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Giovanni Verga e il Darwinismo sociale “La Natura non ha storia, è ...

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<strong>Giovanni</strong> <strong>Verga</strong> e <strong>il</strong> <strong>Darwinismo</strong> <strong>sociale</strong><br />

<strong>“La</strong> <strong>Natura</strong> <strong>non</strong> <strong>ha</strong> <strong>storia</strong>, <strong>è</strong> sempre uguale a se stessa”.<br />

Incipit alla tesina.<br />

Attraverso lo studio delle novelle di <strong>Verga</strong> e quindi delle vicende dei singoli personaggi, ci siamo<br />

chiesti, quanto esse siano attuali nella società del ventunesimo secolo, quanto continueranno ad<br />

esserlo nelle generazioni future e se ancora oggi vige la cosiddetta “struggle for life”, lotta per la<br />

sopravvivenza. Ancora oggi <strong>il</strong> più forte prevarica <strong>il</strong> più debole? Per rispondere a tale questione ci <strong>è</strong><br />

sembrato opportuno considerare <strong>il</strong> pensiero di Condorcet (f<strong>il</strong>osofo francese dell’Ottocento): <strong>“La</strong><br />

natura <strong>non</strong> <strong>ha</strong> <strong>storia</strong>, <strong>è</strong> sempre uguale a se stessa”<br />

Ma cosa s’intende con questa frase? Le risposte potrebbero essere molteplici ma quella che a noi<br />

più interessa <strong>è</strong> la prova che le vicende delle novelle scritte dall’autore sic<strong>il</strong>iano (lo sfruttamento di<br />

Malpelo, la disab<strong>il</strong>ità di Màlia, <strong>il</strong> pregiudizio della società, l’omicidio da parte di Pentolaccia del<br />

rivale in amore) <strong>non</strong> rimangono limitate nella realtà verghiana, ma continuano a ripetersi nel corso<br />

della <strong>storia</strong> rappresentando la <strong>storia</strong> dell’umanità, più precisamente <strong>storia</strong> della società umana:<br />

“Il semplice fatto umano farà pensare sempre […]” e avrà sempre l’efficacia dell’essere stato e al<br />

contempo continuerà ad essere.<br />

Quante volte si sente parlare oggi di mariti che per gelosia commettono degli omicidi, o di bambini<br />

e ragazzi che vengono sfruttati nei lavori manuali? Quante volte veniamo a conoscenza di<br />

ingannevoli cure e della poca attenzione verso i disab<strong>il</strong>i, come accadde a Màlia paralizzata dalla<br />

cintola in giù? O di pregiudizi della gente superstiziosa che giudica unicamente dal colore dei<br />

capelli?<br />

Rosso Malpelo<br />

Il protagonista della novella <strong>è</strong> un ragazzino dai capelli rossi, i quali secondo un’antica credenza<br />

sic<strong>il</strong>iana sono segno di malvagità: Malpelo <strong>è</strong> rosso, <strong>è</strong> diverso, quindi <strong>è</strong> cattivo, portatore di male per<br />

sé e per gli altri. Egli viene deriso e maltrattato dalle persone che lo circondano, persino dalla<br />

sorella e dalla madre. L’unico che si prende cura di lui <strong>è</strong> <strong>il</strong> padre minatore detto Mastro Misciu<br />

Bestia, <strong>il</strong> quale lavora presso la cava dove perderà la vita, lasciando così Malpelo solo e indifeso.<br />

Il ragazzo continua a lavorare nella cava ereditando <strong>il</strong> mestiere del padre. Già da qui possiamo<br />

delineare <strong>il</strong> prof<strong>il</strong>o del personaggio, tipico del pessimismo Verghiano, piuttosto interessante: <strong>il</strong><br />

ragazzo accetta la propria condizione <strong>sociale</strong> con rassegnazione, affermando che si nasce per <strong>il</strong><br />

lavoro nella miniera. Malpelo si sente addirittura orgoglioso di quel lavoro, per <strong>il</strong> quale crede di<br />

essere nato. Sa che fuori dal suo mondo ne esiste uno diverso, fatto di lavori e ambienti più<br />

1


piacevoli, e <strong>non</strong> avrebbe voluto lavorare sotto terra, “ma quello era stato <strong>il</strong> mestiere di suo padre, e<br />

in quel mestiere era nato lui 1 .”<br />

-La condizione del vinto<br />

Malpelo <strong>è</strong> vittima di continui pregiudizi e maltrattamenti da parte di una società superstiziosa e<br />

malvagia che porterà <strong>il</strong> ragazzo, in seguito alla morte del padre, a rispondere alla sopraffazione con<br />

atteggiamenti di scontrosità e violenza, acuiti dai maltrattamenti patiti. Si comporta in maniera<br />

crudele verso gli altri. Rifacendosi alla teoria di Darwin, <strong>Verga</strong> descrive un Malpelo che vede nel<br />

prossimo un nemico. Da ciò deriva che un tale stato si trovi in una perenne conflittualità interna, in<br />

un continuo bellum omnium contra omnes, nel quale <strong>non</strong> esiste <strong>il</strong> torto o la ragione che solo la<br />

legge può distinguere, ma solo l’istinto di ciascuno a difendersi, anche rifacendosi sulla vita altrui.<br />

In questo modo Malpelo manifesta la propria lotta per l’ esistenza, quando in miniera arriva a<br />

lavorare un ragazzo piccolo e debole, soprannominato Ranocchio. Egli lo picchia, lo insulta, lo<br />

tormenta, tuttavia lo fa con l’obiettivo secondario di rinforzare l’ altro e di insegnargli come<br />

funziona la vita. Sebbene Malpelo “si acconciava ad esserlo <strong>il</strong> peggio che fosse possib<strong>il</strong>e 2 ”,<br />

facendo credere a tutti di essere come gli atri e comportandosi in modo crudele, in realtà egli vuole<br />

bene al ragazzino nuovo arrivato e, a modo suo, si prende cura di lui.<br />

Alla fine anche Ranocchio muore e Malpelo rimane solo, abbandonato dalla sorella e dalla madre.<br />

Malpelo accetta un pericoloso compito nella miniera, come aveva fatto suo padre e scompare per<br />

sempre nelle viscere della terra. In tutto questo, anche in questo orgoglio, sta la tipica condizione<br />

del “vinto‟, ma a differenza di altri vinti verghiani, indifferenti al proprio come all’altrui destino,<br />

Malpelo <strong>è</strong> più umano: cerca di migliorare almeno la condizione di Ranocchio, provando a<br />

rinforzarlo, a cambiarlo e a suo modo ad emanciparlo dal suo destino, anche se <strong>non</strong> ci riuscirà.<br />

Dato che <strong>non</strong> lo rimpiangerà nessuno, Malpelo accetta la sua sorte: morire dentro la cava. Assieme<br />

all’accettazione, c’<strong>è</strong> qualcosa di ammirevole nella partenza di Malpelo. Sereno, prende con sé gli<br />

arnesi, <strong>il</strong> pane e <strong>il</strong> vino, e come se stesse andando a trovare suo padre, si dirige sotto terra per<br />

l’ultima volta. Diversamente dal padre, lui sparisce senza lasciare traccia, e in un certo senso muore<br />

senza morire. Lascia così una leggenda, un mito negativo, di cui i ragazzi della miniera avranno<br />

sempre paura. In questo senso, Malpelo può essere considerato <strong>il</strong> personaggio verista probab<strong>il</strong>mente<br />

1 G. <strong>Verga</strong>, Tutte le novelle, M<strong>il</strong>ano,1988, p.115<br />

2 G. <strong>Verga</strong>, Tutte le novelle, M<strong>il</strong>ano, 1988, p.151<br />

2


più vinto di tutti, perché neanche nella morte trova pace e liberazione, ma continua ad essere<br />

disprezzato.<br />

-Le forze condizionanti<br />

Chi <strong>è</strong> dunque <strong>il</strong> più forte in questa novella e quali cause portano <strong>il</strong> protagonista alla sconfitta?<br />

Potremmo individuare nella società <strong>il</strong> potere condizionante dato dalla superstizione e dal<br />

pregiudizio della gente, che <strong>non</strong> fanno altro che sfociare in cattiverie, legate alla diversità. Infatti<br />

egli <strong>è</strong> maltrattato, “ accarezzato coi piedi” e paragonato frequentemente a bestie, come anche coloro<br />

che gli sono cari: <strong>il</strong> padre e Ranocchio.<br />

Pentolaccia<br />

Continuando <strong>il</strong> nostro percorso sul taglio del <strong>Darwinismo</strong> <strong>sociale</strong>, analizziamo uno degli aspetti<br />

nelle novella che possiamo ricondurre alle teorie darwiniste dell’istinto animale: la gelosia.<br />

<strong>Verga</strong> fa della gelosia un istinto molto vicino a quello di conservazione e di sopravvivenza. Si parla<br />

di gelosia atavica e <strong>non</strong> semplicemente istintiva per indicare <strong>il</strong> fatto che essa sia soltanto una<br />

tendenza ereditaria, ma anche una forza irrazionale che può divenire distruttiva. Non dimentichiamo<br />

che per gelosia si muore e per gelosia si uccide ancora oggi.<br />

La novella “Pentolaccia” racconta la vicenda di un contadino che sposa, anche se senza <strong>il</strong> consenso<br />

della madre, la “Venera”. Questa donna <strong>è</strong> conosciuta in paese come una donna di fac<strong>il</strong>i costumi,<br />

infatti tante sono le dicerie che attestano i suoi comportamenti. Dopo <strong>il</strong> matrimonio la donna<br />

tradisce Pentolaccia con Don Liborio, medico benestante. In paese circolano subito le voci di questo<br />

tradimento, tanto che tornando un giorno da lavoro Pentolaccia si sente soprannominare “becco”da<br />

due contadini. Ormai um<strong>il</strong>iato dall’ infedeltà della moglie ordina a Don Liborio di <strong>non</strong> farsi più<br />

vedere a casa sua. Quest’ultimo snobba la cosa pensando ad un momento di follia del contadino<br />

che da tempo accettava i benefici di questa situazione: “ci aveva la pentola al fuoco tutti i giorni<br />

ché gliela manteneva sua moglie Venera con Don Liborio. 3 ”<br />

Un giorno Pentolaccia torna prima dal lavoro e coglie la moglie in attesa dell’amante. Preso dall’ira<br />

prende una spranga e si apposta sull’uscio, aspettando l’arrivo del rivale. Quando Don Liborio si<br />

presenta alla porta di casa egli lo colpisce sulla nuca con una stangata e lo uccide. Per questo finisce<br />

in galera.<br />

3 G.<strong>Verga</strong>, Tutte le novelle, M<strong>il</strong>ano, 1988, p.189<br />

3


-Le forze condizionanti e la condizione del vinto<br />

Il personaggio di Pentolaccia <strong>è</strong> diverso dagli altri “vinti” per due motivi: primo motivo poiché si<br />

risente dell’infedeltà della moglie solo nel finale della novella. Il secondo motivo <strong>è</strong> da attribuirsi al<br />

fatto che da questa vicenda egli esce <strong>non</strong> solo come vinto, per esser stato condotto in prigione ed<br />

essere stato vittima del tradimento, ma anche come vincitore, per aver ucciso <strong>il</strong> rivale in amore.<br />

Egli, dunque, svolge un duplice ruolo nella novella. Anche la chiusura <strong>è</strong> incisiva: Pentolaccia uccide<br />

quando <strong>il</strong> suo dubbio <strong>è</strong> ormai diventato triste ed esplosiva certezza, ma senza lo stupore doloroso<br />

che aveva caratterizzato l’atto omicida di Jeli (Jeli Il Pastore), appunto senza poesia e senza pathos:<br />

<strong>il</strong> gesto appare quasi come scatenato da una molla meccanica e istintiva, a prescindere dal fatto che<br />

amasse o meno.<br />

“Appena Don Liborio mise <strong>il</strong> piede nella stanza, suo compare levò la stanga,e gli lasciò cadere fra<br />

capo e collo tal colpo, che l’ammazzò come un bue, senza bisogno di medico, né di speziale 4 ”<br />

Il canarino del N. 15<br />

Ci spostiamo adesso dalla Sic<strong>il</strong>ia contadina a M<strong>il</strong>ano, dove <strong>è</strong> ambientata la <strong>storia</strong> di Màlia. Giovane<br />

disab<strong>il</strong>e figlia di portinai, Màlia passa le sue giornate seduta nel vano di una finestra, da dove<br />

osserva con malinconia la gente che cammina in strada. Infatti lei <strong>è</strong> paralizzata dalla cintola in giù, e<br />

<strong>non</strong> può muoversi.<br />

Tra i passanti un giorno capita un giovane, Carlini, con <strong>il</strong> quale Màlia scambia uno sguardo fatale,<br />

ed entrambi provano amore a prima vista.<br />

“ Ma poi seppe la <strong>storia</strong> del canarino, e di mezza la persona che era morta sino alla cintola, e <strong>non</strong><br />

alzò più gli occhi 5 ”<br />

Si deduce che, appena <strong>il</strong> giovane scopre l’infermità della ragazza, d’improvviso rifiuta l’idea di<br />

amarla e <strong>non</strong> la guarda più, mentre Màlia prova ancora gli stessi sentimenti. Fino a che un giorno<br />

sua sorella torna a casa accompagnata proprio da Carlini. La scoperta del loro amore ovviamente<br />

reca dolore a Màlia, aumentato dal fatto che egli inizia ad essere considerato un membro della<br />

famiglia.<br />

4 G. <strong>Verga</strong>, Tutte le novelle, M<strong>il</strong>ano, 1988, p.193<br />

5 G. <strong>Verga</strong>, Tutte le novelle, M<strong>il</strong>ano, 1988, p.320<br />

4


La capricciosa sorella di Màlia presto si stanca di Carlini, preferendo uomini più ricchi, mentre sua<br />

sorella <strong>è</strong> sempre più innamorata.<br />

Una sera Carlini, ubriaco e disperato, si sfoga con Màlia e la bacia senza tuttavia provare per lei<br />

alcun sentimento.<br />

Per Màlia inizia così la fine e si lascia morire per la disperazione.<br />

La famiglia si rende conto della sua condizione di moribonda e si prepara alla morte. Perfino sua<br />

sorella, benché biasimata dai genitori perché scappata di casa, torna per rivederla. Mentre nessuno<br />

dei personaggi le bada, Màlia muore, finendo di penare.<br />

La condizione del vinto.<br />

La protagonista Màlia <strong>è</strong> vinta <strong>non</strong> dalla sua condizione <strong>sociale</strong> o economica come altri personaggi<br />

verghiani, bensì dalla natura, la quale le <strong>ha</strong> donato un corpo che <strong>non</strong> le permette di far altro che<br />

stare seduta alla finestra, dove infatti viene lasciata tutto <strong>il</strong> giorno dai suoi genitori. Non può<br />

partecipare alla vita, né quella <strong>sociale</strong>, né quella famigliare, può solo guardare gli altri che vivono,<br />

camminano e amano, come sua sorella e Carlini. È condannata dunque al ruolo di spettatrice, come<br />

un canarino da compagnia in gabbia.<br />

Màlia accetta la sua condizione fisica, o meglio vi si rassegna, e si adatta all’atteggiamento di<br />

disinteresse della società che le sta intorno. Ciò <strong>non</strong> le impedisce di sperare, ogni tanto, in un<br />

cambiamento: “alle volte le moriva sulle labbra la domanda se nei giornali <strong>non</strong> ci fosse un rimedio<br />

per lei. 6 ”<br />

Il punto di svolta della trama si <strong>ha</strong> quando Carlini nega <strong>il</strong> suo amore a Màlia, e lo fa unicamente per<br />

via della sua disab<strong>il</strong>ità.<br />

L’emarginazione di un disab<strong>il</strong>e, escluso dalla possib<strong>il</strong>ità di avere relazioni affettive e sessuali <strong>è</strong> una<br />

situazione che si verifica tutt’oggi, e possiamo dire che così <strong>è</strong> sempre stato. Il motivo di ciò (da un<br />

punto di vista scientifico) <strong>è</strong> che esiste nella mente di ognuno un ricordo ancestrale che porta a<br />

sentire che una persona malata <strong>non</strong> debba avere la possib<strong>il</strong>ità di riprodursi per la legge della<br />

selezione naturale, propugnata dallo stesso C<strong>ha</strong>rles Darwin. Questa legge può sembrare crudele,<br />

infatti <strong>è</strong> solo grazie al progresso della società occidentale nelle ultime generazioni se oggi riusciamo<br />

a vedere coppie miste tra disab<strong>il</strong>i e normodotati.<br />

6 G. <strong>Verga</strong>, Tutte le novelle, M<strong>il</strong>ano, 1988, p.321<br />

5


Possiamo comparare la figura di Màlia a quella di Rosso Malpelo, poiché entrambi ne escono<br />

doppiamente vinti in modo sim<strong>il</strong>e. Infatti anche a Màlia <strong>è</strong> negata la possib<strong>il</strong>ità di essere protagonista<br />

della sua vicenda esistenziale e muore nell’indifferenza.<br />

Le forze condizionanti<br />

Le forze condizionanti in questa vicenda sono essenzialmente la natura che <strong>ha</strong> imposto a Màlia la<br />

sua drammatica situazione, ma anche Carlini che subisce a sua volta la forza del suo retaggio<br />

culturale, che gli impedisce di distaccarsi dal pregiudizio verso la disab<strong>il</strong>e e porta a ripudiare <strong>il</strong> suo<br />

amore. Altra forza condizionante <strong>è</strong> l’indifferenza ottusa della famiglia di Màlia, che prima <strong>non</strong> le dà<br />

attenzioni, ignora i suoi sentimenti e solo dopo averla lasciata morire sola si rende conto del vuoto<br />

lasciato dalla sua assenza.<br />

Nedda<br />

La novella ‘Nedda’ descrive la vita misera di una contadina sic<strong>il</strong>iana, una ragazza semplice ed<br />

estremamente povera.<br />

“Nessuno avrebbe potuto dire quanti anni avesse cotesta creatura umana; la miseria l’aveva<br />

schiacciata da bambina con tutti gli stenti che deformano e induriscono <strong>il</strong> corpo, l’anima e<br />

l’intelligenza 7 .”<br />

La vita della ragazza <strong>è</strong> fatta di lavori estenuanti che accetta ovunque capita in cambio di pochi<br />

soldi, che le servono a mantenere ed accudire la madre malata. Nedda <strong>non</strong> abbandona mai la madre,<br />

che appunto finisce la sua vita nel corso della novella. Dopo la morte di questa, la figlia si<br />

trasferisce in una zona vicina in cerca di lavori più fruttuosi.<br />

La sua unica gioia <strong>è</strong> l’amore che <strong>ha</strong> per Janu, un ragazzo povero come lei. Janu <strong>è</strong> un giovane<br />

semplice, dalla mentalità contadina, ma sinceramente affezionato a Nedda.<br />

Lavorano insieme e lui promette di sposarla dopo la mondatura, durante la quale lui si allontanerà<br />

per lavorare. Tuttavia, anche lui ammalato muore lasciando sola la ragazza.<br />

“Allora Nedda, sentendo muoversi dentro di sé qualcosa che quel morto le lasciava come un triste<br />

ricordo, volle correre in chiesa a pregare per lui la Vergine Santa. Sul sacrato incontrò <strong>il</strong> prete che<br />

sapeva la sua vergogna, si nascose <strong>il</strong> viso nella mantellina e tornò indietro derelitta. 8 ”<br />

Nedda <strong>è</strong> ora una donna sola, incinta, povera ed emarginata.<br />

7 G. <strong>Verga</strong>, Tutte le novelle, M<strong>il</strong>ano, 1988, p.11<br />

8 G. <strong>Verga</strong>, Tutte le novelle, M<strong>il</strong>ano, 1988, p.27<br />

6


Dai compaesani <strong>è</strong> rimproverata e trattata con sempre più disprezzo. Totalmente sola, dà alla luce<br />

una bambina frag<strong>il</strong>e.<br />

Malgrado <strong>non</strong> possieda i mezzi per nutrirla, rifiuta di lasciarla sulla Ruota degli esposti, e perciò<br />

viene criticata ancora di più dai suoi compaesani.<br />

Nessuno vuole più far lavorare Nedda, provata dalle fatiche della gravidanza e del parto, con una<br />

bambina dipendente da lei, e così <strong>è</strong> costretta a sopravvivere con i suoi pochi risparmi con la carità di<br />

un suo vecchio conoscente.<br />

Tuttavia “alla povera bambina mancava <strong>il</strong> latte, giacché alla madre scarseggiava <strong>il</strong> pane 9 ”. La<br />

bambina muore e nel cuore di Nedda prevale sul dolore un senso di mesto rasserenamento; infatti <strong>è</strong><br />

felice che l’innocente creatura <strong>non</strong> debba condividere la sua stessa sorte, e per ciò ringrazia<br />

addirittura la Madonna.<br />

La condizione del vinto<br />

Sin dall’inizio della novella capiamo che <strong>il</strong> motivo per cui Nedda <strong>è</strong> una vinta sta nella sua povertà.<br />

Un tipo di povertà comune nella Sic<strong>il</strong>ia verghiana, che toglie completamente dignità all’individuo e,<br />

come scrive lo stesso <strong>Verga</strong>, lo rende sim<strong>il</strong>e ad una bestia da lavoro alla mercé di un padrone, ma<br />

anche di qualsiasi persona che abbia un livello di vita appena meno infimo. Ma Nedda <strong>è</strong> in balìa<br />

anche dei fenomeni naturali, la pioggia, ad esempio, le impedisce di lavorare nei poderi togliendole<br />

così la possib<strong>il</strong>ità di guadagnare dei soldi.<br />

L’autore afferma esplicitamente che forse lei avrebbe potuto avere un destino diverso e migliore, se<br />

<strong>non</strong> fosse stata costretta a fare quella vita, confermandoci che la principale forza condizionante sta<br />

nella sua povertà.<br />

“L’immaginazione più vivace <strong>non</strong> avrebbe potuto figurarsi che quelle mani costrette ad un’aspra<br />

fatica di tutti i giorni, a raspar fra <strong>il</strong> gelo, o la terra bruciante, o i rovi e i crepacci, che quei piedi<br />

abituati ad andar nudi nella neve e sulle rocce infuocate dal sole, a lacerarsi sulle spine, o ad<br />

indurirsi sui sassi, avrebbero potuto esser belli. […] Gli occhi erano neri, grandi, nuotanti in un<br />

fluido azzurrino, quali li avrebbe invidiati una regina a quella povera figliuola raggomitolata<br />

sull’ultimo gradino della scala umana 10 ”.<br />

9 G. <strong>Verga</strong>, Tutte le novelle, M<strong>il</strong>ano, 1988, p.28<br />

10 G. <strong>Verga</strong>, Tutte le novelle, M<strong>il</strong>ano, 1988, p.10<br />

7


Nedda <strong>è</strong> abituata alla fame, alla fatica, alle privazioni; <strong>è</strong> la più povera tra le ragazze povere, la più<br />

affamata tra le lavoratrici.<br />

È una persona altruista, che <strong>non</strong> si lamenta, e malgrado tutto mostra in più occasioni un’immensa<br />

gratitudine verso Dio, anche per <strong>il</strong> semplice fatto di avere due braccia con cui lavorare, anche<br />

quando sua figlia muore.<br />

Non si ribella contro i rimproveri che le vengono fatti, anzi li accetta come se le fossero rivolti<br />

giustamente. Lei stessa addossa la colpa delle proprie disgrazie a sé stessa, alla propria povertà e al<br />

proprio immutab<strong>il</strong>e destino.<br />

Col personaggio di Nedda, <strong>Verga</strong> mostra però un pacato ottimismo, che emerge in diverse situazioni<br />

nel corso della vicenda e che in parte la fa sembrare quasi un personaggio contraddittorio, poiché<br />

alterna momenti di rassegnazione e triste remissività ad altri in cui si rifiuta di agire come gli altri le<br />

impongono. Due casi in particolare siamo andati ad analizzare.<br />

Il primo esempio <strong>è</strong> quando decide di vivere la sua <strong>storia</strong> d’amore con Janu, malgrado lo zio<br />

<strong>Giovanni</strong> l’abbia sconsigliato.<br />

Altro caso in cui Nedda va contro all’opinione delle altre persone, razionale e spietata, <strong>è</strong> quando<br />

decide di tenere la bambina che <strong>non</strong> può neanche nutrire, con conseguenti critiche ed emarginazione<br />

da parte della società.<br />

Messe in relazione, queste due azioni denotano un desiderio, la speranza interiore di poter cambiare<br />

la propria condizione di vita in una migliore, anche se, ovviamente, l’esito <strong>non</strong> <strong>è</strong> positivo in nessuno<br />

dei due casi.<br />

-Le forze condizionanti<br />

La povertà di Nedda <strong>non</strong> <strong>è</strong> l’unica ragione della sua sofferenza e del suo essere una ‘vinta’.<br />

Nella società in cui vive Nedda <strong>è</strong> costantemente presente la voce del pregiudizio, della cattiveria<br />

popolare, la voce di una comunità che <strong>non</strong> si ferma a provare pietà per una ragazza povera e orfana<br />

ma che si preoccupa piuttosto di ingiuriarla e criticarla. Nell’opera sono sparsi infatti molti<br />

riferimenti alla cultura popolare della tradizione, come si evince dai dialoghi tra le contadine.<br />

Nelle situazioni comuni i personaggi tendono sempre ad esprimere una certa coralità, e chi rischia<br />

di dire qualcosa di contrario all’opinione comune preferisce tacere.<br />

Nel momento in cui uno, <strong>non</strong> solo Nedda, si trova in qualche difficoltà o anche solo con un pensiero<br />

diverso dagli altri, tutti si coalizzano contro con distacco e con “quel sentimento istintivo di<br />

8


giustizia che c’<strong>è</strong> nelle masse, anche quando questa giustizia danneggia gli individui 11 ”,come lo<br />

stesso <strong>Verga</strong> ci suggerisce.<br />

Ancora una volta <strong>è</strong> lampante un paragone con <strong>il</strong> mondo animale: i poveri verghiani, sono uniti come<br />

in un branco, che benché abbia regole barbare e primordiali garantisce una certa protezione alle<br />

debolezze del singolo.<br />

Emergono inoltre un gran livello di ignoranza, ottusità, crudeltà e chiusura mentale, infatti Nedda<br />

viene addirittura rimproverata con severità da una donna perché, sovrappensiero, dimentica di<br />

rispondere ‘amen’ durante una litania. Le convenzioni sociali sono ritenute estremamente importanti<br />

e chi vi si sottrae subisce la violenza dell’emarginazione.<br />

Il trattamento nei confronti di Nedda <strong>è</strong> esemplificativo della vittoria del più forte sul più debole. E<br />

allo stesso modo nell’accettazione remissiva di Nedda si trova la consapevolezza della vinta del suo<br />

destino fisso e dell’ impossib<strong>il</strong>ità di cambiarlo.<br />

“così era stato di sua madre, così di sua <strong>non</strong>na, così sarebbe stato di sua figlia 12 .”<br />

La Roba<br />

Ci <strong>è</strong> sembrata assai singolare la vicenda di un personaggio: Mazzarò. Egli ci viene subito presentato<br />

attraverso la descrizione dei suoi possedimenti di una grandezza inaudita.<br />

“-Qui di chi <strong>è</strong>?- sentiva rispondersi: - Di Mazzarò. –E passando vicino a una fattoria grande<br />

quanto un paese, coi magazzini che sembrano chiese, e le galline a stormi accoccolate all’ombra<br />

del pozzo, e le donne che mettevano la mano sugli occhi per vedere chi passava 13 ”<br />

Questi possedimenti immensi erano stati ben guadagnati da Mazzarò, <strong>il</strong> quale aveva lavorato in<br />

quegli stessi campi anni prima a servizio di un barone. Egli <strong>è</strong> riuscito dunque a cambiare la propria<br />

condizione <strong>sociale</strong> passando dalla condizione di contadino a quella di borghese.<br />

Il protagonista <strong>non</strong> era solito sperperare <strong>il</strong> suo denaro, considerato poco importante, anzi lo<br />

investiva per acquistare ulteriori possedimenti terrieri.<br />

Mazzarò si lagnava continuamente della propria vecchiaia e nel momento in cui gli dissero che era<br />

arrivata l’ora di abbandonare la vita dei campi, per badare alla sua anima, preso da una follia<br />

11 G. <strong>Verga</strong>, Tutte le novelle, M<strong>il</strong>ano, 1988, p.12<br />

12 G. <strong>Verga</strong>, Tutte le novelle, M<strong>il</strong>ano, 1988, p.11<br />

13 G. <strong>Verga</strong>, Tutte le novelle, M<strong>il</strong>ano, 1988, p.238<br />

9


improvvisa, uscì nel cort<strong>il</strong>e e iniziò ad uccidere brutalmente tutti gli animali che gli capitavano sotto<br />

tiro, urlando: - “Roba mia, vientene con me! 14 ”<br />

-La condizione del vinto e le forze condizionanti<br />

Ad una prima lettura della novella sembra che l’autore sic<strong>il</strong>iano si discosti completamente dalla<br />

concezione darwiniana del ciclo dei vinti. Egli infatti, sosteneva che colui <strong>il</strong> quale tentasse invano di<br />

cambiare <strong>il</strong> proprio destino, veniva indubbiamente schiacciato e sopraffatto dalla società, dunque<br />

vinto. Mazzarò esce in parte vincitore dalla vicenda, essendo <strong>il</strong> primo personaggio di tutte le novelle<br />

verghiane che riesce a dare una svolta alla proprio fortuna. Tutto ciò potrebbe negare la teoria dei<br />

vinti, da <strong>Verga</strong> sostenuta. Mazzarò, apparentemente vincitore, <strong>è</strong> in realtà un vinto, in quanto viene<br />

sopraffatto dall’egoismo e dall’ avidità per la sua “roba”, con la quale stab<strong>il</strong>isce un legame<br />

dipendente e morboso, che lo induce a vedere nel prossimo un nemico e alla conseguente<br />

distruzione di gran parte dei propri beni a cui era tanto legato. Mazzarò <strong>non</strong> poteva accettare l’idea<br />

che ormai giunto alla vecchiaia, qualcuno potesse impossessarsi delle sue ricchezze. Proprio per<br />

queste ne risulta vinto: egli riesce sì a cambiare la sua condizione <strong>sociale</strong>, ma <strong>non</strong> potrà mai vincere<br />

<strong>il</strong> destino che lo separerà, una volta morto, dalla sua “roba”. Dunque, ciò attesta che la natura<br />

umana <strong>è</strong> fondamentalmente egoista. Il protagonista <strong>non</strong> <strong>è</strong> vinto né dal pregiudizio, né dalla società,<br />

ma da se stesso, un uomo inevitab<strong>il</strong>mente corrotto dall’avidità. Le sue azioni vanno oltre un<br />

semplice istinto di sopravvivenza in quanto esse sono regolate da un desiderio infinito di possesso.<br />

La <strong>storia</strong>, sappiamo, <strong>ha</strong> portato l’umanità ad un progresso scientifico, tecnologico e <strong>sociale</strong><br />

soprattutto nel mondo occidentale.<br />

Ma allora perché, se c’<strong>è</strong> stato questo progresso, le vicende narrate dalle novelle di <strong>Verga</strong> ci<br />

sembrano così attuali e vicine se sono state scritte in pieno Ottocento?<br />

Le storie dei personaggi si ripropongono nella società del Ventunesimo secolo con dinamiche<br />

diverse, ma spesso a causa degli stessi fattori: forse oggi un Malpelo <strong>non</strong> sarebbe morto nella cava,<br />

una Màlia avrebbe avuto più possib<strong>il</strong>ità di continuare la relazione con Carlini, una Nedda <strong>non</strong> si<br />

sarebbe lasciata morire la figlia tra le braccia.<br />

Tuttavia esistono sempre <strong>il</strong> pregiudizio delle persone verso i diversi e i disab<strong>il</strong>i, la cattiveria verso i<br />

più deboli, l’avidità di denaro e potere e l’atto di follia omicida provocato dalla gelosia.<br />

Nell’analisi delle novelle abbiamo spesso fatto un riferimento alle teorie darwiniste e,<br />

implicitamente, a quelle malthusianiste (la scarsità o la totale mancanza delle risorse e ricchezze<br />

14 G. <strong>Verga</strong>, Tutte le novelle, M<strong>il</strong>ano, 1988, p.243<br />

10


giustifica e spiega questo comune istinto di lotta per la sopravvivenza, come in Nedda, e<br />

l’estremizzazione dell’istinto di conservazione come in “ La roba”: <strong>il</strong> fatto che Mazzarò si ostini ad<br />

un morboso attaccamento alle sue proprietà, deriva dalla paura di ritrovarsi sprovvisto di risorse).<br />

La risposta alla precedente domanda sta nel fatto che la natura umana di oggi <strong>è</strong> la stessa di quella di<br />

una volta, e ciò avvalora in modo diretto davanti ai nostri occhi la veridicità delle teoria di Darwin.<br />

Siamo spinti a comportarci nel modo in cui ci comportiamo da qualcosa che <strong>è</strong> da sempre dentro di<br />

noi e che a volte <strong>è</strong> in contraddizione con i nostri principi morali, derivati anch’essi dal progresso.<br />

Nonostante <strong>il</strong> progresso e l’uso della ragione ci abbiano portati a maturare i concetti di morale e<br />

etica, l’istinto riesce a prevaricare la natura dell’uomo e ci consente di andare avanti in una società<br />

civ<strong>il</strong>izzata ma ci fa capire che noi esseri umani siamo adattab<strong>il</strong>i alle situazione più estremi, in una<br />

eterna lotta per la sopravvivenza dell’umanità. Torniamo quindi al nostro punto di partenza, che<br />

afferma :“la natura <strong>non</strong> <strong>ha</strong> <strong>storia</strong>, <strong>è</strong> sempre uguale a se stessa”.<br />

Man<strong>il</strong>i Marianna Volpe Althea<br />

Romagnoli Lorenzo Mirko Zamp<strong>il</strong>loni<br />

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Classe IV C Indirizzo linguistico

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