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ARCHIVIO<br />

e<br />

TERRITORIO<br />

Atti della giornata <strong>di</strong> stu<strong>di</strong><br />

in onore <strong>di</strong><br />

monsignor Leonardo Botta<br />

a cura <strong>di</strong><br />

Massimiliana Bugli e Santino Mammola<br />

Finale Ligure<br />

Chiesa <strong>di</strong> Santa Maria Maddalena<br />

Confraternita dei Neri


Proprietà letteraria riservata.<br />

I <strong>di</strong>ritti <strong>di</strong> memorizzazione elettronica, <strong>di</strong> riproduzione e <strong>di</strong> adattamento totale e<br />

parziale con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono<br />

riservati per tutti i Paesi.<br />

L’E<strong>di</strong>tore si <strong>di</strong>chiara pienamente <strong>di</strong>sponibile a sod<strong>di</strong>sfare eventuali oneri derivanti<br />

da <strong>di</strong>ritti <strong>di</strong> riproduzione per le immagini <strong>di</strong> cui non sia stato possibile reperire gli<br />

aventi <strong>di</strong>ritto. È vietata la riproduzione, con qualsiasi proce<strong>di</strong>mento, della presente<br />

o parti <strong>di</strong> essa.<br />

Riproduzioni fotografiche del saggio <strong>di</strong> Cristina Gamberini: proprietà A.S.P. Opere<br />

Sociali N.S. Misericor<strong>di</strong>a <strong>di</strong> <strong>Savona</strong> - Prot. n. 2816 del 24 novembre 2011.<br />

© 2012 - Parrocchia <strong>di</strong> San Giovanni Battista - Finale Ligure (SV)<br />

Progetto grafico, fotocomposizione, stampa e legatura:<br />

Tipo-litografia Grafica Santhiatese - Corso Nuova Italia 15/b - 13048 Santhià (VC)<br />

Tel. +39 0161 94287 - +39 0161 935814 - Fax +39 0161 990136<br />

E-mail: grafica@graficasanthiatese.it<br />

Finito <strong>di</strong> stampare nel mese <strong>di</strong> novembre 2012<br />

ISBN 978-88-9074-980-3<br />

In copertina:<br />

Finale Ligure - Processione del Corpus Domini (?) - Primo quarto del XX secolo (?).<br />

Immagine tratta dal sito internet <strong>di</strong> Emilio Rescigno (www.finaleligureonline.net).<br />

Elaborazione grafica a cura <strong>di</strong> Fabio Taramasco.


Prefazione<br />

Sono lieto <strong>di</strong> presentare la pubblicazione degli Atti della Giornata <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> de<strong>di</strong>cata a<br />

monsignor Leonardo Botta, <strong>di</strong>rettore e insostituibile punto <strong>di</strong> riferimento dell’Archivio<br />

Storico Diocesano della <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> <strong>Savona</strong>-<strong>Noli</strong> negli ultimi decenni.<br />

Si tratta <strong>di</strong> una serie <strong>di</strong> ricerche documentarie svolte utilizzando in gran parte<br />

materiale ine<strong>di</strong>to conservato proprio presso l’archivio <strong>di</strong> cui monsignor Botta è stato<br />

per tanto tempo attento custode.<br />

Un ringraziamento e un riconoscimento dovuto a un uomo che, con la sua cultura<br />

e la sua <strong>di</strong>sponibilità, tanto ha dato alla storia e all’arte del territorio della <strong>di</strong>ocesi<br />

savonese.<br />

Per la Giornata <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>, il 16 ottobre 2010, sono stati coinvolti in questa iniziativa<br />

appassionati e stu<strong>di</strong>osi <strong>di</strong> rilievo, tra cui il dottor Giovanni Assereto, professore <strong>di</strong><br />

storia moderna presso l’Università <strong>di</strong> Genova, Massimo Bartoletti, esperto <strong>di</strong> storia<br />

dell’arte moderna del ponente ligure, Romilda Saggini, archivista e storica savonese,<br />

solo per citarne alcuni.<br />

La scelta dell’Oratorio dei Neri <strong>di</strong> Finalmarina come sede dell’iniziativa non è stata<br />

casuale: proprio Finalmarina è stata la seconda casa <strong>di</strong> monsignor Botta, per tanti anni<br />

amato parroco <strong>di</strong> San Giovanni Battista; il territorio finalese, inoltre, è stato da sempre<br />

oggetto <strong>di</strong> interesse in <strong>di</strong>versi ambiti <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o, dallo storico, al geologico,<br />

all’archeologico, all’artistico, tutti presenti nell’attività <strong>di</strong> don Mario Scarrone, parroco<br />

del paese <strong>di</strong> Perti nel finalese, e responsabile dell’Archivio Storico Diocesano fino alla<br />

morte avvenuta nel 1984. E don Botta ha saputo coniugare, quale suo degno erede, un<br />

appassionato interesse per tutto ciò che è memoria con la propria preparazione storica<br />

e archivistica, riuscendo a rendere il Passato un approfon<strong>di</strong>mento <strong>di</strong> umanità.<br />

<strong>Savona</strong>, 20 giugno 2012<br />

3<br />

Vittorio Lupi<br />

Vescovo <strong>di</strong> <strong>Savona</strong>-<strong>Noli</strong>


Monsignor Vivaldo, don Scarrone, don Botta: il patrimonio<br />

documentario della <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> <strong>Savona</strong>-<strong>Noli</strong> continua<br />

a <strong>di</strong>alogare con chi intenda conoscere la storia del territorio<br />

Massimiliana Bugli<br />

Premessa<br />

Archivio Storico Diocesano <strong>di</strong> <strong>Savona</strong>-<strong>Noli</strong> è la definizione scelta dal vescovo<br />

Lanfranconi e da monsignor Botta nel Decreto <strong>di</strong> erezione dell’Archivio<br />

principale della <strong>Diocesi</strong> dell’11 ottobre 1999 e nel relativo Regolamento<br />

sottoscritto dal vescovo stesso. Seguendo le in<strong>di</strong>cazioni date dalla CEI l’anno<br />

precedente, vengono definite le caratteristiche e le finalità <strong>di</strong> questa<br />

istituzione: la raccolta e la conservazione <strong>di</strong> tutto il materiale documentario<br />

degli enti religiosi esistenti sul territorio della <strong>Diocesi</strong> dal momento in cui,<br />

superato il termine della propria funzione strettamente amministrativa e<br />

giuri<strong>di</strong>ca, acquistano anche rilievo storico. Si tratta <strong>di</strong> materiale documentario<br />

proveniente dalla Curia <strong>di</strong>ocesana, dai Capitoli, dalle Parrocchie, dal<br />

Seminario, dagli Uffici pastorali e amministrativi, dalle Confraternite e da altri<br />

enti operanti nel territorio <strong>di</strong>ocesano.<br />

La formazione delle prime raccolte documentarie della chiesa savonese<br />

coincide con la costituzione dei patrimoni ecclesiastici vescovile e capitolare,<br />

e con l’iniziare dell’esercizio della giuris<strong>di</strong>zione del vescovo e della sua curia,<br />

a partire dalla fine del X secolo. Nel 1238 è creata la <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> <strong>Noli</strong>,<br />

smembrando questa pieve, con l’abbazia <strong>di</strong> Sant’Eugenio <strong>di</strong> Bergeggi, dalla<br />

<strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> <strong>Savona</strong>; nel 1820 è riunita a quella <strong>di</strong> <strong>Savona</strong> e cessa <strong>di</strong> esistere nel<br />

1986 con la creazione della <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> <strong>Savona</strong>-<strong>Noli</strong>.<br />

L’Archivio Vescovile <strong>di</strong> <strong>Savona</strong> si forma quin<strong>di</strong> intorno ai due primitivi<br />

nuclei <strong>di</strong> scritture dell’amministrazione della mensa e della cancelleria,<br />

sviluppandosi poi soprattutto a partire dall’età post-tridentina. Viene eretto<br />

ufficialmente dal vescovo Pier Francesco Costa, a norma dei decreti <strong>di</strong> Sisto V<br />

del 1588, anche se proprio grazie alla lettura <strong>di</strong> alcuni documenti a tutt’oggi<br />

consultabili nell’archivio attuale, è possibile anticipare <strong>di</strong> almeno quin<strong>di</strong>ci anni<br />

5


la presenza <strong>di</strong> un archivio vescovile 1 . Nel primo Sinodo del 12 aprile 1589 il<br />

vescovo stabilisce che verrà istituito un archivio <strong>di</strong>ocesano, in cui si conserverà<br />

copia dei documenti riguardanti tutti gli enti ecclesiastici e degli inventari dei<br />

beni. Il secondo Sinodo del 9 aprile 1592 contiene un lungo decreto<br />

sull’Archivio: “avevamo stabilito – vi si legge – <strong>di</strong> erigere l’archivio; ma son<br />

venuti tempi <strong>di</strong> estrema povertà per il clero, non si poté fare quanto volevamo:<br />

e<strong>di</strong>fici e arma<strong>di</strong>; raccoglieremo però egualmente i documenti che si devono<br />

raccogliere, e l’incaricato è prete Gaspare Muzio, nostro notaio”. Il terzo<br />

Sinodo del 17 novembre 1594 contiene alcune norme sull’Archivio e la<br />

formula per compilare gli inventari 2 . Alcuni documenti tra il 1626 e il 1633,<br />

stilati in gran parte dal notaio vescovile Pellerio, e attualmente conservati<br />

presso questo archivio, contengono in<strong>di</strong>cazioni sulla raccolta del materiale<br />

documentario della Cancelleria, della Mensa vescovile, e sulla conservazione<br />

dei registri parrocchiali 3 .<br />

La lettura <strong>di</strong> un documento <strong>di</strong> circa tre secoli più tar<strong>di</strong> qui conservato sta<br />

però a testimoniare come questa attenzione alla conservazione documentaria<br />

non sia stata poi così osservata. In risposta a una sorta <strong>di</strong> questionario relativo<br />

alla situazione degli archivi ecclesiastici inviato dal Vicario Generale della<br />

<strong>Diocesi</strong> <strong>di</strong> Genova il 9 agosto 1917, il vescovo Scatti <strong>di</strong>chiara che nella <strong>di</strong>ocesi<br />

<strong>di</strong> <strong>Savona</strong> non esiste un archivio vescovile, sottolineando che “la Curia<br />

vescovile potrebbe tenerne le veci”. Secondo quanto affermato da monsignor<br />

Scatti la Curia vescovile non possiederebbe alcuna pergamena antica, né<br />

co<strong>di</strong>ci cartacei; le filze degli atti anteriori al 1600 sarebbero esigue e in cattivo<br />

stato, mentre quelle posteriori più copiose ma in <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ne. Nel rispondere al<br />

1 Un documento del secolo XVI, oggi conservato in questa sede, testimonia un contenzioso<br />

sulla conservazione delle chiavi dell’archivio tra il vescovo e l’ex cancelliere, che ne riven<strong>di</strong>ca<br />

il <strong>di</strong>ritto. Il <strong>di</strong>saccordo nasce in riferimento a quanto <strong>di</strong>sposto dal cancelliere provinciale <strong>di</strong><br />

Milano nel 1573: “[...] che dentro l’Archivio episcopale sia deputato luogo certo dove il<br />

cancelliere e il notaio pongano ogni anno i processi e le sentenze che d’anno in anno si vanno<br />

facendo; e questo luogo sia chiuso a due chiavi l’una delle quali tenga il vescovo restando<br />

l’altra al cancelliere […]”.<br />

Un’altra conferma della volontà <strong>di</strong> conservare in una sede appropriata la documentazione si<br />

trova in un documento del 1582, durante l’episcopato <strong>di</strong> Domenico Grimal<strong>di</strong>, in cui il prete<br />

Sebastiano Lamberto si rifiuta <strong>di</strong> consegnare al cancelliere vescovile una serie <strong>di</strong> documenti<br />

“omnes protocolos filsas…” da conservare presso la curia episcopale.<br />

2 Constitutiones et Decreta in Dioecesanis Syno<strong>di</strong>s sex con<strong>di</strong>ta, ab illustriss. Ac Reveren<strong>di</strong>ss.<br />

DD. Petro Francisco Costa, Dei, & Apostolicae Se<strong>di</strong>s gratia Episcopo Savonen. Nunc apud…<br />

Taurini, Apud Aloysium Pizzamilium Typographum Ducalem, 1623, p. 109.<br />

3 Questa, come la documentazione citata nella nota 1, è conservata presso l’Archivio Storico<br />

Diocesano <strong>di</strong> <strong>Savona</strong>-<strong>Noli</strong>, Fondo Scarrone, faldone 4bis, sala 2, scaf. 20, colonna A1.<br />

6


quesito relativo all’Archivio Capitolare, monsignor Scatti sembra essere a<br />

conoscenza solo dell’esistenza delle pergamene, <strong>di</strong> cui peraltro sottolinea il<br />

buono stato <strong>di</strong> conservazione e la trascrizione fatta dal Pongiglione in una<br />

pubblicazione del 1913. Proprio perché il fondo documentario capitolare a lui<br />

risulta così esiguo non ritiene necessaria la presenza <strong>di</strong> un archivista né una<br />

sede più grande rispetto all’arma<strong>di</strong>o posto all’interno della Sala Capitolare 4 .<br />

Il patrimonio documentario che l’attuale Archivio storico <strong>di</strong>ocesano<br />

conserva è in realtà molto cospicuo, ed è in gran<strong>di</strong>ssima parte il risultato<br />

dell’impegno che successivamente alla data <strong>di</strong> questa lettera così deludente<br />

uomini come don Scarrone, monsignor Vivaldo e don Botta hanno de<strong>di</strong>cato<br />

alla ricerca e alla memoria storica.<br />

Da questo lavoro <strong>di</strong> raccolta documentaria emerge come alle <strong>di</strong>verse<br />

epoche storiche corrisponda una <strong>di</strong>versa ricchezza e ampiezza della<br />

documentazione dell’Archivio Vescovile: molto abbondanti le carte prodotte<br />

tra il 1580 e il 1624; minori nel periodo precedente. Attualmente esso possiede<br />

un patrimonio documentario cronologicamente compreso fra il 1940-50 e gli<br />

anni attorno al 1540. Le carte anteriori a questi anni sono oggi conservate<br />

nell’Archivio <strong>di</strong> Stato <strong>di</strong> <strong>Savona</strong> perché fino alla metà del 1500 il cancelliere<br />

vescovile era un notaio laico e le carte della curia vescovile, alla sua morte,<br />

venivano raccolte e conservate insieme al resto della documentazione del suo<br />

notariato. Inoltre intorno agli Anni 40 del ’500 è avvenuto il trasferimento della<br />

cattedrale e della sede vescovile dall’antica sede del Priamar a quella<br />

provvisoria <strong>di</strong> San Pietro e poi nel convento <strong>di</strong> San Francesco, al posto del quale<br />

a partire dalla fine del 1500 è stata ricostruita la nuova cattedrale, portando<br />

inevitabilmente alla <strong>di</strong>spersione <strong>di</strong> parte del patrimonio documentario.<br />

L’archivio della cancelleria vescovile <strong>di</strong> <strong>Noli</strong> è costituito dall’unica serie dei<br />

protocolli dei cancellieri, con la documentazione prodotta raccolta in filze<br />

cronologiche, dalle scritture dei vescovi e da alcune tar<strong>di</strong>ve raccolte <strong>di</strong> atti<br />

criminali e scritture per uffici.<br />

Ai due archivi vescovili sono aggregati gli archivi <strong>di</strong> luoghi pii amministrati<br />

dai vescovi e quelli <strong>di</strong> alcuni monasteri, <strong>di</strong> compagnie religiose e <strong>di</strong> privati.<br />

L’Archivio storico <strong>di</strong>ocesano ha aggregato e conserva anche gli archivi del<br />

Capitolo (l’Archivio Capitolare menzionato da monsignor Scatti) e della<br />

Masseria della cattedrale <strong>di</strong> <strong>Savona</strong>. Separato dalla cancelleria nel 1948, è stato<br />

aperto agli stu<strong>di</strong>osi nel 1954.<br />

4 La lettera è contenuta all’interno del faldone 3, fascicolo 2, del Fondo <strong>di</strong> monsignor Scatti,<br />

all’interno della Serie Vescovi, sala 1, scaf. 3.<br />

7


Don Mario Scarrone e don Botta:<br />

i custo<strong>di</strong> appassionati del patrimonio documentario della <strong>di</strong>ocesi<br />

Quando nel 1968 monsignor Vivaldo lascia la Curia per la parrocchia del<br />

duomo <strong>di</strong> <strong>Savona</strong>, la <strong>di</strong>rezione dell’archivio <strong>di</strong>ocesano passa al parroco <strong>di</strong> Perti<br />

Mario Scarrone, nominato ufficialmente responsabile dell’archivio della<br />

<strong>di</strong>ocesi savonese. La cura per la conservazione, il restauro e il recupero storico<br />

e artistico della parrocchia, insieme alla sua passione per l’archeologia, lo<br />

avevano reso già da tempo un sicuro punto <strong>di</strong> riferimento per gli stu<strong>di</strong>osi del<br />

Finale e soprattutto per i suoi parrocchiani. ”Un parroco naturalmente portato<br />

a fare dell’archeologia militante il complemento della sua missione<br />

sacerdotale”: così veniva definito più <strong>di</strong> cinquant’anni fa dal professor Nino<br />

Lamboglia in un articolo dove rendeva noti i risultati dello scavo della<br />

necropoli romana <strong>di</strong> Perti, che lo stesso sacerdote aveva tanto attivamente<br />

contribuito a scavare e a salvare. Alla passione per la ricerca storica e<br />

archeologica il parroco associava il gusto della ricerca documentaria,<br />

<strong>di</strong>ventando così un esperto in materia. E proprio per questa sua competenza<br />

gli viene affidato l’importante incarico in <strong>di</strong>ocesi. Nella veste <strong>di</strong> <strong>di</strong>rettore<br />

dell’archivio <strong>di</strong>ocesano egli può ulteriormente ampliare i propri interessi <strong>di</strong><br />

storico a tutto campo, mettendo a <strong>di</strong>sposizione le sue conoscenze ad un<br />

numero sempre crescente <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>osi, non solo locali, che spesso riuscivano a<br />

mettere in crisi la limitata capienza della stanza in cui il mercoledì venivano<br />

puntualmente accolti.<br />

Per don Scarrone invece non esisteva orario: passava in archivio la gran<br />

parte del tempo che poteva sottrarre all’attività <strong>di</strong> parroco, mettendosi a<br />

<strong>di</strong>sposizione <strong>di</strong> chi desiderava consultare la documentazione e fare ricerche.<br />

Tornato a casa, a Perti, spesso continuava a stu<strong>di</strong>are sulle carte dell’archivio,<br />

riuscendo così a lasciare a noi le numerosissime trascrizioni <strong>di</strong> documenti, gli<br />

appunti le le relazioni che oggi possiamo ritrovare conservate, e in gran parte<br />

inventariate, nell’archivio stesso 5 .<br />

5 Nel 1994 è stato pubblicato su Sabazia il “Catalogo dei documenti e degli appunti raccolti da<br />

d on Scarrone conservati presso l’Archivio Diocesano”, curato dalla dottoressa Bruna Ugo, per<br />

molti anni a fianco del sacerdote nel lavoro <strong>di</strong> rior<strong>di</strong>no documentario dell’archivio.<br />

Portano il suo nome numerosi testi pubblicati, relativi alla storia e alla storia dell’arte locale, in<br />

particolar modo quella finalese. Cito, tra gli altri, il suo contributo al testo <strong>di</strong> Maurizio Tarrini<br />

“Un manoscritto musicale del XVI secolo e due documenti su Vincenzo Ruffo conservati<br />

nell’archivio vescovile <strong>di</strong> <strong>Savona</strong>”, del 1982, “La Collegiata <strong>di</strong> San Biagio in Finalborgo”, scritto<br />

con Fer<strong>di</strong>nando Molteni e pubblicato nel 1981 e i molti suoi saggi e<strong>di</strong>ti all’interno della serie<br />

“Atti e Memorie della Società Savonese <strong>di</strong> Storia Patria”.<br />

8


La presenza <strong>di</strong> don Scarrone nell’archivio non è certo una novità perché già<br />

da tempo collaborava con monsignor Vivaldo. Insieme avevano affrontato un<br />

grande lavoro: passare tutte le filze dei cancellieri vescovili, dal XVI secolo in<br />

avanti, e or<strong>di</strong>nare gran parte della documentazione, raccolta originariamente<br />

dai cancellieri in or<strong>di</strong>ne cronologico, secondo un criterio geografico, per<br />

parrocchia e per cappella. La scelta, certamente <strong>di</strong>scutibile, <strong>di</strong> intervenire a<br />

mo<strong>di</strong>ficare l’or<strong>di</strong>ne originario della documentazione, è stata fatta<br />

presumibilmente per facilitare la ricerca storica e oggi è in effetti possibile<br />

ricostruire gran parte della storia del territorio della <strong>di</strong>ocesi anche grazie ad essa.<br />

Gli Anni 60 rappresentano un periodo molto vitale per la <strong>di</strong>ocesi, sotto la<br />

guida del vescovo Paro<strong>di</strong> che, da uomo <strong>di</strong> cultura e stu<strong>di</strong>oso, non poteva non<br />

essere particolarmente attento alla salvaguar<strong>di</strong>a del patrimonio documentario.<br />

Ne è una testimonianza, fra tante altre, la lettera del 16 maggio 1962 inviata a<br />

don Scarrone, già incaricato per gli archivi ecclesiastici, in cui il vescovo<br />

sostiene l’opportunità <strong>di</strong> “concentrare nei locali <strong>di</strong> ogni singolo archivio<br />

parrocchiale tutte le carte e i registri ancora esistenti, appartenenti sia alle<br />

parrocchie sia ad associazioni, confraternite, opere pie e simili”, sottolineando<br />

che la proprietà <strong>di</strong> questo materiale documentario rimane dei singoli enti e<br />

che il provve<strong>di</strong>mento è finalizzato “a garantirne la conservazione per la<br />

storia”. L’incontro e la collaborazione fra questi due uomini <strong>di</strong> grande cultura,<br />

oltre che <strong>di</strong> grande fede, hanno dunque contribuito fortemente a garantire la<br />

memoria della vita della <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> <strong>Savona</strong>.<br />

Ma la cultura non cresce senza la curiosità e la passione, proprio quelle che<br />

animavano la testa e il cuore <strong>di</strong> don Scarrone. Il vero storico è prima <strong>di</strong> tutto<br />

un curioso, impegnato ad attingere sia alla fonte archivistica che a quella<br />

bibliografica: la sua <strong>di</strong>sciplina è l’archivistica storica, che considera il<br />

documento nella propria struttura e nella propria funzionalità. Lo esamina in<br />

relazione ad altri documenti e quin<strong>di</strong> nel suo <strong>di</strong>venire, assegnandogli così il<br />

valore e il posto che gli spettano. In questo modo il dualismo tra momento<br />

filologico e momento storico viene superato da un unico atto, in cui la verità<br />

nota guida nell’or<strong>di</strong>namento dei documenti e questi, a loro volta, sono <strong>di</strong><br />

stimolo nell’approfon<strong>di</strong>mento della verità storica. Come ho già sottolineato,<br />

il rior<strong>di</strong>namento delle filze dei cancellieri vescovili non è stato propriamente<br />

storico – e forse sarebbe troppo pretendere che un archivista non <strong>di</strong><br />

professione conosca e utilizzi scientificamente i principi dell’archivista storica<br />

– ma a don Scarrone si può perdonare quasi tutto… Chi ha infatti potuto<br />

conoscere e con<strong>di</strong>videre la sua passione per la storia e la sua cura nel<br />

recuperarne e conservarne le fonti, ancora oggi continua a riceverne<br />

9


insegnamento e stimolo alla ricerca documentaria. La ricerca storica portata<br />

avanti da don Scarrone è stata davvero imponente, esplicandosi attraverso<br />

<strong>di</strong>versi aspetti: quelli propriamente documentari e quelli bibliografici. Per<br />

garantire la conservazione della memoria storica degli archivi parrocchiali,<br />

rispondendo a quanto richiesto dal Co<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> Diritto Canonico, ha dunque<br />

iniziato a raccoglierli nell’archivio centrale della <strong>di</strong>ocesi, riuscendo a portarne<br />

una dozzina, tra cui ovviamente l’archivio parrocchiale <strong>di</strong> Sant’Eusebio <strong>di</strong><br />

Perti. Li ha sommariamente inventariati e in parte stu<strong>di</strong>ati, ottenendone così<br />

delle note storiche che ha poi raccolto in decine <strong>di</strong> relazioni sulle vicende<br />

storiche e artistiche <strong>di</strong> tante località ed emergenze architettoniche del territorio<br />

della <strong>di</strong>ocesi. Tutto questo preziosissimo materiale che ha lasciato in archivio<br />

è stato poi rivisto e, come ho già detto, ne è stato pubblicato il relativo catalogo,<br />

oggi molto utilizzato dagli stu<strong>di</strong>osi.<br />

Si è poi de<strong>di</strong>cato alla ricostituzione dell’archivio del Vescovato <strong>di</strong> <strong>Noli</strong>, che<br />

dal 1820, quando la <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> <strong>Noli</strong> viene riunita a quella <strong>di</strong> <strong>Savona</strong>, aveva<br />

iniziato a subire inevitabilmente un lento abbandono. Smentendo in parte lo<br />

storico nolese Bernardo Gandoglia, che sosteneva che l’archivio fosse andato<br />

<strong>di</strong>strutto, don Scarrone si rende conto che l’archivio <strong>di</strong> <strong>Noli</strong> giaceva, tra le<br />

mura del Vescovato, abbandonato e manomesso ma non completamente<br />

<strong>di</strong>strutto. Era stato proprio lui a cercare <strong>di</strong> impe<strong>di</strong>re che il deposito delle carte<br />

subisse danni ulteriori quando, in occasione delle ricerche tra la<br />

documentazione per ricostruire “Le memorie nolesi su monsignor Solari”<br />

pubblicate nel 1943, aveva raccolto tutto, sono parole sue, “accatastandolo in<br />

un capace arma<strong>di</strong>o in luogo asciutto e sicuro”. Grazie al recupero <strong>di</strong> alcuni<br />

documenti e volumi provenienti dall’archivio vescovile e giunti nelle mani <strong>di</strong><br />

una famiglia nolese, don Scarrone trova l’inventario dell’archivio compilato<br />

dal vescovo Costantino Serra nel 1744, con l’elenco dei protocolli dal 1583 al<br />

1744, e compie il rior<strong>di</strong>namento dell’archivio nolese. Le filze dal 1583 al 1690<br />

risultano quasi tutte intatte, mentre da quella data in poi si presentano slegate<br />

e manomesse. Nonostante la <strong>di</strong>fficoltà don Scarrone riesce comunque a<br />

ricostruirne un numero non in<strong>di</strong>fferente, tale da permettere, a chi volesse<br />

cimentarsi in tale fatica, <strong>di</strong> ricavare un quadro sufficiente della vita della<br />

<strong>di</strong>ocesi fino all’epoca della sua unione con quella <strong>di</strong> <strong>Savona</strong>.<br />

Don Scarrone muore il 2 gennaio 1984, lasciando alla <strong>di</strong>ocesi il non facile<br />

compito <strong>di</strong> decidere a chi affidare la <strong>di</strong>rezione dell’archivio storico. La scelta<br />

non può essere migliore: il 22 gennaio 1985 il vescovo Sanguineti nomina<br />

Direttore dell’archivio <strong>di</strong>ocesano don Leonardo Botta, coa<strong>di</strong>uvato dal<br />

professor Carlo Varaldo.<br />

10


La preparazione culturale, la sensibilità e la formazione storica maturata<br />

alla scuola <strong>di</strong> Paleografia, Archivistica e Diplomatica Vaticana, l’esperienza<br />

umana <strong>di</strong> parroco e il ruolo <strong>di</strong> rettore del Seminario vescovile sono il biglietto<br />

da visita <strong>di</strong> don Leonardo Botta: senza dubbio la figura che più degnamente<br />

possa succedere a don Mario Scarrone, con il quale aveva già iniziato a<br />

rior<strong>di</strong>nare l’archivio dalla fine degli Anni 40.<br />

Tra gli storici savonesi e liguri il nome <strong>di</strong> Leonardo Botta è probabilmente<br />

noto almeno già dal 1965, anno della pubblicazione del suo testo “La Riforma<br />

Tridentina nella <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> <strong>Savona</strong>”, una ricerca storica attraverso la<br />

documentazione offerta dagli archivi <strong>di</strong> Roma e del Vaticano, dagli archivi<br />

savonesi, tra cui ovviamente quello <strong>di</strong>ocesano, dall’archivio <strong>di</strong> Stato <strong>di</strong><br />

Genova, dalla Biblioteca Ambrosiana <strong>di</strong> Milano e dall’Archivio <strong>di</strong> Stato <strong>di</strong><br />

Torino. La preparazione culturale del sacerdote è l’imprescin<strong>di</strong>bile premessa<br />

al lavoro <strong>di</strong> tutela, or<strong>di</strong>namento, catalogazione e ricerca archivistica <strong>di</strong> cui<br />

<strong>di</strong>viene responsabile. La sua attività si esprime sostanzialmente attraverso due<br />

aspetti: quello più propriamente intellettuale, legato appunto alla<br />

conservazione, all’inventariazione documentaria, e al supporto culturale<br />

offerto agli stu<strong>di</strong>osi, e quello “tecnico”, senza il quale <strong>di</strong>fficilmente sarebbe<br />

possibile la corretta conservazione del materiale d’archivio. E proprio il tema<br />

logistico viene affrontato da subito. Il neo <strong>di</strong>rettore non perde certo tempo e,<br />

intenzionato a portare avanti il processo <strong>di</strong> miglioramento e<br />

ammodernamento dei locali e delle attrezzature dell’archivio iniziato da<br />

monsignor Vivaldo nel 1963, pochi mesi dopo il suo inse<strong>di</strong>amento fa<br />

acquistare all’archivio un grande porta<strong>di</strong>segni a cassetti dove poter conservare<br />

parte della documentazione più antica e preziosa. Contemporaneamente,<br />

dopo un raffronto tra le offerte <strong>di</strong> alcune <strong>di</strong>tte, or<strong>di</strong>na una serie <strong>di</strong> scaffalature<br />

metalliche dove collocare e conservare meglio il materiale documentario. Le<br />

spese per queste forniture <strong>di</strong> arredo risultano abbastanza contenute ma<br />

l’archivio necessita <strong>di</strong> ulteriori interventi: altre scaffalature metalliche e una<br />

grossa quantità <strong>di</strong> cartelle e faldoni in cartoncino per la conservazione della<br />

documentazione cartacea. Si tratta <strong>di</strong> un preventivo <strong>di</strong> spesa piuttosto elevato<br />

e quin<strong>di</strong> don Botta, <strong>di</strong>mostrando fin da subito quella volontà <strong>di</strong> collaborazione<br />

e <strong>di</strong>alogo con le istituzioni che ha poi sempre mantenuto, si rivolge alla<br />

Soprintendenza Archivistica della Liguria attraverso una legge dello stesso<br />

anno, il 1986, specifica per la valorizzazione degli archivi storici. Come<br />

previsto dalla normativa, l’allora Vicario Generale Antonio Ferri richiede una<br />

cospicua somma <strong>di</strong> denaro come contributo per le spese <strong>di</strong> cui l’archivio ha<br />

bisogno, tra cui il restauro <strong>di</strong> una parte della documentazione membranacea.<br />

11


L’Archivio <strong>di</strong>ocesano può così portare avanti il proprio ammodernamento<br />

iniziato da monsignor Vivaldo.<br />

Prima dell’Intesa del 2000 tra il Ministero per i Beni e le Attività Culturali<br />

e la CEI, in cui vengono riconosciuti <strong>di</strong> interesse storico gli archivi <strong>di</strong> enti e<br />

istituzioni ecclesiastiche che conservino documenti <strong>di</strong> data anteriore agli<br />

ultimi settant’anni e si definiscono gli interventi delle Soprintendenze<br />

Archivistiche in materia <strong>di</strong> collaborazione tecnica e contributi finanziari, non<br />

è stato sempre chiaro se e in che misura esse dovessero esercitare un ruolo <strong>di</strong><br />

vigilanza sugli archivi ecclesiastici. Penso che aver riconosciuto molti anni<br />

prima alla Soprintendenza Regionale un legittimo intervento per la tutela <strong>di</strong><br />

un bene ecclesiastico, in quanto bene privato <strong>di</strong> interesse storico, <strong>di</strong>mostri la<br />

serietà e la lungimiranza del suo responsabile. Certamente da quel momento<br />

in poi i rapporti tra l’archivio <strong>di</strong>ocesano e la Soprintendenza Archivistica si<br />

sono consolidati. Ne è espressione l’interesse manifestato dall’ex<br />

soprintendente archivistico della Liguria, il savonese Guido Malandra, nei<br />

confronti <strong>di</strong> questo archivio, <strong>di</strong> cui ha redatto, tra le altre cose, un<br />

preziosissimo elenco-inventario pubblicato nel 1991. In realtà il <strong>di</strong>alogo con<br />

le istituzioni, centrali e locali, era già stato avviato molti anni prima: è datata<br />

18 novembre 1950 una lettera dell’Archivio <strong>di</strong> Stato <strong>di</strong> <strong>Savona</strong> in cui l’allora<br />

<strong>di</strong>rettore ringrazia la Curia vescovile per le notizie a lui fornite sulle Opere<br />

Pie. E nella prima metà degli Anni 60 è monsignor Vivaldo ad ottenere<br />

l’interessamento da parte della Direzione Generale degli Archivi <strong>di</strong> Stato<br />

affinché l’archivio possa dotarsi <strong>di</strong> una apposita sede, così da poter favorire<br />

anche l’accesso degli stu<strong>di</strong>osi. Tra il 1964 e il 1965 vengono ristrutturati gli<br />

spazi posti al piano superiore del lato destro del chiostro della Cappella<br />

Sistina: questa è la nuova sede dell’archivio, cui si accede da un’ingresso in<br />

piazza Vescovato. L’archivio viene dotato <strong>di</strong> apposite scaffalature, <strong>di</strong> alcuni<br />

arma<strong>di</strong> e <strong>di</strong> una porta blindata. E nel 1966 è già Guido Malandra, allora<br />

<strong>di</strong>rettore dell’Archivio <strong>di</strong> Stato <strong>di</strong> <strong>Savona</strong>, la persona attraverso cui l’archivio<br />

<strong>di</strong>ocesano può <strong>di</strong>alogare con il Ministero degli Interni per tutto ciò che<br />

concerne consulenze, autorizzazioni e finanziamenti. A partire da quell’anno,<br />

su richiesta <strong>di</strong> monsignor Vivaldo, l’archivio riceverà puntualmente in<br />

omaggio la rivista “Rassegna degli Archivi <strong>di</strong> Stato”.<br />

Nel 1974 è ancora il <strong>di</strong>rettore dell’Archivio <strong>di</strong> Stato <strong>di</strong> <strong>Savona</strong> a proporre,<br />

dopo aver ricevuto l’autorizzazione del Ministero dell’Interno, al vescovo<br />

Paro<strong>di</strong> uno scambio <strong>di</strong> materiale documentario. Si tratta <strong>di</strong> 2 volumi <strong>di</strong> atti<br />

notarili del XV secolo e un volume membranaceo cinque-seicentesco<br />

conservato nell’archivio <strong>di</strong>ocesano in cambio <strong>di</strong> un registro <strong>di</strong> conti <strong>di</strong> fine<br />

12


trecento della mensa vescovile <strong>di</strong> <strong>Savona</strong> e <strong>di</strong> alcune lettere ottocentesche<br />

in<strong>di</strong>rizzate al vescovo <strong>di</strong> <strong>Savona</strong>, erroneamente custo<strong>di</strong>te nell’archivio <strong>di</strong><br />

Stato.<br />

Sotto la <strong>di</strong>rezione <strong>di</strong> don Botta i rapporti con le istituzioni locali si<br />

rafforzano: ne è testimonianza l’assidua frequentazione dell’archivio<br />

<strong>di</strong>ocesano e dei singoli archivi parrocchiali della <strong>di</strong>ocesi da parte del dottor<br />

Malandra in qualità <strong>di</strong> Soprintendente Archivistico della Liguria, che porterà<br />

alla pubblicazione del già citato elenco-inventario nel 1991.<br />

Un’attenzione particolare don Botta ha sempre de<strong>di</strong>cato poi al tema del<br />

restauro del materiale documentario. Come ho già accennato, il compito <strong>di</strong><br />

vigilanza sulla tutela degli archivi privati <strong>di</strong> interesse storico è della<br />

Soprintendenza Archivistica Regionale ed è necessario seguire un percorso<br />

ben definito per ottenerne l’autorizzazione all’intervento <strong>di</strong> salvaguar<strong>di</strong>a <strong>di</strong><br />

un bene documentario. E già prima dell’accordo del 2000 tra Ministero e CEI<br />

cui accennavo, previa supervisione della Soprintendenza, don Botta è riuscito<br />

a far restaurare alcune importanti fonti sia cartacee che membranacee, qui<br />

conservate, finanziandole anche personalmente. Ricordo, fra le altre, le<br />

pergamene dell’Archivio Capitolare <strong>di</strong> <strong>Savona</strong>, pubblicate già nel 1913 da<br />

Vittorio Pongiglione, e la Visita Pastorale <strong>di</strong> monsignor Mascar<strong>di</strong> del 1585,<br />

fondamentale testimonianza scritta della situazione in cui si trovavano in quel<br />

momento le chiese, gli oratori, le cappelle della <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> <strong>Savona</strong> e <strong>di</strong> quella<br />

<strong>di</strong> <strong>Noli</strong>.<br />

Proseguendo su una linea tracciata già durante gli anni del vescovo Paro<strong>di</strong>,<br />

don Botta mantiene viva la collaborazione dell’archivio <strong>di</strong>ocesano con le<br />

istituzioni locali per iniziative culturali legate a materiale documentario o a<br />

materiale librario antico da esse promosse. Tra il 1985 e il 1986 vengono allestite<br />

alcune mostre documentarie relative al territorio savonese e finalese alle quali<br />

l’archivio <strong>di</strong>ocesano fornisce un prezioso contributo: dalla mostra cartografica<br />

organizzata dal Comune <strong>di</strong> Vado nel 1985, alla mostra <strong>di</strong> manoscritti, libri e<br />

documenti musicali savonesi antichi della primavera 1985 presso la Biblioteca<br />

civica Barrili, al convegno-mostra “Cartografie e istituzioni nell’età moderna”<br />

del 1986 presso il Palazzo della Provincia.<br />

Di particolare rilevanza si <strong>di</strong>mostra anche in seguito, tra la fine del 2000 e<br />

l’inizio del 2001, l’apporto dell’archivio alla mostra “Finale nei libri”,<br />

organizzata dal Comune <strong>di</strong> Finale in occasione del cinquantesimo<br />

anniversario della fondazione della biblioteca civica. Si tratta <strong>di</strong> 18 tra volumi<br />

e documenti sciolti a stampa relativi alla storia e a personaggi del territorio<br />

finalese tra il XVI e il XIX secolo.<br />

13


In tutti questi anni la presenza <strong>di</strong> don Botta in archivio è rimasta una<br />

costante, assicurando la consultazione dei documenti e dei libri agli stu<strong>di</strong>osi<br />

il lunedì pomeriggio, quando gli impegni della parrocchia <strong>di</strong> Finalmarina gli<br />

consentivano <strong>di</strong> avvicinarsi alle sue amatissime carte. Il lunedì era de<strong>di</strong>cato<br />

ad accogliere e a seguire gli stu<strong>di</strong>osi nelle loro ricerche, ad aggiornare<br />

l’archivio con le pubblicazioni delle varie parrocchie della <strong>di</strong>ocesi, a<br />

inventariare l’imponente quantità <strong>di</strong> materiale documentario, a fare ricerche<br />

per i propri stu<strong>di</strong> personali, alcuni dei quali pubblicati 6 .<br />

Parallelamente all’attenzione de<strong>di</strong>cata al materiale documentario, don<br />

Botta non tralascia <strong>di</strong> occuparsi del cospicuo fondo librario. Negli anni <strong>di</strong><br />

monsignor Paro<strong>di</strong> si era formato infatti il nucleo originario del materiale <strong>di</strong><br />

quella che è poi <strong>di</strong>ventata la biblioteca storica <strong>di</strong>ocesana. Si tratta delle<br />

donazioni dei due sacerdoti savonesi don Vivaldo e don Scarrone che,<br />

insieme ai libri dello storico Giovanni Silla (principalmente libri <strong>di</strong> storia e<br />

arte finalese), costituiscono gran parte del cospicuo fondo antico della<br />

Biblioteca, quasi interamente <strong>di</strong> argomento storico locale. Insieme a una<br />

<strong>di</strong>screta quantità <strong>di</strong> libri recenti, in maggioranza <strong>di</strong> storia e storia dell’arte<br />

dell’area ligure e basso-piemontese, questo materiale <strong>di</strong>viene uno strumento<br />

<strong>di</strong> approfon<strong>di</strong>mento alla ricerca documentaria.<br />

Il fondo antico, formato anche da altri testi <strong>di</strong> varia provenienza, conta<br />

oltre 500 volumi, comprendendo anche alcune decine <strong>di</strong> cinquecentine e un<br />

certo numero <strong>di</strong> opere manoscritte.<br />

Questa parte <strong>di</strong> libri antichi, ovvero pubblicati prima degli ultimi<br />

cinqunt’anni (convenzionalmente riconosciuto come riferimento cronologico),<br />

è sottoposta alla tutela ministeriale attraverso la Regione Liguria, a cui la<br />

<strong>Diocesi</strong> deve sottoporre ogni questione relativa alla corretta conservazione, il<br />

restauro, gli spostamenti, la collocazione, le mostre. Anche per quanto<br />

riguarda il fondo librario antico, non pochi sono stati gli interventi <strong>di</strong> restauro<br />

che don Botta è riuscito a portare avanti con successo.<br />

Il resto del materiale conservato nella biblioteca è <strong>di</strong> epoca più recente<br />

(XIX-XXI secolo), giunto attraverso donazioni e rari acquisti, comprendente<br />

varie tipologie <strong>di</strong> opere a stampa: monografie, collane, enciclope<strong>di</strong>e, perio<strong>di</strong>ci,<br />

posters, in gran parte <strong>di</strong> argomento storico, artistico, religioso locale o ligure,<br />

6 Cito, tra tutti, il suo contributo storico all’interno degli Atti del Convegno <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> “Il<br />

prigioniero itinerante. Da Venezia a <strong>Savona</strong>: Pio VII nel bicentenario dell’elezione (1800-2000)”<br />

dal titolo “I viaggi <strong>di</strong> Pio VII. Rassegna <strong>di</strong> fonti e stu<strong>di</strong>”, 2000.<br />

14


per un totale <strong>di</strong> circa 10.000 tra volumi, fascicoli e altre tipologie <strong>di</strong> stampati.<br />

Esiste infine una parte <strong>di</strong> materiale non a stampa: fotografie, cd rom.<br />

Attraverso acquisti, donazioni, scambi, don Botta è riuscito ad arricchire la<br />

raccolta <strong>di</strong> testi già esistente, creando un ricco patrimonio librario, in<br />

prevalenza storico e artistico, che nel 2008 ha voluto incrementare attraverso<br />

la donazione della propria biblioteca personale.<br />

E proprio la possibilità <strong>di</strong> poter accogliere in questi spazi il prezioso<br />

patrimonio librario <strong>di</strong> don Botta sta a testimoniare quanto sia stato fatto negli<br />

ultimi anni per l’archivio e per la biblioteca. È infatti grazie ai lavori <strong>di</strong><br />

ristrutturazione iniziati nel 2004 e terminati nel 2008 che l’archivio storico<br />

<strong>di</strong>ocesano ha potuto dotarsi <strong>di</strong> una sede adeguata dal punto <strong>di</strong> vista logistico,<br />

tecnico e architettonico, in grado <strong>di</strong> esprimere degnamente il rilevante ruolo<br />

che riveste da sempre nello stu<strong>di</strong>o della storia del territorio. Oggi finalmente<br />

esiste una netta <strong>di</strong>visione tra i locali destinati alla conservazione del fondo<br />

archivistico e quelli in cui è collocato il materiale librario.<br />

Fin dal momento della sua nomina a <strong>di</strong>rettore dell’archivio, don Botta<br />

aveva sempre cercato <strong>di</strong> sottolineare la necessità <strong>di</strong> un ampliamento e <strong>di</strong> una<br />

ristrutturazione della sede dell’archivio <strong>di</strong>ocesano. Nonostante le sue richieste<br />

ricevessero scarsa attenzione, lui non si era mai arreso… e la perseveranza lo<br />

ha, alla fine, ripagato. Fra le molte richieste <strong>di</strong> attenzione al problema, cito la<br />

lettera in<strong>di</strong>rizzata al vescovo Lanfranconi nel settembre del 1996, in cui non<br />

si limita a chiedere ma propone una possibile utilizzazione <strong>di</strong> spazi già<br />

esistenti e una loro <strong>di</strong>stribuzione. Si tratta dell’area occupata dalla tipografia<br />

Sabatelli, comprendente il perimetro che dal chiostro dei morti (quello della<br />

Cappella Sistina) si estende fino al secondo chiostro dell’ex convento <strong>di</strong> San<br />

Francesco (Chiostro dei Conversi). Della possibile utilizzazione dell’area si<br />

parlava già da tempo ma prima <strong>di</strong> tutto era necessario trovare un’altra sede<br />

per la tipografia e poi, problema non <strong>di</strong> poco conto, reperire gli ingenti fon<strong>di</strong><br />

per i lavori <strong>di</strong> ristrutturazione. Quando ho iniziato a collaborare con don Botta<br />

in questo archivio, all’inizio del 2001, ho avuto modo <strong>di</strong> sentir parlare più volte<br />

<strong>di</strong> possibili futuri cambiamenti e miglioramenti della sede dell’archivio<br />

<strong>di</strong>ocesano, ma il sacerdote-archivista si <strong>di</strong>mostrava sempre molto scettico nei<br />

confronti <strong>di</strong> ogni accenno alla cosa. Devo <strong>di</strong>re che lavorare nella vecchia sede,<br />

in spazi ridotti, senza riscaldamento né servizi igienici, con scarse tutele<br />

logistiche (allarme, impianto antincen<strong>di</strong>o, polvere) è stato piuttosto <strong>di</strong>fficile<br />

ma nello stesso tempo mi ha rafforzato. Venire in archivio è stato per me ogni<br />

giorno una scoperta… e ancora oggi spesso è così. Ho imparato e sto<br />

15


imparando sul campo. Occuparsi <strong>di</strong> un archivio storico non è cosa tanto<br />

semplice, le cose da seguire sono molte: prima <strong>di</strong> tutto cercare <strong>di</strong> tutelare la<br />

conservazione del materiale documentario, in modo da poterlo or<strong>di</strong>nare,<br />

catalogare, inventariare e sottoporlo a restauro. In questo modo si può rendere<br />

possibile la ricostruzione delle vicende storiche più <strong>di</strong>verse (dalle storie<br />

famigliari alle questioni per posse<strong>di</strong>menti <strong>di</strong> terreni o e<strong>di</strong>fici, alle ricostruzioni<br />

storiche <strong>di</strong> <strong>di</strong>pinti, sculture, architetture e dei loro artefici) a cui stu<strong>di</strong>osi,<br />

studenti, storici o semplici appassionati si interessano.<br />

Soprattutto negli ultimi <strong>di</strong>eci anni un nuovo filone <strong>di</strong> ricerca<br />

documentaria, qui come in molti altri archivi ecclesiastici, si è sviluppato: la<br />

ricerca <strong>di</strong> documentazione, da parte <strong>di</strong> citta<strong>di</strong>ni centroamericani e<br />

sudamericani, in grado <strong>di</strong> attestarne l’origine italiana, in questo caso savonese<br />

o ligure. È la storia che si ripete al contrario: nell’800 molti italiani, soprattutto<br />

dalle città <strong>di</strong> porto, partivano in nave per il Sud America in cerca <strong>di</strong> fortuna e<br />

oggi, i loro <strong>di</strong>scendenti cercano <strong>di</strong> tornare al paese <strong>di</strong> origine nella speranza<br />

<strong>di</strong> un avvenire lavorativo migliore. Moltissime sono le richieste <strong>di</strong> atti <strong>di</strong><br />

battesimo, matrimonio, morte che questo archivio riceve da parte <strong>di</strong> persone<br />

che hanno una vitale necessità <strong>di</strong> poter <strong>di</strong>mostrare il proprio legittimo <strong>di</strong>ritto<br />

a vivere in Italia. Si tratta <strong>di</strong> ricerche spesso <strong>di</strong>fficili e lunghe, che purtroppo<br />

non sempre è possibile sod<strong>di</strong>sfare. Questo recente campo <strong>di</strong> ricerca<br />

documentaria sta a testimoniare ancora una volta l’importanza che la<br />

documentazione ecclesiastica riveste nella storia del nostro paese e in<br />

particolare quanto preziosi siano gli archivi parrocchiali, l’unica fonte<br />

anagrafica dalla metà del ’500 (e a volte anche prima) fino al 1865, quando<br />

viene istituito l’anagrafe civile.<br />

Il materiale documentario conservato in questo archivio è davvero tanto<br />

e non tutto ancora inventariato e informatizzato. Da quando ho iniziato il mio<br />

lavoro, a fianco <strong>di</strong> don Botta, una parte della documentazione è stata<br />

analizzata e inventariata… ma rimane ancora molto da fare. Il tempo da<br />

de<strong>di</strong>care alla catalogazione non è sempre molto, anche se la volontà e<br />

l’entusiasmo non mi mancano, entrambe ere<strong>di</strong>tà ricevute da don Leonardo.<br />

Da due anni lavoro con don Luigi Caneto, che il lunedì assicura sempre la sua<br />

presenza, nonostante gli impegni parrocchiali. Don Luigi è eccezionale: non<br />

solo preparatissimo dal punto <strong>di</strong> vista storico e paleografico ma anche dotato<br />

<strong>di</strong> uno spiccatissimo senso pratico e <strong>di</strong> una profonda umanità e simpatia. È<br />

per me un privilegio, oltre che una fortuna, avere a fianco questi due uomini<br />

dotati <strong>di</strong> una cultura e <strong>di</strong> una umanità davvero non comuni.<br />

16


Visita apostolica <strong>di</strong> monsignor Mascar<strong>di</strong> del 1589:<br />

descrizione del Monastero della SS. Annunziata <strong>di</strong> Legino<br />

17


Pergamena del 1067, Fondo Archivio Capitolare <strong>di</strong> N.S. Assunta <strong>di</strong> <strong>Savona</strong>,<br />

conservata presso l’Archivio Storico Diocesano <strong>di</strong> <strong>Savona</strong>-<strong>Noli</strong>.<br />

Regesto: febbraio 1067, Berta del fu Oberto dona una casa e altri beni<br />

ai canonici della Cattedrale <strong>di</strong> Santa Maria <strong>di</strong> <strong>Savona</strong><br />

18


Particolare della sistemazione della raccolta documentaria conservata nel deposito,<br />

al piano primo dell’Archivio Storico Diocesano <strong>di</strong> <strong>Savona</strong>-<strong>Noli</strong><br />

19


Bibliografia<br />

Fonti documentarie<br />

Archivio Storico Diocesano <strong>di</strong> <strong>Savona</strong>-<strong>Noli</strong>:<br />

Fondo Scarrone, faldone 4bis, in Sala 2, scaffale 20, colonna A1.<br />

Fondo monsignor Scatti (Serie vescovi), faldone 3, fascicolo 2, in Sala 2, scaffale 3.<br />

Testi a stampa<br />

1623, Constitutiones et Decreta in Dioecesanis Syno<strong>di</strong>s sex con<strong>di</strong>ta, ab illustriss. Ac<br />

Reveren<strong>di</strong>ss. DD. Petro Francisco Costa, Dei, & Apostolicae Se<strong>di</strong>s gratia Episcopo<br />

Savonen. Nunc apud… Taurini, Apud Aloysium Pizzamilium Typographum Ducalem.<br />

BOTTA L. 1965, La riforma tridentina nella <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> <strong>Savona</strong>, <strong>Savona</strong>.<br />

BOTTA L. 2000, I quattro viaggi <strong>di</strong> Pio VII in Liguria. Rassegna <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> e documenti (Atti<br />

del Convegno <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> “Il Proigioniero itinerante, da Venezia a <strong>Savona</strong>: Pio VII<br />

nel bicentenario dell’elezione (1800-2000)”, a cura <strong>di</strong> FERDINANDO MOLTENI,<br />

<strong>Savona</strong> 2/4 marzo 2000, pp. 119-209.<br />

TARRINI M., SCARRONE M. 1982, Un manoscritto musicale del XVI secolo e due documenti<br />

su Vincenzo Ruffo conservati nell’Archivio Vescovile <strong>di</strong> <strong>Savona</strong>, in “Liguria”, XLIX<br />

(1982), pp. 10-20.<br />

MURIALDO G., ROSSINI G., SCARRONE M. 1991, La Collegiata <strong>di</strong> San Biagio in Finalborgo,<br />

<strong>Savona</strong>.<br />

SCARRONE M. 1994, I sino<strong>di</strong> <strong>di</strong>ocesani del 1356 e del 1530 in “Sabazia”, n.s. 16, pp.<br />

7-12.<br />

UGO B. 1994, Catalogo dei documenti e degli appunti raccolti l’Archivio storico <strong>di</strong>ocesano,<br />

in “Sabazia”, n.s. 16, pp. 13-23.<br />

20


I conti <strong>di</strong> O<strong>di</strong>no Bava,<br />

prete <strong>di</strong> San Giovanni Battista a <strong>Savona</strong> (1486-1497)<br />

Angelo Nicolini<br />

Oltre trent’anni fa, introducendo la trascrizione del libro <strong>di</strong> conti <strong>di</strong> un<br />

mercante genovese del Quattrocento, Laura Balletto scriveva: «Il Me<strong>di</strong>oevo<br />

genovese scarseggia <strong>di</strong> tre tipi <strong>di</strong> fonti, importanti per la storia economica e le<br />

relative istituzioni: i manuali <strong>di</strong> mercatura, le lettere mercantili, i libri <strong>di</strong><br />

contabilità privata» 1 . Un fatto singolare, a fronte della straor<strong>di</strong>naria vicenda<br />

economico-finanziaria della capitale ligure nel corso del Me<strong>di</strong>oevo, e ancor<br />

più incomprensibile e frustrante pensando alla <strong>di</strong>versa fortuna, ad esempio,<br />

<strong>di</strong> analoghe fonti conservate in Veneto o in Toscana 2 . Presentiamo quin<strong>di</strong> con<br />

piacere questo piccolo manuale <strong>di</strong> conti privati, conservato nell’Archivio<br />

Storico Diocesano <strong>di</strong> <strong>Savona</strong> e <strong>Noli</strong> 3 . Esso contiene brani redatti fra il 1486 e il<br />

1497 ed è stato poi reimpiegato per ospitare l’elenco dei battezzati nella<br />

parrocchia <strong>di</strong> San Giovanni Battista fra il 1690 e il 1693.<br />

La presenza del manualetto ci è stata segnalata da don Gian Luigi Caneto,<br />

vice<strong>di</strong>rettore dell’Archivio, che ringraziamo <strong>di</strong> cuore anche per la sua<br />

amabilissima assistenza. Il suo contenuto lo qualifica certo come estraneo al<br />

gran mondo dei mercanti, banchieri e finanzieri, ma ci restituisce il fitto<br />

tessuto <strong>di</strong> quoti<strong>di</strong>anità su cui si fonda una storia che è ormai impossibile<br />

definire “minore”.<br />

1 BALLETTO 1979, p. XIII.<br />

2 GIOFFRÉ 1982, p. VII.<br />

3 ARCHIVIO STORICO DIOCESANO DI SAVONA-NOLI (d’ora in poi ASD), Sala 3, Scaffale 43, Archivio<br />

Parrocchiale <strong>di</strong> San Giovanni Battista, faldone 6. D’ora in poi il manoscritto sarà citato come<br />

Manuale.<br />

21


Il manuale<br />

Il nostro testo è un manoscritto cartaceo <strong>di</strong> mm 110 x 280 (un formato, quin<strong>di</strong>,<br />

tipico dei piccoli manuali), rilegato in pergamena con due rinforzi in cuoio<br />

sulla costola, <strong>di</strong> cui uno perduto, e composto in origine da 120 carte in cinque<br />

fascicoli <strong>di</strong> 24 carte l’uno, recanti una numerazione quattrocentesca in cifre<br />

arabe. Oggi 33 carte risultano mancanti o lacerate 4 e la legatura è parzialmente<br />

<strong>di</strong>sfatta. Sulla parte alta della copertina anteriore è riportata, in scrittura gotica<br />

corsiva, la data 1487 (« M°CCCCLXXXVII»), relativa all’utilizzazione<br />

originaria del manoscritto. Poco più in basso, una mano seicentesca ha vergato<br />

l’intestazione «Baptizatorum ab anno 1690 in 93», corrispondente al suo<br />

riutilizzo più tardo. Sia nel XV che nel XVII secolo, alcune carte sono state<br />

lasciate in tutto o in parte bianche. Questo stu<strong>di</strong>o e la relativa trascrizione,<br />

naturalmente, comprenderanno le sole carte quattrocentesche.<br />

Il testo è scritto in italiano, con forti influssi <strong>di</strong>alettali e con alcune parti<br />

(quelle che ricalcano formule o atti ufficiali) in latino. Pur trattandosi <strong>di</strong> un<br />

manoscritto contabile, esso non è redatto in partita doppia. Entrate («ho<br />

receputo», «deve dar a mi» o simili) e uscite («per speisse fate», «ho exbursato»<br />

o simili) si susseguono senza or<strong>di</strong>ne preciso in pagine <strong>di</strong>verse, spesso senza<br />

esatta corrispondenza. La prima partita, datata 15 novembre 1486 e con<br />

quietanza in data 15 agosto, è relativa al salario dell’organista. Il nucleo<br />

centrale della contabilità è rappresentato da una serie <strong>di</strong> spese correnti per<br />

vitto, vestiario e oggetti, che va dal 20 marzo 1487 al 17 <strong>di</strong>cembre 1488 e che<br />

occupa circa i tre quarti del testo. Ad essa si accosta la contabilità della<br />

ricezione e <strong>di</strong>stribuzione <strong>di</strong> grano e farina, dal 29 gennaio 1487 al 13 agosto<br />

1492. Non vi sono annotazioni fra il 1493 e il 1496, mentre nel 1497 vengono<br />

trascritte riscossioni <strong>di</strong> livelli e la contabilità della “fabbrica” della chiesa.<br />

Chi è l’autore del manoscritto? Salvo pochi brani relativi a conti posteriori,<br />

il testo è quasi interamente vergato da una sola mano e le ripetute intestazioni<br />

a «mi, prete O<strong>di</strong>no (o Odono) Bava» non lasciano dubbi sulla sua identità 5 .<br />

Ma resta da chiarire il ruolo <strong>di</strong> questo prete all’interno della chiesa e della<br />

Commenda <strong>di</strong> San Giovanni. A partire dal 1º luglio 1497 egli si definisce<br />

«protectore de la fabrica de Sancto Iohanne» e ne re<strong>di</strong>ge infatti la contabilità 6 .<br />

4 Si tratta delle cc. 1, 3-4, 14-15, 21-27, 35-38, 61-64, 70-83, 94-96, 106, 108.<br />

5 Manuale, 42v, 43r, 45r, 49v, 50r, 52r, 56r, 58r, 69r, 102v, 103r, 110r, 119v.<br />

6 Ibidem, c. 68v.<br />

22


Il 5 marzo 1491, in un arbitrato contro un tal Giorgio Mirocco per un<br />

terreno in enfiteusi, il prete Oddone Bava agisce come procuratore e per conto<br />

<strong>di</strong> frate Bonifacio Scarampi, milite gerosolimitano, precettore della chiesa e<br />

precettoria <strong>di</strong> San Giovanni 7 . È probabile dunque che sia questo il ruolo del<br />

nostro O<strong>di</strong>no (o Oddone). Di certo egli non è il parroco o rettore: questo<br />

incarico spetta a Giovanni Bianco, «messer il pairo» o «messer pre’ Zuane,<br />

retor de la chiesia», che il 21 <strong>di</strong>cembre 1487 riceve da O<strong>di</strong>no il suo salario<br />

annuo <strong>di</strong> 40 lire savonesi e che può essere ricordato anche «per parme date a<br />

messer prete Iohanne Biancho rectore, da fa’ <strong>di</strong>stribuire al popolo in ecclesia»,<br />

spesa iscritta sul manuale il 30 marzo 1488, Domenica delle Palme 8 . L’altro<br />

religioso <strong>di</strong> San Giovanni è Antonio Calandra, l’organista, che il 15 novembre<br />

1486 riceve dal Commendatore, tramite O<strong>di</strong>no Bava, il suo salario annuo <strong>di</strong> 8<br />

lire «pro organis pulsan<strong>di</strong>s», derivante dall’entrata comunale della «gabella<br />

vini prohibiti», cioè l’imposta sul vino <strong>di</strong> importazione 9 .<br />

Le monete<br />

Tutti i conti, con pochissime eccezioni, sono tenuti in valuta savonese («valet<br />

Savone», «in moneta Savone»), secondo la nota ripartizione della lira<br />

equivalente a 20 sol<strong>di</strong> e a 240 denari. Vengono anche adoperate due monete<br />

“<strong>di</strong> conto” in uso corrente nella pratica commerciale: il grosso <strong>di</strong>viso in quattro<br />

quarti ed equivalente a 3 sol<strong>di</strong> e mezzo 10 e il fiorino equivalente a 35 sol<strong>di</strong>, cioè<br />

10 grossi 11 . Un piccolo gruppo <strong>di</strong> partite espresse in moneta genovese, fra<br />

gennaio e agosto 1488, viene tradotto in valuta locale con un tasso <strong>di</strong> cambio<br />

che varia fra il 58,6% e il 44%, cioè ponendo una lira genovese fra 39 sol<strong>di</strong> e 3<br />

denari e 45 sol<strong>di</strong> savonesi 12 . Un simile valore si <strong>di</strong>scosta abbastanza<br />

significativamente da quello in uso a metà del Quattrocento (35 sol<strong>di</strong> savonesi<br />

per una lira genovese), che è stato presumibilmente alla base della creazione<br />

del fiorino “<strong>di</strong> conto” come equivalente della lira genovese e che non è<br />

apparentemente mutato nel corso degli anni. Non si può qui naturalmente<br />

7<br />

ARCHIVIO DI STATO DI SAVONA (d’ora in poi ASS), Curia Civile (d’ora in poi CC), filza 190,<br />

5 marzo 1491.<br />

8 Manuale, cc. 2v, 7v, 10v, 52v, 53v, 54r.<br />

9 Ibidem, c. 30v.<br />

10 Ibidem, cc. 2v, 6r, 7v, 9r, 42v, 43v, 44r, 44v, 49r, 53v, 54v, 69r, 69v, 110r, 112v, 119v.<br />

11 Ibidem, cc. 8r, 49r, 69r, 119v.<br />

12 Ibidem, cc. 39v, 117v.<br />

23


parlare <strong>di</strong> cambi “ufficiali” fissati dalle autorità, inesistenti nel Me<strong>di</strong>oevo. La<br />

stessa natura del nostro manuale ci porta comunque a prestare fede ai dati in<br />

esso contenuti, come genuina espressione dei quoti<strong>di</strong>ani valori <strong>di</strong> mercato, e<br />

quin<strong>di</strong> ad una svalutazione reale della moneta savonese superiore a quella<br />

in<strong>di</strong>cata, ad esempio, dalla contabilità comunale o dagli strumenti notarili 13 .<br />

La forte deperibilità delle monete minute con cui si eseguono normalmente i<br />

pagamenti, che ha loro meritato il nome <strong>di</strong> «atra moneta» o “black money”, è<br />

<strong>di</strong>mostrata da un episo<strong>di</strong>o datato 12 novembre 1487 e che ha come<br />

protagonista Simone Gallesio, castellano e fattore <strong>di</strong> Ambrogio Scarampi, il<br />

cui mulattiere ha consegnato a O<strong>di</strong>no Bava alcune monete in cattivo stato,<br />

che gli vengono quin<strong>di</strong> rimandate in<strong>di</strong>etro: «per <strong>di</strong>nari receputi dal suo<br />

mulaterio non tropo boni, rimandati al <strong>di</strong>cto Simon cum una mia poliza» 14 .<br />

Fra le pochissime partite contabili non tenute in moneta savonese figurano<br />

quelle nelle due monete d’oro correnti in Liguria in quegli anni: il vecchio<br />

ducato (più propriamente, almeno dopo il 1451, ducato largo) che nel gennaio<br />

1488 è cambiato secondo il nostro manuale a 27 grossi o 133 sol<strong>di</strong>, e lo scudo<br />

del sole e del re (forse sinonimi per in<strong>di</strong>care la moneta francese, poiché lo<br />

scudo del sole genovese non verrà coniato prima del 1507), valutato a ottobre<br />

e novembre 1487 122 sol<strong>di</strong> e mezzo 15 . Anche se in quantità modeste, non<br />

mancano, come è tipico del Me<strong>di</strong>oevo, pezzi monetari provenienti da zecche<br />

forestiere: carlini napoletani, testoni d’argento sabau<strong>di</strong> (valutati 2 grossi l’uno)<br />

e forse genovesi (valutati 32 sol<strong>di</strong> e 4 denari e mezzo, cioè 15 sol<strong>di</strong> genovesi o<br />

un quarto <strong>di</strong> ducato), trecchi <strong>di</strong> origine incerta (94 sol<strong>di</strong> e mezzo), lucchesi<br />

(forse grossi d’argento), bianchini probabilmente genovesi (11 sol<strong>di</strong> e 4<br />

denari) 16 .<br />

13 ASS, Comune Serie Prima (d’ora in poi CSP), 312, c. 28v (1487); 313, c. 491v (1485).<br />

Un’equivalenza a 35 sol<strong>di</strong> del 28 novembre 1488 è in ASS, Notai Antichi (d’ora in poi Not.<br />

Ant.), B. O<strong>di</strong>no, notulario 1488-90, c. 24r.<br />

14 Manuale, c. 44v.<br />

15 Ibidem, cc. 16r, 45r, 49r, 50r, 52v, 68v, 103r, 110r. I corsi del ducato e dello scudo sono in linea<br />

con quelli presenti nelle fonti notarili contemporanee. Sul ducato largo cfr. HEERS 1961, pp.<br />

58, 61.<br />

16 Ibidem, cc. 49v, 115v (carlini), 49r, 68v, 110r (testoni), 69r (trecchi), 110r (lucchesi), 44r, 49r,<br />

49v, 50r, 103r (bianchini). Il corso del testone è del maggio 1488; nel gennaio 1487 esso è<br />

valutato 31 sol<strong>di</strong> e mezzo nella contabilità comunale; ASS, CSP 314, c. 224v.<br />

24


La Commenda e la Chiesa<br />

La domus <strong>di</strong> San Giovanni viene comandata a frate Guglielmo, commendatore<br />

<strong>di</strong> San Giovanni a Genova e nelle Riviere, quando è ancora in costruzione,<br />

quin<strong>di</strong> sul finire del XII secolo 17 . Da allora e fino al 1685, la struttura religiosa<br />

si configura dunque come una Commenda, affidata cioè a un religioso che<br />

non ne è il superiore regolare, in questo caso ai membri dell’or<strong>di</strong>ne<br />

cavalleresco e ospitaliero <strong>di</strong> San Giovanni Gerosolimitano (oggi <strong>di</strong> Malta),<br />

composto da cavalieri precettori e commendatori a capo delle varie <strong>di</strong>more<br />

avute in beneficio e da scu<strong>di</strong>eri o servi. Durante gli anni coperti dalla nostra<br />

contabilità essa è assegnata a una potente famiglia feudale <strong>di</strong> origine<br />

astigiana, i cui posse<strong>di</strong>menti si estendono nell’Oltregiogo da Cairo al<br />

Monferrato, e che dal 1401 è già beneficiaria dell’abbazia <strong>di</strong> Ferrania: la<br />

famiglia Scarampi 18 . I precettori e commendatori <strong>di</strong> San Giovanni sono frate<br />

Bonifacio, miles gerosolimitano, dal 1486 al 1491, Ambrogio nel 1492 19 . Fra i<br />

loro imme<strong>di</strong>ati predecessori quattrocenteschi si conoscono frate Giovanni<br />

Scotto nel 1445, poi Battista Fieschi e frate Antonio de Segnorio dal 1447, tutti<br />

appartenenti all’or<strong>di</strong>ne del beato Giovanni Gerosolimitano, Antonio della<br />

Rovere nel 1479, frate Filippo da Manarola nel 1487 20 . Sembra che la famiglia<br />

Scarampi rimanga in possesso del beneficio per un periodo assai breve, visto<br />

che, a partire già dagli inizi del XVI secolo, si avvicendano nella carica<br />

membri <strong>di</strong> altre illustri casate savonesi, come Del Carretto, Gara, Della<br />

Rovere, Corradengo-Niella, Fodrato e Ferrero. Non si può comunque non<br />

con<strong>di</strong>videre quanto scritto quasi novant’anni fa da Noberasco, e cioè che<br />

«della savonese Commenda poco si sa» 21 .<br />

I precettori Scarampi compiono visite perio<strong>di</strong>che alla loro sede beneficiaria,<br />

talvolta accompagnati o sostituiti dai loro congiunti Antonio e soprattutto<br />

Alvise, «il magnifico messer Alvixi». Da <strong>Savona</strong> «soa Signoria» si reca a Genova<br />

nel 1488 e nel 1490, mentre sul finire dello stesso 1490 gli viene recapitato del<br />

17 La fondazione della chiesa e dell’ospedale risalgono al 1196; TACCHELLA 1977, pp. 172-173;<br />

PAVONI 2009, p. 58.<br />

18<br />

MILAZZO 2002, p. 18.<br />

19 Manuale, cc. 30v, 51v, 57v; cfr. supra, nota 7. Il 24 gennaio 1489 frate Bonifacio avalla la<br />

contabilità <strong>di</strong> O<strong>di</strong>no; ibidem, cc. 43r, 119v.<br />

20<br />

TACCHELLA 1977, pp. 174, 176, 177; PAVONI 2009, p. 104; NOBERASCO 1923, p. 123; ASS, CC,<br />

filza 25, 17 gennaio 1459; Not. Ant., F. CASTELDELFINO, filza 1490, 8 marzo.<br />

21<br />

NOBERASCO 1923, pp. 119, 124. Nel 1510 frate Bonifacio Scarampi risulta essere procuratore<br />

del priorato <strong>di</strong> Lombar<strong>di</strong>a; TACCHELLA 1977, p. 175.<br />

25


vino a Roma 22 . Il giorno prima della Pasqua 1488, il 6 aprile, gli viene offerto<br />

«uno agnelo pascale con le sue arme, como è per consuetu<strong>di</strong>ne»,<br />

probabilmente un dolce 23 .<br />

Naturalmente la Commenda <strong>di</strong>spone <strong>di</strong> ren<strong>di</strong>te, derivanti da locazioni <strong>di</strong><br />

proprietà immobiliari. Nel 1487 si contabilizzano le spese «facte per andare a<br />

Finale per scodere [riscuotere] li livelli», nel 1488 è forse lo stesso O<strong>di</strong>no a<br />

prelevare denaro «per andare Albengam et a li altri beneficii per scodere, …<br />

per tanto per barche como per le speisse» e «per andare al Finale et Miolia per<br />

scodere per doi dì», mentre nel 1489 si incarica della riscossione lo stesso<br />

Commendatore, «quando da poi se partì per andare a Nori, al Finale e<br />

Albengana». Nel giugno 1497 tocca ancora a O<strong>di</strong>no incassare il ricavato <strong>di</strong><br />

ventisette livelli, presumibilmente sul territorio savonese 24 . Altre ren<strong>di</strong>te,<br />

probabilmente sotto forma <strong>di</strong> decime, vengono versate da privati e dallo stesso<br />

Comune consegnando grano, che viene conservato in un «masaghino [per<br />

maghasino] ch’è in la camera de mezo» e poi in parte consumato in casa e in<br />

parte inviato oltre giogo agli Scarampi 25 .<br />

Alcune spese correnti ci offrono informazioni sulla topografia della chiesa,<br />

costruita forse tra il 1178 e il 1182, demolita per essere ricostruita nel 1681 e<br />

oggi scomparsa, essendo stata abbattuta nel 1962 per far posto ad un<br />

condominio 26 . In particolare ci confermano l’esistenza alle sue spalle <strong>di</strong> un<br />

terreno con pozzo coltivato in parte a vigna e in parte a orto, ritenuto nel 1585<br />

dal visitatore apostolico monsignor Mascar<strong>di</strong> la causa dell’umi<strong>di</strong>tà che invade<br />

la sacrestia 27 . Vengono infatti registrate spese per riparare il secchio e la fune<br />

del pozzo, «per tres forzelle per le topie de lo orto», «per far cavare lo orto e<br />

piantare» e «per fare lo pasto a li lavoratori che hanno laborato in lo iar<strong>di</strong>no» 28 .<br />

In quanto all’ospedale, esso è all’origine della vocazione stessa della<br />

Commenda, essendo il luogo dove «all’assistenza dei viaggiatori e dei<br />

pellegrini si affianca il ricovero e la cura dei poveri e dei malati». Fondato<br />

secondo la tra<strong>di</strong>zione nel 1196 e comunque prima del 1205, esso non viene<br />

menzionato durante il Quattrocento (per cui si è ritenuto che non fosse più<br />

22 Manuale, cc. 6r, 6v, 7r, 8r, 8v, 10v, 11r, 12r, 12v, 56v, 57r, 57v.<br />

23 Ibidem, c. 10v.<br />

24 Ibidem, cc. 5v, 10v, 13v, 56v, 65v.<br />

25 Ibidem, cc. 51v-57r.<br />

26 Il cartulario <strong>di</strong> Arnaldo Cumano e Giovanni <strong>di</strong> Donato 1978, docc. 501, 564 (1178), 543 (1180), 556,<br />

558, 880, 881 (1181), 1024 (1182); VIVALDO 1967, p. 59.<br />

27 ASD, Sala 1, scaffale 3, Decreti del visitatore Nicolò Mascar<strong>di</strong>, registro (1585), c. 24v.<br />

28 Manuale, cc. 6r, 6v, 9v, 13r, 57r.<br />

26


in attività) e appare in pessime con<strong>di</strong>zioni a monsignor Mascar<strong>di</strong> 29 . In un atto<br />

notarile del 1483 è citata tuttavia una casa appartenente alla «domus caritatis»<br />

<strong>di</strong> San Giovanni che confina <strong>di</strong>etro con la chiesa e da un lato con l’ospedale 30 .<br />

Potrebbero dunque riferirsi ad esso le spese del 1488 «per pagla missa in li<br />

lecti» 31 .<br />

I lavori della «fabricha» sono <strong>di</strong>retti da messer Nicoloso Bonorino, «masario<br />

de la fabricha» e, come già detto, sono sotto la <strong>di</strong>retta responsabilità finanziaria<br />

<strong>di</strong> O<strong>di</strong>no («mi, prete O<strong>di</strong>no Bava, ho exbursato de li mei <strong>di</strong>nari»). Preceduta<br />

da una breve lista <strong>di</strong> entrate, la loro contabilità va dal 17 giugno al 21 luglio<br />

1497; ma l’elenco è molto probabilmente incompleto, poiché le carte seguenti<br />

sono lacerate 32 . Vi si impiegano 2.900 chio<strong>di</strong> («aguy») e altra ferramenta<br />

(«ziavason»), «arena», «calcina» e mattoni («moni») e vi partecipano numerosi<br />

maestri artigiani e operai. «Per satisfare a li maystri e lavoratori de la fabricha<br />

de Sancto Iohanne» O<strong>di</strong>no paga oltre cinquanta giornate lavorative, con salari<br />

giornalieri che vanno dai 7 grossi (24 sol<strong>di</strong> e mezzo) per i muratori o<br />

«masachani» ai 4 grossi (14 sol<strong>di</strong>) per i falegnami e carpentieri o «capsari», ai<br />

7-8 sol<strong>di</strong> per gli operai. In precedenza, nel 1488, già si è lavorato per tre giorni<br />

alla copertura del tetto della Commenda, collocandovi «ziape da coperire o<br />

sia abayni», e forse ad una «camera nova» 33 .<br />

La vita quoti<strong>di</strong>ana<br />

Come riferito poc’anzi, il nucleo centrale della contabilità è rappresentato da<br />

una serie <strong>di</strong> spese correnti per vitto, vestiario e oggetti, che va dal 20 marzo<br />

1487 al 17 <strong>di</strong>cembre 1488 e che occupa circa i tre quarti del testo 34 . Le spese<br />

alimentari per uso domestico («per cassa») del prete O<strong>di</strong>no comprendono<br />

naturalmente innanzitutto pane, olio («a la mesura de Finale») e vino (fra cui<br />

due fiaschetti <strong>di</strong> vernaccia e uno <strong>di</strong> rossese) e, curiosamente, un solo acquisto<br />

<strong>di</strong> castagne fresche. Un posto importante a tavola è occupato dalle verdure:<br />

cavoli cappuccio, cipolle e cipolline, ravanelli, aglio e fave, «cauli garbusi e<br />

29 Il cartulario del notaio Martino 1974, doc. 957 (1205); PAVONI 2009, pp. 79, 112; ASD, Sala 1,<br />

scaffale 3, Decreti del visitatore Nicolò Mascar<strong>di</strong>, registro (1585), c. 30r.<br />

30 ASS, Not. Ant., G. GALLO, notulario 1482-83, cc. 253r-254r [1483].<br />

31 Manuale, c. 11r.<br />

32 Ibidem, cc. 68v-69v.<br />

33 Ibidem, cc. 10r, 13v.<br />

34 Ibidem, cc. 2v-13v, 39v-45v, 49v-52r, 102v-119v.<br />

27


cepolle e raveneli», «cioline», «cepolle e agli». Non sono da meno i latticini,<br />

con «formagio grasso», «formagio salato» e «presenzola» (o prescinsöa) una<br />

quagliata o formaggio molle dal sapore acidulo e poco conservabile, tipico<br />

della nostra regione e già allora, probabilmente, usato per fare focacce:<br />

«presenzola per far torte» 35 . Ma il primato assoluto delle citazioni alimentari<br />

(15 volte) va al formaggio sardo o «sar<strong>di</strong>nale», un prodotto che proprio nel<br />

secondo Quattrocento sta guadagnando vasta popolarità in tutto il<br />

Me<strong>di</strong>terraneo 36 .<br />

Maccheroni («macharoni») e fidelini («fidelli») vengono cotti in minestre<br />

(«in fidelli per far menestra»), che forse, secondo l’usanza me<strong>di</strong>evale, possono<br />

anche avere un sapore dolce o semidolce: «per riso et garilli de amandolle per<br />

far minestra» 37 . Sempre in ossequio ai costumi del tempo, si comprano spezie<br />

in abbondanza, «de specie forte e … de le dolce»: comino, macis, pepe,<br />

cannella, «sefrano», «seneva», zenzero («gingiber»), alle quali va aggiunto lo<br />

zucchero, allora ancora così prezioso da essere assimilato alle spezie. Un solo<br />

acquisto <strong>di</strong> uova e uno <strong>di</strong> lardo. In quanto alla carne, non si può non rimarcare<br />

che nei conti or<strong>di</strong>nari <strong>di</strong> O<strong>di</strong>no figura un solo acquisto <strong>di</strong> «carne frescha» e<br />

uno <strong>di</strong> fresca e salata insieme. Ma la localizzazione costiera <strong>di</strong> <strong>Savona</strong> assicura<br />

abbondante rifornimento <strong>di</strong> proteine nobili: si comprano «pessi freschi»<br />

almeno <strong>di</strong>eci volte, «pessi salati» almeno nove volte, e poi carne <strong>di</strong> tonno<br />

conservata («tonina») almeno sette volte e mosciame («moxame»), mentre le<br />

spese «per octo mazi de corde de peschar a le anguille» e «per cento lami da<br />

piscar a le anguille» ci ricordano pesche e prede ormai scomparse 38 .<br />

Al pari delle verdure, sembra che sulla tavola non manchi la frutta: «pome,<br />

cereize et amandolle», nonché meloni, cui si aggiunge una ricca varietà <strong>di</strong><br />

agrumi, tipici del sanremese e del chiavarese ma non assenti a <strong>Savona</strong>: «cedri,<br />

limoni, lemie, citroni dolzi, citroni agri» 39 . Il cedro sarebbe presente nel<br />

Ponente ligure già all’inizio del XII secolo; gli altri agrumi vi arrivano, portati<br />

dai Crociati, nel corso dello stesso secolo: i limoni, le limie o lemie (forse piccoli<br />

limoni o “limonetti”) e gli aranci (citroni) dolci e amari. In quanto agli aranci<br />

dolci, tuttavia, secondo alcuni essi potrebbero essere giunti dal Portogallo non<br />

prima del Quattrocento 40 .<br />

35 Ibidem, c. 11r.<br />

36 BRAUDEL 1982, p. 185.<br />

37 Manuale, cc. 6v, 10r, 39v.<br />

38 Ibidem, c. 111v.<br />

39 Ibidem, cc. 5r, 12v, 42v, 44r, 45v, 118v; HEERS 1961, pp. 325.<br />

40 CARASSALE e LO BASSO 2008, pp. 43-44, 55-56.<br />

28


In conclusione la mensa <strong>di</strong> O<strong>di</strong>no Bava, con la sua ricchezza <strong>di</strong> cibi freschi<br />

e non priva <strong>di</strong> qualche delicatezza, ci sembra riflettere una vita certo modesta<br />

ma più che <strong>di</strong>gnitosa, lontana forse da quella dei ceti più abbienti ma certo<br />

ancor più lontana dagli spettri della malnutrizione e della denutrizione che,<br />

fra Quattro e Cinquecento, minacciano costantemente gli operai a giornata e<br />

anche parte degli artigiani 41 . Ma le cose cambiano «in la vegnuta de il<br />

reverendo messer Comendatore», in occasione cioè delle perio<strong>di</strong>che visite alla<br />

Commenda del suo titolare e dei suoi congiunti. Allora non mancano né la<br />

carne fresca né i «polastri», alla frutta si aggiungono «melogranate dolce» e si<br />

servono quegli zuccherini e quelle confetterie cui purtroppo i vecchi storici<br />

genovesi accennarono appena e che Giovanni Rebora ha almeno<br />

parzialmente rimosso dall’ombra 42 . Si parla così <strong>di</strong> «una scatulla de doe lire<br />

de zucaro in confecti», «una scatula de confecti, zoè <strong>di</strong>aragie» e «lire doe de<br />

pignocate o sia confecti», dove la <strong>di</strong>aragia o dragée è una mandorla ricoperta<br />

<strong>di</strong> zucchero, simile agli o<strong>di</strong>erni confetti nuziali, mentre la pignocata o pignolata<br />

è una pasta <strong>di</strong> mandorle e pinoli interi 43 . Si mangia anche pane bianco. Ma<br />

che questa sia un’eccezione è <strong>di</strong>mostrato da una nota del 17 maggio 1490: «in<br />

la vegnuta de messer lo Commendatore per la sua famigla in la andata de<br />

Jenoa, uno staro de farina, e non hè possuto bastare, perzò s’è acumprato de<br />

lo pan neigro» 44 .<br />

Tra le righe delle sue partite contabili, il nostro manualetto testimonia<br />

anche della presenza sempre più invadente e insostituibile <strong>di</strong> un commercio<br />

internazionale de<strong>di</strong>to non più al lusso ma ai prodotti <strong>di</strong> largo consumo e che<br />

ha cessato quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> essere privilegio dei ceti più abbienti: certo, una delle più<br />

concrete <strong>di</strong>mostrazioni <strong>di</strong> “modernità” del tardo Me<strong>di</strong>oevo. La carne <strong>di</strong> tonno<br />

conservata («tonina grassa» e «tonina magra») viene imbarcata soprattutto a<br />

Ca<strong>di</strong>ce, dove affluisce dalle tonnare andaluse; il «sale Matte» proviene dalle<br />

saline <strong>di</strong> La Mata, poco a nord <strong>di</strong> Cartagéna, nella regione spagnola della<br />

Murcia; il «rixo catelanescho» è coltivato nelle huertas attorno a Valencia; le<br />

«scatule tre piene de caviale» comprate per Alvise Scarampi hanno<br />

probabilmente navigato dalle lontanissime rive del mar d’Azov, ai confini del<br />

mondo conosciuto 45 . Non meno interessante la parabola dello «zucharo de<br />

41<br />

NICOLINI 2009, pp. 40-46.<br />

42<br />

BELGRANO 1877, pp. 163-164; PANDIANI 1915, p. 200; REBORA 1992, pp. 21, 22, 27.<br />

43 Manuale, cc. 5r, 8v, 13v, 102v, 117v.<br />

44 Ibidem, cc. 9v, 11v, 57r.<br />

45 Ibidem, cc. 2v, 7r, 8v, 9v, 10r, 39v, 43v, 45v, 102v; HEERS 1961, pp. 354, 488-489, 493; GUIRAL-<br />

HADZIIOSSIF 1986, pp. 166, 219; BALARD 1978, pp. 707, 720.<br />

29


Madera», trasportato per un migliaio <strong>di</strong> miglia dall’Atlantico ma che presto<br />

arriverà da molto più lontano. Veramente singolare, infatti, la storia dello<br />

zucchero, che segna il qualche modo la marcia dei conquistatori europei verso<br />

il Far West del mondo: originario del Bengala, scoperto dai mercanti latini in<br />

Siria, messo in salvo a Cipro dopo la caduta dei regni crociati, passato in Sicilia<br />

e poi in Andalusia fra Tre e Quattrocento, raggiunge Madera attorno al 1460<br />

in attesa <strong>di</strong> trasferirsi in Brasile verso il 1520, «e allora lo zucchero conquista il<br />

mondo» 46 .<br />

A parte il vitto, che ne rappresenta la parte più consistente, le spese<br />

domestiche <strong>di</strong> O<strong>di</strong>no riguardano acquisti <strong>di</strong> candele <strong>di</strong> cera e <strong>di</strong> sego per la<br />

casa e forse per la chiesa, carta per scrivere, qualche scampolo <strong>di</strong> stoffa con<br />

relativi lavori <strong>di</strong> sartoria, coltellini e forbici, vasi <strong>di</strong> rame, vestiario e calzature<br />

per i giovani servitori (il «ragazio» e il «famiglo»). Si compra anche legna da<br />

ardere, che essendo tuttavia rappresentata da arbusti <strong>di</strong> brughiera e fascine<br />

(«per bruge acumprate ho sia faxine») viene forse consumata in un forno<br />

piuttosto che in un camino 47 .<br />

Acquisti <strong>di</strong> tessuti lussuosi e comunque raffinati, come «seda neigra filata»<br />

o «doi mazi de seta filata neigra e morella», «dodexe cane de cavigliera neigra<br />

e peilo de leone», «uno iamelloto», «quatro lire e meza de lino», «bombaso<br />

soriano» (cotone siriano, più pregiato <strong>di</strong> quello turco) e «canne sete e parmi<br />

trei de drapo Pinerolo» sono molto probabilmente destinati alla famiglia<br />

Scarampi 48 . Lo stesso avviene quando si paga un lavoro <strong>di</strong> sartoria per una<br />

tonaca elegante: è intestata specificamente ad Alvise la spesa «per far recusire<br />

le sue robe neigre longe fodrate de agnelini» 49 . Entrano allora in scena, insieme<br />

con i loro uomini, le donne o madone della famiglia Scarampi: Giovanna<br />

(Zuana) moglie <strong>di</strong> Alvise, Brigida sorella del Commendatore, Mariola, Fioretta,<br />

Elena, Caterina (Catìn), ma anche Battistina (Batina) Grimal<strong>di</strong> moglie del<br />

genovese Battista, Astinenza Sassello. Queste nobildonne, delle gran parte<br />

delle quali non conosciamo né affinità né parentele, vengono a <strong>Savona</strong> con i<br />

loro uomini a comprarsi le calzature: «doe parie de scarpe per sua<br />

46 Manuale, c. 10r; HEERS 1961, p. 495; BRAUDEL 1982, pp. 199-200.<br />

47 Manuale, cc. 5r, 5v, 6r, 11r.<br />

48 Ibidem, cc. 42v, 43v, 49v, 52r. Il “pelo <strong>di</strong> leone” è un colore fulvo, <strong>di</strong> solito impiegato in tessuti<br />

<strong>di</strong> gamma me<strong>di</strong>o-alta. Il camellotto è un tessuto pregiato <strong>di</strong> origine orientale. Sul cotone siriano,<br />

caricato a Beirut e raro a Genova, cfr. HEERS 1955, p. 172; IDEM 1961, p. 375; BALARD 1978, pp.<br />

741-742. Sui panni <strong>di</strong> Pinerolo cfr. NICOLINI 2010, pp. 190-191.<br />

49 Manuale, c. 6v.<br />

30


magnificencia et uno pare de pianelle», «uno pare de scarpe al pie’ de<br />

madona», «uno pari de pianelle» per Giovanna e «paire doe de scarpe rosse»<br />

per Fioretta, probabilmente sua figlia 50 . Inutile <strong>di</strong>re quanto simili fatti siano<br />

in<strong>di</strong>cativi del buon livello qualitativo dell’artigianato savonese e della sua<br />

<strong>di</strong>ffusione nell’entroterra.<br />

Un mondo <strong>di</strong> mulattieri<br />

Le donne e gli uomini della famiglia commandataria fanno dunque acquisti<br />

a <strong>Savona</strong>, ma non solo <strong>di</strong> tessuti e <strong>di</strong> scarpe: molti generi alimentari lasciano<br />

la Commenda e prendono la via <strong>di</strong> Cairo. Ve<strong>di</strong>amo così avvicendarsi fra le<br />

carte del nostro manualetto una decina <strong>di</strong> mulattieri e almeno tre asinari, quasi<br />

tutti legati in<strong>di</strong>vidualmente ai loro padroni dell’Oltregiogo e talvolta nominati<br />

con cura, come Antonio Bosaccio <strong>di</strong> Sassello, al servizio <strong>di</strong> Alvise e Giovanna<br />

Scarampi, o Barolo, mulattiere <strong>di</strong> Simone Gallesio (il fattore <strong>di</strong> Ambrogio<br />

Scarampi), o Gugliemo, asinaro <strong>di</strong> O<strong>di</strong>no Mallone. Essi trasportano verso<br />

Cairo frutta, verdura, pesci freschi e salati, «tonina», formaggio, sale, vino,<br />

grano e farina, cuoio e lettere. Ad alcuni <strong>di</strong> loro O<strong>di</strong>no fornisce «uno pare de<br />

scarpe», a un asinaro «una berreta rosa». Altri trasportano olio alla<br />

Commenda, altri ancora ricevono denaro «per spendere». In non poche<br />

occasioni hanno con sé somme non in<strong>di</strong>fferenti appartenenti ai loro padroni,<br />

come i due scu<strong>di</strong> d’oro e 27 bianchini, per un valore <strong>di</strong> 27 lire e 18 sol<strong>di</strong>, «portati<br />

per lo mulaterio de la magnifica madona Mariolla Scarampa in numerato» o<br />

gli 8 scu<strong>di</strong> del sole (quasi 50 lire) «portati per Rizo, mulaterio de messer<br />

Bernar<strong>di</strong>n de Ruvere» 51 . Non v’è dubbio che siano proprio loro, i mulattieri,<br />

a svolgere un ruolo cruciale che va naturalmente oltre la nostra contabilità,<br />

non solo come trasportatori, ma anche come ambasciatori e uomini <strong>di</strong> fiducia<br />

dei loro padroni.<br />

Naturalmente la Commenda <strong>di</strong>spone <strong>di</strong> una «stala grande» e <strong>di</strong> una<br />

«staleta» e provvede all’acquisto <strong>di</strong> biada e avena e a «far ferare» i<br />

quadrupe<strong>di</strong> 52 . Da qui si <strong>di</strong>parte una strada <strong>di</strong>retta dunque soprattutto verso<br />

Cairo, la capitale del variegato feudo degli Scarampi. Nel suo territorio, presso<br />

il confine con il Comune savonese, anche se non ne conosciamo le ragioni, la<br />

50 Ibidem, cc. 41v, 42v, 113v.<br />

51 Ibidem, cc. 43r, 110r.<br />

52 Ibidem, cc. 5v, 6r, 6v, 12r, 12v.<br />

31


Commenda ha rapporti anche con l’osteria <strong>di</strong> Montenotte, alla quale vengono<br />

inviati due materassi, un libro, una quarta d’olio, un lavamano e un acquaiolo<br />

<strong>di</strong> rame, una dozzina <strong>di</strong> cucchiai <strong>di</strong> legno e un paio <strong>di</strong> sacchi <strong>di</strong> sabbia 53 . Ma<br />

la rete <strong>di</strong> relazioni della Commenda con l’Oltregiogo non si esaurisce a Cairo,<br />

anzi si estende in maniera insospettabile. Un panno paonazzo viene recapitato<br />

al prete <strong>di</strong> Mioglia e due materassi e tre giare all’osteria dello stesso borgo. Da<br />

Canelli i mulattieri trasportano vino e vi conducono agrumi, pesci freschi e<br />

grano, tre zucche, tela, cera e candele, torce e sale rosso. A Montechiaro<br />

d’Acqui si inviano una lucerna e un rubbo <strong>di</strong> stagno per la chiesa e si presta<br />

denaro al castellano. Da Bubbio si riceve vino e si manda «una cortella o sia<br />

uno falchino» 54 . Ebbene, sia Mioglia che Canelli che Montechiaro d’Acqui che<br />

Bubbio sono, in parte o per intero, infeudate agli Scarampi 55 . La Commenda<br />

intrattiene quin<strong>di</strong> rapporti con l’entroterra non in funzione dei suoi<br />

posse<strong>di</strong>menti <strong>di</strong> recente acquisiti, come quelli <strong>di</strong> Voltaggio e <strong>di</strong> Gavi, ma in<br />

ossequio alle esigenze territoriali dei suoi potenti beneficiari 56 .<br />

Se dunque può sembrare da un lato quantomeno singolare che, in una<br />

contabilità tardo quattocentesca stilata in un Comune marinaro ligure, la<br />

parola barca compaia solo due volte e la parola mulattiere 35 volte, bisogna<br />

considerare dall’altro lato i confini del mondo rappresentato in questa stessa<br />

contabilità. Un mondo con un cuore feudale che si estende da Cairo alle<br />

colline del Monferrato sotto la signoria degli Scarampi, dal quale ci si rivolge<br />

al mare (cioè a <strong>Savona</strong>) non per commerciare ma per “fare la spesa”, o tutt’al<br />

più per riscuotere ren<strong>di</strong>te fon<strong>di</strong>arie. Un mondo del quale le semplici attività<br />

quoti<strong>di</strong>ane <strong>di</strong> O<strong>di</strong>no Bava non bastano certo a spostare il baricentro, né<br />

culturale né psicologico.<br />

53 Ibidem, cc. 2v, 112v.<br />

54 Ibidem, cc. 5r, 5v, 7r, 9r, 9v, 12r, 13v, 49v, 50v, 57r, 112v, 113v, 116v, 117v, 118v, 119v.<br />

55 CASALIS 1834, p. 684; IDEM 1836, p. 417; IDEM 1842, p. 343; IDEM 1843, p. 230.<br />

56 TACCHELLA 1977, p. 270; PAVONI 2009, p. 67.<br />

32


Bibliografia<br />

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in Cavalieri <strong>di</strong> San Giovanni in Liguria e nell’Italia Settentrionale. Quadri regionali,<br />

uomini e documenti (Atti del Convegno, Genova 2004), Genova-Albenga, pp. 37-<br />

113.<br />

33


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S. Giovanni Battista, in Il IV centenario della chiesa <strong>di</strong> S. Domenico in <strong>Savona</strong> (1567-<br />

1967), <strong>Savona</strong>, pp. 57-61.<br />

34


Appen<strong>di</strong>ce.<br />

Il testo del manoscritto<br />

ARCHIVIO STORICO DIOCESANO DI SAVONA-NOLI, Sala 3, Scaffale 43, Archivio<br />

Parrocchiale <strong>di</strong> San Giovanni Battista, faldone 6.<br />

Elenco delle abbreviazioni utilizzate nella trascrizione:<br />

cant.: cantaro (misura <strong>di</strong> peso); li.: libbra (misura <strong>di</strong> peso);<br />

d.: denaro, do<strong>di</strong>cesima parte del soldo; quart.: quarto, <strong>di</strong> grosso o <strong>di</strong> staia;<br />

d.: dominus (signore); rub.: rubbo (misura <strong>di</strong> peso, un sesto del cantaro);<br />

<strong>di</strong>m.: <strong>di</strong>mi<strong>di</strong>us, <strong>di</strong>mi<strong>di</strong>a (mezzo, mezza); s.: soldo, ventesima parte della lira;<br />

duc.: ducato; st.: staia, misura <strong>di</strong> peso per cereali;<br />

fl.: fiorino; unc.: oncia (misura <strong>di</strong> peso, un do<strong>di</strong>cesimo della libbra);<br />

gr.: grosso<br />

lb.: lira (unità monetaria); ven.: venerabile.<br />

[copertina]<br />

[c. 1 mancante]<br />

M°CCCCLXXXVII.<br />

[c. 2v]<br />

+ 1487, <strong>di</strong>e 7 iunii.<br />

Item suprafacto deve per <strong>di</strong>né exborsati per compire de acumprare doe cantari<br />

de formagio sar<strong>di</strong>nale gr. XVIII, valet Savone lb. III s. III d. .<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, per cauli garbusi e cepolle e raveneli, due ogni cosa, al supra<strong>di</strong>cto<br />

mulaterio, Savone lb. s. VIII d. .<br />

Item, <strong>di</strong>e XII iunii, per doe straponte mandate a Montenocto a la hosteria, Savone<br />

lb. XXX s. X.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, per una mina de salle Matte, acipiente Gulielmo, asinario de O<strong>di</strong>no<br />

Mallono, per commissione del reverendo messer Commendatore, Savone<br />

lb. V s. XVIIII d. X.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, per uno cant. et rub. III li. dexe de formagio sar<strong>di</strong>nale, a la raxon de<br />

lb. VIII lo cantaro, in suma valet Savone lb. XI s. X d. .<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, per uno libro mandato a Montenocto s. X d. VI.<br />

Item, <strong>di</strong>e XX iunii, per garbusi e ravenelli mandati per lo mulaterio <strong>di</strong>cto Mioglia,<br />

e tuto per commissione de il suprafacto, Savone s. VIIII d. VI.<br />

Item, <strong>di</strong>e XXI iunii, per paire octo de scarpe per le ferugle del suprafacto, preisi<br />

de Lucha de Sellorio, de raxon de lo messer il pairo lb. VI s. IIII d. .<br />

–––––––––––––––––––––<br />

lb. 59 s. 14 d. 1<br />

35


[cc. 3-4 mancanti]<br />

[c. 5r]<br />

+ 1487, <strong>di</strong>e XIIII augusti.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, per frute, zoè pome, cereize et amandolle lb. s. II d. IIII.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, per doe penture sopra le induligence de Sancto Iohanne<br />

lb. s. V d. IIII.<br />

Item, <strong>di</strong>e XXVI augusti, per una lira de pane, secundo me ha scrito Georgio Veste,<br />

data al suo asinaro de Monte Claro Gullino lb. s. IIII d. VI.<br />

Item, <strong>di</strong>e VI septembris, per somate quatro de brughe per cassa s. XVI d. .<br />

Item, <strong>di</strong>e nona septembris, date a uno camparo che portasse una lettera per li [...] 1<br />

che vegnono de Sardegna lb. s. VII d. VI.<br />

Item <strong>di</strong>e X septembris, per tre scatule de confecto, de commissione de il <strong>di</strong>cto<br />

messere lb. s. XI d. VI.<br />

Item per speisse fate a quello de il cavalo sardo e al <strong>di</strong>cto Cane per una nocte<br />

lb. s. X d. VI.<br />

Item, <strong>di</strong>e XVII septembris, per uno rubo de ponbio per la zeisa de Monteclaro, a<br />

la raxon de s. II d. III per lira, e posito in la raxon de il magnifico messer Alvixi<br />

Scarampi ****<br />

Item, <strong>di</strong>e XXIIII septembris, per uno cantaro de formagio sar<strong>di</strong>nale, de comision<br />

de il magnifico messer comandatario lb. VIII s. XV d. .<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, per una barrile de pessi salati lb. VI s. II d. VI.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, per uno bariloto de oleo infustato lb. VII s. XVII d. VI.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, per vaselame de terra lb. s. VIIII d. VIIII.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, per uno pane de sapone lb. s. II d. VIII.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, per pevere onze lire et per farlo pistare lb. s. XIII d. .<br />

–––––––––––––––––––––<br />

lb. 28 s. .<br />

[c. 5v]<br />

1487, <strong>di</strong>e XXIIII septembris.<br />

Item per CCCCto 34 cepolle con liquanti ravenelli lb. s. XIIII d. [...].<br />

Item per uno cento d’aglo lb. s. II d. VI.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, per uno quinterno de papé lb. s. II d. VIII.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, per doe bogli de sal Matte lb. III s. II d. VI.<br />

Item, <strong>di</strong>e III octobris, per far tenere le asini e remetare a tuto quello che<br />

bisognaveno<br />

lb. s. XVI d. VIII.<br />

Item, <strong>di</strong>e V octobris, per spense facte per andare a Finale per scodere li livelli<br />

lb. s. V d. III.<br />

1 guasto nel manoscritto.<br />

36


Item, <strong>di</strong>e VIII octobris, per brughi acumprati per acendere il focho lb. s. X d. .<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, per una stare de avene per il 2 asini lb. s. XV d. VIIII.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, per uno drapo pavonacio per lo prete de Mioglia lb. III s. III d. .<br />

Item, <strong>di</strong>e XIII octobris, per la fodra de le cape de il ragazo, zoè cana una e meza<br />

de bianché tinta in blavo lb. V s. V d. VI.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, per uno zipono per il <strong>di</strong>cto ragazio lb. IIII s. IIII d. .<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, per la manifactura de la <strong>di</strong>cta capa et de uno pitoiho gr. VIIII et certe<br />

bognete al <strong>di</strong>cto pitocho de sopra <strong>di</strong>cto ragazio Bosino lb. I s. VI d. II.<br />

Item, <strong>di</strong>e XIIII octobris, per una quarta de biave per li asini lb. s. VIII d. V <strong>di</strong>m.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, per uno par de scarpe per Pareto asinario lb. s. XV d. VIIII.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, per una berreta rosa per il <strong>di</strong>cto axinario s. XII d. III.<br />

–––––––––––––––––––––<br />

lb. 26 s. 9 d. 2<br />

[c. 6r]<br />

1487, <strong>di</strong>e XIIII octobris.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, per metere quatro ferri a li axini et una remutatura a li altri pe<strong>di</strong><br />

lb. s. VIII d. VII.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, per parie sexe de scarpe grose per la famigla de Miogla<br />

lb. IIII s. XVIII d. .<br />

Item, <strong>di</strong>e XXIIII octobris, per una somata da mulo de faxine lb. s. VI d. VI.<br />

Item, <strong>di</strong>e III novembris, per tre botte a vinace de sei mezerolle l’una, costano gr.<br />

XVI <strong>di</strong> papa l’una lb. VII s. VII d. .<br />

Item, <strong>di</strong>e V novembris, per cerzie a le <strong>di</strong>te botte lb. s. X d. VI.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, al meistro che le ha or<strong>di</strong>nate, per sua mercede et le speisse<br />

lb. s. V d. III.<br />

Item, <strong>di</strong>e V novembris, per una altra botte grossi XVIII, sive Savone<br />

lb. III s. III d. .<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, per una sentencia de excomunicacione relaxata contra Georgio<br />

Brexano e Rafael Paternostro, in moneta Savone lb. s. VII d. .<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, per comandamenti fati a li pre<strong>di</strong>cti Georgio e Rafael e per <strong>di</strong>nari dati<br />

a lo meso de la corte de monsignore il Vescho, in moneta Savonelb. s. XIII d. VI.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, per fare aconza’ lo boglolo del pozo, in moneta Savonelb. s. V d. .<br />

Item, <strong>di</strong>e XIIII novembris, per stare I quart. I de basane per la vegnuta de il<br />

magnifico messer Alvixi Scarampo, Savone lb. s. XVIIII d. IIII.<br />

–––––––––––––––––––––<br />

lb. 18 s. 13 d. .<br />

2 il: così nel testo, per li.<br />

37


[c. 6v]<br />

1487, <strong>di</strong>e XIIII novembris.<br />

Item per candelle de sepo, in numerato Savone lb. s. V d. III.<br />

Item, <strong>di</strong>e XV novembris, per carne fresche acumperate per il suprafacto, Savone<br />

lb. s. VIII d. VIIII.<br />

Item per pane acumperato, in moneta Savone lb. s. XI d. VI.<br />

Item per formagio sar<strong>di</strong>nale per li mulateri che sono vegnuti per lo vino<br />

lb. s. VII d. II.<br />

Item in fidelli per far menestra lb. s. II d. .<br />

Item, <strong>di</strong>e XVI novembris, per pessi freschi lb. s. IIII d. VI.<br />

Item, per metere una doga che s’è trovata trista a una de le botte lb. s. VII d. .<br />

Item, per far recusire le sue robe neigre longe fodrate de agnelini, in numerato<br />

Savone lb. s. VII d. .<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, per doii cantari de feno e lire cinque, a la raxon de s. XV lo cantaro,<br />

in numerato Savone lb. I s. X d. VI.<br />

Item, ea, per una rastellera de cavali in la stalla grande e cinque anelli <strong>di</strong> ferro in<br />

la <strong>di</strong>cta stala et per fare aconzare la nagiora de la staleta, in numerato Savone<br />

lb. II s. I d. .<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, per far fare sexe stamegne da barchoni, in numerato Savone<br />

lb. s. XVIII d. .<br />

–––––––––––––––––––––<br />

lb. 7 s. 3 d. 4<br />

[c. 7r]<br />

1483 , <strong>di</strong>e XXII novembris.<br />

Item in carne fresche li. V unc. II per il suprafacto et per la sua famigla<br />

lb. s. V d. .<br />

Item, <strong>di</strong>e XXIII novembris, in pesi freschi, Savone lb. s. II d. .<br />

Item formagio graso lb. s. III d. .<br />

Item, <strong>di</strong>e VIII decembris, per uno cantaro e rubi quatro de feno, in numerato<br />

Savone<br />

lb. I s. VII d. VI.<br />

Item, <strong>di</strong>e XVIII decembris, in la vegnuta de il reverendo messer Comendatore,<br />

per carne fresche, in numerato Savone lb. s. IIII d. IIII.<br />

Item, <strong>di</strong>e XVIIII decembris, per feno acumperato in doe partite, in numerato<br />

Savone<br />

lb. II s. II d. X.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, per agrumi acumperati per mandare a Canelli, in numerato<br />

lb. s. XIIII d. VIII.<br />

3 148: così nel testo, per 1487.<br />

38


Item ea <strong>di</strong>e, per carne fresca, Savone lb. s. .<br />

Item ea <strong>di</strong>e, per oleo acumperato, in numerato Savone lb. s. III d. II.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, per candelle de sepo, in numerato Savone lb. s. V d. .<br />

Item in formagio salato s. VI d. II.<br />

Item per tonine e pesi salati e cauli, in numerato Savone in summa lb. s. V d. .<br />

–––––––––––––––––––––<br />

lb. 6 s. 11 d. 3.<br />

Fin questo dì XV decembris 1487 in questo fin qui acatté, set de speise menute,<br />

somma sommarum lb. 188 s. 14 d. 7.<br />

[c. 7v]<br />

1487.<br />

Item, <strong>di</strong>e XX decembris, per corbini tres con il canavezo lb. s. X d. VI.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, per cane trei e parmi trei e mezo dato in sue mani proprie, valet in<br />

summa Savone lb. XXVII s. .<br />

Somma sommarum huiuscumque<br />

lire 210 s. 4 d. 6.<br />

Item, a dì XXI decembris, gli ho fati boni per il salario suo de uno ano lire quinze<br />

he per il salario de messer pre’ Zuane, retor de la chiesia, lire quaranta he per<br />

parte Antonio organista lire oto he sono tuti li soprascriti denari per li loro salari<br />

del’ano pasato, finito a dì 24 de novembre prosime pasato 1487, in tuto lire<br />

sexantatrei monete Savone lb. LXIII s. .<br />

Item per doi libri comprati per scrivere le raxion de la casa grosi sei lb. I s. I.<br />

Somma sommarum usque in presentem <strong>di</strong>em 21 decembris recepi in expensis,<br />

prout hic retro aparet, lire doxento otanta so<strong>di</strong> seii he denei sei lb. 280 s. 6 d. 6.<br />

[c. 8r]<br />

Item, <strong>di</strong>e XXII octobris, per vino acumperato, zoè mezerolle se’ per la<br />

Comandaria, fl. nove, qui sono de <strong>Savona</strong>, in numerato lb. XV s. XV d. .<br />

Item per torzie doe et candeloti habiti quando il signor de Final vegniti a Cario,<br />

como appare in le raxon de madona Mariolla in carte 37, valet Savone<br />

lb. II s. XIIII.<br />

Item, <strong>di</strong>e XXII octobris, per fideli non contati libra una, valet Savonelb. s. I d. VII.<br />

Item in tres restre de pane, in numerato lb. s. VI d. .<br />

Ite, ea <strong>di</strong>e, meza lira de oleo, in numerato lb. s. III.<br />

Item stare I farine consumato per la famigla ***<br />

Item per far aconzare il boglolo de tirare l’aqua de il pozo lb. s. V.<br />

Item <strong>di</strong>e X ianuarii 1488, per far portare le botte chi sono andate a Roma, dati a li<br />

camalli in numerato Savone lb. I s. XV.<br />

39


Item <strong>di</strong>e XXVIIII ianuarii, per lire VII de pessi freschi de scogio, a la raxon de<br />

quarti trei singula libra, valet Savone lb. s. XVII d. VI.<br />

lb. 29 s. XVII d. II.<br />

[c. 8v]<br />

1488, <strong>di</strong>e XXVIIII ianuarii.<br />

Item, per doze bozini de argento sopra dorati4 lb. I s. I.<br />

Quatro dozene bogiete de argento, ponderis carati XX, solum il <strong>di</strong>cto bogieto,<br />

valet Savone lb. I s. VIII d. VII.<br />

Item, <strong>di</strong>e ea cum duobus <strong>di</strong>ebus sequentibus, per aconzare la caveita de la gresia<br />

et per copi XXV et somata una de calcina et abaini deze o sia ziape, omnibus<br />

computatis lb. III s. .<br />

Die 7 februarii.<br />

Item in la vegnuta soa et de monsignor lo priore, in uno brandone o sia toagie,<br />

ponderis li. quatro, valet Savone lb. I s. XVI d. VI.<br />

Item per una scatula de confecti, zoè <strong>di</strong>aragie, ponderis li. III, valet Savone<br />

lb. I s. XI d. VI.<br />

Item, <strong>di</strong>e 9 februarii, per li. doe de pignocate o sia confecti, valet Savone<br />

lb. I s. VIII d. .<br />

Item per oleo lb. I s. VIII d. VI.<br />

Ea <strong>di</strong>e.<br />

Item per meza cana de drappo stametti, valet lb. VIIII s. XVII.<br />

Item per ove acumprate s. VI.<br />

Item per faxine doe somate, valet Savone lb. s. XII d. .<br />

Item per pane in pù partite lb. s. VI.<br />

Item per tonina in pù partite lb. s. XI d. VI.<br />

lb. 22 s. 14 d. 7.<br />

[c. 9r]<br />

1488, <strong>di</strong>e X februarii.<br />

Item in pessi salati in pù partite, valet Savone lb. s. VII d. .<br />

Item per formagio salato s. VIII d. II.<br />

Item per speciarie lb. s. XI d. II.<br />

Item per carne frescha lb. s. XI d. VIII.<br />

Item in pessi mandati a Cario per commissione de il <strong>di</strong>cto messer il<br />

Commendatore<br />

s. X d. VI.<br />

Die XV februarii.<br />

Item, per una quartuzia de pessi salati mandata a Cario per sua commissione<br />

lb. II s. II d. .<br />

4 segue, depennato: con la mensura.<br />

40


Item, <strong>di</strong>e XVIII, per pessi freschi mandati a Cario per lo mulaterio de Bernar<strong>di</strong>no,<br />

de commissione ut supra, Savone lb. I.<br />

Item per salate e spinaci portati per Stefano Cornan s. VI d. VI.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, per una barille de pessi salati mandati a madona Brigida sua sorella<br />

per lo mulaté de messer Iacomo Anthonio, valet Savone lb. VII s. XVII d. VI.<br />

Item per doe lire de candele de sepo, valet Savone lb. s. V d. IIII.<br />

Item, <strong>di</strong>e 23 februarii, per lire XVIII de pesi freschi gr. XVI a lo portatore per fino<br />

a Cario, mandati per via <strong>di</strong> Conrado Guascho a Canelli, Savonelb. II s. XVI d. .<br />

Item, <strong>di</strong>e 2VII februarii, per pessi freschi mandati a Canelli per via <strong>di</strong> O<strong>di</strong>no<br />

Mallono mezo rubo, Savone lb. II s. XII d. VI.<br />

Sono pagati lb. 19 s. 6 d. VI.<br />

[c. 9v]<br />

Die XXVII octobris.<br />

Item per tres forzelle per le topie de lo orto, valet Savone lb. s. XI d. III.<br />

Item per far cavare lo orto e piantare lb. s. X d. VII.<br />

Item, <strong>di</strong>e ultima februarii, per lire nove e meza5 de pessi freschi, Savone<br />

lb. I s. XI.<br />

per via de O<strong>di</strong>no Malon.<br />

Ite, <strong>di</strong>e X marcii, per doi bogli de sal Matta date a Pero Bresan, Savone<br />

lb. III s. III.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, per doi matarazi acumprati per ostaria de Miolia, Savone<br />

lb. XVI s. X.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, per rubi doi olive, doe e meza de tonine magre, date Pero Bresan,<br />

Savone lb. IIII s. IIII.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, per uno barilloto de oleo infustato, Savone lb. VIII s. XIII.<br />

Dato a Pero Bresan.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, per lire tre e meza de pessi freschi dati a Pero Bresan, Savone<br />

s. X d. VI.<br />

Li a mandati verso Cario.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, per tres ziare date per la ostaria de Miolia, date a Pero Bresan, Savone<br />

lb. I s. IIII d. VI.<br />

Item, <strong>di</strong>e XI marcii, per lire tres de pessi freschi portati per Pero Bresan a Miolia,<br />

Savone lb. s. X d. VI.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, de seira, per pan biancho e pessi, acumprati per monsignore il priore<br />

s. VII d. .<br />

Item, <strong>di</strong>e IIII marcii, per lire octo de riso, a la raxon de s. I d. VI singula libra, valet<br />

Savone lb. s. XII d. .<br />

lb. 38 s. 8 d. III.<br />

5 e meza: aggiunto in sopralinea.<br />

41


[c. 10r]<br />

Die IIII marcii 1488.<br />

Item per doe lire e unc. III de zucharo de Madera, valet singula libra Savone ****,<br />

sunt in summa summarum lb. s. XVIIII d. VI.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, una lira de garilli de amandolle, valet Savone<br />

Die XXIIII marcii.<br />

lb. s. V d. .<br />

Queste sono speise facte in festo Anunciacionis beate Marie virginis in la vegnuta<br />

de messer Ambroxio, et primo per somata una de pagla lb. s. X d. VI.<br />

Item per faxi doi de feno lb. I s. I d. .<br />

Item per pane biancho lb. s. IIII.<br />

Item in tonine graxie lb. s. III d. VI.<br />

Item in pisibus parte mandati a Cario per Finarino Galeisio a messer il<br />

Comandatore per consumati in casa lb. I s. V d. VIIII.<br />

Item in oleo lb. s. VII.<br />

Item in macie e canella lb. s. II d. VI.<br />

Item in faxinis lb. s. VI d. .<br />

Item in candelle de sepo lb. s. II d. VI.<br />

Item per una tavola per acunzare il descho de la camera nova et per sua factura<br />

lb. s. VII.<br />

Item per uno samallino a sedere lb. s. XIIII.<br />

Item, <strong>di</strong>e XXVI marcii, per pan biancho lb. s. II.<br />

Item in pisibus lb. s. III d. VI.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, per riso et garilli de amandolle per far minestra s. VII.<br />

Item, <strong>di</strong>e XXVII marcii, per pan biancho s. II d. VIII.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, per tonine e pessi salati s. VI.<br />

Item, in oleo s. VI d. II.<br />

lb. 7 s. 16 d. 9.<br />

[c. 10v]<br />

Die XXX marcii 1488.<br />

Item per pessi mandati a Cario, portati per via de Augusto camparo s. X d. VI.<br />

Ea <strong>di</strong>e.<br />

Item, per parme date a messer prete Iohanne Biancho rectore, da fa’ <strong>di</strong>stribuire<br />

al popolo in ecclesia, valet Savone lb. I s. XVIII d. VII.<br />

Die penultima ianuarii.<br />

Item per uno quinterno de papé che s’è speso in la camera de monsignor il priore<br />

et <strong>di</strong>e quarta marcii6 uno altro quinterno per bisogno de cassa et cera rosa<br />

lb. s. VI d. VIII.<br />

Item per uno par de scarpe date a Margarita, de sua commissione<br />

lb. s. VII d. VI.<br />

6 marcii: aggiunto in sopralinea.<br />

42


Die V aprilis.<br />

Item per uno agnelo pascale con le sue arme, como è per consuetu<strong>di</strong>nelb. II s. V.<br />

Item, <strong>di</strong>e VIIII aprilis, per andare al Finale et Miolia per scodere per doi dì<br />

lb. s. X d. .<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, per aptare uno bariloto de oleo et per far conducere lo <strong>di</strong>cto oleo a<br />

la marina lb. s. VII.<br />

Item, <strong>di</strong>e ea, per VII dozene e meza de goti de quatro amole, cassa, in numerato<br />

Savone lb. s. VII d. VI.<br />

Item, dati al patrono de la barcha et a uno camalo per fine a la Coman<strong>di</strong>ta, in<br />

numerato Saone lb. s. II d. VI.<br />

Item, <strong>di</strong>e XVIII aprilis, per una lira de comino per li […] 7 s. III d. 8.<br />

lb. 6 s. 19 d. 8.<br />

[c. 11r]<br />

1488, <strong>di</strong>e XXI aprilis.<br />

Item, per doi faxi de feno et per pagla missa in li lecti, in numerato Savone<br />

lb. II s. III d. VIIII.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, per faxine acumprate per far bugata a li drapi lb. s. V d. VI.<br />

Item, <strong>di</strong>e XXVI aprilis, dati a doi camalli per trei viagi a portare li leti inpermutati<br />

con li soi furnimenti lb. s. I d. VI.<br />

Item, per uno pignatino de unguento da rogno, a dì XXI aprilis mandato a Cario<br />

per Bernardo Berreta, in numerato Savone lb. s. VI d. .<br />

Item, ea <strong>di</strong>e XXVI aprilis, per bruge acumprate ho sia faxine lb. s. IIII d. VI.<br />

Item, <strong>di</strong>e XXVII aprilis, per fare zerziare il boglolo et per far coxere il pan s. V.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, per doe lire de candelle de sepo s. V d. IIII.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, per uno faxo e rubo I de feno, in adventu domini preceptoris<br />

lb. s. XVI d. VI.<br />

Item, <strong>di</strong>e prima maii, per lire quatro de pissi freschi s. IIII.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, per una lira e meza de oleo s. VI.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, per formagio grasso s. IIII d. VIII.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, in presenzola per far torte s. IIII.<br />

lb. 5 s. 7 d. 88 .<br />

[c. 11v]<br />

1488, <strong>di</strong>e secunda may.<br />

Item per una quartarolla de sal Matte lb. s. IIII d. VI.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, in bazane per fructa s. I.<br />

Item, <strong>di</strong>e VIII may, per cera rossa per sigilar lettere s. I d. VI.<br />

Item per inchiostro s. VII.<br />

7 guasto per umi<strong>di</strong>tà.<br />

8 segue, depennato: s. 17 d. 8.<br />

43


Item per uno quinterno de papé s. III.<br />

Item per uno par de 9 calce de teilla per uno famiglo s. XIIII.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, per uno libro grande de sexe quinterni, tute le supra<strong>di</strong>cte cosse<br />

mandate per Augustin camparo lb. I s. I.<br />

Die VIIII may.<br />

Item per una lanterna mandata a Cario per Augustin camparo, valet Savone<br />

s. d. VIIII.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, per doe parie de pollastri mandati a Cario per Augusto camparo<br />

lb. s. XVII d. III.<br />

Die XII 10 may.<br />

Mutuata in carta CXVI.<br />

Item, per duoy fiasceti, l’uno pieno 11 vernazie e l’altro stato impleto gratis et<br />

amore, valet Savone lb. s. VIII d. .<br />

Item, <strong>di</strong>e XV may, per melogranate dolce mandato a Cario per messer Alvisi <strong>di</strong>cto<br />

Augusto Stafee s. III d. .<br />

Item, <strong>di</strong>e XVII may, per uno quinterno de papé mandato a Cario <strong>di</strong>cto Antonio<br />

Bone speciario s. III.<br />

Item per fare aqua rossa parte mandata a Cario e parte alla Commandaria<br />

lb. III s. 7 d. .<br />

[c. 12r]<br />

1488, <strong>di</strong>e 20 may.<br />

Item, per ravaneli e ciolete dati al multerio12 de meser Bernar<strong>di</strong>no portate a Cario<br />

lb. s. III d. VI.<br />

Item, <strong>di</strong>e XXVIII may, per far ferare la mula lb. s. VIII.<br />

Item, per far aconzare il pectorale de la sella de <strong>di</strong>cta mula<br />

Die XIIII iunii.<br />

s. I d. .<br />

Queste sono le speisse facte in la vegnuta de il reverendo messer Commendatore,<br />

et primo per carne frescha e trei polastri, valet Savone lb. I s. XVII d. VI.<br />

Item per fruta e citroni mandati a Cario lb. I s. VI d. VI.<br />

Item per formagio graso et per lardo de or<strong>di</strong>ne lb. s. X.<br />

Item per oleo lb. s. V d. VIIII.<br />

Item per una presenzolla lb. s. II d. VI.<br />

Item per uno cestino per metere le geniete de terra s. I d. VI.<br />

Item, <strong>di</strong>e XVI iunii, per fillo biancho per fare il bordo s. VIII.<br />

Item, <strong>di</strong>e XX iunii, per carne frescha e carne13 salata lb. I s. III d. VI.<br />

9 segue, depennato: balce.<br />

10 segue, depennato: augusti.<br />

11 segue, depennato: in f.<br />

12 multerio: così nel testo, per mulaterio.<br />

13 carne: aggiunto in sopralinea.<br />

44


Item in formagio grasso e salato lb. s. XII.<br />

Item in fruta parte mandata a Cario e consumata in la Comandaria<br />

lb. s. XI d. III.<br />

Item in pessi salati s. I d. II.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, in uno boneto biancho per portare de nocte s. XIII d. II.<br />

Item in oleo s. V.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, in specie et sefrano e cime quatro de coli garbuxi lb. s. VI d. VIIII.<br />

Item per confecti lb. s. VII d. .<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, dati a lo mulaterio per spendere s. I d. 9.<br />

lb. 8 s. d. .<br />

[c. 12v]<br />

Die XX iunii 1488.<br />

Item in uno quinterno de papé et per inchiostro lb. s. III d. IIII.<br />

Item, <strong>di</strong>e XXV iunii, per paria octo de polastri dati a li Maestri Racionali et a<br />

Fredericho Dalfino suo notario, valet Savone lb. III s. XII d. .<br />

Item, <strong>di</strong>e XX iunii, per denari dati al maneschalco per li cavalli e per lo mulo de<br />

Lucha de Sellorio lb. s. XVII d. VI.<br />

Item per pane, cossì in la vegnuta como in la ritornata da Jenoa de lo suprafacto,<br />

valet lb. I s. XV d. .<br />

Item, <strong>di</strong>e XIII <strong>di</strong>e XXIIII iullii, in la venuta de lo spectabile messere Anthonio<br />

Scarampo, per trei polastri, valet Savone in numerato lb. s. XV d. 9.<br />

Item per formagio e una presenzola e meza lira de oleo, valet Savone<br />

lb. s. VIII d. .<br />

Item per pane acumprato per sé e la famigla lb. s. X d. .<br />

Item per doi melloni s. II d. VI.<br />

Item per uno cestino per mandare de la fruta a Cario s. I d. VI.<br />

Item, <strong>di</strong>e XXVI iullii, per acumprare uno cavagneto per portare certi pignatini e<br />

scudelle de madona Ioanna s. d. II.<br />

Die XXVIII iulii.<br />

Item per far fodrare una roba neygra e carta a meistro Leonardo Alamano, in<br />

numerato Savone sibi dati lb. XI s. VII d. 6.<br />

lb. 19 s. d. 3.<br />

[c. 13r]<br />

1488.<br />

Item, <strong>di</strong>e VII iunii, date Paulo de O<strong>di</strong>no sive relaxati per mercede notarie presentis<br />

anni in negociis Preceptorie Sancti Iohannis Savone lb. VI s. d. .<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, acumperato una stare de grano per mio spendere, valet Savone<br />

lb. I s. XV.<br />

Item, <strong>di</strong>e IIII iulii, acumprato d’Antoni Boszacio de Sassello mulaté, de madona<br />

Ioanna Scarampa, una stare e meza quarta de grano, valet Savone<br />

lb. II s. XIII d. VI.<br />

45


Item, <strong>di</strong>e XX augusti, per uno quinterno de papé, valet Savone, zoè per la<br />

Comanderia lb. s. II d. VIII.<br />

Item, <strong>di</strong>e XXII augusti, per doe scatulle de <strong>di</strong>aragia de doe lire l’una, valet Savone<br />

lb. II s. II d. .<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, una scatulla de doe lire de zucaro in confecti, valet Savone<br />

lb. I s. I d. .<br />

Et la supra<strong>di</strong>cta confectura mandata a Conrado Guasco de sua comissione, como<br />

apareret per la lettera <strong>di</strong>cto Conrado per lo mulaté de madona, ogni cosa està<br />

portata.<br />

Item, <strong>di</strong>e XXV augusti, dato in numerato a maistro Lucho et suo figlo Andrea,<br />

Savone lb. VIIII s. II d. .<br />

Item per doe cantari de feno per cassa, valet Savone lb. s. XVIII d. .<br />

Item dati a Bartolomeo Grosseto de Cario per conducere una mezarolla de vino<br />

da Bubio 14 in <strong>Savona</strong> per mio spendere lb. I s. XVIII d. VI.<br />

Item dati per fare aconzare la zianca de lo pozo s. I.<br />

Item per fare aconzare la picoza con il manicho s. II.<br />

Item per uno quinterno de papé et cera rosa s. III d. VI.<br />

lb. 25 s. 18 d. 2.<br />

[c. 13v]<br />

Die XX novembris 1488.<br />

Item per andare Albengam et a li altri beneficii per scodere, in numerato Savone,<br />

per tanto per barche como per le speisse lb. s. XII d. VI.<br />

Item per doe botte romanesche conducte in cassa, omnibus comprehensis<br />

lb. VI s. XII d. VI.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, per altre doe botte lb. VI s. XII d. VI.<br />

Item, <strong>di</strong>e XXV novembris, per trey faxi de feno, sive cantari tria, valet Savone<br />

lb. I s. XVIIII.<br />

Item per doe somate de legna secha, valet Savone lb. s. XVIII.<br />

Item per una somta15 de calcina e cinque de sabion e ziape da coperire o sia<br />

abayni, omnibus computatis, Savone lb. I s. VII d. II.<br />

Item per tres iornate a remenare la Comandaria, cusì como per adoperare <strong>di</strong>cta<br />

calzina, suis sumptibus, valet Savone lb. I s. X.<br />

Item in la vegnuta de messer il Commandatore16 , <strong>di</strong>e 4 decembris, per uno fasso<br />

e libre XII <strong>di</strong>m. de feno, valet Savone lb. s. XV d. VI.<br />

Die VII decembris.<br />

Item per pessi freschi e salati, in summa lb. s. VII.<br />

14 segue, depennato: u.<br />

15 somta: così nel testo, per somata.<br />

16 in la vegnuta de messer il Commandatore: aggiunto in sopralinea.<br />

46


Item uno formagio sar<strong>di</strong>nale, ponderat de li cinque, valet s. VI d. VIII.<br />

Item in pane frescho lb. s. XIII d. .<br />

Item in una somata de brughe s. VII.<br />

Item date a lo hoste per le speise fate a quelli che portorono le tres mezarole de<br />

vino de Canelli in mea absencia lb. I s. XI d. VI.<br />

lb. 23 s. 4 d. 4.<br />

[cc. 14-15 mancanti]<br />

[c. 16r]<br />

Die 30 martii, <strong>di</strong>cto Casacio ha receputo da me duc. 3.<br />

[cc. 21-27 mancanti]<br />

[c. 30v]<br />

Qui sono li <strong>di</strong>nari exbursati al ven. messer fra’ Bonifacio per la sacrestia, et primo<br />

1486 <strong>di</strong>e XV novembris<br />

ven. d. presbiter Anthonius Calandra organista debet habere a Bonifacio<br />

Scarampo, preceptore Sancti Iohannis de Saona, pro organis pulsan<strong>di</strong>s, lb. octo,<br />

sibi consignatas in Georgio Catullo et Stephano de Rocha, gabellotis gabelle vini<br />

prohibiti et per anno de 86 finiendo in festo Nativitatis beate Marie.<br />

[c. 31r]<br />

Pre<strong>di</strong>ctus d. presbiter Anthonius Calandra est confessus et contentus se habuisse<br />

a Georgio Catullo et Stephano de Rocha libras octo, monete Savone, nomine et<br />

vice d. preceptoris Sancti Iohannis de Saona, vigore unius apo<strong>di</strong>xie sibi asignate<br />

per gabellam vini prohibiti de 1485, <strong>di</strong>e XVI augusti de 1486, et hoc presente<br />

presbitero Baptista de Monleone, capellano in Sancto Iohanne Saone.<br />

[cc. 35-38 mancanti]<br />

[c. 39v]<br />

1488, <strong>di</strong>e XXVI ianaurii.<br />

Item la suprafacta deve dare per <strong>di</strong>nari exbursati a madona Batina de Grimal<strong>di</strong><br />

per fare tenzere teille, in mumerato Ianue s. VIII, valet Saone s. XIII d. VIII.<br />

Ea <strong>di</strong>e.<br />

Item per una teilla de sedazio de seta, Ianue sol<strong>di</strong> trei e mezo, valet Savone<br />

lb. s. VII d. IIII.<br />

Item per insesame madato17 a Cario et per fare netare certe bindete, in numerato<br />

Savone<br />

s. II d. III.<br />

17 madato: così nel testo, per mandato.<br />

47


Item per sete lire de macharoni, in numerato Ianue a la raxon de <strong>di</strong>nari dexe<br />

singula libra, valet Savone lb. s. XII d. III.<br />

Sono ste’ portati a Cario per Henrieto Capone.<br />

Item, <strong>di</strong>e prima februarii, per una libra de candelle bianche longhe, valet Savone<br />

lb. s. XV d. VI.<br />

Item, <strong>di</strong>e VI februarii, per presenzolle tres, valet Savone lb. s. VI d. IIII.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, per unce III de canella, sive Savone s. XVII d. VI.<br />

Ea <strong>di</strong>e.<br />

Item per gee et insisane portate per Andrea Riveta s. IIII d. VI.<br />

Item, <strong>di</strong>e XV februarii, per uno rubo de tonina grassa e lire doe e meza et doi rubi<br />

de magra et uno barnuchino 18 a la pay de duc. III lo cantario l’une graxe, valet<br />

Savone, et per lo cestino con lo comerchio lb. s. VII d. IIII.<br />

[c. 40v]<br />

1488, <strong>di</strong>e XV februarii.<br />

Item per duxento gniafiguene19 con la sua composicione, valet Savone<br />

lb. s. XVIIII d. VI.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, per mezo rubo de semolla, valet Savone *******<br />

Item, <strong>di</strong>e XXVI februarii, per octo li. de moxame e meza et una teragnina, valet<br />

Savone lb. I s. II d. VIII.<br />

Et insalata e citroni s. III.<br />

Item, <strong>di</strong>e XII marcii, per filo, spago et azalle per far masso portato per Bertomé<br />

de Lario, Savone lb. I s. I d. III.<br />

Item, <strong>di</strong>e XV marcii, per teste quatorze de cioline, zò è doze de negre e doe de<br />

gerbuxi e semenze de armoraze, Savone lb. s. X.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, per doe parie de scarpe a suo pede, Savone lb. s. XV.<br />

Item, <strong>di</strong>e XVIIII marcii, per cinque unce de specie forte, in numerato Savone<br />

lb. s. XIII d. VI.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, per sapone biancho acumprato, Savone s. III d. X.<br />

Portate sono per Bartolomé Airado.<br />

20Item, ea <strong>di</strong>e, per teste octo de cioline neigre e teste dexe de ciolete, valet in<br />

summa Savone lb. s. X d. .<br />

Die XVIII aprilis.<br />

Item per uno cantar de formagio sar<strong>di</strong>nale dato al suo mulaté, valet Savone<br />

lb. VIIII s. V d.VI.<br />

Item per cernere <strong>di</strong>cto formagio s. I d. 9.<br />

18 et uno barnuchino: aggiunto in sopralinea.<br />

19 parola <strong>di</strong> incerta lettura.<br />

20 segue, cancellato: Item, <strong>di</strong>e XV marcii.<br />

48


[c. 41v]<br />

Die XVIII aprilis 1488.<br />

Item per doi bogli de sal Mata date21 al suo mulatero, valet Savone<br />

lb. III s. IIII d. 4.<br />

Tuto per far belle <strong>di</strong>te […] 22 bone monete.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, per uno rubo rubo23 de riso a la raxon de s. I d. VI singula libra, valet<br />

in summa Savone lb. I s. XVII d. VI.<br />

Item, <strong>di</strong>e IIII may, per una schena da far scarpe e doe par vantresche, valet Savone<br />

in summa in numerato lb. III s. XIII d. VI.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, per brochete e mazi trei de sotte de caligario, valet Savone s. II d. .<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, per far portare le supra<strong>di</strong>cte cosse ad uno mulaté s. I d. VIIII.<br />

Die XXIIII may.<br />

Item per una pelle da far orloti e scarpe lb. s. VIII d. VI.<br />

Die XX iunii.<br />

Item per doe parie de scarpe per sua magnificencia et uno pare de pianelle<br />

mandato per via de madona Astignenza Sasella, valet Savone lb. I s. VI d. VI.<br />

Item per far lavare certe binde date a madona Astignenza s. d. VIII.<br />

Item nota che la magnifica madona deve, ultra quelli che sono pagati et che gle<br />

ho donati, deve dare per melloni, usque in <strong>di</strong>em presentem ch’è <strong>di</strong>e XXVI iullii<br />

lb. s. VII d. .<br />

Item, <strong>di</strong>e XXIIII iullii, lo spectabille messer Anthonio suo filio deve per <strong>di</strong>nari<br />

imprestati, Savone lb. III s. X d. .<br />

[c. 42v]<br />

1487, <strong>di</strong>e 29 octobris.<br />

Conrado Guascho a mi prete Odono debet per doe barille de oleo e lire cinque e<br />

meza de oleo a la mesura de Finale, a la raxon de lb. XV <strong>di</strong>m. per barille, in<br />

numerato Savone lb. XXXII s. VIII d. VI.<br />

Mutata in alia racione.<br />

1487 <strong>di</strong>e XXVIIII iullii.<br />

Lo spectabille messer Anthonio deve per <strong>di</strong>nari esbursati per la manifactura de<br />

uno pugnalle et de doi sonagli de argento et per argento lavorato, zò è centi<br />

nove oltre il suo che a dato a <strong>di</strong>cto meistro, valet in summa con la manifactura<br />

Savone lb. III s. XIII d. VI.<br />

Item, <strong>di</strong>e IIII augusti, lo suprafacto deve per doi melloni, como apparet per letera<br />

de Conrado Guascho lb. s. III d. II.<br />

Item, <strong>di</strong>e VI augusti, per doi melloni mandati de sua commissione<br />

lb. s. III d. VI.<br />

21 date: così nel testo, per dati.<br />

22 abrasione nel manoscritto.<br />

23 rubo rubo: così nel testo.<br />

49


Item, <strong>di</strong>e VIIII augusti, per uno mellone s. I d. VIII.<br />

Est <strong>di</strong>es Sancti Laurencii, omnibus computatis usque in <strong>di</strong>e presente, restant<br />

dare lb. XXI s. X <strong>di</strong>m. monete Savone.<br />

Item, <strong>di</strong>e VIIII octobris, deve per parmi trei de zamelloto et pei de leone, valet<br />

Savone lb. III s. XIII d. VI.<br />

Item, <strong>di</strong>e X octobris, per sexe pontali de argento et per far mettere stringhe nove<br />

e renovare altre stringhe, tute de seda, valet gr. V pape quart. III, sunt in summa<br />

lb. I s. VI.<br />

Item, <strong>di</strong>e XI octobris, per uno pare de scarpe al pie’ de madona, valet lb. s. VII.<br />

Item lire due de seneve lb. s. II d. .<br />

Item trey treni lb. s. I.<br />

[c. 43r]<br />

1487 <strong>di</strong>e 29 octobris.<br />

Mi, prete Odono, ho receuto da il pre<strong>di</strong>cto, portati per lo mulaterio de la<br />

magnifica madona Mariolla Scarampa in numerato Savone<br />

lb. XXVII s. XVIII d. .<br />

Mutata in carta 49 in isto.<br />

–––––––––––––––––––––<br />

1489 a dì 25 ienaro.<br />

Facta ratione cum prete Odono de acor<strong>di</strong>o, statuto il dare cum lo avere fin a<br />

questo de dì, resta avere lire sedeci et per scoto con panicogoli, la ragion de<br />

messer Antonio, constat lb. 16 s. 7.<br />

Cassa.<br />

Recepimus, ea <strong>di</strong>e, de soa manu, in numerato Savone, per acatare seda neigra<br />

filata<br />

s. VII d. .<br />

Die XI octobris.<br />

Recepimus in numerato gr. XVII s. I, sive Savone lb. III s. IIII d. .<br />

[c. 43v]<br />

Item, <strong>di</strong>e XIIII octobris, per uno spegio, valet Savone lb. s. VI d. III.<br />

Item, <strong>di</strong>e XX4 octobris, per soa madona, zoè doi mazi de seta filata neigra e<br />

morella, valet Savone lb. s. XVII d. VI.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, per dodexe cane de cavigliera neigra e peilo de leone, valet Savone<br />

lb. I s. XV d. 8.<br />

Item per doe paria de coltellini e doe parie de cesorie, valet Savone<br />

lb. s. XV d. 9.<br />

Item per uno rubo de rixo catelanescho, valet Savone lb. I s. XIII d. III.<br />

Item per far zodare et amolar uno pairo de gessore s. I d. .<br />

Item, <strong>di</strong>e XX9 octobris, per cinque stringhe con li pomeli de argento, valet,<br />

omnibus computatis, gr. VIII d. VIIII, sive Savone lb. I s. VIII d. .<br />

50


Item, <strong>di</strong>e ea, per una terzerolla de pessi salati, Savone lb. II s. II d. .<br />

una casa che è pagata.<br />

Item, <strong>di</strong>e XIIII octobris, per uno iamelloto, valet Savone lb. s. VII d. .<br />

Item, <strong>di</strong>e XV novembris, per uno pario de goghe per la suprafacta madona, valet<br />

Savone lb. I s. II d. 6.<br />

Item, <strong>di</strong>e XVIIII novembris, per quatro lire e meza de lino a la raxon de s. VII s. III<br />

lo mazo, valet Savone lb. s. XVI d. III.<br />

Item, <strong>di</strong>e XVIIII decembris, dati in numerato a madona Stignenza per far lavare<br />

bindete de testa, in numerato s. II d. .<br />

Pù deve dare, como apare in le note de 1486.<br />

[c. 44r]<br />

1488, <strong>di</strong>e XXIIII octobris.<br />

Recepimus a suprafacta domina, defferente suo mulione, in numerato Savone<br />

lb. I s. XV d. III.<br />

Die IIII novembris.<br />

Recepimus per resto de <strong>di</strong>nari mandati a catare pessi freschi e piper s. III d. VI.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, recepi in stare VI de castagne fresche, a la raxon de s. XI d. III singulo<br />

stare, in summa Savone lb. III s. VII d. VI.<br />

Die XVII novembris.<br />

Recepimus a pre<strong>di</strong>cta una mezarola de vino de cui ho pagato la victura a lo<br />

portatore gr. III <strong>di</strong>m. pape, valet Savone s. **.<br />

Die XV novembris.<br />

Recepimus a pre<strong>di</strong>cta, defferente Iohanne Bertoroto in numeratolb. s. XII d. III.<br />

Die 19 novembris.<br />

Recepimus a pre<strong>di</strong>cta, defferente Filipono, in uno bianchino lb. s. XI d. IIII.<br />

Die XX novembris,<br />

Recepimus a pre<strong>di</strong>cta in numerato s. V d. .<br />

Nota che, <strong>di</strong>e octo decembris, pù ho recevuto in tante pome per vendute in<br />

pluribus partitis, in summa Savone lb. II s. d. .<br />

[c. 44v]<br />

1487, <strong>di</strong>e *** octobris.<br />

Simon Galeixo, castellano e factore de il magnifico messer Ambroxio Scarampo,<br />

debet per una lira de cera lavorata, in numerato Savone, acumprata per madona<br />

Elena, lb. s. VIIII d. .<br />

Item, <strong>di</strong>e XII novembris, per uno bariloto de una meza quartuzia e lire doe e meza<br />

de oleo a la mensura de Finale, in numerato Savone, e al suo mulaterio Barrolo,<br />

lb. X s. X.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, per uno boglo de sal rosso, Savone lb. I s. XIIII d. VIII.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, per doe unze de specie forte e doe de le dolce, in tute perfecte,<br />

Savone lb. VII s. XI d. III.<br />

51


Item, ea <strong>di</strong>e, per lire XVI de candelle de sepo, a la raxone de quart. III singula<br />

libra, Savone lb. II s. II d. .<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, per <strong>di</strong>nari receputi dal suo mulaterio non tropo boni, rimandati al<br />

<strong>di</strong>cto Simon cum una mia poliza, Savone lb. II s. II d. .<br />

Item, <strong>di</strong>e XV novembris, per formagio sar<strong>di</strong>nale dato al mulaterio de il magnifico<br />

messer Ambroxio, zò è lire XVIIII unze VI, valet Savone in numerato<br />

lb. I s. XIIII d. II.<br />

–––––––––––––––––––––<br />

Cassa. lb. 10 s. 3 d.1.<br />

[c. 45r]<br />

1487, <strong>di</strong>e XII novembris.<br />

Mi, prete Odono Bava, ho recevuto de il pre<strong>di</strong>cto per il suo mulatero <strong>di</strong>cto<br />

Barrolo, in numerato Savone lb. XII s. VI d. VIIII.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, in una altera partita in numerato Savone lb. s. VII d. VIII.<br />

Item, <strong>di</strong>e XXIII novembris, receputo de il pre<strong>di</strong>cto in uno scudo de re a la raxon<br />

de sexe lb. s. II d. VI et in moneta s. II d. VIII, sunt in summa Savone<br />

lb. VI s. V d. II.<br />

Item, <strong>di</strong>e X decembris, in numerato, portati per lo suo mulaterio Iohanne Merio,<br />

le frute, Savone lb. s. V d. XII.<br />

Item <strong>di</strong>e prima augusti, recepi pro eo in numerato Savone lb. II s. V d. VI.<br />

Item, <strong>di</strong>e ea, in una alia partita in numerato Savone, sive libras duas solido24 septem denarios tres lb. II s. VII d. III.<br />

Cassa.<br />

[c. 45v]<br />

1487, <strong>di</strong>e XVI novembris.<br />

Item il suprafacto debet per cepolle e agli mandati per il mulaterio de il magnifico<br />

messer Alvixio s. III d. IIII.<br />

Item, <strong>di</strong>e XXIII novembris, per doi parmi e mezo de biancheti per fodere, in<br />

numerato Savone lb. I s. II.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, per una libra de seneva s. II d. IIII.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, per una ziarra d’uve fornita de uno cadenazio lb. s. V d. VI.<br />

Item, <strong>di</strong>e VII decembris, per fruta acumprata, zoè cedri XXti , limoni CC, lemie Lta ,<br />

citroni cinquecento, citroni dolci C, in summa Savone lb. V s. XII d. .<br />

Item, <strong>di</strong>e ea, per trei corbini gran<strong>di</strong> e teilla de canevazo per cobrire li <strong>di</strong>cti corbini,<br />

valet Savone lb. s. XIIII d. .<br />

Item, <strong>di</strong>e V decembris, per tres li. e unze quatro de tonine macre date a lo<br />

mulaterio, valet Saone lb. s. VI d. .<br />

24 solido: così nel testo, per solidos.<br />

52


Item, <strong>di</strong>e XVIIII decembris, per una poliza acumprata per la magnifica madona<br />

Catin, in numerato Savone lb. X s. VI d. VI.<br />

–––––––––––––––––––––<br />

lb. 18 s. 11 d. 8.<br />

Nota che il pre<strong>di</strong>cto deve poi dare, como aparet in isto in carta 61, de 1488 <strong>di</strong>e<br />

VIII iulii.<br />

[c. 49r]<br />

M°CCCCLXXXVIII, <strong>di</strong>e XVIII ianuarii.<br />

Recepimus a pre<strong>di</strong>cto duc. quatro d’oro, a la raxon de gr. XXXVII pape singulo<br />

ducato, valet Savone25 in summa libras vigintisex26 minus solidos duos, sive valet<br />

Savone lb. XXV s. XVIII d. .<br />

Die 26 februarii.<br />

Item recepi a pre<strong>di</strong>cto in numerato fl. septem gr. VII <strong>di</strong>m., sive Savone<br />

lb. XIII s. XII d. III.<br />

Item, <strong>di</strong>e XXIIII marcii, recepi a pre<strong>di</strong>ctis in tantis bianchinis lb. III s. VIII d. III.<br />

Item, <strong>di</strong>e VI may, recepi ab O<strong>di</strong>no Malono, nomine supra<strong>di</strong>cti Simonis, monete<br />

Savone in numerato lb. IIII s. XVIII d. VI.<br />

Item, <strong>di</strong>e XXX may, recepi a Rafaele de Breme, nomine supra<strong>di</strong>cti Simonis,<br />

testonos quatuor, valet monete currentis in <strong>Savona</strong> lb. VI s. VIIII d. VI.<br />

[c. 49v]<br />

1487, <strong>di</strong>e XXVIIII octobris.<br />

Conrado Guasco, factore de la magnifica madona Mariolla Scarampa, deve dar a<br />

mi, prete Odono Bava, per quatro barriloti de olio in tute per sete e lire cinque<br />

e meza a questa mesura de <strong>Savona</strong>, in numerato, a la raxon de lire quinze e meza<br />

la barille, Savone lb. XXXII s. VIII d. VI.<br />

1488.<br />

Item, <strong>di</strong>e ultima ianuarii, per una cortella o sia uno falchino mandato per il<br />

fradello de Benitendo de la Rocheta in castro Bruni, valet bianchinos tres et uno<br />

carlino lb. ** s. ** d. .<br />

Ite, <strong>di</strong>e VI februarii, dato a Bernardo Corrado, portator lire doe de bombaso<br />

soriano, valet singula libra s. VIIII <strong>di</strong>m. 27 , sive in summa Savone<br />

lb. s. XVIIII d. 4.<br />

Item, <strong>di</strong>e VIII augusti, per far portare trecento cepolle, in numerato Savone<br />

lb. s. I d. VI.<br />

Casa.<br />

25 segue, depennato: lb. XVIIII s. VIII d. VI.<br />

26 segue, depennato: et solidos.<br />

27 segue, depennato: d. III.<br />

53


[c. 50r]<br />

1487, <strong>di</strong>e XXVIIII octobris.<br />

Mi, prete Odono, ho receputo de il mulaterio de la magnifica madona Mariolla<br />

Scarampa, a nome de Corado Guasco suo factore, i doi scuti de oro, zoè uno de<br />

il sole e l’altro de re, e vintisete bianchini, che valeno monete currentes in <strong>Savona</strong><br />

lb. XXVII s. XVIII d. .<br />

[c. 50v]<br />

Iohanne de Po<strong>di</strong>o, castellano de Monteclaro, deve per <strong>di</strong>nari imprestati a catare 28<br />

formagio sar<strong>di</strong>nale et uno caneveso grosso per lo molino uno fioreno de <strong>Savona</strong>,<br />

sive lb. I s. XV.<br />

[c. 51v]<br />

Georgio Bresano et Rafael Paternostro, tuti doi cita<strong>di</strong>ni de <strong>Savona</strong>, debono dare<br />

al reverendo messer fra’ Bonifacio Scarampo 29 , commendatore de <strong>Savona</strong>, per<br />

casone de una certa quantità de grano ch’è stato mesurato a li supra<strong>di</strong>cti per<br />

Francescheto Cocta, a quello tempo factore e procuratore de il supralibato<br />

messer il Commendatore, como appare per instrumento receputo de la <strong>di</strong>cta<br />

quantità <strong>di</strong> grano per Pollo de O<strong>di</strong>no, cita<strong>di</strong>no etiam de <strong>Savona</strong>, in summa sono<br />

monete ianuinorum lb. CXXXII s. d. .<br />

[c. 52r]<br />

1487, <strong>di</strong>e 17 februarii.<br />

Mi, prete O<strong>di</strong>no Bava, ho receputo de Stefano, figlo de Georgio Bresano, in<br />

deffalcare de il supra<strong>di</strong>cto debito, in numerato Ianue lb. XVIIII s. d. .<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, ho receputo de il pre<strong>di</strong>cto Georgio Brisam in li. nove de cera laborata<br />

de a prete Iohanne Biancho, curatore de Sancto Iohane de <strong>Savona</strong>, a nome de il<br />

reverendo messer il Commendatore <strong>di</strong>stribuito in gesia il dì de la Purificacione<br />

de la Dona, valet Savone lb. IIII s. XIIII d. 6.<br />

Item, <strong>di</strong>e ultima marcii, ho receputo de Batista Zafarino, a nome de il supra<strong>di</strong>cto<br />

Georgio Bresano, in numerato Savone lb. VIII s. XI d. VI.<br />

Item, <strong>di</strong>e XIII aprilis, ho receputo de Batista Zafarino, a nome de il <strong>di</strong>cto Georgio<br />

Brisano, in numerato Savone lb. II s. XVI d. .<br />

Item, <strong>di</strong>e XVII ma<strong>di</strong>i, in numerato Savone de Zafarino, nomine quo supra<br />

lb. V s. XVII d. VI.<br />

Item, <strong>di</strong>e XVIII, in numerato de Zafarino, nomine quo supra, Savone<br />

lb. IIII s. XVIII d. .<br />

Item, <strong>di</strong>e VIII decembris, in una mina stare tres de fave, receute da il supra<strong>di</strong>cto,<br />

a la raxon de grossi XXXII la mina, valet in summa Savone lb. VII s. XIIII d. .<br />

28 segue, depennato: sol.<br />

29 Scarampo: aggiunto in sopralinea.<br />

54


Item, ea <strong>di</strong>e, in canne sete e parmi trei de drapo Pinerolo, a la raxon in summa<br />

Savone lb. XXVII s. d. .<br />

Nomine quo supra.<br />

–––––––––––––––––––––<br />

lb. 94 30 s. 2 d. .<br />

[c. 52v]<br />

1488, <strong>di</strong>e *** marcii.<br />

Item ho receputo de <strong>di</strong>cto Georgio Brisano scuti doi de rege, presente domino<br />

presbitero Iohane Blancho ****<br />

Item in una alia partita s. XXV.<br />

[c. 53r]<br />

Die 7 augusti.<br />

Recepimus a pre<strong>di</strong>cto, in numerato Savone lb. VI s. X d. VI.<br />

[c. 53v]<br />

1487, <strong>di</strong>e XVIIII ianuarii.<br />

Il rev. messer prete Iohanne31 ne deve dare per stare quatro de grano, e eso<br />

venduto per precio de grossi VIIII <strong>di</strong> papa uno quarto per stare, in summa gr.<br />

XXXVIII, valet Savone lb. VI s. VIIII d. VI.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, Bertono balistré <strong>di</strong>cto de la Fantasia me deve per doe stare de grano,<br />

a la raxon de gr. nove e mezo il stare, in summa gr. XVIIII pape, valet Savone<br />

lb. III s. III d. .<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, meistro Anthonio Natarel de Legino me deve per uno staro de grano,<br />

a la raxon de gr. VIIII lo staro, in summa gr. VIIII pape, valet Savone<br />

lb. I s. XI d. VI.<br />

Item, <strong>di</strong>e XXVII februarii, il pre<strong>di</strong>cto meistro Anthonio me deve dare per doe stare<br />

grano, a la raxon de gr. X <strong>di</strong>m. il staro, in summa gr. XXI pape, valet Savone<br />

lb. III s. XIII d. VI.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, il ven. messer prete Batista de Monleone me deve per uno staro de<br />

grano, a la raxon de gr. X <strong>di</strong>m. lo staro, in summa gr. X <strong>di</strong>m., valet Savone<br />

lb. I s. XV d. VIIII.<br />

Item, <strong>di</strong>e XXII may, il pre<strong>di</strong>cto prete Batista me deve per doe stare de grano, a la<br />

raxon de gr. XII lo staro, in summa gr. XXIIII pape, valet Savone<br />

lb. IIII s. IIII d. .<br />

30 94: corretto su 104.<br />

31 segue, depennato: ha receputo.<br />

55


[c. 54r]<br />

1487, <strong>di</strong>e XVIIII ianuarii.<br />

Recepimus de il pre<strong>di</strong>cto ven. messer prete Iohanne in numerato Savone, ipso<br />

defferente, lb. VI s. VIIII d. VI.<br />

Die ea.<br />

Recepimus de il <strong>di</strong>cto Bertono, in numerato Savone lb. I s. XI d. VI.<br />

Ea <strong>di</strong>e.<br />

Recepimus de il <strong>di</strong>cto Natarel, in numerato Savone lb. I s. XI d. VI.<br />

Die XXVII februarii.<br />

Recepimus de il pre<strong>di</strong>cto Natarel, in numerato Savone lb. III s. XIII d. VI.<br />

Ea <strong>di</strong>e.<br />

Recepimus de il ven. messer prete Batista de Monleone, in numerato Savone<br />

lb. I s. XV d. VIIII.<br />

Die XXII.<br />

Recepimus de il pre<strong>di</strong>cto prete Batista de Monleone, in numerato Savone<br />

lb. IIII s. IIII d. .<br />

[c. 54v]<br />

1487, <strong>di</strong>e VIIII iulii.<br />

Tomaxin caligario me deve per uno staro de grano così venduto, a la raxon de gr.<br />

VIIII <strong>di</strong>m. lo staro, in summa gr. VIIII <strong>di</strong>m., valet Savone lb. I s. XIII d. III.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, il pre<strong>di</strong>cto me deve per una sua cognata per una quarta de grano, a<br />

la raxon de gr. VIIII <strong>di</strong>m. lo staro, in summa gr. IIII quart. III, valet Savone<br />

lb. s. XVI d. VII <strong>di</strong>m.<br />

Item, <strong>di</strong>e XVI iulii, meistro Simon balistré me deve per una quarta de grano, a la<br />

raxon de gr. VIIII <strong>di</strong>m. lo staro, gr. IIII <strong>di</strong>m. quart. I, valet Savone<br />

lb. s. XVI d. VII <strong>di</strong>m.<br />

1488, <strong>di</strong>e XII ma<strong>di</strong>i.<br />

Prete Nicholoxino de Ba<strong>di</strong>nelle, curator ecclesie Sancti Michellis de Quiliano,<br />

debet pro rubis tribus farine et li. III, ad racionem de s. XII d. III singulo rubo, in<br />

summa lb. I s. XVIII d. III.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, Maria de Dego debet pro rub. tribus farine de lb. III, ad racionem de<br />

s. XII d. III singulo rubo, in summa lb. I s. XVIII d. III.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, facta racione de acor<strong>di</strong>o, in tanto pane habito a me ad racionem de<br />

gr. IIII d. VII singulo rubo, qui panis erat ponderis rub. I li. XVIII, valet in summa<br />

Savone lb. I s. VIII d. .<br />

[c. 55r]<br />

1487, <strong>di</strong>e VIIII iulii.<br />

Recepimus de il pre<strong>di</strong>cto, in numerato Savone lb. I s. XIII d. III.<br />

Item ea <strong>di</strong>e, per sua cognata, in numerato Savone lb. s. XVI d. VII <strong>di</strong>m.<br />

56


Recepimus de il pre<strong>di</strong>cto balistré, in mumerato Savone lb. s. XVI d. VII <strong>di</strong>m.<br />

Ea <strong>di</strong>e.<br />

Recepimus a pre<strong>di</strong>cto, in numerato lb. s. XII d. III.<br />

Item in tanto oleo, in una alia partita lb. s. XVIII d. .<br />

Item, in una alia partita, in tanto oleo lb. s. III d. .<br />

Item in formagio graso lb. s. II d. V.<br />

Item, <strong>di</strong>e XXIII octobris, in formagio sar<strong>di</strong>nale, valet Savone lb. s. II d. III.<br />

Item, <strong>di</strong>e 4 decembris, in formagio sar<strong>di</strong>nale pondere li. cinque, valet Savone<br />

lb. s. VI d. VIII.<br />

[c. 55v]<br />

1487, <strong>di</strong>e XXVI februarii.<br />

Reverendo messer frà Bonifacio me deve mezo staro de farina cota per la sua<br />

famigla et habet ancora non già posuto satisfare, como appare in le speise<br />

soprascripte s. d. .<br />

Item, <strong>di</strong>e XXVI marcii, prefacto reverendo deve per uno staro de grano masinato<br />

per far de il pane a la vegnuta sua de <strong>Savona</strong> st. I.<br />

Item, <strong>di</strong>e XII may, il suprafacto deve per una quarta de farina a la sua vegnuta<br />

per la famigla quart. I.<br />

Item, <strong>di</strong>e XIIII augusti, il suprafacto deve per una staro de farina per la famigla<br />

de il magnifico messer Ambroxio Scarampo, farine st. I.<br />

Item, <strong>di</strong>e XIIII novembris, per li mulateri empte per la famigla de messer Alvixi<br />

uno stare de farina st. I.<br />

Item, <strong>di</strong>e 7 februarii, per doe stare e mezo de farina per la famigla a la sua vegnuta<br />

e mezo stare per far pan biancho st. 32 III<br />

Item, <strong>di</strong>e XXI marcii, a la vegnuta de messer Ambrosio, staro uno e mezo de farina<br />

st. I quart. I.<br />

[c. 56r]<br />

1487, <strong>di</strong>e XVIIII ianuarii.<br />

Me, prete Odono Bava, ho recevuto de Georgio Boscho, portato con li muli de il<br />

magnifico messer Bernar<strong>di</strong>no Basso da lo monasterio, a la mesura de <strong>Savona</strong>,<br />

grani st. VII.<br />

Item, <strong>di</strong>e XXVII februarii, ho recevuto da il suprafacto, portato per li muli de la<br />

magnifica madona Mariolla, stare VII quart. <strong>di</strong>m. grani st. III quart. <strong>di</strong>m.<br />

Item, <strong>di</strong>e XX marcii, ho recevuto de il suprafacto, portato per li supra<strong>di</strong>cti muli,<br />

stare VIII grani st. VIII.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, ho receputo de il masaghino33 ch’è in la camera de mezo stare V grani<br />

st. V.<br />

32 segue, depenanto: I <strong>di</strong>m.<br />

33 masaghino: così nel testo, per maghasino.<br />

57


1488, <strong>di</strong>e 18 augusti.<br />

Item ho recevuto per via de Curado Guascho da lo suprafacto, a la mesura de<br />

<strong>Savona</strong>, stare cinque e meza quarta de grano, sive st. V quart. <strong>di</strong>m.<br />

Die XXV ianuarii 1489.<br />

Item ho receputo per via de Conrado Guascho da lo suprafacto, a la mensura de<br />

<strong>Savona</strong>, grani stare cinque st. V quart. .<br />

1489.<br />

Item, <strong>di</strong>e XXIII octobris, ho recevuto de Conrado Guascho per lo prefato messer<br />

lo Commendatore stare sexe de grano, sive st. VI quart. .<br />

1490.<br />

Item, <strong>di</strong>e XX aprilis, ho recevuto una staro de grano, acumprato de li <strong>di</strong>nari de<br />

messer lo Commendatore, a la raxon de gr. XI singulo staro st. II.<br />

Item, <strong>di</strong>e XXII octobris, ho receputo per via de camalli de farina st. III quart. I.<br />

[c. 56v]<br />

1488.<br />

Item, <strong>di</strong>e XXVI aprilis, stare doe de farina, costa in la Commandaria, per vigore<br />

de le lettere de sua reverentia in la vegnuta che deve fare lo magnifico messer<br />

Alvisi e messer Ambrosio Scarampo, sono in summa ponderis rub. VI farine.<br />

Item, <strong>di</strong>e XIII iunii, in la vegnuta de messer il Commandatore per andare a Jenoa34 per la sua famigla quart. III <strong>di</strong> farina.<br />

Item, <strong>di</strong>e XVIII iunii, quart. I <strong>di</strong>m. sive quarta una e meza.<br />

Item, <strong>di</strong>e V decembris, in la vegnuta de il supra<strong>di</strong>cto, una stare de farina, sive<br />

st. I.<br />

Item per li mulateri che portaveno il vino per Roma, stare uno de farina st. I.<br />

1489, <strong>di</strong>e XXI marcii.<br />

Item, per la vegnuta de messer Batista Grimaldo et sucessive a la magnifica<br />

madona Mariola Scarampa a la famigla, farine st. I quart. I.<br />

Item, <strong>di</strong>e XI aprilis, in la vegnuta de madona Mariola da Jenoa, una quarta e meza<br />

de farina, sive quart. I <strong>di</strong>m.<br />

1489.<br />

Item, <strong>di</strong>e VI septembris, in la vegnuta de madona Mariola Fioreta, messer Lazaro<br />

et messer Carlo de Incisa, stare doe de farina, sive st. II.<br />

1489.<br />

Item, <strong>di</strong>e XII novembris, in la vegnuta de messer lo Commandatore, quando da<br />

poi se partì per andare a Nori, al Finale e Albengana, st. I de farina, sive st. I.<br />

Item, <strong>di</strong>e IIII decembris, in la vegnuta de messer 35 lo Commandatore per la<br />

famigla, farine st. I.<br />

34 segue, depennata, parola incomprensibile.<br />

35 messer: aggiunto in sopralinea.<br />

58


[c. 57r]<br />

1490, <strong>di</strong>e quarta februarii.<br />

Item, in la vegnuta <strong>di</strong> messer Antonio Scarampo per visitare messer Bernar<strong>di</strong>no<br />

de Ruvere, mezo staro de farina per la sua famigla st. quart. I.<br />

Item, <strong>di</strong>e XX februarii, in la vegnuta de messer lo Commandatore, per la famigla<br />

st. quart. I.<br />

Die X marcii.<br />

Item in la vegnuta de messer Batesto Grimaldo per andare a Cario et li famigli de<br />

messer Antonio che lo sono vegnuto apprendere con li cavali e con madona<br />

Batina per la sua famigla st. quart. I.<br />

Item, <strong>di</strong>e XX aprilis, in la vegnuta de messer Antonio Scarampo per visitar messer<br />

Bernar<strong>di</strong>no e per prendere Iohanne Gullino, per la famigla uno staro de farina<br />

cum frumento mezo stare quart. I.<br />

Item, <strong>di</strong>e 17 may, in la vegnuta de messer lo Commendatoreper la sua famigla in<br />

la andata de Jenoa, uno staro de farina, e non hè possuto bastare, perzò s’è<br />

acumprato de lo pan neigro, como se po’ vedere in lo libro de le speisse, sive<br />

farine st. I.<br />

Die XIIII augusti.<br />

Item in la vegnuta de messer lo commendatore a la Perdonanza de Nostra Dona,<br />

per la famigla, quart. III de farina e rimasso lo terzo de lo pane, farine st. I.<br />

36Item, <strong>di</strong>e XIIII novembris, per quarta una de farina cocta a li mulateri che<br />

portano li vini per Roma pro domino Preceptore st. II.<br />

Item, <strong>di</strong>e XXX decembris, in la sua vegnuta st. I.<br />

1491, <strong>di</strong>e XV ianuarii.<br />

In la vegnuta de Fracaso e de lo figlolo de Filipo Foveno et per li mulateri st. I.<br />

Item, <strong>di</strong>e XII marcii, per fare lo pasto a li lavoratori che hanno laborato in lo<br />

iar<strong>di</strong>no, zoè trei dì, doy laborati st. ÷.<br />

Item, <strong>di</strong>e XXIII marcii, in la vegnuta de madona Ioanna et de sua signoria,<br />

conducte per lo mulaterio de Canelli st. IIII.<br />

[c. 57v]<br />

37Die XVIIII aprilis 1491.<br />

Ancora in la vegnuta de lo heremita che stava in casa de messer fra’ Blascho de<br />

Jenoa, stato da poy con Asano in Commandaria de li dexenove de il presente<br />

per fin a li XX4 de mazo38 quart. III farine.<br />

1492, <strong>di</strong>e VIIII ianuarii.<br />

Ancora pù ho speiso in la vegnuta de soa Signoria uno staro de farina e mezo per<br />

la famigla, sive st. I quart. I.<br />

36 segue, depennato: Item, <strong>di</strong>e secunda ianuarii 1491. In la.<br />

37 segue, cancellato: 1491.<br />

38 mazo: così nel testo, per marzo.<br />

59


Item, <strong>di</strong>e ultima aprilis 1492.<br />

Ancora pù ho speiso in la vegnuta de soa Signoria et de lo commendatore<br />

Ambrosio Scarampo staro uno e mezo de farina per la famigla st. I qt. I.<br />

1492.<br />

Item, <strong>di</strong>e XIII augusti, pù ho speiso in la vegnuta de soa Signoria de li grani<br />

mandati a messer Lazaro et messer Augusto Anthonio per la famigla stare doe<br />

de farina st. II.<br />

[c. 58r]<br />

1491, <strong>di</strong>e V februarii.<br />

Ancora mi, prete O<strong>di</strong>no Bava, ho receputo de il prefacto monsignore il<br />

Commandatore per mio spendere per via de Conrado Guascho stara quatro de<br />

farina a la mesura de Cario, portate via de lo mulatero de la magnifica madona<br />

Mariola Scarampa, sive st. IIII.<br />

Item, <strong>di</strong>e XXIII de marzo, pù ho receputo in uno star de grano avanzato in la<br />

vegnuta de madona Zuana al suo spendere, grani st. I.<br />

1492, <strong>di</strong>e XII marcii.<br />

Item pù ho receputo da lo grano avanzato in casa staro uno e meza quarta de<br />

grano per mio spendere, sive staro st. I.<br />

1492, <strong>di</strong>e 21 de luglio.<br />

Item pù ho receputo da lo prefacto monsignor lo Commandatore, per via de<br />

Conrado Guasco factore in Cario, stare quatro de farina a la mesura de Cario<br />

st. IIII.<br />

[cc. 61-64 lacerate]<br />

[c. 65v]<br />

1497, <strong>di</strong>e 26 iunii.<br />

Livellorum nota presentis anni 1497, et primo:<br />

Recepimus a Cora<strong>di</strong>no Carbono39 in livello sue domus lb. s. 14 d. .<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, Bertono de le Fantaxie lb. s. 12 d. .<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, in Maria de Bonfante lb. s. 10 d. .<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, in Nicoloxio Bottario lb. s. 12 d. .<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, in Gaspare de Sanguineo lb. s. 7 d. .<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, in Iacobo de Monexilio lb. s. 1 d. 9.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, in Bernardo Castellario lb. s. II d. 9.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, Nicoloxio de Monleono lb. 12 s. d. .<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, in Mariola Iupa lb. 1 s. d. .<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, in Beltone Rato pro here<strong>di</strong>bus, solvente Simoneto de Aregordo<br />

lb. 1 s. 2 d. .<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, in Baldasare de Montebarro lb. s. 6 d. .<br />

39 Carbono: aggiunto in sopralinea.<br />

60


Item, ea <strong>di</strong>e, in here<strong>di</strong>bus Simonini Retane lb. 1 s. 1 d. .<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, in Bertono de Conio lb. s. 13 d. .<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, in Madaleneta Bordono, solvente filio suo lb. 1 s. 14 d. 6.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, in Iohanne Perlea lb. s. 10 d. .<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, Iohanne Andrea de Giral<strong>di</strong>s lb. XXXV s. d. .<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, Genevre Priascha lb. 1 s. d. .<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, in Bartholomeo Baxia lb. 1 s. 12 d. .<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, in Dominico Fromarcha lb. 1 s. d. .<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, in Lucheto Pertuxio lb. 2 s. d. .<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, in Consariono lb. s. I d. .<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, in Iacobo Perlea lb. I s. d. .<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, Pereta uxor Cristofori de Rocha lb. s. 10 d. .<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, in Susana Venzolina lb. 1 s. 3 d. .<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, in Iohanne Fragie lb. …s. 9 d. .<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, in Iohanne de Dego pignatario pro fratre suo, quondam mariti Marie<br />

de Dego lb. I s. d. .<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, in Francisco Balucio pro annis duobus ellapsis lb. II s. 2 d. .<br />

[c. 68v]<br />

1497, <strong>di</strong>e prima iulii.<br />

Mi, prete O<strong>di</strong>no Bava, como protectore de la fabrica de Sancto Iohanne ho<br />

receputo da la capsa cum uno pegno de argento, zoè uno calice, scuti tre <strong>di</strong> sole<br />

per satisfare a li maystri e lavoratori de la fabricha de Sancto Iohanne, sive<br />

scuti 3.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, pù ho receputo da Tomaxo Grasso uno testono de Sabau<strong>di</strong>a gr. 2.<br />

Item, <strong>di</strong>e XII iulii, pù ho receputo da Franzino Galiardo gr. 7 gr. 7.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, pù ho receputo da messer Iohanne lo Surdo gr. 4 s. II gr. 4 s. II.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, pù ho receputo de Iohanne Ghi<strong>di</strong>no bumbaxaro s. 6 s. 6.<br />

Item, <strong>di</strong>e XV iulii, pù ho receputo per via de messer Bernardo in numerato<br />

lb. 6 s. .<br />

Item, <strong>di</strong>e VII iulii, pù ho receputo de la gapseta de la fabricha in numerato lire<br />

cinque, sive Savone lb. 5 s. 9.<br />

Item, <strong>di</strong>e 19 iulii, pù ho receputo da messer Nicoloxio Bonorino numerato so<strong>di</strong><br />

octo lb. s. 8 d .<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, in Vincentio Pelizaro amore Dei so<strong>di</strong> trey lb. s. 3 d .<br />

Item, <strong>di</strong>e 21 iulii, pù ho receputo in messer Bernardo de Ecclesia per via de Andrea<br />

Goballo lire quatro so<strong>di</strong> seze d. octo lb. 4 s. 16 d. 8.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, in Iohanne Anthonio Fornaro lb. s. 3 d. 6.<br />

Item, <strong>di</strong>e 24 iulii, in pre<strong>di</strong>cto Iohanne Anthonio tanto40 pane, sive lb. s. 3 d. 1.<br />

40 segue, depennato: pape.<br />

61


[c. 69r]<br />

1497, <strong>di</strong>e 17 iunii.<br />

Mi, prete O<strong>di</strong>no Bava, ho exbursato de li mei <strong>di</strong>nari a meistro Iohanne Negrono<br />

ziapucio, per via de meistro Iohanne Iunzino capsaro, in suo pagamento de rubi<br />

octo de ziavason per la fabrica de Sancto Iohanne, uno trecho, e così <strong>di</strong>cta<br />

fabricha me deve fl. 2 gr. 7.<br />

Item, 41 <strong>di</strong>e 19 iunii, pù ho exbursato in uno miglaro de aguy receputi da Perin de<br />

la Rocha, e così deve fl. 1 gr.<br />

Item, <strong>di</strong>e ultima iunii, pù deve per uno altro miglaro de aguy, per via de Vincenzio<br />

de Anzallis, receputi de Augusti Granelli fl. 1 gr.<br />

Item, <strong>di</strong>e ea, pagato a Iacobo de Recho per una iornata da laboratori fl. gr. 2.<br />

Item, <strong>di</strong>e prima iulii, pù ho exbursato a meistro Iohanne Iunzino capsaro per<br />

iornate quatro de presenti ebdomoda fl. 1 gr. 6.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, pù ho pagato a meistro Laurentio cum uno compagno, zoè suo<br />

fradello Tomaxino, per iornate octo e meza de presenti ebdomoda fl. 3 gr. 1.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, pù ho pagato a meistro Paulino Tarameo masachano cum uno<br />

compagno per iornate doe de presenti ebdomoda fl. 1 gr. 4.<br />

Ite, ea <strong>di</strong>e, pù ho pagato a meistro Giraldo Secho per doe iornate de presenti<br />

ebdomoda fl. gr. 8.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, pù ho pagato a Vincentio Iuria per la arena fl. gr. 3.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, pù ho pagato a Iacobo Magleto cum uno cumpagno per iornata una<br />

de presenti ebdomoda fl. gr. 4 ÷.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, pù ho pagato a Pero Iarro de Quiliano per iornate doe de presenti<br />

ebdomoda fl. gr. 4 ÷ d. 3.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, pù ho pagato a Augustino Bonino de Legino per iornate quinque de<br />

presenti ebdomoda, ad racionem de s. 9 singula iornata, fl. 1 gr. 3.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, a Gregorio de Torgia per iornate doe de presenti ebdomoda<br />

fl. gr. 4 ÷ d. 3.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, a Nicoloxio Secho per iornate doe de presenti ebdomoda<br />

fl. gr. 4 ÷ d. 3.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, a Nicoloxio d’Otonello per iornate doe de presenti ebdomoda<br />

fl. gr. 4 ÷ d. 3.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, a Stefano d’Otonello per iornate doe de presenti ebdomoda<br />

fl. gr. 4 ÷ d. 3.<br />

fl. 16 gr. 81 d. 3.<br />

[c. 69v]<br />

1497, <strong>di</strong>e prima iulii.<br />

Item pù ho pagato a Iohanne d’Otonello per iornate doe date a la fabrica de<br />

presenti ebdomoda, ad racionem de s. 8 singula, fl. gr. 4 <strong>di</strong>m. d. 3.<br />

41 segue, depennato: ea.<br />

62


Item, <strong>di</strong>e V iulii, ho pagato per una somata de balenie a Nicoloxio de Quiliano gr.<br />

quatro e d. sexe lb. s. 4 d. 6.<br />

Item, <strong>di</strong>e VI iulii, ho dato a lo camparo che è andato ha portare lo comando a li<br />

fornaxarii de le calcine s. 7 d. .<br />

De comissione de messer Nicoloxio Bonorino, masario de la fabricha.<br />

Item, <strong>di</strong>e XII iulii, pù ho dato per doe somate de calcina habite a Zenexio Francie,<br />

pondere rub. XVI, s. XVI li. I s. XX lb. 1 s. 16.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, pù ho dato per somate cinque <strong>di</strong> calcina habite a Bertono Lugaro de<br />

Signo libras tres et soldos duodecim lb. 3 s. 12.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, ho ho 42 dato per una somata de calcina habita da Pero Augusto de<br />

Tiazano, pondere rub. XVI lb. s. 15 d. 6.<br />

Item, <strong>di</strong>e 13 iulii, pù expeiso per cinquecento aguy gr. cinque <strong>di</strong>m. pape<br />

lb. s. 17 d. 8.<br />

Item, <strong>di</strong>e ea, per una somata de calcina de Marchisso de Signo gr. 4<br />

lb. s. 14 d. .<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, pro duximento moni da Bernardo de Rinaldo, so<strong>di</strong> seze<br />

lb. s. 16 d. .<br />

Die 19.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, pù ho dato a Manuel Ribado cum uno compagno per la calcina<br />

inpastata a li quinze de lo presente so<strong>di</strong> <strong>di</strong>soto meso lb. s. 18 d. 6.<br />

Die 19 iullii.<br />

Item, <strong>di</strong>e ea, pù ho dato a Iohanne Groiso de Quiliano per tre iornate de presenti<br />

ebdomoda so<strong>di</strong> vintiquatro lb. 1 s. 4 d. .<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, a Bertono de Larnero per tre iornate so<strong>di</strong> vinti doi e mezo<br />

lb. 1 s. 2 d. <strong>di</strong>m.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, a Michael Varado, preiso de tre iornate de presenti ebdomoda so<strong>di</strong><br />

unze e d. sete lb. s. 11 d. 7.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, pù ho dato a Bene<strong>di</strong>cto Beraldo pro resto de tre iornate de presenti<br />

ebdomoda lb. s. 8 d. .<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, pù ho dato per due iornate de presenti ebdomoda a Bernardo<br />

Agneisse lb. s. 14 d. .<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, dati a Pero Laurentio per due iornate de presenti ebdomoda da s.<br />

quinze e mezo lb. s. 15 d. 6.<br />

43 Item, <strong>di</strong>e 21 iulii, pù ho dato numero quatrocento agui cum quatro far<strong>di</strong> da<br />

Augustino Iarella per messer Nicoloso Bonorino lb. s. 1 d. 9.<br />

[cc. 70-83 lacerate]<br />

42 ho ho: così nel testo.<br />

43 a margine: Cassa.<br />

63


[cc. 94-96 mancanti]<br />

[c. 102v]<br />

1487, <strong>di</strong>e prima marcii.<br />

O<strong>di</strong>no Malon, factore de il magnifico messer Alvisi Scarampo, deve a mi, pre’<br />

Odono Bava, per uno pare de scarpe al pe’ de Anthonio, mulaterio de il prefacto<br />

messer Alvisi, dato al <strong>di</strong>cto Anthonio, in numerato Savone lb. s. XVII d. VI.<br />

Die44 quinta mai.<br />

Item il pre<strong>di</strong>cto deve per Lazaro Scarampo in numerato lb. s. XV d. 9.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, per uno par de scarpe per Anthonio mulaterio, dato al <strong>di</strong>cto<br />

mulaterio, ho sia a dì 28 aprile lb. s. XVIIII d. III.<br />

Die VIIII mai.<br />

Item per una mina de sal rossa data a Guliermo asinario, so’ in numerato45 lb. VI s. XVIII d. II.<br />

Ea <strong>di</strong>e.<br />

Item per una viza de garbine s. III d. VI.<br />

Die XV octobris.<br />

Item per li. quatro de <strong>di</strong>aragia e li. II de pignocata dorata, in suma Savone<br />

lb. III s. XIII d. VI.<br />

Die XIII novembris.<br />

Item per doe li. de <strong>di</strong>aragia, per unce doe de specie forte et unzie tre gingibris e<br />

deride sexe de cera rossa, in summa Savone lb. I s. XVII d. I.<br />

1488, <strong>di</strong>e XXII ianuarii.<br />

Item per <strong>di</strong>nari imprestati in doe partite s. I d. VI.<br />

Die XXVIIII ianuarii.<br />

Item per scatule tre piene de de46 caviale per messer Alvisi, ponderis li. XII <strong>di</strong>m.,<br />

a la raxon de s. II d. VIII Savone singula libra, valet Savone in summa<br />

lb. III s. VIII d. V.<br />

[c. 103r]<br />

1487, <strong>di</strong>e XV octobris.<br />

Mi, pre’ Odon Bava, ho receputo de il pre<strong>di</strong>cto bianchini cinque in doe partite,<br />

valet Savone lb. II s. XVI d. X.<br />

Item, <strong>di</strong>e XIII novembris, ho receputo dal pre<strong>di</strong>cto in numerato Savone<br />

lb. I s. XV.<br />

Item, <strong>di</strong>e XV decembris, ho receputo dal pre<strong>di</strong>cto in numerato Savone<br />

lb. s. XVIII.<br />

44 segue, depennato: XV.<br />

45 a margine: Mutata a la raxon de messer Alvisi.<br />

46 de de: così nel testo.<br />

64


Item, 1488, <strong>di</strong>e XXII ianuarii, ho receputo dal pre<strong>di</strong>cto in numerato Savone<br />

lb. I s. I.<br />

Item, <strong>di</strong>e XXVIIII ianuarii, ho recevuto dal pre<strong>di</strong>cto uno scuto de il rege, valet<br />

Savone lb. VI s. II d. VI.<br />

[c. 103v]<br />

Die X iunii 1488.<br />

Item il pre<strong>di</strong>cto O<strong>di</strong>no deve per uno cantar e doi rotori de formagio sar<strong>di</strong>nale dati<br />

a Georgio Rastellino, a la raxon de lb. VIII lo cantar, valet Savone<br />

lb. VIII s. III d. IIII.<br />

1488.<br />

Item, <strong>di</strong>e XXVIIII ianuarii, deve per quatro <strong>di</strong>aragie e quatro pignochete dorate,<br />

in summa Savone lb. V s. XII d. .<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, per tres lire de cera lavorata, date ogni cosse a Henreto Capone, valet<br />

Savone lb. s. VIII d. VI.<br />

[cc. 106 e 108 mancanti]<br />

[c. 110r]<br />

1488, <strong>di</strong>e XVIII aprilis.<br />

Mi, prete Odono Bava, ho receputo de il suprafacto, portate per il mulatè de<br />

madona Mariolla, per acumprare tanto formagio sar<strong>di</strong>nale, sex testoni et uno<br />

lucheise, valet in suma Savone lb. X s. d. III.<br />

Die IIII may.<br />

Item recepi dal suprafacto in numerato, portate per Simon Aizarello, de moneta<br />

minuta, lb. VIII s. VIII d. VI.<br />

Die XVIII may.<br />

Item ho recevuto da il suprafacto, portati per Simon Galeise, factor de il magnifico<br />

messer Ambroxio Scarampo, 47 scuti trei de il sole e uno de re, valet Savone<br />

lb. ***.<br />

Die XX may.<br />

Item ho recevuto da il suprafacto, portati per Rizo, mulaterio de messer Bernar<strong>di</strong>n<br />

de Ruvere, scuti octo de il solle, valet Savone lb. ***.<br />

Die XXIIII may.<br />

Item ho recevuto de48 il suprafacto, portati per Giorgio Raffelino de Cayro, sono<br />

doy de reze e grossi vinti trei e mezo e cinque <strong>di</strong>né, valet Savone lb. ***.<br />

Item, <strong>di</strong>e 15 iullii, in tanto grano portato per Anthonio Boszieso mulaté, valet<br />

Savone lb. II s. XIIII d. III.<br />

47 segue, depennato: doe.<br />

48 segue, depennato: g.<br />

65


Item, ea <strong>di</strong>e, in O<strong>di</strong>no Mallono in tanto ramo, ponderis li. II unc. VIIII, valet<br />

Savone<br />

lb. s. XVIIII d. III.<br />

Summa lb. C to XIII s. XVIII d. V.<br />

1488, <strong>di</strong>e IIII augusti.<br />

Suma sumarum de tuto ho receputo perfin al presente, che sono<br />

lb. C to LXXXXII s. XII d. .<br />

[c. 111v]<br />

1487, <strong>di</strong>e XX marcii.<br />

Item per uno paire de scarpe date al <strong>di</strong>cto mulaterio per comision de O<strong>di</strong>no,<br />

Savone s. XVII d. VI.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, per resto de certe cosse per far composte, date al <strong>di</strong>cto mulaterio<br />

s. IIII d. VIII.<br />

Item, <strong>di</strong>e X aprilis, per formagio sar<strong>di</strong>nalle, zò è rub. II e lire vinti, dato a Pero<br />

Togino de Canelli, lb. IIII s. X d. X.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, per octo mazi de corde de peschar a le anguille, zoè per una letera<br />

de Conrado Guascho, valet lb. s. IIII d. .<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, per doy mazi de corde sutilissime, Savone s. VI d. II.<br />

Item, <strong>di</strong>e V may, per una risma de papé, per una lettera de O<strong>di</strong>nolb. II s. V d. VI.<br />

Item, <strong>di</strong>e XI may, per ravanelli e cipolle dati al <strong>di</strong>cto Anthonio de Sasels. VII d. .<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, il suprafacto per uno cantaro e lire XXI de formagio sar<strong>di</strong>nalle de il<br />

vegio, a la raxon de lb. VIIII singulo cantare, in numerato Savone<br />

lb. X s. IIII d. VIIII.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, per uno cantaro de formagio sar<strong>di</strong>nalle de il novo, dato tuto al<br />

supra<strong>di</strong>cto, in numerato Savone lb. VIII s. XIIII d. .<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, per cento lami da piscar a le anguille s. VII d. .<br />

–––––––––––––––––––––<br />

lb. 20 s. 1 d. 5.<br />

[c. 112v]<br />

1487, <strong>di</strong>e XXI iunii.<br />

Item per una quartuzia de oleo dato a Iohanne Fea per Montenocto, valet Savone<br />

lb. III s. VIII d. .<br />

Item il suprafacto per una mina de sale rossa, como apare a dì VIIII de mazo49 ,<br />

portata per il famiglo de O<strong>di</strong>no Malono a Cario, in numerato Savone<br />

lb. VI s. XVII d. II.<br />

Item, <strong>di</strong>e XXII iunii, per doe capcie de50 ramo, uno per lo lavezo e l’altra per<br />

apozare la aqua, etiam questo è per Montenocto, Savone lb. I s. II d. VIIII.<br />

49 mazo: così nel testo, per marzo.<br />

50 segue, depennato: ferro.<br />

66


Item, <strong>di</strong>e VI iulii, per una dozena de cugiari de legno per Montenoctolb. s. I d. .<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, per tre zuche date a lo mulaterio per relacione de Iohanne Fea,<br />

mandate a Canelli de soa comissione lb. s. IIII d. VI.<br />

Item, <strong>di</strong>e V septembris, per uno rubo e lire una e unze quatro de pombio, a la<br />

raxon de s. II d. IIII la libra, in numerato Savone lb. III s. I d. V.<br />

Item, <strong>di</strong>e XVIII septembris, per uno rubo e lire V de pombio, lire XVIIII me<br />

costono s. II d. VI, tre lire unc. doe costano quart. III, sunt in summa de <strong>Savona</strong><br />

lb. III s. VII d. .<br />

Item, <strong>di</strong>e VIII octobris, per uno pairo de sachi acumprati per menare il sabione a<br />

Montenocto, Savone lb. s. XVI d. VI.<br />

–––––––––––––––––––––<br />

lb. 8 s. 19 d. 4.<br />

[c. 113v]<br />

1487, <strong>di</strong>e XV octobris.<br />

Item il suprafacto messer Alvixi deve per uno pari de pianelle per la magnifica<br />

madona Ioanna sua uxore et per la spectabille Fioreta paire doe de scarpe rosse,<br />

valet Savone lb. I s. VIII d. .<br />

Item, <strong>di</strong>e XXI novembris, per una corda longa Lta passa de tremaglo, in numerato<br />

Savone lb. s. XVII d. .<br />

Item, <strong>di</strong>e XVIIII, per doi penazi de molino et una lucerna per Monte Claro, in<br />

numerato Savone lb. s. X d. VI.<br />

–––––––––––––––––––––<br />

lb. 2 s. 16 d. .<br />

–––––––––––––––––––––<br />

Somma sommarum usque in presentem <strong>di</strong>e51 20 decembris 1487<br />

lb. 161 s. 7 d. 3.<br />

–––––––––––––––––––––<br />

Facta la summa, resta a dare in numerato Savone lb. LXXXI s. 9.<br />

per fine al presente dì.<br />

Die XXIIII decembris.<br />

Item per trei corbini mandati a Jenoa et dati a li camalli, in numerato Savone<br />

lb. s. I d. .<br />

Item, MCCCCLXXXVIII, <strong>di</strong>e seconda ianuarii, per trei sachi acumperati per<br />

mandare la fructa a Jenoa con li camalli, Savone lb. s. XVIII d. VI.<br />

lb. 1 s. 19 d. 6.<br />

51 <strong>di</strong>e: così nel testo, per <strong>di</strong>em.<br />

67


[c. 115v]<br />

1488, <strong>di</strong>e XVIII may.<br />

Item suprefacto debet per cereoti duxento de uncie X l’uno in circa, 52 sono<br />

ponderis rubi VII53 e li. X, li. LXXXXII s. X.<br />

con li cereoti da tavolla, valet Savone54 in summa sumarum de tuta la cera<br />

lb. CLXV s. X d. X.<br />

Die ea.<br />

Item per lo drapo neigro da far doa payra de cavere55 per la famigla, valet Savone<br />

in numerato lb. VI s. X d. .<br />

Die XXIIII may.<br />

Item per uno cento de citroni lb. s. II.<br />

Ea <strong>di</strong>e.<br />

Item per tres uncie de specie e tres uncie de poive pisto, valet Savone<br />

lb. s. XIIII d. .<br />

Ea <strong>di</strong>e.<br />

Item per ravanelli e cipolle lb. s. II d. .<br />

Item per fare tenzere biadeto e una cana de teilla s. VIII.<br />

E tute le supra<strong>di</strong>cte cosse sono state mandate per Georgio Rastellino a Cario.<br />

Die XXIII may.<br />

Item per far acimare e bagnar canne XVIIII de drapo a la raxon de mezo carlino,<br />

ho sia quarti cinque singule cane Savone lb. IIII s. III d. II.<br />

Die XXVIII may.<br />

Item per uno quinterno de papé, valet Savone lb. s. III d. .<br />

Item, <strong>di</strong>e XXVIII may, per doe paria de polastri mandati a Cario per Augusto de<br />

Miolia Stafé lb. s. XII d. III.<br />

Item per doi56 fiascheti, l’uno pieno de vernacia e l’atro de rosese, valet Savone<br />

s. VIII.<br />

lb. 10557 s. 13 d. 10.<br />

[c. 116v]<br />

Die XV mai 1488.<br />

Item suprafacto deve per melogranate dolze e agre mandate a Cario <strong>di</strong>to Augusto<br />

Stafée lb. s. III.<br />

Item, <strong>di</strong>e XVII may, per uno quinterno de papé mandato a Cario per Anthonio<br />

Bona speciario s. III.<br />

Item, <strong>di</strong>e XVI iunii, per far aconzare lo ziavacoro de la spossa lb. s. VI.<br />

52 segue, depennato: valet Savone.<br />

53 segue, depennato, su due righe: lb. LXXXXII s. X sive cento.<br />

54 segue, depennato: lb. LXXXVII s. X.<br />

55 cavere: così nel testo, probabilmente per cavegiere.<br />

56 segue, depennato: fa.<br />

57 segue, depennato: s. 13.<br />

68


Item, ea <strong>di</strong>e, per filo acumprato per far la coverta s. VIII.<br />

Item, <strong>di</strong>e XXVII iunii, per58 certi vaselli de ramo acumprati da meistro Georgio<br />

zapuzo, in numerato Savone59 Item, <strong>di</strong>e XX iulii, per tres lire de bonbaxo per mettere in la coverta et per la<br />

manufactura de <strong>di</strong>cta cuverta, in numerato Savone lb. IIII s. VIII d. .<br />

Die VIII iulii.<br />

Item per far fare teilla subtille mandata a Canelli per via de Conrado Guascho, in<br />

numerato Savone libram unam solidos decemocto, sive lb. I s. XVIII.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, per una lechia de ramo, ponderis li. III <strong>di</strong>m., valet Savone in<br />

numerato lb. I s. IIII d. VI.<br />

Item, <strong>di</strong>e XV iulii, per una corda sutille lunga deseoto treise, valet lb. s. IIII d. 9.<br />

Ea <strong>di</strong>e.<br />

Item in tanti citroni lb. s. VII d. .<br />

Item per uno lavezo de petra, capacitatis de vinti menestre, valet<br />

lb. III s. III d. .<br />

[c. 117v]<br />

1488, <strong>di</strong>e V augusti.<br />

Item per doy spogii rimandati a Jeona60 per aconzare dati a messer Filipo de<br />

Grimal<strong>di</strong>s, Savone lb. s. XVII d. .<br />

Item, <strong>di</strong>e XX4 octobris presentis anni, per <strong>di</strong>nari exbursati in Ianua per acumprare<br />

certe anelli e altre iolie, in numerato monete Ianue lb. 17 s. 12 d. 661 , valet monete<br />

Savone lb. XXXVII s. XVIII d. 6.<br />

Item, <strong>di</strong>e II novembris, per lire sexe de pignuchata et lire doe de zenzeverana, a<br />

la raxon de gr. IIII singula libra, valet Savone lb. V s. XII d.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, per li. VI de <strong>di</strong>aragia, a la raxon de s. X d. VI singula libra, valet<br />

Savone<br />

lb. III s. III.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, per li. IIII de cereoti da tavola, a la raxon de s. XI singula libra, valet<br />

Savone lb. II s. IIII.<br />

Item, ea <strong>di</strong>e, per li. IIII de cera minuta, zoè candelle da trei <strong>di</strong>nari et da uno, valet<br />

Savone lb. II s. IIII.<br />

Tute le cose supra<strong>di</strong>cte mandate per via de Conrado Guascho a Canelli.<br />

Item, <strong>di</strong>e 4 novembris, per sepo […] 62 VI de cereoti bianchi da tavola, a la raxon<br />

de s. XII singula libra, valet Savone lb. III s. XII d. .<br />

lb. 55 s. 10 d. 663 .<br />

58 segue, depennato: lire.<br />

59 segue, depennato: lb. IIII s. X d.<br />

60 Jeona: così nel testo, per Jenoa.<br />

61 segue, depennato: lb. XVII s. XII d. VI.<br />

62 guasto nel manoscritto.<br />

63 segue, depennato, su due righe: lb. 37 s. 8 d. 6, lb. 37 s. 4 d. 6.<br />

69


[c. 118v]<br />

1488, <strong>di</strong>e 4 novembris.<br />

Item il supra<strong>di</strong>cto castello de Canelli deve per dodexe torgie, ponderis de rubi I<br />

li. XIIII cere, a la raxon de s. XI d. VI singula libra, valet Savone in summa<br />

lb. XXII s. VIII d. VI.<br />

Item, <strong>di</strong>e VI <strong>di</strong>cti mensis, per rubo uno e li. XVII <strong>di</strong>m. de pessi freschi mandati<br />

per via de O<strong>di</strong>no Malono con la cera, valet in numerato Savone, a la raxon de s.<br />

II singula libra lb. IIII s. V d. .<br />

et per lo cestino e lo cavezo da coprire <strong>di</strong>cti pessi s. II d. II.<br />

Item per uno corbino mandato per via de O<strong>di</strong>no pleno de fructa s. III.<br />

Die XXIII novembris.<br />

Item per sex bogli de sal rossa mandata per via de Andrea Sellano, valet in summa<br />

Savone lb. X s. VII d. V.<br />

Item, <strong>di</strong>e XX7 novembris, per una mina de sal rossa data a Bertone Marencho de<br />

Monastero, valet Savone fl. II gr. VIIII <strong>di</strong>m. lb. VI s. XVIII d. III.<br />

Die 7 decembris.<br />

Item per cedri, limoni, lemie, citroni dolzi, citroni agri, valet Savone lb. II s. XVI.<br />

Item per canabozo coperta per via de Mirro64 sclavo de coperire <strong>di</strong>cti corbini<br />

s. II d. VI.<br />

Die 17 decembris.<br />

Item per una barille de pessi salati mandati per via de O<strong>di</strong>no Malone, valet<br />

Savone lb. VI s. XVIII d. 3.<br />

lb. 54 s. d. .<br />

[c. 119v]<br />

1489, <strong>di</strong>e 9 ianuarii.<br />

Item pro bogli desete de sal rosso dato a Leonardo Milano de Canelli, a la raxon<br />

de uno fl. singulo boglo, valet Savone duc. IIII gr. XXII pape.<br />

Item, <strong>di</strong>e ea, ducente Iohanne, per una lira de sereise et meza lira de uve, valet<br />

lb. s. IIII.<br />

Item, <strong>di</strong>e XIIII augusti, per cinque bogli cinque65 de sal rosso, valet fl. cinque et<br />

uno sol<strong>di</strong>no per suo […] 66 .<br />

Summa lb. 42 s. .<br />

Tute le sopra scrite partite il le doze carte qui in contra sono contate et acertate<br />

con prete O<strong>di</strong>no Bava heri e fra’ Bonifacio questo dì XXIIII ianuarii 1489.<br />

64 parola <strong>di</strong> incerta lettura.<br />

65 cinque bogli cinque: così nel testo.<br />

66 abrasione nel manoscritto.<br />

70


Una vita d’archivio tra il passato ed il futuro<br />

Romilda Saggini<br />

Ringrazio gli organizzatori del convegno per avermi invitato a partecipare e<br />

rivolgo soprattutto a monsignor Leonardo Botta un affettuoso saluto e<br />

l’augurio <strong>di</strong> ogni bene.<br />

L’affetto che mi lega a lui è sempre vivo e si è fortificato, invece che<br />

affievolirsi, nel corso degli anni.<br />

Infatti, quando ero giovane, ho iniziato la mia attività <strong>di</strong> ricerca, oltre che<br />

nell’Archivio <strong>di</strong> Stato, anche nell’Archivio Vescovile <strong>di</strong> <strong>Savona</strong> e poi ho<br />

seguitato soprattutto in quest’ultimo.<br />

Ho avuto così il privilegio <strong>di</strong> conoscere e <strong>di</strong> frequentare le due figure<br />

storiche dell’archivio stesso: prima don Scarrone e poi don Botta.<br />

Molti anni fa, l’Archivio Vescovile, ora Archivio Storico Diocesano, era<br />

tutt’altra cosa. Non un archivio ben or<strong>di</strong>nato, con scaffali e classificatori, come<br />

adesso, ma due stanze, peraltro male illuminate, con in più uno stanzino, che<br />

fungeva da “parlatorio”.<br />

I documenti ed i libri più antichi e preziosi, come gli antifonari e le<br />

pergamene, erano chiusi in tre arma<strong>di</strong> <strong>di</strong> legno, antichi pure quelli, che si<br />

chiudevano a chiave.<br />

Sembra strano che un posto così potesse in qualche modo attrarre tanto<br />

una ragazza <strong>di</strong> vent’anni con tutta la sua vita davanti. Eppure mi piaceva. Il<br />

lunedì era un impegno fisso: andavo e stu<strong>di</strong>avo le carte, in archivio, e poi ci<br />

si scambiavano le idee, si chiacchierava e si imparava.<br />

A quel tempo, <strong>di</strong>rettore era don Mario Scarrone. Un tipo asciutto, <strong>di</strong> poche<br />

parole.<br />

Da buon ligure, ti osservava in silenzio e ogni tanto se ne usciva con una<br />

battuta sagace o una risata cavernosa. Sapeva tutto o quasi. Fotografava i<br />

documenti in modo magistrale, all’Università mi chiedevano <strong>di</strong> chi erano<br />

quelle foto.<br />

71


Eravamo poveri, non c’era la lampada <strong>di</strong> wood e allora le pergamene <strong>di</strong><br />

Perti andavamo a leggerle proprio a Perti, sulla porta della canonica, al<br />

crepuscolo, quando nell’atmosfera si <strong>di</strong>ffondono raggi, che ti permettono <strong>di</strong><br />

captare segni altrimenti nascosti.<br />

Poi, un giorno, prematuramente, don Scarrone morì, <strong>di</strong> una morte<br />

improvvisa, che ci lasciò tutti interdetti. Mancava la sua guida e la sua<br />

presenza: l’archivio, con tutti i suoi documenti, sembrava un contenitore<br />

vuoto.<br />

Mi resi <strong>di</strong>sponibile con il vescovo per qualsiasi cosa inerente all’Archivio,<br />

ma nulla si mosse.<br />

Dopo circa un mese, una telefonata: “Professoressa, per favore, venga ad<br />

aprire gli arma<strong>di</strong>, altrimenti dobbiamo romperli”. Andai. Don Scarrone, in<br />

mancanza <strong>di</strong> cassaforte, adottava un ingegnoso sistema <strong>di</strong> scatole cinesi per<br />

l’occultamento delle chiavi ed io ero l’unica depositaria del segreto. Aprii tutto:<br />

era l’ultimo servigio che gli rendevo.<br />

Passò altro tempo ed ecco che arrivò don Botta, suo degno successore, che<br />

ben presto entrò nel cuore degli stu<strong>di</strong>osi. Anche lui ligure <strong>di</strong> poche parole con<br />

la battuta pronta, ha sempre seguito con pazienza i nostri stu<strong>di</strong>. Gentile,<br />

attento al lavoro <strong>di</strong> ognuno: quando scrivevo il libro sulle biblioteche della<br />

<strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> <strong>Savona</strong> mi <strong>di</strong>ceva: “Che coraggio, signora, che coraggio!”.<br />

La mia vita <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o è dunque cominciata proprio qui ed anche adesso,<br />

che tutto è cambiato, quando varco la soglia dell’archivio, mi sento a casa mia.<br />

E proprio qui è iniziata, molti anni fa, una lunga ricerca approdata nel<br />

volume sulle biblioteche cinquecentesche della <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> <strong>Savona</strong> che ha un<br />

prosieguo anche oggi 1 .<br />

Si trattava dell’e<strong>di</strong>zione degli elenchi cinquecenteschi delle biblioteche<br />

della <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> <strong>Savona</strong>, tra cui figurano anche quelli conventuali, che furono<br />

stilati alla fine del Cinquecento, in seguito alle <strong>di</strong>rettive del Concilio <strong>di</strong> Trento.<br />

Nell’Archivio Vescovile avevo rinvenuto liste <strong>di</strong> libri <strong>di</strong> parroci e nella<br />

Biblioteca Vaticana avevo ritrovato l’elenco del convento <strong>di</strong> San Giacomo <strong>di</strong><br />

<strong>Savona</strong>, quello del convento <strong>di</strong> Finalpia e <strong>di</strong> alcuni frati dello stesso convento.<br />

È stato questo l’inizio <strong>di</strong> una ricerca che ancora continua e che sta a<br />

testimoniare, per le persone che sono estranee al lavoro dello storico, come<br />

prendere in mano i documenti ed interrogarli non sia in realtà un’operazione<br />

rivolta al solo passato, ma abbia anche ricadute sul nostro presente e come<br />

1 SAGGINI 2003.<br />

72


l’amore per il patrimonio artistico e librario non sia obsoleto, ma animi<br />

parecchi cuori.<br />

Ma proce<strong>di</strong>amo con or<strong>di</strong>ne e ve<strong>di</strong>amo come da una cosa nasce l’altra e<br />

come quando uno storico comincia una ricerca, se è onesto e l’affronta<br />

umilmente, non anteponendo i suoi giu<strong>di</strong>zi precostituiti, ma stu<strong>di</strong>ando i<br />

documenti e facendosi guidare da essi, quando comincia, non sa mai dove<br />

andrà a finire.<br />

Ho cominciato quin<strong>di</strong> nell’Archivio Vescovile <strong>di</strong> <strong>Savona</strong> e sono approdata<br />

alla Biblioteca Vaticana, perché, se volevo indagare la realtà savonese,<br />

bisognava che vedessi le carte relative alle biblioteche conventuali della città<br />

che sono raccolte lì. Il fatto è che questa documentazione è il frutto<br />

dell’indagine promossa dalla Congregazione romana dell’In<strong>di</strong>ce dei libri<br />

proibiti, effettuatasi tra il 1598 ed il 1603. Come è noto, essa seguiva la<br />

promulgazione nel 1596 dell’Index librorum prohibitorum da parte <strong>di</strong><br />

Clemente VIII, interessò unicamente l’Italia e le isole e fu rivolta agli or<strong>di</strong>ni<br />

maschili, anche se risposero, tra gli altri, alcuni monasteri femminili. Tutti i<br />

conventi stilarono e consegnarono le liste dei loro libri, che andarono a<br />

formare sessantuno co<strong>di</strong>ci, conservatisi fino ad oggi e trasmessi nel 1917,<br />

dopo la soppressione dell’In<strong>di</strong>ce, alla Biblioteca Vaticana, che formano<br />

l’insieme dei Co<strong>di</strong>ces Vaticani Latini 11266-11326 e raccolgono circa 19.000<br />

pagine.<br />

Attualmente, essi sono oggetto <strong>di</strong> attenzione da parte degli storici e <strong>di</strong><br />

stu<strong>di</strong>o per un gruppo <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>osi, che ne curano la trascrizione su CD-ROM e<br />

lavorano al progetto RICI, <strong>di</strong> cui faccio parte, che prevede la formazione <strong>di</strong><br />

una banca dati delle e<strong>di</strong>zioni presenti nelle liste.<br />

Il progetto è molto interessante e foriero <strong>di</strong> gran<strong>di</strong> sviluppi. La Banca dati<br />

ha già assunto <strong>di</strong>mensioni maggiori dell’E<strong>di</strong>t 16 e sarà uno strumento prezioso<br />

nelle mani degli stu<strong>di</strong>osi. Rappresenta, infatti, al giorno d’oggi una delle fonti<br />

più rilevanti per quanto riguarda lo stu<strong>di</strong>o della cultura degli or<strong>di</strong>ni religiosi<br />

e la circolazione libraria alla fine del Cinquecento. Interessanti sono anche i<br />

risvolti dal punto <strong>di</strong> vista della storia economica che si possono ricavare dallo<br />

stu<strong>di</strong>o della produzione dei libri e della loro circolazione.<br />

Sempre nell’ambito del lavoro inerente al RICI si è proceduto poi ad<br />

indagare se si poteva rinvenire qualcuno dei libri presenti nelle liste. Mi sono<br />

ritrovata così ad affrontare un’impresa certamente non facile: cercare <strong>di</strong><br />

ricostruire le sorti della biblioteca <strong>di</strong> un convento, San Giacomo <strong>di</strong> <strong>Savona</strong>,<br />

ormai <strong>di</strong>strutto.<br />

73


Il convento <strong>di</strong> San Giacomo, alla fine del Cinquecento, al tempo, quin<strong>di</strong>,<br />

della stesura della lista della sua biblioteca, godeva <strong>di</strong> ampio prestigio sia<br />

religioso sia culturale nell’ambito della città 2 .<br />

La sua vita ebbe inizio nella seconda metà del Quattrocento, in uno dei<br />

perio<strong>di</strong> più vivi e fecon<strong>di</strong> della storia citta<strong>di</strong>na. Fu fondato da Angelo da<br />

Chivasso, insigne personalità dell’epoca ed autore <strong>di</strong> uno dei testi più <strong>di</strong>ffusi<br />

del tempo e presente nei nostri inventari: la Summa Angelica.<br />

Proprio lui, dopo che gli Anziani della città <strong>di</strong>edero il permesso <strong>di</strong> costruire<br />

il convento, pose nel 1472 la prima pietra in un luogo che era il frutto <strong>di</strong> una<br />

donazione effettuata nel 1470 dall’Ospedale Grande <strong>di</strong> Misericor<strong>di</strong>a <strong>di</strong> <strong>Savona</strong><br />

ai frati Minori Osservanti.<br />

La venuta degli Osservanti, con i loro fermenti <strong>di</strong> slancio e <strong>di</strong><br />

rinnovamento, si effettuò in un momento particolarmente propizio per la città<br />

ed il convento <strong>di</strong>venne subito un centro culturale ed artistico tra i più<br />

importanti della fine del Me<strong>di</strong>oevo e luogo <strong>di</strong> elezione per la sepoltura delle<br />

famiglie appartenenti al ricco ceto mercantile citta<strong>di</strong>no, che commissionavano<br />

ad artisti famosi la decorazione delle proprie cappelle. E proprio qui fu sepolto<br />

anche Gabriello Chiabrera.<br />

La biblioteca era <strong>di</strong> grande prestigio, come ci afferma nella sua cronaca<br />

redatta nel 1647 fra Dioniso da Genova e conteneva co<strong>di</strong>ci e manoscritti<br />

preziosi. Il Verzellino afferma che nel 1563 il vescovo Giustiniano, frate<br />

francescano zoccolante, prelevò da San Giacomo 60 libri manoscritti anche in<br />

lingua greca e li mandò a Filippo II, re <strong>di</strong> Spagna, per l’Escorial. Questi testi<br />

sono stati oggetto <strong>di</strong> una ricerca, che, purtroppo, si è rivelata infruttuosa 3 . Nel<br />

nostro inventario essi non figurano, poiché la biblioteca era già stata<br />

defraudata dall’opera insensata del vescovo, in quanto la lista fu stesa più <strong>di</strong><br />

vent’anni dopo. È d’obbligo considerare che la nascita del Convento <strong>di</strong> San<br />

Giacomo e la presenza <strong>di</strong> Angelo da Chivasso si inseriscono nel fecondo<br />

periodo della seconda metà del Quattrocento savonese, quando si registra<br />

2 Per la bibliografia su San Giacomo si vedano gli Atti del convegno tenutosi a <strong>Savona</strong> l’11<br />

<strong>di</strong>cembre 1983: “San Giacomo, un monumento da conoscere e riutilizzare”, <strong>Savona</strong> 1986, con<br />

i contributi <strong>di</strong>: MURIALDO 1983, pp. 7-44; DA LANGASCO 1983, pp. 45-51; ROSSINI 1983, pp. 53-76;<br />

CASTELNOVI 1983, pp. 77- 84. Inoltre DIONISIO DA GENOVA 1647; De conventu S. Iacobi <strong>Savona</strong>e,<br />

ms presso l’Archivio del convento <strong>di</strong> Nostra Signora della Visitazione <strong>di</strong> Genova; DE MONTI<br />

1697, pp. 129, 130, 208, 212, 372; VERZELLINO 1891, Vol. II, p. 72; BUSCAGLIA 1905, n. 134; SCOVAZZI<br />

NOBERASCO 1926-1928, p. 294 e 414; CASINI 1950, p. 89; GAGLIARDI 1976; “Il Letimbro” del 15<br />

febbraio 1969, del 4 ottobre 1969, del 10 settembre 1983; GALLOTTI 1992, pp. 68-75.<br />

3 DAMONTE 1975, p. 135.<br />

74


nella città un’intensa attività <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> negli ambiti conventuali: nel convento<br />

<strong>di</strong> San Francesco si coltiva la retorica per opera <strong>di</strong> Lorenzo Guglielmo<br />

Traversagni e del suo seguace Pietro Vegerio, che <strong>di</strong>venterà car<strong>di</strong>nale e nello<br />

stesso tempo insigne umanista; nel convento <strong>di</strong> Sant’Agostino opera una<br />

personalità <strong>di</strong> rilievo quale Gianbernardo Forte, autore del Vocabulista<br />

ecclesiastico, e prospera una vivace cultura umanistica e religiosa.<br />

Il catalogo della biblioteca <strong>di</strong> San Giacomo comprende 156 volumi,<br />

annotati in modo or<strong>di</strong>nato, secondo la successione delle lettere dell’alfabeto.<br />

Non troviamo grosse <strong>di</strong>screpanze rispetto ai coevi inventari della <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong><br />

<strong>Savona</strong>: l’unica rilevante è l’assenza <strong>di</strong> libri humanitatis. Sono presenti però gli<br />

strumenti propedeutici allo stu<strong>di</strong>o ed alla conoscenza della lingua latina: il<br />

vocabolario volgare-latino <strong>di</strong> Filippo Venuti, la Grammatica del Caffaro, la<br />

Lingua latina exercitatio <strong>di</strong> Giovanni Ludovico Vives, le Osservationi sopra della<br />

lingua latina et vulgare <strong>di</strong> Ludovico Dolci, De primi principij della lingua latina <strong>di</strong><br />

Francesco Priscianese. Vi è un libro <strong>di</strong> geografia, il Teatro del cielo e della terra <strong>di</strong><br />

Giuseppe Rosaccio e le Teoriche intorno alli moti celesti <strong>di</strong> Giovanni Paolo Donati.<br />

Per il resto, vi sono Bibbie, il Concilio tridentino, testi <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto: le Decretali, il<br />

Decretum Gratiani, ecc.<br />

Il convento mantenne la sua posizione <strong>di</strong> prestigio e <strong>di</strong> rilevanza culturale<br />

per parecchio tempo, anche dopo la sottomissione <strong>di</strong> <strong>Savona</strong> a Genova, grazie<br />

soprattutto ad una rete <strong>di</strong> rapporti con le famiglie più influenti della città.<br />

Ebbe un ruolo fondamentale nella realizzazione del Monte <strong>di</strong> Pietà ed accolse<br />

nel 1621 la traslazione della reliquia <strong>di</strong> papa Sisto I. Si avviò infine a una triste<br />

decadenza, che culminò con la sua soppressione da parte <strong>di</strong> Napoleone nel<br />

1810. L’ospedale e la caserma in cui esso si trasformò, soffocarono<br />

definitivamente lo spirito, che nei tempi antichi, aveva animato la sua vita<br />

intellettuale ed era passato per le pagine dei libri della sua biblioteca.<br />

Seguendo l’obiettivo <strong>di</strong> verificare se al giorno d’oggi esiste ancora<br />

qualcuno dei libri segnati nella lista, ho esplorato i fon<strong>di</strong> antichi della<br />

Biblioteca del Seminario Vescovile Savonese, della Biblioteca Civica <strong>di</strong> <strong>Savona</strong>,<br />

<strong>di</strong> quella dell’Archivio <strong>di</strong> Stato <strong>di</strong> <strong>Savona</strong>, <strong>di</strong> quella dell’Archivio Storico<br />

Diocesano Savonese e del Convento <strong>di</strong> Nostra Signora della Visitazione <strong>di</strong><br />

Genova.<br />

Nella biblioteca Civica <strong>di</strong> <strong>Savona</strong>, sito probabile <strong>di</strong> approdo dei libri, non<br />

sicuro, però, perché finora non sono state effettuate indagini atte a verificare<br />

la provenienza delle varie acquisizioni del fondo antico, ho reperito cinque<br />

copie <strong>di</strong> medesime e<strong>di</strong>zioni che figurano nella lista del convento, che non<br />

recano però note <strong>di</strong> appartenenza: non si tratta degli stessi esemplari.<br />

75


I libri della biblioteca <strong>di</strong> San Giacomo avrebbero potuto, in teoria, essere<br />

confluiti negli altri conventi francescani. Per tali motivi ho esaminato la<br />

biblioteca del Centro stu<strong>di</strong> Francescani, presso il Convento <strong>di</strong> Nostra Signora<br />

della Visitazione <strong>di</strong> Genova, che raccoglie il materiale librario proveniente da<br />

parecchi conventi dell’area francescana ligure. Intendevo verificare se per<br />

qualche via, a noi ancora sconosciuta, potessero esservi affluiti dei volumi<br />

provenienti dal convento <strong>di</strong> San Giacomo 4 . La ricerca condotta in loco ha<br />

permesso <strong>di</strong> evidenziare che non vi sono testi con note <strong>di</strong> appartenenza al<br />

convento. L’unica corrispondenza con quanto riportato dalla lista è costituita<br />

da una copia <strong>di</strong> un’e<strong>di</strong>zione dello Speculum peregrinarum del Sibilla, ma su <strong>di</strong><br />

essa non figurano segni <strong>di</strong> appartenenza, quin<strong>di</strong> è legittimo ritenere che non<br />

sia <strong>di</strong> San Giacomo.<br />

Teoricamente, il Seminario Vescovile avrebbe potuto essere considerato<br />

luogo <strong>di</strong> probabile approdo per biblioteche <strong>di</strong> natura ecclesiastica.<br />

Dopo lunghe ricerche, in una stanza in cui è posto materiale molto corroso<br />

dai tarli e non ancora inventariato, ho provato l’emozione <strong>di</strong> ritrovare<br />

finalmente un fondo <strong>di</strong> libri provenienti dal monastero <strong>di</strong> San Giacomo.<br />

Li ho rinvenuti, perché colpita da una loro particolare singolarità: sono<br />

tutti rilegati allo stesso modo e portano sul dorso o <strong>di</strong> costa la nota <strong>di</strong><br />

appartenenza in splen<strong>di</strong><strong>di</strong> caratteri gotici. Essi ora, a <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong> secoli, quando<br />

ormai il convento e tutte le bellissime opere che conteneva sono andate<br />

<strong>di</strong>strutte, sono l’unica voce che si leva a testimone <strong>di</strong> un’antica gloriosa<br />

magnificenza. Si è così ricostruito che, a seguito delle tristi vicende del<br />

convento, essi erano confluiti nella biblioteca ecclesiastica Rocca, fondata nel<br />

1747 dal canonico della cattedrale Simone Rocca, che lasciò al Capitolo i suoi<br />

libri volendo fare che sempre più si conservi e moltiplichi a comodo dei rr. Sacerdoti<br />

che non hanno il comodo <strong>di</strong> provvedersi <strong>di</strong> quei libri necessari… 5 . La biblioteca era<br />

importante: già alla fine del Settecento possedeva 1280 volumi; al giorno<br />

d’oggi ciò che <strong>di</strong> essa rimane è confluito nel Seminario Vescovile.<br />

I libri del convento ancora conservati sono più <strong>di</strong> cinquanta, vanno dal<br />

Cinque al Settecento e recano una particolarità specifica, che testimonia la<br />

4 Ringrazio per la gentilezza e <strong>di</strong>sponibilità il bibliotecario e archivista fra Martino Conti e<br />

Francesco Trigilia del Centro Stu<strong>di</strong> Francescani presso il Convento dell’Annunziata <strong>di</strong> Genova.<br />

Nel catalogo del fondo antico è <strong>di</strong>stinta la provenienza dei libri: Convento della Santissima<br />

Annunziata <strong>di</strong> Genova, Madonna delle Grazie <strong>di</strong> Gavi Valle, Nostra Signora del Monte <strong>di</strong><br />

Genova, <strong>di</strong> San Francesco <strong>di</strong> Recco, Nostra Signora degli Angeli <strong>di</strong> Genova Voltri, Santissima<br />

Annunziata <strong>di</strong> Levanto, Nostra Signora <strong>di</strong> Loreto <strong>di</strong> Genova Oregina.<br />

5 BOTTA 1999, p. 14.<br />

76


larghezza <strong>di</strong> mezzi <strong>di</strong> cui in origine e per un buon periodo il convento <strong>di</strong>spose:<br />

sono tutti rilegati nello stesso modo in pergamena e recano sul dorso la<br />

<strong>di</strong>citura, scritta in maniera calligrafica: sancti Jacobi Savone. Solo raramente la<br />

nota <strong>di</strong> appartenenza è sul frontespizio. Altri tre tomi, non rilegati come i<br />

precedenti, portano sul frontespizio una nota <strong>di</strong> appartenenza al convento:<br />

Perinet ad conventum Sancti Jacobi Savone: si tratta <strong>di</strong> tre opere appartenenti a<br />

Gabriello Chiabrera, che in vita fu molto legato al convento e, come si è visto,<br />

ivi fu sepolto, e che recano anche la nota <strong>di</strong> appartenenza al poeta.<br />

L’aver quin<strong>di</strong> iniziato questa ricerca, partendo dalle liste del Cinquecento,<br />

ha portato alla scoperta <strong>di</strong> un segno e <strong>di</strong> una memoria del convento che ormai<br />

si era creduta completamente <strong>di</strong>strutta.<br />

Ma non possiamo considerare la ricerca terminata. Infatti, in un<br />

documento del 1849, il guar<strong>di</strong>ano Francesco Ottaviano da <strong>Savona</strong> del<br />

convento dei Frati Minori Osservanti Riformati della Pace <strong>di</strong> Albissola<br />

Superiore prende carta e penna e scrive al Capitolo della Cattedrale,<br />

spiegando che era “informato per altrui relazione e per motivate sue induzioni<br />

che i libri già appartenenti al loro convento <strong>di</strong> San Giacomo erano stati<br />

temporaneamente depositati presso la Libreria Ecclesiastica” e non riven<strong>di</strong>ca<br />

la legittima proprietà, ma chiede che almeno gli vengano date le opere doppie<br />

o quelle più rovinate 6 .<br />

Una ricerca condotta in loco ha evidenziato che i padri Dehoniani,<br />

succeduti ai frati Minori nella <strong>di</strong>rezione del santuario, hanno mandato tutto<br />

il fondo antico della biblioteca a Bologna, nella loro biblioteca centrale. Si apre<br />

così un altro capitolo: bisogna verificare se a Bologna esistono libri con la nota<br />

<strong>di</strong> appartenenza del convento: per fortuna è stata mantenuta l’identità del<br />

fondo.<br />

Ma il <strong>di</strong>scorso continua ancora e, come <strong>di</strong>cevo, da una cosa nasce l’altra.<br />

Durante questa ricerca sono venuta a contatto con la situazione <strong>di</strong> grande<br />

degrado nella quale versano questi fon<strong>di</strong> antichi, attaccati da varie specie <strong>di</strong><br />

insetti e <strong>di</strong> tarli. Ho interessato quin<strong>di</strong> al problema la Curia Vescovile e ci siamo<br />

attivati con un progetto <strong>di</strong> risanamento con raccolta <strong>di</strong> fon<strong>di</strong> rivolto alla<br />

Fondazione de Mari <strong>di</strong> <strong>Savona</strong>.<br />

Dato che, come <strong>di</strong>ceva Eraclito, per avere l’impossibile bisogna chiederlo,<br />

visto che l’avevamo chiesto, questa volta si è verificato.<br />

Alla Fondazione è piaciuto il progetto ed ha erogato una cospicua somma<br />

a tale scopo.<br />

6 ARCHIVIO STORICO DIOCESANO DI SAVONA-NOLI, Fondo archivio capitolare, sala 1, scaffale 2.<br />

77


Vasto è l’interesse che questa operazione ha suscitato nel mondo<br />

scientifico: questo è un progetto che nasce come iniziativa culturale, ma<br />

presenta importanti risvolti, anche economici in un settore, quello del restauro<br />

e conservazione del libro, che attualmente risulta depresso e particolarmente<br />

colpito dalla crisi.<br />

L’interesse da parte della Fondazione de Mari sta proprio a testimoniare<br />

come, in questa era tecnologica e <strong>di</strong> e-book il libro antico continui ad esercitare<br />

il suo fascino anche presso un pubblico allargato e non necessariamente<br />

specializzato nel settore.<br />

78


Bibliografia<br />

BUSCAGLIA D. 1905, La chiesa <strong>di</strong> S. Giacomo in <strong>Savona</strong> ed una lapide <strong>di</strong> gabriello chiabrera,<br />

in “Il Letimbro”, XIV, n. 134.<br />

CASINI A. 1950, Cento conventi, Genova, p. 89.<br />

CASTELNOVI G.V. 1986, I <strong>di</strong>pinti, (Atti del convegno <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o, <strong>Savona</strong>, 11 <strong>di</strong>cembre<br />

1983), <strong>Savona</strong>, pp. 77- 84.<br />

DA LANGASCO C. 1986, Tensioni spirituali all’ombra del San Giacomo, (Atti del<br />

convegno <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o, <strong>Savona</strong>, 11 <strong>di</strong>cembre 1983), <strong>Savona</strong>, pp. 45-51.<br />

DAMONTE M. 1975, Libri e manoscritti tra Spagna e Liguria nel sec. XV, in Il libro e la<br />

cultura ligure tra Me<strong>di</strong>oevo ed Età Moderna. Convegno storico, vol. I, <strong>Savona</strong>,<br />

in “Atti e memorie della Società Savonese <strong>di</strong> Storia Patria”, n.s. IX, p. 135.<br />

DIONISIO DA GENOVA, Compen<strong>di</strong>osa descriptio sive summaria relatio totius Reformatae<br />

Provinciae Genuensis facta per fratem Dionysium a Genua eiusdem Provinciae<br />

alumnum ex praescripto Capituli Generalis Toletani a 1647. De conventu S. Iacobi<br />

<strong>Savona</strong>e, ms presso l’Archivio del convento <strong>di</strong> Nostra Signora della Visitazione<br />

<strong>di</strong> Genova.<br />

GAGLIARDI G. 1976, Brevi note sulla storia e l’arte del convento <strong>di</strong> San Giacomo in<br />

Valloria, <strong>Savona</strong>, (ciclostile rilegato dalla Società Savonese <strong>di</strong> Storia Patria).<br />

Il Letimbro, testata giornalistica, del 15 febbraio 1969, del 4 ottobre 1969 e del 10<br />

settembre 1983.<br />

GALLOTTI G. 1992, Chiese <strong>di</strong> <strong>Savona</strong>, <strong>Savona</strong>, pp. 68-75.<br />

MURIALDO G. 1986, L’inse<strong>di</strong>amento francescano osservante <strong>di</strong> San Giacomo in Valloria:<br />

un convento per la città, in San Giacomo, un monumento da conoscere e riutilizzare<br />

(Atti del convegno <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o, <strong>Savona</strong>, 11 <strong>di</strong>cembre 1983), <strong>Savona</strong>, pp. 7-44.<br />

ROSSINI G. 1986, Il complesso <strong>di</strong> San Giacomo ed il Rinascimento francescano a <strong>Savona</strong><br />

ed in Liguria, (Atti del convegno <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o, <strong>Savona</strong>, 11 <strong>di</strong>cembre 1983), <strong>Savona</strong>,<br />

pp. 53-76.<br />

SAGGINI R. 2003, Biblioteche cinquecentesche in Liguria. Libri nella <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> <strong>Savona</strong>,<br />

<strong>Savona</strong>.<br />

SCOVAZZI I., NOBERASCO F. 1926-1928, Storia <strong>di</strong> <strong>Savona</strong>, <strong>Savona</strong>, vol. III, pp. 294 e<br />

414.<br />

VERZELLINO G.V. 1885, Delle memorie particolari e specialmente degli uomini illustri<br />

della città <strong>di</strong> <strong>Savona</strong>, <strong>Savona</strong>, (redazione del manoscritto a cura <strong>di</strong> A. ASTENGO),<br />

vol. II, p. 72.<br />

79


Le Confraternite - Sette secoli <strong>di</strong> vita<br />

Ernesto Arri<br />

Come definizione generale possiamo affermare che le confraternite sono<br />

associazioni <strong>di</strong> fedeli, erette per l’esercizio <strong>di</strong> opere <strong>di</strong> pietà e <strong>di</strong> carità con una<br />

regolare organizzazione e aventi per scopo anche l’incremento del culto<br />

pubblico.<br />

Difficile è rintracciare le origini storiche <strong>di</strong> tali sodalizi; esse si fondavano<br />

sul sentimento <strong>di</strong> fratellanza e sull’amore <strong>di</strong> Dio. Tracce <strong>di</strong> confraternite o <strong>di</strong><br />

associazioni <strong>di</strong> laici si possono scorgere sino dall’età carolingia.<br />

Ma autori più recenti danno per sicura la loro esistenza al secolo X; dal<br />

secolo XII in poi molte confraternite composte da laici furono erette.<br />

Non si devono però confondere con quegli istituti che vanno sotto il nome<br />

<strong>di</strong> cause pie (ospedali, ricoveri, orfanotrofi) che hanno uno scopo più<br />

complesso ma nemmeno con quelle pie unioni occasionali tenute insieme<br />

semplicemente dal volere dei loro componenti 1 .<br />

Infatti l’abbandono anche della maggior parte dei suoi componenti od<br />

anche <strong>di</strong> tutti, non estingue per sè stesso la confraternita che sussiste invece<br />

grazie alla sua erezione canonica.<br />

Le confraternite <strong>di</strong>pendono dal vescovo <strong>di</strong>ocesano e prendono la<br />

denominazione <strong>di</strong> arci-confraternite se hanno ottenuto la facoltà <strong>di</strong> aggregare<br />

a sé particolari confraternite legittimamente erette con i medesimi scopi e con<br />

uniformi or<strong>di</strong>namenti.<br />

Le confraternite che sono giunte attraverso un percorso plurisecolare fino<br />

ai nostri giorni sono associazioni laicali <strong>di</strong> fedeli che agiscono nel contesto<br />

ecclesiale avendo propri statuti e regolamenti approvati dall’or<strong>di</strong>nario<br />

<strong>di</strong>ocesano e sono anche riconosciute dallo stato con la qualifica <strong>di</strong> “Enti<br />

ecclesiastici civilmente riconosciuti con scopo prevalente <strong>di</strong> culto”.<br />

1 CIPOTTI, BARTOCCETTI 1950, pp. 258-262.<br />

81


Esse sono presenti da oltre sette secoli nel contesto sia religioso che civile<br />

e sociale della nostra regione.<br />

La loro nascita risale al secolo XIII e più precisamente al 1260, quando<br />

appaiono già documentate le confraternite <strong>di</strong> Santa Maria <strong>di</strong> Castello <strong>di</strong><br />

<strong>Savona</strong> e <strong>di</strong> Santa Caterina <strong>di</strong> Porto Maurizio, questa solo a composizione<br />

femminile.<br />

Anche in Genova sorsero molto precocemente e poco dopo il 1260 se ne<br />

contano già una dozzina.<br />

Ma come sorsero e come si sviluppò questo movimento spontaneo <strong>di</strong><br />

penitenti che inizialmente vennero chiamati “Battuti” o “Flagellanti”?<br />

Sorte in tempi <strong>di</strong> intenso fervore religioso e <strong>di</strong> spiccata tendenza<br />

all’associazione e al mutuo soccorso, (secolo che vide intense figure mistiche<br />

quali San Francesco d’Assisi, San Domenico, Bonaventura da Bagnoregio) le<br />

confraternite perseguirono sempre questo duplice scopo: religioso e<br />

mutualistico e la loro vita costituisce una parte importante della storia<br />

religiosa, civile e sociale <strong>di</strong> Genova e della Liguria.<br />

Secondo il parere <strong>di</strong> eminenti stu<strong>di</strong>osi e storici i benefici apportati al<br />

popolo dalle confraternite italiane sono incalcolabili e sarebbe opportuno<br />

stu<strong>di</strong>are ed approfon<strong>di</strong>re gli stu<strong>di</strong> e le ricerche nei confronti delle confraternite<br />

che al momento sono piuttosto scarsi e lacunosi.<br />

Il movimento dei Flagellanti o dei Battuti ebbe inizio a Perugia verso il<br />

1234, sotto la sollecitazione <strong>di</strong> Raniero Fasani, promotore e capo del<br />

movimento dei flagellanti a Perugia che <strong>di</strong>ede vita ad una improvvisa forma<br />

<strong>di</strong> devozione sconosciuta al mondo che si propagò prima a Perugia, poi a<br />

Roma e poi in tutta Italia.<br />

Le cronache dell’epoca ci narrano che era così intensamente avvertito il<br />

timor <strong>di</strong> Dio che nobili e plebei, vecchi, giovani e bambini se ne andavano in<br />

processione per le strade delle città, ciascuno aveva in mano un flagello <strong>di</strong><br />

cuoio e si flagellavano sulle spalle a sangue e piangendo imploravano con un<br />

canto lamentoso la misericor<strong>di</strong>a del Signore e l’aiuto della Madre <strong>di</strong> Dio<br />

affinché si degnasse <strong>di</strong> perdonare anche loro che riconoscevano le proprie<br />

iniquità.<br />

Fu un movimento imponente che dopo molte tappe giunse anche a<br />

Genova nel 1261 e ce ne fornisce una precisa e dettagliata ricostruzione Jacopo<br />

da Varagine (testimone <strong>di</strong> veduta) nella sua Cronaca <strong>di</strong> Genova.<br />

A causa <strong>di</strong> questa autentica marea <strong>di</strong> penitenti, chiamati in seguito<br />

Disciplinanti, si misero in atto in Genova tante lodevoli azioni religiose e<br />

pietose e questo segnò il principio e l’occasione per fondare in Genova e<br />

82


successivamente nel resto della Liguria, “Le Casaccie”, ossia gli oratori, de<strong>di</strong>te<br />

alle sette opere <strong>di</strong> misericor<strong>di</strong>a 2 . Un grande risveglio delle confraternite si ebbe<br />

nel secolo XV che perciò fu chiamato il secolo delle confraternite.<br />

Primo a suscitarlo fu il celebre movimento penitenziale dei Bianchi<br />

avvenuto nell’anno 1399.<br />

Venuti dalla Provenza, i Bianchi passarono da Tortona, Gavi, Voltaggio e<br />

tramite la val Polcevera si portarono a Genova e gradualmente anche nei paesi<br />

rivieraschi.<br />

In seguito a questo movimento sorsero molte confraternite dei Bianchi,<br />

mentre altre dei Disciplinanti venivano riformate.<br />

Il movimento aveva come scopo principale la preghiera ed il culto verso il<br />

Signore Id<strong>di</strong>o, la Vergine Maria ed i Santi, svolgeva anche attività <strong>di</strong> pietà e<br />

misericor<strong>di</strong>a.<br />

Al contrario dei Battuti, i Bianchi non si flagellavano ma davano vita a<br />

processioni a cui partecipavano con viva devozione.<br />

Poco alla volta i due movimenti (dei Battuti e dei Bianchi) si fusero dando<br />

vita ai Disciplinanti dei secoli XVIII-XIX e del nostro tempo.<br />

Lo statuto fondamentale per le confraternite, dopo il concilio <strong>di</strong> Trento, fu<br />

emanato a Milano nel 1573 dal car<strong>di</strong>nale Carlo Borromeo e con aggiunte e<br />

mo<strong>di</strong>fiche è giunto fino a noi.<br />

La scelta penitenziale dei Disciplinanti o Disciplinati, costituisce un<br />

momento importante nella storia della chiesa.<br />

Infatti la scelta della <strong>di</strong>sciplina non era più come nel mondo monastico “un<br />

atto <strong>di</strong> amore che si esprimeva nell’ambito della solidarietà reale dei cristiani nella<br />

comunità ecclesiale”, ma è vista nel suo in<strong>di</strong>viduale aspetto <strong>di</strong> espiazione entro<br />

lo spazio della vita <strong>di</strong> ogni giorno, (casa, strada, piazza) con una forte valenza<br />

religioso-sociale.<br />

Gli oratori costituivano la sede <strong>di</strong> ogni confraternita dove i confratelli si<br />

radunavano in modo particolare ma non solo per pregare e svolgere le altre<br />

opere varie <strong>di</strong> culto. In particolare citiamo le Lau<strong>di</strong>, ovvero inni e lo<strong>di</strong> spesso<br />

improvvisati, rivolti a Dio, alla Vergine, ai Santi 3 .<br />

Lau<strong>di</strong> che dopo essere state per molte volte ripetute a memoria nelle<br />

processioni, venivano poi raccolte in libri detti Laudari. Le processioni erano<br />

funzioni (in origine) <strong>di</strong> grande devozione e penitenza; si tenevano quelle per<br />

2 FARRIS 2004.<br />

3 ROVERA, OLIVERO 2001.<br />

83


la Settimana Santa, per la festa della Santa Croce, del Corpus Domini, nonché<br />

per il Santo Patrono della confraternita e per altre festività.<br />

Ma col passare del tempo e soprattutto con l’inizio del secolo XVIII, si<br />

introdussero una grande serie <strong>di</strong> ricchi costumi, Crocifissi e colossali Casse <strong>di</strong><br />

Santi, con grande sfoggio <strong>di</strong> lumi, musiche… e perdettero quell’aspetto<br />

modesto e devoto <strong>di</strong>venendo spettacoli <strong>di</strong> carattere più mondano che<br />

religioso.<br />

Ma le confraternite ebbero molte benemerenze soprattutto in campo<br />

sociale, caritativo ed assistenziale.<br />

Assistevano i condannati a morte e prestavano assistenza ai carcerati.<br />

Si occupavano dell’accompagnamento dei defunti sia confratelli sia<br />

estranei abbandonati.<br />

Svolgevano opere <strong>di</strong> carità e sostegno verso i bisognosi.<br />

Fondavano e gestivano ospedali.<br />

Fondavano e gestivano anche i lazzaretti e cioè in tempi <strong>di</strong> epidemie le<br />

confraternite si premuravano <strong>di</strong> ricoverare nei loro oratori i poveri colpiti dalla<br />

peste.<br />

Istituirono e <strong>di</strong>edero impulso alle scuole <strong>di</strong> carità presso le quali erano<br />

in<strong>di</strong>rizzati i ragazzi provenienti da famiglie povere ed in<strong>di</strong>genti.<br />

In <strong>di</strong>versi casi <strong>di</strong>edero vita ai Monti <strong>di</strong> Pietà, istituto <strong>di</strong> massima<br />

importanza per il finanziamento dell’industria popolare. Cito ad esempio la<br />

casaccia <strong>di</strong> Sant’Erasmo <strong>di</strong> Voltri (1607) e quella <strong>di</strong> N.S. Assunta in Gavi,<br />

mentre nella stessa Gavi, l’oratorio dei Santissimi Giacomo e Filippo,<br />

anticipava gratuitamente ai conta<strong>di</strong>ni il frumento occorrente per la semina 4 .<br />

Ma parlando <strong>di</strong> confraternite non possiamo non soffermarci sull’arte sacra,<br />

promossa in tutte le sue manifestazioni, della pittura, scultura, architettura ed<br />

arti minori.<br />

Le opere scultoree più antiche ed anteriori al secolo XV, data la fragilità del<br />

legno e la poca cura nel conservarle sono ormai scomparse.<br />

Ma dalla fine del 1500 sono conservate nei vari oratori liguri opere <strong>di</strong><br />

valenti scultori, quali: Santacroce, Poggio, Bissoni, Torre, Maragliano ed altri<br />

che ci presentano capolavori <strong>di</strong> Crocifissi, Casse o gruppi <strong>di</strong> Santi per<br />

processioni o statue isolate per chiese ed oratori.<br />

Molte sono anche le opere pittoriche eseguite da valenti artisti e presenti<br />

in tanti oratori in forma <strong>di</strong> quadri, pale d’altare o polittici 5 .<br />

4 GALBIATI 1948.<br />

5 GROSSO 1939.<br />

84


Varazze e le sue confraternite maggiori attraverso la documentazione d’archivio<br />

Varazze è un’importante centro confraternale e vi sono presenti tutt’ora ben<br />

nove confraternite in attività.<br />

Tre sono ubicate nel centro citta<strong>di</strong>no, ovvero sul litorale, tre in collina e tre<br />

nelle frazioni dell’entroterra.<br />

La nostra trattazione verterà sulle prime sei, ovvero le tre del centro che<br />

sono anche le più antiche e le tre interme<strong>di</strong>e collinari che hanno sempre svolto<br />

un ruolo <strong>di</strong> supplenza verso le rispettive parrocchie.<br />

Il torrente Teiro che nasce dall’appennino, sotto il monte Beigua,<br />

scendendo verso il mare <strong>di</strong>vide a metà l’abitato costiero <strong>di</strong> Varazze; verso<br />

ponente si trova il borgo, anticamente interamente murato, mentre a levante<br />

è situato il sobborgo del Solaro.<br />

Dentro al Borgo si trovano ubicate le confraternite con i rispettivi oratori<br />

<strong>di</strong> San Giuseppe, già intitolata a Santa Maria <strong>di</strong> Betlhem e a nord-est, verso il<br />

torrente Teiro N.S. Assunta, già Santa Maria <strong>di</strong> Castello.<br />

Nel sobborgo <strong>di</strong> levante, al Solaro è ubicato l’oratorio <strong>di</strong> San Bartolomeo<br />

che è il più antico fra i tre.<br />

Non abbiamo documenti <strong>di</strong>retti per provarlo ma in una <strong>di</strong>sputa avvenuta<br />

nel 1592 fra le tre confraternite relativa alle precedenze da rispettare nelle<br />

processioni, i tre priori convocati dal vescovo per <strong>di</strong>rimere la questione, si<br />

trovano concor<strong>di</strong> sul fatto che “la casaccia <strong>di</strong> San Bartolomeo sia la più antica”.<br />

San Bartolomeo lo troviamo nominato in documenti nel 1495 per un<br />

legato a favore dei <strong>di</strong>sciplinati <strong>di</strong> San Bartolomeo così pure nel 1497 per altri<br />

due legati.<br />

Ma il primo documento nel quale compare la confraternita è emesso dal<br />

senato genovese ed è datato 1411; riteniamo comunque che l’anno <strong>di</strong> erezione<br />

possa essere compreso nei primi decenni del XIV secolo (1300-1320).<br />

In quel tempo svolgeva anche compiti <strong>di</strong> assistenza e beneficenza per gli<br />

abitanti in<strong>di</strong>genti del Solaro nonché anche un’intensa vita religiosa.<br />

Inoltre gestiva con le altre due confraternite del Borgo l’ospedale della città<br />

sotto il titolo <strong>di</strong> Santa Maria in Betlhem 6 .<br />

Alcuni sostenevano che detto oratorio sia stato fondato ed amministrato<br />

dai pescatori <strong>di</strong> Varazze che proprio al Solaro avevano il loro maggior nucleo;<br />

ciò non corrisponde al vero perché in passato e fino agli ultimi decenni del<br />

6 ASDS, Fald. Parrocchia Sant’Ambrogio <strong>di</strong> Varazze, fasc. Confraternita San Bartolomeo.<br />

85


1700 gli stessi avevano una loro piccola cappella campestre posta a circa metri<br />

200 verso levante, de<strong>di</strong>cata a Sant’Andrea dei pescatori che a partire dalla<br />

seconda metà del 1700 appare in progressivo graduale degrado.<br />

I pescatori pertanto lentamente aderiscono alla vicina confraternita <strong>di</strong> San<br />

Bartolomeo la quale, nei casi <strong>di</strong> necessità, cerca in tutti i mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> aiutarli.<br />

Questo avviene in modo particolare nell’anno 1794, quando a seguito <strong>di</strong><br />

una prolungata e magra stagione <strong>di</strong> pesca, i superiori <strong>di</strong> detta confraternita,<br />

il priore, il padre dei novizi e gli ufficiali del venerando oratorio <strong>di</strong> San<br />

Bartolomeo decidono <strong>di</strong> vendere le quattro branche d’argento della cassa <strong>di</strong><br />

San Bartolomeo “per poter col ricavato soccorrere” nelle critiche circostanze alle<br />

in<strong>di</strong>genze dei poveri pescatori del detto luogo <strong>di</strong> Varazze 7 .<br />

Oltre al culto, alla preghiera alle opere caritatevoli e <strong>di</strong> misericor<strong>di</strong>a, i<br />

confratelli <strong>di</strong> San Bartolomeo hanno rivolto anche particolare attenzione<br />

all’arte cristiana, dotando il proprio oratorio <strong>di</strong> opere pregevoli.<br />

Cito il polittico d’altare <strong>di</strong> Teramo Piaggio da Zoagli del 1535, raffigurante<br />

San Bartolomeo e altri Santi.<br />

L’altare in marmo policromo del 1600.<br />

L’imponente Cristo processionale realizzato nel 1984 da Arno Moroder che<br />

fa bella figura nelle varie processioni <strong>di</strong>ocesane.<br />

Ma ancora più importante è la cassa lignea processionale opera <strong>di</strong> Anton<br />

Maria Maragliano, raffigurante il martirio <strong>di</strong> San Bartolomeo ed acquistata<br />

verso il 1818 dall’oratorio cessato <strong>di</strong> San Bartolomeo alle fucine in Genova 8 .<br />

La confraternita <strong>di</strong> San Giuseppe ha il proprio oratorio attiguo alla chiesa<br />

parrocchiale <strong>di</strong> Sant’Ambrogio. Eretto probabilmente verso la metà del 1300,<br />

in origine era costituito da una confraternita femminile intitolata a Santa Maria<br />

<strong>di</strong> Betlhem.<br />

Dato che nella vicina parrocchia si erano inse<strong>di</strong>ati i monaci ospedalieri<br />

Betlhemitani in un rapporto che durerà dal 1139 al 1424, è molto probabile<br />

che questa confraternita abbia contribuito con questi monaci alla fondazione<br />

e alla gestione iniziale del primo ospedale citta<strong>di</strong>no entro il borgo murato,<br />

de<strong>di</strong>cato a Santa Maria in Betlhem.<br />

All’inizio del 1600 vi si affianca l’intitolazione <strong>di</strong> San Giuseppe che verso<br />

la metà del 1700 avrà il sopravvento sostituendosi alla prima.<br />

7 ARRI 2006.<br />

8 DELFINO 1996.<br />

86


Vi aderivano i maestri d’ascia, calafati, carpentieri e falegnami che<br />

costituivano la più importante corporazione citta<strong>di</strong>na <strong>di</strong> arti e mestieri.<br />

Questa confraternita, ancora nel 1790, possedeva e prestava i vasi per<br />

varare i bastimenti nuovi che si fabbricavano sulla spiaggia <strong>di</strong> Varazze; questo<br />

rappresentava una fonte <strong>di</strong> entrata <strong>di</strong>retta per il suo sostentamento.<br />

In questi ultimi decenni al titolo <strong>di</strong> San Giuseppe si è affiancato anche<br />

quello della Santissima Trinità, confraternita che era stata ospitata in passato<br />

in questo oratorio. Nell’oratorio sono conservate numerose opere d’arte<br />

nonché vari arre<strong>di</strong> sacri <strong>di</strong> notevole valore. Vi si possono ammirare otto tele<br />

raffiguranti la vita <strong>di</strong> San Giuseppe, quattro delle quali sono opera del pittore<br />

genovese Giovanni Raffaele Badaracco.<br />

Nel presbiterio sono collocate in due nicchie, una pregevole statua della<br />

Madonna con Bambino e <strong>di</strong> San Giuseppe. Vi è un magnifico crocifisso<br />

processionale e la cassa lignea processionale della Sacra Famiglia, attribuite<br />

queste due opere ad Anton Maria Maragliano.<br />

Di particolare interesse anche l’organo a canne costruito da Nicola Bellosio<br />

nel 1778 e riformato da Giovanni Mentasti nel 1877 9 .<br />

La confraternita <strong>di</strong> Nostra Signora Assunta, un tempo intitolata a Santa<br />

Maria <strong>di</strong> Castello, sorge addossata alle mura me<strong>di</strong>oevali, lato nord, alla base<br />

della collina <strong>di</strong> Tasca.<br />

L’oratorio è sovrastato dai resti del castello me<strong>di</strong>evale e della vecchia chiesa<br />

dei marchesi Aleramici, dalla quale potrebbe avere ere<strong>di</strong>tato il titolo, (Santa<br />

Maria <strong>di</strong> Castello). È probabile che la confraternita sia stata eretta verso la<br />

seconda metà del 1300; in origine e fino agli inizi del 1600 l’oratorio era più<br />

angusto dell’attuale ed orientato in senso inverso, ovvero la facciata era<br />

ubicata dove attualmente si trova l’abside.<br />

In passato i confratelli iscritti appartenevano in gran parte al mondo rurale<br />

(conta<strong>di</strong>ni), poi vi erano naviganti e commercianti.<br />

All’interno dell’oratorio è conservata una cassa lignea processionale<br />

dell’Assunta <strong>di</strong> scuola del Maragliano, un organo Serassi del 1827 e due<br />

crocifissi processionali; inoltre <strong>di</strong>verse tele sono poste lungo le pareti databili<br />

al XVIII-XIX secolo 10 .<br />

9 ASDS, Fald. Parrocchia Sant’Ambrogio <strong>di</strong> Varazze, fasc. Confraternita San Giuseppe.<br />

10 ASDS, Fald. Parrocchia Sant’Ambrogio <strong>di</strong> Varazze, fasc. Confraternita N.S. Assunta.<br />

87


In queste tre confraternite citta<strong>di</strong>ne erano vive ed operanti varie forme <strong>di</strong><br />

devozione e culto.<br />

Tutto ciò veniva esternato me<strong>di</strong>ante numerose e fastose cerimonie: come<br />

quella della Settimana Santa, <strong>di</strong> Santa Caterina da Siena patrona della città,<br />

per il Beato Giacomo (Jacopo da Varagine), nonché per le feste dei Santi titolari<br />

delle tre confraternite.<br />

Le altre confraternite poste a mezza costa sopra Varazze, prese da noi<br />

in esame, sono, partendo da ponente verso levante, San Rocco <strong>di</strong><br />

Castagnabuona, San Giovanni Battista <strong>di</strong> Cantalupo e San Donato al<br />

Parasio.<br />

Queste sono confraternite riconosciute ufficialmente in perio<strong>di</strong> più recenti;<br />

San Rocco nel 1907, San Giovanni Battista nel 1794 e San Donato nel 2003.<br />

Ma non bisogna pensare che prima <strong>di</strong> tali date nelle varie zone vi fosse<br />

una totale assenza <strong>di</strong> vita religiosa e confraternale; in realtà esisteva un nucleo<br />

a volte anche consistente <strong>di</strong> fedeli che svolgeva <strong>di</strong>versi compiti ed<br />

adempimenti tipici delle confraternite.<br />

A Castagnabuona, la cappella campestre <strong>di</strong> San Rocco che in seguito<br />

<strong>di</strong>venterà l’oratorio della omonima confraternita, fu e<strong>di</strong>ficata probabilmente<br />

verso la fine del 1400 ed un gruppo organizzato <strong>di</strong> fedeli del posto si<br />

adoperava per mantenerla officiata da un cappellano, faceva svolgere le<br />

preghiere e le forme <strong>di</strong> devozione tipiche delle confraternite, si occupava del<br />

catechismo per i bambini e giovani, <strong>di</strong> gestire i legati ed i lasciti per l’oratorio<br />

con oculatezza.<br />

Ma l’impegno più gravoso e devastante è stato quando si è verificata<br />

l’epidemia <strong>di</strong> peste del 1657 che colpì duramente anche il genovesato.<br />

In soli quattro mesi perirono nella frazione ben 125 persone, delle quali 47<br />

capifamiglia.<br />

Fu un’esperienza veramente terribile condotta con estremo impegno dai<br />

fedeli organizzati i quali assistevano gli ammalati, raccoglievano i morti<br />

seppellendoli parte nella cappella <strong>di</strong> San Rocco e parte in campi vicini.<br />

Furono aiutati in questo gravoso e drammatico impegno <strong>di</strong> umana<br />

misericor<strong>di</strong>a da alcuni frati francescani del convento <strong>di</strong> Varazze i quali<br />

perirono anche loro nell’assistere i contagiati.<br />

Dopo questa dura esperienza la vita lentamente riprese e si giunse<br />

finalmente al 1907 quando il vescovo <strong>di</strong>ocesano approvò il regolamento della<br />

confraternita <strong>di</strong> San Rocco che entrò a far parte a pieno titolo delle<br />

confraternite varazzine.<br />

88


L’oratorio attuale è stato totalmente rie<strong>di</strong>ficato attorno al 1960 in stile<br />

romanico; al suo interno sono conservati: la cassa lignea processionale <strong>di</strong> San<br />

Rocco ed il Cristo processionale 11 .<br />

La confraternita <strong>di</strong> San Giovanni Battista <strong>di</strong> Cantalupo un tempo era<br />

anche de<strong>di</strong>cata a Santa Caterina d’Alessandria (delle ruote).<br />

L’oratorio viene citato in documenti dalla fine del 1500 in quanto in<br />

precedenza esisteva più in basso, nella zona detta “le mole”, oggigiorno dei<br />

“leoni”, dove transitava l’antica strada altome<strong>di</strong>oevale, una cappella antica<br />

intitolata a Santa Maria delle mole.<br />

Anche per Cantalupo, come per la vicina Castagnabuona, gli abitanti si<br />

organizzarono per ottenere un cappellano per le loro esigenze <strong>di</strong> culto e nel<br />

1794 videro confermati i capitoli della loro confraternita dalla Serenissima<br />

Repubblica <strong>di</strong> Genova e quin<strong>di</strong> la loro confraternita <strong>di</strong> San Giovanni Battista<br />

venne riconosciuta anche sotto il profilo giuri<strong>di</strong>co.<br />

Nei capitoli erano contenuti tutti gli argomenti che interessavano la<br />

confraternita: la buona qualità che deve possedere ogni confratello – le norme<br />

per l’iscrizione – come vestire durante le funzioni – le decime da pagarsi – il<br />

suffragio dei defunti – delle opere <strong>di</strong> pietà da compiersi – degli obblighi del<br />

cappellano, del priore e degli altri confratelli che ricoprivano cariche.<br />

Il culto dei defunti era tenuto in grande considerazione in quanto i<br />

confratelli e le consorelle dovevano recarsi alla casa del confratello defunto<br />

per la recita rispettivamente dell’Ufficio e del Rosario.<br />

Inoltre la confraternita era impegnata a svolgere nel corso dell’anno una<br />

serie <strong>di</strong> adempimenti religiosi: festa della Madonna delle Grazie – le tre<br />

processioni delle rogazioni – festa <strong>di</strong> San Giovanni Battista – recita del Rosario<br />

durante il mese <strong>di</strong> maggio – ottavario dei defunti – novena del Santo Natale…<br />

Il periodo più triste e drammatico per la confraternita e per gli abitanti<br />

della frazione <strong>di</strong> Cantalupo si è avuto a partire dalla prima metà del 1800 con<br />

l’esplosione <strong>di</strong> un contagioso focolaio <strong>di</strong> lebbra che colpì in particolare gli<br />

abitanti della frazione.<br />

La confraternita si trovò in prima linea per soccorrere ed assistere come<br />

era possibile i propri associati colpiti ed il resto della popolazione.<br />

Dopo questa terribile e lunga esperienza, nel 1907, dalla confraternita prese<br />

vita la lodevole iniziativa <strong>di</strong> costituire la “Società Operaia Cattolica <strong>di</strong><br />

11 ASDS, Fald. Parrocchia San Nazario e Celso <strong>di</strong> Varazze, fasc. Confraternita San Rocco <strong>di</strong><br />

Castagnabuona.<br />

89


Cantalupo” che contribuì non poco ad aiutare concretamente la popolazione<br />

locale. Nell’oratorio, restaurato <strong>di</strong> recente, vi si trovano un Crocifisso<br />

processionale acquistato nel 1851, oltre la statua processionale <strong>di</strong> San Giovanni<br />

Battista 12 .<br />

Lungo il corso del torrente Teiro su <strong>di</strong> una collinetta a poco più <strong>di</strong> un<br />

chilometro dal mare si trova la chiesa <strong>di</strong> San Donato, sede della omonima<br />

confraternita.<br />

L’e<strong>di</strong>ficio religioso si trova inserito nei resti del castrum romano-bizantino<br />

e rappresenta la prima chiesa nonché prima parrocchia <strong>di</strong> Varazze.<br />

Già dalla metà del 1500, quando la chiesa aveva perduto il titolo e la<br />

funzione <strong>di</strong> parrocchia, un gruppo <strong>di</strong> laici si occupava delle questioni <strong>di</strong> culto<br />

e della manutenzione <strong>di</strong> questa chiesa la quale ha sempre costituito memoria<br />

storica per tutti i varazzini.<br />

All’inizio del 1600 la corporazione dei paperai o cartai che rappresentava<br />

le numerose cartiere a quel tempo presenti lungo il corso del Torrente Teiro,<br />

e<strong>di</strong>ficò un proprio altare laterale de<strong>di</strong>candolo alla loro patrona Santa Lucia.<br />

Dalla metà del secolo XVII nella chiesa <strong>di</strong> San Donato (un tempo intitolata<br />

a San Michele) vi si svolgevano tutte le funzioni religiose tipiche delle<br />

confraternite: Santa Messa festiva, mese Mariano, solennità del Santo patrono,<br />

novena dei defunti, catechismo per i bambini.<br />

Agli inizi del 1900 si formò la “compagnia dei morti <strong>di</strong> San Donato” per le<br />

onoranze e l’accompagnamento dei defunti.<br />

All’interno della chiesa <strong>di</strong> San Donato è conservata la statua lignea<br />

processionale <strong>di</strong> San Donato scolpita da Rebagliati Senior, inoltre due pale<br />

d’altare poste ai lati dell’altare maggiore raffiguranti San Giovanni Gualberto<br />

con Santa Lucia, <strong>di</strong>pinto <strong>di</strong> Artisi Luigi e La Madonna della Misericor<strong>di</strong>a con<br />

il Beato Antonio Botta, opera del savonese Agostino Ratti.<br />

Pregevole è il recente polittico collocato nell’abside <strong>di</strong>etro l’altare maggiore,<br />

opera dell’artista varazzino Bruno Ghibaudo, raffigurante i Santi Michele,<br />

Donato ed il Beato Jacopo da Varagine.<br />

Nell’altare laterale <strong>di</strong> ponente sono conservate in apposita urna le reliquie<br />

<strong>di</strong> San Donato (vescovo <strong>di</strong> Arezzo e martire) e lungo le pareti interne sono<br />

esposti i pregevoli quadri della “Via Crucis”, realizzata dal pittore ed incisore<br />

varazzino Michele Spotorno.<br />

12 ASDS, Fald. Parrocchia Sant’Ambrogio <strong>di</strong> Varazze, fasc. Confraternita San Giovanni Battista<br />

<strong>di</strong> Cantalupo.<br />

90


Oggigiorno un gruppo <strong>di</strong> consorelle è impegnato per far visita alle persone<br />

anziane sole od inferme del circondario e portate loro un piccolo aiuto<br />

materiale unitamente ad una parola <strong>di</strong> conforto e <strong>di</strong> carità cristiana 13 .<br />

Nel corso <strong>di</strong> questa relazione abbiamo potuto notare lo spirito <strong>di</strong> carità e<br />

<strong>di</strong> devozione nonché scoprire le ra<strong>di</strong>ci delle confraternite – la liturgia loro<br />

propria oltre quella tra<strong>di</strong>zionale la presenza responsabile dei laici nella<br />

chiesa – gli oratori non solo come luoghi <strong>di</strong> culto e <strong>di</strong> preghiera – l’impegno<br />

<strong>di</strong> vita oltre la devozione popolare – lo scopo principale della loro esistenza e<br />

cioè la preghiera, carità e misericor<strong>di</strong>a.<br />

Ma non posso concludere senza sottolineare con forza il grande<br />

patrimonio <strong>di</strong> arte e cultura che ci hanno trasmesso.<br />

Proprio per questi importanti valori, gli oratori, vanno aiutati, sostenuti,<br />

valorizzati, conosciuti efficacemente onde non vada <strong>di</strong>sperso un patrimonio<br />

notevole <strong>di</strong> arte, fede e cultura che ci proviene da lontano e deve ancora avere<br />

un suo futuro.<br />

Le confraternite hanno un senso ancora oggi e costituiscono una presenza<br />

responsabile ed attiva dei laici nella chiesa.<br />

13 Alcuni documenti inerenti questa chiesa sono stati estratti dall’archivio storico comunale <strong>di</strong><br />

Varazze e dall’archivio storico <strong>di</strong>ocesano <strong>di</strong> <strong>Savona</strong>. Inoltre per molte notizie concernenti<br />

quest’ultima confraternita e le altre confraternite varazzine, l’autore ha personalmente<br />

consultato l’importante archivio storico dell’associazione culturale San Donato <strong>di</strong> Varazze.<br />

91


Sigle<br />

ASDS = Archivio Storico Diocesano <strong>di</strong> <strong>Savona</strong>-<strong>Noli</strong>.<br />

Bibliografia<br />

ARRI E.R. 2006, San Bartolomeo ed i pescatori del Solaro, volantino per la sagra <strong>di</strong> San<br />

Donato, e<strong>di</strong>zione n. 33.<br />

CIPPOTTI P., BARTOCCETTI V. 1950, Enciclope<strong>di</strong>a Cattolica, vol. IV, Firenze.<br />

DELFINO B.T. 1996, La confraternita e l’oratorio <strong>di</strong> San Bartolomeo <strong>di</strong> Varazze, in<br />

Quaderni della storia <strong>di</strong> Varazze, vol. 3, Varazze.<br />

FARRIS G. 2004, I <strong>di</strong>sciplinati a <strong>Savona</strong> e la processione del Venerdì Santo, <strong>Savona</strong>.<br />

GALBIATI MONS. G. 1948, Le tre confraternite <strong>di</strong> Gavi Ligure, Genova.<br />

GROSSO O. 1939, Le casaccie genovesi del Seicento, Genova.<br />

ROVERA G., OLIVERO L. 2001, La Crusà, una storia <strong>di</strong> arte e fede a Dronero dal Me<strong>di</strong>oevo<br />

ai giorni nostri, Cuneo.<br />

92


«Inimici» o «adherenti»? I rapporti sociali ed economici<br />

fra finalesi e genovesi nel XVII secolo<br />

Paolo Calcagno<br />

Su or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> Filippo III, nel gennaio 1602 il Governatore <strong>di</strong> Milano conte <strong>di</strong><br />

Fuentes mette in marcia verso il Marchesato del Finale un contingente <strong>di</strong><br />

soldati 1 , che in pochi giorni – e con l’aiuto <strong>di</strong> un tercio <strong>di</strong> fanteria sopraggiunto<br />

dall’Alessandrino 2 – caccia il debole presi<strong>di</strong>o imperiale <strong>di</strong> stanza nel feudo da<br />

poco più <strong>di</strong> trent’anni, sancendo <strong>di</strong> fatto il passaggio del Finale nelle mani<br />

della Spagna 3 .<br />

Si conclude così una fase travagliata della storia finalese, segnata dalle due<br />

rivolte contro i vecchi feudatari Del Carretto 4 , e nel contempo inizia una lunga<br />

dominazione destinata a incidere profondamente sul tessuto socio-economico<br />

e istituzionale <strong>di</strong> questo “microstato” 5 . «L’accanimento spagnolo nel volere a<br />

tutti i costi Finale [è] dettato da considerazioni prevalentemente strategiche» 6 :<br />

scopo dei nuovi governanti è farne la «puerta a la mar» del Ducato milanese 7 ,<br />

1 In tutto 8 compagnie. Il resoconto dell’operazione nella lettera spe<strong>di</strong>ta dal conte <strong>di</strong> Fuentes<br />

al re il 22 gennaio. (Archivio <strong>di</strong> Stato <strong>di</strong> Milano, Feu<strong>di</strong> Imperiali, 280).<br />

2 I rinforzi sono mobilitati dal Governatore milanese su istanza del comandante del<br />

contingente don Pedro de Toledo y Anaya – il futuro primo castellano spagnolo <strong>di</strong> Finale,<br />

che dopo essere entrato nel Marchesato senza colpo ferire (2 gennaio), non riesce sulle prime<br />

ad ottenere la resa delle fortezze (sulla vicenda si veda MUSSO 2007, pp. 173-205, specie pp.<br />

174-185).<br />

3 Già qualche anno prima (1598) il marchese Sforza Andrea Del Carretto aveva venduto il<br />

Marchesato alla Spagna in cambio del titolo <strong>di</strong> principe e <strong>di</strong> una ren<strong>di</strong>ta vitalizia nel Regno <strong>di</strong><br />

Napoli, ma la transazione non era stata ratificata dall’imperatore Rodolfo d’Asburgo. Per quel<br />

che concerne l’acquisto del Finale da parte della Spagna e le controversie che lo accompagnano<br />

si vedano CANO DE GARDOQUI 1955 e GASPARINI 1958. Sulle ragioni che spingono Madrid<br />

all’acquisto rinvio alle considerazioni <strong>di</strong> PISTARINO 1991.<br />

4 Su queste vicende rinvio a MUSSO 2009.<br />

5 Sull’utilizzo <strong>di</strong> questa categoria ve<strong>di</strong> RAVIOLA 2008.<br />

6<br />

MUSSO 1997, p. 139.<br />

7 Per ulteriori approfon<strong>di</strong>menti ve<strong>di</strong> CALCAGNO 2011.<br />

93


cioè un comodo corridoio per i passaggi <strong>di</strong> truppe destinate a combattere sui<br />

fronti europei, tappa del «camino español» che collega la Catalogna alle<br />

Fiandre 8 . In sostanza, Finale rappresenta una significativa eccezione nel<br />

panorama italiano: infatti i numerosi feu<strong>di</strong> imperiali della Penisola, pur<br />

avendo talora instaurato proficui legami e fruttuose relazioni con gli Stati<br />

vicini, sono in genere rimasti ai margini della vita politica 9 ; mentre al contrario<br />

il Marchesato, dopo la definitiva occupazione del 1602, è <strong>di</strong>ventato una pe<strong>di</strong>na<br />

strategicamente importante del «sistema imperiale» facente capo a Madrid 10 .<br />

La <strong>di</strong>scesa delle truppe spagnole suscita però da subito un irrigi<strong>di</strong>mento<br />

dei rapporti fra gli Asburgo e il loro miglior alleato italiano, la Repubblica <strong>di</strong><br />

Genova, che da parte sua aspira da tempo a mettere le mani sul feudo finalese<br />

in quanto fasti<strong>di</strong>osa enclave nel mezzo della Riviera <strong>di</strong> ponente e pericoloso<br />

centro <strong>di</strong> contrabbando. I sospetti maggiori sono legati alle voci insistenti circa<br />

l’intenzione degli spagnoli <strong>di</strong> costruire un porto, che sembra materializzarsi<br />

fra il 1614 e il 1619; ma in realtà il progetto resta sempre sulla carta, sebbene<br />

Milano e Madrid se ne continuino a servire durante tutto il secolo XVII per<br />

fare pressioni sul governo genovese, la cui fedeltà alla Spagna non è<br />

sal<strong>di</strong>ssima 11 . I veri problemi restano quelli legati al rifornimento <strong>di</strong> sale alla<br />

stapola locale (cioè il magazzino dove si conserva il sale per la ven<strong>di</strong>ta al<br />

dettaglio), che i genovesi vorrebbero amministrare anche per controllare le<br />

esportazioni verso l’interno piemontese e monferrino, e al pagamento delle<br />

gabelle riscosse da San Giorgio, che sono estese a tutto il «<strong>di</strong>stretto» genovese<br />

da Corvo a Monaco e dunque si vorrebbero applicare anche alle merci in<br />

entrata e in uscita dal Marchesato. Genova basa le sue pretese sul presunto<br />

possesso del mare «Ligustico», conquistato con le vittorie me<strong>di</strong>evali sui<br />

saraceni 12 e riconosciuto da una serie <strong>di</strong> <strong>di</strong>plomi imperiali, e sulle convenzioni<br />

stipulate a partire dal XIII secolo con i marchesi del Finale; mentre gli spagnoli<br />

contestano il fondamento giuri<strong>di</strong>co delle riven<strong>di</strong>cazioni della Repubblica, e<br />

ribattono che in ogni caso è tutta acqua passata, dato che ora il Marchesato è<br />

roba loro. La questione del Finale, perciò, innesca fra i due alleati una lunga<br />

controversia, condotta principalmente a suon <strong>di</strong> documenti (vecchi privilegi,<br />

attestazioni, pareri, decreti), che coinvolge magistrature, consigli e<br />

8 Il riferimento d’obbligo è all’ormai classico lavoro <strong>di</strong> PARKER 1972.<br />

9<br />

CREMONINI, MUSSO 2010.<br />

10 Sulla definizione della Monarchia spagnola in termini <strong>di</strong> sistema imperiale si vedano MUSI<br />

1994 e GALASSO 1995.<br />

11 Sulla questione del porto mi si permetta <strong>di</strong> rinviare a CALCAGNO 2009.<br />

12<br />

SAVELLI 1973, passim.<br />

94


ambasciatori, i quali a loro volta si avvalgono della consulenza <strong>di</strong> giuristi e dei<br />

servigi <strong>di</strong> un’ampia rete <strong>di</strong> spie e confidenti 13 .<br />

Insomma, per via del possesso del Marchesato e dei <strong>di</strong>ritti su <strong>di</strong> esso i<br />

rapporti fra la Serenissima e la Monarchia – già tesi per altri motivi 14 –nel<br />

corso del Seicento si raffreddano ulteriormente. Bisogna però <strong>di</strong>stinguere fra<br />

la condotta ufficiale del governo <strong>di</strong> uno Stato sovrano come la Repubblica <strong>di</strong><br />

Genova, deciso a tutelare i propri interessi politici e fiscali, e il comportamento<br />

dei genovesi in quanto privati citta<strong>di</strong>ni. Scopo <strong>di</strong> questo contributo è proprio<br />

quello <strong>di</strong> analizzare i rapporti fra genovesi e finalesi durante gli anni della<br />

dominazione spagnola (là dove per genovesi si intendono sia gli abitanti della<br />

città <strong>di</strong> Genova che quelli del suo «Dominio <strong>di</strong> terraferma»), mostrando come<br />

a fronte dei patrizi <strong>di</strong> governo che tuonano nelle aule dei Collegi e dei Consigli<br />

contro il comportamento illegale dei «finalini» ci siano anche ricchi mercanti<br />

che finanziano le attività commerciali dei loro più umili “colleghi” del<br />

Marchesato o pagano le spe<strong>di</strong>zioni commerciali dei patroni <strong>di</strong> barca; artigiani,<br />

bottegai, agricoltori che si trasferiscono nel Finale per lavoro; uomini e donne<br />

che semplicemente contraggono matrimonio con partner finalesi.<br />

La storiografia locale ha a lungo tramandato un’immagine molto<br />

schematica e semplicistica del rapporto fra i genovesi e i finalesi, facendo<br />

coincidere l’antagonismo politico che oppone il Marchesato alla Repubblica<br />

<strong>di</strong> San Giorgio con una corrispondente insanabile rivalità che avrebbe<br />

connotato a tutti i livelli sociali i rapporti fra i sud<strong>di</strong>ti della Superba e gli<br />

abitanti del feudo finalese. Da Emanuele Celesia 15 in poi, passando per<br />

Giovanni Andrea Silla e i suoi epigoni, gli storici finalesi hanno continuato a<br />

perpetuare questo luogo comune, che si ritrova anche negli stu<strong>di</strong> più recenti<br />

dei cultori locali. Lo stesso Silla, da molti ancora oggi considerato la voce più<br />

autorevole della storia finalese, ha affermato con forza che la Monarchia<br />

iberica è stata capace nel corso della sua dominazione <strong>di</strong> dare al Finale, e in<br />

particolare alla Marina, «tale benessere che mai più vide l’eguale», mentre<br />

all’inverso i genovesi «procurarono al Marchesato miseria e fame» 16 . Abbiamo<br />

13 Quando don Pedro de Toledo y Anaya relaziona per la prima volta sul progetto del porto <strong>di</strong><br />

Finale (18 ottobre 1603) confessa al Governatore milanese <strong>di</strong> non aver osato appurare con<br />

precisione i costi <strong>di</strong> costruzione «ni hazer mayor <strong>di</strong>ligencia por no escandalizar la Señoria [<strong>di</strong><br />

Genova], que están tan sobre los estu<strong>di</strong>os y tienen cien mill spías para saver lo que se trata de<br />

este particolar» (Archivio Storico del Comune <strong>di</strong> Finale Ligure, [d’ora in avanti ASCF],<br />

Governatori, 1).<br />

14 Una buona sintesi <strong>di</strong> questi temi è quella <strong>di</strong> BITOSSI 2003.<br />

15 CELESIA 1876.<br />

16 SILLA 1921, p. 128<br />

95


quin<strong>di</strong> da un lato un’immagine del governo spagnolo seicentesco che con<br />

«soffio animatore» (altra espressione <strong>di</strong> Silla) avrebbe fatto dello staterello<br />

finalese un paese prospero e felice; e dall’altro un duro giu<strong>di</strong>zio sui genovesi,<br />

gelosi <strong>di</strong> tanta prosperità, i quali avrebbero stu<strong>di</strong>ato tutti i mezzi per ostacolare<br />

le attività dei sud<strong>di</strong>ti del Marchesato. Il quadro è invece molto più complesso,<br />

perché in realtà, se è vero che il Finale – come <strong>di</strong>mostrano le fonti – conosce<br />

nel XVII secolo una notevole fioritura socio-economica, è altrettanto vero che<br />

a tale fioritura − la quale peraltro non coincide in tutto e per tutto con un’età<br />

aurea − un contributo decisivo viene proprio dai sud<strong>di</strong>ti della Repubblica<br />

genovese.<br />

Partiamo dal primo elemento <strong>di</strong> riflessione, quello relativo al governo<br />

spagnolo. Senza dubbio le strategie fiscali dei nuovi dominatori – che ricalcano<br />

per la verità quelle adottate dai marchesi Del Carretto − creano i presupposti<br />

per un vigoroso slancio commerciale, certamente superiore a quello delle<br />

comunità rivierasche del Dominio genovese, gravate da un numero più<br />

elevato <strong>di</strong> dazi e balzelli 17 . I principali cespiti del Marchesato derivano dalle<br />

ren<strong>di</strong>te <strong>di</strong> varie terre demaniali, nonché dai numerosi opifici − mulini da<br />

grano e da olio, cartiere, ferriere, fabbriche <strong>di</strong> polvere da sparo − che versano<br />

alla Camera marchionale, cioè all’erario, una quota per lo sfruttamento<br />

dell’energia idraulica. Tali entrate consentono <strong>di</strong> mantenere la tassazione sui<br />

generi <strong>di</strong> consumo e sugli scambi a livelli abbastanza modesti: si paga una<br />

gabella sulla carne e sul vino, una decima sul pescato nella spiagge <strong>di</strong> Varigotti<br />

e della Marina, un lieve pedaggio <strong>di</strong> 9 denari su ogni balla <strong>di</strong> merce 18 , e dal<br />

1638 viene istituito un dazio riscosso a Carcare e a Calizzano sulla merce<br />

transitante verso le regioni settentrionali, ma pagato solo dai mulattieri<br />

forestieri che trasportano mercanzie non finalesi 19 . Il contributo dei governanti<br />

spagnoli è decisivo anche in funzione dello sviluppo manifatturiero: fin<br />

dall’inizio adottano infatti una politica d’incentivazione nei riguar<strong>di</strong> degli<br />

impren<strong>di</strong>tori locali − a cui spesso cedono terreni a basso prezzo in cambio<br />

dell’impegno ad impiantarvi delle «fabbriche» – o provvedono essi stessi a<br />

17 Sulla fiscalità all’interno della Repubblica <strong>di</strong> Genova tra Basso Me<strong>di</strong>oevo ed Età Moderna<br />

ve<strong>di</strong> FELLONI 1998a e 1999b.<br />

18 In una sua relazione sulle ren<strong>di</strong>te del Marchesato del settembre 1648 lo stapoliere del sale<br />

Carlo Gritta precisa che «il peaggio si scuode a denari sei per cantaro sopra li risi e castagne, il<br />

resto a denari nove per balla» (Archivio <strong>di</strong> Stato <strong>di</strong> Genova, [d’ora in avanti ASG], Marchesato<br />

del Finale, 42. La relazione è priva <strong>di</strong> data, ma allegata ad una lettera scritta da Finale il 14<br />

settembre).<br />

19 Sulla questione rinvio a CALCAGNO 2011, pp. 167-189.<br />

96


costruire nuovi impianti 20 . Inoltre gli spagnoli prestano particolare attenzione<br />

alle vie <strong>di</strong> comunicazione che collegano il Marchesato al Piemonte e al<br />

Monferrato, tra<strong>di</strong>zionali riserve <strong>di</strong> merci per i negozianti locali e terminali dei<br />

traffici marittimi finalesi: è il caso della «strada Beretta» − così battezzata dal<br />

nome dell’ingegnere Gaspare Beretta – che, seppur progettata nella primavera<br />

del 1666 per il passaggio <strong>di</strong> Margherita d’Asburgo, e concepita con finalità<br />

prettamente logistico-militari, contribuisce a facilitare il trasporto delle merci<br />

da e verso l’interno 21 .<br />

I progressi dell’economia finalese, <strong>di</strong> cui beneficiano senz’altro anche i ceti<br />

meno abbienti, specie in termini <strong>di</strong> opportunità occupazionali, sono<br />

riconosciuti dagli stessi genovesi, per i quali il Finale costituisce una grave<br />

fonte <strong>di</strong> danno non solo sotto il profilo economico, ma anche sotto quello<br />

fiscale e giuris<strong>di</strong>zionale 22 . In una relazione stesa il 20 novembre 1675 e <strong>di</strong>retta<br />

ai Serenissimi Collegi, cioè al massimo organo <strong>di</strong> governo della Repubblica, i<br />

Protettori della Casa <strong>di</strong> San Giorgio affermano esplicitamente che gli abitanti<br />

del Marchesato, «poiché pagano pochi aggravi d’imposizione nel loro<br />

commune, […] puonno praticare la negoziazione con gran<strong>di</strong>ssimi vantaggi» 23 .<br />

Pochi giorni dopo (3 <strong>di</strong>cembre) i componenti della genovese Giunta <strong>di</strong> Marina<br />

ammettono che a Finale «è sempre più accresciuto il traffico <strong>di</strong> vascelli, <strong>di</strong><br />

nuove fabbriche, <strong>di</strong> negozi e <strong>di</strong> popolo» 24 . E, a riprova della crescita degli<br />

scambi lungo la «scala» finalese, nel 1713 Filippo Cattaneo De Marini, primo<br />

Governatore del Marchesato dopo che Genova l’ha acquistato, ritiene<br />

opportuno de<strong>di</strong>care un capitolo specifico della sua relazione proprio al<br />

«commercio de finarini» 25 .<br />

Si tratta <strong>di</strong> testimonianze inequivocabili, che sono corroborate dall’ampia<br />

documentazione notarile <strong>di</strong>sponibile, e che <strong>di</strong>pingono un quadro <strong>di</strong> grande<br />

fermento, sebbene sempre nei limiti <strong>di</strong> un commercio <strong>di</strong> piccolo cabotaggio,<br />

perché mancano le strutture ricettive (del porto, come detto, non se ne fa<br />

nulla) e perché le imbarcazioni utilizzate sono perlopiù <strong>di</strong> piccole<br />

20 Ad esempio, nella «grida» dell’11 maggio 1619 si precisa che la cartiera posta nella valle<br />

Pia è stata costruita dalla «Regia Marchional Camera» (ASG, Archivio segreto, 286). La notizia<br />

è confermata dal primo Governatore genovese del Finale Filippo Cattaneo De Marini, che<br />

in<strong>di</strong>ca anche il periodo <strong>di</strong> fabbricazione, «fra li anni 1606 e 1609» (ASSERETO, BONGIOVANNI,<br />

2003, p. 107).<br />

21 Sulla strada Beretta il contributo più organico è quello <strong>di</strong> TESTA 2002.<br />

22 In questo senso ve<strong>di</strong> le considerazioni fatte in CALCAGNO 2008.<br />

23 ASG, Marchesato del Finale, 12.<br />

24 ASG, Banco <strong>di</strong> San Giorgio, Gabelle, 2919.<br />

25 ASSERETO, BONGIOVANNI 2003, pp. 49-52.<br />

97


<strong>di</strong>mensioni 26 . Ma il governo spagnolo non è solo stimolo allo sviluppo<br />

economico e <strong>di</strong>spensatore <strong>di</strong> benessere sociale a tutti i livelli, come si potrebbe<br />

credere a una lettura parziale delle fonti. Per i finalesi del Seicento<br />

l’inserimento del Marchesato nei domini spagnoli comporta prima <strong>di</strong> tutto<br />

l’obbligo <strong>di</strong> acquartierare i numerosi soldati in transito 27 e <strong>di</strong> pagare salate<br />

contribuzioni per il mantenimento del presi<strong>di</strong>o spagnolo. Anche in questo<br />

caso le prove sono numerose, e provengono sia dai sud<strong>di</strong>ti finalesi che dai<br />

loro amministratori milanesi 28 .<br />

Gli alloggiamenti espongono i civili al contatto <strong>di</strong>retto con i militari, i quali<br />

– specie quando le loro paghe sono in arretrato – minacciano, taglieggiano,<br />

<strong>di</strong>struggono i campi. È senza dubbio «la maggiore et più sentita gravezza che<br />

si provi in questo Stato» 29 , «la cosa del mundo que más temen» 30 . Non a caso,<br />

appena quattro mesi dopo un primo ingresso dei soldati del re <strong>di</strong> Spagna nel<br />

Marchesato (siamo nel settembre 1571), i sud<strong>di</strong>ti del feudo mostrano già <strong>di</strong><br />

rimpiangere i pur duri tempi dei marchesi Del Carretto: uno dei capi della<br />

fazione spagnola – Lazaro Sevizzano – scrive infatti una lettera a Milano e<br />

spiega che le truppe «<strong>di</strong> continuo rubbano et ruinano la campagna», il paese<br />

«resta [...] totalmente attenuato et esausto, [...] quasi ridotto a <strong>di</strong>sperazione»,<br />

e a «noi cappi» tocca «con ogni desto e miglior modo quietarlo [il popolo], con<br />

farli promesse che col tempo havrano per uno cento» 31 . Nel Seicento la<br />

situazione non migliora, anzi con l’intensificarsi dell’impegno bellico da parte<br />

della Spagna i transiti si fanno più numerosi 32 . Per valutare l’effettivo peso<br />

26 Alla fine del 1664 il sindaco delle Casa <strong>di</strong> San Giorgio, portatosi a Finale «per gl’affari del<br />

sale», espone nella sua relazione che «sono in quel luogo trenta vascelli in circa, <strong>di</strong> portata tutti<br />

da mine ducento in trecento» (ASG, Banco <strong>di</strong> San Giorgio, Gabelle, 2919). E pochi anni dopo<br />

(febbraio 1668) il guar<strong>di</strong>ano del convento francescano <strong>di</strong> <strong>Noli</strong> Bernar<strong>di</strong>no Leoni conferma il<br />

dato: «a Finale vi saranno 38 barche, la maggior parte <strong>di</strong> portata <strong>di</strong> 200 in 300 mine», e poi «ve<br />

ne sono […] tre o quatro <strong>di</strong> 500 in 600» (ASG, Marchesato del Finale, 12).<br />

27 Sui transiti <strong>di</strong> truppe spagnole nel XVII secolo a Finale e nel resto della Liguria ve<strong>di</strong> MAFFI<br />

2007.<br />

28 Madrid compare molto <strong>di</strong> rado nella vita istituzionale del Marchesato. A parte le questioni<br />

<strong>di</strong> maggiore importanza, che restano naturalmente appannaggio del sovrano,<br />

l’amministrazione del Marchesato è affidata a Milano, e principalmente al Magistrato<br />

Or<strong>di</strong>nario. Sulla struttura e le funzioni delle magistrature milanesi rinvio a SIGNOROTTO 2001.<br />

29 Cfr. RIZZO 2008.<br />

30 Cfr. RIZZO 1998, p. 305.<br />

31 Archivo General de Simancas (d’ora in avanti AGS), Estado, Milán y Saboya, 1232. La lettera<br />

è dell’11 settembre, l’occupazione del Marchesato per or<strong>di</strong>ne del Governatore <strong>di</strong> Milano duca<br />

<strong>di</strong> Albuquerque del 18 aprile.<br />

32 Dati più precisi in CALCAGNO 2011, pp. 131-134.<br />

98


degli alloggiamenti è utile una relazione scritta nel luglio 1641 da Nicolò<br />

Leizal<strong>di</strong>, Presidente del Magistrato Or<strong>di</strong>nario <strong>di</strong> Milano: nel 1631-32, a causa<br />

del contagio introdotto da alcuni soldati fiorentini alloggiati nel Marchesato,<br />

sarebbero morte più <strong>di</strong> 3.000 persone 33 ; solo nell’ultimo anno (cioè nel 1640-<br />

41) i soldati in transito sarebbero stati 11.530; inoltre negli ultimi cinque anni<br />

(fra 1636 e 1640) i finalesi avrebbero speso per gli accampamenti ben 69.000<br />

scu<strong>di</strong>, cioè circa 400.000 lire <strong>di</strong> Genova, una somma esorbitante 34 . Ai soldati<br />

occorre somministrare tutto: legna, paglia, candele, letti. Senza contare che i<br />

notabili del Borgo e della Marina, i quali controllano in pratica il Consiglio<br />

locale, ripartiscono le spese per le truppe in transito accollandone la maggior<br />

parte agli abitanti delle «ville», costretti a subire in quanto sovente debitori<br />

per affitti arretrati <strong>di</strong> immobili o forniture <strong>di</strong> merci non saldate: un memoriale<br />

del 24 luglio 1662, non firmato ma <strong>di</strong> chiara matrice “villana”, attesta che delle<br />

16.000 lire spese quell’anno per gli acquartieramenti ben 14.000 sarebbero state<br />

pagate dagli abitanti delle campagne 35 .<br />

Se il presi<strong>di</strong>o e gli alloggiamenti rappresentano per la maggior parte dei<br />

sud<strong>di</strong>ti finalesi un fardello notevole ma con qualche tornaconto – perché c’è<br />

anche chi con le forniture alle truppe si arricchisce o chi riesce a fare carriera<br />

nell’esercito 36 – un peso ancora maggiore è determinato dal pesante fiscalismo<br />

imposto dagli spagnoli, cioè da quel fattore che più <strong>di</strong> ogni altro nel corso<br />

dell’Ottocento ha generato lo spiccato «antispagnolismo» della cultura<br />

italiana 37 . Un po’ dappertutto i dominatori iberici mettono in atto una politica<br />

fiscale particolarmente rigida, non <strong>di</strong> rado spinta oltre il tollerabile, resa<br />

necessaria dallo stato deficitario delle casse pubbliche e dalle pressanti<br />

urgenze belliche 38 . Per quanto il <strong>di</strong>battito storiografico sia complesso e ancora<br />

aperto, possiamo tranquillamente <strong>di</strong>re che la grande stagione <strong>di</strong> rivolte che<br />

ha sconvolto il sistema imperiale spagnolo nei decenni centrali del secolo (con<br />

tumulti in Catalogna, Portogallo, Regno <strong>di</strong> Napoli e Sicilia) si sia svolta nel<br />

33 Sul caso della peste finalese del 1631-32 è <strong>di</strong> imminente pubblicazione una monografia curata<br />

dall’amico Mauro Berruti.<br />

34 ASCF, Marchesato, 2.<br />

35 ASCF, Marchesato, 17. Per un inquadramento maggiore <strong>di</strong> queste problematiche ve<strong>di</strong> RIZZO<br />

2009. Le ville del Marchesato sono 17, e insieme al Borgo e la Marina costituiscono i 19<br />

«quartieri» del Marchesato. L’o<strong>di</strong>erno Comune <strong>di</strong> Finale Ligure nasce nel 1927 dall’unione dei<br />

tre comuni <strong>di</strong> Finalborgo, Finalmarina e Finalpia, che nel corso del XIX secolo hanno inglobato<br />

alcune parti del vecchio Marchesato. Su questa fase ve<strong>di</strong> CAFFARENA, STIACCINI 2007.<br />

36 Su questi aspetti ve<strong>di</strong> le considerazioni <strong>di</strong> MACZAK 1995 e RIZZO 2007.<br />

37 In merito rinvio a MUSI 2003.<br />

38<br />

GALASSO 1994, p. 36.<br />

99


segno dell’antifiscalismo 39 . Certo, il Marchesato finalese non è paragonabile<br />

agli altri domini della Corona <strong>di</strong> Spagna. Finale è un piccolo feudo imperiale<br />

che, sebbene rivesta un importante ruolo <strong>di</strong> raccordo con gli altri posse<strong>di</strong>menti<br />

italiani (Milano in primis), ha una scarsa rilevanza territoriale: le sue<br />

<strong>di</strong>mensioni e la composizione sociale della sua popolazione non consentono<br />

certo, in termini assoluti, un significativo drenaggio <strong>di</strong> risorse, ma in<br />

proporzione la pressione fiscale è ugualmente elevata.<br />

Nella fattispecie, proprio per consentire un regolare mantenimento del<br />

presi<strong>di</strong>o militare si fa una scelta precisa: non una fitta rete <strong>di</strong> imposizioni<br />

in<strong>di</strong>rette (anzi, come si è detto, è forse il caso <strong>di</strong> <strong>di</strong>re che gli spagnoli attuano<br />

una fiscalità “a misura <strong>di</strong> mercante”), ma un carico <strong>di</strong>retto, e in progressivo<br />

aumento, fatto <strong>di</strong> «donativi», cioè contribuzioni obbligatorie riscosse<br />

annualmente. Si inizia con alcune richieste occasionali e <strong>di</strong> <strong>di</strong>versa entità, per<br />

sod<strong>di</strong>sfare le quali si ricorre al denaro dei più facoltosi 40 , finché nel 1645 i<br />

governanti rinunciano alle consuete provviste <strong>di</strong> legna per i soldati della<br />

guarnigione <strong>di</strong> stanza in cambio del versamento <strong>di</strong> un tributo <strong>di</strong>retto annuo<br />

pari a 1.000 scu<strong>di</strong> d’argento «da lire 6 l’uno» 41 . I patti prevedono che il<br />

versamento della somma venga effettuato per i successivi quattro anni a titolo<br />

<strong>di</strong> prestito volontario, «con obbligazione alla Regia Camera <strong>di</strong> restituirli»; ma,<br />

dopo alcuni rinnovi biennali, alla fine nel 1661 il Governatore <strong>di</strong> Milano duca<br />

<strong>di</strong> Sermoneta decide <strong>di</strong> prolungare senza più limiti temporanei l’esazione, che<br />

si trasforma così in una vera e propria imposta permanente. A tutto ciò si deve<br />

aggiungere il cosiddetto «sovrappiù» del prezzo del sale venduto al dettaglio<br />

(da 14 a 25:8 sol<strong>di</strong> al rubbo), applicato a partire dal 1646, quando la stapola torna<br />

nelle mani della Casa <strong>di</strong> San Giorgio 42 ; il già menzionato dazio imposto a<br />

Carcare e a Calizzano nel 1638 sui movimenti <strong>di</strong> merce proveniente da o <strong>di</strong>retta<br />

verso Piemonte e Monferrato, che provoca il rincaro dei beni <strong>di</strong> prima necessità;<br />

e i continui «tassi» che vengono elevati per pagare le truppe in transito che<br />

arrivano a Finale stanche, affamate e spesso in ritardo col soldo. Ancora una<br />

volta è una fonte genovese – ma conservata nell’archivio <strong>di</strong> Finale – a riassumere<br />

39 La bibliografia in materia è vastissima, e per motivi <strong>di</strong> spazio non può essere elencata in<br />

maniera esaustiva in questa sede. Per un aggiornamento bibliografico, almeno per quanto<br />

riguarda la situazione italiana, ve<strong>di</strong> PALERMO 2011. Ecco i dati per l’inserimento in bibliografia:<br />

PALERMO D., Percorsi storiografici sul XVII secolo: dalla rivolta alla resistenza, in “Me<strong>di</strong>terranea.<br />

Ricerche storiche”, 22, pp. 313-332.<br />

40<br />

MUSSO 1997, p. 165.<br />

41 ASCF, Marchesato, 9.<br />

42 Sulla spinosa questione del sale si veda PAPAGNA 1976; PIGNATA, FRACCHIA 1980; MARSILIO 2007.<br />

100


ene il quadro: si tratta <strong>di</strong> un documento settecentesco, probabilmente <strong>di</strong> poco<br />

posteriore all’acquisto del Marchesato da parte della Superba, dove si osserva<br />

che «la Repubblica Serenissima non ha nel suo Dominio feudo, città né altra<br />

giuris<strong>di</strong>ttione caricata <strong>di</strong> tanti pesi [...] come il Marchesato» 43 .<br />

Una situazione quin<strong>di</strong> molto complessa, fatta <strong>di</strong> luci e ombre, che mal si<br />

presta alle semplificazioni degli storici locali. C’è tuttavia da chiedersi perché<br />

il peso del governo spagnolo, fatto <strong>di</strong> tasse e alloggiamenti forzati, non abbia<br />

contribuito a produrre un’immagine negativa, una sorta <strong>di</strong> leyenda negra come<br />

quella che ha avuto corso nel resto d’Italia. La ragione ci pare risiedere nel<br />

fatto che il prelievo fiscale operato dalla Spagna è sì cospicuo, ma il gettito<br />

viene perlopiù speso o reinvestito sul posto: i sol<strong>di</strong> spremuti ai contribuenti<br />

finalesi restano dunque nel Marchesato, e vengono impiegati nella<br />

costruzione e nell’ampliamento <strong>di</strong> fortificazioni, nell’acquisto <strong>di</strong> armi e viveri,<br />

nel pagamento degli stipen<strong>di</strong> ai soldati <strong>di</strong> stanza e a quelli in transito. Il<br />

gruppo <strong>di</strong>rigente locale – vale a <strong>di</strong>re la minoranza influente dalla quale in<br />

genere proviene la documentazione utilizzata dagli storici – beneficia<br />

chiaramente <strong>di</strong> questa situazione, e può arricchirsi con le forniture militari e<br />

col commercio <strong>di</strong> transito, agevolato da un regime doganale particolarmente<br />

favorevole. Viceversa i ceti subalterni – <strong>di</strong> cui i governanti spagnoli poco si<br />

curano, perché non è sulla loro fedeltà che fanno conto per il controllo del<br />

Marchesato – possono essere oberati da un fisco esoso, e oltretutto sperequato<br />

ai danni degli abitanti delle campagne: «per le spese or<strong>di</strong>narie e straor<strong>di</strong>narie<br />

che si fanno dal Marchesato, <strong>di</strong> <strong>di</strong>eci parti una ne tocca al Borgo, e meno <strong>di</strong><br />

un’altra alla Marina, e tutto il resto alle ville» 44 . Quella elaborata e perpetuata<br />

dalla vecchia storiografia finalese è quin<strong>di</strong> una legenda aurea piuttosto<br />

superficiale, al <strong>di</strong> sotto della quale emerge una realtà in chiaroscuro, fatta <strong>di</strong><br />

buone occasioni per pochi e <strong>di</strong> misere con<strong>di</strong>zioni per i più.<br />

Ma torniamo al nodo centrale <strong>di</strong> questo contributo, ovvero l’apporto dei<br />

genovesi alla vita socio-economica del Finale. Sappiamo che la Repubblica<br />

non vede <strong>di</strong> buon occhio la navigazione dei finalesi, sia perché li considera<br />

dei pericolosi concorrenti, sia perché essi rifiutano <strong>di</strong> fermarsi a Genova e negli<br />

altri appro<strong>di</strong> del Dominio per denunciare i loro carichi e pagare, come<br />

dovrebbero, le gabelle genovesi. Di fronte a questo stato <strong>di</strong> cose, né i patrizi<br />

43 ASCF, Marchesato, 35. Il documento reca la seguente intitolazione: Copia semplice del Stato del<br />

Marchesato doppo l’ingresso della Serenissima Repubblica.<br />

44 Lettera del Governatore genovese Cattaneo De Marini del 24 giugno 1714 (ASG, Marchesato<br />

del Finale, 21).<br />

101


al governo né quelli che <strong>di</strong>rigono la Casa <strong>di</strong> San Giorgio 45 stanno con le mani<br />

in mano: anzi, la “linea dura” in genere è quella che riscuote maggiori<br />

consensi, e <strong>di</strong>fatti nel corso del secolo si decide spesso <strong>di</strong> mettere in mare galee<br />

e feluche con l’intento <strong>di</strong> intercettare il naviglio finalese o <strong>di</strong> perlustrare più<br />

sistematicamente lo spazio acqueo antistante le spiagge del Marchesato 46 . Si<br />

tratta <strong>di</strong> misure estemporanee, perché la Repubblica non può permettersi <strong>di</strong><br />

tenere impegnate per questo fine le galee dello stuolo pubblico (destinate<br />

prima <strong>di</strong> tutto alla <strong>di</strong>fesa delle coste dagli attacchi dei corsari) 47 , e anche perché<br />

in questo modo si rischia <strong>di</strong> suscitare l’irritazione dell’alleato spagnolo, non<br />

certo ben <strong>di</strong>sposto a tollerare che i suoi sud<strong>di</strong>ti finalesi siano maltrattati nei<br />

porti liguri e pronto all’occorrenza a mettere in atto rappresaglie contro i beni<br />

posseduti dai genovesi nei territori italiani della Monarchia 48 .<br />

Ma se guar<strong>di</strong>amo sottotraccia, ci ren<strong>di</strong>amo conto che <strong>di</strong>etro le prese <strong>di</strong><br />

posizione, talora dure, degli organi <strong>di</strong> governo si nasconde una partecipazione<br />

attiva <strong>di</strong> elementi genovesi al commercio finalese. Quanto più i «negozi» dei<br />

sud<strong>di</strong>ti del Marchesato vengono osteggiati dai Magnifici che siedono a Palazzo<br />

Ducale o a Palazzo San Giorgio, tanto più si crea una fitta rete <strong>di</strong> collusioni tra<br />

notabili del Finale e ricchi mercanti della Superba, intenzionati a far passare<br />

da quella scala le proprie merci per sottrarsi al fisco genovese. A essere più<br />

espliciti, si potrebbe <strong>di</strong>re che i veri pilastri dell’economia finalese sono i<br />

genovesi, perché genovese è gran parte del capitale che finanzia le attività<br />

manifatturiere e mercantili del Marchesato. A conferma <strong>di</strong> ciò esiste parecchio<br />

materiale documentario, rappresentato soprattutto da relazioni e lettere <strong>di</strong><br />

organi <strong>di</strong> governo della Repubblica. Nel luglio 1664 una giunta formata da<br />

alcuni nobili genovesi rivela esservi «in Genova persone principali che hanno<br />

contribuito molte migliaia <strong>di</strong> scu<strong>di</strong> facendosi partecipi <strong>di</strong> case <strong>di</strong> negozianti<br />

imposte in detto luogo del Finale» 49 . Nel corso <strong>di</strong> una sua sortita nel<br />

Marchesato, sempre nel 1664, il sindaco della Casa <strong>di</strong> San Giorgio ha modo <strong>di</strong><br />

45 Sulla sovrapposizione fra i governanti della Repubblica e quelli della Casa si veda VITALE<br />

1955, pp. 152-153, e BITOSSI 1990, pp. 21-22.<br />

46 Per un <strong>di</strong>scorso organizzato su queste misure rinvio a CALCAGNO 2010.<br />

47 La stessa legge <strong>di</strong> istituzione della magistratura dei «Provisores Triremium», meglio<br />

conosciuta col nome <strong>di</strong> Magistrato delle galee (12 luglio 1559), ha finalità esplicitamente anticorsare<br />

(cfr. BORGHESI 1973, p. 189).<br />

48 Sull’uso delle rappresaglie da parte della Spagna ve<strong>di</strong> CALCAGNO 2012, e la bibliografia ivi<br />

citata.<br />

49 ASG, Marchesato del Finale, 9. La giunta è formata da Giovanni Battista Doria, Ugo Fieschi,<br />

Raffaele Della Torre, Cesare Durazzo, Geronimo De Marini e Lazaro Maria Doria.<br />

102


osservare che «li negozianti in Finale sono molti ma tutti <strong>di</strong> poca sostanza che<br />

non vi si ritrovano due mercadanti che possano mettere insieme tre mila pezzi<br />

da otto reali», e rivela che «il negozio e traffico che vi si fa per la maggior parte<br />

viene da denari de’ genovesi» 50 . Poco tempo dopo (1667) Giacomo Grimal<strong>di</strong>,<br />

Governatore <strong>di</strong> <strong>Savona</strong>, pensa bene <strong>di</strong> affidarsi a qualche «persona pratica del<br />

paese che suole havere corrispondenza in detto luogo [<strong>di</strong> Finale]», e può così<br />

informare il proprio governo sui rapporti clandestini fra l’élite del Marchesato<br />

e i genovesi, scrivendo che il traffico «procede» principalmente con il<br />

Piemonte, con Livorno e con la Spagna, che «interessa molti genovesi», e che<br />

«anzi per la più buona parte detti negozi si fanno con denari de’ genovesi» 51 .<br />

Si potrebbe obiettare che sono tutte fonti genovesi, forse troppo sensibili<br />

al problema, espressione <strong>di</strong>retta dell’allarmismo del ceto <strong>di</strong> governo patrizio.<br />

In realtà, a insistere sui soli<strong>di</strong> legami fra uomini d’affari genovesi e<br />

commercianti finalesi sono proprio gli stessi abitanti del feudo ponentino, che<br />

non hanno <strong>di</strong>fficoltà ad ammettere l’importanza del denaro genovese<br />

nell’economia locale. Non potrebbe essere più chiaro un documento del 1668,<br />

che ci racconta l’incontro a Milano fra un procuratore del Marchesato, il<br />

finalese capitan Giovanni Andrea Perelli, e il segretario genovese Felice<br />

Tassorello, in missione presso il Governatore milanese per aggiustare alcune<br />

<strong>di</strong>fferenze con gli spagnoli in materia <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritti sul commercio marittimo; i due<br />

<strong>di</strong>scorrono a lungo, e fra le altre cose il primo confessa al secondo: «se non<br />

fossero li genovesi che cooperano al traffico del Finale non ve ne sarebbe la<br />

quarta parte <strong>di</strong> quello vi è» 52 . Ad avvalorare questa affermazione concorrono<br />

i rogiti notarili, che testimoniano la presenza del capitale genovese <strong>di</strong>etro le<br />

spe<strong>di</strong>zioni commerciali dei finalesi: l’11 aprile 1681 Giovanni Battista Del Pino<br />

nomina suo procuratore Giovanni Battista Groppallo per prendere a cambio<br />

marittimo 200 pezzi da otto reali «dall’Illustrissimo Signor Giulio Pallavicini<br />

nobile patrizio genovese» al fine <strong>di</strong> finanziare il viaggio <strong>di</strong> patron Nicolò<br />

Accame, <strong>di</strong>retto in Sicilia a bordo della sua imbarcazione nominata San<br />

Giovanni Battista e Santa Rosa 53 ; alla fine <strong>di</strong> <strong>di</strong>cembre dell’anno dopo fa la<br />

stessa cosa Bartolomeo Locella, che si affida a Giovanni Luca Mosto per<br />

50 ASG, Banco <strong>di</strong> San Giorgio, Gabelle, 2919.<br />

51 ASG, Marchesato del Finale, 12. La lettera è del 14 giugno.<br />

52 Ibidem.<br />

53 Archivio <strong>di</strong> Stato <strong>di</strong> <strong>Savona</strong> (d’ora in avanti ASS), Notai <strong>di</strong>strettuali, 2078. Da un successivo<br />

atto del 27 aprile veniamo a sapere che il Del Pino è già debitore del Pallavicini <strong>di</strong> 1.000 lire<br />

per un altro contratto <strong>di</strong> cambio marittimo.<br />

103


ottenere un prestito dal nobile Pietro Francesco Fieschi 54 ; e il 3 agosto 1695 il<br />

dottor Domenico Sebastiano Alezeri si <strong>di</strong>chiara debitore dei fratelli Antonio<br />

Maria e Giovanni Benedetto Burlando <strong>di</strong> Genova <strong>di</strong> lire 3.491:1 «per resto <strong>di</strong><br />

tante mercanzie e denari contanti somministrati et imprestati» 55 . Pare dunque<br />

chiaro che l’antagonismo fra genovesi e finalesi è molto relativo, e che <strong>di</strong>etro<br />

l’appariscente contrasto fra i governanti della Repubblica e gli uomini del<br />

Marchesato vi è spazio per occulte quanto fruttuose collaborazioni.<br />

Ma i contatti non si limitano agli accor<strong>di</strong> mercantili e ai finanziamenti<br />

marittimi. Genti sottoposte alle due <strong>di</strong>verse giuris<strong>di</strong>zioni – quella genovese e<br />

quella spagnola – si incontrano, scoprono interessi comuni, progettano<br />

matrimoni, e queste cose possono andare <strong>di</strong> pari passo, perché spesso le<br />

unioni coniugali servono proprio a suggellare rapporti d’affari. Per rendersi<br />

conto delle <strong>di</strong>mensioni <strong>di</strong> questi fenomeni basta sfogliare con un po’ <strong>di</strong><br />

attenzione i registri «baptizatorum» e «matrimoniorum» delle varie parrocchie<br />

che componevano il Marchesato, dove – se si ha fortuna – si ritrova<br />

l’in<strong>di</strong>cazione della provenienza dei genitori e dei padrini nel primo caso e dei<br />

contraenti matrimonio nel secondo. Da parte nostra, si è scelto <strong>di</strong> effettuare<br />

questa operazione con i registri della collegiata della Marina, cuore pulsante<br />

del feudo nel XVII secolo e specchio fedele delle sue vicende socioeconomiche;<br />

lo spoglio per il periodo compreso fra il 1602 e il 1713 56 ci ha<br />

confermato la frequenza e l’intensità dei rapporti fra finalesi e genovesi (in<br />

questo caso fra spose <strong>di</strong> famiglia “finalmarinese” e mariti provenienti da<br />

Genova o dal Genovesato). In qualunque manuale <strong>di</strong> demografia storica si<br />

può leggere che in antico regime l’endogamia comunitaria è un tratto comune<br />

non solo dell’Italia, ma <strong>di</strong> gran parte del continente europeo. Come si può<br />

vedere dal grafico 1, Finale in questo senso fa eccezione, e in misura<br />

decisamente marcata. I matrimoni esogeni, cioè “misti”, contratti<br />

genericamente fra una finalese e un soggetto forestiero, sono ben il 35% (627<br />

su 1776), una percentuale altissima, specie se confrontata con quella <strong>di</strong> altre<br />

comunità della Riviera sottoposte al dominio della Repubblica 57 .<br />

54 ASS, Notai <strong>di</strong>strettuali, 2088.<br />

55 ASS, Notai <strong>di</strong>strettuali, 2261.<br />

56 Non è stato possibile considerare gli anni 1623-43 e 1703-11 per lacune all’interno della<br />

documentazione. Questi registri sono conservati presso l’archivio della <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> <strong>Savona</strong>-<strong>Noli</strong>.<br />

57 Un’analoga ricerca per Pietra Ligure (parrocchia <strong>di</strong> San Nicolò) sta confermando al contrario<br />

che nella stragrande maggioranza i matrimoni vengono contratti fra persone della stessa<br />

parrocchia.<br />

104


Se la percentuale è così alta, lo si deve innanzitutto ai soldati del presi<strong>di</strong>o<br />

(più spesso spagnoli, ma anche svizzeri, tedeschi e borgognoni), che si<br />

uniscono a donne native del Finale ben 236 volte. È chiaro che in presenza <strong>di</strong><br />

una guarnigione così cospicua e inse<strong>di</strong>ata in pianta stabile per più <strong>di</strong> un secolo<br />

le unioni non possono che essere state molto numerose: una cifra così alta era<br />

insomma largamente preve<strong>di</strong>bile, tanto più che i forti sorgevano molto vicini<br />

all’abitato. Dopo i militari vengono però proprio gli uomini abitanti all’interno<br />

della Repubblica <strong>di</strong> Genova: 57 provenienti dal Savonese (cioè dalla città <strong>di</strong><br />

<strong>Savona</strong> o dalle citta<strong>di</strong>ne a<strong>di</strong>acenti <strong>di</strong> Albisola, Celle e Varazze), da sempre zona<br />

con la quale i contatti sono molto intensi 58 ; 38 nativi della città Dominante,<br />

cioè Genova, spesso appartenenti a famiglie <strong>di</strong> artigiani o <strong>di</strong> piccoli<br />

commercianti; mentre dal circondario <strong>di</strong> Genova (valli Polcevera e Bisagno,<br />

Bogliasco, Sampierdarena, Sestri ponente, Voltri ecc.) vengono a prendere<br />

moglie nel Marchesato 25 uomini. Interessante anche il dato degli albenganesi<br />

(abbastanza alto, 37); ma poi ci sono anche i lombar<strong>di</strong> (26) i piemontesi (30) –<br />

a conferma <strong>di</strong> un forte legame con le regioni dell’interno – e gli spagnoli non<br />

soldati (27). Dalla documentazione parrocchiale emerge dunque l’immagine<br />

<strong>di</strong> una Finale decisamente “aperta”: d’altro canto gli statuti concedono<br />

l’immunità totale per ogni debito contratto e per ogni reato commesso fuori<br />

dal territorio marchionale 59 , e le facilitazioni doganali e fiscali rendono la<br />

piazza decisamente appetibile. Chiaro che i “vicini” «genovesi» siano i primi<br />

a essere attratti, e che contribuiscano a quella progressione demografica e a<br />

quello sviluppo economico che hanno contrad<strong>di</strong>stinto il Finale nel XVII secolo.<br />

Anche altre testimonianze, sia bibliografiche che archivistiche, vanno in questa<br />

<strong>di</strong>rezione: l’eru<strong>di</strong>to ottocentesco Nicolò Cesare Garoni aveva segnalato a<br />

proposito del Finale uno «straor<strong>di</strong>nario concorso dei forastieri» già a partire<br />

dal XIV e XV secolo 60 ; mentre in maniera ancora più esplicita, nella sua<br />

58 Ecco quanto si legge in una relazione <strong>di</strong> San Giorgio del 20 novembre 1675: «[i finalesi] non<br />

solo estraggono le robe nate e fabbricate in quel Marchesato, ma ancora quelle […] le quali<br />

hanno introdotto da fuori Dominio; e <strong>di</strong> tutte ne fanno traffico con i loro vascelli per le Riviere,<br />

smaltendo in esse molti salumi, piombi, sode et altre mercantie […]. E questa sorte <strong>di</strong> traffico<br />

è da loro particolarmente praticata nel territorio <strong>di</strong> <strong>Savona</strong>, Albisola e Celle» (ASG, Marchesato<br />

del Finale, 12).<br />

59 Ogni forestiero che «da altro luogo venga ad abitare nel Finale non possa mai – in caso <strong>di</strong><br />

reato commesso o <strong>di</strong> contratto stipulato anche solo un giorno prima <strong>di</strong> cominciare ad abitare<br />

nel Finale, o commesso o stipulato fuori del territorio <strong>di</strong> Finale e nei confronti <strong>di</strong> persona o<br />

persone ad esso estranee – essere convenuto, punito o in altro modo molestato nel Finale»<br />

(ASSERETO, BONGIOVANNI 2003, p. 64).<br />

60 GARONI 1870, p. 195.<br />

105


elazione del 1713-14, Filippo Cattaneo De Marini <strong>di</strong>ce che nel Marchesato<br />

«un buon numero delli habitanti è <strong>di</strong> Genova», e se questi «fussero obligati a<br />

sloggiare detto luogo si verrebbe in gran parte a <strong>di</strong>struggere» 61 .<br />

Un’ultima considerazione si potrebbe fare guardando i grafici 3 e 4, quelli<br />

che seguono l’andamento dei matrimoni nel corso degli anni e la percentuale<br />

dei matrimoni esogeni anno per anno. È una linea non priva <strong>di</strong> oscillazioni,<br />

anche perché i numeri – riguardando una parrocchia <strong>di</strong> non gran<strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>mensioni – sono relativamente modesti; ma balza all’occhio un certo<br />

aumento dei matrimoni (che deve aver determinato una crescita demografica<br />

generale) nella seconda metà del secolo, che non a caso è imme<strong>di</strong>atamente<br />

successivo alla peste genovese del 1656-57 62 , e che tocca i suoi picchi più alti<br />

fra la fine degli Anni 70 e l’inizio degli Anni 90, da tutte le fonti in<strong>di</strong>cata come<br />

una fase <strong>di</strong> grande espansione economica. In una relazione della Giunta <strong>di</strong><br />

Marina del febbraio 1665 sulla «prattica de traffichi del Finale» si spiega come<br />

negli anni della pestilenza genovese «tutti i principi proibirono il commercio<br />

a questa Città e Dominio», il che «<strong>di</strong>ede a finarini giustificato pretesto<br />

d’intraprender <strong>di</strong> nuovo li traffichi tralasciati», e anche una volta «cessa[to] il<br />

contagio e […] restituito il commercio, ad ogni modo allettati essi finarini<br />

dall’utile andarono continuando» 63 . In una sua lettera a Madrid il conte <strong>di</strong><br />

Fuensaldaña, Governatore <strong>di</strong> Milano, aveva confermato «que el contagio de<br />

Génova a ocasionado que mucho de aquel tráfico se haya pasado al Final» 64 .<br />

In un biglietto scritto dal mercante Giovanni Tomaso Aicar<strong>di</strong> al momento <strong>di</strong><br />

dettare testamento – aperto dal notaio il 1° ottobre 1712 – si legge che Giacomo<br />

Alezeri <strong>di</strong> Gorra gli deve ancora 145 lire «a conto <strong>di</strong> egreggia soma <strong>di</strong> capitalle<br />

consegnatoli in contanti e oglio per negoziare a comune vantaggio», e si<br />

ricorda che «i guadagni seguitti […] in detto negozio» – pari a circa 1.000 pezzi<br />

da otto reali – sono stati conseguiti «in più anni, et in particulare nel tempo<br />

del contaggio <strong>di</strong> Genova, in qual tempo altri che havevano simille negozio vi<br />

hebbero guadagni <strong>di</strong> considerazione» 65 . Infine occorre considerare che quasi<br />

tutte le allarmistiche relazioni sui traffici del Marchesato sono della seconda<br />

metà del secolo. Insomma, una crescita progressiva, cui hanno contribuito<br />

largamente i matrimoni esogeni (grafico 4), molti dei quali hanno interessato<br />

61 ASSERETO, BONGIOVANNI 2003, p. 42.<br />

62 Ve<strong>di</strong> in merito PRESOTTO 1965.<br />

63 ASG, Marchesato del Finale, 12.<br />

64 AGS, Estado, Génova, 3609. Lettera del 13 marzo 1657.<br />

65 ASS, Notai <strong>di</strong>strettuali, 2292.<br />

106


dei sud<strong>di</strong>ti della Repubblica. Il quadro è dunque sufficientemente chiaro:<br />

incrociando le fonti governative genovesi (avvalorate dagli atti notarili) con<br />

quelle ecclesiastiche che informano sulle <strong>di</strong>namiche demografiche emerge una<br />

stretta connessione fra gli abitanti del Marchesato e i loro tra<strong>di</strong>zionali nemici<br />

genovesi, i cui destini sono strettamente intrecciati. Forse la storia <strong>di</strong> questi<br />

rapporti non è propriamente come ce l’hanno descritta finora.<br />

Grafico 1 - Rapporto fra matrimoni endogeni<br />

e matrimoni esogeni a Finale (1602-1713)<br />

Matrimoni endogeni<br />

1.149 (65%)<br />

Grafico 2 - Provenienze principali degli sposi<br />

107<br />

Matrimoni esogeni<br />

627 (35%)<br />

A. Albenganese; B. Altre provenienze; C. Circondario genovese; D. Francia; E. Genova (città); F. Loano; G. Lombar<strong>di</strong>a; H. Napoletano;<br />

I. Piemonte; J. Pietra; K. Sardegna; L. Savonese; M. Sicilia; N. Soldati; O. Spagnoli (non soldati); P. Toscana.


Grafico 3 - Matrimoni annui<br />

Grafico 4 - Matrimoni endogeni ed esogeni annui<br />

■ Matrimoni esogeni ■ Matrimoni endogeni<br />

108


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111


“Benaffetti” e “Malaffetti”. Intrecci familiari e appartenenze<br />

politiche nella Finale del primo Settecento<br />

Marco Leale<br />

«Nella tra<strong>di</strong>zione sociologica, da Marx a Durkheim a Weber, l’in<strong>di</strong>viduo<br />

guarda a se stesso e si rapporta alle cose attraverso il riferimento al gruppo <strong>di</strong><br />

appartenenza. L’essere parte <strong>di</strong> insiemi sociali è visto come <strong>di</strong>mensione<br />

in<strong>di</strong>spensabile alla costruzione dell’in<strong>di</strong>viduo stesso» 1 . Scopo <strong>di</strong> questo stu<strong>di</strong>o,<br />

ancora in corso, come si evince dal titolo della presente comunicazione, sarà<br />

quello <strong>di</strong> evidenziare le relazioni interpersonali fra le famiglie finalesi<br />

appartenenti alle due fazioni politiche dei bene affetti e dei male affetti alla<br />

Serenissima Repubblica <strong>di</strong> Genova nella prima metà del Settecento, e in<br />

particolare dagli Anni 10 del Settecento (ossia dalla vigilia dell’acquisto<br />

genovese del Marchesato) sino al 1748, quando dopo l’occupazione<br />

piemontese il Finalese ritornò – a seguito della Pace <strong>di</strong> Aquisgrana – a far parte<br />

del Dominio della Repubblica <strong>di</strong> Genova.<br />

Punto <strong>di</strong> osservazione non saranno le moderne classificazioni sociologiche,<br />

<strong>di</strong>fficilmente o per nulla applicabili alle società <strong>di</strong> antico regime, ma<br />

l’autorappresentazione degli in<strong>di</strong>vidui stessi all’interno della loro realtà<br />

sociale, come descritta dalla documentazione archivistica pervenutaci.<br />

Fondamentale per questo lavoro <strong>di</strong> ricostruzione sarà l’analisi dei registri delle<br />

parrocchie finalesi – e specialmente quelli delle Collegiate <strong>di</strong> San Giovanni<br />

Battista alla Marina e <strong>di</strong> San Biagio al Borgo – conservati presso l’Archivio<br />

Storico della <strong>Diocesi</strong> <strong>di</strong> <strong>Savona</strong>-<strong>Noli</strong>, integrata da relazioni, o più esattamente<br />

rapporti <strong>di</strong> intelligence, inviate dalla rete <strong>di</strong> informatori al servizio della<br />

Repubblica conservate presso l’Archivio <strong>di</strong> Stato <strong>di</strong> Genova nel ricco fondo<br />

Marchesato del Finale 2 .<br />

1 CARRINO 1995, p. 7.<br />

2 ASG, Marchesato del Finale, 22 e 23.<br />

113


La dominazione spagnola sul Finale (1602-1707), nonostante le molte<br />

ombre, ebbe l’innegabile merito <strong>di</strong> favorire (grazie alle spese per opere –<br />

soprattutto militari – fatte nel corso degli anni dalla corona spagnola e a una<br />

politica fiscale non oppressiva) l’incremento delle attività manifatturiere 3 e dei<br />

traffici commerciali. Diede, inoltre, la possibilità a <strong>di</strong>verse famiglie del<br />

notabilato locale <strong>di</strong> investire proficuamente nelle imprese collegate al presi<strong>di</strong>o.<br />

Tutto questo contribuì a creare, in particolare dall’ultimo quarto del Seicento,<br />

una commistione <strong>di</strong> interessi fra le famiglie dell’élite e i governatori pro tempore<br />

del Marchesato: si ha notizia, ad esempio, <strong>di</strong> feste nella residenza del<br />

governatore García de Aponte in cui erano assidui ospiti i fratelli Giovanni<br />

Battista e Giovanni Bernardo Buraggi; ma anche <strong>di</strong> un ricevimento privato, il<br />

15 <strong>di</strong> agosto del 1713 – ovvero pochi giorni prima della cessione del<br />

Marchesato alla Repubblica <strong>di</strong> Genova –, durante il quale l’allora governatore<br />

in carica, il generale Filippo La Marre, e i commensali preconizzavano il<br />

fallimento delle trattative 4 .<br />

Come riporta Paolo Calcagno in una sua recente monografia de<strong>di</strong>cata al<br />

Marchesato del Finale in epoca spagnola, «il 2 agosto del 1712, a pochi mesi<br />

dal passaggio del Marchesato nelle mani della Repubblica, il «curatto <strong>di</strong> quel<br />

luogo» – tal Agostino Allegro, evidentemente un «benaffetto» dei genovesi –<br />

scrive così dal Finale in merito allo stato d’animo dei suoi concitta<strong>di</strong>ni, da<br />

qualche tempo in fermento per la <strong>di</strong>ffusione della notizia della loro imminente<br />

“ven<strong>di</strong>ta” da parte dell’imperatore Carlo VI:<br />

Temono questi popoli <strong>di</strong> restar spogliati de loro privileggi; […] teme il negociante<br />

la <strong>di</strong>minuzione del traffico, che a bello stu<strong>di</strong>o sia tratto altrove. Teme il benestante non<br />

poter più sostenere l’albagia ere<strong>di</strong>tata da spagnoli, lasciandosi uscir <strong>di</strong> bocca che<br />

saranno pregiu<strong>di</strong>cati nel trattamento e cerimoniale, gloriandosi che in Milano da primi<br />

ministri le sia usato nell’in<strong>di</strong>rizzi <strong>di</strong> lettere il titolo d’Illustrissimi e ne colloqui almeno<br />

il Vostra Signoria, dove li gentilhuomini genovesi li danno del Voi. Temono i curiali et<br />

ufficiali de Magistrati <strong>di</strong> non poter più imbrogliare le carte con estorsioni barbare de<br />

gl’innocenti […]. Temono i naviganti che qui son molti non poterle più riuscire a farle<br />

a man salva i contrabban<strong>di</strong>; e per finirla temono molti particolari il proprio pregiu<strong>di</strong>cio,<br />

3 In particolar modo i mulini da grano e da olio, le cartiere e le ferriere.<br />

4 ASG, Marchesato del Finale, 22. Da una lettera del 19 agosto 1713 inviata da Francesco Maria<br />

Firpo ai Serenissimi Collegi si apprende che «[…] lautamente banchettati il giorno dell’Assonta<br />

da’ Reveren<strong>di</strong> Padri Olivetani nel loro Convento <strong>di</strong> Pia, il Governatore con altri ufficiali<br />

maggiori, ebbero la contentezza <strong>di</strong> sentire, e da esso, e dall’altri commenzali la loro sospirata<br />

certezza, <strong>di</strong> non dover più decadere sotto il Dominio Serenissimo […]» (Ibidem).<br />

114


<strong>di</strong> perdere cioè le merce<strong>di</strong> da quali sono stati graziati da Signori re <strong>di</strong> Spagna o dalla<br />

Camera <strong>di</strong> Milano» 5 .<br />

I sentimenti antigenovesi, però, all’interno del gruppo familiare <strong>di</strong> cui<br />

stiamo per trattare, nascono già qualche anno prima, e precisamente nel 1710.<br />

Ve<strong>di</strong>amo come.<br />

All’inizio <strong>di</strong> quell’anno, secondo quanto scrive lo stapoliere Simone Olivari<br />

a San Giorgio il 27 gennaio, tre finalesi – Giovanni Battista Gallesio, Martino<br />

Colla e Giovanni Ponisio (cugino acquisito del Colla per via della moglie,<br />

Veronica Gandolino) – sarebbero andati a Milano, dove potevano contare<br />

sul’appoggio del plenipotenziario imperiale il vescovo della <strong>di</strong>ocesi ungherese<br />

delle Cinque Chiese, allo scopo <strong>di</strong> presentare un progetto per il rifornimento<br />

<strong>di</strong> sale delle comunità delle Langhe. I tre avrebbero anche inviato un loro<br />

emissario, il notaio Giacomo Gandolino, a Livorno «ad effetto <strong>di</strong> noleggiar<br />

barche per il trasporto del sale medesimo». Loro intenzione era quella <strong>di</strong><br />

impiantare una stapola a Cairo, «et obbligare tutti li feu<strong>di</strong> imperiali ad andar<br />

a comprare il sale colà dove si doverà vendere a sol<strong>di</strong> 30 il rubbo». In cambio<br />

della concessione essi avrebbero sborsato 1.500 doppie. Fra i partecipi<br />

all’impresa vi erano anche lo stesso notaio Gandolino e Francesco Burone.<br />

Naturalmente, però, l’affare andava contro gli interessi del Banco <strong>di</strong> San<br />

Giorgio, che riuscì a mandarlo a monte facendo perdere ai soci i capitali<br />

investiti, e in particolar modo a Martino Colla e a suo cognato Francesco<br />

Burone, che da quel momento e per gli anni successivi me<strong>di</strong>tarono la<br />

vendetta.<br />

Il del 5 ottobre 1712 il nostro informatore riferisce ai Serenissimi Collegi<br />

che in una lettera inviata ai familiari da Milano, ove si trovava in attesa <strong>di</strong><br />

partire per Vienna, Martino Colla scriveva che «li Genovesi si pentiranno <strong>di</strong><br />

non essersi accomodati con lui, e che per ogni lire cento che non hanno voluto<br />

darli ne pagheranno un milione oltre i <strong>di</strong>sgusti, e perder il dritto del sale in<br />

Finale, et il Burone» – che nel frattempo si era trasferito a Genova ed era in<br />

attesa <strong>di</strong> ricevere la patente <strong>di</strong> nomina a console o agente <strong>di</strong> Sua Maestà<br />

Cesarea – «<strong>di</strong>ce che questo non sarà niente [rispetto a] quello che pensa farli<br />

quando sarà in carica in Genova, e si gonfia, e parla impertinentemente del<br />

Governo della Repubblica» 6 .<br />

5 CALCAGNO 2011, p. 23.<br />

6 ASG, Marchesato del Finale, 22.<br />

115


Ma in cosa potevano consistere i loro piani <strong>di</strong> vendetta? Una lettera del<br />

7 gennaio 1715 ci fornisce probabilmente un in<strong>di</strong>zio: alla fine del mese <strong>di</strong><br />

novembre del 1714 giunse a Barcellona il Patron Battagliero con una lettera<br />

<strong>di</strong> un certo Ferri <strong>di</strong>retta all’Intendente D. Giuseppe Patiño, residente a<br />

Barcellona. Nella lettera si riferisce come «essendo li Finalini stati venduti<br />

da Sua Maestà Cesarea, e presentemente tiranneggiati dalla Repubblica <strong>di</strong><br />

Genova», questi chiesero al Patiño non solo <strong>di</strong> «rappresentare alla Corte <strong>di</strong><br />

Madrid […] il loro stato», ma <strong>di</strong> comunicare anche che, comparendo al largo<br />

<strong>di</strong> Finale «cinque o sei navi, si sarebbero tutti solevati, e prese le armi, et<br />

ucciso il presi<strong>di</strong>o» 7 .<br />

La famiglia Ferri era legata da vincoli <strong>di</strong> parentela con Francesco Burone<br />

(Vincenzo Maria Ferri sposò, infatti, una figlia <strong>di</strong> Francesco Burone), e ad altri<br />

due personaggi molto interessanti: il colonnello Bartolomeo Porro, <strong>di</strong> cui si<br />

<strong>di</strong>rà a breve, e Gerolamo Rovida; ed aveva anch’essa tutte le carte in regola<br />

per entrare nel partito dei malaffetti: nel 1691 Domenico Ferri aveva acquistato<br />

per la somma <strong>di</strong> 40.000 lire genovesi le tesorerie (quella or<strong>di</strong>naria e quella<br />

straor<strong>di</strong>naria) del Marchesato, ottenendo <strong>di</strong> poterne <strong>di</strong>sporre «per due vite» 8 .<br />

Le tesorerie furono invece soppresse dalla Repubblica nel 1713, creando altri<br />

motivi <strong>di</strong> rancore all’interno dello stesso gruppo parentale.<br />

Qualche anno dopo farà il suo ingresso sulla scena un altro personaggio:<br />

il colonnello Bartolomeo Porro, nipote <strong>di</strong> Martino Colla e <strong>di</strong> Francesco Burone<br />

e marito <strong>di</strong> una Ferri, «gran cabalista, e machinatore» già noto a Genova e<br />

tenuto sotto stretta sorveglianza a datare almeno dal 1712 9 .<br />

Questi, tra il 1720 e il 1724, presentandosi come agente del Marchesato del<br />

Finale, propose alla corte <strong>di</strong> Madrid un piano per la fondazione nei pressi <strong>di</strong><br />

Gibilterra, fra Algeciras e Tarifa, <strong>di</strong> una nuova provincia che avrebbe dovuto<br />

chiamarsi Nuova Finale ed essere colonizzata da finalesi, appartenenti a ogni<br />

classe sociale e desiderosi <strong>di</strong> «sottrarsi all’ubbi<strong>di</strong>enza della Serenissima<br />

Repubblica» 10 . La nuova provincia avrebbe avuto, fra l’altro, lo scopo <strong>di</strong><br />

aumentare il numero <strong>di</strong> inse<strong>di</strong>amenti spagnoli nel Golfo <strong>di</strong> Gibilterra, la cui<br />

rocca era stata prima occupata dalla Gran Bretagna (nel 1704) e poi ceduta alla<br />

stessa con il Trattato <strong>di</strong> Utrecht del 1713.<br />

7 ASG, Marchesato del Finale, 22.<br />

8 MUSSO 2001, p. 149.<br />

9 ASG, Marchesato del Finale, 22.<br />

10 ASG, Marchesato del Finale, 22.<br />

116


Il progetto fu approvato dalla Corte, e il Porro ottenne una cedola reale <strong>di</strong><br />

nomina a governatore della Nuova Finale. Pur riuscendo a far arrivare sul<br />

luogo una quin<strong>di</strong>cina <strong>di</strong> finalesi e a realizzare un primo inse<strong>di</strong>amento, ancora<br />

oggi esistente in località Casas de Porro, il progetto si scontrò ben presto con<br />

i notabili <strong>di</strong> Tarifa, i quali – appellandosi ai propri antichi privilegi – riuscirono<br />

a farlo naufragare. Il Porro, spogliato <strong>di</strong> tutti i suoi beni, finì i suoi giorni<br />

rinchiuso in fortezza 11 .<br />

Questi sono soltanto alcuni esempi <strong>di</strong> fazioni politiche nella Finale del<br />

XVIII secolo, fazioni oltre tutto <strong>di</strong>vise al loro interno: nel partito dei malaffetti<br />

alla Repubblica, ad esempio, troviamo anche una corrente favorevole<br />

all’acquisizione del Marchesato da parte dei Savoia, corrente rappresentata<br />

dalle famiglie Ceresola e Rovida, e soprattutto da Padre Camillo Mantilleri<br />

che, nel 1726, ordì una congiura che le autorità genovesi faticarono non poco<br />

a neutralizzare 12 .<br />

I progetti antigenovesi continuarono ancora per decenni: vi furono anche<br />

due aperte ribellioni nel 1730 e nel 1734, e infine – all’interno del più vasto<br />

quadro della Guerra <strong>di</strong> Successione austriaca – l’occupazione sabauda del<br />

Marchesato dal 1746 al 1748.<br />

Tornato il Marchesato sotto il dominio della Repubblica e placatisi<br />

finalmente gli animi, seguirà – seppure mantenendo alcune peculiarità – la<br />

storia e le sorti della Dominante.<br />

11 Per una più approfon<strong>di</strong>ta analisi del tema della colonizzazione interna spagnola si rinvia a<br />

A. ALBEROLA ROMÁ - E. GIMÉNEZ LÓPEZ 1997, pp. 269-294. Per quanto riguarda, in particolare, il<br />

progetto del Porro si veda p. 276.<br />

12 MANCA 2001, p. 181.<br />

117


Bibliografia<br />

ALBEROLA ROMÁ A., GIMÉNEZ LÓPEZ E. 1997, Antecedentes colonizadores en la España<br />

del siglo XVIII. Proyectos y realidades en las tierras de la antigua corona de Aragón, in<br />

“Revista de Historia Económica”, 2, XV.<br />

CALCAGNO P. 2011, «La puerta a la mar». Il Marchesato del Finale nel sistema imperiale<br />

spagnolo (1571-1713), prefazione <strong>di</strong> G. Muto (Collana I libri <strong>di</strong> Viella, 120), Roma.<br />

CARRINO A. 1995, Parentela, mestiere, potere. Gruppi sociali in un borgo meri<strong>di</strong>onale <strong>di</strong><br />

antico regime (Mesagne: secoli XVI-XVIII), Bari.<br />

MANCA F. 2001, Il Marchesato del Finale nella prima metà del XVIII secolo, in Storia <strong>di</strong><br />

Finale, a cura <strong>di</strong> A. GRANERO, F. MANCA, introduzione <strong>di</strong> L. Botta, <strong>Savona</strong>.<br />

MUSSO R. 2001, Finale e lo Stato <strong>di</strong> Milano (XV-XVII secolo), in Storia <strong>di</strong> Finale, a cura<br />

<strong>di</strong> A. GRANERO, F. MANCA, introduzione <strong>di</strong> L. Botta, <strong>Savona</strong>.<br />

118


I Domenicani a Finale nel XIX secolo<br />

Sara Badano<br />

La prima soppressione<br />

119<br />

Mementote præpositorum vestrorum,<br />

qui vobis locuti sunt verbum Dei:<br />

quorum intuentes exitum conversationis<br />

imitamini fidem<br />

Heb 13, 7<br />

Il 21 luglio 1798 Giuseppe Scotti, priore del convento <strong>di</strong> Santa Caterina <strong>di</strong><br />

Finale 1 , propone ai frati l’ammissione <strong>di</strong> Vitale Rossi, novizio converso con il<br />

nome <strong>di</strong> fra Serafino, alla professione religiosa: sia il consiglio conventuale,<br />

composto, oltre che dal priore, da Carlo Domenico Cavanna, Annibale Arnal<strong>di</strong><br />

e Pietro Vincenzo Garassini, in qualità <strong>di</strong> segretario, sia il capitolo, formato<br />

oltre ai precedenti, da Domenico Celesia, Alessandro Ranoisio e Ludovico<br />

Folchi, approvano all’unanimità la decisione 2 . Formalmente è l’ultimo atto<br />

della vita conventuale, prima che quasi tutti i frati lascino il convento, privato<br />

dal governo genovese <strong>di</strong> ogni <strong>di</strong>ritto, e quin<strong>di</strong> del possesso dei suoi beni<br />

mobili ed immobili, il 28 maggio 1798 3 . Dopo aver richiesto invano una mo<strong>di</strong>ca<br />

pensione, la maggior parte dei religiosi fu costretta a lasciare il convento 4 :<br />

alcuni ritornarono presso la propria famiglia, come Alessandro Arnal<strong>di</strong> o<br />

Cristoforo Gozo, presso parenti, come Stefano Bertone 5 , o presso altre famiglie<br />

finalesi, come Domenico Vincenzo Maria Cerruti in casa Boiga e Vincenzo<br />

1<br />

BIANCHI 1916, p. 128; MURIALDO 1981; MURIALDO 1983; La chiesa 1982; BERSANI 2004 (gli ultimi<br />

due con bibliografia).<br />

2 APOP-GE, Liber consiliorum 1728-1798, c. 107v.<br />

3 Cenni storici, p. 36.<br />

4 Cenni storici, pp. 38-39.<br />

5 Stefano Carlo Bertone da Final Marina veste l’abito dell’Or<strong>di</strong>ne nel convento <strong>di</strong> Santa Croce<br />

e Tutti i Santi del Bosco a nome del convento <strong>di</strong> Santa Caterina in Finale il 4 <strong>di</strong>cembre 1745 e<br />

prende il nome <strong>di</strong> Nicolò Stefano (APOP-TO, Bosco, Libro delle Vestizioni e Professioni 1740-<br />

1770, c. [130]v); emette la professione religiosa a Bosco il 4 <strong>di</strong>cembre 1746 (ivi, cc. [25]r-[25]v).


Domenico Pastene 6 in casa <strong>di</strong> Gian Battista Cavassola, o tornarono al loro<br />

paese, come Alessandro Ranoisio. Altri esercitarono il loro ministero nei<br />

<strong>di</strong>ntorni: così Raimondo Gherar<strong>di</strong>, che si trasferì come curato presso il parroco<br />

<strong>di</strong> San Biagio, Annibale Carenzi, quin<strong>di</strong> <strong>di</strong>venne parroco <strong>di</strong> Santa Maria in<br />

Fontibus <strong>di</strong> Albenga, così il padre Raimon<strong>di</strong> 7 , che fu parroco <strong>di</strong> Perti fino al<br />

1827, così Ludovico Folchi, che si trasferì a Rialto, così il converso Serafino<br />

Rossi 8 , che andò cameriere nel collegio degli Scolopi <strong>di</strong> Carcare, passando poi<br />

in quello dei Barnabiti <strong>di</strong> Finalmarina. Carlo Cavanna era morto in convento<br />

poco prima della soppressione.<br />

Nel 1798 il convento contava infatti do<strong>di</strong>ci religiosi sacerdoti e faceva parte<br />

della Provincia Utriusque Lombar<strong>di</strong>æ. Questa, che nel 1593 9 era costituita da 75<br />

conventi, 34 monasteri e 22 loca (vicariati o conventini), nel 1784 contava 19<br />

conventi ed 11 monasteri nello Stato Pontificio, 19 tra conventi e vicariati e tre<br />

monasteri nel territorio della Repubblica <strong>di</strong> Genova, sette conventi nel Ducato<br />

<strong>di</strong> Parma, due conventi e due monasteri in quello <strong>di</strong> Modena, per un totale <strong>di</strong><br />

44 conventi e 16 monasteri 10 .<br />

Alcuni frati rimasero in convento per il servizio della chiesa: il 30 marzo<br />

1801 il consiglio conventuale risulta costituito da tre frati, il vicario in capite<br />

Vincenzo Domenico Pastene, Annibale Arnal<strong>di</strong> e Pietro Vincenzo Garassini<br />

(morto in convento nel 1808), cui si deve aggiungere il converso fra Vincenzo<br />

Burlo, che morì “in buona opinione” 11 . Nel 1802 tutti i religiosi professi<br />

ottennero una pensione annua <strong>di</strong> 400 lire <strong>di</strong> Genova ed i conversi una <strong>di</strong> 250,<br />

che assicurò la sopravvivenza ai frati anziani che avevano lasciato il convento;<br />

l’anno successivo Giuseppe Maria Derossi venne da Calizzano, sua patria, nel<br />

convento <strong>di</strong> Finale, dove rimase come superiore fino al decreto imperiale del<br />

6 Nicolò Raffaele Pastene da Genova veste l’abito dell’Or<strong>di</strong>ne nel convento <strong>di</strong> Santa Croce e<br />

Tutti i Santi del Bosco a nome del convento <strong>di</strong> Santa Caterina <strong>di</strong> Finale il 5 settembre 1763 e<br />

prende il nome <strong>di</strong> Domenico Vincenzo (APOP-TO, Bosco, Libro delle Vestizioni e Professioni<br />

1740-1770, c. [118]r); emette la professione religiosa il 5 settembre 1764 (ivi, c. [93]r).<br />

7 Da identificare forse con Maurizio Raimon<strong>di</strong>, al secolo Bartolomeo Girolamo, finalese, che si<br />

presentò a Santa Maria <strong>di</strong> Castello per ricevere l’abito dell’Or<strong>di</strong>ne il 26 luglio 1775 e “morì<br />

dopo il 1816, parroco in una pieve a breve <strong>di</strong>stanza da Finale” (VIGNA 1888, p. 260).<br />

8 Il 31 luglio 1804 rinuncia all’ere<strong>di</strong>tà dei genitori in favore del fratello Pier Francesco in cambio<br />

<strong>di</strong> un vitalizio annuo <strong>di</strong> 30 lire e <strong>di</strong> 12 palmi <strong>di</strong> tela <strong>di</strong> canapa per confezionare una camicia<br />

(APOP-GE, Finale).<br />

9 L’elenco in Or<strong>di</strong>nationes 1593, pp. 9-10.<br />

10 Il quadro della situazione nelle aggiunte manoscritte del 1784 a Series chronologica 1741, cc.<br />

124v-125r.<br />

11 Cenni storici, p. 39.<br />

120


1810, che imponeva ai religiosi <strong>di</strong> lasciare l’abito per quello <strong>di</strong> sacerdote<br />

secolare e <strong>di</strong> abbandonare i conventi entro il primo novembre. Nel 1805 la<br />

chiesa e parte del convento erano stati destinati ad alloggiare le truppe: i frati<br />

si restrinsero in poche stanze ed usarono per le celebrazioni il vicino oratorio<br />

dei Disciplinanti. La chiesa fu svuotata delle immagini e delle suppellettili,<br />

che per la maggior parte furono consegnate al parroco <strong>di</strong> San Biagio, Annibale<br />

Carenzi, il quale le avrebbe restituite quando i frati fossero tornati.<br />

La riapertura del convento<br />

Nell’aprile 1816 morì in Finale Domenico Maria Cerruti 12 , già frate del<br />

convento <strong>di</strong> Santa Caterina: era fratello <strong>di</strong> Angela, moglie <strong>di</strong> Giovanni Gozo<br />

e madre del prevosto <strong>di</strong> San Biagio Francesco Maria. Nel suo testamento lasciò<br />

2.000 lire alla famiglia Boiga, che lo aveva ospitato, ed il resto del proprio<br />

capitale, pari a circa 8.000 lire, per la riapertura del convento <strong>di</strong> Finale; se ciò<br />

non fosse stato possibile, la somma sarebbe andata al convento <strong>di</strong> <strong>Savona</strong> o a<br />

quello <strong>di</strong> Santa Maria <strong>di</strong> Castello. Nel caso in cui nessuno dei tre conventi<br />

fosse stato riaperto, nominò suo erede l’ospedale <strong>di</strong> San Biagio in Finale 13 . I<br />

frati <strong>di</strong> Genova ottennero il 10 maggio 1816 un decreto regio per incamerare<br />

la somma, <strong>di</strong> cui chiesero la registrazione il 24 luglio 14 , ma il 21 giugno 1816 il<br />

Consiglio degli Anziani <strong>di</strong> Finale decise <strong>di</strong> inviare una supplica al re per<br />

chiedere il ritorno dei domenicani a Santa Caterina 15 .<br />

Dalla partenza dei religiosi nel 1810, l’e<strong>di</strong>ficio conventuale era stato a<strong>di</strong>bito<br />

ad alloggio e ospedale delle truppe e anche a carcere. Quest’ultima<br />

destinazione, a causa degli schiamazzi dei reclusi, era invisa alla famiglia<br />

Arnal<strong>di</strong>, il cui palazzo era separato dal convento solo dalla via: per questo il<br />

conte Francesco sostenne il progetto del Consiglio 16 , fino ad ottenere che le<br />

carceri fossero trasferite a Castel San Giovanni 17 .<br />

12 Da identificare con Ambrogio Cerruti da Varazze, che veste l’abito a nome del convento <strong>di</strong><br />

Varazze, provincia <strong>di</strong> San Pietro Martire, nel convento <strong>di</strong> Santa Croce e Tutti i Santi del Bosco<br />

il 29 settembre 1759 prendendo il nome <strong>di</strong> Domenico (APOP-TO, Bosco, Libro delle Vestizioni<br />

e Professioni 1740-1770, c. [121]r) ed emette la professione religiosa a Bosco a nome del<br />

convento <strong>di</strong> Santa Maria Heremitarum <strong>di</strong> Varazze il 30 settembre 1760 (ivi, c. [78]r).<br />

13 Cenni storici, pp. 65-66.<br />

14 APOP-GE, Finale, 42 ed allegati.<br />

15 Cenni storici, pp. 64 e 66.<br />

16 Cenni storici, pp. 64 e 66.<br />

17 Cenni storici, p. 64.<br />

121


Il 4 giugno 1817 la Segreteria <strong>di</strong> Finanze comunicò all’Ispettore<br />

dell’Intendenza e Demanio <strong>di</strong> Genova che il convento <strong>di</strong> Finale sarebbe stato<br />

restituito ai frati 18 ed il 27 giugno 1817 Ludovico Folchi, che viveva a Rialto,<br />

prese possesso, a nome dell’Or<strong>di</strong>ne, <strong>di</strong> parte dell’e<strong>di</strong>ficio e precisamente “il<br />

corridore <strong>di</strong> detto convento da mezzo giorno a tramontana con tutti gli altri<br />

siti annessi dalla parte <strong>di</strong> levante e Giovo, chiesa, sacrestia, cucina a pian<br />

terreno, <strong>di</strong>spensa e corte” 19 .<br />

Il Folchi informò dell’avvenuta presa <strong>di</strong> possesso il maestro dell’Or<strong>di</strong>ne<br />

Pio Giuseppe Gad<strong>di</strong> 20 , che rispose:<br />

Voglio sperare che tutti codesti nostri religiosi la seconderanno ed ella li prega<br />

tutti in mio nome e si consulti cogli stessi, segnatamente i molto reveren<strong>di</strong><br />

padri Pastene e Raimon<strong>di</strong> 21 .<br />

Dal ritorno dei frati al 1836<br />

Ludovico Folchi, “unico superstite de’ figli <strong>di</strong> detto Convento” 22 , <strong>di</strong>venutone<br />

superiore, nonostante la restituzione, continuò a risiedere per la maggior parte<br />

dell’anno a Rialto, recandosi spesso a Finale per officiare nell’oratorio, poiché<br />

la stabilità della chiesa era compromessa, e per seguire i lavori negli e<strong>di</strong>fici<br />

conventuali 23 : infatti dal 1817 al 1825, per renderlo <strong>di</strong> nuovo utilizzabile dai<br />

frati, il complesso conventuale fu sottoposto a notevoli lavori 24 , tra cui, come<br />

è noto, quelli alla chiesa 25 .<br />

Il Folchi, che ne auspicava una parziale ricostruzione come meno onerosa,<br />

venne a contrasto con i finalesi, i quali invece caldeggiavano un progetto che<br />

ne prevedeva la totale ricostruzione: fu scelto come arbitro nella questione il<br />

vescovo <strong>di</strong> <strong>Savona</strong>, il domenicano Giuseppe Vincenzo Airenti, che impose <strong>di</strong><br />

18 Cenni storici, pp. 66-67.<br />

19 Cenni storici, p. 67; il verbale della presa <strong>di</strong> possesso in APOP-GE, Finale, 43.<br />

20<br />

MORTIER 1914, pp. 427-466.<br />

21 Cenni storici, pp. 67-68.<br />

22 Liber consiliorum 1728-1798, c. 113r.<br />

23 I lavori furono pagati sia con i proventi delle terre che il Folchi aveva a Rialto, sia con i frutti<br />

del capitale lasciato allo scopo da Domenico Maria Cerruti (Cenni storici, p. 89). Sul complesso<br />

conventuale <strong>di</strong> Santa Caterina e le sue vicende si veda BALLARÒ, GROSSI 2004, pp. 95-99.<br />

24 Cenni storici, p. 124.<br />

25 Alla fabbrica delle chiesa e ad altri aspetti della storia del convento finalese sarà de<strong>di</strong>cato un<br />

successivo lavoro.<br />

122


costruirla nella attuale forma, conservando i quattro muri maestri dell’antica<br />

chiesa 26 .<br />

L’Airenti 27 , nativo <strong>di</strong> Dolcedo e figlio del convento <strong>di</strong> Santa Maria delle<br />

Misericor<strong>di</strong>e in Taggia, già bibliotecario casanatense e postulatore delle cause<br />

dei santi dell’Or<strong>di</strong>ne, <strong>di</strong>venuto vescovo <strong>di</strong> <strong>Savona</strong> nel 1820, molto si adoperò<br />

per la riapertura del convento <strong>di</strong> Finale: volendo favorire i rapporti tra i<br />

finalesi ed i frati, turbati dai <strong>di</strong>ssensi con il superiore Folchi per i lavori della<br />

chiesa, ottenne che il priore della Provincia utriusque Lombar<strong>di</strong>ae Tommaso<br />

Giacinto Cipolletti (poi maestro dell’Or<strong>di</strong>ne dal 1835 al 1838) 28 chiamasse come<br />

nuovo superiore dal convento <strong>di</strong> San Marco in Firenze Tommaso Vincenzo<br />

Longhi 29 , albenganese, suo grande amico 30 , ed inviò a Finale paramenti,<br />

provenienti dall’ere<strong>di</strong>tà Bartoli, e libri, in genere appartenuti al convento <strong>di</strong><br />

<strong>Savona</strong> 31 . Fu Airenti stesso, ormai arcivescovo <strong>di</strong> Genova, a riconciliare la<br />

nuova chiesa il 23 aprile 1831: per l’occasione, ricorrendo la festa <strong>di</strong> San<br />

Vincenzo Ferrer, pronunciò il panegirico del Santo il provinciale Cipolletti,<br />

che si trovava a Finale per la visita canonica 32 .<br />

Nel 1826, terminati i lavori in convento, il Folchi si era trasferito a Finale<br />

insieme con il “terzino” Vincenzo Cirio, originario <strong>di</strong> Rialto, e a Vincenzo<br />

Ferrari, converso professo, <strong>di</strong> Castellaro <strong>di</strong> Taggia. All’inizio del 1830, come<br />

si è visto, arrivò come superiore Tommaso Vincenzo Longhi, che rimase a<br />

Finale fino al maggio 1832. Il 25 agosto 1831 fu assegnato a Finale Luigi<br />

Canegalli, lettore in teologia e “molto capace nella pre<strong>di</strong>cazione”, originario<br />

<strong>di</strong> Tortona, che vi rimase alcuni anni (morì a Civitavecchia nel 1842, “ancor<br />

giovane”) 33 .<br />

26 Liber consiliorum 1728-1798, cc. 113r-113v.<br />

27 Su Giuseppe Vincenzo Airenti si vedano APOP-BO, I, 16506, 1800-1862, n° 148; VIGNA, 1886,<br />

pp. 161-165, 324-328, 368-371, 406-407, 428; VIGNA 1887, pp. 432-443; FRAIKIN 1912, coll. 1215-<br />

1216; RITZLER, SEFRIN 1968, pp. 334 e 220; ORESTE 1960.<br />

28 Sui tre anni <strong>di</strong> generalato <strong>di</strong> Tommaso Giacinto Cipolletti si veda MORTIER 1914, pp. 476-479.<br />

29 Era figlio del convento <strong>di</strong> Santa Maria <strong>di</strong> Castello, <strong>di</strong> cui fu priore nel biennio 1795-1797; fu<br />

inquisitore a Pesaro e morì quasi nonagenario a Faenza nel 1839 (VIGNA 1886, pp. 160, 192 e<br />

245; VIGNA 1888, p. 259). Nel capitolo provinciale della Provincia utriusque Lombar<strong>di</strong>æ del 1826<br />

il primo dei “vocales in Provincia electi” è l’“Ad.R.P. Magister Fr. Vincentius Longhi, prior<br />

Forolivii” (Acta capituli 1826, p. 10).<br />

30 Liber consiliorum 1728-1798, c. 113v.<br />

31 Cenni storici, pp. 111-112.<br />

32 Liber consiliorum 1728-1798, c. 114r; Cenni storici, pp. 103-104.<br />

33 Cenni storici, p. 124.<br />

123


Tra la fine del XVIII secolo e i primi decenni del XIX i conventi liguri erano<br />

coor<strong>di</strong>nati da un vicario, il primo dei quali fu Angelo Vincenzo Dania 34 , cui<br />

succedette il priore <strong>di</strong> Genova, Girolamo Silvani 35 .<br />

Il capitolo provinciale del 1828 stabilì che le parrocchie e le case prive del<br />

numero sufficiente <strong>di</strong> religiosi <strong>di</strong>pendessero dal convento più vicino, al cui<br />

superiore avrebbero presentato almeno quattro volte all’anno il ren<strong>di</strong>conto<br />

della propria amministrazione: il convento <strong>di</strong> Finale fu sottoposto a quello <strong>di</strong><br />

Genova 36 .<br />

Il 10 maggio 1832 Pio Eusebio Sibilla 37 , che all’inizio <strong>di</strong> quello stesso anno<br />

era stato nominato dal maestro dell’Or<strong>di</strong>ne superiore della provincia <strong>di</strong> San<br />

Pietro Martire (si <strong>di</strong>metterà nel settembre dello stesso anno, rimettendo la<br />

propria autorità alla visita apostolica) e, dopo il 15 aprile, vicario dei conventi<br />

liguri, istituì il Folchi superiore del convento <strong>di</strong> Finale, proibendogli però <strong>di</strong><br />

darne notizia e <strong>di</strong> esercitare l’autorità connessa all’ufficio prima della partenza<br />

<strong>di</strong> Tommaso Vincenzo Longhi. Il 21 <strong>di</strong>cembre 1833 lo stesso Sibilla assegna<br />

Luigi Canegalli ad Alassio ed a Finale “il Padre Lettore Sghirla”; pochi giorni<br />

dopo, probabilmente rispondendo ad una lettera del superiore, esorta il Folchi<br />

a permettere la partenza del Canegalli e ad accogliere lo Sghirla,<br />

ma se questi ricusasse <strong>di</strong> stare ai suoi or<strong>di</strong>ni, alla prima che fa lo licenzi pure<br />

dal convento e gli intimi a mio nome <strong>di</strong> partirsene per la sua Provincia<br />

Romana, perché io non permetterò mai né posso permettere che religiosi<br />

obbligati per ogni titolo a servire la Religione le siano solo d’aggravio, senza<br />

prestarsi a nulla ed assai spesso prestandosi ad oggetto solo <strong>di</strong> farle perdere<br />

il cre<strong>di</strong>to 38 .<br />

34 Su Angelo Vincenzo Dania, vicario del Sant’Ufficio <strong>di</strong> Genova quin<strong>di</strong> vescovo <strong>di</strong> Albenga<br />

dal 1802 al 1818, si vedano VIGNA 1886, pp. 89-90, 315-324, 367 (dove è chiamato Diana), 404-<br />

405; VIGNA 1887, pp. 423-432; CODIGNOLA 1941, I, pp. CXIX-CXX e 617-618 nota 2; RITZLER,<br />

SEFRIN 1968, p. 66; ASSERETO 1986; CALZAMIGLIA 2000.<br />

35 Morì a 67 anni il 16 novembre 1829 (VIGNA 1886, p. 161; si vedano anche le pp. 102 e 405 e<br />

VIGNA 1888, pp. 261-262).<br />

36 “Cum autem in Provincia utriusque Lombar<strong>di</strong>æ nonnullæ existant domus, in quibus deest<br />

sufficiens numerus Patrum Discretorum et etiam aliquae Paraeciae, postulat rerum ordo ut<br />

tam Paraeciae quam domus viciniori Conventui subiaceant, cuius Praesi<strong>di</strong> de economica<br />

earum administratione et de a<strong>di</strong>mpletis Missarum oneribus, saltem quater in anno, reddant<br />

rationes eorum Patribus Discretis. Praefatae autem rationes reddantur in conventibus iuxta<br />

Ecclesiasticas Sanctiones eisque Patres <strong>di</strong>screti adesse teneantur. Eapropter […] Domus Finarii<br />

et Paraeciae Corneliani [subiectae sint] Conventui Genuae […]” (Acta capituli 1829, pp. 7-8).<br />

37<br />

VALLARO 1929, p. 49; BENEDICENTI 2002, pp. 318, 323, 328.<br />

38 Cenni storici, pp. 125-126.<br />

124


Nel 1834 tornò da Genova il converso Serafino Rossi, figlio del convento<br />

<strong>di</strong> Finale. Il 20 luglio 1834 Pio Eusebio Sibilla, che aveva mantenuto l’incarico<br />

<strong>di</strong> vicario per i conventi liguri, chiede al Folchi “<strong>di</strong> eseguire senza replica e<br />

dentro lo spazio <strong>di</strong> 24 ore l’or<strong>di</strong>ne qui contenuto” contro “il padre studente<br />

Piccaluga” 39 ed il 4 ottobre dello stesso anno gli or<strong>di</strong>na <strong>di</strong> privare dell’abito “il<br />

terzino Vincenzo Cirio <strong>di</strong> Rialto e <strong>di</strong> non ammetterlo mai al noviziato” 40 .<br />

Ma un convento, per reggersi, aveva bisogno <strong>di</strong> un sostegno economico:<br />

con l’aiuto del vescovo Airenti, il Folchi presentò una supplica al re per<br />

ottenere “un perenne sussi<strong>di</strong>o”, sia per il restauro della chiesa, sia per il<br />

mantenimento dei religiosi. Il 23 luglio 1825 fu deciso che sarebbero stati<br />

restituiti al convento i beni demaniali già appartenuti allo stesso e rimasti<br />

invenduti, a con<strong>di</strong>zione che i frati sod<strong>di</strong>sfacessero i legati da cui essi<br />

risultassero gravati 41 ; il 25 luglio il vescovo <strong>di</strong> <strong>Savona</strong> comunicò la decisione<br />

al Folchi e il 13 agosto il vice ispettore Bruzzo lo informò che sarebbero stati<br />

<strong>di</strong>smessi a favore del convento:<br />

1° Una pezza bosco <strong>di</strong> giornate 27, tavole 37, detta Campo Lungo, in territorio<br />

<strong>di</strong> Calizzano. 2° Una quantità <strong>di</strong> beni e censi per l’annuo red<strong>di</strong>to complessivo<br />

<strong>di</strong> lire 1.019.2 42 .<br />

Il 26 agosto 1825 i beni furono formalmente consegnati ai frati; altri “articoli<br />

demaniali” furono loro ceduti il 21 luglio 1826 e consegnati al Folchi il 22<br />

agosto dello stesso anno. Alcuni <strong>di</strong> questi red<strong>di</strong>ti risultarono inesigibili ed il<br />

Folchi, grazie alla sua amicizia personale con Luigi Somis, intendente <strong>di</strong><br />

Albenga, che gli suggerì <strong>di</strong> rivolgersi <strong>di</strong>rettamente al sovrano e <strong>di</strong> trattare con<br />

il conte Barbaroux, segretario <strong>di</strong> gabinetto del re, il 4 aprile 1827 presentò una<br />

supplica, sollecitando ulteriori sussi<strong>di</strong>. I tentativi del superiore furono premiati<br />

e il 27 maggio 1829 fu assegnata al convento la dote <strong>di</strong> 1.300 lire nuove <strong>di</strong><br />

Piemonte, in parte attraverso la <strong>di</strong>smissione <strong>di</strong> censi (704 lire), in parte<br />

attraverso una cedola del debito pubblico; la <strong>di</strong>smissione avvenne il 14 giugno<br />

dello stesso anno 43 .<br />

39 Cenni storici, p. 126.<br />

40 Cenni storici, pp. 126-127.<br />

41 Cenni storici, p. 89.<br />

42 Cenni storici, p. 90.<br />

43 Cenni storici, pp. 89-96.<br />

125


La visita apostolica<br />

Il 25 settembre 1832 un breve <strong>di</strong> Gregorio XVI costituisce la Delegazione<br />

apostolica incaricata <strong>di</strong> visitare i Regolari <strong>di</strong> Terraferma del Regno <strong>di</strong> Sardegna,<br />

cioè i religiosi <strong>di</strong> Piemonte, Nizza, Savoia e Liguria. Ne fanno parte il car<strong>di</strong>nale<br />

Giuseppe Morozzo, vescovo <strong>di</strong> Novara, visitatore, e, con il titolo <strong>di</strong> covisitatori,<br />

Luigi Fransoni, arcivescovo <strong>di</strong> Torino, e Placido Maria Ta<strong>di</strong>ni, arcivescovo <strong>di</strong><br />

Genova 44 . La visita segue quella ai regolari <strong>di</strong> Sardegna nonché i<br />

provve<strong>di</strong>menti per il clero <strong>di</strong>ocesano nel quadro del rior<strong>di</strong>no voluto in materia<br />

dai sovrani sabau<strong>di</strong>.<br />

In previsione della visita apostolica, il 7 <strong>di</strong>cembre 1832 Pio Eusebio Sibilla<br />

aveva chiesto al Folchi “una nota dell’entrate fisse ed avventizie” del<br />

convento, nonché dei legati gravanti su <strong>di</strong> esso 45 . Il 18 maggio 1833 il canonico<br />

Vercellone, <strong>di</strong> Genova, su incarico dell’arcivescovo Ta<strong>di</strong>ni, visitò il convento<br />

<strong>di</strong> Finale, esaminandone i libri contabili 46 .<br />

La relazione della visita apostolica, trasmessa a Roma nel 1834 dal car<strong>di</strong>nale<br />

Morozzo e dall’arcivescovo <strong>di</strong> Genova Ta<strong>di</strong>ni, segnalò che il convento, in cui<br />

vivevano due sacerdoti e due conversi, aveva il red<strong>di</strong>to <strong>di</strong> 2.205 lire, che era<br />

ampio e che sarebbe stato possibile ingran<strong>di</strong>rlo ulteriormente. L’abile<br />

amministrazione <strong>di</strong> Ludovico Folchi aveva lasciato, dopo tutte le spese<br />

affrontate, un debito <strong>di</strong> sole 4.386 lire. I finalesi desideravano la permanenza<br />

in città dei frati 47 . Infatti, poiché tutti i conventi liguri, tranne quello <strong>di</strong> Genova,<br />

contavano un numero esiguo <strong>di</strong> religiosi, ritenuto insufficiente per il buon<br />

andamento della vita comune 48 , i visitatori avevano proposto <strong>di</strong> sopprimere<br />

quelli <strong>di</strong> Taggia, Alassio e Varazze e <strong>di</strong> concentrare i religiosi nei conventi <strong>di</strong><br />

Genova e <strong>di</strong> Finale 49 . Nessun convento fu soppresso 50 .<br />

44 Segreteria <strong>di</strong> Stato, Sezione per i Rapporti con gli Stati, Archivio Storico, Congregazione<br />

degli Affari Ecclesiastici Straor<strong>di</strong>nari, Regno <strong>di</strong> Sardegna, 1833-1839, pos. 102, fasc. 42, c. 78r.<br />

45 Cenni storici, p. 125.<br />

46 Cenni storici, p. 129.<br />

47 S.RR.SS., AA.EE.SS., Regno <strong>di</strong> Sardegna, 1833-1839, pos. 102, fasc. 43, c. 71v; S.RR.SS., AA.EE.SS.,<br />

Regno <strong>di</strong> Sardegna, 1833-1839, pos. 102, fasc. 46, p. 16 del fascicolo a stampa.<br />

48 I visitatori avevano stabilito il criterio dell’opportunità <strong>di</strong> sopprimere i conventi che per<br />

ragioni economiche o <strong>di</strong> spazio non potessero ospitare più <strong>di</strong> otto sacerdoti e quattro conversi<br />

(S.RR.SS., AA.EE.SS., Regno <strong>di</strong> Sardegna, 1833-1839, pos. 102, fasc. 43, c. 53v).<br />

49 S.RR.SS., AA.EE.SS., Regno <strong>di</strong> Sardegna, 1833-1839, pos. 102, fasc. 43, c. 72v.<br />

50 La proposta <strong>di</strong> soppressione dei visitatori era stata accettata per il solo convento <strong>di</strong> Alassio<br />

(S.RR.SS., AA.EE.SS., Regno <strong>di</strong> Sardegna, 1833-1839, pos. 102, fasc. 46, p. 44 del fascicolo a<br />

stampa).<br />

126


La visita fu <strong>di</strong>chiarata chiusa dal car<strong>di</strong>nale Morozzo il 27 gennaio 1838 ed<br />

il 31 gennaio il provinciale Tommaso Ghilar<strong>di</strong> 51 (poi vescovo <strong>di</strong> Mondovì) inviò<br />

al superiore <strong>di</strong> Finale copia della lettera <strong>di</strong> chiusura perché fosse letta ai frati,<br />

notificando così che egli rientrava in possesso della propria intera autorità 52 .<br />

L’unione dei conventi liguri alla Provincia <strong>di</strong> San Pietro Martire<br />

La visita apostolica del 1834 aveva stabilito che non era possibile unire i<br />

conventi del Genovesato a quelli del Piemonte, dal momento che in Liguria i<br />

frati vivevano la vita privata, amministrando personalmente il loro peculio 53 ,<br />

mentre i loro confratelli piemontesi avevano scelto la vita comune, mettendo<br />

appunto in comune le risorse personali <strong>di</strong> ciascuno 54 . Ma <strong>di</strong> questa unione si<br />

continuò a parlare, tanto più che avrebbe raccolto in una sola compagine tutti<br />

i conventi domenicani esistenti nei domini <strong>di</strong> terraferma del re <strong>di</strong> Sardegna.<br />

Il commissario apostolico dei conventi piemontesi, Tommaso Ghilar<strong>di</strong>, si<br />

<strong>di</strong>chiarò favorevole solo a patto che si introducesse nei conventi liguri la vita<br />

comune, in<strong>di</strong>cando come mezzi la volontà del papa, del re e del maestro<br />

dell’Or<strong>di</strong>ne, affinché nessuno trovasse appigli nel rifiutarla, che il superiore<br />

della provincia in visita canonica proponesse ai frati <strong>di</strong> accettare la vita<br />

comune e che quanti la rifiutassero fossero concentrati in un solo convento o,<br />

se in numero esiguo, fossero assegnati ad un’altra Provincia 55 .<br />

Il 4 settembre 1836 il visitatore apostolico Giuseppe Morozzo decretò<br />

l’unione 56 dei conventi del Genovesato alla nuova Provincia <strong>di</strong> San Pietro<br />

Martire, che nel 1834 aveva celebrato il primo capitolo provinciale dopo la<br />

51 IGHINA 1873; Acta capituli 1892, pp. 20-22; GIORDANINO 1906; VALLARO 1929, pp. 59-62; RULLA<br />

1942; GRISERI 1999; BENEDICENTI 2002, pp. 324, 327, 334-335, 359-360. Si veda anche BORGHESE<br />

1957. Sulle proposte <strong>di</strong> monsignor Ghilar<strong>di</strong>, già vescovo, per la riforma dell’Or<strong>di</strong>ne in Italia si<br />

veda ESPOSITO 1989, in particolare le pp. 218-227.<br />

52 Cenni storici, pp. 129-130.<br />

53 “In questo convento, come negli altri quattro, non iscorgesi traccia <strong>di</strong> vita comune:<br />

ciaschedun religioso tiene il suo peculio, <strong>di</strong> cui <strong>di</strong>spone ad arbitrio: chi più ne ha o ne<br />

guadagna, più ne spende” (S.RR.SS., AA.EE.SS., Regno <strong>di</strong> Sardegna, 1833-1839, pos. 102, fasc.<br />

43, c. 71r).<br />

54 “Il sistema <strong>di</strong> communione perfetta, che era stata introdotta spontaneamente in tutti i<br />

conventi, ora è abbracciata anche dai pochi che in comunione privata vivevano nel convento<br />

<strong>di</strong> Chieri” (S.RR.SS., AA.EE.SS., Regno <strong>di</strong> Sardegna, 1933-1839, pos. 102, fasc. 42, c. 94r).<br />

55 AGOP, XIII. 5122, cc. 237r-239r, c. 238v.<br />

56 VALLARO 1929, pp. 72-74.<br />

127


iapertura dei conventi: alcuni frati, come i fratelli genovesi Tommaso 57 e<br />

Giacinto Angelo 58 Celle, si trasferirono presso altri conventi della Provincia<br />

utriusque Lombar<strong>di</strong>ae.<br />

L’11 settembre 1836 il priore provinciale Tommaso Ghilar<strong>di</strong> inviò da Torino<br />

copia autentica del decreto del visitatore al superiore <strong>di</strong> Finale, Ludovico<br />

Folchi, chiedendogli “nota degli in<strong>di</strong>vidui componenti cotesta Religiosa<br />

Famiglia, loro età ed impiego” e <strong>di</strong> far cantare a compieta, dopo la Salve Regina,<br />

l’antifona <strong>di</strong> San Pietro Martire O Martyr egregie, in onore del patrono della<br />

Provincia <strong>di</strong> cui il convento era entrato a far parte 59 .<br />

Il convento dopo il 1836<br />

Il capitolo provinciale del 1837, in base alle ren<strong>di</strong>te del convento, stabilisce a<br />

Finale il numero massimo <strong>di</strong> 6 religiosi 60 e ne fissa la tassa alla Provincia in 25<br />

lire annue 61 ; il successivo capitolo, nel 1840, aumenta a 10 il numero dei frati 62<br />

e a 60 lire la tassa 63 . Nel 1843 il numero dei religiosi, in conseguenza delle<br />

<strong>di</strong>fficoltà economiche, è portato a 4: è il convento meno numeroso della<br />

Provincia 64 . Nel 1852 il numero dei frati 65 è portato a 7 e la tassa provinciale a<br />

40 lire annue 66 .<br />

Il capitolo del 1837 assegna a Finale come pre<strong>di</strong>catore annuale e promotore<br />

del rosario 67 Lodovico Voarino; il 6 ottobre dello stesso anno vengono inviati<br />

a Finale perché vi stu<strong>di</strong>no dogmatica e morale sotto la guida <strong>di</strong> Vincenzo<br />

Cassini il sacerdote Domenico Almando 68 , torinese, e gli studenti professi<br />

57 Fu parroco della chiesa <strong>di</strong> San Domenico in Modena per trentasei anni e priore provinciale<br />

della Provincia utriusque Lombar<strong>di</strong>æ nel triennio 1855-1858 (VIGNA 1886, pp. 166, 192, 212; VIGNA<br />

1888, pp. 266).<br />

58 Fu eletto priore del convento <strong>di</strong> Bologna nel 1855 e nel 1861 e provinciale <strong>di</strong> Lombar<strong>di</strong>a nel<br />

1865 (VIGNA 1886, pp. 96-98, 166-167, 184, 192, 212-213, 371-372, 410; VIGNA 1888, p. 266).<br />

59 Cenni storici, p. 127.<br />

60 Acta capituli 1837, p. 15.<br />

61 Acta capituli 1837, p. 16.<br />

62 Acta capituli 1840, p. 13.<br />

63 Acta capituli 1840, p. 13; la tassa è invariata in Acta capituli 1843, p. 7 e in Acta capituli 1846, p. 9.<br />

64 Acta capituli 1843, p. 10.<br />

65 Acta capituli 1852, p. 18.<br />

66 Acta capituli 1852, p. 19.<br />

67 Acta capituli 1837, p. 17.<br />

68 Proveniva dal convento <strong>di</strong> Trino e fu assegnato l’8 ottobre 1837 (secondo Acta Provinciæ,<br />

p. 67). Su <strong>di</strong> lui si veda VALLARO 1933, p. 62.<br />

128


Lodovico Brignone, finalese, Vincenzo Montarolo da Trino, Filomeno Cassini<br />

e Lodovico Roletti 69 , che sono alloggiati nel noviziato, appositamente<br />

restaurato. L’anno successivo tre <strong>di</strong> essi, tranne il Brignone, ed il loro maestro 70<br />

furono assegnati nel convento <strong>di</strong> Genova 71 . L’11 <strong>di</strong>cembre 1837 fu assegnato a<br />

Finale il “terziario laico” Francesco Vincenzo Cassatone, che vi si fermò per<br />

breve tempo 72 .<br />

Il 14 gennaio 1838 il provinciale Ghilar<strong>di</strong>, in visita canonica a Finale,<br />

trasferisce a Taggia Domenico Massoletti 73 ; il 15 febbraio costituisce priore <strong>di</strong><br />

Finale Ludovico Folchi 74 . Nel 1838 arrivano a Finale alcuni frati spagnoli, che<br />

la Provincia aveva accolto 75 dopo la soppressione dei conventi <strong>di</strong> quel paese,<br />

avvenuta nel 1836: il 31 marzo vi è assegnato da Torino il converso Giacomo<br />

Colomer, il 16 ottobre 76 da Varazze Francesco Simon e Lodovico Bertran ed il<br />

31 <strong>di</strong>cembre Salvatore Alert come docente per gli studenti sopra ricordati 77 .<br />

Il 27 gennaio 1839 78 muore nel convento <strong>di</strong> Finale, <strong>di</strong> cui era priore,<br />

Lodovico Folchi: è nominato vicario Lodovico Bertran, che insieme a<br />

Francesco Simon, Ludovico Brignone ed ai conversi Serafino Rossi e Vincenzo<br />

Ferrari componeva la famiglia conventuale; Tommaso Salua 79 , assegnato come<br />

pre<strong>di</strong>catore il 15 gennaio 80 , <strong>di</strong>venterà sindaco del convento.<br />

Il 10 marzo 1839 81 viene inviato come superiore Tommaso Schiara 82 , che,<br />

essendo stato eletto priore del convento <strong>di</strong> Genova e confermato dal<br />

provinciale Ghilar<strong>di</strong> il 4 luglio 1839 83 , a metà luglio lascia l’incarico 84 ; il 9 luglio 85<br />

69 Lodovico Roletti è assegnato a Finale da Torino il 17 febbraio 1838 (Acta Provinciæ, p. 71).<br />

70 Domenico Almando è assegnato a Torino da Finale il 10 ottobre 1838 (Acta Provinciæ, p. 73).<br />

71 Ludovico Maria Roletti e Vincenzo Montarolo sono assegnati a Genova il 30 novembre 1838<br />

(Acta Provinciæ, p. 75).<br />

72 Cenni storici, p. 129.<br />

73 Acta Provinciæ, p. 70.<br />

74 Acta Provinciæ, p. 71.<br />

75<br />

VALLARO 1929, pp. 76-78.<br />

76 L’11 novembre secondo Acta Provinciæ, p. 74.<br />

77 Cenni storici, p. 131.<br />

78 Il 28 gennaio secondo i Cenni storici, p. 133, il 27 nel necrologio, datato 31 gennaio 1839<br />

(APOP-GE, Finale).<br />

79 Cenni storici, p. 133.<br />

80 Acta Provinciæ, p. 77; Cenni storici, p. 133.<br />

81 Acta Provinciæ, p. 77; Cenni storici, p. 133.<br />

82 Su Tommaso Schiara (1773-1854) si veda VALLARO 1929, pp. 50-51.<br />

83 Acta Provinciæ, p. 78.<br />

84 Cenni storici, p. 135.<br />

85 Acta Provinciæ, p. 78.<br />

129


successivo viene nominato superiore <strong>di</strong> Finale Pio Michele Raggi, boschese,<br />

che rimane in carica fino al febbraio 1840, quando parte per Genova: “quivi [a<br />

Finale] pativa male <strong>di</strong> denti” 86 . Il 29 maggio 1839 è or<strong>di</strong>nato sacerdote ad Acqui<br />

Lodovico Brignone, che nell’agosto 1840 è assegnato a Finale 87 ; nell’agosto 1839<br />

arriva dalla Sardegna “il novizio Pitzalis”, che stu<strong>di</strong>a a Finale sotto la guida <strong>di</strong><br />

Salvatore Alert ed è or<strong>di</strong>nato sacerdote a <strong>Savona</strong> il 14 marzo 1840 88 . Il 12<br />

<strong>di</strong>cembre 1839 il priore provinciale Ghilar<strong>di</strong> visita il convento <strong>di</strong> Finale 89 e nello<br />

stesso mese vi assegna il converso professo Antonino Perino, poirinese 90 .<br />

Dal febbraio al novembre 1840 è superiore Francesco Simon, spagnolo 91 . Il<br />

27 novembre 1840 il provinciale Pietro Neirone 92 visita il convento insieme a<br />

Giordano Gioda: vi istituisce superiore 93 Lodovico Voarino, che il 30<br />

novembre 94 arriva da Varazze e rimane in carica dal primo <strong>di</strong>cembre all’agosto<br />

1841 95 , risiedendo in convento fino al 20 novembre 1842 96 .<br />

Il 30 novembre 1840 è assegnato a Finale da Varazze lo spagnolo Emanuele<br />

Salvago, che il 27 agosto 1841 97 è <strong>di</strong> nuovo trasferito a Varazze, dove ritorna il<br />

primo settembre 98 ; lo stesso giorno 99 o il 2 <strong>di</strong>cembre 100 viene assegnato a Finale<br />

il converso Raimondo Bordon; il 9 <strong>di</strong>cembre 1840 parte per Varazze Francesco<br />

Simon 101 .<br />

Il 16 maggio 1841 è assegnato a Finale Vincenzo Montarolo, trinese, che<br />

nell’agosto <strong>di</strong>venta superiore, rimanendo in carica fino al 25 luglio 1843 102 . Il<br />

21 ottobre 1841 il priore provinciale Pietro Neirone visita il convento 103 ed il<br />

86 Cenni storici, p. 135.<br />

87 Cenni storici, p. 136.<br />

88 Cenni storici, p. 136.<br />

89 Acta Provinciæ, p. 81.<br />

90 Cenni storici, p. 136.<br />

91 Cenni storici, p. 135.<br />

92<br />

VALLARO 1929, pp. 86-87; BENEDICENTI 2002, pp. 324, 336.<br />

93 Il 29 novembre (Acta Provinciæ, p. 85); secondo i Cenni storici, p. 135, sarebbe stato eletto il<br />

primo <strong>di</strong>cembre.<br />

94 Cenni storici, p. 137.<br />

95 Cenni storici, p. 135.<br />

96 Nel 1841 pre<strong>di</strong>ca il quaresimale in San Biagio (Cenni storici, p. 135).<br />

97 Acta Provinciæ, p. 87.<br />

98 Cenni storici, p. 137.<br />

99 Cenni storici, p. 137.<br />

100 Acta Provinciæ, p. 85.<br />

101 Cenni storici, p. 137.<br />

102 Cenni storici, p. 137.<br />

103 Acta Provinciæ, p. 87.<br />

130


22 ottobre parte per Taggia Tomaso Sallua 104 ; il 26 ottobre lascia il convento il<br />

converso Vincenzo Ferrari, che torna a casa con il sostegno economico della<br />

Provincia e continuando a vestire l’abito “per non avere la possibilità <strong>di</strong><br />

comprarsi altre vesti secolari” 105 ; il 30 ottobre è assegnato a Varazze il converso<br />

spagnolo Raimondo Bordon 106 . Nel novembre 1841 arriva a Finale Pietro<br />

Rovera da Villafalletto “per servire il convento ed essere in<strong>di</strong> vestito da<br />

converso me<strong>di</strong>ante un congruo annuo livello” 107 : fa vestizione il 24 maggio<br />

1843, obbligandosi a provvedersi a proprie spese il vestiario e a pagare al<br />

convento un livello annuo <strong>di</strong> 150 lire, avendo circa quarant’anni 108 . Il 4 giugno<br />

1842 109 è assegnato a Finale da Torino Filomeno Cassini da Sanremo, che vi<br />

rimane fino alla sua partenza per Taggia, il 27 febbraio 1843 110 ; il 27 ottobre<br />

1842 111 Lodovico Voarino è assegnato al convento <strong>di</strong> Genova e nello stesso<br />

giorno è assegnato a Finale da Genova Domenico Salvatore Ferraris da<br />

Moncalvo (cugino del superiore Montarolo), riassegnato a Genova il 12<br />

febbraio 1843 112 , dove ritorna il 27 febbraio 113 . Da questa data cessa l’ufficiatura<br />

corale, giacché il provinciale, che fino allora aveva sopperito alla povertà del<br />

convento con “soccorsi pecuniari”, non essendo più in grado <strong>di</strong> continuare,<br />

assegna altrove alcuni frati: rimangono a Finale solo il superiore Montarolo<br />

ed il sacerdote spagnolo Lodovico Bertran 114 .<br />

La situazione economica<br />

Poco dopo l’unione alla Provincia <strong>di</strong> San Pietro Martire si manifestarono<br />

notevoli <strong>di</strong>fficoltà economiche: il 13 gennaio 1838 il priore provinciale<br />

Tommaso Ghilar<strong>di</strong>, visitando il convento con il suo socio Raimondo<br />

Garabelli 115 , trovò che il convento aveva un deficit <strong>di</strong> 1.789,86 lire. La somma<br />

104 Cenni storici, p. 137.<br />

105 Cenni storici, pp. 137-138.<br />

106 Acta Provinciæ, p. 87.<br />

107 Cenni storici, p. 137.<br />

108 Cenni storici, p. 148.<br />

109 Acta Provinciæ, p. 88; il 4 luglio in Cenni storici, p. 139.<br />

110 Cenni storici, pp. 139 e 144.<br />

111 Acta Provinciæ, p. 89.<br />

112 Acta Provinciæ, p. 90.<br />

113 Cenni storici, p. 144.<br />

114 Cenni storici, p. 144.<br />

115<br />

VALLARO 1929, pp. 87-89; BENEDICENTI 2002, pp. 336, 340.<br />

131


fu pagata da Lodovico Folchi con il proprio deposito perché il convento fosse<br />

libero da debiti 116 ed il provinciale, a partire dal 1838, assegnò al convento la<br />

somma <strong>di</strong> 1.000 lire annue in quanto vi <strong>di</strong>morava un numero <strong>di</strong> frati superiore<br />

a quello che esso avrebbe potuto sostentare. In conseguenza <strong>di</strong> tali <strong>di</strong>fficoltà<br />

fu <strong>di</strong>minuito a 4 il numero dei frati assegnati.<br />

Il 27 febbraio 1839, un mese dopo la morte <strong>di</strong> Lodovico Folchi, i suoi fratelli,<br />

canonico Giovanni Battista e Tommaso fu Luigi, cedettero al convento i beni<br />

<strong>di</strong> Rialto, da loro acquistati con il denaro del fratello domenicano, a con<strong>di</strong>zione<br />

che, in caso <strong>di</strong> soppressione del convento, essi sarebbero passati alla collegiata<br />

<strong>di</strong> San Biagio; questa clausola non fu accettata dai frati e quin<strong>di</strong> soppressa<br />

nell’atto <strong>di</strong> cessione.<br />

Alla morte del Folchi, l’ex terzino Vincenzo Cirio, che lo aveva assistito<br />

durante l’ultima malattia e che ne conduceva i beni a Rialto, avanzò richieste<br />

<strong>di</strong> ere<strong>di</strong>tà: nel 1841 i frati gli rinnovarono l’affitto <strong>di</strong> detti beni per 9 anni <strong>di</strong>etro<br />

pagamento <strong>di</strong> 80 lire all’anno; qualora i frati avessero deciso <strong>di</strong> venderli prima<br />

della scadenza, gli avrebbero pagato 400 lire 117 .<br />

Il 12 agosto 1842 i beni <strong>di</strong> Rialto furono venduti per la somma <strong>di</strong> 4.947,60<br />

lire nuove <strong>di</strong> Piemonte ed il 29 agosto dello stesso anno fu acquistata da<br />

Costantino Giaccheri la villa Inopiano per 10.000 lire nuove, <strong>di</strong> cui 500 lire<br />

furono lasciate dallo stesso Giaccheri alla sacrestia <strong>di</strong> Santa Caterina. Le 4.000<br />

lire che mancavano al convento sulle 10.000 necessarie all’acquisto, furono<br />

prestate dal converso Serafino Rossi, cui fu garantito il rimborso sulla ven<strong>di</strong>ta<br />

dei beni <strong>di</strong> Calizzano, che insieme a quelli <strong>di</strong> Quiliano furono alienati nel<br />

1843 118 .<br />

Una parte del ricavato <strong>di</strong> queste ven<strong>di</strong>te, pari a 5.500 lire, il 13 marzo 1847<br />

fu data a mutuo per cinque anni “coll’interesse legale” ad Annibale Botta,<br />

esattore del mandamento <strong>di</strong> Bosco, <strong>di</strong>etro ipoteca dei suoi fon<strong>di</strong> nel comune<br />

<strong>di</strong> Carcare, mentre con 2.800 lire fu acquistato il piano in regione San Lazzaro<br />

nel comune <strong>di</strong> Gorra 119 .<br />

116 Cenni storici, p. 136.<br />

117 Cenni storici, pp. 133-134.<br />

118 Cenni storici, p. 139; si veda anche p. 149.<br />

119 Cenni storici, p. 165.<br />

132


Raimondo Varia presidente del convento <strong>di</strong> Finale (1843-1850)<br />

Il 19 luglio 1843 il priore provinciale Raimondo Garabelli nomina superiore<br />

del convento <strong>di</strong> Santa Caterina in Finale 120 Raimondo Giuseppe Varia, che<br />

prende possesso della carica il 25 luglio 121 e manterrà l’incarico fino al 1850.<br />

Nato a Borgaro Torinese nel 1814, aveva vestito l’abito il 25 agosto 1833 a Chieri<br />

ed aveva emesso la professione religiosa il 15 <strong>di</strong>cembre 1834 nel convento <strong>di</strong><br />

Bosco 122 . Il primo novembre 1837 è assegnato pro theologiae stu<strong>di</strong>o da Trino a<br />

Genova 123 , dove rimane fino all’11 ottobre 1839, quando è riassegnato a<br />

Trino 124 . Il 3 luglio 1841 è trasferito al convento <strong>di</strong> Alessandria 125 e l’11 agosto<br />

a quello <strong>di</strong> Varazze 126 , <strong>di</strong> cui il 30 ottobre <strong>di</strong>venta superiore 127 , mantenendo la<br />

carica fino al 14 maggio 1842 128 . Il 25 febbraio 1843 arriva a Finale da Varazze<br />

per pre<strong>di</strong>carvi il quaresimale e vi rimane fino al 25 aprile successivo 129 : pochi<br />

mesi dopo, come si è visto, <strong>di</strong>venta superiore del convento.<br />

Il 30 luglio 1843 parte da Finale il precedente superiore Vincenzo<br />

Montarolo: restano in convento, oltre al Varia, Lodovico Bertran, il converso<br />

Serafino Rossi ed il postulante Pietro Rovera 130 .<br />

Il 14 ottobre 1843 131 viene assegnato a Finale Sadoc Cottalorda, che vi arriva<br />

il 30 132 e vi rimane fino al 2 gennaio 1847 133 , quando parte per Alassio come<br />

docente presso il locale collegio: sarà riassegnato a Finale da Alassio il 31<br />

gennaio 1850 134 .<br />

L’avvicendarsi dei frati può essere seguito attraverso la puntuale cronaca<br />

<strong>di</strong> Raimondo Varia. Il 3 <strong>di</strong>cembre 1845 è assegnato a Finale il terzino fra Alvaro<br />

Balocco da Trino, che vi rimane fino al 10 gennaio 1847, quando parte per<br />

120 Acta Provinciæ, p. 92.<br />

121 Cenni storici, p. 147.<br />

122<br />

VALLARO 1929, p. 100; per la data della professione si veda APOP-TO, Bosco, Susceptiones ad<br />

habitum […] professiones emissas […], 1824-1855, pp. 10-11.<br />

123 Acta Provinciæ, p. 68.<br />

124 Acta Provinciæ, p. 79.<br />

125 Acta Provinciæ, p. 86.<br />

126 Acta Provinciæ, p. 87.<br />

127 Acta Provinciæ, p. 87.<br />

128 In tale data è istituito priore del convento Giacinto Boetti (Acta Provinciæ, p. 88).<br />

129 Cenni storici, p. 144.<br />

130 Cenni storici, p. 147.<br />

131 Acta Provinciæ, p. 92.<br />

132 Cenni storici, p. 147.<br />

133 Cenni storici, p. 164.<br />

134 Acta Provinciæ, p. 105.<br />

133


Genova 135 . Il 26 ottobre 1845 muore a 72 anni il converso Serafino Rossi 136 ed<br />

il 30 <strong>di</strong>cembre successivo muore a 44 anni dopo una lunga malattia Lodovico<br />

Bertran, originario della Catalogna 137 . Il 12 agosto 1846 arriva a Finale un altro<br />

catalano, Vincenzo Michele Riera 138 , nativo <strong>di</strong> Manresa, che vi rimane fino al<br />

4 ottobre 1847, quando per ragioni <strong>di</strong> salute ritorna in patria, dove rimane<br />

come sacerdote secolare 139 . Il 4 gennaio 1847 ritorna a Finale da Genova<br />

Filomeno Cassini, che <strong>di</strong>venterà sindaco del convento; il 13 gennaio da<br />

Genova arriva il terzino Gon<strong>di</strong>salvo Denegri, genovese, come incaricato della<br />

vestieria: il 13 aprile 1847 viene allontanato da Finale e, nel convento <strong>di</strong><br />

Genova, privato dell’abito religioso 140 . In concomitanza con l’arrivo del<br />

Denegri, il 15 gennaio 1847 parte per assumere l’incarico <strong>di</strong> cuoco a Santa<br />

Maria <strong>di</strong> Castello Alvaro Balocco 141 . Il 14 maggio 1847 arriva da Bosco il<br />

postulante Domenico Montarolo da Trino, che il 4 agosto successivo riceve<br />

l’abito <strong>di</strong> converso ed il nome <strong>di</strong> Marcolino Maria Domenico: l’8 novembre è<br />

destinato giar<strong>di</strong>niere a Bosco e parte lo stesso giorno 142 . Il 4 novembre 1847<br />

arriva da Bosco il postulante converso Ermenegildo Polastri 143 .<br />

Il 7 <strong>di</strong>cembre 1847 il priore provinciale Alberto Francesco Cottolengo 144<br />

presenta alla Congregazione sullo Stato dei Regolari la sua relazione sulla<br />

Provincia <strong>di</strong> San Pietro Martire: il convento <strong>di</strong> Finale 145 , da lui visitato il 25<br />

novembre precedente 146 , <strong>di</strong>spone <strong>di</strong> 22 stanze ed ospita 4 religiosi, <strong>di</strong> cui due<br />

sacerdoti, il superiore Raimondo Varia, <strong>di</strong> Borgaro Torinese, trentatreenne, e<br />

Filomeno Cassini, sanremese, sindaco del convento, <strong>di</strong> 29 anni. Completano<br />

la “famiglia” conventuale Gabriele Rovera, novizio converso, <strong>di</strong> 45 anni, <strong>di</strong><br />

Villafalletto, cuoco, ed Ermenegildo Polastro, “in prova”, <strong>di</strong> 24 anni, <strong>di</strong> Bosco,<br />

sarto. Il priore provinciale segnala che l’e<strong>di</strong>ficio conventuale è “in me<strong>di</strong>ocre<br />

135 Cenni storici, p. 155.<br />

136 Cenni storici, p. 155; Acta capituli 1846, p. 9.<br />

137 Cenni storici, p. 155; Acta capituli 1846, p. 9.<br />

138 Era arrivato in Italia proveniente dal convento della sua città natale, essendo novizio<br />

professo (VALLARO 1929, p. 78).<br />

139 Cenni storici, p. 164.<br />

140 Cenni storici, p. 164.<br />

141 Cenni storici, p. 165.<br />

142 Cenni storici, p. 165.<br />

143 Cenni storici, p. 165.<br />

144 Acta capituli 1892, pp. 23-26; CAMPO ANTICO 1880; VALLARO 1929, pp. 89-94; BENEDICENTI 2002,<br />

pp. 323, 345; COLOMBO 2003.<br />

145 ASV, Congr. Stato Regolari II, Relazioni Regolari, sc. 4, n° 20.<br />

146 Cenni storici, p. 206.<br />

134


stato” e che presto saranno assegnati a Finale altri due frati. Il convento ha<br />

adottato la perfetta vita comune e il numero dei religiosi potrebbe essere<br />

portato a 7 o 8.<br />

Dal 24 al 31 gennaio 1848 soggiorna a Finale Tommaso Bruna da Ceriale,<br />

già figlio del convento 147 . Il 12 aprile 1848 arriva da Alessandria un altro frate<br />

spagnolo, Francesco Aguillar, che rimane a Finale fino al 28 maggio, quando<br />

parte per la Spagna: il convento gli dà 50 lire per le spese <strong>di</strong> viaggio 148 . Il 15<br />

aprile 1848 arriva da Taggia Alberto Enriotti, nativo <strong>di</strong> Solero, presso<br />

Alessandria. Poiché il convento conta quattro sacerdoti, tra il 16 aprile ed il 16<br />

maggio 1848 riprende l’ufficiatura corale 149 . L’8 agosto 1848 ritorna da Trino<br />

Lodovico Voarino, assegnato a Finale, ed il 16 parte per Taggia Filomeno<br />

Cassini 150 . Il 9 novembre 1848 il priore provinciale Cottolengo visita il<br />

convento 151 ed il 26 febbraio 1849 è assegnato a Finale da Genova Pietro<br />

Calossi, “in stato <strong>di</strong> poca salute” 152 .<br />

I frati si de<strong>di</strong>cano alla pre<strong>di</strong>cazione nelle località del circondario ed alla<br />

<strong>di</strong>ffusione delle confraternite domenicane: Raimondo Varia nel 1845 e nel 1848<br />

pre<strong>di</strong>ca il quaresimale a Perti 153 , l’8 settembre 1847 fonda la compagnia del<br />

Rosario a Vene 154 e nel 1849 tiene il panegirico del Nome <strong>di</strong> Dio 155 ; Lodovico<br />

Voarino pre<strong>di</strong>ca il quaresimale a Fubine 156 e nel 1850 nella parrocchiale <strong>di</strong><br />

Taggia 157 e fonda la compagnia del Rosario a Ranzi, in <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> Albenga 158 .<br />

Il 22 gennaio 1850 il priore provinciale Raimondo Garabelli effettua la visita<br />

canonica al convento <strong>di</strong> Finale: lo stesso giorno 159 vi assegna come pre<strong>di</strong>catore<br />

annuale Raimondo Varia ed insieme a questi il 27 gennaio si reca a visitare il<br />

convento <strong>di</strong> Taggia; il Varia torna in convento il primo febbraio 160 . Durante la<br />

visita, il priore provinciale approva a voce la vestizione del converso<br />

147 Cenni storici, p. 183.<br />

148 Cenni storici, p. 179.<br />

149 Cenni storici, p. 180.<br />

150 Cenni storici, p. 181.<br />

151 Cenni storici, p. 206.<br />

152 Cenni storici, p. 183.<br />

153 Cenni storici, p. 180.<br />

154 Cenni storici, p. 183.<br />

155 Cenni storici, p. 195.<br />

156 Cenni storici, p. 183.<br />

157 Cenni storici, p. 213.<br />

158 Il 24 settembre 1848 (Cenni storici, p. 181).<br />

159 Acta Provinciæ, p. 105; il 25 aprile secondo i Cenni storici, p. 213.<br />

160 Cenni storici, p. 213.<br />

135


Ermenegildo Polastri ed il 31 gennaio 161 assegna Pietro Calossi a Racconigi e<br />

Sadoc Cottalorda a Finale: questi ritorna da Alassio il 7 febbraio 162 , quello parte<br />

da Finale l’8 febbraio 163 . Il 24 febbraio 1850 fa vestizione il converso Polastri,<br />

che riceve il nome <strong>di</strong> fra Damiano e si impegna a pagare le spese <strong>di</strong> vestiario,<br />

secondo l’uso della Provincia 164 .<br />

Il 19 aprile 1850 165 i frati del convento <strong>di</strong> Finale, ottenuto il permesso del<br />

maestro dell’Or<strong>di</strong>ne, eleggono il loro priore e la scelta cade su Ceslao<br />

Zanera 166 : il priore provinciale ne conferma l’elezione il 23 aprile 167 , ma chiede<br />

a Raimondo Varia <strong>di</strong> continuare a reggere il convento fino a quando lo Zanera<br />

non avrà terminato la pre<strong>di</strong>cazione del mese mariano nella chiesa <strong>di</strong> Santa<br />

Cristina in Torino 168 . Il nuovo priore arriva in convento il 25 giugno ed il giorno<br />

successivo prende possesso della sua carica 169 ; il 4 luglio Raimondo Varia è<br />

assegnato a Racconigi 170 . In convento rimangono quattro religiosi sacerdoti 171<br />

fino all’arrivo <strong>di</strong> Benedetto Carozzi, assegnato a Finale il 18 novembre 1850 172 .<br />

Laudemus viros gloriosos<br />

A Finale il Varia si adopera per conservare le memorie del convento: a lui si<br />

deve infatti la compilazione <strong>di</strong> “una notevole raccolta delle memorie del<br />

161 Acta Provinciæ, p. 105.<br />

162 Cenni storici, p. 213.<br />

163 Cenni storici, p. 214.<br />

164 Cenni storici, p. 214.<br />

165 Cenni storici, p. 214.<br />

166<br />

VALLARO 1933, p. 146; BENEDICENTI 2002, p. 358.<br />

167 Acta Provinciæ, p. 106.<br />

168 Cenni storici, p. 214.<br />

169 Cenni storici, p. 215.<br />

170 Acta Provinciæ, p. 106.<br />

171 Ceslao Zanera, al secolo Giuseppe, nato a Trino Vercellese il 13 maggio 1818, professo dal<br />

28 ottobre 1836; Alberto Enriotti, al secolo Pietro Antonio, nato a Solero presso Alessandria il<br />

17 ottobre 1806, professo dal 27 maggio 1825; Lodovico Voarino, nato a Ceva nell’aprile 1808,<br />

professo dal 7 novembre 1830, e Sadoc Cottalorda, al secolo Vittorio, nato a Breil presso Nizza<br />

il 7 aprile 1813, professo dal 9 gennaio 1836; i conversi erano Gabriele Rovera, al secolo Pietro,<br />

nato a Villafalletto il 2 luglio 1802, professo dal 25 maggio 1844, e Damiano Polastro, al secolo<br />

Ermenegildo, originario <strong>di</strong> Bosco, professo dal 1850 (APOP-TO, Provincia, Catalogo dei conventi<br />

dell’Or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> San Domenico componenti la Provincia detta <strong>di</strong> San Pietro Martire nei Regi Stati <strong>di</strong> Sua<br />

Maestà nella Terraferma e dei Religiosi dello stesso Or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong>stribuiti negli anzinominati conventi. Anno<br />

1850, c. [10]r).<br />

172 Cenni storici, p. 216.<br />

136


convento” 173 , redatta utilizzando sia l’archivio conventuale sia interrogando<br />

religiosi e abitanti del luogo.<br />

Il manoscritto, prezioso per la puntuale ricostruzione delle vicende del<br />

convento nel XIX secolo, fu compilato dal Varia fino al momento della sua<br />

partenza da Finale nel 1850; continuata da Benedetto Carozzi a partire dal<br />

1851, la redazione si arrestò al momento della partenza <strong>di</strong> questi nel 1853.<br />

Alcuni frati manifestarono l’intenzione<br />

che questo libro venisse consegnato alle fiamme, amandosi meglio vivere<br />

nell’ignoranza intorno a ciò che ha interessato ed interessa questo convento<br />

antichissimo 174 ,<br />

ma esso fu salvato dalla <strong>di</strong>struzione ad opera <strong>di</strong> Raimondo Amedeo Vigna,<br />

“che il volle leggere e per lettera […] raccomandò che si custo<strong>di</strong>sse”, Vincenzo<br />

Salvi e Pietro Parassolo: quest’ultimo lo riconsegnò al Varia quando questi<br />

tornò a Finale per la chiusura del convento ed egli, su richiesta <strong>di</strong> molti<br />

religiosi, lo continuò, utilizzando sia l’ora <strong>di</strong>sperso libro dei consigli<br />

conventuali, sia chiedendo informazioni ai religiosi vissuti a Finale ed ai<br />

fedeli 175 .<br />

L’attenzione agli eventi a lui contemporanei è probabilmente il riflesso<br />

dell’attività che lo impegnò più a lungo e a cui è legata la sua fama, cioè il suo<br />

impegno nel procurare il riconoscimento del culto <strong>di</strong> alcuni domenicani<br />

vissuti nel territorio della Provincia:<br />

nell’intento <strong>di</strong> glorificare l’Or<strong>di</strong>ne, si occupò con una pazienza e costanza<br />

immensa nel promuovere il culto dei nostri Santi e Beati,<br />

sostenendo un<br />

lavoro colossale […] per ricercare e radunare i documenti, fare i sopraluoghi<br />

necessari, ottenere le testimonianze, scrivere note o memorie, re<strong>di</strong>gere le<br />

posizioni, ecc. che dovevano servire per le informazioni e i processi […]. Era<br />

passato in proverbio che ad ottenere ai beati gli onori degli altari, oltre la santa<br />

morte e i segni miracolosi, era pur necessario l’intervento del P. Varia 176 .<br />

173 VALLARO 1929, p. 100.<br />

174 Cenni storici, p. 229.<br />

175 Cenni storici, p. 229.<br />

176 VALLARO 1929, p. 100 e nota 1.<br />

137


La provincia <strong>di</strong> San Pietro Martire, infatti, negli Anni 40 dell’800 aveva<br />

iniziato una sistematica campagna volta ad ottenere da Roma l’approvazione<br />

del culto <strong>di</strong> religiosi <strong>di</strong> santa vita, venerati come beati in vari conventi prima<br />

della soppressione “francese” 177 . Tale operazione, che toccò il culmine negli<br />

Anni 50-60 dell’Ottocento 178 , interessò anche Finale, dove erano venerati come<br />

beati alcuni religiosi 179 nativi della città o dei <strong>di</strong>ntorni, come Damiano Forcheri<br />

(Furcherius) 180 da Finale e Vincenzo Maglio 181 da Orco, oppure vissuti nel<br />

convento, come Ilario da Mantova.<br />

Già nel 1840 182 il capitolo provinciale aveva incaricato Tommaso Ghilar<strong>di</strong><br />

<strong>di</strong> procurare il buon esito della causa del beato Ilario da Mantova, incarico<br />

confermato a Raimondo Varia nel 1866 183 . Le cause dei beati Ilario e Vincenzo,<br />

arrestatesi per la soppressione del convento <strong>di</strong> Finale e la morte del Varia, non<br />

furono mai portate a compimento.<br />

Al 4 agosto 1848 risale invece la conferma del culto del beato Damiano: il<br />

decreto giunse al superiore Varia l’11 settembre 184 , ma, a causa delle<br />

circostanze, la festa fu celebrata solennemente soltanto nel 1851, alla presenza<br />

<strong>di</strong> Raffaele Biale, vescovo <strong>di</strong> Albenga, in sostituzione <strong>di</strong> Alessandro Riccar<strong>di</strong>,<br />

177 Un breve elenco in Cenni storici, pp. 230-231. Nel 1860 il Varia fu anche autorizzato dal priore<br />

provinciale Agostino Burzio a recarsi a Milano per fare ricerche relative al culto <strong>di</strong> beati<br />

domenicani (Acta Provinciæ, pp. 131-132), permesso rinnovato nel 1862 (Acta Provinciæ, p. 139).<br />

178 Sulle <strong>di</strong>ciassette beatificazioni <strong>di</strong> domenicani <strong>di</strong> Pio IX, un<strong>di</strong>ci furono condotte del tutto o<br />

in parte dalla provincia <strong>di</strong> San Pietro Martire: Damiano Forcheri con decreto del 4 agosto 1848,<br />

Bartolomeo Cerveri con decreto del 22 settembre 1853, Sibillina Biscossi con decreto del 17<br />

agosto 1854, Stefano Bandelli con decreto del 21 febbraio 1856, Aimone Taparelli con decreto<br />

del 29 maggio 1856, Pietro Cambiani da Ruffia con decreto del 4 <strong>di</strong>cembre 1856, Antonio<br />

Pavonio con decreto del 4 <strong>di</strong>cembre 1856, Guglielmo Arnaud e compagni con decreto del 6<br />

settembre 1866, Guala da Bergamo con decreto del primo ottobre 1868, Agostino da Biella con<br />

decreto del 5 settembre 1872 e Cristoforo da Milano con decreto del 3 aprile 1875 (VENCHI 2000,<br />

pp. 213, 102, 83, 138, 177, 63, 92, 128-129, 185-186, 157-158, 78-79 rispettivamente).<br />

179 Si vedano le notizie biografiche riguardanti i frati <strong>di</strong> origine finalese legati al convento <strong>di</strong><br />

Santa Maria <strong>di</strong> Castello in Genova (Vincenzo Maglio, Antonio De Albertis, Domenico Sterlino<br />

ed il converso Vincenzo da Finale) in VIGNA 1885, pp. 11-14, 18-20, 34-35 e 46, rie<strong>di</strong>te in VIGNA<br />

1886, pp. 6-9, 13-15, 29-30 e 41. Su Vincenzo Maglio si veda anche VIGNA 1886, pp. 70-71, 186,<br />

194-195, 463-464.<br />

180 Su Damiano e la sua causa <strong>di</strong> beatificazione si veda Positio 1847.<br />

181<br />

VIGNA 1885, pp. 11-14; VIGNA 1886, pp. 6-9, 70-71, 186, 194-195, 463-464; per l’affresco che lo<br />

raffigura accanto al beato Damiano nella chiesa <strong>di</strong> N.S. <strong>di</strong> Loreto in Perti si veda MURIALDO<br />

1983, Fig. 5, p. 18.<br />

182 Acta capituli 1840, p. 10.<br />

183 L’incarico fu conferito anche a Vincenzo Castino (Acta capituli 1866, p. 19).<br />

184 Cenni storici, p. 181.<br />

138


vescovo <strong>di</strong> <strong>Savona</strong>, e con la partecipazione del clero locale e <strong>di</strong> una grande<br />

folla <strong>di</strong> devoti 185 .<br />

All’inizio del 1864, prevedendo la chiusura del convento, il Varia fece<br />

eseguire da Faustino Cirio, <strong>di</strong> Calice, due copie dell’effigie del beato Ilario da<br />

Mantova, una delle quali fu inviata a Roma al procuratore generale<br />

dell’Or<strong>di</strong>ne Mariano Spada, mentre l’altra fu lasciata nel convento <strong>di</strong> Varazze<br />

e posta sopra la nicchia contenente le reliquie del Beato: entrambe costarono<br />

20 franchi 186 .<br />

Un caso particolare fu costituito dalla causa del beato Guglielmo Arnaud.<br />

Originario <strong>di</strong> Montpellier, il domenicano, che esercitava l’ufficio <strong>di</strong> inquisitore,<br />

fu fatto uccidere dal conte <strong>di</strong> Tolosa nel maggio 1242 187 . Il Varia collaborò alla<br />

causa, poiché la famiglia Arnal<strong>di</strong>, che aveva il proprio palazzo nelle imme<strong>di</strong>ate<br />

vicinanze del convento 188 e la sepoltura nella chiesa, si vantava <strong>di</strong> annoverarlo<br />

tra i propri antenati, essendosi trasferita a Finale dalla Provenza alla fine del<br />

XVI secolo. Quando, il 6 settembre 1866, Pio IX ne confermò il culto, già da<br />

due anni i domenicani avevano lasciato Finale ed il convento <strong>di</strong> Santa<br />

Caterina.<br />

Gli ultimi anni della presenza domenicana (1850-1863)<br />

Il priorato <strong>di</strong> Ceslao Zanera fu quasi interamente occupato dalla vicenda del<br />

collegio <strong>di</strong> Alassio. I frati vi avevano rinunciato e la loro rinuncia era stata<br />

accettata dal Ministero dell’Istruzione nel 1849, ma vi era rimasto con un<br />

converso il sindaco del convento Lodovico Brignone, che aveva cercato un<br />

accordo con le autorità locali. Nel luglio 1850 egli ricevette l’or<strong>di</strong>ne dal priore<br />

provinciale Garabelli <strong>di</strong> chiudere il convento e trasferirsi a Finale, portando<br />

con sé le chiavi. Tornato dopo pochi giorni ad Alassio, cercò <strong>di</strong> accordarsi con<br />

la compagnia del Rosario a proposito dell’organo della chiesa, che era stato<br />

pagato dai frati tranne 500 lire, offerte dalla compagnia. L’accordo non fu<br />

possibile ed anzi il Brignone, che aveva nascosto alcune canne in una stanza<br />

del convento, fu denunciato ed imprigionato ad Albenga. Rilasciato, fu<br />

assegnato ad Alessandria, “lasciando senza schiarimento veruno tutti<br />

185 Cenni storici, pp. 222 e 224-226.<br />

186 Cenni storici, p. 261.<br />

187 VENCHI 2000, p. 128<br />

188 BALLARÒ, GROSSI 2001, pp. 59-65.<br />

139


gl’impicci dell’ex Colleggio col Municipio <strong>di</strong> Alassio”. I mobili, i libri, la<br />

biancheria e gli arre<strong>di</strong> sacri andarono <strong>di</strong>visi tra i conventi <strong>di</strong> Finale e <strong>di</strong> Taggia,<br />

mentre l’e<strong>di</strong>ficio delle scuole fu ceduto dal priore provinciale al Municipio 189 .<br />

Nel 1851 risultano assegnati a Finale, oltre al priore Ceslao Zanera, Alberto<br />

Enriotti, “prefetto <strong>di</strong> sacrestia”, Sadoc Cottalorda, Lodovico Voarino,<br />

Benedetto Carozzi, “pro-sindaco”, e i due conversi Gabriele Rovera, “cuoco e<br />

<strong>di</strong>spensiere”, e Damiano Polastri, “sarto, sacrestano, barbitonsore, lavandaio<br />

e portinaio” 190 . Vengono sostenute alcune spese straor<strong>di</strong>narie per la cucina ed<br />

il refettorio, nonché per il trasferimento della biblioteca e l’acquisto <strong>di</strong> alcuni<br />

oggetti per la chiesa 191 .<br />

Nel febbraio 1851 si reca a Finale come visitatore generalizio Giacinto<br />

Cambiaso 192 , socio del vicario generale Alexandre-Vincent Jandel: questi,<br />

ricevuta la relazione riguardante il convento, si congratulò con i frati per le<br />

loro buone <strong>di</strong>sposizioni. A compenso delle spese per l’approvazione del culto<br />

del beato Damiano, il convento ottenne l’invio dalla Curia generalizia <strong>di</strong> alcuni<br />

libri liturgici, “tutti d’ultima e<strong>di</strong>zione” 193 . Il 20 settembre Ludovico Voarino fu<br />

assegnato a Chieri da Finale 194 ed il 28 novembre il priore provinciale<br />

Raimondo Garabelli visitò il convento<br />

senza veruna solennità, in una maniera nulla imponente e senza la minima<br />

or<strong>di</strong>nazione o rinnovazione <strong>di</strong> sorta, non riconoscendone verun bisogno 195 .<br />

Nel maggio 1852 il priore Zanera partecipa al capitolo provinciale, che si<br />

tiene a Bosco nei giorni 5 e 6, e termina così il suo mandato, essendo assegnato<br />

al convento <strong>di</strong> Alessandria 196 . Durante il capitolo il vicario della Provincia<br />

Garabelli trasferisce a Taggia il converso Gabriele Rovera 197 , che viene<br />

sostituito da Domenico Gambaleri 198 , “cui però fu presto cambiata<br />

189 Cenni storici, pp. 216-219.<br />

190 Cenni storici, p. 219.<br />

191 Cenni storici, p. 220-222.<br />

192 Notice 1897; Acta capituli generalis 1898, pp. 137-140; Acta capituli 1900, pp. 31-33; VALLARO<br />

1933, pp. 18-20; BENEDICENTI 2002, pp. 340, 358, 367.<br />

193 Cenni storici, pp. 223-224.<br />

194 Acta Provinciæ, p. 107.<br />

195 Cenni storici, p. 226.<br />

196 Cenni storici, p. 227; sul capitolo si veda Acta capituli 1852.<br />

197 Cenni storici, p. 227.<br />

198 Acta Provinciæ, p. 108.<br />

140


l’assegnazione e partì per Varazze” 199 , dove era stato inviato dal nuovo<br />

provinciale Gian Tommaso Tosa 200 il 14 giugno 1852; lo stesso giorno da<br />

Varazze fu assegnato a Finale il converso Vincenzo Gandolfo 201 . Dopo due<br />

mesi <strong>di</strong> tentativi, per suggerimento del provinciale, i frati non elessero, ma<br />

postularono, non avendo il can<strong>di</strong>dato i 12 anni <strong>di</strong> anzianità <strong>di</strong> professione<br />

necessari, Angelo Nasi come priore: il provinciale Tosi lo istituì presidente il 16<br />

settembre 1852 202 e, a tempo debito, gli inviò la patente <strong>di</strong> priore,<br />

essendosi così il Provinciale servito della facoltà che a lui compete <strong>di</strong><br />

provvedere un Priore fra 3 mesi ed avendo nel caso nostro mantenuta la<br />

parola data <strong>di</strong> nominarci o confermarci quello stesso Padre da noi postulato 203 .<br />

Il 28 <strong>di</strong>cembre 1852 Alberto Enriotti partì per il convento <strong>di</strong> Alessandria<br />

per assistere la madre vecchia ed ammalata al suo paese e alla fine <strong>di</strong> maggio<br />

1853 arrivò a Finale Giacinto Enrico; nello stesso periodo tornò da Varazze<br />

Domenico Gambaleri per sostituire Damiano Polastri, partito per Bosco per<br />

iniziarvi il noviziato 204 .<br />

Il 17 gennaio 1853 visita il convento il priore provinciale Pio Benigno<br />

Gazzano 205 , eletto nel settembre precedente in sostituzione <strong>di</strong> Giovanni<br />

Tommaso Tosa: “in questa visita nulla trovossi da doversi or<strong>di</strong>nare o riformare<br />

e il Provinciale suddetto partì sod<strong>di</strong>sfatto per Taggia” 206 .<br />

Nel 1854, secondo la statistica della Provincia, erano assegnati al convento<br />

<strong>di</strong> Finale cinque frati, <strong>di</strong> cui quattro sacerdoti ed un converso 207 . L’8 maggio<br />

199 Cenni storici, p. 227.<br />

200 Acta capituli 1892, pp. 27-30; Acta capituli generalis 1895, pp. 205-209; VALLARO 1929, pp.<br />

97-99.<br />

201 Per le due assegnazioni si veda Acta Provinciæ, p. 109.<br />

202 Acta Provinciæ, p. 110. Nel Sillabo dei frati della Provincia <strong>di</strong> San Pietro Martire anno 1852 (APOP-<br />

TO, Provincia) risultano assegnati a Finale (cc. [9]v-[10]r) Alberto Enriotti, Sadoc Cottalorda,<br />

Benedetto Carozzi (al secolo Paolo Pasquale, nato presso Alessandria l’11 luglio 1825, professo<br />

dal 2 ottobre 1843) ed i conversi Domenico Gambaleri (al secolo Vincenzo Luigi, nato a Bosco<br />

il 13 marzo 1810, professo dal 20 febbraio 1844) e Damiano Polastri. Il nome del priore Nasi è<br />

stato aggiunto a mano.<br />

203 Cenni storici, p. 227.<br />

204 Cenni storici, p. 228. Nel 1853 risultano assegnati a Finale Angelo Maria Nasi, Alberto Enriotti,<br />

Sadoc Cottalorda, Benedetto Carozzi ed il converso Damiano Polastri (APOP-TO, Provincia,<br />

Elencus annualis 1853, p. 7).<br />

205<br />

VALLARO 1933, p. 18; BENEDICENTI 2002, pp. 341, 345.<br />

206 Cenni storici, p. 228.<br />

207 Angelo Maria Nasi priore, Sadoc Cottalorda, Giacinto Enrico, Benedetto Carozzi ed il<br />

converso Domenico Gambaleri (APOP-To, Provincia, Elencus annualis 1854, p. 7).<br />

141


1854 208 i frati del convento <strong>di</strong> Finale Benedetto Carozzi, Sadoc Cottalorda e<br />

Giacinto Enrico eleggono priore Matteo Brignardelli 209 ed il 13 maggio<br />

l’elezione è confermata dal priore provinciale Pio Benigno Gazzano 210 . Angelo<br />

Nasi ritorna al convento <strong>di</strong> Varazze 211 , dove è riassegnato come pre<strong>di</strong>catore il<br />

21 settembre 1854 212 , ed il 9 novembre 1854 Giacinto Enrico è assegnato a<br />

Trino 213 .<br />

Il 29 maggio 1855 Vittorio Emanuele II firma la legge <strong>di</strong> soppressione delle<br />

corporazioni religiose: quando l’insinuatore Anselmi <strong>di</strong> Torino si reca in<br />

convento per prenderne possesso e re<strong>di</strong>gere l’inventario dei beni, nessuno<br />

accetta <strong>di</strong> fare da testimone, se non Rocco Bergalli, fratello del sindaco <strong>di</strong><br />

Finale, Luigi, ed il falegname del convento, che viene convinto ad “intervenire<br />

<strong>di</strong>cendogli che era un affare vantaggioso per il convento” 214 .<br />

Il 27 gennaio 1856 Carlo Matteo Brignardelli fu nominato dal maestro<br />

dell’Or<strong>di</strong>ne confessore delle monache domenicane <strong>di</strong> Lucca 215 , dove si recò al<br />

termine del suo priorato, “dopo Pasqua” 216 . Il priorato fu vacante per due<br />

anni 217 : all’inizio <strong>di</strong> aprile 1856 il priore provinciale Gazzano istituisce<br />

superiore del convento Pietro Parassolo 218 , originario <strong>di</strong> Alessandria, che<br />

ricopriva l’incarico <strong>di</strong> confessore del monastero dei Santi Giacomo e Filippo<br />

in Genova 219 . Il 23 luglio 1856 il priore provinciale Agostino Burzio 220 cassa<br />

l’elezione a priore <strong>di</strong> Varazze <strong>di</strong> Benedetto Carozzi “propter necessariam illius<br />

præsentiam in conventu Sanctæ Catharinæ Finarii” 221 . Il 25 novembre 1856 il<br />

provinciale Burzio visita il convento 222 ed il 20 agosto 1857 Ludovico Voarino<br />

è assegnato a Finale da Trino 223 .<br />

208 Cenni storici, p. 232.<br />

209<br />

VALLARO 1933, pp. 123-124.<br />

210 Acta Provinciæ, p. 111; il 15 maggio secondo Cenni storici, p. 232.<br />

211 Cenni storici, p. 232.<br />

212 Acta Provinciæ, p. 112.<br />

213 Acta Provinciæ, p. 113.<br />

214 Cenni storici, p. 234.<br />

215 Acta Provinciæ, p. 114.<br />

216 Cenni storici, p. 237.<br />

217 Cenni storici, p. 237.<br />

218<br />

VALLARO 1929, pp. 65-67.<br />

219 Acta Provinciæ, p. 114.<br />

220<br />

VALLARO 1933, pp. 43-46; BENEDICENTI 2002, pp. 344-345, 347.<br />

221 Acta Provinciæ, p. 117.<br />

222 Acta Provinciæ, p. 119.<br />

223 Acta Provinciæ, p. 121.<br />

142


“Dopo Pasqua” 224 del 1858 Benedetto Carozzi lascia il convento, in quanto<br />

eletto priore <strong>di</strong> Varazze 225 ; il 17 giugno 1858 il provinciale Burzio conferma<br />

l’elezione <strong>di</strong> Pietro Parassolo a priore <strong>di</strong> Finale 226 ed il 30 giugno 227 assegna a<br />

Finale da Racconigi Vincenzo Salvi 228 , “uomo dotto in teologia speculativa e<br />

nelle lingue greca ed ebraica, nativo <strong>di</strong> Novi Alessandrino” 229 , che il 5 ottobre<br />

viene eletto sindaco 230 ed il 18 <strong>di</strong>cembre è designato “lettor <strong>di</strong> casi” 231 .<br />

Nei mesi <strong>di</strong> aprile e maggio e poi in luglio ed agosto 1859 furono ospitate<br />

in convento le truppe <strong>di</strong> cavalleria francesi, che “non <strong>di</strong>edero ai Religiosi il<br />

minimo <strong>di</strong>spiacere, tanto erano <strong>di</strong>sciplinate e rispettose” 232 .<br />

Il 10 marzo 1860, a seguito dell’occupazione militare del convento <strong>di</strong> Santa<br />

Croce <strong>di</strong> Bosco, il provinciale Burzio assegna da quel convento a Finale<br />

Tommaso Ferraris ed i conversi Pietro Desilvestri e Giovanni Ghiglione 233 .<br />

Conclusosi il priorato <strong>di</strong> Pietro Parassolo, viene eletto in sua vece Giordano<br />

Gioda 234 , originario <strong>di</strong> Poirino: il 5 maggio 1860 Raimondo Garabelli, vicario della<br />

Provincia, essendo il provinciale Burzio in Turchia, ne conferma l’elezione 235 . Il<br />

nuovo priore arriva in convento il 15 giugno: il 28 giugno Sadoc Cottalorda è<br />

eletto sottopriore e il 13 novembre Vincenzo Salvi è confermato sindaco 236 .<br />

Il 9 ottobre 1860 Benedetto Carozzi è assegnato dal provinciale da Finale<br />

ad Alessandria 237 ed il 20 ottobre il converso Domenico Gambaleri, che molto<br />

si era adoperato per il decoro della chiesa 238 , è assegnato da Finale a Poirino 239 ;<br />

il 3 novembre è assegnato a Finale Tommaso Ferraris 240 .<br />

224 Cenni storici, p. 237.<br />

225 Il priore provinciale Agostino Burzio ne conferma l’elezione il 23 giugno 1858 (Acta<br />

Provinciæ, p. 123).<br />

226 Acta Provinciæ, p. 123; “anche dopo Pasqua il padre Parassolo, Presidente, venne eletto Priore<br />

dello stesso convento [<strong>di</strong> Finale]” (Cenni storici, p. 237).<br />

227 Acta Provinciæ, p. 123.<br />

228 Acta capituli 1900, pp. 35-36; VALLARO 1933, pp. 122-123; BENEDICENTI 2002, p. 367.<br />

229 Cenni storici, p. 237.<br />

230 Sono presenti il priore Pietro Parassolo, il vicario Lodovico Voarino, lo stesso Vincenzo Salvi<br />

e Sadoc Cottalorda, che viene eletto segretario del consiglio (Cenni storici, p. 237).<br />

231 Acta Provinciæ, p. 123.<br />

232 Cenni storici, p. 238.<br />

233 Acta Provinciæ, p. 128.<br />

234<br />

VALLARO 1933, pp. 135-136; BENEDICENTI 2002, pp. 361-362.<br />

235 Acta Provinciæ, pp. 129-130.<br />

236 Cenni storici, p. 238.<br />

237 Acta Provinciæ, p. 132.<br />

238 Cenni storici, p. 239.<br />

239 Acta Provinciæ, p. 132.<br />

240 Acta Provinciæ, p. 133; si veda anche p. 128.<br />

143


Il 17 maggio 1861 il priore provinciale permette a Vincenzo Fassini <strong>di</strong><br />

lasciare Racconigi e <strong>di</strong> restare per qualche mese a Finale perché ammalato 241<br />

e a Giuseppe Tesio <strong>di</strong> rimanervi 15 giorni 242 .<br />

Un pomeriggio della fine <strong>di</strong> febbraio del 1862 un gruppo <strong>di</strong> cinque<br />

poirinesi, tra cui Domenico Gioda, fratello del priore, si smarriscono in una<br />

grotta del promontorio della Caprazoppa: dopo una notte <strong>di</strong> terrore, che vede<br />

mobilitata tutta Finale, vengono ritrovati la mattina successiva 243 .<br />

Il 14 febbraio 1862 il priore provinciale autorizza Giordano Gioda a<br />

pre<strong>di</strong>care il mese mariano a Finale e assegna al convento <strong>di</strong> Santa Caterina<br />

Luigi Denegri 244 , nominandolo consigliere conventuale 245 ; il 17 marzo 1862<br />

anche Vincenzo Salvi riceve lo stesso incarico 246 e nel medesimo giorno<br />

Tommaso Ferraris è assegnato a Racconigi da Finale, mentre Vincenzo Fassini<br />

è assegnato da Racconigi a Finale 247 . Il 30 giugno Lodovico Voarino è eletto<br />

sottopriore 248 ; in luglio termina il priorato <strong>di</strong> Giordano Gioda, che lasciò nei<br />

frati un ricordo assai positivo, se Vincenzo Salvi poté scrivere:<br />

Nel 1860 Priorato del Padre Gioda, epoca <strong>di</strong> azione, <strong>di</strong> riforma, <strong>di</strong> ristorazione<br />

delle leggi e della ere<strong>di</strong>tà dell’Or<strong>di</strong>ne; all’esterno emancipato il convento da<br />

una indecorosa <strong>di</strong>pendenza dai Preti, nell’interno indotta l’osservanza del<br />

silenzio, capitolo delle colpe, socio al passeggio 249 , posto un limite all’ozio e<br />

vagabondaggio troppo abituale, corretta la mala amministrazione degli averi<br />

del convento. Nei priorati antecedenti si erano consumati frutti e capitali,<br />

estinti censi, alienate cedole (fra quali una <strong>di</strong> lire nuove 2.500) e tutto <strong>di</strong>strutto<br />

senza intendersi come. In questo, pareggiate le partite, si avvanzò da acquistare<br />

alcune cedole […]. Il Rosario […] ebbe un mirabile incremento […] 250 .<br />

L’elezione a priore <strong>di</strong> Finale <strong>di</strong> Pietro Parassolo, che ha appena concluso il<br />

priorato <strong>di</strong> Torino 251 , è confermata il 14 luglio 1862 252 dal vicario della provincia<br />

241 Acta Provinciæ, p. 134.<br />

242 Acta Provinciæ, p. 135.<br />

243 Cenni storici, pp. 239-243.<br />

244<br />

VIGNA 1888, pp. 266-267.<br />

245 Acta Provinciæ, p. 139.<br />

246 Acta Provinciæ, p. 139; il 16 secondo Cenni storici, pp. 238 e 243.<br />

247 Acta Provinciæ, p. 140.<br />

248 Cenni storici, p. 243.<br />

249 Si allude alla norma, spesso <strong>di</strong>sattesa, che impe<strong>di</strong>va ai frati <strong>di</strong> uscire dal convento se non<br />

accompagnati da un confratello.<br />

250 Memoria <strong>di</strong> Vincenzo Salvi trascritta in Cenni storici, pp. 244-246, la citazione a p. 244.<br />

251 Cenni storici, p. 246.<br />

252 Acta Provinciæ, p. 141.<br />

144


Agostino Burzio insieme a quella <strong>di</strong> Vincenzo Salvi a priore <strong>di</strong> Varazze. Il 30<br />

luglio Sadoc Cottalorda viene eletto sottopriore e sacrestano 253 . Il 28 luglio<br />

1862 254 il priore provinciale Antonio Martini 255 , eletto il 5 luglio precedente 256 ,<br />

assegna a Finale da Varazze Giacinto Eugenio Pozzo 257 , maestro in teologia,<br />

già missionario negli Stati Uniti e parroco <strong>di</strong> San Pietro in Galata a<br />

Costantinopoli 258 , che però dopo pochi mesi dal suo arrivo, avvenuto<br />

nell’agosto, muore a 56 anni il 23 novembre 1862 259 .<br />

Nel mese <strong>di</strong> settembre 1862 alcuni frati studenti arrivano a Finale dal<br />

convento <strong>di</strong> Corbara, in Corsica, fondato dal maestro dell’Or<strong>di</strong>ne Vincent<br />

Jandel come convento <strong>di</strong> stretta osservanza:<br />

La famiglia religiosa <strong>di</strong> Corbara era mista <strong>di</strong> italiani e <strong>di</strong> francesi, atteso che<br />

colà si viveva nella più stretta osservanza, alzandosi sempre a recitar matutino<br />

sulla mezza notte e facendosi uso soltanto <strong>di</strong> cibi magri etc. Li novizi soffrirono<br />

grandemente nel fisico: per salvarli dall’etisia, si mandarono in questo<br />

convento <strong>di</strong> Finalborgo, ove in poco tempo migliorarono la salute 260 .<br />

Dei quattro giovani, tre perseverarono nella vita religiosa: Egi<strong>di</strong>o<br />

Boggiani 261 , da Bosco, fratello del futuro car<strong>di</strong>nale Pio Tommaso, Alberto<br />

Bregliani, da Colla, presso Sanremo, e Gun<strong>di</strong>salvo Bellone, da Montalto, “<strong>di</strong><br />

là da Taggia, verso Triora”; il quarto, Pietro Caneto, nativo <strong>di</strong> Rialto, che aveva<br />

emesso la professione semplice, “volontariamente, per trovarsi debole <strong>di</strong><br />

salute”, lasciò l’Or<strong>di</strong>ne, rimanendo sempre affezionato terziario, e vestì<br />

l’abito <strong>di</strong> chierico, “facendo il pedagogo dei convittori dei missionari in<br />

Finalmarina; in<strong>di</strong> doveva entrare nel Seminario <strong>di</strong> <strong>Savona</strong> per attendere agli<br />

stu<strong>di</strong>” 262 . Gli studenti Boggiani, Bregliani e Caneto, già accettati dal<br />

provinciale Burzio, furono assegnati a Finale il 24 ottobre 1862 263 dal<br />

provinciale Antonio Martini, mentre Gun<strong>di</strong>salvo Bellone, accettato dal<br />

253 Cenni storici, p. 246.<br />

254 Acta Provinciæ, p. 142.<br />

255<br />

VALLARO 1933, pp. 76-78; BENEDICENTI 2002, pp. 359-360.<br />

256 Acta capituli 1862, p. 9.<br />

257<br />

VALLARO 1929, p. 95.<br />

258 Con decreto del 18 agosto 1857 la Santa Sede aveva affidato le missioni domenicane <strong>di</strong><br />

Costantinopoli e <strong>di</strong> Smirne alla Provincia <strong>di</strong> San Pietro Martire (VALLARO 1933, pp. 98-121).<br />

259 Cenni storici, p. 247.<br />

260 Cenni storici, p. 246.<br />

261 Acta capituli 1907, pp. 30-34; VALLARO 1933, pp. 138-141.<br />

262 Cenni storici, p. 247.<br />

263 Acta Provinciæ, p. 145.<br />

145


provinciale, vi fu assegnato il 13 aprile 1863 264 ; Pietro Caneto, ottenuta la<br />

<strong>di</strong>spensa dai voti, lasciò l’abito il 30 aprile 1863 265 . Le spese per gli studenti<br />

erano sostenute dal priore provinciale, che passava al convento 45 lire al mese<br />

per ciascuno <strong>di</strong> essi, oltre i viaggi, la legna, il vestiario, le me<strong>di</strong>cine, i libri 266 .<br />

Il 3 novembre 1862 il priore provinciale visita il convento ed il 25 novembre<br />

vi assegna da Varazze Domenico Deamicis, con l’incarico <strong>di</strong> maestro degli<br />

studenti e <strong>di</strong> lettore <strong>di</strong> filosofia; lo stesso giorno Vincenzo Fassini è assegnato<br />

da Finale a Genova 267 . Il 9 febbraio 1863 il converso Giacinto Coscio è assegnato<br />

a Finale da Trino 268 .<br />

Nell’ottobre 1863 scadeva il triennio <strong>di</strong> voti semplici <strong>di</strong> Egi<strong>di</strong>o Boggiani:<br />

questi aveva vestito l’abito per le missioni e non godeva <strong>di</strong> alcuna pensione<br />

della Cassa Ecclesiastica, avendo incominciato il noviziato dopo la<br />

soppressione. Alcuni frati, temendo che <strong>di</strong>venisse un peso per la comunità,<br />

<strong>di</strong>chiararono che avrebbero votato contro la sua ammissione alla professione.<br />

Il priore Parassolo invitò in convento il priore provinciale Martini che convocò<br />

il consiglio conventuale: i frati consiglieri Lorenzo Voarino, sottopriore, Luigi<br />

Denegri e Sadoc Cottalorda si astennero, pur garantendo “de optimis<br />

moribus” del novizio, e gli altri tre votanti, il provinciale Martini, il priore<br />

Parassolo e Domenico Deamicis, maestro dei novizi, votarono a favore. Il<br />

capitolo, composto dai precedenti e da Emanuele Salvago e Bernardo Toesca,<br />

si pronunciò favorevolmente con quattro voti bianchi e tre astensioni 269 . Il 29<br />

ottobre 1863 Egi<strong>di</strong>o Boggiani emise la professione solenne 270 .<br />

Il 6 novembre 1863 il priore provinciale autorizza Luigi Denegri a trasferirsi<br />

a Varazze 271 “affin <strong>di</strong> passare l’inverno in un clima più mite, coll’intenzione<br />

poi <strong>di</strong> ritornarvi nella primavera”: il religioso parte il 13 novembre, portando<br />

“seco tutto il suo equipaggio <strong>di</strong> vesti, libri e <strong>di</strong> fame” 272 .<br />

264 Acta Provinciæ, p. 146.<br />

265 Acta Provinciæ, p. 145.<br />

266 Cenni storici, p. 247.<br />

267 Acta Provinciæ, p. 146.<br />

268 Acta Provinciæ, p. 144.<br />

269 Cenni storici, pp. 248-249.<br />

270 Acta Provinciæ, p. 147; Cenni storici, p. 249.<br />

271 Acta Provinciæ, p. 147.<br />

272 Cenni storici, p. 249.<br />

146


La fine (1863-1864)<br />

In concomitanza con il trasferimento della caserma da Finalborgo a<br />

Finalmarina, nel 1863 l’amministrazione comunale fa richiesta <strong>di</strong> trasformare<br />

il convento <strong>di</strong> Santa Caterina, “pienamente ristorato due anni avanti a spese<br />

della Cassa Ecclesiastica”, in carcere: a tale scopo più volte 273 furono inviati<br />

funzionari a visitare il convento.<br />

Per effetto delle soppressioni, i frati dal convento <strong>di</strong> Alessandria erano stati<br />

trasferiti a Bosco; allontanati anche da quel convento, furono inviati prima a<br />

quello <strong>di</strong> Trino, quin<strong>di</strong> a quello <strong>di</strong> Finale, dove si trovarono assegnati dalla<br />

Cassa Ecclesiastica 28 religiosi tra sacerdoti e conversi. Le autorità del Borgo<br />

protestarono però che soltanto sette <strong>di</strong> essi vivessero stabilmente in convento,<br />

mentre gli altri erano assegnati ad altri conventi o si recavano a pre<strong>di</strong>care in<br />

altre città (secondo i frati, ciò avveniva in accordo con il <strong>di</strong>rettore della Cassa<br />

Ecclesiastica): verso metà novembre 1863 “il signor Delegato <strong>di</strong> Pubblica<br />

Sicurezza <strong>di</strong> Albenga ed un altro impiegato” si recarono senza preavviso in<br />

convento, dove trovarono soltanto Pietro Parassolo, Lodovico Voarino, Sadoc<br />

Cottalorda, Emanuele Salvago, Bernardo Toesca e i conversi Giacinto Coscio<br />

e Giovanni Ghiglione; Pietro Revelli era morto a Taggia il 30 giugno 1863 274 .<br />

Verso la fine del 1863 Sadoc Cottalorda, che da più <strong>di</strong> <strong>di</strong>eci anni viveva nel<br />

convento <strong>di</strong> Santa Caterina, <strong>di</strong> cui era sindaco, a causa <strong>di</strong> alcuni episo<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />

insofferenza per il suo comportamento e “per non trovarsi presente alla<br />

chiusura <strong>di</strong> quel convento”, chiese al priore provinciale il permesso <strong>di</strong><br />

trasferirsi nel convento <strong>di</strong> Varazze: il provinciale glielo concesse, stabilendo<br />

che al suo posto a Finale sarebbe tornato Raimondo Varia: il Cottalorda<br />

<strong>di</strong> fatto chiuse i suoi libri ed altri arnesi nei bauli, con una valigia tra mani la<br />

mattina delli 7 decembre partì per Varazze, ove arrivò a mezzogiorno e si<br />

fermò sino li 3 febbraio. Il P. Priore del convento <strong>di</strong> Varazze ed il P. Varia, che<br />

non avevano ancor ricevuto avviso dal P. Provinciale, non se ne davano per<br />

intesi. Li 12 decembre, al mattino, il P. Varia ricevé lettera dal P. Provinciale in<br />

cui con un precetto formale obbligava uno a partire subito e l’altro a non porre<br />

ostacolo alla partenza. Il P. Varia alle ore <strong>di</strong>eci <strong>di</strong> mattina si recò a pie<strong>di</strong> a<br />

<strong>Savona</strong>, alla sera arrivò a Finalborgo. Tosto gli furono consegnati libri, conti e<br />

danari della sin<strong>di</strong>cheria e sacrestia e dovette amministrare e provvedere ai<br />

singoli bisogni del convento e chiesa, leggere ed esaminare tutte le carte<br />

273 Nel settembre e nel <strong>di</strong>cembre 1863, come pure nel gennaio 1864 (Cenni storici, pp. 252-253).<br />

274 Cenni storici, p. 255.<br />

147


lasciate dal P. Sindaco e quelle dell’archivio per fare la separazione delle utili,<br />

delle inutili e consegnar queste al fuoco, come si fece con somma <strong>di</strong>ligenza e<br />

secretezza intorno alle notizie in esse contenute ed anche per alienare o porre<br />

in salvo parecchi mobili del coro e chiesa in casa <strong>di</strong> veri amici 275 .<br />

Raimondo Varia torna quin<strong>di</strong> a Finale poco più <strong>di</strong> un mese dopo essere<br />

stato assegnato a Varazze 276 e dopo aver trascorso un anno a Torino 277 , otto a<br />

Poirino come vicecurato 278 e uno a Taggia 279 , anni in cui, oltre ad impegnarsi<br />

nella ricerca delle testimonianze necessarie ad ottenere la conferma del culto<br />

dei beati dell’Or<strong>di</strong>ne, si de<strong>di</strong>ca alla pre<strong>di</strong>cazione 280 .<br />

Il 14 <strong>di</strong>cembre 1863 arriva assegnato a Finale Tommaso Sallua, che vi si<br />

trattiene solo un mese prima <strong>di</strong> partire per Garessio, sua patria, e ritornare<br />

quin<strong>di</strong> al convento <strong>di</strong> Varazze 281 .<br />

Il 23 gennaio 1864 giunse da Racconigi Lodovico Brignone per sostituire<br />

nell’ufficio <strong>di</strong> sindaco del convento Raimondo Varia, impegnato nel<br />

quaresimale a Burolo 282 : il 25 gennaio il Varia partì per il convento <strong>di</strong> Varazze,<br />

al quale era assegnato, recando con sé tre urne contenenti le reliquie dei beati<br />

Damiano Forcheri e Ilario da Mantova: con licenza del vescovo <strong>di</strong> <strong>Savona</strong>,<br />

Alessandro Riccar<strong>di</strong>, il 26 giugno 1864 le reliquie furono esposte alla<br />

venerazione nella chiesa conventuale <strong>di</strong> San Domenico 283 . Il primo giugno<br />

1864 Raimondo Varia fu <strong>di</strong> nuovo assegnato alla parrocchia <strong>di</strong> Poirino 284 , dove<br />

morì il 9 settembre 1867 285 .<br />

Il 10 gennaio 1864 fu firmato il decreto che imponeva ai religiosi <strong>di</strong> lasciare<br />

entro quin<strong>di</strong>ci giorni il convento <strong>di</strong> Santa Caterina: avrebbero potuto portare<br />

con sé nel convento cui sarebbero stati assegnati soltanto le masserizie; la<br />

275 Cenni storici, p. 254.<br />

276 Il 6 novembre 1863 (Acta Provinciæ, p. 147).<br />

277 Vi era stato assegnato da Racconigi il 16 luglio 1853 (Acta Provinciæ, p. 111).<br />

278 Vi era stato assegnato il 5 agosto 1854 (Acta Provinciæ, p. 112).<br />

279 Vi era stato assegnato il 22 agosto 1862 (Acta Provinciæ, p. 143).<br />

280 Nel 1857 pre<strong>di</strong>ca il quaresimale nella parrocchia <strong>di</strong> Fubine (Acta Provinciæ, p. 119), nel 1859<br />

in quella <strong>di</strong> Bollengo (Acta Provinciæ, p. 124), nel 1860 a Balangero (Acta Provinciæ, p. 127), nel<br />

1863 a Pontestura (Acta Provinciæ, p. 145), nel 1864 nella parrocchiale <strong>di</strong> Burolo (Acta Provinciæ,<br />

p. 147).<br />

281 Cenni storici, p. 254.<br />

282 L’autorizzazione da parte del priore provinciale è del 15 gennaio 1864 (Acta Provinciæ,<br />

p. 147).<br />

283 Cenni storici, p. 263.<br />

284 Acta Provinciæ, p. 148.<br />

285 VALLARO 1929, p. 101.<br />

148


chiesa sarebbe rimasta aperta e sarebbe stata officiata da un cappellano<br />

stipen<strong>di</strong>ato. Il prefetto <strong>di</strong> Genova trattenne presso <strong>di</strong> sé il decreto per circa<br />

<strong>di</strong>eci giorni, prima <strong>di</strong> trasmetterlo al vice prefetto <strong>di</strong> Albenga, il quale incaricò<br />

il sindaco <strong>di</strong> comunicarlo ai frati 286 .<br />

Il 29 gennaio alle 11,30 il sindaco Luigi Bergalli 287 , che molto si era<br />

adoperato perché il convento fosse destinato a carcere 288 , convocò “nel palazzo<br />

e sala municipale” il priore Pietro Parassolo e gli trasmise l’or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong><br />

evacuazione 289 . Quattor<strong>di</strong>ci giorni dopo, il sindaco si presentò in convento ed<br />

il priore gli comunicò che i frati non ne sarebbero usciti che per forza, cioè alla<br />

presenza del sindaco con insegna del suo grado e per l’intervento degli<br />

“esecutori della giustizia”. Tornando a casa, il sindaco fu colpito da “un acuto<br />

dolore nelle viscere” e morì lo stesso giorno, 12 febbraio 1864 290 .<br />

L’evento, preceduto il 28 gennaio dalla morte improvvisa <strong>di</strong> Giuseppe<br />

Desciorra, prefetto del Tribunale <strong>di</strong> prima istanza <strong>di</strong> <strong>Savona</strong> e originario <strong>di</strong><br />

Finalborgo, dove era “consigliere municipale e capo lista della cacciata dei<br />

frati” 291 , fu interpretato, soprattutto dalla stampa cattolica, come una punizione<br />

<strong>di</strong>vina per essersi il sindaco adoperato in favore dell’allontanamento dei frati e<br />

causò grande costernazione tra la popolazione: nessuno dei componenti il<br />

consiglio municipale “volle più prestarsi a quest’opera” 292 .<br />

Il 3 febbraio, “giorno <strong>di</strong> fiera, per cui tutto il paese li vide”, lasciarono Finale<br />

per Chieri Domenico Deamicis ed i tre studenti; il 9 febbraio il priore <strong>di</strong><br />

Varazze, Vincenzo Salvi, si recò a Finale per condurre con sé Emanuele<br />

Salvago, “che con altri non voleva partire” 293 .<br />

Telegrafatosi ad Albenga ed a Torino, il giorno seguente, 13 febbraio, alle ore<br />

due pomeri<strong>di</strong>ane, venne in convento il signor Delegato <strong>di</strong> Publica Sicurezza<br />

con il regio Insinuatore locale ed il suo secretario e con quattro Carabinieri<br />

Reali ad intimarne la pronta escita dal convento. Il converso fra Gioanni<br />

Ghiglione imme<strong>di</strong>atamente andò ad avvertire il padre Priore, che era a pranzo<br />

in Palazzo e in casa dell’illustrissimo signor Prefetto del Tribunale, ottimo<br />

286 Cenni storici, p. 263.<br />

287 Cenni storici, pp. 250-252, 256-262.<br />

288 CEVINI, Santa Caterina in Finalborgo: il restauro (1992-2001). La vicenda storica, le trasformazioni,<br />

i primi restauri, in BERSANI 2004, pp. 31-39.<br />

289 Cenni storici, pp. 263-264.<br />

290 Cenni storici, pp. 264-266.<br />

291 Cenni storici, p. 264.<br />

292 Cenni storici, pp. 265-266.<br />

293 Cenni storici, p. 267.<br />

149


personaggio e dolente per la posizione dei religiosi. Giunto subito il padre<br />

Priore, loro <strong>di</strong>sse: “Chi cercate?”. Rispose il Delegato <strong>di</strong> Publica Sicurezza:<br />

“Noi, con nostro <strong>di</strong>spiacere, siamo venuti ad intimare in nome della legge ai<br />

religiosi l’escita dal Convento, secondo il tenore del decreto <strong>di</strong> Sua Maestà”.<br />

Il padre Priore replicò: “Signori, mostrino qualche documento che a ciò li<br />

autorizzi”. Ecco il Delegato che mostra al padre Priore la sua <strong>di</strong>visa, che sotto<br />

veste teneva, e le carte <strong>di</strong> autorizazione, che presenta al padre Priore, acciò le<br />

legga. Lette che furono queste carte, il padre Priore loro <strong>di</strong>sse: “Aspettino un<br />

momento, io ritornerò”. Salite le scale con fra Gioanni Ghiglione, andò nella<br />

sua camera priorale a prendere la protesta formale scritta da lui su carta<br />

bollata, che già aveva preparata; appena ritornato, chiamò tutti quei signori<br />

in sacrestia (essendosi sempre stati fermi vicino alla porta grande del<br />

convento), come pure chiamò tutti li religiosi che ancora vi rimanevano, cioè<br />

il padre Lodovico Brignone, il padre Bernardo Toesca, li conversi fra Giacinto<br />

Coscio, fra Gioanni Ghiglione (il padre Voarino, padre Cottalorda e padre<br />

Salvago erano partiti alcuni giorni avanti) e con voce alta e franca, alla<br />

presenza <strong>di</strong> tutti, lesse la protesta, attestando che non cedeva i sacri <strong>di</strong>ritti suoi<br />

e dell’Or<strong>di</strong>ne domenicano se non costretto dalla forza e dalla violenza, come<br />

in questo momento si presenta, in<strong>di</strong> <strong>di</strong>chiarò scomunicati tutti quei signori<br />

che avevano preso parte a questa usurpazione. Letta che fu questa protesta,<br />

la presentò all’Insinuatore, il quale la ricusò, <strong>di</strong>cendo <strong>di</strong> darla al Delegato, il<br />

quale, accettandola, <strong>di</strong>sse <strong>di</strong> volerla rimettere ai suoi superiori […]. Consumata<br />

l’opera, i religiosi se ne escirono dal convento alle ore 3 pomeri<strong>di</strong>ane delli 13<br />

febbraio 1864, in giorno <strong>di</strong> sabato, ricoverandosi parte in casa del signor Carlo<br />

Bassano ed in casa d’una certa Antonia, terziaria, e parte in casa del signor<br />

maggiore dei conti Arnal<strong>di</strong>, celebrando nella domenica la messa nella chiesa<br />

delle Monache. Nel lunedì, giorno 15, in cui si fece la sepoltura del sindaco<br />

Luigi Bergalli, li religiosi, dopo essere stati invitati a prendere il caffé tutti<br />

assieme in casa dell’illustrissimo signor Prefetto del Tribunale, che li volle<br />

baciare tutti, alle ore otto partirono pel convento <strong>di</strong> Varazze. Appena esciti i<br />

religiosi dal convento, si chiusero la chiesa e convento per opra del falegname<br />

Domenico Bavassano, il quale si <strong>di</strong>mostrava sì bene affezionato ai padri 294 .<br />

Il 18 febbraio Sadoc Cottalorda ed il converso Giovanni Ghiglione furono<br />

assegnati a Taggia; Luigi Denegri, Emanuele Salvago, Vincenzo Sallua e<br />

Bernardo Toesca a Varazze, mentre Tommaso Sallua fu inviato a Racconigi 295 ; il<br />

giorno successivo Domenico Deamicis e i frati studenti Egi<strong>di</strong>o Boggiani, Alberto<br />

Bregliani e Gun<strong>di</strong>salvo Bellone furono assegnati a Chieri 296 . Il 12 maggio<br />

294 Cenni storici, pp. 266-267. La narrazione del Varia appare elaborata sul modello del racconto<br />

della Passione <strong>di</strong> Cristo. Si veda anche VALLARO 1933, p. 41.<br />

295 Acta Provinciæ, p. 147.<br />

296 Acta Provinciæ, p. 148.<br />

150


Ludovico Voarino ed il converso Giacinto Coscio sono assegnati a Racconigi 297 ,<br />

come pure il priore Parassolo l’8 luglio da Varazze 298 .<br />

La protesta <strong>di</strong> quest’ultimo contro l’allontanamento dei frati da Finale non<br />

rimase senza conseguenze: da Torino giunse l’or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> procedere contro il<br />

Parassolo, che fu arrestato a Poirino, dove era stato temporaneamente inviato<br />

dal provinciale Martini, e condotto in carcere a Genova da due carabinieri in<br />

borghese, accompagnato anche da Paolo Bene<strong>di</strong>centi 299 , priore <strong>di</strong> Torino. Tre<br />

giorni dopo fu convenuto “non farsi luogo a proce<strong>di</strong>mento […]; in questo<br />

frattempo giunse anche dal Tribunale <strong>di</strong> Finale per telegrafo il rilascio del<br />

padre Parassolo. Il che tosto fu eseguito”. Il Parassolo, liberato, si recò nel<br />

convento <strong>di</strong> Santa Maria <strong>di</strong> Castello, da dove partì per Calliano, in <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong><br />

Casale, come confessore nel tempo pasquale 300 .<br />

297 Acta Provinciæ, p. 148.<br />

298 Acta Provinciæ, p. 148; Cenni storici, p. 267.<br />

299 Acta capituli 1907, pp. 37-39; VALLARO 1933, pp. 133-135.<br />

300 Cenni storici, pp. 270-272; BENEDICENTI 2002, pp. 348-349.<br />

151


Sigle<br />

AFP = “Archivum Fratrum Prae<strong>di</strong>catorum”.<br />

AGOP = Archivio Generale dell’Or<strong>di</strong>ne dei Pre<strong>di</strong>catori, presso il convento <strong>di</strong><br />

Santa Sabina in Roma.<br />

APOP-BO = Archivio Provinciale dell’Or<strong>di</strong>ne dei Pre<strong>di</strong>catori – Sezione <strong>di</strong><br />

Bologna, presso il convento <strong>di</strong> San Domenico.<br />

APOP-GE = Archivio Provinciale dell’Or<strong>di</strong>ne dei Pre<strong>di</strong>catori – Sezione <strong>di</strong><br />

Genova, presso il convento <strong>di</strong> Santa Maria <strong>di</strong> Castello.<br />

APOP-TO = Archivio Provincia dell’Or<strong>di</strong>ne dei Pre<strong>di</strong>catori – Sezione <strong>di</strong> Torino,<br />

presso il convento <strong>di</strong> Santa Maria delle Rose.<br />

ASLSP = “Atti della Società Ligure <strong>di</strong> Storia Patria”.<br />

ASV = Città del Vaticano, Archivio Segreto Vaticano.<br />

DBI = Dizionario Biografico degli Italiani.<br />

S.RR.SS., AA.EE.SS. = Città del Vaticano, Segreteria <strong>di</strong> Stato, Sezione per i<br />

Rapporti con gli Stati, Archivi Storico, Congregazione degli Affari Ecclesiastici<br />

Straor<strong>di</strong>nari.<br />

Bibliografia<br />

Fonti documentarie<br />

Acta Provinciæ: Provinciæ Sancti Petri Martyris Or<strong>di</strong>nis Præ<strong>di</strong>catorum […] actorum<br />

codex ab anno MDCCXCVII [ad annum 1932], ms. secc. XVIII-XX, in APOP-TO,<br />

Provincia.<br />

Cenni storici: [R. G. VARIA], Almi cœnobii Finariensis sacri Or<strong>di</strong>nis Præ<strong>di</strong>catorum<br />

compen<strong>di</strong>osa narratio variæque notitiæ utilissimæ o Cenni storici della fondazione e<br />

della triplice re<strong>di</strong>ficazione del convento e chiesa <strong>di</strong> S. Catterina dei RR.PP. Domenicani<br />

nella città <strong>di</strong> Finalborgo e varie altre importantissime notizie relative ai RR. Padri od<br />

alla città tratte dall’archivio del convento, dalla storia <strong>di</strong> Finale, da antichi documenti,<br />

da iscrizioni, da lettere officiali ed in fine da personaggi, quai testimoni oculari, degni<br />

<strong>di</strong> fede, ms. sec. XIX, mm 300x208, pp. 325 numerate fino a p. 278, in APOP-GE,<br />

Finale.<br />

Liber consiliorum conventus Sanctæ Catharinæ virginis et martyris de Finario 1728-1798,<br />

ms. sec. XVIII, mm. 266x174, cc. 1 non numerata (frontespizio) + 130 numerate<br />

+ 3 non numerate in APOP-GE, Finale.<br />

152


Testi a stampa<br />

Or<strong>di</strong>nationes capituli provincialis Provinciæ utriusque Lombar<strong>di</strong>æ Or<strong>di</strong>nis Præ<strong>di</strong>catorum<br />

in conventu Sancti Thomæ de Papia celebrati anno 1593, Bononiæ, in APOP-BO, II,<br />

3020.<br />

Series chronologica comitiorum ac præsidum provincialium Provinciæ, ut vocant,<br />

Utriusque Lombar<strong>di</strong>æ Or<strong>di</strong>nis Præ<strong>di</strong>catorum aucta et emendata anno MDCCXLI,<br />

Bononiæ, 1741, in AGOP, XIII, 522, cc. 109r-118v il testo a stampa, cc. 118r-126r<br />

il testo manoscritto del 1784: il testo <strong>di</strong> c. 126r <strong>di</strong> altra mano.<br />

Acta capituli provincialis Provinciæ utriusque Lombar<strong>di</strong>æ fratrum Or<strong>di</strong>nis Præ<strong>di</strong>catorum<br />

celebrati Faventiæ in conventu S. Andreæ apostoli mense Maio an. iubilæi<br />

MDCCCXXV, Romæ.<br />

Acta capituli provincialis Provinciæ utriusque Lombar<strong>di</strong>æ fratrum Or<strong>di</strong>nis Præ<strong>di</strong>catorum<br />

celebrati Bononiæ in conventu Sancti Patris Dominici mense Maio MDCCCXXVIII,<br />

Anconæ.<br />

Acta capituli provincialis Provinciæ Sancti Petri Martyris Or<strong>di</strong>nis Præ<strong>di</strong>catorum celebrati<br />

in conventu Sanctæ Crucis Boschi mense aprili et maio MDCCCXXXVII, Augustæ<br />

Taurinorum.<br />

Acta capituli provincialis Provinciae Sancti Petri Martyris fratrum Or<strong>di</strong>nis<br />

Prae<strong>di</strong>catorum celebrati in Conventu Sanctae Crucis et Omnium Sanctorum Boschi<br />

mensibus julio et iunio ann. MDCCCXL, Augustae Taurinorum.<br />

Acta capituli provincialis Provinciæ Sancti Petri Martyris fratrum Or<strong>di</strong>nis Præ<strong>di</strong>catorum<br />

celebrati in conventu Sanctae Crucis et Omnium Sanctorum Boschi mense maio<br />

MDCCCXLIII, Taurini.<br />

Acta capituli provincialis Provinciæ Sancti Petri Martyris fratrum Or<strong>di</strong>nis Præ<strong>di</strong>catorum<br />

celebrati in conventu Sanctae Crucis et Omnium Sanctorum Boschi mense maio<br />

MDCCCXLVI, Taurini.<br />

Sacra Rituum Congregatione. Eminentissimo et Reveren<strong>di</strong>ssimo Domino Car<strong>di</strong>nali<br />

Spinola relatore. Savonensis Confirmationis cultus ab immemorabili tempore praestiti<br />

servo Dei Damiano Furcherio ex Or<strong>di</strong>ne Prae<strong>di</strong>catorum, beato nuncupato, instante<br />

Reveren<strong>di</strong>ssimo Patre Vincentio Ajello, Magistro Generali Or<strong>di</strong>nis Præ<strong>di</strong>catorum,<br />

positio super casu excepto, 1847, Romæ.<br />

Acta capituli provincialis Provinciæ Sancti Petri Martyris Or<strong>di</strong>nis Præ<strong>di</strong>catorum celebrati<br />

in conventu Sanctae Crucis et Omnium Sanctorum Boschi mense maio MDCCCLII,<br />

Taurini.<br />

Elencus annualis conventuum fratrum sacri Or<strong>di</strong>nis Præ<strong>di</strong>catorum Provinciæ Sancti<br />

Petri Martyris, 1853, Taurini.<br />

Elencus annualis conventuum fratrum sacri Or<strong>di</strong>nis Præ<strong>di</strong>catorum Provinciae Sancti<br />

Petri Martyris, 1854, Taurini.<br />

153


Acta capituli provincialis Provinciæ Sancti Petri Martyris Or<strong>di</strong>nis Præ<strong>di</strong>catorum celebrati<br />

in conventu S. Catharinæ virginis et martyris Tri<strong>di</strong>ni mense Iulio MDCCCLXII,<br />

Augustæ Taurinorum.<br />

Acta capituli provincialis Provinciæ Sancti Petri Martyris Or<strong>di</strong>nis Præ<strong>di</strong>catorum celebrati<br />

in conventu Sanctæ Catharinæ virginis et martyris Tri<strong>di</strong>ni mense aprili <strong>di</strong>e 21 et<br />

sequentibus anno 1866, Augustæ Taurinorum.<br />

IGHINA A., Elogio funebre <strong>di</strong> monsignor Gio. Tommaso Ghilar<strong>di</strong> vescovo <strong>di</strong> Mondovì […]<br />

nelle esequie trigesimali celebrate nella cattedrale il 10 luglio 1873, Mondovì.<br />

CAMPO ANTICO St. T. 1880, Il Padre Alberto, Ignazio, Francesco Cottolengo dell’Or<strong>di</strong>ne<br />

dei Pre<strong>di</strong>catori. Memorie biografiche raccolte dal suo successore […], Genova.<br />

VIGNA R.A. 1885, I più bei fiori <strong>di</strong> Castello, ossia i beati, venerabili e pii domenicani del<br />

convento <strong>di</strong> Santa Maria <strong>di</strong> Castello in Genova. Cenni storici, Genova.<br />

VIGNA R.A. 1886, I Domenicani illustri del convento <strong>di</strong> Santa Maria <strong>di</strong> Castello in<br />

Genova, Genova.<br />

VIGNA R.A. 1887, I Vescovi Domenicani Liguri ovvero in Liguria, Genova.<br />

VIGNA R.A. 1888, Monumenti storici del convento <strong>di</strong> Santa Maria <strong>di</strong> Castello in Genova<br />

dell’Or<strong>di</strong>ne dei Pre<strong>di</strong>catori, I. Sillabo dei figli del convento <strong>di</strong> S. Maria <strong>di</strong> Castello in<br />

Genova, in ASLSP, XX (1888), pp. I-XLIII e 1-336.<br />

Acta capituli provincialis Provinciae Sancti Petri Martyris Or<strong>di</strong>nis Prae<strong>di</strong>catorum<br />

celebrati in conventu sancti patris nostri Dominici Cherii mense maio 1892, Augustae<br />

Taurinorum.<br />

Acta capituli generalis <strong>di</strong>ffinitorum Sacri Or<strong>di</strong>nis Prae<strong>di</strong>catorum Abulae in conventu S.<br />

Thomae Aquinatis celebrati in festo Pentecostes <strong>di</strong>e prima Junii et sequentibus anno<br />

Domini MDCCCLXXXXV sub reveren<strong>di</strong>ssimo patre fratre Andrea Frühwirth sacrae<br />

theologiae professore, magistro generali eiusdem Or<strong>di</strong>nis, 1895, Romae.<br />

Notice sommaire sur la vie et les œuvres du Très-Révérend Père Hyacinthe-Marie<br />

Cambiaso des Frères Prêcheurs, supérieur de la Mission Domincaine à Constantinople,<br />

1897, Constantinople.<br />

Acta capituli generalis Or<strong>di</strong>nis Prae<strong>di</strong>catorum Viennae in venerabili conventu Sanctae<br />

Mariae Rotundae a <strong>di</strong>e 29 Maii in festo Pentecostes ad <strong>di</strong>em 4 Iunii celebrati anno<br />

Domini MDCCCXCVIII sub reveren<strong>di</strong>ssimo patre fratre Andrea Frühwirth sacrae<br />

theologiae professore eiusdemque Or<strong>di</strong>nis magistro generali, 1898, Romae.<br />

Acta capituli provincialis Provinciae Sancti Petri Martyris Or<strong>di</strong>nis Prae<strong>di</strong>catorum<br />

celebrati in conventu sancti patris Dominici Cherii mense Maio anni iubilaei 1900,<br />

Augustae Taurinorum.<br />

GIORDANINO A.M. 1906, Monsignor Giovanni Tommaso Ghilar<strong>di</strong>, vescovo <strong>di</strong> Mondovì.<br />

Cenni biografici 1800-1873, Mondovì.<br />

Acta capituli provincialis Provinciæ Sancti Petri Martyris Or<strong>di</strong>nis Præ<strong>di</strong>catorum celebrati<br />

in conventu sancti patris Dominici Cherii mense Maio anno 1907, Augustae<br />

Taurinorum.<br />

154


FRAIKIN J. 1912, v. Airenti, Giuseppe Maria Vincenzo, in Dictionnaire d’histoire et de<br />

géographie ecclésiastique, Paris, I, coll. 1215-1216.<br />

MORTIER A. 1914, Histoire des Maîtres Généraux de l’Ordre des Frères Prêcheurs, Paris,<br />

VII.<br />

BIANCHI R. 1916, La provincia <strong>di</strong> San Pietro Martire e i suoi Conventi, Torino.<br />

VALLARO S.M. 1929, Del ristabilimento della provincia domenicana <strong>di</strong> San Pietro Martire<br />

nel Piemonte e Liguria dopo la soppressione francese. Fascicolo <strong>di</strong> memorie storiche e<br />

biografiche 1821-1850, Chieri.<br />

VALLARO S.M. 1933, Le vicende della provincia domenicana <strong>di</strong> San Pietro Martire <strong>di</strong><br />

Piemonte e Liguria nelle ultime soppressioni. Secondo fascicolo <strong>di</strong> memorie storiche e<br />

biografiche 1850-1885, Chieri.<br />

CODIGNOLA E. 1941, Carteggi <strong>di</strong> giansenisti liguri. Precede una introduzione storica.<br />

Segue un’appen<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> documenti ine<strong>di</strong>ti o rari, voll. I-III, Firenze.<br />

RULLA A. 1942, Una gloria dell’episcopato italiano: mons. Giovanni Tommaso Ghilar<strong>di</strong>,<br />

[s.l.].<br />

BORGHESE E. 1957, La crisi Calabiana secondo nuovi documenti, in “Bollettino storicobibliografico<br />

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ORESTE G. 1960, v. Airenti Giuseppe Vincenzo in DBI, vol. I, pp. 537-538.<br />

RITZLER R., SEFRIN P. 1968, Hierarchia Catholica me<strong>di</strong>i et recentioris aevi […], VII (1800-<br />

1846), Patavii.<br />

MURIALDO G. 1981, Il pagamento a Oddone Pascale dell’ancona <strong>di</strong> Santa Caterina in<br />

Finalborgo, 1976-1978, in “Rivista Ingauna e Intemelia”, n.s., XXXI-XXXIV, pp.<br />

162-163.<br />

La chiesa e il convento <strong>di</strong> Santa Caterina in Finalborgo, 1982, Genova.<br />

MURIALDO G. 1983, Il convento domenicano <strong>di</strong> Santa Caterina in Finalborgo tra il 1359<br />

ed i primi decenni del Cinquecento, 1981-1982, in “Rivista Ingauna e Intemelia”,<br />

n.s., XXXVI-XXXVII, nn. 1-4, pp. 9-55.<br />

ASSERETO G. 1986, v. Dania, Angelo Vincenzo, in DBI, vol. XXXII, pp. 585-588.<br />

ESPOSITO L.G. 1989, La riforma domenicana in Italia a metà Ottocento: dal progetto <strong>di</strong><br />

mons. Ghilar<strong>di</strong> al governo <strong>di</strong> Jandel, in AFP, vol. LIX, pp. 213-266.<br />

GRISERI G. 1999, v. Ghilar<strong>di</strong> Giovanni (in religione Tommaso), in DBI, LIII, pp. 732-<br />

734.<br />

CALZAMIGLIA L.L. 2000, Angelo Vincenzo Dania vescovo <strong>di</strong> Albenga tra rivoluzione e<br />

restaurazione (1802-1818), Imperia.<br />

VENCHI I. 2000, Catalogus hagiographicus Or<strong>di</strong>nis Prae<strong>di</strong>catorum, Romae.<br />

BALLARÒ D., GROSSI R. 2001, Finalborgo. Spazio urbano e proprietà tra Sette e Ottocento,<br />

Finale Ligure.<br />

155


BENEDICENTI P. 2002, Memorie storiche della Provincia <strong>di</strong> San Pietro Martire dell’Or<strong>di</strong>ne<br />

dei Pre<strong>di</strong>catori dall’anno 1793 sino al presente (1891), in G. VILLA d’ANDEZENO - P.<br />

BENEDICENTI, I Domenicani nella ‘Lombar<strong>di</strong>a Superiore’ dalle origini al 1891, a cura<br />

<strong>di</strong> V. FERRUA, Torino (Biblioteca Storica Subalpina, CCXVIII).<br />

COLOMBO M.T. 2003, Padre Alberto Cottolengo (1808-1873): quasi un <strong>di</strong>ario. Vocazione<br />

e vita apostolica <strong>di</strong> un domenicano e parroco, Bra.<br />

BERSANI A. 2004, Restauri del complesso conventuale <strong>di</strong> Santa Caterina in Finalborgo, a<br />

cura <strong>di</strong>, Finale Ligure.<br />

156


Puntualizzazione su alcuni marmi<br />

della Collegiata <strong>di</strong> San Biagio in Finalborgo<br />

Massimo Bartoletti<br />

“Il lusso strabocchevole della parrocchiale finalese non ha paragoni in riviera.<br />

I marmi più preziosi si piegano duttili ad ogni capriccio come cera al calor<br />

della fiamma” 1 . La citazione proviene da un poco noto scritto <strong>di</strong> Piero Torriti<br />

e<strong>di</strong>to nel 1962 in un volume che aveva per tema la Liguria, a sua volta inserito<br />

in un’ampia collana <strong>di</strong> argomento pluri<strong>di</strong>sciplinare de<strong>di</strong>cata alle regioni<br />

d’Italia, nel passato e nell’attualità. Torriti, all’epoca ispettore dell’allora<br />

Soprintendenza alle Gallerie e alle Opere d’Arte della Liguria, restituiva con<br />

efficacia il colpo d’occhio offerto dall’interno della collegiata <strong>di</strong> San Biagio in<br />

Finalborgo e segnalava, come punto culminante <strong>di</strong> tanta sontuosità, il pulpito<br />

marmoreo, una forma architettonica che si trasforma all’improvviso, come<br />

per incanto, in sequenza <strong>di</strong> figurazioni. Si riteneva allora che questo<br />

capolavoro fosse mano <strong>di</strong> Francesco Maria Schiaffino, il più importante<br />

scultore che in Liguria lavorasse il marmo dopo Filippo Paro<strong>di</strong>, mentre ora<br />

sappiamo, che l’opera, del 1765, si deve a un altro valente scultore genovese,<br />

Pasquale Bocciardo 2 . Proprio la sua <strong>di</strong>namica presenza innescò una serie <strong>di</strong><br />

lavori, realizzata entro la fine del Settecento con largo impiego <strong>di</strong> marmi<br />

policromi, che contribuì a suscitare in modo determinante quella impressione<br />

<strong>di</strong> “lusso strabocchevole” che Torriti avvertiva come peculiare della collegiata<br />

<strong>di</strong> Finalborgo.<br />

Il monumentale pulpito <strong>di</strong> Bocciardo era stato eretto nella navata centrale<br />

<strong>di</strong> fronte alla cantoria dell’organo, inserita allora nella penultima arcata a<br />

1 TORRITI 1962, p. 250.<br />

2 MURIALDO, SCARRONE 1981, pp. 27-28. L’attribuzione a Schiaffino è riferita da SILLA 1964, p.<br />

173 (I ed. 1921), mentre la balaustra “vuolsi del Bernini”. Pulpito, altar maggiore e balaustra<br />

passavano successivamente nel catalogo <strong>di</strong> Francesco Maria Schiaffino in SILLA, LAMBOGLIA<br />

1951, pp. 40-41.<br />

157


destra, e interferiva con essa nella percezione globale, da vari punti <strong>di</strong> vista,<br />

degli spazi interni della chiesa. Ne era particolarmente infasti<strong>di</strong>to uno dei<br />

canonici del capitolo <strong>di</strong> San Biagio, don Andrea Torcelli, ultimo rampollo <strong>di</strong><br />

una antica e ricca famiglia <strong>di</strong> Finalborgo. Il sacerdote “da più anni” andava<br />

ripetendo che l’organo “resta collocato nella nave <strong>di</strong> mezzo quasi <strong>di</strong> rimpetto<br />

al pulpito, che cuopre nella maggior parte la vista della cappella <strong>di</strong> Santa Lucia<br />

e che la <strong>di</strong> lui orchestra o cantoria pregiu<strong>di</strong>ca la bella comparsa e scimetria <strong>di</strong><br />

detta nave si mezzo” 3 . Non era senza <strong>di</strong>sinteresse che don Torcelli – uno dei<br />

protagonisti della nostra vicenda col fratello Bartolomeo – concepì l’ambizioso<br />

progetto <strong>di</strong> trasferire la cantoria <strong>di</strong>etro l’altar maggiore, sopra gli stalli del coro,<br />

dato che la cappella <strong>di</strong> Santa Lucia, quarta nella navata destra, apparteneva<br />

alla sua famiglia. Davanti al notaio Giovanni Paolo Sciora, il 29 maggio 1784,<br />

don Andrea si impegnò a finanziare <strong>di</strong> tasca propria la nuova cantoria, la cassa<br />

dell’organo, nonché l’ampliamento del materiale fonico dello strumento. Il<br />

sacerdote, molto saggiamente, maturava la decisione dopo che il “capo<br />

d’opera” locale Giuseppe Barella aveva sottoposto lo spazio presbiteriale a<br />

lavori <strong>di</strong> risanamento consistiti, nel 1779, nella manutenzione del manto <strong>di</strong><br />

copertura, nella imbiancatura della volta interna nel 1783 4 . Il 10 agosto 1784 il<br />

torinese Gioachino Concone riceveva l’incarico <strong>di</strong> riformare l’organo, mentre<br />

il 15 febbraio 1785 l’intagliatore Francesco Basso da Sestri Ponente, residente<br />

a Finalmarina, si vedeva affidare cassa e cantoria, per la realizzazione delle<br />

quali veniva saldato il 17 settembre successivo 5 . Il “capo d’opera” Barelli<br />

procurava i ponteggi per installare la nuova nel coro e contestualmente<br />

risarciva le lacune della muratura dei pilastri della navata destra rimaste in<br />

vista dopo lo smantellamento della cantoria 6 . Dopo la morte del fratello,<br />

deceduto a 75 anni il 23 maggio 1787, Bartolomeo Torcelli si occupò della<br />

coloritura e della doratura delle parti lignee affidata il 13 aprile 1790 a<br />

3 TARRINI, POZZO 1980, pp. 69-71 con l’e<strong>di</strong>zione parziale dei documenti. Ancora VENTURINO,<br />

TARRINI 2005, pp. 1-21 per notizie sull’organo più antico realizzato nel 1665 dai milanesi Michele<br />

e Stefano Carboni.<br />

4 APF in ASDS, Libro E. Capitolo Collegiata <strong>di</strong> S. Biagio. Cassa 1742-1806, c. 33v. (“Conto totale<br />

delle Spese fatte del tetto del Sancta Sanctorum, e coro con l’assistenza <strong>di</strong> Giuseppe Barella”);<br />

c. 42r. (fornitura dei ponteggi). Nel 1778 Giuseppe Barella aveva rifatto la vecchia sagrestia<br />

“che conduce al campanile” (APF in ASDS, Libro E...; c. 33r.).<br />

5 TARRINI, POZZO 1980, p. 71.<br />

6 In APF in ASDS, Libro E..., c. 14v. lo smantellamento della cantoria realizzato a spese della<br />

famiglia Cavasola; a c. 42r. la provvisione dei ponteggi, a c. 40v. un pagamento <strong>di</strong> 43 lire a<br />

Barelli per aver posizionato i finestroni nel coro.<br />

158


Bernardo Ricci, un genovese residente ad Alassio che finì i lavori nel <strong>di</strong>cembre<br />

successivo 7 .<br />

Il consenso riscosso dalla complessa e costosa operazione fu<br />

incon<strong>di</strong>zionato. I versi dell’Egloga Titiro e Silvio, composta nel 1785 su<br />

commissione della “Città e popolo finarese” da don Pasquale Siccar<strong>di</strong>,<br />

“Cappellano d’onore dell’Esercito <strong>di</strong> S.M. Siciliana”, quale tributo <strong>di</strong><br />

riconoscenza a don Torcelli – al quale l’autore dei versi era particolarmente<br />

legato – testimoniano che il risultato era stato all’altezza delle attese 8 . Nella<br />

messa in scena <strong>di</strong> gusto arca<strong>di</strong>co, escogitata da don Siccar<strong>di</strong>, sul modello<br />

virgiliano, il pastore Silvio, che <strong>di</strong>scorre col compagno Titiro della recente<br />

inaugurazione dell’organo <strong>di</strong> Gioachino Concone, si <strong>di</strong>chiarava sedotto<br />

dall’“armonia mirifica” prodotta dallo strumento nella nuova collocazione ma<br />

rilevava come essa fosse tutt’uno con “il più grato spettacolo” che offrivano<br />

adesso all’occhio cantoria e cassa splen<strong>di</strong>damente installati nel “Santuario” –<br />

cioè nel presbiterio – della chiesa 9 .<br />

La nuova presenza in fondo all’abside, dorata e colorata in modo <strong>di</strong>verso<br />

da come lo si vede ora, costrinse a ripensare altrimenti anche l’altar maggiore,<br />

onde evitare una ulteriore <strong>di</strong>sarmonia, dopo che, tra il 1771 e il 1772 la<br />

Compagnia del Santissimo Sacramento aveva commissionato a Giuseppe<br />

Ascheri il pavimento marmoreo del presbiterio, posto in opera da Domenico<br />

Nobile e da Alberto Rossi, e, nel 1782, aveva affidato ai fratelli Antonio Maria<br />

e Lorenzo Binelli marmorari <strong>di</strong> Carrara l’impiantito delle navate sostenendo<br />

7 Il decesso <strong>di</strong> don Andrea Torcelli è registrato in APF in ASDS, Mortuorum 1784-1807, 23 maggio<br />

1787. Il compimento dell’impresa fu un assillo costante durante gli ultimi mesi della sua vita:<br />

il 15 settembre 1785, don Torcelli, nel donare tutti i suoi beni al fratello Bartolomeo, lo<br />

obbligava, tra l’altro, a compiere il lavoro entro un anno dalla sua morte (ASS, notai <strong>di</strong>strettuali,<br />

Pietro Giovanni Rozio <strong>di</strong> Finale, n. 3927 [1785], cc. 133v./135r.; cc. 138r./139v.). Avendo però<br />

revocata la donazione, il 21 settembre 1785, don Torcelli, il 2 gennaio 1786, girava l’incombenza<br />

ai priori della Compagnia del Santissimo Sacramento, Giuseppe Cavasola e Giuseppe<br />

Brunengo, ai quali veniva messo a <strong>di</strong>sposizione un capitale moroso <strong>di</strong> 2.000 lire <strong>di</strong> Genova<br />

(ibidem, n. 3928 [1786], c. 2r./v.). La commissione della doratura e della coloritura e la quietanza<br />

sono in ibidem, n. 3932 (1790), cc. 52v./53r.; cc. 612v./262r. L’operato <strong>di</strong> Bernardo Ricci è pure<br />

riferito da APF in ASDS, Libro E..., c. 42r.<br />

8 Nel 1790 don Pasquale Siccar<strong>di</strong> era stato designato da don Bartolomeo Torcelli quale <strong>di</strong>rettore<br />

della propria biblioteca che egli intendeva fosse aperta al pubblico, alla sua morte, in alcuni<br />

ambienti della propria <strong>di</strong>mora in piazza delle Erbe, l’attuale piazza Garibal<strong>di</strong> (Cfr. nota 7;<br />

BALLARÒ, GROSSI 2001, pp. 57-58). Siccar<strong>di</strong> era dal canto suo molto ricco ed era proprietario <strong>di</strong><br />

una interessante libreria <strong>di</strong> cui resta l’inventario del 21 gennaio 1836 (ID., p. 72).<br />

9 TARRINI, POZZO 1980, p. 73.<br />

159


la spesa <strong>di</strong> 4418.8.8 lire <strong>di</strong> Genova coperta col generoso contributo dei notabili<br />

<strong>di</strong> Finalborgo, tra i quali si erano <strong>di</strong>stinti ancora una volta i due Torcelli con<br />

una offerta <strong>di</strong> ben 500 lire 10 . Sempre dalla Compagnia, i Binelli incasseranno<br />

ulteriori pagamenti tra il 1789 e il 1790 per aver fasciato in marmo grigio lo<br />

zoccolo del presbiterio, e aver rivestito in marmo bianco i tre portali <strong>di</strong> facciata<br />

<strong>di</strong> San Biagio, compreso l’”ornato [...], o sia Iscrizione sopra la porta Maggiore”<br />

che corrisponde alla cartella ovale tuttora esistente, posta in opera ancora una<br />

volta dall’alacre “capo d’opera” Barella (Fig. 1) 11 . Verosimilmente altri esempi<br />

stimolavano le ambizioni dei due fratelli, preoccupati <strong>di</strong> perpetuare ai posteri<br />

la memoria della famiglia che con loro si sarebbe estinta: entrambi forse<br />

ricordavano la traslazione dell’organo della cattedrale <strong>di</strong> <strong>Savona</strong> dalla navata<br />

<strong>di</strong> mezzo all’abside finanziata nel 1767 ad<strong>di</strong>rittura dal doge della Repubblica<br />

Francesco Maria Della Rovere; che a Pasquale Bocciardo era stato affidato nel<br />

1764 l’ampliamento dell’altar maggiore, e successivamente, nel 1777-1778, era<br />

stato posto in opera il portale principale dotato <strong>di</strong> un gruppo in marmo<br />

dell’Assunta scolpito da Giovanni Antonio Cibei 12 . Ma sicuramente i sacerdoti<br />

avevano in mente un caso ancor più vicino a casa propria, il presbiterio del<br />

santuario <strong>di</strong> Finalpia, tanto caro ai Finalesi, arricchito tra il 1728 e il 1748 <strong>di</strong><br />

marmi, <strong>di</strong> tessuti preziosi, <strong>di</strong> suppellettile lignea e in argento dalla<br />

munificenza <strong>di</strong> altri due fratelli, Cristoforo Maria e Ottavio Maria Prasca, della<br />

potente famiglia <strong>di</strong> Finalmarina ascritta al patriziato genovese dal 1767, con<br />

la quale erano imparentati 13 .<br />

10 APF in ASDS, Libro E..., cc. 7r, 8r, 10r (pavimento del presbiterio). Ibidem, cc. 41 r/v (pavimento<br />

delle navate). Sulla famiglia Binelli si vedano ora le notizie raccolte da SANTAMARIA 2011, pp.<br />

353-354, cui vanno aggiunti, riguardo ad Antonio Maria, la fornitura, il 19 <strong>di</strong>cembre 1778, dei<br />

marmi per la Villa Durazzo (poi Bombrini) <strong>di</strong> Cornigliano (BONORA 1991, p. 145; il saldo, nel<br />

1783, per i marmi della cappella del Rosario nella parrocchiale <strong>di</strong> San Giovanni Battista <strong>di</strong><br />

Sassello (APSGBS, 1752. Libro de conti della compagnia del Rosario, c. 36); la commissione del<br />

pavimento della nuova parrocchiale <strong>di</strong> San Nicolò a Pietra Ligure il 28 <strong>di</strong>cembre 1789 (REMBADO<br />

1992, pp. 86-87). infine un documento ine<strong>di</strong>to dell’8 gennaio 1791 (asg, notaio Luigi Maria<br />

Castiglioni, n. 12117, atto n. 15), relativo alla fornitura, nel 1788, <strong>di</strong> una partita “<strong>di</strong> quadrette e<br />

mortari <strong>di</strong> marmo” spe<strong>di</strong>ta da Carrara a Marsiglia sul bastimento <strong>di</strong> Antonio Frugone per conto<br />

del negoziante Giovan Battista Cighizola. Quanto ai capi-d’opera Nobile e Rossi, entrambi<br />

ricostruirono, a partire dal 1773, la chiesa parrocchiale <strong>di</strong> San Nicolò a Calice Ligure e, dal 1779,<br />

la chiesa parrocchiale <strong>di</strong> San Pietro a Rialto: GRANERO, MOLTENI 1998, p. 87, p. 103.<br />

11 APF in ASDS, Libro E... c. 46v., c. 47v., c. 48v.<br />

12 TARRINI 2009. FARRIS 1999, pp. 23-24, MILAZZO 2009, p. 411 per i lavori <strong>di</strong> Bocciardo all’altar<br />

maggiore; CHILOSI 1988, pp. 25-26 per l’intervento <strong>di</strong> Cibei.<br />

13 BARTOLETTI 2010, p. 29. La parentela con i Prasca <strong>di</strong> Finalmarina è <strong>di</strong>chiarata da Andrea<br />

Torcelli nel suo testamento del 5 aprile 1785, allorché prescrive al fratello Bartolomeo <strong>di</strong><br />

160


Rimasto solo, Bartolomeo Torcelli de<strong>di</strong>cò gli anni <strong>di</strong> vita che gli restavano<br />

al compimento dell’opera intrapresa dal fratello. Mentre Bernardo Ricci stava<br />

terminando la coloritura e la doratura dell’organo e della cantoria, don<br />

Bartolomeo dettava, il 2 novembre 1790, il proprio testamento nel quale<br />

prescriveva al proprio erede universale, Lorenzo Battista Gollo da Pietra<br />

Ligure, <strong>di</strong> far eseguire un busto in argento <strong>di</strong> San Biagio, quale pendant <strong>di</strong> un<br />

altro <strong>di</strong> San Venerio già presente “subito che sarà eretto, e perfettamente<br />

compiuto il nuovo altare maggiore della nostra chiesa colleggiata<br />

parrocchiale” 14 . La tappa ivi annunciata fu intrapresa il 13 settembre 1791,<br />

allorché don Bartolomeo, in casa propria a Finalborgo, formalizzava con lo<br />

scultore genovese Girolamo Bocciardo, che agiva a nome del socio Andrea<br />

Casareggio, la commissione dell’altar maggiore <strong>di</strong> San Biagio, da consegnare<br />

entro un anno per il compenso <strong>di</strong> 7.000 lire <strong>di</strong> Genova, <strong>di</strong> cui veniva versato<br />

un acconto <strong>di</strong> 2.029 lire 15 . Lo scultore presentava la garanzia offertagli dal<br />

canonico Pietro Paolo Bergalli, mentre don Torcelli, per la corretta posa in<br />

opera dell’altare, si rimetteva al giu<strong>di</strong>zio <strong>di</strong> Vincenzo Sar<strong>di</strong>, un personaggio<br />

ancora un po’ misterioso che sembra svolgere, nell’ambito del mecenatismo<br />

artistico familiare, un ruolo, per così <strong>di</strong>re, <strong>di</strong> <strong>di</strong>rettore dei lavori, dato che nel<br />

1785 aveva assistito Francesco Basso mentre realizzava la cantoria e la cassa<br />

dell’organo, fornendo <strong>di</strong>segni <strong>di</strong> variante rispetto al progetto già presentato,<br />

sorvegliando sulla riuscita dell’intervento <strong>di</strong> coloritura e doratura delle<br />

superfici <strong>di</strong> Bernardo Ricci 16 . Il 13 gennaio 1792, sempre a Finalborgo, il<br />

sacerdote, ufficializzando col tramite del canonico Bergalli accor<strong>di</strong> già presi<br />

<strong>di</strong>sporre la cessione della metà <strong>di</strong> una propria casa a Finalmarina al “<strong>di</strong>lettissimo cugino”<br />

Bartolomeo Maria Prasca, già proprietario dell’altra parte (ASS, notai <strong>di</strong>strettuali, Pietro<br />

Giovanni Rozio <strong>di</strong> Finale, n. 3927 [1785], c. 50r.). Bartolomeo Maria era figlio <strong>di</strong> Cristoforo Maria<br />

e nipote <strong>di</strong> Ottavio Maria, i benefattori del santuario <strong>di</strong> Finalpia (Archivio Prasca 2009, p. 221).<br />

14 ASS, notai <strong>di</strong>strettuali, Pietro Giovanni Rozio <strong>di</strong> Finale, n. 3932 (1790), cc. 229r./230v. La<br />

prescrizione è riba<strong>di</strong>ta anche nel co<strong>di</strong>cillo dettato il 18 luglio 1791 (ibidem, n. 3934 [1791], c. 147r.).<br />

15 Appen<strong>di</strong>ce 1 e appen<strong>di</strong>ce 2. Risulta inspiegabile la ricostruzione <strong>di</strong> MURIALDO, SCARRONE<br />

1981, pp. 26-27 che assegna a un Domenico Bocciardo, tra il 1797 e il 1799, l’altar maggiore, le<br />

balaustre e tutto il battistero <strong>di</strong> San Biagio. Don Mario Scarrone sapeva peraltro che Girolamo<br />

Bocciardo aveva realizzato il battistero, ma probabilmente, in sede <strong>di</strong> stampa, per un lapsus<br />

calami sostituì il nome Domenico, che è tra l’altro quello del pittore nativo <strong>di</strong> Finale operoso a<br />

Genova nel primo ’700 (Archivio Scarrone in ASDS, cartella 3/60. Finale. Finalborgo).<br />

L’equivoco storiografico ha fruttato all’ormai <strong>di</strong>ssolto “Domenico Bocciardo” una certa fortuna<br />

critica: FRANCHINI GUELFI 1988, pp. 276, 277, 292; BARTOLETTI 1994, p. 27; GIACOBBE 1994, p. 26;<br />

BARTOLETTI 2004, pp. 41-42.<br />

16 TARRINI, POZZO 1980, p. 71; inoltre qui nota 7 e appen<strong>di</strong>ce n. 1.<br />

161


verbalmente, commissionava a Bocciardo e a Casareggio pure le balaustre del<br />

presbiterio per un importo <strong>di</strong> 3.000 lire <strong>di</strong> Genova e accordava una proroga<br />

<strong>di</strong> quattro mesi della data <strong>di</strong> scadenza 17 . Gli scultori consegnarono balaustre<br />

e altar maggiore entro i tempi stabiliti, dato che il 16 <strong>di</strong>cembre Bocciardo, a<br />

nome del socio, <strong>di</strong>chiarava a Finalborgo <strong>di</strong> aver percepito da don Torcelli il<br />

saldo <strong>di</strong> 7.900 lire <strong>di</strong> Genova 18 .<br />

L’esito del mecenatismo dei sacerdoti Torcelli nella pre<strong>di</strong>letta San Biagio<br />

<strong>di</strong> Finalborgo chiude come una sorta <strong>di</strong> sfavillante fuoco d’artificio una<br />

feconda stagione artistica barocchetta che aveva mutato considerevolmente,<br />

nel corso del XVIII secolo, l’immagine <strong>di</strong> chiese e <strong>di</strong>more patrizie nel Finale,<br />

tuttora in attesa, da parte degli stu<strong>di</strong>osi, <strong>di</strong> una indagine sistematica 19 . Il<br />

clima culturale a Genova, in quegli anni, si era evoluto in senso apertamente<br />

neoclassico, solo a considerare l’esito del gran<strong>di</strong>oso cantiere del Palazzo<br />

Ducale 20 . Il punto <strong>di</strong> stile e <strong>di</strong> gusto dei Torcelli si attestava invece<br />

sull’“ultima grande prova della scultura barocca in Liguria”, il pulpito <strong>di</strong><br />

Pasquale Bocciardo in San Biagio, opera <strong>di</strong> uno scultore <strong>di</strong> consolidato<br />

prestigio, titolare per lunghi anni (1763-1789) della cattedra <strong>di</strong> scultura<br />

all’Accademia Ligustica <strong>di</strong> Belle Arti a Genova, noto tanto nella Penisola<br />

Iberica, quanto, per quel che interessa a noi, nel tratto <strong>di</strong> Riviera tra <strong>Savona</strong><br />

e Albenga in cui Finalborgo si trova 21 . Pasquale era deceduto l’8 luglio 1791,<br />

ma i suoi ere<strong>di</strong>, il figlio Girolamo, all’epoca <strong>di</strong> ventott’anni, il nipote Andrea<br />

Casareggio che ne aveva 54, continuavano l’attività nell’officina <strong>di</strong> via<br />

17 Appen<strong>di</strong>ce 3 e appen<strong>di</strong>ce 4.<br />

18 Appen<strong>di</strong>ce 5.<br />

19 Si vedano per lo meno, BALLARÒ, GROSSI 2001, passim; GRANERO, MOLTENI 1998, passim.<br />

20 OLCESE SPINGARDI, SBORGI 1999, pp. 408-413; OSSANNA CAVADINI 2003, pp. 101-135.<br />

21 La citazione nel testo è in FRANCHINI GUELFI 1988, p. 276. Relativamente a Bocciardo si veda<br />

ancora FRANCHINI GUELFI 1988, pp. 275-276; p. 291 da integrare con EAD. 1994, pp. 66-69 che<br />

include le importanti precisazioni biografiche fornite su base archivistica da BELLONI 1988, pp.<br />

252-257. Per l’attività <strong>di</strong> Bocciardo in Spagna e in Portogallo FRANCHINI GUELFI 2002, pp. 255-<br />

256, p. 259, nota 69; EAD. 2006, pp. 321-233. L’attività savonese è complessivamente ripercorsa<br />

da MILAZZO 2009, pp. 405-431 con bibliografia, mentre BARBARIA, FRANCHINI GUELFI, 2003, pp.<br />

127-135 pubblicano l’altar maggiore (1776) e l’altare del Rosario (1790) nella chiesa parrocchiale<br />

<strong>di</strong> San Silvestro a Ortovero. È irreperibile l’altare maggiore <strong>di</strong> Pasquale Bocciardo nella chiesa<br />

soppressa <strong>di</strong> San Domenico in Albenga su cui BARBARIA in corso <strong>di</strong> stampa. BRUNO 2011, pp.<br />

170-171 per la sua produzione ritrattistica, alla quale sarà da aggiungere il busto <strong>di</strong> Giuseppe<br />

Montesisto (su cui MILAZZO 2009, p. 411) da poco riemerso con un altro <strong>di</strong> ignoto benefattore,<br />

a nostro avviso sempre <strong>di</strong> sua mano, dai fon<strong>di</strong> dell’ex ospedale <strong>di</strong> San Paolo a <strong>Savona</strong>.<br />

162


Giulia, l’attuale via XX settembre a Genova, dopo aver stretto società il 23<br />

luglio 1791 22 .<br />

L’imponente altar maggiore (Fig. 2), nella struttura trapezoidale rovesciata,<br />

si adegua alla falsariga <strong>di</strong> quello <strong>di</strong> Pasquale Bocciardo in Santa Maria della<br />

Cella a Genova-Sampierdarena anteriore al 1766 23 . Solo a un confronto<br />

superficiale, è però evidente il <strong>di</strong>vario culturale e linguistico che oramai li<br />

separa. Rilevate le residue cadenze tardo-barocche nella mensa, nel<br />

tabernacolo dalla fronte sfalsata, nei gradoni laterali, e infine nelle due gran<strong>di</strong><br />

volute ai fianchi, andranno sottolineati il coor<strong>di</strong>namento delle parti figurative<br />

con gli elementi architettonici secondo precisi nessi logici e principi <strong>di</strong> rigorosa<br />

verosimiglianza, e un forte accento neomichelangiolesco nelle volute a<br />

manicotto in marmo bianco che scan<strong>di</strong>scono in verticale le specchiature<br />

rettangolari del gradone portacandele inferiore, nei festoni a rilievo e<br />

specialmente nei due robusti putti in posa contrapposta che presi<strong>di</strong>ano la<br />

mensa reggendo i lembi <strong>di</strong> un drappo fissato al centro del paliotto da una<br />

grande borchia, nonché negli altri due putti, non meno erculei, che reggono,<br />

ai culmini laterali, l’oneroso aggetto della lastra <strong>di</strong> marmo sagomata. La<br />

balaustra con gli angeli (Fig. 3), invece, “riecheggia una scenografica<br />

‘invenzione’ del primo barocco romano”, probabilmente quella in marmi<br />

policromi <strong>di</strong>segnata da Francesco Borromini nella cappella Spada in San<br />

Girolamo della Carità a Roma 24 . Nell’“atteggiamento movimentato e attorto”<br />

dei quattro angeli è abbastanza facile riconoscere un recupero <strong>di</strong> Bernini,<br />

dell’Angelo che ostende la Colonna sul Ponte Sant’Angelo a Roma, me<strong>di</strong>ata, a<br />

ritroso, dall’omologo che regge il pulpito della cattedrale <strong>di</strong> La Laguna nelle<br />

Canarie (1763-1767) <strong>di</strong> Pasquale Bocciardo, e da quello del maestro <strong>di</strong> lui,<br />

Giacomo Antonio Ponsonelli, in cima alla fontana sul sagrato del Santuario<br />

della Madonna <strong>di</strong> Misericor<strong>di</strong>a <strong>di</strong> <strong>Savona</strong> 25 . Il “virtuosismo naturalistico della<br />

tovaglia <strong>di</strong> pizzo in marmo finemente inciso, stazzonata da pieghe e<br />

22 ASG, notaio Luigi Maria Castiglione, n. 12117 (1791), n. 93. Lo stesso giorno Casareggio<br />

nominò suo procuratore Bocciardo (ibidem, n. 95). La stessa filza, all’atto n. 87 rogato il 19 luglio,<br />

contiene varie attestazioni <strong>di</strong> testimoni circa l’avvenuto decesso <strong>di</strong> Pasquale Bocciardo. Gli<br />

estremi biografici <strong>di</strong> Girolamo Bocciardo si ricavano dal necrologio del 1823 che ne attesta il<br />

decesso a sessant’anni (ve<strong>di</strong> Appen<strong>di</strong>ce n. 7). Si può arretrare dal 1741 al 1737 la data <strong>di</strong> nascita<br />

<strong>di</strong> Andrea Casareggio sulla base dei <strong>di</strong>ciannove anni <strong>di</strong>chiarati nel 1756 all’atto della<br />

registrazione tra gli allievi della Accademia Ligustica <strong>di</strong> Belle Arti <strong>di</strong> Genova (AALBA, n. 350,<br />

Ammissioni Allievi [1758-1777]). Sull’attività dello scultore: SBORGI 1988, p. 473 con bibliografia.<br />

23 FRANCHINI GUELFI 1988, pp. 275, 291.<br />

24 FRANCHINI GUELFI 1988, p. 276. Sulla cappella Spada si veda PORTOGHESI 1984, pp. 298-301.<br />

25 FRANCHINI GUELFI 1988, pp. 255-256; EAD. 2011, p. 309.<br />

163


ondulazioni”, per certi aspetti corrispettivo <strong>di</strong> quel che realizzava Innocenzo<br />

Spinazzi a Firenze, al <strong>di</strong> là delle reminiscenze berniniane, esplicita un<br />

naturalismo, una adesione alla realtà sensistica delle cose che rientra appieno<br />

in quel clima illuminista in cui si lasciò coinvolgere la cultura genovese <strong>di</strong> fine<br />

secolo, dalla produzione letteraria alle arti figurative, non solo la pittura <strong>di</strong><br />

paesaggio <strong>di</strong> un Giuseppe Bacigalupo, idealizzata e concreta allo stesso tempo,<br />

ma pure le precise immagini <strong>di</strong> natura che si rinvengono nelle opere<br />

scultoree 26 . Si pensi allo stesso Casareggio che crea nel 1795 quinte paesistiche<br />

in stucco per riambientare un Battesimo <strong>di</strong> Cristo <strong>di</strong> Anton Domenico Paro<strong>di</strong><br />

in Santa Maria delle Vigne a Genova e al sorprendente ritratto geologico della<br />

roccia che Francesco Ravaschio realizza nel 1796 quale supporto alla stessa<br />

scena in Santa Maria Assunta a Camogli 27 .<br />

I documenti associano Bocciardo figlio e Casareggio nella progettazione e<br />

nella esecuzione dell’altar maggiore e delle balaustre. Queste ultime vanno<br />

accre<strong>di</strong>tate a Girolamo Bocciardo sulla base della testimonianza del suo<br />

Necrologio comparso anonimo a stampa nel 1823 che cita “I gran<strong>di</strong>osi Angeloni<br />

in marmo eseguiti pella chiesa parrocchiale <strong>di</strong> Final-Borgo”; inoltre perché la<br />

fedeltà al repertorio tipologico e formale del padre Pasquale è evidentissima 28 .<br />

Il severo repertorio neocinquecentesco delle membrature dell’altar maggiore,<br />

l’energia muscolare che promana dai suoi inserti figurativi orientano invece<br />

verso Casareggio, il quale in effetti aveva aderito alla temperie neoclassica,<br />

come risulta dai suoi interventi in Palazzo Ducale a Genova, ai cenni <strong>di</strong><br />

Simone Cantoni (1780-1782), e dall’esito del monumentale altare in marmo<br />

delle Anime Purganti nella chiesa parrocchiale <strong>di</strong> San Matteo a Laigueglia,<br />

realizzato su <strong>di</strong>segno <strong>di</strong> Giacomo Pellegrini tra il 1784 e il 1791 29 .<br />

La <strong>di</strong>tta degli ere<strong>di</strong> Bocciardo, almeno fino alla morte <strong>di</strong> Casareggio<br />

avvenuta nel 1799, riuscì a mantenere la clientela ponentina che il defunto<br />

Pasquale si era saputo guadagnare: nel 1795 Casareggio attendeva al nuovo<br />

altar maggiore del santuario della Madonna <strong>di</strong> Pontelungo, alle porte <strong>di</strong><br />

26<br />

BARTOLETTI 2010a, pp. 34-40. Sulle tendenze della letteratura a Genova nel secondo Settecento<br />

si legga BENISCELLI 1992, pp. 227-296.<br />

27<br />

SBORGI 1988, pp. 310-311.<br />

28 Ve<strong>di</strong> Appen<strong>di</strong>ce n. 7.<br />

29<br />

OLCESE SPINGARDI 1999a, p. 425; OSSANNA CAVADINI 2003, pp. 101-135 per l’attività in Palazzo<br />

Ducale. BARTOLETTI 1994, p. 25 per l’altare <strong>di</strong> Laigueglia. Un fascicoletto in videoscrittura a cura<br />

<strong>di</strong> Gianni Venturi (giugno 2007), che si ringrazia in modo speciale, lega al nome <strong>di</strong> Andrea<br />

Casareggio il rifacimento dell’altar maggiore della parrocchiale <strong>di</strong> Santa Maria della Concor<strong>di</strong>a<br />

ad Albissola Marina, ancorandolo alla data del 1781.<br />

164


Albenga 30 . In questo torno <strong>di</strong> tempo cadono altri due lavori <strong>di</strong> Bocciardo<br />

rammentati dal necrologio del 1823, il gruppo con la Gloria del beato Leonardo da<br />

Porto Maurizio, posteriore al 1796, data della beatificazione del francescano, già<br />

in Santa Maria della Pace a Genova e ora nella chiesa della Visitazione, poi<br />

completato da Bernar<strong>di</strong>no e Sebastiano Mantero; “il colossale ritratto pure in<br />

marmo d’altro dei magnati <strong>di</strong> casa Cambiaso pello spedale <strong>di</strong> Pammattone” la<br />

cui esecuzione non può essere successiva al 1797 31 . Il 23 ottobre 1798, dalla<br />

Compagnia del Santissimo Sacramento <strong>di</strong> San Biagio in Finalborgo affidò a<br />

Bocciardo i marmi del battistero e i “Lambrini alle colonate”, forse i rivestimenti<br />

delle basi dei pilastri <strong>di</strong>visori delle navate e delle lesene tra una cappella e l’altra,<br />

per la somma <strong>di</strong> 8.800 lire <strong>di</strong> Genova delle quali, il 15 <strong>di</strong>cembre 1798, il tesoriere<br />

della Compagnia versava un anticipo <strong>di</strong> 1500 lire 32 . Anche nella e<strong>di</strong>cola del<br />

battistero (Fig. 4), stilemi settecenteschi, la cimasa ad apici a ricciolo su cui sono<br />

adagiati dei festoni floreali, si mescolano con gli elementi neo cinquecenteschi<br />

della trabeazione a mo<strong>di</strong>glioni, mentre lemmi più propriamente neoclassici si<br />

ravvisano invece nella struttura prismatica dei pilastrini della balaustra <strong>di</strong><br />

recinzione e nella vasca battesimale, ove figura un drappo a rilievo simile a<br />

quello che fregia la mensa dell’altar maggiore <strong>di</strong> San Biagio 33 .<br />

30 TAGGIASCO 2004, p. 32.<br />

31 Ve<strong>di</strong> qui Appen<strong>di</strong>ce 7. Il gruppo già in Santa Maria della Pace era l’ultima opera <strong>di</strong> Casareggio<br />

secondo ALIZERI 1864, I, p. 172 che ascrive ai fratelli Mantero il completamento delle mani del<br />

protagonista. Difficile invece l’identificazione della statua dell’imprecisato “magnate” della<br />

famiglia Cambiaso già nell’ Ospedale <strong>di</strong> Pammattone (ora Palazzo <strong>di</strong> Giustizia), tra quelle<br />

anonime ora <strong>di</strong>sperse nei viali dell’Ospedale <strong>di</strong> San Martino a Genova. Si segnala, a titolo <strong>di</strong><br />

mera ipotesi <strong>di</strong> lavoro, una statua <strong>di</strong> un ignoto senatore seduto (alta due metri e trentacinque,<br />

quin<strong>di</strong> a pieno titolo “colossale”), trasportata nella Loggia <strong>di</strong> Banchi, dai caratteri stilistici non<br />

sconvenienti alle opere <strong>di</strong> sicura paternità <strong>di</strong> Bocciardo figlio (L. STAGNO, scheda OA<br />

07/00075054, 1993 in ASBSAEL, come anonima realizzazione degli Anni 70 del ’700).<br />

32 Ve<strong>di</strong> qui Appen<strong>di</strong>ce 6. Il contratto è perduto ma ne rimane il ricordo nella pandetta allegata<br />

alla filza in ASS, notai <strong>di</strong>strettuali, Domenico Cappellini <strong>di</strong> Finale, n. 3849 (1798-1805), sotto la<br />

lettera C: “Convenzione tra gli Officialli della compagnia del SS.mo Sacramento e Girolamo<br />

Bocchiar<strong>di</strong> n. 35”. I marmi dei basamenti dei pilastri subirono delle manutenzioni nel 1914<br />

dalla <strong>di</strong>tta dei fratelli Galeotti <strong>di</strong> <strong>Savona</strong> quando Luigi Gainotti era impegnato a eseguire la<br />

decorazione pittorica dell’aula della collegiata. Si veda in APF in ASDS, Deliberazioni della<br />

Commissione per i lavori <strong>di</strong> Pittura da eseguirsi nella Insigne Collegiata <strong>di</strong> San Biagio in Finalborgo, il<br />

mandato <strong>di</strong> pagamento n. 48 del 1914 che registra un saldo alla <strong>di</strong>tta per “marmi in chiesa,<br />

pilastri ecc.”. Manutenzioni recenti (2011) sono state effettuate con finanziamento della<br />

Parrocchia dalla Ditta Filippo Carlo Formento <strong>di</strong> Finale Ligure, seguite da Andrea Canziani<br />

della Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici della Liguria e da chi scrive.<br />

33 Tutto il battistero è stato oggetto <strong>di</strong> una manutenzione straor<strong>di</strong>naria effettuata nel corso del<br />

2011 da Erica Ceccarelli e da Anna Graffione (limitatamente agli inserti lignei), seguite da chi<br />

scrive con contributo della parrocchia <strong>di</strong> Finalborgo.<br />

165


La <strong>di</strong>versa situazione economica in cui venne a trovarsi la neonata<br />

Repubblica Democratica Ligure nel 1797, a seguito della cosiddetta<br />

“Bancarotta dei due terzi” che comportò il deprezzamento drastico dei titoli<br />

<strong>di</strong> debito pubblico investiti in Francia, non interruppe né rallentò l’impegno<br />

della Compagnia del Santissimo Sacramento nell’abbellire l’interno <strong>di</strong> San<br />

Biagio 34 . A onor del vero, il contraccolpo fu avvertito anche a Finalborgo: se<br />

ne trova riscontro in un verbale del Capitolo dei Canonici <strong>di</strong> San Biagio l’8<br />

ottobre 1798 35 . La vicenda influì verosimilmente sulla decisione <strong>di</strong> don<br />

Giovanni Cremata, confratello dei Torcelli, <strong>di</strong> revocare nel 1805 una serie <strong>di</strong><br />

cospicui lasciti testamentari all’Ospedale dei Santi Biagio e Caterina <strong>di</strong><br />

Finalborgo e ad altre istituzioni 36 . Malgrado la situazione in quello stesso 1798,<br />

la Compagnia riusciva a pagare la somma ingente <strong>di</strong> 6938.8 lire per<br />

l’ornamento con tappezzerie in damasco all’altar maggiore, oltre ad avviare<br />

l’opera del nuovo battistero 37 . La sollecitu<strong>di</strong>ne quasi compulsiva dei sacerdoti<br />

Torcelli nei confronti della collegiata registra ad<strong>di</strong>rittura uno strascico postumo<br />

nel 1795 con la ven<strong>di</strong>ta a Genova, per tramite <strong>di</strong> Giovan Battista Cavasola, <strong>di</strong><br />

una cospicua serie <strong>di</strong> argenti “<strong>di</strong> casa” regalati da don Bartolomeo, morto il<br />

24 aprile dell’anno prima, i cui proventi servirono al sodalizio a ricostruire in<br />

marmo l’altare <strong>di</strong> San Giovanni Nepomuceno, lo stesso, già de<strong>di</strong>cato a Santa<br />

Lucia, il cui giuspatronato spettava proprio ai Torcelli 38 . Fu, questo, il canto<br />

del cigno della ambiziosa compagnia d’altare, destinata a confluire nel 1805,<br />

insieme a tutte le altre fino ad allora attive in loco, nella Masseria delle pie<br />

opere del borgo del Finale, mentre le attese e gli obbiettivi delle famiglie<br />

abbienti del Borgo prendevano una piega decisamente profana come attesta<br />

l’iniziativa <strong>di</strong> un gruppo <strong>di</strong> notabili <strong>di</strong> aprire un teatro civico (il teatro Aicar<strong>di</strong>)<br />

nell’invaso della chiesa soppressa dei Padri Scolopi affidandosi, nel 1803,<br />

all’onnipresente Giuseppe Barella 39 .<br />

34 FELLONI 1998, I, pp. 669-681.<br />

35 APF in ASDS, Finalborgo. Capitolo. Amministrazione 1668-1853. 17. Libro del venerando<br />

Capitolo della collegiata insigne <strong>di</strong> S. Biagio. Finale, c. 250v.<br />

36 BALLARÒ, GROSSI 2001, p. 64.<br />

37 APF in ASDS, Libro E., c. 72v. sotto il 7 marzo 1798.<br />

38 APF in ASDS, Libro E., cc. 59 r./v. In ibidem, sono registrati i pagamenti al marmoraro<br />

Domenico Prato il 22 maggio 1797 e il 17 settembre successivo, per le lastre del pavimento<br />

della cappella. In ASS, notai <strong>di</strong>strettuali, Pietro Giovanni Rozio <strong>di</strong> Finale, n. 3932 (1790), tra le<br />

cc. 229r./230v. il verbale della constatazione <strong>di</strong> decesso <strong>di</strong> don Bartolomeo Torcelli allegato alla<br />

pubblicazione del suo testamento.<br />

39 MALANDRA 1991, p. 46; BALLARÒ, GROSSI 2001, p. 119.<br />

166


Un annuncio pubblicitario comparso sulla “Gazzetta <strong>di</strong> Genova” il 21<br />

<strong>di</strong>cembre 1811 riferiva l’invito dello scultore Angelo Olivari ad ammirare nel<br />

proprio stu<strong>di</strong>o, ricavato all’interno della ex-chiesa delle Convertite, “la sua<br />

prima opera in marmo rappresentante San Giovanni che battezza Gesù Cristo,<br />

Opera che deve servire pel battistero <strong>di</strong> San Biagio in Finale” 40 . Murialdo e<br />

don Scarrone rimarcavano, nei marmi <strong>di</strong> Finalborgo (Fig. 5), suggestioni, ma<br />

solo <strong>di</strong> tipo iconografico aggiungiamo noi, da Anton Maria Maragliano, del<br />

tutto naturali per chi scolpiva il legno in Liguria e questa ingombrante ere<strong>di</strong>tà<br />

non poteva ignorare 41 . I ritmi compositivi controllatissimi, le pieghe appiattite,<br />

le anatomie dalle forme ampie e compatte vanno ricondotti agli esempi <strong>di</strong><br />

Nicolò Traverso, a Genova, negli anni tra la seconda Repubblica Ligure e<br />

l’annessione all’Impero <strong>di</strong> Napoleone I, lo scultore neoclassico principe e<br />

punto <strong>di</strong> riferimento anche per Olivari, ritenuto già da Federigo Alizeri, se<br />

non un allievo <strong>di</strong> Traverso, per lo meno un suo stretto seguace 42 . Olivari era<br />

in contatto con Finalborgo dal 1805, allorché il Capitolo della collegiata trattava<br />

con lui inizialmente l’esecuzione <strong>di</strong> una statua lignea <strong>di</strong> Santa Rosalia e poi un<br />

basamento con angeli 43 . Lo scultore, nato a Genova nel 1768, aveva al suo<br />

attivo due bei gruppi lignei che declinavano con accenti ormai neoclassici<br />

modelli <strong>di</strong> ascendenza maraglianesca, la Madonna del Carmine della chiesa<br />

parrocchiale <strong>di</strong> San Michele Arcangelo a Diano Borello, pagata tra il 1801 e il<br />

1803, e l’Angelo custode del 1802 nella chiesa parrocchiale <strong>di</strong> Santa Caterina <strong>di</strong><br />

Borgo Ponte in Garessio 44 . Nel 1810, l’anno prima del Battesimo <strong>di</strong> Cristo, aveva<br />

concluso un altro gruppo processionale, un San Martino in gloria, che coincide<br />

40 Gazzetta <strong>di</strong> Genova, 21 <strong>di</strong>cembre 1811, n. 102, p. 412: “Lo scultore Angelo Olivari invita gli<br />

Amatori delle Belle Arti ad osservare la sua prima opera in marmo rappresentante San<br />

Giovanni che battezza Gesù Cristo, Opera che deve servire pel battistero <strong>di</strong> San Biagio in<br />

Finale. Il suo stu<strong>di</strong>o è situato nell’antica Chiesa delle monache le Convertite vicino all’entrata<br />

vecchia dell’Ospedaletto”. Già ALIZERI 1864, I, p. 208 citava tra le opere <strong>di</strong> Olivari “il Battistero<br />

nella parrocchiale <strong>di</strong> Finalborgo” assegnandogli peraltro una datazione “nel 1819 o in quel<br />

torno”.<br />

41<br />

MURIALDO, SCARRONE 1981, p. 27; l’eventuale debito <strong>di</strong> Olivari verso “la plastica<br />

maraglianesca” si potrebbe in<strong>di</strong>viduare nel Battesimo <strong>di</strong> Cristo della chiesa <strong>di</strong> San Francesco<br />

d’Albaro a Genova (SANGUINETI 1998, pp. 86, 115).<br />

42<br />

ALIZERI 1864, I, p. 208.<br />

43 APF in ASDS, 17. Libro del venerando Capitolo... c. 264v., verbale del 15 luglio 1805. La statua,<br />

così si legge nel documento, era stata ritirata dallo scultore non si sa per quale motivo; in<br />

cambio, il Capitolo aveva commissionato a Olivari un gruppo <strong>di</strong> angeli quale supporto per il<br />

reliquiario della santa <strong>di</strong> Palermo.<br />

44<br />

AMEDEO 1983, p. 34; SBORGI 1988, p. 324. Per la statua <strong>di</strong> Diano Borello: ABBO 1988-1989,<br />

p. 11, 13.<br />

167


con quello custo<strong>di</strong>to nella chiesa parrocchiale <strong>di</strong> Toirano 45 . Le sue credenziali<br />

professionali erano in crescita dopo l’ammissione, il 17 gennaio 1808, tra gli<br />

Accademici <strong>di</strong> Merito della Ligustica 46 . Quello stesso giorno, riceveva la stessa<br />

nomina “per acclamazione” ad<strong>di</strong>rittura Antonio Canova <strong>di</strong> cui veniva<br />

presentato il busto colossale <strong>di</strong> Napoleone I, nuovo acquisto per la collezione<br />

dell’istituto, e si può immaginare che da allora Olivari cercasse l’occasione<br />

propizia per <strong>di</strong>mostrare il suo effettivo valore anche nella statuaria<br />

marmorea, assodata la sua abilità nel maneggiare la sgorbia. I tempi però non<br />

erano più così propizi: i costi del marmo apuano erano molto meno d’un<br />

tempo alla portata della committenza ecclesiastica, la quale ora sfruttava<br />

intensamente la possibilità <strong>di</strong> acquistare <strong>di</strong> seconda mano, a prezzi<br />

vantaggiosi, una ingente quantità <strong>di</strong> suppellettili tratta dalle numerose chiese<br />

soppresse dal governo repubblicano nel 1798 47 . Le nuove realizzazioni si<br />

rarefanno drasticamente e sono possibili per gesti <strong>di</strong> pietà religiosa <strong>di</strong><br />

facoltosi “particolari”, come del resto era accaduto a Finalborgo per merito<br />

dei fratelli Torcelli prima del fatale giro <strong>di</strong> boa del 1797: è grazie a un generoso<br />

lascito del notaio Giovanni Lupi se si poté erigere tra il 1804 e il 1808 l’altar<br />

maggiore in marmi colorati del santuario della Madonna della Villa presso<br />

Ceriana, commissionato a Sebastiano Mantero, nel 1808 insegnante <strong>di</strong><br />

scultura in Accademia Ligustica 48 . Viceversa, specie se l’iniziativa proveniva<br />

dalle amministrazioni comunali, si approdava inevitabilmente a un nulla <strong>di</strong><br />

fatto, come accadde a <strong>Savona</strong>, dove il Comune, nel 1807, non riuscì per<br />

ragioni <strong>di</strong> bilancio a erigere la statua <strong>di</strong> marmo bianco in onore<br />

dell’imperatore Napoleone 49 . In questa congiuntura sfavorevole, acuita anche<br />

dalla legislazione protezionistica promulgata nel 1807 da Elisa Bonaparte e<br />

da Felice Baciocchi, principi <strong>di</strong> Massa e <strong>di</strong> Carrara, che gravava <strong>di</strong> dazi onerosi<br />

le esportazioni <strong>di</strong> marmo grezzo apuano fuori dallo stato, Olivari dovette<br />

attendere fino al 1811 prima <strong>di</strong> ottenere l’or<strong>di</strong>nazione <strong>di</strong> un marmo scolpito 50 .<br />

45 Gazzetta <strong>di</strong> Genova, 17 ottobre 1810, n. 87, p. 327; si veda anche ALIZERI 1864, I, p. 208 (Angelo<br />

Olivari) e BOCCONE 2009, p. 58 (Paolo Olivari).<br />

46 Gazzetta <strong>di</strong> Genova, 20 febbraio 1808, n. 6.<br />

47<br />

VAZZOLER 2009, pp. 65-72.<br />

48<br />

GIACOBBE 1994 a, pp. 88-89.<br />

49<br />

BARTOLETTI 2003, p. 45. Una vicenda analoga a quella savonese si verificò a Taggia, la cui<br />

Mairie comprava nel 1811 un busto dell’imperatore nella previsione <strong>di</strong> erigere un monumento<br />

in suo onore: GIACOBBE 2005, p. 67<br />

50<br />

MUSETTI 2011, p. 147, anche a proposito <strong>di</strong> un mercato <strong>di</strong> effigi marmoree <strong>di</strong> Napoleone e<br />

Napoleoni<strong>di</strong> realizzate in serie dagli ateliers marmorari carrarini destinate alle se<strong>di</strong> comunali<br />

168


Nonostante l’esposizione al pubblico nel proprio stu<strong>di</strong>o genovese,<br />

pubblicizzata tramite l’unico organo <strong>di</strong> stampa genovese, il monumentale<br />

Battesimo <strong>di</strong> Cristo rimase un unicum nella sua attività, rientrata<br />

imme<strong>di</strong>atamente nei decorosi ranghi della scultura lignea. Proprio questa<br />

specializzazione, degnata da lì in avanti da attenzioni sempre più scarse da<br />

parte della cultura accademica, consentì a Olivari <strong>di</strong> mantenersi fino alla<br />

morte, nel 1827, sod<strong>di</strong>sfacendo alle richieste <strong>di</strong> parrocchie e confraternite<br />

delle Riviere, del basso Piemonte e <strong>di</strong> clienti in Corsica e persino nell’isola <strong>di</strong><br />

Tenerife 51 . Anzi, la fama della sua officina era talmente ben consolidata che il<br />

nipote Paolo, suo erede, ne incrementò la produttività, sino almeno alla fine<br />

degli Anni 70 del XIX secolo, raggiungendo località persino oltreoceano 52 . La<br />

capacità <strong>di</strong> adattamento <strong>di</strong>mostrata da Angelo Olivari altri colleghi genovesi<br />

<strong>di</strong> Olivari, per esempio da Bartolomeo Carrea e da Giovan Battista Garaventa,<br />

ma sciaguratamente non da Girolamo Bocciardo, scultore in marmo fino alle<br />

midolla, il quale, per essere l’erede dell’ultimo esponente della cultura<br />

barocchetta, col nuovo secolo, fu del tutto negletto dalla committenza<br />

genovese, ormai orientatasi su Nicolò Traverso e i suoi allievi, al punto da<br />

finire i suoi giorni il 26 novembre 1823 “nello squallido albergo della<br />

in<strong>di</strong>genza e del dolore” 53 . Ininfluente si era rivelata la sua partecipazione<br />

all’impresa degli apparati effimeri allestiti nella sala del Maggiore e del Minor<br />

Consiglio in Palazzo Ducale per or<strong>di</strong>ne dalla Municipalità genovese nella<br />

primavera del 1805 in occasione della visita ufficiale <strong>di</strong> Napoleone, un lavoro<br />

collettivo, perduto per ciò che riguarda la parte scultorea, che aveva visto<br />

lavorare Bocciardo, per quella che è la sua ultima opera finora documentata,<br />

a fianco <strong>di</strong> Nicolò Traverso, <strong>di</strong> Angelo Olivari, <strong>di</strong> Bartolomeo Carrea, <strong>di</strong><br />

Sebastiano Mantero, <strong>di</strong> Giovanni Barabino e <strong>di</strong> Giovan Battista Garaventa 54 .<br />

dell’Impero, nel cui novero rientra pure il busto <strong>di</strong> Taggia (<strong>di</strong> cui alla nota 49), come già<br />

ipotizzato da GIACOBBE 2005, p. 67.<br />

51<br />

ALIZERI 1864, I, p. 208.<br />

52<br />

ALIZERI 1866, III, pp. 416-417 per un primo elenco delle opere <strong>di</strong> Paolo Olivari, cui va aggiunta,<br />

presso Finalborgo, la statua lignea <strong>di</strong> San Cipriano nella omonima parrocchiale <strong>di</strong> Calvisio, che<br />

è firmata e datata 1872.<br />

53 Ve<strong>di</strong> Appen<strong>di</strong>ce n. 7.<br />

54<br />

OLCESE SPINGARDI 1999b, pp. 442-445.<br />

169


Appen<strong>di</strong>ci documentarie<br />

1.<br />

7 settembre 1791, Finalborgo<br />

c. 202 r. 1791 detto giorno <strong>di</strong> martedì detto 7 settembre alla sera circa un ora <strong>di</strong><br />

notte alli lumi opportuni accesi.<br />

Essendo vero, che il Magnifico e Molto Reverendo don Bartolomeo Torcelli q.<br />

Joseph <strong>di</strong> questa città <strong>di</strong> Finale siasi determinato <strong>di</strong> far costruere l’altare maggiore<br />

<strong>di</strong> quest’insigne (c. 202v.) ed antichissima Chiesa collegiata e Parochiale <strong>di</strong> S.<br />

Biaggio, <strong>di</strong> marmo conforme il <strong>di</strong>segno che resta presso dell’infrascritto signor<br />

Bocciar<strong>di</strong> firmato dà ambe le parti, Testimonii infrascritti, e me notaio, ed<br />

essendosi offerto il signor Gironimo Bocciar<strong>di</strong> quondam Pasquale della città <strong>di</strong><br />

Genova à suo ed à nome del signor Andrea Casareggia quondam Gio Maria pure<br />

<strong>di</strong> Genova nella qualità <strong>di</strong> socio in forza <strong>di</strong> instrumento <strong>di</strong> società ricevuto in<br />

Genova da quel signor notaio Luigi Maria Castiglione li 23 luglio 1791 da me visto,<br />

e restituito al predetto signor Bocciardo, <strong>di</strong> costruere l’altare maggiore sudetto<br />

con essere <strong>di</strong>venuti ad una verbale convenzione e capitulazione e volendola<br />

ridurre in scritto per magior indennità d’ambe le parti; quin<strong>di</strong> siegue che<br />

constituiti il predetto Magnifico e Molto reverendo don Bartolomeo Torcelli da<br />

una, e detto signor Gironimo Bocciardo <strong>di</strong> detti nomi parte dall’altra predette<br />

constituiti alla presenza <strong>di</strong> detto notaio, e testimonii infrascritti sponte ecc. ed in<br />

ogni modo per loro ere<strong>di</strong>, e successori in forza del presente <strong>di</strong>cono, e <strong>di</strong>chiarano<br />

d’aver convenuto, e capitulato, conforme convengono, e capitulano, in tutto come<br />

segue<br />

E primo il predetto signor Gironimo Bocciar<strong>di</strong> à suo, ed à nome del signor Andrea<br />

Casaregia <strong>di</strong> lui socio come sopra ha promesso, e si è obligato, e s’obliga verso del<br />

predetto Magnifico e Molto reverendo Torcelli come sopra presente ed accettante<br />

<strong>di</strong> costruere, e formare il predetto altare maggiore <strong>di</strong> marmo nella chiesa sudetta<br />

in tutto, e per tutto conforme resta prescritto nei capitoli firmati dal sudetto<br />

Geronimo Bocciar<strong>di</strong>, che restano annessi al presente instrumento [...].<br />

E corrispettivamente a quanto sopra, e non altrimenti il predetto Magnifico e<br />

Molto Reverendo don Bartolomeo Torcelli hà promesso, e promette, e si è<br />

obligato, e s’obliga <strong>di</strong> dare, e pagare all’anzidetto signor Bocciar<strong>di</strong> come sopra<br />

presente, ed accettante ai detti nomi la somma <strong>di</strong> lire (c. 203r) settemilla moneta<br />

Genova fuori Banco abbusive prezzo così frà esse parti convenuto, ed accordato<br />

come confessano.<br />

In deduzione delle quali lire settemilla il predetto signor Bocciar<strong>di</strong> confessa d’aver<br />

avuto, e ricevuto dal predetto Magnifico e Molto reverendo Torcelli qui presente,<br />

che paga per lui ere<strong>di</strong>, e successori suoi la somma <strong>di</strong> lire due milla ventinove<br />

moneta suddetta attualmente dallo stesso sborzate, e numerate, quali detto signor<br />

Bocciar<strong>di</strong> ai detti nomi hà tirato e tira a sè vedendo me notaio, e Testimonii,<br />

170


infrascritti e d’esse gliene fà fine e quittanza. [...].<br />

E le rimanenti lire quattromilla novecento settantuna compimento del prezzo<br />

suddetto promette, e s’obliga il predetto Magnifico e Molto reverendo Torcelli <strong>di</strong><br />

pagare al predetto signor Bocciar<strong>di</strong> come sopra presente, ed accettante subito<br />

terminato e messo à lavoro sarà l’altare sudetto in pace e senza lite [...].<br />

Patto fra le dette parti stipulato, che debba detto signor Bocciar<strong>di</strong> alli detti nomi<br />

ultimare, e perfezionare l’altare suddetto in tutto secondo il <strong>di</strong>ssegno medesimo,<br />

e ritrovandovisi qualche <strong>di</strong>fetto non tanto pella qualità de marmi, che pella<br />

costruzione, e lavori del medemo, l’anzidetto signor Bocciar<strong>di</strong> s’obliga <strong>di</strong> stare à<br />

quello <strong>di</strong>rà il maestro Vincenzo Sar<strong>di</strong>, al <strong>di</strong> cui parere fin d’ora per allora si<br />

rimettono ambe le parti.<br />

E se per il detto signor Bocciar<strong>di</strong> ai detti nomi, ed à preci dello stesso, quanto sia<br />

per le suddette £ 2029 come sopra per esso imborzate ha interceduto e fatto sigortà<br />

il molto reverendo don Paolo Bergalli <strong>di</strong> questa città <strong>di</strong> Finale, qui presente che<br />

intercede, e fa sigortà, e si conferma principale debitore, rinuncia al gius del dover<br />

prima convenire il principale, ed ad ogni altro [...].<br />

c. 203 v. Qual sigortà esso detto signor Bocciar<strong>di</strong> promette, e s’obliga <strong>di</strong> rilevare e<br />

manlevare dà ogni danno, spesa ed interesse ezian<strong>di</strong>o prima del patito danno, e<br />

molestia inferta [...].<br />

Le quali cose tutte, sotto pena, sotto rifacimento, sotto ippoteca [...].<br />

Giurando detto molto reverendo Torcelli, e signor Bocciar<strong>di</strong> toccato, il petto all’uso<br />

de sacerdoti, e le scritture in mani <strong>di</strong> me notaio respettive per la piena osservanza<br />

<strong>di</strong> quanto sopra.<br />

Delle quali cose. Per me Pietro Giovanni Rozio notaio. Fatto entro le mura <strong>di</strong><br />

questa città <strong>di</strong> Finale, e nel saloto della casa del predetto Magnifico e Molto<br />

reverendo Torcelli presenti ivi li signori Giorgio Cortese Blaxii, e Luca Maria<br />

Giacheri q. Joseph finaresi in testimonii alle predette cose tutte chiamati e richiesti.<br />

ASS, notai <strong>di</strong>strettuali, Pietro Giovanni Rozio, n. 3924 (1791), cc. 203r./203v.<br />

2.<br />

13 settembre 1791, Finalborgo<br />

1791 a 13 settembre<br />

Patti ò con<strong>di</strong>zioni, da annettersi all’instrumento per un contratto fatto tra il<br />

Magnifico e Molto reverendo abbate Bartolomeo Torcelli Pio Benefattore ed il<br />

signor Girolamo Bocciardo quondam Pasquale della città <strong>di</strong> Genova non tanto à<br />

suo nome come a nome anche e soccietà del signor Andrea Casareggio come da<br />

procura da esibirsi per un altare <strong>di</strong> marmo da constrursi da sopraddetti signori<br />

come in appresso.<br />

Primo si obbliga suddetto signor Girolamo à nome anche come sopra <strong>di</strong> formare<br />

un altare <strong>di</strong> marmo a collori a tenore del <strong>di</strong>segno presentato alli atti, ed allo stesso<br />

171


consegnato ad oggetto <strong>di</strong> metterlo in esecuzione firmato dallo stesso, dal notaio<br />

e dal magnifico abbate Torcelli.<br />

2. che sudetto altare sia lavorato con tutta la finessa, architettura e lustro secondo<br />

le regole dell’arte.<br />

3. che il marmo debba essere bianco del più fino escluso il statuario senza macchie<br />

offensive e le figure <strong>di</strong> marmo statuario del più fino, similmente li mischi <strong>di</strong>sposti<br />

in tutto a tenore del <strong>di</strong>ssegno debbano essere <strong>di</strong> tutta bellessa e finessa de quali<br />

mischi, e marmo si obbliga il suddetto signor Bocciardo <strong>di</strong> mandarne alla prima<br />

occasione la mostra <strong>di</strong> tute le specie che sono nel <strong>di</strong>segno.<br />

4. che sia obbligato come si obbliga <strong>di</strong> darlo ultimato tra il termine <strong>di</strong> un anno<br />

circa, ed ultimato che sarà darlo a sue spese alla spiagia <strong>di</strong> Finale ma serà a suo<br />

risico cioè a <strong>di</strong>re borasca e naufraggio.<br />

5. condotto che sarà al suo destino si obbliga suddetto signor Bocciardo a nome<br />

come sopra o che per loro, quanto sia per il lavoro <strong>di</strong> sua proffessione <strong>di</strong> metterlo<br />

a lavoro restando à carico del comitente la spesa dei muratori calcina materiali et<br />

altro.<br />

Girolamo Bocciar<strong>di</strong> scoltore<br />

Collocazione: ASS, notai <strong>di</strong>strettuali, Pietro Giovanni Rozio, n. 3934 (1791), tra cc.<br />

202v./203r.<br />

3.<br />

13 gennaio 1792, Finalborgo<br />

c. 9v. 1792 giorno <strong>di</strong> venerdì 13 genaro alla sera circa un’ora <strong>di</strong> notte colli lumi<br />

opportuni accesi.<br />

Essendo vero, che siasi deliberato <strong>di</strong> far construere nell’insigne chiesa collegiata<br />

e parrocchiale <strong>di</strong> S. Biaggio <strong>di</strong> questa città <strong>di</strong> Finale la balaustra <strong>di</strong> marmo ed<br />

essendosi offerto li sigg.ri Gironimo Bocciar<strong>di</strong> ed Andrea Casareggia <strong>di</strong> Genova,<br />

e per essi il molto reverendo don Pietro Paulo Bergalli <strong>di</strong> questa suddetta città <strong>di</strong><br />

costruere, e far costrurre la balaustra (c. 10r) suddetta con essere per tale<br />

construzione ad una verbale convenzione, quale volendola ridurre in scritto per<br />

loro indennità, quin<strong>di</strong> siegue, che il predetto Magnifico e Molto reverendo don<br />

Bartolomeo Torcelli da una, ed il Magnifico e Molto reverendo don Pietro Paulo<br />

Bergalli a nome de predetti signori Bocciar<strong>di</strong>, e Casareggio, per quali promette<br />

de rato, e che ratificheranno il presente atto altrimenti vuole ed intende esser del<br />

proprio tenuto, rinunziando alla legge che <strong>di</strong>ce non potersi il fatto altrui<br />

promettere, et ad ogni altro beneficio [...].<br />

Alla presenza <strong>di</strong> me notaro, e testimoni infrascritti, spontaneamente, ed in ogni<br />

modo. Per loro ere<strong>di</strong> e successori loro in forza del presente, <strong>di</strong>cono e <strong>di</strong>chiarano<br />

d’aver convenuto, conforme convengono, ed accordano in tutto e per tutto come<br />

in appresso.<br />

172


E prima il predetto magnifico e Molto Reverendo Pietro Paolo Bergalli al detto<br />

nome e con la detta promessa de rato in forma, ha promesso, e promette, e si<br />

obligato, e s’obliga verso il predetto Magnifico e Molto reverendo Bartolomeo<br />

Torcelli come sopra presente e accettante <strong>di</strong> far costruere, e formare la balaustra<br />

suddetta <strong>di</strong> marmo in detta venerabile chiesa collegiata e parrocchiale secondo il<br />

<strong>di</strong>segno da me infrascritto notaio firmato, che resta presso del predetto molto<br />

reverendo Bergalli ad ogetto <strong>di</strong> porlo in esecuzione, ed il tutto eseguire<br />

esattamente secondo resta descritto ne capitoli scritti, e firmati dall’anzidetto<br />

molto reverendo Bergalli, come parte sostanziale del presente contratto vanno<br />

annessi al presente instrumento, come così il predetto molto reverendo Bergalli<br />

al detto nome, e colla detta promessa de rato promette, e s’obliga in ogni miglior<br />

modo e sotto riffacimento sotto ipoteca.<br />

E corrispettivamente a quanto sopra il predetto magnifico e molto reverendo<br />

Torcelli ha promesso, e promette, e si è obligato, e s’obliga <strong>di</strong> dare e pagare<br />

all’anzidetto molto reverendo Bergalli come sopra accettante lire tremilla moneta<br />

Genova corrente fuori banco abusive prezzo così fra dette parti convenuto ed<br />

accordato, come confessano, quali £ 3000 promette, e s’obliga pagargliele in tutto<br />

e per tutto à tenore del prescritto nei capitoli sudetti in pace e senza lite, ogni<br />

eccezione e contrad<strong>di</strong>zione rimossa [...].<br />

E così in tutto come sopra dette parti hanno convenuto, e convengono in ogni<br />

miglior modo.<br />

C 10v. Le quali cose tutte dette parti promettono d’ottenere, d’inviolabilmente<br />

osservare sotto riffacimento, sotto ippoteca<br />

Delle quali cose. Per me Pietro Gio Rozio notaio.<br />

Fatto entro le mura <strong>di</strong> questa città <strong>di</strong> Finale, ed in altro de salotti della casa del<br />

predetto Magnifico e Molto reverendo Torcelli presenti ivi il Reveren<strong>di</strong>ssimo don<br />

Luigi Bergalli quondam Petri Vincenti Preposito <strong>di</strong> detta insigne chiesa collegiata,<br />

e Parrocchiale <strong>di</strong> S. Biaggio ed il m. Vincenzo Sar<strong>di</strong> q. Nicolai <strong>di</strong> questa città <strong>di</strong><br />

Finale in testimoni alle predette cose tutte chiamati e richiesti.<br />

Collocazione: ASS, notai <strong>di</strong>strettuali, Pietro Giovanni Rozio, n. 3935 (1791), tra cc.<br />

9v./10v.<br />

4.<br />

13 gennaio 1792, Finalborgo<br />

Lì 13 del 1792<br />

Capitoli e con<strong>di</strong>zioni annessi all’instrumento seguito tra il magnifico e molto<br />

reverendo abbate Bartolomeo Torcelli ed il molto reverendo Pietro Paolo Bergalli<br />

a nome delli signori Andrea Casareggio e Girolamo Bocciardo <strong>di</strong> Genova pro<br />

quibus promittit<br />

173


1. che il suddetto molto reverendo Bergalli sij obligato conforme si obbliga con la<br />

promessa come sopra <strong>di</strong> far construere da sudetti signori Casareggio e Bocciardo<br />

una ballaustra <strong>di</strong> marmo bianco soprafino senza macchie offensive in conformità<br />

<strong>di</strong> quello già con loro contrattato mesi sono per l’altar maggiore con li suoi mischi<br />

della qualità e bellessa à tenore delle mostre spe<strong>di</strong>teci da Genova, ed in quale<br />

specie marchate nel <strong>di</strong>ssegno, che si tramanda in Genova firmato dal notaio sig.<br />

Pietro Giovanni Rozio ad oggetto <strong>di</strong> metterlo in esecusione<br />

2. che li quattro angeli ò sia statue annesse alla suddetta Ballaustra dell’altezza <strong>di</strong><br />

palmi 5 circa debbano esser <strong>di</strong> marmo bianco statuario del più fino, ben finiti con<br />

tutta maestà e bellessa, e ben lustrati secondo richiede l’arte.<br />

3. che debbano dare sudetta Ballaustra e statue ultimate, e ben finite alla spiagia<br />

<strong>di</strong> Finale a sue proprie spese <strong>di</strong> nolo, e d’altro non però a suo risico cioè <strong>di</strong><br />

naufraggio o borasca, e questo dentro il termine <strong>di</strong> mesi quattro doppo della data<br />

dell’instrumento dell’altar maggiore essendosi a tale effetto prolongato il tempo<br />

suddetto non ad altro oggetto che per metter a lavoro tutto assieme dentro qual<br />

termine dovrà dunque trovarsi, qui altare, e ballaustra come così si obbliga<br />

suddetto reverendo Bergallo a detti nomi.<br />

4. gionti che saranno a questa spiaggia li marmi suddetti sarà cura <strong>di</strong> suddetto<br />

reverendo Bergalli <strong>di</strong> far venire in Finale uno de Professori suddetti, che per loro<br />

per metter a lavoro a loro proprie spese altare, e ballaustra in questa Isigne (sic),<br />

et antichissima collegiata <strong>di</strong> San Biaggio, quanto sia solamente per li lavori <strong>di</strong> sua<br />

sola professione <strong>di</strong> marmaro, restando a carricho del comitente le opere <strong>di</strong><br />

massachani, manuanti, calcina, materiali ferramenti, et altro.<br />

5. et ultimo si è che per suddetta ballaustra ed angeli il suddetto magnifico Abbate<br />

Torcelli si obbliga <strong>di</strong> corrispondere al suddetto reverendo Bergalli la somma £ 3000<br />

in contanti moneta <strong>di</strong> Genova corrente fuori banco abbusive, così tra loro<br />

convenuto ed accordato come da instrumento <strong>di</strong> mezzo a cui s’abbia relazione<br />

per passarle in seguito a mani de suddetti signori Casareggio, o Bocciar<strong>di</strong> perché<br />

così è, per maggior vali<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> quanto sopra sarà da me sottoscritto<br />

Pietro Paolo Bergalli a detti nomi<br />

Collocazione: ASS, notai <strong>di</strong>strettuali, Pietro Giovanni Rozio, n. 3935 (1792), tra cc.<br />

9v./10 r.<br />

5.<br />

16 <strong>di</strong>cembre 1792, Finalborgo<br />

16 <strong>di</strong>cembre 1792<br />

Il signor Gironimo Bocciardo quondam Pasquale <strong>di</strong> Genova tanto a suo, che a<br />

nome del (c. 389r.) del signor Andrea Casareggia suo collega, ossia soccio<br />

presentemente (?) constituto spontaneamente ed in ogni modo per lui ai detti<br />

nomi ere<strong>di</strong>, e successori in forza del presente Ha confessato e, confessa aver avuto,<br />

174


e ricevuto dal magnifico e molto reverendo don Bartolomeo Torcelli, qui presente,<br />

che paga per lui, ere<strong>di</strong>, e successori suoi la somma <strong>di</strong> lire settemilla novecento<br />

settantuno moneta <strong>di</strong> Genova fuori banco attualmente dal medesimo sborzate, e<br />

numerate, quale detto signor Bocciardo ha tirato e tira a se vedendo me notaio e<br />

testimonj infrascritti. E queste sono e servono per resto, saldo, e intero pagamento<br />

dell’altare, e balaustra <strong>di</strong> marmo da esso fatto, formato, e costrutto nell’insigne<br />

chiesa colleggiata, e parrocchiale <strong>di</strong> S. Biaggio <strong>di</strong> questa città à tenore<br />

dell’instrumento <strong>di</strong> convenzione del 13 settembre 1791, e d’altro del 13 gennaio<br />

prossimo passato rogati à me notaio, à quali facendo fine ai detti nomi gliene fa<br />

fine e quittanza.<br />

Promettendo in avenire sotto riffacimento e sotto ippoteca. Le quali cose tutte[...]<br />

Delle quali conse. Per me Pietro Gio Rozio notaio. Fatto entro le mura <strong>di</strong> questa<br />

città <strong>di</strong> Finale, e nel salotto <strong>di</strong> detto magnifico e molto reverendo Torcelli presenti<br />

ivi Biaggio e Giorgio padre e figlio Cortesi, quondam Felice finaresi in testimonii<br />

alle predette cose tutte chiamati.<br />

Collocazione: ASS, notai <strong>di</strong>strettuali, Pietro Giovanni Rozio, n. 3935 (1792), c.<br />

388 v.<br />

6.<br />

23 ottobre 1798, Finalborgo<br />

in atti del Citta<strong>di</strong>no not(ai)o Domenico Capellini consta del Contratto fatto cogli<br />

Uffiziali della Compagnia del S(antissi)mo col citta<strong>di</strong>no Girolamo Bocciardo<br />

genovese del battistero <strong>di</strong> marmo, e Lambrini alle colonate pel prezzo patuito <strong>di</strong><br />

£ 8800. Pagabili in tre rate come più <strong>di</strong>ffusamente appare dal Instrumento sudetto<br />

a cui si abbia relazione.<br />

15 <strong>di</strong>cembre 1798, Finalborgo<br />

Come da ricevuta del <strong>di</strong> contro Bocciardo accuso per anticipazione giusta il<br />

contratto da me Tesoriere £ 1500.<br />

Archivio della <strong>Diocesi</strong> <strong>di</strong> <strong>Savona</strong>-<strong>Noli</strong>.<br />

Archivio parrocchiale <strong>di</strong> San Biagio a Finalborgo, Libro E. Capitolo Collegiata <strong>di</strong><br />

San Biagio. Cassa 1742-1806, c. 74r/v.<br />

175


7.<br />

3 <strong>di</strong>cembre 1823, Genova<br />

Necrologia<br />

Gli amici delle nobili arti e del lustro patrio sentiranno con dolore la per<strong>di</strong>ta che<br />

abbiamo fatto del valente scultore Girolamo Bocciardo, mancato a’ vivi il giorno<br />

26 dell’ora scaduto novembre, nell’ancor vegeta età d’anni 60 compiti. Figlio e<br />

nipote non degenere <strong>di</strong> due nostri scultori chiarissimi egli ha lasciato nelle poche<br />

opere che <strong>di</strong> lui ne rimangono, un luminoso argomento del valore del suo<br />

scalpello e dell’estro creatore che lo animava ne’ suoi lavori. I gran<strong>di</strong>osi Angeloni<br />

in marmo eseguiti pella chiesa parrocchiale <strong>di</strong> Final-Borgo, la grande statua del<br />

B. Leonardo per quella <strong>di</strong> Santa Maria della Pace <strong>di</strong> questa nostra città, e<br />

finalmente il colossale ritratto pure in marmo d’altro dei magnati <strong>di</strong> casa<br />

Cambiaso pello spedale <strong>di</strong> Pammattone, mostrano, a tacere del resto, quanto alto<br />

egli poggiasse nella <strong>di</strong>fficile carriera assegnatagli dalla natura. Noi stenderemmo<br />

volentieri il velo del silenzio sull’infelice esistenza dell’artefice <strong>di</strong> cui annunciamo<br />

la per<strong>di</strong>ta, se la sincerità storica ne lo permettesse, e se il <strong>di</strong>ssimulare non fosse<br />

un delitto in faccia del pubblico. Girolamo Bocciardo, ricco <strong>di</strong> merito, avrebbe<br />

dovuto esserlo <strong>di</strong> fortuna; ma non fu così. Vissuto povero, egli ha chiuso nello<br />

squallido albergo della in<strong>di</strong>genza e del dolore; fatale esempio, sgraziatamente<br />

non unico nella storia delle arti e delle scienze!<br />

Gazzetta <strong>di</strong> Genova, 3 <strong>di</strong>cembre 1823, n. 97.<br />

Ringraziamenti<br />

Angela Acordon, l’Archivio Storico della Provincia Ligure dei Frati Minori <strong>di</strong><br />

Genova, Paolo Arduino, Giacomo Baldaro, Orlando Boccone, Franco Boggero,<br />

Massimiliana Bugli, don Gianluigi Caneto, Andrea Canziani, Marco Castiglia,<br />

Erica Ceccarelli, don Riccardo Di Gennaro, Laura Fagioli, Elena Formento,<br />

Fausta Franchini Guelfi, Anna Graffione, don Germano Grazzini, Marco Leale,<br />

Alfredo Merialdo, Paolo Pacini, il personale dell’Archivio <strong>di</strong> Stato <strong>di</strong> Genova, il<br />

personale dell’Archivio <strong>di</strong> Stato <strong>di</strong> <strong>Savona</strong>, il personale della Biblioteca<br />

Universitaria <strong>di</strong> Genova, Roberto Santamaria, Luce Ton<strong>di</strong>, Gianni Venturi, Paolo<br />

Venturino, Daria Vinco.<br />

176


Sigle<br />

AALBA = Archivio dell’Accademia Ligustica <strong>di</strong> Belle Arti <strong>di</strong> Genova.<br />

APF = Archivio Parrocchiale <strong>di</strong> Finalborgo.<br />

APSGBS = Archivio Parrocchiale <strong>di</strong> San Giovanni Battista, Sassello.<br />

ASBSAEL = Archivio della Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed<br />

Etnoantropologici della Liguria.<br />

ASG = Archivio <strong>di</strong> Stato <strong>di</strong> Genova.<br />

ASS = Archivio <strong>di</strong> Stato <strong>di</strong> <strong>Savona</strong>.<br />

ASDS = Archivio Storico Diocesano <strong>di</strong> <strong>Savona</strong>.<br />

Le foto pubblicate sono <strong>di</strong> Daria Vinco, Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici<br />

ed Etnoantropologici della Liguria, Genova, salvo la n. 5, <strong>di</strong> Erica Ceccarelli,<br />

Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici della Liguria,<br />

Genova.<br />

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180


Fig. 1 - Antonio Maria e Lorenzo Binelli, Portale maggiore,<br />

Finalborgo, chiesa collegiata <strong>di</strong> San Biagio<br />

181


Fig. 2 - Andrea Casareggio, altar maggiore, Finalborgo, chiesa collegiata <strong>di</strong> San Biagio<br />

Fig. 3 - Girolamo Bocciardo, balaustra, Finalborgo, chiesa collegiata <strong>di</strong> San Biagio<br />

182


Fig. 4 - Girolamo Bocciardo, battistero, Finalborgo, chiesa collegiata <strong>di</strong> San Biagio<br />

183


Fig. 5 - Angelo Olivari, Battesimo <strong>di</strong> Cristo, Finalborgo, chiesa collegiata <strong>di</strong> San Biagio<br />

184


1717 - Un furto sacrilego nella parrocchiale Finalmarina.<br />

Un’occasione <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o<br />

Santino Mammola<br />

Stupore. Paura. Rabbia. Solo chi ha un subito un furto nella propria abitazione<br />

comprende bene questi sentimenti in quanto sente violata la propria intimità<br />

in uno dei luoghi più cari per definizione. Questi devono essere stati i<br />

sentimenti provati dal sacrestano della chiesa <strong>di</strong> San Gionanni Battista della<br />

Marina <strong>di</strong> Finale, oggi comune <strong>di</strong> Finale Ligure, la mattina del 7 aprile del<br />

1717, quando trovò la porta esterna della sacrestia aperta e all’interno i segni<br />

inequivocabili <strong>di</strong> una sgra<strong>di</strong>ta visita notturna da parte <strong>di</strong> ignoti malfattori.<br />

Non sappiamo cosa successe nel momento subito dopo questa scoperta,<br />

probabilmente il sacrestano corse ad avvertire il parroco o uno dei canonici<br />

della collegiata, ma <strong>di</strong> certo venne chiamata l’autorità giu<strong>di</strong>ziaria per<br />

denunciare l’accaduto. E questo per noi rappresenta un’occasione <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o<br />

<strong>di</strong> grande importanza in quanto, seppur parziale e vincolata da testimoni<br />

oculari, possiamo avere uno spaccato della situazione artistica della collegiata<br />

<strong>di</strong> Finalmarina verso la fine del primo decennio del XVIII secolo. Infatti venne<br />

redatta un’accurata relazione in cui non solo si elencarono i beni sottratti, ma<br />

anche si provvide a descrivere in maniera abbastanza puntuale i locali dove<br />

avvenne il furto. Trascritti all’interno del registro del Liber Criminales n° 945<br />

datato 1716 1 , veniamo a conoscenza che i ladri penetrarono in un locale<br />

a<strong>di</strong>acente alla sacrestia, chiamato “preparlatoio”, attraverso una finestra,<br />

scar<strong>di</strong>nando la grata <strong>di</strong> ferro e rimuovendo il piombo dei vetri 2 . Di forma<br />

1 Nonostante l’anno sulla copertina, sul registro sono annotate anche le cause successe nei<br />

primi mesi del 1717. Oggi il registro, insieme a molti altri che costituiscono una serie <strong>di</strong> fon<strong>di</strong><br />

preziosissimi e poco esplorati per gli stu<strong>di</strong> storici e storici artistici, sono conservati presso<br />

l’Archivio Storico del Comune <strong>di</strong> Finale Ligure (ASCFL), Curia Civile e Criminale, 09/857 ff.<br />

133-228. Un caro ringraziamento ad Angelo Tortarolo per la sua abnegazione nella cura <strong>di</strong><br />

questo prezioso archivio.<br />

2 ASCFL, Curia Civile e Criminale, 09/857 f. 113.<br />

185


ettangolare, questa stanza aveva un’altra apertura verso l’esterno protetta da<br />

un’altra inferriata sempre sullo stesso lato ed entrambe davano su un orto <strong>di</strong><br />

proprietà <strong>di</strong> Vincenzo Cremata. Lungo la parete opposta della finestra rotta,<br />

quasi <strong>di</strong> rimpetto, vi era la porta d’accesso alla sacrestia grande, un banco dove<br />

erano riposte le cotte e un arma<strong>di</strong>o chiamato “l’Archivio”, ricavato dallo<br />

spessore del muro fatto “à modo <strong>di</strong> guardaroba”, con due ante piccole sopra e<br />

altre due gran<strong>di</strong> sotto 3 . Naturalmente ogni serratura risultò “aperto à forza con<br />

scalpello o altro ferro simile”. Stessa sorte toccò anche agli arma<strong>di</strong> nella sacrestia<br />

grande dove, lungo la parete verso la cappella maggiore ossia a ponente, vi<br />

era un particolare mobile composto da una serie <strong>di</strong> scansie e da un “arma<strong>di</strong>o<br />

sotterraneo più grande che hà la portetta, o suo orificio à piano dell’angolo <strong>di</strong> detto<br />

tavolato à piatto e corrisponde sino al fondo <strong>di</strong> detto tavolato profondo palmi quattro<br />

[…] volgarmente chiamato il pozzo” 4 . Al suo interno erano custo<strong>di</strong>ti: quattro<br />

candelieri gran<strong>di</strong> d’argento più altri due piccoli, entrambi decorati sulla base<br />

dalle figure <strong>di</strong> San Giovanni Battista, dalla Madonna e dall’insegna della<br />

compagnia del Santissimo Sacramento, i primi del valore <strong>di</strong> £ 1055.18 mentre<br />

gli altri <strong>di</strong> £ 782.15. Inoltre vi era anche una lampada grande con le sue<br />

catenelle tutta d’argento 5 . Sempre nell’arma<strong>di</strong>o <strong>di</strong> levante, al suo interno si<br />

trovavano: “l’incensiere d’argento lavorato alla gotica <strong>di</strong> getto con sua navicella<br />

parimenti d’argento nel coperchio della quale vie è il nome <strong>di</strong> Nicolò Badolino, inoltre<br />

vi era un sechio per uso dell’acqua Benedetta, parimenti d’argento lavorato con intorno<br />

il nome <strong>di</strong> Germano Carcassa(?), e l’aspersorio parimenti d’argento lavorato, et il piede<br />

della Sfera del Venerabile parimenti d’argento rappresentante un angelo con le mani<br />

alzate” 6 . In un altro arma<strong>di</strong>etto erano custo<strong>di</strong>ti: “un cuchiaro, o sia piccola mestola<br />

d’argento per uso del Santissimo Battesimo e una pace pure d’argento con l’impronta<br />

<strong>di</strong> nostro Signore Gesù Cristo battezzato da San Giovanni Battista” 7 . Infine i ladri<br />

avevano de<strong>di</strong>cato le loro attenzioni ad una cassapanca e un arma<strong>di</strong>o detto <strong>di</strong><br />

Sant’Anna, posti <strong>di</strong> rimpetto all’ingresso della porta maggiore della sacrestia<br />

ossia a settentrione 8 . Quest’apertura era collegata a due corridoi <strong>di</strong>sposti a “L”,<br />

3 ASCFL, Curia Civile e Criminale, 09/857 p. 114. L’arma<strong>di</strong>o detto Archivio era alto palmi 10 e<br />

largo palmi 7. Oltre aver scar<strong>di</strong>nato le ante, i ladri avevano bevuto il vino contenuto in un<br />

fiasco e mangiato le ostie, come riferisce il sacrestano nel verbale.<br />

4 ASCFL, Curia Civile e Criminale, 09/857 f. 115.<br />

5 ASCFL, Curia Civile e Criminale, 09/857 f. 115.<br />

6 ASCFL, Curia Civile e Criminale, 09/857 f. 115.<br />

7 ASCFL, Curia Civile e Criminale, 09/857 f. 116.<br />

8 ASCFL, Curia Civile e Criminale, 09/857 f. 116. Purtroppo non viene riportato il contenuto<br />

dell’arma<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Sant’Anna, mentre nella cassapanca viene segnalata la presenza <strong>di</strong> torce e cere<br />

ad utilizzo della chiesa.<br />

186


dove quello a<strong>di</strong>acente al muro della sacrestia dava nel coro del presbiterio,<br />

mentre l’altro immetteva <strong>di</strong>rettamente nella chiesa da parte della cappella della<br />

Santissima Concezione. Proprio lungo la parete a ponente <strong>di</strong> quest’ultimo vi<br />

era la porta <strong>di</strong> accesso ad un vicolo che costeggiava l’e<strong>di</strong>ficio sacro. Stranamente<br />

i ladri non s’impossessarono neppure <strong>di</strong> uno dei numerosi calici presenti e,<br />

nascosta tra la biancheria, neppure della croce astile processionale pur essa<br />

d’argento. Non è inverosimile credere che la quantità dei beni sottratti sia stata<br />

<strong>di</strong> tale entità da non poter portare via null’altro, ipotesi che troverebbe una sua<br />

vali<strong>di</strong>tà in quanto fu stimato all’epoca che vennero trafugati ben 5 rubbi e<br />

mezzo d’argento, pari ad un peso <strong>di</strong> circa 40 kg. Un valore economico pari a<br />

£ 4.500 dell’epoca 9 . Per avere un metro <strong>di</strong> confronto basti pensare che, dal<br />

registro dei conti della parrocchiale della Marina <strong>di</strong> Finale, do<strong>di</strong>ci anni prima<br />

due mine <strong>di</strong> grano (circa 180 kg) valevano 34 £ 10 . Imme<strong>di</strong>atamente i massari<br />

della Collegiata inviarono alcuni uomini nei paesi <strong>di</strong>sposti lungo il più<br />

probabile percorso <strong>di</strong> fuga, ossia Calizzano, Mallare, Carcare, Acqui Terme,<br />

Garessio, Albenga, Alassio e Loano 11 . Furono interrogati alcuni mulattieri,<br />

confermando l’ipotesi che i ladri non fossero <strong>di</strong> Finale e riferendo della<br />

presenza <strong>di</strong> quattro uomini sospetti incontrati lungo le strade dell’entroterra<br />

tra il 6 e il 7 aprile. Ma tutto ciò non portò ad alcun risultato. Così verso la<br />

fine del mese, la Repubblica <strong>di</strong> Genova emanò un bando in cui concedeva<br />

l’immunità e una ricompensa <strong>di</strong> 50 lire, messa a <strong>di</strong>sposizione dalla masseria,<br />

per chiunque avesse confessato il furto e fatto ritrovare gli argenti entro otto<br />

giorni 12 . È inutile <strong>di</strong>re che nessuno si presentò. Di solito anche un atto così<br />

grave rimaneva impunito ma, come avremo modo <strong>di</strong> spiegare<br />

successivamente, questo episo<strong>di</strong>o <strong>di</strong> cronaca ebbe un finale inaspettato.<br />

Prima <strong>di</strong> proseguire con lo svolgimento <strong>di</strong> questo saggio, si vuole precisare<br />

che esso darà maggiore rilevo agli aspetti documentari, piuttosto che a quelli<br />

più squisitamente artistici in considerazione del tema dominante del<br />

convegno.<br />

9 ASCFL, Curia Civile e Criminale, 09/857 f. 113.<br />

10 ARCHIVIO STORICO DELLA DIOCESI DI SAVONA-NOLI (ASDSv), Finale Ligure, parrocchia <strong>di</strong> San<br />

Giovanni Battista, Libro dei conti della Insigne Collegiata che principi l’anno 1693. Segnato C,<br />

Termina l’anno 1717. n. 3, p.49; 1705, 30 <strong>di</strong>cembre, dato £ 34 valuta <strong>di</strong> mine 2 <strong>di</strong> grano per li<br />

poveri con £ 2.5:8 al fornaro 36.5:8.<br />

11 Per un totale <strong>di</strong> £ 79.15; ASDSv, Finale Ligure, parrocchia <strong>di</strong> San Giovanni Battista, Libro dei<br />

conti della Insigne Collegiata che principi l’anno 1693. Segnato C, Termina l’anno 1717. n. 3,<br />

p. 69.<br />

12 ASCFL, Curia Civile e Criminale, 09/352.<br />

187


Il secolo XVII fu un momento importante per tutta comunità della Marina,<br />

in quanto le nuove esigenze strategiche dettate dalla politica estera spagnola,<br />

misero in risalto quest’area del Marchesato <strong>di</strong> Finale. Questo comportò<br />

probabilmente un aumento della popolazione, traducendosi così con l’esigenza<br />

<strong>di</strong> costruire un nuovo e<strong>di</strong>ficio <strong>di</strong> culto che contenesse tutti i fedeli. Tuttavia non<br />

è da sottovalutare anche l’aspetto legato a fenomeni <strong>di</strong> rappresentanza, in<br />

quanto in virtù del nuovo ruolo dettato dal rinnovato impulso economico, la<br />

comunità della Marina avanzava una posizione <strong>di</strong> primazia rispetto a quella<br />

del Borgo. Questo si tradusse nella lunga <strong>di</strong>atriba a suon <strong>di</strong> memoriali e carte<br />

bollate che interessò tutto il Seicento per chi spettasse il titolo <strong>di</strong> Chiesa<br />

Matrice 13 . Dopo alcune false partenze, l’attuale e<strong>di</strong>ficio venne iniziato nel 1619<br />

e portato a termine nelle sue linee essenziali nel 1674, ma come mostrano i<br />

pagamenti, per giungere alle forme attuali il percorso fu ancora molto lungo.<br />

Dopo la realizzazione della chiesa, uno dei primi interventi <strong>di</strong> una certa<br />

rilevanza fu la costruzione della nuova sacrestia, completata nel 1691 14 .<br />

Quest’opera subì importanti mo<strong>di</strong>fiche agli inizi del XX secolo, volute da<br />

monsignor Pietro Decia, che gli conferirono l’attuale fisionomia 15 tanto da farci<br />

credere che l’antica struttura sia andata perduta. Tuttavia dopo un’indagine<br />

più approfon<strong>di</strong>ta riteniamo che la base su cui si erge l’attuale canonica sia stata<br />

impostata sugli spazi tardo seicenteschi. Infatti sebbene non sia stato possibile<br />

rintracciare i <strong>di</strong>segni progettuali per la nuova canonica, e quin<strong>di</strong> stabilire anche<br />

la con<strong>di</strong>zione strutturale ante quem, grazie all’accurata relazione settecentesca<br />

possiamo ragionevolmente ipotizzare che gran parte della planimetria e<br />

dell’elevato del piano terra sia ancora quello del 1691. Così osservando la pianta<br />

e rileggendo gli atti della curia criminale, possiamo ritrovare i due corridoi<br />

<strong>di</strong>sposti a “L” che lambiscono il lato sinistro della chiesa comunicanti a levante<br />

con il coro, mentre a meri<strong>di</strong>one con la cappella della Santissima Immacolata.<br />

13 Per ulteriori notizie su questa vicenda, si veda: SILLA 1949. Come spesso accade, la verità sta<br />

nel mezzo: infatti a seguito degli scavi archeologici eseguiti negli Anni 50 del XX secolo presso<br />

l’ex chiesa dei cappuccini, si scoprì che l’antica chiesa matrice è situata circa metà della strada<br />

che separa le due chiese contendenti. Invece sulle vicende costruttive della chiesa, si veda:<br />

SILLA 1964, pp. 293-315; COLMUTO ZANELLA 1970, pp. 146-157; BOTTA 1974; BOTTA 1989; MOLTENI<br />

1997, pp. 100-104.<br />

14 ASDSv, Finale Ligure, parrocchia <strong>di</strong> San Giovanni Battista, libro dei conti dalla Insigne<br />

Collegiata che Principia l’anno 1693 Segnato C Termina l’anno 1717 n. 3, p. 172.<br />

15 Infatti al canonico si deve l’attuale facies a foggia <strong>di</strong> palazzotto signorile a due piani, il quale<br />

insiste sull’attuale sacrestia. Purtroppo non sono stati rintracciati né i pagamenti, né i progetti<br />

<strong>di</strong> costruzione del caseggiato e le informazioni appena citate sono state trasmesse da<br />

monsignor Leonardo Botta che ringrazio.<br />

188


Per le stesse motivazioni si potrebbe ragionevolmente riconoscere nell’attuale<br />

vano maggiore la sacrestia seicentesca, in quanto la sua entrata è posta in asse<br />

con l’ingresso verso la cappella del transetto sinistro della Collegiata. Di<br />

conseguenza possiamo ritenere che l’a<strong>di</strong>acente locale della sacrestia posto alla<br />

sua sinistra e contigua alla pubblica via, sebbene oggi si presenti <strong>di</strong>viso in due<br />

parti, potrebbe essere identificata con il preparlatoio citato nei documenti da<br />

cui s’introdussero i ladri. A sostegno dell’antichità <strong>di</strong> quest’area cre<strong>di</strong>amo che<br />

si possa anche citare la presenta <strong>di</strong> un soffitto realizzato con una volta a botte<br />

unghiata, <strong>di</strong> certo un sistema <strong>di</strong> copertura non più in uso agli inizi del<br />

Novecento. Rileggendo sempre gli atti d’inchiesta del Settecento, e questa volta<br />

integrandoli con il libro dei conti della masseria, nell’arma<strong>di</strong>o <strong>di</strong> sacrestia posto<br />

sulla parete a levante, si potrebbe riconoscere quello stesso manufatto in cui<br />

erano contenute le argenterie <strong>di</strong> maggior <strong>di</strong>mensione, come andremo a<br />

illustrare a breve.<br />

Il grande arma<strong>di</strong>o <strong>di</strong> sacrestia<br />

La parete <strong>di</strong> levante della sacrestia è occupata da un grande arma<strong>di</strong>o a forma<br />

<strong>di</strong> “U”, in legno <strong>di</strong> noce, contrad<strong>di</strong>stinto da una serie <strong>di</strong> colonnine tortili<br />

<strong>di</strong>sposte a coppia 16 (Fig. 1). Composto da una profonda base dove si trovano<br />

stipi e cassettiere, su questa si appoggia un’altra struttura <strong>di</strong> più ridotte<br />

<strong>di</strong>mensioni caratterizzate da una serie <strong>di</strong> scansie. Al <strong>di</strong> sopra <strong>di</strong> queste<br />

troviamo una serie <strong>di</strong> pie<strong>di</strong>stalli a parallelepipedo con cornice modanata e<br />

specchiature al centro, su cui sono poste le colonnine. Queste hanno una base<br />

circolare dal profilo curvilineo mentre il capitello è formato da un cilindro<br />

inframezzato da tre anelli e coronato da un cono tronco rovesciato. Infine<br />

questi sorreggono un altro parallelepipedo simile a quello su cui si<br />

appoggiano, in cui sono posti a incastro una coppia <strong>di</strong> mensole con ipotenusa<br />

polilobata. In ultimo l’arma<strong>di</strong>o <strong>di</strong> sacrestia è coronato da un grande cornicione<br />

aggettante modanato, abbellito sulla parte sporgente da una serie <strong>di</strong> dentelli<br />

e nel celino da altre specchiature concentriche. L’impianto decorativo è<br />

caratterizzato da una particolare attenzione nella variatio delle figure<br />

geometriche all’interno delle specchiature <strong>di</strong> maggiori <strong>di</strong>mensioni, poste sugli<br />

sportelli e sul dossale dell’arma<strong>di</strong>o. Come elemento comune <strong>di</strong> ogni riquadro<br />

troviamo una cartella rettangolare dagli angoli potenziati dove, al loro interno,<br />

16 Per una prospettiva generale sui mobili in Liguria, si veda: GONZÀLEZ - PALACIOS 1996.<br />

189


ne sono presenti altre due caratterizzate da un perimetro mistilineo che vanno<br />

a chiudersi con un motivo a <strong>di</strong>amante. Una particolarità <strong>di</strong> questo mobile<br />

riguarda la presenza <strong>di</strong> due sportelli posti sugli angoli <strong>di</strong> giunzione del pianale<br />

dell’arma<strong>di</strong>o, un tempo chiuse da una serratura. Ciascuna <strong>di</strong> queste permette<br />

<strong>di</strong> accedere ad un ripostiglio profondo fino al pavimento che possiamo<br />

riconoscere in quel “arma<strong>di</strong>o sotterraneo più grande che hà la portetta, o suo orificio<br />

à piano dell’angolo <strong>di</strong> detto tavolato […] volgarmente chiamato il pozzo”. L’o<strong>di</strong>erno<br />

arma<strong>di</strong>o potrebbe essere proprio quello fatto realizzare dai massari nel maggio<br />

del 1696 in quanto a quella data troviamo le spese relative all’acquisto dei<br />

materiali e alle giornate <strong>di</strong> lavoro per la costruzione delle “scansie o sia arma<strong>di</strong><br />

fatti nella sacrestia grande” 17 . Tuttavia quello che ci porta ad identificare con una<br />

certa sicurezza nel mobile appena descritto con quello pagato alla fine del<br />

Seicento, sono le numerose voci per colonnine presenti nel registro dei conti<br />

così caratteristiche <strong>di</strong> questa struttura. Proprio questa spesa ci torna <strong>di</strong> grande<br />

utilità in quanto rivela, ad una più approfon<strong>di</strong>ta analisi, alcuni interventi<br />

successivi sul nostro manufatto <strong>di</strong> cui al momento le fonti scritte non ci danno<br />

riscontro. Infatti il conteggio delle colonnine acquistate risultano essere 57,<br />

mentre attualmente sono solo presenti 34 pezzi sull’opera. Per cui possiamo<br />

ritenere che abbia subito un netto ri<strong>di</strong>mensionamento nella sua volumetria,<br />

per ragioni che a tutt’oggi ignoriamo. La presenza dettagliata <strong>di</strong> tutte le voci<br />

<strong>di</strong> spesa per quest’opera, ci consentono alcune riflessioni che <strong>di</strong> rado possono<br />

essere fatte poiché non sempre esse si sono conservate. Un primo dato su cui<br />

riflettere riguarda il luogo <strong>di</strong> approvvigionamento della materia prima, ossia<br />

il legno <strong>di</strong> noce. A quanto possiamo intendere l’entroterra finalese e neppure<br />

la retrostante Valbormida, sembrava offrire sufficienti garanzie circa il<br />

rifornimento (o forse la qualità?) <strong>di</strong> questo componente così suscettibile al<br />

variare dei fattori climatici, tanto che fu necessario “importarlo” fin da<br />

Bagnasco, all’epoca sotto il dominio <strong>di</strong> casa Savoia e quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> un altro Stato.<br />

Purtroppo al momento non siamo in grado <strong>di</strong> rispondere al quesito in quanto<br />

la scarsità degli stu<strong>di</strong> sui flussi delle materie prime, e non solo relative<br />

destinate alle opere d’arte, in età moderna non ci permettono <strong>di</strong> fare ulteriori<br />

supposizioni in merito. Un altro dato su cui vale la pena soffermarci, non<br />

riguarda l’acquisto da parte della masseria delle tavole <strong>di</strong> legno e della<br />

minuteria metallica, prassi consolidata per evitare contestazioni da parte del<br />

committente, ma piuttosto insolito ci appare l’acquisto delle già citate<br />

17 ASDSv, Finale Ligure, parrocchia <strong>di</strong> San Giovanni Battista, libro dei conti dalla Insigne<br />

Collegiata che Principia l’anno 1693 Segnato C Termina l’anno 1717 n. 3, pp. 28-29.<br />

190


colonnine. Infatti se l’articolato intaglio delle specchiature composte da<br />

profonde gole e da complesse modanature richiedono l’intervento <strong>di</strong> un<br />

artigiano esperto, quest’ultimo <strong>di</strong> certo non avrebbe avuto <strong>di</strong>fficoltà nello<br />

realizzare una serie <strong>di</strong> elementi fatti a tornio, la cui lavorazione è per altro<br />

alquanto semplice. Quin<strong>di</strong> non possiamo fare a meno <strong>di</strong> chiederci quali motivi<br />

abbiamo spinto la masseria ad acquistare altrove questi elementi, invece <strong>di</strong><br />

farli fare dal maestro falegname a cui aveva commissionato l’intera opera. È<br />

<strong>di</strong>fficile dare una risposta a queste domande e non solo in questo frangente,<br />

ma anche formulare ipotesi in merito in quanto ancora molto delle cosiddette<br />

“pratiche <strong>di</strong> bottega” sfuggono ancora ai nostri stu<strong>di</strong> per svariate ragioni.<br />

Infatti non è frequente imbattersi non solo in capitolati <strong>di</strong> spesa per una simile<br />

tipologia <strong>di</strong> manufatto, ma ancor meno trovare i conti dettagliati per la sua<br />

costruzione. A ciò dobbiamo aggiungere che solo in casi eccezionali queste<br />

opere presentano caratteristiche tali da poter raggruppare <strong>di</strong>versi oggetti<br />

sotto la volta <strong>di</strong> un’unica insegna. Infatti non dobbiamo <strong>di</strong>menticare che<br />

poche sono le strutture religiose <strong>di</strong> una tale munificenza che possano<br />

permettersi manufatti così articolati e, quin<strong>di</strong>, <strong>di</strong> conseguenza gli impianti<br />

decorativi commissionati risultano essere spesso i più parchi possibili. A<br />

questo dobbiamo sottolineare anche la loro <strong>di</strong>fficile sopravvivenza per via<br />

della costante usura, o dell’attacco <strong>di</strong> insetti xilofagi. Unito al cambio <strong>di</strong> gusti<br />

o delle esigenze liturgiche avvenuto nel corso del tempo, gli arma<strong>di</strong> da<br />

sacrestia possono subire mo<strong>di</strong>fiche tali da stravolgerne il loro aspetto<br />

originario; oppure in casi non poi così rari, una volta passati <strong>di</strong> moda ma<br />

ancora in buone con<strong>di</strong>zioni, possono essere messi all’interno del circuito del<br />

mercato antiquario. Tornando al nostro caso finalese, le singole voci dei conti<br />

rivelano uno spaccato <strong>di</strong> vita tardo seicentesca che molto spesso non emerge<br />

leggendo magari un capitolato per un’opera più “rappresentativa”, come ad<br />

esempio un altare <strong>di</strong> marmo o una pala <strong>di</strong>pinta. Naturalmente sebbene<br />

oggetti <strong>di</strong> tali genere non s’incontrino nelle necessità <strong>di</strong> tutti i giorni, pur<br />

tuttavia rappresentano un utile cartina tornasole per comprendere il costo<br />

della vita dell’epoca e così restituire il giusto valore ad un’opera. Infatti grazie<br />

alle loro puntuali annotazioni possiamo intuire le capacità economiche da<br />

parte <strong>di</strong> una Comunità, in un determinato periodo della sua storia, nel<br />

generare quel surplus monetario mirato a realizzare opere sì necessarie ma<br />

al contempo finalizzate a mostrare la propria munificenza nei confronti <strong>di</strong><br />

visitatori. Così alle soglie del XVIII secolo, meglio possiamo capire la forza<br />

economica della masseria della Collegiata <strong>di</strong> Finalmarina visto che fu<br />

possibile spendere tra legname, ferramenta e colonnine la notevole cifra <strong>di</strong> £<br />

191


839.10:4; a cui bisogna aggiungere la manodopera per la sua realizzazione in<br />

sette settimane e cinque giorni e mezzo lavorativi per un totale <strong>di</strong> £ 1618.17:4.<br />

Una somma <strong>di</strong> certo importante se teniamo conto che gli stessi lavoranti<br />

vennero pagati a giornata:“Mastro Capo sol<strong>di</strong> 46, lavorante Federico sol<strong>di</strong> 32,<br />

lavorante Andrea sol<strong>di</strong> 22” 18 .<br />

La masseria e le compagnie all’interno della collegiata <strong>di</strong> Finalmarina si<br />

<strong>di</strong>mostreranno dotate <strong>di</strong> una grande vitalità economica tanto che, sfogliando<br />

ulteriormente le pagine del registro settecentesco, incappiamo in altri<br />

importanti lavori all’interno della chiesa <strong>di</strong> cui vale la pena approfon<strong>di</strong>re.<br />

Pietro Ripa, maestro marmorario <strong>di</strong> Rapallo<br />

“1701, 13 settembre – dato in £ 4500 per patto convenuto con il signor Pietro Ripa<br />

per fare l’altare maggiore come ne consta per instrumento rogato il notaio Colalzi come<br />

in quello ———> £ 4500” 19 . Non sappiamo grazie a quali contatti o quali buoni<br />

uffici, e probabilmente non saremo mai in grado <strong>di</strong> ricostruirlo, portarono il<br />

maestro Pietro Ripa a Finalmarina agli inizi del XVIII secolo: però almeno per<br />

quanto ci è possibile capire dalla documentazione finora riscontrata, questo<br />

autore giocherà una partita importante nel panorama figurativo finalese.<br />

Dalle fonti d’archivio emerse, nonché dalle opere riconosciute, proprio la<br />

collegiata della Marina sembrerebbe essere stato il primo committente<br />

riconducibile a questa bottega. Infatti sebbene in un atto genovese del 1661<br />

venga citato un Carlo Ripa figlio <strong>di</strong> Pietro come console dell’arte, non abbiamo<br />

prove <strong>di</strong> un legame <strong>di</strong> sangue con il nostro marmorario 20 . Forse una traccia<br />

della sua precedente attività, però ancora tutta da verificare, la possiamo<br />

trovare all’interno <strong>di</strong> un pagamento del 1709 in cui viene definito “m(astr)o<br />

Ripa <strong>di</strong> Rapallo” 21 . Anche se al momento si tratta solo <strong>di</strong> un ipotesi <strong>di</strong> lavoro, la<br />

scarna annotazione potrebbe fare riferimento al domicilio temporaneo del<br />

18 ASDSv, Finale Ligure, parrocchia <strong>di</strong> San Giovanni Battista, libro dei conti dalla Insigne<br />

Collegiata che Principia l’anno 1693 Segnato C Termina l’anno 1717 n. 3, pp. 28-29.<br />

19 Una prima attribuzione a questo autore si deve a: CASTELLAZZI, BOTTA 2006, p. 10; ASDSv,<br />

Finale Ligure, parrocchia <strong>di</strong> San Giovanni Battista, libro dei conti dalla Insigne Collegiata che<br />

Principia l’anno 1693 Segnato C Termina l’anno 1717 n. 3.<br />

20 BELLONI 1988, p. 270.<br />

21 1709, 20 gennaio @ in £ 31.12 valuta <strong>di</strong> tanti pagati al mastro Ripa <strong>di</strong> Rapallo che se gli è fatto<br />

per lo pagare dell’Altare Maggiore come a pagina 44. ASDSv, Finale Ligure, parrocchia <strong>di</strong> San<br />

Giovanni Battista, libro dei conti dalla Insigne Collegiata che Principia l’anno 1693 Segnato C<br />

Termina l’anno 1717 n. 3.<br />

192


Ripa, forse impegnato in quella località per qualche importante commissione.<br />

Ipotesi non del tutto peregrina in quanto in un altra citazione <strong>di</strong> nove anni<br />

dopo, questa volta Carlo Antonio quondam Pietro è definito come abitante alla<br />

Marina <strong>di</strong> Finale 22 . Purtroppo seguire le traccie <strong>di</strong> questa bottega non sarà<br />

un’impresa facile in quanto lo spoglio archivistico delle fonti del tutto aleatorio<br />

o la loro per<strong>di</strong>ta, la <strong>di</strong>struzione o le profonde mo<strong>di</strong>fiche intervenute nel corso<br />

dei secoli sui manufatti, rendono <strong>di</strong>fficile questa ricerca. Un esempio<br />

abbastanza esplicativo riguarda proprio l’altare maggiore <strong>di</strong> Finalmarina, dove<br />

per un caso abbastanza fortunato nel registro dei conti è segnalato il nome<br />

del notaio da cui è stato rogato l’atto <strong>di</strong> commissione, tale Carlo Maria<br />

Collalto 23 . Tuttavia questa pista si è rilevata una strada senza uscita in quanto<br />

sebbene esista il registro del notaio <strong>di</strong>strettuale, questo risulta mutilo nelle<br />

pagine centrali dove verosimilmente doveva essere il nostro atto 24 . Così<br />

nonostante che alcune preziose informazioni siano andate perse, come ad<br />

esempio proprio la residenza del Ripa, solo grazie ai minuziosi conti della<br />

masseria siamo in grado <strong>di</strong> ricondurlo al nostro maestro, a conoscerne il costo,<br />

ma cosa ancora più importante a ricostruire la sua fisionomia originaria. Infatti<br />

proseguendo nella lettura, a seguito <strong>di</strong> un cambiamento <strong>di</strong> gusto nel 1724 25 ,<br />

scopriamo che l’altare maggiore era dotato <strong>di</strong> due statue poste con tutta<br />

22 TORTAROLO 1997, p. 35, dove però non viene segnalata la collocazione archivistica; ASS, notaio<br />

<strong>di</strong>strettuale, Paolo Bartolomeo Valgelata, 1718, n. 2682, foglio n. 188.<br />

23 1701, 13 settembre - dato in £ 4.500 per patto convenuto con il sig. Pietro Ripa per fare l’altare<br />

maggiore come ne consta per instrumento rogato il notaio Colalzi come in quello £ 4.500;<br />

ADSv, Finale Ligure, parrocchia <strong>di</strong> San Giovanni Battista, libro dei conti dalla Insigne<br />

Collegiata che Principia l’anno 1693 Segnato C Termina l’anno 1717 n. 3. Per como<strong>di</strong>tà si è<br />

scelta la <strong>di</strong>zione Colalto in quanto in questo modo viene riportato negli elenchi dell’Archivio<br />

<strong>di</strong> Stato <strong>di</strong> <strong>Savona</strong>. Le fonti antiche non sono sempre concor<strong>di</strong> sulla <strong>di</strong>zione <strong>di</strong> questo nome<br />

riportano, come in questo caso, Colalzi o anche Colalto.<br />

24 Archivio <strong>di</strong> Stato <strong>di</strong> <strong>Savona</strong>, notaio <strong>di</strong>strettuale <strong>di</strong> Finale Ligure, Carlo Maria Collalto, n. 2050,<br />

infatti dal registro sono state tagliate da ignota mano dolosa le pagine dal mese <strong>di</strong> maggio a<br />

quelle <strong>di</strong> settembre.<br />

25 1724, 28 gennaio - dato £ 0:12 spesi per fachini a far portar li scalini <strong>di</strong> marmaro in chiesa.<br />

- Dato £ 1:4 spese per fachini a portar, e riportar li cavi, e legni per levar le due statue <strong>di</strong> marmo<br />

che erano sopra l’altare maggiore, e poste nelli nichij (ADSv, Finale Ligure, parrocchia <strong>di</strong> San<br />

Giovanni Battista, Libro della M.ca e Masseria D n 6 1718-1799 p. 63).<br />

- Per £ 4.0.8 pagate a Serra per vino e somministrato alli marinai che hanno asistito tre giorni<br />

a levar e mettere dette statue (ADSv, Finale Ligure, parrocchia <strong>di</strong> San Giovanni Battista, Libro<br />

della M.ca e Masseria D n 6 1718-1799 p. 63).<br />

- Dato a mastro Paolo Carrega a suo garzone per far li pie<strong>di</strong>stallo <strong>di</strong> dette statue grezi (?) £ 2.16<br />

(ADSv, Finale Ligure, parrocchia <strong>di</strong> San Giovanni Battista, Libro della M.ca e Masseria D n 6<br />

1718-1799 p. 63).<br />

193


probabilità sull’ultimo gra<strong>di</strong>no e da qui vengono rimosse per collocarle<br />

all’interno della parrocchiale. Purtroppo <strong>di</strong> queste due sculture non è stato al<br />

momento possibile rintracciarle in quanto, sebbene siano state espressamente<br />

collocate all’interno <strong>di</strong> una nicchia, con i nuovi lavori <strong>di</strong> decorazione avvenuti<br />

all’interno dell’e<strong>di</strong>ficio a partire dalla seconda metà del XVIII, se ne perdono<br />

le tracce. E <strong>di</strong>fatti in questo caso sarebbe stato <strong>di</strong> grande importanza poter<br />

leggere il contratto <strong>di</strong> esecuzione in quanto non solo saremmo stati in grado<br />

<strong>di</strong> conoscere la loro iconografia, ma anche l’autore materiale che le eseguì.<br />

Non pare così illogico pensare che, come nel caso per la commissione del<br />

pulpito della collegiata finalese realizzato nel 1718, altra opera realizzata al<br />

nostro maestro, i massari abbiano voluto espressamente uno scultore <strong>di</strong><br />

mestiere per le cinque statue che lo adornano, in quanto, leggendo l’atto<br />

redatto dal notaio si <strong>di</strong>ce che: […] 2 - che le cinque statue che rappresentano San<br />

Giovanni Battista, e li quattro Evangelisti siano fatto dal detto Francesco Biggi <strong>di</strong><br />

Genova, ovvero dal più valente scultore a spese del detto Ripa, e quando non fossero<br />

<strong>di</strong> sod<strong>di</strong>sfazione delli suddetti agenti, sia lecito a suddetti agenti, sia lecito a suddetti<br />

agenti farle fare da un bravo scultore a spese del suddetto Ripa […] 26 . In verità questo<br />

contratto ci appare un po’ troppo sbilanciato a favore dei committenti e forse<br />

questo fu determinato da precedenti <strong>di</strong>ssapori tra le parti. Una tale<br />

supposizione troverebbe a nostro giu<strong>di</strong>zio conferma in un arbitrato con il<br />

capitano <strong>di</strong> giustizia, avvenuto nel 1702, <strong>di</strong> cui alla fine vide il primo<br />

condannato a pagare “alli Signori Gio Antonio, e Domenico padre, e figlio Paro<strong>di</strong><br />

<strong>di</strong> Genova” per opere <strong>di</strong> cui però non conosciamo l’entità 27 . In verità ci<br />

piacerebbe credere che costoro possano essere stati gli esecutori delle opere a<br />

figura dell’altare maggiore, anche se non <strong>di</strong>sponiamo <strong>di</strong> alcun in<strong>di</strong>zio in tal<br />

senso. Tornando all’altare della Collegiata, questo ben rappresenta il momento<br />

<strong>di</strong> passaggio tra il barocco seicentesco, più monumentale ed architettonico, a<br />

quello settecentesco con una forte componente tratti dal mondo della natura<br />

26 ASS, Notai <strong>di</strong>strettuali, Finale Ligure, notaio Picco Nicolò Maria, 1718, faldone n. 2270 carta<br />

323. Per ulteriori notizie su questo scultore, si veda: F. FRANCHINI GUELI, Scheda n° 3 - D. PARODI<br />

e F. BIGGI, in La scultura a Genova e in Liguria. Dal Seicento al primo Novecento, Genova 1988, pp.<br />

280-281.<br />

27 1702, 29 marzo - per £ 208.14 valuta <strong>di</strong> tanti che il suddetto Ripa è stato condannato dal signor<br />

Capitano <strong>di</strong> Giustizia come per sequestro a noi ufficiali intimati, come dalla giu<strong>di</strong>cazione<br />

seguita sotto il 29 marzo prossimo scorso parimenti a noi intimata qui annessa la qual partita<br />

si deve pagare al signor Pavolo Fancesco Ghiglieri a conto <strong>di</strong> quello deve il Ripa alli Signori<br />

Gio Antonio, e Domenico padre, e figlio Paro<strong>di</strong> <strong>di</strong> Genova come in questo a pagina 47. ADSv,<br />

Finale Ligure, parrocchia <strong>di</strong> San Giovanni Battista, libro dei conti dalla Insigne Collegiata che<br />

Principia l’anno 1693 Segnato C Termina l’anno 1717 n. 3.<br />

194


e dalle linee curvilinee. Questo ben si evidenzierebbe con la realizzazione del<br />

paliotto della mensa in marmo bianco a rilievo, su una base <strong>di</strong> marmo rosso<br />

maculato, in al centro troviamo una quadratura a forma <strong>di</strong> cuore come punto<br />

focale <strong>di</strong> un tripu<strong>di</strong>o d’intrecci <strong>di</strong> foglie, fiori e racemi terminanti ai lati con<br />

erme a cherubini dalle linee sinuose. Inoltre la forma <strong>di</strong> questa mensa<br />

rappresenta la fase <strong>di</strong> transizione il modello a forma <strong>di</strong> parallelepipedo verso<br />

quello a vasca, che riscuoterà un notevole successo per tutto il corso del XVIII<br />

secolo 28 . Tornando alla costruzione dell’altare della Collegiata, possiamo<br />

supporre che il Ripa possa non aver avuto un ruolo esclusivo nella<br />

realizzazione materiale dell’opera. In tal senso ce lo suggeriscono i numerosi<br />

pagamenti effettuati a <strong>di</strong>verse figure che ritroviamo nello spoglio del registro<br />

della masseria in cui sono annotati: “£ 2.11 pagate al signor Canonico Ferro<br />

per fatiche fatte al altare maggiore” 29 ; oppure “£ 18.1 pagate al maestro<br />

Berna<strong>di</strong>no Boxio per fatiche fatte al altare” 30 ; o anche “£ 37 pagare a<br />

Bernar<strong>di</strong>no Perti ha per marmoraro” 31 . Purtroppo ci troviamo <strong>di</strong> fronte ad un<br />

mondo sommerso che possiamo solo intuire dalla voce dei documenti. Infatti<br />

non dobbiamo <strong>di</strong>menticare che, a meno <strong>di</strong> una chiara designazione come nel<br />

caso del pulpito, questi maestri commerciavano e fornivano non solo materiali<br />

lapidei lavorati ma anche grezzi o semilavorati; per non parlare degli accor<strong>di</strong><br />

privati tra i vari titolari delle botteghe in modo tale da poter prendere in<br />

gestione più commissioni, mantenendo così un bassa forza lavoro, senza però<br />

allungare i tempi della consegna. Purtroppo la per<strong>di</strong>ta del contratto <strong>di</strong><br />

commissione non ci permette <strong>di</strong> conoscere la data <strong>di</strong> consegna dell’altare dato<br />

che, se i registri dei pagamenti si protraggono fino al 1709 32 , come molto spesso<br />

28 Per maggiori informazioni sugli altari nella Liguria del XVII-XVIII secolo, si veda i contributi<br />

<strong>di</strong> BOCCARDO, LAMERA, MAGNANI e GAVAZA 1988, pp. 87-211; FRANCHINI GUELFI 1988, pp. 215-<br />

295.<br />

29 1704, 10 agosto - dato per £ 2.11 pagate al signor Canonico Ferro per fatiche fatte al altare<br />

maggiore £ 2.11 (ADSv, Finale Ligure, parrocchia <strong>di</strong> San Giovanni Battista, libro dei conti dalla<br />

Insigne Collegiata che Principia l’anno 1693 Segnato C Termina l’anno 1717 n. 3).<br />

30 1704, 19 agosto - dato per £ 18.1 pagate al maestro Berna<strong>di</strong>no Boxio per fatiche fatte al altare<br />

£ 2.11 (ADSv, Finale Ligure, parrocchia <strong>di</strong> San Giovanni Battista, libro dei conti dalla Insigne<br />

Collegiata che Principia l’anno 1693 Segnato C Termina l’anno 1717 n. 3).<br />

31 1704, 1º <strong>di</strong>cembre - dato per £ 37 pagare a Bernar<strong>di</strong>no Perti ha per marmoraro in debito in<br />

debito pag 44 (ADSv, Finale Ligure, parrocchia <strong>di</strong> San Giovanni Battista, libro dei conti dalla<br />

Insigne Collegiata che Principia l’anno 1693 Segnato C Termina l’anno 1717 n. 3).<br />

32 1709, 20 gennaio @ in £ 31.12 valuta <strong>di</strong> tanti pagati al m.o Ripa <strong>di</strong> Rapallo che se gli e fatto<br />

per lo pagare dell’Altare Maggiore come a pagina 44 (ADSv, Finale Ligure, parrocchia <strong>di</strong> San<br />

Giovanni Battista, libro dei conti dalla Insigne Collegiata che Principia l’anno 1693 Segnato C<br />

Termina l’anno 1717 n. 3).<br />

195


accade, potrebbe essere solamente una coda dei pagamenti. Tornando alla<br />

presunta collegialità della bottega del Ripa, verso questa ipotesi ci<br />

porterebbero anche le notizie ricavate dalla lettura dei conti <strong>di</strong> altre opere da<br />

lui realizzate proprio nell’area del Finale. Infatti, qualche anno dopo, lo<br />

ritroviamo impegnato nell’opera dell’altare maggiore della chiesa parrocchiale<br />

<strong>di</strong> San Lorenzo a Varigotti, e<strong>di</strong>ficio a pochi chilometri dalla Marina e oggi<br />

frazione <strong>di</strong> Finale Ligure. Iniziato nel 1715 e portato a termine con tutta<br />

probabilità nel 1717, nonostante uno strascico giu<strong>di</strong>ziario e un pagamento<br />

protrattosi fino nell’anno successivo, quest’opera potrebbe rappresentare<br />

l’inizio <strong>di</strong> una fortunata carriera all’interno del Marchesato <strong>di</strong> Finale.<br />

Sebbene abbia subito alcune mo<strong>di</strong>fiche che ne hanno parzialmente<br />

alterato la fisionomia, l’altare <strong>di</strong> Varigotti (Fig. 2) conserva in gran parte la<br />

sua impronta originaria caratterizzata da una curvatura molto accentuata nei<br />

terminali dei gra<strong>di</strong>ni, tanto che i laterali girano fino a mostrare la loro faccia<br />

verso il fronte dell’altare, utilizzandola come ulteriore spazio decorativo.<br />

Decorato da intarsi marmorei policromi, il tabernacolo si presenta come un<br />

parallelepipedo dagli angoli potenziati e sono sottolineati da una colonna<br />

con capitello dorato, che reggono una doppia cornice aggettante. Maggior<br />

enfasi al ricettacolo sacro è data da una finta cortina in marmo bianco,<br />

scolpita come se fosse un tessuto a gran<strong>di</strong> fiori che scende ai suoi lati,<br />

sostenuta da una coppia <strong>di</strong> angeli. La mensa ha la forma <strong>di</strong> una vasca<br />

bombata abbellita da un intarsio <strong>di</strong> racemi bianchi su fondo nero, i cui steli<br />

terminano con fiori policromi. Al centro c’è un clipeo fogliato con al suo<br />

interno la figura <strong>di</strong> San Lorenzo in rilievo, che stilisticamente mal si accorda<br />

con le sculture precedenti per via della qualità più rude e grossolana. Questa<br />

caduta <strong>di</strong> stile potrebbe essere in<strong>di</strong>ce della presenza <strong>di</strong> un secondo scultore,<br />

in quanto le varie commissioni del Ripa avrebbero comportato un ritardo<br />

nell’esecuzione dell’altare non più tollerabile dalla committenza. In tale<br />

<strong>di</strong>rezione ci porterebbe la scrittura fatta contro il nostro maestro da parte<br />

della masseria nel 1719 33 , <strong>di</strong> cui però purtroppo al momento non è stato<br />

possibile rintracciare né il proce<strong>di</strong>mento giu<strong>di</strong>ziario né tanto meno la<br />

sentenza che possano illustrarci meglio sull’accaduto.<br />

Sempre il 1718 sarà un anno <strong>di</strong> importanti commissioni per Pietro Ripa in<br />

quanto, oltre al già accennato pulpito della collegiata <strong>di</strong> Finalmarina, fu<br />

33 1719, 5 agosto - e più sol<strong>di</strong> nove per una scrittura fatto contro Maestro Ripa (ADSv, Finale<br />

Ligure, frazione Varigotti, parrocchia <strong>di</strong> San Lorenzo, 1695 libro dei conti della Masseria della<br />

chiesa <strong>di</strong> San Lorenzo <strong>di</strong> Varigotti, p. 119).<br />

196


ingaggiato per realizzare l’altare maggiore della chiesa parrocchiale <strong>di</strong> San<br />

Nicolò a Calice Ligure e, all’interno della Collegiata <strong>di</strong> San Biagio a Finalborgo,<br />

quello delle Madonna delle Grazie e delle Anime Purganti.<br />

L’antico altare maggiore della chiesa <strong>di</strong> San Nicolò a Calice Ligure<br />

rappresenta uno <strong>di</strong> quei casi fortunosi in quanto grazie alla presenza <strong>di</strong> altre<br />

fonti d’archivio, siamo in grado <strong>di</strong> ricondurlo al nostro scultore sebbene sia<br />

l’opera, sia le carte più antiche della parrocchia siano andate perse. Solo grazie<br />

ad un’importante ricerca <strong>di</strong> Angelo Tortarolo, questa commissione assume<br />

risvolti assai inusuali 34 . Ma an<strong>di</strong>amo per piccoli passi. Il 5 settembre 1718 <strong>di</strong><br />

fronte al notaio Paolo Bartolomeo Valgelata, Pietro Ripa quondam Carlo<br />

Antonio abitante alla marina <strong>di</strong> Finale promette <strong>di</strong> fare entro il mese <strong>di</strong> ottobre<br />

l’altare maggiore in marmo della chiesa parrocchiale <strong>di</strong> Calice Ligure. Il costo<br />

finale dell’opera sarà <strong>di</strong> 700 lire <strong>di</strong> cui 350 corrisposte al momento del rogito,<br />

versati dall’ufficiale della Compagnia del Santissimo Sacramento (100 lire), da<br />

quella del Rosario (50 lire) e da quella della Nostra Signora della Rocca (200<br />

lire). Il primo dato su cui dobbiamo riflettere riguarda i tempi <strong>di</strong> consegna<br />

molto ravvicinati: se al momento della stipula fu possibile concordare<br />

un’esecuzione così veloce, questo potrebbe essere in<strong>di</strong>ce della presenza <strong>di</strong> una<br />

bottega <strong>di</strong> comprovata esperienza alle spalle del Ripa, ma anche <strong>di</strong> un<br />

apparato logistico che fosse in grado <strong>di</strong> provvedere anche alla fornitura della<br />

materia prima in tempi molto rapi<strong>di</strong>. Se è vero che la somma concordata con<br />

tutta probabilità non richiedesse un lavoro <strong>di</strong> una particolare ricercatezza,<br />

soprattutto se confrontato con quello <strong>di</strong> Finalmarina, in via del tutto ipotetica,<br />

non possiamo fare a meno <strong>di</strong> pensare che il nostro maestro possa essersi<br />

avvalso <strong>di</strong> pezzi semilavorati da altre botteghe in modo da restringere i tempi<br />

dell’esecuzione. Un altro dato che merita la nostra attenzione riguarda i<br />

committenti in quanto se non dobbiamo stupirci del contributo economico da<br />

parte degli ufficiali delle compagnie del Santissimo Sacramento e del<br />

Santissimo Rosario, poiché intimamente legati alla vita liturgica della<br />

parrocchiale, <strong>di</strong>ssonante risulta essere l’apporto <strong>di</strong> un Ente esterno quale era<br />

la Compagnia <strong>di</strong> Nostra Signora della Rocca. Infatti tale sodalizio aveva un<br />

e<strong>di</strong>ficio proprio al limitare del paese (l’attuale chiesa <strong>di</strong> Santa Liberata), ma<br />

evidentemente nel momento in cui la chiesa “matrice” sentì l’esigenza <strong>di</strong><br />

rinnovare il proprio apparato decorativo, anche questa realtà associativa volle<br />

dare il proprio contributo per accrescere il prestigio dell’e<strong>di</strong>ficio più<br />

34 ASS, notaio <strong>di</strong>strettuale, Paolo Bartolomeo Valgelata, 1718, n. 2682, foglio n. 188, pubblicato<br />

in A. TORTAROLO 1997, p. 35 collocazione non citata.<br />

197


appresentativo e più importante <strong>di</strong> Calice Ligure. Purtroppo per le medesime<br />

ragioni, l’antica chiesa parrocchiale venne demolita e ricostruita nelle forme<br />

attuali a partire dagli Anni 70 del XVIII secolo. Il rinnovamento dell’e<strong>di</strong>ficio<br />

comportò anche la per<strong>di</strong>ta dell’altare maggiore, in quanto non più<br />

corrispondente ai canoni estetici tardo settecenteschi. Tuttavia, a nostro avviso,<br />

una parte dell’opera del Ripa si sarebbe conservato nei gra<strong>di</strong>ni dell’altare <strong>di</strong><br />

San Nicolò (Fig. 3), in quanto sia strutturalmente sia stilisticamente mal si<br />

accordano con la mensa d’altare. Infatti le linee quadrate dei gra<strong>di</strong>ni nonché<br />

le loro decorazioni composta da racemi terminanti con tulipani, oppure i temi<br />

a rombi contornati da nastri, richiamano alla mente motivi decorativi degli<br />

inizi del XVIII secolo. Come ad esempio quelli impiegati nella realizzazione<br />

dell’altare maggiore <strong>di</strong> San Lorenzo a Varigotti.<br />

Altre due importanti committenze vennero affidate al Ripa all’interno<br />

della chiesa Collegiata <strong>di</strong> Finalborgo: la cappella della Madonna delle Grazie<br />

e delle Anime Purganti e quella della Compagnia dei Santi Pietro e Paolo.<br />

L’altare della Madonna delle Grazie è posto nel transetto destro, in una<br />

posizione <strong>di</strong> grande prestigio in quanto <strong>di</strong> fronte alla cappella della Madonna<br />

del Carmine la cui devozione è ancora tutt’oggi molto sentita dai finalesi (Fig.<br />

4) 35 . Purtroppo l’irreperibilità della documentazione più antica della<br />

parrocchiale, non ci permette <strong>di</strong> verificare le ricerche pubblicate da don Mario<br />

Scarrone e da Giovanni Murialdo 36 . Nonostante ciò cre<strong>di</strong>amo che sia l’arco<br />

cronologico dell’opera, realizzata tra il 1718 e il 1728, sia l’attribuzione al nostro<br />

maestro possano essere fondate. A puro titolo d’ipotesi <strong>di</strong> lavoro, possiamo<br />

immaginare che anche in questo caso il Ripa abbia fatto ricorso ad un maestro<br />

esterno per le sculture a figura, come nel pulpito della collegiata della Marina,<br />

per le tre statue sul timpano della cornice dell’altare che, per via della notevole<br />

<strong>di</strong>stanza, risultano essere <strong>di</strong>fficilmente analizzabili. Invece per quanto<br />

riguarda la mensa e i gra<strong>di</strong>ni dell’altare, essi trovano un comune<br />

denominatore nell’impianto adottato nella chiesa <strong>di</strong> San Lorenzo a <strong>di</strong> Varigotti<br />

in cui abbiamo la mensa bombata e i terminali dei gra<strong>di</strong>ni con i prospetti rivolti<br />

verso il fronte. Naturalmente nel caso del Borgo, l’intarsio del marmo risulta<br />

essere nettamente più ricercato e più insistito nelle evoluzioni dei racemi. A<br />

<strong>di</strong>fferenza dei casi precedenti affrontati, questo tabernacolo possiede una<br />

forma decisamente più architettonica in quanto sono assenti gli angeli e i<br />

35 Per un più recente stu<strong>di</strong>o sulla devozione <strong>di</strong> questa figura mariana da parte dei finalesi, si<br />

veda: TASSINARI 2006, pp. 121-143.<br />

36<br />

MURIALDO, SCARRONE 1991, p. 20.<br />

198


panni intarsiati dorati, quasi come si volesse ritagliare un spazio autonomo e<br />

privilegiato rispetto al resto dell’opera. Scelta forse voluta proprio dai<br />

committenti anche se non possiamo determinare se per motivi <strong>di</strong> preferenze<br />

artistiche, oppure dettate da motivi economici in considerazione<br />

dell’impegnativo lavoro svolto.<br />

L’ultimo intervento del Ripa all’interno della parrocchiale <strong>di</strong> Finalborgo<br />

riguarda l’altare della Compagnia <strong>di</strong> San Pietro e Paolo (Fig. 5), posta nella<br />

seconda cappella a sinistra. Giunto fortunosamente fino a noi il registro <strong>di</strong><br />

questo sodalizio, pur nella modesta movimentazione economica, ci risulta <strong>di</strong><br />

grande interesse in quanto conferma il repentino variare dei gusti da parte<br />

della committenza dell’epoca, come già per altro appurato nel caso dell’altare<br />

<strong>di</strong> Finalmarina. Di certo l’acquisto del sacello all’interno della chiesa collegiata<br />

rappresentò uno dei momenti più importanti per la vita della Compagnia,<br />

tanto da richiedere l’esborso della cifra <strong>di</strong> lire 170, somma per altro anticipata<br />

da alcuni consociati 37 . Nel corso dell’anno si provvide ad arredare il nuovo<br />

spazio sacro commissionando un quadro con i due santi titolari e soprattutto<br />

venne acquistato “£ 19 prezzo <strong>di</strong> palmi 60 scalini <strong>di</strong> pietra <strong>di</strong> lavagna a sol<strong>di</strong> 5.8<br />

palmo scalini quattro detti piccoli a sol<strong>di</strong> 10 per ogni uno compri per l’altare” 38 . Altri<br />

lavori <strong>di</strong> abbellimento, o forse <strong>di</strong> manutenzione dell’apparato decorativo,<br />

vennero effettuati verso lo scadere del secolo come riportato dall’annotazione<br />

<strong>di</strong> pagamento per “sol<strong>di</strong> 18.8 valuta <strong>di</strong> tinta prese per colorire alcuni lavori <strong>di</strong> stucco<br />

per l’altare <strong>di</strong> S. Pietro” 39 . Sebbene fosse forte la volontà da parte dei confratelli<br />

<strong>di</strong> possedere uno spazio sacro che à la page; chiamando così il Ripa che in quel<br />

momento godeva <strong>di</strong> una fama più che buona, abbiamo il sospetto che la<br />

Compagnia effettuò un’operazione al <strong>di</strong> sopra delle sue forze economiche. In<br />

tal senso ci spingerebbero il prestito fatto dal capitano Gio: Bertoldo Alfieri <strong>di</strong><br />

una somma <strong>di</strong> £ 136 “nella fabbrica de marmo della nostra cappella dà maestro Pietro<br />

Ripa”, il 12 aprile 1718 40 . Oppure le 400 lire avute dagli amministratori<br />

37 1697, 23 febbraio e 20 giugno; ADSv, Finale Ligure, chiesa parrocchiale <strong>di</strong> San Biagio a<br />

Finalborgo, conti compagnia <strong>di</strong> San Pietro, p. 152.<br />

38 1697, 28 giugno; più articolata risulta essere la commissione del quadro il 28 giugno venne<br />

acquistata la cornice per £ 2; il 24 <strong>di</strong>cembre venne acquistata la tela da far <strong>di</strong>pingere e, infine,<br />

il primo aprile dell’anno successivo venne saltato al maestro Ventura l’opera suddetta. ADSv,<br />

Finale Ligure, chiesa parrocchiale <strong>di</strong> San Biagio a Finalborgo, conti compagnia <strong>di</strong> San Pietro,<br />

p. 152-153.<br />

39 1698, 2 aprile; ADSv, Finale Ligure, chiesa parrocchiale <strong>di</strong> San Biagio a Finalborgo, conti<br />

compagnia <strong>di</strong> San Pietro, p. 153.<br />

40 1718, 12 aprile; ADSv, Finale Ligure, chiesa parrocchiale <strong>di</strong> San Biagio a Finalborgo, conti<br />

compagnia <strong>di</strong> San Pietro, p. 169.<br />

199


dell’Opera Pia Galea, “per fabrivare la nostra cappella <strong>di</strong> marmo”: operazione <strong>di</strong><br />

cui però non tutti dovevano essere d’accordo in quanto si precisò “come<br />

approvato dalla maggior parte de la nostri confratelli” 41 . Infine per il completamento<br />

dell’opera si dovette aspettare fino al 14 febbraio del 1720, data in cui vennero<br />

riepilogate tutte le spese sostenute per il nuovo altare, <strong>di</strong> cui solo per l’onorario<br />

del Ripa gli furono riconosciute 400 lire 42 . Rispetto ai precedenti interventi,<br />

l’altare della cappella dei Santi Pietro e Paolo si pone ancora come un’opera<br />

<strong>di</strong> passaggio tra le due epoche, per via della scelta <strong>di</strong> una mensa a<br />

parallelepipedo su cui svetta i due gra<strong>di</strong>ni dalle forme ad arco appena<br />

accennate.<br />

Chiudendo questo ampio paragrafo de<strong>di</strong>cato al maestro Pietro Ripa,<br />

facendo un passo in<strong>di</strong>etro fino alla commissione del pulpito della Marina,<br />

questo lavoro proseguì abbastanza spe<strong>di</strong>tamente nonostante gli altri numerosi<br />

ingaggi ricevuti. Infatti il 23 agosto del 1719 le parti si trovavano già Finale,<br />

pronte per essere trasportate in chiesa come riportato nell’annotazione del<br />

pagamento “a Gio Batta Prigne <strong>di</strong> Carrara che a condotto li marmi, e statue per il<br />

pulpito” 43 . Le sculture ancora oggi presenti possono essere ragionevolmente<br />

quelle commissionate nel 1719 e, dal punto <strong>di</strong> vista stilistico, ben si allineano<br />

al periodo in questione. Tuttavia ad un’analisi più accurata, non possiamo fare<br />

a meno <strong>di</strong> rilevare che la loro messa in opera presenta alcune <strong>di</strong>ssonanze.<br />

Posizionata ognuna al <strong>di</strong> sopra <strong>di</strong> un peduccio (Fig. 6), questo mal si<br />

armonizza con l’impianto decorativo del parapetto poiché in malo modo ne<br />

interrompono la sua simmetricità. Ancora più problematiche risultano essere<br />

i basamenti delle statue in quanto sono state squadrate in maniera grossolana,<br />

come se in origine fossero state destinate ad un altra sede (o ad un’altra opera)<br />

e poi frettolosamente adattate per quella o<strong>di</strong>erna. Ipotesi suffragata dalla loro<br />

stabilità alquanto precaria e per ciò fissate al pulpito per mezzo <strong>di</strong> grappe <strong>di</strong><br />

ferro. Purtroppo al momento non è emerso dallo spoglio archivistico dati che<br />

possano fare luce su queste incongruenze, tanto che dovremmo rimandare<br />

in altro luogo ulteriori analisi e riflessioni.<br />

41 1718, 15 luglio; ADSv, Finale Ligure, chiesa parrocchiale <strong>di</strong> San Biagio a Finalborgo, conti<br />

compagnia <strong>di</strong> San Pietro, p. 169.<br />

42 ADSv, Finale Ligure, chiesa parrocchiale <strong>di</strong> San Biagio a Finalborgo, conti compagnia <strong>di</strong> San<br />

Pietro, p. 170.<br />

43 ADSv, Finale Ligure, parrocchia <strong>di</strong> San Giovanni Battista, Libro della M.ca e Masseria D n. 6<br />

1718-1799, p. 29.<br />

200


L’epilogo <strong>di</strong> un misfatto<br />

Tornando al nostro furto, all’epoca le autorità si mossero con grande<br />

tempestività e durante un’ispezione presso la muraglia <strong>di</strong> un orto nella vicina<br />

chiesa <strong>di</strong> San Carlo, furono trovate tre fosse scavate <strong>di</strong> fresco 44 . Al loro interno<br />

vennero rinvenute una lampada <strong>di</strong> latta e alcuni frammenti <strong>di</strong> argento,<br />

riconosciuti come parte delle catenelle della lampada sottratta, da cui<br />

possiamo dedurre che i ladri avessero abbandonato i pezzi <strong>di</strong> minor valore.<br />

Ad aggravare il danno economico della masseria, qualche giorno dopo il furto,<br />

si aggiunsero alla lista due sacchetti contenenti galloni in oro e in argento<br />

filato, destinati ad abbellire le pianete per le funzioni funerarie 45 . Le autorità<br />

proseguirono nella loro inchiesta e i sospetti si concentrarono su quattro<br />

forestieri notati la sera <strong>di</strong> lunedì scendere da Mallare verso Finale.<br />

La destinazione ultima venne confermata dallo stesso testimone che li<br />

aveva visti in precedenza, e poi riconosciuti, la mattina successiva ad<br />

un’osteria presso la porta Reale <strong>di</strong> Finalborgo. Come già accennato, ogni<br />

ulteriore indagine si rivelò vana poiché nessuno poté associare un nome ai<br />

volti incontrati. Inoltre la presenza <strong>di</strong> numerosi feu<strong>di</strong> ricadenti sotto<br />

giuris<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong>verse alle spalle del Marchesato <strong>di</strong> Finale, dove molto spesso<br />

le autorità erano accon<strong>di</strong>scendenti alla presenza <strong>di</strong> persone dal passato dubbio<br />

all’interno dei propri confini, gli avrebbero garantito l’impunità. Tuttavia<br />

l’ingor<strong>di</strong>gia e l’arroganza dei malfattori fu più forte del buon senso e così, una<br />

sera del 25 maggio del 1717, quattro persone accusate del furto furono<br />

arrestate e incarcerate presso un’osteria <strong>di</strong> Feglino. A giu<strong>di</strong>zio dell’autorità<br />

vennero condotti e interrogati Giuseppe Spallarossa <strong>di</strong> Fontanegli (oggi una<br />

frazione in comune <strong>di</strong> Genova), Giovanni Forte <strong>di</strong> Carmagnola, Domenico<br />

Britti <strong>di</strong> Mombercelli e Giuseppe De Fornari <strong>di</strong> Carmagnola. Dopo pochi<br />

giorni <strong>di</strong> carcere, forse con la promessa <strong>di</strong> clemenza, Spallarossa accusò De<br />

Fornari e Britti <strong>di</strong> essere gli autori del furto alla Marina 46 . Naturalmente il<br />

magistrato non gli credette senza prove e costui riferì che il Britti si burlava<br />

della scritta sulla porta della sacrestia “Qui non entrano i secolari”, mentre lui la<br />

aveva oltrepassata. Secondo la sua ricostruzione dei fatti, oltre ai due<br />

incarcerati, gli autori del furto furono anche un tale soprannominato<br />

Macciaferro ed un altro <strong>di</strong> nome Gio Batta detto il Rosso genovese per via del<br />

44 ASCFL, Curia Civile e Criminale, 09/857 f. 118.<br />

45 ASCFL, Curia Civile e Criminale, 09/857 f. 123.<br />

46 ASCFL, Curia Civile e Criminale, 09/857 f. 140.<br />

201


colore dei capelli e della località <strong>di</strong> origine, entrambi amici del Britti. Una volta<br />

portati via gli argenti, costoro li ruppero per ridurne il volume e li nascosero<br />

sotto terra in un bosco a Mallare. Poi proseguirono a pie<strong>di</strong> fino a Mombarcelli<br />

dove, all’osteria <strong>di</strong> Gio Batta Secco, presero in affitto un cavallo per recuperare<br />

la refurtiva. Una volta tornati all’osteria, complice con l’oste, avrebbero<br />

bruciato i galloni per ricavare il metallo nobile e il tutto venduto ad un ebreo<br />

<strong>di</strong> nome Emanuele che a sua volta lo avrebbe portato ad un argenterie <strong>di</strong><br />

Genova. Divisosi il gruppo originario in quanto Macciaferro e il Rosso<br />

andarono per la loro strada, imbaldanziti dalla facilità del colpo e dal<br />

guadagno ottenuto, De Fornari e Britti vollero fare un nuovo furto, reclutando<br />

per questa spe<strong>di</strong>zione Forte e Spallarossa, ai danni della chiesa <strong>di</strong> San Fedele<br />

nella <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> Albenga. Naturalmente il reo confesso volle precisare che lui<br />

fece solo da piantone sulla strada e non entrò nell’e<strong>di</strong>ficio sacro a fare razzia 47 .<br />

Infine, per rendere la sua posizione più lieve e in<strong>di</strong>rizzare l’ira dell’autorità<br />

verso i suoi compagni, Spallarossa rivelò dove avevano nascosto gli attrezzi<br />

da scasso e soprattutto che si trovavano a Feglino per rubare le tre lampade<br />

d’argento all’interno della parrocchiale. Proprio la necessità <strong>di</strong> un altro facile<br />

e illecito guadagno, in quanto esauriti i sol<strong>di</strong>, porterebbe a suffragio l’ipotesi<br />

dell’imme<strong>di</strong>ata <strong>di</strong>struzione degli argenti della Marina <strong>di</strong> Finale e quin<strong>di</strong> la<br />

veri<strong>di</strong>cità delle affermazioni dello Spallarossa, almeno in questa parte.<br />

Effettivamente la quantità <strong>di</strong> argento rubato, circa 40 kg, ma soprattutto<br />

l’empietà del furto costringeva gli autori a sbarazzarsi il prima possibile della<br />

refurtiva. Alla fine la giustizia degli uomini fece il suo corso: Domenico Britti<br />

venne condannato alla fustigazione nella piazza <strong>di</strong> Finalmarina e a servire su<br />

una triremi della Repubblica <strong>di</strong> Genova per tutta la sua vita, legato con una<br />

catena; medesima sorte a Giuseppe De Fornari ma imbarcato “solo” per<br />

quin<strong>di</strong>ci anni; a Giuseppe Spallarossa, evidentemente ritenuto non poi così<br />

troppo affidabile, fu condannato a quin<strong>di</strong>ci anni <strong>di</strong> remo anch’egli legato con<br />

una catena; infine medesima sorte venne emessa per Giovanni Forte ma solo<br />

per anni do<strong>di</strong>ci. Non sappiamo se le condanne furono scontate in toto nella<br />

loro gravità.<br />

47 Furto effettivamente avvenuto il 23 maggio, come segnalato sul registro ff. 133-134.<br />

202


Bibliografia<br />

SILLA G.A. 1949, La pieve del Finale, Bor<strong>di</strong>ghera.<br />

SILLA G.A. 1964, Storia del Finale, Vol. I, Finale Ligure.<br />

COLMUTO ZANELLA G. 1970, Chiese barocche liguri a colonne binate, in “Quaderno”<br />

n° 3 dell’Istituto <strong>di</strong> Elementi Architettura e Rilievo dei Monumenti, Genova.<br />

BOTTA L. 1974, La basilica <strong>di</strong> San Giovanni Battista. Finalmarina 1674-1974, Finale<br />

Ligure.<br />

BELLONI V. 1998, La grande scultura in marmo a Genova (secoli XVII e XVIII), Genova<br />

(?).<br />

FRANCHINI GUELFI F. 1998, Il Settecento. Theatrum sacrum e magnifico apparato, in La<br />

scultura a Genova e in Liguria. Dal Seicento al primo Novecento, Genova 1988.<br />

FRANCHINI GUELFI F. 1998, Scheda n° 3 - D. PARODI e F. BIGGI, in La scultura a<br />

Genova e in Liguria. Dal Seicento al primo Novecento, Genova.<br />

BOTTA L. 1989, La basilica <strong>di</strong> S. Giovanni Battista in Finalmarina, <strong>Savona</strong>.<br />

MURIALDO G., SCARRONE M. 1991, Le opere d’arte, in G. MURIALDO, G. ROSSINI,<br />

M. SCARRONE, La Collegiata <strong>di</strong> San Biagio in Finalborgo, <strong>Savona</strong>.<br />

GONZÀLEZ - PALACIOS A. 1996, Il mobile in Liguria, Genova.<br />

MOLTENI F. 1997, Finale sacra: plebania, vicariato e chiese tra me<strong>di</strong>oevo ed età moderna,<br />

in Storia <strong>di</strong> Finale, <strong>Savona</strong>.<br />

TORTAROLO A. 1997, Santa Liberata. La cappella <strong>di</strong> Nostra Signora delle Rocce <strong>di</strong> Calice<br />

Ligure, Calice Ligure.<br />

CASTELLAZZI G., BOTTA L. 2006, La basilica <strong>di</strong> San Giovanni Battista in Finalmarina,<br />

Finale Ligure.<br />

TASSINARI M. 2006, L’abito della Madonna, in Sul Filo dei secoli, <strong>Savona</strong>.<br />

203


Fig. 1 - Particolare dell’arma<strong>di</strong>o <strong>di</strong> sacrestia della collegiata<br />

<strong>di</strong> San Giovanni Battista <strong>di</strong> Finale Ligure<br />

204


Fig. 2 - Altare maggiore della chiesa <strong>di</strong> San Lorenzo <strong>di</strong> Varigotti a Finale Ligure<br />

Fig. 3 - Altare laterale destro della chiesa <strong>di</strong> San Lorenzo <strong>di</strong> Calice Ligure<br />

205


Fig. 4 - Altare della Madonna delle Grazie<br />

della collegiata San Biagio <strong>di</strong> Finale Ligure<br />

206


Fig. 5 - Altare <strong>di</strong> San Pietro e Paolo della collegiata <strong>di</strong> San Biagio <strong>di</strong> Finale Ligure<br />

Fig. 6 - Particolare del pulpito della collegiata<br />

<strong>di</strong> San Giovanni Battista a Finale Ligure<br />

207


Argenti liturgici nel marchesato <strong>di</strong> Finale:<br />

alcuni casi tra XVI e XVIII secolo<br />

Laura Facchin*<br />

Premessa<br />

Il patrimonio degli argenti pertinenti alle chiese del territorio del marchesato<br />

<strong>di</strong> Finale 1 , ha ricevuto poca attenzione dalla storiografia novecentesca sugli<br />

arre<strong>di</strong> sacri in materiali preziosi dell’area compresa nella regione Liguria 2 . Si<br />

devono, tuttavia, ricordare due illustrazioni tratte dal Finale illustrato, e<strong>di</strong>to<br />

negli Anni 30 del Novecento, che mostrano, con <strong>di</strong>sposizione paratattica,<br />

senza <strong>di</strong>dascalie precise, ma con intento <strong>di</strong> valorizzazione, una sintesi dei<br />

ricchi patrimoni delle parrocchiali <strong>di</strong> San Giovanni Evangelista <strong>di</strong> Finale<br />

Marina e <strong>di</strong> San Biagio <strong>di</strong> Finalborgo 3 . Diversi arre<strong>di</strong> sacri <strong>di</strong> questo secondo<br />

e<strong>di</strong>ficio <strong>di</strong> culto ricevettero poi le attenzioni del para<strong>di</strong>gmatico lavoro<br />

fotografico <strong>di</strong> Giuseppe Morazzoni del 1951 4 e la croce processionale fu<br />

esposta nella più recente mostra <strong>di</strong> Ottawa del 1992, a cura <strong>di</strong> Massimo<br />

* Un sentito ringraziamento per il sostegno nella ricerca e per la <strong>di</strong>sponibilità <strong>di</strong>mostrata a<br />

don Gianluigi Caneto e alla dott.ssa Massimiliana Bugli, Archivio Storico Diocesano <strong>di</strong> Savoia-<br />

<strong>Noli</strong>; al prevosto Silvio Delbuono, collegiata <strong>di</strong> San Giovanni Battista <strong>di</strong> Finale Marina e al<br />

dott. Santino Mammola.<br />

1 La più recente bibliografia sul marchesato è costituita dagli atti dei convegni <strong>di</strong> Loano del<br />

2004, a cura <strong>di</strong> Cinzia Cremonini e Riccardo Musso, de<strong>di</strong>cato ai feu<strong>di</strong> imperiali, e <strong>di</strong> Finale<br />

Ligure del 2008, cura <strong>di</strong> Paolo Calcagno, specificatamente baricentrato sulla realtà politica in<br />

esame. Per ulteriori aggiornamenti si rimanda ai contributi in merito nel presente volume.<br />

2 Per la fortuna critica tra Otto e Novecento dello stu<strong>di</strong>o delle arti applicate in territorio ligure,<br />

cfr. MARCENARO 1999, pp. 349-402. Dall’esaustivo contributo emerge l’interesse nei confronti<br />

dell’oreficeria me<strong>di</strong>evale sino al XV secolo, includendo, per il territorio savonese, la felice<br />

stagione dei Della Rovere.<br />

3 Cfr. SALVI 1933, tav. 16 per la collegiata <strong>di</strong> Finale Marina e tav. 41 per la parrocchiale <strong>di</strong><br />

Finalborgo.<br />

4 Cfr. MORAZZONI 1951, figg. 7, 23, 24, 30, 56-58. Il lavoro risulta specchio fedele <strong>di</strong> interessi<br />

principalmente connessi al mercato antiquario, prevalentemente incentrato sulla più<br />

spettacolare argenteria del XVIII secolo.<br />

209


Bartoletti e Franco Boggero 5 , i cui stu<strong>di</strong> e pubblicazioni sulle oreficerie<br />

genovesi dal XV al XVIII secolo, insieme con Farida Simontetti, costituiscono,<br />

anche per questo contributo, un importante punto <strong>di</strong> riferimento 6 .<br />

Nell’ambito <strong>di</strong> un patrimonio che, pur con possibili depauperazioni, si<br />

mantiene ancora assai <strong>di</strong>versificato e del quale, grazie alla conservazione <strong>di</strong><br />

numerosi documenti d’archivio, sarebbe possibile, in uno stu<strong>di</strong>o complessivo,<br />

restituire anche quella parte <strong>di</strong> beni ricordati, spesso anche dettagliatamente,<br />

dalle carte, ma <strong>di</strong>spersi o reimpiegati nei secoli, si sono selezionati oggetti <strong>di</strong><br />

particolare pregio e interesse, sia per la qualità artistica che per datazione e<br />

problematicità. Provengono da tre luoghi <strong>di</strong> culto del marchesato significativi,<br />

anche per la loro posizione strategica lungo vie <strong>di</strong> comunicazione privilegiate<br />

che, già <strong>di</strong> fondazione me<strong>di</strong>evale, subirono cospicui ampliamenti e<br />

trasformazioni tra XVI e XVIII secolo: le parrocchiali dei Santi Pietro e Paolo<br />

<strong>di</strong> Rialto e <strong>di</strong> Sant’Eusebio <strong>di</strong> Perti e la collegiata <strong>di</strong> San Giovanni Battista <strong>di</strong><br />

Finalmarina 7 . Gli esemplari vengono presentati secondo un criterio<br />

cronologico e sono collocabili nella cosiddetta “età d’oro” della produzione<br />

genovese <strong>di</strong> argenti, sia per arredo sacro che profano, dalla metà del XVI<br />

secolo ai primi decenni del XVII, favorita dall’arrivo <strong>di</strong> considerevoli quantità<br />

<strong>di</strong> metallo prezioso dal “Nuovo Mondo” e, più in generale, dallo sviluppo<br />

economico della Superba. Hanno in comune la tipologia, ossia quella <strong>di</strong> essere<br />

croci utilizzate per le festività solenni, in particolare per le processioni e i<br />

funerali 8 . Non va <strong>di</strong>menticato che anche nell’allestimento della già citata<br />

mostra canadese si preferì scegliere un or<strong>di</strong>namento dei pezzi, ben motivato<br />

5 Cfr. Scheda n. 1 <strong>di</strong> M. BARTOLETTI, in Argenti genovesi 1992, pp. 33-35. La croce venne esposta<br />

anche nella, <strong>di</strong> poco successiva (1955), mostra <strong>di</strong> <strong>Savona</strong>. Per ulteriori considerazioni<br />

sull’interessante esemplare, risalente probabilmente alla fine del XVI-inizio del XVII secolo, si<br />

veda più oltre nel presente contributo.<br />

6 Si ricor<strong>di</strong>no almeno le seguenti pubblicazioni e contributi inerenti alle tematiche sviluppate<br />

nella presente ricerca: BOGGERO, SIMONETTI 1992; SIMONETTI 2006, pp. 153-165; BOGGERO,<br />

GIACOMINI 2007, pp. 63-87.<br />

7 Sulle due chiese parrocchiali mancano stu<strong>di</strong> monografici scientifici recenti. Per Rialto,<br />

ampliata tra l’ottavo e il nono decennio del XVIII secolo, il volume Rialto. Storia e cultura 1997,<br />

contiene per lo più riferimenti alla religiosità del centro; all’e<strong>di</strong>ficio ecclesiastico è de<strong>di</strong>cata p.<br />

47. Su Perti, riprogettata dal 1714 al 1728, su <strong>di</strong>segno del ticinese Francesco Bagutti,<br />

appartenente a una <strong>di</strong>nastia largamente attestata nel Ponente ligure, cfr. UGO GAMBETTA 1996,<br />

pp. 129-136. Per Finalmarina, ricostruita a partire dal 1619, si rimanda a BOTTA, CASTELLAZZI<br />

2006. Per alcune considerazioni sull’architettura degli e<strong>di</strong>fici e gli interventi sei-settecenteschi,<br />

cfr. PAZZINI PAGLIERI, PAGLIERI, 1992, rispettivamente, pp. 185, 210 e pp. 64-65, 147.<br />

8 La croce processionale, issata su un’asta o impugnatura sul prolungamento del braccio<br />

verticale, <strong>di</strong> solito presenta, dall’età basso me<strong>di</strong>evale, il Cristo sul fronte, accompagnato dalla<br />

210


nell’introduzione, che seguisse l’or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> uso liturgico dei manufatti,<br />

iniziando, idealmente, con la processione <strong>di</strong>retta verso la chiesa aperta proprio<br />

dall’insegna della croce processionale, simbolicamente derivata dai bastoni<br />

dei pastori e allusiva alla metafora del gregge <strong>di</strong> fedeli, caratterizzata dalla<br />

presenza, sul recto, del Cristo crocifisso, elemento <strong>di</strong> congiunzione dell’umano<br />

e del <strong>di</strong>vino, del cielo e della terra, <strong>di</strong> morte e rinascita nella fede 9 .<br />

Donazioni <strong>di</strong> argenti nella parrocchiale <strong>di</strong> Rialto<br />

Il primo e, ad oggi, più antico esemplare noto nel territorio in<strong>di</strong>viduato, è la<br />

croce processionale della parrocchiale dei Santi Pietro e Paolo (Fig. 1).<br />

L’oggetto presenta entrambi i bracci finemente ornati da un motivo a<br />

grottesche con elementi floreali entro cartelle a goccia e cor<strong>di</strong>formi, vasi e<br />

mascheroni. Tutte e quattro le terminazioni sono analogamente trilobate e<br />

ciascuna <strong>di</strong> esse porta inserito un tondo, al centro del quale sono sbalzate<br />

figure a mezzo busto i cui incarnati sono evidenziati dalla lucentezza<br />

dell’argento, mentre aureole e vesti sono state dorate. Sul recto, all’estremità<br />

superiore del braccio maggiore, è rappresentato San Pietro, frontale, con il<br />

libro aperto e una grossa chiave stretta in mano; gli corrisponde, in quella<br />

inferiore, la Maddalena raffigurata quasi <strong>di</strong> profilo, con i capelli sciolti lungo<br />

la schiena mentre regge il vaso degli unguenti. Nel braccio minore vi sono<br />

San Paolo, con spada rivolta verso l’alto e libro aperto, e San Rocco, con il<br />

pétaso, copricapo da pellegrino, appeso la collo, nell’atto <strong>di</strong> mostrare la piaga<br />

sulla coscia. Sul verso, simmetricamente, Dio Padre, <strong>di</strong> lieve tre quarti, intento<br />

a leggere le Sacre Scritture, San Sebastiano, legato a una immaginaria colonna,<br />

come alluso dalla posizione delle braccia, con il torso nudo trafitto da quattro<br />

frecce, la Vergine che, analogamente a San Giovanni Battista, si rivolge verso<br />

il punto <strong>di</strong> incrocio dei bracci, con le mani giunte in preghiera. In centro, sul<br />

recto, il Cristo crocifisso, con il capo lievemente reclinato verso sinistra, i chio<strong>di</strong><br />

sui palmi delle mani e del dorso dei pie<strong>di</strong>, sovrapposti. Sul verso, in<br />

corrispondenza dell’area <strong>di</strong> intersezione dei bracci, una lamina metallica<br />

dorata con iscrizione.<br />

Vergine e San Giovanni e sul verso la Madonna o figure <strong>di</strong> santi; può anche essere collocata<br />

su un altare, munita <strong>di</strong> opportuna base, cfr. MONTEVECCHI 2005, pp. 92-98 per le origini<br />

dell’impiego della croce nella liturgia.<br />

9 Cfr. BOGGERO 1992, pp. 12-13; CRUSWAR 2006, p. 102.<br />

211


L’attuale assemblaggio dei medaglioni e delle parti <strong>di</strong> lamina componenti<br />

i due bracci della croce appare, evidentemente, incongruente e probabilmente<br />

frutto <strong>di</strong> un intervento relativamente recente 10 , ponendo la Vergine e San<br />

Giovanni sul verso, fatto contrario alla normale posizione dei due personaggi,<br />

che, riprendendo un passo del Vangelo, sono <strong>di</strong> norma posti ai lati del Cristo 11 ,<br />

e Sebastiano, separato da Rocco, vicino alla Maddalena, personaggio con cui<br />

non sono in<strong>di</strong>viduabili connessioni <strong>di</strong> tipo liturgico o devozionale.<br />

L’iscrizione, datata al 1532, reca il nome dei donatori e, forse, committenti:<br />

padre Andrea de Plagia (Piaggia) e Bernardo Cattaneo 12 . Il primo è<br />

identificabile nel parroco <strong>di</strong> Rialto e il suo nome è citato nella visita pastorale<br />

del 1559 13 . I primi documenti che la ricor<strong>di</strong>no risalgono a circa cinquant’anni<br />

dopo la sua de<strong>di</strong>cazione: in occasione della visita pastorale del 1588, il vescovo<br />

Pier Francesco Costa segnalava l’esistenza <strong>di</strong> una croce d’argento definita<br />

come “la più moderna ed unica dello Stato Finalese” 14 . Il valore dell’opera e<br />

la considerazione da essa goduta rimasero tali per secoli tanto da essere<br />

riba<strong>di</strong>ti ancora nel periodo dell’occupazione francese e delle soppressioni<br />

napoleoniche. Il 1º marzo 1795 il Consiglio della Comunità decise <strong>di</strong> portare<br />

alcune argenterie della chiesa, tra cui la croce d’argento, a Genova, nel<br />

convento <strong>di</strong> San Lazzaro, annesso all’ospedale omonimo, poi demolito a metà<br />

Ottocento, per motivi <strong>di</strong> sicurezza, dal momento che a Rialto erano già giunte<br />

le truppe del Bonaparte 15 . L’oggetto è nuovamente menzionato il 12 gennaio<br />

10 Da informazione orale del parroco risulta che la croce sia stata oggetto <strong>di</strong> un cospicuo<br />

intervento negli Anni 50 del Novecento, in occasione del quale fu sostituito il legno all’interno<br />

del fusto e il metallo venne riargentato e ridorato. Anche <strong>di</strong>verse viti utilizzate per<br />

l’assemblaggio delle parti risultano <strong>di</strong> fattura novecentesca.<br />

11 Cfr. ZASTROW 2009, p. 31. Il passo giovanneo (19, 26-27) riporta: “Avendo Gesù veduto sua<br />

madre e lì presente il <strong>di</strong>scepolo suo pre<strong>di</strong>letto, <strong>di</strong>sse a sua madre: ‘Donna, ecco il tuo figlio’.<br />

Poi <strong>di</strong>sse al <strong>di</strong>scepolo: ‘Ecco tua madre’; e da quel punto prese il <strong>di</strong>scepolo con sé”.<br />

12 MDCXXXII/ P. ANDREAS/ DE PLAGIA/ BERNARDVS/ CATANEVS.<br />

13 ADSV, Mazzo 4 E 1 580, Visite Pastorali, visita <strong>di</strong> Nicolò Fieschi. Il nome, chiaramente<br />

in<strong>di</strong>viduabile, è riportato su una carta frammentaria.<br />

14 ADSV, Mazzo 4 E 1 577, Visite Pastorali; la visita ebbe luogo il 5 settembre. Il testo riporta<br />

“crux argentea: non cetere sunt in statu Finariensi”. Pochi anni prima, in occasione della visita<br />

del presule Ferrero (12 maggio 1578), tuttavia, si notava che le suppellettili in materiali preziosi<br />

<strong>di</strong> dotazione della parrocchiale fossero in numero esiguo e mancasse il luogo opportuno per<br />

custo<strong>di</strong>rle. Pertanto, nelle or<strong>di</strong>nazioni si stabiliva <strong>di</strong> procurare nuovi arre<strong>di</strong> sacri, in particolare<br />

calici, e <strong>di</strong> e<strong>di</strong>ficare la sacrestia (ADSV, Arma<strong>di</strong>o 2 223). Nella visita apostolica <strong>di</strong> monsignor<br />

Nicolò Mascar<strong>di</strong>, vescovo <strong>di</strong> Mariana, del 1585, si ricordava già, seppure in termini generici,<br />

la presenza <strong>di</strong> una croce d’argento (fol. 143r.).<br />

15 ADSV, Rialto, Parrocchia dei Santi Pietro e Paolo, faldone IV, Libro della magnifica comunità <strong>di</strong><br />

Rialto, 1692-1815.<br />

212


1797 nell’inventario che il parroco Francesco Bianchi inviò al vescovo <strong>di</strong><br />

<strong>Savona</strong>, Domenico Maria Gentile, per segnalare i beni preziosi che erano stati<br />

trasferiti nel capoluogo ligure 16 .<br />

Non è stata ancora reperita documentazione circa la possibile provenienza<br />

dell’opera, priva <strong>di</strong> punzoni, dal momento che i registri della contabilità della<br />

compagnia del SS. Sacramento, <strong>di</strong> norma preposta alla cura dell’altare<br />

maggiore e della sacrestia, e, pertanto, degli arre<strong>di</strong> preziosi ad essa connessi, si<br />

sono conservati solamente a partire dalla fine degli Anni 70 del Seicento 17 .<br />

L’unico punzone presente nel nodo piriforme, ornato da fascia superiore a<br />

grosse baccellature e foglie lanceolate stilizzate nella porzione inferiore, è il<br />

marchio 800, in uso dopo l’unità d’Italia 18 , dato che conferma l’evidente<br />

sostituzione e si riconnette ad un restauro, forse quello risalente alla metà del<br />

Novecento, <strong>di</strong> gusto neobarocco 19 . Non si è trattato del primo caso <strong>di</strong><br />

consistente mo<strong>di</strong>fica del manufatto. Dalla contabilità superstite, al <strong>di</strong> là <strong>di</strong><br />

semplici attività manutentive, come quelle documentate nel 1688 per<br />

riverniciare il bastone su cui era montata la croce, oppure nel 1689 per<br />

riargentare il pomo della stessa, nel 1714 venne operato un intervento<br />

decisamente più consistente: “per aver fatto ristorare la croce d’argento, mutata<br />

anche la croce <strong>di</strong> legno che resta dentro, cambiata ancora una lama d’argento<br />

che circonda detta croce, mutate tutte le brocche d’argento per L. 21.4” 20 .<br />

Il manufatto dovette comunque essere commissionato specificamente per<br />

la parrocchiale, considerata la presenza dei santi titolari, Pietro e Paolo (Fig. 2).<br />

Potrebbe essere in<strong>di</strong>cativa, non tanto per l’in<strong>di</strong>viduazione del luogo <strong>di</strong><br />

provenienza, non necessariamente <strong>di</strong> area genovese o comunque ligure, dal<br />

momento che la stessa attività delle miniere rialtesi è documentata<br />

16 ADSV, Rialto, Parrocchia dei Santi Pietro e Paolo, faldone IV.<br />

17 Anche la documentazione relativa alle altre compagnie presenti nell’e<strong>di</strong>ficio <strong>di</strong> culto si<br />

conserva dal medesimo periodo. Si noti, per altro, che in una nota presente nel primo volume<br />

<strong>di</strong> conti reperito, risalente al 1679, si <strong>di</strong>chiarava che non fossero più reperibili i registri <strong>di</strong> spesa<br />

dell’e<strong>di</strong>ficio <strong>di</strong> culto precedenti.<br />

18 Cfr. BARGONI 1976, pp. 18-19. La marchiatura entrò in vigore nel 1872.<br />

19 Cfr. nota 10.<br />

20 Cfr. ADSV, Rialto, Parrocchia dei Santi Pietro e Paolo, mazzo 14, Conti della chiesa, Il primo<br />

Libro della Chiesa Par.ole <strong>di</strong> S. Pietro <strong>di</strong> Rialto, fol. 88, al 25 agosto 1688, “al sig.r Sebast.ano Pittore<br />

p. far riaffrescare il bastone della croce L. 3”; 15 gennaio 1689, “Più p. far inargentare il pomo<br />

della Croce d’argento della chiesa L 3.10”. Per la contabilità del 1714, Libro della Chiesa o sia<br />

spettante a procuratori della Chiesa Parochiale <strong>di</strong> S. Pietro <strong>di</strong> Rialto nel quale sono descritte tutte le terre,<br />

censi, livelli perpetui, legati, et altri cre<strong>di</strong>ti a d.a Chiesa spettanti, estratto dal Libro vechio <strong>di</strong> d.a Chiesa,<br />

che è appresso del Sig.r Arciprete Carero, senza numero <strong>di</strong> carta.<br />

213


principalmente in tempi successivi, quanto per la motivazione della sua<br />

esecuzione, la presenza dei santi Sebastiano e Rocco, normalmente associati<br />

alla protezione contro le pestilenze. Il tema è alluso chiaramente, non solo dalla<br />

sottolineatura del gesto del santo <strong>di</strong> Montpellier, ma anche dalla<br />

drammatizzazione <strong>di</strong> Sebastiano, raffigurato a torso nudo, evidenziandone le<br />

costole e il capo calvo. Nonostante dalla bibliografia non emerga alcuna<br />

in<strong>di</strong>cazione specifica per eventi simili alla data in esame, tuttavia la loro<br />

associazione su una croce processionale dovette avere una precisa motivazione,<br />

non potendo considerarsi specifica per questa tipologia <strong>di</strong> arre<strong>di</strong> sacri.<br />

Il Cristo, <strong>di</strong>mensionalmente sproporzionato rispetto alla croce, è modellato<br />

a tutto tondo. La caratteristica barbetta a doppia punta e i lunghi capelli<br />

apprezzati in età basso me<strong>di</strong>evale, la corona <strong>di</strong> spine sostituita da una sorta<br />

<strong>di</strong> cordoncino intorno al capo, lievemente reclinato verso la spalla sinistra a<br />

preannunciare la morte, la sproporzione del busto, piuttosto tozzo, rispetto<br />

alle gambe lievemente incurvate, con le costole e i pettorali marcati e il vistoso<br />

sviluppo del perizoma 21 , indurrebbero a pensare che almeno un artista<br />

d’oltralpe o comunque assai attento alla circolazione <strong>di</strong> tali modelli culturali,<br />

<strong>di</strong>ffusi, da secoli, in tutto il territorio ligure, abbia operato sul manufatto. Assai<br />

interessante è il confronto con una croce astile della <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> Como, datata<br />

genericamente al XV secolo, ove la figura <strong>di</strong> Gesù, seppure un poco più<br />

raffinata, mostra una analoga sproporzione del corpo e identica soluzione per<br />

barba e corona <strong>di</strong> spine 22 , ma interessanti sono anche i riman<strong>di</strong> agli smalti con<br />

gli Evangelisti, in particolare per la figura <strong>di</strong> Dio Padre, che decorano il verso<br />

della celebre croce del Museo cattedrale <strong>di</strong> Santa Maria Assunta <strong>di</strong> <strong>Savona</strong>,<br />

datata all’inizio del XVI secolo e riferita a maestranze <strong>di</strong> cultura milanese,<br />

sospesa tra la persistenza <strong>di</strong> forme gotiche e aggiornamenti rinascimentali<br />

connessi alle relazioni tra Milano, Pavia, Genova e <strong>Savona</strong> 23 . Non pare<br />

21 Le caratteristiche della rappresentazione del Cristo rispondono a un tra<strong>di</strong>zionale modello<br />

documentato a partire dal XIII secolo, cfr. ZASTROW 2009, pp. 31, 160.<br />

22 Cfr. ZASTROW 1984, p. 28, n. 7. L’esemplare, tra i più raffinati censiti nella para<strong>di</strong>gmatica<br />

pubblicazione dello stu<strong>di</strong>oso, presenta una tra<strong>di</strong>zionale iconografia con la Vergine e San<br />

Giovanni che affiancano la crocifissione, sormontata dal mistico pellicano, una santa non<br />

identificata e la Maddalena alle estremità del braccio maggiore del recto, i simboli degli<br />

Evangelisti ai capicroce del verso; in corrispondenza dell’innesto dei bracci in questo caso è<br />

sbalzato un Cristo in maestà. Per ulteriori confronti con tipologie simili, si vedano due<br />

esemplari <strong>di</strong> datazione vicina in collezione privata, cfr. ZASTROW 2009, pp. 147-151, 160-164.<br />

23 Cfr. COLLARETA 1999, pp. 235-246, l’opera, sulla base <strong>di</strong> un perduto stemma ricordato dalla<br />

letteratura ottocentesca, era riferita tra<strong>di</strong>zionalmente alla committenza del car<strong>di</strong>nale Raffaele<br />

Riario, vescovo <strong>di</strong> <strong>Savona</strong> dal 1510 al 1516.<br />

214


neppure da escludere, pertanto, che possa trattarsi in alternativa <strong>di</strong> un artista<br />

lombardo, considerando la precoce circolazione <strong>di</strong> personalità provenienti<br />

dallo Stato <strong>di</strong> Milano, si pensi solo alle generazioni <strong>di</strong> artisti dell’area dei laghi<br />

lombardo-ticinesi impegnati come muratori, capi mastri, scalpellini, scultori<br />

e stuccatori nell’area della Liguria <strong>di</strong> Ponente, <strong>di</strong> cui lo stesso territorio del<br />

Finale vanta presenze significative 24 .<br />

Rimanda a un artista piuttosto arcaizzante – non è possibile, in questa fase<br />

della ricerca, valutare se consapevolmente o meno 25 – la fissità <strong>di</strong> alcune delle<br />

figure rappresentate nei medaglioni, la cui lavorazione, in contrasto con la<br />

raffinatezza del fondo, appare piuttosto semplificata e quasi rozza, in<br />

particolare per il San Pietro, che richiama da vicino, ad esempio, le immagini<br />

della croce processionale della parrocchiale <strong>di</strong> <strong>Noli</strong>, <strong>di</strong> commissione civica,<br />

elemento da non trascurarsi anche per il caso in esame, risalente al 1417 26 . Il<br />

riferimento a modelli della seconda metà del Quattrocento, in particolare<br />

pittorici, si può leggere nelle figure del Dio Padre, <strong>di</strong> San Giovanni Battista e<br />

della Maddalena, il cui abito con scollo quadrato e punto vita leggermente<br />

rialzato, riecheggia, seppure in modo semplificato, fogge <strong>di</strong>ffuse presso le corti<br />

italiane nei primi decenni del XVI secolo 27 . Per quanto riguarda la soluzione<br />

del Dio Padre intento a leggere, si possono in<strong>di</strong>viduare confronti con le due<br />

tavole <strong>di</strong> Carlo Braccesco rappresentanti i Santi Pietro e Paolo in collezione<br />

privata 28 , mentre per il giovane apostolo imberbe con il San Giovanni <strong>di</strong>pinto<br />

24 Rimando per la bibliografia in merito al saggio <strong>di</strong> Santino Mammola nel presente volume,<br />

con riferimento agli altari della collegiata <strong>di</strong> Finalmarina.<br />

25 Si veda, a titolo <strong>di</strong> confronto, la segnalazione <strong>di</strong> arcaismi, con ripresa <strong>di</strong> motivi tardogotici,<br />

nella croce processionale della chiesa <strong>di</strong> San Giovanni Battista <strong>di</strong> Loano, databile tra il 1593 e<br />

il 1627, la cui figura del Dio Padre mostra interessanti riman<strong>di</strong> a quella in esame, cfr. BOGGERO<br />

1990, pp. 28-29.<br />

26 Cfr. scheda <strong>di</strong> M. TASSINARI, n. 4, in L’antica <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> <strong>Noli</strong> 1986, p. 20. La croce astile della<br />

chiesa <strong>di</strong> San Pietro è datata da un’iscrizione in caratteri gotici presente sul verso, similmente<br />

a quella in esame, e presenta la caratteristica raffigurazione del Cristo crocifisso con San<br />

Giovanni, la Vergine, la Maddalena e Dio Padre bene<strong>di</strong>cente sul recto, mentre sul verso,<br />

l’agnello, simbolo del sacrificio <strong>di</strong> Cristo, posto nel punto <strong>di</strong> innesto dei bracci, è circondato<br />

dai simboli dei quattro evangelisti ai capicroce.<br />

27 Il rimando è a una tipologia caratteristica <strong>di</strong> scollo quadrato della veste, sotto alla quale<br />

fuoriusciva solo parzialmente la camicia, cfr. BUTAZZI 2009, pp. 25-26. Tale soluzione è ben<br />

illustrata in un ritratto <strong>di</strong> dama non identificata, riferito a Rodolfo del Ghirlandajo, risalente<br />

al primo decennio del XVI secolo (forse 1509) conservato agli Uffizi a Firenze, cfr. Trois siècles<br />

1980, p. 25, Fig. 3.<br />

28 I due <strong>di</strong>pinti in collezione privata milanese, parti laterali <strong>di</strong> un polittico, presentano forti<br />

assonanze per le tipologie dei volti, specialmente nel San Paolo, con il viso <strong>di</strong> tre quarti e lo<br />

sguardo rivolto verso il basso, cfr. DE FLORIANI 1991, p. 385, figg. 338-339.<br />

215


da Giovanni Mazone, artista pre<strong>di</strong>letto dai Della Rovere e in contatto con la<br />

corte sforzesca, nella pala con il Crocifisso tra la Vergine, San Giovanni evangelista,<br />

San Lorenzo, una santa e monaco donatore della Galleria <strong>di</strong> Palazzo Bianco <strong>di</strong><br />

Genova 29 .<br />

L’aggiornamento in <strong>di</strong>rezione rinascimentale si nota meglio nel fondo<br />

finemente cesellato con elementi floreali, <strong>di</strong> chiara matrice classicista, che<br />

richiama i moduli <strong>di</strong> un tessuto operato, secondo un repertorio <strong>di</strong> motivi a<br />

grottesca largamente <strong>di</strong>ffusi a mezzo stampe anche oltralpe come <strong>di</strong>mostrano<br />

i, seppur più tar<strong>di</strong>, modelli <strong>di</strong> ornato del fiammingo Dierick de Bry o il fine<br />

decoro <strong>di</strong> un pendente a croce <strong>di</strong> Hieronymus Jacob 30 . La presenza<br />

dell’elemento vegetale, sebbene stilizzato e ridotto a motivo ornamentale,<br />

dovrebbe essere ricondotto a una rinnovata rilettura del tema me<strong>di</strong>evale della<br />

croce come Lignum vitae, albero del supplizio <strong>di</strong> Cristo, vivificato dal suo<br />

sacrificio che emette racemi e virgulti, fiori e frutti, evidente riferimento al<br />

tema della redenzione e della salvezza dell’umanità 31 .<br />

Certamente preservato come opera preziosa, analogamente alla croce,<br />

all’interno del patrimonio <strong>di</strong> oreficerie liturgiche della parrocchiale dei Santi<br />

Pietro e Paolo è anche un turibolo (Fig. 3) inviato dai citta<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> Rialto<br />

residenti in Ca<strong>di</strong>ce, Andalusia, nel 1716 32 . La donazione costituisce importante<br />

testimonianza <strong>di</strong> un fenomeno <strong>di</strong> vasto respiro che vide l’intreccio <strong>di</strong> posizioni<br />

politiche, rotte commerciali e interessi finanziari <strong>di</strong> raggio europeo.<br />

Non solo il marchesato del Finale, in quanto dal 1598 sotto il <strong>di</strong>retto<br />

controllo spagnolo, a seguito della cessione operata da Andrea Sforza Del<br />

Carretto, e per sua natura politica <strong>di</strong> feudo imperiale <strong>di</strong>rettamente connesso<br />

alla vasta compagine asburgica 33 , ma tutto il territorio della Repubblica<br />

29 La tavola, porzione centrale <strong>di</strong> un polittico, con forti ascendenze nor<strong>di</strong>che, mostra<br />

interessanti tangenze anche per il busto della Vergine e la tipologia del Cristo, con il costato in<br />

evidenza, cfr. DE FLORIANI 1991, p. 299, Fig. 266.<br />

30 Cfr. scheda non firmata n. 21 in Zilver uit de gouden 1988, pp. 40, 41, 97; i <strong>di</strong>segni, conservati<br />

ad Amsterdam, Rijskmuseum, Rijksprentenkabinet, sono datati al 1580 circa. Il pendente,<br />

appartenuto al religioso Matheus sVolders van Averbode è datato al 1562 e si conserva a<br />

Berlino, Staatliche Museen.<br />

31 Cfr. CRUSWAR 2006, pp. 95-101. Il tema, fortemente sostenuto dalla spiritualità francescana,<br />

non esente da suggestioni <strong>di</strong> antichi culti e immagini metamorfiche della fertilità, si<br />

riconnetteva agli alberi edenici della Genesi, l’Albero della conoscenza del Bene e del Male e<br />

l’Albero della vita citati nell’Antico Testamento, e si prestava particolarmente, nella sua<br />

rappresentazione attraverso motivi vegetali, all’impiego in virtuosistiche opere <strong>di</strong> oreficeria.<br />

32 L’oggetto è ine<strong>di</strong>to.<br />

33 Sulla realtà <strong>di</strong> Finale in rapporto agli equilibri internazionali, cfr. CREMONINI 2009, pp. 69-76.<br />

216


genovese fu per secoli interessato da fitti, sebbene piuttosto complessi,<br />

rapporti con il mondo iberico. Una storiografia ormai ampiamente<br />

consolidata ha documentato la circolazione <strong>di</strong> artisti e opere in età moderna:<br />

dai soggiorni <strong>di</strong> Luca Cambiaso presso la corte <strong>di</strong> Filippo II e l’attività per la<br />

chiesa <strong>di</strong> San Lorenzo dell’Escorial 34 , alle perio<strong>di</strong>che presenze <strong>di</strong> artisti, per<br />

lo più impren<strong>di</strong>tori e marmorari, originari dell’area delle valli dei laghi<br />

lombardo ticinesi, ma da lungo tempo stabilitisi in Genova, attivi per la<br />

costruzione e decorazione <strong>di</strong> chiese e residenze private, da Madrid a Ca<strong>di</strong>ce<br />

stessa 35 . Anche per quanto attiene, più specificatamente, agli arre<strong>di</strong> sacri e<br />

alla loro produzione, esistono testimonianze significative. Se la stessa forte<br />

presenza <strong>di</strong> argentieri d’oltralpe e, soprattutto fiamminghi, in Genova, si<br />

deve leggere alla luce dei rapporti <strong>di</strong> natura economico-politica con i due<br />

rami della <strong>di</strong>nastia asburgica, l’importazione <strong>di</strong> manufatti <strong>di</strong> provenienza<br />

iberica si può documentare ben oltre la fine dell’Ancien Régime. Si veda l’invio<br />

nel 1820, da parte della “nazione” loanese a Ca<strong>di</strong>ce, <strong>di</strong> una statua <strong>di</strong> San<br />

Giuseppe destinata alla cappella omonima nella parrocchiale <strong>di</strong> San Giovanni<br />

Battista 36 .<br />

Per quanto riguarda la donazione <strong>di</strong> Rialto, il prezioso manufatto, parte <strong>di</strong><br />

un servizio per incensazione completo anche <strong>di</strong> navicella e cucchiaino, come<br />

attestano i documenti, giunse alla parrocchiale il 15 aprile 1716 per<br />

interessamento <strong>di</strong> Bernardo Bellenda fu Giovanni e <strong>di</strong> Giovanni Vigliero fu<br />

Pietro 37 , personaggi <strong>di</strong> cui non è ancora stato possibile ricostruire la vicenda<br />

biografica; vale la pena <strong>di</strong> ricordare, tuttavia, che il primo è assai probabile<br />

34 Sulla presenza del pittore alla corte <strong>di</strong> Madrid, e il suo ruolo nel convento e chiesa <strong>di</strong> San<br />

Lorenzo dell’Escorial, ove morì nel 1585, cfr. MAGNANI 2002, pp. 108-125.<br />

35 Si pensi solamente alla commissione, stipulata il 21 marzo 1675 ed evasa in poco più <strong>di</strong> un<br />

anno, affidata a Bernardo Falconi, in società con Onorato Pelé, Francesco Solari, Francesco<br />

Molciano e Giuseppe Serlio, <strong>di</strong> ottanta statue in marmo mischio per il Palazzo Reale (Alcázar)<br />

<strong>di</strong> Madrid, grazie alla me<strong>di</strong>azione <strong>di</strong> Antonio José de Mendoza, marchese <strong>di</strong> Villagarcia,<br />

ambasciatore <strong>di</strong> Sua Maestà Cattolica a Venezia, allora residente a Genova, cfr. FRANCHINI<br />

GUELFI 2002, pp. 242-243. Per questi temi si veda anche MARÍAS 2002, pp. 56-71.<br />

36<br />

BOGGERO 1990, p. 37. La cappella, già de<strong>di</strong>cata a San Paolo, fu completamente riallestita e<br />

conclusa nel 1823.<br />

37 ADSV, Rialto, Parrocchia dei Santi Pietro e Paolo, mazzo 18, Legati, ecc., 1709, 8 7bris,<br />

Inventario de beni, stabili mobili, ed immobili della Chiesa parrocchiale <strong>di</strong> S. Pietro, e del concernente al<br />

Parrocho futuro, Aggiornamento del 9 maggio 1719 dell’arciprete Giovanni Cirio dal titolo<br />

Mobili, è supellettili accresciuti nella mia Chiesa doppo che sono al Governo della medema: “Un turribile<br />

con sua navetta, è cuchiaro <strong>di</strong> argento, che hanno portato li Nostri Paesani <strong>di</strong> Spagna <strong>di</strong> valuta<br />

secondo <strong>di</strong>cono <strong>di</strong> doppie venti, è mi è stato Consignato da Bernardo Bellenda q. Gio: L’anno<br />

1716 li 15 <strong>di</strong> Aprile”.<br />

217


fosse <strong>di</strong>rettamente imparentato con Pietro Gio Bellenda, sacerdote beneficiario<br />

<strong>di</strong> una cappellania poggiante sulla parrocchiale dei Santi Pietro e Paolo 38 .<br />

Il turibolo, caratterizzato da un ornato tipicamente barocco, a traforo con<br />

motivi vegetali stilizzati che circondano cartelle ovali, replicato sia sul corpo<br />

che sul coperchio dell’oggetto, pur in assenza <strong>di</strong> punzoni, mostra interessanti<br />

riman<strong>di</strong> con la produzione <strong>di</strong> alcuni argentieri iberici, anche per le assonanze<br />

tipologiche del tra<strong>di</strong>zionale corpo cilindrico con estremità bombate. Si vedano<br />

alcuni esemplari conservati nella <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> Segovia, documentati agli<br />

argentieri Antonio Salbán I e II e Ildefonso de Oñate, risalenti al terzo quarto<br />

del Seicento 39 .<br />

Argentieri genovesi e savonesi per la collegiata <strong>di</strong> Finalmarina<br />

Una svolta in <strong>di</strong>rezione decisamente manierista si rintraccia nella croce<br />

processionale, utilizzata per le cerimonie solenni, della parrocchiale <strong>di</strong> San<br />

Giovanni Battista, lavoro <strong>di</strong> notevole qualità tecnica (Fig. 4). La superficie<br />

metallica presenta vari punzoni la cui lettura, intrecciata alla documentazione,<br />

fornisce un quadro piuttosto complesso. L’oggetto, oltre alla torretta, sicura<br />

in<strong>di</strong>cazione <strong>di</strong> provenienza del manufatto da Genova 40 , mostra le iniziali <strong>di</strong><br />

ben due argentieri, in due <strong>di</strong>fferenti porzioni dell’oggetto: DB[...], incomplete,<br />

in corrispondenza dei raggi, e NE all’imboccatura del fusto, queste ultime<br />

affiancate dal punzone datario con le cifre 96. Tale data, considerata l’unitarietà<br />

dell’oggetto, pur in presenza <strong>di</strong> in<strong>di</strong>cazioni abbastanza dettagliate <strong>di</strong> interventi<br />

<strong>di</strong> “restauro” nella contabilità parrocchiale, indurrebbe a pensare che sia da<br />

leggersi, piuttosto che come 1696 o 1796, connesse ad un possibile, parziale,<br />

intervento <strong>di</strong> rifacimento, come un 1596. La datazione è del tutto congruente<br />

con la tipologia dell’oggetto, benché la sua prima attestazione rinvenuta nella<br />

38 Ivi, Relazione del 1719, senza titolo, in cui l’arciprete ricorda la presenza <strong>di</strong> due sacerdoti:<br />

Pietro Gio. Bellenda e Pietro Casanova che godevano <strong>di</strong> un beneficio.<br />

39 Cfr. ARNÁEZ 1983, vol. II, figg. 81 e 113, pp. 181, 224. I Salbán erano una famiglia <strong>di</strong> argentieri<br />

<strong>di</strong> Segovia che fu attiva tra Sei e Settecento; l’esemplare citato per confronto si trova a<br />

Hontalbilla ed è genericamente datato alla seconda metà del XVII secolo, oscillando <strong>di</strong><br />

paternità tra i due esponenti della famiglia che portano il medesimo nome, a causa<br />

dell’analogo punzone. Ildefonso de Oñate è già documentato nel 1634; il turibolo citato per<br />

confronto si trova a Santibáñez de Ayllón ed è datato al 1643.<br />

40 Si ricorda che il punzone “una porta civica composta da due archi con una colonna me<strong>di</strong>ana,<br />

sormontata da una trabeazione dalla quale emergono tre torricelle” compare regolarmente<br />

nei pezzi <strong>di</strong> argenteria realizzati in territorio genovese dall’inizio del XV secolo al 1824 quando<br />

subentrò la marchiatura in vigore nello stato sabaudo.<br />

218


contabilità parrocchiale risalga al 1620-21: tra il 12 settembre 1620 e il 25 gennaio<br />

1621 vennero rimborsate 175.6 lire all’arciprete Pietro Malvasia che le aveva<br />

anticipate “a conto della crosse <strong>di</strong> arg.to che ha comprato p. la chiessa” 41 . Lo<br />

stesso 25 gennaio questi riceveva altre L. 201.14 per la medesima spesa.<br />

L’importo complessivo, evidentemente cospicuo per le casse della parrocchiale,<br />

fu completamente rimesso all’arciprete solamente il 21 marzo 1629 quando<br />

Malvasia <strong>di</strong>chiarava <strong>di</strong> aver ricevuto L. 315 “da m.r Francesco Verrina, Agostino<br />

Finale e Andrea Scareta massari della parrocchiale a conto del suo cre<strong>di</strong>to”, con<br />

saldo <strong>di</strong> L. 51 in moneta corrente <strong>di</strong> Finale il 2 aprile seguente 42 . In una<br />

successiva in<strong>di</strong>cazione che riepilogava il totale ammontare dell’importo<br />

anticipato, lire 458.8, si specificava che il prezioso arredo sacro era stato fatto<br />

“venire sino l’anno passato [1620] da genoa” e che la cifra era stata sborsata “p.<br />

conto del Sig.r Casalle”.<br />

La forte spesa, a cui erano seguiti altri acquisti <strong>di</strong> suppellettili sacre, tra cui<br />

tessuti preziosi per un paramento fatto venire da Milano 43 , stupisce considerando<br />

il fatto che si tratta, pressapoco, dei medesimi anni in cui la fabbriceria della<br />

chiesa era impegnata nella ricostruzione dell’e<strong>di</strong>ficio <strong>di</strong> culto, come attestano i<br />

riferimenti a pagamenti per la “chiesa nuova” nel 1619 e nel 1626 44 .<br />

Se è pur vero che l’in<strong>di</strong>cazione potrebbe alludere ad un acquisto <strong>di</strong><br />

un’opera già presente sul mercato, almeno in parte precedentemente eseguita,<br />

fatto che spiegherebbe il punzone datario, oppure all’utilizzo <strong>di</strong> alcune parti<br />

<strong>di</strong> reimpiego, alcune caratteristiche iconografiche riconnettono <strong>di</strong>rettamente<br />

l’esemplare in esame alla titolazione della parrocchiale <strong>di</strong> Finalmarina. Prima<br />

<strong>di</strong> tutto la presenza, sul recto dell’oggetto, <strong>di</strong> San Giovanni Battista, posto<br />

inferiormente, riconoscibile dai tra<strong>di</strong>zionali attributi del bastone cruciforme<br />

e dell’agnello, associato alle consuete rappresentazioni della Vergine e <strong>di</strong><br />

Giovanni Evangelista in preghiera, e <strong>di</strong> Dio Padre bene<strong>di</strong>cente con il globo<br />

crociato, dalla caratteristica fisionomia con volto allungato e barbato (Figg. 5-<br />

6). In secondo luogo, e assai importante, la presenza sul verso, al centro, in<br />

41 ADSV, Finale Ligure, Parrocchiale San Giovanni Battista, Libro dei Conti dal 1606 sino<br />

all’anno 1645, Libro dove si scrive li denari che entrano in mano delli massari della Chiesa <strong>di</strong> S.to Gio:<br />

Batta Pieve <strong>di</strong> Finale et <strong>di</strong> quelli che si vanno destribuendo in beneficio <strong>di</strong> d:a Chiesa Pievana cioe In la<br />

Marina <strong>di</strong> Finale del 1606 @ 16 Gen.ro, fol. 41 bis.<br />

42 Ivi, foll. 42 e 42 bis.<br />

43 Per l’analisi del patrimonio tessile si rimanda al saggio <strong>di</strong> Gian Luca Bovenzi nel presente<br />

volume.<br />

44 Ivi, fol. 33 e fol. 42 bis, con riferimento all’atto rogato dal notaio Nicolao Meridano<br />

nuovamente stipulato dal parroco Malvasia.<br />

219


corrispondenza del Cristo, della figura, modellata a tutto tondo,<br />

dell’Immacolata, la cui devozione nella collegiata è attestata dalla de<strong>di</strong>cazione<br />

<strong>di</strong> una cappella nel transetto sinistro, tra le più ricche per arre<strong>di</strong>, che oggi<br />

rispecchiano l’assetto tardo barocco-rococò 45 . Venerata dai finalesi quale<br />

patrona della città dopo la pestilenza che sconvolse la Liguria nel 1657, il suo<br />

culto è già attestato da una bolla del 1621 <strong>di</strong> papa Gregorio XV che concedeva<br />

l’indulgenza plenaria a chi avesse visitato l’altare della Vergine nel giorno<br />

dell’Immacolata. La cappella era <strong>di</strong> patronato della omonima compagnia,<br />

costituita all’inizio del XVII secolo, che vantava tra i suoi affiliati personaggi<br />

influenti, quali i membri della famiglia Solesio. L’iconografia della Vergine sul<br />

verso della croce riprende quella della donna dell’Apocalisse, circondata da<br />

una mandorla raggiata, <strong>di</strong>ffusasi, per raffigurare il tema dell’Immacolata<br />

Concezione, a partire dal XVI secolo 46 . La Madonna è circondata non da figure<br />

<strong>di</strong> santi generici, né connessi a culti locali, ma dalle rappresentazioni dei quattro<br />

Padri della Chiesa Latina, imme<strong>di</strong>atamente riconoscibili dai loro attributi.<br />

Partendo dall’alto, in senso orario: San Gregorio, con triregno, croce papale e<br />

volume aperto; Sant’Agostino, in abiti vescovili con piviale ricamato a stilizzato<br />

motivo floreale, mitria e pastorale, con un angelo che si affaccia alle sue spalle;<br />

San Gerolamo, <strong>di</strong> tre quarti, nell’atto <strong>di</strong> contemplare la croce, pur in abiti<br />

car<strong>di</strong>nalizi, con il libro chiuso sotto il braccio e il leone al fianco; sant’Ambrogio,<br />

analogamente e simmetricamente ad Agostino, abbigliato con vesti da presule<br />

e con lo staffile che lo contrad<strong>di</strong>stingue. La scelta <strong>di</strong> associare i Dottori della<br />

Chiesa ad una immagine dell’Immacolata, culto ancora oggetto <strong>di</strong> forte<br />

<strong>di</strong>battito, poteva non essere casuale, ma motivata dalla necessità <strong>di</strong> giustificarne<br />

la devozione facendo ricorso alle più importanti autorità riconosciute dalla<br />

chiesa cristiana cattolica. Non si trattava <strong>di</strong> una scelta isolata, si pensi<br />

solamente, per citare un caso poco <strong>di</strong>stante cronologicamente e in un territorio,<br />

analogamente sottoposto al controllo politico della corona spagnola, forte<br />

sostenitrice <strong>di</strong> questo specifico culto mariano 47 , ovvero lo Stato <strong>di</strong> Milano, alla<br />

rappresentazione scultorea, intorno alla statua della Vergine, <strong>di</strong> Ambrogio,<br />

Agostino, Anselmo, Tommaso d’Aquino, Gerolamo, Bonaventura da<br />

45 BOTTA, CASTELLAZZI 2006, pp. 18-19. La statua dell’Immacolata, collocata al centro dell’altare<br />

in marmi policromi, risalirebbe al 1681, mentre gli affreschi della volta si devono al pittore<br />

genovese Giovanni Battista Merano (1632-1698).<br />

46 Cfr. A. ZUCCARI 2005, pp. 66-68.<br />

47 Sulla particolare declinazione iberica dell’Immacolata, attestata con grande tenacità soprattutto<br />

a Siviglia, della Purísima, raffigurata con veste bianca e manto azzurro, ripetutamente illustrata<br />

nella pittura <strong>di</strong> Bartolomé Esteban Murillo, cfr. PROSPERI 2006, pp. 481-510.<br />

220


Bagnoregio, Bernardo <strong>di</strong> Chiaravalle e San Vincenzo Ferrer, tutti religiosi che,<br />

in varie epoche, avevano <strong>di</strong>battuto del dogma dell’Immacolata Concezione, in<br />

una delle prime cappelle erette nel Sacro Monte <strong>di</strong> Varese 48 . La presenza, in<br />

posizione analoga e con le medesime figure <strong>di</strong> santi, garanti dell’ortodossia del<br />

suo culto, come noto assai <strong>di</strong>scusso nei secoli in esame e riconosciuto solamente<br />

nel 1858 con bolla <strong>di</strong> papa Pio IX, nell’ultimo esemplare in esame, proveniente<br />

dalla parrocchiale <strong>di</strong> Perti, attestando la <strong>di</strong>ffusione della devozione sul<br />

territorio, conferma l’ipotesi <strong>di</strong> una influenza asburgica nel sostegno a tale<br />

devozione nei territori <strong>di</strong> <strong>di</strong>retta o in<strong>di</strong>retta pertinenza spagnola e imperiale,<br />

senza <strong>di</strong>menticare la tra<strong>di</strong>zione del culto nella <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> <strong>Savona</strong>, connessa alla<br />

presenza francescana e ai Della Rovere nella sede vescovile 49 .<br />

Sfortunatamente, i due punzoni non hanno trovato per ora una sicura<br />

riconoscibilità nell’ambito degli elenchi pubblicati degli argentieri attivi, tra<br />

l’ultimo decennio del Cinquecento e i primi del secolo successivo, certamente<br />

periodo <strong>di</strong> produzione dell’oggetto.<br />

Numerosi furono gli interventi <strong>di</strong> “restauro” operati sul manufatto già<br />

poco tempo dopo la sua acquisizione. Nel 1639 fu acquistata una custo<strong>di</strong>a per<br />

riporre il sacro arredo 50 , quin<strong>di</strong> nel 1646 si pagavano lire 6.7.8 al “Sig.r<br />

Giuseppe Gosolano p. haver fatto un pomo con 1 o 5 foglie alla croce<br />

d’argento e per aver lustrato tutta la croce”. Gosolano, <strong>di</strong> cui non è specificato<br />

il luogo <strong>di</strong> origine e <strong>di</strong> attività, forse in Finale, era intervenuto sugli arre<strong>di</strong> sacri<br />

della collegiata già l’anno precedente, quando nella contabilità parrocchiale<br />

veniva registrato il suo nome “per servar 8 candelieri <strong>di</strong> lotone, è tre lampade”<br />

e per la sostituzione del cucchiaino d’argento della navicella, perduto in<br />

occasione <strong>di</strong> un “teribile” evento 51 . Lo stesso riceveva lire 10 per un aspersorio<br />

48<br />

FACCHIN 2008, pp. 473-474. I lavori <strong>di</strong> costruzione della cappella, <strong>di</strong>retti da Giuseppe<br />

Bernascone, ebbero luogo tra il 1607 e il 1612. Dibattuta è la cronologia dell’intervento<br />

scultoreo, variamente riferito alla <strong>di</strong>tta dei Silva e a quella <strong>di</strong> Marco Antonio Prestinari, datato<br />

anteriormente a quello pittorico che lo completa, firmato da Giovanni Battista e Giovanni<br />

Francesco Lampugnani (1624).<br />

49 Sulla <strong>di</strong>ffusione <strong>di</strong> iconografie immacoliste in età moderna nel Ponente ligure, cfr. LEONARDI-<br />

PRIARONE 2007, pp. 363-378.<br />

50 ADSV, Finale Ligure, Parrocchiale San Giovanni Battista, Libro dei Conti dal 1606 sino<br />

all’anno 1645, Libro dove si scrive cit., fol. 94v. La modesta spesa ammontava a L. 3.20.<br />

51 Ivi, 1645 Libro de Conti B n° 2 Sino al 1693, Libro dove si tiene conto <strong>di</strong>stinto <strong>di</strong> quello entra nelle<br />

mani de noi Massari Lazaro Sevilano e Martino Noce, come <strong>di</strong> quello si va spendendo in beneficio della<br />

Chiesa <strong>di</strong> S.to Gio: Batta Pieve <strong>di</strong> Finale sotto l’Arcipretura del M.to Ill.re E M.to R.do Sig.r Pietro<br />

Malvasia Protonotario Apostolico, foll. 16 e 9, rispettivamente. L’evento traumatico poteva forse<br />

essere stato un furto. Tra il 18 ottobre e il 17 <strong>di</strong>cembre 1645, per “accomodare il bottone <strong>di</strong> ramo<br />

della croce or<strong>di</strong>naria” ci si rivolgeva invece a “Maestro Tiberio”.<br />

221


destinato alla parrocchiale <strong>di</strong> Sant’Eusebio <strong>di</strong> Perti nel 1643, mentre un suo<br />

parente, forse un figlio, <strong>di</strong> nome Giovanni Antonio, qualificato come “orefice”,<br />

compare, nella contabilità dello stesso e<strong>di</strong>ficio <strong>di</strong> culto, per riparazioni alla<br />

croce processionale <strong>di</strong> cui si <strong>di</strong>rà più avanti nel 1704 e per lavori all’ostensorio<br />

e a un calice nell’anno successivo 52 .<br />

Il 18 gennaio del 1648 le note <strong>di</strong> spese riferivano <strong>di</strong> ulteriori lavori per il<br />

pomo della croce d’argento del valore <strong>di</strong> L. 2.5, senza specificare il destinatario,<br />

mentre nel 1677 veniva registrato un nuovo intervento manutentivo alla<br />

“croce festiva” <strong>di</strong> limitata entità 53 . Ben più cospicua fu la somma impiegata nel<br />

settembre 1755 quando si spendevano L. 57.16, inviate a Genova per<br />

“accomodare” la croce e “farvi riporre Balle pure <strong>di</strong> argento che vi<br />

mancavano” da intendersi come intervento <strong>di</strong> completamento delle piccole<br />

sfere poste in corrispondenza delle terminazioni dei bracci 54 .<br />

La destinazione della sacra suppellettile per le cerimonie più solenni era<br />

sottolineata nell’inventario del 1697 in cui si ricordava la presenza <strong>di</strong> due croci<br />

in metallo prezioso, l’una, quella in esame, “col piede d’Argento e pomo con<br />

Crocifisso, da’ una parte, et nost.a Sig.ra <strong>di</strong> Concettione dall’altra; quale serve<br />

per le processioni del clero, et altra p. uso coti<strong>di</strong>ano, quale è sopradorata, che<br />

è <strong>di</strong> lama d’argento, posta sopra Croce <strong>di</strong> Legno” 55 .<br />

Dal punto <strong>di</strong> vista stilistico, appare netto lo stacco tra la realizzazione delle<br />

figure nei medaglioni, pervase <strong>di</strong> qualche arcaismo, aspetto assai <strong>di</strong>ffuso nella<br />

produzione <strong>di</strong> arre<strong>di</strong> sacri nel periodo controriformato in area ligure, come si<br />

è già visto, con riferimento a modelli più antichi, risalenti al XV e inizio XVI<br />

secolo, quale rimando ad una tra<strong>di</strong>zione consolidata e riconosciuta, e la ben<br />

più aggiornata soluzione impiegata per la realizzazione dell’immagine a tutto<br />

52 ADSV, Perti, Parrocchia <strong>di</strong> Sant’Eusebio, mazzo E 60 118, Compagnia del SS. Sacramento,<br />

Compagnia del Suffragio, Primo registro <strong>di</strong> contabilità del SS. Sacramento 1632 a <strong>di</strong> 15 aprile, Libro<br />

della Compagnia del Corpus Domini Luogo <strong>di</strong> Perti, fol. 133v., in data 15 settembre 1643 e Libro<br />

della Compagnia del Santissimo Sacramento <strong>di</strong> Perti comprato per Dom.co Carzolio q. Bernardo et<br />

Bartolomeo Garoglia q. Bernardo Massari del Anno 1674 li 18 agosto, foll. 137 e 138, 30 settembre.<br />

53 ADSV, Finale Ligure, Parrocchia <strong>di</strong> San Giovanni Battista, 1645 Libro de Conti B n° 2 Sino al<br />

1693, Libro dove si tiene conto <strong>di</strong>stinto <strong>di</strong> quello entra nelle mani de noi Massari Lazaro Sevilano cit.,<br />

foll. 17 e 105; la spesa del 30 maggio 1677 era <strong>di</strong> lire 1.<br />

54 ADSV, Finale Ligure, Parrocchia <strong>di</strong> San Giovanni Battista, D. N. 6, Libro della M.ra e Masseria,<br />

foglio non numerato, 23 <strong>di</strong>cembre.<br />

55 ASSV, Notaio Carlo Collatto, anno 1697, Invent.o delle robbe appartenenti alla Sacristia della N.ra<br />

Insigne et ab immemorabile Colleg.ta <strong>di</strong> S. Gio: Battà Pieve <strong>di</strong> Finale rinonciate, et consegnate, al Sig.r<br />

d. Bernardo Massa, nuovo sacrista, dal Sig.r d. ...Panizza sacrista passato; p. or<strong>di</strong>ne et con assistenza <strong>di</strong><br />

noti Agenti, et Procuratori <strong>di</strong> d.ta Insigne Colleg.ta; l’atto venne rogato nel mese <strong>di</strong> settembre.<br />

Ringrazio Santino Mammola per la segnalazione.<br />

222


tondo del Cristo. Risulta eseguita a fusione con maggior cura, come richiesto<br />

per quella che era ritenuta l’immagine <strong>di</strong> maggiore importanza devozionale<br />

facente parte dell’arredo sacro. Per le prime, sono rilevabili interessanti<br />

riman<strong>di</strong> sia alla produzione orafa d’oltralpe, in particolare nella figura del<br />

Padre Eterno che presenta similitu<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> rilievo con alcune placchette prodotte<br />

in Germania meri<strong>di</strong>onale all’inizio del XVII secolo che rappresentano il<br />

medesimo soggetto, a mezzo busto, tra nubi e testine cherubiche, in atto <strong>di</strong><br />

bene<strong>di</strong>re e con lo sguardo rivolto verso il basso 56 , ma soprattutto, come notato<br />

in altri casi 57 , con la scultura del territorio. È molto interessante la vicinanza<br />

tra la già citata figura del Dio Padre e due rilievi entro ton<strong>di</strong> rappresentanti San<br />

Giovanni Battista provenienti, rispettivamente, dal complesso conventuale<br />

dell’Annunziata <strong>di</strong> Levanto e dalla chiesa <strong>di</strong> Santa Maria della Cella <strong>di</strong> Genova<br />

Sampierdarena, riferiti a maestranze liguri e datati alla metà del XV secolo 58 .<br />

Per quanto riguarda la tipologia del Cristo, appare evidente il rimando a<br />

modelli illustri e ben noti in territorio genovese, derivati da quelli elaborati in<br />

ambito fiorentino dallo stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Giambologna e, in particolare, dal suo allievo<br />

e collaboratore Antonio Susinni, specialista nella riproduzione seriale dei<br />

prototipi del maestro, eseguiti comunque con un alto livello <strong>di</strong> rifinitura 59 . Il<br />

tipo del “Cristo morto”, eseguito in <strong>di</strong>mensioni monumentali per la chiesa<br />

dell’Escorial su commissione <strong>di</strong> Filippo II, ebbe una particolare fortuna,<br />

ottenendo larghissima <strong>di</strong>ffusione europea, specialmente nelle più <strong>di</strong>verse<br />

56 WEBER 1975, vol. I, p. 353, nn. 852-854, vol. II, tav. 231, Figg. 852-854; gli esemplari, arricchiti<br />

da teste cherubiche o drappi, si conservano a Monaco <strong>di</strong> Baviera, Bayerische Nationalmuseum.<br />

Nell’ambito dello stesso genere <strong>di</strong> produzione, si osservi anche il confronto tra l’immagine<br />

dell’Immacolata dai lunghi capelli con quella della Vergine assunta in una placchetta centinata,<br />

datata al 1614 e conservata al Victoria & Albert Museum <strong>di</strong> Londra, cfr., Ivi, vol. I, p. 371, n.<br />

917, vol. II, tav. 249, Fig. 917.<br />

57 Si veda il caso della croce della chiesa <strong>di</strong> San Carpasio ad Aulla, <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> Sarzana, lavoro<br />

dell’argentiere genovese Stefano Borasi, cfr. CAPITANIO 2003, pp. 119-122. Per l’analisi del<br />

manufatto si veda più avanti nella <strong>di</strong>samina dell’esemplare <strong>di</strong> Perti.<br />

58 Schede nn. 21 e 23 <strong>di</strong> P. DONATO, in Le arti a Levanto 1993, pp. 92-95. Il primo tondo, eseguito<br />

in pietra <strong>di</strong> Promontorio, oggi <strong>di</strong> proprietà del comune <strong>di</strong> Levanto e già incastonato, con un<br />

Agnus Dei, nel muro <strong>di</strong> cinta del cimitero, proviene molto probabilmente da una delle volte<br />

della chiesa osservante, e<strong>di</strong>ficata in più fasi a partire dal 1449. Il secondo confronto, ancora<br />

più stringente, anch’esso un tondo serravolta, è in marmo bianco e dovrebbe riferirsi alla fase<br />

<strong>di</strong> ricostruzione del complesso conventuale che ebbe luogo subito dopo il 1453 quando, a<br />

seguito dell’arrivo degli agostiniani, Bartolomeo Doria se ne assunse l’onere.<br />

59 Sul problema dell’autografia delle opere <strong>di</strong> Giambologna, spesso contrad<strong>di</strong>stinte da un alto<br />

numero <strong>di</strong> repliche e varianti dal medesimo modello, e l’utilizzo dei bronzi <strong>di</strong> piccolo formato<br />

come doni <strong>di</strong>plomatici da parte della corte granducale <strong>di</strong> Toscana, nonché la <strong>di</strong>stribuzione <strong>di</strong><br />

compiti e commissioni nel suo stu<strong>di</strong>o, cfr. LEITHE-JASPER 2006, pp. 63-65.<br />

223


edazioni in bronzo, dai casi fiorentini dell’Annunziata e degli esemplari <strong>di</strong><br />

piccolo formato oggi al Bargello 60 , alle redazioni conservate a Monaco <strong>di</strong><br />

Baviera, chiesa <strong>di</strong> San Michele, oppure a Wullenstetten in Svevia, o ancora nella<br />

Schatzkammer <strong>di</strong> Vienna, in questo caso giunta come dono <strong>di</strong>nastico, per<br />

ricordare il favore incontrato da questi modelli oltralpe 61 . Sono gli stessi antichi<br />

biografi, come Francesco Saverio Bal<strong>di</strong>nucci, a riferire della forte circolazione<br />

<strong>di</strong> queste opere, ma era lo stesso Giambologna a <strong>di</strong>chiarare <strong>di</strong> aver incaricato<br />

l’allievo Susinni <strong>di</strong> fare “molte statuette per mandare in Allamagna” 62 .<br />

Non si <strong>di</strong>mentichino i <strong>di</strong>retti rapporti che lo scultore intrattenne con gli<br />

ambienti della committenza genovese, basti pensare alla realizzazione del<br />

monumento funebre per la cappella <strong>di</strong> Luca Grimal<strong>di</strong> in San Francesco <strong>di</strong><br />

Castelletto, tra il 1579 e il 1595 63 . Il rimando alle soluzioni del maestro<br />

fiammingo, naturalizzatosi fiorentino, era stato osservato per il Cristo della<br />

croce <strong>di</strong> San Biagio della parrocchiale <strong>di</strong> Finalborgo nel citato evento<br />

espositivo <strong>di</strong> Ottawa 64 , mettendo a confronto questo esemplare con quello qui<br />

in esame e con un terzo, <strong>di</strong> minore pregio artistico, conservato nella<br />

parrocchiale <strong>di</strong> Loano, databile tra il 1593 e il 1627 65 . Non si <strong>di</strong>mentichi che già<br />

60 Cfr. VACCARI 2006, pp. 359-360, nn. 26 e 27.<br />

61 Cfr. DIEMER 2006, pp. 107-120. Il crocifisso <strong>di</strong> Wullenstetten, nella Svevia bavarese, fu<br />

consegnato nel 1589 e commissionato molto probabilmente dai nobili Fugger. In questo caso,<br />

come in quello viennese, il Cristo è raffigurato privo <strong>di</strong> perizoma, presente invece nella<br />

versione <strong>di</strong> Monaco. Per la ricezione e rielaborazione da parte dei celebri orefici augustani, cfr.<br />

SELING 1980, vol. I, p. 238, n. 45-46 e p. 270 n. 344, vol. II, Figg. 45-46, 344, per un altarolo<br />

portatile, impiallacciato in ebano, con pannello centrale in argento sbalzato rappresentante la<br />

Crocifissione, lavoro <strong>di</strong> Jeremias II Flicker e <strong>di</strong> Tobias Zeiler, datato tra il 1620 e il 1630 (Augsburg,<br />

Städtische Kunstsammlungen), e una stauroteca riferita a Johannes I Lencker, eseguita intorno<br />

al 1610 (München, Residenz, Reliquenkammer).<br />

62 Cfr. DIEMER 2006, p. 112. Bal<strong>di</strong>nucci scrisse “siccome fece ancora gran quantità <strong>di</strong> modelli <strong>di</strong><br />

graziosissime figurine e Crocifissi, che poi formati e gettati <strong>di</strong> bronzo, rinetti da lui e de’ suoi<br />

giovani <strong>di</strong>ligentissimamente, andarono attorno con gran<strong>di</strong>ssimo guadagno de’ medesimi suoi<br />

creati, a comodo de’ quali egli si metteva a quelle fatiche”.<br />

63 Cfr. SEITUNG 2006, pp. 133-151. Il monumento, smembrato, si conserva presso l’Università <strong>di</strong><br />

Genova.<br />

64 Scheda n. 1 <strong>di</strong> M. BARTOLETTI, in Argenti genovesi 1992, pp. 33-35. La croce della collegiata <strong>di</strong><br />

Finale Ligure <strong>di</strong>fferisce da quella citata per il fondo liscio, per il cartiglio e per la <strong>di</strong>versa<br />

tipologia della bordura che rifinisce i profili dei bracci, pur mostrando analoga scelta nel decoro<br />

delle terminazioni con sferette che, come si è visto, furono oggetto <strong>di</strong> integrazione o <strong>di</strong><br />

esecuzione in tempi successivi.<br />

65 Cfr. BOGGERO 1990, pp. 28-29. La già citata croce <strong>di</strong> San Giovanni Battista mostra ulteriore<br />

motivo <strong>di</strong> interesse per le immagini devozionali presenti, dal momento che sul verso è<br />

raffigurata al centro, in corrispondenza del Cristo crocifisso, l’Immacolata come donna<br />

dell’Apocalisse.<br />

224


nella pubblicazione <strong>di</strong> Morazzoni veniva colto il rimando al modello del<br />

Giambologna per una croce, simile a quelle in esame, proveniente dalla<br />

collezione genovese del marchese Crosa <strong>di</strong> Vergagni 66 . Benché non ci siano<br />

prove documentarie, non appare da escludersi che, considerando la vicinanza<br />

dei centri, probabilmente in date non lontane si possa essere ricorsi alla<br />

medesima bottega o a professionisti con simile formazione. A questo<br />

proposito, date le caratteristiche delle altre figure a rilievo, non parrebbe<br />

azzardato avanzare l’ipotesi <strong>di</strong> un professionista <strong>di</strong> provenienza nor<strong>di</strong>ca o<br />

comunque da questa influenzato. Una prima indagine nella documentazione<br />

contabile conservatasi inerente alla chiesa <strong>di</strong> San Biagio, non verificata in<br />

occasione della redazione della scheda per il catalogo della mostra, potrebbe<br />

avvalorare la vicinanza cronologica dei due manufatti. Il 14 maggio del 1615<br />

si pagavano a Genova, tramite Paolo Cremata, forse un massaro della<br />

parrocchiale o forse un mercante, lire 66.16 per 12 libbre d’argento “p. fare<br />

accomod.re le croci d’arg.to come p. Polizza p. mano del sud.o”. Il 28 dello<br />

stesso mese Cremata riceveva altre L. 60 “a conto della Croce d’arg.to” e il 4<br />

luglio altre lire 93.15 a saldo del pagamento della stessa 67 . Tuttavia, in una<br />

successiva nota, si in<strong>di</strong>cava come spesa complessiva per la croce una più<br />

cospicua somma <strong>di</strong> lire 336.18. L’importo lascerebbe presupporre non certo<br />

un semplice rifacimento <strong>di</strong> un oggetto più antico, ma una commissione ex<br />

novo, magari, come <strong>di</strong> norma avveniva, sfruttando almeno parte del metallo<br />

già impiegato per l’arredo in <strong>di</strong>suso. Di fatto, almeno dall’inventario redatto<br />

dal parroco nel 1566 e poi replicato nel 1582, risultavano esservi nel<br />

patrimonio <strong>di</strong> arre<strong>di</strong> sacri dell’e<strong>di</strong>ficio <strong>di</strong> culto ben tre croci, mentre nel<br />

censimento del 1618 venivano genericamente menzionati solamente due<br />

arre<strong>di</strong> sacri <strong>di</strong> questo tipo 68 . Vale la pena <strong>di</strong> evidenziare che la croce <strong>di</strong> San<br />

66<br />

MORAZZONI 1959, p. 31, Fig. 31. La croce, lignea, era arricchita da ornati ottocenteschi bronzei<br />

e da un crocifisso in argento.<br />

67 ADSN, Finalborgo, Parrocchia <strong>di</strong> San Biagio, mazzo 25, Vicariato Foraneo, Beneficio<br />

Parrocchiale, Compagnia del SS. Sacramento, Libro della Compagnia del Santissimo Sacramento<br />

eretta nella Chiesa Collegiata <strong>di</strong> S.to Blasio nel Borgo <strong>di</strong> Finale, nel quale sta da scrivere ogni cosa<br />

pertinente alla sudetta Compagnia come in questo principio <strong>di</strong> questo p.nte libro principiato da noi Giò.<br />

Ant.o Pinoa si può vedere p. or<strong>di</strong>ne nominativo, foll. 71r., 75r. Il volume <strong>di</strong> spese ha inizio dal 1594.<br />

68 ADSN, Finalborgo, Parrocchia <strong>di</strong> San Biagio, mazzo 16, Chiesa: Inventari de li argenti e altre<br />

cose e paramenti de la giesa <strong>di</strong> San biasio fatto p. me ven enzo gandolfo, redatto il 1º gennaio 1566 in<br />

cui compare una ricca dotazione <strong>di</strong> suppellettili sacre; Inventario de Beni mobili et Immobili della<br />

Chiesa <strong>di</strong> S.to Biasio, del Borgo <strong>di</strong> finale fatto p. me P. Bernardo Piaggia Prevosto, sotto l’anno 1582,<br />

compilato il 29 novembre; l’inventario del 1618 è privo <strong>di</strong> intitolazione e reca solo l’in<strong>di</strong>cazione<br />

dell’anno.<br />

225


Biagio esaminata non presenta raffigurato né sul recto, né sul verso il santo<br />

titolare della chiesa cui dovrebbe appartenere, fatto, come si può vedere anche<br />

per i casi in esame, piuttosto comune, soprattutto in considerazione della<br />

valenza “pubblica” <strong>di</strong> tali oggetti <strong>di</strong> culto. Vi sono rappresentati, invece, sul<br />

verso, intorno all’immagine della Vergine, San Giovanni Battista, Sant’Antonio<br />

da Padova e, nella terminazione inferiore, Santa Caterina 69 . Mentre i primi<br />

due santi scelti possono rispondere a culti generici e <strong>di</strong>ffusi su larga scala,<br />

l’ultima immagine si riconnette <strong>di</strong>rettamente a devozioni dell’or<strong>di</strong>ne<br />

domenicano, attestato in Finalborgo sino al XIX secolo in un compleso<br />

intitolato proprio alla martire <strong>di</strong> Alessandria 70 . Negli elenchi patrimoniali<br />

conservatisi, risulta che la chiesa conventuale fosse dotata, tra gli arre<strong>di</strong> sacri,<br />

<strong>di</strong> una preziosa croce processionale che, opportunamente occultata,<br />

sopravvisse alle soppressioni del governo francese 71 . Chiusa definitivamente<br />

la sede domenicana nel 1865, a seguito dell’applicazione sul territorio<br />

nazionale della legge Siccar<strong>di</strong>, numerosi arre<strong>di</strong> sacri passarono alla<br />

parrocchiale <strong>di</strong> San Biagio. Ulteriore dato <strong>di</strong> rilievo fornito dai documenti<br />

prima citati, relativi alla sede domenicana, riguarda la sottolineatura della<br />

provenienza del materiale con cui la croce processionale era stata eseguita:<br />

“finissimo argento” dalle miniere <strong>di</strong> Rialto 72 , elemento assente da ogni altra<br />

testimonianza archivistica sino ad ora rintracciata per i casi in esame,<br />

comprese quelle indagate per la stessa parrocchiale dei Santi Pietro e Paolo.<br />

Auspicando che ulteriori indagini permettano <strong>di</strong> sciogliere la vicenda, la croce<br />

69 Sul recto il Cristo è, invece, secondo antica tra<strong>di</strong>zione, affiancato dai mezzi busti dei quattro<br />

Evangelisti con i loro simboli.<br />

70 Cfr. La chiesa e il convento, 1982. Il convento fu soppresso, la prima volta, nel 1802. È oggi sede<br />

del Museo Archeologico. Fu costruito a partire dal 1359, su commissione dei marchesi Del<br />

Carretto.<br />

71 Cfr. Genova, Archivio del convento domenicano <strong>di</strong> Santa Maria <strong>di</strong> Castello, fondo convento<br />

<strong>di</strong> Santa Caterina a Finalborgo, Cenni <strong>di</strong> Storia della Fondazione e della triplice Ree<strong>di</strong>ficazione del<br />

Convento e chiesa <strong>di</strong> S. Catterina Nella Città <strong>di</strong> Finalborgo e Varie altre importantissime notizie relative<br />

ai RR. Padri, od alla Città tratte dall’archivio del Convento, dalla storia <strong>di</strong> finale, da antichi documenti,<br />

da iscrizioni, da lettere officiali, ed in fine da personaggi quai testimoni oculari, degni <strong>di</strong> fede, fol. 110,<br />

manoscritto probabilmente compilato da padre Raimondo Varia e Liber Consilior, Conventus<br />

Sanctae Catharinae Virginis & Martyris de Finario Incoeptus sub Ad: R: P: L: F: Paulo Vincentio Maria<br />

Garibal<strong>di</strong> Genuensi Patritio et Priore, fol. 104v. Un particolare ringraziamento a Santino Mammola<br />

per la segnalazione.<br />

72 Per una precoce in<strong>di</strong>cazione <strong>di</strong> oreficerie prodotte con materiali estratti a Rialto, cfr.<br />

MERCENARO 1999, p. 398 con riferimento al calice della parrocchiale <strong>di</strong> Calice, donato da<br />

Galeotto Del Carretto dei Signori <strong>di</strong> Finale, che porta incise sulla base in<strong>di</strong>cazioni relative alla<br />

cava dalla quale venne ricavato l’argento per la realizzazione dell’opera.<br />

226


<strong>di</strong> Finalborgo resa nota dalla bibliografia non presenta il punzone della<br />

torretta, specifica in<strong>di</strong>cazione <strong>di</strong> provenienza genovese del manufatto.<br />

Solamente l’esemplare <strong>di</strong> Finalmarina risulta variamente punzonato e<br />

presenta l’inequivocabile marchio della torretta <strong>di</strong> Genova, ma tale aspetto<br />

non fa che confermare la cultura composita del manufatto, dal momento che,<br />

parlare <strong>di</strong> provenienza genovese <strong>di</strong> un oggetto in metalli preziosi realizzato<br />

tra Cinquecento e Seicento significava evocare una realtà complessa in cui a<br />

professionisti autoctoni si alternavano importanti personalità provenienti dal<br />

milanese, dalle Fiandre e dalla Germania meri<strong>di</strong>onale, apporti dovuti alle<br />

peculiari relazioni politiche della Repubblica <strong>di</strong> Genova con la corona<br />

spagnola e, più in generale, con la vasta compagine asburgica in età moderna<br />

e, in particolare, nel XVI e XVII secolo 73 . Si pensi soltanto al caso emblematico<br />

della cassa del Corpus Domini del Museo del Tesoro del duomo <strong>di</strong> San<br />

Lorenzo, la cui complessa realizzazione ebbe luogo dal 1553 al 1612 74 . Furono<br />

proprio due maestri fiamminghi a dominare la produzione <strong>di</strong> oreficeria in<br />

Genova nei primi decenni del secolo, con importanti commissioni <strong>di</strong><br />

argenterie profane per i più prestigiosi nomi del patriziato: Matthias Melijn e<br />

Gio Aelbosca, entrambi originari <strong>di</strong> Anversa, risultando anche tra i maggiori<br />

contribuenti della Superba nelle matricole della professione 75 . Seppure i loro<br />

strabilianti lavori, soprattutto nel settore dei piatti <strong>di</strong> parata con soggetti storici<br />

e mitologici, celebrativi delle imprese <strong>di</strong> livello europeo delle famiglie<br />

73 Il più recente contributo sul tema è BOGGERO, GIACOMINI 2007, pp. 63-87 con particolare<br />

attenzione alle presenze degli artisti d’oltralpe nel corso del XVII secolo che raggiunsero il<br />

culmine dopo la grande peste del 1657. Le ondate migratorie avevano avuto origine dalla metà<br />

del Cinquecento, connesse, oltre che allo sviluppo delle attività economiche, all’arrivo <strong>di</strong><br />

soldati mercenari dalla Germania e dalle Fiandre. Sulle presenze <strong>di</strong> truppe asburgiche nel<br />

marchesato del Finale si veda RIZZO 2008, pp. 77-95.<br />

74 Cfr. BOGGERO, SIMONETTI 1992, pp. 223-225, scheda n. 1 con ricostruzione dell’articolata<br />

vicenda e delle numerose maestranze succedutesi; il testo è ripreso in BOGGERO, SIMONETTI<br />

1999, pp. 27-35. Il primo modello del reliquiario venne richiesto al milanese Francesco de’<br />

Rocchi; interventi <strong>di</strong> argentieri fiamminghi sono documentati negli Anni 60 del Cinquecento,<br />

mentre successivamente subentrò l’orefice Agostino Groppo, <strong>di</strong> origine veneta, coa<strong>di</strong>uvato<br />

dai suoi figli. Il definitivo assemblaggio delle parti dovette essere svolto dal genovese Luca<br />

Vigne <strong>di</strong> cui sono impressi i punzoni sulla superficie metallica.<br />

75 Una puntuale ricostruzione dei profili biografici e dei cataloghi dei due argentieri, cui si<br />

deve aggiungere anche, per gli anni in esame, tra gli artisti nor<strong>di</strong>ci, la personalità <strong>di</strong> Nastasio<br />

Torresenghi, presente nelle carte genovesi dal 1603 al 1635, in SIMONETTI 2006, pp. 153-165;<br />

Aelbosca è documentato a Genova dal 1617 al 1635, Melijn, nato nel 1589, vi giunse intorno al<br />

1629 ed è attestato sino al 1636. Le cinque placchette con Episo<strong>di</strong> della storia della famiglia Spinola<br />

(Amsterdam, Rijksmuseum) furono eseguite da Matthias Melijn, artista <strong>di</strong> fiducia del generale<br />

Ambrogio, giunto a Genova dopo un soggiorno in Spagna.<br />

227


committenti, non possano <strong>di</strong>rettamente connettersi all’opera in esame, è da<br />

sottolineare la similitu<strong>di</strong>ne tipologica, altamente <strong>di</strong>ffusa, dei visi allungati e<br />

barbati dei Dottori della Chiesa – si vedano anche quelli della croce <strong>di</strong> Perti –<br />

con analoghe caratteristiche fisiognomiche espresse nei personaggi<br />

rappresentati dai due maestri. Si confronti, a titolo <strong>di</strong> esempio, la figura <strong>di</strong><br />

presule posta al centro della composizione che raffigura le Nozze <strong>di</strong> Giovanni<br />

Battista e Maria Spinola in una delle placchette, oggi ad Amsterdam, raffiguranti<br />

episo<strong>di</strong> illustri del casato genovese. Anche nel contesto finalese è attestata<br />

nelle note <strong>di</strong> contabilità della collegiata <strong>di</strong> Finale Ligure, per quanto emerso<br />

dalla presente ricerca, almeno una commissione ad un argentiere “todesco”,<br />

seppure per una limitata impresa: la riparazione <strong>di</strong> due lampade pensili alla<br />

metà del Seicento 76 .<br />

Il caso della parrocchiale <strong>di</strong> Perti e la fortuna iconografica dei modelli d’oltralpe<br />

La croce processionale della parrocchiale <strong>di</strong> Sant’Eusebio <strong>di</strong> Perti si è<br />

purtroppo conservata in frammenti, tuttavia ricostruibili e significativi, la cui<br />

presentazione in questa sede vorrebbe essere anche un invito alla possibile<br />

ricomposizione del manufatto (Fig. 7) 77 .<br />

L’oggetto, pur nella <strong>di</strong>spersione <strong>di</strong> parti <strong>di</strong> rilievo, quale il Cristo crocifisso<br />

che doveva essere posto anteriormente, e, forse, per la maggiore qualità <strong>di</strong><br />

esecuzione e la facilità ad essere asportato, destinato presto al mercato<br />

collezionistico, è ancora leggibile nel suo insieme. Si conservano nove grossi<br />

frammenti che includono: la lamina sbalzata della Vergine Immacolata, posta<br />

originariamente sul verso, in corrispondenza dell’innesto dei due bracci; una<br />

porzione <strong>di</strong> questi con motivi floreali stilizzati; un frammento con punzone<br />

torretta con tre stelle e datario 33, accompagnato da stella; altro simile con la<br />

76 ADSV, Finale Ligure, Parrocchia <strong>di</strong> San Giovanni Battista, 1645 Libro de Conti B n° 2 Sino al<br />

1693, Libro dove si tiene conto <strong>di</strong>stinto <strong>di</strong> quello entra nelle mani de noi Massari Lazaro Sevilano cit.,<br />

fol. 32; pagamento del 27 ottobre 1653 <strong>di</strong> L. 0.18. Non è possibile ricostruire se tale personaggio<br />

sia lo stesso definito “orefice <strong>di</strong> Borgo” che in data 23 giugno 1659 venne pagato lire 15 per<br />

riparare un turibolo (Ivi, fol. 58) o ancora se si tratti <strong>di</strong> un argentiere genovese, dal momento<br />

che il successivo 7 ottobre si pagavano lire 121.12 per un calice e patena acquistati a Genova.<br />

Nella complessità relativa alla provenienza <strong>di</strong> opere <strong>di</strong> oreficeria si veda anche la registrazione,<br />

due anni dopo, il 23 ottobre 1661, della spesa <strong>di</strong> lire 206.16 consegnate a Nicolao Bricheri per<br />

un calice fatto venire da Roma.<br />

77 L’oggetto si conserva in deposito presso il Seminario Vescovile <strong>di</strong> <strong>Savona</strong>, ringrazio<br />

sentitamente per la possibilità <strong>di</strong> analisi del manufatto.<br />

228


torretta, il datario e le iniziali GBM; due parti del braccio maggiore, la prima<br />

con all’estremità trilobata, sul verso, un Padre della Chiesa latina, non<br />

identificabile, per la presenza dei soli attributi <strong>di</strong> santo vescovo, e, sul recto,<br />

San Matteo; la seconda, analoga sul verso, e sul recto San Giovanni Evangelista;<br />

due porzioni del braccio minore, il primo con capocroce sul verso analogo ai<br />

precedenti e, sul recto, San Luca; il secondo con San Marco e la presenza dei<br />

punzoni torretta con stelle e iniziali GB, in corrispondenza dei racemi vegetali.<br />

Rimane, infine, il nodo, munito <strong>di</strong> innesto per inserirvi il fusto ligneo,<br />

probabilmente frutto <strong>di</strong> un reimpiego con qualità dell’argento <strong>di</strong>fferente e,<br />

tendenzialmente, <strong>di</strong> minor pregio.<br />

La presenza <strong>di</strong> terminazioni con gli evangelisti Matteo, Giovanni e Luca,<br />

riconoscibili in quanto accompagnati dai loro rispettivi simboli, rientra nella<br />

più tra<strong>di</strong>zionale iconografia delle croci processionali che prevedevano, intorno<br />

al Cristo crocifisso o, ancora meglio, sul verso a circondare il Pantocratore<br />

assiso, in atto <strong>di</strong> amministrare la giustizia nel Giu<strong>di</strong>zio Finale, le quattro figure<br />

simboliche evocate da un noto passo dell’Apocalisse (4,7): ove, intorno al trono<br />

<strong>di</strong> Dio, sono poste quattro creature alate: “il primo animale somiglia al leone,<br />

il secondo animale somiglia al vitello, il terzo aveva la faccia come d’uomo, e<br />

il quarto era simile ad aquila volante”, associate ai quattro evangelisti sulla<br />

base dei passi relativi del Nuovo Testamento 78 . È possibile ipotizzarne la<br />

<strong>di</strong>sposizione, anche in questo caso secondo logiche desunte dalle Sacre<br />

Scritture, con Giovanni, <strong>di</strong>scepolo pre<strong>di</strong>letto, <strong>di</strong> solito in cima al braccio<br />

maggiore della croce, Matteo, in quanto anch’egli apostolo, all’estremità<br />

inferiore della stessa, Marco e Luca, simmetrici, ai capicroce <strong>di</strong> quello minore,<br />

riflettendo le copie canoniche dei Vangeli sinottici 79 .<br />

Ripetuti in più parti sono sia il punzone con la torretta che quello datario<br />

con il numero 33 nonché le iniziali <strong>di</strong> un argentiere leggibili in GBM (Fig. 8).<br />

Accertata la possibile provenienza genovese dell’oggetto, l’anno <strong>di</strong><br />

realizzazione restituito dovrebbe identificarsi nel 1633 e il nome possibile<br />

dell’argentiere, sulla base dei repertori noti, potrebbe essere quello <strong>di</strong> Giovanni<br />

Battista Micone, attivo con il fratello Cosma e documentato tra il 1628 e il 1630,<br />

oppure Giovanni Battista Menavino, in società con il fratello Lorenzo negli<br />

stessi anni 80 .<br />

78 Cfr. ZASTROW 2009, pp. 31-32.<br />

79 Cfr. COLLARETA 1999, pp. 238-239.<br />

80 BOGGERO, SIMONETTI 1992, pp. 105, 106. Il riferimento sono, naturalmente, gli elenchi degli<br />

argentieri attivi in Genova, censiti per la tassazione nel 1628 e nel 1630.<br />

229


Il riscontro con i dati ricavati dallo spoglio documentario permette <strong>di</strong><br />

accertare la presenza <strong>di</strong> una croce processionale in argento presso l’antica<br />

chiesa <strong>di</strong> Sant’Eusebio, <strong>di</strong>venuta nel XVIII secolo, con la costruzione della<br />

nuova parrocchiale, sede della confraternita della Dottrina Cristiana, almeno<br />

dal 1534 81 , data in cui venne compilato un inventario degli arre<strong>di</strong> sacri in<br />

dotazione dell’e<strong>di</strong>ficio <strong>di</strong> culto in cui si ricordano anche <strong>di</strong>versi calici in metallo<br />

prezioso e si fa riferimento a una “Crucem novam Arge.ti sup. aureatam”.<br />

Presumibilmente lo stesso oggetto è ricordato in occasione della visita<br />

apostolica del Mascar<strong>di</strong> del 1585, seppure genericamente citato 82 .<br />

Proprio nell’anno 1633 i conti della compagnia del SS. Sacramento<br />

registrano una importante nota <strong>di</strong> pagamento ove si menziona un intervento<br />

che, data l’entità della somma spesa, dovrebbe coincidere con un lavoro più<br />

che <strong>di</strong>screto sull’oggetto: “e più 1633 21 xbre abbiamo speso p. fare restaurare<br />

la croce d’argento e uno calice e ancora aconciare altro calice e platena e<br />

agiontovi argento e fatura fatta à Saona da Sig.r Gio: Anto: io Savagnio libre<br />

213.2” 83 . Ulteriori spese, relative ad “accomodare il pomo” dell’insegna<br />

liturgica compaiono nel maggio del 1635, mentre il nome <strong>di</strong> Giovanni Antonio<br />

Salvagno, per aver procurato tre “vasi d’argento” e loro relativa custo<strong>di</strong>a,<br />

ricompare nel giugno del 1638 84 . Questo personaggio, ancora da indagare,<br />

sulla base delle in<strong>di</strong>cazioni emerse dalla ricerca documentaria, potrebbe essere<br />

in<strong>di</strong>viduato come un argentiere e, tuttavia, le iniziali del suo nome non<br />

coincidono minimamente con quelle riscontrate sul punzone, evidentemente<br />

riferibili ad altro maestro, complicando il quadro degli interventi che si<br />

succedettero, probabilmente in un breve lasso <strong>di</strong> tempo, sul manufatto. È<br />

<strong>di</strong>fficile pensare che si trattasse <strong>di</strong> un <strong>di</strong>fferente oggetto – sebbene non lo si<br />

possa del tutto escludere, considerato il lungo lasso <strong>di</strong> tempo intercorso – dal<br />

momento che, sin dal primo inventario reperito del patrimonio mobile <strong>di</strong><br />

81 ADSV, Perti, Parrocchia <strong>di</strong> Sant’Eusebio, mazzo 1 E 6 114: l’inventario, <strong>di</strong> una sola carta, è<br />

privo <strong>di</strong> titolo.<br />

82 ASDV, Visite Pastorali, arma<strong>di</strong>o 2 222, Visita apostolica <strong>di</strong> mons. Nicolò Mascar<strong>di</strong>, fol. 139v. è già<br />

menzionata l’esistenza della compagnia del SS. Sacramento che aveva il compito <strong>di</strong> prendersi<br />

cura dell’arredo dell’altar maggiore.<br />

83 ADSV, Perti, Parrocchia <strong>di</strong> Sant’Eusebio, mazzo E 60 118, Compagnia del SS. Sacramento,<br />

Compagnia del Suffragio, Primo registro <strong>di</strong> contabilità del SS. Sacramento 1632 a <strong>di</strong> 15 aprile, Libro<br />

della Compagnia del Corpus Domini Luogo <strong>di</strong> Perti, fol. 127v.<br />

84 Ivi, fol. 120v., pagamento del 27 maggio 1637 da parte dei massari Vincenzo Canetta Casero e<br />

Vincenzo Marche; fol. 131v. per quota versata il 2 giugno 1638. Si noti che, in documentazione<br />

successiva, la compagnia del SS. Sacramento risulta composta anche da personaggi originari<br />

della penisola iberica, soprattutto militari che occupavano la fortezza nei pressi del borgo <strong>di</strong> Perti.<br />

230


spettanza della parrocchiale, datato al 1697, nella sacrestia risultava conservata<br />

una sola “croce grande d’arg.to”, utilizzata per le processioni, da in<strong>di</strong>viduarsi<br />

con quella in esame 85 .<br />

Nel corso del XVIII secolo sono documentati sull’oggetto, riconoscibile per<br />

la definizione <strong>di</strong> “croce grande d’argento”, due interventi <strong>di</strong> restauro: nel 1704<br />

del già citato orefice Gio Antonio Gosolano, a seguito <strong>di</strong> una rottura, come<br />

esplicitato nella nota, e nel 1740 per una “accomodatura” non precisata, ma<br />

<strong>di</strong> modesta entità, considerato il compenso in<strong>di</strong>cato <strong>di</strong> nove lire 86 . Mentre nel<br />

1814-18 una nota <strong>di</strong> lavori eseguiti dall’argentiere Fedele Pichiotino <strong>di</strong> Pont<br />

Canavese, in Piemonte, segnava il passaggio politico dei territori della Superba<br />

sotto il controllo del regno <strong>di</strong> Sardegna 87 .<br />

La conferma della ripetizione dei medesimi punzoni in <strong>di</strong>fferenti porzioni<br />

dell’oggetto ancora conservatesi e l’unitarietà dei frammenti, sia per quanto<br />

attiene al dato stilistico, contrad<strong>di</strong>stinto da uno spiccato gusto tardo manierista<br />

in un tra<strong>di</strong>zionale impianto, gra<strong>di</strong>to al clima culturale dei decenni successivi<br />

al Concilio <strong>di</strong> Trento, sia per quello tecnico, ad eccezione del nodo, permettono<br />

<strong>di</strong> presentare alcune ipotesi. Appare del tutto probabile che l’esemplare<br />

risalente alla prima metà del XVI secolo sia stato rifuso per modellare una<br />

nuova croce oggetto, nel 1633, <strong>di</strong> un intervento <strong>di</strong> parziale riplasmazione,<br />

benché eseguita, probabilmente, poco tempo prima 88 . La conferma della<br />

<strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong> proporre una cronologia del manufatto anteriore agli ultimi<br />

85 ADSV, Perti, Parrocchia <strong>di</strong> Sant’ Eusebio, mazzo E 6 114, Instrumenti, titoli, note conti 1513-<br />

1966, Inventario, e descrittione de beni mobili, utensigli, ornamenti, beni stabili obligationi proprij, et<br />

appartenenti, alla Chiesa Parrochiale <strong>di</strong> S. Eusebio <strong>di</strong> Perti, e Gavone, ossia suo Parrocho, che si trovano<br />

in essere adesso in tempo <strong>di</strong> vacanza della medema, datato al 1º <strong>di</strong> aprile. La presenza <strong>di</strong> una sola<br />

insegna sacra in argento, variamente conservata nella sacrestia e nel coro, spesso<br />

separatamente dai bastoni, parte dorati e parte <strong>di</strong>pinti, utilizzati per la sua esposizione, è<br />

ricordata anche nei successivi elenchi patrimoniali del 1700, 1719, 1727 e 1785.<br />

86 ADSV, Perti, Parrocchia <strong>di</strong> Sant’Eusebio, mazzo E 6 118, Compagnia del SS. Sacramento,<br />

Compagnia del Suffragio, Libro della Compagnia del Santissimo Sacramento <strong>di</strong> Perti comprato per<br />

Dom.co Carzolio q. Bernardo et Bartolomeo Garoglia q. Bernardo Massari del Anno 1674 li 18 agosto,<br />

fol. 137, pagamento del 1704 per la cifra <strong>di</strong> lire 4.10 e fol. 167, 16 maggio 1740.<br />

87 ADSV, Perti, Parrocchia <strong>di</strong> Sant’Eusebio, mazzo E 6 114, Instrumenti, titoli, note conti 1513-<br />

1966, la nota dell’argentiere riguardava una totale pulitura e riargentatura <strong>di</strong> tutte le<br />

suppellettili in materiali preziosi della parrocchiale, per un totale <strong>di</strong> 88.80 franchi. Lo stesso<br />

maestro è documentato, nel decennio seguente, per riparazioni nella chiesa parrocchiale <strong>di</strong><br />

Santa Maria Assunta a Bene Vagienna, in provincia <strong>di</strong> Cuneo cfr. Archivio della chiesa<br />

parrocchiale <strong>di</strong> Santa Maria Assunta <strong>di</strong> Bene, registri della contabilità della fabbriceria da<br />

inventariare.<br />

88 Difficile, data la genericità delle iconografie rappresentate, collegarla a un momento<br />

particolare nella storia dell’e<strong>di</strong>ficio <strong>di</strong> culto alla quale fu destinata.<br />

231


decenni del Cinquecento giunge dai modelli utilizzatti per l’esecuzione delle<br />

figure degli Evangelisti. Si tratta <strong>di</strong> una versione, per quanto più rozza e<br />

semplificata, derivata da placchette <strong>di</strong> produzione augustana, datate intorno<br />

al 1600 89 , già riconosciute per essere state impiegate, seppure con una resa<br />

molto più accurata, nella croce processionale dell’attuale parrocchiale <strong>di</strong> San<br />

Carpasio <strong>di</strong> Aulla, <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> Sarzana, ma <strong>di</strong> produzione genovese, come<br />

accertato dalla presenza del marchio della torretta e delle iniziali SB, riferite<br />

all’argentiere Stefano Borasi. Il manufatto è comunque databile, per riscontri<br />

documentari, tra gli anni 1584 e 1622 e presumibilmente connesso alla<br />

presenza <strong>di</strong> esponenti della famiglia Centurione in qualità <strong>di</strong> abati della chiesa,<br />

al tempo e<strong>di</strong>ficio <strong>di</strong> culto annesso ad un’abbazia <strong>di</strong> giuspatronato del casato<br />

genovese 90 . Benché vada tenuto conto della precisazione <strong>di</strong> Boggero e<br />

Simonetti in base alla quale le iniziali potrebbero riferirsi anche al maestro<br />

Stefano Boreggio che in<strong>di</strong>viduano come una <strong>di</strong>versa personalità, entrambi gli<br />

argentieri sono documentati negli elenchi dei membri dell’Arte presenti in<br />

Genova a cavallo tra terzo e quarto decennio del Seicento 91 . Elemento <strong>di</strong><br />

ulteriore interesse è dato dal fatto che lo stesso modello <strong>di</strong> matrice nor<strong>di</strong>ca sia<br />

stato utilizzato anche per l’esecuzione degli Evangelisti della croce<br />

processionale della parrocchiale <strong>di</strong> Finalborgo, resi con maggiore aderenza al<br />

prototipo d’oltralpe rispetto al caso <strong>di</strong> Perti 92 . Il dato è sfuggito alla critica, ma<br />

si rivela <strong>di</strong> notevole importanza, non solo per confermare la forte influenza<br />

esercitata nella produzione genovese, o comunque ligure, <strong>di</strong> arre<strong>di</strong> in metalli<br />

preziosi, sia ad uso sacro che profano, da parte dei professionisti provenienti<br />

dall’area fiammingo-tedesca e dai modelli da questi importati nella<br />

89 Le placchette, <strong>di</strong> formato circolare, si conservano al Bayerisches Nationalmuseum <strong>di</strong> Monaco<br />

e, in una seconda serie, allo Staatliche Münz Sammlung, cfr. WEBER 1975, vol. I, pp. 228-229,<br />

nn. 443, 1-4, vol. II, tav. 127.<br />

90 Cfr. CAPITANIO 2003, pp. 117-122. Le raffigurazioni degli Evangelisti, muniti dei loro attributi,<br />

si trovano in corrispondenza dei capicroce del recto, ove è posto un Cristo crocifisso non lontano<br />

da quello della collegiata <strong>di</strong> Finalmarina. Analogamente ad essa, le estremità trilobate sono<br />

ornate da sferette. La trattazione del fondo mostra i consueti motivi vegetali. Sul verso, invece,<br />

compare, in corrispondenza dell’innesto dei bracci, un’immagine fortemente arcaizzante <strong>di</strong><br />

Cristo in maestà, circondata da quattro raffinati bassorilievi con Scene della vita della Vergine. Il<br />

nodo, decorato con motivo a festoni floreali e testine cherubiche, appare congruente.<br />

91 Cfr. BOGGERO, SIMONETTI 1992, p. 96. Il primo ricorre nuovamente in un elenco degli argentieri<br />

iscritti alla corporazione genovese nel 1622 e il secondo nel registro dei tassati del 1630. È a<br />

tutt’oggi impossibile, in assenza <strong>di</strong> coincidenze tra opere eseguite con la presenza <strong>di</strong> punzoni<br />

e conferme documentarie in cui il nome del maestro compaia per esteso, definire a quale<br />

personalità vadano ascritte le opere ad oggi note con il punzone munito delle iniziali “SB”.<br />

92 Per le vicende della croce si rimanda al precedente paragrafo.<br />

232


Repubblica, ma anche per ipotizzare, pur nella facilità <strong>di</strong> circolazione <strong>di</strong><br />

oggetti <strong>di</strong> piccolo formato quali le placchette, variamente utilizzate<br />

dall’abbigliamento alle legature dei libri, una possibile derivazione dei<br />

manufatti citati, seppure non dalla bottega del medesimo argentiere, quanto<br />

meno da ambienti vicini, analogamente a quanto riscontrato per la fortuna<br />

incontrata dall’immagine del Cristo <strong>di</strong> Finalmarina, derivata dai modelli del<br />

Giambologna e del suo stu<strong>di</strong>o.<br />

La ricerca ha messo in luce in modo evidente la rarità <strong>di</strong> in<strong>di</strong>cazioni dei<br />

nomi <strong>di</strong> argentieri, non solo sui manufatti superstiti, ma anche nei documenti<br />

contabili degli archivi parrocchiali, ove, preferibilmente, figurano i nomi <strong>di</strong><br />

coloro, soprattutto membri delle compagnie preposte alla cura della<br />

suppellettile sacra, che ricevevano le somme da trasmettere ai maestri, spesso<br />

residenti in <strong>Savona</strong> o Genova 93 .<br />

La progressione degli stu<strong>di</strong> non potrà che meglio attestare un dato<br />

ulteriormente confermato, ovvero quella vitalità e ricchezza <strong>di</strong> circolazione<br />

dei manufatti in materiali preziosi che vide la Repubblica <strong>di</strong> Genova e le realtà<br />

ad essa variamente collegate, come il marchesato del Finale, svolgere un ruolo<br />

<strong>di</strong> assoluta preminenza nel panorama internazionale, come attesta il recente<br />

ritrovamento <strong>di</strong> una splen<strong>di</strong>da acquasantiera rococò nelle collezioni d’arte del<br />

Palácio Nacional de Queluz, nei pressi <strong>di</strong> Lisbona, marchiata con la<br />

tra<strong>di</strong>zionale torretta e rappresentante, ancora una volta, l’immagine<br />

dell’Immacolata vero e proprio emblema <strong>di</strong> un culto internazionale che unì i<br />

paesi del Me<strong>di</strong>terraneo a più riprese connessi con il mondo asburgico 94 .<br />

93 BIAVATI 1986, p. 21 osserva, in merito allo specifico della produzione genovese, come,<br />

nonostante le rigide norme sulla punzonatura dei manufatti <strong>di</strong>sposte dalla corporazione dei<br />

“fraveghi”, i marchi sugli oggetti reperiti siano decisamente più rari <strong>di</strong> quanto ci si possa<br />

aspettare, soprattutto per i primi decenni del XVII secolo.<br />

94 Cfr. VALE 2011, pp. 312-317. Il prezioso e raffinato oggetto, datato 1740, è conservato<br />

nell’oratorio della regina D. Carlota Joaquina. Si tratta <strong>di</strong> uno dei pochi esemplari <strong>di</strong><br />

produzione genovese recentemente censiti sul territorio portoghese dove, assai consistenti,<br />

nel corso dei secoli XVII e XVIII, furono gli invii dalla Superba <strong>di</strong> opere d’arte, principalmente<br />

lavori scultorei. L’immagine dell’Immacolata, nell’accezione della “croce-lancia”, derivata dalla<br />

tela <strong>di</strong> Carlo Maratti nella cappella Sylva in Sant’Isidoro a Roma, conferma non solo la<br />

circolarità <strong>di</strong> modelli, ma anche la <strong>di</strong>ffusione, a partire dalla fine del Seicento, <strong>di</strong> questo<br />

particolare tipo <strong>di</strong> iconografia, <strong>di</strong>rettamente connessa alla devozione imperiale e messa in<br />

circolazione dopo la liberazione <strong>di</strong> Vienna dall’asse<strong>di</strong>o ottomano del 1683.<br />

233


Sigle<br />

ADSV = Archivio Diocesano <strong>di</strong> <strong>Savona</strong>-<strong>Noli</strong>.<br />

ASSV = Archivio <strong>di</strong> Stato <strong>di</strong> <strong>Savona</strong>.<br />

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2005), a cura <strong>di</strong> G. MORELLO, V. FRANCIA, R. FUSCO, Milano, pp. 65-77.<br />

237


Fig. 1 - Croce astile, Rialto, chiesa parrocchiale<br />

dei Santi Pietro e Paolo, 1532, insieme<br />

238


Fig. 2 - Croce astile, Rialto, chiesa parrocchiale dei Santi Pietro e Paolo,<br />

1532, particolari dei Santi Pietro e Paolo<br />

Fig. 3 - Turibolo, Rialto, chiesa parrocchiale dei Santi Pietro e Paolo, 1716/ante<br />

239


Fig. 4 - Croce astile, Finale Marina,<br />

basilica <strong>di</strong> San Giovanni Battista, 1620 ca., insieme<br />

240


Fig. 5 - Croce astile, Finale Marina,<br />

basilica <strong>di</strong> San Giovanni Battista, 1620 ca., particolare San Giovanni Battista<br />

Fig. 6 - Croce astile, Finale Marina,<br />

basilica <strong>di</strong> San Giovanni Battista, 1620 ca., particolare Dio Padre bene<strong>di</strong>cente<br />

241


Fig. 7 - Croce astile, Rialto, chiesa parrocchiale<br />

<strong>di</strong> San Eusebio, 1633 (?), insieme<br />

Fig. 8 - Croce astile, già Perti, parrocchiale <strong>di</strong> San Eusebio, 1633 (?), particolare del punzone<br />

242


Apparati tessili della Collegiata <strong>di</strong> Finalmarina 1<br />

Gian Luca Bovenzi<br />

Nel 1677 è registrato dal massaro della parrocchiale finalese l’acquisto <strong>di</strong> un<br />

piviale in damasco bianco “novo” e <strong>di</strong> due pianete <strong>di</strong> “Giamellotto stampato<br />

una poanassa e l’altra negra con stola paonassa duplicata” 2 . Questa concisa<br />

annotazione attesta le <strong>di</strong>fficoltà che si riscontrano nello stu<strong>di</strong>o dei tessili. Una<br />

complessità dovuta non solo alla corretta lettura dell’armatura, ma anche e<br />

soprattutto all’ostinata reticenza dei documenti.<br />

Nel passo citato, ad esempio, il massaro ha utilizzato il termine “damasco”,<br />

ma siamo sicuri che il tessuto descritto sia realmente un damasco (stoffa<br />

operata in cui il <strong>di</strong>segno è ottenuto contrapponendo la faccia or<strong>di</strong>to e la faccia<br />

trama del raso o <strong>di</strong> due armature <strong>di</strong>verse, come il raso e il gros de Tours),<br />

oppure non sia un altro tessuto che imiti il suo effetto? Spesso chi re<strong>di</strong>geva i<br />

documenti non era esperto <strong>di</strong> stoffe e non appare raro constatare come non<br />

solo potevano essere confusi i vari intrecci, ma anche i tessuti con i ricami 3 .<br />

Inoltre non si deve <strong>di</strong>menticare come, nel corso del tempo, uno stesso termine<br />

poteva acquisire <strong>di</strong>versi significati. Come si è visto, nel 1677 è stato acquistato<br />

il “giamellotto”; parola che potrebbe derivare da ciambellotto che, agli inizi<br />

del XIX secolo in<strong>di</strong>cava “un drappo fatto <strong>di</strong> pelo <strong>di</strong> capra, talvolta liscio,<br />

talvolta ad onda”, cioè marezzato, mentre nei secoli precedenti in<strong>di</strong>cava anche<br />

un taffetas o un tabì 4 ; inoltre nel novarese una pianeta confezionata, secondo<br />

1 Un sentito ringraziamento a Massimiliana Bugli, Laura Facchin, Santino Mammola, Magda<br />

Tassinari. Un particolare ringraziamento a Giuseppe Pagliuca.<br />

2 ARCHIVIO STORICO DIOCESANO DI SAVONA-NOLI, Archivio Parrocchiale <strong>di</strong> San Giovanni Battista<br />

<strong>di</strong> Finalmarina, Fondo Archivio della Collegiata Basilica <strong>di</strong> San Giovanni Battista, libro n. 2,<br />

130, 1643 Libro de Conti B n. 2 sino al 1693, fol. 104.<br />

3 BOVENZI 2008, p. 478.<br />

4 Cfr. BAFFETTI, CONTATORE, RICCI 1986, p. 214; I tessili nell’età <strong>di</strong> Carlo Bascapè 1994, p. 319, scheda<br />

n. 52 <strong>di</strong> F. FIORI, con bibliografia precedente. Si veda anche CURATOLA 2007, p. 218.<br />

243


un inventario del 1617, con “ciambellotto” è stata identificata con una veste<br />

realizzata in gros de Tours liseré lanciato broccato 5 . Oltre alle <strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong><br />

comprensione, la descrizione dei tessuti riportata nei documenti, appare<br />

spesso estremamente concisa: si pensi all’inventario redatto nel 1718, dove,<br />

sono ricordate una pianeta <strong>di</strong> “damasco celeste, guarnita <strong>di</strong> oro falso; una <strong>di</strong><br />

damasco paonasso […]; una <strong>di</strong> spolino d’oro verda, con guarnitione d’oro<br />

file” e, infine “una <strong>di</strong> raso rosa, con guarnitione <strong>di</strong> veluto rosso lavorata con<br />

fiorami d’oro” 6 . Delle 38 pianete menzionate, quasi nessuna 7 è identificabile<br />

con precisione. In un successivo inventario, esteso il 1728, sono citati <strong>di</strong>versi<br />

parati in “mezzo damasco” non meglio precisato 8 . Come sarà stata la pianeta<br />

in “raso fioriro color bianco e rosso” e quella in “tabì lavorato color vinato e<br />

bianco”? Dovevano apparire opulenti “Un’apparato consistente in Peviale,<br />

pianeta, due tonacelle, borsa, velo e contraltare <strong>di</strong> broccato d’oro color bianco<br />

e rosso con guarnizione fina” e gli “altri due piviali <strong>di</strong> consimile manifattura<br />

e colore broccato <strong>di</strong> seta”. Tessuti ricchi, spesso contrad<strong>di</strong>stinti da una<br />

raffinata cromia, come la “pianeta <strong>di</strong> lama brocada d’oro e d’argento color<br />

muschio e bianca”. Sono tonalità che sembrano essere più adatte per la<br />

confezione <strong>di</strong> vesti laiche ed infatti è noto come la maggior parte dei parati<br />

giunti sino ai nostri giorni sia stata realizzata impiegando stoffe provenienti<br />

da abiti donati dai fedeli o acquistati dalle stesse Compagnie religiose 9 . I<br />

tessuti erano beni ricchi e costosi, carichi <strong>di</strong> altissime valenze simboliche, il<br />

cui prezzo poteva superare quello <strong>di</strong> molte altre espressioni artistiche. Il loro<br />

costo era spesso talmente alto, che in alcuni casi più Compagnie si univano<br />

per poter acquistare un arredo: nel 1696, ad esempio, le compagnie <strong>di</strong> San<br />

Giuseppe, della Santissima Trinità e del Santissimo Suffragio acquistarono la<br />

5 ”La pianeta” è conservata nella chiesa parrocchiale <strong>di</strong> Miasino: I tessili nell’età <strong>di</strong> Carlo Bascapè<br />

1994, pp. 317-319, scheda n. 51 <strong>di</strong> F. FIORI.<br />

6<br />

ARCHIVIO STORICO DIOCESANO DI SAVONA-NOLI, Archivio Parrocchiale <strong>di</strong> San Giovanni Battista<br />

<strong>di</strong> Finalmarina, Fondo Archivio della Collegiata Basilica <strong>di</strong> San Giovanni Battista, libro n. 5,<br />

133, Libro della M.ca Masseria D. n. 6, fol. 15.<br />

7 L’unica eccezione è costituita dalla pianeta in damasco fondo marrone broccato (Fig. 4).<br />

8<br />

ARCHIVIO STORICO DIOCESANO DI SAVONA-NOLI, Archivio Parrocchiale <strong>di</strong> San Giovanni Battista<br />

<strong>di</strong> Finalmarina, Fondo Archivio della Collegiata Basilica <strong>di</strong> San Giovanni Battista, 1728,<br />

Inventari, serie 1, Cartella 10, fol. n.n.<br />

9 Si veda da ultimo ARIBAUD 2006. Esplicativa è l’annotazione, estrapolata dal libro dell’Introito<br />

et esito fatto in questa sacrestia, cominciasto l’anno 1576 li 3 Gen. Terminato il 14 marzo 1772. Introito<br />

<strong>di</strong> San Giovanni Battista a <strong>Savona</strong>, dove viene registrato l’acquisto, nel 1757 per 65 lire, <strong>di</strong> una<br />

“andriene negra <strong>di</strong> glo<strong>di</strong>tor in seta lavorata a damasco” (Archivio Storico della <strong>Diocesi</strong> <strong>di</strong><br />

<strong>Savona</strong>-<strong>Noli</strong>, San Giovanni, <strong>Savona</strong>, 2).<br />

244


tappezzeria da un certo Gio Batta Buraggio 10 . Proprio la preziosità della seta<br />

rendeva qualsiasi decoro, anche il più profano, adatto per confezionare i<br />

parati liturgici 11 . Ed ecco che nelle sacrestie giungevano proprio quei drappi<br />

ricercati ed eleganti, dai vaghi decori e dalla raffinata tavolozza cromatica,<br />

nati per assecondare e anticipare le richieste della clientela più raffinata e<br />

esigente, il cui impiego fu spesso oggetto <strong>di</strong> critica da parte della stessa<br />

Chiesa 12 . Questa consuetu<strong>di</strong>ne, estremamente <strong>di</strong>ffusa 13 ovviamente complica<br />

non poco l’analisi dei parati, dal momento che la loro confezione spesso non<br />

coincide con la realizzazione del tessuto. Un esempio è fornito alle 100 lire<br />

versate nel 1751 per “due robbe compra dalla Sig,ra Anna M. Farsi Priora<br />

dell’Immacolata Concezione, una color festechino [?] con rami bianche, e<br />

l’altra amaranto con rami simili” 14 . Le “robbe” potrebbero essere state<br />

realizzare un anno prima, ma anche molti anni ad<strong>di</strong>etro.<br />

La preziosità intrinseca e simbolica delle stoffe ha determinato una<br />

particolare cura nella conservazione dei paramenti, soggetti regolarmente a<br />

lavori <strong>di</strong> manutenzione e rifacimento 15 . Potevano essere sostituiti i galloni, i<br />

pizzi o le fodere e, quando un parato era talmente rovinato da risultare<br />

inservibile, veniva smontato e con la stoffa ancora utilizzabile ne veniva<br />

realizzato uno nuovo. Spesso erano acquistati dei tessuti atti a ripristinare le<br />

opere usurate: solo per citare un esempio, nel 1756 furono spese 8 lire “per<br />

10<br />

ARCHIVIO STORICO DIOCESANO DI SAVONA-NOLI, Archivio Parrocchiale <strong>di</strong> San Giovanni Battista<br />

<strong>di</strong> Finalmarina, Fondo Archivio della Collegiata Basilica <strong>di</strong> San Giovanni Battista, libro n. 3, 131,<br />

Libro de Conti della insigne Collegiata che principia l’anno 1693 segnato C Termina l’anno 1713, fol. 25.<br />

11 Si deve sottolineare come, in assenza <strong>di</strong> precisi riferimenti religiosi, non sia così semplice e<br />

imme<strong>di</strong>ato riconoscere un tessuto prodotto per la Chiesa da quelli realizzati per l’arredo e<br />

l’abbigliamento e solo a partire dalla seconda metà del Settecento che le <strong>di</strong>fferenze fra i <strong>di</strong>versi<br />

settori iniziano ad essere più marcate ed evidenti (sul ornement d’église cfr. BUSS 1983; ROTHSTEIN<br />

1983, pp. 74-78; ARIBAUD 1998, pp. 125-129); un para<strong>di</strong>gmatico esempio <strong>di</strong> tale <strong>di</strong>fficoltà è offerto<br />

dalle <strong>di</strong>verse interpretazioni del decoro <strong>di</strong> un parato conservato a Roncade proposte da<br />

Alessandria Gerome Pauletti - Le stoffe degli Abati. Tessuti e paramenti sacri dell’Abbazia <strong>di</strong><br />

Monastier e dei territori della Serenissima 1997, pp. 60-61, scheda n. 20 <strong>di</strong> A. GEROMEL PAULETTI -<br />

e da GIUSEPPE CANTELLI - CANTELLI 2000, pp. 27-28. Che i confini fra i <strong>di</strong>versi ambiti d’uso siano<br />

labili e incerti è attestato dalla richiesta <strong>di</strong> affittare le tappezzerie <strong>di</strong> Santa Croce a Cuneo<br />

avanzata nel 1708 da una compagnia teatrale (BOVENZI 2007, pp. 287-288).<br />

12 Si veda da ultimo BUTAZZI eMORINI 2000; MUZZARELLI 2011, pp. 73-83.<br />

13 Solo a titolo esplicativo, per la Liguria e soprattutto per Genova, si veda CATALDI GALLO 2000,<br />

p. 71.<br />

14<br />

ARCHIVIO STORICO DIOCESANO DI SAVONA-NOLI, Archivio Parrocchiale <strong>di</strong> San Giovanni Battista<br />

<strong>di</strong> Finalmarina, Fondo Archivio della Collegiata Basilica <strong>di</strong> San Giovanni Battista, libro n. 5,<br />

133, Libro della M.ca Masseria D. n. 6, fol. 86.<br />

15 Cfr. PERTEGATO 1998, pp. 84-86; JOLLY 2002, pp. 380-383; ARIBAUD 2006, pp. 35-36.<br />

245


comprare delle rettaglie <strong>di</strong> stoffa da un ebreo per far rassettare le pianete” 16 .<br />

Sfortunatamente questa brano suscita molti più dubbi <strong>di</strong> quante certezze<br />

possa offrire. Che tipologia <strong>di</strong> stoffa sono state acquistate, quale era la loro<br />

provenienza e soprattutto quanto erano antiche? Rifacimenti che continuano<br />

fino ad anni non troppo <strong>di</strong>stanti, come attesta il caso della pianeta in<br />

cannellato broccato <strong>di</strong> Finale ripristinata da Domenico Viesi, attivo a Cles nel<br />

XX secolo (Fig. 13) 17 , il cui nome è legato al “restauro” <strong>di</strong> numerosi paramenti<br />

conservati in un’ampia area dell’Italia settentrionale e centrale 18 . Un<br />

intervento invasivo, realizzato a punto catenella, che oggi, fortunatamente,<br />

non sarebbe più fattibile e tanto meno concepibile, simbolo <strong>di</strong> una cultura più<br />

attenta ad una esaustiva lettura del parato e ad una sua fruibilità, piuttosto<br />

che ad una corretta conservazione del tessuto.<br />

Un altro problema relativo allo stu<strong>di</strong>o dei parati è quello legato alla<br />

provenienza delle stoffe. Generalmente, soprattutto quando si analizza il<br />

patrimonio tessile <strong>di</strong> una regione con una forte e vivace tra<strong>di</strong>zione<br />

manifatturiera, quale la Liguria, si è propensi ad attribuire le opere a<br />

manifatture locali. Un’ipotesi che, in alcuni casi, appare scorretta.<br />

Nel 1621 è registro l’acquisto <strong>di</strong> “brasse 18 <strong>di</strong> damasco bianco e cremesile<br />

comprato da Gio Batta Riva <strong>di</strong> Milano per un paramento”, pagato poco più <strong>di</strong><br />

103 lire 19 . Milano, fra Cinque e Seicento, assunse un ruolo <strong>di</strong> primissimo piano<br />

per la produzione <strong>di</strong> ricami e <strong>di</strong> tessuti <strong>di</strong> lusso ricercati in tutta Europa 20 .<br />

Questi sono gli anni durante i quali la città lombarda produceva una particolare<br />

tipologia <strong>di</strong> damaschi per l’arredo e la Chiesa, il cui decoro è definito da un<br />

vaso fiorito posto fra maglie definite da tralci fronzuti e da foglie 21 . Che sia<br />

proprio questo <strong>di</strong>segno, eseguito in innumerevoli varianti, ad essere quello<br />

acquistato? La scelta <strong>di</strong> Milano potrebbe riflettere la volontà <strong>di</strong> acquisire<br />

16<br />

ARCHIVIO STORICO DIOCESANO DI SAVONA-NOLI, Archivio Parrocchiale <strong>di</strong> San Giovanni Battista<br />

<strong>di</strong> Finalmarina, Fondo Archivio della Collegiata Basilica <strong>di</strong> San Giovanni Battista, libro n. 5,<br />

133, Libro della M.ca Masseria D. n. 6, fol. 99.<br />

17 L’etichetta a telaio, presenta fondo in taffetas giallo e la scritta eseguita in rosso:<br />

DOMENOCO VIESI/ CLES - TRENTINO.<br />

18 Cfr. Visibile pregare 2001, p. 234, scheda n. 91 <strong>di</strong> T. BOCCHERINI; Tessuti e Ricami Sacri. I Paramenti<br />

della Basilica della Beata Vergine <strong>di</strong> Tirano 2006, p. 198, scheda n. 17 <strong>di</strong> G.L. BOVENZI.<br />

19<br />

ARCHIVIO STORICO DIOCESANO DI SAVONA-NOLI, Archivio Parrocchiale <strong>di</strong> San Giovanni Battista<br />

<strong>di</strong> Finalmarina, Fondo Archivio della Collegiata Basilica <strong>di</strong> San Giovanni Battista, libro n. 1,<br />

129, 1606 sino all’anno 1645, fol. n.n.<br />

20 Si veda da ultimo Seta Oro Incarna<strong>di</strong>no 2011.<br />

21<br />

COLOMBO 1994; COLOMBO 2011. Tale <strong>di</strong>segno potrebbe essere stato realizzato anche da altre<br />

manifatture, come suggerisce FIORI 2004.<br />

246


manufatti <strong>di</strong> altissimo prestigio, oppure potrebbe esser messa in relazione ad<br />

un committente con stretti rapporti con tale centro. Ovviamente si è dato per<br />

scontato che l’acquisto dalla città milanese implicasse anche la realizzazione<br />

del damasco dalle sue note manifatture, ma se così non fosse? È ad esempio<br />

datato 1628 un campionario “de drappi forestieri che si trovano presso<br />

mercanti” <strong>di</strong> Milano 22 . Di solito si presuppone che il luogo <strong>di</strong> acquisto coincida<br />

con quello <strong>di</strong> realizzazione, ma, sfortunatamente, non sempre era così. Una<br />

circolazione <strong>di</strong> opere, come anche <strong>di</strong> artisti e <strong>di</strong> modelli grafici, che <strong>di</strong> sicuro<br />

non semplifica gli stu<strong>di</strong>.<br />

Non meno articolata è la corretta interpretazione <strong>di</strong> un’annotazione,<br />

presente in un inventario <strong>di</strong> Finale esteso nel 1728, che registra “un’apparato<br />

per il Presbiterio, o sia Tapezzaria <strong>di</strong> broccatello alla Veneziana color cremesi,<br />

gialdo e bianco, con suo friso color verde, gialdo e bianco” 23 . Per la tappezzeria<br />

è stato impiegato un broccatello, un tessuto che, per la presenza della trama<br />

<strong>di</strong> fondo in fibra vegetale, appariva più corposo, pesante e resistente e quin<strong>di</strong><br />

particolarmente adatto per l’arredamento 24 . Rimane ancora da chiarire come<br />

mai è stato specificato “alla Veneziana”. Forse per in<strong>di</strong>care un particolare<br />

decoro o tecnica? Oppure era una copia <strong>di</strong> un tessuto realizzato a Venezia,<br />

uno fra i centri tessili più noti e attivi? 25<br />

In relazione alla provenienza dei tessuti si deve, inoltre, ricordare, il ruolo<br />

egemone conquistato dalla Francia fin dal regno <strong>di</strong> Luigi XIV. Parigi <strong>di</strong>venne<br />

la capitale della moda e la clientela più raffinata esigeva non solo che le fogge<br />

delle vesti e degli apparati d’arredo riprendessero quello lanciato dalla corte<br />

francese, ma che provenissero dalle rinomate botteghe oltralpine anche le<br />

stoffe 26 . Un atteggiamento, magistralmente ironizzato in non poche comme<strong>di</strong>e<br />

<strong>di</strong> Carlo Goldoni, che ha portato ad un vero e proprio predominio delle<br />

manifatture francesi e in particolare della Grande Fabrique lionese. Sebbene<br />

ancora nel quarto decennio del Settecento i francesi tentassero <strong>di</strong> carpire i<br />

segreti per la tessitura dei damaschi e dei velluti genovesi, la cui qualità era<br />

22 MARABELLI 1986; BUSS 2011, pp. 52-57.<br />

23 ARCHIVIO STORICO DIOCESANO DI SAVONA-NOLI, Archivio Parrocchiale <strong>di</strong> San Giovanni Battista<br />

<strong>di</strong> Finalmarina, Fondo Archivio della Collegiata Basilica <strong>di</strong> San Giovanni Battista, 1728,<br />

Inventari, serie 1, Cartella 10, fol. n.n.<br />

24 CUOGHI COSTANTINI 1981, pp. 33-40.<br />

25 Diffusissima era la pratica della copia, come illustra un <strong>di</strong>segno del Musée des Arts Décoratifs<br />

che porta la scritta “primo marzo 1765. Copiato da un campione <strong>di</strong> Francia avuto da Gaillard”<br />

(cfr. THORNTON 1965, tav. 96B).<br />

26 Sull’affermazione della Francia in ambito tessile è <strong>di</strong> fondamentale importanza PONI 1993.<br />

247


ancora superiore, numerosi parati attestano come circolassero e fossero<br />

richieste le stoffe francesi 27 . Comunque Genova appare come centro <strong>di</strong><br />

riferimenti per molti degli acquisti approntati dalla parrocchiale <strong>di</strong> Finale,<br />

dove, ad esempio, venne or<strong>di</strong>nata nel 1620 una preziosa croce in argento (si<br />

veda l’intervento, in questo volume, <strong>di</strong> Laura Facchin), così come nel 1693 è<br />

inoltre registrato il versamento <strong>di</strong> oltre lire 197 per sei pianete, “due negre,<br />

due bianche e due panasse fatte fare in Genova” 28 .<br />

Al <strong>di</strong> là del silenzio dei documenti e dei numerosi problemi posti dallo<br />

stu<strong>di</strong>o dei tessili, la collegiata <strong>di</strong> Finale custo<strong>di</strong>sce, con estrema attenzione e<br />

cura, un ricco e interessante patrimonio tessile. Questa non è la sede per una<br />

catalogazione completa, ma sono stati brevemente presentati solo alcuni pezzi<br />

collocati far il XVII e il XIX secolo. Tante sono ancora le domande prive <strong>di</strong> una<br />

risposta certa, ma si spera che, con la loro pubblicazione, molti <strong>di</strong> questi dubbi<br />

trovino risoluzione.<br />

Il Seicento<br />

Sullo scorcio del XVI secolo si assiste alla nascita <strong>di</strong> tessuti ideati<br />

appositamente per l’abbigliamento, ove alle imponenti e maestose<br />

composizione <strong>di</strong> matrice rinascimentale, ancora prodotte per l’arredo e la<br />

Chiesa, iniziarono ad essere pre<strong>di</strong>letti decori dalle <strong>di</strong>mensioni più minute e<br />

ridotte 29 . Sulle stoffe si stagliano piccoli motivi vegetali, interpretati in chiave<br />

stilizzata o naturalistica, rametti fioriti e fronzuti, palmette o elementi<br />

meramente geometrici. Sono <strong>di</strong>segni che rispecchiano e riflettono un nuovo<br />

gusto e una nuova sensibilità, da legare non solo al mutamento delle fogge<br />

vestimentarie e alla <strong>di</strong>ffusione della moda spagnola (una moda contrassegnata<br />

da una costruzione sartoriale molto più complessa, ove intervengono<br />

numerosi tagli e pinces), ma anche ai cambiamenti nel panorama politico e<br />

economico. I numerosi esempi riconducibili fra l’ultimo ventennio del Cinque<br />

e il primo quarto del Seicento testimoniano una produzione estremamente<br />

27<br />

ORSI LANDINI, CATALDI GALLO 2000, p. 102. Solo a titolo esemplificativo per Genova si veda<br />

Il Museo 1999; Arte e lusso 2000.<br />

28<br />

ARCHIVIO STORICO DIOCESANO DI SAVONA-NOLI, Archivio Parrocchiale <strong>di</strong> San Giovanni Battista<br />

<strong>di</strong> Finalmarina, Fondo Archivio della Collegiata Basilica <strong>di</strong> San Giovanni Battista, libro n. 3, 131,<br />

Libro de Conti della insigne Collegiata che principia l’anno 1693 segnato C Termina l’anno 1713, fol. 5.<br />

29 Assai ampia è la bibliografia relativa ai decori tessili per l’abbigliamento fra l’ultimo ventennio<br />

del XVI e il primo quarto del XVII secolo, fra i testi più significativi ed esaurienti si segnalano<br />

BAZZANI 1993 e gli interventi <strong>di</strong> Roberta Orsi Lan<strong>di</strong>ni in Velluti e moda 1999.<br />

248


vivace, in grado <strong>di</strong> rispondere alle nuove esigenze del mercato con manufatti<br />

mai uguali a loro stessi, in cui sempre più rilevante è l’originalità del decoro.<br />

Il valore del tessuto non è solo dato dalla sua intrinseca preziosità, dal costo<br />

delle materie prime o dalla complessità della lavorazione, ma anche dal<br />

<strong>di</strong>segno o da ine<strong>di</strong>ti accostamenti cromatici 30 . Una ricerca <strong>di</strong> novità che<br />

spingerà i tessitori a proporre con ritmi sempre più serrati insoliti decori o <strong>di</strong><br />

declinare in formule sempre nuove anche quelle composizioni molto <strong>di</strong>ffuse.<br />

È a questo clima culturale che appare riconducibile il gros de Tours lanciato<br />

con il quale è stata confezionata una pianeta (Fig. 1). Il tessuto è decorato da<br />

un sinuoso nastro dorato che corre in senso orizzontale sul fondo <strong>di</strong> un<br />

brillante verde 31 . L’apparente monotonia del decoro è evitata facendo<br />

assumere al nastro un andamento sinuoso, creando quasi l’effetto <strong>di</strong> raffinati<br />

archi ogivali. Una stoffa sicuramente pensata per l’abbigliamento e che<br />

proprio all’abbigliamento sembra ispirarsi, riprendendo il tema dei galloni e<br />

nastri che, a metri, venivano applicati sugli abiti e <strong>di</strong> cui spesso risultavano<br />

essere gli unici decori. Inoltre il tessitore ha strutturato il <strong>di</strong>segno in modo tale<br />

che fosse utilizzabile anche capovolto, secondo una consuetu<strong>di</strong>ne che si<br />

sviluppa proprio in questi anni e che permette un notevole risparmio <strong>di</strong><br />

tessuto 32 . L’alta qualità del taffetas lanciato, da collocare far la fine del XVI e<br />

gli inizi del XVII secolo, suggerisce una manifattura <strong>di</strong> primissimo piano che,<br />

in assenza <strong>di</strong> precise attestazioni documentarie, non può essere identificata.<br />

Se appare quasi ovvio immaginare Genova come centro <strong>di</strong> riferimento per i<br />

tessuti più importanti, gli acquisti effettuati anche a Milano suggeriscono una<br />

certa cautela.<br />

Simili dubbi suscita anche un’altra pianeta <strong>di</strong> Finale (Fig. 2). Per la sua<br />

confezione è stato scelto un raffinato lampasso lanciato 33 , decorato da rombi,<br />

campiti a scacchiera, inseriti entro maglie ovali aperte composte da due<br />

tipologie <strong>di</strong> barrette ad andamento contrapposto. Con un sapiente e raffinato<br />

gioco <strong>di</strong> incastri, il tessitore è riuscito a creare una composizione raffinata,<br />

impiegando un numero limitato <strong>di</strong> elementi geometrici, e con un effetto<br />

complessivo <strong>di</strong> grande <strong>di</strong>namicità, trasformando le barrette in un’elica,<br />

30 ORSI LANDINI 1999b.<br />

31 Presso il Kunstgewerbemuseum der Stadr <strong>di</strong> Colonia è conservato un tessuto che per tecnica<br />

e decoro appare abbastanza simile a quello <strong>di</strong> Finale, sebbene contrad<strong>di</strong>stinto da una struttura<br />

decorativa più ricca (MARKOWSKY 1976, p. 231, scheda n. 263).<br />

32 ORSI LANDINI 1999a, p. 91.<br />

33 Nel tessuto la trama lanciata in argento filato (anima in seta bianca) è legata da un or<strong>di</strong>to <strong>di</strong><br />

legatura in seta bianca, quasi invisibile ad occhio nudo.<br />

249


secondo un gusto che ritorna in manufatti pressoché coevi 34 . Un tessuto da<br />

ricondurre agli anni a cavallo fra il Cinque e il Seicento 35 , pensato e ideato per<br />

l’abbigliamento, come suggerisce il <strong>di</strong>segno a minuto rapporto e la reversibilità<br />

del decoro. Il lampasso è caratterizzato da un cromatismo estremamente<br />

raffinato: uno fra i colori più amati fra il Cinque e il Seicento, il rosa 36 , è<br />

declinato in una tonalità piena e corposa e la sua luminosità è esaltata dalla<br />

trama in argento. Ma possiamo solo immaginare gli innumerevoli effetti <strong>di</strong><br />

luce creati da una veste confezionata con questo tessuto: ad ogni movimento,<br />

ogni taglio, ogni piega, aumentava o <strong>di</strong>minuiva la luce sulla superficie<br />

riflettente e lucida del metallo; <strong>di</strong> volta in volta appariva o scompariva un<br />

singolo dettaglio, creando stupore e meraviglia negli occhi dell’osservatore.<br />

Sfortunatamente il raffinato donatore risulta essere ancora anonimo non<br />

essendo stato possibile identificare lo stemma (Fig. 3), realizzato con una<br />

tecnica molto raffinata. Le <strong>di</strong>verse parti sono in telette d’argento, mentre i<br />

dettagli sono eseguiti in seta azzurra, arancione, verde e nera; cordoncini<br />

creati in seta verde, aragosta e blu avvolta intorno a oro filato; in oro lamellare,<br />

oro filato e canutiglia dorata. Un ricamo uscito da una bottega <strong>di</strong> primissimo<br />

piano, da ricondurre alla Liguria o, come si è visto per i tessuti, anche ad un<br />

altro centro, come la vicina Milano.<br />

L’idea che la preziosità delle stoffe sia legata soprattutto all’originalità del<br />

<strong>di</strong>segno contrad<strong>di</strong>stinguerà tutta la successiva produzione e, con ritmi sempre<br />

più celeri, le manifatture proponevano nuovi <strong>di</strong>segni o accostamenti<br />

cromatici, andando a rileggere in chiave sempre <strong>di</strong>versa e originale il<br />

repertorio ornamentale ere<strong>di</strong>tato dal passato. Ed ecco che, nell’ultimo quarto<br />

del Seicento, il tema del rametto fiorito e fronzuto, che si staglia dagli sfon<strong>di</strong><br />

fin dall’ultimo ventennio del XVI secolo, viene riprodotto in forme più mosse<br />

e vivaci, inserendolo fra intricati tralci, non privi <strong>di</strong> echi esotici, secondo un<br />

gusto che trova una para<strong>di</strong>gmatica attestazione nel damasco broccato<br />

impiegato per una pianeta <strong>di</strong> Finale (Fig. 4). Come spesso accade in tessuti<br />

simili 37 , il decoro è strutturato in bande verticali, richiamandosi ai tessuti<br />

34 Sulla ricerca <strong>di</strong> <strong>di</strong>namicità e movimento nei tessuti <strong>di</strong> questi anni si veda ORSI LANDINI 1999b,<br />

p. 60.<br />

35 Tessuti simili per gusto e struttura compositiva sono pubblicati in La Collezione Gan<strong>di</strong>ni. Tessuti<br />

dal XVII al XIX secolo 2010, pp. 276-277, schede n. 313-314 <strong>di</strong> D. DIGILIO.<br />

36 Sul rosa cfr. BUSS 2011, pp. 54-55.<br />

37 Per confronti si veda THORNTON 1965, pp. 93, 157-158, tavv. 22C e 24B; MARKOWSKY 1976, p. 274,<br />

scheda n. 432; La Collezione Gan<strong>di</strong>n 1993, pp. 177-181, schede nn. 245-254; Vesti liturgiche 1999, p.<br />

84, scheda n. 37; <strong>di</strong> D. DIGILIO; Tessuti, ricami 2008. pp. 49-51, scheda n. 20 <strong>di</strong> G.L. BOVENZI.<br />

250


esotici che iniziavano a riscuotere un notevole successo 38 . Queste bande sono<br />

ottenute non solo dai motivi creati dalle trame broccate in oro e argento filato,<br />

ma anche dal <strong>di</strong>segno <strong>di</strong> controfondo in damasco, definito dalla<br />

contrapposizione della faccia trama del raso da 8 con il gros de Tours: il<br />

tessitore crea una successione <strong>di</strong> piani che permette <strong>di</strong> articolare nello spazio<br />

il <strong>di</strong>segno. Un’opera <strong>di</strong> altissimo livello, da ricondurre ad una manifattura<br />

forse italiana attiva nell’ultimo quarto del Seicento. Non è dato sapere quale<br />

fosse il suo impiego originale 39 , ma entrò molto presto a far parte degli arre<strong>di</strong><br />

della Basilica, dal momento che è molto probabilmente riconoscibile nella<br />

pianeta “fondo caffè, fiorami bianchi, con oro fino” menzionata in un<br />

inventario esteso nel 1718 40 .<br />

Il gusto per ornati sempre più <strong>di</strong>namici ed esuberanti, che percorre tutto<br />

il Seicento, contrassegna anche i tessuti destinati all’arredo e alla Chiesa;<br />

settori generalmente più tra<strong>di</strong>zionali e in cui i cambiamenti sono molto più<br />

lenti e meno repentini 41 . Un esempio <strong>di</strong> questo orientamento è offerto dai<br />

damasci decorati con cespi <strong>di</strong> foglie e fiori stilizzati, <strong>di</strong> cui si sono conservate<br />

due versioni in damasco rosso e viola (Fig. 5). Il motivo è quello dei tronchetti<br />

fioriti e fronzuti, ma tradotto in forme gigantesche che si espandono sullo<br />

sfondo, assumendo moduli decorativi adatti ad essere visti da lontano, come<br />

accadeva per l’arredamento laico e religioso. Non solo il <strong>di</strong>segno si è<br />

ingran<strong>di</strong>to, ma nel continuo ripiegarsi delle foglie e sovrapporsi dei rami si è<br />

cercato <strong>di</strong> celare, se non annullare, la struttura compositiva basata su una<br />

griglia geometrica. La volontà <strong>di</strong> <strong>di</strong>segni sempre più vivaci ha pervaso anche<br />

la resa dei singoli elementi, in cui si susseguono motivi a palma, foglie<br />

lanceolate, fiori a calice o a ombrello non più identificabili e tradotti in forme<br />

meramente decorativa. Rimane aperto il problema della datazione: tali decori<br />

38 Para<strong>di</strong>gmatico è il successe delle “vesti da camera” confezionate con tessuti esotici o che, nei<br />

decori, richiamassero la produzione tessile orientale, come illustra l’incisione del 1695<br />

raffigurante “Monsieur le Noble” (l’incisione è pubblicata in GORGUET-BALLESTREROS 1996, p.<br />

130); sulla <strong>di</strong>ffusione delle vesti da camera si veda, unitamente al già citato testo <strong>di</strong> GORGUET-<br />

BALLESTREROS, BELLEZZA ROSINA 1995, pp. 223-225; BUTAZZI 1998, pp. 37-38; BUTAZZI 2003, pp.<br />

344-345; EGLER, GORGUET-BALLESTREROS, MAEDER 2005, pp. 63-64.<br />

39 Si deve sottolineare come la confezione non segue esattamente l’andamento del <strong>di</strong>segno,<br />

ma non è dato sapere se questo errore sia dovuto ad un rifacimento della pianeta o sia stato<br />

presente fin dall’origine.<br />

40 ARCHIVIO STORICO DIOCESANO DI SAVONA-NOLI, Archivio Parrocchiale <strong>di</strong> San Giovanni Battista<br />

<strong>di</strong> Finalmarina, Fondo Archivio della Collegiata Basilica <strong>di</strong> San Giovanni Battista, libro n. 5,<br />

133, Libro della M.ca Masseria D. n. 6, fol. n.n.<br />

41 SILVESTRI 1993, p. 27; ORSI LANDINI 1999c, p. 106.<br />

251


vennero prodotti per un lasso <strong>di</strong> tempo molto ampio che copre tutto il<br />

Seicento e la prima metà del secolo successivo. La <strong>di</strong>mensione del <strong>di</strong>segno<br />

suggerisce una datazione almeno alla seconda metà del XVII; collocazione<br />

confermata dal confronto con opere molto simili 42 . Circa la manifattura, i<br />

numerosi acquisti documentati a Genova fanno propendere per<br />

un’attribuzione alla città ligure, dove è documentata la realizzazione <strong>di</strong> questa<br />

tipologia <strong>di</strong> tessuti 43 , probabilmente definita “damaschi a tre fiori” 44 , sebbene<br />

drappi simili venissero prodotti anche in altri centri, come Lucca 45 .<br />

Il Settecento<br />

Il XVIII secolo si apre con una tipologia ornamentale che per vivacità,<br />

stravaganza e originalità non quasi trova paragone nel panorama tessile<br />

europeo: il “bizarre” 46 . Sui tessuti si stagliano strane figure, assur<strong>di</strong> fiori e piante<br />

che si inseguono, si intrecciano e si sovrappongono unitamente a motivi<br />

geometrici e puramenti astratti. L’osservatore è proiettato in un mondo irreale<br />

e fantastico, dove qualsiasi legge <strong>di</strong> proporzione o prospettica è annullata o<br />

stravolta. Se i riferimenti sono al mondo esotico, non si copiano<br />

pe<strong>di</strong>ssequamente i motivi decorativi desunti dalle sete, dai paraventi, dalle<br />

stampe o dalle porcellane provenienti dalla Turchia, dall’Asia, dalla Cina o dal<br />

Giappone, ma sono interpretati e riletti dai <strong>di</strong>segnatori europei, quasi nella<br />

volontà <strong>di</strong> rendere ancora più irreale un vocabolario ornamentale che, agli occhi<br />

degli occidentali, doveva apparire tanto seducente quanto incomprensibile. È<br />

un mondo talmente assurdo e fantastico che una stu<strong>di</strong>osa <strong>di</strong> altissima levatura,<br />

quale Doretta Davanzo Polo, ha ipotizzato, non senza una notevole dose <strong>di</strong><br />

ironia, che questi <strong>di</strong>segni siano il frutto <strong>di</strong> menti offuscate da alcol e droghe 47 .<br />

42 Un confronto stringente è istituibile con un cuscino della collezione tessile della Galleria<br />

Nazionale <strong>di</strong> Palazzo Spinola <strong>di</strong> Genova (Arte e lusso 2000, p. 219, scheda n. 35 <strong>di</strong> F. PIOLA).<br />

43<br />

CATALDI GALLO 1992, cap. II, pp. 10-16; ORSI LANDINI, CATALDO GALLO 2000, pp. 102, 108;<br />

CARMIGNANI 2005, pp. 127-128.<br />

44 Sull’interpretazione del termine “a tre fiori” si veda; ORSI LANDINI, CATALDO GALLO 2000, pp.<br />

102, 108.<br />

45 Molto vicino ai damaschi <strong>di</strong> Finale appare, ad esempio, quello del Museo Nazionale <strong>di</strong><br />

Palazzo Mansi a Lucca pubblicato, con attribuzione a Lucca in La seta. Tesori <strong>di</strong> un’antica arte<br />

lucchese. Produzione tessile a Lucca dal XIII al XVIII secolo 1989, p. 68, scheda n. 37 <strong>di</strong> D. DEVOTI.<br />

Tessuti simili sono stati attribuiti anche a Venezia (Le stoffe degli Abati 1997, p. 35, scheda n. 3 <strong>di</strong><br />

A. GEROMEL PAULETTI).<br />

46 Sul bizzarre si veda da ultimo ACKERMANN 2000; ORSI LANDINI 2006; MILLER 2006.<br />

47<br />

DAVANZO POLI 2001, p. 154.<br />

252


Esemplifica questa produzione la pianeta in damasco verde della Basilica<br />

<strong>di</strong> Finale (Fig. 6). Sullo sfondo campito con un motivo a rete si stagliano enormi<br />

foglie, motivi vegetali non meglio riconoscibili e una sorta <strong>di</strong> conchiglia che<br />

sembra essere <strong>di</strong> pizzo e merletto, uniti, secondo un gusto che inizia ad<br />

emergere dal 1705 circa, a elementi più riconoscibili e “naturali”, come un<br />

carnoso fiore. Il senso <strong>di</strong> estraneamento dato dall’assurda composizione è<br />

sottolineato dalla notevole altezza del modulo decorativo (73,5 cm) che non<br />

ne permette una completa lettura. Inoltre la scelta del damasco (armatura che<br />

ritorna nella maggior parte dei tessuti bizzarre, spesso però con trame<br />

broccate) aumenta la <strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong> percezione del <strong>di</strong>segno. Basta un movimento,<br />

una piega, o un riflesso troppo forte o troppo debole per non far apparire<br />

all’osservatore il decoro. Saremmo propensi ad ipotizzare che un tessuto simile<br />

provenga da una raffinata veste laica offerta da un fedele estremamente<br />

aggiornato e alla moda 48 , ma parati ricamati con decori “bizarre” fanno<br />

immaginare che tale tipologia ornamentale fosse appositamente richiesta<br />

anche per la Chiesa 49 . I paramenti liturgici non solo erano un elemento <strong>di</strong><br />

fondamentale importanza all’interno della liturgia, andando a raffigurare la<br />

Maestà <strong>di</strong>vina e, nel contempo, a <strong>di</strong>stinguere i ministri dai fedeli e a<br />

<strong>di</strong>fferenziare il ruolo gerarchico dei celebranti, i riti e i tempi liturgici 50 , ma<br />

simboleggiavano anche la cultura e lo status sociale del donatore. L’alto valore<br />

rappresentativo dei parati ha perciò determinato che il benefattore scegliesse,<br />

per la loro confezione, i materiali più ricchi e sontuosi, resi ancora più preziosi<br />

da decori ine<strong>di</strong>ti e innovativi che seguivano i ritmi sempre più veloci della<br />

moda. Rimane irrisolto anche il problema dell’attribuzione, dal momento che<br />

i tessuti “bizzarre” vennero sicuramente prodotti dalla maggior parte dei centri<br />

tessili. L’alta qualità tecnica e del decoro fa propendere per un centro <strong>di</strong> primo<br />

piano: se, ad esempio, la Liguria e in particolare Genova era rinomata proprio<br />

per la fabbricazione dei damaschi 51 , agli inizi del Settecento, come si è<br />

precedentemente accennato, la Francia e in particolare Lione acquisiva un<br />

ruolo egemone nella fabbricazione <strong>di</strong> tessuti serici. Sfortunatamente il <strong>di</strong>segno<br />

48 Si ricorda che con tessuti simili venivano realizzati abiti femminili, ma anche vesti da camera<br />

maschili, così come tessuti “bizarre” venivano ricercati anche per l’arredamento (JOLLY 2005,<br />

pp. 76-80, 94-96, schede nn. 7 e 12).<br />

49 Numerose attestazioni sono pubblicate in Magnificenza 2000; per un esempio geograficamente<br />

più vicino alla Liguria si veda Tessuti e ricami 2006, pp. 176-180, scheda n. 8 <strong>di</strong> G.L. BOVENZI.<br />

50 CHENIS 2004.<br />

51 ORSI LANDINI, CATALDO GALLO 2000, pp. 103-104.<br />

253


non appare un elemento fondante per poter determinare la provenienza <strong>di</strong><br />

un tessuti, essendo una pratica <strong>di</strong>ffusa e frequente quella <strong>di</strong> copiare i <strong>di</strong>segni<br />

dei tessuti più richiesti dalla clientela 52 .<br />

Nel Libro della Massaseria veniva registrata, nel 1755, la spesa <strong>di</strong> oltre 23<br />

lire per una “pianeta <strong>di</strong> stofa col fondo caffè chiaro con rami <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi colori donata<br />

all’Immacolata Concezione da noi fatta fare la medema p. servizio della Chiesa” 53 .<br />

Molto probabilmente fu donato il tessuto con la quale è stata confezionata la<br />

pianeta, impreziosita da galloni in due altezze “d’argento falso in seta <strong>di</strong><br />

Geneva” 54 , da riconoscere in quella in raso liseré ancora conservata (Fig. 7). Il<br />

decoro è definito da bouquet policromi incorniciati da piccoli alberi, carichi<br />

<strong>di</strong> enormi fiori e grappoli <strong>di</strong> bacche, retti da zolle che si stagliano sull’irreale<br />

e bi<strong>di</strong>mensionale fondo marrone. Il <strong>di</strong>segno è ispirato alla formule<br />

ornamentali che informano i tessuti prodotti intorno al quarto decennio del<br />

XVIII secolo, quando si ricerca una rappresentazione veritiera, naturalistica<br />

e pittorica degli elementi decorativi; una raffigurazione resa possibile<br />

dall’introduzione, nel 1732-1733 circa, del point rentré, definito anche berclè 55 .<br />

Grazie a questo sistema <strong>di</strong> tessitura, ideato, secondo alcune fonti<br />

settecentesche, da Jean Revel, che consiste nel far rientrare la trama <strong>di</strong> un<br />

colore nella trama del colore contiguo, fu possibile creare l’illusione <strong>di</strong> un<br />

passaggio graduale fra i <strong>di</strong>versi toni del <strong>di</strong>segno, quasi un ombreggiatura<br />

spolinata, suggerendo all’osservatore la tri<strong>di</strong>mensionalità dei decori. Con<br />

estremo vigore plastico dagli sfon<strong>di</strong> emergono non solo fiori, frutti e motivi<br />

vegetali, ma anche elementi architettonici, sculture e paesaggi. Un<br />

naturalismo che, però, risulta essere solo apparente: i fiori o i frutti, spesso,<br />

sono mutuati dal fantastico vocabolario “bizarre” e sembrano reali perché<br />

rappresentati come tali. Inoltre gli elementi sono accostati in composizioni<br />

fuori proporzione e fuori scala, ove, ad esempio, enormi fiori o frutti<br />

sembrano nascondere minuscoli paesaggi o costruzioni, capovolgendo<br />

qualsiasi regola prospettica. I tessuti più complessi e articolati, in cui i <strong>di</strong>segni<br />

sono definiti da decine <strong>di</strong> trame broccate, sono riferiti alla manifattura<br />

52 Si veda l’esempio citato in nota 25.<br />

53 ARCHIVIO STORICO DIOCESANO DI SAVONA-NOLI, Archivio Parrocchiale <strong>di</strong> San Giovanni Battista<br />

<strong>di</strong> Finalmarina, Fondo Archivio della Collegiata Basilica <strong>di</strong> San Giovanni Battista, libro n. 5,<br />

133, Libro della M.ca Masseria D. n. 6, fol. n.n.<br />

54 ARCHIVIO STORICO DIOCESANO DI SAVONA-NOLI, Archivio Parrocchiale <strong>di</strong> San Giovanni Battista<br />

<strong>di</strong> Finalmarina, Fondo Archivio della Collegiata Basilica <strong>di</strong> San Giovanni Battista, libro n. 5,<br />

133, Libro della M.ca Masseria D. n. 6, fol. n.n.<br />

55 Si veda in particolare JOLLY 2002.<br />

254


francese e specificatamente lionese 56 , ma tessuti con decori “alla Revel”<br />

dovettero essere prodotti anche dalle altre manifatture, in grado <strong>di</strong> replicare<br />

anche il complesso point rentré 57 , senza arrivare però ad eguagliare la Grande<br />

Fabrique. Appare molto probabile leggere il raso <strong>di</strong> Finale come<br />

un’interpretazione italiana dei più rinomati e costosi tessuti francesi,<br />

riprendendo i motivi peculiari, quale l’albero carico <strong>di</strong> enormi corolle, ma<br />

declinati con una tecnica meno raffinata e ricercata. Un tessuto, da ricondurre<br />

al 1735-1745 circa, nato verosimilmente per l’abbigliamento, come<br />

suggeriscono il particolare tono del fondo e il confronto con il tessuto scelto<br />

per la veste indossata da una raffinata dama ritratta da Filippo Falciatore nella<br />

tela rappresentante il Trattenimento in giar<strong>di</strong>no 58 .<br />

Una qualità molto più alta informa invece il bel gros de Tours liseré<br />

broccato impiegato per confezionare una pianeta (Fig. 8) 59 . Il ruolo svolto<br />

dall’elemento floreale, indagato con estrema attenzione micrografica e la scelta<br />

<strong>di</strong> un decoro <strong>di</strong> controfondo a minuti motivi geometrici, rimandano alla<br />

produzione “alla Revel”, ma si allontana da questa per la struttura compositiva<br />

apparentemente <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>nata, in cui i fiori sembrano essere stati casualmente<br />

sparsi sul can<strong>di</strong>do fondo, secondo un gusto che segna la produzione della<br />

metà del Settecento; torno <strong>di</strong> anni durante i quali i decori sono declinati in<br />

forme aeree e delicate 60 . Un tessuto che non è stato ideato per la Chiesa, ma<br />

che proviene da una veste verosimilmente femminile, commissionata da una<br />

dama estremamente raffinata e che, per i propri acquisti più importanti, si<br />

rivolgeva alle manifatture più rinomate a alla moda, come dovevano essere<br />

quelle francesi.<br />

56 Solo a titolo esplicativo, si ricorda il parato in “stoffa verde <strong>di</strong> Lione con fiorami guarnite<br />

d’argento fino fatte fare dalle robbe della q. Ill.ma Elleonora Mari in 1744” del Santuario <strong>di</strong><br />

Nostra Signora <strong>di</strong> Misericor<strong>di</strong>a <strong>di</strong> <strong>Savona</strong> (cfr. Il Museo del Santuario <strong>di</strong> N.S. della Misericor<strong>di</strong>a<br />

1999, pp. 53-54, scheda n. 36 <strong>di</strong> M. TASSINARI).<br />

57 Presenta il point rentré uno fra i pochi tessuti ascrivibili con certezza a Torino, il damasco<br />

broccato realizzato nel 1768 per la SS. Annunziata <strong>di</strong> Torino (BOSCHINI, QUAZZA, RAPETTI, 1990).<br />

58 Feste 2010, pp. 48-51. Scheda n. 10 <strong>di</strong> M. PRIARONE.<br />

59 La pianeta presenta la colonna anteriore in gros de Tours liseré broccato, decorato con un<br />

motivo definito da gran<strong>di</strong> mazzi <strong>di</strong> fiori, da collocare intorno al 1720-1730 e da ascriver ad<br />

ambito francese (per confronti si veda BOVENZI 2008, p. 471). Sulla faccia anteriore è inoltre<br />

impiegato un frammento <strong>di</strong> pékin broccato (sul fondo avorio, ripartito in bande eterogenee in<br />

cannetillé e cannellato, si staglia un ricco mazzo <strong>di</strong> fiori in sete policrome e ciniglia crema)<br />

databile al 1770-1780 circa.<br />

60 BUSS 1992, p. 75. Un significativo esempio è pubblicato in I tesori salvati <strong>di</strong> Montecassino. Antichi<br />

tessuti e paramenti sacri 2004, p. 122, scheda n. 47 <strong>di</strong> M.P. PETTINAU VESCINA.<br />

255


È sempre alla Francia che la critica ha ricondotto l’ideazione della<br />

tipologia decorativa “a meandro” 61 , a cui si può riferire un nutrito corpus <strong>di</strong><br />

parati. Il motivo “a meandro”, nato per l’abbigliamento, è contrad<strong>di</strong>stinto<br />

dall’andamento sinuoso e serpentino dei decori, da tralci fiori e fronzuti a<br />

racemi, da rami a boa <strong>di</strong> piume e pelliccia. Nella prima fase <strong>di</strong> questa<br />

tipologia ornamentale sono apprezzate strutture ariose, come attesta<br />

l’elegante raso aragosta liseré broccato in argento lamellare e filato (Fig. 9),<br />

in cui lievi rami fioriti, non privi <strong>di</strong> echi esotici, si ricorrono sullo sfondo<br />

animato da un minuto controfondo definito da boccioli <strong>di</strong>sposti a scacchiera.<br />

Un tessuto realizzato da una manifattura <strong>di</strong> primissimo piano, la cui attività<br />

può essere ricercata sia in Italia che in Francia.<br />

Ai lievi decori ricercati fra il 1750 e il 1760, si pre<strong>di</strong>ligeranno, nel decennio<br />

successivo, <strong>di</strong>segni più opulenti; una ricchezza che si traduce non solo in<br />

strutture più articolate, ma anche in armature ricche, spesso con or<strong>di</strong>ti <strong>di</strong> pelo,<br />

filati complessi e ricercati effetti <strong>di</strong> testurizzazione. A tale orientamento appare<br />

riconducibile il sontuoso cannellato broccato (Fig. 10), dove il <strong>di</strong>segno<br />

nasconde quasi completamente il fondo <strong>di</strong> un’insolita tonalità grigia. Non<br />

senza abilità, il tessitore ha imitato l’effetto <strong>di</strong> un nastro arricciato sul quale<br />

corre un esile tralcio fiorito che ne riprende l’andamento serpentino; le anse<br />

create dal decoro sono occupate da un ramo nodoso che regge fiori <strong>di</strong> rosa<br />

policromi. Secondo un gusto ampiamente attestato 62 , sulla stoffa sono<br />

riprodotti elementi sartoriali, come i nastri che, a metri, venivano applicati<br />

sulle vesti sia maschili che femminili. Una volontà <strong>di</strong> stupire e ingannare<br />

l’osservatore, facendo apparire reale elementi che in realtà erano ottenuti col<br />

telaio. Disegni che spesso <strong>di</strong>alogavano con reali applicazioni ed ecco che lo<br />

spettatore si domandava se quel nastro era vero o solo abilmente “<strong>di</strong>segnato”<br />

con decine <strong>di</strong> trame broccare, atte a riprodurre anche il più lieve effetto<br />

luminoso o il motivo <strong>di</strong> un delicato pizzo <strong>di</strong>steso sulla seta. Effetti <strong>di</strong> tromp<br />

d’oil esaltati dalla confezione degli stessi abiti, dove, fra cuciture, pinces, pieghe,<br />

sovrapposizioni, nastri e pizzi, l’illusione e la realtà si univano e si<br />

intrecciavano. Purtroppo non è dato sapere se il prezioso cannellato sia uscito<br />

da una manifattura francese o sia una raffinata replica <strong>di</strong> un centro italiano.<br />

61 Sul motivo a meandro si rimanda a THORNTON 1965, pp. 125-134; CUOGHI COSTANTINI 1985,<br />

pp. 51-52; Il <strong>di</strong>segno a meandro nelle sete broccate 1990; ORSI LANDINI 2003, pp. 388-389; CARMIGNANI<br />

2005, p. 214.<br />

62 Sulla <strong>di</strong>ffusione del tema del nastro si veda, ad esempio, I paramenti tra storia e tutela 1996,<br />

pp. 176-177, scheda n. 65 <strong>di</strong> M. LUNAZZI MANSI; ROTHSTEIN 1990, p. 153, n. 271.<br />

256


Non meno stupefacente per ricchezza risulta essere il gros de Tours<br />

broccato impiegato per confezionare una pianeta (Figg. 11-12): il fondo ècru è<br />

completamente ricoperto da trame broccate in oro riccio e lamellare, <strong>di</strong>sposte<br />

a bande. Dal fondo dorato si stagliano due meandri in argento filato e lamellare<br />

che, intrecciandosi fra loro, creano maglie mistilinee che incorniciano<br />

margherite policrome. Se, nel cannellato, è anche il <strong>di</strong>segno a rendere opulento<br />

il tessuto, in questo caso è esclusivamente il massiccio impiego <strong>di</strong> trame<br />

metalliche a impreziosire il drappo. Uno sfarzo sottolineato dall’impiego del<br />

clinquant, un particolare sistema <strong>di</strong> tessitura che consiste nell’alternare fra loro<br />

le <strong>di</strong>verse tipologie dei filati metallici. Appare molto probabile che il fastoso<br />

tessuto, frutto <strong>di</strong> una manifattura <strong>di</strong> primissimo piano attiva in Francia, sia nato<br />

per l’abbigliamento e impiegato per una veste da corte oppure un sontuoso<br />

abito da sposa, non troppo lontano, ad esempio, da quello indossato dalla<br />

principessa <strong>di</strong> Danimarca Sofia Maddalena nel 1766 63 . Non si deve però<br />

<strong>di</strong>menticare che tessuti altrettanto opulenti erano richiesti anche per la Chiesa,<br />

sebbene la tipologia ornamentale “a meandro”, almeno nel Settecento, fu<br />

prodotta per usi laici e civili 64 , come illustrano il lampasso liseré broccato della<br />

chiesa Collegiata <strong>di</strong> Santa Maria ad Arona, acquistato nel 1771 65 e il taffetas<br />

operato broccato del Museo della Basilica <strong>di</strong> Gan<strong>di</strong>no 66 , <strong>di</strong> poco precedente,<br />

entrambi ascritti a Lione. Tessuti la cui ricchezza raffigurava la potenza <strong>di</strong> chi<br />

li possedeva: chiaro emblema <strong>di</strong> status simbol e che, in ambito religioso,<br />

manifestava lo splendore del <strong>di</strong>vino e della stessa Chiesa. Potrebbe essere letto<br />

come il riutilizzo <strong>di</strong> un drappo proveniente da una veste laica anche il<br />

cannellato broccato <strong>di</strong> un’altra pianeta <strong>di</strong> Finale (Fig. 13). Sul can<strong>di</strong>do fondo<br />

ripartito in minute costine orizzontali si staglia un ramo carico <strong>di</strong> minuti fiori<br />

policromi 67 : come già osservato per altri manufarri, l’osservatore era ingannato<br />

63<br />

HOHÈ 2005, p. 121.<br />

64 Nel corso del XIX secolo preziose e ricche riproduzioni dei tessuti “a meandro”, <strong>di</strong> una<br />

qualità talmente alta da farle apparire come originali, trovano una notevole fortuna in ambito<br />

ecclesiastico, come attesta il gros de Tours liseré broccato lanciato, databile alla metà<br />

dell’Ottocento scelto per confezionare parati della Basilica del Santo <strong>di</strong> Padova (Basilica del<br />

Santo. I tessuti 1995, pp. 130-131, scheda n. 108 <strong>di</strong> D. DAVANZO POLI), della Cappella della SS.<br />

Sindone <strong>di</strong> Torino (Il Tesoro 2010, p. 97, scheda n. 41 <strong>di</strong> G.L. BOVENZI) e del Santuario <strong>di</strong> Oropa<br />

(LEBOLE 1998, p. 383).<br />

65 Tessuti antichi nelle Chiese <strong>di</strong> Arona 1981, pp. 194-198, scheda n. 22 <strong>di</strong> M. CUOGHI COSTANTINI.<br />

66<br />

BUSS 1983.<br />

67 Il tema del meandro tradotto come ramo fiorito ha riscosso un notevole fortuna in ambito<br />

tessile: fra i numerosi esempi si può citare la pianeta conservata nella chiesa <strong>di</strong> Santa Croce a<br />

Cuneo (BOVENZI 2007, pp. 287, 289), città i cui legami con Genova e la Liguria, per l’acquisto <strong>di</strong><br />

tessuti <strong>di</strong> pregio sono noti.<br />

257


dal tessitore, dal momento che, alla luce incerta e in continuo movimento delle<br />

candele, il fiore realizzato con trame broccate poteva essere confuso con quello<br />

vero, oppure sempre in seta e applicato sulle vesti femminile. L’opera partecipa<br />

al gusto per stoffe sontuose che percorre il settimo decennio del Settecento,<br />

anche se iniziano ad emergere quelle istanze estetiche che, nel giro <strong>di</strong> pochi<br />

anni, sfoceranno nel neoclassicismo. Il motivo a serpentina assume, infatti, un<br />

andamento più rettilineo e meno sinuoso, così come sempre più rilievo<br />

acquista il fondo. Sono cambiamenti appena percettibili, ma che appaiono<br />

evidenti se si confronta questo manufatto con tessuti sicuramente riconducibili<br />

al decennio precedente.<br />

L’Ottocento<br />

Generalmente la critica trascura il patrimonio tessile della seconda metà<br />

dell’Ottocento: oramai per l’arredo ecclesiastico si pre<strong>di</strong>ligono poche tipologie<br />

ornamentali, soventemente ere<strong>di</strong>tate dai secoli precedenti e declinate in<br />

limitate varianti, realizzate da <strong>di</strong>tte specializzate in arre<strong>di</strong> liturgici. Fanno<br />

eccezione i manufatti legati allo storicismo 68 , spesso talmente fedeli agli<br />

originali da creare non pochi problemi per una corretta collocazione<br />

cronologica, o qualche raro esempio <strong>di</strong> opera da ricondurre ad uno specifico<br />

orientamento estetico piuttosto che alla coeva produzione artistica religiosa.<br />

Si può inserire in questo secondo gruppo la coppia <strong>di</strong> pianete in damasco<br />

ricamato (Fig. 14-16). Il tessuto, <strong>di</strong> un delicato color avorio, è decorato da<br />

peonie, fiori stilizzati, motivi geometrici e a nuvola <strong>di</strong> chiara derivazione<br />

orientale; sul damasco è un ricamo in seta policroma, oro e argento filato a<br />

punto pittura, punto piatto, punto spaccato e punto posato. Il <strong>di</strong>segno del<br />

ricamo, che non segue quello del tessuto <strong>di</strong> fondo, è definito da un mondo<br />

popolato da strani e bizzarri motivi vegetali e floreali, bacche e melograni<br />

stilizzati, frutti simili a pere e rami <strong>di</strong> corallo fra cui volano piccole farfalle e<br />

da uccelli, forse delle fenici. Appare chiaro il riferimento al mondo orientale e<br />

in particolare al Giappone: le due pianete aderiscono appieno al fenomeno<br />

del Japonisme che contrad<strong>di</strong>stingue l’Occidente dagli anni Settanta<br />

dell’Ottocento fino ai primi decenni del XX secolo 69 . E ci piace immaginare<br />

68 Per una bibliografia <strong>di</strong> riferimento si veda Il genio della tra<strong>di</strong>zione. Otto secoli <strong>di</strong> velluti a Venezia;<br />

la Tessitura Bevilacqua 2004; CARMIGNANI 2005, pp. 279-291; D’ARCANGELO 2007.<br />

69 Per la bibliografia si veda FANELLI, FANELLI, 1976; Japonisme et mode 1996; JACOBSON, 1999, pp.<br />

211-227; WICHMANN 2001; PIOVAN 2002; VALLINI, 2002. Un <strong>di</strong>vertente esempio è pubblicato da<br />

KRAAK 2003.<br />

258


come un raffinato fedele, che, come esigeva la moda, arredava le proprie<br />

stanze con eleganti porcellane, lacche e manufatti <strong>di</strong> origine nipponica o che<br />

si ammantava in kosode, con i quali potevano essere realizzati anche abiti <strong>di</strong><br />

foggia occidentale, secondo un gusto illustrato da numerose vesti e dal ritratto<br />

<strong>di</strong> Madame Eliot, <strong>di</strong>pinto da Auguste Renoir nel 1882 70 , abbia deciso <strong>di</strong> donare<br />

proprio alla sua Chiesa un tessuto <strong>di</strong> verosimile fattura giapponese con il quale<br />

realizzare le pianete 71 . Così come si può ipotizzare che il parato provenga da<br />

una missione attiva proprio in Estremo Oriente. Un gusto e una consuetu<strong>di</strong>ne<br />

che non appaiono come delle eccezioni: non solo, in anni pressoché paralleli,<br />

le clarisse <strong>di</strong> Mazamet ricamavano parati <strong>di</strong> gusto esotico 72 , ma non sono così<br />

rari parati avvicinabili a quello <strong>di</strong> Finale. Pianete aggiornate al Japonisme sono<br />

conservate presso il santuario <strong>di</strong> Tirano 73 , ma soprattutto bisogna menzionare<br />

la veste liturgica conservata presso Sant’Ambrogio a Cuneo che, come quelle<br />

<strong>di</strong> Finale, sembra essere stata confezionata con un kosode giapponese 74 .<br />

Le pianete appaiono come una para<strong>di</strong>gmatica attestazione del ruolo e<br />

dell’importanza assunto dall’arredo tessile nel definire, al pari <strong>di</strong> altre forme<br />

artistiche considerate “più nobili”, l’orientamento estetico e culturale, il<br />

prestigio e la fede dei committenti e dei donatori.<br />

70 Si veda in particolare FUKAI 1996.<br />

71 L’impiego <strong>di</strong> manufatti orientali per l’arredo ecclesiastico non è ovviamente peculiare del<br />

XIX secolo, per esempi settecenteschi si rimanda a Il museo <strong>di</strong> Arte Sacra a Certaldo 2001, p. 73,<br />

scheda n. 138 <strong>di</strong> T. BOCCHERINI; PETITCOL 2002; CIAMPINO 2004-2005; PACHECO FERRERIA 2005.<br />

72 Textiles 2003, p. 92, scheda n. 35 <strong>di</strong> C. ARIBAUD.<br />

73 Tessuti e Ricami 2006, pp. 226-228, scheda n. 28 <strong>di</strong> G. L. BOVENZI.<br />

74 “La pianeta” è pubblicata in Intessendo il Museo 2007, p. 46.<br />

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263


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ORSI LANDINI R. 2006, Esotismo e libertà: il rinnovamento del linguaggio tessile fra Sei<br />

e Settecento, in Seta. Potere e glamour. Tessuti e abiti dal Rinascimento al XX secolo,<br />

catalogo della mostra <strong>di</strong> Caraglio a cura <strong>di</strong> R. ORSI LANDINI, Cinisello Balsamo,<br />

pp. 58-69.<br />

Tessuti e ricami sacri. I paramenti della basilica della Beata Vergine <strong>di</strong> Tirano, catalogo<br />

della mostra <strong>di</strong> Tirano, a cura <strong>di</strong> C. GHIBAUDI, B. CIAPPONI LANDI, Sondrio 2006.<br />

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Carità svelata. Il patrimonio storico artistico della Confraternita e dell’Ospedale <strong>di</strong> Santa<br />

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CURATOLA G. 2007, Tessuti e tappeti a Venezia e il ruolo dei mercanti ebrei nel loro<br />

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XX secolo, in “Dec Art”, n. 7, pp. 14-45.<br />

264


Fig. 1<br />

265<br />

Fig. 2<br />

Fig. 3 Fig. 4


Fig. 5 Fig. 6<br />

Fig. 7 Fig. 8<br />

266


Fig. 9 Fig. 10<br />

Fig. 11 Fig. 12<br />

267


Fig. 13 Fig. 14<br />

Fig. 15 Fig. 16<br />

268


La devozione della gente <strong>di</strong> mare a Finale<br />

Rosalina Collu<br />

269<br />

“Chi haverà per protettor Sant’Ermo /<br />

potrà <strong>di</strong>r tener buon scudo et elmo”:<br />

Rituali per esorcizzare il mare<br />

Esorcizzare il mare, esorcizzare il male: le fortune <strong>di</strong> mare, infestato da mostri<br />

ancestrali o fantastici, pronti a risalire alla superficie e a ghermire i naviganti,<br />

causa <strong>di</strong> per<strong>di</strong>zione materiale e spirituale, è stata nelle epoche passate<br />

esorcizzata con precisi rituali, tra<strong>di</strong>zionalmente <strong>di</strong>ffusi tra la gente <strong>di</strong> mare,<br />

retaggio <strong>di</strong> antiche credenze e <strong>di</strong> superstizioni mantenutesi vive nel corso del<br />

tempo, in cui convivevano elementi <strong>di</strong> fede autentica e <strong>di</strong> superstizione e<br />

atavico timore del liquido elemento: <strong>di</strong> essi fornisce una interessante e<br />

dettagliata documentazione il manoscritto seicentesco finalese “Pro Capella<br />

Sancti Thermi” (Fig. 1) 1 redatto da don Boiga nel 1642 per la locale consorzia<br />

dei Patroni <strong>di</strong> barca, costituitasi nella parrocchiale <strong>di</strong> San Giovanni Battista e<br />

titolata al loro santo patrono, che <strong>di</strong>ffusamente tratta dei principali rime<strong>di</strong><br />

spirituali usati contro gli spiriti maligni che infestano il mare, per placarne i<br />

gorghi tempestosi.<br />

Questo importante manoscritto, segnalato da monsignor Leonardo Botta 2 ,<br />

esposto e restaurato in occasione delle manifestazioni giubilari del 2000 nella<br />

mostra La Devozione e e il mare sulle coste savonesi 3 , è stato oggetto <strong>di</strong> recente<br />

stu<strong>di</strong>o da parte <strong>di</strong> Valeria Polonio 4 , che evidenzia nel volume “un compen<strong>di</strong>o <strong>di</strong><br />

nozioni <strong>di</strong> geografia e astronomia, storia della nautica, organigramma e compiti a bordo<br />

delle navi, spiegazioni <strong>di</strong> carattere scientifico per esperienze imme<strong>di</strong>ate dei committenti:<br />

venti, maree, correnti, magnetismo, salinità dell’acqua marina e mo<strong>di</strong> per renderla<br />

dolce, mal <strong>di</strong> mare, rime<strong>di</strong>, fuochi <strong>di</strong> Sant’Elmo, presi<strong>di</strong> per i fulmini notizie su<br />

1 MS Pro Capella Sancti Thermi in Ecclesia Sancti Johannis Plebaniae Finarii, sec. XVII, (1647-<br />

1669), volume manoscritto cartaceo, <strong>Savona</strong>, Archivio Storico Diocesano, già nell’Archivio<br />

Parrocchiale della Collegiata <strong>di</strong> San Giovanni Battista a Finalmarina, Comune <strong>di</strong> Finale Ligure.<br />

2 Sul manoscritto finalese cfr. BOTTA s.d.; COLLU 1999.<br />

3<br />

COLLU 2001.<br />

4<br />

POLONIO 2008.


assicurazioni e noli, naufragi e per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> merci, secondo il <strong>di</strong>ritto laico e quello<br />

canonico, norme morali e comportamentali, doveri del capitano e soprattutto aspetti<br />

legati alla pastorale religiosa post-tridentina”.<br />

Il manoscritto fu redatto da don Pier Giovan Francesco Boiga nel 1646 per<br />

conto della confraternita dei Padroni <strong>di</strong> Barche finalesi, sorta nel 1617, per<br />

raccogliere le notizie esatte sul nome e la festa del loro santo protettore, e in<br />

particolare sul culto e la figura <strong>di</strong> San Termo o Ermete.<br />

Don Boiga, dopo un anno <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o per definire la personalità del santo<br />

patrono, raccoglie “molte altre cose degne a sapersi da navicelari” e prosegue il<br />

lavoro <strong>di</strong> ricerca fino al 1669, all’età <strong>di</strong> 83 anni, compilando una sorta <strong>di</strong><br />

zibaldone-manuale, ampio per varietà e quantità <strong>di</strong> dati. Originalità e<br />

ricchezza connotano questo elaborato composito e <strong>di</strong>scorsivo per naviganti,<br />

utile a terra e in mare, <strong>di</strong> cui larga parte riguarda gli aspetti devozionali, anche<br />

verso San Nicola, interessante proprio perché la sua sostanza proviene “dal<br />

basso”, come <strong>di</strong>retta espressione della gente <strong>di</strong> mare, e non “dall’alto” delle<br />

istituzioni ecclesiastiche. Sono utilizzati come fonti autori classici e del primo<br />

Me<strong>di</strong>oevo (Plinio il Vecchio, Isidoro <strong>di</strong> Siviglia, Gregorio Magno), del<br />

Me<strong>di</strong>oevo avanzato (Giovanni Balbi, Antonio <strong>di</strong> Firenze), autori più tar<strong>di</strong> e<br />

suoi contemporanei, come il poligrafo Luigi Groto, noto come “Il Cieco<br />

d’Adria”, Giovanni Camillo Maffei, Alfonso <strong>di</strong> Villegas, annalisti <strong>di</strong> età<br />

moderna, autori <strong>di</strong> storia e <strong>di</strong> geografia (Sebastiano Munster), o perfino<br />

letterati come l’Ariosto, da cui si cita l’espressione “le <strong>di</strong>siate luci <strong>di</strong><br />

Sant’Ermo”, unite a documenti d’archivio, con importanti testimonianze per<br />

la storia della marineria. Tra le fonti spicca Bartolomeo Crescenzio, autore della<br />

“Nautica Me<strong>di</strong>terranea”.<br />

Credenze relative al potere taumaturgico dei santi intercessori, simili a<br />

quelle evidenziate dal manoscritto finalese, erano <strong>di</strong>ffuse presso i marinai <strong>di</strong><br />

tutto il Me<strong>di</strong>terraneo, come ha rilevato Mollat Du Jour<strong>di</strong>n 5 nel suo stu<strong>di</strong>o<br />

sull’Europa e il mare.<br />

E sono proprio i santi protettori dei patroni <strong>di</strong> barca finalesi, San Nicola e<br />

Sant’Erasmo, a campeggiare al <strong>di</strong> sopra della veduta <strong>di</strong> Finale <strong>di</strong>pinta nella<br />

parrocchiale da Fer<strong>di</strong>nando Glazar, pittore cartografo “alamanno” al servizio<br />

degli Spagnoli. I due santi furono affrescati da Giovanni Battista Merano con<br />

Santa Chiara d’Assisi nella cappella sinistra del transetto, la cui prima pietra,<br />

veniva posta nel 1657, mentre “tutti li patroni <strong>di</strong> barca che sono <strong>di</strong> presente in<br />

questa spiaggia marittima hanno sparato li loro mascoli e petreri”.<br />

5 MOLLAT DU JOURDIN 1993, p. 242.<br />

270


Nel 1693 Domenico Bocciardo (1686-1746) raffigurava Sant’Erasmo, in<br />

adorazione della Madonna Bambina, cui un putto offre simbolicamente un<br />

modello <strong>di</strong> veliero (Fig. 2). San Thermo vescovo, “molto propicio e compassionevole<br />

a’ naviganti, con un torchio acceso in mano quale significa la luce che le porge nelli loro<br />

naufragii” è raffigurato con San Nicola vescovo <strong>di</strong> Mira “assai pietoso e favorevole<br />

a’ marinari” anche nel manoscritto del 1647 “Pro Capella Sancti Termi. in Ecclesiam<br />

Sancti Johannis Plebania Finarii” (fol. 2 r.), fatto re<strong>di</strong>gere a don Boiga per avere<br />

notizie sul suo santo protettore su espressa richiesta della Compagnia dei<br />

patroni <strong>di</strong> Barche (Fig. 1), costituitasi nel 1617 sotto il titolo <strong>di</strong> Sant’Hermete<br />

allo scopo <strong>di</strong> fondare una cappella “per la loro salute, protettione e sovenimento<br />

celeste delli loro inestricabili et amari pericoli, procellose navigazioni, torbi<strong>di</strong>ssime<br />

tempeste e violenti naufragi”(fol. 8r.) nonché per “sovenire li poveri marinari ne le<br />

loro necesità, ne le loro infirmità et a poverelli famelici e pieni <strong>di</strong> <strong>di</strong>saggio, e maritare<br />

povere citelle”.<br />

Il nome del patrono viene fatto rettificare in quello <strong>di</strong> San Termo nell’atto<br />

del notaio Vincenzo Celesia del 1618, in cui si precisano i fini della Compagnia,<br />

che doveva essere sovvenzionata con il pagamento della quarta parte della<br />

ren<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> ogni viaggio, e quin<strong>di</strong> dopo 5 anni, <strong>di</strong> un’ottava parte. Le ren<strong>di</strong>te<br />

erano annotate in un apposito registro della Compagnia che fornisce anche<br />

interessanti notizie sulle rotte e sui traffici del patroni finalesi; questi avevano<br />

intensificato i loro commerci durante la dominazione spagnola, che ne aveva<br />

liberalizzato i traffici marittimi e li aveva, tra l’altro, esentati dalle gabelle sul<br />

sale imposte dai genovesi, consentendo loro <strong>di</strong> spingersi sulle rotte verso la<br />

Toscana, il Lazio, la Corsica, la Sardegna, la Provenza, la Spagna, l’Africa e<br />

l’Asia Minore, con carichi che testimoniano scambi <strong>di</strong> derrate alimentari come<br />

olio, vino, agrumi, mandorle, ortaglie e grano, ma anche <strong>di</strong> prodotti, quali<br />

solfuro e allume, utilizzati come materia prima nelle varie attività artigianali.<br />

Il manoscritto redatto dal canonico della Marina <strong>di</strong> Finale Pier Giovanni<br />

Boiga, frutto delle sue ricerche eru<strong>di</strong>te, costituisce dunque una sorta <strong>di</strong> summa<br />

marineriae, ricavata dalla conoscenza <strong>di</strong> numerosi autori classici, me<strong>di</strong>evali e<br />

coevi a carattere umanistico e scientifico, i cui testi egli aveva forse potuto<br />

consultare presso le biblioteche dei domenicani a Finalborgo e quella olivetana<br />

<strong>di</strong> Finalpia, nonché da elementi e testimonianze <strong>di</strong>rettamente raccolti dalla<br />

gente <strong>di</strong> mare, volti in particolare a precisare l’esatto nome del santo titolare<br />

della Compagnia (fol. 13-32), variamente identificato con Santi Erasmo<br />

vescovo <strong>di</strong> Formia e San Termo vescovo <strong>di</strong> Sicilia, e la ricorrenza del suo giorno<br />

festivo (fol. 9-19).<br />

271


Preceduto dal <strong>di</strong>stico: “Chi haverà per protettor Sant’Ermo / potrà <strong>di</strong>r tener<br />

buon scudo et elmo”(fol. 1 recto), lo scritto <strong>di</strong> don Boiga, <strong>di</strong> cui estrapoliamo<br />

alcuni passi significativi, offre un interessante spaccato della vita religiosa e<br />

socio-culturale del Seicento a Finale, in cui sono leggibili precisi riferimenti<br />

al contesto socio economico locale. Vi sono infatti raccolte notizie sulle<br />

credenze, sulle devozioni, sugli eventi miracolosi indotti attraverso pratiche<br />

rituali e “i rime<strong>di</strong> spirituali contro la tempesta, procella e la fortuna marittima,<br />

cagionata per arte magica da maligni spiriti” provenienti dall’abisso (fol. 19),<br />

esorcizzate con l’aiuto delle potenze benefiche. Sono in particolare citate le<br />

preghiere e le invocazioni in cui atavici elementi <strong>di</strong> superstizione, comuni alla<br />

gente <strong>di</strong> mare, si innestano sulla fede nella intercessione dei Santi e della<br />

Vergine per il raggiungimento della salvezza materiale e morale, pratica<br />

particolarmente raccomandata ai fedeli secondo le <strong>di</strong>rettive post-tridentine.<br />

Don Boiga dà inoltre spiegazione del fenomeno detto “Luce <strong>di</strong> San<br />

Thermo” (fol. 29-32), desumendone le cause dalla Nautica Me<strong>di</strong>terranea, trattato<br />

scritto nel 1607 da Bartolomeo Crescenzio. In particolare la luce <strong>di</strong> Sant’Elmo<br />

è ritenuta un segno propizio alla navigazione (fol. 29 e sgg.), specialmente se<br />

appaiono due fiamme, allusive a Castore e Polluce, secondo un significato già<br />

attribuito nell’antichità classica a tale fenomeno.<br />

“Varie definitioni s’assegnano da vari scrittori <strong>di</strong> queste faci, che si accendono in<br />

aria, e <strong>di</strong>scendono sovra l’haste de’ soldati, o le antenne delle navi; alcuni credono che<br />

vi sian nuvoletti rilucenti, altri che siano animaletti splendenti, come le lucciole, e<br />

trascorrenti per l’aria, altri splendor d’occhi spaventati, a cui paia falsamente veder<br />

quel lume, altri picciole finestre concedenti passaggio nell’aria ivi rarificata allo<br />

splendore delle stelle … ma, anticamente s’era una, si chiamava Elena et era infausta;<br />

se due, Castore e Polluce, et era propitia: ma hora sempre si chiama, sia una o due,<br />

come la chiamò l’Ariosto: “La desiata luce <strong>di</strong> Sant’Ermo”… Fu Ermo homo santo,<br />

Vescovo <strong>di</strong> Sicilia, amico de’ naviganti, e morendo in nave in tempesta mentre andava<br />

in Gierusalem, promise, se poteva, dopo morte, aiutar quella nave; e morto lui cessando<br />

la tempesta, e comparendo questa fiamma sopra l’antenna, s’inginocchiarono i<br />

nocchieri, gridando, ecco l’anima, ecco la luce <strong>di</strong> Sant’Ermo” (fol. 39r. - 30v.) - riferisce<br />

don Boiga, citando il poligrafo Luigi Groto, detto “Il cieco d’Adria”.<br />

Sant’Ermete o Erasmo, localmente denominato San Termo, protettore dei<br />

naviganti, è perciò raffigurato con le insegne vescovili e con una fiaccola<br />

accesa, allusiva ai cosiddetti “fuochi <strong>di</strong> Sant’Elmo”, che si verificano nel corso<br />

delle tempeste per l’accumulo <strong>di</strong> elettricità statica sugli alberi delle navi,<br />

ritenuti dai marinai segni della presenza del Santo. Circa questa iconografia<br />

(fol. 35), desunta dalla credenza nelle luci miracolose, e a riprova dell’antichità<br />

272


del culto, si sostiene che anche nel monastero <strong>di</strong> Pia si conservavano vetuste<br />

immagini <strong>di</strong> San Telmo (fol. 13) che “vien depinto con un torchio acceso in mano,<br />

il quale significa la luce et aiuto celeste che porge a’ poveri marinari e naviganti nelli<br />

loro estremi pericoli” 6 .<br />

Prosegue il manoscritto:“I nostri marinari <strong>di</strong>cono che sono i lor Santi particolari<br />

Avvocati, ch’in simili borasche compariscono in loro aiuto, come Sant’Andrea, San<br />

Nicolao e San Pietro Consalvo, cognominato Telmo, dell’or<strong>di</strong>ne de’ pre<strong>di</strong>catori <strong>di</strong> San<br />

Domenico, che da’ marinari in Spagna suol’esser chiamato San Telmo, e simili altri<br />

Santi i quali in tali bisogni sono da loro invocati, et a questo parere de marinari<br />

m’appiglio più volentieri per l’esperienze ch’alla giornata si veggono”. I marinai, per<br />

esorcizzare le insi<strong>di</strong>e del mare, opera del maligno, consideravano molto<br />

propizie le virtù delle reliquie e delle campane. (fol. 13-31r.). Contro il potere<br />

dei demoni che suscitano le tempeste si usava esporre le reliquie “sicut Genue<br />

contra impetum maris reliquae Precursoris admoventur…ac etiam generaliter<br />

campanae, contra aere pulsantur ut recedant demones a strepitu consecratarum Deo<br />

tubarum” (fol. 20). E proprio nel 1648 la “campana minor” <strong>di</strong> Finale è inviata<br />

con una nave ad Albisola e fatta bene<strong>di</strong>re da monsignor Francesco Maria<br />

Spinola, che in quel periodo vi reggeva la sede episcopale mentre era esiliato<br />

da <strong>Savona</strong>, per la bene<strong>di</strong>zione e l’imposizione del nome <strong>di</strong> “Immacolata<br />

Concezione” (fol. 2r. - 21v.).<br />

Si riba<strong>di</strong>sce inoltre che: “Gli “Agnus Dei” <strong>di</strong> cera benedetti hanno invece il potere<br />

<strong>di</strong> liberare da saette, tuoni, fuoco et incen<strong>di</strong>o, dall’onde e dalle tempeste del mare e <strong>di</strong><br />

terra” (fol. 21). “Contro le tempeste e procelle maritime è meravigliosa l’invocatione<br />

<strong>di</strong> San Nicolò vescovo <strong>di</strong> Mira (fol. 21r.), e particolarmente efficaci contro le secche<br />

sono le ampolline della sua manna; a tal proposito si narra <strong>di</strong> un navigante che,<br />

incappato in alcune seccagne <strong>di</strong> Schiavonia, ricordandosi d’aver seco alcune carraffine<br />

della Manna <strong>di</strong> San Nicolò, ne prese una e la calò giù con un filo dalla sommità del<br />

vascello dentro il mare. Subito cominciò l’ampollina a muoversi da per sé et a tirar<br />

seco il naviglio per alcune stradette rivoltose et irritrovabili senza aiuto del Cielo, finché<br />

lo condusse fuora in alto mare e lo liberò da pericolo” (fol. 41). Un altro efficace<br />

intercessore era “Sant’Antonio da Padova, quale nelle gran tempeste <strong>di</strong> mare s’è<br />

veduto stare immobile sopra l’onde, quelle sedare, dar animo ai marinari, e con il<br />

cordone tirare li vascelli a salvamento, che perciò si <strong>di</strong>ce nel suo <strong>di</strong>votissimo responsorio<br />

6 Una delle più antiche immagini <strong>di</strong> devozione marinara in cui ricorre l’iconografia <strong>di</strong><br />

Sant’Erasmo con la fiaccola che si protende, insieme alla Vergine, verso i fedeli oranti imbarcati<br />

sulla nave in balia delle onde fu affrescata del pittore finalese Gabriele Della Cella il 4 marzo<br />

1498 nel Santuario <strong>di</strong> Montegrazie a Imperia.<br />

273


ch’al nome <strong>di</strong> detto glorioso santo cede mare” (fol. 20). A questo proposito in San<br />

Biagio a Finalborgo la statua lignea <strong>di</strong> Sant’Antonio da Padova, opera <strong>di</strong> uno<br />

scultore spagnolo, fu offerta “Dalla Capitana del Governatore don Bernar<strong>di</strong>no,<br />

scampato miracolosamente a un naufragio nel 1646” 7 .<br />

Era consueta anche la pratica <strong>di</strong> gettare in acqua il pane benedetto <strong>di</strong> San<br />

Nicola <strong>di</strong> Tolentino (fol. 22v. e fol. 43), recitando devotamente il Pater Noster,<br />

l’Ave Maria e la Salve Regina a laude della Vergine; la <strong>di</strong>ffusione <strong>di</strong> questa<br />

devozione tra i patroni <strong>di</strong> barca finalesi trova riscontro in quella praticata a<br />

Genova nella chiesa dell’Annunciata <strong>di</strong> Portoria dalla Compagnia dei<br />

Correggiati <strong>di</strong> San Nicolò <strong>di</strong> Tolentino, <strong>di</strong> cui fu priora Camilla Giustiniani, che<br />

risulta rettora nel 1609 anche dell’Ospedale Maggiore. Tra i miracoli del Santo<br />

operati contro mostri degli abissi marini si narra che “Durante il viaggio per<br />

mare <strong>di</strong> un padre agostiniano della provincia <strong>di</strong> Castiglia nel corso <strong>di</strong> una gran<br />

tempesta, subito che fu gettato quel pane nell’acqua cominciarono a u<strong>di</strong>rsi alcuni urli<br />

<strong>di</strong> fiere salvatiche sotto della nave e poi furono visti volare visibilmente uccellacci<br />

gran<strong>di</strong>, negri e spaventosi”.<br />

Nella mentalità popolare è significativa la credenza che i santi avessero il<br />

potere <strong>di</strong> “reprimere il furore de maligni et immon<strong>di</strong> spiriti infernali, spegnere il fuoco<br />

nelle case… quietar l’onde del mare e raffermare i venti, rendere intatte le possessione<br />

delle tempeste, riparare da fulmini… Il grande e potente S. Nicola, tanto favorevole e<br />

pietoso agli nocchieri e marinari, col sacro delle sue intercessioni incatenerà i venti,<br />

abbasserà i flutti, domerà le Carid<strong>di</strong>, frenerà le Scille, aprirà le Sirpi, addormenterà le<br />

Sirene, massefarà le malee, liquefarà gli scogli e seppellirà le remore e gli altri mostri<br />

marini e soprattutto metterà in fuga gli spaventosi corsari”.<br />

Se più realistico appare il timore delle incursioni barbaresche, il<br />

manoscritto testimonia come fossero ancora <strong>di</strong>ffuse nel Seicento le credenze<br />

sui mostri che abitavano l’abisso marino, da cui risalivano le creature più<br />

strane e curiose: “Sono da temersi inoltre i poteri del minutissimo pesce chiamato<br />

Remora, Remirigo, Echino o Tardenavi, (latine Echidneis, Remore, id est mora,<br />

impe<strong>di</strong>mentum)” che, attaccandosi agli scafi delle imbarcazioni, le tratteneva,<br />

malgrado le vele spiegate, “come se ponessero ra<strong>di</strong>ci nella profon<strong>di</strong>ssima arena”.<br />

I marinai dovevano quin<strong>di</strong> liberarsene trafiggendole a colpi <strong>di</strong> tridente.<br />

Tra le credenze popolari, alcuni rime<strong>di</strong> più spiccioli consigliavano <strong>di</strong><br />

attaccare alle vele il legno <strong>di</strong> alloro, <strong>di</strong> vite bianca e <strong>di</strong> fico, o la pelle <strong>di</strong> vitello<br />

marino, <strong>di</strong> iena o “lionza”, per impe<strong>di</strong>re che fossero incen<strong>di</strong>ate dai fulmini,<br />

7 CHILOSI 2001, pp. 98-99.<br />

274


mentre si desumevano dall’osservazione della natura segni premonitori <strong>di</strong><br />

tempesta imminente, come la presenza <strong>di</strong> ricci marini intrecciati, la forma delle<br />

nubi o il canto del gallo in un’ora inconsueta. Tra gli atti <strong>di</strong> devozione,<br />

raccomandati all’epoca ai naviganti nell’ambito dell’ortodossia cattolica, viene<br />

ricordato negli “Avvertimenti alli patroni <strong>di</strong> barche” l’obbligo <strong>di</strong> festeggiare il<br />

precetto festivo per i natanti da cabotaggio che potevano fare scalo, mentre<br />

ne erano esentati i marinai imbarcati sulle galere o sulle navi che facevano<br />

rotta in mare aperto, pur ribadendo che la cosiddetta “messa secca”(fol. 52v.),<br />

non officiata cioè da un sacerdote o cappellano appositamente imbarcato, non<br />

aveva valore per la mancanza <strong>di</strong> consacrazione dell’Eucarestia, <strong>di</strong> cui poteva<br />

considerarsi solo un surrogato. Sulla pratica della “Messe sèche” e della<br />

pastorale dei naviganti nelle norme post-tridentine, si veda il saggio <strong>di</strong> M.<br />

Mollat Du Jour<strong>di</strong>n, L’Europa e il mare 8 .<br />

Come osservato dalla Polonio, don Boiga si pone dunque come “me<strong>di</strong>atore<br />

comprensivo ma fermo tra un mondo <strong>di</strong> arrivo <strong>di</strong> devozioni <strong>di</strong> complessa<br />

origine prosperate sotto le spinte della paura e della solitu<strong>di</strong>ne che non vuole<br />

del tutto scartare e le recenti aspirazioni ecclesiastiche <strong>di</strong> controllo e<br />

ortodossia”. Circa la pratica votiva don Boiga precisa che è un impegno<br />

assunto liberamente, la promessa deve essere rispettata, una volta fatta, come<br />

quella <strong>di</strong> nozze, del suo perdurare testimoniano anche modellini <strong>di</strong><br />

imbarcazione realizzati fino al XIX secolo.<br />

San Termo e San Nicola furono fatti effigiare nella “bella et honorata<br />

ancona,” (fol. 8) commissionata nel 1629 dalla stessa Compagnia degli armatori<br />

finalesi al pittore alamanno Fer<strong>di</strong>nando Glazar, cartografo tedesco impiegato<br />

come architetto militare al servizio degli Spagnoli, per ornare la loro cappella<br />

nella chiesa <strong>di</strong> Sant’Antonio, ex Oratorio dei Bianchi, mentre intercedono per<br />

ottenere la protezione <strong>di</strong>vina per la città <strong>di</strong> Finale raffigurata nella sottostante<br />

veduta del territorio <strong>di</strong> Marina, Borgo e Pia (Fig. 3); questo interessante<br />

scorcio, in cui sono visibili numerose imbarcazioni presso l’arenile, davanti<br />

alla Platea Magna, testimonia l’intenso commercio dei finalesi sulle rotte<br />

me<strong>di</strong>terranee verso la Sardegna, la Corsica e la Provenza, mentre la presenza<br />

delle galee spagnole e genovesi che fanno vela al largo rammenta che il<br />

governatore spagnolo <strong>di</strong> Finale fece progettare a Giuseppe Viacallo la<br />

costruzione <strong>di</strong> un porto fortificato nella rada <strong>di</strong> Varigotti per facilitare i<br />

collegamenti con Milano, assicurati via terra dalla cosiddetta “Strada della<br />

8<br />

MOLLAT DU JOURDIN 1993, pp. 242. e sgg. Per ulteriori notizie sul culto <strong>di</strong> Sant’Erasmo, cfr.<br />

CARDI 2004; GENTRA 1990.<br />

275


Regina”, realizzata dall’ingegner Gaspare Beretta; questo porto, ripristinando<br />

quello carrettesco <strong>di</strong>strutto dai genovesi nel 1341, avrebbe facilitato lo sbarco<br />

<strong>di</strong> navi <strong>di</strong> grosso tonnellaggio, opportuno per ovvi motivi strategici, in “questo<br />

periodo della storia ligure caratterizzato da un complesso intreccio <strong>di</strong> contrasti<br />

militari e commerciali tra le potenze europee” <strong>di</strong> cui anche il Finalese era<br />

teatro. Un altro progetto non realizzato si riferisce alla costruzione <strong>di</strong> un porto<br />

nella marina, mentre ci si limitò a sopperire la necessità col “costruire almeno<br />

due moli <strong>di</strong> 150 palmi quadrati, formando una stabile calata, ove le gallere e li<br />

bastimenti regi e mercantili potevano ancorarvisi et attaccarvi le loro funi alli <strong>di</strong>versi<br />

anelli <strong>di</strong> bronzo”. Durante la dominazione spagnola <strong>di</strong> Finale (1598-1707), in cui<br />

perdurò una situazione <strong>di</strong> pace e equilibrio nelle alleanze con Genova e la<br />

Francia, la città fu più volte visitata dai sovrani iberici; per onorare<br />

solennemente lo sbarco dell’infanta Maria Margherita Teresa, figlia <strong>di</strong> Filippo<br />

II <strong>di</strong> Spagna, fu e<strong>di</strong>ficato nel 1666 l’arco <strong>di</strong> trionfo che spicca tuttora sulla Platea<br />

Magna a commemorarne il passaggio. Se il dominio spagnolo impoverì<br />

l’entroterra, fu tuttavia vantaggioso per lo sviluppo dei commerci, soprattutto<br />

marittimi, favorendo la marineria finalese con l’esenzione delle gabelle<br />

genovesi, tanto da permettere la costruzione nella nuova chiesa della cappella<br />

<strong>di</strong> San Thermo grazie alle contribuzioni dei patroni <strong>di</strong> barche, e da<br />

promuovere l’abbellimento, durante il ’600, della città con fortificazioni,<br />

palazzi, opere artistiche.<br />

A Finale, tra<strong>di</strong>zionalmente legata da rapporti politici e culturali con la<br />

Spagna, invalse l’uso <strong>di</strong> appendere i voti all’altare dell’Immacolata Concezione<br />

nella parrocchiale <strong>di</strong> San Giovanni Battista, Madonna “vestita” all’uso<br />

spagnolesco, come la Vergine del Carmelo <strong>di</strong> San Biagio a Finalborgo e vi è<br />

testimoniata anche la devozione votiva a Santa Teresa d’Avila, cui si riferiscono<br />

tavolette votive e un <strong>di</strong>pinto che la raffigura. Durante la dominazione<br />

spagnola Finale elesse la Vergine patrona della città nel 1657, ancor prima della<br />

proclamazione del dogma dell’Immacolata Concezione (così come avvenuto<br />

a Gaeta), il cui giorno fu <strong>di</strong>chiarato solennemente festivo per il Marchesato<br />

dal 1665 su richiesta <strong>di</strong> Sua Maestà Cattolica Carlo II al papa Alessandro VII.<br />

Nel corso del ’600 le immagini mariane si moltiplicano a significarne la<br />

protezione estesa al <strong>di</strong> sopra della città e della marina, insi<strong>di</strong>ata dalle<br />

pestilenze e dalle incursioni piratesche, “nelle case, nei negozi, nei fondachi, nelle<br />

cabine, nelle vele dei pinchi, delle tartane o dei leu<strong>di</strong>, lungo le vie e le piazze”.<br />

276


L’Immacolata e i Finalesi<br />

Assai venerato dalla gente <strong>di</strong> mare finalese è il simulacro della Vergine<br />

Immacolata scolpita dal Bocciardo (Fig. 4) che già Silla riferiva “per maggior<br />

decoro e ornamento dotata <strong>di</strong> seriche vesti finemente lavorate in oro et argento a<br />

Genova e <strong>di</strong> là portate da Pier Giovanni Burone patrone <strong>di</strong> barca”. La tra<strong>di</strong>zione <strong>di</strong><br />

abbigliare il simulacro della Madonna con ricchi abiti è certamente connessa<br />

alle vicende storiche e politiche del Marchesato finalese e si è ra<strong>di</strong>cata a Finale<br />

nel lungo periodo <strong>di</strong> influenza politica e culturale della Spagna, durato dalla<br />

fine del ’500 al ’700; si tratta, come nel caso della ieratica Madonna del Carmelo<br />

e della più aggraziata settecentesca Madonna del Rosario nella Chiesa <strong>di</strong> San<br />

Biagio a Finalborgo o della più popolaresca Madonna della Cintura a Marina,<br />

<strong>di</strong> effigi, costituite da manichini con un’armatura lignea imbottita, in cui<br />

l’intervento scultoreo e la rifinitura pittorica in policromia si limita a conferire<br />

espressività al volto e alle mani, realizzate in legno, gesso o cera. Queste<br />

Madonne venivano fornite poi <strong>di</strong> veri e propri “corre<strong>di</strong>” <strong>di</strong> abiti, da mutarsi<br />

nelle ricorrenze liturgiche, realizzati, come peraltro in uso per i paramenti<br />

sacri, utilizzando tessili o capi <strong>di</strong> vestiario <strong>di</strong> originaria destinazione profana,<br />

talvolta donati da personaggi <strong>di</strong> rango. Sull’abito indossato dalla Madonna<br />

finalese, realizzato “su misura” e adorno <strong>di</strong> prezioso merletto <strong>di</strong> Fiandre <strong>di</strong><br />

Malines, che ne colloca la datazione nella prima metà del XVIII secolo,<br />

presumibilmente attorno al 1735-1740, come è emerso dallo stu<strong>di</strong>o<br />

conseguente il restauro (Fig. 5), promosso dalla Compagnia <strong>di</strong> San Pietro, è<br />

ricamato un monogramma sormontato da una corona marchionale, che ne<br />

induce a riferire probabilmente la fornitura da parte <strong>di</strong> qualche dama<br />

carrettesca.<br />

“Il simulacro della Madonna, riccamente abbigliato e ornato <strong>di</strong> gioie, era offerto<br />

così, quasi materialmente, alla venerazione dei fedeli nel fastoso e scenografico apparato<br />

barocco dell’altare marmoreo della cappella de<strong>di</strong>cata all’Immacolata nel braccio destro<br />

del transetto della Chiesa, nella cui volta il pittore genovese Giovanni Battista Merano<br />

(1632-1698) aveva affrescato La gloria della Vergine. Precedeva il rito processionale<br />

in occasione della festa dell’Immacolata, la “<strong>di</strong>scesa”, che ancora oggi si effettua la sera<br />

della vigilia dell’otto <strong>di</strong> <strong>di</strong>cembre, su appositi scivoli, pre<strong>di</strong>sposti come i binari <strong>di</strong> un<br />

varo, della venerata effigie, ricondotta dalla <strong>di</strong>mensione sacra e atemporale dell’altare<br />

a quella più tangibile e terrena del culto dei fedeli, che in quella occasione <strong>di</strong> “incontro”<br />

non mancavano <strong>di</strong> esternarle la loro devozione, <strong>di</strong> rinnovare richieste <strong>di</strong> grazie o<br />

sciogliere offerte votive, <strong>di</strong> cui l’intercessione mariana si sarebbe fatta tramite e pegno.<br />

Riservata forse ad alcune pie consorelle, doveva precedere il rito la “vestizione” della<br />

277


Madonna con i veri abiti destinati all’occorrenza liturgica, momento <strong>di</strong> particolare<br />

significazione e insieme <strong>di</strong> affettuosa e colloquiale umanità, che poneva il fedele a <strong>di</strong>retto<br />

contatto con le delicate fattezze del simulacro della Vergine, con la grazia acerba del<br />

sorriso e la dolcezza dello sguardo; seguiva quin<strong>di</strong> la sovrapposizione degli strati degli<br />

indumenti: la camicia profilata <strong>di</strong> merletto, la ricca gonna e il corpetto su cui veniva<br />

apposta la pettorina ricoperta <strong>di</strong> gioie, l’acconciatura della parrucca dai boccoli<br />

inanellati; quin<strong>di</strong> era posto in capo il ricco velo e la corona, fino a trasformare la sacra<br />

bambina, quasi una sorta <strong>di</strong> bambola sacra, nel consueto ieratico simulacro offerto alla<br />

devozione dei fedeli” 9 . A simili tipologie si rifanno anche la Madona della<br />

Cintura, collegata al culto del suffragio e delle anime purganti, oggi in San<br />

Giovanni Battista <strong>di</strong> Finalmarina, ma proveniente dalla chiesa <strong>di</strong> San Carlo 10 ,<br />

e numerose altre nelle chiese del finalese. Nella chiesa <strong>di</strong> San Biagio a<br />

Finalborgo si trovano la ieratica Madonna del Carmelo e la più aggraziata<br />

settecentesca Madonna del Rosario (1763), proveniente dal convento <strong>di</strong> Santa<br />

Caterina o la Madonna del Rosario in San Dalmazio a Monticello (1765), dello<br />

scultore Domenico Vigna: sono effigi costituite da manichini con un’armatura<br />

lignea imbottita, in cui l’intervento scultoreo e la rifinitura pittorica in<br />

policromia si limita a conferire espressività al volto e alle mani, realizzate in<br />

legno, gesso o cera. Si rimanda alla recente analisi <strong>di</strong> Magda Tassinari sulla<br />

Madonna del Carmelo <strong>di</strong> Finalborgo e sulle altre “Madonne vestite” nel<br />

Finalese 11 . Si tratta <strong>di</strong> una particolare raffigurazione mariana, <strong>di</strong>ffusa nella<br />

pietà popolare soprattutto in area iberica, oggetto <strong>di</strong> una coinvolgente<br />

devozione popolare <strong>di</strong> profonda matrice arcaica. Questi simulacri scolpiti solo<br />

nel viso e nelle braccia, sorretti da armature lignee imbottite <strong>di</strong> crine, sono<br />

“manufatti complessi e polimaterici”, che hanno valore antropologico più che<br />

storico artistico. “Il loro significato e valore sono nei gesti e riti che li accompagnano”<br />

come ha osservato la Tassinari, “che evoca un mondo magico religioso in cui la<br />

stoffa, la veste, il corpo, le mani, l’occhio, il sacro, <strong>di</strong>ventano oggetti <strong>di</strong> esperienze<br />

emotive… Il significato simbolico delle vesti e dei doni votivi, <strong>di</strong>segnano una vasta<br />

panoramica religiosa, sociale artistica e antropologica <strong>di</strong> un particolare aspetto della<br />

devozione popolare, rimasto vivo nel corso dei secoli”. Collegati all’originaria<br />

9 COLLU 1999; cfr. SOMMARIVA, CATALDI GALLO 1999; CATALDI GALLO 1999.<br />

10 Il culto fu introdotto nel XVII secolo a Finale da fra Gerolamo Torres dei Gerolamini <strong>di</strong> San<br />

Pietro <strong>di</strong> Pisa, priore del convento e scuola annessi alla chiesa <strong>di</strong> San Carlo, istituendovi la<br />

Confraternita con l’aiuto del governatore spagnolo Agostino Sanuto. La devozione, collegata<br />

a quella del Suffragio, deriva dall’offerta da parte della Madonna della sua cintura a<br />

Sant’Agostino e a Santa Monica, per la liberazione delle anime purganti.<br />

11 Cfr. TASSINARI 2006.<br />

278


funzione <strong>di</strong> statue processionali, i simulacri vestiti si <strong>di</strong>ffondono in Spagna<br />

dal XVI secolo, specie in Andalusia, come il prototipo della Madonna della<br />

Esperanza Macarena <strong>di</strong> Siviglia (1595), che l’abito indossato, arricchito <strong>di</strong><br />

preziosi gioielli, rende splen<strong>di</strong>da immagine simbolica del potere taumaturgico<br />

della veste e del prestigio e della maestà che essa rappresenta. Il loro uso si<br />

<strong>di</strong>ffonde poi grazie alle strette relazioni economiche, politiche e <strong>di</strong><br />

interscambio artistico tra la Spagna e la Liguria nel corso del Seicento, ma<br />

anche come reazione del cattolicesimo, sconvolto dalle turbolenze della<br />

riforma protestante, cui la Chiesa contrapponeva il culto della Vergine<br />

concepita senza peccato, esaltato dal fervore popolare. Tra Sei e Settecento i<br />

simulacri e il culto dell’Immacolata <strong>di</strong>ventano veicolo della dottrina posttridentina<br />

che riba<strong>di</strong>sce il ruolo salvifico della Vergine, me<strong>di</strong>atrice <strong>di</strong><br />

redenzione e salvezza, come i Santi intercessori, <strong>di</strong> cui si co<strong>di</strong>ficano iconografia<br />

e attributi, come osservato da Giulio Sommariva e Marzia Catal<strong>di</strong> Gallo 12 .<br />

I simulacri delle Madonne vestite si collocano in uno spazio interme<strong>di</strong>o<br />

tra l’opera d’arte colta e il linguaggio popolaresco <strong>di</strong> imme<strong>di</strong>ata<br />

comprensibilità, come quello delle sacre rappresentazioni. Queste Madonne<br />

venivano fornite poi <strong>di</strong> veri e propri “corre<strong>di</strong>” <strong>di</strong> abiti, da mutarsi secondo<br />

le ricorrenze liturgiche, realizzati, come peraltro in uso per i paramenti sacri,<br />

utilizzando tessili o capi <strong>di</strong> vestiario <strong>di</strong> originari destinazione profana,<br />

talvolta donati da personaggi <strong>di</strong> rango.<br />

Il culto, particolarmente ra<strong>di</strong>cato fra la gente <strong>di</strong> mare <strong>di</strong> Finale, prevedeva<br />

la consuetu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> apporre al suo altare modelli votivi <strong>di</strong> imbarcazioni lignei<br />

o realizzati in argento, ricordati ancora da Giovanni Andrea Silla e da Gio<br />

Bono Ferrari 13 , fra cui alcuni quadretti ottocenteschi con parti in lamina<br />

sbalzata e cesellata raffiguravano ingenue scenette: un incidente capitato nella<br />

navigazione ad un brigantino, dalla cui murata si affaccia un marinaio che<br />

tende una gomena per salvare un uomo caduto in mare (Fig. 6), mentre da<br />

un brigantino a palo, donato da Girolamo Bovarino, si leva l’invocazione <strong>di</strong><br />

un orante raffigurato a prua, vicino al bompresso, mentre un marinaio sta<br />

cadendo dagli alberi dell’imbarcazione (Fig. 7).<br />

L’uso votivo <strong>di</strong> queste lamine che rappresentano i principali tipi <strong>di</strong><br />

imbarcazione che solcavano i nostri mari, era <strong>di</strong>ffuso presso molti santuari della<br />

costa ligure; come ha osservato Farida Simonetti, esse venivano realizzate da<br />

botteghe artigiane con una tecnica semi-seriale, pre<strong>di</strong>sponendo esemplari<br />

12 SOMMARIVA, CATALDI GALLO 1999.<br />

13 SILLA 1921; FERRARI 1941.<br />

279


stereotipati, talvolta meno precisi della modellistica lignea nella resa dei dettagli<br />

nautici, <strong>di</strong> pronto utilizzo a seconda delle richieste, “svincolati dai tempi <strong>di</strong><br />

esecuzione <strong>di</strong> un <strong>di</strong>pinto ad hoc e senza la necessità <strong>di</strong> un preciso ritratto<br />

dell’evento e dell’imbarcazione” 14 .<br />

I documenti d’archivio ricordano anche un modellino <strong>di</strong> nave (Brick<br />

Schooner o Scuna), in filigrana d’oro del secolo XIX nella Collegiata <strong>di</strong><br />

Finalmarina, e un modellino <strong>di</strong> nave (ship) in lamina d’oro su anima lignea a<br />

San Biagio <strong>di</strong> Finalborgo: questo fu donato all’altare della Madonna del<br />

carmine della chiesa della loro città dai fratelli Argento, emigrati in Argentina<br />

nel 1865: nel libro delle deliberazioni ed altre provvidenze della Fabbriceria<br />

<strong>di</strong> San Biagio <strong>di</strong> finalborgo, alla data del primo luglio 1866 si legge: “dono a<br />

Nostra Signora del Carmine dei fratelli Vincenzo e Francesco Argento <strong>di</strong> questa città,<br />

attualmente però <strong>di</strong>moranti in Buenos Ayres (America) <strong>di</strong> una barchetta d’oro del peso<br />

<strong>di</strong> g. 126,50 e <strong>di</strong> un rosario in oro <strong>di</strong> peso <strong>di</strong> g. 86 a con<strong>di</strong>zione assoluta che questi<br />

oggetti non possano giammai venire alienati e che debbansi esporre al pubblico ed<br />

attaccati alla statua della Madonna ogni qual volta sia questa esposta in chiesa alla<br />

pubblica venerazione” 15 . Il dono votivo <strong>di</strong>venta qui un modo <strong>di</strong> riallacciare il<br />

rapporto con la propria comunità <strong>di</strong> origine e il segno della benevolenza<br />

impetrata da così lontano alla Vergine.<br />

Il nome dell’Immacolata ricorre con frequenza, come riferisce anche Gio<br />

Bono Ferrari nei suoi scritti sull’“epoca eroica della vela”, su numerose<br />

imbarcazioni <strong>di</strong> armatori e capitani finalesi battezzate col suo nome, alcune delle<br />

quali ne recavano l’effigie scolpita, sotto forma <strong>di</strong> artistica polena o <strong>di</strong> targa<br />

poppiera che, con evidente valore apotropaico contro i pericoli degli abissi,<br />

fendeva sicura le acque dall’alto della nave. Un interessante esempio <strong>di</strong> questa<br />

tipologia è rappresentato dalla settecentesca polena lignea del pinco<br />

“Immacolata Concezione” <strong>di</strong> Padron Malvasia, conservata tra i cimeli marinari<br />

del Civico Museo del Finale, insieme al modello votivo della galea “Sant’Antonio<br />

da Padua” proveniente dall’Oratorio dei Bianchi. I nomi delle imbarcazioni<br />

ricalcavano quello della Vergine Immacolata, a riprova <strong>di</strong> una devozione<br />

profondamente sentita tra la gente <strong>di</strong> mare <strong>di</strong> Finale. Si ricordano il Pinco<br />

“Madonna Immacolata” <strong>di</strong> capitan Marassi, la Polacca “La Santa Concezione”<br />

della famiglia Sacconi, il Cotre “Immacolata Concezione” <strong>di</strong> Padron Antonio<br />

Lunaro, il latino “L’Immacolata” <strong>di</strong> Benedetto Lunaro, che trasportò alla<br />

parrocchiale <strong>di</strong> Finalmarina la campana de<strong>di</strong>cata alla Vergine nel 1810.<br />

14 SIMONETTI 1992, p. 100, scheda 69.<br />

15 COLLU 2001.<br />

280


Il culto dei Santi Nicola e Termo è testimoniato anche nel monastero<br />

olivetano <strong>di</strong> Pia dove vigeva la tra<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> esporre opere votive marinare,<br />

“schioppi rotti, grucce, tavolette votive e altri oggetti che attestavano infinite grazie<br />

ricevute dalla Madonna <strong>di</strong> Pia, strani monumenti ma pure eloquentissimi a narrare<br />

le sue glorie”. Vaggioli nel 1857 attesta nel Santuario la presenza <strong>di</strong> preziose<br />

offerte per grazie ricevute, tra cui sono citati numerosi ex-voto d’oro e<br />

d’argento offerto da marinai, desunti dagli inventari dei secoli XVI-XVIII,<br />

come “piccoli bastimenti e nove collari da schiavo d’argento massiccio, appesi all’altare<br />

<strong>di</strong> Maria Pia da nove <strong>di</strong>sgraziati cristiani incappati nei corsari” 16 .<br />

Alla tra<strong>di</strong>zione che la Ba<strong>di</strong>a, retta degli olivetani, avrebbe ospitato la sede<br />

<strong>di</strong> una scuola <strong>di</strong> nautica è stato collegato il ritrovamento nella biblioteca<br />

monastica <strong>di</strong> un prezioso manuale manoscritto seicentesco sulla costruzione<br />

delle galee, de<strong>di</strong>cato all’ Ammiraglio Inghirami, Generale dell’Or<strong>di</strong>ne dei<br />

Cavalieri <strong>di</strong> Santo Stefano <strong>di</strong> Pisa, fondato nel 1561 da Papa Pio IV nel<br />

momento <strong>di</strong> maggiore espansione della guerra marittima per la lotta contro i<br />

Turchi nel Me<strong>di</strong>terraneo, stu<strong>di</strong>ato da Furio Ciciliot 17 .<br />

Infine al pre<strong>di</strong>catore San Bernar<strong>di</strong>no da Siena, che suscitò il fervore<br />

religioso della popolazione, arringata dalla prora della stessa imbarcazione<br />

con cui sbarcò sulla costa, era de<strong>di</strong>cata sull’altura del Gottaro, in vista della<br />

marina finalese, una cappella oggetto <strong>di</strong> venerazione da parte dei naviganti<br />

e dove trovarono in passato sede gli ex-voto <strong>di</strong> numerosi capitani e armatori<br />

finalesi. Alla consuetu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> celebrare annualmente una solenne<br />

processione nel giorno festivo del Santo, già <strong>di</strong>ffusa nel Settecento, si<br />

aggiunse nel 1821, dopo una violenta mareggiata, il voto solenne <strong>di</strong> recarvi<br />

il Crocifisso <strong>di</strong> San Leonardo <strong>di</strong> Porto Maurizio. La statua lignea del Santo<br />

(Fig. 8), da ritenersi opera <strong>di</strong> uno scultore catalano 18 , fu donata nel 1829 da<br />

capitan Angelo Pertica, che la portò da Napoli con l’aggiunta <strong>di</strong> una<br />

popolaresca figura <strong>di</strong> marinaio orante, e fu traslata alla cappella in solenne<br />

processione; tra i molti voti marinari che vi ritrovavano nell’800, ricor<strong>di</strong>amo<br />

una litografia commemorativa del viaggio inaugurale del celebre “Misto”<br />

Bianca Pertica, il brigantino a palo e a vapore che per primo iniziò ad<br />

effettuare nel 1869 la rotta per Rosario <strong>di</strong> Santa Fé in Brasile, rimasto vittima<br />

<strong>di</strong> un terribile naufragio; fatto impostare nel 1868 a Sestri Ponente nei cantieri<br />

Briasco dall’armatore Tomaso Pertica, agli albori della cantieristica delle navi<br />

16<br />

SALVI 1910; VAGGIOLI 1897; COLLU 2001, p. 99.<br />

17<br />

CICILIOT 1998.<br />

18<br />

COLLU 2001, p. 99.<br />

281


a vapore, esso era destinato ad aprire nuove rotte per congiungere all’Italia<br />

le nascenti colonie agricole dell’America del Sud, verso cui affluivano<br />

numerosi gli emigranti liguri. In passato vi si conservavano anche ex-voto<br />

del Cammilleri, autore dello Sciabecco “la Conception” del comandante<br />

Angelo Pertica “scampato a un feroce inseguimento <strong>di</strong> due navi armatissime”;<br />

questi, <strong>di</strong> ritorno da uno dei suoi viaggi nel Mar Nero, riportò alla<br />

Parrocchiale due busti in lamina d’argento con reliquie riferite ai Santi<br />

Vescovi Nicolò ed Erasmo patroni della città 19 .<br />

Il Civico Museo del Finale infine, ospita tra i cimeli marinari, già raccolti<br />

da Silla, un modello settecentesco della Galea votiva “Sant’Antonio da Padua”,<br />

proveniente dall’antico Oratorio dei Bianchi, le settecentesche polene con un<br />

Santo e quella con la Vergine, appartenuta al Pinco “Immacolata Concezione”<br />

<strong>di</strong> Padron Malvasia e un modellino del gozzo “San Pietro”, con cui fu<br />

trasportata nella parrocchiale <strong>di</strong> Finalmarina la cassa lignea <strong>di</strong> Antonio Brilla<br />

con San Pietro riceve le chiavi. L’esposizione “Il Finale e il mare. Materiali per<br />

uno spazio espositivo de<strong>di</strong>cato alla marineria finalese”, allestita nelle sale<br />

<strong>di</strong>dattiche del Museo, ha espresso nelle intenzioni dei curatori la volontà <strong>di</strong><br />

restituire alla Comunità alcuni oggetti appartenenti alla memoria collettiva e<br />

un tempo esposti in quella “Sala del Mare” creata da Giovanni Andrea Silla<br />

nella vecchia sede del Museo Civico in Via Ghiglieri, che furono<br />

successivamente sottratti alla fruizione dei visitatori per la carenza <strong>di</strong> idonei<br />

spazi” 20 , evidenziando l’esigenza <strong>di</strong> creare un polo marinaro per il finalese,<br />

da includersi in un’ottica <strong>di</strong> sistema come nodo locale <strong>di</strong> una più estesa rete<br />

<strong>di</strong> musei del mare, per cui si era ipotizzata, ancora in tempi recenti, una sede<br />

nella Fortezza del Castelfranco.<br />

Ai più noti musei marinari già esistenti a Genova, Camogli, La Spezia e<br />

Imperia, si affiancano infatti nella Provincia <strong>di</strong> <strong>Savona</strong> numerose raccolte che<br />

documentano aspetti della tra<strong>di</strong>zione della marineria locale; oltre<br />

all’importante raccolta <strong>di</strong> ex voto del Museo del Tesoro del Santuario <strong>di</strong> Nostra<br />

Signora <strong>di</strong> Misericor<strong>di</strong>a <strong>di</strong> <strong>Savona</strong>, già da tempo musealizzata, sono ancora<br />

da valorizzare opportunamente quelle conservate a Loano presso il centro<br />

marinaro “Lodanum”, quelle ospitate alla Marina nuova <strong>di</strong> Varazze, in passato<br />

sede <strong>di</strong> cantieri, le raccolte <strong>di</strong> cimeli e apparecchiature tecniche dell’Istituto<br />

Nautico Leon Pancaldo <strong>di</strong> <strong>Savona</strong>, le testimonianze della fatica dei lavoratori<br />

19 PERTICA 1941, vol. VII, fasc. 3.<br />

20 Il Finale e il mare 2005, Materiali per uno spazio espositivo de<strong>di</strong>cato alla marineria finalese,<br />

catalogo della mostra (Finale, 25 giugno 2005 - aprile 2006), Finale.<br />

282


del porto presso la sede della CULV 21 e le pregevoli sculture della chiesa <strong>di</strong><br />

San Raffaele al porto <strong>di</strong> <strong>Savona</strong> sede della “Stella Maris”, ornata dai<br />

bassorilievi con la Vergine e l’angelo <strong>di</strong> Renata Cuneo 22 . Per queste realtà si<br />

auspica il futuro raccordo in un vero e proprio sistema <strong>di</strong> musei del Mare della<br />

Liguria, con cui possa integri quel “museo <strong>di</strong>ffuso” della devozione marinara<br />

costituito da opere eseguite per cappelle e santuari votivi, ma anche da altari,<br />

polittici, argenterie e innumerevoli beni storico artistici de<strong>di</strong>cati dalla gente<br />

<strong>di</strong> mare in chiese e oratori, come ha ricordato Cecilia Chilosi, “per far la casa<br />

bella” dei loro Santi patroni 23 . Formulo il vivo auspicio che gli stu<strong>di</strong> seguiti alla<br />

ricerca su “La devozione e il Mare”, promossa dalla Regione Liguria e dalla<br />

Provincia <strong>di</strong> <strong>Savona</strong> in occasione del Giubileo del 2000, cui ha fatto seguito il<br />

Convegno internazionale tenutosi a Imperia nel 2005 su “Il timore degli abissi<br />

marini” 24 , possano stimolare ulteriori occasioni per valorizzare del nostro<br />

patrimonio marinaro <strong>di</strong> cui, proprio nel Finalese, si conservano testimonianze<br />

<strong>di</strong> eccezionale interesse, con interventi volti alla conservazione ed alla futura<br />

esposizione in uno spazio pubblico, che potrà preservare nel tempo questi<br />

importanti documenti locali della nostra memoria collettiva.<br />

21 Nella sala delle chiamate della Compagnia Unica Lavoratori Portuali “Pippo Rebagliati” <strong>di</strong><br />

<strong>Savona</strong> sono esposte foto d’epoca e attrezzature sel lavoro nel porto <strong>di</strong> <strong>Savona</strong>.<br />

22<br />

MILANI 2009, pp. 69-71; RUOCCO 2009, pp. 67-68.<br />

23<br />

CHILOSI 2001.<br />

24<br />

COLLU 2005.<br />

283


Ringraziamenti<br />

Ringrazio vivamente monsignor Leonardo Botta, don Caneto e, per la<br />

<strong>di</strong>sponibilità e cortesia, Massimiliana Bugli (Archivio Storico Diocesano <strong>di</strong><br />

<strong>Savona</strong>), Santino Mammola, don Antonio Ferri, don Danilo Grillo, padre<br />

Gregorio Penco e padre Mauro Ballatori (Biblioteca Monastica della Ba<strong>di</strong>a<br />

Benedettina <strong>di</strong> Finalpia), e mi è caro ricordare don Rino Cavallero, già<br />

cappellano <strong>di</strong> San Bernar<strong>di</strong>no, don Eusebio Pamparino già parroco <strong>di</strong> San<br />

Lorenzo a Varigotti, don Mario Genta, già spirito animatore della “Stella Maris”<br />

nella Chiesa <strong>di</strong> San Raffaele al porto <strong>di</strong> <strong>Savona</strong>; ringrazio inoltre il <strong>di</strong>rettore del<br />

Civico Museo del Finale, Daniele Arobba, il conservatore Andrea De Pascale,<br />

Oscar Giuggiola, Giovanni Murialdo, Giovanni Vicino, Francesco Oddone<br />

(Compagnia <strong>di</strong> San Pietro), Furio Ciciliot (Società Savonese <strong>di</strong> Storia Patria),<br />

Giovanni Lauretta e Piero Cerreuti (Centro Marinaro “Lodanum” <strong>di</strong> Loano),<br />

Anna Maroscia (Società Dante Alighieri), Cecilia Chilosi, Marzia Catal<strong>di</strong> Gallo,<br />

Antonella Granero, Eliana Mattiauda, Cinzia Oliva, Giulio Sommariva, Magda<br />

Tassinari, Elvira Veirana e i volontari del circolo Acli della Stella Maris <strong>di</strong><br />

<strong>Savona</strong>. Un particolare ringraziamento al prof. Pietro Leccese per i puntuali<br />

confronti sul culto <strong>di</strong> San Erasmo e dell’Immacolata Concezione a Gaeta e<br />

Formia.<br />

284


Bibliografia<br />

Fonti documentarie<br />

MS Pro Capella Sancti Thermi 1647.<br />

MS Pro Capella Sancti Thermi in Ecclesia Sancti Johannis Plebaniae Finarii, sec.<br />

XVII, (1647-1669). Volume manoscritto cartaceo. <strong>Savona</strong>, Archivio Storico<br />

Diocesano, già nell’Archivio Parrocchiale della Collegiata <strong>di</strong> San Giovanni<br />

Battista a Finalmarina.<br />

MS Fabbriceria <strong>di</strong> San Biagio <strong>di</strong> Finalborgo: Libro delle deliberazioni ed altre<br />

provvidenze, 1865. Archivio Parrocchiale <strong>di</strong> San Biagio <strong>di</strong> Finalborgo.<br />

Testi a stampa<br />

VAGGIOLI F. 1897, Il Santuario <strong>di</strong> Maria Pia, ossia cenni storici <strong>di</strong> Nostra Signora <strong>di</strong><br />

Finalpia nella Liguria Occidentale, <strong>Savona</strong>, Tip. Bertolotto.<br />

SALVI G. 1910, Il Santuario <strong>di</strong> N.S. <strong>di</strong> Pia su documenti ine<strong>di</strong>ti, Subiaco, Tipografia dei<br />

Monasteri.<br />

SILLA G.A. 1921, Storia <strong>di</strong> Finale, Finale.<br />

FERRARI G.B. 1941, L’epoca eroica della vela, Rapallo.<br />

PERTICA F. 1941, Chiesetta e culto per S. Bernar<strong>di</strong>no da Siena in Finale Ligure, in “Stu<strong>di</strong><br />

Bernar<strong>di</strong>niani”, Siena, XIX, (1941), vol. VII, fasc. 3.<br />

CENTRA G. 1990, Vita <strong>di</strong> S. Erasmo vescovo e martire, patrono <strong>di</strong> Roccagorga.<br />

SIMONETTI F. 1992, Ex-voto marinari del Santuario <strong>di</strong> Nostra Signora del Boschetto <strong>di</strong><br />

Camogli, Genova.<br />

MOLLAT DU JOURDIN M. 1993, L’Europa e il mare, Roma - Bari.<br />

BOTTA L. s.d., La Compagnia dei patroni <strong>di</strong> barche e il loro protettore San Termo, in Il<br />

Dipinto restaurato. Opera su tela documentata al 1629 immagine della<br />

religiosità dell’antica marina, Zonta International Club <strong>di</strong> Finale Ligure, Finale.<br />

Il Dipinto restaurato s.d., Opera su tela documentata al 1629 immagine della religiosità<br />

dell’antica marina, Zonta International Club <strong>di</strong> Finale Ligure, Finale.<br />

CICILIOT F. 1998, Il Manoscritto dell’Abbazia <strong>di</strong> Finalpia. Una fonte per l’archeologia<br />

navale del primo Seicento, Compagnia <strong>di</strong> San Pietro, Finale Ligure.<br />

COLLU R. 1999, L’Immacolata e la devozione marinara a Finale, in L’Immacolata e i<br />

Finalesi, Compagnia <strong>di</strong> San Pietro, Finale Ligure.<br />

285


SOMMARIVA G., CATALDI GALLO M. 1999, Il Venerato simulacro dell’Immacolata<br />

Concezione a Finalmarina e il culto delle statue vestite in Liguria, in L’Immacolata e i<br />

Finalesi, Compagnia <strong>di</strong> San Pietro, Finale Ligure.<br />

CATALDI GALLO M. 1999, Le Madonne vestite nel Finalese, in Il Venerato simulacro<br />

dell’Immacolata Concezione a Finalmarina e il culto delle statue vestite in<br />

Liguria.<br />

L’Immacolata e i Finalesi 1999, Compagnia <strong>di</strong> San Pietro, Finale.<br />

COLLU R. 2001, “Votum fecit, gratiam accepit”. Promesse <strong>di</strong> marinai, in C. CHILOSI, R.<br />

COLLU, La Devozione e il mare sulle coste savonesi, in La Devozione e il mare,<br />

2001, Catalogo della mostra, Genova.<br />

CHILOSI C. 2001, “A che Santo votarsi. I protettori della gente <strong>di</strong> mare”, in C. CHILOSI,<br />

R. COLLU, Aspetti <strong>di</strong> fede e religiosità della gente <strong>di</strong> mare nel Savonese, in La<br />

Devozione e il mare, Catalogo della mostra, Genova 2001.<br />

CHILOSI C., COLLU R., 2001, Aspetti <strong>di</strong> fede e religiosità della gente <strong>di</strong> mare nel Savonese,<br />

in La Devozione e il mare 2001, Catalogo della mostra, Genova, pp. 79-134.<br />

CARDI L. 2004, XVVII Centenario <strong>di</strong> S. Erasmo, vescovo e martire, in Atti del Convegno<br />

<strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o, Formia, Chiesa <strong>di</strong> Sant’Erasmo, 15 maggio 2003 - Gaeta, Basilica<br />

Cattedrale, 18 maggio 2003, a cura <strong>di</strong>, Caramanica E<strong>di</strong>tore.<br />

COLLU R. 2005, Il timore degli abissi marini nella devozione della gente <strong>di</strong> mare della costa<br />

ligure (Atti del Convegno Internazionale <strong>di</strong> Stu<strong>di</strong> “Gli abissi marini”, Imperia<br />

2005), c.s.<br />

Il Finale e il mare. Materiali per uno spazio espositivo de<strong>di</strong>cato alla marineria finalese,<br />

catalogo della mostra (Finale, 25 giugno 2005 - aprile 2006), Finale Ligure 2006.<br />

TASSINARI M. 2006, L’abito della Madonna. Riti <strong>di</strong> vestizione e devozione popolare per la<br />

Madonna del Carmelo e le altre “Madonne vestite” del finalese: un magico itinerario<br />

tra antiche tra<strong>di</strong>zioni e suggestioni che si rinnovano a ogni processione, in M.<br />

TASSINARI, Sul filo dei secoli, <strong>Savona</strong> 2006.<br />

POLONIO V. 2008, Dio, il mare, gli uomini. Devozioni marinare dall’osservatorio ligure<br />

(secoli XII-XVII), in “Quaderni <strong>di</strong> Storia religiosa”.<br />

MILANI P., 2009, Nel porto <strong>di</strong> <strong>Savona</strong> c’è una Chiesa. È una chiesa piccola, ma non è una<br />

piccola Chiesa, in Porte aperte al porto 2009.<br />

RUOCCO A. 2009, “Ero forestiero e mi avete accolto”, Stella Maris Club <strong>Savona</strong>.<br />

L’Apostolato del mare, il porto e i marittimi, in Porte aperte al porto 2009,<br />

Società Dante Alighieri, Circolo <strong>di</strong> <strong>Savona</strong>, in occasione del Port Day, <strong>Savona</strong><br />

2009.<br />

286


Fig. 1 - MS Pro Capella Sancti Thermi in Ecclesia Sancti Johannis Plebaniae Finarii,<br />

Sec. XVII (1647-1669)<br />

Volume manoscritto cartaceo, cm 23x33, formato da 56 fogli numerati sul recto<br />

I Santi Nicola <strong>di</strong> Bari e Termo con un’imbarcazione, (fol. 35), inchiostro, penna e acquerello<br />

<strong>Savona</strong>, Archivio Storico Diocesano già nell’Archivio Parrocchiale<br />

<strong>di</strong> San Giovanni Battista <strong>di</strong> Finalmarina<br />

287<br />

Fig. 2<br />

Domenico Bocciardo (1686-1746),<br />

sec. XVIII, 1693, Sant’Erasmo,<br />

in adorazione della Madonna Bambina,<br />

particolare del putto che offre<br />

un modello <strong>di</strong> veliero, olio su tela,<br />

Finalmarina, collegiata<br />

<strong>di</strong> San Giovanni Battista


Fig. 3 - Fer<strong>di</strong>nando Glazar, Sec. XVII, 1629, I SS. Erasmo ed Ermete con la veduta della marina<br />

<strong>di</strong> Finale Marina, Borgo e Pia, olio su tela, dalla chiesa <strong>di</strong> Sant’Antorio, ex Oratorio dei Bianchi,<br />

già nella cappella della Compagnia dei Patroni <strong>di</strong> Barca finalesi.<br />

Particolare della veduta <strong>di</strong> Finale Marina, Borgo e Pia<br />

Fig. 4<br />

La Vergine Immacolata, scultura lignea “vestita”,<br />

particolare dell’abito, prima metà del sec. XVIII,<br />

attorno al 1735-1740, Tessuto operato e merletto<br />

<strong>di</strong> Fiandre <strong>di</strong> Malines, Finalmarina,<br />

collegiata <strong>di</strong> San Giovanni Battista<br />

288


Fig. 5 - La Vergine Immacolata, Madonna vestita,<br />

monsignor Leonardo Botta e la restauratrice Cinzia Oliva,<br />

durante il restauro promosso dalla Compagnia <strong>di</strong> San Pietro Finalmarina,<br />

collegiata <strong>di</strong> San Giovanni Battista<br />

Fig. 6 - Argentieri liguri, sec. XIX<br />

Lamina votiva con brigantino<br />

e uomo caduto in mare<br />

Lamina d’argento sbalzata e intagliata,<br />

applicata su velluto,<br />

entro cornice lignea intagliata e dorata<br />

cm 15x20 (imbarcazione); tot. cm 25x30<br />

289<br />

Fig. 7 - Uomo caduro dall’albero<br />

<strong>di</strong> un Brigantino a palo<br />

con marinaio orante,<br />

Ex-voto in lamina d’argento<br />

sbalzata e cesellata, sec. XVIII,<br />

dono <strong>di</strong> Girolamo Bovarino


Fig. 8 - Ignoto scultore catalano, sec. XVIII - Scultore napoletano, sec. XIX<br />

San Bernar<strong>di</strong>no da Siena con un marinaio orante, gruppo ligneo scolpito e <strong>di</strong>pinto,<br />

donato nel 1829 da capitan Angelo Pertica, che la portò da Napoli,<br />

con l’aggiunta <strong>di</strong> una popolaresca figura <strong>di</strong> marinaio orante<br />

290


La Madonna <strong>di</strong> Misericor<strong>di</strong>a apparsa al Beato Botta<br />

nell’iconografia tessile del Santuario <strong>di</strong> <strong>Savona</strong><br />

Cristina Gamberini<br />

291<br />

“E chiaramente vi<strong>di</strong> nel splendore una donna<br />

che <strong>di</strong> veste e <strong>di</strong> manto bianco era vestita”<br />

Don Botta, come tutti sanno, è particolarmente legato al Santuario <strong>di</strong> Nostra<br />

Signora <strong>di</strong> Misericor<strong>di</strong>a <strong>di</strong> <strong>Savona</strong>, sia perché è il luogo che gli ha dato i natali,<br />

sia perché è stato a lungo parroco <strong>di</strong> San Bernardo in Valle, frazione limitrofa<br />

e strettamente connessa al Santuario, sia perché un giorno mi confidò, a<br />

seguito <strong>di</strong> una mia ingenua domanda, che la sua famiglia e quin<strong>di</strong> lui stesso<br />

<strong>di</strong>scendeva da quell’Antonio Botta che nella mattina del 18 marzo 1536 ebbe<br />

la grazia <strong>di</strong> assistere all’apparizione della Madonna e <strong>di</strong>venirne messaggero.<br />

Mi sono quin<strong>di</strong> sentita in dovere <strong>di</strong> scrivere per l’occasione, alcune mie<br />

riflessione sul lavoro che mi ha coinvolto al Santuario e che mi ha permesso<br />

<strong>di</strong> poter attuare interessanti confronti a seguito <strong>di</strong> una visione complessiva <strong>di</strong><br />

tutto il materiale tessile custo<strong>di</strong>to nel complesso monumentale del Santuario<br />

savonese.<br />

La Città <strong>di</strong> <strong>Savona</strong>, conscia del particolare pregio, non solo artistico ma<br />

anche e soprattutto devozionale, intrinseco agli oggetti donati alla chiesa, nel<br />

corso dei secoli ha fatto perio<strong>di</strong>camente re<strong>di</strong>gere agli Ufficiali del Santuario<br />

numerosi inventari cartacei, sia per avere sotto controllo l’entità del<br />

patrimonio ecclesiastico, sia a fine mandato <strong>di</strong> ogni funzionario, per i consueti<br />

passaggi <strong>di</strong> consegna 1 . L’ultima catalogazione complessiva, ma non esaustiva,<br />

sud<strong>di</strong>visa in tre <strong>di</strong>verse annate (1978-1986-2000), era stata effettuata dalla<br />

Soprintendenza per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico.<br />

All’A.S.P. Opere Sociali <strong>di</strong> Nostra Signora <strong>di</strong> Misericor<strong>di</strong>a, ente proprietario<br />

dei beni, occorreva quin<strong>di</strong> una nuova verifica delle opere, soprattutto per<br />

1 Il più antico giunto a noi risale al 1538, del XVII secolo posse<strong>di</strong>amo sette inventari, del XVIII<br />

secolo due, del XIX secolo cinque, del XX secolo quattro. Per l’elenco completo ve<strong>di</strong>: Bibliografia<br />

e fonti documentarie a cura <strong>di</strong> C. OLCESE SPINGARDI, in “Il Museo del Santuario <strong>di</strong> N.S. <strong>di</strong><br />

Misericor<strong>di</strong>a”, p. 165, <strong>Savona</strong> 1999.


appurare la loro effettiva collocazione, l’attuale stato <strong>di</strong> conservazione e per<br />

aggiornare le notizie storico critiche che nel frattempo la ricerca scientifica<br />

aveva portato alla luce. Grazie quin<strong>di</strong> alla collaborazione della Regione<br />

Liguria, promotrice dell’iniziativa, nel 2005 l’ente ha potuto intraprendere<br />

l’attività <strong>di</strong> catalogazione dell’intero suo patrimonio. Oggi il progetto si sta<br />

avviando alla conclusione e a breve sarà possibile avere una completa<br />

conoscenza dei beni storico-artistici conservati al Santuario <strong>di</strong> <strong>Savona</strong>. La<br />

schedatura ha permesso alle Opere Sociali <strong>di</strong> conoscere l’entità, la tipologia,<br />

la datazione e lo stato conservativo del proprio patrimonio. Inoltre tutto il<br />

lavoro <strong>di</strong> catalogazione è stato informatizzato seguendo le <strong>di</strong>rettive regionali<br />

e collegando ad ogni scheda la foto <strong>di</strong>gitale relativa al bene inventariato.<br />

Il patrimonio artistico del Santuario, grazie quin<strong>di</strong> a questi perio<strong>di</strong>ci<br />

controlli inventariali, è stato sempre conosciuto e ciò ha permesso, nel corso<br />

degli anni, <strong>di</strong> portare alla luce e ricostruire il percorso storico e artistico, non<br />

solo delle opere <strong>di</strong> arredo e suppellettili liturgiche, ma anche dell’ingente<br />

raccolta tessile antica che ancora vi si conserva. Questa è infatti costituita da<br />

numerosissimi pezzi assai pregevoli come, per nominarne solo alcuni, la<br />

collezione <strong>di</strong> tessili seicenteschi del vescovo Gio Stefano Siri, la pianeta <strong>di</strong><br />

Francesco Maria della Rovere duca <strong>di</strong> Urbino donata nel 1628, il parato<br />

viennese <strong>di</strong> Nicolò Gioia del 1669, la pianeta del navigante Nervi <strong>di</strong> inizio<br />

Settecento, la collezione <strong>di</strong> tessuti bizarre <strong>di</strong> fine-inizio XVII-XVIII secolo, il<br />

parato <strong>di</strong> manifattura lionese donato nel 1744 dalla nobildonna genovese<br />

Eleonora Mari, ecc. 2 . Se quin<strong>di</strong> la ricerca ha dettagliatamente investigato la<br />

storia dei tessuti, l’origine delle donazioni, i committenti e le tecniche <strong>di</strong><br />

tessitura e <strong>di</strong> ricamo dei pregevoli manufatti, non si è ancora soffermata sul<br />

tema iconografico principe dei tessuti donati al Santuario: l’apparizione della<br />

Madonna <strong>di</strong> Misericor<strong>di</strong>a al Beato Botta. Anche nei tessili, come ha fatto<br />

notare Cassiano da Langasco per le raffigurazioni pittoriche 3 , la Madonna<br />

rappresentata a <strong>Savona</strong> non è più la Madre <strong>di</strong> Dio che accoglie sotto il suo<br />

manto e quin<strong>di</strong> sotto la sua celeste protezione, il popolo citta<strong>di</strong>no 4<br />

2 TASSINARI, 1985; CATALDI GALLO, TASSINARI 1999.<br />

3 CASSIANO DA LANGASCO 1985.<br />

4 Numerose sono le raffigurazioni in cui la cosiddetta Madonna <strong>di</strong> Misericor<strong>di</strong>a o del Manto è<br />

<strong>di</strong>pinta a braccia aperte con i lembi del manto nelle mani nell’atto <strong>di</strong> accogliere sotto <strong>di</strong> sé i<br />

fedeli inginocchiati. Tra le opere più famose citiamo la pala d’altare <strong>di</strong> Simone Martini<br />

conservata alla Pinacoteca Nazionale <strong>di</strong> Siena, l’affresco <strong>di</strong> Domenico Ghirlandaio realizzato<br />

nella lunetta della cappella Vespucci della chiesa d’Ognissanti a Firenze, il polittico <strong>di</strong> Piero<br />

della Francesca custo<strong>di</strong>to nel Museo Civico <strong>di</strong> San Sepolcro, ecc.<br />

292


proteggendolo da carestie, pestilenze e guerre, spesso segno dell’ira della<br />

<strong>di</strong>vina giustizia; ma, nonostante la Vergine apparsa al Botta in<strong>di</strong>chi come i<br />

Savonesi debbano comportarsi e come pregare in modo da ritornare sulla retta<br />

via ed attenuare la collera del suo Figlio, mai è raffigurata, secondo<br />

l’iconografia classica, nell’atto <strong>di</strong> accogliere la popolazione sotto il suo<br />

mantello. Le braccia sono sì aperte in segno <strong>di</strong> accoglienza, ma le mani non<br />

stringono mai il velo per ospitare una moltitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> astanti, il gesto ricorda<br />

piuttosto quel cenno breve, ma assai significativo, che precede un abbraccio,<br />

è quin<strong>di</strong> un atto che assume un’intonazione più intima, un colloquio privato<br />

della Vergine con ogni fedele e non solo con il conta<strong>di</strong>no presente al momento<br />

dell’apparizione. Tale atteggiamento <strong>di</strong> attenzione e amore in<strong>di</strong>viduale verso<br />

ogni credente è ben raffigurato nel velo cremisi (Fig. 1) attualmente conservato<br />

nel Museo del Santuario, e identificato dalla Tassinari 5 negli inventari già del<br />

1663. Nell’esemplare in taffettà, sfarzosamente ricamato con la tecnica ad<br />

applicazione lungo i bor<strong>di</strong>, si sviluppano motivi <strong>di</strong> candelabre unite a<br />

cornucopie e ventaglietti, mentre al centro è raffigurata in gloria la Madonna<br />

<strong>di</strong> Misericor<strong>di</strong>a coronata, avvolta interamente da un’aureola <strong>di</strong> luce raggiata<br />

e con il capo circondato da un nimbo dentellato. La Vergine, vestita <strong>di</strong> bianco<br />

e con le braccia aperte, ha lo sguardo rivolto verso l’osservatore, verso il<br />

fruitore dell’oggetto, verso quin<strong>di</strong> il fedele. Ai lati, due figure inginocchiate: a<br />

destra il Beato Botta genuflesso con le mani giunte che tengono il berretto, a<br />

sinistra una nobildonna orante, con un lungo vestito nero e una vistosa<br />

gorgiera bianca 6 . Alle sue spalle un monte, speculare ma non identico a quello<br />

raffigurato <strong>di</strong>etro al conta<strong>di</strong>no, più proporzionato e con all’apice una croce<br />

dorata. È il monte sul quale il padre cappuccino, Agostino da Genova, durante<br />

una processione che ogni anno si svolgeva per l’anniversario dell’apparizione,<br />

vide l’immagine della Vergine bene<strong>di</strong>cente. Confidò la visione solo in punto<br />

<strong>di</strong> morte (1606) e in seguito a questo avvenimento sulla rocca fu innalzata una<br />

croce; da allora quel luogo fu nominato “monte della Crocetta”. Solo nel 1679-<br />

80 fu eretta la Cappella che ancora oggi svetta sull’altura insieme alla croce 7 .<br />

Grazie a questo particolare ricamato possiamo restringere la datazione del<br />

velo <strong>di</strong> calice ed inserire la realizzazione del manufatto nei cinquantatré anni<br />

5 CATALDI GALLO, TASSINARI 1999, scheda n° 7, pp. 31-32.<br />

6 La gorgiera, colletto circolare solitamente in lino o merletto bianco plissettato e inamidato,<br />

era un segno <strong>di</strong>stintivo per le personalità <strong>di</strong> alto rango durante la seconda metà del XVI secolo<br />

sino a circa gli Anni 30 del XVII secolo.<br />

7 CASTELNOVI, 1985, pp. 297-310.<br />

293


che intercorrono dall’innalzamento delle croce sulla collina a sinistra del<br />

Santuario, 1606, alla stesura dell’inventario del 1663 in cui compare la<br />

descrizione del velo per la prima volta.<br />

Di nuovo in un paliotto della prima metà del XVII secolo 8 , <strong>di</strong> color cremisi<br />

in damasco con motivo “a tre fiori” (Fig. 2), è applicato al centro un ricamo a<br />

riporto raffigurante l’Apparizione. La Madonna e il Beato Botta sono inseriti<br />

all’interno <strong>di</strong> una cornice circolare dorata con applicazioni in paillettes e<br />

canutiglia. Le figure, circondate da <strong>di</strong>ciannove stelline a otto punte ricamate<br />

in oro, poggiano su un prato verde sul quale nascono piantine <strong>di</strong> fiori gialli e<br />

rossi e, sul lato sinistro, un ricamo in seta azzurra simula un ruscello, luogo in<br />

cui avvenne l’apparizione. Qui la Vergine non è più avvolta né da aureola, né<br />

da nimbo, ma presenta solo la corona sul capo e la sua veste e il suo mantello<br />

sono entrambi bianchi, come la vide il Botta durante la seconda apparizione<br />

e com’è descritta nella lapide marmorea, con incisa la deposizione del Beato,<br />

murata nella prima cappella a si sinistra del Santuario: “[…] e chiaramente<br />

vi<strong>di</strong> nel splendore una donna che <strong>di</strong> veste e <strong>di</strong> manto bianco era vestita, e in<br />

capo teneva una corona d’oro rilucente, e le mani giù <strong>di</strong>stese, […]” 9 .<br />

Effettivamente, nel ricamo il gesto della Vergine è ancora una volta ampio,<br />

con le braccia allargate e anche in qui il Botta è inginocchiato con il cappello<br />

nelle mani. In questa raffigurazione sia la Madonna, sia il conta<strong>di</strong>no volgono<br />

lo sguardo verso lo spettatore coinvolgendo ancor più il fedele che, dalla<br />

navata del Santuario, mentre seguiva la messa, era solito vedere il paliotto<br />

apposto davanti all’altare. L’iconografia dell’avvenimento riprende sia in<br />

questo caso, sia nel tessuto precedente, l’immagine <strong>di</strong> una delle prime opere<br />

commissionate ufficialmente per il Santuario <strong>di</strong> <strong>Savona</strong>, destinata ad occupare<br />

il luogo esatto in cui avvenne il miracolo, <strong>di</strong>venuto, con la costruzione della<br />

Basilica, la cripta e, anche per questo, presa a modello nella maggior parte delle<br />

raffigurazioni sino alla prima metà del Seicento. Si tratta della statua marmorea<br />

<strong>di</strong> Pietro Orsolino, raffigurazione ieratica del 1560 che riproduce la Madre <strong>di</strong><br />

Dio, in pie<strong>di</strong>, avvolta da un lungo mantello, con la corona sul capo, il volto<br />

imperturbabile, lo sguardo fisso, quasi ipnotico, le braccia e le mani aperte. Il<br />

gesto è talmente enfatizzato che gli arti risultano sproporzionati nella loro<br />

lunghezza e grandezza rispetto alla figura.<br />

8 Una descrizione generica del paliotto compare nell’inventario del 1651, mentre una più<br />

accurata in quello del 1674. Cfr. CATALDI GALLO, TASSINARI 1999, scheda n° 8, p. 32.<br />

9 Per l’intera trascrizione della lapide ve<strong>di</strong> FARRIS 1985, p. 106.<br />

294


Già nel 1669 l’iconografia della Madonna <strong>di</strong> Misericor<strong>di</strong>a <strong>di</strong> <strong>Savona</strong> cambia:<br />

l’esempio è portato dal velo <strong>di</strong> calice (Fig. 3) appartenente al cosiddetto parato<br />

Gioia, giunto a <strong>Savona</strong> da Vienna per volontà <strong>di</strong> Nicolò Gioia 10 , maestosamente<br />

ricamato con filati d’oro e <strong>di</strong> sete policrome sfumate su canovaccio con fondo<br />

in argento filato. Il velo presenta su ogni angolo gran<strong>di</strong> mazzi <strong>di</strong> rose, tulipani,<br />

narcisi e fiori a grappolo azzurri legati da doppi nastri rosa e celesti e su ogni<br />

lato ricchi rami dalle foglie dentellate terminanti all’apice con una grande<br />

inflorescenza. Al centro, all’interno <strong>di</strong> un cerchio bordato e raggiato d’oro, e<br />

raffigurata l’Apparizione. Qui l’interpretazione dell’avvenimento, forse perché<br />

realizzata da una manifattura viennese lontana dal clamore locale dell’evento,<br />

a tratti è molto aderente alla descrizione del Botta, a tratti riprende<br />

l’iconografia classica mariana. Difatti nel ricamo del velo da calice Gioia la<br />

Vergine è raffigurata “[…] sopra d’un sasso che nel rivo stava […]” 11 , con una<br />

corona dorata sul capo e le braccia <strong>di</strong>stese e allargate. A destra il Botta, vestito<br />

d’azzurro, è inginocchiato con le mani giunte e per terra giace il berretto,<br />

sempre presente nelle riproduzioni del villico perché da lui stesso nominato<br />

in occasione della prima apparizione 12 . La Madonna è sì vestita <strong>di</strong> bianco, ma<br />

è coperta dal classico manto azzurro mariano 13 , mentre la versione del<br />

conta<strong>di</strong>no parla <strong>di</strong> vesti can<strong>di</strong>de. Sullo sfondo i monti della vallata <strong>di</strong> San<br />

Bernardo incorniciano le figure. Qui, per la prima volta, assistiamo ad un<br />

<strong>di</strong>alogo personale <strong>di</strong> corrispondenza affettiva tra la Vergine e il Botta. Tra le<br />

due figure, <strong>di</strong> uguali proporzioni, gli sguar<strong>di</strong> si incrociano e il colloquio fra i<br />

due protagonisti si arricchisce <strong>di</strong> pathos e <strong>di</strong> poesia; il realismo barocco dei<br />

fiori ricamati nell’intero parato rispecchia il realismo ricercato dal ricamatore<br />

per descrivere l’apparizione della Madonna, così vera nel ricordo e nella fede<br />

popolare. Qui la raffigurazione sembra quasi un’istantanea, una fotografia che<br />

ferma quel sacro istante. L’intenzione è quella <strong>di</strong> dare legittimità e cre<strong>di</strong>bilità<br />

all’evento miracoloso, mentre il messaggio comune rivolto a tutti i credenti è<br />

posto in secondo piano.<br />

Nella pianeta Nervi 14 (Fig. 4), appartenente ad un parato liturgico in raso<br />

avorio ricamato in seta policroma e in oro filato e riccio, realizzato<br />

10<br />

CATALDI GALLO, TASSINARI 1999, scheda n° 10, pp. 33-34.<br />

11<br />

FARRIS 1985, p. 106.<br />

12 “[...] molto sbigottito fui per cascare in terra tramortito talmente che mi cascò la berretta <strong>di</strong><br />

capo, [...]” ibidem.<br />

13 Iconografia maggiormente utilizzata per l’Immacolata Concezione.<br />

14 “La pianeta” è così chiamata dal nome del donatore, Vincenzo Nervi (nome ricamato sulla<br />

fodera interna) navigante savonese che forse commissionò il parato per grazia ricevuta.<br />

295


presumibilmente nel primo quarto del XVIII secolo e documentato per la<br />

prima volta nell’inventario del 1749 15 , tra un tripu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> fiori naturalistici e<br />

volute dorate, sul lato posteriore in basso, sul lato cioè maggiormente visibile<br />

ai fedeli che assistevano alle celebrazioni osservando la schiena<br />

dell’officiante 16 , compare la raffigurazione dell’Apparizione della Madonna<br />

<strong>di</strong> Misericor<strong>di</strong>a. La Vergine è nuovamente vestita <strong>di</strong> bianco con il manto<br />

azzurro e in vita porta una ricca cintura argentata. Il Botta porta una semplice<br />

veste <strong>di</strong> colore identico al manto della Madonna, in mano serra il cappello e<br />

in primo piano, posato sul terreno, è visibile il falcetto 17 , attrezzo che aveva<br />

con sé per potare la vigna 18 . Sulla sinistra un delicatissimo e assai realistico,<br />

albero con gemme, foglie giovani e polloni all’altezza delle ra<strong>di</strong>ci, incornicia<br />

la scena. Anche qui è ripreso il modulo del parato Gioia e nuovamente si<br />

assiste ad un <strong>di</strong>alogo intimo e personale tra le due figure, anche se in questo<br />

caso la Vergine è ancora legata, nella sua posa statica e imponente, al modello<br />

dell’Orsolino.<br />

Durante l’ultima schedatura è inoltre stato ritrovato un velo <strong>di</strong> calice<br />

databile intorno alla metà del XVIII secolo (Fig. 5). È in raso avorio e il ricamo,<br />

anche se meno prezioso rispetto agli altri parati presentati sinora e<br />

leggermente sbia<strong>di</strong>to nei colori, è molto raffinato, realistico nei particolari e<br />

ricco <strong>di</strong> sfumature cromatiche. Il velo è ricamato in seta policroma a punto<br />

raso e punto <strong>di</strong>viso e in argento e oro filato a punto steso, vi sono infine piccole<br />

zone imbottite in canapa per dar rilievo al ricamo. Ai lati sono raffigurati, tra<br />

volute in seta gialla ed elementi architettonici, gran<strong>di</strong> fiori policromi (tulipani,<br />

garofani ed iris), mentre al centro, entro una piccola sezione circolare <strong>di</strong> circa<br />

otto centimetri <strong>di</strong> <strong>di</strong>ametro, attorniata da lunghi raggi in oro e argento, è<br />

condensato l’evento dell’Apparizione. Nonostante la scena occupi una piccola<br />

porzione del velo, i dettagli sono accurati e minuziosi. La Vergine, <strong>di</strong> bianco<br />

vestita, allarga le braccia mostrando le gran<strong>di</strong> mani aperte al Botta, che spunta<br />

sulla destra a mezzo busto vestito d’azzurro, con lo sguardo rivolto verso<br />

Maria e con una mano sul petto, posa consueta per il Beato ma non abituale<br />

come le mani giunte. Il paesaggio intorno è rappresentato da un esile alberello<br />

15 CATALDI GALLO, TASSINARI 1999, scheda n° 30, pp. 48-49.<br />

16 Sino al Concilio Vaticano II (1965), che abolì moltissimi gesti, inchini e preghiere, il sacerdote<br />

officiava la messa rivoltato ad Deum, verso cioè il crocifisso posto al centro dell’altare, dando<br />

le spalle quin<strong>di</strong> all’assemblea dei fedeli.<br />

17 Realizzato in argento filato per meglio simulare il metallo.<br />

18 Il lavoro campestre che stava svolgendo il Botta prima dell’apparizione ci viene descritto da<br />

Giovanni Agostino Abate. ABATE 1897, pp. 1-13.<br />

296


sulla sinistra, mentre il cielo si tinge <strong>di</strong> <strong>di</strong>verse sfumature. La particolarità <strong>di</strong><br />

questa raffigurazione, oltre a minuti dettagli che caratterizzano l’intero<br />

manufatto, è il velo della Vergine, che inizia a muoversi e ondeggiare alzato<br />

dal vento profumato portato dall’Apparizione. Ormai siamo nel pieno<br />

Settecento e anche le immagini più statiche e fisse vengono alleggerite e mosse<br />

da orpelli e volute, motivi ad “esse” e meandri 19 .<br />

Infine ultimo manufatto tessile analizzato è un paliotto avorio della prima<br />

metà dell’Ottocento con rose ricamate in ciniglia e seta policroma e con volute<br />

in oro e argento filato, in lamina e riccio (Fig. 6). Al centro campeggia un ovale<br />

raggiato in oro e <strong>di</strong>pinto su tela raffigurante la Madonna <strong>di</strong> Misericor<strong>di</strong>a e il<br />

Beato Botta. La Vergine sul lato sinistro del <strong>di</strong>pinto, vestita <strong>di</strong> bianco, avvolta<br />

in un manto azzurro e coronata da un imponente <strong>di</strong>adema, appare su un<br />

nimbo grigio con ai pie<strong>di</strong> due angioletti reggenti un globo crocifero posto tra<br />

le spire <strong>di</strong> un serpente. Il Botta, con le braccia aperte in segno <strong>di</strong> sorpresa, è<br />

inginocchiato a destra, con un falcetto incastrato nella cintola e il rosario<br />

caduto per terra 20 , fra le due figure scorre un rivo e sullo sfondo, rupi scoscese<br />

ed alberi incorniciano la scena.<br />

Il <strong>di</strong>pinto, che attualmente presenta uno strappo all’altezza del braccio<br />

destro della Madonna, riprende le tipologie plastiche della pittura<br />

ottocentesca locale. Modello per questa raffigurazione e per molte stampe<br />

popolari, incisioni e ceramiche 21 furono due <strong>di</strong>pinti in particolare: una pittura<br />

ormai perduta <strong>di</strong> Domenico Piola, e un olio su tela <strong>di</strong> Domenico Rastellini 22 .<br />

Questi introdurranno la costruzione scenica, il movimento sinuoso della<br />

Vergine, la presenza degli angeli e del globo, come sono rappresentati nel<br />

paliotto, e saranno il modello “tipo” ai quali si rifaranno gli artisti savonesi<br />

della prima metà del XIX secolo.<br />

19 Famoso e fondamentale fu all’epoca il trattato L’analisi della bellezza scritto nel 1753 dal pittore<br />

e incisore inglese William Hogarth, nel quale si teorizza che la bellezza consiste in una linea<br />

(quella ondulata o meglio ancora serpentinata <strong>di</strong> origine manieristica, poi barocca e rococò) e<br />

in un metodo compositivo (convenienza delle parti, varietà, semplicità, intrico, ecc.), cioè è<br />

creata da una forma in<strong>di</strong>pendente da qualsiasi contenuto. Tale forma si ritrova per eccellenza<br />

negli oggetti naturali come fiori, animali e il corpo umano, dai quali i pittori devono<br />

apprenderla. Non si tratta più, quin<strong>di</strong>, <strong>di</strong> copiare e imitare gli antichi maestri (se non nella<br />

misura in cui sono stati fedeli alla natura), bensì <strong>di</strong> copiare e imitare <strong>di</strong>rettamente la natura.<br />

20 Come descrive Giovanni Agostino Abate al momento dell’apparizione il Botta stava<br />

recitando il rosario “[…] e lui stava <strong>di</strong>sendo la sua coroneta”. ABATE 1897, pp. 1-13.<br />

21<br />

FRANZIA BUSCAGLIA 1985, pp. 335-338.<br />

22<br />

GAIBISSI 1936, tav. 9.<br />

297


Anche con questo piccolo campionario <strong>di</strong> opere tessili raffiguranti<br />

l’Apparizione conservate al Santuario possiamo vedere come la Madonna <strong>di</strong><br />

Misericor<strong>di</strong>a <strong>di</strong> <strong>Savona</strong>, seppur non accolga all’interno del suo mantello i<br />

fedeli accorsi al suo richiamo, sia avvertita, vista e raffigurata come la Madre<br />

Suprema che accoglie nel suo affettuoso abbraccio protettore non solo il Botta,<br />

tramite attraverso il quale la Vergine si manifestò e comunicò i precetti per<br />

tutta la popolazione savonese, ma tutti i fedeli che contemplano la sua effige.<br />

Maria assume il ruolo <strong>di</strong> <strong>di</strong>vina protettrice che attraverso l’amore materno sia<br />

verso il suo Figlio, sia verso gli uomini, riesce ad intercedere e a riportare la<br />

pace tra il Cristo e il suo popolo.<br />

Ringraziamenti<br />

Silvia Bottelli, Massimiliana Bugli, Patrizia Peirano, Donatella Ramello,<br />

Luciana Rando, Fulvio Rosso, Magda Tassinari.<br />

298


Bibliografia<br />

ABATE A. 1897, Cronache savonesi dal 1500 al 1570, a cura <strong>di</strong> G. ASSERETO, <strong>Savona</strong>.<br />

TASSINARI M. 1985, I tessuti, in La Madonna <strong>di</strong> <strong>Savona</strong>, Aiolfi R. et al., <strong>Savona</strong>.<br />

CASTELNOVI V.G. 1985, Guidobono, Haffner e Piola nella Cappella “della Crocetta” al<br />

Santuario, in La Madonna <strong>di</strong> <strong>Savona</strong>, Aiolfi R. et al., <strong>Savona</strong>.<br />

CASSIANO DA LANGASCO 1985, Un tema iconografico: la Madonna <strong>di</strong> Misericor<strong>di</strong>a, in<br />

La Madonna <strong>di</strong> <strong>Savona</strong>, Aiolfi R. et al., <strong>Savona</strong>.<br />

CATALDI GALLO M., TASSINARI M. 1999, Il patrimonio tessile, in Il Museo del Santuario<br />

<strong>di</strong> N.S. <strong>di</strong> Misericor<strong>di</strong>a, a cura <strong>di</strong> G. ROTONDI TERMINIELLO, <strong>Savona</strong>.<br />

CATALDI GALLO M. 2000, a cura <strong>di</strong>, Arte e lusso della seta a Genova dal ’500 al ’700,<br />

Torino.<br />

Fig. 1 Fig. 2<br />

299


Fig. 3 Fig. 3a<br />

Fig. 4<br />

300


Fig. 5<br />

Fig. 5a<br />

301<br />

Fig. 6


In<strong>di</strong>ce<br />

Prefazione . . . . . . . . p. 003<br />

Monsignor Vivaldo, don Scarrone, don Botta: il patrimonio<br />

documentario della <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> <strong>Savona</strong>-<strong>Noli</strong> continua<br />

a <strong>di</strong>alogare con chi intenda conoscere la storia del territorio<br />

Massimiliana Bugli . . . . . . . p. 005<br />

I conti <strong>di</strong> O<strong>di</strong>no Bava,<br />

prete <strong>di</strong> San Giovanni Battista a <strong>Savona</strong> (1486-1497)<br />

Angelo Nicolini . . . . . . . . p. 021<br />

Una vita d’archivio tra il passato ed il futuro<br />

Romilda Saggini . . . . . . . p. 071<br />

Le Confraternite - Sette secoli <strong>di</strong> vita<br />

Ernesto Arri . . . . . . . . p. 081<br />

«Inimici» o «adherenti»? I rapporti sociali ed economici<br />

fra finalesi e genovesi nel XVII secolo<br />

Paolo Calcagno . . . . . . . p. 093<br />

“Benaffetti” e “Malaffetti”. Intrecci familiari e appartenenze<br />

politiche nella Finale del primo Settecento<br />

Marco Leale . . . . . . . . p. 113<br />

I Domenicani a Finale nel XIX secolo<br />

Sara Badano . . . . . . . . p. 119<br />

Puntualizzazione su alcuni marmi<br />

della Collegiata <strong>di</strong> San Biagio in Finalborgo<br />

Massimo Bartoletti . . . . . . . p. 157<br />

1717 - Un furto sacrilego nella parrocchiale Finalmarina.<br />

Un’occasione <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o<br />

Santino Mammola . . . . . . . p. 185<br />

303


Argenti liturgici nel marchesato <strong>di</strong> Finale:<br />

alcuni casi tra XVI e XVIII secolo<br />

Laura Facchin . . . . . . . . p. 209<br />

Apparati tessili della Collegiata <strong>di</strong> Finalmarina<br />

Gian Luca Bovenzi . . . . . . . p. 243<br />

La devozione della gente <strong>di</strong> mare a Finale<br />

Rosalina Collu . . . . . . . . p. 269<br />

La Madonna <strong>di</strong> Misericor<strong>di</strong>a apparsa al Beato Botta<br />

nell’iconografia tessile del Santuario <strong>di</strong> <strong>Savona</strong><br />

Cristina Gamberini . . . . . . . p. 291<br />

304


ERRATA CORRIGE<br />

p. 244: Fig. 4 <strong>di</strong>venta Fig. 5<br />

p. 250: Fig. 4 <strong>di</strong>venta Fig. 5<br />

p. 251: Fig. 5 <strong>di</strong>venta Fig. 6<br />

p. 252: non quasi trova paragone <strong>di</strong>venta non trova quasi paragone<br />

p. 253: Fig. 6 <strong>di</strong>venta Fig. 7<br />

p. 253: Fig. 7 <strong>di</strong>venta Fig. 4<br />

p. 257: Figg. 11-12 <strong>di</strong>venta Figg. 11, 13<br />

p. 257: Fig. 13 <strong>di</strong>venta Fig. 14<br />

p. 258: Figg. 14-16 <strong>di</strong>venta Figg. 12, 15-16<br />

305

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