C.Sbarbaro- Pianissimo (intervista) - mcozzapoesie.altervista.org...
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Taci, anima stanca di godere<br />
e di soffrire – all’uno, all’altro vai<br />
rassegnata –<br />
Ascolto e mi giunge una tua voce.<br />
Non di rimpianto per la miserabile<br />
giovinezza, non d’ira o di rivolta<br />
e neppure di tedio.<br />
Ammutolita<br />
giaci col corpo in una disperata<br />
indifferenza.<br />
Non ci stupiremmo,<br />
non è vero, mia anima, se adesso<br />
il cuore s’arrestasse, se sospeso<br />
ci fosse il fiato…<br />
Invece camminiamo.<br />
E gli alberi son alberi, le case<br />
sono case, le donne<br />
che passano son donne e tutto è quello<br />
che è – quello che è.<br />
La vicenda di gioia e di dolore<br />
non ci tocca. Perduto ha la voce<br />
la sirena del mondo e il mondo è un grande<br />
deserto.<br />
Nel deserto<br />
io guardo con asciutti occhi me stesso<br />
**********<br />
A volte mentre vado solo al sole<br />
e gli aspetti del mondo accolgo e il cuore<br />
quasi m’opprime l’amorosa ressa,<br />
ombra il sole ecco farsi e l’ombra, gelo.<br />
Un cieco mi par d’essere che va<br />
lungo la sponda d’un immenso fiume.<br />
Scorrono sotto l’acque maestose;<br />
ma non le vede lui: il poco sole<br />
lui si prende beato. E se gli giunge<br />
a tratti mormorar d’acque, lo crede<br />
ronzìo d’orecchi illusi.<br />
Perché a me par vivendo questa mia<br />
povera vita, un altro rasentarne<br />
CAMILLO SBARBARO<br />
P I A N I S S I M O<br />
1914
come nel sonno; e che quel sonno sia<br />
la mia vita presente.<br />
Un vago smarrimento allor mi coglie<br />
uno sgomento pueril.<br />
Mi siedo<br />
dove sono, sul ciglio della strada,<br />
miro il misero mio angusto mondo<br />
e carezzo con man che trema l’erba.<br />
****************Mi desto dal penoso sonno solo<br />
nel cuor della notte.<br />
Tace intorno<br />
la casa come vuota e laggiù brilla<br />
silenzioso coi suoi lumi un porto.<br />
Ma sì freddi e remoti son quei lumi<br />
e sì alto il silenzio nella casa<br />
che mi levo sui gomiti in ascolto.<br />
Improvviso terrore mi sospende<br />
il fiato e allarga nella notte gli occhi:<br />
separata dal resto della casa<br />
separata dal resto della terra<br />
è la mia vita ed io son solo al mondo.<br />
Poi il ricordo delle trite vie<br />
e dei nomi e dei volti consueti<br />
emerge come spiaggia da marea<br />
e di me sorridono mi riadagio.<br />
Ma svanita col sonno la paura,<br />
un gelo in fondo all’anima rimane:<br />
io tra gli uomini vado<br />
curioso di lor ma come estraneo;<br />
ed alcuno non ho nelle cui mani<br />
metter le mani<br />
e col quale di me dimenticarmi.<br />
Tal che se l’acqua e gli alberi non fossero<br />
e l’amica presenza delle cose<br />
che accompagna il mio vivere quaggiù,<br />
penso che morirei di solitudine…<br />
Ma gli occhi restan crudelmente asciutti.<br />
**************<br />
Esco dalla lussuria. M’incammino<br />
per lastrici sonori nella notte.<br />
Non ho rimorso o turbamento. Sono<br />
pacificato – immensamente.<br />
Pure<br />
qualche cosa è cambiato in me, qualcosa<br />
fuori di me.
Ché la città mi pare<br />
fatta paurosamente sorda e vuota:<br />
una città di pietra che nessuno<br />
abiti, dove la Necessità<br />
sola conduca i traini e suoni l’ore.<br />
A queste vie che echeggiano deserte,<br />
a queste case mute sono simile.<br />
Partecipo alla loro indifferenza,<br />
alla loro immobilità. Mi pare<br />
d’esser sordo ed opaco come loro<br />
d’esser fatto di pietra come loro.<br />
I cari volti cotidiani sono<br />
impalliditi nella lontananza,<br />
estenuati quasi a ricordi.<br />
Tra me ed essi s’è frapposto il mio<br />
Peccato come immobile macigno.<br />
E mi dicesser che mio padre è morto,<br />
sento bene che adesso non potrei<br />
piangere…<br />
Sono confinato fuori della vita,<br />
una machina io pure che obbedisce,<br />
come il traino e la strada necessario.<br />
Ma non riesco a dolermene.<br />
Cammino<br />
per lastrici sonori nella notte.<br />
************<br />
Non, Vita, perché sei nella notte<br />
la rapida fiammata e non per questi<br />
aspetti della terra e il cielo in cui<br />
m’oblio –<br />
per le sue rose che non sono ancora<br />
schiuse e si sfanno; per il Desiderio<br />
che nella mano ratta lascia cenere;<br />
per l’odio che ciascuno porta a sé<br />
del giorno avanti; per la sordità<br />
di tutto ai sogni che ci metton ali;<br />
per non potere vivere che l’attimo<br />
al modo della pecora che bruca<br />
andando questo e quello ciuffo d’erba<br />
e non vede non sa fuori di esso;<br />
per la tristezza ultima d’Amore;<br />
il rimorso che sta in fondo ad ogni<br />
esistenza; d’averla spesa invano,<br />
come la feccia in fondo del bicchiere;<br />
per la felicità grande di piangere,<br />
il non sapere e l’infinito buio…<br />
– per tutto questo amaro t’amo, Vita.
**************<br />
Padre, se anche tu non fossi il mio<br />
padre,<br />
per te stesso egualmente t’amerei.<br />
Ché mi ricordo d’un mattin d’inverno<br />
che la prima viola sull’opposto<br />
muro scopristi dalla tua finestra<br />
e ce ne desti la novella allegro.<br />
E subito la scala tolta in spalla<br />
di casa uscisti e l’appoggiavi al muro.<br />
Noi piccoli dai vetri si guardava.<br />
E di quell’altra volta mi ricordo<br />
che la sorella, bambinetta ancora,<br />
per la casa inseguivi minacciando.<br />
Ma raggiuntala che strillava forte<br />
dalla paura, ti mancava il cuore:<br />
t’eri visto rincorrere la tua<br />
piccola figlia , tutta spaventata,<br />
tu vacillando l’attiravi al petto<br />
e con una carezza la ricoveravi<br />
tra le tue braccia come per difenderla<br />
da quel cattivo ch’eri tu di prima.<br />
Padre, se anche tu non fossi il mio<br />
padre…<br />
*************<br />
A volte, mentre vado per le strade<br />
della città tumultuosa solo,<br />
mi dimentico il mio destino, d’essere<br />
uomo tra gli altri e, come smemorato,<br />
anzi tratto fuor di me stesso, guardo<br />
la gente con aperti estranei occhi.<br />
M’occupa allora un puerile, un vago<br />
senso di sofferenza e d’ansietà<br />
come per mano che m’opprima il cuore.<br />
Fronti calve di vecchi, inconsapevoli<br />
occhi di bimbi, facce consuete<br />
di nati a faticare e riprodursi,<br />
facce volpine stupide beate,<br />
facce ambigue di preti, pitturate<br />
facce di prostitute entro il cervello<br />
mi s’imprimono dolorosamente.<br />
E conosco l’inganno per cui vivono,<br />
il dolore che mise quella piega<br />
sul loro labbro, le speranze sempre
deluse,<br />
e l’inutilità della lor vita<br />
amara e il lor destino ultimo, il buio.<br />
Ché ciascuno di essi porta in sé<br />
la condanna d’esistere; ma va<br />
solo assorto nell’attimo che passa,<br />
distratto dal suo vizio prediletto.<br />
Provo un disagio simile a chi veda<br />
inseguire farfalle lungo l’orlo<br />
d’un precipizio…<br />
************<br />
Lacrime, sotto sguardi curiosi<br />
non mi sg<strong>org</strong>ate a un tratto mentre parlo<br />
di vane cose ( mi sovviene a un tratto<br />
il mio andare sotto cieli bui<br />
non avendo una mano che m’ incuori;<br />
e l’inutilità di ciò che dico<br />
e di ciò che faccio mi fa peso il cuore).<br />
Mentre guardo mio padre ginocchioni<br />
non mi scorrete giù rapide e calde.<br />
M’osserva il padre con i poveri occhi<br />
senza battere ciglio e scopre nuovo<br />
l’irrequieto che tenea per mano<br />
e che gli crebbe accanto sconosciuto.<br />
Ma nell’angolo buio d’una stanza<br />
o nella solitudine d’un bosco<br />
ah dolcezza di piangere non visto!<br />
Al sostegno che capita m’affido<br />
abbandonatamene come fossi<br />
per mancare e tra lacrime dirotte<br />
mi brilla il viso di riconoscenza.<br />
Allora sotto la bontà dei cieli<br />
io sono ignudo come quando nacqui.<br />
Dietro il sottile schermo delle lacrime<br />
allora sono solamente io.<br />
****************<br />
Padre che muori tutti i giorni un poco<br />
e ti scema la mente e più non vedi<br />
con allargati occhi che i tuoi figli<br />
e di te non t’acc<strong>org</strong>i e non rimpiangi –<br />
se penso la fortezza con la quale<br />
hai vissuto; il disprezzo c’hai portato<br />
a tutto ciò che è piccolo e meschino;<br />
sotto la rude scorza
il tuo candido cuore di fanciullo;<br />
il bene c’hai voluto a tua madre,<br />
a tua sorella ingrata, a nostra madre<br />
morta;<br />
tutta la vita tua sacrificata<br />
e poi ti guardo come ora sei,<br />
io mi torco in silenzio le mani.<br />
Contro l’indifferenza della vita<br />
vedo inutile anch’essa la virtù<br />
e provo forte come non ho mai<br />
il senso della nostra solitudine.<br />
Io voglio confessarmi a tutti, padre,<br />
che ridi se mi vedi e tremi quando<br />
d’una qualche premura ti fo segno,<br />
di quanto fui codardo verso te.<br />
Benché il rimorso mi si alleggerisca,<br />
che più giusto sarebbe mi pesasse<br />
sul cuore, inconfessato…<br />
Io giovinetto imberbe ti guardai<br />
con ira, padre, per la tua vecchiezza…<br />
Stizza contro te vecchio mi prendeva…<br />
Padre che ci hai tenuto sui ginocchi<br />
nella stanza che s’oscurava, in faccia<br />
alla finestra, e contavamo i lumi<br />
di cui si punteggiava la collina<br />
facendo a gara a chi vedeva primo –<br />
perdono non ti chiedo con le lacrime<br />
che mi sarebbe troppo dolce piangere<br />
ma con quelle più amare che non piango.<br />
Una cosa soltanto mi conforta<br />
di poterti guardare a ciglio asciutto:<br />
il ricordo che piccolo, al pensiero<br />
che come gli altri uomini dovevi<br />
morire pure tu, il nostro padre,<br />
solo e zitto nel mio letto la notte<br />
io di sbigottimento lacrimavo.<br />
Di quello che i miei occhi ora non piangono<br />
quell’ infantile pianto mi consola,<br />
padre, perché mi par d’aver lasciato<br />
tutta la fanciullezza in quelle lacrime.<br />
**************<br />
Il mio cuore si gonfia per te, Terra,<br />
come la zolla a primavera.<br />
Io torno.<br />
I miei occhi sono nuovi. Tutto quello
che vedo è come per la prima volta;<br />
e gli aspetti più umili e consunti,<br />
tutto m’ intenerisce e mi dà gioia.<br />
In te mi lavo come dentro un’acqua<br />
dove si scordi tutto di se stesso.<br />
La mia miseria lascio dietro a me.<br />
come la biscia la sua vecchia pelle.<br />
Terra, tu sei per me piena di grazia.<br />
Finché vicino a te mi sentirò<br />
così bambino, fin che la mia pena<br />
in te si scioglierà come la nuvola<br />
nel sole,<br />
io non maledirò d’essere nato.<br />
Io mi sono seduto qui per terra<br />
con le due mani aperte sopra l’erba,<br />
guardandomi amorosamente intorno.<br />
E mentre così guardo mi si bagna<br />
di calde dolci lagrime la faccia.<br />
*************<br />
Taci, anima mia. Sono questi i giorni<br />
tetri che per inerzia si dura,<br />
i giorni che nessuna attesa illude.<br />
Come l’albero ignudo a mezzo inverno<br />
che s’attedia nell’ombra della corte,<br />
non m’aspetto di mettere più foglie<br />
e dubito d’averle messe mai.<br />
Nella folla che m’urta andando solo,<br />
mi pare d’esser da me stesso assente.<br />
E m’accalco ad udire dov’è ressa,<br />
sosto dalle vetrine abbarbagliato<br />
e mi volgo a frusciare d’ogni gonna.<br />
Per la voce d’un cantastorie cieco<br />
per l’improvviso lampo d’una nuca<br />
mi sgocciolan dagli occhi sciocche lagrime<br />
m’accendon negli occhi cupidigie.<br />
Ché tutta la mia vita è nei miei occhi:<br />
ogni cosa che passa la commuove<br />
come debole vento un’acqua morta.<br />
Non sono che uno specchio rassegnato.<br />
In me stesso non guardo perché nulla<br />
vi troverei…<br />
E, venuta la sera, nel mio letto<br />
mi stendo lungo come in una bara.<br />
******************<br />
Piccolo quando un canto d’ubriachi
giungevami all’orecchio nella notte<br />
d’impeto su dai libri mi levavo.<br />
Come tratto di me, la chiusa stanza<br />
dall’aria della notte spalancavo<br />
e mi sp<strong>org</strong>evo fuor della finestra<br />
a bere il canto come un vino forte.<br />
Con che occhi voltandomi guardavo<br />
la camera e la casa<br />
dove già tutti i lumi erano spenti!<br />
Più d’una volta sulla fredda ardesia<br />
al vento che passava nei capelli<br />
alla pioggia che mi sferzava il viso<br />
versai delle lacrime insensate.<br />
Adesso quell’inganno anche è caduto.<br />
Ora so come arida è la bocca<br />
che canta spalancata verso il cielo.<br />
Pur se ancora mi desta nella notte<br />
quel canto d’ubriachi per la via<br />
ad ascoltar mi levo con mozzato<br />
in gola il fiato<br />
e corro ancora a mettere la faccia<br />
nel vento che i capelli mi scompigli.<br />
Rinnovare vorrei l’amara ebrezza<br />
e quel sottile brivido pel corpo;<br />
il ben perduto cui non credo più<br />
piangere come allora…<br />
Ma non m’escono<br />
che stente stolte lacrime oramai.<br />
*****************<br />
Io che come un sonnambulo cammino<br />
vedendoti dinanzi a me trasalgo.<br />
Tu mi cammini innanzi lenta come<br />
una regina.<br />
Regolo il mio passo,<br />
io subito destato dal mio sonno,<br />
sulla sapiente musica del tuo.<br />
E possibilità d’amore e gloria<br />
mi s’affacciano al cuore e me lo colmano.<br />
Pei riccioletti folli d’una nuca<br />
per l’ala d’un cappello io posso ancora<br />
alleggerirmi nella mia tristezza.<br />
Io sono ancora giovane, inesperto,<br />
il cuore pronto a tutte le follie.<br />
Una luce si fa nel dormiveglia.<br />
Tutto è sospeso come in un’attesa.<br />
Non penso più. Sono contento e muto.
Batte il mio cuore al ritmo del tuo passo.<br />
***************<br />
Tra umidi guanciali non mi spenga<br />
silenziosa qualche malattia<br />
come debole fiamma poco vento!<br />
Pellegrinando ritornare ai luoghi<br />
dove s’andò da piccoli col padre;<br />
chinarmi a toccar l’erba<br />
come si tocca il capo d’un bambino<br />
e sapere che è l’ultima volta;<br />
prender congedo dalla dolce terra,<br />
dolce così non mi sarà mai parsa…<br />
Poi mettere alla vita il suo sigillo.<br />
************<br />
Io t’aspetto allo svolto d’ogni via,<br />
Perdizione, ti cerco dentro gli occhi<br />
d’ogni donna che passa…<br />
Sosto dai baracconi nelle fiere<br />
a guardare la donna del serpente,<br />
la fanciulla che vola…<br />
Oh la gioia di dar tutto per nulla!<br />
di tenere in conto d’una paglia<br />
questa vita che è il solo nostro bene!<br />
Quella che tutti ebbero, che ride<br />
facile, che d’un muovere dell’anca<br />
dentro tutto il mio mondo mi dissolva,<br />
io prego che la strada m’attraversi.<br />
Io come il mendicante che a dispregio<br />
l’unico soldo che possiede getta<br />
per lei la vita getterei, per meno.<br />
**********<br />
Nel mio povero sangue qualche volta<br />
fermentano gli oscuri desideri.<br />
Vado per la città solo la notte<br />
e l’odore dei fondaci al ricordo<br />
vince dell’erba sotto il sole.
Persiane silenziose illuminate!<br />
finestra buia aperta sulla notte!<br />
negli atrii di pietra voce d’acqua!<br />
tra le bestie squartate lumicino<br />
alla madonna! ombre umane informi<br />
dietro i vetri nebbiosi dei caffè!<br />
Mi ritrovo nel vecchio del crocicchio<br />
che suona ritto gli occhi vaghi al cielo.<br />
Voluttà d’esser solo ad ascoltarmi!<br />
udire nella mia notte per ore<br />
avvicinarsi e dileguare i passi!<br />
Rasento le miriadi degli esseri<br />
sigillati in se stessi come tombe.<br />
E batto a porte sconosciute, salgo<br />
scale consunte da generazioni.<br />
La femmina che aspetta sulla porta<br />
l’ubriaco che rece contro il muro<br />
guardo con occhi di fraternità.<br />
E improvvisamente ecco trasalgo<br />
nell’andito malcerto in capo a cui<br />
occhi di sangue paiono i fanali<br />
le mie nari che fiutano il Delitto.<br />
Mi cresce dentro l’ansia di morire<br />
senza avere il godibile goduto<br />
senza avere il soffribile sofferto.<br />
La volontà mi prende di gettare<br />
come in un ingombro inutile il mio nome.<br />
con a compagna la Perdizione<br />
a cuor leggero andarmene pel mondo.<br />
**************<br />
A volte sulla sponda della vita<br />
preso da un improvviso scoramento<br />
mi siedo; e dove vado mi domando,<br />
perché cammino…<br />
E penso la mia morte<br />
e mi vedo già steso nella bara<br />
troppo stretta fantoccio inanimato.<br />
Quant’albe nasceranno ancora al mondo<br />
dopo di noi! Di ciò che abbiam sofferto,<br />
di tutto ciò che in vita ebbimo a cuore<br />
non rimarrà il più piccolo ricordo.<br />
S’incalzan le generazioni quali
acque di fiume…<br />
Una mortale pesantezza il cuore<br />
m’opprime. Inerte già mi sembra essere<br />
come qualche antichissima rovina<br />
e guardare succedersi le ore,<br />
gli uomini mutare i passi, i cieli<br />
all’alba colorirsi, scolorirsi<br />
a sera…<br />
Magra dagli occhi lustri, dai pomelli<br />
accesi,<br />
la mia anima torbida che cerca<br />
chi le somigli<br />
trova te che sull’uscio aspetti gli uomini.<br />
Tu sei la mia sorella di quest’ora.<br />
Accompagnarti in qualche osteria<br />
di bassoporto<br />
e guardarti mangiare avidamente.<br />
E coricarmi senza desiderio<br />
nel tuo letto…<br />
Cadavere vicino ad un cadavere,<br />
bere dalla tua vista l’amarezza<br />
come la spugna secca beve l’acqua.<br />
Toccare le tue mani i tuoi capelli<br />
che pure a te qualcuno avrà raccolto<br />
in un piccolo ciuffo sulla testa;<br />
e sentirmi scostato dai tuoi occhi<br />
ostili, poveretta; e tormentarti<br />
domandandoti il nome di tua madre…<br />
Nessuna gioia vale questo amaro:<br />
poterti fare piangere, poter<br />
pianger con te…<br />
******************<br />
Talora nell’arsura cittadina<br />
un canto di cicala mi sorprende.<br />
E subito mi colma la visione<br />
di campagne prostrate nella luce;<br />
e stupisco che ancora al mondo sian<br />
alberi ed acque,
tutte le cose ingenue della terra<br />
che bastavano un giorno a consolarmi…<br />
Con questo stupor sciocco l’ubriaco<br />
riceve in viso l’aria della notte.<br />
Ma poi che sento l’anima aderire<br />
ad ogni pietra della città sorda<br />
com’albero con tutte le radici,<br />
sorrido a me smarritamente e come<br />
in uno sforzo d’ali e gomiti alzo…<br />
Lettera dall’osteria<br />
***************<br />
In istato di grazia, amico Volta,<br />
di notte da una bettola ti scrivo.<br />
Stato di grazia: ché non so più grande<br />
bene, di contemplare<br />
tra la nebbia del vino i paesaggi<br />
di cui rozz’arte ornò all’intorno i muri,<br />
e l’ostessa baffuta o la ridente<br />
ragazzotta che reca la terrina.<br />
Attaccare discorso con chi capita<br />
vicino; a chi sorride<br />
sorridere; voler a tutti bene;<br />
scantonato dal tempo e dallo Spazio,<br />
guardare il mondo come un padreterno.<br />
E uscire dalla bettola leggero<br />
come la mongolfiera che s’invola;<br />
sentir come tappeti di velluto<br />
i lastricati sotto il piede incerto;<br />
e voglia di cantare a squarciagola.<br />
Per il mondo cambiato mi piloto,<br />
nave che sbanda, al consueto porto.<br />
Fuggir di gatti innanzi al passo sordo.<br />
Rettangolo di luce prepotente,<br />
nel vicolo che fruscia di fantasmi.<br />
Acre odore, allo svolto, di cloruro.<br />
In questo mi rifaccio, amico Volta.<br />
Poi che dato non m’è d’amare alcuno,
m’aggrappo come naufrago alle cose.<br />
Quante volte guardai come uno scampo<br />
i bastimenti ch’escono dal porto!<br />
New York, Calcutta, Londra: nomi immensi.<br />
Perdermi là sognavo, essere un altro,<br />
dimenticarmi sino del mio nome.<br />
Anche questa illusione ora è caduta;<br />
la mia vigliaccheria mi pesa al piede<br />
come palla di piombo al galeotto.<br />
E dunque così tragga la mia vita,<br />
oggetto di pietà per voi, di riso<br />
agli altri;<br />
e mi basta riscuotere il consenso<br />
dei magnanimi amici, gli ubriachi..<br />
Finché giorno verrà, spero, ch’io esca<br />
di qui con passo fermo e m’incammini<br />
a qualche piazza vuota, a qualche buia<br />
acqua di fiume…<br />
Amico, so che Venere ti tiene<br />
ora in balìa.<br />
Felice te! ti corre<br />
il sangue nelle vene più gagliardo,<br />
ti si chiude la gola a volte a sosta<br />
come per morte il battere del cuore.<br />
Ma se tempo verrà – né venga mai –<br />
che del fuoco la cenere sol resti,<br />
e tu allora a cercar vieni l’amico.<br />
Lo troverai nella taverna che ha<br />
ai vetri stinte tendinette rosse<br />
e scritto per insegna : AL GOTO GROSSO.<br />
Io non ti chiederò di te di lei.<br />
Spingerò verso te colmo il bicchiere<br />
perché in silenzio con l’amico beva<br />
l'oblio.<br />
estate 1913
PARTE DODICESIMA L’età dell’imperialismo: le avanguardie (1903-1925)<br />
CAPITOLO X La poesia, § 7<br />
CD219<br />
[Versi a Dina]<br />
da C. <strong>Sbarbaro</strong>, L’opera in versi e in<br />
prosa,a cura di G. Lagorio e V.<br />
Scheiwiller, Garzanti, Milano 1985.<br />
Camillo <strong>Sbarbaro</strong><br />
«Ora che sei venuta»<br />
metrica Tre strofe composte, rispettivamente, da 7, 3 e 11<br />
versi, con prevalenza di endecasillabi (quinari sono i<br />
vv. 3 e 12 e un settenario è il v. 1).<br />
1-7 Ora che sei venuta, [ora] che sei entrata nella mia vita<br />
con passo di danza [–] simile a (quasi) [un] soffio di<br />
vento (folata) [che entra] in una stanza chiusa – mi<br />
mancano le parole e la voce per (a) festeggiarti, [o] bene<br />
[: amore] tanto atteso [: desiderato],e ormai (già)<br />
mi basta stare in silenzio accanto a te (tacerti vicino<br />
= tacere vicino a te). Il vuoto di parole che l’emozione<br />
crea nel poeta al sopraggiungere di un amore a lungo<br />
desiderato si riempie della presenza fisica della donna.<br />
Accanto a lei le parole non sono più necessarie. Con<br />
passo di danza: quasi ballando, con grazia e leggerezza.<br />
Quasi folata...chiusa: l’amore, raggiunto in età adulta,<br />
porta nella vita del poeta un rinnovamento simile a<br />
un’improvvisa ventata di aria fresca che entra in una<br />
stanza chiusa da tanto tempo.<br />
8-10 Allo stesso modo (così) il verso (pigolìo) [degli uccelli]<br />
che stordisce (assorda) [: riempie di suono] il bosco<br />
al nascere dell’alba tace (ammutolisce) quando sul-<br />
In questa poesia l’intesa d’amore è finalmente raggiunta; i turbamenti e le ansie della giovinezza si placano<br />
in un rapporto sentimentale vissuto con la serenità di un’età non più giovanile.<br />
Il tono pacato, privo delle ruvidezze *espressionistiche dei testi di <strong>Pianissimo</strong>,testimonia del raggiunto<br />
equilibrio esistenziale di <strong>Sbarbaro</strong>, dell’appagamento tardivo dei suoi desideri; e tuttavia è impossibile<br />
comprendere l’intensità di questi versi senza porli in rapporto con quelli della prima raccolta: la ricerca<br />
d’amore – e di trasgressione – in essi compiuta trova infatti nei Versi a Dina un felice punto d’arrivo.<br />
Ora che sei venuta,<br />
che con passo di danza sei entrata<br />
nella mia vita<br />
quasi folata in una stanza chiusa –<br />
5 a festeggiarti,bene tanto atteso,<br />
le parole mi mancano e la voce<br />
e tacerti vicino già mi basta.<br />
Il pigolìo così che assorda il bosco<br />
al nascere dell’alba,ammutolisce<br />
10 quando sull’orizzonte balza il sole.<br />
Ma te la mia inquietudine cercava<br />
quando ragazzo<br />
nella notte d’estate mi facevo<br />
alla finestra come soffocato:<br />
15 che non sapevo,m’affannava il cuore.<br />
E tutte tue sono le parole<br />
che, come l’acqua all’orlo che trabocca,<br />
alla bocca venivano da sole,<br />
l’ore deserte,quando s’avanzavan<br />
puerilmente le mie labbra d’uomo<br />
da sé,per desiderio di baciare...<br />
l’orizzonte s<strong>org</strong>e (balza) il sole. La *similitudine paragona<br />
le parole del poeta al canto degli uccelli e l’arrivo<br />
della donna al s<strong>org</strong>ere del sole: le parole e il canto<br />
egualmente rivelano il bisogno del sole e dell’amore,<br />
annunciandoli, e tacciono al loro arrivo. L’*analogia tra<br />
le due dimensioni è sottolineata dall’uso del verbo “ammutolire”,<br />
che rimanda al v. 6, e del verbo “balzare”, più<br />
adatto al passo di danza della donna che al s<strong>org</strong>ere del<br />
sole.<br />
11-21 Ma la mia ansia (inquietudine) cercava te quando<br />
[da] ragazzo mi avvicinavo (facevo) alla finestra nella<br />
notte d’estate quasi (come) senza respiro (soffocato):<br />
qualcosa che (che) non sapevo mi appesantiva (m’affannava)<br />
il cuore. E le parole che venivano da sole alla<br />
bocca, simili a (come) l’acqua che esce fuori (trabocca)<br />
da un bordo (all’orlo), sono tutte tue [: dedicate a<br />
te], [e a te sono dedicate] le ore solitarie (deserte),in<br />
cui (quando) le mie labbra d’uomo si protendevano (s’avanzavan)<br />
da sole (da sé) ingenuamente (puerilmente)<br />
per [il] desiderio di baciare... Questi versi esprimono<br />
con intensità la condizione irrequieta e ansiosa dell’adolescenza<br />
(cfr. ragazzo e puerilmente), in cui il desi-<br />
Luperini, Cataldi, Marchiani, Marchese Manuale di letteratura [G. B. PALUMBO EDITORE]<br />
1<br />
derio erotico non è ancora in grado di confrontarsi con<br />
l’alterità. Il poeta offre alla donna amata da adulto i turbamenti<br />
di se stesso giovane e la dichiara inconsapevole<br />
destinataria di tutte le parole (le poesie) che allora<br />
affioravano in lui incontenibili. Mi facevo…soffocato:<br />
il vb. “fare” è qui usato nella forma rifl. e significa<br />
‘muoversi verso una data direzione’. Come cerca l’aria<br />
colui che si sente soffocare, così il poeta cercava ristoro<br />
ai propri turbamenti adolescenziali nella frescura estiva<br />
notturna. Si noti il collegamento tra il v. 4 e i vv.<br />
13-14: nella chiusa e soffocante stanza delI’adolescenza<br />
giunge infine una folata d’aria fresca vivificante; la donna,<br />
con la sua vitalità, è in grado di rinnovare la vita del<br />
poeta. Che non sapevo...cuore: il poeta è oppresso da<br />
qualcosa che neanche lui riesce a definire (le prime ansie<br />
amorose). Il vb.“affannare”, trans., benché riferito al<br />
cuore, rientra nell’ambito semantico individuato poco<br />
sopra. Quando…da sé: si noti come il contrasto tra l’avv.<br />
“puerilmente” (= in modo infantile) e il *sintagma labbra<br />
d’uomo esprima il contrasto proprio dell’adolescenza,<br />
in bilico tra sentimenti ancora infantili e pulsioni<br />
già adulte.
PARTE DODICESIMA L’età dell’imperialismo: le avanguardie (1903-1925)<br />
CAPITOLO X La poesia, § 7<br />
esercizi<br />
CD219<br />
Camillo <strong>Sbarbaro</strong> ~ «Ora che sei venuta»<br />
Analizzare e interpretare<br />
1<br />
Indica come il poeta rielabori modernamente il tema tradizionale<br />
dell’ineffabilità dell’esperienza amorosa.<br />
Luperini, Cataldi, Marchiani, Marchese Manuale di letteratura [G. B. PALUMBO EDITORE]<br />
2<br />
Confronta questa figura di donna con quella di «Io che come<br />
un sonnambulo cammino» (CD217).<br />
2
PARTE DODICESIMA L’età dell’imperialismo: le avanguardie (1903-1925)<br />
CAPITOLO X La poesia, § 7<br />
CD218<br />
[<strong>Pianissimo</strong>]<br />
da C. <strong>Sbarbaro</strong>, <strong>Pianissimo</strong>,a cura di<br />
L. Polato, Il Saggiatore, Milano 1983.<br />
Camillo <strong>Sbarbaro</strong><br />
«Esco dalla lussuria»<br />
metrica Una strofa di trentatré versi seguita da una di tre, da<br />
un verso isolato e da un distico finale; la misura dell’endecasillabo<br />
è costantemente rispettata, benché<br />
divisa spesso in due parti, in presenza di versi a scalino.<br />
1-8 Esco da [un] postribolo (dalla lussuria). M’incammino<br />
lungo le (pei = per i) strade (lastrici) che risuonano<br />
(sonori) nella notte [: al rumore dei passi]. Non ho rimorso<br />
né (e) turbamento [: per il piacere provato]. Sono<br />
soltanto (solo) immensamente tranquillo. [Ep]pure<br />
qualche cosa è cambiata dentro (in) me, qualcosa [è<br />
cambiata] fuori di me. Il poeta torna in strada dopo<br />
aver soddisfatto in un postribolo i propri desideri sessuali.<br />
Apparentemente sereno, egli avverte in realtà il<br />
peso della trasgressione commessa. Lussuria: ‘eccesso<br />
di sensualità degradata a vizio’; secondo la morale<br />
cattolica, è uno dei sette peccati capitali. Qui la voce<br />
indica il luogo in cui la lussuria viene praticata e cioè<br />
il postribolo (casa di prostituzione). L’espressione esco<br />
In questa poesia s’intrecciano alcuni temi fondamentali della *poetica sbarbariana: l’amore ridotto a<br />
«lussuria», a vizio; la visione allucinata della città, il complesso rapporto con il padre; l’estraneità rispetto<br />
a se stesso e alla vita.<br />
Uscendo da una casa di prostituzione, il poeta attraversa le strade cittadine, deserte e spettrali, meditando<br />
sul «peccato» commesso: il cedimento alla passione erotica gli appare come una trasgressione<br />
alla legge morale rappresentata dal padre. Chiuso in un’indifferenza alla vita simile a quella delle strade<br />
che attraversa e delle case che ha intorno, egli non riesce a turbarsi neppure all’ipotesi dell’imminente<br />
morte del padre.<br />
Esco dalla lussuria<br />
M’incammino<br />
pei lastrici sonori nella notte.<br />
Non ho rimorso e turbamento. Sono<br />
5 solo tranquillo immensamente.<br />
Pure<br />
qualche cosa è cambiato in me, qualcosa<br />
fuori di me.<br />
Ché la città mi pare<br />
10 sia fatta immensamente vasta e vuota,<br />
una città di pietra che nessuno<br />
abiti, dove la Necessità<br />
sola conduca i carri e suoni l’ore.<br />
A queste vie simmetriche e deserte<br />
15 a queste case mute sono simile.<br />
Partecipo alla loro indifferenza,<br />
alla loro immobilità.<br />
Mi pare<br />
d’esser sordo ed opaco come loro,<br />
20 d’esser fatto di pietra come loro.<br />
dalla lussuria non definisce però soltanto il gesto concreto<br />
del poeta di uscire dal postribolo, ma anche il<br />
suo desiderio profondo di purificarsi, di espiare il senso<br />
di colpa. Lastrici sonori: il lastrico è la pavimentazione<br />
a blocchi di pietra di una strada. Di notte, in assenza<br />
di rumori, i passi solitari del poeta fanno risuonare<br />
la strada.<br />
9-20 Perché (ché) mi pare [che] la città sia diventata (fatta)<br />
immensamente grande (vasta) e vuota [: deserta],<br />
una città [fatta] di pietra che nessuno abiti, [una città]<br />
in cui (dove) soltanto (solo) la Necessità conduca i carri<br />
e suoni [: al campanile] le ore [che passano]. [Io] sono<br />
simile a queste vie simmetriche e deserte [e] a queste<br />
case silenziose (mute). Anch’io provo la (partecipo<br />
alla) loro immobilità. Mi pare di essere sordo e oscuro<br />
(opaco) [: insensibile] come loro [: le vie e le case], [mi<br />
pare] di essere fatto di pietra come loro. Il poeta descrive<br />
in questi versi la realtà esterna a sé (cfr. fuori di<br />
me,v.8), per poi indagare, a partire dal v. 21, la propria<br />
condizione interiore (cfr. in me,v.7). La città gli appa-<br />
Luperini, Cataldi, Marchiani, Marchese Manuale di letteratura [G. B. PALUMBO EDITORE]<br />
1<br />
re un’immensa distesa disabitata, fatta di vie rigorosamente<br />
ordinate (simmetriche) ma deserte e di case<br />
vuote: un luogo in cui un principio inesorabile (la Necessità)<br />
muove i carri e il tempo, e nella cui immobile<br />
indifferenza il poeta s’identifica. In questi versi l’aridità<br />
di <strong>Sbarbaro</strong> trova alcune tra le sue definizioni più esplicite<br />
e lucide: il poeta è simile alle vie deserte, alle case<br />
mute,e ne condivide l’indifferenza e l’immobilità di<br />
pietra. Suoni l’ore: si allude ai rintocchi delle campane<br />
(o degli orologi). Vie simmetriche...case mute: immagine<br />
efficace a indicare la città come luogo della morte<br />
dell’io e della disintegrazione del rapporto uomo-natura:<br />
la disposizione ordinata delle vie secondo la logica<br />
geometrica appare fine a se stessa (le vie sono infatti<br />
deserte) e perciò insensata; le case, simbolo tradizionale<br />
dei valori familiari e dell’identità, appaiono mute,<br />
ossia silenziose come fossero anch’esse deserte, disabitate.<br />
La città fantasma è quella in cui si consuma l’esperienza<br />
di vita alienata del poeta e dell’uomo moderno.
PARTE DODICESIMA L’età dell’imperialismo: le avanguardie (1903-1925)<br />
CAPITOLO X La poesia, § 7<br />
CD218<br />
21-26 Perché (ché) mio padre e mia sorella sono lontani come<br />
[se fossero] morti da tanti anni, come [se fossero] già [stati]<br />
sepolti nella memoria. Il nome dell’amico è un nome<br />
insignificante (vano). Tra me e loro [: la famiglia, gli amici]<br />
si è messo in mezzo (interposto) il mio peccato, come [se<br />
fosse una] grossa pietra (macigno) immobile. Dalla descrizione<br />
della città, attraverso l’identificazione con essa, il<br />
poeta passa alla sfera degli affetti privati e del suo problematico<br />
rapporto con essi. La coscienza del peccato<br />
commesso si pone come un ostacolo insormontabile che<br />
divide il poeta dagli altri: padre e sorella sembrano figure<br />
irraggiungibili (lontani) appartenenti a un mondo passato<br />
di purezza, ormai sprofondato nella memoria, ed è negata<br />
la possibilità stessa dell’amicizia. Ché: si noti la correlazione<br />
tra questo ché e quello del v. 9: entrambi introducono<br />
Camillo <strong>Sbarbaro</strong> ~ «Esco dalla lussuria»<br />
Ché il mio padre e la mia sorella sono<br />
lontani, come morti da tanti anni,<br />
come sepolti già nella memoria.<br />
Il nome dell’amico è un nome vano.<br />
25 Tra me e loro s’è interposto il mio<br />
peccato come immobile macigno.<br />
E se sapessi che il mio padre è morto,<br />
al qual pensando mi piangeva il cuore<br />
di essere lontano ora che i giorni<br />
30 della vita comune son contati,<br />
se mi dicesser che il mio padre è morto,<br />
sento bene che adesso non potrei<br />
piangere.<br />
Son come posto fuori della vita,<br />
35 una macchina io stesso che obbedisce,<br />
come il carro e la strada necessario.<br />
Ma non riesco a dolermene.<br />
Cammino<br />
pei lastrici sonori nella notte.<br />
alle definizioni del turbamento annunciato al v. 7. Il mio...la<br />
mia: il “nido” familiare si incarna nelle persone del padre<br />
e della sorella che qui compaiono come un’alternativa ormai<br />
irraggiungibile di intimità al gelido e spettrale anonimato<br />
cittadino. L’aggiunta dell’art. determ. prima dell’agg.<br />
possessivo relativo ai gradi di parentela è scorretto in ital.,<br />
ma è in uso nel parlato di alcune regioni, in particolare nel<br />
toscano. Il mio peccato: l’abbandono al piacere dei sensi.<br />
27-33 E se venissi a sapere (se sapessi) che è morto mio padre,<br />
pensando al quale mi dispiaceva (mi piangeva il<br />
cuore) di essere lontano [: da lui] ora che i giorni della vita<br />
[da vivere in] comune [: insieme] sono limitati (contati),<br />
se mi dicessero che mio padre è morto, sento bene<br />
[: sono sicuro] che adesso non potrei piangere.<br />
34-39 Sono come posto fuori della vita, [come se fossi] io stes-<br />
Luperini, Cataldi, Marchiani, Marchese Manuale di letteratura [G. B. PALUMBO EDITORE]<br />
2<br />
so una macchina che obbedisce [: ai comandi], [come se<br />
fossi anch’io] necessitato (necessario) [: determinato dall’esterno,<br />
senza volontà] come il carro e la strada. Ma non<br />
riesco a dispiacermene (dolermene = dolermi di ciò).Cammino<br />
lungo le (pei = per i) strade (lastrici) che risuonano<br />
(sonori) nella notte. L’esistenza del poeta, estromessa dal<br />
flusso naturale della vita, si consuma in un’insensatezza<br />
che è immobilità psicologica, ovvero impossibilità di attuare<br />
mutamenti, di compiere scelte. Il poeta è necessario<br />
(cioè necessitato, mosso da meccanismi esterni incontrollabili)<br />
(cfr. nota ai vv. 9-20) come un oggetto inanimato<br />
(il carro e la strada), degradato dall’alienazione alla<br />
passività della macchina. Ma non riesco a dolermene: la<br />
vicenda di <strong>Sbarbaro</strong> è tutta in questo verso, il cui isolamento<br />
tipografico rimanda a quello esistenziale del poeta.<br />
guida alla lettura <br />
Metrica e sintassi: il ritmo del pensiero<br />
La sintassi di questo testo è perlopiù lineare, come avviene di norma<br />
in <strong>Sbarbaro</strong>. Tutti i versi, inoltre, sono riconducibili alla misura<br />
canonica dell’*endecasillabo. Da questi due ingredienti dovrebbe<br />
derivare un effetto di musicalità molto pronunciato. <strong>Sbarbaro</strong> lo evita<br />
ricorrendo a vari espedienti: frequenti *enjambements (vv. 2, 4,6,<br />
7, 9, 11, 12, 18, 21, 25, 28, 29, 32, 38), versi brevi e brevissimi<br />
I temi espressionistici della città, del vagabondaggio e del sonnambulismo<br />
Anche in questo componimento è possibile registrare la presenza di tre<br />
tipici temi espressionistici: 1) la città, rappresentata in termini allucinati<br />
e onirici (cfr. soprattutto i vv. 9-17), con un riferimento alla simmetria<br />
(v. 14) che si ricollega a numerose manifestazioni della pittura<br />
espressionista; 2) il vagabondaggio del soggetto (il tema del cammi-<br />
(vv. 1, 2, 6, 8, 9, 18, 33, 38), periodi a tratti a loro volta brevi (vv. 1-<br />
8, 37-39). In questo modo, invece dell’aspetto lirico e musicale, a essere<br />
messo in risalto è l’aspetto narrativo e ragionativo del testo,<br />
con la definizione di un originale ritmo del pensiero, cioè di un ritmo<br />
adatto a seguire i trasalimenti delle associazioni mentali del soggetto.<br />
nare ritorna ad apertura e a chiusura del testo, incorniciando le riflessioni<br />
in esso contenute); 3) il sonnambulismo (annunciato dall’indifferenza<br />
e dalla scarsa reattività dell’io ai vv. 14-20 e ripreso ai vv. 34-<br />
36, in cui viene detto esplicitamente che il poeta si muove in stato di<br />
incoscienza).
PARTE DODICESIMA L’età dell’imperialismo: le avanguardie (1903-1925)<br />
CAPITOLO X La poesia, § 7<br />
CD218<br />
Camillo <strong>Sbarbaro</strong> ~ «Esco dalla lussuria»<br />
guida alla lettura<br />
Il peccato, il senso di colpa e la figura paterna: un’interpretazione psicanalitica<br />
Accanto al tema del camminare, un altro tema ha particolare rilievo:<br />
quello dell’indifferenza. Essa è proclamata fin dall’inizio: «Non ho rimorso<br />
e turbamento. Sono / solo tranquillo immensamente» (vv. 4-5);<br />
ed è ripresa nella conclusione: «Ma non riesco a dolermene» (v. 37).Tuttavia,<br />
molti indizi suggeriscono che queste affermazioni corrispondono<br />
solo in parte alla verità. Intanto, si noti il brusco passaggio dal v. 5 al v.<br />
6: in quel «Pure» (enfatizzato dalla collocazione a scalino), che incrina<br />
la tranquilla assenza di rimorso e di turbamento enunciata al v. 4, si annida<br />
la percezione profonda del senso di colpa. In quest’ottica, la negazione<br />
che precede («Non ho rimorso ecc...») suona quasi come una<br />
*negazione freudiana, cioè una falsa negazione (in realtà, il poeta prova<br />
rimorso). D’altra parte, l’apparizione della figura paterna, a partire dal<br />
v. 21, denuncia in modo chiarissimo la rilevanza del rapporto fra tra-<br />
Paesaggio cittadino e paesaggio interiore<br />
Fin dai primi versi <strong>Sbarbaro</strong> istituisce un rapporto di identificazione tra<br />
città e io. Si veda, ad esempio, la replicazione dell’avverbio «immensamente»<br />
ai vv. 5 e 10. Come vasta e vuota è la città, così è l’io del poeta;<br />
e ancora: come «di pietra» (v. 11), cioè inerte,“sorda e opaca”, è la<br />
esercizi<br />
Analizzare e interpretare<br />
1<br />
Quale cambiamento registra il poeta ai versi 7-8?<br />
2 Che aspetto assume la città ai suoi occhi?<br />
3 Quale analogia esiste tra l’io e la città?<br />
4 Che legame c’è tra il motivo della lussuria e l’immagine del<br />
padre? Perché il poeta avverte la trasgressione sessuale come<br />
«peccato»?<br />
Luperini, Cataldi, Marchiani, Marchese Manuale di letteratura [G. B. PALUMBO EDITORE]<br />
sgressione e senso di colpa: la figura paterna rappresenta infatti l’imperativo<br />
morale, cioè il principio repressivo e la legge da cui dipende il<br />
senso di colpa stesso. La presenza, accanto al padre, della sorella (v.<br />
21) rappresenta un simbolo di purezza e di innocenza che chiarisce la<br />
natura del senso di colpa: esso dipende dal cedimento alla «lussuria»,<br />
posto infatti, come dato fondamentale, ad apertura del testo.<br />
Se però il desiderio sessuale equivale a una trasgressione della legge<br />
morale paterna, la sua realizzazione non può che comportare senso di<br />
colpa e bisogno di espiazione. In quest’ottica, l’indifferenza e l’aridità<br />
sbarbariane sono interpretabili, più che come una mancanza di stimoli<br />
vitali, come una loro repressione preventiva per sfuggire al senso<br />
di colpa e, nel contempo, come un segno della depressione a esso comunque<br />
successiva.<br />
città, così “pietrificato” («di pietra», v. 20) è l’io. Questa “mineralizzazione”<br />
dell’io conduce ad una condizione di estraneità insensata e necessitata<br />
(cfr. v. 36), immodificabile: un essere «fuori dalla vita» che<br />
per molti aspetti richiama il «silenzio di cosa» di Serafino Gubbio.<br />
5<br />
6<br />
Come può essere interpretata la sua aridità?<br />
Confronta il testo con la poesia precedente e chiarisci quali<br />
motivi hanno in comune.<br />
3
NOT. SOC. LICH. ITAL., 17: 83-88 (2004)<br />
Per gentile concessione dell’autore pubblichiamo l’<strong>intervista</strong> del<br />
giornalista Ferdinando Camon a Camillo <strong>Sbarbaro</strong> 1<br />
tratta da: “Il mestiere di poeta”. Garzanti (1982)<br />
CAMILLO SBARBARO<br />
“Non mi dia dell'illustre: ho la coscienza, esatta credo, dei miei limiti; la<br />
frase per mero accidente incappai nella fama di letterato, s'anche scherzosa,<br />
risponde al vero": l'umiltà di <strong>Sbarbaro</strong>, e la sua solitudine, per certi aspetti<br />
polemica e sdegnosa, mi risultava già dalle sue lettere. Da alcuni manoscritti<br />
avevo potuto farmi un'idea di come nascono nella sua mente quelle rapide<br />
intuizioni, morali estetiche critiche poetiche, che formano i Fuochi fatui:<br />
ciascun pensiero è seguito da un sì o da un no o da un punto interrogativo; gli<br />
appunti più recenti sono inseriti su strisce sottili di carta, incollate negli spazi<br />
bianchi. Sono spunti suscitati da qualche notizia o, più spesso, da qualche<br />
immagine attuale, ma attinti da un fondo costante di amara saggezza: tipico<br />
esempio mi pare quella noticina col lapis, sul silenzio di Pio XII, della quale si<br />
parla qui sotto, nel colloquio. Ho seguito una per una le correzioni e i<br />
pentimenti apportati da <strong>Sbarbaro</strong> sulle bozze: e ovunque mi pare di vedere la<br />
progressiva acquisizione della forma definitiva, insostituibile. Per esempio, in<br />
queste successive modifiche e sostituzioni, segnate a matita: “Restare giovane<br />
è la memoria che via via si spoglia da sé dell'ombra, non ritiene che punti di<br />
luce: i colori di un'alba, una fiammata di papaveri Giovane è chi scorda il<br />
resto. ” “Restar giovane è la memoria che via via si spoglia da sé dell'ombra,<br />
non ritiene che attimi di luce: i colori di un'alba, una fiammata di papaveri.<br />
Restar giovane è scordare.”<br />
Il dialogo che segue è il risultato di un lungo scambio epistolare; le risposte<br />
del poeta sono state ordinate (ma, naturalmente, immutate) in successione<br />
logica.<br />
1 Alla figura di Camillo <strong>Sbarbaro</strong> (1888-1967), poeta e lichenologo ligure, il NOTIZIARIO ha<br />
dedicato altri spazi sui seguenti volumi:<br />
- 3, suppl. 1 (1990): 75-78 - Modenesi P., Le collezioni lichenologiche del Museo G. Doria di<br />
Genova (GDOR);<br />
- 6 (1993): 83-87 - Cormagi C., I licheni tra scienza e poesia. Omaggio a Camillo <strong>Sbarbaro</strong>;<br />
- 7 (1994): 9-11 - Valcuvia Passadore M., Alcune lettere di Camillo <strong>Sbarbaro</strong> conservate presso<br />
l’Istituto Botanico di Pavia.<br />
83
A casa del poeta capito quindi solo per vederlo, finalmente.<br />
Con la stazioncina ferroviaria microscopica, rivestita di legno, senza orario<br />
dei treni, senza toilettes, con l'orto al fianco, il bigliettaio che viene a servirti<br />
col piatto di minestra in mano, e con le fitte case nuove, colorate, i bar, le<br />
locande, i ristoranti, il night, i sottopassaggi, Spotorno ha i due aspetti che si<br />
riscontrano ormai dovunque nei paesi di riviera e di montagna. La via di<br />
<strong>Sbarbaro</strong> è strettissima (un'auto non ci passa), scavata tra le case e i muri dei<br />
giardini, abitata da un popolo di gatti che quando arrivi si spostano di pochi<br />
passi; pigri strisciando ventre a terra. Lo studio di <strong>Sbarbaro</strong> non ha libri. Ci<br />
trovo una sola opera, questa: Foliicolous Lichens I, a revision of the taxonomy<br />
of the obligately foliicolous, Lichenised fungi by Rolf Santesson - Uppsala<br />
1952. Ci sono naturalmente, i licheni, delizia e arma di <strong>Sbarbaro</strong>: arma,<br />
perché quando vuoi disfarti di un ospite noioso non ha — dice lui — che da<br />
fargli vedere minuziosamente la sua raccolta. Che è molto ridotta ormai. Tra le<br />
altre specie, il poeta mi fa vedere qualche esemplare di Apegrapha (a forma di<br />
virgolette come scrittura cuneiforme, sul tallo grigio; ma visto alla lente, il<br />
tutto sembra un altopiano con le cime arsicce e nerastre), di Ramalina<br />
reticulata della California, esili fili che d'un tratto si scindono in sottilissime<br />
reticelle. Sulla busta che contiene la Xanthoria parietina <strong>Sbarbaro</strong> ha scritto:<br />
"Rutilante di fatto, se non di nome."<br />
Camon Le sue prose e le sue poesie m'han dato l'immagine di lei come di<br />
un camminatore. E oggi come vive?<br />
<strong>Sbarbaro</strong> Sì, camminare è stato sempre il mio modo migliore di vivere. La<br />
Liguria litoranea l'ho percorsa e la conosco passo per passo dalla Spezia a<br />
Ventimiglia.. Solo da un anno (pare, per artrosi totale della spina dorsale) il<br />
camminare m'è diventato difficoltoso. Più che camminare, ormai mi sposto:<br />
pochi penosi passi al mattino per "fare la spesa". Abito con mia sorella (minore<br />
di me d'un anno) in questa casetta tra caseggiati (che finora ci lasciano un<br />
po' di vista sul paese e sul mare); una casetta che non è facile scovare; priva,<br />
non per povertà ma per elezione, d'ogni risorsa moderna: nè telefono nè radio<br />
nè televisione e nemmeno elettrodomestici. Scrivere o tentare di scrivere è la<br />
mia occupazione; lo è meno il leggere, a causa della vista. Non leggo quasi<br />
che libri di storia vissuta (i retroscena delle due guerre). Sono da sempre<br />
abbonato a Il Mondo. Dalla capitolazione della Germania, per alcuni anni non<br />
comprai più quotidiani; ora ricompro La Stampa. A cominciare dal '60 subii,<br />
ad anni alterni, delle depressioni nervose la cui esatta definizione è: tremenda<br />
pri-vazione d'ogni consenso con la vita.<br />
Camon Lei è così parco di notizie autobiografiche e di interviste! Non ha<br />
fiducia nella possibilità di uno scambio critico di idee?<br />
<strong>Sbarbaro</strong> Di interviste ne accettai una (Tempo settimanale) e non ebbi a<br />
rallegrarmene. Altre due, prive d'un minimo di serietà, mi vennero fatte di<br />
84
sorpresa (su Gente e sulla Nazione, questa col tono di promuovere una<br />
colletta). Autobiografia è tutto quello che ho scritto; esauriente, mi pare, anzi<br />
abbondante di particolari superflui. Non saprei proprio che cosa aggiungervi-<br />
Camon Lei ha scritto molto sui licheni. Che cos'è che l'ha attratto ad essi<br />
fin dall'inizio?<br />
<strong>Sbarbaro</strong> I licheni m'interessano come forma negletta — povera? — di vita.<br />
Sì, anche sui licheni scrissi sin troppo, sempre cercando una spiegazione a<br />
questo hobby: nessuna conoscenza specifica, solo curiosità, piacere visivo,<br />
simpatia: la stessa che mi fa avvicinare tutto quello che non è vistoso<br />
(persone, paesaggi) per gli altri senza importanza, misero. C'è nella terza<br />
edizione (Ricciardi) dei Fuochi fatui un ultimo scritto sui licheni, una specie<br />
di epicedio. 2 Ma il mio interesse per essi è forse chiarito meglio dal primo<br />
scritto sull'argomento (Trucioli, Mondadori), specie dalle frasi: “preso a mano<br />
dalla mia predilezione per le esistenze in sordina, mi volsi a forme più scartate<br />
di vita... L'albero vive d'una vita tanto più piena e armoniosa della nostra, che<br />
dargli un nome è limitarlo; mentre gli inconspicui e negletti licheni, a salutarli<br />
a vista per nome, pare di aiutarli ad esistere.” Ritengo questa la causa<br />
intima della mia passione (estetica, non scientifica) per i licheni, durata<br />
quarant'anni e ormai caduta. Lo scorso anno, approssimandosi la terza<br />
depressione, regalai venti pacchi di licheni al Museo Civico di St. Nat. di<br />
Genova. Dell'erbario, non conservai che qualche campione a ricordo.<br />
Camon È stato affermato che lei anticipa ed esprime il rapporto di<br />
alienazione con gli altri e col mondo. Le pare che la sua alienazione si<br />
configuri un po' — o molto — diversa dalle altre degli autori contemporanei?<br />
2 Ne riportiano qualche passo per comodità di chi legge (nota dell’autore – n.d.r.): “Ancorato<br />
ai licheni mi ha forse che non si sa che cosa siano, ma quel che più in essi mi commuove è la<br />
prepotenza di vita. Diversi di forma, di colore, di portamento e, per la scienza, di specie ( e<br />
quindi di genere, di famiglia, di tribù…), si pigiano in tanti sullo stesso pezzetto di corteccia o<br />
di pietra da essere costretti a scavalcarsi a invadersi a vicenda. …Misterioso poi come faccia il<br />
seme (visibile a forte ingrandimento e misurabile a millesimi di millimetro) a attecchire su<br />
rocce refrattarie a ogni altra vegetazione:…approda giusto sulla superficie più accetta alla<br />
specie, per mandar quindi in avanscoperta filiformi manine ad assaggiar intorno, col compito di<br />
predisporre il letto (o matrice) al lichene che ci si insedierà; e che, inerme come lo si figura,<br />
morde sia il granito, il basalto e, quando occorrerà difendere dalle intemperie la futura prole, li<br />
buca. Grazie al lichene non è luogo dove mi senta solo, visto che non è luogo arido e desolato<br />
che non sia per me vivo di presenze: un vivaio che tripudia al caldo dei tropici come nel gelo<br />
polare e neanche sfrattato dall’uomo perisce, ma emigra e, poco discosto, riprende a prosperare.<br />
…E fortuna d’essermi senza volere trovato quasi solo usufruttuario d’un territorio senza confini,<br />
in u mondo spezzettato ormai in tante proprietà private, dove non è più palmo che non sia<br />
chiuso da cancelli, cinto da filo spinato, ringhioso di cani da guardia; desideroso io solo di<br />
qualcosa che nessuno mi disputa, nessuno anzi vede (e se chi passa chiede, alla spiegazione<br />
sorride incredulo e commiserante).”<br />
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A me pare di sì: mi pare cioè che la sua alienazione si configuri non come<br />
"sentire gli altri come nemici" o come "incomunicabilità", ma come<br />
indecisione e bisogno di solitudine, che può portare fino all'appartarsi e<br />
all'estraniarsi (al limite, alla totale rinuncia o pura passività).<br />
<strong>Sbarbaro</strong> Ignoro il significato preciso di "alienazione". Certo non "sento<br />
gli altri come nemici"; e sono (eccetto nelle crisi depressive) sin troppo<br />
comunicativo. Se nei rapporti con la gente non vado molto oltre, è che<br />
prevedo, temo la delusione. In questo b<strong>org</strong>o dove vivo dal '51, conosco tutti,<br />
m'interesso ai casi di tutti, e tutti, pare, mi vogliono bene; non approfondisco<br />
però, lascio che i rapporti rimangano superficiali, di convivenza, perché<br />
l'esperienza m'insegna che è saggio fermarsi all'apparenza, accontentarsene.<br />
Camon Mi pare altresì che lei non scopra cause negative nelle cose, ma<br />
semplicemente rifiuti come non necessaria la ricerca delle cause prime.<br />
Sbaglio?<br />
<strong>Sbarbaro</strong> Non so se capisco la domanda e se quindi rispondo a tono. Se<br />
capisco: "la ricerca delle cause prime" non è che "la rifiuti come non<br />
necessaria", ma che la credo inutile, vana. Almeno per me.<br />
Camon Queste espressioni che iniziano i Trucioli: “Ormai somiglio a una<br />
vite che vidi un dì con stupore. Cresceva su un muro di casa nascendo da un<br />
lastrico. Trapiantata, sarebbe intristita. Così l'anima ha messo radice nella<br />
pietra della città e altrove non saprebbe più vivere...", mi ripropongono il<br />
problema di quale sia il tipo della sua alienazione o estraniazione. Dunque:<br />
estraniazione sì, ma nello stesso tempo bisogno degli altri, della città? o per<br />
città s'intende un agglomerato sordo e opaco, senza corrispondenza in noi,<br />
senza anima?<br />
<strong>Sbarbaro</strong> L'inizio dei Trucioli si riattacca (e anzi ripete e illustra)<br />
all'ultima poesia di <strong>Pianissimo</strong>. Aspirazione e insieme impossibilità di<br />
liberarmi dal fascino morboso della città. ”... E come / in uno sforzo d'ali i<br />
gomiti alzo.” La città era un vischio, ma il suo spettacolo m'era necessario, mi<br />
cibava di sensazioni, (Anche questo, fu proprio di un periodo.)<br />
Camon Un problema su cui da tempo ho meditato senza soluzione: la sua<br />
ironia come modo di rivolgersi agli altri. La sua visione del mondo non<br />
dovrebbe anche (o invece) generare una terrena pietà? Ossia: da quale<br />
costatazione nasce la sua ironia: forse degli altri come stupidamente, e<br />
colpevolmente, attaccati alla vita?<br />
<strong>Sbarbaro</strong> Anch'io sono stupidamente attaccato alla vita; l'ironia non<br />
poteva quindi (mi pare) nascere da questo. Non mi è chiaro di quale ironia si<br />
tratti; quella degli Ammaestramenti a Polidoro?<br />
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Camon Non solo. Penso a un certo tono diffuso, verso chi ostinatamente si<br />
illude e spera.<br />
<strong>Sbarbaro</strong> I motivi da cui nasce questa ironia verso gli altri (o meglio:<br />
distacco) mi sembrano quelli accennati in Addio a Pierangelo (p. 187 ultima<br />
edizione Mondadori): “Dagli uomini lo divideva il loro darsi daffare per cose<br />
di niun conto, l'obbedienza di macchine alla necessità, la stupidità dalla fronte<br />
di toro; ma soprattutto la maschera che la convivenza impone loro e che<br />
snatura l'ingenuità della loro indole al modo che la sporcizia in cui si rivolta<br />
rende irriconoscibile la larva.”<br />
Camon E mi pare che ci sia dell'acredine in quelle sue trasformazioni in<br />
grottesco: la femmina lenta in larva molliccia, la bocca dell'altra in mignatta,<br />
la inagra in atroce cavalletta.<br />
<strong>Sbarbaro</strong> Questo è un sentimento diverso. Il motivo fondamentale per cui<br />
"(il mio) occhio restò duro per l'uomo" (poesia Voze) resta quello qui indicato:<br />
più che ironia, è inimicizia, incomprensione, distacco. Nell'esempio che ora<br />
lei mi cita, la malevolenza verso le femmine che finiscono di circolare mentre<br />
gli uomini ricominciano la loro giornata di fatica, è espressione di sgomento,<br />
di incubo; la malevolenza è per le sfruttatrici. Comunque, qualcosa di<br />
contingente a quell'alba.<br />
Camon Leggo su Elsinore (n. 13, 1965): “Col bisogno di questa rima<br />
logica e sintattica che compensava la rinuncia a quella fonica screditata, mi<br />
spiego il procedere a singhiozzo, a piccoli sussulti, della mia prosa, la sua<br />
andatura esitante.” Bisogno dunque del periodo conchiuso. Ma non potrebbe<br />
essere anche amore per i! frammento, cioè rifiuto di <strong>org</strong>anizzare la realtà?<br />
limitarne il contatto a un rapido corto circuito?<br />
<strong>Sbarbaro</strong> Amore per il frammento sì, certo, anzi del frammento nel<br />
frammento.<br />
Camon Ho letto, nel manoscritto medito dei suoi ultimi Fuochi fatui:<br />
“Riepilogando: forse che poteva Pio XII, suo Vicario in terra, rompere il<br />
silenzio di Dio?” Si può vedere qui l'indiretta confessione di un'origine<br />
metafisica del suo isolamento?<br />
<strong>Sbarbaro</strong> Non credo: il mio isolamento non ha, certo, motivo metafisico, è<br />
costituzionale.<br />
Camon Lei ha certe descrizioni particolareggiate di vie petrose, inanimate,<br />
di squallide mura echeggiano, strade incassate fra case: scrivendole, aveva<br />
presente qualche quartiere?<br />
<strong>Sbarbaro</strong> Tutti I miei paesaggi sono petrosi, ma nascono dal didentro. In<br />
essi mi riconosco, mi specchio cioè (per esempio Verezzi), con sollievo.<br />
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Camon Perché l'estraneità diventa conforto nei versi: “Un'impressione<br />
strana m'accompagna / sempre in ogni mio passo e mi conforta: / mi pare di<br />
passar come per caso / da questo mondo”? In altri poeti, la estraneità porta alla<br />
follia e alla disperazione.<br />
<strong>Sbarbaro</strong> Se è vero che "passo di qui per caso", il male è transitorio; nè un<br />
prima nè un dopo; è questo che mi conforta, È un'interpretazione di cui però<br />
non sono sicuro. Può darsi che quando li scrissi, quei versi avessero un<br />
significato vagamente metafisico, ma non posso più dire. Non ricomparvero<br />
più nei successivi rifacimenti.<br />
Camon Da quale critico si giudica particolarmente ben capito, e per quali<br />
intuizioni?<br />
<strong>Sbarbaro</strong> Da Squarotti, forse perché le sue interpretazioni mi sono chiare,<br />
anche se non sempre le condivido. Ma siccome non conservo critiche, una<br />
volta scoree (nè libri), non sono in grado di dire quali "intuizioni critiche" mi<br />
siano parse esatte.<br />
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