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LIBRI E RICERCHE 17La storia <strong>del</strong>le frane in Italiae gli stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Roberto Almagià<strong>di</strong> Walter PalmieriLa notte tra il 5 e il 6 maggio 1998, dopo due giorni <strong>di</strong> abbondantipiogge, alcune centinaia <strong>di</strong> migliaia <strong>di</strong> metri cubi <strong>di</strong> fangoe detriti si staccano a più riprese dal monte Pizzo Alvano e siabbattono sui comuni <strong>di</strong> Sarno, Quin<strong>di</strong>ci, Siano e Bracigliano. Ilbilancio risulterà tragico: 160 vittime, centinaia <strong>di</strong> case <strong>di</strong>strutte,intere aree devastate e danni per parecchi milioni <strong>di</strong> euro.Una catastrofe annunciata, un evento preve<strong>di</strong>bile: fu questa,nel corso <strong>del</strong>le settimane e dei mesi successivi, la principalechiave <strong>di</strong> lettura <strong>di</strong> quel terribile episo<strong>di</strong>o. Esperti e stu<strong>di</strong>osi,geologi ed ambientalisti, che da parecchi anni denunciavano l’elevatorischio idrogeologico nel nostro paese, grazie all’emozionesuscitata da quella catastrofe ebbero la possibilità – cosaabbastanza insolita – <strong>di</strong> raggiungere una vasta platea per spiegarei motivi <strong>di</strong> ciò che era accaduto: innanzitutto la fragilitàgeologica <strong>di</strong> quel territorio, ricoperto in gran parte dal deposito<strong>di</strong> materiale vulcanico – le formazioni piroclastiche, dovutealle eruzioni vesuviane, con scarsa coesione e stabilità –, quin<strong>di</strong>l’elevata pendenza dei versanti e le intense precipitazioni. Maaccanto a queste cause «naturali» furono evidenziate altre spiegazioniche avevano contribuito, <strong>di</strong>rettamente o in<strong>di</strong>rettamente,a rendere quell’evento particolarmente catastrofico: la presenza<strong>di</strong> zone abitate nelle aree pedemontane ad alto rischio,l’abusivismo e<strong>di</strong>lizio, le <strong>di</strong>scariche illegali, la scarsa o nulla manutenzione<strong>del</strong> territorio, la cattiva gestione <strong>del</strong> patrimonio forestale,l’assenza <strong>di</strong> stazioni meteorologiche ad alta quota, lamancanza <strong>di</strong> piani <strong>di</strong> previsione e prevenzione. Tutti fattori antropicicome si vede, tutte componenti che chiamavano in causal’uomo e il suo rapporto con le risorse naturali.L’impressione per ciò che era accaduto, l’attenzione <strong>del</strong>l’opinionepubblica per quella trage<strong>di</strong>a, oltre a generare una crescitadegli stu<strong>di</strong> sulla <strong>di</strong>namica e <strong>sulle</strong> cause <strong>del</strong>l’evento, hanno


18 I FRUTTI DI DEMETRAavuto come ulteriore corollario un inconsueto interesse per ciòche gli esperti chiamano «franosità storica». Le frane e, più ingenerale, i fenomeni <strong>di</strong> <strong>di</strong>ssesto idrogeologico che si erano verificatiin quell’area negli anni e nei decenni precedenti sono statioggetto <strong>di</strong> valutazioni e raffronti e – cosa ancor più inconsueta– a queste ricerche hanno partecipato, seppur in modo più spora<strong>di</strong>co,anche stu<strong>di</strong>osi provenienti da aree <strong>di</strong>sciplinari <strong>di</strong>verse daquella geologica. E così sono apparsi negli ultimi anni saggi edarticoli <strong>di</strong> taglio storico e persino raccolte <strong>di</strong> documenti archivisticirelativi al <strong>di</strong>ssesto idrogeologico nel sarnese negli ultimidue secoli. Si tratta <strong>di</strong> un numero tutto sommato limitato <strong>di</strong> lavori.Eppure, al <strong>di</strong> là <strong>del</strong>la loro consistenza numerica, sembranosegnare una svolta importante: gli storici – e <strong>di</strong>scorso in parteanalogo può essere fatto per gli scienziati sociali in genere – raramentesi sono occupati dei fenomeni <strong>di</strong> <strong>di</strong>ssesto idrogeologico;le catastrofi generate da frane e alluvioni non hanno mai se<strong>di</strong>mentatouna significativa storiografia. Eppure i dati storici sonospesso un importante prerequisito per l’indagine geologica.In altre parole: acquisire informazioni su ciò che è successo inpassato, poter contare su una ricca casistica <strong>di</strong> eventi franosi e alluvionalisuccedutisi in una determinata area nel corso dei secoli,significa essere in grado <strong>di</strong> attuare più efficaci politiche <strong>di</strong> mitigazione<strong>del</strong> rischio; e ciò sulla base <strong>del</strong>l’assunto che, come ricordanoi geologi, «quanto è stato vulnerato in passato sarà conelevata probabilità nuovamente vulnerato». La speranza è chequesta nuova attenzione degli scienziati sociali per la storia <strong>del</strong>lefrane non sia un tratto episo<strong>di</strong>co. La continuità degli stu<strong>di</strong> suquesti temi, oltre a fornire importanti contributi all’environmentalhistory – oltre a porre, finalmente, l’ambiente e il suosfruttamento antropico al centro <strong>del</strong>l’indagine storica – potrebbeinfatti avere anche utili ricadute sul presente.Se si guarda al passato esiste un solo grande ed efficaceesempio <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o sugli episo<strong>di</strong> franosi in Italia: quello compiutodal geografo Roberto Almagià circa un secolo fa. Si tratta <strong>di</strong>un lavoro che, compilato su invito <strong>del</strong>la <strong>Società</strong> Geografica Italiananel 1903, vide la luce in due volumi: il primo pubblicatonel 1907 relativo all’Appennino settentrionale, il secondo, <strong>del</strong>1910, sull’Appennino centrale e meri<strong>di</strong>onale. La raccolta deidati e <strong>del</strong>le informazioni, oltre che con rilevazioni sul campo,avvenne tramite le notizie fornite dagli uffici provinciali <strong>del</strong>Genio civile, dal corpo forestale, dagli uffici meteorologici edalle autorità locali. Il risultato fu un’imponente mappatura<strong>del</strong>le frane avvenute a cavallo tra XIX e XX secolo sull’interoLIBRI E RICERCHE 19territorio nazionale, con la sola esclusione <strong>del</strong>le Alpi e <strong>del</strong>le isole.Una ricchissima fonte <strong>di</strong> informazioni che è stata, almeno finoa tempi recenti, l’unico tentativo <strong>di</strong> catalogazione a largoraggio <strong>di</strong> questi fenomeni, l’unico stu<strong>di</strong>o sulla <strong>di</strong>stribuzionespaziale degli eventi franosi in Italia.Purtroppo, ad esclusione <strong>di</strong> rare eccezioni, né gli stu<strong>di</strong> geografici,né tanto meno quelli storici, hanno in seguito raccoltol’ere<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> Almagià, e solo agli inizi degli anni Novanta – questavolta però ad opera <strong>di</strong> geologi – sono iniziati dei censimentiper fornire un quadro completo sulla vastità <strong>di</strong> questi avvenimentinel corso <strong>del</strong> tempo. In ogni caso è significativo il fattoche la più importante banca dati <strong>sulle</strong> frane oggi esistente – laAVI, Aree Vulnerate Italiane, iniziata appunto nel 1991 – utilizziabbondantemente le notizie pubblicate a suo tempo da Almagià.Insomma lo stu<strong>di</strong>o <strong>del</strong> grande geografo italiano rappresentaancor oggi un punto <strong>di</strong> riferimento inelu<strong>di</strong>bile per chiunquesi occupi <strong>del</strong>le frane e <strong>del</strong>la loro storia nel nostro paese.Nonostante l’importanza <strong>di</strong> questo lavoro, la sua utilità e,per molti versi, la modernità <strong>del</strong> suo approccio, c’è però qualcosache colpisce chiunque oggi legga con attenzione la suaopera. Si tratta <strong>di</strong> un dato che, stranamente, è stato spesso ignorato,se non ad<strong>di</strong>rittura frainteso: nel suo lavoro compare undeciso ri<strong>di</strong>mensionamento <strong>del</strong>le responsabilità <strong>del</strong>l’uomo e <strong>del</strong>lespinte economiche nel generare le franeUn elemento che oggi è comunemente accettato è relativo all’insostituibileruolo che il bosco svolge per gli equilibri territorialie per la stabilizzazione dei versanti. La <strong>di</strong>struzione <strong>del</strong> patrimonioforestale, viceversa, oltre ad esporre vaste aree al rischio<strong>di</strong> inondazioni e desertificazioni, facilita l’azione erosiva<strong>del</strong>le acque e crea con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> instabilità che rendono più probabilie frequenti i fenomeni franosi. Eppure l’esistenza <strong>di</strong> questolegame tra bosco e <strong>di</strong>ssesto idrogeologico o, più precisamente,tra bosco e frane, era messo fortemente in dubbio da Almagià:«il <strong>di</strong>boscamento – scriveva nel 1907 – non può assolutamenteessere annoverato tra le cause principali <strong>del</strong>le frane cheinfestano l’Appennino settentrionale». Concetti analoghi eranoriba<strong>di</strong>ti nel successivo volume: «Può ritenersi ormai come assodato,che in tempi normali, la copertura <strong>del</strong> bosco favorisce l’infiltrazionee la penetrazione <strong>del</strong>le acque nel sottosuolo; ma ciònon costituisce certamente un beneficio per riguardo alle frane,che appunto dall’azione <strong>del</strong>le acque freatiche sono il più spessopreparate e provocate; invece si è riconosciuto che il bosco è incapace<strong>di</strong> smaltire i gran<strong>di</strong> acquazzoni o, più generalmente, <strong>di</strong> ri-


20 I FRUTTI DI DEMETRAtenere una gran copia <strong>di</strong> acque riversata in poco tempo da pioggeeccezionalmente abbondanti; si dubita oggi per conseguenzamolto fortemente ch’esso valga a moderare le piene dei fiumiche pure sono una causa in<strong>di</strong>retta <strong>di</strong> frane.»Anche le costruzioni <strong>di</strong> strade hanno, per Almagià, un ruolotutto sommato trascurabile («gli esempi <strong>di</strong> scoscen<strong>di</strong>menti provocaticon sicurezza da opere stradali non abbondano») e lo stessosi può <strong>di</strong>re per altre forme <strong>di</strong> antropizzazione <strong>del</strong> territorio,come ad esempio l’attività mineraria («non sono a mia conoscenzaesempi notevoli <strong>di</strong> frane prodotte da escavazioni minerarie»).Insomma, la sensazione che si ricava dalla lettura dei duevolumi <strong>sulle</strong> frane è che ci sia una costante sottovalutazione<strong>del</strong>l’elemento antropico come componente causale. Era d’altrocanto lo stesso Almagià ad esplicitare, in qualche occasione, lasua tesi sostenendo che bisognasse «limitare assai l’azione chehanno come provocatori <strong>di</strong> frane […] tutti quei fatti che <strong>di</strong>pendonodall’attività <strong>del</strong>l’uomo».Per inciso è interessante sottolineare che questa tendenza <strong>di</strong>Almagià ad attribuire alla natura, più che all’uomo, la quasi totaleresponsabilità degli eventi franosi è in stretta continuità conquella parte <strong>del</strong> meri<strong>di</strong>onalismo che, in un certo senso, avallaval’idea <strong>del</strong>l’ineluttabilità <strong>del</strong> <strong>di</strong>ssesto territoriale. Si pensi adesempio a Giustino Fortunato ed alla sua famosa definizione<strong>del</strong>la Calabria come «sfasciume pendulo tra i due mari». Il <strong>di</strong>battitomeri<strong>di</strong>onalista, in breve, finiva in qualche modo col proporreuna visione fatalistica dei problemi idrogeologici. Una visione<strong>di</strong> straor<strong>di</strong>naria tenuta se solo si pensa al modo con cui siè soliti designare i fenomeni franosi catastrofici. Termini come«calamità naturale» o «<strong>di</strong>sastro naturale» – <strong>di</strong> uso frequente nellinguaggio comune e, in qualche caso, persino nella terminologiatecnica – finiscono infatti, seppur implicitamente, con il relegarein secondo piano le responsabilità umane, ponendo invecel’accento sulla natura. Ma, se le attività antropiche, lo sfruttamentoeconomico <strong>del</strong> territorio, hanno scarsa influenza sullosviluppo <strong>del</strong>le frane, se l’attenzione viene rivolta unicamente allacostituzione geologica dei terreni o ai livelli pluviometrici, lastoria <strong>del</strong>le frane finisce col <strong>di</strong>venire una sequenza <strong>di</strong> eventi, tuttosommato, dettati dal caso, dalla fatalità. Una lettura <strong>di</strong> questotipo toglie ovviamente molto significato all’analisi storica impedendo<strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduare <strong>del</strong>le perio<strong>di</strong>zzazioni significative che consentano,ad esempio, <strong>di</strong> cogliere le <strong>di</strong>fferenze tra gli usi <strong>del</strong> territorioprima e dopo l’avvento <strong>del</strong>l’economia capitalistica. Si potrebbeobiettare che lo stretto legame esistente tra frane e usi <strong>del</strong>LIBRI E RICERCHE 21territorio sia ai giorni nostri un dato ampiamente con<strong>di</strong>viso eentrato ormai a far parte <strong>del</strong> patrimonio comune <strong>di</strong> conoscenze.Se si guarda all’oggi però – e penso in particolare alle recentinorme sul condono e<strong>di</strong>lizio – non si può non riconoscere chequel legame, quel rapporto <strong>di</strong> causa-effetto, è ancora lontano daldettare e con<strong>di</strong>zionare comportamenti e scelte politiche.Ma torniamo ad Almagià. Sarebbe errato sostenere che nelsuo lavoro vi sia una totale rimozione <strong>del</strong>le responsabilità umanenello sviluppo <strong>del</strong>le frane. In alcuni casi, ad esempio, vengonocitati episo<strong>di</strong> <strong>di</strong> frane avvenute in seguito alla costruzione <strong>di</strong>strade. Relativamente al bosco, poi, è lo stesso Almagià a ricordareche esso, attraverso le ra<strong>di</strong>ci degli alberi, forma «quasi unarete sostenitrice» e quin<strong>di</strong> la sua presenza poteva essere vantaggiosa«in quelle regioni dove le frane sono piuttosto superficiali».Tuttavia, nonostante queste ed altre aperture, è innegabileche, come già ricordato, la relazione tra frane e uso <strong>del</strong> territorioesca fortemente ri<strong>di</strong>mensionata nel suo stu<strong>di</strong>o. Resta inchiusura da domandarsi quale ne sia il motivo. La mia ipotesi èche questa sottovalutazione rappresenti una sorta <strong>di</strong> reazionecontro un <strong>di</strong>battito che, ai suoi occhi, doveva apparire decisamenteeccessivo. Il <strong>di</strong>battito in questione è quello sviluppatosi,durante tutto il XIX secolo, contro il <strong>di</strong>boscamento. È notoche a partire dalla seconda metà <strong>del</strong> Settecento, a causa <strong>del</strong>lacrescita demografica e <strong>del</strong>la ricerca <strong>di</strong> nuove terra <strong>di</strong> mettere acoltura, iniziarono in Italia vasti processi <strong>di</strong> <strong>di</strong>struzione boschiva,che crebbero notevolmente nel corso <strong>del</strong> secolo successivoraggiungendo punte altissime dopo la legge forestale liberista<strong>del</strong> 1877. Negli scritti coevi, nei documenti ufficiali, nellapubblicistica <strong>del</strong>l’epoca, le critiche alla riduzione forestale <strong>di</strong>vennerocontinue, ossessive. Probabilmente è contro questo tipo<strong>di</strong> <strong>di</strong>battito che si rivolge Almagià. In più punti <strong>del</strong>la suaopera infatti è evidente il tentativo <strong>di</strong> prendere le <strong>di</strong>stanze dalle<strong>di</strong>chiarazioni generiche talvolta presenti nei tanti che criticavanoil <strong>di</strong>boscamento: «quando si parla degli effetti <strong>del</strong> <strong>di</strong>boscamento<strong>sulle</strong> frane non bisogna limitarsi ad espressioni ed affermazionigenerali, ma è in<strong>di</strong>spensabile <strong>di</strong>stinguere tra le variespecie <strong>di</strong> frane riguardo alle quali l’influenza <strong>del</strong> mantello boscosopuò essere <strong>di</strong>fferentissima». Ed ancora: «tutti coloro – esono moltissimi – che hanno trattato in generale <strong>del</strong>l’influssodei boschi sul clima e sul suolo per mostrare quanto sia perniciosala loro <strong>di</strong>struzione, hanno quasi sempre annoverato nellalunga serie dei danni più o meno <strong>di</strong>retti e più o meno accertatiche conseguono dal <strong>di</strong>boscamento, quello derivante dall’incre-


22 I FRUTTI DI DEMETRAmento <strong>del</strong>la franosità; taluno è poi andato così avanti per questavia da farci apparire l’uomo collaboratore e complice dei naturaliagenti denudatori nella produzione <strong>del</strong>le frane». Insomma,la sensazione è che il desiderio <strong>di</strong> <strong>di</strong>stinguersi da ciò che lostesso Almagià definiva «esperienza grossolana e saltuaria <strong>di</strong>persone spesso sfornite <strong>di</strong> seria e soda cultura» lo abbia poicondotto a posizioni elitaristiche e in controtendenza rispettoalle tesi dominanti.Nota biograficaRoberto Almagià (Firenze 1884 – Roma 1962) occupa unposto centrale nell’evoluzione <strong>del</strong> pensiero geografico italiano.Professore nell’università <strong>di</strong> Padova e quin<strong>di</strong> or<strong>di</strong>nario <strong>di</strong> geografiapolitica ed economica in quella <strong>di</strong> Roma (da cui fu espulsodurante il fascismo a seguito alle leggi razziali <strong>del</strong> 1938), Almagiàfu uno dei primi geografi completi che ci siano stati inItalia. Fu <strong>di</strong>rettore <strong>del</strong>la sezione <strong>di</strong> geografia <strong>del</strong>l’enciclope<strong>di</strong>aTreccani, fondatore <strong>del</strong>la collana <strong>sulle</strong> Regioni d’Italia <strong>del</strong>laUtet, <strong>di</strong>rettore <strong>del</strong>la «Rivista Geografica Italiana», socio <strong>del</strong>l’Accademiadei Lincei e <strong>del</strong>la <strong>Società</strong> Geografica Italiana. Trai suoi molteplici stu<strong>di</strong> e interessi da segnalare, oltre ai lavori <strong>sulle</strong>frane, le sue fondamentali ricerche cartografiche.Riferimenti bibliografici essenzialiR. Almagià, Stu<strong>di</strong> geografici <strong>sulle</strong> frane in Italia, in Memorie <strong>del</strong>la <strong>Società</strong>Geografica Italiana, 2 voll., <strong>Società</strong> Geografica Italiana, Roma 1907 e1910.V. Aversano, G. Ruggiero (a cura <strong>di</strong>), Montagna assassina o vittima? Peruna storia <strong>del</strong> territorio e <strong>del</strong>le alluvioni <strong>di</strong> Bracigliano, Quin<strong>di</strong>ci, Sarno eSiano (1756-1997), Laveglia, Salerno 2000.G. Botta, Gli stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Roberto Almagià <strong>sulle</strong> frane in Italia: i criteri <strong>del</strong>l’interpretazione,i fondamenti <strong>del</strong>la ricerca, in G. Corna Pellegrini (a cura<strong>di</strong>), Roberto Almagià e la geografia italiana nella prima metà <strong>del</strong> secolo,Unicopli, Milano 1988.G. Mazza, E. Amendola, Storia liquida: alluvioni e sistemazione idraulicomontana a Sarno dalla fine <strong>del</strong> ’700 agli inizi <strong>del</strong>l’800, Scala e<strong>di</strong>trice, Sarno1999.W. Palmieri, Le catastrofi rimosse: per una storia <strong>del</strong>le frane e <strong>del</strong>le alluvioninel Mezzogiorno continentale, in «Meri<strong>di</strong>ana. Rivista <strong>di</strong> Storia eScienze Sociali», 2002, 44.

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