linguistica - Appunti e Riassunti – Orientalistica UNIVE
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CAPITOLO 3<br />
GLI ARABI<br />
È comunemente accettato che l’insediamento nella penisola araba è avvenuta<br />
nel secondo millennio a.C.<br />
Nei territori meridionali si stabilirono, tra XIII e X secolo a.C,<br />
popolazioni avanzate i cui linguaggi sono collegati all’arabo. Le<br />
scritture di queste popolazioni sono collegate ad alcune del Nord<br />
Semitiche, come il Fenicio e probabilmente furono importate dalla regione<br />
siropalestinese.<br />
Le lingue delle iscrizioni rinvenute nei territori meridionali sono<br />
usualmente denominate antico sudarabico, insieme che comprende un gran<br />
numero di dialetti ( Sabeo, etc)<br />
Gli abitanti di queste regioni non si definivano “Arabi”. La radice ‘rb ,<br />
in iscrizioni risalenti al II sec a.C, veniva spesso adoperato per<br />
indicare le popolazioni nomadi, in contrasto con quelle sedentarie del<br />
sud.<br />
La prima attestazione certa dell’uso di questo nome si trova in un’altra<br />
regione in un’iscrizione assira a caratteri cuneiformi del 853 a.C.<br />
Per assiri e babilonesi il termine indicava tutti i tipi di tribù nomade,<br />
alcune di queste indubitabilmente di lingua aramaica.<br />
Il nome “Arabi” compare anche nella Bibbia ebraica. L’etimologia di questo<br />
termine è sconosciuta, molte sono le ipotesi:<br />
secondo alcuni potrebbe essere connesso con la parola sumera gabbir,<br />
deserto;<br />
secondo altri sarebbe collegato con la radice ‘br , “ attraversare<br />
il deserto”.<br />
L’emergere degli Arabi nella storia e connesso con il loro utilizzo dei<br />
cammelli e con l’evoluzione delle selle. Il cammello è stato addomesticato<br />
nel sud della penisola araba e successivamente è stato introdotto<br />
attraverso la via dell’incenso al nord intorno al 1200 a.C.<br />
NOTA : l’introduzione della sella da parte dei nomadi nel deserto siriano<br />
ha favorito lo spostamento e, di conseguenza, ha permesso alle stesse<br />
tribù di prendere il controllo delle vie carovaniere ( circa I sec a.C).<br />
Questa innovazione segna l’inizio del periodo della “beduinizzazione”. In<br />
questo modo i beduini incrementarono i rapporti con le popolazioni<br />
sedentarie (soprattutto della Siria e dell’Iraq).<br />
Quando la via tra la Mezzaluna fertile e il Sud Arabia divenne più<br />
importante della rotta marittima il ruolo dei nomadi divenne<br />
fondamentale.<br />
Inizialmente la via carovaniera era controllata dalle città di Petra e<br />
Palmyra. Successivamente il regno nabateo di Petra fu conquistato dai<br />
romani ma fu la conquista di Palmyra da parte di a<br />
Aureliano nel 272 a segnare la fine delle oasi carovaniere.
Dopo III sec d.C tre erano le grandi potenze:<br />
1. Bisanzio → Banu Ghassan<br />
2. Persia → Banu Lakhm<br />
3. Himyar → regno di Kinda<br />
Il panorama cambiò notevolmente tra V e VI sec: impero bizantino e Persia<br />
si indebolirono in continui scontri mentre il regno Himarita cadde in<br />
seguito ad un’invasione etiope. Cominciarono quindi a emergere alcuni<br />
centri commerciali, tra cui spicca Mecca, dominata dalla tribù dei Banu<br />
Quraysh.<br />
GLI INIZI DELL’ARABO<br />
Iscrizioni in linguaggi connessi con la lingua araba (North Arabic<br />
iscriptions)<br />
Iscrizioni in lingue differenti, ma con interferenze dell’arabo<br />
parlato ( iscrizioni nabatee)<br />
Presenza di alcune iscrizioni i cui linguaggi presentano numerose<br />
caratteristiche dell’arabo e che per questo vengono considerate come<br />
primi forme di arabo.<br />
→ iscrizioni di Qaryat alFaw, in sud Arabia<br />
In alfabeto sabeo, contiene una lingua che è strettamente connessa<br />
all’arabo. La più antica di queste iscrizioni è la pietra tombale di ‘Iǧ l<br />
in cui compare l’articolo “arabo” e l’assimilazione di alcune consonanti<br />
come nella lingua araba.<br />
→ iscrizione di anNamara ( Siria)<br />
È tra le più famose testimonianze di iscrizione araba in un altro<br />
alfabeto. Secondo il consenso generale il lungo testo in alfabeto nabateo<br />
è scritto in una lingua che è molto simile all’arabo classico.<br />
L’iscrizione è in onore di Imru’u lQays, figlio di ‘Amr, re degli Arabi.<br />
Il punto più importante da sottolineare di questa iscrizione è l’utilizzo<br />
della و finale non usata più per nomi comuni e neppure per quelli propri.<br />
La pronuncia dei nomi propri avrebbe mantenuto quella nabatea/aramaica per<br />
poi in seguito scomparire nel sistema ortografico dell’arabo classico.<br />
ORIGINE DELL’ARABO<br />
Secondo le fonti arabe la lingua sarebbe stata introdotta dall’esterno o<br />
dal sud Arabia o dalla Mesopotamia. Quest’ultima ipotesi è supportata dal<br />
popolo di alHira secondo cui ci sarebbero alcune connessioni con<br />
l’alfabeto siriaco. (la notazione delle vocali brevi in arabo sarebbe<br />
stata introdotta sotto l’influenza del siriaco nel I secolo dell’islam).<br />
CAPITOLO 5 : LA DIFFUSIONE DELL’ARABO CLASSICO<br />
Introduzione
Le uniche fonti di arabo letterario all’inizio del periodo islamico erano:<br />
Corano<br />
Poemi del periodo preislamico<br />
Entrambe diventeranno la base del fenomeno di standardizzazione e<br />
diffusione della lingua araba, ma la trasmissione orale all’interno di un<br />
impero in continua espansione non era sufficiente.<br />
In seguito alle conquiste divenne necessario standardizzare la lingua per<br />
tre ragioni:<br />
1. La differenza tra i dialetti beduini e le differenti varietà<br />
colloquiali rappresentava un impedimento per la comunicazione<br />
all’interno dell’impero;<br />
2. La linea politica del governo centrale mirava ad avere un pieno<br />
controllo non solo sulla materia economica e religiosa, ma anche<br />
<strong>linguistica</strong>;<br />
3. Il cambiamento di situazione causò una rapida espansione del<br />
lessico, il quale doveva essere regolato per garantire una certa<br />
misura di uniformità.<br />
Fondamentali prerequisiti per la codificazione scritta della lingua:<br />
invenzione di una ortografia, controllo ed espansione del lessico,<br />
diffusione di uno standard stilistico.<br />
La diffusione dell’ortografia<br />
La codificazione del Corano fu un momento cruciale per la diffusione di<br />
una forma standard di arabo scritto, nonché fondamentale perché la<br />
trasmissione orale avrebbe causato la comparsa di numerose discrepanze.<br />
La rivelazione e la recitazione del Corano sono un miracolo in quanto<br />
Parola Rivelata da Dio al profeta il quale non sapeva né leggere né<br />
scrivere. All’inizio la rivelazione consisteva in brevi messaggi che<br />
potevano esser ricordati a memoria facilmente mentre quelli più tardi<br />
divennero sempre più lunghi e divenne quindi necessario trascriverli.<br />
La collezione attuale dei frammenti del Corano iniziò in seguito alla<br />
morte del Profeta. Secondo la tradizione fu Uthman a ordinare la<br />
formazione di un codice autorevole del Corano. Quando il codice venne<br />
terminato, fu inviato nei più importanti centri dell’impero islamico dove<br />
sostituì le altre varianti in circolazione.<br />
NOTA: il Kitab di Sibawayhi, primo trattato di grammatica, scartò tutte le<br />
deviazioni dal testo consonantico del codice.<br />
Cominciò a fiorire un massiccio corpus di studi linguistici sul Corano.<br />
Si presentano due problemi legati alla forma primitiva dell’alfabeto<br />
arabo:<br />
1. Non esistevano i punti diacritici per distinguere certi fonemi da<br />
altri (eredità del Nabateo);<br />
2. Problema comune a molti testi semitici: assenza delle vocali brevi.<br />
Durante il primo secolo islamico fu attribuita a molti grammatici<br />
l’introduzione di tre segni colorati per indicare le vocali brevi in<br />
modo tale da combattere l’ambiguità del testo coranico. Dalle fonti<br />
islamiche sappiamo che inizialmente l’utilizzo di questi segni venne
fortemente osteggiato.<br />
L’invenzione dei segni indicanti le vocali brevi venne attribuita<br />
soprattutto a ‘Abu l‘Aswad come pure l’invenzione dell’Hamza e della<br />
shadda. Entrambi questi segni sono assenti nei testi in alfabeto nabateo.<br />
Un ulteriore perfezionamento della notazione delle vocali brevi,<br />
dell’hamza e della shadda è stato attribuito ad un lessicografo, alḪalī l<br />
ibn ‘Ahmad. Con la sua riforma il sistema di ortografia araba fu<br />
praticamente completato ed è rimasto più o meno lo stesso.<br />
NB: elaborare e standardizzare la lingua per scopi commerciali e<br />
amministrativi non fu cosa facile e il passaggio non fu immediato. Con il<br />
califfo ‘Abd alMalik l’arabo divenne la lingua dell’amministrazione<br />
andando a sostituire il greco.<br />
La standardizzazione della lingua<br />
Anno 22 dell’era islamica → primi papiri in arabo. La lingua presenta<br />
numerose irregolarità in confronto alla grammatica codificata dell’arabo<br />
classico, ma la presenza di numerose ipercorrezioni successive indica<br />
l’intenzione degli scribi a emulare l’ideale linguistico.<br />
Il Corano e i poemi preislamici sono il modello dell’arabo corretto, ma<br />
difficilmente possono servire come modello di prosa ordinaria. Gli arbitri<br />
della correttezza <strong>linguistica</strong>, i Beduini, vennero spesso consultati per<br />
risolvere un problema linguistico, ma non erano in grado di rafforzare la<br />
lingua standard a causa delle numerose differenze tra le varie parlate.<br />
Secondo le fonti, il califfo ‘Ali fu il primo a insistere sulla necessità<br />
di fare qualcosa contro i crescenti errori nella lingua parlata e venne<br />
chiamato ad occuparsene ‘Abu lAswad.<br />
Il primo grammatico a fornire una descrizione della lingua è stato<br />
Sibawayhi, non di origine araba, ma persiana. Il suo kitab divenne<br />
l’esempio per le generazioni successive di grammatici, i quali<br />
distinguevano tra ciò che era stato trasmesso da una fonte attendibile<br />
(Corano, poesia preislamica, testimonianze degli informatori beduini) e<br />
ciò che è teoricamente possibile nella lingua. Molte particolarità sono<br />
state quindi incorporate senza esser state accettate come forme produttive<br />
che potrebbero costituire le basi di un ragionamento teorico. È utile<br />
sottolineare la differenza tra ‘aql, il ragionamento logico, e il naql,<br />
conoscenza trasmessa.<br />
La codificazione della struttura grammaticale è avvenuta<br />
contemporaneamente all’estensione del lessico. Sembra che il primo scopo<br />
dei grammatici sia stato quello di preservare il lessico beduino, che era<br />
a rischio. Vi sono numerosi ragioni che spiegano le preoccupazioni dei<br />
lessicografi:<br />
La civiltà sedentaria era marcatamente differente da quella delle<br />
tribù del deserto, le quali erano state custodi dell’eredità<br />
lessicale dei poemi preislamici.<br />
Nessun abitante della città sarebbe stato capace di conoscere tutte<br />
le leggere sfumature che arricchiscono la loro lingua (vedi i
termini riferiti al cammello e agli altri animali).<br />
Contatti con altre lingue → molti lessicografi erano preoccupati del<br />
fatto che la lingua araba sarebbe stata corrotta dai termini delle<br />
altre lingue parlate all’interno dell’impero.<br />
Tuttavia già in epoca preislamica gli Arabi avevano accolto termini<br />
presi dalle lingue delle altre culture, in particolar modo<br />
dall’Ebraico, dall’Aramaico e dal Medio Persiano.<br />
NB: l’arricchimento del vocabolario era vissuto in modo differente,<br />
vale a dire come un segno di superiorità del genio creativo<br />
evidenziato nel Corano.<br />
Tuttavia, dalla fine del secondo secolo dell’era islamica, molti<br />
filologici cominciarono a rifiutare l’idea dei prestiti stranieri<br />
all’interno del Corano e cominciarono a connettere il vocabolario<br />
del libro sacro con l’etimologia beduina. L’idea della purità della<br />
lingua araba divenne l’attitudine prevalente tra gli studiosi<br />
islamici. Il problema reale è rappresentato da quelle parole<br />
coraniche il suo significato tecnico non è supportato dal<br />
significato semantico della radice araba. Ecco quindi che<br />
l’estensione semantica di una parola esistente era vista come lo<br />
stratagemma più appropriato per creare nuovo lessico.<br />
In molti altri casi la lingua araba ha accettato prestiti<br />
linguistici, come nel caso del Persiano che ha arricchito il lessico<br />
scientifico (farmacologia, mineralogia, botanica). Per quanto<br />
riguarda i testi di logica greca, medicina e filosofia sono stati<br />
translitterati numerosi termini greci quando non era possibile<br />
trovare un equivalente in arabo. La miglior soluzione fu ricorrere a<br />
una radice esistente per creare un nuovo termine attraverso<br />
l’utilizzo di uno dei numerosi modelli morfologici dell’arabo. La<br />
confusione derivante dall’abbondanza di termini terminò con la<br />
fondazione della Bayt alHikma.<br />
Kitab al‘ayn<br />
Dizionario di Halil ibn ‘Ahmad, terminato dai suoi allievi. È il<br />
primo dizionario completo che include anche citazioni dal Corano e<br />
da molti poemi preislamici. È diviso in libri, uno per ciascuna<br />
lettera dell’alfabeto. La prima lettera è la ‘ayn (da qui il nome<br />
del dizionario). Ogni libro è suddiviso in capitoli, ciascuno<br />
dedicato a un set di radicali e contenente tutte le permutazioni di<br />
questi radicali.<br />
Lisan al‘Arab<br />
Dizionario più famoso mai scritto nel mondo arabo che adotta il<br />
sistema del dizionario di alGawhari, ovvero la sistemazione delle<br />
radici in una sorta di ordine rimato.<br />
Nel corso dei secoli la parlate dei beduini si è notevolmente corrotta a<br />
causa del loro avvicinamento con la realtà sedentaria. Nella descrizione<br />
della penisola araba alHamdani (m. 945) ha creato una scala gerarchica<br />
delle tribù beduine a seconda della perfezione della loro parlata. Risulta
che la parlata più mediocre sia quella degli Arabi che vivono vicino alle<br />
città, anche quelle sante.<br />
La diffusione di uno stile arabo letterario<br />
gli stessi punti di partenza per la standardizzazione della lingua, Corano<br />
e poemi preislamici, divennero anche i modelli iniziali per lo stile<br />
letterario. Lo stile poetico dei componimenti preislamici non si adattava<br />
alla nuova elegante realtà sedentaria. Nacquero dunque nuove forme<br />
poetiche sotto la dinastia degli Omayyadi. Convivenza di due forme<br />
diverse: una legata ai vecchi modelli, dal linguaggio obsoleto e l’altra,<br />
spesso improvvisata, ricca di molti volgarismi.<br />
LA PROSA<br />
Discorsi pubblici, che utilizzano vari espedienti letterari;<br />
Racconti dei racconta storie che inizialmente celebravano la tribù<br />
d’appartenenza e in seguito la vita del profeta.<br />
I racconti riguardanti il profeta cominciarono a essere raccolte per<br />
iscritto soltanto alla fine del primo secolo dell’era islamica.<br />
Il genere meglio documentato dei primi secoli dell’era islamica è quello<br />
epistolare. I primi esempi riguardano la corrispondenza tra il profeta e i<br />
capi tribù. Il loro contenuto è soprattutto di natura commerciale.<br />
L’autenticità di queste lettere è dubbia.<br />
La riforma del califfo ‘Abd alMalik impose l’arabo come lingua<br />
dell’amministrazione. Gli scribi, di cui un’ampia fetta era di origine<br />
persiana e siriana, ebbero il ruolo di diffondere uno stile<br />
amministrativo.<br />
La diffusione dello stile arabo scritto andò passo a passo con la<br />
diffusione della prosa letteraria tradotta dal Persiano (stile ornato,<br />
ampio uso di parallelismi).<br />
I califfi abbasidi, così come quelli omayyadi commissionario numerose<br />
traduzioni non solo di testi letterari, ma anche di testi scientifici. Le<br />
traduzioni fatte prima delle fondazione della Bayt alHikma erano<br />
stilisticamente goffe e perciò tradivano la loro origine greca.<br />
IBN ISHAQ: la sua opera è considerata uno dei primi esempi di scritto<br />
storico. Utilizzo di parole semplici in costruzioni paratattiche,<br />
preferibilmente sottoforma di dialoghi.<br />
CAPITOLO 6 : LA STRUTTURA DELL’ARABO CLASSICO NELLA TRADIZIONE<br />
LINGUISTICA<br />
Circa 4000 sono i grammatici arabi che tra il 750 e il 1500 hanno studiato<br />
e analizzato la propria lingua. Molti di questi hanno seguito il tracciato<br />
del primo grammatico arabo, Sibawayhi organizzando il loro lavoro nel<br />
seguente ordine:sintassi (naḥw), morfologia (tasrī f) e in appendice la<br />
fonologia.
Il ruolo dei linguisti nella tradizione araba differisce notevolmente dai<br />
nostri. I grammatici hanno a loro disposizione un corpo molto vasto su cui<br />
lavorare: Corano, poesia preislamica e la parlata idealizzata dei beduini.<br />
La disciplina dei grammatici arabi è basata su una lingua che essendo<br />
creata da Dio è perfetta e il loro compito è quello di giustificare ogni<br />
singolo fenomeno della lingua.<br />
La lingua araba possiede un ordine gerarchico ben definito e in esso ogni<br />
componente ha la sua funzione. Spesso i grammatici ricorrono alla<br />
comparazione e all’analogia ( qiyās) nelle loro spiegazioni.<br />
SINTASSI<br />
L’argomento maggiormente trattato è ‘i’rab, la declinazione. Le<br />
terminazioni secondo il caso sono causate dall’azione di una parola<br />
(‘amil) su un’altra.<br />
MORFOLOGIA<br />
Ci si focalizza sulla struttura della parola e si spiegano i cambiamenti<br />
non motivabili sintatticamente che le parole subiscono.<br />
FONOLOGIA<br />
Non è considerata una vera e propria disciplina. Le questioni fonologiche<br />
vengono di norma prese in considerazione nelle appendici finali dei<br />
trattati grammaticali nonostante una considerevole parte delle conoscenze<br />
fonologiche vengano spiegate nelle introduzioni dei vocabolari e negli<br />
studi riguardanti la recitazione del Corano.<br />
NB: I grammatici arabi hanno sempre prestato molta attenzione al ma’na,<br />
ovvero il significato ( non ci si riferisce al significato della parola,<br />
ma all’intenzione di colui che parla o al significato funzionale della<br />
categoria <strong>linguistica</strong>).<br />
Il significato lessicale è già presente nella radice da cui la parola<br />
deriva. Il sistema derivazionale dei grammatici arabi opera secondo una<br />
combinazione di ‘asl e ma’na. Il primo consiste nello scheletro<br />
consonantico della parola, che porta in sé il significato generale. Il<br />
risultato è una forma morfologica che risente delle regole fonologiche,<br />
producendo una forma fonologica.<br />
Un importantissimo assioma è la stretta relazione tra il morfema e le<br />
funzioni grammaticali: ogni funzione è rappresentata da un morfema, ogni<br />
morfema può rappresentare solo una funzione.<br />
I grammatici di norma non prendono in considerazione l’analisi semantica,<br />
di cui invece si occupano i lessicografi. Comunque non ignorano la<br />
relazione tra il significato letterale e il radicale.<br />
PRINCIPIO ALISHIQ Q ALAKBAR (= greater etymology)<br />
Ā<br />
Principio delineato dai lessicografi secondo cui è presente una relazione<br />
semantica tra simili radici che differiscono solamente per una consonante.<br />
Nella moderna <strong>linguistica</strong> comparativa si è discusso a lungo sulla<br />
possibilità che originariamente le parole fossero bi radicali e che la
terza radice agisse come una sorta di suffisso o prefisso. Questa teoria è<br />
supportata dal fatto che in arabo e in altre lingue semitiche, esistano<br />
parole triradicali che differiscono per una consonante, spesso debole<br />
( esistenza di radici protosemitiche).<br />
TEORIA DI BOHAS<br />
Si riferisce alle radici che differiscono unicamente per una semivocale<br />
(W,Y) e che hanno lo stesso peso semantico. Lo stesso fenomeno è<br />
osservabile con vocali sonanti e gutturali. La sua conclusione è che le<br />
radici verbali a tre radicali derivano una bi radicale con un simile peso<br />
semantico.<br />
LA SINTASSI<br />
I trattati dei grammatici arabi iniziano, tradizionalmente, con una parte<br />
riservata a una serie di definizioni sulle categorie del linguaggio.<br />
La suddivisione delle tre parti del discorso è rimasta intatta nel corso<br />
della storia della grammatica araba e consiste in:<br />
Ism : ciascuna parola con certe caratteristiche sintattiche (es.<br />
compatibilità con l’articolo), o una parola che denota un’essenza.<br />
Non include solo nomi ma anche aggettivi, pronomi e un certo numero<br />
di preposizioni e avverbi.<br />
Fa’il :parola che può essere combinata con la particella del futuro<br />
sawfa, o una parola che denota un’azione.<br />
Include le interiezioni coem hayhaat!<br />
Harf : particelle. Parole che non possono essere declinate e la cui<br />
funzione è quella di assistere altre parole nella frase.<br />
La differenza maggiore tra queste tre parti del discorso è l’i’raab, la<br />
declinazione. Le terminazioni del caso sono tre e dipendono dalla loro<br />
funzione sintattica:<br />
1. Nominativo: indica se il nome ha funzione di agente (fa’il), di<br />
soggetto (mubtada’) o di predicato ( ḫabar).<br />
2. Genitivo: le sue principali funzioni sono quelle di marcare<br />
l’effetto delle particelle sui nomi e di indicare il secondo nome<br />
negli stati costrutti.<br />
3. Accusativo: adoperato per i complementi oggetti e per molti altri<br />
oggetti di tempo, spazio, intensità, etc e per lo ḥāl.<br />
NOTA: un verbo transitivo nella grammatica araba si dice che<br />
“trascende l’agente attraverso l’oggetto”, ossia non porta solo<br />
all’accusativo il c.o ma porta al nominativo il soggetto. Inoltre il<br />
verbo non suggerisce solo oggetto e soggetto, ma anche il tempo e lo<br />
spazio dell’azione e per questo le espressioni di tempo e spazio<br />
prendono l’accusativo come terminazione.<br />
Nonostante i verbi non siano declinabili, esiste una categoria che<br />
riceve la declinazione: i muḍā ri’, assomigliante proprio perché la<br />
loro declinazione è simile a quella dei nomi. Questa somiglianza<br />
rivela la possibilità di utilizzare un verbo come sostituto di un
nome. Tali verbi corrispondono nella “tradizione occidentale”<br />
all’imperfetto perché sono adoperati per azioni incomplete.<br />
NB La differenza di terminologia rivela il diverso approccio dei<br />
grammatici grecolatini e quelli arabi: i primi definiscono in base<br />
al contenuto semantico, i secondi in base alle caratteristiche<br />
formali.<br />
JUMLA → catena di parole completa sintatticamente. L’analisi della frase<br />
dei grammatici arabi e di quelli occidentale differisce notevolmente.<br />
Analisi occidentale: esistono due tipi di frasi, quella nominale e quella<br />
verbale.<br />
Grammatici arabi: si focalizzano sulla distinzione tra una frase nominale<br />
e una verbale.<br />
Morfologia = tasrīf Per la maggior parte delle parole il significato lessicale è rappresentato<br />
dalle tre radici mentre il significato morfologico è aggiunto a queste<br />
radici sotto forma di schema vocalico, in alcuni casi con consonanti<br />
ausiliarie. I grammatici dell’epoca classica inventarono una notazione per<br />
gli schemi morfologici con le consonanti f‘l in cui venivano inserite le<br />
vocali e le consonanti ausiliarie. Per i grammatici arabi il primo compito<br />
della morfologia era scomposizione delle parole in radicali (zaw ā ’id). i<br />
grammatici hanno anche creato vari metodi per identificare i radicali e il<br />
più importante tra questi metodi è l’Ishtiqā q (etimologia), vale a dire la<br />
comparazione della forma con parole legate morfologicamente e con lo<br />
stesso contenuto semantico. In questo modo è possibile identificare le<br />
consonati in aumento ( es: ‘aktaba e kataba. L’intruso è ‘).<br />
Il nome<br />
La prima parte del discorso è l’ism, il nome. Uno dei più importanti<br />
argomenti per i grammatici arabi è la perdita da parte di alcune parole<br />
( categoria di nomi con solo due terminazioni, i diptoti. Quando sono<br />
indefiniti non hanno tanwin e perdono la terminazione del genitivo) della<br />
loro declinazione. Secondo i grammatici arabi quando un nome devia dallo<br />
stato non marcato in più di un modo, assomiglia ad un verbo e spesso perde<br />
parte dei suoi diritti di declinazione.<br />
Oltre alla lunazione i nomi possono incontrare altre alterazioni<br />
morfologiche:<br />
Categoria dei numeri: duale e plurale<br />
Il verbo<br />
Per i grammatici arabi lo scopo principale del verbo è quello di indicare<br />
il tempo: già nel Kitab di Sibawayhi troviamo la definizione di tre tempi<br />
verbali, passato, presente e futuro espressi da due forme verbali, il madi<br />
e il mudari’ (= somiglianza perché ricorda il nome).<br />
La fonologia
I grammatici arabi hanno dedicato una piccola parte dei loro trattati a<br />
una descrizione elementare della fonologia. Nell’introduzione del primo<br />
dizionario, alKhalil classifica ogni consonante a seconda del posto in<br />
cui vengono articolate. Sibawayhi propone una classificazione più<br />
articolata e identifica gli articolatori passivi e attivi di ogni gruppo<br />
di consonanti. I grammatici arabi hanno dato molto importanza a queste<br />
articolazioni in relazione allo studio delle radici che non possono<br />
presentare tre consonanti provenienti dallo stesso gruppo d’articolazione.<br />
Allofoni realizzazione fonica che in una determinata lingua non ha<br />
carattere distintivo, ma si trova a essere in distribuzione<br />
complementare con gli altri allofoni dello stesso fonema.<br />
Accenti: i grammatici arabi non hanno avvertito la necessità di<br />
studiarli perché non esiste in arabo una coppia di parole distinte<br />
da un accento.<br />
CAPITOLO 7: L’EMERGERE DEL NUOVO ARABO<br />
La situazione <strong>linguistica</strong> nell’impero islamico<br />
La mancanza di documenti rilevanti non permette di stabile quale forse la<br />
percentuale arabizzazione e come sia avvenuto questo processo.<br />
Penisola islamica: sud arabico<br />
Iraq: la maggior parte della popolazione parlava aramaico mentre<br />
nell’area controllata dai sasanidi si adoperava come lingua<br />
dell’amministrazione il Medio Persiano. Una larga parte della<br />
popolazione parlava anche arabo, la maggior parte di questi facevano<br />
parte di tribù nomadi.<br />
Siria: il greco rimase a lungo come lingua dell’amministrazione ma<br />
venne sostituito dall’arabo alla fine del I secolo dell’era<br />
islamica. Il siriaco continuò ad esser parlato dalla comunità<br />
cristiana fino all’VIII secolo e come lingua letteraria fino al XIV.<br />
Persia: rappresenta un caso particolare. Il Medio persiano<br />
sopravvisse fino alla riforma di ‘Abd alMalik. L’arabo si diffuse<br />
anche come lingua della cultura e della letteratura. Successivamente<br />
il persiano guadagnò il suo antico prestigio e divenne la lingua<br />
della cultura durante il IX e X secolo.<br />
Egitto: situazione simile alla Siria. Mentre l’élite ellenizzata<br />
parlava in greco, la popolazione adoperava il copto, che divenne<br />
lingua letteraria e religiosa (traduzione Bibbia) nel IX secolo.<br />
Conquista del Nord Africa avvenne in due momenti differenti →<br />
fondazione di accampamenti militari che divennero città. Gli scambi<br />
linguistici aumentano a dismisura e nel giro di due secoli<br />
l’arabizzazione è a buon punto. Uno di questi centri più importanti<br />
è Qayrawan.<br />
La conquista del Nord Africa è stata anche il punto di partenza<br />
della conquista della penisola iberica.<br />
Nella storia della filologia araba sono stati scritti parecchi trattati<br />
riguardanti gli errori delle persone comuni. Tuttavia questi trattati non<br />
riguardano, come potremmo pensare, la lingua colloquiale ma il loro scopo
è quello di preservare la purità della lingua araba quindi non è possibile<br />
per gli studiosi ricostruir la lingua vernacolare appoggiandosi a questi<br />
materiali. La somma totale degli errori descritti in questi trattati può<br />
suggerire alcune interferenze della lingua colloquiale nell’uso dell’arabo<br />
classico ma non fornisce un quadro completo della struttura del vernacolo<br />
del tempo.<br />
Un’importante fonte per la ricostruzione della lingua colloquiale è il<br />
materiale scritto in medio arabo, in particolar modo i papiri che<br />
contengono un alta percentuale di deviazioni dalla lingua standard.<br />
Il nuovo tipo di arabo<br />
I moderni dialetti sono lo strumento utilizzato per la ricostruzione del<br />
processo storico che ha portato alla comparsa di un tipo colloquiale di<br />
arabo.<br />
Nel sistema fonologico dei dialetti notiamo una serie di cambiamenti<br />
rispetto alla lingua classica, alcuni dei quali ricorrono in quasi tutte<br />
le varietà. Per studiarli, li trovi alle pagine 99 e 100 del Versteegh.<br />
Teorie sulla comparsa del nuovo arabo<br />
L’opinione corrente sulla situazione <strong>linguistica</strong> durante la gahiliyya è<br />
che il passaggio tra arabo antico e nuovo sia avvenuto durante il periodo<br />
preislamico nella lingua colloquiale delle tribù arabe. Lefonti arabe<br />
invece tratteggiano lo sviluppo della loro lingua in modo differente: a un<br />
periodo iniziale caratterizzato da una lingua uniforme è contrapposto<br />
quello seguente alla conquista di ampi territori che vide gli Arabi<br />
interagire con nuove popolazioni. Queste, una volta imparato l’arabo, lo<br />
avrebbero corrotto con i loro errori e quindi divenne necessario<br />
l’intervento dei grammatici arabi. I cambiamenti della lingua e l’emergere<br />
della lingua colloquiale sarebbe legata, secondo le fonti arabe, alla<br />
composizione poliglotta dell’impero islamico e all’introduzione dell’arabo<br />
come lingua franca. Secondo Ferguson i comuni antenati dei dialetti<br />
sarebbero le basi militari in Iraq, dove parlanti di varie parlate<br />
preislamiche si erano mescolati. La teoria della monogenesi di Ferguson<br />
servirebbe a spiegare tutti quei caratteri che ricorrono oggi nei dialetti<br />
dei paesi arabi. Una critica a questa teoria è quella di Cohen sul ruolo<br />
della convergenza, secondo cui al’interno delle armate arabe, costituite<br />
da elementi provenienti da tribù differenti, sia avvenuto il fenomeno di<br />
livellamento. I nuovi dialetti nei territori conquistati sarebbero il<br />
risultato di un’evoluzione locale e indipendente. Tuttavia questi dialetti<br />
sarebbero diventati gradualmente più simili l’uno all’altro grazie ai<br />
contatti più tardi. Questa teoria non riesce a spiegare come sia possibile<br />
che due dialetti parlati in aree molto distanti tra loro presentino<br />
caratteristiche molto simili.<br />
Vedi pagina 107 e 108<br />
Influenza del substrato linguistico indigeno fenomeno difficile da<br />
→<br />
studiare perché spesso alcuni caratteri attribuiti all’influenza della<br />
lingua indigena appaiono anche in altre regioni dove tale varietà non è
parlata. Diem (1979) ha affermato che si può attribuire un fenomeno alla<br />
substratal influence solo quando sono presenti due condizioni:<br />
1. La presenza di un determinato fenomeno sia nel dialetto moderno che<br />
nella lingua originale parlata nella regione;<br />
2. L’assenza di questo fenomeno in altre regioni.<br />
Nella maggior parte dei casi le interferenze che risultano<br />
dall’incontro di più lingue non ha causato l’emergere di nuovi fenomeni<br />
ma nel momento della scelta tra due alternative già esistenti. In molti<br />
casi coloro che stavano imparando arabo hanno sicuramente scelto la<br />
forma maggiormente influenza dalla propria varietà <strong>linguistica</strong>.<br />
Il substratal influence non è sufficiente per spiegare le differenze<br />
tre i dialetti e neanche la convergenza tra caratteri comuni. La<br />
costruzione possessiva è un ottimo esempio di cambiamento strutturale<br />
presente in tutti i dialetti, ma con una differente realizzazione. In<br />
tutti i dialetti il caso genitivo della costruzione possessiva è stato<br />
sostituito con una costruzione possessiva analitica.<br />
Il secondo fenomeno di diffusione pluriforme di un carattere comune è<br />
connesso con la perdita delle terminazioni modali dei verbi.<br />
Un'altra possibile teoria connette l’origine dei cambiamenti nella<br />
lingua con il processo dell’acquisizione. Durante il primo secolo<br />
dell’era islamica l’arabo venne imparato dalle popolazioni conquistate<br />
senza un insegnamento vero e proprio e con minima attenzione sulla<br />
correttezza delle forme e la regolarità della lingua. In questa<br />
situazione sono scomparse le forme ridondanti, si sono preferite le<br />
costruzioni analitiche e il lessico è stato parzialmente rivisto. In<br />
questo scenario, molti dei cambiamenti linguistici sono da imputare<br />
agli abitanti delle regioni conquistate.<br />
Una buona parte delle teorie riguardanti l’emergere dei dialetti tende<br />
a cercare le cause delle innovazioni nella tendenza naturale che già<br />
era presente nella lingua preislamica.<br />
Interferenze dell’arabo classico → argomentazioni contro questa<br />
teoria: l’arabo è stato imparato come lingua straniera dei<br />
conquistatori e la maggior parte dei conquistati non ebbero nessun<br />
contatto con l’Arabo classico. È possibile che una maggior influenza<br />
della lingua standard sia avvenuta in seguito alla seconda ondata di<br />
penetrazione araba<br />
CAPITOLO 8<br />
In una prospettiva storica è stata proposta una classificazione basata<br />
però su una visione evoluzionistica della lingua, non sempre aderente alla<br />
realtà dei fatti.<br />
Per quanto riguarda la definizione di medio arabo, essa è stata usata per<br />
indicare cose diverse:<br />
1. Fase intermedia tra l’arabo classico e i dialetti odierni<br />
(supponendo quindi una derivazione di questi ultimi dai primi)<br />
2. Casi della letteratura scientifica e di cancelleria in cui compaiono
numerose interferenze dialettali, varianti fonetiche, etc<br />
3. Stato intermedio tra arabo colto e quello colloquiale usato nelle<br />
varie epoche per scopi diversi.<br />
NB: la situazione di diglossia, compresenza dei dialetti accanto<br />
alla lingua colta, sembra molto antica. Alcune fonti fanno<br />
ipotizzare che potrebbe risalire già ai primissimi secoli dell’era<br />
islamica.<br />
Dopo aver preso in considerazione la diffusione dell’arabo letterario e<br />
l’emergere di quello colloquiale, si deve analizzare il rapporto tra<br />
queste due varietà nella produzione scritta, sia letteraria che no, nei<br />
primi secoli del’Islam. L’arabo dei primi documenti preservatisi fino ai<br />
nostri giorni non corrisponde a quello codificato dai grammatici, ma<br />
rappresenta piuttosto il vernacolo dell’autore dello specifico testo.<br />
MEDIOARABICO → negli studi moderni della <strong>linguistica</strong> araba,<br />
denominazione data alla lingua di tutti quei testi che presentano delle<br />
deviazioni dall’arabo classico. Questo termine però presenta numerose<br />
ambiguità.<br />
Nonostante l’utilizzo da parte di certi studiosi, è scorretto associare la<br />
denominazione “Medioarabo” alla lingua di passaggio tra il periodo<br />
classico e quello moderno.<br />
Blau (nel suo manuale di Christian Middle Arabic): definisce il<br />
Medio Arabo come il tassello mancante tra l’arabo classico e i<br />
dialetti moderni. Successivamente ha modificato l’utilizzo di questo<br />
termine per superare l’incomprensione che compare quando il medio<br />
arabo viene trattato come uno stadio storico intermedio. È un errore<br />
assegnare qualsiasi connotazione cronologia al termine “Medio<br />
arabo”.<br />
Secondo altri: sarebbe uno speciale tipo di arabo situato tra<br />
l’arabo classico e la lingua colloquiale.<br />
Nb: il grado di educazione dei singoli autori determina un alto numero di<br />
differenze, e a volte un profondo distacco, dal colloquiale. Alcuni testi<br />
in medio arabo presentano solo alcuni errori occasionali, mentre altri<br />
testi presentano una struttura che è strettamente colloquiale. Nonostante<br />
le interferenze più estreme con il colloquiale, questi testi non possono<br />
essere considerati scritti in uno linguaggio completamente dialettale<br />
perché questi continuano ad essere approssimazione dell’arabo classico.<br />
Ogni comunità <strong>linguistica</strong> è caratterizzata da una certa distanza tra la<br />
lingua colloquiale e la norma scritta, nell’ortografia, nel lessico e<br />
nella struttura.<br />
Nel caso dell’arabo questo divario è molto ampio a causa della relazione<br />
istituzionalizzata tra una varietà cosiddetta “alta” e quelle basse<br />
(DIGLOSSIA).
NOTA: in una comunità dove il livello in media è basso, l’accesso alla<br />
lingua scritta è ristretto. Inoltre la lingua scritta è regolata da una<br />
serie di norme e chiunque volesse scrivere in arabo è costretto a tenerle<br />
presenti. Tuttavia il livello della lingua standard scritta è fuori dalla<br />
portata della maggioranza. Ecco quindi che gli errori che compaiono sono<br />
originati dalla lingua parlata dello scrivente.<br />
Esempi:<br />
1. Fusione di dei due fonemi classici ذ e ض in ض e che porta ad alcuni<br />
errori di pronuncia.<br />
2. Scomparsa delle terminazioni del verbo all’imperfetto nei dialetti<br />
che causa delle difficoltà nell’utilizzo dell’indicativo<br />
(yaktububuuna) e del congiuntivo (yakctubuu). Questo induce a<br />
utilizzare sempre il congiuntivo.<br />
È scorretto ritenere che ogni scostamento nei testi scritti sia dovuto<br />
alla lingua colloquiale: quando si diventa consapevoli dello scarto tra<br />
lingua scritta e lingua colloquiale, si tenta di evitare eventuali<br />
errori . Questo però a volte genera delle forme che non appartengono né a<br />
una forma, né all’altra.<br />
Esempio:<br />
forma corretta = lam yaktubuu // forma ritenuta corretta = lam yaktubuuna<br />
→ipercorrezione<br />
Usualmente vengono distinte due categorie: ipercorrezioni e ipocorrezioni.<br />
Nella prima forma, tentando di riprodurre la forma classica, si esagera<br />
nel presentare una forma che diventa”troppo classica”. Nel caso delle<br />
ipocorrezioni invece la correzione è incompleta. Un caso di ipocorrezione<br />
si presenta quando lo scrittore stravolge l’ordine delle parole<br />
all’interno di una frase per avvicinarsi all’arabo classico e creando<br />
invece una costruzione scorretta, per esempio quando viene premesso un<br />
duale (animato) a un verbo al plurale.<br />
L’utilizzo delle pseudo correzioni non riguarda solo la lingua scritta, ma<br />
anche quella parlata.<br />
Esempio: i parlanti egiziani sono consapevoli della correlazione tra la<br />
/q/ classica e la glottal stop del colloquiale. Quando vogliono mostrarsi<br />
educati tendono a sostituire ogni glottal stop con la /q/.<br />
Nel linguaggio scritto spesso lo scostamento con le norme è dovuto ad<br />
altri motivi, per esempio come quello di rendere un dialogo quotidiano tra<br />
vere persone (Le mille e una notte, etc). sono presenti costruzioni e<br />
parole dialettali. Le deviazioni possono essere intenzionali o no.<br />
Un'altra ragione può essere individuata sulla presenza dello scostamento<br />
dall’arabo classico: utilizzo da parte di comunità cristiane ed ebree e<br />
loro utilizzo di forme dialettali nello scritto nel periodo classico.<br />
Questi erano svincolati dalle rigide norme che regolavano la “lingua di<br />
Dio” del Corano ed erano quindi più liberi di utilizzare forme colloquiali<br />
anche nello scritto. È quindi legittimo parlare di “Medio arabo ebraico” e<br />
“medio arabo cristiano” come lingue speciali.
Nonostante con medio arabo si designi la lingua impiegata in testi che<br />
risalgono dal VII secolo al XX, la maggior parte degli studi si concentra<br />
sulle testimonianze risalenti al periodo classico. Una delle ragioni che<br />
spiega questo fatto è l’utilizzo di questi testi per la ricostruzione<br />
della comparsa dei dialetti,ma bisogna quindi presupporre che l’uso di<br />
forme colloquiali rifletta lo sviluppo diacronico nella lingua parlata.<br />
Tuttavia è necessario tenere presente che l’assenza o presenza di<br />
determinate caratteristiche non dice niente sulla situazione attuale nel<br />
vernacolare perché l’insieme di elementi del parlato e dello scritto<br />
riflette le abilità e conoscenze dell’autore. Ecco quindi che l’aumento<br />
della presenza di determinate caratteristiche nel corso del tempo segnala<br />
un cambiamento nelle norme linguistiche.<br />
MEDIO ARABO MUSULMANO<br />
Un’attenzione particolare viene data a una categoria di testi, vale a dire<br />
i papiri. Le più antiche copie manoscritte, letterarie e non, risalgono al<br />
terzo secolo dell’Higra. Questi papiri sono documenti originali, tuttavia<br />
è azzardato tentare di ricostruire lo stato della lingua dell’epoca<br />
contemporanea al documento soprattutto perché contengono correzioni di<br />
scribi e copisti. Il più antico papiro risale all’anno 22 dell’era<br />
islamica. Molti di questi provengono dall’Egitto,sono stati scritti da<br />
musulmani e il loro contenuto e nonletterario.<br />
L’importanza dei papiri risiede nel fatto che questi presentano, più o<br />
meno, gli stessi tratti del Medio arabo di testi molto più tardi. Questo<br />
indica che i cambiamenti erano già presenti nei primi secoli anche nella<br />
lingua colloquiale.<br />
NB: la lingua di questi papiri è estremamente influenzata dall’arabo<br />
classico, infatti sono stati scritti da scribi ufficiali per scopi<br />
ufficiali e quindi la lingua burocratica presenta molte formule<br />
stereotipate.<br />
→Oltre ai papiri esistono altre tipologie di testi in medio arabo<br />
premoderno, tra cui le storie de “ ’Alf layla wa layla”<br />
Molte delle storie che compongono questa raccolta risalgono ai secoli<br />
compresi tra XII e XVI, mentre i manoscritti sono databili tra XIII e XIX<br />
secolo. Tali manoscritti, così come ci sono pervenuti, presentano numerosi<br />
adattamenti più tardi, in particolar modo sono stati aggiunti elementi<br />
della lingua colloquiale per ravvivare la narrazione.<br />
Si può presumere che originariamente i racconti venissero raccontati ad<br />
una platea in lingua vernacolare e successivamente trascritti tenendo<br />
conto delle norme standard della lingua. Per questo motivo i racconti de<br />
“La mille e una notte” non possono essere considerati degli esempi sicuri<br />
di lingua colloquiale.<br />
POESIA
→ spesso la lingua colloquiale è stata adoperata dai poeti arabi per i<br />
propri componimenti, tra cui : ‘Umar alMahhar ( Siria, XIII sec), ‘Ali<br />
ibn Sudun (Egitto, XV sec).<br />
Questo genere di poesia divenne popolare nel Maghreb.<br />
Qui l’utilizzo degli elementi colloquiali è strettamente collegato con la<br />
funzione narrativa e letteraria. Invece, nei trattati scientifici in cui<br />
l’argomento è tecnico gli elementi colloquiali sono accidentali.<br />
Gli autori dei trattati scientifici (matematica, medicina, farmacia,<br />
astronomia..), potevano svincolarsi dalle norme dell’arabo classico e<br />
infatti molti sono i casi di autori che hanno deliberatamente scelto di<br />
adottare forme informali.<br />
ARABO EBRAICO, termine che indica la varietà ebraica del medio arabo<br />
MEDIO ARABO = non è una varietà speciale della lingua quanto il nome di<br />
una categoria di testi in cui sono presenti deviazioni dall’arabo standard<br />
classico. Quando Ebrei e Cristiani scrivono in arabo è legittimo<br />
considerare la loro lingua come una varietà speciale.<br />
All’inizio della conquista araba la lingua degli Ebrei nei territori<br />
conquistati era l’Aramaico mentre l’Ebraico era la lingua riservata alla<br />
religione e alla poesia. Non si sa quando l’arabo sia diventato loro<br />
lingua parlata, ma deve essere avvenuto molto presto. I primi documenti<br />
letterari scritti da Ebrei in arabo risalgono al IX secolo;questi mostrano<br />
molte caratteristiche colloquiali. Gli scritti di autori ebrei sono<br />
caratterizzati da due elementi:<br />
1. Il fatto che siano scritti con l’alfabeto ebraico;<br />
2. Presenza di un alto numero di prestiti dall’ebraico.<br />
La rappresentazione dei fonemi arabi in lettere ebraiche risponde a uno<br />
stretto sistema di traslitterazione. Visto che l’alfabeto ebraico possiede<br />
un numero inferiore di lettere è stato necessario apportare delle<br />
modifiche (es: utilizzo degli allofoni ebraici per fonemi arabi). Inoltre,<br />
nello trascrivere le parole arabe gli scribi hanno aggiunto anche i punti<br />
diacritici per riconoscere le lettere simili.<br />
Ci sono anche tracce nei documenti più antichi di traslitterazioni basate<br />
sulla lingua parlata.<br />
CAPITOLO 9: LO STUDIO DEI DIALETTI ARABI<br />
Lo studio sistematico della geografia dei dialetti è una tipica<br />
invenzione della <strong>linguistica</strong> europea, nata nel XIX secolo. Sarebbe<br />
tuttavia scorretto credere che gli Arabi stessi non siano consapevoli<br />
delle varietà linguistiche presenti nel mondo arabofono.<br />
I grammatici dei primi secoli dell’era islamica avevano accettato di<br />
buon grado le varietà dialettali preislamiche perché, nella loro<br />
concezione fanno parte del corpus di parlate arabe pure. Invece non<br />
erano interessati ai dialetti urbani che nacquero in tutto l’impero,<br />
dato che li consideravano scorretti.
Tuttavia molti scritti riportano descrizioni sistematiche sulle<br />
peculiarità linguistiche e sui regionalismi lessicali e fonetici di<br />
una determinata area, come per esempio il Kitab di alMuqaddasi. In<br />
altri scrittori l’enfasi viene data alla distribuzione sociale delle<br />
caratteristiche linguistiche. Per esempio, ibn Khaldun dedicata un<br />
capitolo alle differenze tra le parlate dei beduini e dei sedentari.<br />
Egli ascrive i cambiamenti della lingua araba al contatto con la<br />
varietà regionale parlata dalle popolazioni conquistate. Ecco quindi<br />
che le particolarità del dialetto del Maghreb sono causate dal contatto<br />
con il dialetto berbero. Lo stesso vale per i territori popolati da<br />
Persiani e Turchi. In un altro passaggio lo storico dimostra di essere<br />
a conoscenza di alcune particolarità della parlata dei beduini:<br />
Pronuncia speciale della Qaf, descritta in modo molto accurato<br />
L’interesse per i dialetti arabi degli studiosi europei all’inizio dell’<br />
XIX secolo non ha incontrato per lungo tempo l’approvazione degli stessi<br />
stati arabi. L’interesse per la struttura di una varietà non di prestigio<br />
era guardato con sospetto dato che il ruolo di fattore di coesione<br />
dell’arabo classico era minacciato dal crescente interesse per le varietà<br />
colloquiali, simboli della frammentazione del mondo arabo. Un caso<br />
particolare è quello dell’Egitto, le cui varietà regionali cominciarono ad<br />
essere analizzate già nel XVI secolo. (dizionario di Yusuf alMaghribi)<br />
Tuttavia la teoria del sospetto in alcuni casi si rivelò fondata dato che<br />
le autorità coloniali promossero attivamente l’utilizzo dei dialetti. (in<br />
Algeria il governo francese proibì l’insegnamento dell’arabo classico e lo<br />
fece sostituire con quello del dialetto algerino. In Egitto si provò a<br />
sostituire l’alfabeto arabo con quello latino).<br />
Oltre al problema “politico” insito nella dialettologia, i linguisti<br />
devono fronteggiare anche il problema del paradosso dell’osservatore<br />
(relativo a tutti gli studi sui dialetti, non solo quelli arabi).<br />
I grammatici che hanno studiato i dialetti hanno spesso affermato che i<br />
dialetti possiedono due forme per esprimere il possesso: una con il<br />
costrutto dell’arabo classico, l’altra con il genitivo analitico. Questo è<br />
vero secondo un’osservazione sincronica (molti parlanti adoperano questa<br />
forma perché propria della varietà di prestigio), ma dal punto di vista di<br />
un’osservazione diacronica la forma classica appare come un intruso nel<br />
dialetto. Tuttavia la descrizione grammaticale spesso ignora che la<br />
coesistenza delle due forme ha portato ad una nuova differenzazione delle<br />
funzioni. In molti dialetti le due costruzioni del possessivo devono<br />
sottolineare l’opposizione tra il possesso alienabile e inalienabile.<br />
NOTA: in alcune comunità la presenza di una varietà bassa che possiede<br />
forme che coincidono con quelle dell’arabo classico causano l’inutilizzo<br />
di quest’ultimo come nel caso della comunità del Bahrein. (pronuncia della<br />
gh → y da parte dei sunniti che non adoperano la forma classica perché<br />
usata dagli sciiti).<br />
La classificazione dei dialetti
ISOGLOSSE → linee immaginare su una mappa, normalmente presenti in<br />
fasci . più grande è il fascio più è facile distinguere una specifica area<br />
dialettale tra le altre regioni. Questo fenomeno è facilmente osservabile<br />
quando sono presenti confini importanti, come le catene montuose. Negli<br />
altri casi il passaggio tra un dialetto e l’altro tende a essere graduale.<br />
Una mappa dei dialetti è una rappresentazione sincronica delle varietà<br />
parlate in una determinata area, ma in molti casi è possibile ottenere dei<br />
dati importanti sullo sviluppo diacronico. Gli atlanti dei dialetti<br />
rimangono gli strumenti principali per la geografia e la classificazione<br />
dei dialetti.<br />
Esempi di isoglossa:<br />
quella che, passando per il Delta egiziano divide i dialetti del<br />
Maghreb, con prefisso pronominale della prima persona singolare n,<br />
e il Mashreq con prefisso a.<br />
pronome di prima persona singolare nei dialetti yemeniti: in alcune<br />
aree sopravvive la forma ‘ana, in altre sono presenti due forme, una<br />
maschile e una femminile e un’altra ancora esiste la doppia forma<br />
sia per il pronome indipendente che per quello suffisso.<br />
In molti dialetti arabi un certo numero di mescolamenti è avvenuto durante<br />
la seconda ondata di arabizzazione quando le tribù beduine della penisola<br />
araba si spostarono attraverso le regioni dell’impero islamico. I<br />
successivi contatti tra beduini e popolazioni sedentarie incise<br />
soprattutto sul lessico. (es: nell’arabo uzbeko la realizzazione della /q/<br />
è una /q/ sorda anche se nel suo vocabolario sono presenti dei lemmi che<br />
contengono la /g/ sonora.<br />
Un ben documentato caso di contatto tra dialetti è quello avvenuto nelle<br />
oasi occidentali dell’Egitto. Secondo lo studioso Woidich alcuni degli<br />
aspetti di questi dialetti, come il prefisso n dei verbi, potrebbero<br />
essere stati introdotti in seguito alle ultime invasioni dei beduini da<br />
occidente. La mescolanza dei dialetti nelle oasi dimostra anche<br />
l’accomodazione e la generalizzazione (una particolarità, come l’accento<br />
dell’ultima lettera, viene accordata alla situazione e generalizzata).<br />
→ la diffusione di una koinè dialettale è un caso speciale di contatto<br />
tra dialetti. Crescita veloce di alcuni centri urbani, come Amman e<br />
Baghdad, che hanno richiamato un elevato numero di abitanti delle<br />
campagne. Successivo imporsi di una varietà di prestigio, legata al potere<br />
e all’influenza di una determinata parte della comunità. Il nuovo dialetto<br />
di prestigio della capitale inizia ad esercitare una enorme influenza<br />
sulle aree vicine. I parlanti delle campagne spesso switchano dalla loro<br />
varietà a quella di prestigio anche quando alcune forme della loro parlata<br />
sono più vicine alle forme dell’arabo classico.<br />
es:<br />
stile di Saddam Hussein che nei discorsi ufficiali adoperava il<br />
dialetto di Baghdad che la classica q con g invece del proprio<br />
dialetto di Tikrit con la realizzazione classsica della q<br />
dialetto del Cairo che realizza la /gh/ come /g/. il Cairo è stato,<br />
fin dal XIV un importante centro commerciale, soprattutto dopo il
declino di Alessandria.<br />
Il processo di “koinizzazione” è rapido e si diffonde oltre i confini<br />
dello stato nazionale. Il dialetto egiziano è conosciuto in tutto il mondo<br />
arabo grazie soprattutto alle soapoperas e ai film.<br />
Qualsiasi tentativo di classificare i dialetti è arbitrario. La selezione<br />
di diverse isoglosse come marcatori porta a differenti divisioni. La<br />
classificazione sulla base di aspetti fonetici differisce notevolmente da<br />
una condotta sulla base della distribuzione lessicale. Altri metodi di<br />
classificazione si basano sulla cronologia storica degli insediamenti e<br />
sugli studi della socio<strong>linguistica</strong>. Versteegh conclude affermando che uno<br />
dei migliori metodi è quello della classificazione paese per paese.<br />
Dialetti beduini e dialetti sedentari<br />
Nei primi secoli dell’impero islamico la parlate dei beduini era<br />
considerata la più pura e loro erano dunque i rappresentanti della lingua<br />
classica. Tuttavia nel corso del tempo i grammatici arabi sono stati<br />
costretti ad ammettere che anche i beduini non erano immuni dagli effetti<br />
della vita sedentaria. Ancora oggi i dialetti beduini tendono a conservare<br />
le forme classiche rispetto ai dialetti sedentari ( in linea generale<br />
l’isolamento consente una maggior conservazione mentre le aree che<br />
presentano un alto numero di interazioni sono maggiormente esposte a<br />
fenomeni di riduzione e di semplificazione).<br />
Entro le aree sedentarie è possibile distinguere i cuori politici e<br />
culturali da cui si diffondono le innovazioni linguistiche.<br />
In epoca preislamica e nel periodo successivo alla rivelazione ci sono<br />
state costanti migrazioni di gruppi di beduini. Le prime conquiste<br />
islamiche vennero portate avanti soprattutto da tribù nomadi, come pure la<br />
seconda e più tarda penetrazione (Banu Sulaym e Banu Hilal nel Nord Africa<br />
nell’XI secolo). Le migrazioni dei beduini hanno sempre messo in moto il<br />
processo di arabizzazione nelle campagne.<br />
Tra i dialeti beduini è possibile distinguere alcuni aspetti ricorrenti,<br />
che ora si ritrovano anche in altri dialetti sedentari in seguito alla<br />
penetrazione già menzionata:<br />
preservazione delle interdentali;<br />
realizzazione sonora della /q/ come /g/;<br />
preservazione della distinzione di genere nella seconda e terza<br />
persona plurale dei pronomi e dei verbi;<br />
ampio utilizzo del duale;<br />
tendenza a utilizzare frequentemente l’annessione diretta nelle<br />
costruzioni del possessivo;<br />
concordanza dei plurali inanimati con il singolare femminile.<br />
A causa delle continue migrazioni delle tribù, è difficile delimitare<br />
geograficamente le aree dei dialetti dei beduini. I dialetti orientali dei<br />
beduini sono quelli parlati nella penisola araba, negli stati del golfo,<br />
nel deserto siromesopotamico, nella Giordania del sud e nel Sinai. Quelli<br />
occidentali sono parlati in tutto il Nord Africa. Vengono suddivisi in due
gruppi: i dialetti dell’area in cui si insediarono i Banu Sulaym (Tunisia,<br />
Libia ed Egitto), e quelli in cui si stanziarono i Banu Hilal (Algeria e<br />
Marocco).<br />
Presentazione dei dialetti<br />
La classificazione usuale dei dialetti arabi distingue i seguenti gruppi:<br />
dialetti della penisola araba<br />
dialetti mesopotamici<br />
dialetti sirolibanesi<br />
dialetti del Maghreb<br />
non è sempre chiaro quale criterio sia stato utilizzato per stendere una<br />
simile classificazione. A volte si basa su fattori puramente geografici;<br />
si è visto, infatti, che ognuna di queste aree è stata arabizzata in due<br />
momenti diversi di cui il primo ha dato come risultato gli innovativi<br />
dialetti sedentari mentre il secondo ha portato i dialetti nomadi e<br />
rurali. L’arco di tempo da un momento all’altro è differente per ogni<br />
singola area: in alcune regioni la convivenza tra l’elemento sedentario e<br />
quello nomade era già presente in epoca preislamica. In Nord Africa invece<br />
è stato molto lungo.<br />
CAPITOLO 10: I DIALETTI<br />
I dialetti della penisola araba<br />
La penisola araba rimane una delle aree dialettali meno conosciuta del<br />
mondo arabo. In epoca preislamica c’era probabilmente una divisione tra i<br />
dialetti orientali e quelli occidentali, ma le migrazioni successive hanno<br />
cambiato notevolmente il quadro geografico di questa regione. Tutti i<br />
dialetti beduini di quest’area ora provengono dal nuovo tipo di arabo.<br />
Sono stati distinti 4 gruppi di dialetti:<br />
1. dialetti arabi del nordest;<br />
2. dialetti del sudovest;<br />
3. Hijazi;<br />
4. Dialetti del nordovest.<br />
I dialetti beduini della penisola araba sono considerati conservatori<br />
perché non ci sono stati processi di riduzione e livellamento. Alcune<br />
caratteristiche conservate nei dialetti beduini meritano di essere<br />
menzionati:<br />
Preservazione in molti dialetti delle terminazioni indefinite an,<br />
in, en che chiaramente derivano dal tanwin classico;<br />
Preservazione del causativo;<br />
Il passivo è ancora adoperato.<br />
Per maggiori dettagli, leggi pagine 150152<br />
Dialetti sirolibanesi<br />
L’arabizzazione dell’area sirolibanese è avvenuta nelle prime fasi della<br />
conquista e fu sicuramente facilitata dalla presenza di tribù parlanti<br />
arabo nel deserto siriano e anche in alcune aree sedentarie. I
conquistatori arabi si insediarono nelle antiche città, come Damasco e<br />
Aleppo e questi furono i primi luoghi in cui venne parlato il nuovo arabo.<br />
Questi dialetti sono tipicamente urbani e presentano un alto numero di<br />
innovazioni. Non ci fu nessuno scarto temporale tra la prima e la seconda<br />
fase di arabizzazione: le migrazioni di beduini iniziata in epoca<br />
preislamica non si fermò dopo l’avvento dell’Islam.<br />
Molti dei dialetti sirolibanesi esibiscono caratteristiche sedentarie,<br />
come la realizzazione sorda della q come glottal stop, la perdita della<br />
distinzione di genere nella seconda e terza persona plurale dei pronomi e<br />
dei verbi. Tutti i dialetti hanno preservato le tre vocali lunghe.<br />
NB: il fatto che siano dialetti sedentari non significa che non abbiamo<br />
caratteristiche dei dialetti beduini. Per esempio, molti dei dialetti<br />
giordani realizzano la /q/ come /g/: questo dimostra i numerosi contatti<br />
con le tribù nomadi.<br />
In tutta l’intera area le varietà di prestigio delle capitali si impongono<br />
su quelle della campagna. Questo è un processo tutt’ora attivo che<br />
contribuirà a uniformare la regione dal punto di vista dialettale.<br />
Sono stati distinti tre sottogruppi:<br />
1. Dialetti libanesi e centrosiriani.<br />
2. Dialetti del nord della Siria<br />
3. Dialetti giordani e palestinesi.<br />
I dialetti mesopotamici<br />
L’arabizzazione di quest’area è avvenuta in due momenti successivi.<br />
Durante la prima decade della conquista araba le varietà urbane di arabo<br />
si diffusero nei centri militari fondati dagli invasori (Basra, Kufa). In<br />
un secondo momento giunse una seconda ondata di dialetti beduini che si<br />
sovrappose al primo strato di dialetti urbani.<br />
Studi di Blanc su Baghdad hanno mostrato una classificazione che distingue<br />
il Baghadi musulmano, quello cristiano e un terzo ebraico. Ha concluso che<br />
il baghadi musulmano proviene da una varietà presente in tutta l’antica<br />
Mesopotamia così come le varietà delle altre due minoranze religiose.<br />
Probabilmente la varietà musulmana è il risultato di un processo di<br />
beduinizzazione che non ha interessato la parlate dei cristiani e degli<br />
ebrei.<br />
I dialetti egiziani<br />
In seguito alla penetrazione araba e alla fondazione dei primi centri<br />
militari, trasformati in città, le popolazioni del basso Egitto<br />
abbandonarono il copto per la nuova lingua. Nelle campagne e nell’Alto<br />
Egitto la situazione <strong>linguistica</strong> non cambiò per molto tempo e<br />
l’arabizzazione di quest’area fu molto più graduale che nel basso Egitto.<br />
Questa parte del paese subì il processo di arabizzazione per 3 secoli da<br />
parte delle tribù che migravano dalla penisola araba. Dall’Egitto la<br />
lingua venne portata nel Sudan e nel Ciad.<br />
Tra i dialetti parlati in Egitto sono stati distinti 4 gruppi differenti:<br />
1. Dialetti del Delta<br />
2. Dialetto del Cairo
3. Dialetti del centro<br />
4. Dialetti del basso Egitto.<br />
Nonostante la sua diffusione, non si hanno molte informazioni sulla storia<br />
e la formazione del dialetto del Cairo, ma gli studi di comparazione tra<br />
il cairota moderno e quello del XVIII secolo mostrano numerose differenze.<br />
Secondo Woidich il moderno dialetto del Cairo deve essere considerato come<br />
un dialetto misto la cui formazione risale alla seconda metà del XIX<br />
secolo, periodo in cui ci fu un enorme afflusso di abitanti delle<br />
campagne. Un risultato di questa immigrazione fu la stigmatizzazione di<br />
alcune caratteristiche perché identificate con la varietà bassa dei nuovi<br />
abitanti. Questo processo di stigmatizzazione è rimasto attivo anche nel<br />
XX secolo. Il processo d mescolamento dei dialetti non ha portato solo<br />
alla scomparsa e alla stigmatizzazione di forme rurali, ma anche<br />
all’emergere di forme completamente nuove, risultati<br />
dell’iperurbanizzazione e della generalizzazione.<br />
Il dialetto cairota, grazie alla crescente influenza dei mass media, si è<br />
diffuso in tutto il mondo arabo. Il prestigio di questa parlata non è un<br />
fenomeno recente, ma bisogna rintracciarlo nella posizione privilegiata<br />
della città lungo le rotte commerciali.<br />
I dialetti del Maghreb<br />
In nessun altra area del mondo arabo c’è stato una pausa così lunga tra la<br />
prima fase di arabizzazione e la seconda. Durante la conquista araba<br />
avvenuta dopo la seconda metà del VII secolo le aree sedentarie del Nord<br />
Africa furono invase da un gruppo relativamente piccolo di invasori che si<br />
stabilirono in centri urbani già esistenti o, in altri casi, in nuovi<br />
accampamenti militari. Una larga parte della campagna continuò a parlare<br />
berbero. Il secondo momento di arabizzazione avvenne qualche secolo dopo<br />
con l’invasione dei Banu Hilal. Durante questa fase l’arabo raggiunse<br />
anche le campagne e le aree ancora nomadi.<br />
Il gruppo dei dialetti del Maghreb comprende le varietà della Mauritania,<br />
del Marocco, dell’Algeria, della Tunisia e della Libia. Nella letteratura<br />
i dialetti delle due fasi di arabizzazione sono conosciute come dialetti<br />
preHilal (sedentari, parlati nelle città) e dialetti Hilal.<br />
Tutti i dialetti maghrebini hanno un sistema vocalico semplice, con sole<br />
due vocali brevi e tre lunghe.<br />
CAPITOLO 11: L’EMERGERE DEL MODERN STANDARD ARABIC<br />
1798 → la breve spedizione di Bonaparte in Egitto porta questa provincia<br />
dell’Impero ottomano in contatto con il mondo occidentale. Questo evento<br />
segna l’inizio di un periodo in cui la cultura europea comincia a<br />
penetrare nel mondo arabo. All’inizio la ricezione di nuove idee venne<br />
promossa dal governo che stimolò la traduzione di libri e articoli dal<br />
francese, la maggior parte riguardanti argomenti tecnici, politici e<br />
culturali. In questo modo l’Illuminismo francese entrò a far parte<br />
dell’atmosfera intellettuale del pese. L’introduzione di nuove idee<br />
politiche stimolò l’emergere dei nazionalismi arabi, che dalla seconda
metà del XIX secolo si incentrarono sulla funzione dell’arabo come lingua<br />
della comunità araba.<br />
La rinascita dell’arabo<br />
Lo scrittore egiziano alGhabarti, in seguito alla conquista francese<br />
dell’Egitto, redasse un testo sulla situazione politica in Europa e sulle<br />
relazioni tra le nazioni europee. Era la prima volta che si descrivevano<br />
nozioni politiche e istituzionali, estranee dal punto di vista islamico e<br />
che quindi dovevano essere descritte in termini comprensibili per i<br />
musulmani. Il grande problema incontrato dai traduttori fu quello di<br />
trovare degli equivalenti che rendessero comprensibili concetti estranei<br />
al mondo arabo, per esempio la legge creata dall’uomo e non da Dio. Il<br />
carattere rappresentativo del governo,proprio di molti stati europei,<br />
costituì un altro grosso problema per i traduttori desiderosi di spiegare<br />
la struttura delle società europee. In alcuni casi la scelta dei termini<br />
rappresentò un tentativo deliberato da parte dei governati di manipolare<br />
un termine a proprio vantaggio, come per esempio il temine shura per<br />
indicare il parlamento (sottolineava i poteri limitati di questo organo).<br />
Una complicazione negli studi della terminologia politica europea in arabo<br />
è rappresentata dal fatto che in molti casi non si hanno informazioni<br />
sufficienti a spiegare come siano stati introdotti certi termini. I<br />
neologismi inventati dagli scrittori non sono l’unica fonte per le<br />
innovazioni lessicali. Una parte de termini introdotti nell’arabo<br />
passarono anche nel mondo ottomano. In un secondo momento questi termini,<br />
che inizialmente erano stati privi di un significato politico in arabo,<br />
furono reintrodotti nel lessico arabo con il nuovo significato. (hukuma<br />
Hukumet)<br />
Un’altra categoria è costituita dai quei termini che furono creati<br />
appositamente nel mondo arabo per esprimere una nozione europea.<br />
(Kummuniyya <strong>–</strong> comunismo). Alcuni di questi termini derivano per analogia<br />
da una radice già esistente.<br />
Il nuovo ruolo della lingua araba come medium per le idee politiche influì<br />
notevolmente sulla sua posizione, ristabilendola dopo secoli di<br />
oscuramento da parte del turco. Quando alla fine del XIX secolo<br />
cominciarono ad emergere i nazionalismi arabi, essi erano inevitabilmente<br />
collegati alla lingua.<br />
La reazione alle idee politiche europee variò notevolmente di regione in<br />
regione:<br />
Egitto → enfasi sulle caratteristiche speciali della società<br />
egiziana, della sua storia e della sua cultura. Le parole chiave di<br />
questo sviluppo furono modernizzazione e riforma. Nel corso del XIX<br />
secolo la crescita della presenza politica e l’influenza dei paesi<br />
europei, nonché il loro legame con le minoranze cristiane alterarono<br />
la loro posizione dei confronti dell’Europa.<br />
La riforma del lessico<br />
le Accademie arabe hanno avuto un ruolo fondamentale del processo di<br />
modernizzazione della lingua. Queste accademie, della città di Damasco e
del Cairo, furono modellate su esempio di quella francese. Inizialmente lo<br />
scopo dell’accademia di Damasco era duplice: preservare l’integrità della<br />
lingua dall’influenza degli altri dialetti e delle lingue straniere e<br />
adattare l’arabo ai nuovi bisogni. Lo stesso vale per l’accademia del<br />
Cairo, la cui funzione principale dal 1960 fu quella di creare una nuova<br />
terminologia. Vennero proposti nuovi termini che furono introdotti<br />
attraverso un complicato processo di consultazione e deliberazione:<br />
suddivisione in vari organi, ognuno responsabile di una branca del sapere.<br />
Le parole proposte devono essere approvate dal consiglio e quelle che<br />
sopravvivono vengono pubblicate sul bollettino dell’accademia. Le<br />
accademie irachena e giordana sono più recenti e hanno avuto un ruolo meno<br />
importante nel processo di modernizzazione. La prima si interessa<br />
soprattutto di tenere viva l’eredità classica, la seconda serve come<br />
strumento di educazione in Giordania.<br />
Il problema più urgente della riforma <strong>linguistica</strong> riguarda l’espansione<br />
del lessico. Le province arabe si sono dovute confrontare all’inizio del<br />
XIX secolo con le nuove nozioni tecniche provenienti dall’Europa.<br />
L’espansione lessicale dovuta ai nuovi termini politici e tecnologici è<br />
paragonabile a quella avvenuta tra VIII e IX secolo per le traduzioni dei<br />
testi greci (medicina, logica, filosofia). La differenza maggiore tra<br />
questi due periodi è il grado di uniformità, rigidamente conservata grazie<br />
all’accademia di alMamun. Nel XX secolo invece l’espansione del lessico<br />
avvenne contemporaneamente in più centri e neanche le accademie furono in<br />
grado di uniformare i risultati del processo di espansione del lessico. In<br />
alcuni campi, soprattutto medicina e le altre materie scientifiche,<br />
vennero compilate delle liste approvate da equipes di studiosi e<br />
scienziati provenienti da vari paesi arabi. Sono stati distinti alcuni<br />
metodi per la creazione di nuovi vocaboli:<br />
Prestiti di parole straniere;<br />
Integrazione morfologica e/o fonologica delle parole straniere;<br />
Estensione analogica di una radice già esistente;<br />
Traduzioni di parole straniere;<br />
Estensione semantica di una parola già esistente.<br />
La scelta di creare nuove parole dipende da molti fattori, come per<br />
esempio la natura della nozione che deve essere tradotta e le circostanze<br />
culturali e politiche del momento. Spesso una nuova nozione viene<br />
introdotta attraverso una forma approssimata della parola straniera e<br />
spesso anche l’accostamento di parola in caratteri latini. Nonostante la<br />
presenza dei puristi della lingua, la maggioranza è favorevole ad<br />
accettare prestiti linguistici dalle lingue straniere ma solo quando<br />
queste vengono adattate foneticamente e morfologicamente all’arabo.<br />
→ la reale controversia riguarda l’utilizzo delle parole straniere come<br />
radici da cui produrre nuove derivazioni. Se nel periodo classico gli<br />
adattamenti di parole straniere erano accettati, ora le accademie arabe<br />
cercano di restringere le nuove derivazioni alla terminologia scientifica.<br />
Tuttavia il potente meccanismo di astrazione dalle radici non si è fermato
alla terminologia scientifica. Molti scrittori non hanno esitato a<br />
produrre nuove forme derivate da termini stranieri.<br />
Uno strumento utile che ha a disposizione la lingua araba per formare<br />
nuove parole è quella dell’analogia, il qiyas, che consiste<br />
nell’applicazione di uno schema morfologico preso in prestito o in una<br />
sequenza di radicali. Un altro espediente per l’espandere il lessico arabo<br />
è l’estensione semantica di una parola esistente attraverso il<br />
conferimento di un significato moderno. ( es: qitar, treno. Il suo primo<br />
significato è carovana.<br />
Molte delle proposte fatte dalle accademie non vengono accettate perché<br />
considerate troppo artificiali.<br />
L’arabo standard nel mondo moderno<br />
Sia l’espansione del vocabolario che le varietà regionali sono fattori che<br />
hanno contribuito alla graduale modificazione della lingua classica.<br />
Ideologicamente la lingua del Corano e del periodo classico è la stessa di<br />
quella moderna, ma nella pratica si possono trovare un sacco di differenze<br />
soprattutto perché molti aspetti dell’arabo classico sono diventati ormai<br />
obsoleti. Nella prosa letteraria la differenza tra arabo classico e MSA è<br />
molto meno marcata perché gli autori tendono a rendere più classico il<br />
loro stile, sia nella sintassi che nella scelta lessicale. Spesso<br />
l’utilizzo della lingua colloquiale, soprattutto nella letteratura<br />
egiziana, crea importanti differenze.<br />
Quando si legge un testo marocchino piuttosto che egiziano, si nota subito<br />
la differenza. Questo è dovuto in parte alle differenti tradizioni locali<br />
e in parte alla diversa storia coloniale. Per esempio, in Nord Africa si<br />
avverte di più l’influsso del modello francese.<br />
La reintroduzione dell’arabo come lingua ufficiale ha generato una nuova<br />
questione: qual è il suo ruolo nell’educazione? Teorie sulla<br />
semplificazione della lingua<br />
CAPITOLO 12: DIGLOSSIA E BILINGUISMO<br />
La natura della diglossia<br />
Nell’arabo scritto la scelta tra MSA e arabo colloquiale non è affatto<br />
complicata perché nello scritto viene sempre adoperato l’arabo standard<br />
nonostante la sua conoscenza sia solo parzialmente posseduta da moli arabi<br />
che, di conseguenza, infarciscono la lingua di molti errori. Questi testi<br />
sono in Medio arabo.<br />
Nella lingua parlata la situazione è ancora più complicata. Ad un primo<br />
sguardo appaiono due maggiori vaietà:<br />
lo standard classico, Fusha<br />
lingua colloquiale, ‘amiyya o, in Nord Africa, darigha.<br />
La lingua colloquiale è la lingua madre, il MSA invece viene appreso a<br />
scuola.<br />
1930 il <strong>linguistica</strong> William Marçais definì tale situazione DIGLOSSIA,<br />
→<br />
termine che aveva preso in prestito dalla letteratura riguardante gli
studi sulla situazione <strong>linguistica</strong> in Grecia. Questo termine fu ampiamente<br />
diffuso dopo il 1959 in seguito all’articolo di Charles Ferguson. Ferguson<br />
compara la situazione diglossica nel mondo arabo, ad Haiti, in Grecia e in<br />
Germania. In tutte e quattro le aree sembra esserci la stessa<br />
distribuzione funzionale tra due varietà della stessa lingua. Distinzione<br />
tra varietà bassa (L) e varietà alta (H). la varietà alta è, normalmente,<br />
quella di prestigio e coincide con la lingua della cultura, della<br />
religione, della diplomazia, dell’eredità classica. Il quadro teorico del<br />
modello di Ferguson è stato successivamente discusso e raffinato da nuovi<br />
studi:<br />
1. il modello di Ferguson restringe la nozione di Diglossia alla<br />
situazione in cui le varietà basse sono geneticamente collegate a<br />
quelle più alte, di cui rappresentano la versione semplificata.<br />
Nelle pubblicazioni più tarde queste restrizioni sono state superate<br />
e la nozione di diglossia è stata estesa a includere alcune<br />
distribuzioni funzionali delle varietà linguistiche.<br />
2. L’esistenza di una distribuzione funzionale tra le varietà non<br />
implica che tutti i parlanti abbiano lo stesso controllo su tutte le<br />
varietà. Nei casi più estremi alcuni parlanti conosco una sola<br />
varietà bassa mentre una piccola élite adopera una varietà di lingua<br />
colta, spesso una importata ( in Algeria il francese). Studiosi come<br />
Gumperz e Fishman hanno proposto di distinguere degli approcci<br />
sociolinguistici da altri psicolinguistici. Da questo punto di vista<br />
il termine diglossia, negli studi di socio<strong>linguistica</strong> indicherebbe<br />
la nozione di distribuzione funzionale delle varietà linguistiche<br />
mentre per la nozione psico<strong>linguistica</strong> di controllo di queste<br />
varietà da parte del parlante è definito come bilinguismo.<br />
3. Distinzione di due varietà discrete. Secondo Ferguson il parlante<br />
sceglie una delle due varietà attraverso il processo di codeswitching.<br />
In realtà il parlante non opta mai per una delle due<br />
varietà.<br />
Molti sforzi sono stati fatti per smantellare l’idea di Ferguson di un<br />
continuum tra i due estremi per proporre una classificazione che comprende<br />
delle varietà intermedie. Una di queste è la scaletta proposta da Badawi<br />
(appunti sul quaderno). In conclusione, solo la varietà alta e bassa<br />
possono essere considerate livelli discreti con caratteristiche ben<br />
precise. La parte centra ledi transizione non può essere suddivisa in<br />
livelli separati. .<br />
NOTA: esistono pochi dati statistici sulla correlazione tra varietà<br />
linguistiche e fattori socioeconomici:<br />
1. Blanc → studio sui dialetti di Baghdad sulla base di fattori<br />
religiosi;<br />
2. Holes dialetti del Bahrein sulla base di fattori sociali e<br />
→<br />
religiosi (sunniti = dialetto beduino/ sciiti = d. sedentario)
Il dato più significativo di questo studio risiede<br />
nell’interdipendenza tra forma <strong>linguistica</strong> e significato sociale.<br />
Questo si manifesta in quei casi in cui le forme dei Baharna,<br />
minoranza sciita, sono in accordo o disaccordo con quelle del MSA<br />
(es: termine baharna per tramonto corrisonde a quello del MSA, ma la<br />
varietà di prestigio tende a utilizzare la forma della maggioranza<br />
sunnita, ossia mgharb).<br />
3. Suleiman → uso differente delle varietà da parte di femmine e<br />
maschi. Sembra che le donne tendano a conformarsi maggiormente alla<br />
varietà di prestigio.<br />
Scelta <strong>linguistica</strong> e attitudine <strong>linguistica</strong> nella diglossia<br />
Esistono alcuni fattori extralinguistici che determinano la scelta<br />
<strong>linguistica</strong> del parlante e che sono collegati alla situazione di un<br />
preciso discorso: interlocutore, argomento e ambientazione. Questi fattori<br />
possono essere ordinati lungo una scala che va dal privato (amici in un<br />
bar) al dominio pubblico ( politico che tiene un discorso). L’influenza di<br />
questi fattori si manifesta quando in una situazione già data uno di<br />
questi cambia.<br />
Una delle caratteristiche della situazione diglossica è l’effetto che<br />
ciascun parlante esercita sull’altro. Non ci sono molti dati, ma questo<br />
cambiamento si avverte spesso nelle trasmissioni radiofoniche, televisive<br />
in cui un parlante si adegua al registro e alla varietà dell’altro (molti<br />
studi riportati da Diem attraverso l’analisi di interviste a critici<br />
letterari, segretari generali dell’accademia del Cairo). Però bisogna<br />
sottolineare il fatto che questa tendenza non è automatica: i fattori del<br />
discorso non operano meccanicamente.<br />
MANIPOLAZIONE DELLA LINGUA E DELLE SUE VARIETÀ:<br />
Per ragioni commerciali:livello della lingua viene scelto in base al<br />
genere di prodotto che si vuole vendere e ai consumatori a cui essi<br />
sono indirizzati;<br />
Per ragioni politiche: pubblico può identificarsi (uso del<br />
colloquiale), ma non deve sentirsi insultato (switch al MSA =<br />
elemento di unione del mondo arabo mentre spesso il vernacolo è un<br />
ingrediente importante per l’identità nazionale e questo lo si<br />
avverti soprattutto in Egitto). L’attitudine degli Egiziani ad<br />
adoperare la propria varietà è ben in evidenza nelle conferenze<br />
internazionali panarabiche dove i delegati egiziani non esitano ad<br />
adoperare colloquialismi mentre gli altri delegati fanno del loro<br />
meglio per evitarli. Questo, unito al fatto che la maggior parte dei<br />
film e delle soapoperas sia in egiziano ha fatto si che il dialetto<br />
egiziano nella sua varietà cairota sia compreso in tutti i paesi<br />
arabi. Un altro elemento che ha contribuito è l’alta presenza di<br />
insegnanti egiziani in molti paesi arabi.
La questione <strong>linguistica</strong> nel Nord Africa<br />
In Nord Africa la situazione è complicata dalla presenza di una seconda<br />
lingua di prestigio, vale a dire la lingua dei colonizzatori. Secondo il<br />
modello di Ferguson, questa situazione è stata spesso definita come<br />
BILINGUISMO. Secondo il nuovo modello, il rapporto sociolinguistico tra<br />
francese ed arabo può essere definito “diglossia” giacché “bilinguismo” si<br />
adopera per riferirsi al livello di padronanza di entrambe le lingue da<br />
parte dei parlanti.<br />
Durante i lunghi anni di colonizzazione francese ( Marocco 19121956,<br />
Algeria 18301862, Tunisia 18811956) la popolazione è stata continuamente<br />
bombardata dalla lingua francese. Solo una piccola parte della popolazione<br />
fu istruita e questa adottò la lingua francese e la cultura. Quando fu<br />
chiaro che questa piccola élite non sarebbe mai stata riconosciuta come<br />
facente parte della popolazione francese, si organizzò e divenne il cuore<br />
dell’opposizione. In seguito alla proclamazione dell’indipendenza il<br />
francese continuò a essere la lingua dell’istruzione in cui si insegnavano<br />
le materie “importanti”, ossia quelle scientifiche. Il processo di<br />
arabizzazione avvenne in modo diverso nei tre paesi e fu influenzato da<br />
tre fattori:<br />
1. Lunghezza della presenza francese;<br />
2. Numero dei coloni francesi;<br />
3. Presenza della minoranza berbera.<br />
TUNISIA<br />
Presenza di un’élite cospicua di bilingue; nessun ruolo importante giocato<br />
dai Berberi. Il processo di arabizzazione si focalizzò soprattutto sulla<br />
riabilitazione del dialetto tunisino e non tanto su quella del MSA.<br />
1958 → riforma del sistema scolastico: possibile scelta tra una scuola<br />
monolingue e una bilingue. I risultati furono: mancanza di materiale per<br />
l’insegnamento, mancanza di insegnanti adeguatamente preparati, desiderio<br />
dei genitori di assicurare le migliori possibilità ai propri figli. La<br />
scuola bilingue risultò la più gettonata tantoché dopo 10 anni venne<br />
eliminata la scuola monolingue. Negli ultimi anni la situazione è cambiata<br />
in favore dell’arabo. Negli anni 90 la questione <strong>linguistica</strong> è stata unita<br />
a quella religiosa con l’emergere del fondamentalismo islamico.<br />
MAROCCO<br />
Il paese presenta una comunità berbera numerosa e il francese ha rivestito<br />
a lungo un ruolo importante per le relazioni commerciali con l’Europa.<br />
Inoltre la situazione <strong>linguistica</strong> è strettamente connessa con quella<br />
politica: quando il re torno nel paese oramai indipendente, la monarchia,<br />
l’Islam e la lingua araba divennero una triade indistruttibile. Nonostante<br />
tutto il francese è ancora molto forte!<br />
ALGERIA<br />
Ha conosciuto il periodo più lungo di presenza francese nonché il numero<br />
di coloni più alto. La situazione dell’arabo è sempre stata precaria:<br />
molti tentativi furono fatti per limitare il suo utilizzo fino a quando fu<br />
proibita l’istruzione in lingua classica. Nel 1936 l’arabo venne
dichiarato lingua straniera. Quando l’istruzione non era in francese<br />
poteva essere o in berbero o in dialetto algerino.<br />
Fu subito chiaro che l’arabizzazione doveva prendere avvio<br />
dall’istruzione, mai primi tentativi furono fallimentari a causa della<br />
mancanza di insegnanti. In seguito vennero chiamati maestri dall’Egitto e<br />
dalla Siria. in seguito al colpo di stato del 1965 il processo di<br />
arabizzazione divenne il punto centrale della politica di Beoumediene. In<br />
10 anni furono fatti passi avanti soprattutto nella scuola primaria.<br />
L’introduzione dell’arabo nei mass media algerini fu estremamente connessa<br />
con il movimento islamico dominante, supportato non dal governo ma dai<br />
movimenti popolari che supportarono attivamente la sostituzione del<br />
francese con l’arabo.<br />
LIBANO<br />
Caso particolare per la presenza della comunità cristiana che già da molto<br />
tempo aveva creato un saldo rapporto con la chiesa cristiana in Europa.<br />
La scelta e l’attitudine <strong>linguistica</strong> in Nord Africa<br />
I dati dimostrano che nei paesi del Nord Africa ci sono due varietà di<br />
prestigio che competono per lo stesso dominio: MSA e francese. Bentahila<br />
ha dimostrato con i suoi studi che colui che parla francese è considerato<br />
dalla maggioranza come persona raffinata, acculturata, moderna,<br />
sofisticata e importante mentre quando la stessa persona parla in arabo<br />
suggerisce un’idea di socievolezza e affabilità. Un tratto interessante è<br />
che le stesse persone considerano negativamente la mescolanza di codici.<br />
Ci sono molte discrepanze sulle risposte dei testimoni consultati da<br />
Bentahila: insegnamento delle materie scientifiche dovrebbe essere in<br />
arabo, ma preferenza del francese, etc etc.<br />
Negli studi sulla scelta <strong>linguistica</strong> viene menzionato raramente il berbero<br />
e la sua posizione marginale è da rintracciare negli effetti della<br />
colonizzazione francese.<br />
Integrazione di prestiti francesi nell’arabo marocchino diklara <strong>–</strong><br />
→<br />
Ydiklari dal francese déclarer// dush il cui genere è determinato dalla<br />
presenza o assenza di una vocale finale