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ISTOLOGIA - The Microscope

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File: <strong>ISTOLOGIA</strong>, 50-81<br />

<strong>ISTOLOGIA</strong><br />

E’ la disciplina che studia i tessuti. In biologia un tessuto si può definire come un “insieme coerente di<br />

cellule con struttura uguale o simile, adibite a funzioni generali dello stesso tipo”. Data la corrispondenza<br />

fra struttura e funzione, la classificazione dei tessuti è insieme morfologica e fisiologica.<br />

I tipi fondamentali di tessuto sono quattro:<br />

1) Tessuto epiteliale. 2) Tessuto connettivo. 3) Tessuto muscolare. 4) Tessuto nervoso.<br />

I tessuti si associano a dare complessi funzionali di ordine superiore, gli organi, oggetto di studio<br />

dell’anatomia microscopica; in ogni organo prevale in genere un tessuto, che gli conferisce la funzione<br />

fondamentale. Ad esempio il fegato, col connettivo della capsula e dei setti interni, con i vasi sanguigni<br />

(alcuni provvisti di muscolatura liscia) ecc., è però caratterizzato morfologicamente e funzionalmente<br />

dall’epitelio ghiandolare.<br />

TESSUTO EPITELIALE: è costituito da cellule di forma geometrica relativamente regolare<br />

a contatto fra di loro, con spazi intercellulari assai ridotti ma ben visibili al ME. La forma più semplice<br />

di epitelio è una lamina di uno o più strati di cellule che riveste superfici esterne (epidermide) o interne<br />

(mucose, sierose, endoteli) del corpo: epiteli di rivestimento. Da questi epiteli derivano strutture specializzate<br />

nella secrezione esocrina o endocrina, epiteli ghiandolari, o in altre funzioni che ne rendono irriconoscibile<br />

l’origine, epiteli trasformati.<br />

EPITELI DI RIVESTIMENTO: lamine epiteliali, prive di vascolarizzazione, hanno rapporto intimo<br />

e costante col connettivo su cui poggiano, indispensabile per il loro trofismo; il connettivo infatti porta i<br />

capillari sanguigni da cui diffonde il “liquido tissulare”, che deve raggiungere e nutrire tutte le cellule (vedi<br />

pag. 59). Così l’epidermide poggia sul “derma”, gli epiteli interni (mucose) sulle loro “tonache proprie”.<br />

Membrana basale: fra epitelio e connettivo è interposta la membrana basale, sottile struttura extracellulare<br />

prodotta dalle stesse cellule epiteliali. Al MO è un esile strato continuo, aderente alla parte profonda<br />

(“basale”) dell’epitelio, evidenziabile con la reazione PAS o con l’impregnazione argentica. Al ME consta<br />

di due parti: lamina basale e lamina reticolare; la prima si compone di uno strato moderatamente elettrondenso,<br />

lamina lucida (o rara), a stretto contatto col plasmalemma basale delle cellule soprastanti;<br />

l’altra, lamina densa, ne segue anch’essa fedelmente il decorso. La lamina basale è una sorta di complesso<br />

glicocalice, dello spessore di 50-100 nm, contenente le proteine laminina ed entattina, e il proteoglicano<br />

perlecano. La laminina è una glicoproteina estrinseca, legata a integrine, costituita da tre protomeri elicati<br />

con asse a comune ad un’estremità, separati all’altra (praticamente disposti a croce latina); tramite<br />

l’entattina, svolge funzione di ancoraggio del plasmalemma delle cellule epiteliali alle fibre che compongono<br />

l’altra componente, la lamina reticolare. La lamina reticolare, che manca in diverse sedi (alveoli<br />

polmonari, glomeruli renali ecc.), non segue le pieghe più sinuose del plasmalemma. E’ costituita da una<br />

“graticciata” di fibre collagene, componenti argirofile della membrana basale, che al ME si presentano<br />

come microfibrille del diametro di 40 nm con bandeggiatura di periodo 67 nm (vedi pag. 60).<br />

Giunzioni intercellulari: negli epiteli fra cellule adiacenti c’è sempre uno spazio di qualche diecina di<br />

nm, utilizzato per la diffusione del liquido tissulare soprattutto nel caso di cellule disposte in più strati. La<br />

coesione meccanica e lo scambio di messaggi fra cellule è garantita da giunzioni cellulari, strutture circoscritte<br />

del plasmalemma, di vario tipo: desmosomi, terminal bar, nexus.<br />

Desmosoma: in molti epiteli, soprattutto nell’epidermide, si individuano delle strutture cromofile simili<br />

a spine che trapassano da una cellula all’altra. Al ME si è chiarito che non ci sono rapporti di continuità<br />

fra le cellule, ma una strettissima contiguità tramite strutture dette desmosomi. Fra cellula e cellula<br />

resta un labirinto di spazi interspinosi in cui diffonde il “liquido tissulare”.<br />

Il desmosoma è una struttura bipartita, formata dalla giustapposizione di due estroflessioni tronco-coniche<br />

di due cellule contigue che si affrontano con una superficie a disco; in sezione trasversa i due plasmalemmi<br />

in questa zona presentano andamento rigorosamente parallelo e rettilineo. Le membrane sembrano<br />

più spesse, perché rinforzate sul versante citoplasmatico da una placca densa discoidale (di proteine dette<br />

desmoplacchine e placoglobine); su questa convergono fasci di tonofilamenti (microfilamenti di cheratina<br />

di diametro 11 nm), che la attraversano con un caratteristico decorso ad ansa stretta. Fra le due mem-<br />

- 50 -<br />

Isto001c<br />

Isto002<br />

Isto003<br />

Isto004<br />

Isto005cr<br />

Isto006<br />

Isto007


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brane resta uno stretto interstizio di 24-30 nm, percorso da una linea intermedia elettrondensa, strato mediano.<br />

Tale strato è costituito da proteine transmembrana della famiglia delle caderine (desmogluine e desmocolline)<br />

che si originano nelle placche, sui due versanti, attraversano il plasmalemma e si connettono<br />

fra di loro con un’espansione terminale. Ca ++ lega le teste delle caderine ed è indispensabile per l’efficacia<br />

della giunzione. Il complesso sistema di microfilamenti scarica le forze di trazione sull’intero citoscheletro<br />

di ciascuna delle due cellule. Alla base degli epiteli si trovano emidesmosomi, con integrine al posto delle<br />

caderine, per agganciare plasmalemma e citoscheletro alla membrana basale.<br />

Terminal bar: cellule che hanno specializzazioni apicali, o hanno comunque una certa altezza, stabiliscono<br />

rapporti ancor più complessi. Con l’ematossilina ferrica queste cellule mostrano in prossimità della<br />

superficie libera un collare cromofilo che lega ogni cellula alle circonvicine: terminal bar (o listerella di<br />

chiusura); il ME ha evidenziato un complesso giunzionale costituito da tre componenti:<br />

1) Zonula occludens (o tight junction, giunzione stretta, giunzione occludente): circonda ad anello gli apici<br />

cellulari. Le prime immagini facevano pensare a fusione dei versanti esterni dei plasmalemmi (giunzione<br />

pentalaminare); immagini migliori al TEM fanno apparire le membrane cementate per punti. Col<br />

criodecappaggio si vede una rete di rilievi sulla faccia citoplasmatica della membrana, costituita da file di<br />

proteine intrinseche, claudine e occludine (caderine), che si corrispondono nei due plasmalemmi e che si<br />

congiungono testa-testa; associati alla rete ci sono filamenti intracitoplasmatici di actina, legati alle caderine<br />

con catenine. La rete può essere stirata, compressa, distorta, senza che perda la sua capacità di saldatura.<br />

Oltre a sigillare lo spazio, le giunzioni occludenti formano una barriera fra la membrana apicale e<br />

quella basale e laterale, strutturalmente e funzionalmente diverse.<br />

2) Zonula adhaerens (o giunzione intermedia): le membrane si portano a distanza di 15-20 nm, rinforzate<br />

internamente da un anello di microfilamenti di actina (7 nm), collegati a caderine E tramite vinculine (individuate<br />

anche altre proteine: α, β, γ-catenine, α-actinina ecc). A quell’altezza un apparato fibrillare,<br />

terminal web, attraversa l’apice delle cellule munite di microvilli. La giunzione forse serve a chiudere le<br />

lacune che si formano nell’epitelio quando le cellule morte si distaccano.<br />

3) Macula adhaerens: desmosoma, anzi, fila di desmosomi parallela alle due zonule soprastanti.<br />

Nexus: fra le cellule epiteliali (ma anche fra cellule muscolari e nervose) si trova infine anche un altro<br />

tipo di giunzione, con significato funzionale diverso, detta, oltre che nexus, anche gap junction (o macula<br />

communicans, giunzione serrata, g. comunicante, g. facilitante intervallata). Le membrane al ME appaiono<br />

distanti solo 2 nm; col criodecappaggio si vede che ogni membrana contiene sistemi di 6 unità globulari,<br />

connessoni (connessina è la proteina tetrapasso che costituisce ogni singola unità), fittamente stipati, attraversati<br />

da un canale centrale idrofilo, ortogonale rispetto all’andamento della membrana e corrispondente<br />

ad un canale identico della membrana giustapposta. Sono zone di diffusione e scambio ionico (inibite<br />

dal Ca ++ ) che trasmettono impulsi da una cellula all’altra.<br />

Criteri classificativi degli epiteli di rivestimento:<br />

1) Numero di strati cellulari: A) Epiteli semplici (o monostratificati). B) Epiteli composti (o pluristratificati).<br />

2) Forma delle cellule dell’unico strato o dello strato più superficiale: A) Epiteli pavimentosi (o squamosi).<br />

B) Epiteli cubici. C) Epiteli prismatici (o cilindrici).<br />

EPITELI SEMPLICI<br />

- Epitelio pavimentoso semplice: è simile ad un impiantito di mattonelle poligonali, di cui si possono<br />

osservare bene i limiti con impregnazione argentica. In sezioni ortogonali rispetto alla superficie si può osservare<br />

che le cellule, molto appiattite, sono leggermente bombate in corrispondenza del nucleo discoidale<br />

(che non sempre apparirà nelle sezioni). L’esempio più importante è costituiti dagli alveoli polmonari;<br />

molto estesi sono gli endoteli (vedi connettivi cellulari, pag. 66) e le sierose (o mesoteli: pleure, pericardio,<br />

peritoneo), che per origine embriologica non sono però veri epiteli.<br />

Alveoli polmonari: sono piccole cavità sferiche piene d’aria, al cui livello avvengono gli scambi respiratori.<br />

A contatto con l’epitelio pavimentoso della parete degli alveoli, il cui spessore è inferiore al li<br />

mite di risoluzione del MO, ci sono le estreme ramificazioni dell’albero circolatorio, capillari rivestiti da<br />

endotelio. L’aria inspirata cede O2 al sangue, che diviene arterioso, e ne riceve CO2. Nello scambio debbono<br />

essere superate diverse barriere: epitelio (bagnato da un velo liquido), membrana basale dell’epitelio,<br />

membrana basale del capillare, endotelio vasale. Oltre alle cellule pavimentose, dette pneumociti I, nella<br />

parete degli alveoli si osservano cellule alte, pneumociti II (detti anche cellule settali o alveolari), che<br />

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Isto008r<br />

Isto009c<br />

Isto010<br />

Isto011<br />

Isto012<br />

Isto013<br />

Isto014<br />

Isto015<br />

Isto016<br />

Isto017c<br />

Isto018<br />

Isto019


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hanno il compito di secernere la sostanza surfactante (costituita dalle proteine surfactanti A,B,C,D e ricca<br />

di fosfatidilcolina); il secreto è un tensioattivo che abbassa la tensione superficiale del velo liquido che<br />

copre gli pneumociti, e gli impedisce così di comportarsi da membrana elastica e di indurre collassamenti<br />

o rotture di alveoli di dimensioni diverse ad ogni atto respiratorio. Nel lume degli alveoli si trovano poi<br />

macrofagi liberi, fagociti alveolari (o cellule da polvere).<br />

- Epitelio prismatico semplice: è formato da cellule prismatiche alte (batiprismatiche) con nuclei ellissoidali<br />

circa alla stessa altezza - L’epitelio dello stomaco, mucosa gastrica, che si introflette in fossette<br />

gastriche, è un complesso secernente la cui citologia è descritta negli “epiteli ghiandolari” - L’epitelio<br />

dell’intestino, mucosa intestinale, ha invece funzione assorbente; nel duodeno e nell’intestino medio si<br />

solleva in villi intestinali, entità coniche (ma appiattite in direzione antero-posteriore), che ne aumentano<br />

la superficie; nell’intestino crasso non ci sono villi, ma un complesso sistema di pliche. Le cellule principali<br />

che compongono l’epitelio, enterociti, al MO presentano all’apice una sorta di cuticola, risolta dal<br />

ME in un orletto di microvilli (0,1x0,8-1,5 µm; vedi plasmalemma). I microvilli, più di 3.000 per cellula,<br />

aumentano di oltre 25 volte la superficie assorbente; abbondantissimo il glicocalice, ricco di enzimi, soprattutto<br />

permeasi ma anche enzimi litici (i trigliceridi ad esempio vengono scissi da lipasi del plasmalemma,<br />

assorbiti e risintetizzati all’interno nel SER). Fra gli enterociti sono intercalate cellule mucipare<br />

caliciformi, via via più frequenti progredendo verso il retto fino a diventare predominanti nel crasso, che<br />

coprono l’epitelio con un velo di muco acido lubrificante - L’epitelio delle tube uterine è prismatico semplice<br />

ciliato, come alcuni tratti delle vie aeree (piccoli bronchi).<br />

EPITELI COMPOSTI: hanno funzione eminentemente protettiva.<br />

A) Epitelio pavimentoso (o squamoso) composto: le cellule aderenti alla membrana basale, che costituiscono<br />

lo strato basale (o germinativo) sono prismatiche; poi vengono alcuni strati di cellule poliedriche<br />

e infine, in superficie, gli strati di cellule pavimentose che danno il nome all’epitelio. Varie “mucose” che<br />

rivestono cavità comunicanti con l’esterno presentano questo tipo di epitelio (cavo orale, esofago, retto,<br />

vagina), ma l’esempio più complesso è l’epidermide, con lo strato superficiale corneificato:<br />

Epidermide: è un epitelio pavimentoso composto “corneificato”; nelle forme terrestri dei vertebrati le<br />

cellule più superficiali, esposte all’aria, si riempiono di cheratina e muoiono, trasformandosi in laminette<br />

cornee. La cheratinizzazione rende l’epidermide resistente e impermeabile; impedisce la disidratazione<br />

dell’organismo nell’aria e nell’acqua di mare, e l’idratazione nell’acqua dolce. I pesci hanno invece epitelio<br />

prismatico composto, rivestito da una cuticola protettiva e da muco prodotto da cellule intraepiteliali.<br />

L’epidermide dei Mammiferi, più o meno spessa a seconda delle zone, è sempre composta da due strati:<br />

strato malpighiano e strato corneo.<br />

- Nello strato malpighiano si individuano tre componenti:<br />

1) Strato basale (o germinativo): fila di cellule prismatiche, spesso in mitosi per compensare l’usura superficiale;<br />

le nuove cellule sono spinte nei piani superiori per vis a tergo e nel salire si differenziano. Il<br />

rapporto col derma sottostante (tramite una membrana basale cui le cellule si ancorano con emidesmosomi)<br />

avviene secondo una superficie tanto più sviluppata quanto più l’epitelio è alto, per la presenza di cavità<br />

in cui si insinuano papille dermiche, estroflessioni coniche del connettivo; l’estensione della superficie<br />

si adegua infatti alle necessità trofiche dell’epitelio. Cellule di Merkel avvolgono terminazioni nervose<br />

discoidali, con funzione recettrice pressoria; terminazioni nervose libere, termiche tattili e dolorifiche, penetrano<br />

attraverso la membrana basale e si ramificano negli spazi interspinosi dei piani cellulari soprastanti;<br />

la pelle è infatti anche un importantissimo organo di senso. - 2) Strato spinoso: formato da cheratinociti,<br />

cellule poliedriche disposte in vari piani, che accumulano nel loro citoplasma tonofibrille di α-cheratina,<br />

riunite in fascetti fortemente colorabili. Al MO, con l’ematossilina ferrica, si vedono, numerosissime,<br />

le “spine” che danno il nome allo strato, corrispondenti a desmosomi. I cheratinociti contengono anche<br />

pigmento melanico, organizzato in melanosomi; questi inclusi vengono ceduti per “citocrinia” dai prolungamenti<br />

dei melanociti, cellule ramificate inserite nello strato malpighiano (un melanocita manda prolungamenti<br />

a circa 36 cheratinociti). I cheratinociti contengono anche granuli lamellari, provenienti dal<br />

Golgi, che vengono via via secreti e, con i loro lipoidi anfipatici, riempiono gli spazi interspinosi rendendo<br />

impermeabili gli strati superiori dell’epidermide. Altro tipo cellulare di questo strato è rappresentato dalle<br />

cellule di Langerhans; ramificate anch’esse e perciò a lungo considerate melanociti esauriti, hanno invece<br />

funzione immunitaria (sono macrofagi mobili con MHC di II classe, vedi istiociti a pag. 61). Senza desmosomi<br />

né tonofilamenti, al ME presentano caratteristici corpi vermiformi, che spesso, dilatati ad<br />

un’estremità, assumono una forma a racchetta. - 3) Strato granuloso: 1-3 piani di cellule appiattite con<br />

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Isto020<br />

Isto021c<br />

Isto022<br />

Isto023c<br />

Isto024cr3<br />

(Cito056)<br />

(Cito057)<br />

Isto025c<br />

Isto026<br />

Isto027c<br />

Isto028<br />

Isto029r<br />

Isto030<br />

Isto031<br />

Ist032c<br />

Isto033


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citoplasma stipato di granuli amorfi e irregolari, fortemente cromofili, di cheratina amorfa (cheratoialina)<br />

addensata sui fasci delle tonofibrille; le cellule presentano segni di involuzione: nuclei in dissoluzione, citoplasma<br />

infarcito di granuli e tonofibrille, plasmalemma ispessito.<br />

Nelle descrizioni al M.O. si parla anche di uno strato lucido, non costante (e non riconoscibile al ME),<br />

linea chiara e trasparente di 1-2 piani di cellule appiattite ormai prive di nucleo.<br />

Lo strato corneo è costituito da cellule morte (corneociti), con plasmalemma internamente ispessito da<br />

uno strato elettrondenso di 15 nm (contenente le proteine involucrina e loricina), unite in gruppi a formare<br />

scaglie cornee, ancora aderenti fra loro grazie a desmosomi con linea mediana ispessita e che soltanto in<br />

superficie si desquamano in forfora (stratum disjunctum).<br />

- Epitelio prismatico composto: è formato da più piani di cellule poliedriche e da uno strato superficiale<br />

di cellule prismatiche. Fra gli esempi più significativi ci sono le mucose delle “vie aeree” (fosse nasali, faringe,<br />

laringe, trachea, bronchi), con epitelio “ciliato” (vedi ciglia, pag. 30). Le cellule che guardano il lume<br />

presentano ciglia apicali già a cominciare dai bronchioli respiratori, cubici semplici; via via che i condotti<br />

si ispessiscono anche l’epitelio diventa sempre più alto, passando da cubico a prismatico semplice, a<br />

pluriseriato e infine a prismatico composto. Intercalate nell’epitelio, cellule mucipare caliciformi forniscono<br />

glicoproteine che si disperdono nel velo liquido superficiale, arricchito dal secreto di ghiandole alloggiate<br />

nel connettivo sottostante. Il muco, viscoso, impedisce l’essiccamento e ingloba polveri, pollini e<br />

batteri trasportati dall’aria, che vengono poi trascinati verso l’esofago dal battito ciliare. Nei fumatori<br />

l’epitelio si modifica: tende a perdere le ciglia e a diventare pavimentoso composto, ma anche laddove<br />

rimangono le ciglia il loro battito è bloccato e il muco ristagna e si accumula (provocando la tipica tosse<br />

dei fumatori e, col tempo, enfisema polmonare).<br />

- Epitelio di transizione: riveste le vie urinarie (calici e pelvi renali, ureteri, vescica). Sono tutte strutture<br />

cave soggette a forti variazioni volumetriche cui l’epitelio deve tener dietro assumendo aspetto diverso<br />

a seconda che sia a riposo o disteso: a riposo presenta uno strato basale di cellule tozze, alcune delle quali<br />

in mitosi; poi più file di cellule clavate, con parte basale assottigliata e apice slargato contenente il nucleo;<br />

in superficie ci sono infine cellule a cupola, spesso binucleate, con membrana plasmatica caratteristica,<br />

più spessa (12 nm), a linea spezzata per la presenza di segmenti rigidi, impermeabile; vescicole fusiformi,<br />

apicali, hanno membrana identica al plasmalemma e foggia poligonale. Nell’epitelio disteso le cellule clavate<br />

degli strati superiori si insinuano fra le cellule dello strato basale e il numero di strati si può ridurre a<br />

due, quello basale di cellule cubiche, quello adluminale di cellule a cupola appiattite ed enormemente estese<br />

in superficie, grazie anche alle vescicole fusiformi che vengono incorporate nel plasmalemma.<br />

EPITELI TRASFORMATI: sono strutture di origine epiteliale, ma irriconoscibili come tali; se ne<br />

chiarisce la natura osservandone lo sviluppo. Sono: il cristallino dell’occhio, lo smalto dei denti (in realtà<br />

secrezione di un epitelio che si trova nel cosiddetto “organo dello smalto”) e varie strutture cornee, persistenti<br />

(unghie, artigli, zoccoli, corna, becco, squame) o che cadono a intervalli più o meno lunghi, riformandosi<br />

ad opera di una matrice permanente di cellule indifferenziate (penne, peli).<br />

EPITELI GHIANDOLARI: sono composti da cellule specializzate per la secrezione, esocitosi,<br />

cellule che possono mantenere posizione epiteliale, ma più spesso costituiscono “ghiandole”, entità anatomiche<br />

che derivano da proliferazione e trasformazione degli epiteli di rivestimento. Le cellule secernenti<br />

assumono sostanze semplici (aminoacidi, monosaccaridi ecc.) ed elaborano sostanze in genere complesse<br />

(proteine, glicoproteine ecc.) che riversate all’esterno svolgono compiti utili per l’organismo che le ha<br />

prodotte. Sono cellule polari, con nucleo basale circondato da RER, Golgi sovranucleare e granuli apicali<br />

di secreto (l’esempio classico è quello della cellula pancreatica).<br />

Si tratta sempre di esocitosi regolata, con vescicole di origine golgiana che si ingranano col plasmalemma<br />

riversando all’esterno il loro contenuto solo in seguito a stimolazione nervosa o ormonale.<br />

L’emissione avviene per “cicli secretori”, nel corso dei quali il materiale accumulato può essere anche esaurito<br />

completamente. Alla secrezione regolata quindi segue un periodo di recupero in cui, dopo il ripristino<br />

della carica di RNA necessaria, si ha la sintesi di nuovi accumuli di secreto. Il ciclo assorbimentoelaborazione-secrezione,<br />

si ricostruisce in base a successione di immagini statiche colte nei preparati istologici;<br />

tecnica particolarmente adatta, la autoradiografia dopo somministrazione di uridina o di aa tritiati.<br />

Pratica utilissima per una corretta ricostruzione del ciclo è la sincronizzazione dell’attività delle cellule<br />

dell’organo studiato: in una ghiandola che ha scaricato il secreto si può seguire l’intero processo di risintesi<br />

mediante autoradiografie, per gli RNA con uridina tritiata, per le proteine con aa marcati: con uridina si<br />

vede che nel pancreas gli RNA sono pronti in poche diecine di minuti; somministrando leucina tritiata si<br />

- 53 -<br />

(Isto031)<br />

Isto034<br />

Isto035c<br />

Isto036c<br />

Isto037c<br />

Isto038<br />

Isto039r<br />

Isto040c


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può osservare che già dopo 5’ la radioattività è localizzata nel RER, ove il prodotto viene internalizzato<br />

nel compartimento interno; dopo 20’ è nel Golgi; dopo 1 h nei granuli di secreto. Se il secreto ha una<br />

componente glicidica, somministrando glucosio tritiato lo si trova nel Golgi dopo soli 5’.<br />

ORGANIZZAZIONE ISTOLOGICA: le cellule ghiandolari hanno in genere natura epiteliale, talvolta<br />

nervosa; possono essere singole o in gruppi, scaglionate negli epiteli di rivestimento, o formare complessi<br />

cellulari in posizione extraepiteliale a costituire parenchima ghiandolare.<br />

Si distinguono ghiandole esocrine e ghiandole endocrine. Le prime, dette anche “a secrezione esterna”,<br />

riversano il secreto all’esterno dell’organismo o in cavità comunicanti con l’esterno, mediante dotti<br />

escretori, canali che le collegano all’epitelio di origine e che convogliano il secreto. Le gh. endocrine, “a<br />

secrezione interna”, sono prive di dotti e riversano il secreto in capillari sanguigni. Entrambi i tipi di<br />

ghiandole derivano da epiteli di rivestimento in cui si sviluppano gemme epiteliali che si approfondano nel<br />

connettivo sottostante; nelle gh. esocrine il parenchima si organizza in unità secernenti provviste di una<br />

cavità centrale, gli adenomeri, mentre il tratto di connessione con l’epitelio di origine rimane a dare il<br />

dotto escretore; nelle gh. endocrine invece la connessione fra epitelio e parenchima scompare.<br />

SECREZIONE ESOCRINA<br />

1) Cellule mucipare caliciformi: sono intercalate a cellule epiteliali con funzione diversa, laddove è<br />

sufficiente un’attività secretoria modesta. Esempi: vie aeree, intestino.<br />

Sono cellule con un sottile stelo basale, nucleo triangolare circondato da poco citoplasma intensamente<br />

basofilo e sovrastato da un grosso Golgi e da un apice espanso ripieno di gocce di mucigeno, PAS-positive<br />

e metacromatiche, circondate da una sottile teca citoplasmatica. Al ME si osserva che la basofilia della<br />

parte profonda è dovuta a RER, ma anche a ribosomi liberi, e si distinguono meglio le numerose gocce di<br />

mucigeno, che nei preparati per il MO talvolta si fondono fra di loro. Il mucigeno è il precursore della mucina,<br />

costituito da glicoproteine acide (sialomucine) che disperse in acqua formano il muco, soluzione con<br />

vari ruoli: idratante, lubrificante, protettivo nei confronti di enzimi litici (intestino), viscoso per inglobare<br />

corpuscoli estranei da espellere (vie aeree). Si ammette che l’emissione del secreto possa essere continua e<br />

graduale oppure massiva; nel primo caso si ha ingranamento della membrana dei singoli granuli col plasmalemma;<br />

nel secondo caso tutto il secreto viene espulso in una sola volta, dopo essersi fuso in una sola<br />

goccia, la teca si svuota e la cellula acquista una forma prismatica; nella lunga fase di recupero, gradualmente,<br />

verrà assunta di nuovo la forma a calice.<br />

2) Ghiandole esocrine intraepiteliali: si tratta di gruppetti di cellule mucipare inclusi nello spessore<br />

di epiteli prismatici composti e disposti a formare un lume in cui viene riversato il secreto.<br />

3) Epiteli secernenti: sono gli epiteli prismatici semplici della mucosa gastrica e delle vescicole seminali;<br />

le cellule della mucosa gastrica secernono mucigeno composto da glicoproteine neutre (PASpositive<br />

e ortocromatiche); il muco protegge le pareti stesse dello stomaco dai succhi gastrici prodotti dalle<br />

ghiandole annesse alla mucosa; queste, numerosissime, si aprono in fossette gastriche, introflessioni tubulari<br />

regolarmente intervallate.<br />

4) Ghiandole esoepiteliali: si tratta di cellule associate in adenomeri circondati da connettivo e collegati<br />

all’epitelio di origine per mezzo di dotti. Si classificano in base all’aspetto istologico (A) e al tipo di<br />

secrezione (B):<br />

A) Forma degli adenomeri: I) Ghiandole tubulari: adenomeri allungati con cavità evidente; la varie-tà<br />

“glomerulare” ha l’adenomero molto lungo avvolto a gomitolo. - II) Ghiandole acinose: adenomeri sferici<br />

con lume molto ridotto. - III) Ghiandole alveolari (o otricolari): adenomeri sferici con lume molto ampio.<br />

- IV) Ghiandole tubulo-acinose: adenomeri tubulari la cui estremità è espansa ad acino. Grado di complicazione<br />

del dotto: A) Ghiandole semplici: solo adenomero e un solo dotto escretore. - B) Ghiandole<br />

ramificate: più adenomeri che sboccano in un unico dotto. - C) Ghiandole composte: più adenomeri,<br />

ciascuno drenato da un ramo di un dotto più volte ramificato.<br />

B) Modalità di elaborazione del secreto: I) Ghiandole merocrine: le cellule secernenti conservano citoplasma<br />

integro durante l’emissione del secreto. - II) Ghiandole apocrine: viene perso parte del materiale<br />

citoplasmatico apicale per emettere all’esterno gocce lipidiche (al ME il fenomeno appare molto più limitato<br />

di quello che si riteneva in base alla microscopia ottica). - III) Ghiandole olocrine: le cellule accumulano<br />

nel citoplasma forti quantità di materiale di secrezione e, disgregandosi, divengono esse stesse secreto.<br />

In quest’ultimo caso, rappresentato essenzialmente dalle gh. sebacee, acinose ramificate, gli adenomeri<br />

sono sempre a più strati di cellule, perché devono avere cellule indifferenziate poste alla periferia<br />

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File: <strong>ISTOLOGIA</strong>, 50-81<br />

dell’adenomero per formare nuovi elementi; il secreto, sebo, è una sorta di “crema” composta da lipidi e<br />

proteine amorfe, con funzione lubrificante, protettiva, antibatterica (pH 5,6). Natura del prodotto di secre<br />

zione: I) Ghiandole sierose o zimogeniche: secernono enzimi. - II) Ghiandole mucose o azimogeniche:<br />

secernono mucina. - III) Ghiandole miste: il secreto ha entrambe le componenti, mucosa e sierosa. Il criterio<br />

vale solo per le ghiandole merocrine che sboccano a livello delle mucose. Ad esempio le ghiandole<br />

sudoripare – tubulari semplici glomerulari (annesse alla cute, come le sebacee) – secernono sudore, liquido<br />

ipotonico con funzione di termoregolazione (evaporando sottrae calore al corpo), che ovviamente non è<br />

compreso in nessuna delle tre categorie; l’adenomero presenta però anche alcune cellule a secrezione mucosa<br />

per lubrificare il dotto escretore.<br />

Nelle ghiandole composte il parenchima è suddiviso da setti connettivali in lobi, lobuli e lobuli microscopici<br />

(formati da adenomeri). Il connettivo fa da sostegno al parenchima e porta alle cellule secernenti<br />

vasi per il trofismo e terminazioni nervose per la regolazione della secrezione; queste ultime attraversano<br />

la membrana basale che circonda gli adenomeri e giungono a diretto contatto con la base delle<br />

cellule. Quanto al dotto escretore, ad un dotto principale seguono grosse ramificazioni, dotti lobari, che<br />

poi si ramificano ulteriormente in dotti interlobulari, intralobulari di vario ordine e infine intercalari (o<br />

terminali). Nei dotti intercalari l’epitelio è pavimentoso semplice, poi, via via che aumenta il calibro, diviene<br />

cubico, prismatico, pluriseriato e infine prismatico composto.<br />

Esempi – Gran parte della casistica offerta dalla classificazione si trova nelle ghiandole dell’apparato<br />

digerente: ghiandole salivari, ghiandole gastriche e pancreas.<br />

Ghiandole salivari: ci sono tre salivari maggiori (pari), parotide, sottomascellare (o sottomandibolare)<br />

e sottolinguale, e numerose salivari minori che sboccano nel cavo orale. Nel secreto, saliva, oltre a<br />

mucina (composta da glicoproteine ricche di fucosio, 6-desossigalattosio), ci sono sali minerali, un’amilasi<br />

(diastasi o ptialina), lisozima e qualche altra proteina (ad esempio IgA); la secrezione è merocrina.<br />

La parotide, peraltro abbastanza simile alla componente esocrina del pancreas ma ben riconoscibile per<br />

vari caratteri istologici, produce come quest’ultimo un secreto esclusivamente sieroso, la sottomandibolare<br />

un secreto misto, prevalentemente sieroso, la sottolinguale un secreto misto, prevalentemente mucoso<br />

(le ultime due hanno dotto principale a comune nell’ultimo tratto).<br />

Gli adenomeri hanno cellule con forma a tronco di piramide; quelli sierosi, acinosi, hanno lume molto<br />

ridotto e cellule con nucleo basale sferico, circondato da citoplasma basofilo per l’abbondanza di RER;<br />

sopra il nucleo, il Golgi e, all’apice, granuli di zimogeno. Fra le cellule si osservano (al ME o con tecniche<br />

particolari) capillari di secrezione, canalicoli scavati fra cellula e cellula che sboccano nel lume dell’adenomero.<br />

Alcune salivari minori hanno adenomeri a secrezione esclusivamente mucosa, tubulari, con lume<br />

evidente; le cellule mucipare hanno nuclei appiattiti, compressi verso la base e al di sopra pile di Golgi<br />

e grosse gocce di mucigeno (PAS-positivo e metacromatico). Nelle salivari miste accanto ad adenomeri<br />

meramente sierosi si hanno adenomeri misti, tubuloacinosi, con cellule mucose nella parte prossimale, tubulare,<br />

e un gruppo di elementi sierosi sul fondo arrotondato dell’adenomero, che nelle sezioni appaiono<br />

disposte a formare le semilune di Giannuzzi.<br />

Nei dotti intercalari delle gh. salivari l’epitelio all’inizio è pavimentoso, ma dopo un breve tratto diventa<br />

bruscamente prismatico, nei cosiddetti condotti striati (o salivari), dove le cellule presentano nella parte<br />

basale una caratteristica striatura, dovuta a infoldings piene di mitocondri (il che fa definire l’epitelio “bacillare”).<br />

I dotti striati modificano la composizione ionica del secreto emesso dagli adenomeri, determinando<br />

la composizione definitiva della saliva.<br />

Ghiandole gastriche: i criteri classificativi non contemplano la secrezione di elettroliti, che comporta<br />

sviluppo di membrana (per le pompe ioniche) e abbondanza di mitocondri (per l’ATP). Nelle ghiandole<br />

gastriche, tubulari ramificate, si trovano cellule parietali che emettono ioni H + e Cl − (in due fasi: prima<br />

emettono Na + e Cl − , poi scambiano il Na + con H + ) ed hanno caratteri morfologici in sintonia con la loro<br />

funzione (molti mitocondri, microvilli); sono mischiate a cellule principali che secernono enzimi (pepsina<br />

e rennina) e hanno quindi citologia per la secrezione “regolata” proteica merocrina (RER, Golgi, granuli).<br />

Pancreas: il pancreas è caratterizzato dalla presenza di una componente endocrina, gli isolotti, circondati<br />

dal parenchima esocrino fortemente basofilo. Nel secreto del pancreas esocrino, succo pancreatico, ci<br />

sono proteasi (tripsina, catepsina A ecc.), lipasi, glicosidasi e amilasi, RNA-asi, DNA-asi, tutti enzimi che<br />

funzionano a pH alcalino. L’ambiente basico viene creato dal pancreas stesso, prima di emettere gli enzimi,<br />

con la secrezione di NaHCO3 (NaHCO3 + H + + Cl − Na + + Cl − + H2O + CO2).<br />

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Ghiandola mammaria: annessa alla cute, come le ghiandole sebacee e sudoripare, è in realtà un corpo<br />

ghiandolare, cioè l’insieme di 15-25 ghiandole, dette impropriamente “lobi”, con sbocchi indipendenti<br />

ravvicinati; ogni ghiandola, in attività, è alveolare composta. Rudimentali nell’età prepubere, le mammelle<br />

si sviluppano nella femmina sotto l’influsso di estrogeni, progestinici, STH e ormoni corticosurrenalici,<br />

ma solo per quel che riguarda i dotti, immersi in abbondante tessuto adiposo.<br />

Le ghiandole nelle donne che non hanno avuto gravidanze (nullipare) sono prive di adenomeri ed hanno<br />

i dotti più piccoli privi di lume. Il completo differenziamento che permetterà l’attività delle ghiandole<br />

avviene durante la gravidanza, quando sotto l’influsso degli ormoni sopracitati, ma soprattutto dell’LTH<br />

(prolattina), si ha dilatazione dei dotti e proliferazione e sviluppo degli adenomeri, che assumono forma ad<br />

alveolo, mentre la componente adiposa si riduce. Poco dopo il parto comincia la secrezione di colostro,<br />

secreto ialino ricco di proteine (ma non di caseina) e povero di lipidi e di lattosio; dopo un paio di giorni si<br />

ha la “montata lattea”.<br />

Nella ghiandola in attività gli adenomeri hanno cellule prismatiche all’inizio della secrezione, cellule<br />

basse quando il secreto è accumulato. Al ME le cellule mostrano un grosso nucleo basale, molti mitocondri,<br />

RER abbondante, Golgi, granuli di secreto e gocce lipidiche apicali. Il secreto, latte, alimento completo,<br />

contiene caseina e altre proteine (lattalbumine e lattoglobuline, il 50% nella donna, nel rapporto di<br />

1:6 con la caseina nella mucca), lipidi (a gocce più piccole e più digeribili nella donna rispetto alla mucca),<br />

lattosio, sali minerali, vitamine. La secrezione è merocrina per la parte proteica, apocrina per quella<br />

lipidica, indipendente dal Golgi: i lipidi sono secreti in gocce circondate da un esile velo citopla-smatico<br />

rivestito di membrana. Gli anticorpi, lattoglobuline, vengono immessi nel latte per trans-citosi.<br />

Intorno agli adenomeri, sopra la membrana basale, ci sono basket cells (cellule mioepiteliali). L’emissione<br />

del latte è condizionata dalla contrazione di queste cellule, a sua volta determinata da un ormone<br />

ipotalamico, l’ossitocina: la suzione del capezzolo invia impulsi nervosi che stimolano l’ipotalamo a liberare<br />

l’ormone, che mediante la contrazione delle basket cells provoca la spremitura degli adenomeri alveolari,<br />

con la grossa cavità piena di latte. Al termine del periodo di allattamento il secreto intracellulare viene<br />

riassorbito grazie all’attività lisosomiale, col processo definito “crinofagia”; la ghiandola entra in riposo<br />

e gli adenomeri divengono rudimentali.<br />

RENE: organo escretore, non secretore, ha però la struttura di una ghiandola tubulare composta.<br />

Le cellule dell’organismo producono cataboliti che vengono riversati nel sangue: la CO2 è poi eliminata<br />

dai polmoni; i cataboliti azotati derivati dagli aa e dalle basi dei mononucleotidi (NH4 + , acido urico, urea,<br />

creatinina) sono eliminati dai reni, che li trasferiscono dal sangue all’orina. I reni regolano anche l’equilibrio<br />

idrico-salino, controllano la pressione sanguigna, sintetizzano l’ormone eritropoietina (EPO).<br />

Nei vertebrati superiori, lunghi tubuli a fondo cieco prendono rapporto con un gomitolo di capillari arteriosi,<br />

glomerulo vascolare. Un tubulo col suo glomerulo forma un nefrone, unità anatomica e funzionale<br />

del rene, differenziato in distretti specializzati; comprende un apparato di filtrazione del sangue (corpuscolo<br />

di Malpighi) e una porzione tubulare suddivisa in tre settori (tubulo prossimale, ansa di Henle e tubulo<br />

distale) caratterizzati da funzioni diverse, svolte mediante pompe ioniche di tipo diverso (per il recupero<br />

dell’acqua e degli ioni sodio e cloro, per la concentrazione delle orine e per l’acidificazione e l’eliminazione<br />

dei cataboliti azotati).<br />

GHIANDOLE ENDOCRINE<br />

Le ghiandole endocrine hanno in genere origine epiteliale (talvolta nervosa); viene persa però la connessione<br />

con l’epitelio di origine. Prive di dotti, secernono direttamente nel sangue sostanze definite ormoni,<br />

prendendo rapporto con capillari veicolati da un delicato stroma di connettivo reticolare (vedi connettivo).<br />

Ormoni: gli ormoni sono sostanze 1) endogene che 2) raggiungono per via ematica i distretti dell’organismo<br />

su cui devono agire (definiti “organi bersaglio”), 3) agiscono a basse concentrazioni, 4) svolgendo<br />

azione regolatrice delle funzioni cellulari. Indispensabili per lo svolgimento delle attività vitali, sono<br />

responsabili della crescita, del metabolismo di glicidi, lipidi, proteine e AN, del ritmo metabolico, degli<br />

equilibri osmotici, dello sviluppo degli organi genitali e della sessualità e perfino del comportamento e degli<br />

atteggiamenti psichici differenziati di maschi e femmine. Secrezione, meccanismo di azione, sindromi<br />

da carenza o eccesso degli ormoni sono oggetto di studio della endocrinologia.<br />

CITOLOGIA: la struttura delle cellule a secrezione endocrina varia in rapporto alla natura chimica degli<br />

ormoni prodotti, che possono essere: derivati di singoli aa, peptidi, proteine, glicoproteine, steroidi.<br />

Le cellule che producono ormoni peptidici, proteici e glicoproteici, contraddistinte dalla presenza di<br />

numerosi granuli di secrezione, hanno pochi profili di RER, perché la produzione è continua ma scarsa (gli<br />

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ormoni agiscono a basse concentrazioni); le scorte sempre abbondanti di granuli di secreto garantiscono<br />

livelli costanti di concentrazione degli ormoni nel sangue. All’emissione del secreto i granuli si ingranano<br />

col plasmalemma e il loro contenuto diffonde oltre la membrana basale e attraversa l’endotelio, il sottile<br />

strato di cellule appiattite che forma la parete dei capillari sanguigni, entrando così in circolo. Le cellule<br />

dell’endotelio presentano aperture del diametro di un centinaio di nm dette “fenestrature”, diaframmate da<br />

uno strato elettrondenso dello spessore di circa 4 nm (vedi endoteli, connettivi cellulari).<br />

Le cellule che producono ormoni steroidi non hanno precursori visibili del secreto; contengono gocce<br />

lipidiche ricche di colesterolo (precursore degli ormoni) esterificato con acidi grassi, ma non rappresentano<br />

sedi di deposito di ormone. Hanno mitocondri spesso a creste tubulari e SER sviluppatissimo. Non sono<br />

chiare le modalità di sintesi ed emissione del secreto, forse elaborato sinergicamente da SER e mitocondri<br />

(spesso associati alle gocce lipidiche) e al quale il Golgi unirebbe un carrier (vettore) proteico.<br />

Ci sono poi ghiandole che producono ormoni derivati di aa, ma in questi casi la citologia dipende dalle<br />

modalità per l’elaborazione di questi ormoni: ad esempio l’ormone tiroideo è prelevato da una glicoprotei-<br />

na di accumulo extracellulare (tireoglobulina) secreta con polarità base-apice e liberato in direzione opposta;<br />

adrenalina e noradrenalina della midollare del surrene sono sintetizzate grazie ad attività di membrana<br />

dei granuli in cui vanno ad accumularsi i due ormoni.<br />

MECCANISMO DI AZIONE DEGLI ORMONI: la maggior parte degli ormoni (messaggeri di I ordine)<br />

si lega a recettori di membrana, glicoproteici, delle cellule bersaglio che tramite una proteina G (GTP<br />

dipendente, composta da 3 protomeri) attivano un enzima, l’adenilciclasi (proteina integrale con due domini<br />

esapasso), che catalizza la formazione di AMP ciclico, cAMP, a partire da ATP. Il cAMP (messaggero<br />

di II ordine) attiva una chinasi (chinasi A, enzima fosforilante), che innesca una serie di risposte molecolari<br />

che giungono a livello del DNA, attivando raggruppamenti di geni che evocano risposte cellulari<br />

specifiche. Gli ormoni steroidi e l’ormone tiroideo, idrofobi, seguono però un comportamento diverso:<br />

grazie alla loro struttura molecolare attraversano direttamente il plasmalemma della cellula bersaglio e<br />

trovano recettori citoplasmatici (proteici o glicoproteici) che li trasportano nel nucleo, dove un accettore<br />

cromosomico (una proteina acida) dà il via alla risposta.<br />

CLASSIFICAZIONE: in base alla distribuzione del parenchima si distinguono ghiandole endocrine:<br />

A) unitarie, con parenchima in un unico ammasso: ipofisi, epifisi, surrene, tiroide e paratiroidi B) insulari,<br />

con parenchima suddiviso in numerose entità separate di piccole dimensioni: isolotti pancreatici (di<br />

Langerhans); C) interstiziali, con cellule singole o a gruppetti, scaglionate irregolarmente all’interno di<br />

un altro tessuto: testicolo e ovaia. C’è poi da considerare il “sistema endocrino diffuso”, costituito da singole<br />

cellule intraepiteliali con funzioni diverse anche in uno stesso distretto. Le gh. unitarie e follicolari<br />

presentano tre tipi diversi di organizzazione istologica: 1) a follicoli, se producono una sostanza di accumulo<br />

extracellulare, circondata dalle cellule endocrine, da cui viene liberato l’ormone (tiroide); 2) a cordoni,<br />

quando non c’è accumulo extracellulare e le cellule si dispongono in file ramificate a rete (la maggior<br />

parte delle ghiandole); 3) a nidi cellulari, se cellule munite di “capillari di secrezione” si dispongono<br />

in gruppi compatti (paratiroidi, zone dell’adenoipofisi e isolotti pancreatici di alcune specie).<br />

FEGATO: è la ghiandola più voluminosa dei vertebrati (nell’uomo costituisce circa il 2% del peso<br />

corporeo). Ha ruolo esocrino, perché secerne la bile, ma anche endocrino, perché immette numerose sostanze<br />

nel sangue (per lo più però non ormonali). Il parenchima è suddiviso in lobuli, unità morfologiche e<br />

funzionali. Ogni lobulo ha organizzazione istologica molto complessa, ma tutto sommato simile a quello<br />

delle ghiandole endocrine, con una rete di lamine di epatociti, dello spessore di una sola cellula; fra le lamine,<br />

muralia, scorrono sinusoidi, grossi capillari di calibro irregolare contenenti sangue misto, proveniente<br />

dalla vena porta e dall’arteria epatica. Dotti biliari mantengono però la connessione con l’epitelio di<br />

origine come in una ghiandola esocrina, raccogliendo la bile che scorre entro canalicoli biliari scavati nello<br />

spessore delle lamine dei muralia.<br />

FUNZIONI: al fegato, con la vena porta, giunge sangue carico di sostanze assorbite dall’intestino o<br />

liberate dalla milza nel corso dell’emocateresi (eliminazione delle cellule usurate del sangue); su di esse il<br />

fegato svolge numerose funzioni:<br />

1) Preleva e reimmette in circolo le sostanze assorbite dall’intestino: glucosio, aa, vitamine, chilomicroni,<br />

cioè piccole gocce di trigliceridi coperte da proteine anfipatiche e lipoidi, ecc. Il glucosio viene polimerizzato<br />

a glicogeno dall’epatocita, sotto l’influsso dell’insulina; oppure si compie il processo inverso, per<br />

azione di glucagone, adrenalina, STH. Il tasso ematico del glucosio viene così mantenuto costantemente<br />

intorno agli 80 mg/100 ml (0,08%). I lipidi (trigliceridi, fosfolipidi, colesterolo, vitamine liposolubili)<br />

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giungono dall’intestino dal tessuto adiposo, oppure sono sintetizzati dallo stesso epatocita; vengono coniugati<br />

ad apolipoproteine e immessi in circolo come lipoproteine VLDL (very low density lipoprotein)<br />

per rifornire gli altri tessuti, che le captano per pinocitosi mediata da recettori. Il cosiddetto “colesterolo<br />

cattivo”, LDL (low density lipoprotein) deriva da VLDL degradate e private della apoproteina E, che hanno<br />

perciò perso l’affinità per i recettori della pinocitosi. Le HDL (high density lipoproteins) rappresentano<br />

il “colesterolo buono”, perché legano il colesterolo tissutale per portarlo agli epatociti.<br />

2) Trasforma le sostanze in eccesso rispetto alle capacità di accumulo o ai bisogni dell’organismo: nelle<br />

diete ipoglicidiche, sotto l’influsso dei glicocorticoidi, converte gli aa in glicidi; nelle diete iperglicidiche<br />

converte il glucosio in grasso. Può convertire i grassi in fosfolipidi; elimina dal circolo l’acido lattico prodotto<br />

dal lavoro muscolare e lo riutilizza trasformandolo in glucosio<br />

3) Sintetizza gran parte delle proteine del plasma sanguigno: fibrinogeno, albumine, globuline α e β.<br />

4) Libera le somatomedine, ormoni polipeptidici (A, B e C, p.m. = 7-8.000 dalton) con effetti analoghi<br />

all’ormone somatotropo (STH o GH) – il principale è l’IGF 1, insulin-like growth factor.<br />

5) Compie tappe intermedie del metabolismo degli steroidi e trasforma la vitamina D in 25-HCC (25idrossicolecalciferolo)<br />

metabolita intermedio, che il rene deve idrossilare in 1 (1,25-diidrossicolecalciferolo)<br />

per attivarne la funzione di assorbimento del calcio a livello intestinale.<br />

6) Neutralizza ed elimina, ossidandole, le sostanze tossiche, come l’acetaldeide derivata dall’alcol etilico,<br />

i farmaci liposolubili (barbiturici, morfina, codeina, anfetamine ecc.) e i cataboliti azotati (NH3 ecc.), che<br />

vengono trasformati in urea.<br />

7) Come organo esocrino elabora la bile (0,5-1 L al giorno), che contiene sali biliari, colesterolo e pigmenti<br />

biliari (la bilirubina, sostanza di rifiuto, derivata dalla scissione dell’emoglobina operata dalla milza,<br />

ed i suoi prodotti di trasformazione). I sali biliari emulsionano i grassi, permettendone l’assorbimento da<br />

parte degli enterociti; si forma così un circolo entero-epatico biliare: la bile è secreta nell’intestino, ma<br />

riassorbita all’80% con i grassi e riportata al fegato, che la secerne nuovamente e così via. L’occlusione<br />

per calcolosi del dotto epatico o del coledoco provoca ittero (bile nel sangue), come pure un eccesso di bilirubina<br />

provocata da emolisi (come nell’ittero emolitico del neonato, provocato da incompatibilità fra<br />

sangue del feto e sangue materno).<br />

Il parenchima epatico è un tessuto stabile; le cellule, epatociti, vengono sostituite di rado però hanno<br />

ampie capacità proliferative: si possono asportare fino a 2/3 dell’organo e in pochi giorni si ha rigenerazione<br />

della parte mancante.<br />

CITOLOGIA DELL’EPATOCITA: l’epatocita che forma i muralia svolge tutte le funzioni elencate.<br />

Poliedrico, con un nucleo sferico provvisto di un grosso nucleolo, talvolta binucleato, presenta nel citoplasma<br />

quantità variabili di glicogeno, gocce lipidiche, RNA, in rapporto con la dieta e la fase digestiva, ma è<br />

comunque sempre ricco di organuli.<br />

Al ME si osservano numerose pile di Golgi, spesso presso i canalicoli biliari, implicate quindi nell’elaborazione<br />

della bile; intorno, lisosomi, talora contenenti lipofuscine, legati alla scissione dei prodotti di<br />

rifiuto. Presenti anche i microcorpi, con catalasi e ossidasi; in alcune specie contengono cristalli di uricossidasi,<br />

non nell’uomo, che elimina l’acido urico con le orine (a parte disfunzioni come la gotta). I canalicoli<br />

appaiono distesi in fase di secrezione (raggiungono un diametro di 0,5-1 µm), o sono collassati, con<br />

microvilli sporgenti nel lume; sono sigillati da zonulae occludentes. Anche la membrana che guarda i sinusoidi<br />

presenta microvilli, per aumentare la superficie di scambio fra epatociti e plasma. I mitocondri, abbondanti,<br />

hanno creste tubulari non molto numerose.<br />

Il RER, che sintetizza le proteine ematiche, è costituito da cisterne raramente impilate; sono presenti<br />

anche numerosi ribosomi liberi che scompaiono in caso di digiuno prolungato. Abbondante il SER, spesso<br />

associato a glicogeno in forma α (a rosette) e β (singoli granuli del diametro di 15-30 nm), e dotato infatti<br />

degli enzimi per la glicogenolisi (e della glucoso-6-fosfatasi); gli enzimi per la glicogenosintesi sono associati<br />

agli stessi granuli. Il SER presiede anche alle tappe intermedie del metabolismo steroide e contiene<br />

enzimi per la demolizione dei farmaci liposolubili (la somministrazione continuata di fenobarbital determina<br />

sviluppo di SER).<br />

TESSUTO CONNETTIVO: molto diverso dal tessuto epiteliale per morfologia e funzioni,<br />

può presentare ampio polimorfismo cellulare; le cellule sono di solito distanziate per la presenza di abbondante<br />

sostanza intercellulare. Le funzioni sono svariate, dipendono dal tipo di connettivo e dalla sua<br />

localizzazione; il connettivo infatti: - 1) riempie gli spazi fra gli altri tessuti (connettivo lasso) - 2) svolge<br />

ruolo trofico, porta cioè il nutrimento agli altri tessuti (connettivo lasso) - 3) si specializza in funzioni mec-<br />

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caniche di resistenza a trazione e compressione (cartilagine, osso, tendini ecc.) - 4) si specializza in funzioni<br />

di deposito (tessuto adiposo per i trigliceridi, osso per fosfati e calcio) - 5) è la sede delle difese immunitarie<br />

(connettivo lasso, tessuto emopoietico).<br />

Il tessuto connettivo comprende 3 varietà fondamentali:<br />

A) Connettivi propriamente detti (p.d.). B) Connettivi di sostegno. C) Connettivi cellulari.<br />

CONNETTIVI P.D.: sono costituiti da cellule con varie tipologie, separate da sostanza intercellulare<br />

composta da sostanza amorfa e fibre in varia proporzione.<br />

CELLULE DEL CONNETTIVO: tipi cellulari diversi svolgono funzioni radicalmente diverse.<br />

1) Fibrociti: fissi, sempre numerosi, sono le cellule che hanno elaborato le fibre e la sostanza amorfa da<br />

cui sono circondate. Nei connettivi in differenziamento, da cellule di forma stellata di tipo embrionale<br />

(cellule “mesenchimali”) evolvono grossi fibroblasti, di forma affusolata, con qualche prolungamento irregolare,<br />

nucleo ellittico, citoplasma basofilo. Finite le sintesi divengono fibrociti, più piccoli e con basofilia<br />

ridotta, cellule ancora attive, che hanno il compito di ricambiare i costituenti extracellulari usurati. Se<br />

hanno prodotto molte fibre, la loro forma si deve adattare allo spazio rimasto a disposizione e possono risultare<br />

appiattite fra strati di fasci di fibre a decorso diverso, o formare veli citoplasmatici che si infilano<br />

fra fibre parallele stipate all’intorno.<br />

In risposta a lesioni, nei connettivi già differenziati compaiono nuovamente i fibroblasti (sia per differenziamento<br />

di una quota cellule non specializzate sempre presente che per ripresa di attività dei fibrociti),<br />

riprende la sintesi di fibre e sostanza amorfa e vengono così colmate le perdite di tessuto. Anche gli altri<br />

tessuti privi di capacità rigenerative (ad esempio il tessuto muscolare) vengono sostituiti da connettivo. Il<br />

connettivo che viene prodotto in queste circostanze costituisce il “tessuto cicatriziale”, che ha il compito<br />

di fissare i margini della lesione e di ristabilire la continuità delle strutture lese. La sintesi del materiale<br />

che dà origine alle fibre, fibrillogenesi, è stata seguita nei tessuti embrionali, nei tessuti in rigenerazione,<br />

nelle colture di fibroblasti. Questi al ME presentano RER e Golgi molto evidenti; con glicina o prolina<br />

marcata al loro interno si segue il tipico decorso dell’esocitosi: RER → Golgi → esterno. Infatti le catene<br />

peptidiche che daranno origine alle fibre, ricche di glicina, prolina e lisina (ma prive di cisteina), vengono<br />

sintetizzate sul RER, poi idrossilate su prolina e lisina e infine glicosilate con galattosio sull’idrossilisina;<br />

nel Golgi tre catene (con configurazione α) si associano elicandosi con asse a comune, eccetto che alle due<br />

estremità, a formare una molecola di procollagene. Il procollagene viene secreto all’esterno, ove è trasformato<br />

in tropocollagene per l’eliminazione delle parti non elicate della “testa” e della “coda” ad opera<br />

di procollagene-peptidasi. Il tropocollagene (300 x 1,5 nm, p.m. = 330.000 dalton), che ha composizione<br />

chimica un po’ diversa a seconda delle varietà di connettivo, polimerizza spontaneamente dando origine a<br />

fibre collagene con configurazione quaternaria simile. Si ritiene che l’orientamento delle fibre nella sostanza<br />

intercellulare sia determinato dalla direzione delle sollecitazioni meccaniche locali e forse dallo<br />

stesso fibroblasto (grazie a materiale fibrillare di natura non collagena aderente al plasmalemma). Alcuni<br />

fibroblasti, ad esempio i f. dermici, sintetizzano un’altra proteina, la proelastina, che all’esterno viene trasformata<br />

in tropoelastina che polimerizza a formare fibre elastiche, con caratteristiche meccaniche diverse;<br />

più frequentemente però quest’ultimo tipo di fibre è prodotto da cellule muscolari lisce.<br />

Contemporanea a quella delle fibre collagene è la sintesi dei proteoglicani della sostanza amorfa in cui<br />

esse sono immerse, sintesi che prevede anch’essa, naturalmente, l’intervento del RER e del Golgi.<br />

Sostanza amorfa: omogenea e trasparente a fresco, è una sostanza gelatinosa, estratta in larga parte dai<br />

fissativi. E’ metacromatica, costituita da aggregati di proteoglicani, con asse di acido ialuronico legato ad<br />

una doppia serie di proteine, a loro volta unite a dermatan-, cheratan- e condroitin-solfato, diversi nelle<br />

proporzioni secondo i tipi di connettivo. I gruppi acidi sono neutralizzati prevalentemente da Na + .<br />

Nei connettivi ricchi di fibre la sostanza amorfa serve a diminuire gli attriti e quindi l’usura. Nei connettivi<br />

con poche fibre (connettivi lassi) serve da medium per il flusso trofico; è il mezzo di diffusione del<br />

liquido tissulare, che trasuda attraverso la sottile parete endoteliale dei capillari arteriosi, spinto dalla pressione<br />

idrostatica P, che ha valore sempre superiore alla pressione oncotica π, che tenderebbe invece a richiamare<br />

acqua. La pressione all’interno dei capillari arteriosi è infatti sempre maggiore di quella<br />

all’esterno: (P - π)int > (P’ - π’)est. Il liquido viene poi riassorbito attraverso l’endotelio dei capillari venosi<br />

e linfatici, che hanno π più elevata e P minore: (P’ - π’)est > (P” - π”)int.<br />

L’edema è il rigonfiamento anomalo del connettivo fibrillare lasso (varietà povera di fibre) per aumento<br />

del liquido tissulare dovuto a eventi traumatici o patologici. Anche quando la sostanza amorfa è così<br />

concentrata da giungere allo stato di gel, l’acqua legata permette comunque la diffusione del liquido tissu-<br />

- 59 -<br />

Isto100c<br />

Isto101c<br />

Isto102<br />

Isto103<br />

Isto104r<br />

(Chim16)


File: <strong>ISTOLOGIA</strong>, 50-81<br />

lare, come è possibile dimostrare con i coloranti idrosolubili; l’aggiunta di sali di calcio rende però la sostanza<br />

amorfa impermeabile, neutralizzando le funzioni anioniche dei proteoglicani.<br />

Fibre: scleroproteine la cui formazione e il cui orientamento sono indotti da stimoli meccanici. Sono di<br />

due tipi, fibre collagene e fibre elastiche.<br />

a) Fibre collagene: appaiono, a fresco, come filamenti bianchi sericei spessi 1-12 µm, leggermente ondulati<br />

se non sottoposti a trazione. Al MO, a forte ingrandimento, mostrano striature longitudinali dovute<br />

alla disposizione parallela delle microfibrille che compongono ciascun filamento (diametro 0,2-0,3 µm).<br />

Acidofile, si colorano in rosso con la colorazione di van Gieson, in blu con l’Azan ecc. Al microscopio polarizzatore<br />

appaiono birifrangenti, rivelando organizzazione a encapsi. Il ME mostra che ogni fibrilla è<br />

scomponibile in protofibrille del diametro di poco meno di 100 nm, con una struttura periodica a bande<br />

chiare e scure con periodo di 67 nm, particolarmente evidente con la colorazione negativa; le protofibrille,<br />

a loro volta, sono costituite da entità molecolari filamentose.<br />

Con la bollitura le fibre collagene si disgregano, dando origine a una soluzione di molecole filamentose<br />

idrofile, che raffreddata acquista consistenza densa, collosa (donde il nome “fibre collagene”; è la gelatina<br />

che si ottiene dalla bollitura delle carni ricche di connettivo). Con trattamenti meno drastici si può avere<br />

solubilizzazione senza denaturazione e si possono isolare molecole di tropocollagene composte da tre catene<br />

elicate coassialmente, due catene α1 e una α2 nelle diffusissime fibre di I tipo, tre catene uguali nelle<br />

altre. Possono essere costituite da 15 tipi diversi di “proteine collagene” (fibrillari, reticolari, associate),<br />

in realtà glicoproteine perché legate a monosaccaridi (anche se in quantità inferiore al 5%), in genere galattosio;<br />

non tutte sono prodotte dai fibroblasti.<br />

Nelle fibre naturali ogni protofibrilla è costituita da molecole di tropocollagene disposte in file sfasate<br />

di 67 nm, in modo che ogni 5 file le molecole tornino a registro. Testa e coda di due molecole successive<br />

di ogni fila distano 40 nm, spazio che costituisce le zone che appaiono elettrondense con la colorazione<br />

negativa: ogni periodo comprende quindi una zona scura di 40 nm (40,2), dove capitano gli spazi vuoti, e<br />

una chiara di 27 nm (26,8), occupata da filamenti per l’intero spessore della protofibrilla. Legami crociati<br />

(cross links), formati dalla lisina e dalla idrossilisina, stabilizzano la struttura e suddividono ulteriormente<br />

il periodo in bande più strette.<br />

Le fibre collagene più diffuse (di I tipo) hanno “alto modulo di elasticità”, resistono cioè a forti trazioni,<br />

deformandosi non più del 3-4% quando si arriva vicino al “carico di rottura”.<br />

Le fibre di proteine collagene reticolari (di IV tipo), dette appunto fibre reticolari (già citate come<br />

componenti delle membrane basali e dello stroma delle ghiandole endocrine e del fegato), sono costituite<br />

da microfibrille più sottili, meno numerose, con protofibrille che trapassano da una fibrilla all’altra, formando<br />

così una rete tridimensionale: fibre “a graticciata”. Hanno struttura periodica meno evidente e, bollite,<br />

non danno gelatina; sono PAS-positive per un maggior contenuto di oligosaccaridi. Diversa è anche la<br />

sostanza amorfa in cui sono immerse: PAS-positiva, costituita da glicoproteine neutre (laminina e perlecano),<br />

è molto permeabile, il che rende le fibre colorabili selettivamente con Ag.<br />

b) Fibre elastiche: hanno spessore di 0,2-1 µm o più; gialle a fresco, dotate di fluorescenza primaria, si<br />

colorano come le fibre collagene, salvo metodi elettivi (orceina). Molto ondulate, sono di solito ramificate<br />

a rete, talvolta a maglie così fitte da costituire vere e proprie lamine (parete delle arterie). Divengono birifrangenti<br />

solo se fortemente stirate; al ME presentano una struttura amorfa in cui è immerso materiale fibrillare<br />

prevalentemente addensato alla periferia. Resistentissime a trattamenti chimici ed enzimatici (sono<br />

attaccate solo dall’elastasi pancreatica), si disgregano solo se bollite sotto pressione, senza dare gelatina.<br />

La proteina fondamentale che costituisce la componente amorfa delle fibre è l’elastina che, oltre agli<br />

aa caratteristici delle fibre collagene (glicina, idrossiprolina e idrossilisina), contiene molta valina e un aa<br />

peculiare, la desmosina; è invece priva di cisteina. Precursore dell’elastina è la tropoelastina, che non contiene<br />

desmosina; la polimerizzazione è dovuta proprio alla comparsa della desmosina per condensazione di<br />

4 radicali (tre di idrossilisina e uno di lisina), ciascuno appartenente a un filamento diverso di tropoelastina.<br />

Sollecitazioni meccaniche possono scindere la desmosina, che però si riforma spontaneamente. Il<br />

materiale fibrillare superficiale (che consta di microfibrille del diametro di 11 nm) è costituito da fibrillina,<br />

una glicoproteina che contiene anche cistina.<br />

Carattere saliente delle fibre elastiche è l’estensibilità: si allungano più del doppio, reversibilmente, e hanno<br />

“basso modulo di elasticità” (piccole forze traenti determinano allungamenti anche del 150%).<br />

2) Plasmacellule: cellule ellissoidali, con nucleo sferico un po’ eccentrico. Le zolle di cromatina hanno<br />

una caratteristico disposizione a ruota; una zona paranucleare poco colorabile corrisponde al Golgi, men-<br />

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File: <strong>ISTOLOGIA</strong>, 50-81<br />

tre il resto del citoplasma è fortemente basofilo. Al ME si osserva un citoplasma pieno di cisterne di RER,<br />

appiattite o rigonfie, secondo il momento funzionale; l’ampio Golgi circonda il diplosoma.<br />

Le plasmacellule reagiscono alla presenza di sostanze estranee all’organismo, antigeni (molecole con<br />

un dominio definito “determinante antigenico”), producendo anticorpi, molecole proteiche che giustificano<br />

il corredo di organuli di queste cellule. Gli anticorpi, detti anche “immunoglobuline” (Ig, che costituiscono<br />

la frazione delle γ-globuline del plasma sanguigno), si legano all’antigene inattivandolo (reazione<br />

immunitaria); si forma così il complesso antigene-anticorpo, che poi verrà eliminato dai macrofagi. Ogni<br />

plasmacellula produce un solo tipo di anticorpo (per un solo antigene).<br />

Le plasmacellule derivano da linfociti B dietro stimolazione antigenica (vedi pag. 69). Compaiono solo<br />

dopo la nascita, perché durante la vita fetale vengono tutte le molecole vengono riconosciute come proprie<br />

dall’organismo e non determinano quindi reazione immunitaria; poiché l’organismo è dotato di “memoria<br />

immunologica” la tolleranza nei loro confronti è conservata anche nell’adulto.<br />

3) Istiociti: irriconoscibili dai fibrociti con le comuni colorazioni, in alcune sedi sono altrettanto numerosi.<br />

Si mettono in evidenza con coloranti “vitali”, cioè non tossici, che colorano le cellule senza ucciderle<br />

(blu trypan, rosso neutro, Ag colloidale ecc.); sono sostanze che si legano alle albumine e vengono inglobati<br />

per granulopessi, processo che rientra nel quadro dell’endocitosi e consiste nell’incorporazione e nella<br />

flocculazione nel citoplasma di sostanze in forma di granuli.<br />

In attività sono macrofagi, mobili, con citoplasma abbondante, ricco di granuli; la trasformazione è rapida<br />

e reversibile. Iniezioni di batteri o di sostanze estranee determinano, per chemiotassi, addensamenti di<br />

istiociti, attratti dalla diffusione di sostanze estranee (riconoscimento), ad esempio peptidi con l’aa formilmetionina<br />

(esclusivamente batterico). La fagocitosi è poi indotta non direttamente dalle cellule e dalle particelle<br />

da inglobare, ma dai fattori sierici che ad esse si legano (anticorpi, o fattori immunitari aspecifici<br />

come le “opsonine” e i fattori del “complemento”). Gli antigeni fagocitati non vengono digeriti completamente<br />

ma scissi in peptidi (di 15-24 aa) che poi all’interno di vescicole citoplasmatiche vengono legati ad<br />

un complesso molecolare, definito MHC (major histocompatibility complex) di II classe, e quindi esposti<br />

sul plasmalemma come “epitopi”, per essere riconosciuti dal sistema immunitario (vedi linfociti T, pag.<br />

70). Secernono anche varie altre sostanze: interleuchina 1 (che attiva altre cellule immunitarie), interferone<br />

(agente antivirale), lisozima (agente antibatterico), enzimi litici, sostanze pirogene (che inducono<br />

aumento della temperatura corporea).<br />

Cellule fagocitarie oltre che nei connettivi p.d. si trovano in vari altri distretti: fegato (col nome di cellule<br />

di Kupffer), tessuti emopoietici, polmone (fagociti alveolari), epidermide (c. di Langerhans), tessuto<br />

nervoso. I macrofagi, pur avendo aspetto talvolta molto diverso, svolgono ruolo di difesa dell’organismo<br />

da agenti patogeni o comunque estranei, e provvedono all’eliminazione di elementi usurati; il loro insieme<br />

costituisce il sistema dei fagociti mononucleati – un tempo detto reticolo-istiocitario e, prima ancora, reticolo-endoteliale<br />

(Aschoff).<br />

Più cellule istiocitarie si possono fondere a costituire cellule giganti da corpo estraneo, per includere<br />

elementi troppo grossi per essere fagocitati da un solo istiocito; le cellule di Langhans sono cellule giganti<br />

nelle quali i nuclei sono migrati tutti in posizione periferica, più favorevole per le sue funzioni.<br />

4) Mastcellule (o mastociti): sono cellule ellissoidali, col citoplasma stipato di granuli metacromatici<br />

che arrivano a mascherare quasi completamente il nucleo; in vivo sono dotate di moto ameboide. Al ME i<br />

granuli (di diametro 0,5 µm) presentano contenuto finemente granulare (lamellare nell’uomo); scarsi i mitocondri,<br />

i ribosomi e i profili di RER, sviluppatissimo il Golgi. La secrezione dei granuli può diventare<br />

rapidissima per ingranamento delle membrane a formare canali aperti sul plasmalemma.<br />

La sostanza metacromatica dei granuli è eparina (pag. 6), che emessa all’esterno aumenta il grado di<br />

imbibizione della sostanza amorfa e la rende più permeabile; è anche un potente anticoagulante e chiarificante<br />

del sangue (dissolve i chilomicroni, le lipoproteine che lo intorbidano). I granuli contengono anche<br />

istamina (amina derivata dell’aa istidina), sostanza vasodilatatrice e permeabilizzante dei capillari, ad azione<br />

rapida, che provoca anche contrazione della muscolatura liscia dell’albero respiratorio (bronchi<br />

ecc.). I mastociti liberano anche un fattore “chemiotattico” per i granulociti eosinofili (ECFA, eosinophil<br />

chemotactic factor of anaphylaxis) e un vasodilatatore ad azione lenta e prolungata (SRSA, slow reacting<br />

substance of anaphylaxis); in alcune specie producono serotonina (amina ad azione vasopressoria locale).<br />

Funzione fondamentale delle mastcellule è la permeabilizzazione degli stromi delle ghiandole in attività,<br />

per questo si trovano spesso associate ai loro setti connettivali. Le sostanze liberate da queste cellule<br />

sono implicate nei processi infiammatori e nell’ipersensibilità immediata (allergie e shock anafilattico).<br />

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File: <strong>ISTOLOGIA</strong>, 50-81<br />

Ci sono antigeni, gli allergeni, che inducono la sintesi di un tipo particolare di anticorpo, le Ig E, che<br />

grazie a un “frammento cristallizzabile” (estraibile con l’enzima papaina) vengono adsorbite sulla superficie<br />

delle mastcellule – le altre Ig sono libere nel plasma sanguigno. L’individuo “sensibilizzato” (che ha<br />

Ig E adese sui mastociti), se viene a contatto per la seconda volta con lo stesso antigene, è soggetto alla<br />

liberazione massiva del contenuto dei granuli di secrezione (istamina, eparina ecc.). L’istamina permeabilizza<br />

e dilata i capillari, fa contrarre la muscolatura liscia dei vasi e dei piccoli bronchi e determina infiammazioni,<br />

febbre, asma. Polveri, pollini ecc., possono determinare i fenomeni di sensibilizzazione che<br />

stanno alla base delle allergie - respiratorie, alimentari, da contatto ecc. (ad esempio la “febbre da fieno”,<br />

cioè da polline di graminacee). Sono allergeni anche le sostanze contenute nel veleno degli insetti e gli anticorpi<br />

dei “sieri” non purificati, che inducono anch’essi formazione di Ig E: dopo un’iniezione “sensibilizzante”<br />

una seconda iniezione, “scatenante”, può determinare shock anafilattico, reazione immunitaria<br />

non più locale, ma generalizzata, catastrofica, che in pochi minuti porta a morte per insufficienza respiratoria<br />

e collasso cardiocircolatorio.<br />

5) Cellule adipose, o adipociti: dispersi e singoli, o riuniti in gruppetti; se formano ammassi cospicui si<br />

parla di tessuto adiposo bianco (“grasso bianco”), con scarsissima sostanza intercellulare, considerato un<br />

“connettivo cellulare”. Rotondeggianti, di notevoli dimensioni (anche un centinaio di µm), contengono<br />

un’unica enorme goccia lipidica, che li fa definire adipociti univacuolari. I lipidi sono fondamentalmente<br />

trigliceridi, materiale energetico di riserva ad elevato potere calorico (la cui completa ossidazione sviluppa<br />

ben 9,3 Kcal/g, contro le 4,1 di proteine e glicidi); sono frequentemente associati a quantità variabili di lipocromi,<br />

che possono conferire al tessuto un colore giallo più o meno carico. L’estensione della goccia<br />

lipidica riduce il citoplasma a un velo marginale, con un ispessimento che contiene il nucleo (nelle sezioni<br />

che lo colpiscono si ha la tipica immagine ad “anello con castone”). Al ME gli adipociti presentano piccolo<br />

Golgi, mitocondri allungati, scarsi ribosomi e profili di RE vicino al nucleo; frequenti le vescicole di<br />

pinocitosi. Ogni cellula è circondata da una sorta di membrana basale, completa di lamina reticolare.<br />

I lipidi, immagazzinati dagli adipociti per alimentazione in eccesso, vengono liberati nel plasma sanguigno<br />

sotto forma di acidi grassi legati all’albumina (che ne impedisce l’attività di tensioattivi), per essere<br />

captati dai tessuti e utilizzati a digiuno, garantendo all’organismo costante apporto energetico. In caso<br />

di sospensione dell’alimentazione il tessuto assume progressivamente aspetto parenchimale, tranne che<br />

nelle zone in cui svolge funzione meccanica: orbite, logge renali, palmo della mano e pianta del piede (ove<br />

non è innervato). Nelle altre zone l’innervazione è abbondante e il tessuto adiposo ha intenso ricambio.<br />

Nei mammiferi ibernanti (Insettivori, Chirotteri, Roditori ecc.) c’è un tessuto adiposo bruno, costituito<br />

da cellule relativamente più piccole, con nucleo centrale e numerose goccioline lipidiche: adipociti<br />

multivacuolari, ricchi di grossi mitocondri a creste lamellari, di forma sferica. Molto vascolarizzato e<br />

innervato, suddiviso in lobuli da setti più evidenti che nel grasso bianco, è bruno per l’abbondanza di citocromi.<br />

E’ presente nella regione ascellare, scapolare e nelle logge renali dei mammiferi ibernanti; è istologicamente<br />

assente nell’uomo, in cui può comparire in seguito a digiuno nelle stesse zone, per conversione<br />

del grasso bianco. Il grasso bruno serve da “fornace chimica” al momento del risveglio; con la lipolisi e<br />

l’ossidazione degli acidi grassi sviluppa una quantità di calore sufficiente a riportare la temperatura corporea<br />

(che nel vero letargo è uguale a quella ambientale) ai valori normali degli omeotermi. Data la funzione<br />

particolare, i mitocondri degli adipociti multivacuolari presentano particelle F0 diverse, disaccoppiate dalle<br />

F1, cioè dal sistema enzimatico per la fosforilazione dell’ADP; nella circostanza non serve infatti ATP,<br />

ma sviluppo di calore.<br />

6) Globuli bianchi, o leucociti, (granulociti, linfociti e monociti, vedi Sangue, pag. 68).<br />

Nei vertebrati ectotermi (Pesci, Anfibi e Rettili) troviamo infine un ultimo tipo cellulare:<br />

7) Cromatofori, cellule di forma stellata contenenti pigmenti. Se ne riconoscono vari tipi secondo la natura<br />

del pigmento: ad esempio i melanofori sono neri per la presenza di melanosomi carichi di melanina (vedi<br />

inclusi cellulari, pag. 27). Cromatofori con pigmenti diversi si associano fra loro fornendo un ampio<br />

spettro di colori. L’intensità della colorazione e il prevalere di una tonalità rispetto a un’altra dipende dal<br />

grado di dispersione dei granuli di pigmento nei vari tipi di cromatoforo, controllato da ormoni o da impulsi<br />

nervosi grazie al sistema di trasporto dei microtubuli ialoplasmatici.<br />

Cellule, sostanza amorfa e fibre si associano in varie proporzioni a costituire i due tipi fondamentali dei<br />

connettivi p.d., i connettivi lassi e i connettivi densi.<br />

CONNETTIVI LASSI: comprendono connettivo mucoso, c. fibrillare lasso e c. reticolare.<br />

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File: <strong>ISTOLOGIA</strong>, 50-81<br />

1) Connettivo mucoso: simile al connettivo primitivo che si trova negli embrioni (mesenchima), contenente<br />

solo sostanza amorfa e cellule stellate, presenta però anche alcune fibre collagene, singole o a esili<br />

fascetti, e vari tipi cellulari, come linfociti e macrofagi. Forma la gelatina di Wharton del funicolo ombelicale,<br />

che impedisce con la sua consistenza piegature secche del funicolo, che bloccherebbero gli scambi<br />

trofici e respiratori fra feto e annessi embrionali. Nell’adulto costituisce polpa dentaria e corpo vitreo dell’occhio.<br />

2) Connettivo fibrillare lasso: molto diffuso, può contenere tutti i tipi cellulari descritti. Ha<br />

scarse fibre, per lo più collagene, ma anche elastiche, singole o a piccoli fasci, disposte a formare una rete<br />

a maglie larghe, immersa nell’abbondante sostanza amorfa. Comprende diverse varietà: interstiziale (fra<br />

esofago e colonna vertebrale, fra vescica e sinfisi pubica, fra le masse muscolari ecc.); stromale, sostegno<br />

delle ghiandole esocrine, ramificato in setti fino a contornare i singoli adenomeri e i dotti; membranosa, di<br />

rinforzo ai mesoteli, sottile rete a maglie larghe di fibre collagene ed elastiche; costituisce la tonaca (o lamina)<br />

propria delle mucose; le sottomucose; il derma papillare; il connettivo sottocutaneo. 3) Connettivo<br />

reticolare: forma lo stroma del midollo osseo e degli organi linfoidi (eccetto il timo), la calza reticolare<br />

delle fibre muscolari, la guaina delle fibre nervose; la lamina reticolare delle membrane basali (pag. 50).<br />

CONNETTIVI DENSI (o FIBROSI): ricchi di fibre, con poca sostanza amorfa, svolgono funzione<br />

meccanica. Le fibre sono aggregate in grossi fasci, dalla cui disposizione deriva la suddivisione in tipi. Le<br />

cellule sono rappresentate quasi esclusivamente dai fibrociti. Comprende più varietà definite dall’orientamento<br />

dei fasci di fibre o dalla loro natura chimica: connettivo a fasci irregolari (derma compatto o<br />

profondo, capsule, pericondrio e periostio esterni, dura madre delle meningi e tessuto cicatriziale), c. a<br />

fasci incrociati (fasce e aponeurosi tendinee e muscolari, cornea e sclerotica dell’occhio, tunica albuginea<br />

del testicolo), c. a fasci paralleli (tendini, legamenti, perinevrio, epinevrio); c. elastico: (legamenti<br />

vertebrali, fascia di Scarpa, pareti di trachea, bronchi, grosse arterie).<br />

In particolare le pareti delle arterie sono fatte da membrane fenestrate di fibre elastiche, disposte in più<br />

strati, collegate da tratti obliqui; l’elasticità garantisce la continuità del flusso sanguigno - l’ “esperienza di<br />

Marey” dimostra che in un tubo a parete elastica, percorso da un flusso intermittente di liquido, l’energia<br />

cinetica non viene persa in attriti come in un tubo a parete rigida, ma viene incamerata dalla parete come<br />

energia potenziale elastica e restituita in modo da non interrompere il flusso.<br />

CONNETTIVI DI SOSTEGNO: ricchi di sostanza intercellulare allo stato di gel, alla resistenza alla<br />

trazione conferita dalle fibre aggiungono resistenza alla compressione; sono cartilagine e osso.<br />

CARTILAGINE: tessuto a basso metabolismo, privo di vasi e nervi, si presenta nelle tre varietà di<br />

cartilagine ialina, fibrosa ed elastica.<br />

1) Cartilagine ialina, la più diffusa, ha aspetto traslucido e colore bianco perlaceo. Forma lo scheletro<br />

dell’embrione dei vertebrati e lo scheletro definitivo di Ciclostomi e Condroitti. Ha scarse necessità trofiche<br />

ed è perciò adatta a crescere in ambiente poco vascolarizzato come quello fornito dall’embrione, in cui<br />

il circolo sanguigno non è ancora ben organizzato. Nell’adulto dei vertebrati superiori viene quasi interamente<br />

sostituita da tessuto osseo; resta nelle vie respiratorie (naso, laringe, trachea, grossi bronchi), a garantirne<br />

la pervietà, all’estremità sternale delle coste e, come cartilagine di incrostazione (o articolare), a<br />

coprire le estremità articolari delle ossa. Svolge un ruolo determinante nell’accrescimento nelle cosiddette<br />

“ossa lunghe”, che per tutto il periodo dello sviluppo risultano divise in tre segmenti (epifisi prossimale,<br />

diafisi, epifisi distale) da cartilagine “di coniugazione”, proliferante. Deriva da cellule stellate mesenchimali,<br />

che retraggono i loro prolungamenti e formano ammassi compatti di elementi globosi, centri di condrificazione.<br />

Le cellule, condroblasti, svolgono intensa proteosintesi, producendo quantità crescenti di sostanza<br />

intercellulare che le separa completamente le une dalle altre; entrate in riposo e denominate condrociti,<br />

risultano quindi alloggiate in cavità dette lacune. Sono cellule di mole notevole, forma globosa,<br />

nucleo rotondo, citoplasma ricco di glicogeno e gocce lipidiche. Al ME si osservano cisterne di RER e<br />

Golgi molto sviluppato, particolarmente nei condroblasti; in questi ultimi l’autoradiografia (ad esempio<br />

con prolina triziata) mostra il solito decorso degli aa: RER → Golgi → vescicole, per la sintesi e la secrezione<br />

dei precursori delle scleroproteine delle fibre. Glucosio tritiato e 35 S si portano invece direttamente<br />

nel Golgi, sede di assemblaggio definitivo dei proteoglicani solforati.<br />

La sostanza intercellulare, allo stato di gel, appare omogenea al MO; è costituita da fibre mascherate<br />

dalla sostanza amorfa, “condromucoide”, che ha il loro stesso indice di rifrazione. Le fibre, 40% del peso<br />

secco, sono costituite da proteine collagene (di II tipo), riunite in fasci pluridirezionali visibili al microscopio<br />

polarizzatore o dopo digestione triptica della sostanza amorfa. I proteoglicani sono particolar-<br />

mente ricchi di condroitinsolfato (42% del peso secco). I gruppi isogeni risultano circondati da un distretto<br />

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intensamente metacromatico denominato capsula territoriale, perché la sostanza amorfa è più abbondante<br />

rispetto alle fibre intorno alle lacune, ma più scarsa lontano da esse. Il liquido tissulare diffonde lentamente<br />

attraverso l’acqua legata ai proteoglicani, perciò il metabolismo dei condrociti è, e deve essere, molto<br />

lento: un aumento del flusso trofico provoca infatti attività fosfatasica dei condrociti, calcificazione della<br />

sostanza intercellulare, blocco del flusso trofico e morte della cartilagine (la calcificazione impermeabilizza).<br />

Il fenomeno, fisiologico e non patologico, si manifesta quando nell’embrione la cartilagine deve essere<br />

sostituita da tessuto osseo.<br />

I condrociti conservano la capacità di dividersi e continuano a depositare lentamente sostanza intercellulare,<br />

per cui le cellule non appaiono regolarmente distanziate, ma in gruppi isogeni di cellule ravvicinate.<br />

Ogni gruppo è originato da divisioni mitotiche di un’unica cellula; i setti fra i condrociti sono tanto più<br />

sottili quanto più recente è stata la divisione cellulare.<br />

Intorno alla cartilagine si organizza un pericondrio (tranne che nelle cartilagini articolari): esternamente,<br />

dove si arrestano i vasi, si differenziano fibroblasti che danno un connettivo denso a fasci irregolari,<br />

pericondrio esterno; a contatto con la cartilagine rimane uno strato “condrogenico”, germinativo, di<br />

cellule che lentamente proliferano ed evolvono in condroblasti, pericondrio interno. Nuovi elementi, dapprima<br />

appiattiti, si addossano alla cartilagine preesistente, convertendosi gradualmente in condrociti globosi.<br />

Questo tipo di sviluppo è definito accrescimento per apposizione, per distinguerlo dall’accrescimento<br />

interstiziale dovuto all’attività mitotica e secretoria dei condrociti profondi.<br />

2) Cartilagine fibrosa: è costituita da fibre collagene parzialmente smascherate, riunite in fasci orientati<br />

secondo le linee di forza; i condrociti sono disposti in file fra i fasci. Ha la stessa rigidità della cartilagine<br />

ialina, ma, per l’orientamento delle fibre, una maggior resistenza alla trazione. Nel corso dello sviluppo,<br />

fibroblasti tipici producono abbondanti fibre collagene; poi si trasformano in condroblasti che producono<br />

condromucoide che si infiltra fra i fasci di fibre (sedi: sinfisi pubica, menischi, zone profonde dei grossi<br />

legamenti, periferia dei dischi intervertebrali); anche il callo fibrocartilagineo che compare nel processo<br />

di riparazione delle fratture ossee è costituito da cartilagine fibrosa.<br />

3) Cartilagine elastica: giallastra, molto flessibile, contiene numerose fibre colorabili con i metodi per<br />

l’elastina, disposte come entità distinte o ramificate a feltro. Il suo accrescimento è prevalentemente per<br />

apposizione; contiene perciò rari gruppi isogeni e molti condrociti singoli. Nasce come connettivo atipico,<br />

con fibroblasti che producono fibre collagene peculiari. In un secondo tempo le cellule cominciano a deporre<br />

fibre elastiche, poi si trasformano prima in condroblasti, che producono la sostanza amorfa, e infine<br />

in condrociti (sedi: padiglione dell’orecchio, epiglottide, processi vocali ecc.).<br />

OSSO: tessuto altamente specializzato per la funzione meccanica, forma l’impalcatura scheletrica della<br />

maggior parte dei vertebrati, per il sostegno dell’organismo, l’inserzione della muscolatura e la protezione<br />

dei visceri e del sistema nervoso. La funzione è svolta grazie all’architettura istologica e alla natura<br />

della sostanza intercellulare, ricca di fibre e mineralizzata. Altra funzione, non secondaria, è di costituire<br />

la sede di deposito degli ioni calcio e fosfato. E’ un tessuto dinamico, continuamente rinnovato, molto<br />

sensibile agli stimoli meccanici (ad esempio degli apparecchi ortopedici e dentistici); va incontro a ipertrofia<br />

a ad atrofia, secondo le sollecitazioni che subisce. Al contrario della cartilagine è riccamente vascolarizzato<br />

e nessuna sua cellula dista più di una frazione di mm da un capillare; la sostanza intercellulare è<br />

impermeabile, perché calcificata, ma è attraversate da una rete di canalicoli in cui scorre il liquido tissulare,<br />

che raggiunge così tutte le cavità in cui sono alloggiate le cellule.<br />

Si forma dal connettivo embrionale (mesenchima), le cui cellule stellate si convertono in osteoblasti;<br />

questi elementi producono la sostanza intercellulare, mantenendo però (a differenza dai condroblasti) prolungamenti<br />

citoplasmatici interconnessi. Finita l’attività le cellule, divenute osteociti, risultano accolte in<br />

lacune connesse da canalicoli ossei; gli osteociti si impegnano nei canalicoli coi loro prolungamenti, che<br />

restano sempre in contatto con quelli delle cellule circostanti, ma si assottigliano, così da permettere il<br />

passaggio del liquido tissulare nell’ampia intercapedine fra plasmalemma e parete canalicolare.<br />

Gli osteoblasti hanno citoplasma intensamente basofilo, con aree positive alle reazioni per la fosfatasi<br />

alcalina. Al ME mostrano esteso RER e Golgi molto attivo, associato a numerose vescicole, a dimostrazione<br />

di un’intensa proteosintesi. Negli osteociti, quiescenti, gli organuli risultano assai ridotti. La sostanza<br />

intercellulare contiene fasci di fibre collagene (di tipo I) e sostanza amorfa costituita da proteoglicani<br />

ricchi di mucopolisaccaridi solforati e calcificata. La calcificazione consiste nella deposizione di minuti<br />

cristalli aghiformi di idrossiapatite - CaOH.Ca4(PO4)3, 1,5-2 x 20-40 nm - che invadono tutta la sostanza<br />

amorfa, e si infiltrano fra le fibre. La mineralizzazione rende l’osso durissimo e opaco ai raggi X. Gli osteociti<br />

non si dividono: l’osso può accrescersi solo per apposizione.<br />

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TECNICA ISTOLOGICA: per studi osteologici di grossa morfologia ci si può affidare a radiografie o<br />

alla TAC, tomografia assiale computerizzata (a bassa risoluzione), ma per aspetti più fini bisogna affidarsi<br />

alla pratica istologica. Data la durezza del tessuto, i preparati devono essere allestiti con procedure particolari:<br />

la tecnica normale di inclusione e affettatura di frammenti istologici può essere usata solo dopo decalcificazione<br />

(con soluzioni acide diluite), trattamento che però altera sempre, più o meno, le strutture e<br />

rende più difficile la colorazione. Studi sulla componente fibrosa e minerale di un prelievo si fanno dopo<br />

macerazione (con KOH o NaOH), che asporta cellule e sostanza amorfa; l’osso macerato sarà poi assottigliato<br />

con abrasivi (allestimento “per usura”) fino a permetterne l’osservazione per trasparenza al MO.<br />

STRUTTURA: al MO si distinguono due tipi di tessuto osseo: osso alamellare e osso lamellare.<br />

1) Osso alamellare: forma lo scheletro dei vertebrati ectotermi (molti dei quali possono però presentare<br />

zone lamellari); è il primo a comparire negli omeotermi come “osso immaturo”, poi sostituito dal lamellare<br />

salvo alcune sedi particolari.<br />

E’ costituito da una rete di trabecole, fra le quali restano ampie cavità contenenti vasi; nelle trabecole i<br />

fasci di fibre collagene sono variamente orientati nella sostanza amorfa calcificata; gli osteociti, più fitti<br />

che nell’osso lamellare, sono alloggiati in lacune scavate nello spessore delle trabecole, collegate fra loro<br />

dai canalicoli ossei. I centri di ossificazione encondrali, nei quali l’osso sostituisce la cartilagine, si riconoscono<br />

facilmente dai centri di ossificazione diretta, perché le trabecole presentano nel loro spessore residui<br />

della sostanza intercellulare del vecchio tessuto.<br />

2) Osso lamellare: è organizzato in lamelle stratificate spesse 4-12 µm; le lacune contenenti gli osteociti<br />

sono scavate fra una lamella e l’altra, sempre collegate da canalicoli che attraversano l’intero spessore di<br />

ogni lamella. Meno cellularizzato dell’osso alamellare, si presenta in due forme: compatto e spugnoso.<br />

- A) Osso lamellare compatto: l’unità trofica e funzionale che lo costituisce è l’osteone; il sistema osteonico<br />

(o haversiano) è il complesso di queste unità, di forma cilindrica, formate da gruppi di lamelle concentriche<br />

(da 1 a 20) che lasciano al centro una cavità, canale di Havers, in cui decorrono capillari. Il flusso<br />

trofico attraversa ogni lamella grazie al sistema canalicolare e raggiunge quindi anche le lacune più periferiche<br />

dell’unità. Nelle sezioni trasverse si osserva che l’osteone è delimitato esternamente dalla linea<br />

cementante di Ebner, di materiale meno calcificato e più colorabile. Al MO polarizzatore le lamelle risultano<br />

birifrangenti per l’organizzazione a encapsi delle fibre collagene. In ogni lamella le fibre decorrono<br />

parallele, con andamento elicoidale più o meno obliquo, ora destrorso ora sinistrorso, diverso da lamella a<br />

lamella. Gli osteoni si orientano secondo le linee di carico e lo spazio fra le entità cilindriche è colmato da<br />

pacchetti di lamelle incurvate variamente orientati; sono i residui di vecchi osteoni in gran parte demoliti,<br />

che costituiscono la breccia del sistema interstiziale. Alla periferia un sistema di lamelle, definito sistema<br />

limitante (che compare nell’adulto) confina col periostio interno, vascolarizzatissimo, e col periostio<br />

esterno di connettivo fibroso a fasci irregolari.<br />

- B) Osso lamellare spugnoso: consta di una rete tridimensionale di spicole ramificate, che delimitano<br />

uno spazio labirintico occupato da vasi e midollo osseo. Le parti più spesse delle spicole alloggiano interi<br />

osteoni, ma quelle sottili sono fatte da pacchetti di poche lamelle, direttamente irrorate dai vasi delle<br />

cavità. Le spicole sono orientate secondo le linee di carico (ben visibili ad esempio nella testa del femore).<br />

RIMANEGGIAMENTO OSSEO: l’osso neoformato è sempre alamellare; nella maggior parte delle<br />

sedi diventa poi lamellare. Assume la conformazione anatomica opportuna gradualmente, non per un accumulo<br />

progressivo di materiale, ma con un processo continuo di distruzione e di ricostruzione. Il riassorbimento<br />

osseo è un fenomeno di superficie, operato da osteoclasti, cellule che derivano dai monociti del<br />

sangue; sono grandi cellule (oltre 80 µm) di forma irregolare, plurinucleate (arrivano a una ventina di nuclei),<br />

leggermente basofile. Producono acidi (lattico e carbonico) che disciolgono i sali minerali ed enzimi<br />

proteolitici che demoliscono fibre e sostanza amorfa. Al ME presentano un orletto striato e un sistema di<br />

canalicoli collegati col plasmalemma in corrispondenza di particolari placche di adesione (podosomi).<br />

Demolendo parzialmente i vecchi osteoni, scavano piccole cavità, lacune di Howship, che poi confluiscono<br />

in spazi cilindrici, canali di riassorbimento, sedi di formazione di nuove unità osteoniche.<br />

Nell’osso si succedono infatti varie generazioni di osteoni. In un osteone giovane il canale è largo, il<br />

lume rivestito di osteoblasti, la lamella interna, più recente, è meno calcificata. Le lamelle via via deposte<br />

restringono progressivamente il canale di Havers, riducendo quindi l’afflusso di liquido tissulare all’osteone;<br />

quando l’apporto trofico diventa insufficiente per tutta l’unità, si ha morte degli osteociti in posizione<br />

sfavorevole e degenerazione locale della sostanza intercellulare; intervengono gli osteoclasti e si ha la<br />

formazione delle lacune di Howship, che poi si estendono a costituire i canali di riassorbimento. Le parti<br />

residue dell’osteone vanno a costituire la breccia ossea, mentre le cavità di riassorbimento formate dagli o-<br />

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steoclasti, dal lume irregolarmente cilindrico, verranno ben presto occupate da nuovi osteoni; il loro bordo,<br />

frastagliato per la sua modalità di formazione, diverrà la linea cementante di Ebner.<br />

CONNETTIVI CELLULARI: nell’adulto sono rappresentati, oltre che dal tessuto adiposo (vedi pag.<br />

62), dal tessuto cordoide e dagli endoteli.<br />

Il tessuto cordoide è il residuo della struttura assile di sostegno degli embrioni di tutti i “Cordati”, la<br />

corda dorsale. Costituisce il nucleo polposo che occupa il centro di ogni disco intervertebrale, circondato<br />

da un anello di cartilagine fibrosa; è formato da cellule vescicolose, poliedriche, con nucleo piccolo, spesso<br />

eccentrico; il loro citoplasma, trasparente, è carico di glicogeno, che richiama osmoticamente l’acqua e<br />

conferisce al tessuto turgore, e quindi resistenza meccanica alla compressione. L’ernia del disco consiste<br />

nella fuoriuscita del nucleo polposo attraverso fessurazioni della cartilagine fibrosa.<br />

Gli endoteli sono i costituenti principali delle pareti dei capillari, la cui permeabilità è determinante<br />

negli scambi fra sangue e tessuti, rivestono però le pareti di tutto il sistema circolatorio, cuore compreso (lì<br />

l’endotelio prende il nome di endocardio). Si presentano come epiteli pavimentosi semplici (vedi pag. 51),<br />

provvisti di membrana basale.<br />

I capillari più piccoli hanno lume circondato da una sola cellula, quelli più ampi da due o tre. Il diametro<br />

varia entro limiti ristretti, in rapporto all’attività degli organi vascolarizzati, fino a un minimo compatibile<br />

con le dimensioni delle cellule del sangue (6-15 µm), che talvolta per transitare devono deformarsi.<br />

Alle cellule endoteliali possono essere associate cellule contrattili e periciti, cellule con funzione di macrofagi<br />

(e forse contrattili anch’esse), alloggiate in uno sdoppiamento della lamina basale.<br />

Salvo sedi particolari le cellule endoteliali sono fortemente appiattite, con nucleo nella parte centrale,<br />

un po’ ispessita, del corpo cellulare. Al ME presentano diplosoma, Golgi, un po’ di RE, mitocondri, addensamenti<br />

di microfilamenti del diametro di circa 5 nm (stress fibers, fibre di tensione per resistere alle<br />

turbolenze del flusso sanguigno); numerose vescicole di pinocitosi (diametro 60-70 nm) si formano sul<br />

versante plasmatico e il loro contenuto viene riversato dalla parte opposta per diacitosi (o trans-citosi). Fra<br />

cellula e cellula, in aree circoscritte, si osservano giunzioni occludenti e desmosomi; per il resto, consueto<br />

intervallo di poche diecine di nm fra le membrane. In qualche sede (rene, fegato, ghiandole endocrine….)<br />

le cellule endoteliali presentano lembi citoplasmatici molto sottili, attraversati da pori circolari (di 80-100<br />

nm) in molti casi chiusi da un diaframma sottile (4 nm), a formare capillari fenestrati.<br />

FUNZIONI - Le cellule endoteliali non hanno solo funzione di contenimento del torrente circolatorio o<br />

di filtro nei confronti del liquido tissulare: 1) In ipossia (carenza di ossigeno) liberano dall’aa arginina nitrossido<br />

(NO), vasodilatatore la cui produzione è inibita dall’O2, controllando così il calibro dei capillari<br />

in base alla disponibilità del gas. 2) Nelle sedi di infiammazione permettono ai leucociti (globuli bianchi,<br />

pag. 68) il passaggio dal circolo al connettivo, esprimendo selectine, proteine intrinseche del plasmalemma;<br />

le selectine hanno un dominio di “lectina” (che lega gli zuccheri) col quale “pescano” i leucociti in<br />

transito nei capillari rallentandone la corsa; integrine completano poi l’adesione e consentono la “diapedesi”,<br />

ovvero l’attraversamento dell’endotelio passando fra cellula e cellula. 3) Controllano l’attività delle<br />

piastrine (pag. 71), convertendo continuamente i fattori di aggregazione che queste liberano, le prostaglandine,<br />

in prostacicline (fattori antiaggreganti e vasodilatatori).<br />

SANGUE: tessuto fluido, rappresenta l’8% circa del peso corporeo (valore circa corrispondente a<br />

quello della volemia, volume totale del tessuto). Scorre entro un sistema chiuso di vasi, interamente rivestito<br />

da endotelio; consta di plasma, soluzione complessa di amicroni e ultramicroni di varia natura, e di<br />

corpi figurati, cellule in sospensione. Non è un vero connettivo, perché il plasma non è prodotto dai corpi<br />

figurati e questi ultimi non si formano in loco, ma provengono da sedi specifiche (vedi tessuti emopoietici,<br />

pag. 71). Crasi ematica è il termine ippocratico con cui si indica la composizione del sangue.<br />

Plasma: è composto al 92-93% da acqua, assorbita dall’intestino, contenente glucosio (80 mg/100 ml,<br />

poco meno dello 0,1%), ioni (Na + , K + , Ca ++ , Cl - , HCO3 - , H2PO4 - ecc.) e altri amicroni liberati dalle sedi<br />

di deposito o dai centri di recupero - il glucosio dagli epatociti, il Ca ++ (10 mg/100 ml) e il fosfato,<br />

dall’osso. Il resto del plasma (7-8%) comprende: 1)<br />

proteine, lipoproteine e glicoproteine prodotte dal fegato,<br />

cioè il fibrinogeno e le proteine del siero (che è il plasma “defibrinato”, ovvero privato del fibrinogeno):<br />

albumine, globuline α1, α2 e β; 2)<br />

anticorpi (globuline γ) prodotti dalle plasmacellule; 3)<br />

la categoria<br />

eterogenea degli ormoni (quelli liposolubili legati a proteine). Contiene anche ematoconi (detriti, cristalli<br />

ecc.). Molte sostanze semplici circolano legate a proteine: gli acidi grassi liberati dagli adipociti, il<br />

Fe3+ liberato dalla milza, gli ormoni steroidi, il Cu ++ ecc.<br />

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Con l’elettroforesi a pH 8,6 su strisce di acetato di cellulosa per 30’ le proteine del siero si separano in<br />

bande colorabili col rosso Ponceau, la cui lettura a un densitometro ottico fornisce il “tracciato elettroforetico”,<br />

nel quadro generale della crasi – un tracciato normale rispecchia le seguenti percentuali (partendo<br />

dall’anodo, polo +): albumina 61%, globuline α1 3%, α2 10%, β 11%, γ 15%.<br />

Corpi figurati (o elementi f.): comprendono gli eritrociti, i leucociti e, nei Mammiferi, le piastrine.<br />

Di densità leggermente superiore al plasma, rimangono in sospensione in vivo per il continuo movimento<br />

del torrente circolatorio; “sedimentano” a fermo. La VES, velocità di eritrosedimentazione (9-13, più<br />

alta nella donna), esprime l’altezza in mm della zona di solo plasma che appare dopo un’ora di attesa in<br />

un contenitore di sangue a causa della sedimentazione degli elementi figurati. Velocizzando la sedimentazione<br />

in centrifuga (12.000 giri/min), in tubicini capillari eparinizzati chiusi ad un’estremità al calore di<br />

una fiamma, in pochi minuti si rileva il valore ematòcrito, numero che esprime la percentuale del volume<br />

occupato dai corpi figurati rispetto al volume totale del sangue; nell’uomo il valore normale dell’ematocrito<br />

è 45 (40 nelle donne), con l’1% impegnato dallo straterello biancastro superficiale di leucociti e piastrine,<br />

buffy coat, e il resto dagli eritrociti.<br />

Con una camera contaglobuli, un “vetrino” speciale munito di reticolo, si può calcolare la concentrazione<br />

degli elementi figurati dopo opportuna diluizione del sangue; nell’uomo, per mm 3 , si hanno 4 milioni<br />

di eritrociti nella femmina e 4,5 nel maschio, e in entrambi i sessi, da 5.000 a 9.000 leucociti e 200.000-<br />

300.000 piastrine. Per lo studio morfologico dei corpi figurati al MO si allestiscono strisci; per eseguire<br />

questa tecnica si pone una piccola goccia di sangue su un vetrino portaoggetto, la si porta a contatto con<br />

un vetrino coprioggetto inclinato a 45° e la goccia si spande lungo la linea di contatto fra i due vetrini; si<br />

“striscia” il coprioggetto in direzione opposta al versante in cui si trovava inizialmente la goccia e il sangue<br />

si spande a formare un velo sottile, monocellulare. Si lascia asciugare all’aria; dopo qualche tempo si<br />

copre col liquido di May Grünwald (una soluzione fissatrice da pura e colorante diluita 1:3), poi si diluisce<br />

con H2O, si sciacqua e si può subito esaminare al MO con obiettivo all’immersione in acqua.<br />

ERITROCITI (emazie, globuli rossi): sono le cellule che rendono rosso il sangue, ma visti al MO,<br />

per trasparenza, appaiono giallastri. Altamente specializzati per il trasporto di O2, sono privi di organuli e,<br />

solo nei Mammiferi, anche di nucleo, espulso con modalità apocrina nelle fasi finali del differenziamento.<br />

FORMA, GRANDEZZA, NUMERO: nei vertebrati inferiori gli eritrociti sono nucleati ed ellissoidali.<br />

Nei mammiferi hanno forma a disco biconcavo e nei preparati appaiono perciò più chiari al centro. Sono<br />

cellule completamente acidofile; in circolo c’è però sempre una certa quota di forme immature che contengono<br />

nel citoplasma un reticolo basofilo di ribosomi residui e vengono perciò dette reticolociti<br />

(nell’uomo sono circa il 2%). Esistono eritrociti anomali per forma (sferociti, drepanociti), dimensioni<br />

(macrociti, microciti) o per la presenza di punte (echinociti) o lobi appiattiti (acantociti). Al ME nei<br />

mammiferi si osserva solo il plasmalemma ed un contenuto omogeneo, finemente granulare, privo di reticolo<br />

microtrabecolare; nei vertebrati inferiori, a parte il nucleo, che quando presente è comunque eterocromatico<br />

(e quindi fisiologicamente inerte), c’è un anello equatoriale di una ventina di microtubuli e può<br />

rimanere qualche organulo residuo.<br />

Nell’uomo si hanno normalmente eritrociti del diametro di 7,2 ± 0,5 µm (micro- e macrocitemia, sono<br />

patologiche) e volume di 92 fL (fL = femtolitro, misura di capacità corrispondente al volume di 1 µm 3 );<br />

data la concentrazione (4-4,5 milioni/mm 3 ), il loro numero totale in un soggetto varia dai 15 ai 30.000 miliardi.<br />

La concentrazione è più alta negli individui che vivono ad alte quote, dove la pressione atmosferica<br />

(e quindi quella parziale dell’O2) è minore. Dimensioni e concentrazioni cambiano notevolmente fra le varie<br />

forme dei vertebrati: gli anfibi hanno le emazie più grandi e meno numerose (le dimensioni massime si<br />

hanno nell’anfibio Proteus: 60x35 µm, 30.000/mm 3 ); certi pesci artici sono privi di eritrociti.<br />

VITA MEDIA: marcando i globuli rossi si è potuto stabilire che nell’uomo la loro durata è di circa 100<br />

giorni; questo significa che ogni giorno 1/100 di essi, cioè circa 300 miliardi, viene eliminato e sostituito.<br />

COSTITUZIONE CHIMICA: un globulo rosso anucleato è costituito per il 60% da acqua, per il 33%<br />

da emoglobina (Hb, densità 1,055); resta un 1% per proteine e lipoidi del plasmalemma e qualche enzima.<br />

Le forme anomale degli eritrociti sono dovute a difetti nella struttura del plasmalemma o dell’Hb stessa -<br />

come nel caso dei “drepanociti” degli individui affetti da falcemia (vedi pag. 12).<br />

L’eritrocito possiede enzimi antiossidanti e l’energia fornita dalla glicolisi anaerobia gli consente di<br />

mantenere nel citosol una differente composizione ionica. Isotonico rispetto al plasma, si raggrinza in ambiente<br />

ipertonico e rigonfia fino a scoppiare in ambiente ipotonico: è questa l’emolisi, con fuoriuscita<br />

dell’Hb e sedimentazione delle “ombre” (cioè dei plasmalemmi vuoti). Emolisi può essere indotta anche<br />

da sostanze che danneggiano il plasmalemma (lipasi, veleni di serpenti o funghi ecc.).<br />

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FUNZIONE: poiché l’ossigeno molecolare, O2, è poco solubile nell’acqua, gli eritrociti lo concentrano<br />

e lo trasportano agli organi mediante l’Hb, che viene ossidata ad Hb-O2 nelle sedi dove la tensione parziale<br />

del gas è elevata (polmoni, branchie). Quando il sangue ossigenato (arterioso, rosso brillante) raggiunge<br />

i vari tessuti, la tensione dell’O2 si abbassa, perché le cellule lo consumano producendo CO2, e l’Hb libera<br />

l’ O2 e passa alla forma “ridotta”. Il sangue si carica di CO2, in parte disciolta nel plasma (20%), in parte<br />

legata come Hb-CO2, carbodiossi-Hb, e diviene venoso (rosso violaceo); ritornato alle sedi di ossigenazione<br />

cede la CO2 e si ricarica di O2 e così via, sempre in base al giuoco delle tensioni parziali.<br />

La “cianosi” è il colorito violaceo dovuto a presenza di Hb ridotta nel sangue arterioso, per carenza di<br />

ossigenazione o ristagno del flusso venoso. L’Hb ha forte affinità per il monossido di carbonio, CO, con<br />

cui forma la Hb-CO, carbossi-Hb, rosso brillante, chimicamente piuttosto stabile: anche basse concentrazioni<br />

di CO nell’ambiente determinano gravi avvelenamenti, bloccando gradualmente quantità crescenti di<br />

Hb. In città una concentrazione ematica di Hb-CO del 2% è normale (nei fumatori supera il 5%); se la<br />

concentrazione supera il 20% si avverte forte mal di testa, al 40% si ha collasso cardiocircolatorio.<br />

LEUCOCITI (globuli bianchi): incolori, nucleati, nel circolo sanguigno presentano forma sferica<br />

perché sono solo in transito, inattivi; svolgono le loro funzioni nel connettivo lasso, ove emettono pseudopodi<br />

e migrano con moti ameboidi, attraversando le pareti degli endoteli e delle mucose per diapedesi.<br />

Dall’osservazione degli strisci si rilevano due forme diverse di globuli bianchi, i leucociti granulati e i<br />

leucociti agranulati; gli agranulati comprendono linfociti e monociti; i granulati, o granulociti, si suddividono<br />

in base alle diverse affinità tintoriali dei loro granuli in granulociti neutrofili (o eterofili), g. acidofili<br />

(o eosinofili) e g. basofili. La formula leucocitaria esprime le percentuali dei vari tipi:<br />

Granulociti neutrofili 55-70% Linfociti 20-40%<br />

Granulociti acidofili 2-3% Monociti 3-8%<br />

Granulociti basofili 0,5-1%<br />

La concentrazione normale dei globuli bianchi nell’individuo in condizioni di riposo e a digiuno è di<br />

5.000-9.000/mm 3 ; ci sono variazioni notevoli, non patologiche, a seconda della distanza dai pasti e dell’attività<br />

muscolare; attività motoria e processi digestivi mobilitano infatti le cellule dei centri linfoidi. Nel<br />

neonato i leucociti sono 18.000/mm 3 , poi diminuiscono gradualmente; persiste però nel bambino un numero<br />

elevato di linfociti, una “leucocitosi” fisiologica; nell’adulto la leucocitosi è indice di stato patologico.<br />

Sotto i 5.000 si ha “leucopenia”, indice anch’essa di alterazione patologica delle difese immunitarie.<br />

L’esame emocromocitometrico, detto brevemente emocromo, definisce il complesso dei parametri ematologici<br />

fondamentali di un individuo; comprende VES (9-13), ematocrito (40-45), concentrazione<br />

dell’emoglobina (13-15 mg/100 ml), conta dei globuli rossi (4-4,5 milioni/ mm 3 ) e valori derivati (volume<br />

corpuscolare medio, MCV; emoglobina corpuscolare media, MCH; concentrazione corpuscolare media<br />

dell’emoglobina, MCHC), conta dei globuli bianchi (5.000-9.000/mm 3 ), formula leucocitaria, conta delle<br />

piastrine (2-300.000/mm 3 ).<br />

GRANULOCITI: diversi per citologia e funzioni, sono cellule alla conclusione del loro ciclo vitale,<br />

con nuclei coartati (leucociti polimorfonucleati) ormai privi di nucleoli e quindi senza possibilità di svolgere<br />

qualsiasi funzione che preveda sintesi proteica.<br />

- A) Granulociti neutrofili: hanno diametro di 8-9 µm (10-12 µm negli strisci, dove risultano appiattiti);<br />

presentano nucleo diviso da strozzature in lobi, in numero da 2 a 5, in aumento con l’età della cellula; nelle<br />

donne, se il nucleo è opportunamente orientato (mediamente nel 3% dei casi), si osserva la “mazza di<br />

tamburo” (drumstick), cromatina sessuale (vedi cromosomi). Il citoplasma è pieno di fini granuli al limite<br />

della risolvibilità al MO (0,2-0,3 µm), che presentano affinità tintoriali diverse e conferiscono perciò un<br />

colore “sporco” alla cellula. Al ME, oltre al Golgi e a profili di RER, si vede che i granuli sono di due tipi;<br />

gli A, o azzurrofili, più grandi e densi, sono lisosomi, i B, o specifici, piccoli, talvolta con un cristalloide,<br />

contengono sostanze antibatteriche (lisozima, fagocitine ecc.).<br />

FUNZIONE: sono i microfagi, che cooperano con gli istiociti (macrofagi) nella fagocitosi; liberano anche<br />

sostanze fortemente ossidanti (superossidi, H2O2 , ipoclorito) ad azione battericida. Germi penetrati at-<br />

traverso lesioni epiteliali inducono nei connettivi una reazione infiammatoria (con contributo di mastociti,<br />

linfociti T ecc.), che comporta attivazione delle cellule endoteliali e vasodilatazione. L’endotelio recluta<br />

microfagi e macrofagi, che emettono pseudopodi e attraversano per diapedesi le pareti dei capillari per fagocitare<br />

le entità estranee. Sono attratti da molecole con piani organizzativi da “agente patogeno” (formilmetionina<br />

nelle proteine, sequenze geniche, polisaccaridi ecc.); l’opsonizzazione degli antigeni esalta infatti<br />

l’attività dei granulociti, ma non è indispensabile come per i macrofagi per promuoverla.<br />

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File: <strong>ISTOLOGIA</strong>, 50-81<br />

Sono cellule terminali con vita brevissima, forse di soli 1-2 giorni, comunque non superano la settimana.<br />

Nelle sedi di infezione si accumulano in forti quantità e una volta morti vanno a costituire il pus; le<br />

forme con molti lobi compaiono solo a infezione pregressa.<br />

- B) Granulociti eosinofili: diametro circa 10 µm (negli strisci 12-14 µm), nucleo di solito bilobato, meno<br />

colorabile che nei neutrofili; il citoplasma ha grossi granuli sferici (0,6-1 µm) contenenti enzimi lisosomiali,<br />

che al ME risultano vescicole con inclusi paracristallini; piccoli il RER e il Golgi.<br />

FUNZIONE: con i loro granuli di tipo lisosomiale (contenenti alcuni fattori peculiari, come la proteina<br />

basica maggiore, MBP, e la proteina cationica degli eosinofili, ECP, che forma i cristalli) svolgono potente<br />

azione citotossica. Aumentano infatti nelle micro- e macroparassitosi e nelle allergie; sono attratti<br />

dall’istamina e dall’ECFA dei mastociti (fattore chemiotattico specifico). Il cortisone, che ha azione antiallergica,<br />

ne provoca la rapida scomparsa dal circolo (nelle 24 ore si hanno oscillazioni di concentrazione<br />

plasmatica correlate con l’attività corticosurrenale).<br />

- C) Granulociti basofili: hanno dimensioni simili a quelle dei neutrofili; il nucleo, formato da 2-3 lobi<br />

spesso disposti a formare una S, è poco colorabile e mascherato da grossi granuli (0,5 µm, idrosolubili<br />

nell’uomo) basofili, metacromatici, che al ME appaiono come vescicole dal contenuto di aspetto diverso<br />

nelle varie specie (granulare nell’uomo). Contengono eparina, istamina, ECFA e SRSA, come i mastociti,<br />

e svolgono funzione analoga. Diminuiscono come gli eosinofili per azione dei cortisonici.<br />

MONOCITI: sono i leucociti più grandi (diametro 12-18 µm, oltre 20 negli strisci). Il citoplasma è<br />

abbondante, meno basofilo che nei linfociti, con pochi granuli; il nucleo è reniforme, a ferro di cavallo nei<br />

monociti più vecchi, con 1-2 nucleoli e cromatina in granuli e zolle, meno condensata che nei linfociti. Al<br />

ME si osservano pile di Golgi presso la parte concava del nucleo, vescicole dilatate, profili di RER, ribosomi<br />

liberi, mitocondri e lisosomi. Reclutati per chemiotassi dai peptidi estranei e attivati dalle opsonine e<br />

dai fattori immunitari aspecifici dell’immunità naturale ad essi legati, si convertono in macrofagi; sono in<br />

pratica gli “istiociti del sangue”, macrofagi ancora immaturi in transito nel sangue per poche ore.<br />

Divenuti attivi nel connettivo, esprimono come gli istiociti il complesso proteico MHC di classe II per<br />

l’attivazione dei linfociti TH; l’MHC si lega a peptidi originati dalla frammentazione lisosomiale di proteine<br />

antigeniche e quindi, associato al plasmalemma, viene presentato alle cellule immunocompetenti; sono<br />

quindi cellule che presentano l’antigene. Secernono interleuchine (IL 1 e IL 6), interferone, lisozima, enzimi<br />

litici e sostanze pirogene come gli istiociti; liberano anch’essi superossidi, H2O2 , ipoclorito.<br />

Sono progenitori delle cellule dendritiche interdigitate degli organi emopoietici, delle cellule di Langerhans,<br />

delle cellule di Langhans e degli osteoclasti.<br />

LINFOCITI: sono le cellule che popolano la linfa; i numerosissimi centri di produzione scaglionati<br />

lungo l’albero linfatico liberano quantità imponenti di linfociti, che non si accumulano però nel sangue<br />

perché la diapedesi attraverso gli endoteli (e poi, in parte, attraverso le mucose) bilancia la produzione. In<br />

genere (80%) sono cellule piccole, “piccoli linfociti”, con diametro di 6-8 µm, ma vi sono anche “l. medi”<br />

e “grandi”, fino ad arrivare a un diametro di una ventina di µm. Il loro nucleo ha una tipica forma a chicco<br />

di caffè, sferico, ma con una parte appiattita percorsa da una solcatura; intensamente colorabile, è sempre<br />

provvisto di nucleolo. Il citoplasma, leggermente basofilo e con rari granuli, nei piccoli linfociti è ridotto<br />

ad un sottile strato; il diplosoma si trova in corrispondenza del solco del nucleo; il plasmalemma può avere<br />

solo scarse protrusioni irregolari, oppure si solleva in numerosi microvilli.<br />

Dal punto di vista funzionale ci sono tre tipi di linfociti: linfociti T (70%), provenienti dal timo, a lunga<br />

vita (anche di mesi), linfociti B (15%), con vita di pochi giorni e, nei mammiferi, origine mieloide<br />

(cioè dal midollo osseo; negli uccelli derivano invece dalla “borsa di Fabrizio” annessa alla cloaca, donde<br />

la denominazione “B”, bursali) e cellule NK (natural killer, 15%). Negli organi linfoidi (vedi più avanti)<br />

ciascun tipo ha le sue sedi preferenziali. Non sono riconoscibili al MO; si possono riconoscere al ME, perché<br />

i B non hanno attività lisosomiale, mentre i T e gli NK la possiedono sempre. I T si dividono in due<br />

sottotipi proprio in base alla distribuzione dei lisosomi (linfociti con “corpo di Gall”, lisosomi addossati a<br />

una goccia lipidica, oppure linfociti con lisosomi a distribuzione omogenea, come nelle cellule NK). Svolgono<br />

funzioni diverse nell’ambito dell’immunità.<br />

FUNZIONI DEI LINFOCITI: presiedono alle difese immunitarie, il complesso delle risposte dell’organismo<br />

al contatto con entità a lui estranee (not self).<br />

- A) I linfociti B sono gli elementi alla base dell’immunità umorale, “ipersensibilità immediata”. Secondo<br />

la teoria della selezione clonale, ciascuna cellula “immunocompetente” è in grado di rispondere a un<br />

solo tipo di antigene già prima di incontrarlo, cioè è già “determinata”. Un linfocito B presenta nel plasmalemma<br />

numerosi recettori (circa 150.000), tutti uguali, costituiti da 4 protomeri: 2 catene heavy e 2 light,<br />

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(Isto126)<br />

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File: <strong>ISTOLOGIA</strong>, 50-81<br />

unite da ponti S-S e disposte a formare una specie di Y. Ogni recettore è capace di legare due molecole antigeniche<br />

stericamente complementari. Il gene per la sintesi delle catene heavy del recettore deriva da un<br />

fenomeno di ricombinazione genica che consiste nell’assemblaggio di 4 geni più piccoli: V, variabile; C,<br />

costante; J, di giunzione; D, di diversità; quello delle catene light deriva dall’assemblaggio di 3 geni: V, C<br />

e J. Risultano così possibili ben 10 11 recettori diversi! Qualsiasi antigene entri in un organismo troverà<br />

quindi linfociti T “vergini” (naive) che portano il suo recettore specifico perfettamente complementare.<br />

Quando si presenta un antigene, i recettori del linfocito B che lo hanno legato dopo aver formato, raggruppandosi,<br />

delle placchette (patching), migrano ad un polo (capping); poi scompaiono (shedding), perché<br />

vengono internalizzati e scissi in peptidi da associare a MHC di II classe. Poi il linfocito viene “attivato”<br />

da un helper factor (IL 2, interleuchina 2, prodotta dai linfociti T) e si divide ripetutamente, dando origine<br />

a un clone, cioè a una popolazione di cellule identiche derivate dalla stessa cellula madre; a differenza<br />

di questa però le “activated cells” (maturate grazie a IL 6) sono capaci di secernere recettori liberi:<br />

sono gli anticorpi o immunoglobuline. Dapprima i linfociti attivati producono anticorpi ad alto peso molecolare,<br />

immunoglobuline M (Ig M, p.m. = 10 6 dalton, pentameri uniti da una proteina J) o, per splicing diverso<br />

del messaggero, immunoglobuline D (Ig D). Poi, per clivaggio nel gene (switch idiotipico promosso<br />

da IL 4), secernono immunoglobuline monomeriche più specifiche e di peso minore (160.000 dalton), le<br />

IgG. La stimolazione determina la trasformazione del linfocito in plasmacellula (vedi cellule del connettivo,<br />

pag. 60), con grande sviluppo del RER. Ci sono altri tipi di Ig, diverse nel dominio delle catene heavy<br />

inserito nella membrana, non nella porzione ad attività anticorpale: le IgE, che vengono adsorbite sul plasmalemma<br />

dei mastociti e dei granulociti basofili; le IgA, che proteggono le mucose dopo averle attraversate<br />

per trans-citosi (costituite da 2 molecole anticorpali unite da una “catena J” e poi legate ad una “glicoproteina<br />

S” di origine epiteliale nel corso della trans-citosi).<br />

Eliminato l’antigene, l’attività dei linfociti B si blocca; restano però nell’organismo B memory cells,<br />

linfociti B già pronti a proliferare e a secernere anticorpi qualora l’antigene si ripresenti.<br />

- B) I linfociti T non liberano anticorpi dopo contatto con l’antigene; muniti di recettori fissi per il riconoscimento<br />

di peptidi di origine antigenica esposti in associazione con MHC di I o di II classe (“epitopi”),<br />

sono alla base dell’immunità mediata da cellule, “ipersensibilità ritardata”. Si formano nel timo e i loro<br />

recettori fissi dimerici, TCR (T cell receptors), sono configurati anch’essi in tutte le combinazioni per il<br />

riconoscimento di qualsiasi peptide. Per questi linfociti si parla non di selezione, ma di delezione clonale<br />

o selezione negativa: nel corso del differenziamento vengono eliminati per apoptosi (suicidio cellulare) i<br />

linfociti T potenzialmente dannosi, quelli che hanno affinità con polipeptidi del “self” e ne vengono inevitabilmente<br />

in contatto prima della maturazione. Quelli vergini, utili all’attivazione dei processi immunitari,<br />

superano indenni il processo maturativo, lasciano il timo e vanno a popolare aree linfoidi specifiche. Sono<br />

suddivisi in due tipi con funzioni e recettori diversi: linfociti TH e linfociti TC.<br />

1) Linfociti TH (T helper cells, linfociti helper): sono provvisti di recettori per l’MHC di classe II dei<br />

macrofagi, accompagnati dai corecettori CD4 (CD = cluster of differentiation, sigla seguita da un numero<br />

per l’identificazione internazionale delle proteine); sono attivati sinergicamente dall’IL 1 e dall’epitopo di<br />

15-24 aa legato all’MHC – liberano interleuchine (o linfochine), IL, sostanze a basso peso molecolare che<br />

regolano le attività delle altre cellule immunitarie che si trovano nelle immediate vicinanze. Comprendono<br />

due sottoclassi: i linfociti TH1 o cellule T infiammatorie, che regolano le attività dei macrofagi, e i linfociti<br />

TH2 o cellule T helper in senso stretto, che regolano le attività dei linfociti B. Sono prodotti dell’attività<br />

dei linfociti TH1 il MIF (migration inhibiting factor), fattore che blocca i macrofagi nelle sedi di invasione<br />

degli antigeni, l’interferone, sostanza antivirale, e sostanze che determinano infiammazione. I TH2 liberano:<br />

l’helper factor (IL 2, interleuchina 2), che stimola la clonazione dei linfociti B; l’IL 4, fattore di commutazione<br />

di classe delle Ig; l’IL 6, fattore per la maturazione dei linfociti B in “activated cells”; IL 3, IL<br />

5, IL 13, per la commutazione delle Ig in Ig E, ecc.<br />

L’AIDS, acquired immunodeficiency syndrome, è provocata dal virus HIV, human immunodeficiency<br />

virus, che ha altissima affinità per i corecettori CD 4 ed elimina la maggior parte dei linfociti TH, compromettendo<br />

l’attività dell’intero sistema immunitario.<br />

2) Linfociti Tc (linfociti T citotossici o T killer cells): sono provvisti di recettori per l’MHC di classe I<br />

legato a peptidi di soli 8-10 aa, accompagnati da corecettori CD8. Qualsiasi tipo cellulare è in grado di<br />

esprimere le MHC di I classe quando è infettato da virus; i peptidi per le MHC di I classe provengono da<br />

proteine virali idrolizzate nei proteasomi e poi trasferite all’interno del RER (in cui si legano alle MHC)<br />

per essere poi esposte in superficie. Giunti a contatto col plasmalemma della cellula infetta, i linfociti TC<br />

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Riepilogo<br />

(Isto206)


File: <strong>ISTOLOGIA</strong>, 50-81<br />

lo permeabilizzano agli ioni grazie a “perforine” (PFP, pore forming proteins), per cui la cellula si disintegra;<br />

liberano anche sostanze che penetrano attraverso i pori e inducono l’apoptosi.<br />

- C) I linfociti TNK (T natural killer, da non confondere con i TC, killer anch’essi ma altamente specifici):<br />

sono cellule del “sistema immunitario innato” che integra il “s. i. acquisito” dei linfociti B e T. Hanno recettori<br />

TLR (toll like receptors) per il “riconoscimento di schemi”, che consentono di identificare i germi<br />

patogeni - che presentano quasi sempre piani strutturali simili (proteine con formil-metionina, glicocalice<br />

e sequenze geniche caratteristiche ecc). Uccidono direttamente con PFP senza bisogno di attivazione specifica;<br />

sono quindi in grado di proteggere da virus che bloccano l’espressione delle MHC.<br />

Gli organismi hanno memoria immunologica: il secondo contatto con l’antigene determina una reazione<br />

più rapida ed efficace da parte delle cellule immunocompetenti, “risposta secondaria”, perché anziché<br />

ripartire con l’attivazione di cellule “naive” B o T, trova il sistema immunitario già pronto alla reazione,<br />

con “memory cells” sia B che T pronte a convertirsi in “activated cells”.<br />

PIASTRINE: prive di nucleo, sono frammenti isolati dal SER del citoplasma di enormi cellule del midollo<br />

osseo, i megacariociti. Si presentano come dischi sottili biconvessi, con asse maggiore di circa 3<br />

µm; la loro concentrazione è di 200.000-300.000/mm 3 . In circolo durano una diecina di giorni. Si alterano<br />

rapidamente dopo il prelievo e negli strisci tendono ad aderire in ammassi e ad assumere forma irregolare,<br />

spesso stellata; l’inconveniente può essere superato con l’impiego di anticoagulanti: eparina, citrato di sodio<br />

ecc. Nei preparati colorati le piastrine presentano una zona periferica chiara, ialomero, e una parte<br />

centrale più colorabile, di aspetto granulare, granulomero (o cromomero). Al ME il loro contorno è variabile,<br />

a seconda del piano di sezione, e il plasmalemma appare rivestito da un ricco glicocalice. Lo ialome-<br />

ro presenta microtubuli equatoriali e microfilamenti contrattili ancorati alla membrana; il cromomero presenta<br />

un sistema canalicolare e vescicole di 0,2-0,3 µm, di vario tipo (granuli α, corpi densi, lisosomi e<br />

granuli con serotonina, fattori plasmatici per la coagulazione del sangue, adrenalina e altre sostanze). I mitocondri<br />

sono scarsi, con poche creste; un sistema di canalicoli contenenti materiale di una certa opacità è<br />

in continuità col plasmalemma, ricco di vescicole di pinocitosi (indice di intensi scambi col plasma sanguigno).<br />

Presenti granuli di glicogeno, RNA, ATP.<br />

FUNZIONI: partecipano all’emòstasi, arresto del sanguinamento, e alla coagulazione del sangue; possono<br />

però produrre anche plasminogeno (fibrinolisina), sostanza che dissolve i coaguli quando il danno<br />

vascolare è stato riparato. C’è un continuo scambio di messaggi fra piastrine ed endoteli: gli endoteli sani<br />

convertono fattori di aggregazione (prostaglandine, come il trombossano e gli endoperossidi) in prostacicline,<br />

antiaggreganti e vasodilatatrici. Nelle zone lese o comunque alterate dei vasi sanguigni, la conversione<br />

non avviene e si ha l’agglutinazione: le piastrine aderiscono sia fra di loro che con le pareti vascolari.<br />

Si forma così un trombo piastrinico bianco, che occlude il lume vasale, mentre viene liberato il contenuto<br />

dei granuli; serotonina, prostaglandine ecc. provocano vasocostrizione locale e aiutano la fine del<br />

sanguinamento. In soggetti arteriosclerotici, con pareti vasali deformate e irregolari, si possono formare<br />

trombi che poi, distaccandosi, vanno ad occludere vasi più piccoli, provocando infarti (nelle coronarie o in<br />

altri distretti) o trombosi (nell’encefalo), con conseguente necrosi dei tessuti a valle.<br />

Da bianco poi il trombo diviene misto e infine rosso, mentre avviene la coagulazione; anche il sangue<br />

fuoriuscito coagula, grazie ad una cascata di reazioni nelle quali sono coinvolti numerosi fattori di origine<br />

diversa (tromboplastina, lipidi, Ca ++ , fattore X, protrombina ecc.), che porta alla polimerizzazione del fibrinogeno<br />

plasmatico in un reticolo tridimensionale di filamenti di fibrina, con struttura a bande di periodo<br />

25 nm. Le piastrine si trovano ai nodi della rete; nelle maglie restano intrappolati gli elementi figurati,<br />

soprattutto eritrociti; il processo si conclude col coagulo che si “retrae” per accorciamento delle fibre e<br />

contrazione delle piastrine, spremendo via il siero (plasma senza fibrinogeno) e convertendosi con<br />

l’esposizione all’aria in un ammasso solido e impermeabile che protegge la ferita.<br />

TESSUTI EMOPOIETICI: sono connettivi specializzati nella produzione delle cellule del sangue e<br />

della linfa. Comprendono tessuto linfatico (o linfoide), che produce linfociti (e plasmacellule), tessuto<br />

eritroide, che produce eritrociti, e tessuto mieloide, che produce granulociti, monociti, piastrine e linfociti<br />

B; questi ultimi due tessuti, che in molti vertebrati inferiori sono separati, nei mammiferi sono uniti<br />

a costituire il midollo osseo rosso. I tessuti emopoietici hanno anche il compito di eliminare dal circolo<br />

sanguigno elementi usurati e germi; contengono perciò numerose cellule fagocitarie. La struttura base è<br />

fornita da uno stroma di connettivo reticolare (assente solo nel timo) prodotto da cellule reticolari primitive,<br />

munite di prolungamenti che avvolgono le fibre reticolari dello stroma, formano a loro volta un reticolo<br />

cellulare. Nelle maglie di questi doppi reticoli trovano posto le tre linee cellulari citate, con forme che<br />

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(Isto175)<br />

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File: <strong>ISTOLOGIA</strong>, 50-81<br />

rappresentano tutte le tappe di differenziamento, dalle stem cells (cellule staminali) agli elementi maturi.<br />

Nelle sedi linfopoietiche le cellule reticolari produttrici delle fibre si accompagnano a macrofagi ramificati,<br />

cellule dendritiche interdigitate, che presentano sul plasmalemma MHC di II classe con peptidi di origine<br />

antigenica da offrire ai linfociti T circostanti. Macrofagi mobili sono sempre presenti fra le maglie;<br />

scarsi i fibrociti, vicino ai vasi. Gli organi emopoietici assumono varia complessità, a seconda delle loro<br />

dimensioni e dei loro compiti specifici, associandosi a tipi diversi di stromi connettivali.<br />

TESSUTO MUSCOLARE: è costituito da elementi cellulari specializzati nella funzione<br />

della motilità (proprietà generale del protoplasma), che svolgono mediante contrazione, determinando il<br />

movimento delle varie parti del corpo l’una rispetto all’altra e dell’intero organismo nello spazio. Le unità<br />

morfologico-funzionali in cui è organizzato il tessuto muscolare sono le fibre muscolari, entità di forma<br />

allungata, la più efficace perché l’accorciamento determini movimento ampio.<br />

CLASSIFICAZIONE DEL TESSUTO MUSCOLARE: è una classificazione che si basa su criteri morfologici<br />

e funzionali. Dal punto di vista morfologico si riconoscono muscoli striati, con fibre che presentano<br />

una regolare successione di bande trasversali, e muscoli lisci. Dal punto di vista funzionale si distingue<br />

muscolatura a contrazione volontaria, innervata dal sistema nervoso centrale, e muscolatura involontaria,<br />

innervata dal sistema nervoso autonomo. Si distinguono pertanto:<br />

1) Muscoli striati volontari, o scheletrici (perché in genere inseriti su segmenti ossei), o somatici (perché<br />

formano le parti carnose e determinano il “soma”, l’aspetto del corpo).<br />

2) Muscoli striati involontari, ovvero il miocardio (muscolatura cardiaca).<br />

3) Muscoli lisci (e involontari).<br />

Le caratteristiche funzionali dei tre tipi di muscolo sono diverse, in rapporto alle necessità fisiologiche:<br />

il muscolo scheletrico è potente e veloce, ma si affatica rapidamente, quindi ha bisogno di alternare attività<br />

e riposo, per recuperare; il muscolo liscio, meno potente, ha contrazioni lente, ritmiche o toniche (che possono<br />

essere sostenute indefinitamente nel tempo); il miocardio ha una contrazione ritmica come il muscolo<br />

liscio, ma potente come il muscolo scheletrico, e ininterrotta.<br />

MUSCOLATURA STRIATA VOLONTARIA : le fibre muscolari striate volontarie sono entità<br />

perenni, insostituibili, anche se le fibre lese parzialmente rigenerano la parte perduta. Di forma cilindrica,<br />

sono fasciate da una “calza reticolare” (fibre del IV tipo); sono lunghe anche diversi centimetri e hanno<br />

diametro di parecchi µm (10-100 o più, a seconda della specie e della sede). Data l’estensione, sono entità<br />

sinciziali, che derivano da fusione di mioblasti, cellule embrionali già allungate e provviste di materiale<br />

contrattile. Fibre parallele sono raggruppate in fascetti visibili ad occhio nudo; i fasci si associano poi in<br />

vario modo per formare diversi tipi di tessitura muscolare. Ogni fibra, delimitata da una membrana plasmatica<br />

che assume il nome di sarcolemma, ha qualche centinaio di nuclei immersi nel citosol, qui denominato<br />

sarcoplasma. Nel sarcoplasma, insieme con i vari organuli, si trovano numerosissime miofibrille<br />

parallele longitudinali, con striature di 2-3 µm tutte perfettamente a registro, più evidenti delle stesse miofibrille<br />

che compongono; l’abbondanza di queste entità spinge i nuclei alla periferia subito sotto il sarcolemma,<br />

in cui fanno ernia, appiattiti e allungati secondo l’asse della fibra. Nel sarcoplasma si osservano un<br />

discreto Golgi paranucleare e numerosi mitocondri, sia vicino al nucleo che in file longitudinali fra le miofibrille;<br />

queste sono circondate anche da reticolo sarcoplasmatico, reticolo liscio con tubuli disposti ordinatamente,<br />

visibile con l’impregnazione argentica. Fra gli inclusi, rare gocce lipidiche e abbondante glicogeno,<br />

rilevabile istochimicamente. Il colore rosso del muscolo è dovuto a mioglobina, cromoproteina<br />

(globina di 153 aa legata a un gruppo eme) con affinità per l’O2 maggiore dell’emoglobina; la mioglobina<br />

accumula una riserva di ossigeno utile ai mitocondri per produrre ATP anche durante il lavoro muscolare,<br />

dato che quando il muscolo è in contrazione il flusso sanguigno si interrompe. I muscoli statici (quelli che<br />

ci sorreggono nella “postura”, l’assetto determinato dalla forza di gravità), destinati a rimanere contratti a<br />

lungo, hanno maggior carico di emoglobina e appaiono quindi più rossi. Nel sarcoplasma c’è anche un aa<br />

legato all’acido ortofosforico con un legame ad alta energia: il creatinfosfato che rappresenta un’abbondante<br />

riserva energetica per la ricarica dell’ADP (mediante una fosfotransferasi). Un enzima, la miochinasi,<br />

che converte 2 molecole di ADP in ATP + AMP, fornisce ulteriori riserve di energia. Quando tutti<br />

questi sistemi si sono esauriti, un’ultima quota di ATP viene fornita dalla glicolisi anaerobia, con conseguente<br />

accumulo di acido lattico: è il fenomeno della fatica; il muscolo si deve riposare e si rilascia. Col<br />

rilasciamento si ripristina il circolo sanguigno, che porta via l’acido lattico e reca l’ossigeno che permette<br />

di ricaricare l’intero sistema energetico, colmando il “debito di ossigeno”.<br />

- 72 -<br />

Isto217<br />

Isto218c


File: <strong>ISTOLOGIA</strong>, 50-81<br />

Le miofibrille, stipatissime, in sezione trasversa appaiono al MO come piccoli punti, distribuiti uniformemente<br />

o raggruppati in aree poligonali separate da sarcoplasma. In sezione longitudinale si alternano<br />

bande (o dischi) intensamente colorabili (ad esempio con ematossilina ferrica, ma anche semplicemente<br />

con l’eosina) con bande incolori: bande scure e bande chiare. A luce polarizzata l’immagine si inverte,<br />

perché le bande scure sono birifrangenti, anisotrope, bande A, e quelle chiare sono monorifrangenti, isotrope,<br />

bande I. La lunghezza della banda A è costante, quello della I si riduce con la contrazione. A contrasto<br />

di fase e nei migliori preparati, la banda I appare divisa a metà da una linea scura, linea Z (“stria di<br />

Amici”, telofragma). Il segmento di miofibrilla compreso fra due linee Z successive (2-3 µm), e che quindi<br />

comprende una banda A e due mezze bande I, si chiama sarcomero (o inocomma), e rappresenta l’unità<br />

contrattile delle miofibrille. Al centro della banda A una stria H (stria di Hensen), più chiara, presenta al<br />

centro una linea M.<br />

ULTRASTRUTTURA: al ME le miofibrille si risolvono in subunità parallele al loro asse, miofilamenti,<br />

di due tipi: miofilamenti spessi, con diametro 10-17 nm, e miofilamenti sottili, di 5-7 nm. In ogni<br />

sarcomero i filamenti sottili, costituiti essenzialmente da actina, si estendono dalla linea Z fino al margine<br />

della stria H; quelli spessi, di miosina (di tipo II), attraversano da un capo all’altro la banda A, distano 45<br />

nm e sono uniti fra loro da ponti in corrispondenza della linea M. L’arrangiamento spiega la striatura visi<br />

bile anche al MO. Nelle sezioni trasverse delle miofibrille si osserva che un filamento spesso è circondato<br />

da 6 sottili, uno sottile da 3 spessi; in sezione longitudinale, a seconda del piano di taglio, si può avere alternanza<br />

fra un filamento spesso e uno sottile o fra uno spesso e due sottili (con distanza di 10-20 nm). Il<br />

Golgi non appare particolarmente attivo; i mitocondri, con numerose creste lamellari trasverse, circondano<br />

le miofibrille, cui forniscono l’ATP per la contrazione; il glicogeno è in forma β. Il reticolo sarcoplasmatico,<br />

varietà di SER, rappresenta il magazzino per il Ca ++ , che viene tenuto legato ad una proteina,<br />

la calsequestrina; è costituito da tubuli che circondano ogni singola miofibrilla, disposti ordinatamente a<br />

livello delle parti esterne di ogni banda A, con andamento parallelo alla lunghezza della miofibrilla, e anastomizzati<br />

a rete a livello della stria H (cisterna fenestrata); i tubuli confluiscono in canali orientati trasversalmente<br />

alle due estremità della banda A, cisterne terminali. Fra le coppie di cisterne terminali poste<br />

a ciascuna estremità del disco A si interpone un tubulo T (trasversale), più sottile, diverticolo del sarcolemma,<br />

il cui lume quindi comunica con lo spazio extracellulare; fra cisterne e tubuli T si osservano numerose<br />

strutture simili a nexus (piedi). L’insieme dei tubuli T costituisce il sistema T. Due cisterne e il tubulo<br />

T interposto formano una triade.<br />

ORGANIZZAZIONE MOLECOLARE DEL SARCOMERO: I filamenti spessi presentano due serie di<br />

brevi propaggini laterali distanti 14,3 nm, ciascuna disposta a 60° rispetto alla precedente, a formare due<br />

eliche coassiali (un giro completo di ogni elica comprende quindi 6 propaggini, per una lunghezza di 85,8<br />

nm); si dissociano in molecole di miosina, proteina filamentosa lunga 150 nm (p.m. = 460.000 dalton),<br />

formata da 6 protomeri, due catene pesanti appaiate ed elicate coassialmente, che terminano ciascuna con<br />

una testa globosa associata a due catene leggere; ne risulta una forma a “mazza da golf”. Con digestione<br />

triptica la molecola si scinde in meromiosina leggera, LMM (light mm), e meromiosina pesante, HMM<br />

(heavy mm). Quest’ultima, capace di legare l’actina, costituisce la “testa” della molecola; con papaina, si<br />

divide in due parti, S1, con attività ATP-asica, e S2, flessibile. La LMM forma la “coda” della miosina.<br />

Ogni filamento spesso è costituito da un fascio di molecole di miosina, sfasate di 14,3 nm e disposte con le<br />

code verso la linea M; le teste sporgono lateralmente verso i 6 filamenti sottili, con i quali durante la contrazione<br />

stabiliscono legami reversibili. A livello della linea M, proteine M (miomesine ecc.) formano brevi<br />

filamenti paralleli a quelli del sarcomero e ponti di connessione con i filamenti spessi; lunghissimi filamenti<br />

di titina (1 µm) percorrono il sarcomero dalla linea M alla linea Z; ancorano i filamenti spessi alle<br />

linee Z col dominio esterno, molto elastico, e li accompagnano fino alla linea M con un dominio rigido. La<br />

struttura a encapsi della miosina dei filamenti spessi spiega la birifrangenza dei dischi A.<br />

I filamenti sottili sono formati da due filamenti di F-actina elicati coassialmente, ciascuno costituito da<br />

G-actina, molecola globulare (con diametro 5,5 nm e p.m. = 42.000) disposta a formare una catena con le<br />

“barbed end” verso la linea Z e le “pointed end” verso la M. Altre proteine di importanza fondamentale<br />

sono la tropomiosina B e le troponine (T, A e C). La tropomiosina, dimerica filamentosa, lunga 40 nm, è<br />

alloggiata nelle due docce che solcano il duplice filamento di F-actina, una molecola ogni 7 G-actine;<br />

all’estremità di ogni tropomiosina sono accavallate le tre troponine. Ogni filamento è accompagnato da<br />

un’enorme molecola filamentosa, la nebulina. A livello della linea Z i filamenti sottili si sfioccano in 6<br />

subunità proteiche divergenti di α-actinina, che vanno a raggiungere obliquamente 6 filamenti sottili del<br />

sarcomero adiacente. Le linee Z contengono varie altre proteine (filamina, vinculina ecc.) e sono tenute a<br />

- 73 -<br />

Isto219cr<br />

Isto220c<br />

Isto221<br />

Isto222<br />

Animazione<br />

SARCOM<br />

(inizio)<br />

(Cito100)<br />

Isto223<br />

Isto224<br />

Ist225<br />

Isto226<br />

Animazione<br />

STRIATO<br />

(inizio)<br />

Isto227<br />

Animazione<br />

STRIATO<br />

(fine)


File: <strong>ISTOLOGIA</strong>, 50-81<br />

registro da filamenti di desmina, che alla periferia arrivano a collegarsi con complessi molecolari associati<br />

al sarcolemma. Quest’ultimo è un mosaico di due territori molto diversi chimicamente: quello di ancoraggio<br />

del sistema contrattile (con proteine del tipo della vinculina e dell’α-actinina) e quello di conduzione<br />

(con distrofina, recettori ecc.).<br />

CONTRAZIONE DELLE MIOFIBRILLE: consiste nello scorrimento fra miofilamenti sottili e spessi,<br />

che, conservando lunghezza inalterata, accentuano la loro interdigitazione. La contrazione è dovuta quindi<br />

all’accorciamento dei sarcomeri che costituiscono le miofibrille, accorciamento che comporta riduzione<br />

della stria H e dei due mezzi dischi I.<br />

La contrazione si verifica in presenza di ATP e di ioni Ca ++ : l’ATP è fornito dai mitocondri associati<br />

alle miofibrille e dai vari meccanismi molecolari di “ricarica” dell’ADP; il calcio viene liberato dal reticolo<br />

sarcoplasmatico, che lo riprenderà al termine della contrazione legandolo nuovamente alla calsequestrina.<br />

Il meccanismo prevede diverse tappe:<br />

1) L’impulso motore, sotto forma di depolarizzazione del sarcolemma, è portato in profondità dai tubuli<br />

del sistema T che circonda i sarcomeri di ogni singola miofibrilla.<br />

2) La depolarizzazione si propaga al reticolo sarcoplasmatico e la calsequestrina libera il Ca ++ , che si lega<br />

alle troponine (4 Ca ++ su ogni troponina C).<br />

3) Il calcio determina modificazione sterica delle troponine, che fanno sprofondare la tropomiosina nel<br />

solco, scoprendo sull’actina un sito prima protetto da quest’ultima; si possono così formare legami fra le<br />

actine e le teste delle miosine dei filamenti spessi; il filamento sottile così attivato si dice “on” (acceso).<br />

Quando non c’è calcio sulle troponine il filamento è “off” (spento), e non è possibile la formazione del<br />

complesso acto-miosinico.<br />

4) L’ATP si porta sulla testa di ciascuna miosina, che si lega con l’actina “on”, formando il complesso<br />

attivo.<br />

5) L’ATP viene scisso immediatamente per azione dell’ATP-asi del segmento S1; l’energia liberata serve<br />

per la rotazione della testa della miosina, che trascina con sé il filamento sottile, rimanendo legata<br />

all’actina: complesso rigor.<br />

6) Con l’arrivo di nuovo ATP si ha il distacco dal filamento sottile della miosina, che assume nuovamente<br />

la sua configurazione originaria; se c’è ancora calcio sulle troponine, si forma un complesso attivo in posizione<br />

più avanzata e ricomincia un nuovo ciclo. Il processo si può ripetere da 50 a 100 volte al secondo.<br />

7) Quando cessa la depolarizzazione del sarcolemma si ripolarizza anche il reticolo sarcoplasmatico, che<br />

sequestra il calcio e “spenge” il filamento sottile: è la fine della contrazione.<br />

Se viene a mancare ATP mentre il l’actina è attivata, il muscolo resta in rigor: crampi, rigor mortis (nel<br />

cadavere la contrazione inizia perché il reticolo sarcoplasmatico dopo qualche ora si permeabilizza e libera<br />

Ca ++ ; la scorta di ATP delle fibre viene però ben presto esaurita e i muscoli restano in stato di contrazione<br />

per 70-80 ore, cioè fino al sopraggiungere dei processi putrefattivi).<br />

MIOCARDIO : E’ anch’esso un tessuto perenne, le cui fibre, una volta differenziate, non possono<br />

più aumentare di numero; casi patologici di ingrossamento del cuore sono dovuti a ipertrofia cellulare. Le<br />

lesioni del miocardio (necrosi di piccoli territori provocate da infarto e conseguente ischemia) sono riparate<br />

da tessuto cicatriziale. Dal punto di vista funzionale il miocardio è un muscolo a contrazione ritmica<br />

spontanea (vedi pag. seguente: tessuto di conduzione) con frequenza regolabile da parte del sistema nervoso<br />

autonomo e del sistema endocrino.<br />

STRUTTURA: è striato, come il muscolo scheletrico, ma è facilmente riconoscibile perché: 1) le sue<br />

fibre sono costituite dall’insieme di singole unità cellulari, cardiociti, congiunte mediante strutture specializzate,<br />

i dischi intercalari; 2) le fibre non sono entità distinte di forma cilindrica ma si ramificano in un<br />

intreccio tridimensionale; 3) nei cardiociti le miofibrille sono più scarse e il sarcoplasma è più abbondante<br />

che nel muscolo scheletrico; questo consente ai nuclei di mantenere una posizione centrale. Anche i mitocondri<br />

sono più numerosi e il glicogeno più abbondante; la striatura però è identica a quella del muscolo<br />

scheletrico, anche se meno evidente. Le miofibrille, più rade, divergono ai lati del nucleo delimitando una<br />

regione fusiforme con Golgi, mitocondri, gocce lipidiche, glicogeno. Alle biforcazioni delle fibre, dischi<br />

intercalari sfalsati disegnano come degli scalini: strie scalariformi.<br />

ULTRASTRUTTURA: le miofibrille sono costituite da una successione di sarcomeri con filamenti<br />

sottili e spessi, come nel muscolo scheletrico (chimicamente manca la nebulina). Dal miocardio però non<br />

sono isolabili singole miofibrille, perché il materiale contrattile forma un’entità unica; il reticolo sarcoplasmatico<br />

e le file dei mitocondri lo compenetrano e lo suddividono in una rete tridimensionale di miofibril-<br />

- 74 -<br />

Isto228<br />

Animazione<br />

SARCOM<br />

(fine)<br />

Animazione<br />

STRIATO<br />

(parte inter-<br />

media)<br />

Isto229c<br />

Isto230c<br />

Isto231


File: <strong>ISTOLOGIA</strong>, 50-81<br />

le di spessore vario, non completamente delimitate, nelle quali parte del materiale trapassa dall’una<br />

all’altra. I mitocondri, voluminosi e abbondanti (sfiorano il 50% del volume cellulare), hanno fitte creste<br />

lamellari; il glicogeno, sempre in forma β, è diffuso anche fra i miofilamenti; sono abbondanti anche le<br />

goccioline lipidiche. I tubuli T sono posti a livello della linea Z; sono molto più grandi che nelle fibre<br />

scheletriche, tanto che sono rivestiti internamente dalla lamina basale; oltre che per la propagazione<br />

dell’impulso servono per ampliare la superficie di scambio col liquido extracellulare. Il reticolo sarcoplasmatico<br />

è costituito da tubuli che formano una rete irregolare, con disposizione meno ordinata che nel muscolo<br />

volontario; i tubuli non sboccano in cisterne terminali, ma terminano con espansioni a fondo cieco<br />

aderenti ai tubuli T, costituendo le cosiddette diadi.<br />

Le cellule cardiache si affrontano nei dischi intercalari con superfici anfrattuose, provviste di rilievi<br />

papillari e di cavità complementari che vi si adattano. Le membrane distano 20 nm e presentano desmosomi<br />

e giunzioni circoscritte dette fasciae adhaerentes; si possono osservare anche fasciae occludentes e<br />

alcuni nexus. Materiale filamentoso a ridosso delle due membrane dà l’attacco ai miofilamenti di actina.<br />

Nella parte longitudinale delle strie scalariformi ci sono altre fasciae adhaerentes, ma soprattutto nexus<br />

per la trasmissione dell’impulso (le altre giunzioni hanno funzione meccanica).<br />

TESSUTO DI CONDUZIONE: l’impulso per la contrazione ritmica del miocardio viene coordinato<br />

dai cardiociti modificati del tessuto di conduzione, costituito dal nodo seno-atriale (di Keith e Flack),<br />

posto presso lo sbocco della vena cava superiore, dal nodo atrio-ventricolare (di Tawara) e dal fascio atrio-ventricolare<br />

(di His), che parte dal nodo di Tawara e si divide in due rami (branche) che percorrono<br />

il setto interventricolare e distribuiscono ulteriori ramificazioni (fibre di Pùrkinje) ai rispettivi ventricoli.<br />

L’impulso contrattile ritmico nasce spontaneamente nel nodo seno-atriale, di lì si propaga tramite le fibre<br />

normali al nodo atrio-ventricolare, al fascio di His e a tutto il miocardio, coordinandone la contrazione<br />

(in caso di interruzioni nella conduzione si può avere blocco di branca, blocco atrio-ventricolare, fibrillazione<br />

ecc.). Il nodo seno-atriale, pace maker, “avviatore primario”, è riccamente innervato dal sistema<br />

nervoso parasimpatico (nervo vago), che ne rallenta il ritmo, e dal simpatico, che lo accelera.<br />

Le cellule dei nodi sono piccole e fusiformi, con scarso materiale contrattile, avvolte da abbondante<br />

connettivo; quelle del fascio di His, a partire dalla biforcazione divengono molto grosse, con uno-due nuclei<br />

immersi in sarcoplasma ricco di mitocondri e glicogeno, ma con poche miofibrille periferiche. Le cellule<br />

presentano desmosomi, nexus e ingranamenti del sarcolemma di forma assai variabile, ma non hanno<br />

dischi intercalari tipici.<br />

MUSCOLATURA LISCIA: meno differenziato dello striato, il muscolo liscio può subire anche<br />

nell’adulto iperplasia (aumento del numero delle fibrocellule per mitosi), oltre ad ipertrofia (aumento volumetrico);<br />

si trova nelle sedi delle attività “vegetative”: forma la parete muscolare dell’apparato digerente,<br />

delle vie respiratorie, del sistema circolatorio, dell’apparato urogenitale ecc.<br />

STRUTTURA: la muscolatura liscia è costituita da singole entità cellulari fusiformi, fibrocellule, di<br />

dimensioni varie nei vari organi; nell’uomo le fibrocellule dell’intestino sono lunghe circa 200 µm; le dimensioni<br />

massime si riscontrano nell’utero gravido, con fibrocellule di oltre 500 µm, le minime nelle pareti<br />

dei vasi, 20 µm. A ridosso del sarcolemma, c’è una calza reticolare argirofila, immersa in sostanza amorfa<br />

PAS-positiva, che segue passivamente le contrazioni delle fibrocellule. Fra i fasci di fibrocellule<br />

penetra connettivo lasso, che porta vasi e terminazioni nervose. Le fibrocellule sono sempre disposte in<br />

modo che alla parte centrale di ognuna corrisponda l’estremità di quelle adiacenti. Il nucleo, allungato, è<br />

centrale, con cromatina a granuli fini, dispersi uniformemente nel succo, e due o tre nucleoli; appare ondulato<br />

nelle fibrocellule in stato di contrazione. Il citoplasma normalmente appare omogeneo; al microscopio<br />

polarizzatore, con colorazioni speciali o dopo trattamento con acidi diluiti, si distinguono filamenti omogenei<br />

paralleli all’asse, miofibrille (del diametro di circa 1 µm), immerse nel sarcoplasma.<br />

ULTRASTRUTTURA: le fibrocellule distano fra loro almeno 40-80 nm, data la presenza delle calze<br />

reticolari, ma in alcuni punti i sarcolemmi si avvicinano a costituire nexus (gap junction, giunzioni comunicanti);<br />

le giunzioni permettono la propagazione dell’impulso contrattile fra fibrocellule di interi distretti,<br />

grazie alla loro disposizione scalettata, senza la necessità che ogni fibrocellula riceva la sua terminazione<br />

nervosa. Il sarcoplasma periferico è stipato di miofilamenti sottili, paralleli, riuniti in fasci che corrispondono<br />

ciascuno ad una miofibrilla del MO, orientati secondo l’asse maggiore; questo nella fibrocellula a<br />

riposo, perché in contrazione la distribuzione appare meno regolare. Accanto ai filamenti sottili, del diametro<br />

di circa 7 nm, costituiti da actina, sono presenti anche brevi filamenti, spessi circa 17 nm, di miosina,<br />

nel rapporto di 15:1; numerosi filamenti intermedi (di 10 nm) sono distribuiti sia nella regione perife-<br />

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Isto232<br />

Isto233<br />

Isto234<br />

Isto235<br />

Isto236<br />

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Isto238<br />

Isto239c<br />

Isto240<br />

Isto241


File: <strong>ISTOLOGIA</strong>, 50-81<br />

rica, associati al sarcolemma, ma anche nella parte più interna. Scarso il sarcoplasma, tranne alle due estremità<br />

del nucleo, dove forma due calotte polari in cui trovano posto buona parte degli organuli: Golgi,<br />

profili di RER, ribosomi liberi, glicogeno β, mitocondri (questi ultimi ubiquitari). Fra i filamenti e lungo il<br />

sarcolemma si osservano placche dense, di ancoraggio per i filamenti stessi; in fibrocellule contigue le<br />

placche dense associate al sarcolemma si corrispondono. Alla periferia ci sono poi tubuli longitudinali di<br />

SER associati ad altri filamenti intermedi e a file di vescicole comunicanti con l’esterno, caveolae, caratterizzate<br />

da proteine integrali peculiari (caveoline); variamente interpretate, e facili a confondere con le vescicole<br />

di pinocitosi, potrebbero corrispondere ad un sistema T rudimentale.<br />

CONTRAZIONE: nel muscolo striato filamenti sottili e spessi sono disposti con regolarità e danno<br />

origine a miofibrille striate. Le fibrocellule hanno invece nel sarcoplasma una rete a maglie larghe e obli-<br />

que, costituita alla periferia da filamenti sottili di actina e internamente da filamenti intermedi, con le<br />

placche dense che rappresentano punti nodali di ancoraggio dei due tipi di filamenti (tramite desmina).<br />

Anche nel muscolo liscio la contrazione è determinata da scorrimento dei miofilamenti sottili e spessi in<br />

presenza di ATP e Ca ++ ; data la distribuzione obliqua delle miofibrille e l’inserzione dei filamenti di actina<br />

sul sarcolemma, la contrazione comporta formazione di ernie sarcoplasmatiche visibili al SEM. Anche<br />

il meccanismo molecolare è diverso: il calcio si lega a una proteina, la calmodulina, che a sua volta attiva<br />

un enzima, una proteina-chinasi. La chinasi, fosforilando una proteina inibitrice della testa della miosina,<br />

ne determina la rimozione, e permette la formazione del “complesso attivo”. La contrazione prevede quindi<br />

attivazione della miosina, anziché dell’actina come nel muscolo scheletrico, ed ha un tempo di latenza<br />

anche di qualche secondo.<br />

Data la lentezza della contrazione si ammette che almeno in parte i filamenti spessi si organizzino al<br />

momento in cui arriva l’impulso contrattile, come nelle cellule non muscolari: ci sono scorte di miosina II<br />

libera, inattiva, con la meromiosina leggera ripiegata a bloccare la testa ATP-asica; quando arriva<br />

l’impulso si ha fosforilazione della molecola, il suo raddrizzamento e la sua polimerizzazione spontanea.<br />

FUNZIONE E ORIENTAMENTO: si distingue una muscolatura liscia multiunitaria, con fibrocellule<br />

tutte innervate, e una muscolatura liscia viscerale, con innervazione minore e propagazione della<br />

contrazione in gran parte affidata ai nexus. La prima ha sempre contrazione tonica, mantenuta indefinitamente<br />

nel tempo, la seconda ha una contrazione ritmica, a intervalli ravvicinati, che serve per la “peristalsi”,<br />

cioè a determinare la progressione unidirezionale del contenuto nelle cavità tubulari.<br />

Nella parete dei vasi sanguigni (arteriole muscolari ecc.) la muscolatura è multiunitaria; ad andamento<br />

circolare, ha il compito di regolare il calibro vasale, e quindi la pressione sanguigna (le fibrocellule in questa<br />

sede hanno anche il compito di produrre elastina). Negli altri distretti si trova invece muscolatura viscerale,<br />

spesso distribuita in due (o più) strati, uno interno con fibrocellule ad andamento circolare, uno<br />

esterno con fibrocellule longitudinali, per coordinare meglio la peristalsi; in certe sedi, come utero e vescica<br />

urinaria, la disposizione delle fibrocellule negli strati è molto meno ordinata e si definisce plessiforme,<br />

con grossi fasci intrecciati a formare una rete irregolare.<br />

TESSUTO NERVOSO: è costituito da cellule perenni, neuroni, unità funzionali del tessuto<br />

(la “teoria del neurone” è l’estensione della teoria cellulare al sistema nervoso; vedi il “file” Storia), e da<br />

cellule stabili della nevroglìa (o glia), entità trofiche e di sostegno. Il tessuto ha il compito di avvertire i<br />

cambiamenti dell’ambiente (interno o esterno) e di far sì che l’organismo reagisca ad essi con movimenti o<br />

secrezioni. Perciò nei neuroni sono esaltate due proprietà fondamentali del protoplasma: irritabilità (facoltà<br />

di avvertire stimoli) per variazioni ambientali di vario tipo anche di intensità molto bassa, e conducibilità,<br />

trasformazione degli stimoli in impulsi elettrochimici trasportati a distanza da prolungamenti cellulari.<br />

Negli organismi superiori i recettori sono strutture in cui neuroni sensitivi captano le variazioni dell’ambiente<br />

interno o esterno che possono evocare risposte, trasmesse da neuroni motori o secretori agli effettori,<br />

muscoli e ghiandole. Quando la stimolazione di un recettore determina risposta di un effettore si parla<br />

di arco riflesso. In un organismo superiore però non tutti gli stimoli debbono evocare risposta: altri<br />

neuroni, definiti associativi, sono intercalati fra cellule sensitive e motrici col compito di selezionare gli<br />

impulsi, di coordinare i movimenti e di presiedere a facoltà superiori (memorizzazione, ideazione ecc.).<br />

Negli organismi superiori si ha la centralizzazione del tessuto nervoso (che nei vertebrati ha i neuroni<br />

accentrati in encefalo, midollo spinale e gangli) per proteggerlo il più possibile da traumi; le cellule nervose<br />

infatti, assumendo la loro specializzazione, hanno perduto la capacità di riprodursi, divenendo “perenni”,<br />

insostituibili – solo recentemente si è cominciato ad ammettere una certa possibilità di ricambio.<br />

- 76 -<br />

Isto242<br />

Isto243<br />

Isto244<br />

Isto245<br />

Isto246<br />

Isto247<br />

Animazione<br />

LISCIO<br />

Isto248<br />

Isto249c<br />

Isto250c<br />

Isto251c<br />

Isto252


File: <strong>ISTOLOGIA</strong>, 50-81<br />

I neuroni sensitivi e motori, che per la loro funzione hanno bisogno di collegarsi con strutture periferiche,<br />

le raggiungono mediante prolungamenti che si riuniscono in fasci a formare nervi. Encefalo e midollo spinale<br />

costituiscono il sistema nervoso centrale, S.N.C., gangli e nervi il sistema nervoso periferico, S.N.P.<br />

NEURONE: cellula perenne, che può raggiungere dimensioni notevoli, consta di un corpo cellulare,<br />

pirenoforo, contenente il nucleo circondato da citoplasma, detto pericarion, e di prolungamenti che si<br />

irradiano dal pirenoforo, i dendriti, in genere brevi e numerosi, e un unico neurite, o assone (o cilindrasse),<br />

spesso molto lungo. Il pirenoforo è il centro trofico che mantiene in vita e all’occorrenza rigenera i<br />

prolungamenti; i dendriti aumentano la superficie disponibile per l’arrivo degli impulsi; il neurite è il prolungamento<br />

con cui il neurone contrae complessi rapporti di contatto, sinapsi, con le altre cellule nervose<br />

o con gli effettori.<br />

Pirenoforo: possiede un nucleo centrale “vescicoloso”, cioè un nucleo che per la sua intensa attività<br />

metabolica è voluminoso, sferico, con cromatina finemente dispersa, poco colorabile anche con la reazione<br />

Feulgen per il DNA; possiede di solito un unico grosso nucleolo. Nella donna a ridosso dell’involucro<br />

nucleare dei grossi neuroni si può distinguere la cromatina sessuale (corpo di Barr).<br />

Nel pericarion, con tecniche diverse, si possono mettere in evidenza per l’osservazione al MO mitocondri,<br />

aree intensamente basofile, fibrille, pile di Golgi, oltre al diplosoma, gocce lipidiche ed eventuali<br />

pigmenti. Elementi caratterizzanti sono proprio le fibrille, denominate neurofibrille, e le aree basofile, distribuite<br />

a macchie di leopardo e denominate corpi di Nissl, che nel loro complesso costituiscono la sostanza<br />

tigroide. Le neurofibrille occupano il pericarion e si spingono fin nei più sottili prolungamenti; evidenziabili<br />

al MO con impregnazioni argentiche, al ME risultano formate da fasci di neurofilamenti di<br />

tre tipi diversi, del diametro di 10 nm, pluridirezionali nel pericarion, a decorso longitudinale nei prolungamenti.<br />

A forte risoluzione alcuni di essi risultano tubuli con parete spessa 3 nm. Presenti anche neurotubuli<br />

(con diametro di 24 nm e parete di 5), più abbondanti nei prolungamenti. I corpi di Nissl sono inseriti<br />

fra le maglie della rete di neurofibrille e, salvo eccezioni, costituiscono grosse zolle basofile nei neuroni di<br />

grandi dimensioni e fini granuli in quelli piccoli. Si trovano anche nei dendriti, ma mancano nel neurite e<br />

nella zona di pericarion da cui si distacca, definita “cono di emergenza”. Al ME ogni zolla consta di pacchetti<br />

di cisterne di RER e di poliribosomi liberi. Sede di proteosintesi, fornisce materiale di ricambio anche<br />

per l’assone, privo di ribosomi (vedi più avanti).<br />

Il Golgi, scoperto proprio nei grossi neuroni, appare al MO in forma di rete argirofila. Al ME risulta<br />

costituito da pile di Golgi circondate da vescicole, disposte intorno al nucleo a metà strada fra involucro e<br />

plasmalemma. I mitocondri, numerosi, sono dappertutto, mescolati anche a tigroide e neurofibrille; piccoli<br />

e allungati, hanno creste lamellari spesso longitudinali; rari i corpi densi della matrice. Fra gli inclusi sono<br />

diffuse le lipofuscine (grassi insaturi, bruni, fluorescenti), in aumento con l’età; nei neuroni di particolari<br />

distretti dell’encefalo sono presenti granuli di emosiderina (globus pallidus) e pigmenti melanici (sostanza<br />

di Sommering, locus coeruleus).<br />

Dendriti: sono prolungamenti ripetutamente ramificati, con rami che si distaccano ad angolo acuto assottigliandosi<br />

progressivamente. Talvolta radi, talvolta fitti, ora brevissimi, ora più lunghi, di solito non si<br />

spingono molto lontano dal pirenoforo; la varietà di aspetto delle arborizzazioni porta a riconoscere classi<br />

di neuroni caratteristiche. I dendriti contengono sostanza di Nissl, mitocondri, neurofilamenti e neurotubuli,<br />

come il pericarion, ma non pile di Golgi. Via via che i rami si assottigliano diminuiscono neurofilamenti<br />

neurotubuli e tigroide, restano abbondanti i mitocondri. Spine dendritiche (o sinaptiche), piccole estroflessioni<br />

peduncolate collegate con prolungamenti di altri neuroni (vedi “sinapsi spinose”), sono abbondanti<br />

particolarmente nei rami intermedi dell’arborizzazione.<br />

Neurite (o assone): è una sottile e lunghissima estroflessione cilindrica, unica, che parte da una regione<br />

conica del pericarion, priva di tigroide e ricca di neurofibrille convergenti, detta cono di emergenza.<br />

Delimitato da una membrana plasmatica definita assolemma, comincia con un segmento iniziale, più<br />

stretto; in questa zona si trovano numerosi microtubuli longitudinali paralleli, uniti in gruppi da ponti simili<br />

a pioli di una scala, e l’assolemma è spesso 20 nm per la presenza di materiale fibrillare sul versante interno.<br />

Dopo il segmento iniziale il calibro del neurite diventa maggiore e rimane uniforme, con ramificazioni<br />

che si distaccano sempre ad angolo retto. Il diametro dei neuriti varia da frazioni di µm a qualche<br />

µm, la lunghezza da frazioni di mm a più di un metro. Si distinguono neuroni del I tipo di Golgi, a neurite<br />

lungo, e neuroni del II tipo di Golgi, a neurite breve.<br />

Il citoplasma del neurite, assoplasma, contiene tubuli di SER, mitocondri, neurofilamenti e neurotubuli,<br />

tutti orientati longitudinalmente. Le sostanze per il ricambio provengono dal pirenoforo; seguendo-<br />

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File: <strong>ISTOLOGIA</strong>, 50-81<br />

le nel loro decorso mediante aa marcati, si è visto che molte scorrono alla velocità di 1-6 mm al giorno:<br />

flusso assonico lento; varie sono le ipotesi sulle cause e sulle modalità di questo tipo di flusso, che riguarda<br />

unità globulari di 25 nm (zolle). C’è poi il flusso assonico rapido di sostanze definite “mediatori<br />

chimici”, contenute in vescicole che vanno anche 100 volte più veloci, veicolate da chinesine; provengono<br />

dal Golgi e vengono trasportate dai neurotubuli verso la loro estremità + , e quindi verso l’estremità distale<br />

del neurite. La colchicina, che disgrega i tubuli, interrompe il flusso assonico rapido.<br />

Il neurite ha il compito di ricevere l’impulso dal pirenoforo e di convogliarlo a distanza, per trasmetterlo<br />

ad altri neuroni a livello di strutture specializzate definite sinapsi.<br />

SINAPSI: le ramificazioni dei neuriti terminano con un ingrossamento, piede sinaptico o bottone<br />

terminale, a contatto con la membrana plasmatica di un altro neurone. Se il piede si porta a livello di un<br />

dendrite si avrà una sinapsi asso-dendritica (asso-spinosa se in corrispondenza di una spina dendritica);<br />

se si porta sul pirenoforo sarà asso-somatica, se su un altro neurite asso-assonica. Sono state però descritte<br />

anche numerose sinapsi atipiche, dendro-dendritiche, somato-dendritiche e somato-somatiche. Comunque<br />

l’intera superficie di un neurone è coperta di sinapsi. La membrana del piede sinaptico, membrana<br />

presinaptica, presenta all’interno ispessimenti conici elettrondensi; quella del neurone sinaptato, membrana<br />

postsinaptica, è ispessita internamente da placche di materiale granulare perforate nelle sinapsi<br />

asimmetriche, o del I tipo di Gray, ne è priva nelle sinapsi simmetriche, o del II tipo di Gray. Fra le<br />

due membrane resta una fessura, spazio sinaptico, di 20 nm nelle sinapsi simmetriche, 30 nelle asimmetriche.<br />

Lo spazio è occupato da materiale PAS-positivo simile a un glicocalice; fra membrana pre- e postsinaptica<br />

si possono trovare anche giunzioni del tipo dei desmosomi. Sinapsi elettriche (e miste), più primitive,<br />

si affidano a nexus per la conduzione dell’impulso.<br />

Il piede sinaptico è privo di neurotubuli e contiene numerosi mitocondri e moltissime vescicole del<br />

diametro di 20-65 nm, vescicole sinaptiche. Solo in qualche tipo di neurone sono presenti filamenti, a<br />

formare gomitoli o anelli, ma in genere tutte le strutture citoscheletriche si arrestano prima del bottone<br />

terminale. Le vescicole contengono le sostanze definite mediatori chimici, ligandi per le proteine canale a<br />

controllo di trasmettitore (vedi “potenziale di membrana”, pag. 29), di cui i più noti e i più diffusi sono<br />

l’acetilcolina, la noradrenalina e l’acido γ-aminobutirrico (GABA), accanto a varie altre molecole anche<br />

molto semplici, come singoli aa; ogni sinapsi ha un suo specifico mediatore. Le vescicole sono legate<br />

fra loro in cluster da una proteina, la sinapsina I, a sua volta legata ad una proteina spectrino-simile (fodrina)<br />

in rapporto col reticolo microtrabecolare.<br />

Quando arriva l’impulso nervoso (depolarizzazione di membrana), a livello delle sinapsi si aprono canali<br />

del Ca ++ . Nel citosol il calcio si lega alla calmodulina, che attiva una chinasi che rimuove la sinapsina<br />

e libera le vescicole; attiva anche fattori di frammentazione del reticolo microtrabecolare, che viene rimosso<br />

per non ostacolare il flusso delle vescicole verso la membrana presinaptica. Le vescicole quindi si possono<br />

spostare, si ingranano con la membrana e riversano il loro contenuto nella fessura sinaptica. Per compensazione<br />

ci sarà poi recupero di membrana grazie ad un processo di invaginazione di “vescicole ammantate”,<br />

che dopo aver perso il loro rivestimento verranno poi nuovamente “caricate” di mediatore sintetizzato<br />

nel citosol. Le membrane usurate formeranno invece corpi multivescicolari che il sistema dei microtubuli<br />

trasporterà nel pericarion (con flusso retrogrado mediato da dineina), dove diverranno lisosomi.<br />

Il mediatore emesso all’esterno, attraversato lo spazio sinaptico, si lega a “recettori” della membrana<br />

postsinaptica; i recettori, a seconda della loro natura, depolarizzano localmente la membrana postsinaptica<br />

grazie all’apertura di “canali a controllo di mediatore” (vedi plasmalemma), oppure la iperpolarizzano aprendo<br />

canali del Cl − . Nel caso della depolarizzazione, se la caduta di potenziale supera un certo valore di<br />

soglia (–50 mV) si ha l’apertura dei “canali a controllo di potenziale” e l’impulso si propaga a tutta la<br />

membrana del neurone postsinaptico per essere trasmesso a un altro neurone (o a un effettore); in questo<br />

caso la sinapsi si dice eccitatoria, ed è in genere asso-dendritica e asimmetrica. In caso di iperpolarizzazione<br />

non parte nessun impulso, anzi è ostacolata anche una eventuale depolarizzazione successiva, e la<br />

sinapsi è inibitoria, in genere simmetrica e asso-somatica (posizione strategica per la selezione degli impulsi<br />

eccitatori che provengono dai dendriti, situati a monte).<br />

Il GABA è un mediatore sempre inibitorio (del S.N.C.). Acetilcolina e noradrenalina possono essere<br />

eccitatorie o inibitorie, a seconda dei distretti; l’eccitazione o l’inibizione infatti non dipendono dal mediatore<br />

ma dai recettori della membrana postsinaptica.<br />

Quando un neurone è stato eccitato, intercorre un certo periodo di tempo (periodo refrattario) prima<br />

che sia sensibile a una successiva stimolazione: la membrana si deve nuovamente polarizzare e le vescicole<br />

si devono ricaricare di mediatore. Sul tempo di ripolarizzazione dell’assolemma si basa l’inibizione<br />

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presinaptica, in cui uno stimolo sotto soglia di una sinapsi asso-assonica posta a monte di una seconda<br />

sinapsi per un certo tempo impedisce il passaggio a impulsi successivi di qualsiasi intensità.<br />

PLACCA MOTRICE: è una sinapsi neuromuscolare. La terminazione nervosa di un motoneurone,<br />

giunta in corrispondenza di una fibra muscolare, perde i suoi rivestimenti (guaina mielinica e nevrilemma)<br />

e si ramifica. Le ramificazioni sono alloggiate in fessure sinaptiche primarie, scavate sul sarcolemma e<br />

chiuse dorsalmente da teloglìa (vedi cellule di Schwann); le fessure si trovano in zone delle fibre muscolari<br />

particolarmente ricche di nuclei e sarcoplasma, dette suole terminali.<br />

Il sarcolemma delle fessure primarie si solleva in fitte pieghe longitudinali, a formare fessure sinaptiche<br />

secondarie, il cui complesso costituisce l’apparato sottoneurale. La membrana presinaptica (assolemma)<br />

è separata dall’apparato sottoneurale da una fessura sinaptica di 20-50 nm, ricca di materiale glicoproteico.<br />

Le vescicole sinaptiche (del diametro di 20-60 nm) contengono acetilcolina che, una volta liberata,<br />

depolarizza il sarcolemma, propagandosi al sistema T e al reticolo sarcoplasmatico che libera ioni<br />

calcio ecc. (vedi contrazione della fibra muscolare, pag. 74). L’apparato sottoneurale contiene acetil-colinesterasi,<br />

per rimuovere rapidamente l’acetilcolina quando termina l’impulso.<br />

NEUROGLIA (o GLIA): è costituita da una popolazione cellulare più numerosa dei neuroni, derivata<br />

da una cellula staminale definita spongioblasto, diversa da quella dei neuroni, detta neuroblasto. Nei<br />

normali preparati se ne vedono solo i nuclei; per mettere in evidenza i profili cellulari bisogna ricorrere a<br />

speciali metodi di “impregnazione” (con sali d’oro, d’argento ecc.).<br />

L’istologia tradizionale riconosce quattro tipi di cellule: epèndima, macroglìa, oligodendroglìa, microglìa,<br />

ma l’esistenza di quest’ultima è discussa. A parte l’ependima, si tratta di cellule munite di prolungamenti<br />

di varia forma e numero, che svolgono funzione trofica e di sostegno per i neuroni, rilevando<br />

nel S.N. i compiti del tessuto connettivo; fanno infatti da veicolo per il liquido tissulare (nel S.N. non c’è<br />

sostanza amorfa) apponendosi alla rete vascolare da un lato e ai neuroni dall’altro. Il connettivo penetra in<br />

modesta quantità nel S.N., al seguito dei grossi vasi; i capillari sono circondati dalla sola membrana basale.<br />

Da notare che nel S.N., ricchissimamente vascolarizzato, mancando il connettivo manca il sistema linfatico.<br />

Le cellule endoteliali dei capillari sono collegate da “zonulae occludentes” e formano una parete<br />

continua meno permeabile che nelle altre sedi; la membrana basale, spessa, è tutta rivestita da pedicelli<br />

terminali dei prolungamenti delle cellule della glia. Ne risulta una barriera emato-encefalica che impedisce<br />

a sostanze tossiche e coloranti immesse nel sangue di raggiungere i neuroni, barriera che diviene efficientissima<br />

nell’adulto, mentre lo è meno nel giovane.<br />

La glia condiziona il metabolismo dei neuroni: l’unità funzionale dei fisiologi è il neurone con le sue<br />

cellule gliali, che coprono con i pedicelli la superficie del neurone lasciata libera dalle sinapsi. In coltura<br />

la neuroglia mostra pulsazioni ritmiche; in vivo attiverebbe il flusso delle sostanze. Incorpora timidina tritiata<br />

(nel topo); quindi è soggetta a ricambio cellulare, a differenza dei neuroni, cellule perenni.<br />

EPENDIMA: riveste le cavità del S.N.C.; nell’embrione è costituito da cellule ciliate, che nell’adulto<br />

restano tali solo in alcune zone dei ventricoli encefalici. Costituisce una sorta di epitelio cubico, bagnato<br />

dal liquido liquido cefalo-rachidiano che riempie tutte le cavità del S.N.C.<br />

MACROGLIA: è costituita nella maggior parte delle sedi da cellule ramificate con nuclei grandi e<br />

chiari, astrociti. Si distinguono: 1) Astrociti protoplasmatici, o “a brevi raggi”, intorno ai pirenofori dei<br />

neuroni, con citoplasma granuloso e prolungamenti brevi, molto ramificati, che terminano a pedicello sui<br />

capillari. 2) Astrociti fibrosi, o “a lunghi raggi”, con prolungamenti filiformi, poco ramificati, che seguono<br />

per lunghi tratti i prolungamenti delle cellule nervose (le “fibre” della “sostanza bianca”, vedi più avanti).<br />

Al limite fra le due zone si trovano astrociti misti. Il citoplasma degli astrociti, povero di organuli, è<br />

caratterizzato da gliosomi (lisosomi), gliofibrille (microfilamenti) e da discrete quantità di glicogeno. Regolano<br />

la composizione del fluido extracellulare condizionando il metabolismo dei neuroni (incorporano il<br />

K + che fuoriesce dai neuroni eccitati, recuperano il GABA, l’acido glutammico ecc.).<br />

OLIGODENDROGLIA: è costituita da cellule piccole, con pochi prolungamenti sottili scarsamente<br />

ramificati. Se ne riconoscono tre tipi: chiare, più grandi, intermedie e scure, piccole, considerate “mature”.<br />

Ubiquitarie, circondano i pirenofori come cellule satelliti (o oligodendrociti perineuronali) e si interpongono<br />

in lunghe file fra i neuriti (oligodendrociti interfascicolari), che avvolgono con i loro prolungamenti<br />

rivestendoli con una sostanza bianca, ricca di lipoidi, isolante, che rende più veloce la conduzione<br />

dell’impulso: la mielina. Si indica col termine di fibra nervosa l’assone col suo rivestimento di mielina e<br />

di citoplasma delle cellule che l’hanno prodotta: nevrilemma. Nel S.N.C. le fibre mielinizzate costituiscono<br />

la sostanza bianca; i raggruppamenti dei pirenofori la sostanza grigia.<br />

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Mielina: nel corso del differenziamento embrionale i prolungamenti degli oligodendrociti interfascicolari<br />

circondano gli assoni circostanti e cominciano a rotarvi attorno, assumendo forma a spirale (le figure<br />

di corredo si riferiscono in parte alla mielinogenesi del S.N. periferico, che prevede rotazione di intere<br />

cellule, le cellule di Schwann, e non di prolungamenti – vedi, più avanti, fibre nervose). Via via che la rotazione<br />

procede, le membrane del versante interno si avvicinano fino a giungere in contatto, mentre il citoplasma<br />

viene spremuto verso l’esterno; ne rimane solo un piccolo strato a ridosso dell’assolemma: strato<br />

adassonale. Le linee mesassone interna ed esterna rappresentano il tratto in cui inizialmente i lembi del<br />

prolungamento, circondato l’assone, erano venuti a contatto. Le membrane venute a contatto in seguito alla<br />

spiralizzazione e all’eliminazione dello ialoplasma interposto, fondendosi e aumentando il loro contenuto<br />

lipidico, formano un manicotto isolante di mielina.<br />

Al MO la mielina si colora di nero se fissata in osmio; con le tecniche convenzionali (che asportano i<br />

lipidi) si osserva solo un lasso reticolo proteico, con al centro l’assone e intorno il nevrilemma. L’assolemma<br />

rimane scoperto solo negli stretti spazi fra un manicotto di mielina e il successivo, nel cosiddetti nodi<br />

di Ranvier (descritti dall’autore nel S.N.P.). La mielina copre quindi i segmenti internodali. Al ME, in<br />

sezione trasversa rispetto alla “fibra”, si osserva alternanza fra strati scuri di 2,5 nm, linee principali, e<br />

strati chiari di 10 nm, che al centro mostrano una linea sottilissima, linea intraperiodo. Le linee intraperiodo<br />

risultano dalla fusione degli strati elettrondensi esterni della membrana dell’oligodendrocito, le linee<br />

principali dalla fusione degli strati interni; lo spazio chiaro fra le linee è costituito dai lipoidi anfipatici<br />

delle membrane che si sono fuse, aumentati di quantità fino a raddoppiare l’altezza originaria dello strato<br />

elettrontrasparente.<br />

FUNZIONE: la mielina permette una conduzione rapida dell’impulso nervoso. E’ una sostanza isolante,<br />

che rende la resistenza elettrica di un internodo pressoché equivalente a quella del nodo di Ranvier; il<br />

risparmio di corrente trasversale fa sì che la corrente arrivi a propagarsi da un nodo al successivo. L’onda<br />

di depolarizzazione che percorre l’assone, anziché propagarsi lungo l’assolemma con la lentezza tipica dei<br />

fenomeni di membrana, “salta” velocemente da un nodo all’altro: conduzione saltatoria.<br />

MICROGLIA: Si tratta di cellule affusate, piccole, con nucleo allungato, a contorno irregolare, intensamente<br />

colorabile; il citoplasma è ridotto, con brevi prolungamenti, spesso emergenti dai poli, ramificati<br />

e coperti di “spine”, come tutto il corpo cellulare: microglia spinosa. In caso di ferite o infiammazioni<br />

si convertirebbe in microglia globosa, assumendo la citologia tipica dei macrofagi. Apparterrebbe al<br />

sistema istiocitario, contribuendo, con gli altri elementi e con la particolare struttura dei capillari (vedi<br />

primo paragrafo), a formare la barriera emato-encefalica. La microglia non è stata individuata con sicurezza<br />

al ME, e alcuni ne negano l’esistenza, attribuendo agli oligodendrociti o agli astrociti la capacità di<br />

convertirsi in macrofagi.<br />

<strong>ISTOLOGIA</strong> DEL SISTEMA NERVOSO<br />

S.N.C., SISTEMA NERVOSO CENTRALE<br />

- MIDOLLO SPINALE: sembra un grosso cordone di tessuto nervoso; in realtà è un tubo, anche se con<br />

lume molto piccolo (canale ependimale) e parete molto spessa. La parete ha sostanza bianca periferica e<br />

sostanza grigia centrale che in sezione trasversa forma una H, con corna ventrali e dorsali (anteriori e<br />

posteriori nell’uomo) – nello spazio sono “colonne” ventrali e dorsali. Le corna ventrali, più larghe, contengono<br />

i pirenofori e i dendriti di tipiche cellule multipolari con valore di motoneuroni. Le fibre con i<br />

neuriti dei motoneuroni fuoriescono dal midollo spinale formando le radici ventrali (anteriori) dei nervi<br />

“misti”, cioè dei nervi che hanno una componente sensitiva e una motrice.<br />

- ENCEFALO: massa nervosa con cavità interne (ventricoli), nello spessore delle sue pareti presenta<br />

nuclei di sostanza grigia, circondati da sostanza bianca, definiti nuclei motori o nuclei associativi a seconda<br />

della natura dei neuroni che li compongono. Ci sono però zone associative in cui la sostanza grigia<br />

è minutamente frazionata da una rete di fibre mielinizzate, sostanza reticolare (meso-rombencefalica).<br />

In superficie, gli emisferi cerebrali e il cervelletto sono ricoperti da “corteccia”, cioè da sostanza grigia<br />

stratificata sopra la sostanza bianca (che contiene al suo interno i nuclei sopra citati).<br />

Corteccia cerebrale: forma solchi e circonvoluzioni (per sviluppare maggior superficie) nei mammiferi<br />

a psichismo più elevato; nell’uomo comprende 10 miliardi di neuroni, sui 14 di tutto il S.N. E’ formata<br />

da sei strati popolati da cellule di aspetto e dimensioni diverse. Cellule caratterizzanti sono le cellule piramidali,<br />

così definite dalla forma del pirenoforo; disposte ortogonalmente rispetto alla superficie mandano<br />

un lungo ceppo dendritico apicale verso l’alto, mentre il neurite parte dal centro della base e rag-<br />

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File: <strong>ISTOLOGIA</strong>, 50-81<br />

giunge la sostanza bianca sottostante. I lunghissimi neuriti di certe cellule piramidali (le cellule giganti di<br />

Betz) arrivano a sinaptare con i motoneuroni del midollo spinale, per comandare i movimenti volontari.<br />

Corteccia cerebellare: anch’essa pieghettata, è composta da tre strati. Lo strato centrale è caratterizzato<br />

dalle cellule di Purkinje, con grandi pirenofori a fiasco disposti tutti alla stessa altezza; i dendriti sono<br />

nel I strato, arborizzati “a spalliera” (cioè con ramificazioni tutte su un piano) in modo da giacere su piani<br />

parasagittali (ovvero paralleli al piano di simmetria bilaterale dell’organismo, detto sagittale); il neurite<br />

esce dalla parte opposta, impegnandosi verso la sostanza bianca. Sono neuroni inibitori; l’intera corteccia<br />

è un grosso centro inibitore per il controllo dell’equilibrio e dei movimenti volontari.<br />

S.N.P., SISTEMA NERVOSO PERIFERICO<br />

- GANGLI CEREBROSPINALI: piccoli territori nervosi scaglionati ai due lati del tronco encefalico<br />

e del midollo spinale, sono formati da cellule nervose sensitive dall’aspetto molto particolare, definite<br />

neuroni pseudounipolari, con pirenoforo sferico munito di un solo prolungamento che si biforca a T; uno<br />

dei due bracci della T raggiunge il S.N.C., l’altro va a far parte di un nervo per portarsi su un recettore. Il<br />

pirenoforo è molto voluminoso, con grosso nucleo dal nucleolo enorme, pericarion ricco di neurofibrille,<br />

sostanza tigroide “pulverulenta”, cioè a granuli fini. Entrambi i bracci nei quali il prolungamento si biforca<br />

hanno aspetto di assone, ma quello diretto verso la periferia ha conduzione centripeta ed è perciò funzionalmente<br />

un dendrite. Cellule satelliti gangliari, gliali, sono appiattite intorno ai pirenofori delle cellule<br />

pseudounipolari; altre cellule della glia, le cellule di Schwann, rivestono di mielina i prolungamenti.<br />

I gangli sono inseriti in prossimità dell’ingresso dei nervi sensitivi encefalici nel S.N.C. e a circa metà<br />

del decorso delle radici dorsali (posteriori nell’uomo) dei “nervi misti”, formate dagli stessi prolungamenti<br />

delle cellule pseudounipolari. Ogni nervo misto nasce quindi dalla confluenza di una radice dorsale,<br />

sensitiva, con una radice ventrale, motrice.<br />

Midollo e gangli spinali contengono il circuito neuronale più semplice che esista: l’arco riflesso. E’<br />

una catena di due soli neuroni: uno sensitivo, posto nel ganglio, porta l’impulso dalla periferia ad un motoneurone<br />

del S.N.C. (corna anteriori del midollo spinale), che determina risposta motoria senza intervento<br />

di cellule associative. Esempio: il riflesso rotuleo, stimolazione di un recettore (organo muscolo-tendineo)<br />

che porta all’“estensione” della gamba (contrazione del quadricipite femorale). Altri archi riflessi prevedono<br />

l’intervento di un neurone associativo (riflesso flessorio, dovuto a stimolo dolorifico cutaneo ecc.).<br />

- NERVI: sono formati da fibre nervose riunite in fasci, associate a connettivo organizzato in vari livelli<br />

(epinevrio, perinevrio, endonevrio, calza reticolare).<br />

Fibre nervose: la fibra nervosa è un neurite con i suoi rivestimenti (vedi oligodendrociti). Le fibre<br />

nervose del periferico possono essere mieliniche o amieliniche; nel primo caso sono entità costituite da assoni<br />

rivestiti da mielina e da nevrilemma, nel secondo caso manca la mielina. Il nevrilemma è costituito<br />

da oligodendrociti che caratterizzano il periferico: le cellule di Schwann. Queste cellule non hanno prolungamenti:<br />

nel corso dell’embriogenesi abbracciano direttamente gli assoni e vi ruotano intorno, formando<br />

mielina con la stessa modalità descritta per la sostanza bianca del S.N.C. Il segmento internodale nel<br />

periferico risulta quindi molto più lungo (2-3 mm), formato da un’intera cellula, e per questo il rivestimento<br />

mielinico è diviso in segmenti cilindro-conici da incisure di Schmidt-Lantermann – spirali di citosol<br />

che mettono in comunicazione lo strato adassonale col corpo della cellula di Schwann, per motivi trofici.<br />

Nelle fibre amieliniche, tipiche dei neuroni effettori del sistema nervoso autonomo (S.N.A.), una cellula<br />

di Schwann abbraccia più neuriti, ma senza che vi siano processi di spiralizzazione che portino a impacchettamento<br />

di membrane e formazione di mielina. La velocità di conduzione non è infatti un requisito essenziale<br />

per le fibre di questo tipo.<br />

S.N.A., SISTEMA NERVOSO AUTONOMO<br />

– Il S.N.A. è quella parte del S.N. che innerva muscolatura liscia, miocardio e ghiandole, per regolarne<br />

l’attività con meccanismo automatico, non cosciente. Comprende ortosimpatico (o più brevemente simpatico)<br />

e parasimpatico, ad azione antagonista, dislocati in modo diverso. Entrambi hanno la componente<br />

sensitiva costituita dai neuroni pseudounipolari dei gangli cerebrospinali; comprendono poi altri due tipi<br />

di neuroni, uno (pregangliare) inserito nel S.N.C., il secondo in un ganglio simpatico o parasimpatico. I<br />

gangli del S.N.A. sono costituiti da cellule multipolari effettrici, più piccole delle pseudounipolari sensitive<br />

dei gangli cerebrospinali e non completamente circondate dalle cellule satelliti.<br />

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