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Un altro ambientalismo è possibile. Intervista a Juan Martinez Alier

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76 I FRUTTI DI DEMETRA<br />

agricoli prodotti dai contadini. In altri termini, si hanno conflitti<br />

economici distributivi. Ma, come ha spiegato Ronald Inglehart,<br />

con la prosperità degli anni 50 e 60 c’<strong>è</strong> stata una trasformazione<br />

nei valori sociali, che ha portato verso il post-materialismo;<br />

così <strong>è</strong> cresciuto l’interesse sui temi sociali e culturali:<br />

ed in effetti, il femminismo e la liberazione sessuale, i diritti<br />

umani e l’apprezzamento per l’ambiente hanno acquisito una<br />

importanza sempre maggiore rispetto alle questioni economiche<br />

tra tanti giovani dell’Europa occidentale e degli Stati <strong>Un</strong>iti,<br />

contribuendo, ad esempio, alla crescita dei «Verdi». Questo <strong>è</strong> il<br />

tipo di narrativa storica coerente che ha dominato per qualche<br />

tempo la scena intellettuale. Ed in effetti Inglehart <strong>è</strong> un importante<br />

scienziato politico americano. Nel 1988 Ramachandra<br />

Guha ed io abbiamo cominciato a criticare Inglehart esplicitamente.<br />

Guha a partire dal suo lavoro sul movimento Chipko in<br />

India, diventando il pioniere della storia socio-ambientale nell’Asia<br />

del sud. Egli ha mostrato come per centinaia di anni ci<br />

sono stati conflitti molto materiali per l’accesso ai prodotti legnosi<br />

e non legnosi tra gli amministratori coloniali e i contadini<br />

(donne e uomini) nelle foreste dell’Himalaya, nelle regioni<br />

del Kumaon e del Garwhal. Il movimento Chipko del 1970 fu<br />

un movimento contadino e ambientalista volto a difendere le<br />

querce e le foreste di Cedrus deodora contro lo sfruttamento<br />

commerciale. Esso fu anche un movimento di ispirazione ghandiana.<br />

Quanto a me, stavo scrivendo a quel tempo delle origini<br />

storiche dell’economia ecologica (ho pubblicato la prima edizione<br />

del mio libro «Ecological Economics» in catalano nel 1984,<br />

e in inglese nel 1987), e mi chiedevo quali potessero essere le basi<br />

politiche dell’economia ecologica. Voglio dire che mi chiedevo<br />

quali potessero essere i gruppi che sarebbero potuti diventare<br />

i «consumatori sociali» di questo nuovo modo di guardare all’economia,<br />

in termini di metabolismo sociale, ovvero di studio<br />

dei flussi di energia e materiali. Pensai che avrei dovuto cercare<br />

tra alcuni agronomi in Perù, che conoscevo, e anche tra gli studiosi<br />

di antropologia ecologica, come Victor Toledo in Messico,<br />

l’inizio di un nuovo movimento agrario basato su una critica<br />

davvero materialistica all’agricoltura moderna. Tra gli anni 70 e<br />

80 si capiva ormai che l’agricoltura moderna significava tre cose:<br />

diminuzione nell’efficienza energetica, inquinamento chimico<br />

e perdita delle varietà tradizionali. Questo tipo di argomenti<br />

sono ora utilizzati dalla «Via Campesina». Negli anni 80, scrivevo<br />

che un movimento ambientalista ne-narodniki stava per<br />

nascere. Ora abbiamo il 17 aprile il giorno dei contadini del<br />

OPINIONI 77<br />

mondo, ed <strong>è</strong> la prima volta che c’<strong>è</strong> davvero un movimento mondiale<br />

contadino, agli inizi del XXI secolo. In Europa questo<br />

movimento contadino <strong>è</strong> ben noto grazie a José Bové.<br />

Più tardi, negli anni 90, ho iniziato a lavorare sui conflitti<br />

ambientali distributivi nel mondo, soprattutto in America Latina<br />

e India. Nel 2002 ho pubblicato The Environmentalism of<br />

the Poor. Ci sono molti conflitti materiali sull’estrazione delle<br />

risorse (miniere, petrolio o gas) e sulla distribuzione del carico<br />

di inquinamento. A guardare indietro, ci sono stati molti esempi<br />

storici di conflitti come questi (Rio Tinto in Andalusia o<br />

Ashio in Giappone tra il 1890 e il 1900, o sull’estrazione e la fusione<br />

del rame e molti altri) che gli storici non hanno ancora<br />

studiato. Talvolta i conflitti sono locali, e in quel caso i poveri<br />

sono spesso dalla parte della conservazione contro le miniere o<br />

le compagnie petrolifere. Dunque, i poveri sono «verdi», quando<br />

difendono il loro territorio e il loro ambiente. Per esempio,<br />

quando difendono le mangrovie contro l’acquacultura dei<br />

gamberi destinati all’esportazione. Talvolta i conflitti sono globali,<br />

per esempio nella pesca o nell’accesso all’atmosfera come<br />

deposito di biossido di carbonio.<br />

2) Che mi dici, allora, degli altri filoni dell’<strong>ambientalismo</strong>: il<br />

culto della wilderness e il vangelo dell’ecoefficienza? Secondo te<br />

sono semplicemente irrilevanti ai fini della giustizia ambientale,<br />

potrebbero rivelarsi, o sono stati, alleati in quella battaglia o,<br />

al contrario, sono stati complici della diseguale distribuzione di<br />

rischi e profitti (ambientali, sociali ed economici)?<br />

«Il culto della wilderness» <strong>è</strong> un’espressione ironica usata da<br />

Ramachandra Guha per descrivere un movimento ambientalista,<br />

con radici molto profonde sia negli Usa che in Sud Africa e<br />

in Europa occidentale, che aveva – ed ha – come obiettivo separare<br />

alcune ampie parti del territorio, dotate di particolari valori<br />

ambientali (per esempio, le riserve per le tigri in India), rimuovendo<br />

le popolazioni locali. A livello scientifico questo<br />

movimento fu sostenuto dalla biologia conservazionistica, e,<br />

sebbene oggi molti biologi conservazionisti siano tentati di credere<br />

nelle virtù dell’economia di mercato nell’erogazione di<br />

servizi ambientali, tradizionalmente le zone da conservare dovrebbero<br />

essere escluse dal mercato. Negli Usa John Muir può<br />

essere considerato come il maggiore rappresentante di questo<br />

movimento. «Il vangelo dell’ecoefficienza» <strong>è</strong> invece una mia

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