggiato e in<br />

giare scolme. Naturalmente noi oggi possiamo<br />

solo immaginare il gusto del tempo, considerando<br />

che spesso i sapori erano mitigati dall’aggiunta<br />

di vini cotti, miele e frutta. Questi caratteri del<br />

gusto permangono spesso nelle cucine tradizionali<br />

del nord Europa e in quelle dell’Italia settentrionale.<br />

Ad Atene era il condimento prediletto e paradossalmente<br />

lo chiamavano “dolcezza”. Ne par-<br />

lano nei loro scritti Apicio, Plinio il Vecchio, Orazio,<br />

Marziale, Columella. I Romani preparavano salse<br />

e condimenti agrodolci con miele e vino cotto(defrutum),<br />

ma in generale lo impiegavano per<br />

conservare carni, pesci, formaggi, vegetali, aromatizzato<br />

o in salamoia. Famose erano le acetarie,<br />

una sorta di insalate di verdure e carni macinate,<br />

in cui l’aceto frollava le carni più tenaci.<br />

Una leggenda narrava che persino Annibale lo<br />

usò per superare le Alpi per sciogliere le rocce<br />

e permettere il passaggio degli elefanti nei valichi<br />

alpini. Durante le invasioni barbariche non<br />

se ne parla in quanto il contado risulta in abbandono,<br />

ma lo ritroviamo nel 1046 quando Enrico<br />

III di Franconia ricevette del pregiato aceto in<br />

Settembre<br />

2008<br />

dono da Bonifacio, padre di Matilde di Canossa,<br />

prodotto che secondo le cronache del tempo era<br />

definito “famoso aceto che si prepara nella luminosa<br />

rocca di Canossa”. La preziosa confezione<br />

in argento, con cui fu donato, era una botticella<br />

su un carro trainato da due buoi. Nel Medioevo<br />

l’aceto riprende terreno come balsamo e medicamento,<br />

però solo per re e prelati. Solo nel<br />

Rinascimento verrà usato di nuovo come condimento<br />

nella lussuosa ripresa delle tavole nobiliari.<br />

Alla corte degli Estensi, dove Cristoforo<br />

Messisburgo scrisse il più celebre trattato di cucina<br />

rinascimentale, egli stesso usò<br />

il suo celebre liquido, fatto di aceto<br />

forte di mosto e di mosto cotto,<br />

caratterizzando così questa corte<br />

come una delle più raffinate. Nel 1747<br />

la “Corporazione dei Cerusici” lo introdurrà<br />

ufficialmente in piccole dosi<br />

nell’alimentazione e a testimonianza<br />

di ciò, l’Ariosto, che ne era<br />

fine estimatore, lo considerava un<br />

elisir che rende sublimi anche le rape.<br />

Nella città di Marsiglia nel ‘700 si<br />

parlava dell’ aceto dei sette ladri.<br />

Si trattava di un prodotto in dotazione<br />

di una squadra di briganti, che<br />

rubavano l’aceto agli appestati e si<br />

immunizzavano dalla malattia facendo<br />

abluzioni e dedicandosi poi a razziare.<br />

Durante la Guerra di Secessione<br />

americana le truppe ne facevano uso<br />

come antidoto per lo scorbuto.<br />

Ritroviamo il nostro prodotto sotto<br />

la croce di Cristo: in quel momento<br />

non c’era più vino, allora i soldati<br />

bagnarono una spugna e la collocarono<br />

su un rametto di issopo,<br />

lo stesso arbusto con cui gli ebrei<br />

avevano segnato gli stipiti delle porte.<br />

Precisamente nel Vangelo di<br />

Giovanni (Gv 19,29-30) i soldati offrono<br />

a Gesù una bevanda a base di<br />

aceto:<br />

“Vi era lì un vaso pieno d’aceto; posero<br />

perciò una spugna imbevuta di<br />

aceto in cima a una canna e gliela accostarono<br />

alla bocca. E dopo aver ricevuto l’aceto, Gesù<br />

disse : “Tutto è compiuto!” . E chinato il capo<br />

spirò”<br />

Il vaso era forse quello della posca, che abbiamo<br />

già nominato. Naturalmente rimane sempre<br />

il dilemma se si trattasse di un gesto di compassione<br />

o di crudeltà. Il testo richiama un Salmo<br />

(Sal 69,21) dove il porgere aceto rappresenta<br />

un gesto che assume un significato di ostilità:<br />

“Nella mia sete, mi hanno dato a bere l’aceto”.<br />

In conclusione possiamo dire che effettivamente<br />

l’aceto costituisce l’ultima bevanda assunta da<br />

Cristo e quindi è l’ultimo segno della sua umanità.


“Regina da città’’<br />

Mamma do<br />

ciele Vergine Maria<br />

Madonna e tutte e figlie e chesta terra,<br />

siente sta voce fosse a’sta citta,<br />

te chiama a tiempe e tu arrive a me.<br />

Tu ca ma<br />

viste a crescere a guaglione<br />

e me vestite e tante sentimente<br />

pa’ gente so chiamate ò malamente<br />

Mara Della Vecchia<br />

Settembre<br />

2008<br />

Claudio Capretti<br />

Se dovessimo dare una definizione alla parola<br />

poesia,forse non sarebbe azzardato definirla come<br />

“il respiro dell’uomo”. A volte sgorga da un cuore<br />

felice di esistere,e allora attraverso le parole,<br />

l’animo del poeta, non potendo trattenere per<br />

se tanta gioia, si innalza in senso verticale,verso<br />

l’alto, cioè<br />

verso il suo Creatore,per poi ritornare sulla terra<br />

ed espandersi in senso orizzontale verso tutti<br />

coloro che la ascoltano coinvolgendoli nella<br />

sua gioia. Si trasforma quindi in preghiera di ringraziamento.<br />

Altre volte una poesia nasce da<br />

un cuore ferito,deluso di sé stesso e dagli altri,<br />

o schiacciato dai pesi che la vita porta con sé,e<br />

in questo caso si trasforma in una preghiera di<br />

soccorso. Ma sia in un caso che nell’altro la poesia<br />

ha lo scopo di condurci altrove,fuori da noi<br />

Nella basilica di S. Paolo fuori<br />

le mura a Roma ha avuto<br />

luogo, il 30 giugno scorso, l’inaugurazione<br />

dell’anno dedicato<br />

alle celebrazioni in onore<br />

di S. Paolo apostolo a duemila anni<br />

dalla sua nascita, si è tenuto in tale occasione<br />

uno straordinario concerto diretto<br />

dal Maestro Lorin Mazel. È stato eseguito<br />

il celebre oratorio di Joseph<br />

Hadyn la Creazione del mondo.<br />

Probabilmente non è proprio esatto classificare<br />

questa opera come oratorio in<br />

quanto il testo non è tratto direttamente da una narrazione<br />

biblica, come succede nel genere in oggetto,<br />

ma si tratta di un poema scritto da un letterato<br />

tedesco dell’epoca che lo tradusse da un componimento<br />

di un poeta inglese, a sua volta ispiratosi al<br />

Paradiso perduto di Milton. Dunque un origine del<br />

testo non proprio eccellente, ma questo non ha impedito<br />

a Hadyn di esprimere il meglio della sua creatività<br />

musicale.<br />

Questa grandiosa composizione è una delle ultime<br />

del musicista, eseguita per la prima volta a Vienna<br />

nel 1798, e dunque si arricchisce della enorme esperienza<br />

sinfonica del maestro.<br />

ma tu nù dice niente ma pecchè?<br />

Parlane che guappe a nomme mio<br />

nù stesse a sentere e chiacchiere da gente,<br />

io porto mpiette sempe ò nomme e Dio<br />

e nummò leve maie pe dinta’mente.<br />

Tu ca si a mamma miezze a tutte e mamme<br />

nu può restive a tutto ò male,<br />

tu cà può tutte cielo apri nu mare,<br />

arape e bracce strigneme mpiette a te,<br />

famme vulà po’ ciele comm’aucielle<br />

voglie vedè a bellezze a l’uocchie tuoie<br />

stà scritt’amore.<br />

stessi, prendere una “boccata d’aria” per poi<br />

rientrare in se stessi dopo aver ritrovato la luce<br />

della speranza. A scriverla non è principalmente<br />

il dotto o l’intellettuale, ma è l’uomo con tutte le<br />

sue umane debolezze,e le sue bellezze che porta<br />

racchiuse in sé. Il suo dono di essere poeta<br />

lo rende capace di vedere ciò che la gran parte<br />

della gente non vede,per questo ha il dovere<br />

di non tenere nulla per se ma trasmetterlo agli<br />

altri,di farli partecipi.<br />

Ma se la poesia che è soprattutto parola umana,<br />

può beneficare la nostra vita,quanto bene<br />

infinitamente più grande può operare in noi la<br />

Parola di Dio accolta e vissuta? Oggi siamo così<br />

obesi dall’abuso della tecnologia, diventando in<br />

questo modo dipendenti da infinite cose inutili.<br />

Ci siamo così disabituati all’ascolto della poesia,(a<br />

qualsiasi tipo di ascolto in generale) che<br />

Hadyn era un uomo gioioso, animato da una profonda<br />

spiritualità, pur essendo radicato nel suo tempo,<br />

del quale aveva accolto con convinzione gli ideali<br />

illuministici. Nella sua Creazione egli rende lode<br />

alla gloria di Dio, come creatore del mondo, ma anche<br />

come intelligenza ordinatrice del caos primigenio ed<br />

infatti l’oratorio si apre con la Rappresentazione del<br />

caos nella quale da un continuo variare armonico,<br />

ricco di dissonanze, emerge infine uno splendente<br />

ed energico accordo di do maggiore, che illumina e<br />

dà ragione all’inquietudine precedente.<br />

Sono gli angeli Raffaele (basso), Uriele (tenore), e<br />

Gabriele (soprano) che narrano i diversi momenti del-<br />

37<br />

Arape e braccia e figlie malamente<br />

fa che sta droga sa purtasse ò viente,<br />

e nu tormiente a vede e cire a gente,<br />

fa cà nu sentimmo ò frate che dice..”è cose e<br />

niente”.<br />

Tu ca si a mamma e tutte sfortunate<br />

Num può lasciare m’piette tante spine<br />

Stiennece e braccia tuoie tant’affatate<br />

Tu ca do ciele è ò mare e sta citta,…si a regina.<br />

Massimo Marigliano<br />

a mala pena trova un risicato spazio nella nostra<br />

vita, forse è anche per questo che siamo tutti<br />

un po’ più poveri. La prima volta che ho parlato<br />

con Massimo, mi ha detto di scrivere poesie<br />

solo dopo avermi parlato della sua storia,della<br />

sua famiglia. Ci siamo lasciati con l’impegno che<br />

un giorno me le avrebbe fatte leggere. Dopo un<br />

po’ di tempo quel giorno arrivò, e invece di farmele<br />

leggere le ha recitate, e allora insieme a<br />

tutti quelli che eravamo presenti in quel momento<br />

abbiamo riscoperto la bellezza della poesia,una<br />

bellezza che ora Massimo desidera condividere<br />

con tutti i lettori del nostro mensile diocesano.<br />

Massimo ha 39 anni,è sposato e padre di<br />

due figli,è detenuto presso la casa circondariale<br />

di <strong>Velletri</strong>. Massimo è soprattutto figlio di Dio e<br />

nostro fratello.<br />

la creazione.<br />

Il testo presenta spunti per la descrizione<br />

musicale degli eventi naturali: Raffaele<br />

nel recitativo canta la tempesta e la pioggia,<br />

mentre nella successiva aria eccolo<br />

dipingere la spuma del mare e la limpidezza<br />

dell’acqua del ruscello. Gabriele<br />

esalta la frescura del verde e Uriele lo<br />

splendore della del sole. Così, in successione,<br />

tutte le creature di Dio vengono<br />

cantate dai tre speciali narratori,<br />

ma quello che emerge chiaro da tutta<br />

la composizione è l’espressione della<br />

felicità e profonda gioia che l’uomo prova<br />

a contatto con il creato, di fronte a<br />

una natura incontaminata, sentimenti ed emozioni<br />

che lo stesso musicista condivideva e che riesce a<br />

comunicare attraverso il canto di tre personaggi talmente<br />

irreali e astratti, da poter rappresentare chiunque<br />

tra gli esseri umani nutra sincero amore e provi<br />

stupore per quanto è stato creato. L’opera termina<br />

con un solenne Alleluia, eseguito da un coro, che<br />

sigilla le intenzioni di una vita dedicata alla musica,<br />

con la quale Hadyn non cercato la celebrità e la ricchezza,<br />

ma ha vissuto come “servizio” e la sua Creazione<br />

è, oltre che una pagina di grande musica, una testimonianza<br />

della sua riconoscenza per una vita ben<br />

spesa.


38<br />

di Valentina Fioramonti<br />

Il cavaliere oscuro (The Dark Knight), Un film<br />

di Christopher Nolan, con Christian Bale, Heath<br />

Ledger, Gary Oldman, Michael Caine, Aaron Eckhart,<br />

Maggie Gyllenhaal, Morgan Freeman. Genere Azione,<br />

colore 152 minuti. - Produzione USA 2008. - Distribuzione<br />

Warner Bros Italia.<br />

È uno dei film più attesi dell’anno, se non il più atteso<br />

in assoluto. Sicuramente il merito è dei grandi<br />

nomi del cast artistico, soprattutto per quel Christian<br />

Bale che ha saputo interpretare in modo magistrale<br />

il supereroe negli ultimi due film di Barman firmati<br />

da Christopher Nolan. Ma a suscitare un così tanto<br />

interesse intorno a Il cavaliere oscuro – The dark<br />

knight è il fatto che questa sarà l’ultima pellicola<br />

in cui potremo vedere in vita Heath Ledger, l’attore<br />

australiano morto a gennaio di quest’anno in<br />

circostanze ancora da chiarire. Il Joker interpretato<br />

da Heath Ledger sembra valere già da solo<br />

l’intero film, al punto che in molti hanno già chiesto<br />

che venga riconosciuto all’attore un Oscar postumo.<br />

Peter Travers, critico di “Rolling Stone America” che<br />

ha avuto l’onore di assistere ad una proiezione privata<br />

del film, in un articolo esprime tutto l’entusiasmo<br />

per il film e per l’interpretazione di Ledger: “Non<br />

posso che elogiare Ledger, che è stravagante, pazzesco<br />

e brillante come Joker”. Verrebbe quasi di accostarlo,<br />

a mio parere, alla figura classica del Diavolo<br />

in una Sacra Rappresentazione. Un Joker che, sempre<br />

secondo Travis, supera di gran lunga la già meravigliosa<br />

interpretazione che ne diede Jack Nicholson<br />

nel Batman di Tim Burton, per anni citato come esempio<br />

migliore di interpretazione del cattivo nella storia<br />

del cinema.<br />

Il Barman di Cristopher Nolan sembra uscire vincente<br />

dal confronto con le versioni che lo hano preceduto:<br />

da Tim Burton a Joel Schumacher, passando per<br />

molte altre ancora, più o meno riuscite.<br />

Quasi tutti i titolari dei grandi quotidiani hanno posto<br />

il problema morale, cosa che in America non succede<br />

quasi mai. Risultato: in America Il cavaliere oscuro<br />

è stato vietato ai minori, mentre da noi è per tutti.<br />

Sembra infatti che chi decide la distribuzione di<br />

un film in Europa abbia capito ciò che i ragazzini appassionati<br />

di fumetti sanno già da un po’: e cioè che c’è<br />

ben altro dietro la violenza di Batman o il ghigno diabolico<br />

di Joker. La violenza di Batman è sempre indirizzata<br />

alla giustizia; Batman è un eroe, combatte il<br />

male, e il male è organizzato, violento e spietato, e<br />

per combatterlo occorrono forza e violenza maggiori.<br />

Travers continua dicendo che “Il cavaliere oscuro crea<br />

un luogo dove bene e male - che solitamente si scontrano<br />

- decidono invece di accettare la sfida e danzare.<br />

Non voglio ucciderti, rivela il Joker psicopatico<br />

di Heath Ledger al prode Batman di Christian Bale.<br />

Tu mi completi”.<br />

Il tributo di Masaccio<br />

Don Marco Nemesi<br />

Nella Chiesa di Santa Maria del Carmine a Firenze,<br />

si conserva una delle più alte testimonianze della<br />

pittura di tutti i tempi: gli affreschi della Cappella<br />

Brancacci; commissionati nel 1424 a Masolino<br />

da Panicale, dal mercante Felice Brancacci, ma<br />

buona parte degli affreschi furono opera dell’allievo<br />

di Masolino: Masaccio e dopo la morte di quest’ultimo,<br />

il lavoro fu terminato da Filippino Lippi.<br />

Attraverso le dodici scene con il Peccato<br />

Originale e le Storie della vita di San Pietro si<br />

illustra la storia della salvezza realizzata dalla<br />

Chiesa attraverso Pietro. Tra tutti gli affreschi<br />

presenti “notabilissimo” - come scrive Vasari -<br />

è “Il tributo” di Masaccio che narra l’episodio tratto<br />

dal vangelo di Matteo (17, 24-27) nel quale<br />

è descritto l’ingresso di Cristo e dei suoi dodi-<br />

ci apostoli nella città di Cafarnao. Come<br />

di consuetudine, il gabelliere pretende<br />

da loro un tributo per poter visitare<br />

il tempio all’interno della città; Gesù<br />

pur ironizzando sul fatto che proprio<br />

il figlio di Cristo debba pagare per accedere<br />

alle case del padre, non vuole<br />

trasgredire le leggi degli avi e a tal fine<br />

incarica Pietro di pescare un pesce nella<br />

cui bocca troverà miracolosamente<br />

una moneta d’argento per pagare<br />

la tassa dovuta.<br />

L’artista concentra nello stesso dipinto<br />

tre momenti temporalmente diversi.<br />

Il primo, al centro, corrisponde a<br />

quando il gabelliere, rappresentato di<br />

spalle, esige il tributo da Gesù. Si tratta<br />

di una rappresentazione di grande<br />

Settembre<br />

2008<br />

Volendo giocare con la psicoanalisi, prendiamo<br />

a supporto i tre ruoli del modello sociale e psicologico<br />

noto come triangolo drammatico di Stephen<br />

Karpman: vittima, persecutore e salvatore.<br />

All’interno della formula, vittima, persecutore e salvatore<br />

si scambiano di ruolo, incarnando ora l’uno<br />

ora l’altro. Questa formula è riscontrabile nel<br />

nuovo film di Christopher Nolan dove Joker interpreta<br />

il persecutore, Batman il salvatore e il procuratore<br />

Harvey Dent (Aaron Eckhart) la vittima.<br />

È proprio il Joker di Heath Ledger a mischiare le<br />

carte nel tentativo di tirare fuori il lato oscuro dai<br />

suoi nemici. Joker vuole annientare Batman, dimostrare<br />

che ognuno ha un prezzo e che persino Batman<br />

può essere comprato in modo tale da compromettere<br />

i suoi principi di giustizia.<br />

È una favola politico-filosofica, questo bel Batman<br />

di Christopher Nolan, in cui ognuno sarà tentato<br />

di vederci una propria morale. Batman è il volto<br />

favolistico, e si potrebbe anche dire mitico, dell’ideologia<br />

della tolleranza zero, dell’ossessione<br />

dell’ordine e della sicurezza. Qualcuno dirà che<br />

è solo un fumetto, ma tra una sequenza e l’altra la<br />

narrazione riesce a trasmettere il brivido che danno<br />

certe orribili notizie di cronaca in cui la cattiveria umana<br />

si scatena in modo inspiegabile. L’ambizione di<br />

Nolan è stata proprio quella di elevare il comic a dimensione<br />

simbolico-monumentale.<br />

Così come è simbolica la rappresentazione di Gotham<br />

City, rifatta con realismo a Chicago, con immagini quasi<br />

sempre buie, sciorinate da ritmi così martellanti e<br />

affannati da risultare inarrestabili. Senza una pausa,<br />

solo azione allo stato puro. E’ il principio solidissimo<br />

del “Cliffhanger”, il film d’azione col cuore in gola, integrato<br />

però con la tecnica narrativa delle ultime serie<br />

televisive di grande successo, che proprio sulla moltiplicazione<br />

dei personaggi e delle azioni in parallelo<br />

basano la propria efficaciaUn colossal, certo. Sicuramente<br />

un campione di incassi, ma con intelligenza e sapienza.


Settembre<br />

2008<br />

intensità in quanto in essa Masaccio mette ben<br />

in evidenza l’incredulità e lo stupore nei volti degli<br />

apostoli che si guardano fra loro, incerti sul da<br />

farsi, poiché nessuno di essi possiede il denaro<br />

necessario. In questa scena vi è già il preannuncio<br />

di quella successiva posta in secondo<br />

piano sulla sinistra. Cristo comanda imperiosamente<br />

a Pietro di recarsi a pescare e questi indica a<br />

sua volta il lago di Tiberiade, quasi a chiedere<br />

conferma di un ordine che, in quel momento, gli<br />

sembra un po’ singolare (da notare il braccio destro<br />

di Gesù indicante il lago, rafforzato e amplificato<br />

dal braccio destro di Pietro). Sulla riva a sinistra<br />

è raffigurato Pietro, da solo, intento alla pesca<br />

prodigiosa. A destra, infine, nuovamente in primo<br />

piano, ricompare il momento in cui, con un<br />

gesto deciso, consegna il denaro all’esattore.<br />

Il punto principale dell’affresco è Cristo e le leggi<br />

ottiche vengono da Masaccio usate per indirizzare<br />

la nostra attenzione a Lui e sono rappresentate<br />

come sotto il suo controllo; infatti le<br />

linee di fuga delle grondaie,<br />

delle finestre e degli scalini<br />

dell’edificio posto a<br />

destra dell’affresco conducono<br />

il nostro sguardo al<br />

loro punto di intersezione<br />

che coincide con il volto di<br />

Cristo. Masaccio considera<br />

la soluzione spaziale non<br />

come un problema esclusivamente<br />

geometrico, ma<br />

come un problema estetico,<br />

non come un insieme<br />

di regole da applicare, ma<br />

come un metodo espressivo<br />

del suo modo di concepire<br />

la vita e la storia.<br />

La prospettiva aiuta non solo a dare<br />

coesione all’intera opera, ma contribuisce<br />

a proporre una gerarchia di valori<br />

e a dare un accento di realismo all’avvenimento<br />

che viene descritto.<br />

Masaccio utilizza la prospettiva come metafora<br />

per comunicarci la sua concezione cristocentrica<br />

della vita, usa l’innovativo strumento prospettico<br />

per comunicarci l’Avvenimento di Cristo che<br />

giunge a noi attraverso la tradizione.<br />

Per evidenziare il realismo dell’intero racconto<br />

Masaccio rappresenta Cristo e gli altri personaggi<br />

come persone concrete, in carne ed ossa, ben<br />

studiate anatomicamente, tanto umane da<br />

proiettare una consistente quantità di ombre sul<br />

terreno. Nel suo complesso, la scena risulta profondamente<br />

umana per via dei gesti ripetuti e<br />

degli sguardi drammatici. Gesti e sguardi inducono<br />

a pensare che l’affresco abbia un significato<br />

più profondo di<br />

quanto si riesca a<br />

cogliere a prima<br />

vista. I personaggi<br />

sono esseri umani<br />

ben caratterizzati<br />

singolarmente tanto<br />

che mai si ha l’impressione<br />

di avere<br />

davanti ai propri<br />

occhi una folla od<br />

un gruppo anonimo.<br />

Pur trattandosi di<br />

uomini semplici,<br />

Masaccio descrive<br />

gli apostoli come persone<br />

piene di dignità,<br />

familiari fra loro,<br />

perché hanno incontrato<br />

il significato dell’esistenza,<br />

Cristo,<br />

da cui originano la<br />

grandezza e la<br />

dignità dell’uomo.<br />

S. Pietro appare<br />

39<br />

tre volte nell’affresco; nella zona centrale ripete<br />

il gesto di Cristo, fissando lo sguardo in Lui.<br />

Questa pronta immedesimazione coincide con<br />

la richiesta che la sua umanità sia assimilata sempre<br />

di più a Cristo.<br />

Il suo sguardo infatti è carico di stupore per quell’uomo<br />

che gli rivela l’inimmaginabile, cioè svela<br />

ciò a cui il suo cuore anela e che la sola ragione<br />

non può raggiungere.<br />

Il gabelliere, costituendo un ostacolo imprevisto,<br />

con la sua robusta prestanza fisica e con un inconfutabile<br />

gesto, sbarra la strada a Cristo e ai Dodici;<br />

per loro la sua presenza, però, si rivela essere<br />

un’occasione propizia per un avvenimento<br />

imprevedibile. Si capisce quindi, perché Masaccio


dà maggiore spazio alla descrizione di Gesù<br />

e dei suoi apostoli, piuttosto che soffermarsi<br />

sul miracolo che accade sulle rive del mare<br />

di Galilea: perché nella nostra vita quotidiana,<br />

in ogni istante di ogni ora, anche nei momenti<br />

di maggiore difficoltà, quando le cose non<br />

vanno come noi vorremmo, può accadere<br />

il miracolo di una Presenza eccezionale<br />

che riesce a dare senso alle nostre contrarietà,<br />

anzi le valorizza.<br />

Nonostante l’artificio di rappresentare contemporaneamente<br />

tre azioni successive,<br />

la prospettiva adottata dall’artista è sempre<br />

la stessa; essa unifica pertanto sia lo<br />

spazio sia il tempo in una visione chiara<br />

e unitaria della realtà. Il paesaggio appare<br />

brullo e desolato, con le montagne che,<br />

per accentuare il senso della prospettiva,<br />

sono disposte in una successione cromatica:<br />

verdi quelle più vicine e grigio-azzurrognole<br />

quelle in lontananza, con le vette imbiancate<br />

di neve. Anche le architetture sulla destra,<br />

ispirate all’edilizia fiorentina del tempo, contribuiscono<br />

alla definizione spaziale della scena,<br />

creando un insieme di volumi puri e geometricamente<br />

ben definiti. Poiché le ombre proiettate<br />

per terra dai vari personaggi hanno tutte<br />

una stessa direzione, la fonte luminosa che<br />

Masaccio utilizza è evidentemente unica (il sole)<br />

e viene immaginata proveniente dal lato destro,<br />

in alto, fuori dai limiti dell’affresco. Dopo il restauro,<br />

la scena appare cromaticamente caratterizzata<br />

dall’uso di tinte vivaci che ben si addicono<br />

a persone vive. È da notare la scelta dei<br />

colori dell’abbigliamento di Cristo che<br />

Masaccio deriva dalla tradizionale iconografia:<br />

tunica rossa e mantello azzurro. Il rosso,<br />

colore della regalità e della divinità, poggia<br />

direttamente sul corpo di Cristo; il blu, colore<br />

usato per indicare l’umanità, è posto sopra<br />

il rosso.<br />

Cristo, pur essendo vero Dio, ha assunto su<br />

di Sé la natura umana. Il tributo è l’opera con<br />

cui ogni storia dell’arte si misura, nel presentare<br />

la figura di Masaccio. Non sembra particolarmente<br />

convincente il riferimento spesso presentato<br />

alla situazione storica fiorentina di allora,<br />

come se Il tributo volesse quasi essere un invito,<br />

un’approvazione al gesto esattoriale.<br />

Non dobbiamo, infatti, dimenticare che nell’episodio<br />

evangelico riprodotto non si tratta<br />

del problema delle tasse civili. Il tema<br />

della tassazione è, invece, un aspetto del<br />

più noto brano evangelico del “Date a Cesare<br />

quel che è di Cesare” che, comunque, è<br />

espressione che, nel testo evangelico, prelude<br />

all’invito finale, con il quale il Cristo<br />

capovolge la domanda iniziale, rivolto ad<br />

ogni uomo perché, se con tanta facilità è<br />

disposto ad obbedire a qualsiasi potere<br />

terreno, usando la sua monetazione e le<br />

successive tassazioni, sia piuttosto teso<br />

al servizio di Dio, al “rendere a Dio quel<br />

che è di Dio”, lui che un potere ben maggiore<br />

di Cesare ha sulla vita degli uomini. Il<br />

brano evangelico è tutto teso a mostrare che<br />

Gesù è il Figlio di Dio, e perciò anche il padrone<br />

del Tempio.<br />

Il testo afferma, infatti, che ai figli non è mai<br />

chiesta una tassa dal proprio padre. È solo<br />

per non scandalizzare che Gesù acconsente<br />

a provvedere all’offerta per il culto del<br />

Tempio, attraverso il miracolo della moneta<br />

presa dalla bocca del pesce.

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!