Quaderno delle Olimpiadi" a cura di Augusto Rosati - Lo sport italiano

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Pur nella convinzione che ogni edizione dei Giochi abbia una propria storia a se stante, e come tale debba essere letta e vissuta, vi proponiamo con questo opuscolo un breve “excursus” (osiamo definirlo una sorta di “piccolo Bignami”) su quello che i ciclisti italiani hanno saputo offrire nel corso delle ventotto olimpiadi, da Atene 1896 a Sydney 2000. Potrà servire per entrare in quel clima agonistico che fra pochissimi giorni si riproporrà, di nuovo dopo 108 anni, nella capitale ellenica, con l’auspicio che i tredici azzurri chiamati in questa nuova occasione a rappresentare l’Italia della bicicletta, sappiano confermare ancora una volta il ruolo di protagonista del nostro movimento ciclistico.
CICLISMO ONNIPRESENTE Il ciclismo è una delle pochissime discipline che hanno fatto parte da sempre del programma delle Olimpiadi moderne: la storia, che molto brevemente riporteremo nelle righe successive, mette in risalto che, almeno nelle prime edizioni, e comunque fino al 1920, le specialità in programma, in particolare quelle della pista, non furono sempre le stesse, ma addirittura si svolsero gare su distanze diverse e con regole tra le più disparate. La stessa prova su strada (che però non si effettuò nella seconda, terza e quarta edizione dei Giochi) si propose spesso in modo “ballerino”, qualche volta secondo la modalità classica in linea, altre volte come gara contro il tempo. Anche la cronometro a squadre non si svolse subito così come oggi la conosciamo (vale a dire quattro corridori per team impegnati in modo contemporaneo e tempo preso sul terzo concorrente): fino al 1956 compreso (parliamo quindi di Melbourne) la classifica era stilata tenuto conto della sommatoria dei tempi fatti registrare da ciascun atleta di ciascuna nazione nella gara individuale. Altra annotazione interessante riguarda la pista, le cui gare in assoluto vantano la maggiore presenza nel programma delle Olimpiadi: infatti solo nell’edizione di Stoccolma (1912) non si svolsero le prove del “tondino”. E sempre su questo argomento, altra curiosità storica riguarda le prove che per tantissime edizioni (da quella del 1924 fino a quella del 1992) sono state punti di riferimento di questa disciplina: ci riferiamo alla velocità individuale, alla velocità tandem, al chilometro da fermo ed all’inseguimento individuale, anche se di tanto in tanto non mancò qualche inserimento, come ad esempio fu l’inseguimento individuale, che fece la sua comparsa da Tokyo 1964, o il depennamento del tandem a partire dal 1972. E’ a partire dalle ultime due edizioni che il programma fu ampliato e soprattutto adeguato alle rinnovate esigenze di questo sempre affascinante e spettacolare segmento del ciclismo. Discorso a parte merita poi il settore femminile, che fece il suo ingresso nel mondo olimpico delle due ruote solo a partire dai Giochi di Los Angeles nel 1984: fino all’edizione di Barcellona del 1992 in programma era solo la gara su strada. Poi, a partire dal 1996, si aggiunsero altre specialità. Altro momento importante della storia olimpica delle due ruo- il quaderno delle olimpiadi La storia siamo noi... del ciclismo te fu alle Olimpiadi di Atlanta (siamo nel 1996), ove fu dato spazio alle due gare, maschile e femminile, del MTB, con l’introduzione della specialità del crosscountry. Questi due eventi hanno subito riscontrato il massimo successo, sia in termini di spettatori presenti sul circuito, sia per quanto concerne l’audience televisiva. Facciamo ora un breve excursus su quanto accadde nelle varie edizioni per quanto concerne il nostro sport. ATENE 1896 Il primo atleta a vincere una prova di ciclismo alle Olimpiadi (era una gara in linea) fu il greco Aristidis Konstantinidis. La medaglia d’argento fu del tedesco August Goedrich, mentre il bronzo fu dell’inglese Edward Battel. Interessante sapere che il percorso di gara si articolò da Atene a Maratona e ritorno, per un totale di 84 km e 390 metri (ndr: l’omonima storica gara di corsa misura infatti 42 chilometri e 195 metri). L’arrivo era fissato al velodromo Phaliron, impianto a quel tempo esistente nella capitale greca. Oltre alla gara su strada anche alcune prove su pista: innanzitutto due specialità cosiddette “canoniche” per il mondo dei velodromi, vale a dire la velocità individuale ed il chilometro da fermo (entrambe vinte dal francese Paul Masson). Ci furono poi anche la 100 km (la vinse il francese Leon Flameng sull’atleta di casa Georgios Colettis), la 10 km (la vinse ancora Paul Masson, che fu quindi l’eroe di questa edizione), ed ancora una “Dodici ore”, vinta dall’austriaco Adolf Schmal. Nessuna informazione di rilievo sugli azzurri. PARIGI 1900 – ST LOUIS 1904 Dall’edizione successiva di Parigi (1900) fino a quella di Londra, come abbiamo accennato nelle righe precedenti, non ci fu alcuna prova su strada, ma solo la pista ebbe concentrata la luce dei “riflettori” olimpici. Nella capitale francese si svolse infatti la velocità individuale e la “25 km” (specialità dominata dal francese Louis Bastien), mentre quattro anni dopo, a St.Louis, negli States, oltre alla velocità si svolsero una serie di prove su distanza crescente (1/4 miglio pari a 402,3 mt;1/3 numero 32 Il Mondo del Ciclismo III
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