0 - Pergine Spettacolo Aperto
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IN-FORMAZIONE * APPROFONDIMENTI * RIFLESSIONI * A MARGINE DEL FESTIVAL ESTIVO<br />
STRUMENTO PREZIOSO PER ESPLORARE LA MEMORIA,<br />
PER INCROCIARE NEL SUO VASTO TERRITORIO SENTIERI<br />
INDIVIDUALI E RIPERCORRERE TRACCE CHE PORTANO A<br />
SPAZI CONDIVISI. L’ARTE. SOPRATTUTTO QUANDO LA MEMORIA<br />
COLLETTIVA SVELA CONTENUTI INGOMBRANTI E DISAGEVOLI,<br />
LUOGHI REALI CHE SONO SIMBOLI VIVENTI DI SEGREGAZIONE,<br />
SOLITUDINE, NUDA UMANITÀ. L’ARTE INCONTRA LA FOLLIA,<br />
LE DÀ SPAZI DI RIVELAZIONE, LA SOTTRAE A UN DESTINO DI<br />
ESCLUSIONE E MARGINALITÀ, ESALTA LA SUA DISTORTA, ABERRANTE<br />
PERIODICO DI PERGINE SPETTACOLO APERTO<br />
mostre<br />
teatro danza film<br />
poesia pittura musica<br />
incontri installazioni<br />
e altre cose…<br />
NIHIL ALIUD<br />
QUAM MASSA CARNIS<br />
15 17 18 19 LUGLIO PERGINE PADIGLIONE PERUSINI<br />
PUREZZA, LA PORTA A ESSERE SPECCHIO IN FRANTUMI DELLA CONDIZIONE UMANA; LA<br />
FOLLIA PERMEA L’ARTE, LE DONA IL PROPRIO DEFORMANTE LINGUAGGIO, LE OFFRE<br />
INEDITE TRAME ESPRESSIVE. FUORI DAL MERCATO E DALLA CULTURA<br />
UFFICIALI C’È UN’ARTE IRREGOLARE, LIBERA E NECESSARIA, CHE<br />
DISINTEGRA LE BARRIERE CANONICHE TRA UN’ARTE DEI SANI<br />
E UN’ARTE DEI MALATI, ANNULLA LA DISTANZA TRA NORMALITÀ E<br />
FOLLIA, TRA REGOLA E DEVIANZA. E NELLA MAGIA DELLO SPAZIO<br />
SCENICO, NEL MOVIMENTO DI CORPI E VOCI, LA RAPPRESENTAZIONE<br />
DEL DISAGIO PSICHICO ACQUISTA I TRATTI DELLA RIVELAZIONE: ALLE<br />
SOGLIE E AL LIMITARE DELLA FOLLIA SI NASCONDONO BRANDELLI DI<br />
QUOTIDIANO, PALPABILI TESTIMONIANZE DI QUELLO CHE TUTTI NOI<br />
SIAMO. FINO A RECUPERARE UNA NUOVA DIMENSIONE DEL SACRO, IN<br />
CUI L’ARTISTA, IL FOLLE E LO SPETTATORE DIVENTANO MOSTRI. NEL<br />
SONNO DELLA RAGIONE C’È UN’INTERA CITTÀ CHE SOGNA.<br />
ANNO 1 * NUMERO 0 * LUGLIO 2008<br />
DANIELA<br />
ROSI RENATA<br />
ANSELMI STEFANO<br />
FAVARO DIEGO SALEZZE<br />
TIZIANO SPINELLI VARINIA<br />
RETTONDINI DANIO MANFREDINI<br />
FRANCESCO VENTRIGLIA PIERA JANESELLI<br />
QUATTRO GIORNATE FUORI E DENTRO<br />
GLI SPAZI DELL’EX OSPEDALE PSICHIATRICO<br />
ERAVAMO CERTAMENTE DEI COLPEVOLI. MA LA SOVRASTRUTTURA DEL<br />
MANICOMIO, QUELLE MANI CHE NON TI OBBEDIVANO, QUEL CORPO<br />
CHE NON TI SERVIVA, QUEL SESSO CHE NON AVEVA MIRAGGIO<br />
ALCUNO, TUTTO CIÒ FACEVA DELLA TUA COLPA UN SENTIMENTO<br />
ROBOANTE E SEGRETO, TANTO CHE TU TI IMMERGEVI COME NELLA<br />
PALUDE O IN MEZZO ALLE SABBIE MOBILI. CREDO CHE SOLO LE<br />
ILLUSTRAZIONI DEL DORÉ DELLA DIVINA COMMEDIA<br />
DANTESCA POSSANO RENDERE BENE IL FASCINO E LA<br />
MOSTRUOSITÀ DEL MANICOMIO.<br />
ALDA MERINI<br />
memoria<br />
arte follia
Una piazza di carta per sognatori<br />
■ DI CRISTINA PIETRANTONIO DIRETTORE ARTISTICO DI PERGINE SPETTACOLO APERTO<br />
Nel 2008 il Festival PSA rilegge <strong>Pergine</strong> come una città che sogna. Ci è sembrata<br />
l’occasione giusta per inventarsi, in questa città ideale, anche una<br />
piazza di carta. L’immagine della piazza richiama uno spazio aperto e così<br />
abbiamo pensato debba diventare “La Città dei Matti”: ci piacerebbe ospitasse<br />
i pensieri dei “sognatori” perginesi, che si dimostrasse accogliente per chi<br />
crede che cose come cantare e danzare siano priorità vitali.<br />
Quello che avete in mano è un numero zero, una prima bozza, la presentazione di uno strumento,<br />
che ci auguriamo possa diventare sempre più ricco di spunti inediti e diversi, e sempre più “sentito”.<br />
Una piazza di carta, appunto, creata allo scopo di lanciare idee, ipotizzare direzioni, cercare di<br />
capire se e come la cultura e lo spettacolo possano contribuire a cambiare il volto di una città che<br />
in cultura e spettacolo sta investendo moltissimo, prova ne è la costruzione di due nuovi teatri.<br />
“La Città dei Matti” debutta in occasione dell’omonima sezione del festival dedicata al complesso rapporto<br />
tra arte e follia. Forse parlare di follia a <strong>Pergine</strong> è ancora “scomodo”, può generare imbarazzo<br />
o aperto rifiuto. È per tale ragione che PSA sta lavorando con impegno su questo tema, nella duplice<br />
convinzione che le vicende dell’ex Ospedale psichiatrico costituiscano<br />
un’importante fetta di storia cittadina e che la dose di follia<br />
che le arti di palcoscenico portano con sé, sia una componente essenziale<br />
per sopravvivere in una società come quella attuale.<br />
“La Città dei Matti”, dal 15 al 19 luglio, mette in campo una variegata<br />
proposta di spettacoli, esposizioni, riflessioni dentro e<br />
fuori gli spazi dell’ex manicomio. Un grazie particolare va a coloro<br />
che hanno reso possibile tutto questo: l’Azienda sanitaria del<br />
distretto di <strong>Pergine</strong>, il Comune di <strong>Pergine</strong>, l’Università, la Fonda-<br />
Immagine da La dama bianca<br />
Compagnia Roberto Corona<br />
Festival PSA, 5 luglio 2008<br />
IN REDAZIONE<br />
Giuliano Geri<br />
HANNO COLLABORATO<br />
Maria Giovanna Franch<br />
Giorgia Restieri<br />
Sara Sciortino<br />
| 2 | LA CITTÀ DEI MATTI | NUMERO NUMERO 0 * GIUGNO LUGLIO 2008<br />
zione Museo storico, la Provincia autonoma di Trento con il “Progetto<br />
Memoria”, i collaboratori e i volontari di PSA e, sin d’ora, a<br />
tutti coloro che vorranno in futuro contribuire a questo progetto.<br />
FOTOGRAFIE<br />
Marco Ambrosi<br />
Ferdinando Cioffi<br />
Pino Le Pera<br />
Gabriele Orlandi<br />
Archivio Associazione<br />
«Amici della Storia» - <strong>Pergine</strong><br />
Fondazione Museo storico<br />
del Trentino<br />
REDAZIONE<br />
via Guglielmi, 19<br />
38057 <strong>Pergine</strong> Valsugana (TN)<br />
GRAFICA E STAMPA<br />
Publistampa Arti grafiche<br />
via Dolomiti, 12<br />
38057 <strong>Pergine</strong> Valsugana (TN)<br />
* La Città dei Matti. Con questo<br />
nome era conosciuta, fino a poco<br />
tempo fa, <strong>Pergine</strong> Valsugana.<br />
Una città il cui paesaggio, reale<br />
e simbolico, era dominato dal<br />
manicomio, un luogo senza nome,<br />
come tutti i manicomi, un luogo<br />
della vergogna, che per oltre un<br />
secolo ha ospitato gente di lingua e<br />
cultura diverse, italiani e tedeschi,<br />
ma anche ladini e mocheno-cimbri.<br />
Un luogo in cui ogni identità<br />
– culturale, linguistica, ma<br />
soprattutto umana – si perdeva<br />
in un’esistenza anonima, dove<br />
l’estraneità della parola era la muta<br />
traccia che conduceva dentro<br />
storie di dolore e segregazione, ma<br />
anche di speranza e riscatto.<br />
Dall’ospedale psichiatrico sono<br />
transitate migliaia di esistenze, che<br />
hanno intrecciato la loro vicenda<br />
personale con quella di un’intera<br />
città: tanti pazienti, altrettanti<br />
medici e paramedici, ma anche<br />
personale di servizio e di gestione,<br />
che aveva il compito di tenere<br />
in piedi l’istituzione totale. Un<br />
universo di microstorie, racconti<br />
e testimonianze di chi stava dentro,<br />
di chi stava fuori, di chi stava un<br />
po’ dentro e un po’ fuori. È forse il<br />
luogo più autentico della memoria<br />
collettiva, un patrimonio con cui<br />
un’intera comunità si specchia nel<br />
suo passato. Oggi la Città dei Matti<br />
è la “Città che Sogna”, così<br />
abbiamo voluto intitolare l’edizione<br />
2008 di <strong>Pergine</strong> <strong>Spettacolo</strong> <strong>Aperto</strong>.<br />
Per molti che hanno fatto la storia<br />
di <strong>Pergine</strong> il sogno, per lungo<br />
tempo, è stato quello di una vita<br />
normale, di un’esistenza senza<br />
barriere, un sogno di libertà e di<br />
integrazione. A trent’anni dall’entrata<br />
in vigore della Legge 180 vogliamo<br />
dunque dedicare il numero zero<br />
a chi ha reso questo sogno realtà:<br />
Franco Basaglia. *<br />
FESTIVAL PERGINE SPETTACOLO APERTO<br />
Via Guglielmi, 19<br />
38057 <strong>Pergine</strong> Valsugana (TN)<br />
tel. 0461 530179<br />
fax 0461 533995<br />
info@perginepsa.it<br />
www.perginepsa.it<br />
Per informazioni, richieste e contributi: artediesserefuori@perginepsa.it
DISSONANZE<br />
Un’arte libera, totale e necessaria, che ci costringe ad aprire gli occhi.<br />
Un’arte che fa delle nostre vite un inno alla Vita e che ci rappresenta tutti.<br />
A <strong>Pergine</strong> approda l’Outsider Art.<br />
SOGNARE… AD OCCHI APERTI<br />
L’OUTSIDER ART A PERGINE<br />
■ DI MARIA GIOVANNA FRANCH<br />
«“Noi abbiamo paura a passare di lì, c’è il Bigio”, dicevano le mie<br />
compagne quando, ancora alle elementari, si tornava da scuola.<br />
“Ma cosa vi fa il Bigio da aver paura?”, chiedevo io. Non sapevano<br />
cosa rispondere, ovviamente. Il Bigio era l’artista out del paese.<br />
L’ubriacone che imbrattava i muri delle case di Isola della Scala.<br />
L’anello debole della catena nella vita pigra e monotona di una<br />
piccola comunità. Era l’individuo indecente e imbarazzante che interrogava<br />
i passanti. Bigio era l’altro, era Altro. Ma per me Bigio<br />
era prima di tutto l’artista. Lui non farfugliava le frasi informi degli<br />
ubriachi, lui vaticinava; lui non imbrattava i muri, ma disegnava<br />
soggetti sacri; lui non era<br />
l’anello che non tiene, ma un anello<br />
in grado di riflettere il luccicare<br />
del sole; lui non era il provocatore,<br />
ma la voce delle verità ultime. Bigio<br />
fu il mio incontro con l’artista;<br />
fu il mio imprinting outsider; fu e<br />
rimane per me il simbolo dell’arte<br />
libera, totale, necessaria.»<br />
Così Daniela Rosi, curatrice della<br />
mostra di Outsider Art al Padiglione<br />
Perusini dell’ex Ospedale psichiatrico<br />
di <strong>Pergine</strong>, spiega il suo<br />
incontro, fatale, con l’arte e la follia,<br />
con l’arte dentro la follia.<br />
L’Outsider Art, detta anche “Arte<br />
irregolare”, comprende la grande<br />
e variegata famiglia di artisti marginali,<br />
folk, naïf, visionari, spesso<br />
malati mentali, dunque socialmente<br />
emarginati, sempre o quasi<br />
sempre sprovvisti di formazione<br />
artistica. Si tratta di un’arte che si<br />
muove al di fuori del condiziona-<br />
18-19 luglio 2008 dalle ore 15<br />
<strong>Pergine</strong> Padiglione Perusini, ex Ospedale Psichiatrico<br />
mento di canoni, correnti e mercati, e che si rivela sui muri e le<br />
facciate delle case, negli angoli dove cercano riparo i barboni,<br />
nelle corsie di un ospedale e nelle stanze dei centri di salute mentale.<br />
E poi negli atelier, quelli privati di artisti affermati, quelli collettivi<br />
e quelli protetti. Anche negli atelier gestiti da Daniela e dai<br />
suoi allievi dell’Accademia di Belle Arti G.B. Cignaroli di Verona.<br />
Proprio in Accademia si è tenuto un corso di specializzazione postdiploma<br />
in Outsider Art, unico esempio in Italia, e un osservatorio<br />
nazionale per il monitoraggio delle opere che escono dai<br />
luoghi di cura, in convenzione con il Centro di Riabilitazione<br />
neurologica Franca Martini di Trento, in cui Daniela lavora in<br />
qualità di responsabile culturale.<br />
«Esiste un notevole interesse per questa realtà espressiva in quasi<br />
tutta Europa – spiega Daniela – e in particolare negli Stati Uniti,<br />
dove tutti gli anni si tiene, a New York, una Fiera mondiale di<br />
Outsider Art. Verona per parte sua ha una lunga tradizione. Esisteva<br />
nell’Ospedale psichiatrico a San Giacomo alla Tomba un<br />
atelier organizzato da un noto scultore scozzese, Michael Nobel,<br />
che ha lanciato un autore come Carlo Zinelli, collezionato da Dubuffet<br />
e ritenuto dallo stesso (ma anche da Breton) una delle<br />
massime espressioni dell’Art<br />
Brut già negli anni cinquanta.<br />
AD OCCHI APERTI Percorsi di Outsider Art a cura di Daniela Rosi<br />
Con la partecipazione attiva del “Progetto Outsider Art” Centro Franca Martini<br />
A.T.S.M. di Trento e Accademia di Belle Arti G.B. Cignaroli di Verona<br />
Opere:<br />
* Diego Salezze (percorso libero) Macchie d’autore<br />
* Diego Salezze e Marco Ambrosi Macchie d’autori<br />
* Tiziano Spinelli (atelier Fatato Il bestiario di Trane<br />
Gengiscao Marzana-VR)<br />
* Renata Anselmi (atelier Fatato Spaziale nella nave<br />
Gengiscao Marzana-VR)<br />
* Varinia Rettondini (atelier AutArt Mantova) Serial without killer<br />
* Stefano Favaro (atelier AutArt Mantova) Lineamenti per una<br />
nuova teoria<br />
dell’evoluzione<br />
E ancora installazioni di vita manicomiale, canti orfici, ritratti d’autore,<br />
video e frammenti letterari.<br />
Per saperne di più: www.perginepsa.it L’arte di essere fuori - spazi aperti<br />
Anche la mostra Oltre la ragione,<br />
tenutasi al Palazzo della<br />
Ragione di Bergamo nel 2006,<br />
ha rilanciato l’interesse per<br />
questo tipo di arte, mentre ad<br />
ArtVerona spetta il primato di<br />
aver ospitato gli outsider insieme<br />
a tutti gli altri artisti, abbattendo<br />
finalmente la barriera<br />
che impediva agli autori marginali<br />
di stare a fianco, o meglio,<br />
dentro l’Arte ufficiale.»<br />
Dal 2007 anche il Festival<br />
dell’Economia di Trento riserva<br />
uno spazio all’outsider. E ora<br />
<strong>Pergine</strong>, in un luogo difficile<br />
come un padiglione abbandonato<br />
di quello che fu uno dei<br />
più importanti manicomi italiani<br />
del secolo scorso. Qui la<br />
follia dialoga con i suoi fanta-<br />
▲ Renata Anselmi Angeli che fuggono via<br />
(part.)<br />
Padiglione Perusini<br />
LUGLIO 2008 * NUMERO 0 | LA CITTÀ DEI MATTI | 3 |
smi, i muri sembrano parlare, sottovoce, ultimi<br />
testimoni di lamenti, frasi insensate, parole di<br />
conforto, preghiere, sguardi, gesti umani, nascite<br />
e morti. «Un luogo sacro – continua Daniela –<br />
a cui ci siamo avvicinati con reverenza. Per preparare<br />
la mostra siamo entrati e rientrati nelle<br />
stanze del Perusini, abbiamo osservato le vetrate,<br />
i bagni vuoti, raccolto oggetti di cui non sapevamo<br />
spiegarci l’uso, ci siamo soffermati su<br />
resti di piccoli lavori creativi, bandierine, cappellini<br />
e coroncine per le feste comandate, abbiamo<br />
sciolto grovigli di cinghie di contenzione,<br />
rubato lacerti di memorie rimaste intonse, scoperto<br />
piccole installazioni artistiche involontarie<br />
come un Cristo reclino su uno specchio, un<br />
semplice santino che si è piegato, nel tempo,<br />
sotto il peso della croce. In questo luogo abita<br />
per qualche giorno quanto c’è di più vivo e libero nella vita degli<br />
uomini: l’arte. Ed è per questo, ispirati anche dal tema scelto<br />
quest’anno per il festival PSA, che abbiamo deciso di chiamare<br />
la mostra Ad occhi aperti. La città può svegliarsi dall’incubo del<br />
suo manicomio e trasformare finalmente i suoi sogni collettivi<br />
in realtà. Sognare ad occhi aperti, appunto, prima di addormentarsi,<br />
prima che sia troppo tardi.»<br />
Le opere esposte al Perusini provengono dagli atelier Fatato Gengiscao<br />
del C.d. L’Arca, Marzana, Verona e AutArt del C.p.s. di<br />
Mantova (diretti rispettivamente da Cristina Joechler e Igor Novelli),<br />
vere e proprie officine di creatività in cui le capacità degli<br />
utenti/artisti interagiscono con artisti usciti dal percorso formativo<br />
accademico. Tiziano Spinelli e Renata Anselmi, presenti a Per-<br />
▲ Ospedale psichiatrico di <strong>Pergine</strong>,<br />
ingresso (anno 1882)<br />
| 4 | LA CITTÀ DEI MATTI | NUMERO NUMERO 0 * GIUGNO LUGLIO 2008<br />
DANIELA ROSI nasce a Isola della Scala (Verona)<br />
nel 1959. Diploma accademico in Scenografia, è stata<br />
curatrice di oltre cinquanta di mostre di Arte irregolare,<br />
realizzate in diverse città italiane, tra cui la sezione<br />
speciale dedicata all’Outsider Art alla fiera mercato<br />
ArtVerona fin dalla prima edizione del 2005.<br />
È coordinatrice del progetto sull’Outsider Art<br />
all’Accademia di Belle Arti di Verona e degli atelier<br />
dei reparti di psichiatria delle aziende ospedaliere<br />
di Verona e di Mantova. Autrice di diversi articoli<br />
e saggi sul tema dell’Outsider Art per riviste e<br />
cataloghi d’arte nazionali e internazionali, dirige la<br />
collana “I Funamboli” per i tipi della Campanotto di<br />
Udine, dedicata agli artisti marginali. È responsabile<br />
culturale del Centro di Riabilitazione neurologica<br />
“Franca Martini” di Trento.<br />
gine, hanno già esposto in fiere di arte contemporanea, mentre<br />
Stefano Favaro, anch’esso in mostra a <strong>Pergine</strong>, ha pubblicato per<br />
l’editore Campanotto di Udine un volume dal titolo Lineamenti<br />
per una nuova teoria dell’evoluzione, una raccolta di immagini e<br />
pensieri che rovesciano il mondo. Tra gli artisti seguiti direttamente<br />
da Daniela Rosi è presente Diego Salezze, che lavora stabilmente<br />
a Ca’ Vignal, con le sue Macchie d’autore.<br />
«Tutte queste espressioni artistiche – così Daniela – attingono la<br />
loro linfa nel profondo di ognuno di noi, nell’inconscio collettivo<br />
dell’umanità. È un’arte che fa delle nostre misere vite un inno<br />
alla Vita. Un’arte che ci rappresenta tutti, nessuno escluso.»<br />
Un’arte che ci coglie nel sonno, indifesi, e ci obbliga ad aprire gli<br />
occhi. *
DISSONANZE / GLI ARTISTI<br />
DIEGO SALEZZE è nato a Verona, dove vive e lavora, nel 1973.<br />
Figlio d’arte (sia il nonno sia la madre pittori), dipinge da parecchi anni.<br />
Ha partecipato a laboratori espressivi diretti da Luigi Scapini<br />
ed è uno degli autori degli Psycotarocchi editi da Dal Negro.<br />
Lavora in modo molto materico, utilizzando il colore puro, e si esprime<br />
sia con un figurativo molto stilizzato sia con l’astratto.<br />
Le note “macchie” sono il suo vero tema caratterizzante.<br />
Possiede una particolarissima carica espressiva che raggiunge<br />
nella sintesi astratta la sua massima capacità di sorprendere.<br />
▲ Macchie<br />
Macchie<br />
Macchie d’autore<br />
LUGLIO 2008 * NUMERO 0 | LA CITTÀ DEI MATTI | 5 |
DISSONANZE / GLI ARTISTI<br />
Il bestiario di Trane - L’aquila della saguana<br />
▼ Il bestiario di Trane - La pantera dell’Africa<br />
| 6 | LA CITTÀ DEI MATTI | NUMERO NUMERO 0 * GIUGNO LUGLIO 2008<br />
TIZIANO SPINELLI è nato a Grezzana (VR) e ha iniziato<br />
la sua attività pittorica nell’atelier di Arte irregolare<br />
del CSM L’Arca, sezione Lessinia, a Verona.<br />
I suoi soggetti ci appaiono come immagini<br />
provenienti dall’universo delle favole. Ha realizzato<br />
un vero e proprio bestiario che ci riporta al mondo<br />
dell’illustrazione e a quello più criptico e complesso<br />
del bestiario medioevale. Lavora sia su dimensioni<br />
di media misura sia su grandi superfici.<br />
La tecnica che predilige è l’acrilico su carta<br />
o su tavole di legno.
RENATA ANSELMI è nata a Verona.<br />
Pur manifestando un’indole<br />
originale e creativa, si è accostata<br />
al disegno e alla pittura solo di<br />
recente, dimostrando subito<br />
grande originalità, forza<br />
espressiva e maturità artistica.<br />
Renata ama moltissimo i colori:<br />
colori forti, accesi, che non<br />
passano certo inosservati.<br />
Colori che accostati tra loro nei<br />
modi più inaspettati, hanno il<br />
potere di accendere le forme e di<br />
introdurci – noi, curiosi avventori<br />
catapultati inaspettatamente<br />
nel suo mondo – direttamente<br />
nei suoi percorsi interiori.<br />
Angeli che fuggono via<br />
▼ Spaziale sulla nave<br />
I gatti sulla luna<br />
LUGLIO 2008 * NUMERO 0 | LA CITTÀ DEI MATTI | 7 |
DISSONANZE / GLI ARTISTI<br />
VARINIA RETTONDINI, originaria di<br />
Bancole di Porto Mantovano, ha<br />
dimostrato sempre particolare<br />
propensione all’espressione<br />
figurativa. A scuola veniva spesso<br />
elogiata per la qualità dei suoi<br />
lavori. Dopo la formazione<br />
dell’obbligo abbandona ogni<br />
forma di espressione artistica per<br />
riprenderla poi frequentando<br />
AutArt, dove si distingue fin da<br />
subito per le sue particolari<br />
capacità. Oggi, dopo tre anni di<br />
frequentazione dell’atelier, Varinia<br />
realizza formati mega con il tema<br />
della reiterazione dei soggetti. Di<br />
particolare impatto figurativo i<br />
seriali giganti esposti in questa<br />
occasione.<br />
| 8 | LA CITTÀ DEI MATTI | NUMERO NUMERO 0 * GIUGNO LUGLIO 2008<br />
▲ Moke<br />
Molto si è detto, ma forse non ancora abbastanza,<br />
delle felici alleanze che si possono instaurare tra<br />
l’arte e la psichiatria, a condizione che quest’ultima<br />
accolga con benevolenza e rispetto quella leggerezza<br />
non verbale di cui gli artisti sono portatori.<br />
Teresa Maranzano
STEFANO FAVARO è nato<br />
a Mantova. Artista totale:<br />
inventore, ingegnere, pittore,<br />
opinionista di “Rete 180, la voce<br />
di chi sente le voci”, craniologo.<br />
Ha camminato tra il traffico<br />
mentre puliva le strade e le<br />
aggiustava, ha teso il suo cavo tra<br />
le spiagge di Ramsgate e i<br />
serbatoi di fenolo, ha attraversato<br />
il mare sottocoffa e ha<br />
passeggiato tra le mucche di<br />
Tripoli. La sua impresa artistica si<br />
rivela soprattutto in una grande<br />
presa della luce. Cauto nello<br />
spendere, lento perché così è<br />
nato, precisissimo. Ma come<br />
artista ha fatto alla svelta.<br />
▲ Filtro per fumi industriali<br />
Tazza (generica) di plastica,<br />
antiurto, antigelo, antibru<br />
LUGLIO 2008 * NUMERO 0 | LA CITTÀ DEI MATTI | 9 |
CONSONANZE / IL TEATRO<br />
I MOSTRI FRA NOI<br />
INTERVISTA A DANIO MANFREDINI<br />
■ DI GIORGIA RESTIERI<br />
Perché hai intitolato il tuo<br />
ultimo spettacolo Il sacro<br />
segno dei mostri ?<br />
Il titolo si rifà a una frase di Jean<br />
Genet: «se li ho appesi al muro» – si<br />
riferiva ai carcerati – è perché avevano<br />
agli angoli della bocca il sacro segno<br />
dei mostri». Sin dall’inizio ho temuto che la<br />
parola “mostro” potesse generare una definizione<br />
negativa. Sul vocabolario è indicata anche come “segno di<br />
Dio”, da monstruum, “rivelazione”, ciò che ha a che fare con il divino.<br />
Ed è in questa accezione più positiva che ho voluto intendere<br />
il titolo del mio spettacolo: da una parte perché all’interno del<br />
contesto sociale il folle viene guardato come un individuo da temere,<br />
da allontanare, da guardare con una certa soggezione; dall’altra<br />
perché l’artista che cuce l’opera è anch’esso considerato un<br />
mostro sacro. Ho capito insomma che c’era una consonanza tra<br />
questa parola e ciò che volevo mettere in scena, la stessa consonanza<br />
che esiste tra il mondo della follia e il mondo dell’arte, anche<br />
se non bisogna dimenticare che per l’artista attingere alla<br />
sfera dell’immaginazione è quasi sempre un’attività sotto controllo,<br />
mentre per il folle molto spesso non lo è affatto.<br />
Da cosa è nato questo lavoro?<br />
Da tanti appunti presi durante i dodici anni di lavoro nella casa<br />
di cura psichiatrica e da annotazioni raccolte anche nel periodo<br />
successivo, dato che con alcuni degli ex internati sono ancora in<br />
| 10 | LA CITTÀ DEI MATTI | NUMERO 0 * GIUGNO LUGLIO 2008<br />
Nel suo ultimo spettacolo che va in scena a <strong>Pergine</strong>, Danio<br />
Manfredini si misura con il disagio psichico, tema che ha avuto<br />
modo di approfondire a lungo insegnando pittura in una casa di<br />
cura psichiatrica di Milano e condividendo con i pazienti<br />
parte del proprio disagio esistenziale. L’evocazione di<br />
sentimenti, emozioni, sogni e sofferenze di<br />
alcuni di loro sono la materia da cui<br />
ha tratto spunto.<br />
Risveglia il terrore,<br />
suscita inquietudine,<br />
evoca remoti incanti,<br />
rivela quell’eterno e<br />
fragile equilibrio tra<br />
realtà e fantasia che<br />
è la condizione umana.<br />
È l’artista che incontra<br />
il folle, che diventa<br />
“mostro”.<br />
Danio Manfredini,<br />
uno degli interpreti<br />
più originali del teatro<br />
contemporaneo,<br />
presenta a <strong>Pergine</strong><br />
il suo ultimo lavoro.<br />
contatto. C’è quindi un fattore<br />
di continuità alla base di questa<br />
mia ricerca. Non avevo ancora<br />
messo mano a questo materiale<br />
documentario, perché da un lato<br />
era un tema molto delicato e dall’altro<br />
perché la comunità in cui avevo lavorato<br />
era stata creata in virtù dell’entrata in<br />
vigore della 180, quindi da nuove modalità di cura<br />
e gestione del disagio psichico, dalla creazione di strutture<br />
d’accoglienza differenti. Quei pazienti a cui un giorno era stato<br />
detto: «questa è casa vostra», all’improvviso si sono sentiti dire:<br />
«questa non è più casa vostra», e sono stati destinati alcuni a<br />
ospizi, altri ad appartamenti in condivisione con altri pazienti,<br />
altri a centri di accoglienza e di cura come quella. È là che ho<br />
fatto un’esperienza importante per la mia vita, non soltanto per<br />
la mia attività artistica. Un ambiente ricco di stimoli, dove valevano<br />
princìpi di gestione un po’ anarchici, ma anche alcune regole<br />
che cercavo di comprendere come funzionali, atte a uno scopo<br />
preciso. Rimaneva l’intenzione di trattare queste persone come<br />
esseri umani, di relazionarsi a loro partendo dalle loro stesse<br />
condizioni. E soprattutto la consapevolezza che dietro le loro<br />
espressioni, banali o geniali, quotidiane o estemporanee, c’era un<br />
particolare percepirsi nel mondo, uno strenuo tentativo di trovare<br />
un posto nella realtà o almeno all’interno di una comunità. Sono<br />
state queste le motivazioni che mi hanno spinto a riprendere in<br />
mano questa materia narrativa, in particolare a trarre spunto dagli
Il percorso di formazione di<br />
autore-attore di DANIO MANFREDINI<br />
risale agli anni Settanta, presso il<br />
Laboratorio del centro sociale<br />
Isola di Milano e con il gruppo<br />
teatrale Tupac Amaru di Cesar<br />
Brie. Nei primi anni Ottanta<br />
studia con Ryszard Cieslak e<br />
Stanislaw Scierzki del celebre<br />
Grotowski’s Theatre Workshop,<br />
per poi insegnare scenografia<br />
alla Scuola d’Arte drammatica<br />
Paolo Grassi. Al di fuori di ogni<br />
traccia codificata e soltanto<br />
apparentemente anarchico, sin<br />
dall’inizio il suo percorso artistico<br />
è caratterizzato dal rigore nella<br />
ricerca teatrale, da una ferrea<br />
disciplina etica ed espressiva.<br />
Punto di riferimento importante<br />
per il teatro di Danio Manfredini<br />
è la pittura, intesa nel senso più<br />
intimo e profondo di visioni<br />
interne che caratterizzano<br />
fortemente l’incontro tra il<br />
pubblico e l’attore, così come la<br />
sensazione, che offre possibilità<br />
d’azione, di presenza nello spazio.<br />
Tra le sue opere teatrali si<br />
ricordano La crociata dei bambini<br />
dal poema di Bertolt Brecht<br />
(1984), Notturno (1985), Miracolo<br />
della rosa (1988), con il quale<br />
vince il Premio Ubu 1989, il recital<br />
per sax e voce Misty (1989),<br />
La vergogna (1990), Tre studi<br />
per una crocifissione (1992).<br />
Nel 1997 presenta al Festival di<br />
stati d’animo dei pazienti che più volte avevo avuto modo di registrare:<br />
un arcobaleno di emozioni, di umori, di atteggiamenti e<br />
inclinazioni in molti casi simili ai nostri, soltanto espressi in modalità<br />
differenti, più accentuate, o di cui forse avevo amplificato<br />
certe risonanze o sfumature. Da questo repertorio di storie e vicende<br />
quotidiane che mi ha offerto la comunità ho ricreato un<br />
contesto reale, che è la scena teatrale, dove la sfera emotiva potesse<br />
essere osservata con una lente d’ingrandimento.<br />
Dov’è la tua personale follia nel teatro che proponi?<br />
Non penso di potermi inserire a pieno titolo nella categoria dei<br />
folli. Credo però che ogni percezione profonda della realtà è in<br />
sé un rompere le frontiere, una sovrapposizione di piani, un attraversare<br />
i confini tra immaginazione, visione, realtà, sogno,<br />
fantasia. È questa indistinzione, questo particolare rapportarsi al<br />
mondo che circonda i nostri sensi la dimensione in cui interviene<br />
l’attività artistica, in particolare il lavoro teatrale: la rappresentazione,<br />
ciò che il pubblico vede, è una confusione di piani in cui<br />
fantasia, memoria, immaginazione compongono una dinamica. È<br />
proprio questo l’aspetto magico della messa-in-scena: la realtà<br />
che assomiglia a un sogno, che si nutre di immaginazione, che<br />
perde i suoi contorni immediatamente percepibili. La traduzione<br />
del “sacro segno” parte dalla ricreazione dei ricordi, anch’essi appartenenti<br />
alla sfera dell’immaginazione: giorni, situazioni, momenti<br />
che, proprio perché manipolati dall’immaginazione,<br />
tendono a conservare un’impronta di realtà, a ritornare percezione<br />
nel momento stesso in cui rivivono nello spazio “artificioso”<br />
Santarcangelo la prima parte del<br />
nuovo lavoro Al presente, che dal<br />
1998 porterà in forma definitiva<br />
nei più importanti festival di tutta<br />
Italia. Nel 2000 riprende, rivisto<br />
e corretto, lo spettacolo La<br />
vergogna, di cui muta il titolo in<br />
Hic desinit cantus, opera ispirata<br />
a Pier Paolo Pasolini e Jean<br />
Genet. L’8 luglio 2003 debutta al<br />
Festival Santarcangelo dei Teatri<br />
con Cinema Cielo.<br />
Tra i tanti spettacoli a cui Danio<br />
Manfredini ha partecipato,<br />
ricordiamo Il muro (1991) e Il<br />
silenzio (2000) di Pippo Delbono,<br />
Parsifal (1999) di Cesare Ronconi<br />
con il teatro Valdoca.<br />
Danio Manfredini (foto di Pino Le Pera)<br />
e il suo autoritratto<br />
della messa-in-scena. Artificioso nel senso che ho lavorato con<br />
degli attori, ho affidato loro le parti, ho assegnato ruoli precisi,<br />
cosa che è di per sé una deformazione dell’esperienza originaria:<br />
non ci sono più quelle persone con cui ho interagito allora, che<br />
hanno dato sostanza al mio vissuto, adesso ho davanti a me altri<br />
corpi, diversi, che tuttavia restituiscono vita ai ricordi e ai loro<br />
veri protagonisti. Gli attori non solo hanno ripercorso le biografie<br />
di quelle persone, le loro vicende esistenziali, le tracce che hanno<br />
lasciato dentro di me e nella mia stessa immaginazione, ma provano<br />
a entrare in consonanza con quelle che erano le loro esperienze,<br />
le loro sensazioni, le loro espressioni e questa è un’ulteriore<br />
deformazione. Va in scena, insomma, il filtro di un attore che percepisce<br />
la possibilità di rispecchiarsi in una condizione: il teatro è<br />
prima di tutto deformazione, non dimentichiamocelo.<br />
Non ti è mai venuto in mente di fare teatro con i tuoi pazienti?<br />
Mi è venuto in mente, certo, soprattutto all’inizio. Glielo avevo<br />
anche proposto ma il messaggio che, a modo loro, mi hanno sempre<br />
trasmesso è che il teatro è una forma d’arte che solleva troppe<br />
emozioni, che mette a nudo, che coinvolge nel profondo. E in<br />
effetti li capivo e li capisco tuttora. Mi trovavo in un contesto di<br />
patologia, di disagio profondo, certe volte davanti a casi piuttosto<br />
gravi, in una situazione delicata proprio dal punto di vista emozionale.<br />
C’era in loro una specie di intasamento della mente, una<br />
difficoltà ad aprirsi totalmente all’ascolto, a liberarsi da certe ossessioni.<br />
La pittura, al contrario, generava stimoli diversi, richiedeva<br />
un approccio più lieve: più facilmente i pazienti assorbivano<br />
LUGLIO 2008 * NUMERO 0 | LA CITTÀ DEI MATTI | 11 |
nella loro mente colori e immagini.<br />
Non abbiamo soltanto dipinto<br />
ma abbiamo visto molti quadri assieme.<br />
In quelle occasioni notavo<br />
come la visione del pittore penetrava<br />
in loro, cambiava il paesaggio<br />
interno della loro mente,<br />
apriva non solo squarci di oscurità<br />
e inquietudine, ma anche di<br />
bellezza.<br />
Gli attori hanno conosciuto i<br />
personaggi che mettono in scena?<br />
Qualcuno sì, di altri hanno soltanto<br />
visto delle foto, o letto i<br />
miei racconti oppure seguito le<br />
mie imitazioni.<br />
L’attore può essere considerato<br />
a suo modo un pazzo?<br />
Indubbiamente l’attore si getta a<br />
capofitto dentro alcune situazioni<br />
proprio per ricrearle in scena, vi<br />
si abbandona completamente,<br />
spesso finisce per perdere fatalmente<br />
ogni discrimine tra rappresentazione<br />
e realtà, e in questo<br />
senso sì, è un pazzo. Ma l’attore<br />
sveste i panni del personaggio nel<br />
momento in cui terminano le prove<br />
o lo spettacolo, dopodiché torna<br />
alla sua vita, al suo mondo, alle sue relazioni, ai suoi affetti.<br />
La follia è prima di tutto una dimensione di sofferenza da cui<br />
non puoi entrare e uscire a piacimento, in cui l’individuo è trascinato<br />
dentro come in un vortice e privato della libertà. Non dobbiamo<br />
mai dimenticarci che la follia è disagio, chiusura, paura,<br />
ansia, solitudine; non è affatto una condizione augurabile o un<br />
qualcosa a cui aspirare, soprattutto per il dolore che procura<br />
l’emarginazione dalla società. Puoi avere tutta la genialità,<br />
l’estro, la saggezza che vuoi, puoi percepire la realtà in modi diversi<br />
e interessanti, puoi dimostrare quella lucidità e sensibilità che<br />
tutti gli altri non hanno, ma finché sei costretto a essere un sog-<br />
| 12 | LA CITTÀ DEI MATTI | NUMERO 0 * GIUGNO LUGLIO 2008<br />
15 luglio 2008 ore 21.30<br />
<strong>Pergine</strong> Teatro Tenda<br />
IL SACRO SEGNO DEI MOSTRI<br />
Ideazione e regia Danio Manfredini<br />
con Simona Colombo, Cristian Conti, Afra Crudo, Vincenzo Del Prete,<br />
Danio Manfredini, Giuseppe Semeraro, Carolina Talon Sampietri<br />
Luci Maurizio Viani<br />
Produzione Emilia Romagna Teatro Fondazione, CTB Teatro Stabile di Brescia<br />
Il sacro segno dei mostri indaga il mondo e l’atmosfera del disagio psichico,<br />
tema caro a Danio Manfredini che per anni ha insegnato pittura<br />
in una casa di cura di Milano per malati psichici. I sentimenti, le sensibilità<br />
di alcune di queste figure, sono il fulcro di questa creazione.<br />
«Fu intorno ai trent’anni che entrai a lavorare come conduttore dell’atelier<br />
di pittura presso una comunità psichiatrica nata a seguito della Legge<br />
180 che prevedeva il superamento della vecchia istituzione<br />
manicomiale. Entrai in quel contesto con l’attenzione di chi entra nella<br />
foresta. Non si trattava di confrontarsi con belve feroci ma con esseri<br />
umani imprevedibili, fragili e vulnerabili. Provavo soggezione, timore e<br />
attrazione. Ogni paziente con cui venivo a contatto era un mondo unico,<br />
misterioso. Stavo in ascolto, parlavo poco, capivo che dovevo fare attenzione<br />
a come mi muovevo nello spazio, imparavo a essere presente senza<br />
invadere. Ho lavorato dodici anni con quelle persone; mi sono<br />
licenziato da otto. Lasciare la comunità fu difficile e in qualche modo<br />
lacerante. Nel corso di quegli anni avevo scritto diversi appunti, stralci<br />
di conversazioni con loro, accadimenti particolari. Ho rovistato nei quaderni<br />
in cerca di queste tracce. Questi frammenti sono stati il punto di<br />
partenza per il lavoro con gli attori, insieme a foto, qualche video, e soprattutto<br />
i miei racconti.» (Danio Manfredini)<br />
getto marginale, a non essere<br />
ascoltato, a non avere piena dignità<br />
sociale, questa tua “diversità”<br />
può essere soltanto motivo<br />
di disperazione. In altri tempi il<br />
folle era quasi il portatore di un<br />
messaggio divino, apparteneva<br />
a un universo ma gico, sciamanico,<br />
ma nel mondo contemporaneo<br />
tutto que sto è andato<br />
perduto. Il folle è soltanto un<br />
emarginato, niente di più.<br />
Che cosa ti aspetti da<br />
questo ultimo tuo spettacolo?<br />
Non ho voluto mettere in scena<br />
questa vicenda con il semplice<br />
intento di raccontare le<br />
biografie dei personaggi, ho<br />
cercato piuttosto di creare dei<br />
quadri scenici dentro i quali<br />
far agire queste figure e, attraverso<br />
l’azione degli attori, evocare<br />
una storia che sta alle<br />
spalle, una condizione umana.<br />
La difficoltà è stata soprattutto<br />
quella di comprendere e ordinare<br />
la struttura dei ricordi.<br />
Ne è venuta fuori così una<br />
messa-in-scena scandita per<br />
quadri che corrispondono ciascuno<br />
a un momento inserito in un arco di tempo piuttosto lungo:<br />
infatti ogni attore compare prima giovane e poi vecchio.<br />
Quello che volevo tracciare, in fondo, era il senso del tempo, di<br />
come il tempo cambia le persone nel suo essere il deposito di<br />
esperienze, stati d’animo, incontri, situazioni, gioie, drammi, tragedie,<br />
tutto ciò che insomma è vita. In questo contesto la dimensione<br />
della follia acquisisce davvero un valore e un significato del<br />
tutto particolari. Una follia ripercorsa da “fuori”, da quello che ho<br />
visto e sperimentato. Ciò che<br />
Immagini da Il sacro segno dei mostri<br />
foto di Pino Le Pera<br />
sta “dentro” è e rimarrà sempre<br />
per me un mistero. *
CONSONANZE / LA DANZA<br />
Al limite della follia troviamo la normalità, come se ne fosse una componente inscindibile.<br />
Francesco Ventriglia, giovane coreografo e danzatore, realizza a <strong>Pergine</strong> una nuova produzione<br />
incentrata sul tema della follia. Rigore e fantasia coreografica, geometrie e vitalità, il suo<br />
modo di concepire la danza trasmette in pieno l’emozione della vita.<br />
NORMALE<br />
ANCHE LA FOLLIA MERITA I SUOI APPLAUSI<br />
■ DI SARA SCIORTINO / FRANCESCO VENTRIGLIA<br />
Sono figlio del mio tempo e<br />
delle sue contraddizioni, è dunque<br />
di questo che voglio parlare ed<br />
è ciò che cerco di esprimere. La danza<br />
aiuta a riflettere, perché, riuscendo a superare<br />
il fattore puramente estetico, è una<br />
delle forme d’arte che maggiormente trasmette<br />
l’emozione della vita. I miei lavori sono dunque<br />
un’indagine della realtà, ma anche studi interiori;<br />
producono riflessioni che poi trasferisco nella dimensione<br />
dello spettacolo, la forma di comunicazione umana che più<br />
sento mia. L’essenza di questa mia ultima creazione sta tutta<br />
nel titolo: Normale. Rifuggendo dall’accettazione passiva del dato<br />
di fatto, la follia assume una sua realtà espressiva che induce a capire<br />
le relazioni, a interagire con l’alieno disagio, entrando in comunicazione<br />
con la dimensione subalterna della normalità. Anche<br />
la follia, come espressione quotidiana nascosta dietro l’apparente<br />
convenzione “normale’’, merita i suoi applausi. La normalità che<br />
ha preceduto la follia diventa dunque, per assurdo, la conseguenza<br />
che la follia finisce per generare.<br />
Francesco Ventriglia è stato invitato dalla direttrice artistica del<br />
laboratorio danza, Maria Pia Di Mauro, a realizzare per il festival<br />
Non credo nelle etichette ma sono fermamente convinto che la danza<br />
contemporanea possa e debba avere una valenza civile. Attra-<br />
verso i miei lavori cerco di far riflettere. Il tema della<br />
follia, così come è stato in passato quello della<br />
disabilità, mi interessano perché sono un<br />
uomo che vive osservando gli altri,<br />
ne vive i contrasti, le marginalità,<br />
le energie più<br />
imprevedibili e<br />
nascoste.<br />
PSA una produzione incentrata<br />
sul tema della follia.<br />
La creatività di Francesco ha<br />
incontrato la follia, le ha dato spazi<br />
di rivelazione, la ha donato un linguaggio<br />
e forme espressive, le ha aperto<br />
nuove prospettive. In Normale sperimenta la<br />
normalità della follia, non attraverso le tematiche<br />
e le categorie proprie della patologia psichiatrica,<br />
ma riflettendo sul concetto di normalità come<br />
insieme di regole al di fuori delle quali non è possibile vivere<br />
senza essere emarginati socialmente e condannati a un<br />
destino di diversità.<br />
Lo spettacolo si articola in due momenti distinti, all’interno e all’esterno<br />
del Padiglione Perusini, unica testimonianza tangibile<br />
di quelle che sono state per oltre un secolo le strutture manicomiali<br />
di <strong>Pergine</strong>, un luogo caduto in disuso da pochi anni. La prima<br />
parte si svolge all’interno del Padiglione, al primo piano,<br />
dove viene realizzato un percorso dal sapore performativo, che<br />
permette allo spettatore di attraversare gli spazi e diventare testimone<br />
di un passato vissuto e nascosto, ridando vita, con la sua<br />
stessa presenza, a quella città invisibile che era l’Ospedale psichiatrico.<br />
All’esterno, in uno spazio scenico creato di fronte alla<br />
LUGLIO 2008 * NUMERO 0 | LA CITTÀ DEI MATTI | 13 |
facciata e alle grate di sicurezza,<br />
verrà allestito il corpo vero<br />
e proprio dello spettacolo.<br />
Penso che possa essere interessante<br />
esplorare questo tema,<br />
perché lo sento molto vicino a<br />
me. Il mio primo approccio con<br />
la follia l’ho toccato direttamente<br />
dai racconti dei miei familiari.<br />
Avevo uno zio che era stato<br />
rinchiuso in un manicomio, purtroppo,<br />
come spesso accadeva,<br />
per una depressione trascurata.<br />
Ed è proprio questa situazione,<br />
che credo possa accomunare<br />
molti ex internati, che ho voluto<br />
raccontare con il mio lavoro,<br />
perché mi interessa narrare l’antefatto<br />
della follia codificata dal<br />
sistema, ciò che precedeva l’ingresso in questi luoghi di segregazione<br />
e disperazione, come erano insomma le persone prima di essere rinchiuse.<br />
Ho lavorato soprattutto sui racconti degli ex internati, per<br />
recuperare i loro ultimi ricordi, frammenti di vita vissuta e per molti<br />
versi negata. E partendo da queste tracce di memoria vorrei rappresentare<br />
la follia che si nasconde dietro la normalità e viceversa:<br />
spesso il manicomio, la detenzione, ce li costruiamo noi stessi perché<br />
abbiamo paura di uscire dalle rassicuranti regole di una normalità<br />
imposta dalle convenzioni sociali.<br />
Ventriglia ha iniziato ad approfondire il tema della follia seguendo<br />
diverse tracce narrative, ma soprattutto grazie agli scritti di<br />
Alda Merini. Ha così sviluppato una ricerca che si basa sulla riflessione<br />
della condizione umana e della creatività coreografica.<br />
Così come è stato per Il mare in catene (Biennale di Venezia<br />
2007) la coreografia di Normale diventa un procedimento in cui<br />
| 14 | LA CITTÀ DEI MATTI | NUMERO 0 * GIUGNO LUGLIO 2008<br />
il coreografo milanese offre<br />
una suggestione e i danzatori<br />
la arricchiscono di volta<br />
in volta con la loro sensibilità<br />
e partecipazione interiore,<br />
fino a generare un<br />
procedimento in crescendo<br />
di intensità, che porta i<br />
danzatori stessi a trovare un<br />
nuovo modo di danzare e<br />
un nuovo approccio al movimento.<br />
Non nutro particolari aspettative<br />
dal mio lavoro, non lo<br />
faccio mai, sarà il pubblico a<br />
decidere. Per il momento sono<br />
soddisfatto di ciò che sono<br />
riuscito a creare con tutti<br />
miei interpreti capaci, ciascuno<br />
a suo modo, di trasmettermi il loro universo umano, lasciandosi<br />
condurre, con fiducia, attraverso la difficile ricerca non di<br />
danzare ma di essere. Con loro ho sempre instaurato un rapporto<br />
di scambio e di stimoli reciproci, è così che mi piace lavorare.<br />
Immagini da Normale<br />
foto di Gabriele Orlandi<br />
Anche in questa occasione<br />
Ventriglia ha lavorato con la<br />
Compagnia Eliopoli e i neodiplomati<br />
della Scuola di Ballo<br />
del Teatro alla Scala di Milano,<br />
con la partecipazione della sua<br />
“musa” Stefania Ballone, danzatrice<br />
del Corpo di Ballo del<br />
teatro mi lanese. Rinnovando,<br />
per le mu siche, il sodalizio artistico<br />
con Emiliano Palmieri. *
Formatosi presso la Scuola di<br />
Ballo del Teatro alla Scala di<br />
Milano, dove si diploma nel 1997,<br />
FRANCESCO VENTRIGLIA entra<br />
subito a far parte del Corpo di<br />
Ballo del teatro stesso. Nel 1998<br />
debutta come ballerino solista<br />
con In the Middle Somewhat<br />
Elevated di William Forsythe e<br />
l’anno successivo Natalia Makarova<br />
lo vuole interprete dell’Idolo d’oro<br />
nella sua Bayadère. Oltre al<br />
repertorio classico, le sue inter pretazioni<br />
spaziano da George<br />
Balanchine ad Alvin Ailey, da<br />
John Neumaier a John Cranko,<br />
da Angiolin Preljocaj a Jacopo<br />
Godani, da Jiˇrí Kilián a Maurice<br />
Bejart. Roland Petit gli affida il<br />
ruolo di Toreador nella sua<br />
Carmen e quello di Quasimodo<br />
nel suo Notre Dame de Paris. Al<br />
fianco di Sylvie Guillem è Hilarion<br />
in Giselle al Metropolitan di New<br />
York e al Covent Garden di Londra.<br />
All’attività di interprete Ventriglia<br />
affianca quella di coreografo<br />
coinvolgendo spesso danzatori<br />
del Teatro alla Scala. Tra i suoi<br />
18 e 19 luglio 2008 ore 21.00<br />
<strong>Pergine</strong> Padiglione Perusini, ex Ospedale Psichiatrico<br />
allestimenti ricordiamo La<br />
solitudine del Gigante, D.N.A.,<br />
Mandorle, Giallo ’700, quest’ultimo<br />
per la Scuola di ballo scaligera.<br />
Nel 2006 crea tre spettacoli per<br />
Roberto Bolle: La Lotta, che<br />
debutta a Roma presso la Curia<br />
del Senato romano nei Fori<br />
imperiali, il Concerto di Capodanno<br />
del Teatro la Fenice di Venezia<br />
trasmesso su Rai Uno e Il Mito<br />
NORMALE. Anche la follia merita i suoi applausi<br />
Regia e coreografia Francesco Ventriglia<br />
Assistente alla coreografia Maria Pia di Mauro<br />
Musiche originali di Emiliano Palmieri e Massimo Fiacchini<br />
Light designer Andrea Giretti<br />
Coordinamento Anna Meroni<br />
Maestro collaboratore Valeria Vitaterna<br />
Con i neodiplomati della Scuola di Ballo Accademia Teatro alla Scala<br />
di Milano<br />
Rebecca Bianchi, Giuseppe D’Agostino, Antonio De Rosa,<br />
Beatrice Mazzola, Mattia Russo, Alessandra Vassallo<br />
Con la partecipazione di Stefania Ballone, danzatrice del Corpo di Ballo<br />
Teatro alla Scala di Milano<br />
Si ringrazia il maestro Frédéric Olivieri, direttore Scuola di Ballo Accademia<br />
Teatro alla Scala di Milano<br />
Produzione laboratori danza Festival PSA e Compagnia Eliopoli<br />
«Uno spettacolo che raccoglie la memoria di un’umanità diversa, che per molto<br />
tempo ha abitato questi luoghi dove il confine era solo da una parte o dall’altra<br />
di un cancello, un’indagine sulle ancore che la follia cala<br />
quotidianamente nella normalità, sovvertendo il destino di uomini comuni alla<br />
ricerca continua di un equilibrio, in bilico tra l’esistere e il dover essere.<br />
Una galleria fotografica, scorci di vite passate, raccontati attraverso il presente<br />
di cuori disabitati, di corpi che si riorganizzano nel ricordo del tempo<br />
che ha preceduto la follia. Il tempo dell’infanzia, la scoperta dell’amore,<br />
della femminilità, della maternità. Emozioni sospese che si raccontano dentro<br />
e fuori da quel cancello, sospese tra la normalità fatta di regole comuni,<br />
sicure, e il disorientamento dato dal rifiuto delle regole imposte dagli altri e<br />
dalla costruzione di un universo altro dove il sé non incontra più il “tutti”. E<br />
poi l’attesa, la pazienza, un nuovo rapporto con il tempo, con un fuori, ormai<br />
solo immaginato, idealizzato.» (Francesco Ventriglia)<br />
della Fenice presso il Teatro<br />
Smeraldo a Milano. In seguito<br />
fonda la compagnia Eliopoli. Ed è<br />
con questa stessa compagine che<br />
Ventriglia presenta, per la prima<br />
volta alla Biennale di Venezia<br />
edizione 2007, Il mare in catene,<br />
seguendo una sua personale<br />
interpretazione del tema del<br />
festival, “Body & Eros”. La sua<br />
carriera di coreografo prosegue a<br />
Verona, dove realizza, nel dicembre<br />
2007, per la Fondazione Arena<br />
di Verona, Sogno di una notte<br />
di mezza estate e Jago, l’onesta<br />
poesia di un inganno, con le<br />
étoile Eleonora Abbagnato e<br />
Alessandro Riga, e il Corpo di<br />
Ballo dell’Arena di Verona.<br />
Recentemente, su invito dell’étoile<br />
Svetlana Zakharova e del Teatro<br />
Bolshoi di Mosca, ha riproposto<br />
il passo a due Black, e ha<br />
presentato al Teatro Mariinskij di<br />
San Pietroburgo Contraddizioni,<br />
nuova creazione per la prima<br />
ballerina Uljana Lopatkina. In<br />
questa stessa occasione è stato<br />
anche interprete di un suo lavoro<br />
dal titolo Stabat Mater, ispirato<br />
all’opera di G.B. Pergolesi.<br />
Nel 2007 coreografa a Parigi<br />
la cerimonia di presentazione<br />
per la candidatura di Milano<br />
a sede dell’Expo 2015.<br />
Ha ricevuto il Premio Tani come<br />
giovane coreografo emergente<br />
e il Premio Positano Léonide<br />
Massine come promessa della<br />
coreografia italiana.<br />
Molta follia è divina saggezza<br />
per occhio che discerna.<br />
Molta saggezza – assoluta follia.<br />
Ma è la maggioranza<br />
che prevale, anche in questo.<br />
Approva – e sei savio.<br />
Dissenti – e sei d’immediato pericolo.<br />
Legato alla catena.<br />
Emily Dickinson<br />
LUGLIO 2008 * NUMERO 0 | LA CITTÀ DEI MATTI | 15 |
TESTIMONIANZE<br />
Oltre la siepe<br />
■ DI PIERA VOLPI JANESELLI<br />
L’Ospedale psichiatrico era per noi abitanti di <strong>Pergine</strong> sinonimo<br />
di dolore, di emarginazione, di situazioni umane verso<br />
le quali non si poteva intervenire se non solo ed esclusivamente<br />
attraverso la segregazione e la custodia, e, in un certo<br />
modo, gli ammalati ospiti dell’OP incutevano paura. Faceva<br />
una certa impressione quell’edificio enorme, suddiviso in<br />
“padiglioni” con le finestre sbarrate, oltre le quali era difficile<br />
intravedere quale poteva essere la vita di tutti i giorni. Durante<br />
i primi anni della mia residenza a <strong>Pergine</strong> (1952-53)<br />
chiedevo spesso, al personale che sapevo dipendente dall’istituzione<br />
manicomiale, chi accogliesse quel grande edificio,<br />
quali erano le terapie adottate per migliorare lo stato psichico<br />
dei degenti e perché, a volte, passando in prossimità dei<br />
padiglioni si sentivano persone che con la voce volevano far<br />
capire il loro disagio. La risposta era sempre molto incompleta<br />
e legata a una riservatezza che giustamente ritenevo protettiva<br />
di una condizione umana tanto problematica. A volte<br />
si veniva a sapere di qualche persona che era stata ricoverata<br />
nell’OP, e, per quella persona, il fatto di essere entrata in<br />
quella specifica struttura poteva condizionare ogni progetto<br />
futuro. Sembrava quasi che un episodio, quale poteva essere<br />
il ricovero in OP, forse unico, forse marginale, forse prodotto<br />
da cause dipendenti da situazioni e agenti esterni, riuscisse a<br />
trasformare in un sentimento di pietà quello che prima era<br />
amicizia, o sicurezza, fiducia verso una persona. E mi chiedevo<br />
se la malattia o l’istituzione manicomiale ne potevano<br />
essere la vera causa. Passando accanto alla fitta siepe che divideva<br />
l’area dei padiglioni da alcune vie di <strong>Pergine</strong>, si udivano<br />
voci concitate, a volte urlanti (ciò che in seguito gli<br />
psicofarmaci hanno eliminato), oppure si sentiva il rumore<br />
dei passi affrettati degli ammalati, che muovendo il ghiaino<br />
con un ritmo poco omogeneo, rispecchiavano l’instabilità di<br />
chi correva per guardare fra la siepe, nel tentativo di porgere<br />
una mano o inviare un saluto. Queste situazioni facevano<br />
pensare a qualcuno che volesse scappare, che volesse aggredire,<br />
mentre oggi, a distanza di tanti anni, posso veramente<br />
affermare che erano richieste di aiuto, tentativi di riagganciare<br />
quella realtà esterna che la malattia li aveva costretti<br />
ad abbandonare.<br />
Piera Volpi Janeselli ha lavorato per 27 anni presso l’Ospedale<br />
Psichiatrico di <strong>Pergine</strong> come assistente sociale. Il testo<br />
è tratto dalla tesi di laurea dal titolo Il servizio sociale<br />
nella psichiatria istituzionale. Memoria e rilettura di una<br />
esperienza nell’Ospedale psichiatrico di <strong>Pergine</strong> Valsugana,<br />
Università degli Studi di Trento, a.a. 2004/2005.<br />
PSA ringrazia:<br />
la Regione Autonoma Trentino Alto Adige, la Provincia Autonoma di Trento, il Comune di <strong>Pergine</strong><br />
Valsugana, il Centro Servizi Culturali S. Chiara, la Cassa Rurale di <strong>Pergine</strong>, la Fondazione Cassa<br />
di Risparmio di Trento e Rovereto, l’Azienda per il Turismo Valsugana Lagorai - Terme - Laghi,<br />
l’Azienda provinciale per i Servizi sanitari - distretto di <strong>Pergine</strong>, la Fondazione Museo storico<br />
e l’Università di Trento, il Mediocredito Trentino Alto Adige, il Bim Brenta, Trenta SpA,<br />
Sant’Orsola Sca, Itas Assicurazioni, ProLoco <strong>Pergine</strong>, Publistampa Arti grafiche, Videoframe<br />
Multimedia, Palcos srl, Pulinet, Shop Center Valsugana, Bimotor, Invisible Site<br />
carta riciclata Cyclus offset: 100% macero da raccolta differenziata, sbiancata senza cloro;<br />
marchi di garanzia: Angelo Blu, Nordic Swan, European Eco-label Flower e Napm;<br />
inchiostri con solventi a base vegetale.<br />
Publistampa Arti grafiche è certificata FSC - Chain of Custody CQ - COC - 000016<br />
| 16 | LA CITTÀ DEI MATTI | NUMERO 0 * GIUGNO LUGLIO 2008<br />
CITTADINANZE<br />
Tutto è iniziato un anno fa. Quando<br />
il direttivo di PSA, insieme alla<br />
nuova presidenza e direzione<br />
artistica, decise di inaugurare il<br />
nuovo corso scommettendo su una<br />
proposta che ad alcuni parve<br />
un’ardita provocazione, ad altri<br />
un’offensiva riesumazione di un<br />
tabù collettivo, ad altri ancora un<br />
intelligente e stimolante rilancio<br />
per una delle rassegne festivaliere<br />
più longeve e seguite in Trentino.<br />
Il titolo che volemmo dare<br />
all’edizione 2007 era quanto mai<br />
emblematico e non lasciava adito<br />
a equivoci: “Apriamo alla follia”.<br />
Un’apertura non soltanto<br />
tematica, ma anche e soprattutto<br />
reale: dopo tanti anni gli edifici<br />
che per oltre un secolo hanno<br />
ospitato uno dei più importanti<br />
manicomi del Nord Italia sono<br />
stati riaperti e simbolicamente<br />
restituiti alla antica destinazione<br />
d’uso. Per un giorno – anch’esso<br />
dall’alto contenuto simbolico, il<br />
14 luglio – sono diventati teatro di<br />
mostre fotografiche, documentari,<br />
performance, laboratori, incontri,<br />
discussioni pubbliche, ma<br />
soprattutto l’occasione per<br />
restituire a un’intera comunità un<br />
immenso patrimonio di storie, una<br />
memoria rimossa che, nel bene e<br />
nel male, ha segnato la vita di<br />
tutti i perginesi. L’inaspettata<br />
partecipazione di pubblico, il<br />
grande interesse manifestato<br />
per ogni singola iniziativa, le<br />
critiche – rivelatesi quasi sempre<br />
costruttive – mosse dai detrattori<br />
hanno avuto il potere di consolidare<br />
un audace esperimento in vero e<br />
proprio progetto, sul quale PSA ha<br />
intenzione di investire, in futuro,<br />
risorse materiali, energie creative e<br />
tanta passione.<br />
Quest’anno vogliamo proseguire<br />
nell’itinerario tracciato un anno<br />
fa, dedicando ben quattro<br />
giornate al tema della memoria ed<br />
eleggendo alcune aree dell’ex<br />
Ospedale psichiatrico a luoghi di<br />
rappresentazione artistica, di<br />
narrazione e di riflessione, spazi<br />
di incontro e di dialogo, di<br />
testimonianza e di emozione.<br />
L’intento è ancora quello di<br />
abbattere metaforicamente sbarre<br />
e recinti, di esplorare il misterioso<br />
e scabroso territorio della follia<br />
umana mediante il multiforme<br />
linguaggio dell’arte, senza con<br />
questo operare indebite<br />
sovrapposizioni con tutti quegli<br />
operatori che quotidianamente<br />
hanno a che fare con la follia<br />
intesa come malattia, sofferenza,<br />
esclusione, bisogno di cura,<br />
semplicemente offrirle margini di<br />
rappresentazione e dunque di<br />
possibile integrazione.<br />
La Città dei Matti è pronta ad<br />
accogliere il contributo di tutti i<br />
perginesi, e di tutti coloro i quali,<br />
senza alcuna distinzione di<br />
provenienza, vorranno partecipare<br />
attivamente al nostro progetto.<br />
È per questo che vogliamo fare<br />
della rivista omonima, che nasce<br />
in occasione del Festival 2008,<br />
non soltanto uno spazio di<br />
approfondimento culturale e un<br />
bollettino di informazione sugli<br />
eventi, le iniziative e i progetti<br />
delle amministrazioni locali e dei<br />
tanti enti e associazioni che<br />
promuovono sul territorio cultura<br />
e spettacolo, ma anche una sorta<br />
di “piazza di carta”, per<br />
raccogliere ricordi, documenti,<br />
immagini di chiunque abbia<br />
voglia di raccontare storie da un<br />
passato comune e mettere in<br />
condivisione frammenti di<br />
memoria individuale e familiare, e<br />
in certi casi sottrarli allo stigma<br />
della vergogna e della rimozione.<br />
La Redazione è dunque a<br />
disposizione di chiunque avesse<br />
voglia di inviare materiale<br />
documentario o semplicemente<br />
scrivere o narrare a voce le<br />
proprie testimonianze, per<br />
pubblicarle, anche in forma<br />
anonima, su queste pagine o<br />
semplicemente per conservarne<br />
traccia in un indice della memoria<br />
dell’ex Ospedale psichiatrico che<br />
vogliamo sin d’ora costruire. *