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UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI TORINO - AperTo - Università degli ...

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UNIVERSITA’ <strong>DEGLI</strong> <strong>STU<strong>DI</strong></strong> <strong>DI</strong> <strong>TORINO</strong><br />

Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali<br />

Corso di Laurea Specialistica in<br />

Chimica dell’Ambiente e dei Beni Culturali<br />

TESI <strong>DI</strong> LAUREA MAGISTRALE<br />

ADSORBIMENTO COMPETITIVO<br />

<strong>DI</strong> INOSITOLO ESAFOSFATO CON ARSENITO O ARSENIATO<br />

RELATORE:<br />

Prof. Elisabetta Barberis<br />

CONTRORELATORE:<br />

Prof. Edoardo Mentasti<br />

SU GOETHITE<br />

ANNO ACCADEMICO 2006/2007<br />

CAN<strong>DI</strong>DATA:<br />

Giulia Fiorillo


Indice<br />

Cap. I INTRODUZIONE<br />

1. Presentazione e scopo del lavoro 4<br />

2. L’Arsenico 7<br />

2.1. CARATTERISTICHE CHIMICHE 7<br />

2.2. FONTI NATURALI 9<br />

2.3. FONTI ANTROPOGENICHE 9<br />

2.4. TOSSICITA’ 10<br />

2.5. COMPORTAMENTO E MOBILITA’ NELL’AMBIENTE 12<br />

2.5.1. ATMOSFERA 13<br />

2.5.2. ACQUA 13<br />

2.5.3. SUOLO 14<br />

3. Il Fosforo organico nel suolo 18<br />

3.1. PRESENZA E FORME CHIMICHE 18<br />

3.2. GLI INOSITOL FOSFATI 19<br />

3.3. FONTI E MOBILITA’ NEI COMPARTI AMBIENTALI 21<br />

4. Gli ossidi di ferro 24<br />

4.1 FORMAZIONE E CARATTERISTICHE CHIMICHE 24<br />

4.2 GLI OSSI<strong>DI</strong> <strong>DI</strong> FERRO DEL SUOLO 25<br />

4.3 PROPRIETA’ <strong>DI</strong> SUPERFICIE: IL PUNTO <strong>DI</strong> CARICA ZERO<br />

E LA CARICA SUPERFICIALE 27<br />

Cap. II L’ADSORBIMENTO<br />

1. L’adsorbimento 29<br />

1.1. CURVE <strong>DI</strong> ADSORBIMENTO 30<br />

1.2. L’ISOTERMA <strong>DI</strong> LANGMUIR 31<br />

1.3. MECCANISMI <strong>DI</strong> ADSORBIMENTO 33<br />

1.4. ADSORBIMENTO <strong>DI</strong> ARSENICO 36<br />

1.5. ADSORBIMENTO <strong>DI</strong> FOSFORO 42<br />

1.6. COMPETIZIONE TRA As E P 46<br />

2. I colloidi 49<br />

2.1. DEFINIZIONE E CARATTERISTICHE 49<br />

2.2. IL POTENZIALE ZETA 50<br />

2.3. LA MISURA DEL POTENZIALE ZETA 55<br />

2.4. Appendice I :<br />

L’ANALISI DELLA CARICA SUPERFICIALE DELLE<br />

PARTICELLE 58<br />

2


Cap. III MATERIALI E METO<strong>DI</strong><br />

1. Sintesi della Goethite 60<br />

2. Caratterizzazione dell’ossido 60<br />

2.1. <strong>DI</strong>FFRATTOMETRIA A RAGGI X 60<br />

2.2. AREA SUPERFICIALE SPECIFICA 62<br />

3. Isoterme di adsorbimento 62<br />

4. Prove di competizione 63<br />

4.1. EFFETTO DEL pH E DELL’OR<strong>DI</strong>NE <strong>DI</strong> AGGIUNTA <strong>DEGLI</strong><br />

ANIONI 63<br />

4.2. EFFETTO DEL TEMPO <strong>DI</strong> CONTATTO TRA<br />

ADSORBENTE ED ADSORBATO 65<br />

4.3. EFFETTO SULLA CARICA SUPERFICIALE 66<br />

5. Determinazione dell’Arsenico e del Fosforo 66<br />

6. Determinazione del ferro in soluzione 68<br />

7. Determinazione della carica superficiale 68<br />

Cap. IV RISULTATI E <strong>DI</strong>SCUSSIONE<br />

1. Isoterme di adsorbimento 70<br />

2. Competizione tra arsenico e fosforo: effetto del pH 79<br />

3. Competizione tra arsenico e fosforo: effetto del tempo 89<br />

4. Effetto dell’adsorbimento di anioni<br />

sul potenziale zeta della goethite 105<br />

4.1. POTENZIALE ZETA DELLA GOETHITE 105<br />

4.2. EFFETTO DELL’ADSORBIMENTO 105<br />

Cap. V CONCLUSIONI 111<br />

BIBLIOGRAFIA 113<br />

3


Capitolo I<br />

INTRODUZIONE<br />

1. Presentazione e scopo del lavoro<br />

L’arsenico è un elemento tossico ubiquitario nell’ambiente, a causa delle numerose fonti<br />

di emissione naturali ed antropogeniche. La sua presenza è stata documentata nelle acque<br />

e nei suoli di molte zone del mondo, dove la contaminazione delle falde e dei terreni<br />

coltivabili costituisce una minaccia per la salute di milioni di persone. Spesso, infatti, le<br />

concentrazioni misurate superano i valori indicati come limite dalle organizzazioni<br />

internazionali che si occupano di definire gli standard di qualità dell’acqua (WHO, 2001).<br />

A causa della sua tossicità, lo studio delle caratteristiche dell’arsenico e delle reazioni e<br />

dinamiche di trasporto che lo coinvolgono è di fondamentale interesse dal punto di vista<br />

ambientale e della salute umana.<br />

Esistono molti composti, di natura organica e inorganica, che contengono As in una<br />

varietà di stati di ossidazione e che sono stabili in condizioni differenti di pH e di<br />

potenziale ossido-riduttivo Eh. La mobilità delle forme inorganiche di As(III) e As(V) più<br />

diffuse è regolata da diversi fattori, e la ripartizione di queste specie tra le fasi solide del<br />

suolo e la soluzione tellurica è fortemente influenzata dalla composizione dei costituenti<br />

di tale sistema.<br />

I principali responsabili del controllo della concentrazione <strong>degli</strong> ioni nelle acque naturali<br />

sono i colloidi, ovvero le particelle del suolo di più piccole dimensioni (10 -9 –10 -6 m),<br />

sulla superficie delle quali le specie cariche possono essere trattenute tramite interazioni<br />

di varia natura. Tra di essi, quelli più comunemente coinvolti nella rimozione di arsenito<br />

ed arseniato dalla soluzione del suolo sono gli ossidi e gli idrossidi di ferro (Sadiq, 1997),<br />

che costituiscono il substrato ideale per i processi di adsorbimento, perché sono reattivi<br />

sia in condizioni di pH acido sia a pH basico e sono caratterizzati da un’elevata area<br />

superficiale. L’immobilizzazione dell’As può avvenire anche per precipitazione di fasi<br />

solide che lo contengono, come arseniati di Fe e Ca e solfuri, ma questi composti non si<br />

formano facilmente e non sono termodinamicamente stabili nelle normali condizioni di<br />

pH e potenziale redox <strong>degli</strong> ecosistemi naturali. E’ quindi la ritenzione, che ha luogo sui<br />

componenti del suolo a carica variabile, a regolare la distribuzione delle specie altamente<br />

tossiche dell’arsenico nell’ambiente. I fenomeni di adsorbimento sono però soggetti<br />

4


all’influenza di alcune variabili: il pH, la presenza di condizioni ossidanti o riducenti, il<br />

tipo di minerali e di sostanza organica e le loro quantità relative, la composizione della<br />

soluzione tellurica e la compresenza di più specie in grado di legarsi ai gruppi funzionali<br />

presenti sulla superficie delle particelle colloidali.<br />

Il principale elemento capace di instaurare con l’arsenico una competizione per i siti attivi<br />

dei materiali adsorbenti, molto diffuso nei suoli e in generale nell’ambiente terrestre ed<br />

acquatico, è il fosforo. La sua abbondanza è in parte dovuta all’impiego massiccio in<br />

agricoltura di fertilizzanti chimici di sintesi o di origine animale. Diversi tipi di anione<br />

contenenti P sono presenti nelle acque naturali in quantità considerevoli, e possono essere<br />

adsorbiti in modo specifico sulla superficie di ossidi e altri minerali nei confronti dei<br />

quali hanno una elevata affinità.<br />

Il fosforo e l’arsenico hanno caratteristiche chimiche e comportamento simili, e lo ione<br />

fosfato, che è generalmente in eccesso rispetto all’As, è particolarmente efficace nei<br />

processi competitivi di adsorbimento sugli ossidi di ferro. Il fosfato inorganico presente<br />

nella soluzione del suolo, infatti, limita la ritenzione dell’arsenico disciolto su questi<br />

minerali e accresce la mobilità di quello già fissato (Sadiq, 1997; Smith et al. 1998;<br />

Violante e Pigna, 2002).<br />

Numerosi studi hanno riguardato l’adsorbimento ed il desorbimento di As e P ed hanno<br />

indagato alcuni aspetti di questi fenomeni, così come avvengono in presenza di ossidi di<br />

ferro cristallini e a scarso ordine cristallino, e di altri componenti del suolo (minerali<br />

argillosi, sostanza organica, ossidi e idrossidi di alluminio e di manganese, carbonati).<br />

Sono inoltre stati analizzati numerosi casi di competizione, ad esempio tra fosfato<br />

inorganico ed organico (Presta et al., 2000) o tra specie diverse di arsenico (Lafferty e<br />

Loeppert, 2005), oppure casi in cui l’interesse era rivolto al comportamento dell’As(V)<br />

nei confronti dello ione fosfato o di altri anioni inorganici (Jackson e Miller, 2000;<br />

Violante e Pigna, 2002). Rimangono tuttavia alcuni aspetti poco studiati o del tutto non<br />

affrontati. Uno di questi è il comportamento dell’As(III) nella competizione con il<br />

fosforo, mentre un altro confronto possibile tra i due elementi è quello che coinvolge le<br />

forme organiche del P, che per ora non sono ancora state prese in considerazione come<br />

competitori dell’arsenico, benché siano sicuramente molto abbondanti nell’ambiente.<br />

Lo scopo di questo lavoro di tesi è studiare i processi di adsorbimento e desorbimento di<br />

arsenico e fosforo con particolare attenzione alla competizione anionica. E’ stata studiata<br />

la competizione tra gli anioni inorganici dell’As in entrambi gli stati di ossidazione, +III<br />

(arsenito) e +V (arseniato), e la forma di fosforo organico più abbondante in natura, e<br />

5


quindi più rappresentativa di questa frazione dell’elemento, ovvero il mio-inositolo<br />

esafosfato (IHP). Come materiale adsorbente è stata scelta la goethite, uno dei più comuni<br />

ossidi di ferro cristallini in molti tipi di suolo. I parametri il cui effetto sulle reazioni di<br />

superficie è stato valutato sono: il pH, l’ordine di aggiunta nel sistema solido-soluzione<br />

delle specie che competono e il tempo di contatto tra gli adsorbati e il substrato<br />

adsorbente. Le variazioni sono state applicate alle combinazioni dei tre analiti di interesse<br />

che mettono a confronto ciascuna delle due specie di arsenico con il fosforo organico, per<br />

esaminare alcune delle possibili situazioni reali in cui tali elementi si trovino a coesistere<br />

all’interfaccia delle particelle solide colloidali presenti nei suoli.<br />

6


2. L’ Arsenico<br />

2.1. CARATTERISTICHE CHIMICHE<br />

L’arsenico (numero atomico 33; massa atomica 74,9216 u.m.a.) ha una configurazione<br />

elettronica esterna 4s 2 4p 3 e appartiene al V° gruppo della tavola periodica (gruppo<br />

dell’azoto). E’ un elemento chimico descritto come metalloide, questo perché la<br />

diminuzione di elettronegatività, che si verifica all’aumentare del peso atomico<br />

all’interno di ciascun gruppo, non è sufficiente a dare all’As carattere di metallo.<br />

L’As è ampiamente distribuito in natura, e la sua presenza nell’ambiente può avere<br />

origine naturale o antropogenica. La distribuzione coinvolge i diversi comparti<br />

ambientali: in atmosfera le forme volatili, nei suoli le forme minerali e quelle organiche,<br />

nelle acque le specie disciolte. Generalmente non lo si ritrova in forma elementare, bensì<br />

combinato con altri elementi, metalli e non metalli, a formare composti di natura<br />

organica ed inorganica, nei quali può assumere stati di ossidazione diversi: + V, + III, 0,<br />

- III.<br />

Nell’ambiente acquatico l’arsenico è prevalentemente presente in forma inorganica,<br />

negli stati di ossidazione +V e +III, come acido arsenico, H3AsO4, acido arsenioso,<br />

H3AsO3, e i rispettivi ossianioni, arseniato (V) e arsenito (III), in proporzioni che<br />

dipendono dalle condizioni ossidanti o riducenti e dal pH (le costanti di dissociazione<br />

acida sono riportate in tabella 1).<br />

I composti inorganici di arsenico possono essere trasformati in composti organici da<br />

specie diverse di microorganismi (funghi, lieviti, batteri), tramite reazioni redox e<br />

reazioni di metilazione che avvengono in condizioni di anaerobiosi (per esempio in suoli<br />

sommersi). Esempi di questi composti sono l’acido monometilarsonico (MMA), l’acido<br />

dimetilarsinico (DMA), la dimetil- e la trimetilarsina, che costituiscono comunque una<br />

frazione minore dell’As disciolto nelle acque, e che in condizioni aerobiche vengono<br />

nuovamente convertiti per ossidazione nelle forme inorganiche.<br />

7


pKB1B pKB2B pKB3B<br />

H3AsO3 9.2 12.1 13.4<br />

H3AsO4 2.2 7.0 11.5<br />

MMA 3.6 8.2 -<br />

DMA 6.3 - -<br />

TAB. 1: Costanti di dissociazione di acidi inorganici ed organici dell’arsenico<br />

(Bissen e Frimmel, 2003).<br />

La stabilità delle specie inorganiche di As in ambiente acquatico è descritta dal<br />

diagramma Eh – pH (figura 1). In ambiente aerobico l’arsenico é presente nel suo stato<br />

di ossidazione più elevato, +V. A pH inferiori a 2 si trova l’acido arsenico<br />

completamente protonato; all’aumentare del pH questo composto dissocia, dando<br />

origine alle forme cariche negativamente. In corrispondenza di valori bassi di potenziale<br />

redox, As é presente nella sua forma ridotta, con stato di ossidazione +III, come acido<br />

arsenioso, che fino a pH 9 non dà dissociazione. Quando l’Eh assume valori negativi si<br />

formano i composti solforati insolubili e in condizioni ancora più fortemente riducenti,<br />

difficili da osservare in natura, si trovano l’arsina (AsH3) e l’arsenico elementare, nello<br />

stato di ossidazione 0.<br />

Eh (V)<br />

0.75<br />

0.50<br />

0.25<br />

0<br />

-0.25<br />

-0.50<br />

-0.75<br />

H3AsO3<br />

HAsS2<br />

As2S3<br />

H3AsO4<br />

H2AsO4 -<br />

AsH3<br />

AsS2 -<br />

HAsO4 2-<br />

H2AsO3 -<br />

As<br />

AsO4 3-<br />

0 2 4 6 8 10 12 14<br />

pH<br />

FIG. 1: Diagramma Eh- pH per le specie di As in H2O (Bissen e Frimmel, 2003).<br />

8


2.2. FONTI NATURALI<br />

La quantità totale di arsenico nella crosta terrestre è di circa 4 · 10 16 Kg : questo ne fa il<br />

ventesimo elemento sulla base dell’abbondanza.<br />

L’As è un costituente di moltissimi minerali, tra cui i più importanti sono i solfuri: il<br />

realgar (AsS), l’orpimento (As2S3), ed alcuni solfuri misti nei quali é associato a Fe, Co,<br />

Ni, Cu.<br />

La fonte principale di As nei suoli è costituita dalle rocce, quindi il contenuto nativo<br />

dipende dalla geologia del sito. Inoltre, grandi quantità di arsenico vengono emesse in<br />

atmosfera da processi naturali: il più importante di essi é l’attività vulcanica, seguita<br />

dagli incendi e dalla combustione di legna. Una parte dell’As immesso in atmosfera<br />

subisce poi processi di deposizione tramite i quali l’arsenico raggiunge il suolo.<br />

2.3. FONTI ANTROPOGENICHE<br />

La contaminazione da As di aria, acqua e suolo è anche il risultato delle attività umane,<br />

in particolare dei processi industriali. Tra questi, a contribuire maggiormente alla<br />

presenza dell’arsenico nell’ambiente sono (Smith et al., 1998):<br />

• le attività minerarie di estrazione e di fusione di minerali di Pb, Au, Zn, Cu<br />

contenenti As come componente naturale<br />

• l’utilizzo di combustibili fossili in impianti di produzione di energia, con<br />

emissione diretta e produzione di ceneri<br />

• lo smaltimento di rifiuti chimici industriali da processi che fanno uso di composti<br />

contenenti arsenico o che ne producono<br />

• l’utilizzo di composti di As in agricoltura come pesticidi, erbicidi e fertilizzanti.<br />

In passato i composti organici ed inorganici di arsenico hanno infatti avuto numerose<br />

applicazioni in agricoltura, medicina, in attività di concia e tintura e nella produzione di<br />

armi chimiche.<br />

Attualmente l’As è ancora usato in campo industriale, soprattutto come componente di<br />

prodotti per la conservazione ed il trattamento del legno e, in misura minore, nella<br />

produzione di leghe, semiconduttori e catalizzatori, vetro e fuochi d’artificio. I prodotti<br />

commerciali più importanti a base di As sono gli ossidi As2O5 e As4O6, utilizzati anche<br />

come materiale di partenza per la sintesi di altri composti.<br />

9


2.4. TOSSICITA’<br />

La tossicità delle forme di As è legata alla sua speciazione, infatti dipende dalla natura<br />

dei composti, organica o inorganica, dallo stato di ossidazione dell’elemento, da come<br />

questo viene metabolizzato dagli organismi con i quali entra in contatto e da quanto se<br />

ne accumula nei loro tessuti.<br />

In generale i composti inorganici sono più tossici di quelli organici, e lo stato di<br />

ossidazione trivalente (+III) è più tossico di quello pentavalente (+V):<br />

AsH3 > As(III) > As(V) > RAs-X .<br />

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha fissato a 10 µg/L il valore standard di<br />

concentrazione limite per l’As nelle acque potabili; tale valore viene spesso superato in<br />

natura, e concentrazioni che superano i 50 µg/L sono molto pericolose per il benessere<br />

di uomini ed animali (Goldberg e Johnston, 2001).<br />

L’arsenico è un inquinante per il quale le dinamiche di trasferimento dal sistema suolo<br />

alle piante, possono essere molto diverse per specie vegetali differenti, e questo rende<br />

difficile indicare dei valori uniformi di fitotossicità. Una serie di sperimentazioni che<br />

utilizzavano concentrazioni di As ampiamente variabili (intervalli di dieci ordini di<br />

grandezza in mg/kg), ha dimostrato che il trasferimento dell’elemento dal suolo alle<br />

piante per assorbimento dalle radici è basso (Merry et al., 1986), e comunque molto<br />

dipendente dal tipo di suolo e dalla speciazione dell’As, che ne determina la<br />

biodisponibilità. In suoli sabbiosi, per esempio, l’arsenico risulta essere più<br />

biodisponibile che in suoli argillosi, ricchi di minerali capaci di trattenerne elevate<br />

quantità e sottrarlo così dalla soluzione (Smith et al., 1998). Le piante, inoltre,<br />

si differenziano per la loro sensibilità nei confronti di questo contaminante. Alcune<br />

mostrano di essere resistenti all’As, e di poter sopravvivere anche accumulandone<br />

quantità considerevoli nelle loro cellule, operando probabilmente una trasformazione<br />

delle specie più fitotossiche in altre forme ed una compartimentazione interna delle<br />

sostanze assorbite (Meharg, 1994).<br />

L’assorbimento da parte dei vegetali è sostanzialmente dovuto alla analogia di struttura<br />

e di comportamento tra la specie di As più diffusa nei suoli in condizioni aerobiche,<br />

l’arseniato, ed un macronutriente importantissimo per le piante nella sua forma di anione<br />

ossigenato, lo ione fosfato. Molto probabilmente i due ioni si avvalgono dello stesso<br />

sistema di trasporto attraverso la membrana radicale, che nel caso delle piante resistenti<br />

viene soppresso (Meharg e Macnair, 1992). Gli effetti dannosi sulle piante, che si<br />

10


manifestano con una crescita limitata o con la morte delle piante stesse, sembrano essere<br />

dovuti allo stress ossidativo, causato dalla formazione di composti ossidati altamente<br />

reattivi (ROS) in seguito all’assorbimento delle specie inorganiche ed organiche<br />

utilizzate a fini agricoli (Meharg e Hartley-Withacker, 2002).<br />

L’accumulo di arsenico nei tessuti delle piante rende possibile all’uomo l’assunzione di<br />

questo elemento anche attraverso la catena alimentare, oltre che con l’acqua. Le parti<br />

della pianta interessate all’accumulo di As possono essere diverse per specie vegetali<br />

differenti. Talvolta l’arsenico viene accumulato in parti non commestibili, oppure il<br />

trasferimento dalle radici ai semi ed ai frutti è scarso, e questo limita la quantità di<br />

sostanza tossica che può essere assunta con l’alimentazione. In altri casi l’elemento<br />

tossico si accumula proprio nelle parti edibili delle piante, aumentando la probabilità di<br />

ingerirne una dose pericolosa.<br />

Gli effetti tossici dell’arsenico sull’uomo possono essere acuti o cronici a seconda della<br />

durata dell’esposizione, e si differenziano per i sintomi a cui danno luogo, che<br />

coinvolgono in genere gli apparati gastro-intestinale, circolatorio e nervoso. La<br />

sensibilità differisce da individuo a individuo e dipende da numerosi fattori, tra cui<br />

anche la quantità abitualmente assunta. Da alcuni casi di avvelenamento è stata stimata<br />

per gli esseri umani una dose letale LD50 che va da 1 a 5 mg/kg di perso corporeo (Smith<br />

et al., 1998). E’ stato osservato che l’arsenico in entrambi gli stati di ossidazione agisce<br />

inibendo le funzioni energetiche dei mitocondri: i composti dell’As(III) possono causare<br />

la disattivazione di alcuni enzimi, legandosi ai gruppi solfidrilici delle proteine, verso i<br />

quali hanno una grande affinità; l’As(V), invece, può interferire con le reazioni cellulari<br />

di fosforilazione ossidativa, responsabili della formazione dei legami altamente<br />

energetici dell’adenosina trifosfato (Bissen e Frimmel, 2003).<br />

Il corpo umano assorbe soltanto una parte, approssimativamente il 5 – 15 %, dell’As<br />

ingerito, e i composti che lo contengono si distribuiscono in alcuni organi interni<br />

(fegato, polmoni, reni, milza) e in ossa, capelli, pelle e annessi cutanei. L’organismo,<br />

inoltre, è in grado di detossificare i composti inorganici tramite le reazioni di<br />

metilazione, riducendone in questo modo l’affinità per i tessuti, con un limite<br />

quantitativo di 400 μg al giorno (Smith et al.,1998).<br />

L’avvelenamento cronico da As è generalmente associato alla contaminazione delle<br />

acque di falda, che è un problema molto diffuso nelle regioni indiane del Bengala<br />

occidentale e in Bangladesh (Bengala orientale). Gli effetti dannosi sulla salute più<br />

comuni sono quelli riscontrati in seguito all’esposizione a lungo termine (per un periodo<br />

11


superiore ai 10 anni) a mezzo di ingestione di acqua contaminata, tra i quali<br />

specialmente il cancro alla pelle, ai polmoni ed alla vescica.<br />

Un altro problema che deve essere preso in considerazione è la possibilità di un ulteriore<br />

inquinamento delle fonti che alimentano le falde e gli acquiferi superficiali, dovuto alla<br />

dispersione nell’ambiente naturale dei residui ricchi di arsenico che vengono generati<br />

dalle attività di rimozione dell’elemento tossico dalle acque contaminate, generalmente<br />

nella forma di fanghi, e all’utilizzo di questi scarti in varie applicazioni, come per<br />

esempio la costruzione di mattoni e materiale edilizio (Angeluccetti, 2007).<br />

2.5. COMPORTAMENTO E MOBILITA’ NELL’AMBIENTE<br />

Come già accennato nei paragrafi precedenti, l’arsenico è presente nei vari comparti<br />

ambientali in varie forme che possono subire processi di trasformazione e di trasporto.<br />

La mobilità di questo elemento nell’ambiente è fortemente dipendente da reazioni di<br />

precipitazione, adsorbimento, ossidoriduzione ed organicazione, che ne regolano la<br />

ripartizione nelle diverse fasi dei sistemi naturali .<br />

Nella figura 2 è rappresentato schematicamente il ciclo dell’As nell’ambiente: sono<br />

indicate le fonti ed i principali processi di trasferimento che coinvolgono le forme<br />

inorganiche ed organiche dell’elemento.<br />

FIG. 2: Ciclo dell’As nei comparti ambientali, con le forme organiche ed<br />

inorganiche coinvolte (Smith et al., 1998).<br />

12


2.5.1. ATMOSFERA<br />

L’arsenico è generalmente emesso in atmosfera da processi ad alta temperatura. Questi<br />

possono essere legati a fenomeni naturali, come il vulcanismo e la combustione di<br />

vegetazione, oppure alle attività antropiche, specialmente quelle di tipo industriale,<br />

come l’uso di combustibili fossili per la produzione di energia elettrica e per<br />

l’alimentazione di impianti per il riscaldamento. Queste emissioni rilasciano As<br />

principalmente in forma di As2O3, adsorbito su particelle che possono essere trasportate<br />

da vento e correnti d’aria a distanze anche molto grandi. Le stesse particelle possono poi<br />

subire fenomeni di deposizione al suolo per via secca o umida, causandone così la<br />

contaminazione (Smith et al., 1998).<br />

Un’altra fonte di immissione di arsenico in atmosfera è costituita dai processi di<br />

biometilazione, che avvengono a bassa temperatura, e che producono alcune forme<br />

volatili organiche, le metilarsine AsH(CH3)2 e As(CH3)3, a partire dalle specie<br />

inorganiche, tramite la sostituzione dei gruppi ossidrilici di queste ultime con sostituenti<br />

metilici. Questi composti però, dopo il rilascio, vengono facilmente ossidati e convertiti<br />

nuovamente in forme non volatili soggette a deposizione. L’emissione di As dai suoli<br />

tramite l’attività dei microrganismi è quindi quantitativamente trascurabile.<br />

2.5.2. ACQUA<br />

L’arsenico presente nelle acque deriva principalmente dall’inquinamento legato alle<br />

attività minerarie industriali, dall’alterazione dell’ambiente geochimico connessa allo<br />

sfruttamento delle falde e da alcune sorgenti naturali, che portano alla contaminazione di<br />

acque superficiali e di falda. Uno dei meccanismi più importanti di rilascio dell’As<br />

nell’acqua è la decomposizione dell’arsenopirite (Smith et al., 1998).<br />

In acqua l’As si trova soprattutto in forma inorganica, come ossianione trivalente o<br />

pentavalente, e la sua speciazione è controllata da pH e potenziale redox. Le forme<br />

chimiche di arsenico sono influenzate dalle variazioni delle condizioni redox del<br />

sistema, e la loro distribuzione in soluzione dipende dal pH.<br />

In ambiente ossidante l’arsenico è presente come As(V): a pH molto acidi l’anione<br />

arseniato è completamente protonato; a pH crescenti dà varie forme a carica negativa<br />

per perdita dei protoni, e a pH fortemente basici si trova la forma completamente<br />

dissociata. In ambiente riducente, invece, l’As(III) è presente nella sua forma<br />

indissociata, che predomina sulle altre per tutti i valori di pH inferiori a 9.2 (per i valori<br />

di pKa si veda la tabella 1).<br />

13


La presenza dell’arsenico nelle acque non dipende solamente da pH ed Eh, ma anche<br />

dalla presenza in sospensione di particelle solide capaci di coinvolgerlo in processi di<br />

adsorbimento o di coprecipitazione, a causa dei quali può essere trattenuto sulle<br />

superfici di ossidi, minerali argillosi e sostanza organica. Anche in questo caso è però il<br />

pH a determinare la maggiore o minore affinità <strong>degli</strong> ossianioni verso le superfici<br />

minerali, perché è questo parametro a determinarne la carica: l’adsorbimento è scarso<br />

quando queste sono cariche negativamente. Per questa ragione è importante conoscere la<br />

variazione della carica superficiale di un materiale adsorbente in funzione del pH, e<br />

individuarne il punto di carica zero (PZC) (si veda il Par. 4.3 del Cap.I).<br />

2.5.3. SUOLO<br />

L’arsenico presente nel suolo deriva dalla roccia madre di origine, da deposizioni<br />

atmosferiche oppure dall’adsorbimento o precipitazione delle forme disciolte in acqua.<br />

La distribuzione di As nei suoli può variare con il tipo di roccia madre da cui questi<br />

derivano e generalmente la concentrazione non supera i 15 mg/kg (Smith et al., 1998),<br />

anche se sono stati riportati valori che vanno da 1 a 60 mg/kg (Bissen e Frimmel, 2003),<br />

e descrivono quindi una situazione di grande variabilità da una regione all’altra.<br />

Tra i numerosi composti identificati nei suoli, le specie più importanti sono quelle<br />

inorganiche nelle quali l’elemento è caratterizzato dagli stati di ossidazione +III e +V, i<br />

cui composti sono molto solubili e possono cambiare stato di ossidazione al variare delle<br />

condizioni redox e del pH. In genere, però, nei suoli si ritrovano entrambi gli stati di<br />

ossidazione, indipendentemente dalle condizioni redox, perché le trasformazioni da<br />

As(III) ad As(V) hanno una cinetica lenta (Goldberg e Johnston, 2001).<br />

Nel normale range di pH associato ai suoli, da 4 a 8, le specie termodinamicamente più<br />

stabili sono H3AsO3, H2AsO4 - e HAsO4 2- . L’arseniato è la forma dominante in<br />

condizioni ossidanti, come nei suoli ben aerati, mentre l’arsenito diventa prevalente in<br />

condizioni anossiche, per esempio nei suoli sommersi. Gli ossianioni di As sono poi<br />

soggetti all’attività microbica di metilazione, che è all’origine delle differenti specie<br />

organiche presenti: gli acidi monometilarsonico e dimetilarsinico e le metilarsine.<br />

Gli equilibri di questi acidi in soluzione acquosa sono indicati nelle equazioni 1 – 3.<br />

Acido monometilarsonico<br />

(CH3)AsO(OH)2 + H2O ⇔ (CH3)AsO2(OH) - + H3O + (1)<br />

(CH3)AsO2(OH) - + H2O ⇔ (CH3) AsO3 2- + H3O + (2)<br />

14


Acido dimetilarsinico<br />

(CH3)2AsO(OH) + H2O ⇔ (CH3)2AsO2 - + H3O + (3)<br />

In generale la concentrazione dell’As nella soluzione del suolo, anche in condizioni di<br />

contaminazione, è dell’ordine di grandezza dei μg/L (ppb) (Sadiq, 1997), dipende dalla<br />

mobilità dell’elemento nel sistema, ed è controllata dalle proprietà fisiche, chimiche e<br />

mineralogiche del suolo che influenzano i fenomeni di precipitazione, adsorbimento e<br />

desorbimento e ossidoriduzione.<br />

La formazione di fasi solide contenenti arsenico é importante nel determinare la sua<br />

concentrazione in soluzione, e i solfuri non sono gli unici composti di As ad essere<br />

presenti in natura. In ambiente ossidante è possibile che siano presenti condizioni<br />

favorevoli per la formazione di alcuni composti in cui l’arseniato è associato a cationi<br />

diversi: Fe3(AsO4)2, Fe(AsO4), Mn3(AsO4)2, Ca3(AsO4)2, Ba3(AsO4)2, Al(AsO4). La<br />

stabilità termodinamica di tali precipitati dipende dal pH e dal prodotto delle<br />

concentrazioni delle specie coinvolte, che deve superare il prodotto di solubilità. Tutti<br />

questi solidi possono formarsi in suoli alcalini, ma il loro andamento al variare del pH<br />

può essere differente (Sadiq, 1997).<br />

Un altro processo che regola la concentrazione di As nella soluzione del suolo è la<br />

coprecipitazione, che consiste nell’incorporazione di particelle di piccole dimensioni<br />

all’interno della struttura di un minerale durante la sua formazione. Si ottengono fasi<br />

solide in cui l’As si combina con altri elementi, come il Fe e il P, a dare alcuni composti,<br />

per esempio l’arsenopirite (FeAsS) e alcuni fosfati.<br />

I principali componenti del suolo che partecipano ai processi di superficie sono gli<br />

ossidi e gli idrossidi, specie quelli di Fe, Al, Mn, seguiti dai minerali argillosi e dalla<br />

sostanza organica (composti umici) (Sadiq, 1997). Sugli ossidi e sui fillosilicati l’As dà<br />

adsorbimento di tipo specifico, e forma complessi a sfera interna con i gruppi funzionali<br />

superficiali delle particelle, mentre nel caso delle molecole organiche la fissazione<br />

dell’As sembra essere dovuta alla formazione di legami con i gruppi amminici <strong>degli</strong><br />

acidi umici e, in ambiente acido, alla precipitazione <strong>degli</strong> stessi. Acidi fulvici e sostanza<br />

organica naturale a basso peso molecolare contribuiscono invece a mobilizzare l’As,<br />

ostacolandone l’adsorbimento sugli ossidi tramite complessazione (Bissen e Frimmel,<br />

2003). Le proprietà adsorbenti di tutte queste sostanze dipendono, oltre che dal pH e<br />

dalla composizione della soluzione del suolo, anche dalla natura dei solidi, dal grado di<br />

cristallinità e dalla carica superficiale. L’adsorbimento, infatti, è maggiore per materiali<br />

15


la cui struttura è almeno parzialmente disordinata, e aumenta per le forme di ossido<br />

scarsamente cristalline, caratterizzate da una più ampia superficie specifica. La<br />

trasformazione <strong>degli</strong> ossidi cristallini in ossidi a scarso ordine cristallino può avvenire<br />

naturalmente nel suolo in seguito alla variazione delle condizioni ambientali, quando<br />

queste portano all’idratazione del minerale; la trasformazione inversa porta alla<br />

conversione delle forme a scarso ordine cistallino in forme cristalline più stabili<br />

termodinamicamente e avviene con il trascorrere del tempo. Inoltre è importante la<br />

carica elettrica superficiale dei materiali: la sostanza organica in genere è neutra o carica<br />

negativamente, e questo diminuisce la probabilità che con gli anioni dell’arsenico si<br />

formino dei complessi, favoriti invece nel caso dei contaminanti cationici.<br />

La concentrazione dell’arsenico nella soluzione del suolo è quindi legata alla sua<br />

capacità di adsorbirsi sulle particelle solide di suolo: le condizioni che favoriscono od<br />

ostacolano questo processo non agiscono soltanto sulle caratteristiche della specie che si<br />

adsorbe, per esempio sullo stato di ossidazione dell’As, ma anche sulle caratteristiche<br />

del substrato, della fase adsorbente. Nel caso <strong>degli</strong> ossidi e idrossidi metallici, a partire<br />

da potenziali Eh di +200 mV, le condizioni riducenti provocano la mobilizzazione dei<br />

composti di arsenico ad essi legati, perché sono gli stessi minerali su cui questi sono<br />

adsorbiti a decomporsi: la riduzione <strong>degli</strong> ossidi di Fe(III) e Mn(IV) alle forme più<br />

solubili Fe(II) e Mn(II) causa la dissoluzione <strong>degli</strong> ossidi (Schwertmann, 1991) e questo<br />

comporta il ritorno in soluzione delle specie contenenti As. A potenziali uguali o<br />

inferiori a -250 mV l’arsenico viene immobilizzato per precipitazione di solfuri<br />

insolubili, che sono piuttosto stabili, ma soltanto in condizioni di acidità: As2S3, AsS,<br />

FeAsS (si veda la fig. 1).<br />

L’arsenico ha una elevata affinità per le superfici <strong>degli</strong> ossidi, e questo ne favorisce<br />

l’immobilizzazione, soprattutto in corrispondenza di pH acidi e di potenziali redox<br />

elevati, ovvero in condizioni ossidanti, nelle quali è presente in proporzione maggiore<br />

(65-98 %) nella sua forma pentavalente (Sadiq, 1997); l’adsorbimento di questa specie<br />

diminuisce avvicinandosi alla neutralità e superandola. L’As(V) è, infatti, fortemente<br />

adsorbito sui colloidi del suolo a pH inferiori a 7, ed è pertanto poco mobile, mentre<br />

As(III) è trattenuto più debolmente, e l’andamento rispetto alle condizioni di acidità o<br />

basicità è differente: l’adsorbimento è maggiore a pH compresi tra 7 e 8, e diminuisce<br />

superando la pKa1 dell’acido arsenioso (H3AsO3). In corrispondenza di pH sub-acidi,<br />

quindi, la riduzione dello ione arseniato ad arsenito può provocarne il rilascio nella<br />

soluzione del suolo. Per questo motivo l’arsenito risulta generalmente più<br />

16


iodisponibile. Nel range di pH tipico <strong>degli</strong> ambienti naturali, però, la trasformazione di<br />

As(V) in As(III) non implica necessariamente l’accrescimento della mobilità<br />

dell’arsenico, perché spesso deve verificarsi una concomitante riduzione del substrato,<br />

se si tratta di un ossido di ferro. Non è perciò sempre vero che l’As(III) è più mobile,<br />

perchè l’affinità relativa delle due specie dipende dalla composizione della soluzione e<br />

dalle caratteristiche dei colloidi coinvolti.<br />

Un altro fattore molto importante si aggiunge a quelli già descritti nel controllo della<br />

mobilità dell’arsenico nei suoli: la presenza di ioni competitori. Queste specie chimiche<br />

possono agire principalmente in due modi: in alcuni casi precedono le forme di arsenico<br />

nel formare legami con i costituenti del suolo, ostacolando l’adsorbimento; in altri si<br />

sostituiscono all’arsenico già legato alle superfici dei solidi, riportandolo in soluzione,<br />

ovvero favorendone il desorbimento.<br />

L’adsorbimento <strong>degli</strong> ossianioni arseniato e arsenito è fortemente influenzato dalla<br />

competizione con altri anioni organici ed inorganici per i siti disponibili. Studi effettuati<br />

utilizzando soluzioni addizionate di Cl - , NO3 - e SO4 2- hanno mostrato che l’effetto di<br />

queste specie è poco significativo, mentre è sicuramente importante l’effetto dovuto agli<br />

acidi fulvici e, ancora di più, allo ione fosfato (Smith et al., 1998).<br />

P e As sono elementi chimici che hanno alcune caratteristiche in comune: l’As ha nel<br />

suolo un comportamento chimico-fisico molto simile a quello del fosforo, specialmente<br />

quando si trova nella sua forma pentavalente. Ci sono delle differenze invece rispetto<br />

alla forma ridotta.<br />

Gli effetti della presenza di specie simili sulla disponibilità di una di esse possono essere<br />

sinergici oppure, come accade il più delle volte, antagonisti. Il fosfato è un noto<br />

competitore dell’As e, più in generale, di tutti gli anioni che è possibile trovare nei suoli,<br />

ed è solitamente presente in eccesso rispetto alle altre specie, soprattutto a causa<br />

dell’applicazione di grandi quantità di fertilizzanti che lo contengono.<br />

Lo ione PO4 3- è capace di sostituire l’AsO4 3- adsorbito sui suoli dai siti attivi,<br />

promuovendone la mobilizzazione, e di ostacolare l’adsorbimento di entrambe le forme<br />

di As presenti nella soluzione tellurica, specialmente quando i suoli contengono basse<br />

quantità di ossidi di ferro. In suoli sabbiosi, per esempio, pochi siti sono disponibili e<br />

l’aggiunta di fosforo può facilmente provocare il rilascio in soluzione dell’arsenico ad<br />

essi legato (O’Neill, 1995). Un effetto indiretto della competizione è quindi anche quello<br />

di aumentare la biodisponibilità delle varie forme di As per le specie vegetali che dal<br />

suolo traggono il proprio nutrimento.<br />

17


3. Il Fosforo organico nel suolo<br />

3.1. PRESENZA E FORME CHIMICHE<br />

La maggior parte dei suoli contiene concentrazioni di fosforo che possono variare tra 20<br />

e 1800 mg/kg (Celi e Barberis, 2005). Nel suolo il fosforo organico costituisce dal 20<br />

all’80 % del P totale (Anderson, 1980), rappresentando quindi molto spesso la riserva<br />

principale di questo elemento.<br />

I composti organici del fosforo presenti nel suolo derivano dall’alterazione dei residui<br />

animali e vegetali; tra questi, i più abbondanti sono gli inositol fosfati, che possono<br />

accumularsi fino a costituire circa il 50 % del fosforo organico complessivo (Celi et al.,<br />

1999). Nei suoli sono presenti molte altre forme di P organico, tra cui acidi nucleici<br />

(DNA e RNA) e nucleotidi, zuccheri fosforilati e fosfolipidi, che ne rappresentano però<br />

soltanto una piccola frazione (Stewart e Tissen, 1987).<br />

La maggior parte dei composti menzionati si trova anche in piante, animali e<br />

microorganismi. Confrontando la composizione del fosforo organico presente nel suolo<br />

con quella relativa ai vari tipi di organismi viventi, si può notare che esistono delle<br />

differenze sostanziali: nella biosfera sono gli acidi nucleici a costituire più della metà<br />

del P organico totale, mentre nel suolo questi rappresentano appena il 2 % ; al contrario,<br />

i monoesteri fosforici, che apportano un contributo al fosforo organico nel suolo<br />

superiore al 50 % , principalmente come inositol fosfati, costituiscono invece solo il 20-<br />

25 % dei composti organici fosforilati presenti negli organismi viventi (tab. 2). Queste<br />

diversità nella composizione indicano un differente comportamento dei composti di P<br />

organico: quelli presenti nella materia vivente vengono trasformati e degradati, e non si<br />

conservano nell’ambiente del suolo, dove, invece, si accumulano i monoesteri del<br />

fosfato. Questo fenomeno di stabilizzazione è dovuto a una serie di processi abiotici che<br />

ostacolano la degradazione di tali molecole e ne inibiscono la successiva utilizzazione<br />

da parte delle piante. Uno dei più importanti è costituito dall’adsorbimento sulle<br />

superfici dei minerali del suolo, dove il fosforo viene immobilizzato; il passaggio nella<br />

soluzione del suolo, necessario per poter subire la degradazione biologica, viene così<br />

impedito. Proprio per questo motivo gli acidi nucleici, gli zuccheri fosforilati e i<br />

fosfolipidi, che non sono fortemente adsorbiti, rimangono più accessibili all’attività<br />

<strong>degli</strong> enzimi e la loro biodegradazione non viene impedita.<br />

18


BATTERI FUNGHI PIANTE SUOLO<br />

(Escherichia coli) (Nicotiana)<br />

Acidi nucleici 65 58 52 2<br />

Fosfolipidi 15 20 23 5<br />

Monoesteri fosforici 20 22 25 50<br />

TAB. 2: Distribuzione delle frazioni di fosforo organico (in % rispetto al fosforo totale) in<br />

alcuni organismi viventi e nel suolo (Celi e Barberis, 2005).<br />

Il fosforo organico generalmente si accumula nelle frazioni più fini, o colloidali, del<br />

suolo, le cui particelle sono costituite da minerali che mostrano una elevata affinità per<br />

questi composti, che è stata attribuita alla grande area superficiale e all’elevato numero<br />

di ossidrili superficiali da cui sono caratterizzati tali materiali (Celi e Barberis, 2005).<br />

Nei suoli a pH acido i componenti più attivi nell’adsorbimento <strong>degli</strong> esteri fosforici di<br />

inositolo sono gli ossidi e idrossidi di Fe e Al, mentre a pH neutri o basici sono i<br />

minerali argillosi, insieme alla sostanza organica, le fasi che determinano<br />

l’adsorbimento (Anderson et al., 1974).<br />

3.2. GLI INOSITOLFOSFATI<br />

Gli esteri dell’acido ortofosforico sono i composti organici contenenti fosforo più diffusi<br />

in natura. Sono stabili nel range di pH della maggior parte dei suoli, nei quali assumono<br />

in genere la forma completamente ionizzata. Le forme dominanti sono quelle in cui i<br />

gruppi fosfato si legano al resto della molecola tramite uno solo <strong>degli</strong> atomi di ossigeno,<br />

e sono chiamate monoesteri (fig. 3). All’interno di questa classe di composti, il gruppo<br />

principale è costituito dagli inositol fosfati.<br />

FIG. 3: Formule di struttura di alcuni tipi di composti del fosforo in cui<br />

sono presenti legami covalenti P-O.<br />

19


Gli inositol fosfati sono gli esteri fosforici dell’inositolo (C6H12O6), un polialcool a sei<br />

atomi di carbonio con struttura ciclica, di cui esistono alcune configurazioni diverse, che<br />

sono tra loro stereoisomere, denominate mio, scillo, d-chiro, neo. Tra queste la forma<br />

più abbondante è il mio-inositolo. Nelle configurazioni “a sedia” non planari,<br />

energeticamente favorite, i sostituenti possono disporsi in posizione assiale oppure<br />

equatoriale, nella quale sono più stabili: per questo le molecole di inositolo tendono ad<br />

avere la conformazione in cui il maggior numero di gruppi OH sono in tale posizione di<br />

legame. Uno o più gruppi ossidrilici possono essere sostituiti da gruppi fosfato, ma i<br />

composti con numero di sostituzioni inferiore a sei sono presenti in natura solo come<br />

intermedi di reazioni biochimiche o come prodotti di idrolisi.<br />

Nel suolo i fosfati di inositolo sono presenti prevalentemente nella forma esafosforilata,<br />

la cui funzione principale è quella di costituire una riserva di fosforo per le piante,<br />

localizzata in semi e tuberi, che viene resa disponibile quando comincia la<br />

germinazione, tramite l’idrolisi del legame estereo (Cosgrove, 1980). L’acido mioinositol<br />

esafosforico (fig. 4) è detto acido fitico, e il corrispondente sale di calcio e/o<br />

magnesio è detto fitina. Le costanti di dissociazione di questo composto, insieme a<br />

quelle dell’acido ortofosforico, sono riportate nella tabella 3.<br />

Nell’organismo umano l’inositolo esafosfato (IHP) ha un ruolo importante nel<br />

metabolismo: si comporta, infatti, come agente anti-nutriente, limitando la disponibilità<br />

di elementi metallici essenziali per la dieta, quali calcio, manganese, zinco, ferro, rame e<br />

poi del fosforo stesso.<br />

FIG. 4: Acido mio-inositol esafosforico.<br />

Nel suolo gli inositol fosfati, prevalentemente presenti come esteri esafosforici, derivano<br />

da residui organici vegetali ed animali e sono trasformati in forme inorganiche<br />

disponibili dai microrganismi, che hanno anche un ruolo importante nella produzione di<br />

20


questi composti. La capacità di rilasciare fosfato inorganico da molecole organiche<br />

sembra legata all’attività di idrolisi dell’enzima fitasi (Cosgrove, 1980). L’accumulo da<br />

parte dei costituenti del suolo come conseguenza dell’adsorbimento sulle superfici delle<br />

particelle è responsabile della loro stabilità in questo ambiente.<br />

La grande capacità complessante dei fosfati di inositolo, e specialmente del mio-<br />

inositolo esafosfato, nei confronti dei cationi bi- e trivalenti è un altro fattore importante<br />

per la sua stabilizzazione nel suolo, ma può anche favorire la dissoluzione dei minerali<br />

che contengono tali specie. Questi composti, una volta adsorbiti, possono indebolire e<br />

rompere i legami metallo-ossigeno, provocando il rilascio in soluzione <strong>degli</strong> atomi<br />

metallici: se questi, poi, formano sali insolubili, la conseguente rimozione <strong>degli</strong> ioni dal<br />

mezzo acquoso incrementa il processo di dissoluzione, che è basato su un equilibrio. E’<br />

stato provato, per esempio, che l’aggiunta di IHP provoca la parziale dissoluzione della<br />

ferridrite e, in misura minore, della goethite (Celi et al., 2003; Martin et al., 2003).<br />

pK1 pK2,3 pK4-6 pK7 pK8 pK9 pK10,11 pK12<br />

IHP 1.1 1.5 1.8 5.7 6.9 7.6 10.0 12.0<br />

H3PO4 2.0 6.8 12.3<br />

TAB. 3: Costanti di dissociazione acida del mio-inositolo esafosfato e del fosfato<br />

inorganico (Celi e Barberis, 2005).<br />

3.3. FONTI E MOBILITA’ NEI COMPARTI AMBIENTALI<br />

Le forme, le quantità e le dinamiche del fosforo organico nel suolo sono determinate da<br />

fattori chimici, fisici e biologici, che dipendono dalle condizioni ambientali, dall’uso e<br />

dalla storia del sistema preso in considerazione, e dai livelli di immissione e rimozione<br />

da cui è caratterizzato. Le trasformazioni del fosforo organico nel suolo sono importanti<br />

nel determinare la disponibilità biologica di P, che a sua volta influenza la produttività<br />

di un ecosistema. In figura 5 è riportato uno schema sintetico delle reazioni coinvolte.<br />

Le molecole organiche contenenti P subiscono processi di trasformazione e trasporto<br />

che di volta in volta vanno ad arricchire o impoverire i suoli, i sedimenti, i corsi d’acqua<br />

e gli esseri viventi di questo elemento essenziale nelle sue varie forme. La<br />

mineralizzazione del fosforo contenuto nei composti organici non viene considerata<br />

21


significativa nel ciclo del fosforo, perché coinvolge una porzione molto limitata del P<br />

stesso.<br />

FIG. 5: Reazioni non biologiche coinvolte nel ciclo biogeochimico del fosforo organico<br />

negli ambienti terrestri ed acquatici (da Celi e Barberis, 2005).<br />

Il fosforo organico è presente in tutta la materia vivente: sono numerosi i composti di<br />

origine naturale che si possono trovare in vegetali, animali e microorganismi. Come è<br />

stato già detto, gli stessi composti sono presenti, in proporzioni diverse, nei suoli e nelle<br />

acque, e includono inositol fosfati, acidi nucleici, fosfolipidi, ma meno del 50 % delle<br />

forme organiche sono state finora estratte ed identificate (Frossard et al., 1995). La<br />

differente distribuzione delle varie forme di P organico in componenti diversi <strong>degli</strong><br />

ecosistemi (tab. 2), indica che alcune di esse sono piuttosto labili e possono essere<br />

convertite facilmente in altri composti ad opera di microrganismi specializzati,<br />

partecipando così maggiormente al ciclo naturale complessivo dell’elemento, mentre<br />

altre, come gli inositol fosfati, sono più stabili e meno soggette all’alterazione ed al<br />

trasporto.<br />

Il fosforo organico presente nel suolo deriva principalmente dalla degradazione del<br />

materiale organico vegetale e animale che si deposita sulla sua superficie, ma può in<br />

parte essere sintetizzato a partire dalle specie inorganiche presenti nella soluzione, che<br />

derivano dalla dissoluzione dei minerali primari e secondari. Questa conversione alla<br />

22


forma organica è una delle cause dell’immobilizzazione del P. Le piante superiori e i<br />

microorganismi assorbono l’ortofosfato dal mezzo acquoso, nelle forme HPO4 2- e<br />

H2PO4 - , e lo legano a susbstrati carboniosi tramite legami covalenti. Il continuo<br />

rifornimento della soluzione del suolo con ortofosfato, necessario per sostenere la<br />

crescita delle piante, è assicurato da un insieme di fenomeni: desorbimento, dissoluzione<br />

di P inorganico e mineralizzazione di P organico, dalla velocità dei quali dipende il<br />

turnover dell’elemento (Condron et al., 2005).<br />

La presenza di P in forma organica nei suoli può anche essere dovuta all’utilizzo di<br />

concimi di origine animale o di pesticidi organici di sintesi che lo contengono, i quali<br />

contribuiscono a far aumentare la concentrazione di questo elemento. I liquami più<br />

ricchi di fosforo sono quelli derivanti dall’allevamento dei suini, animali il cui apparato<br />

digerente non è dotato <strong>degli</strong> enzimi necessari per la metabolizzazione dei composti in<br />

cui il P è presente, e che lo eliminano completamente, contribuendo all’accumulo nel<br />

terreno.<br />

Il fosforo organico del suolo ha un ruolo importante nel ciclo del P totale, che coinvolge<br />

processi biologici ed inorganici. Quelli di tipo inorganico comprendono combinazioni di<br />

reazioni chimico-fisiche come precipitazione-dissoluzione e adsorbimentodesorbimento,<br />

che sono talvolta difficili da distinguere, perchè si verificano<br />

contemporaneamente. In questi casi la ritenzione del fosforo per via abiotica sulle<br />

particelle del suolo può essere vista come un processo in cui le reazioni di superficie e la<br />

precipitazione si susseguono con continuità. L’interazione dei monoesteri fosforici con<br />

gli ossidi di ferro e alluminio, con i minerali argillosi e con la sostanza organica è<br />

responsabile della elevata capacità di accumulo di questi composti in molti suoli e<br />

sedimenti. L’insieme delle reazioni non biologiche determina quindi le quantità di P<br />

organico che possono essere fissate sui componenti del suolo o rilasciate nella soluzione<br />

e rese disponibili alla nutrizione <strong>degli</strong> organismi viventi.<br />

23


4. Gli ossidi di ferro<br />

4.1. FORMAZIONE E CARATTERISTICHE CHIMICHE<br />

Gli ossidi di ferro sono considerati minerali di neoformazione, in quanto solitamente<br />

hanno origine a partire dai minerali primari nel corso dei processi pedogenetici, durante<br />

i quali le rocce vengono trasformate e utilizzate come substrato per la formazione del<br />

suolo. Così come gli ossidi e gli idrossidi di altri numerosi elementi, e i fillosilicati<br />

secondari, sono tra i prodotti di alterazione che vanno a formare componenti di tipo<br />

secondario caratterizzate da ordine cristallino differente.<br />

Il ferro è contenuto nei silicati presenti nelle rocce, per lo più nella sua forma ridotta<br />

(Fe(II)): in seguito alle reazioni di idrolisi ed ossidazione che queste subiscono<br />

nell’ambiente naturale, a contatto con agenti atmosferici e biologici, il Fe viene<br />

gradualmente rilasciato per solubilizzazione nelle acque. Spesso, però, le condizioni di<br />

pH e la presenza di un ambiente ossidante associate ai suoli, provocano la precipitazione<br />

di composti di Fe e O, gli ossidi e gli idrossidi, nei quali l’elemento assume lo stato di<br />

ossidazione +III. Questi diventano parte della fase solida del terreno, e in esso<br />

costituiscono uno dei componenti di più piccole dimensioni, che rimangono di 10-100<br />

nm anche in buone condizioni di cristallizzazione. Per questo motivo tendono ad<br />

accumularsi nella frazione colloidale del suolo; in particolare sono associati ai minerali<br />

argillosi, compresi nella stessa classe dimensionale. Gli ossidi di ferro possono essere<br />

presenti come particelle discrete oppure in forma di pellicole ricoprenti altri minerali<br />

(Schwertmann, 1988). In ogni caso, esistono sia come minerali cristallini, sia come<br />

materiali a scarso ordine cristallino, i quali tendono però, nel tempo, ad evolvere verso<br />

stati di organizzazione strutturale più elevata, caratterizzati da maggiore stabilità.<br />

In genere l’unità strutturale di base <strong>degli</strong> ossidi di ferro è l’ottaedro (fig. 6), in cui<br />

l’atomo di Fe è circondato da sei atomi di ossigeno: questi possono costituire un ponte<br />

tra gli atomi di Fe oppure far parte di gruppi ossidrile, a seconda della posizione rispetto<br />

alle superfici esterne ed interne delle particelle. Ciascun ottaedro è poi legato ad altre<br />

strutture simili tramite i vertici o gli spigoli, e la diversa disposizione spaziale delle<br />

unità di base è la principale caratteristica che differenzia gli ossidi di ferro uno<br />

dall’altro. L’impaccamento può infatti essere a maglie esagonali (fase α) o cubiche (fase<br />

γ). La diversa posizione reciproca <strong>degli</strong> ottaedri e l’espansione nelle tre dimensioni<br />

creano delle strutture regolari caratterizzate dalla presenza di piani sovrapposti e di<br />

24


spazi vuoti di dimensioni e forme geometriche diverse, specifiche per ciascun ossido. In<br />

base all’identificazione di tali strutture è possibile riconoscere fra loro questi minerali.<br />

Fe<br />

FIG. 6: Struttura dell’unità di base ottaedrica <strong>degli</strong> ossidi di ferro. L’atomo<br />

centrale metallico è coordinato a sei atomi di ossigeno.<br />

Durante la formazione delle strutture cristalline, può accadere che alcuni ioni presenti<br />

nella soluzione del suolo vengano incorporati negli interstizi tetraedrici, e possono<br />

anche verificarsi delle sostituzioni isomorfe in cui altri cationi metallici, in particolare<br />

l’alluminio, prendono il posto del Fe. Questo fenomeno causa la distorsione del cristallo<br />

e, talora, la formazione di cariche elettrostatiche, importanti nel determinare il<br />

comportamento dei minerali e le interazioni che essi possono stabilire con le specie<br />

disciolte e sospese, controllandone la concentrazione nelle acque con cui sono a<br />

contatto. Ossidi ed idrossidi, quindi, hanno un ruolo importante nel definire le proprietà<br />

chimiche e fisiche di un suolo.<br />

4.2 GLI OSSI<strong>DI</strong> <strong>DI</strong> FERRO DEL SUOLO<br />

Nel suolo sono presenti diversi ossidi di ferro. I più rappresentati sono:<br />

• Goethite (α FeOOH): è un ossido cristallino che si forma in ambienti umidi (fig.<br />

7.1.); i suoi cristalli hanno l’aspetto di aghi sottili. E’ l’ossido di ferro più diffuso<br />

e si trova ovunque nei suoli, ai quali conferisce una colorazione giallo-bruna. In<br />

passato era infatti usato per la produzione del pigmento noto come giallo-ocra.<br />

L’area superficiale di questo minerale è in genere intorno ai 40 m 2 /g.<br />

• Ematite (α Fe2O3): è un ossido cristallino anidro (fig. 7.2.), che può avere origine<br />

dal riarrangiamento strutturale della ferridrite. I cristalli sono delle lamelle<br />

25


esagonali di colore rosso brillante: l’effetto pigmentante è molto forte, e<br />

conferisce ai suoli la tipica colorazione rossa. E’ l’ossido di ferro più diffuso dopo<br />

la goethite, con la quale si trova spesso associato in suoli di aree mediterranee,<br />

desertiche o tropicali.<br />

• Ferridrite (Fe10O14(OH)2): questo ossido è un minerale idrato a scarso ordine<br />

cristallino e può evolvere verso altre forme aumentando la sua cristallinità con il<br />

tempo. Per questo motivo solitamente non si accumula, ma si trasforma<br />

gradualmente in ossidi cristallini. Si presenta in forma di aggregati di particelle<br />

sferiche, di colore bruno rossastro, ed è caratterizzata da una grande reattività,<br />

dovuta all’elevata area superficiale, che è molto maggiore rispetto a quella <strong>degli</strong><br />

altri ossidi: i valori riportati in letteratura coprono un intervallo compreso tra i 100<br />

e i 400 m 2 /g.<br />

Esistono due forme di ossidi di Fe idrati a struttura poco ordinata, che è possibile<br />

distinguere con l’uso della diffrattometria a raggi X, in base al numero di massimi<br />

di diffrazione riconoscibili: a due e a sei linee (Schwertmann e Fisher, 1973). Una<br />

formula generale potrebbe essere FemOn(OH)p, in cui il rapporto Fe:O:H è<br />

variabile.<br />

La struttura della ferridrite a due linee sembra essere quella più disordinata: le<br />

particelle sono fortemente aggregate, così da renderne difficile la risoluzione. La<br />

ferridrite a sei linee, invece, riflette un incremento dell’ordine strutturale: presenta<br />

particelle distinte di dimensioni tra i 40 e i 60 Å e una disposizione delle unità<br />

ottaedriche di tipo esagonale, simile a quella dell’ematite ma con un maggiore<br />

contenuto di acqua (Cornell e Schwertmann, 1996).<br />

Altri ossidi di ferro presenti nel suolo sono:<br />

• Lepidocrocite (γ FeOOH)<br />

• Maghemite (γ Fe2O3)<br />

• Magnetite (Fe3O4)<br />

26


1. 2.<br />

FIG. 7: Struttura di due ossidi di ferro cristallini a maglie di tipo α: a sinistra (1.) la<br />

goethite (α FeOOH) e a destra (2.) l’ematite (α Fe2O3).<br />

4.3. PROPRIETA’ <strong>DI</strong> SUPERFICIE: IL PUNTO <strong>DI</strong> CARICA ZERO E LA<br />

CARICA SUPERFICIALE<br />

Tra le proprietà <strong>degli</strong> ossidi, una caratteristica molto importante di questi minerali, e in<br />

generale dei materiali colloidali, è il PUNTO <strong>DI</strong> CARICA ZERO (PZC), con il quale si<br />

indica il pH in corrispondenza del quale le cariche positive e negative di un materiale si<br />

equivalgono, e la specie considerata è complessivamente neutra. A valori di pH inferiori<br />

rispetto al PZC, sulle superfici delle particelle prevalgono le cariche positive, mentre a<br />

pH superiori queste sono cariche negativamente.<br />

Il valore di PZC di un suolo è determinato dai PZC dei suoi costituenti, e quindi dalle<br />

loro proprietà acide e basiche. Alcuni componenti del terreno, ad esempio la materia<br />

organica e alcuni ossidi, possiedono, infatti, dei gruppi funzionali acidi o basici che<br />

possono dare dissociazione; altri, come i minerali argillosi, sono dotati di una carica<br />

permanente che può essere bilanciata in parte o del tutto da elettroliti con carica opposta<br />

presenti nella soluzione tellurica, ed anche da una carica variabile, largamente<br />

influenzata dal pH, ovvero dalla concentrazione di ioni H + e OH - nel mezzo.<br />

Nel caso <strong>degli</strong> ossidi e idrossidi di Fe, la carica superficiale è dipendente soprattutto alla<br />

presenza dei gruppi OH legati agli atomi di Fe. Questi gruppi costituiscono i siti di<br />

adsorbimento più abbondanti e più reattivi sui minerali del suolo. Gli ossidrili, al variare<br />

delle condizioni di pH, possono trovarsi in forma dissociata, con carica negativa -1<br />

27


sull’atomo di ossigeno, in forma indissociata quindi neutra e, infine, in forma protonata,<br />

con carica positiva +1 dovuta al secondo atomo di idrogeno. In genere il PZC di tali<br />

composti si trova ad un pH compreso tra 7 e 10, con un valore medio di 8.5: questo<br />

significa che nelle normali condizioni di pH associate ai suoli e alle acque naturali (4.5<br />

< pH < 8.5), ci si aspetta di avere la maggior parte di questi minerali carichi<br />

positivamente, in grado perciò di adsorbire anioni dalla soluzione tellurica. I materiali a<br />

carica variabile tendono infatti ad adsorbire una maggiore quantità di anioni, e in modo<br />

più efficace, quando il pH è inferiore al loro PZC. Per valori superiori la superficie di<br />

tali materiali diventa progressivamente più negativa, e questo induce una sempre<br />

maggiore repulsione delle specie anioniche presenti.<br />

Le reazioni di adsorbimento-desorbimento avvengono quindi principalmente a carico<br />

delle superfici idrossilate <strong>degli</strong> ossidi di Fe e di Al. In particolare, quelli di ferro sono<br />

coinvolti efficacemente nel trattenimento dell’As da parte del suolo (Sadiq, 1997),<br />

insieme a fillosilicati, carbonati e ossidi di altri elementi, che sono però più attivi in<br />

condizioni differenti di pH e in tipologie diverse di suolo rispetto a quelle ottimali per le<br />

proprietà adsorbenti <strong>degli</strong> ossidi di ferro.<br />

28


Capitolo II<br />

L’ADSORBIMENTO<br />

Nel definire le proprietà di un suolo occorre considerare i fenomeni chimico-fisici che<br />

avvengono all’interfaccia tra le fasi solida, liquida e gassosa che lo compongono. In<br />

particolare hanno notevole importanza i meccanismi di scambio ionico e di adsorbimento. Nel<br />

suolo sono presenti alcuni costituenti, minerali argillosi, ossidi e idrossidi di ferro e alluminio,<br />

sostanze umiche, dotati di capacità adsorbenti, le quali dipendono dall’ampia superficie<br />

specifica e dalla carica elettrica che li caratterizza.<br />

Da un punto di vista teorico, esistono due tipi di processo che rimuovono un reagente da una<br />

soluzione: l’adsorbimento e la precipitazione. Nel primo caso l’interazione coinvolge soltanto<br />

le superfici, mentre nel secondo si ha la formazione di nuovo solido. Spesso, però, i due<br />

processi non sono del tutto distinti tra loro e avvengono contemporaneamente nello stesso<br />

sistema. In inglese si usa il termine “adsorption” quando si verificano soltanto i fenomeni<br />

superficiali, e il termine “sorption” quando invece sono presenti entrambi i tipi di reazione. In<br />

italiano non esiste un termine specifico per ciascuno dei due casi, e si usa indifferentemente la<br />

parola “adsorbimento”, sia per definire i processi che coinvolgono unicamente le superfici, sia<br />

per descrivere situazioni più complesse, in cui adsorbimento e precipitazione non sono<br />

facilmente riconoscibili ed è probabile che avvengano entrambe le reazioni.<br />

1. L’adsorbimento<br />

L’adsorbimento è un processo spontaneo (che si realizza cioè con una diminuzione<br />

dell’energia libera del sistema), dovuto all’instaurarsi di interazioni tra la superficie di un<br />

solido e le molecole o gli atomi di una fase in equilibrio con esso. La causa di tali<br />

interazioni è la presenza di forze non bilanciate sulla superficie del solido: queste forze<br />

hanno origine nella diversa condizione energetica delle molecole che sono esposte al<br />

contatto con un mezzo rispetto a quelle che si trovano all’interno della massa del solido.<br />

Le reazioni possono essere di tipo fisico o di tipo chimico. La fisisorzione è dovuta ad<br />

interazioni elettrostatiche o deboli, come quelle di Van Der Waals e dei legami ad<br />

idrogeno, e comporta calori di adsorbimento di circa 20 kJ/mol, mentre la chemisorzione<br />

implica la formazione di legami chimici, e sviluppa quindi molta più energia: 100-5000<br />

kJ/mol. In ogni caso il processo di chemisorzione comprende uno stadio di fisisorzione in<br />

29


cui la molecola si avvicina alla superficie e si lega ad essa con interazioni deboli,<br />

abbassando così l’energia di attivazione necessaria a far avvenire l’adsorbimento<br />

chimico.<br />

Le reazioni di adsorbimento-desorbimento sono fondamentali per trattenere sostanze di<br />

diversa natura sulla superficie di un solido, di conseguenza hanno un ruolo<br />

importantissimo nel determinare le concentrazioni effettive di molti contaminanti sulle<br />

particelle del suolo e nella soluzione con cui questo è a contatto nell’ambiente naturale.<br />

Gli equilibri responsabili di tali concentrazioni sono regolati da vari fattori, tra cui le<br />

caratteristiche chimiche dei contaminanti e dei suoli e la presenza di competitori, ovvero<br />

di sostanze capaci di comportarsi in modo simile alle specie di interesse.<br />

1.1. CURVE <strong>DI</strong> ADSORBIMENTO<br />

I fenomeni di adsorbimento, classificati a seconda del tipo di interfaccia a cui<br />

avvengono, sono stati modellizzati. Sulla base di alcune ipotesi di partenza, sono state<br />

formulate delle equazioni di stato capaci di valutare la quantità di sostanza adsorbita su<br />

un certo materiale in seguito all’instaurarsi di un equilibrio. Fissate le due fasi che<br />

costituiscono l’interfaccia, la quantità di sostanza adsorbita dipende da alcuni fattori,<br />

che ne regolano la ripartizione. E’ possibile studiare questi fenomeni fissando una delle<br />

variabili, ed analizzare l’andamento del parametro di interesse al variare delle altre.<br />

Le curve di adsorbimento di più facile misura sperimentale sono le isoterme<br />

(temperatura costante). Nel caso di una interazione solido-liquido queste rappresentano<br />

la quantità di soluto adsorbito per unità di peso del materiale adsorbente e la<br />

concentrazione di soluto rimasto in soluzione in corrispondenza dell’equilibrio. Sono<br />

stati riconosciuti vari tipi di isoterme, che modellizzano andamenti diversi di<br />

adsorbimento.<br />

Le curve rappresentate in figura 8 permettono di individuare quattro tipi di isoterme, che<br />

descrivono situazioni differenti:<br />

• TIPO S : l’affinità del soluto per la superficie cambia in condizioni di bassa<br />

o alta concentrazione. Inizialmente l’adsorbimento è basso, ma poi<br />

aumenta il numero di siti disponibili perché il soluto già adsorbito<br />

fa da nuovo substrato, ed è ancora più attivo del solido iniziale.<br />

• TIPO L : la quantità di soluto adsorbita cresce fino alla saturazione dei siti<br />

disponibili, che sono limitati. Anche in questo caso l’adsorbato ha<br />

una elevata affinità per la fase solida.<br />

30


• TIPO H : a basse concentrazioni il soluto viene velocemente adsorbito dalla<br />

superficie del solido, saturandola. Questo avviene quando<br />

l’adsorbato ha una elevata affinità per la fase adsorbente. La curva<br />

cambia pendenza in corrispondenza della saturazione.<br />

• TIPO C : il soluto si ripartisce tra la fase liquida (Ce) e la fase solida (Qa)<br />

Qa<br />

Qa<br />

con una proporzionalità costante fino alla saturazione; la pendenza<br />

della curva non cambia. Si creano nuovi siti di adsorbimento<br />

mentre quelli disponibili vengono progressivamente occupati.<br />

FIG. 8: Tipi di isoterme di adsorbimento: Qa = quantità adsorbita; Ce =<br />

concentrazione all’equilibrio (Sparks, 1995).<br />

1.2. L’ISOTERMA <strong>DI</strong> LANGMUIR<br />

Qa<br />

Ce Ce<br />

Qa<br />

Ce Ce<br />

Nel caso dell’adsorbimento di arsenito, arseniato e fosfato organico su ossidi di ferro,<br />

l’isoterma di tipo L è la più adatta per approssimare i meccanismi e le cinetiche. Tale<br />

tipo di curva è descritta dall’equazione di Langmuir:<br />

Qa = (Qmax K Ce) / (1 + KCe) (4)<br />

dove: Qa = quantità di sostanza trattenuta da una quantità unitaria di adsorbente,<br />

espressa in mg/m 2 oppure in μmol/m 2<br />

Qmax = quantità massima di sostanza che può essere trattenuta dall’adsorbente, espressa in mg/m 2<br />

o μmol/m 2<br />

31


K = costante di Langmuir, espressa in L/mol<br />

Ce = concentrazione della sostanza nella fase liquida all’equilibrio, espressa in mol/L .<br />

L’equazione può essere linearizzata e diventa:<br />

Ce / Qa = (1/Qmax) · Ce + 1/(Qmax K). (5)<br />

Trasformando in forma lineare (y = a x + b) l’equazione di Langmuir, possiamo fare la<br />

seguente identificazione:<br />

da cui segue che:<br />

1/Xmax = a 1/(Xmax K) = b<br />

K = a / b (6) .<br />

K è la costante di Langmuir, che esprime l’affinità di una certa sostanza per una<br />

superficie. Può essere calcolata tramite l’espressione (6), a partire dalla determinazione<br />

sperimentale dei parametri che definiscono a e b, ovvero la Ce e la Qa. Costruendo un<br />

grafico in cui il valore di Ce è la variabile indipendente (asse delle ascisse) e quello di<br />

Ce/Qa è la variabile dipendente (asse delle ordinate), si ottiene una retta dalla cui<br />

equazione si ricavano a e b. La relazione tra K e Qa è quindi di tipo empirico, ed è<br />

spesso usata per descrivere i fenomeni di adsorbimento che riguardano i costituenti del<br />

suolo, tra cui gli ossidi.<br />

Il modello di isoterma di Langmuir è basato su alcune assunzioni, che ne limitano<br />

l’applicabilità a sistemi semplici, il più ideali possibile. E’ necessario, infatti, che<br />

vengano soddisfatte delle condizioni perché l’equazione risulti valida: il materiale<br />

adsorbente deve essere caratterizzato da un numero finito di siti attivi per unità di<br />

superficie, tutti i siti devono presentare la stessa energia di adsorbimento e legare una<br />

sola molecola di adsorbato, si può formare uno strato monomolecolare di sostanza<br />

adsorbita sulla superficie dell’adsorbente, che corrisponde alla saturazione, con la<br />

massima quantità di adsorbato a dare l’occupazione completa dei siti disponibili.<br />

Gli stessi tipi di isoterme possono essere descritti in modo soddisfacente anche con<br />

l’equazione di Freundlich:<br />

Qa = K Ce 1/n , (7)<br />

dove K ed n sono costanti di tipo empirico, caratteristiche del sistema adsorbato-<br />

adsorbente.<br />

32


Anche questa equazione può essere linearizzata:<br />

dove : S = quantità di adsorbente, espressa in mg .<br />

log (Qa /S) = log K + (1/n) log Ce (5)<br />

Il valore di n indica il tipo di curva risultante: per n = 1 l’adsorbimento è rappresentato<br />

da una retta; per n > 1 si osserva una curva di tipo S; per n < 1 la curva ottenuta sarà di<br />

tipo H o L.<br />

L’applicazione di questi modelli ai reali fenomeni di adsorbimento ha alcuni limiti,<br />

perché raramente si verificano tutte le condizioni ipotetiche indicate. Nei casi studiati di<br />

adsorbimento di anioni su ossidi di ferro, però, le equazioni viste sono molto utilizzate,<br />

e nella maggior parte dei casi consentono una buona descrizione dei processi osservati.<br />

1.3. MECCANISMI <strong>DI</strong> ADSORBIMENTO<br />

Le reazioni che avvengono per adsorbimento di specie ioniche sulle superfici cariche<br />

delle particelle del suolo coinvolgono la formazione di due tipi di complessi (fig. 9):<br />

• A SFERA ESTERNA (Outer Sphere Complexes): sono complessi che si<br />

formano essenzialmente a causa di interazioni di tipo elettrostatico tra gli ioni in<br />

soluzione e i gruppi ossidrilici della superficie, carichi positivamente se<br />

protonati e negativamente se completamente dissociati. In genere la specie<br />

adsorbita è uno ione idrato, ed è facilmente scambiabile con altri ioni idrati<br />

capaci di dare complessi analoghi. Questo tipo di interazione indiretta, mediata<br />

dalle molecole di acqua che circondano una delle due specie cariche, è detta<br />

adsorbimento non specifico ed è caratterizzata da basse forze di legame.<br />

• A SFERA INTERNA (Inner Sphere Complexes): si tratta di complessi che<br />

coinvolgono la formazione di legami chimici covalenti tra gli ioni (atomi<br />

metallici in forma cationica oppure complessati da un legante) e gli atomi di<br />

ossigeno dei gruppi superficiali. Le specie adsorbite non sono idratate, e si<br />

inseriscono nella sfera di coordinazione <strong>degli</strong> atomi metallici che costituiscono<br />

la particella di suolo, provocando lo spostamento di gruppi H + , OH - , OH2 + o di<br />

altri ioni già presenti sulle superfici, come descritto dalle equazioni 8 - 11:<br />

33


X-OH + M n+ ⇔ X-OM (n-1)+ + H + (8)<br />

X-OH X-O<br />

+ M n+ ⇔ M (n-2)+ + 2 H + (9)<br />

X-OH X-O<br />

X-OH + ML n+ ⇔ X-OML (n-1)+ + H + (10)<br />

X-OH + ML n+ ⇔ X-(ML) (n-1)+ + OH - (11)<br />

Gli ioni così trattenuti possono essere scambiati solo da altri ioni capaci di<br />

formare questo tipo di complessi. Questo tipo di interazione diretta tra gli ioni e i<br />

gruppi carichi sulle superfici, che implica una elevata forza di legame, è detta<br />

adsorbimento specifico, ed è caratteristica di specie cationiche o anioniche (dalla<br />

dissociazione di acidi inorganici deboli o forti) in soluzione acquosa a contatto<br />

con ossidi idrati di Fe(III), Al(III) e Mn(IV). I complessi a sfera interna sono<br />

favoriti dalla crescita della forza ionica: ci sono più controioni disponibili per<br />

bilanciare la carica superficiale generata dall’adsorbimento (Celi at al., 2000).<br />

COMPLESSI A SFERA INTERNA<br />

COMPLESSI A SFERA ESTERNA<br />

FIG. 9: Rappresentazione schematica di complessi a sfera interna ed esterna tra ioni<br />

inorganici e gruppi OH della superficie di un ossido (Sparks, 1995).<br />

34


Un’altra distinzione dei meccanismi di adsorbimento è quella che considera il numero di<br />

atomi o gruppi della specie adsorbita e di quella adsorbente coinvolti in ciascuna<br />

interazione. E’ possibile, infatti, che uno ione si leghi alla superficie coinvolgendo uno<br />

o due gruppi ossidrile, dando rispettivamente un complesso mononucleare monodentato<br />

(un solo legame) oppure binucleare bidentato (due legami con due atomi di ossigeno<br />

diversi). Allo stesso modo un singolo ione, ad esempio un ossianione, può legarsi alla<br />

superficie per chelazione di un atomo metallico, tramite due gruppi funzionali. In questo<br />

caso un solo sito della superficie è legato alla specie che si adsorbe da due legami, e si<br />

avrà un complesso mononucleare bidentato. Se poi la specie in soluzione è dotata di<br />

diversi gruppi capaci di formare legami covalenti, l’adsorbimento potrà coinvolgere più<br />

siti, per quanto permesso da ragioni di ingombro sterico (complesso polinucleare<br />

polidentato). Nella figura 10 sono rappresentati schematicamente i tipi di complesso<br />

descritti.<br />

FIG. 10: Illustrazione schematica dei tipi di legame proposti per l’adsorbimento<br />

dell’arseniato su goethite (O’Reilly et al., 2001), che esemplificano i tipi<br />

di legame possibili per i complessi Inner Sphere descritti nel testo.<br />

Tutte queste possibilità dipendono da alcuni fattori, tra cui le dimensioni relative di ioni<br />

e gruppi superficiali, e in particolare dalle distanze interatomiche di legame, per<br />

esempio tra gli atomi di ossigeno e quelli metallici, le cui differenze possono creare<br />

delle tensioni che rendono meno stabili certi complessi rispetto ad altri.<br />

35


1.4. ADSORBIMENTO <strong>DI</strong> ARSENICO<br />

L’adsorbimento di arsenico da parte dei costituenti del suolo è il principale processo<br />

responsabile della rimozione dell’As dalla soluzione tellurica, e controlla la mobilità di<br />

questo elemento nei sistemi naturali. A causa delle proprietà dei colloidi,<br />

l’adsorbimento dell’As è un processo complesso e spesso contraddittorio; i suoli sono<br />

molto eterogenei e le proprietà chimiche delle acque con cui sono a contatto sono molto<br />

variabili. Inoltre la maggior parte dei dati termodinamici disponibili si riferiscono a<br />

condizioni di temperatura (T = 25° C), pressione (p = 1 atm) e forza ionica (I = 0) ideali,<br />

differenti da quelle che caratterizzano realmente la soluzione del suolo (Sadiq, 1997).<br />

Come detto precedentemente, le specie di arsenico più comuni sono quelle inorganiche,<br />

che sono generalmente presenti nell’ambiente naturale come composti in cui l’atomo di<br />

As è legato ad alcuni atomi di ossigeno, a formare <strong>degli</strong> ossianioni. L’adsorbimento di<br />

queste specie è quindi di tipo anionico, e dipende dal pH, dalla forza ionica, dalla<br />

composizione della soluzione e dallo stato di ossidazione dell’elemento. Arsenito ed<br />

arseniato sono entrambi soggetti a reazioni di adsorbimento sulle superfici minerali dei<br />

suoli, ma mostrano un comportamento molto diverso l’uno rispetto all’altro. In<br />

particolare hanno una elevata affinità per gli ossidi cristallini e a scarso ordine<br />

cristallino di ferro, alluminio e manganese. Gli ossidi di Mn hanno un ruolo importante,<br />

oltre che nell’adsorbimento di As dalla soluzione del suolo, anche nell’ossidazione della<br />

forma trivalente in quella pentavalente, attraverso un meccanismo a più stadi che<br />

avviene sulla superficie del minerale (Smith et al., 1998). L’adsorbimento di As su<br />

ossidi di ferro può essere descritto dal modello di Langmuir (Sun e Doner, 1996).<br />

L’adsorbimento di As(III) è favorito in ambiente basico, ed è caratterizzato da un<br />

massimo che si trova in genere in un intervallo di pH compreso tra 7 e 8.5. L’As(V) ha,<br />

invece, una maggiore affinità per i substrati in condizioni acide, ed il massimo<br />

corrisponde solitamente ad un pH intorno a 4 (Goldberg e Johnston, 2001). Al crescere<br />

del pH l’andamento è dunque opposto per le due specie: la quantità adsorbita di arsenito<br />

aumenta, mentre quella di arseniato diminuisce. In corrispondenza di valori elevati di<br />

pH i siti superficiali dei minerali sono carichi negativamente: questo incrementa la<br />

repulsione elettrostatica <strong>degli</strong> anioni come l’arseniato, che diventano progressivamente<br />

più negativi; a parità di pH l’arsenito possiede una carica negativa inferiore, quindi non<br />

dà una repulsione tale da ostacolare l’adsorbimento (Raven et al.,1998). Esiste, quindi,<br />

un pH al quale le due specie sono adsorbite in modo pressoché equivalente, che dipende<br />

dal rapporto solido-soluzione e dalla superficie specifica del minerale (Dixit e Hering,<br />

36


2003). Le costanti di complessazione sono diverse per i due anioni, ma anche, per uno<br />

stesso anione, nei confronti di solidi differenti. La densità di siti di adsorbimento è<br />

infatti diversa per i vari ossidi, e questo influisce sulle quantità fissate. In generale è<br />

stato osservato che l’As(III) si adsorbe in quantità molto maggiori rispetto all’As(V)<br />

sulla ferridrite (Raven et al., 1998), ed in quantità simili o maggiori su goethite ed<br />

ossido amorfo di ferro a pH compresi tra 6 e 9, tipici <strong>degli</strong> ambienti naturali (Dixit e<br />

Hering, 2003).<br />

I meccanismi di adsorbimento di arsenito ed arseniato sulle superfici <strong>degli</strong> ossidi sono<br />

stati ampiamente studiati, utilizzando tecniche spettroscopiche capaci di esaminare<br />

questi processi in presenza di acqua, applicabili quindi ai sistemi naturali. Nel campo di<br />

frequenze dell’infrarosso sono state usate le spettroscopie FTIR di riflessione e di<br />

riflettanza attenuata, le spettroscopie Raman (Sun e Doner, 1996; Goldberg e Johnston,<br />

2001), e poi, nel campo dei raggi X, le spettroscopie di assorbimento XAS ed EXAFS<br />

(Arai et al., 2001; Ona-Nguema et al., 2005). Queste ricerche hanno permesso di<br />

valutare in che modo le due specie di arsenico si legano alle superfici, delineando un<br />

comportamento simile, ma anche alcune differenze. Nel caso della radiazione I.R. la<br />

presenza di ioni adsorbiti può essere rilevata perché i legami formati modificano i modi<br />

vibrazionali associati ai movimenti di “stretching” e “bending” dei gruppi funzionali<br />

ossidrilici, provocando delle variazioni nell’intensità e nella forma dei picchi che sono<br />

proporzionali alla concentrazione delle specie poste a contatto con i solidi.<br />

La ritenzione di As(III) e As(V) avviene prevalentemente per scambio di legante tra<br />

queste specie ed i gruppi OH e OH2 appartenenti alle sfere di coordinazione <strong>degli</strong> atomi<br />

metallici strutturali di superficie di ossidi e idrossidi, che costituiscono i siti di<br />

adsorbimento. Molti autori concordano nel dire che l’arseniato forma sulle superfici<br />

complessi a sfera interna, adsorbendosi in modo specifico su ossidi di Fe e Al cristallini<br />

e a scarso ordine cristallino (Goldberg e Johnston, 2001; Bissen e Frimmel, 2003).<br />

L’arsenito, invece, a seconda del materiale con cui è a contatto può dare adsorbimento<br />

specifico, formando complessi a sfera interna, ma anche adsorbimento non specifico,<br />

dando complessi a sfera esterna. Nel caso dell’As(III), Goldberg e Johnston (2001)<br />

hanno riscontrato la presenza di entrambi i tipi di complesso per l’ossido di ferro a<br />

scarso ordine cristallino, ma non per l’ossido di Al a scarso ordine cristallino, sulla<br />

superficie del quale sono stati osservati soltanto complessi a sfera esterna. Altri autori<br />

segnalano invece che complessi a sfera interna e complessi a sfera esterna coesistono<br />

anche su ossido di Al, ma questa volta facendo riferimento ad un materiale cristallino<br />

37


(γ-Al2O3). Inoltre, in questo studio è stato riscontrato un aumento dell’importanza<br />

dell’adsorbimento non specifico al crescere del pH e al diminuire della forza ionica<br />

(Arai et al., 2001).<br />

Anche per quanto riguarda la struttura dei legami formati è possibile notare una<br />

modalità comune per le due specie dell’elemento a diverso stato di ossidazione, ma con<br />

alcune distinzioni. In prevalenza formano entrambe dei complessi bidentati binucleari,<br />

dando legami molto forti, con una struttura a ponte che coinvolge due gruppi ossidrilici<br />

legati ad atomi di ferro adiacenti nel minerale, rappresentabili come Fe-O-AsO(OH)-O-<br />

Fe nel caso dell’arseniato e Fe-O-As(OH)-O-Fe nel caso dell’arsenito (Sun e Doner,<br />

1996). Utilizzando le tecniche di analisi spettroscopica a raggi X e quelle a radiazione<br />

infrarossa, è stato possibile riconoscere che il comportamento di As(III) e di As(V) si<br />

differenzia nei confronti di gruppi OH di natura diversa.<br />

Ai fini dello studio dell’adsorbimento è importante ricordare che sulla superficie <strong>degli</strong><br />

ossidi sono presenti ossidrili di tipo differente: questi possono essere singolarmente,<br />

doppiamente o triplamente coordinati agli atomi metallici, e vengono detti,<br />

rispettivamente, di tipo A, C e B. Ciò che li rende diversi è quindi il numero di nuclei a<br />

cui sono legati, che dipende dalla posizione nella struttura del minerale: sugli angoli, sui<br />

bordi o sulle facce delle superfici esposte delle singole particelle o all’interno delle<br />

stesse. Nel caso <strong>degli</strong> ossidi di ferro il tipo di coordinazione corrisponde al numero di<br />

unità di base ottaedriche di cui l’atomo di ossigeno fa parte. I tre tipi di OH sono<br />

caratterizzati da una differente reattività: tra essi quelli a coordinazione singola sono i<br />

più reattivi, perché possono essere facilmente protonati, e trasformati così in buoni<br />

gruppi uscenti (OH2 + ), facili da sostituire.<br />

Sun e Doner (1996) hanno osservato, da analisi con spettroscopia I.R., che sia As(III)<br />

sia As(V) formano sulla goethite complessi di tipo bidentato binucleare su gruppi<br />

ossidrilici di tipo A, ma hanno riscontrato effetti differenti su gruppi OH di tipo B e C.<br />

L’arsenito reagisce prevalentemente con gli ossidrili a coordinazione doppia, tramite<br />

legami ad idrogeno che impegnano l’atomo di ossigeno dell’anione che non è coinvolto<br />

nel ponte. L’arseniato, invece, reagisce maggiormente con i gruppi a coordinazione<br />

tripla, che formano un terzo legame covalente con un altro atomo di ossigeno dei<br />

quattro dell’anione (fig. 11). Questa differenza è stata spiegata considerando le diverse<br />

dimensioni del legame O-O per i due diversi anioni (0.32 nm per As(III) e 0.28 nm per<br />

As(V)): queste influiscono sulla stabilità dei complessi superficiali, determinando delle<br />

tensioni e il cambiamento della forma <strong>degli</strong> ottaedri che costituiscono la struttura<br />

38


dell’ossido. Per ciascuno ione si osserva la formazione del complesso che crea le minori<br />

forzature strutturali e che gode quindi di maggiore stabilità.<br />

(a)<br />

(b)<br />

FIG.11: Strutture di legame possibili per l’arsenico, individuate tramite analisi<br />

spettroscopiche (FTIR) sulle facce cristalline della goethite: complesso<br />

binucleare bidentato con due gruppi OH di tipo A e interazione ad idrogeno con<br />

un ossidrile di tipo B per As(V) (a); complesso trinucleare con tre legami<br />

covalenti tra As e gruppi OH di tipo A e B per As(V) (b); complesso binucleare<br />

con due gruppi OH di tipo A e interazione ad idrogeno con un gruppo<br />

OH di tipo C per As(III) (c) (Sun e Doner, 1996).<br />

In altri casi la differenza di reattività tra i diversi siti superficiali <strong>degli</strong> ossidi di ferro è<br />

stata valutata studiando l’adsorbimento di una sola specie (arsenico trivalente) su vari<br />

ossidi, arrivando alla conclusione che la struttura dominante e le quantità relative dei<br />

differenti complessi formati non sono uguali su tutti i materiali. Sulla ferridrite<br />

(Fe10O14(OH)2) e sull’ematite (α Fe2O3) i complessi prevalenti in condizioni di alto<br />

ricoprimento superficiale sono di due tipi, bidentato binucleare e bidentato<br />

mononucleare, mentre su goethite (α FeOOH) e lepidocrocite (γ FeOOH) si formano<br />

soprattutto complessi di tipo bidentato binucleare e, in quantità molto minore, complessi<br />

monodentati mononucleari (Ona-Nguema et al., 2005). Tra questi tipi di complesso, in<br />

figura 12 ne sono rappresentati alcuni che coinvolgono l’arseniato, su ossidi di ferro e di<br />

alluminio.<br />

(c)<br />

39


FIG. 12: Tipi di complesso formati da As(V): a sinistra complesso binucleare bidentato e<br />

mononucleare bidentato su ossido di Fe (Sherman e Randall, 2003); a destra<br />

complesso binucleare bidentato su ossido di Al (Ladeira et al., 2001).<br />

Come già è stato detto, l’adsorbimento di As avviene per scambio di leganti nelle sfere<br />

di coordinazione <strong>degli</strong> atomi metallici <strong>degli</strong> ossidi. Tali reazioni provocano il rilascio in<br />

soluzione di ioni H + e OH - : valutando le quantità relative di queste specie ed il<br />

cambiamento della carica superficiale netta del materiale adsorbente è possibile ricavare<br />

informazioni importanti per la descrizione dei meccanismi di legame che non sono<br />

accessibili attraverso studi spettroscopici. Nel caso della ferridrite l’adsorbimento di<br />

As(V) produce il rilascio di ioni OH - a tutti i pH compresi nell’intervallo da 4 a 10,<br />

mentre quello di As(III) libera ioni H + in campo acido e ioni OH - in campo basico.<br />

Il rilascio di H + è dovuto alla deprotonazione di H3AsO3 durante la reazione, ma la<br />

quantità rilevata indica una parziale neutralizzazione di questa specie dovuta<br />

all’adsorbimento stesso, che rilascia ioni OH - , oppure alla protonazione del legame Fe-<br />

O-As che si è formato. Lo stesso tipo di dati suggerisce che i meccanismi di<br />

adsorbimento sono diversi in condizioni di alto o basso ricoprimento superficiale,<br />

perché cambia la reazione predominante. Inizialmente vengono desorbite<br />

preferenzialmente molecole di acqua, e solo in un secondo momento la specie più<br />

rilasciata è l’anione ossidrile. Inoltre la ritenzione di arsenico provoca un abbassamento<br />

del PZC, proporzionale alla concentrazione di As nella soluzione aggiunta, e della<br />

carica superficiale, maggiore con l’As(V) e soprattutto al di sopra di pH 7 (Jain et al.,<br />

1999). La variazione della carica superficiale è attribuibile al cambiamento della<br />

speciazione dell’arsenico adsorbito al crescere del pH, che porta alla deprotonazione di<br />

alcuni gruppi OH. Questa è una conferma del fatto che i complessi formati sono del tipo<br />

a sfera interna, capaci di modificare la carica superficiale del materiale adsorbente, al<br />

contrario di quelli a sfera esterna.<br />

40


L’adsorbimento di arsenico è poi fortemente influenzato dalla competizione con gli altri<br />

anioni organici ed inorganici che è possibile trovare nella soluzione del suolo, in<br />

particolare con il fosfato (si veda il Par. 1.6. di questo capitolo), che è spesso<br />

abbondante in varie forme nei suoli.<br />

Per quanto riguarda gli aspetti cinetici, si riscontrano alcune differenze tra arsenito ed<br />

arseniato, sulla base di un andamento comune. Per entrambe le specie le reazioni di<br />

adsorbimento sono inizialmente piuttosto veloci, e si avvicinano al completamento<br />

(90% dell’adsorbimento totale) nelle prime ore di contatto tra ossido e soluzione. Il<br />

raggiungimento dell’equilibrio per questi anioni dipende dal pH e dalla concentrazione<br />

di arsenico nella soluzione: l’As(III) si adsorbe più rapidamente a pH basici e in<br />

corrispondenza di alte concentrazioni, mentre l’As(V) è più veloce a pH acidi e per<br />

basse concentrazioni delle specie nel mezzo acquoso (Raven et al., 1998). Queste<br />

osservazioni concordano con la dipendenza dal pH della ritenzione dell’As, di cui si è<br />

parlato precedentemente in questo paragrafo: in condizioni di pH elevato è favorito<br />

l’adsorbimento della specie ridotta; al contrario, condizioni di pH basso sono ideali per<br />

l’adsorbimento della specie ossidata.<br />

Il completamento della reazione di cui si è detto sopra non è un vero e proprio<br />

equilibrio, perché anche per tempi di contatto molto lunghi non viene raggiunto il 100%<br />

dell’adsorbimento; le percentuali di sostanza adsorbita rispetto a quella inizialmente<br />

presente in soluzione, che superano il 90 % per entrambi gli anioni, si avvicinano<br />

comunque molto a questo valore. La cinetica individuata per l’arsenico su ossidi e<br />

idrossidi di ferro può essere in realtà divisa in due stadi: un breve stadio iniziale veloce<br />

e poi uno lento molto più lungo, durante il quale la quantità adsorbita continua a<br />

crescere nel tempo. Studi portati avanti per tempi lunghi hanno dimostrato che<br />

l’adsorbimento è continuo e porta, con variazioni percentuali molto piccole, fino al<br />

raggiungimento del 100 % dopo oltre 1 anno di contatto. Tramite analisi spettroscopiche<br />

EXAFS combinate a tali cinetiche è stato poi possibile indagare la struttura dei legami<br />

delle specie di arsenico adsorbite, che non hanno mostrato variazioni nemmeno dopo<br />

tempi lunghi di incubazione, in un ambiente molecolare che si è mantenuto invariato<br />

(O’Reilly et al., 2001). Questa seconda parte dei fenomeni di adsorbimento, nella quale<br />

non si osserva più la dipendenza dal pH e dalla presenza e concentrazione di altri<br />

elettroliti, è controllata non da processi diffusivi, come si pensava fino a poco fa, ma da<br />

fenomeni superficiali di precipitazione e dall’eterogeneità dell’energia di legame dei<br />

siti, che influisce sui processi di desorbimento (Zhang e Stanforth, 2005).<br />

41


1.5. ADSORBIMENTO <strong>DI</strong> FOSFORO<br />

L’adsorbimento fa parte delle reazioni non biologiche che influiscono sulla quantità di<br />

fosforo che può essere fissata o rilasciata da suoli e sedimenti.<br />

Le reazioni di adsorbimento e desorbimento di fosfati sulla superficie dei colloidi<br />

(ossidi di ferro, alluminio e manganese, nonché fillosilicati e minerali argillosi) sono tra<br />

i principali fattori che determinano la concentrazione di fosforo nel suolo. I composti<br />

contenenti fosforo vengono generalmente trattenuti dai vari costituenti del suolo con<br />

legami di coordinazione tanto forti da essere resi insolubili e difficilmente disponibili<br />

per le piante.<br />

L’adsorbimento di fosfato è stato ampiamente descritto, specie per quanto riguarda le<br />

forme inorganiche H2PO4 - e HPO4 2- su ossidi di ferro. Il processo avviene con una<br />

reazione inizialmente molto rapida di scambio di leganti con gli atomi metallici dei<br />

minerali, coinvolgendo i gruppi ossidrilici ad essi legati, ed è proporzionale all’area<br />

superficiale dei substrati. A seconda che la superficie di partenza sia carica<br />

positivamente o neutra, la reazione comporta il rilascio di protoni oppure soltanto di<br />

molecole d’acqua (fig. 13). Inoltre, non tutti i gruppi OH sulle superfici <strong>degli</strong> ossidi<br />

sono ugualmente accessibili, per questo motivo l’entità dell’adsorbimento varia per<br />

minerali differenti (Frossard et al., 1995). La Qa massima di fosfato mediamente<br />

adsorbita sulla goethite è di circa 2.5 μmol/m 2 (Frossard et al., 1995).<br />

FIG. 13: Meccanismi di adsorbimento per lo ione fosfato su ossidi di ferro, con<br />

formazione di un complesso bidentato binucleare.<br />

42


Nella maggior parte dei casi lo ione HPO4 2- si adsorbe sui colloidi in modo specifico e<br />

viene coinvolto in legami di tipo binucleare bidentato, con la formazione di un<br />

complesso a sfera interna, un anello a sei atomi sulla superficie dell’ossido (Violante P.,<br />

2002). Esistono vari anioni di acidi organici, come ad esempio l’ossalato, il citrato, il<br />

malato, ed inorganici, come l’arsenito e l’arseniato, capaci di competere con il fosfato<br />

per i siti di adsorbimento sulle superfici delle particelle. L’adsorbimento del fosforo è,<br />

infatti, un processo reversibile, ma le caratteristiche dello ione fosfato e la capacità di<br />

formare legami molto stabili ne rendono difficile la sostituzione una volta fissato al<br />

suolo. Le reazioni di desorbimento sono state poco studiate, ma sembra che avvengano<br />

con uno stadio iniziale veloce, per poi proseguire più lentamente.<br />

Anche il fosforo organico può essere fortemente adsorbito sulle superfici <strong>degli</strong> ossidi di<br />

ferro presenti nei suoli e nei sedimenti e la ritenzione sui colloidi del suolo è il processo<br />

principale che ne influenza la distribuzione e l’accumulo in questi sistemi (Ognalaga et<br />

al., 1994). L’adsorbimento <strong>degli</strong> inositol fosfati su ossidi e idrossidi di ferro è<br />

solitamente descritto utilizzando l’equazione di Langmuir, che dà una buona<br />

interpretazione dei dati relativi ai minerali puri. Nei casi reali le assunzioni su cui si<br />

basa tale modello si verificano molto raramente, e si fa allora riferimento ad una<br />

equazione modificata, che tiene conto delle caratteristiche della soluzione del suolo e<br />

del potenziale elettrostatico delle superfici minerali.<br />

I valori della costante K ottenuti per i fosfati di inositolo, e specialmente per il mioinositolo<br />

esafosfato, indicano una affinità per questi minerali ancora maggiore di quella<br />

già elevata del fosfato inorganico (Celi e Barberis, 2005). L’adsorbimento avviene<br />

tramite i gruppi fosfato, che reagiscono con l’ossido allo stesso modo dello ione<br />

inorganico, per scambio di leganti con i gruppi OH e OH2 della superficie. Usando la<br />

spettroscopia infrarossa si è dimostrata la formazione di legami Fe-O-P su goethite, che<br />

provocano dei cambiamenti nelle bande di assorbimento caratteristiche dei legami P-O e<br />

P=O della molecola (Celi et al., 1999). E’ stato suggerito un meccanismo di<br />

adsorbimento che coinvolge quattro dei sei gruppi fosforilati dell’IHP, capace di dare<br />

complessi molto stabili con questo ossido. Tale meccanismo è rappresentato nella figura<br />

seguente, dove ogni gruppo fosfato è legato ad un diverso atomo di ferro (fig. 14). La<br />

stabilità dei complessi formati rende limitato il desorbimento, data la difficoltà di<br />

distaccare contemporaneamente tutti i gruppi coinvolti. In ogni caso, così come avviene<br />

per il fosfato inorganico, il desorbimento del mio-inositolo esafosfato dagli ossidi di<br />

43


ferro cresce all’aumentare del pH, raggiungendo un valore massimo per pH uguali o<br />

superiori a 7 (Celi et al., 2003).<br />

FIG. 14: Meccanismo di adsorbimento del mio-inositolo esafosfato sulla superficie<br />

della goethite a pH 4.5. Per semplicità sono stati omessi i gruppi ossidrile<br />

e gli atomi di idrogeno dei gruppi fosfato (Ognalaga et al., 1994).<br />

Anche gli ossidi di alluminio, i minerali argillosi e la sostanza organica possono<br />

adsorbire il fosforo organico, e in particolare il mio-inositolo esafosfato, con la<br />

formazione di complessi molto stabili, che ne limitano la disponibilità per le piante ed i<br />

microorganismi, ma le quantità sono molto inferiori rispetto quelle ritenute sugli ossidi<br />

di ferro.<br />

L’adsorbimento dell’inositolo esafosfato può ostacolare l’approccio di altre molecole<br />

alle superfici dei solidi che costituiscono il suolo, imponendo effetti elettrostatici e<br />

sterici (Shang et al., 1990). Le dimensioni della molecola e l’ingombro dato dai gruppi<br />

funzionali impegnati nei legami, ma anche da quelli liberi, insieme all’alta densità di<br />

carica dell’IHP, rendono difficile l’avvicinamento alla particella minerale di altri ioni<br />

dotati di carica negativa. Tali anioni, infatti, sono respinti da una carica dello stesso<br />

segno che, oltre ad essere di valore elevato, è situata ad una certa distanza dal centro<br />

della molecola di inositolo esafosfato. Questa capacità di caricare fortemente la<br />

superficie su cui si adsorbe fa dell’IHP un ottimo disperdente ed un competitore<br />

importante nei processi di adsorbimento anionico.<br />

L’adsorbimento del fosforo organico avviene preferenzialmente su superfici a carica<br />

variabile, e proprio per questo motivo è influenzato da molti fattori che concorrono a<br />

determinare le caratteristiche della soluzione di fondo con cui sono a contatto i solidi:<br />

44


pH, forza ionica, natura e concentrazione <strong>degli</strong> elettroliti, presenza di ioni che<br />

competono per gli stessi siti.<br />

Il pH, per esempio, influisce sulla carica assunta dalle superfici reattive e sulle<br />

concentrazioni relative delle forme anioniche delle sostanze suscettibili di<br />

adsorbimento. Per pH inferiori al punto di carica zero la superficie del minerale<br />

adsorbente è dotata di carica positiva, che man mano diminuisce fino a cambiare di<br />

segno quando il pH aumenta. Generalmente, quindi, l’adsorbimento diminuisce al<br />

crescere del pH, perché si formano forze repulsive sempre maggiori tra i composti<br />

molto negativi del fosforo e le superfici dei minerali la cui carica diventa<br />

progressivamente più negativa, con un pH di massimo adsorbimento che cambia per i<br />

vari tipi di composto. La ritenzione del mio-inositolo esafosfato segue questo<br />

andamento decrescente con il pH in presenza di ossidi di ferro e di minerali argillosi<br />

(Celi e Barberis, 2005).<br />

L’adsorbimento è modificato dalla presenza di altri possibili leganti nella soluzione, che<br />

possono competere per gli stessi siti, ma solitamente gli studi condotti con IHP hanno<br />

dimostrato la capacità di questo composto di scalzare gli ioni già legati ai minerali e<br />

anche la sua resistenza alla competizione: è efficace nel desorbire altri anioni, compreso<br />

il fosfato inorganico, ma questi non riescono ad avere lo stesso effetto nei suoi<br />

confronti.<br />

Gli inositol fosfati interagiscono con gli stessi siti superficiali a cui si lega il fosfato<br />

inorganico, e questa specificità può portare a reazioni di competizione<br />

nell’adsorbimento anche tra le due forme di P, con effetti sulla mobilità e la<br />

disponibilità per le piante. In uno studio che confrontava lo ione fosfato e l’IHP è stato<br />

osservato che a pH acidi la forma organica esafosforilata mostra una maggiore affinità<br />

per la goethite rispetto allo ione inorganico, e tende a favorirne la mobilizzazione,<br />

spostandolo in parte dai siti di adsorbimento. A pH basici, invece, tali considerazioni<br />

non sono valide perché l’IHP non sembra competere con il PO4 3- (Presta et al., 2000).<br />

Dal punto di vista della cinetica, l’adsorbimento del fosforo organico sui minerali del<br />

suolo procede inizialmente con una reazione veloce, ma non raggiunge un vero<br />

equilibrio, anche se nel caso del P i processi a lungo termine non sono ancora stati bene<br />

studiati. Questo fenomeno è tipico di tutti gli adsorbimenti di anioni nel suolo,<br />

compreso quello che coinvolge il mio-inositolo esafosfato: le quantità trattenute<br />

continuano a crescere nel tempo, senza arrivare ad una situazione di equilibrio. Le<br />

reazioni che implicano lo scambio di leganti possono però ritenersi concluse entro un<br />

45


tempo di 48 ore. Gli studi fatti hanno osservato che queste avvengono in due stadi, con<br />

una cinetica di primo ordine: l’adsorbimento avviene velocemente durante la prima ora,<br />

per poi rallentare nel corso delle 23 ore successive. La ritenzione non è completamente<br />

reversibile; solo una certa quantità di P può tornare in soluzione, e questo desorbimento<br />

dipende dal pH, dalla percentuale di saturazione e dalla presenza di ioni competitori<br />

(Celi et al., 2003; Martin et al., 2002 e 2003).<br />

I composti del fosforo, adsorbendosi sulle particelle colloidali del suolo, ne modificano<br />

la carica ed il potenziale elettrico e, di conseguenza, il loro comportamento in merito<br />

alla dispersione e alla flocculazione, così come avviene nel caso di altri anioni.<br />

L’adsorbimento di mio-inositolo esafosfato su goethite e minerali argillosi può causare<br />

una variazione significativa delle proprietà superficiali di questi materiali (Celi et al.,<br />

1999). I gruppi fosfato che non si legano alla superficie minerale possono subire la<br />

dissociazione <strong>degli</strong> ossidrili, che in condizioni di pH superiori a 2 conferiscono alle<br />

particelle una carica netta superficiale negativa. Questo provoca l’instaurarsi di forze<br />

repulsive che contribuiscono alla dispersione del solido nella sospensione, con un<br />

effetto molto più pronunciato rispetto a quello prodotto dal fosfato inorganico (Celi e<br />

Barberis, 2005).<br />

1.6. COMPETIZIONE TRA ARSENICO E FOSFORO<br />

Adsorbimento e desorbimento sono i processi che regolano la mobilità dell’arsenico nei<br />

suoli, e la presenza di altre specie è uno delle variabili che hanno più influenza<br />

sull’andamento di questi processi, nei quali hanno un ruolo importante le reazioni di<br />

competizione.<br />

Le caratteristiche chimiche di As e P, e delle relative forme anioniche, rivelano molte<br />

analogie, specialmente nel caso in cui l’arsenico è nel suo stato di ossidazione +V. E’<br />

ormai stato appurato che il comportamento nei suoli dello ione AsO4 3- è molto simile a<br />

quello del PO4 3- (Manning e Goldberg, 1996; Violante e Pigna, 2002; Antelo et al.,<br />

2005). Questi ossianioni vengono trattenuti in modo specifico dai minerali a carica<br />

variabile, formando con le superfici dei complessi a sfera interna di vari tipi. Vista<br />

l’importanza del fosforo nel metabolismo delle piante, la somiglianza risulta importante,<br />

soprattutto in luoghi in cui il suolo contiene quantità di arsenico rilevanti, ed una<br />

competizione con il fosfato per l’adsorbimento sui minerali potrebbe provocare il<br />

rilascio dell’elemento tossico e, di conseguenza, la contaminazione delle acque e dei<br />

vegetali, che costituiscono la maggiore “fonte” di As per l’uomo.<br />

46


Le reazioni di adsorbimento competitivo su ossidi di ferro e minerali argillosi in<br />

presenza di entrambi gli ioni inorganici sono state studiate, e hanno mostrato una<br />

dipendenza da diversi fattori, come il pH, la concentrazione di leganti e di carbonio<br />

organico disciolto presenti nella soluzione, la natura dei componenti del suolo, l’entità<br />

del ricoprimento dato dagli anioni ed il tempo di contatto tra questi e le superfici. Il<br />

fosfato si è mostrato un competitore molto potente, capace di sopprimere<br />

l’adsorbimento dell’arseniato, e di sostituire quello già adsorbito, nel caso che i due<br />

anioni vengano a contatto con i materiali adsorbenti in tempi diversi (Violante e Pigna,<br />

2002; Smith et al., 1998). Inoltre il fosfato compete più efficacemente in sistemi neutri e<br />

alcalini, mentre l’arseniato predilige quelli acidi: il rapporto tra le concentrazioni molari<br />

<strong>degli</strong> ioni adsorbiti diminuisce al crescere del pH. Questo parametro è importante<br />

perché agisce sulla carica superficiale dei colloidi contenuti nei suoli e sul grado di<br />

dissociazione <strong>degli</strong> ossianioni di P e As.<br />

L’entità della competizione può variare molto per minerali differenti e per suoli<br />

caratterizzati da proprietà mineralogiche e chimiche diverse, che tendono ad adsorbire<br />

preferenzialmente AsO4 3- o PO4 3- e rivelano quindi una certa selettività. Ossidi e<br />

fillosilicati particolarmente ricchi in Fe si dimostrano più efficaci nell’adsorbimento di<br />

arseniato, mentre i minerali più ricchi in Al sono particolarmente attivi nel trattenimento<br />

del fosfato (Violante e Pigna, 2002).<br />

La difficoltà di comprendere i meccanismi di adsorbimento e desorbimento relativi a<br />

AsO4 3- e PO4 3- è dovuta alla compresenza di processi differenti durante queste reazioni:<br />

la competizione è influenzata dal tipo e dalla stabilità dei complessi superficiali che i<br />

due anioni formano, dalla variazione della carica superficiale dei minerali nel corso<br />

dell’adsorbimento e dagli effetti del tempo, che dipendono a loro volta dalle diverse<br />

cinetiche di arseniato e fosfato. Su alcuni ossidi metallici e altri componenti del suolo<br />

contenenti Fe e Mn, l’As(V) può formare complessi anche più forti di quelli formati dal<br />

fosfato, e l’aumentare del tempo di contatto favorisce l’adsorbimento dell’arsenico. La<br />

competitività <strong>degli</strong> anioni, infatti, cambia nel tempo: a causa della sua cinetica veloce di<br />

adsorbimento, il PO4 3- compete fortemente su tempi brevi (alcune ore) con l’AsO4 3- , che<br />

tende ad adsorbirsi più lentamente. Con il passare del tempo, però, il rapporto AsO4 3- /<br />

PO4 3- tra le quantità adsorbite aumenta a favore dell’arseniato, che diventa più<br />

competitivo (Violante e Pigna, 2002).<br />

Il comportamento dell’As(III) e delle forme organiche è meno noto. Si sa che le specie<br />

metilate sono ritenute sulla superficie delle particelle che costituiscono il suolo meno<br />

47


fortemente di quelle inorganiche, e vengono quindi desorbite con più facilità, mentre<br />

l’arsenito, che ha una grande affinità per questi minerali e specialmente per gli ossidi<br />

amorfi di ferro, è difficilmente estratto dal fosfato, anche quando il pH non è quello più<br />

favorevole all’adsorbimento; inoltre in buona parte viene ossidato sulle superfici <strong>degli</strong><br />

ossidi stessi, così da ricondurre lo studio a quello del desorbimento di As(V) (Jackson e<br />

Miller, 2000).<br />

Non è quindi possibile delineare un comportamento reciproco univoco di P e As, ma<br />

occorre prendere in considerazione la specificità di ciascun caso reale per prevedere gli<br />

effetti finali dell’aggiunta di fosfato a suoli inquinati da arsenico.<br />

48


2. I colloidi<br />

Gli ossidi di ferro del suolo hanno comportamento colloidale: la carica e l’elevata area<br />

superficiale di cui sono dotati sono importanti nel determinare i fenomeni di dispersione,<br />

aggregazione e precipitazione che si verificano al variare delle condizioni ambientali.<br />

2.1. DEFINIZIONE E CARATTERISTICHE<br />

I colloidi sono sostanze costituite da particelle più grandi di atomi e molecole ordinarie,<br />

ma troppo piccole per essere viste ad occhio nudo. Le dimensioni di tali particelle sono<br />

comprese tra 1 e 1000 nm (10 -9 m) e sono legate insieme o unite tra loro in vari modi. I<br />

sistemi colloidali possono esistere come dispersioni di una sostanza in un’altra o come<br />

singole sostanze.<br />

Lo studio scientifico dei colloidi risale all’inizio del XIX° secolo, con la scoperta del<br />

moto Browniano relativo a particelle di piccole dimensioni in sospensione in un liquido.<br />

Nel corso del XX° secolo sono poi stati sviluppati metodi strumentali efficienti per<br />

studiare le dimensioni e la configurazione delle particelle colloidali, tra i quali i raggi X,<br />

la diffusione e l’elettroforesi.<br />

I colloidi possono essere distinti in due gruppi caratterizzati da diverso comportamento:<br />

i liofili e i liofobi. I primi comprendono le sostanze che hanno affinità verso il mezzo in<br />

cui sono dispersi: l’interazione tra le particelle e le molecole del solvente provoca una<br />

riduzione dell’energia libera (ΔG < 0) accompagnata da un aumento di entropia, e<br />

questo fa sì che il sistema si mantenga disperso, distribuito in modo uniforme. Per un<br />

colloide liofilo, quindi, la stabilità termodinamica e quella colloidale coincidono. I<br />

colloidi liofobi, invece, hanno scarsa affinità per il disperdente: l’energia libera<br />

diminuisce quando le particelle interagiscono fra loro e si uniscono, formando aggregati<br />

di diverse dimensioni. Perché il sistema rimanga disperso deve esserci una barriera<br />

energetica, per esempio di tipo elettrostatico, che contrasti l’avvicinamento delle<br />

particelle e induca la repulsione.<br />

La stabilità dei sistemi colloidali è quindi fortemente influenzata dalla carica<br />

superficiale, e, di conseguenza, è legata al punto di carica zero (PZC) delle particelle<br />

che li compongono. A pH inferiori al PZC le superfici hanno carica positiva e si<br />

respingono, mantenendo la dispersione del sistema. In corrispondenza di tale punto le<br />

particelle sono neutre, e tendono a flocculare e a formare così <strong>degli</strong> aggregati, per<br />

precipitazione. A pH superiori al PZC, le superfici si caricano negativamente, e la<br />

repulsione elettrostatica induce nuovamente alla disgregazione <strong>degli</strong> aggregati.<br />

49


Non è però soltanto il pH ad influenzare la formazione di aggregati all’interno di una<br />

sospensione. Altri fattori termodinamici ed elettrostatici sono importanti nel<br />

determinare la stabilità di un sistema colloidale; tra questi la presenza di elettroliti ed il<br />

potenziale zeta.<br />

2.2. IL POTENZIALE ZETA<br />

In un sistema in cui sono presenti <strong>degli</strong> elettroliti, una particella carica viene circondata<br />

da ioni e molecole di H2O che si muovono con essa, formando così una unità cinetica<br />

(Hunter, 1981). In campo sperimentale è importante immaginare un piano che delimita<br />

questa unità, perché solo in corrispondenza di tale piano, detto “di scorrimento” (o<br />

shear plane) è possibile effettuare una misura del potenziale elettrico che la particella<br />

carica induce intorno a sé. Il potenziale associato a questo piano prende il nome di<br />

potenziale zeta (ζ), o potenziale elettrocinetico, e definisce il comportamento dei sistemi<br />

dispersi: infatti, poiché la carica intrinseca sulla superficie della particella è schermata<br />

da quelle <strong>degli</strong> ioni che la circondano, le interazioni con altre particelle saranno regolate<br />

proprio da tale potenziale.<br />

Per meglio definire il potenziale relativo ad una particella carica e comprenderne<br />

l’importanza nella stabilizzazione dei sistemi colloidali, è necessario fare riferimento a<br />

modelli elettrostatici, che permettono di prevedere il comportamento di un sistema al<br />

variare delle condizioni sperimentali. Questi modelli vengono utilizzati specialmente in<br />

casi di interfaccia solido-liquido.<br />

All’interfaccia tra due materiali differenti in contatto esiste un potenziale elettrico<br />

dovuto alla separazione di carica. Lo studio delle proprietà di carica elettrica delle<br />

particelle è fondamentale per capire e predirne il comportamento in una qualsiasi<br />

sospensione. Nel campo dei colloidi la determinazione del potenziale ζ comprende la<br />

misura del potenziale elettrico in corrispondenza dell’interfaccia tra una particella solida<br />

e il liquido circostante, in genere una soluzione elettrolitica.<br />

Intorno ad una particella dotata di carica dispersa in un liquido si crea un campo<br />

elettrico, che può essere descritto come differenza di potenziale tra due punti al suo<br />

interno: questa corrisponde al lavoro necessario perché una carica si sposti da un punto<br />

all’altro. Ponendo uno dei due punti a distanza infinita, il suo potenziale si annulla, ed è<br />

possibile attribuire un valore al potenziale elettrico nell’altro punto. Nel caso di una<br />

particella colloidale, il valore del potenziale è massimo in corrispondenza della<br />

superficie e diminuisce allontanandosi da essa, con un andamento che dipende dalla<br />

50


carica superficiale, da quella dei controioni e dal modello utilizzato per descrivere il<br />

doppio strato.<br />

In un sistema colloidale, ogni particella viene circondata da ioni di segno opposto a<br />

quello della sua superficie, che si dispongono attorno ad essa compensandone la carica.<br />

Si forma così un doppio strato elettrico, che è stato variamente descritto ed interpretato.<br />

La carica superficiale della particella può essere dovuta all’adsorbimento di ioni o di<br />

polielettroliti, alla dissociazione di gruppi funzionali, a sostituzioni isomorfe, a<br />

fenomeni di tipo elettrostatico, e determina una redistribuzione <strong>degli</strong> ioni presenti nello<br />

spazio circostante.<br />

Diversi modelli elettrostatici sono stati sviluppati per descrivere le interazioni tra<br />

particelle e ioni di diversa natura ed il doppio strato. Tra questi, uno dei primi proposti è<br />

stato quello di Helmholtz: secondo tale modello, i controioni solvatati attratti dalla<br />

superficie formano un monostrato compatto. Non si tiene conto del fatto che questi ioni,<br />

a causa dell’agitazione termica, tendono a contrastare la forza elettrostatica di attrazione<br />

esercitata dalla particella e a diffondere nel volume circostante, verso le zone a minore<br />

concentrazione. Per raggiungere una situazione di equilibrio, gli ioni si distribuiscono in<br />

modo da formare un doppio strato diffuso (fig. 15), in cui quelli più esterni si<br />

dispongono secondo un gradiente di concentrazione che diminuisce allontanandosi dalla<br />

superficie e si annulla ad una certa distanza nella soluzione circostante. Questa<br />

descrizione è conosciuta come modello di Gouy – Chapman, e si basa sul concetto che<br />

le concentrazioni all’interfaccia differiscono da quelle nel corpo del liquido.<br />

FIG. 15: Modello del doppio strato diffuso.<br />

51


Nessuno dei due modelli citati rappresenta però in modo ottimale il doppio strato<br />

elettrico: nel primo caso lo schema proposto è troppo rigido, nel secondo invece si<br />

trascura la presenza di una struttura nella disposizione <strong>degli</strong> ioni in prossimità della<br />

particella. Queste due interpretazioni trovano una possibile sintesi nel modello di Stern<br />

(fig. 16), che apporta alcune innovazioni ai precedenti e tiene conto dei piani<br />

equipotenziali più significativi.<br />

FIG. 16: Modello di Stern del doppio strato.<br />

Gli ioni vengono considerati delle entità fisiche e non puntiformi, caratterizzate da<br />

dimensioni tali che non consentono l’avvicinamento alla superficie ad una distanza<br />

inferiore al loro raggio (0,1 nm per uno ione non idratato e 0,5 nm per uno ione<br />

idratato). Si forma così un primo strato di ioni non idratati legati fortemente alla<br />

particella carica, vincolati da un piano rigido denominato Inner Helmholtz Plane<br />

(I.H.P.), che passa per il loro centro. Gli ioni idratati, di dimensioni maggiori e quindi<br />

più distanti dalla superficie, definiscono un secondo piano, passante per il loro centro e<br />

denominato Outer Helmholtz Plane (O.H.P.), a partire dal quale ha inizio lo strato<br />

diffuso, di spessore molto maggiore, dove le interazioni sono più deboli e gli ioni sono<br />

dispersi. Lo strato di Stern è quello che va dalla superficie della particella al limite<br />

dell’O.H.P., ed è quindi diviso in due parti (fig. 17). Lo spazio compreso tra la<br />

superficie e lo strato di controioni più prossimi risulta privo di carica.<br />

L’Inner Helmholtz Plane rappresenta lo strato costituito dagli ioni legati chimicamente a<br />

siti specifici della superficie (adsorbimento specifico, si veda il Par. 2), mentre l’Outer<br />

Helmholtz Plane delimita lo spazio effettivo di avvicinamento dei controioni idratati<br />

presenti nella soluzione e legati elettrostaticamente alla particella (adsorbimento non<br />

specifico, si veda il Par. 2).<br />

52


FIG. 17: Suddivisione dello strato di Stern in Inner Helmholtz Plane (I.H.P.) e<br />

Outer Helmholtz Plane (O.H.P.).<br />

Il doppio strato elettrico è costituito dalla carica della superficie più quella dei<br />

controioni. La maggior parte della carica superficiale viene neutralizzata dai controioni<br />

legati fortemente all’interno dello strato di Stern; l’eccesso rimanente viene bilanciato<br />

dagli ioni dello strato diffuso (di Gouy), che si estende nella fase liquida. Gli ioni<br />

presenti nello strato di Stern si muovono insieme alla particella, mentre quelli nello<br />

strato di Gouy no, cambiano continuamente mentre la particella si sposta nella<br />

soluzione. Esiste quindi un confine immaginario che delimita lo spazio all’interno del<br />

quale si trovano gli ioni che aderiscono alla particella e ne seguono i movimenti. Questo<br />

confine è chiamato “piano di scorrimento”, e alcune prove sperimentali permettono di<br />

collocarlo poco al di fuori o in prossimità dello strato di Stern (Lyklema, 1977; Low,<br />

1987). Una rappresentazione completa della struttura del doppio strato elettrico per una<br />

particella colloidale, e dell’andamento del potenziale nel suo intorno, è mostrata in<br />

figura 18.<br />

La proprietà più importante del doppio strato è l’effetto che esso determina sul<br />

potenziale elettrico in vicinanza della superficie carica: in corrispondenza del piano di<br />

scorrimento questo viene chiamato potenziale zeta. La sua grandezza dipende dalla<br />

carica superficiale, dalla concentrazione e dalla valenza <strong>degli</strong> ioni presenti nel sistema e<br />

dalla costante dielettrica del mezzo. Il potenziale ζ è una misura pratica che dà<br />

indicazioni sullo spessore del doppio strato. E’ un parametro utile perché è direttamente<br />

53


collegato alla stabilità dei sistemi colloidali. In generale, infatti, un valore grande di<br />

potenziale zeta corrisponde ad un sistema stabile, perché mantiene la dispersione<br />

uniforme e impedisce l’agglomerazione, mentre un valore piccolo è caratteristico di un<br />

sistema che tende ad aggregarsi, perché la forza repulsiva data dalla sovrapposizione dei<br />

doppi strati di particelle vicine non è abbastanza forte da superare l’attrazione di Van<br />

Der Waals che le porta ad aggregarsi.<br />

L’adsorbimento di specie cariche sulle superfici dei colloidi è in grado di influenzare la<br />

struttura del doppio strato: la formazione di complessi a sfera interna modifica la<br />

mobilità elettroforetica delle particelle, perché le specie ritenute sono localizzate<br />

all’interno dello shear plane, e si muovono insieme alla particella a cui sono legate. Nel<br />

caso dei complessi a sfera esterna, invece, gli ioni si trovano al di fuori del piano di<br />

scorrimento, nello strato diffuso, e non si spostano con l’unità cinetica.<br />

FIG. 18: Rappresentazione di una particella colloidale carica in sospensione,<br />

con il suo corredo di controioni, e del potenziale elettrico nel suo<br />

intorno. Sono indicati il potenziale zeta, la struttura del doppio strato<br />

elettrico ed il piano di scorrimento.<br />

54


2.3. LA MISURA DEL POTENZIALE Z<br />

Esistono diversi metodi elettrocinetici di indagine delle caratteristiche elettriche delle<br />

particelle colloidali, tra cui il potenziale ζ. Una tecnica di particolare importanza per<br />

studiare questo tipo di sistemi è l’elettroforesi: l’applicazione di un campo elettrico ad<br />

una sospensione induce il movimento delle particelle, con una velocità finale che è<br />

correlata al loro potenziale superficiale. E’ necessario che si raggiunga un equilibrio tra<br />

la forza esercitata dal campo applicato e quella di attrito con il mezzo.<br />

Dalla misura della velocità di una particella in un campo elettrico noto si determina la<br />

mobilità elettroforetica della stessa, definita da una equazione:<br />

dove: s = densità di carica superficiale della particella<br />

η = viscosità della soluzione<br />

κ = parametro di Debye Huckel<br />

U = s / η · κ (10)<br />

Il potenziale zeta è una quantità derivata, perché viene calcolato a partire dalla misura<br />

della mobilità elettroforetica. Essa è data da:<br />

dove: V = velocità finale, espressa in μm/s<br />

E = campo elettrico applicato, espresso in V/cm .<br />

U = V / E (11)<br />

La prima descrizione della correlazione tra i due parametri fu formulata da<br />

Smoluchowski nel 1921. Alla migrazione della particella corrisponde la migrazione nel<br />

verso opposto dei controioni presenti nella sospensione, anch’essi soggetti al campo<br />

elettrico: questo provoca un rallentamento detto ritardo elettroforetico. Smoluchowski<br />

assunse che la mobilità di una particella carica, che si muove in risposta ad un campo<br />

elettrico, fosse uguale ed opposta a quella della fase all’interno della quale essa migra.<br />

Questa descrizione si basa, inoltre, sull’approssimazione, valida nella maggior parte dei<br />

sistemi acquosi, che lo spessore del doppio strato sia piccolo paragonato al diametro<br />

della particella, derivandone quindi un campo uniforme e ovunque parallelo alla<br />

particella. L’equazione che descrive la relazione tra la mobilità ed il potenziale ζ è:<br />

U = ε · ζ / η (12)<br />

dove: ε = costante dielettrica del mezzo (ε0D)<br />

ζ = potenziale zeta<br />

η = viscosità della soluzione<br />

55


A partire dalla teoria di Smoluchowski si sono succedute altre trattazioni, basate su<br />

assunti differenti, per esempio in relazione alla forma delle particelle ed alle dimensioni<br />

di queste rispetto al doppio strato, alla viscosità del liquido ed alla sua turbolenza, alla<br />

deformazione del campo elettrico. Tali assunzioni hanno portato a risultati anche<br />

piuttosto diversi tra loro, a causa della complessità di questi sistemi e ai numerosi fattori<br />

che rendono meno diretta la relazione tra i parametri di interesse.<br />

Attualmente la misura della mobilità elettroforetica è effettuata tramite una tecnica<br />

strumentale che associa la Photon Correlation Spettroscopy (PCS) alla Laser Doppler<br />

Velocimetry (LDV), con la quale si determina la velocità di particelle in movimento<br />

dalla variazione che queste inducono, per effetto Doppler, sulla frequenza di una<br />

radiazione laser: quello che avviene è una diffusione (scattering) della luce che colpisce<br />

le particelle sottoposte ad elettroforesi.<br />

Una radiazione elettromagnetica che interagisce con una particella dotata di una certa<br />

velocità, subisce uno spostamento della sua frequenza, dovuto all’effetto Doppler, che è<br />

dato da:<br />

dove: Δν = variazione di frequenza<br />

V = velocità della particella<br />

ν0 = frequenza originale<br />

c = velocità della luce.<br />

Δν = V · ν0 / c (13)<br />

L’effetto Doppler dipende anche dall’angolo con cui la radiazione viene diffusa in<br />

seguito alla collisione con la particella:<br />

dove: n = indice di rifrazione del mezzo<br />

θ = angolo di diffusione<br />

Δν = [2n V sen(θ/2)] / λ0 (14)<br />

λ0 = lunghezza d’onda della luce incidente<br />

(questa formula indica che il Δν misurato è proporzionale all’angolo θ, per piccoli valori<br />

dell’angolo stesso).<br />

Tramite l’equazione (11), la variazione di frequenza risulta correlata alla mobilità<br />

elettroforetica:<br />

U = Δν λ0 / 2n E sen(θ/2) . (15)<br />

56


Il valore di Δν è in genere molto piccolo rispetto alla frequenza della luce incidente,<br />

compreso tra 0 e qualche centinaio di Hz, ed è perciò difficile da misurare. La sorgente<br />

laser fornisce una radiazione incidente monocromatica, e l’uso di un raggio di<br />

riferimento permette di ottenere dal rivelatore una variazione di ampiezza proporzionale<br />

alla differenza tra le frequenze e quindi anche alla velocità delle particelle.<br />

La stessa tecnica strumentale può essere utilizzata per misurare le dimensioni medie<br />

delle particelle sottoposte al campo elettrico. I colloidi in una sospensione sono soggetti<br />

ai cosiddetti “moti Browniani”, responsabili della diffusione delle particelle nel mezzo.<br />

La velocità relativa con cui diffondono è proporzionale alle loro dimensioni (equazione<br />

di Stokes - Einstein):<br />

D = k T / 3 π η d (16)<br />

dove: D = coefficiente di diffusione traslazionale<br />

k = costante di Boltzmann<br />

T = temperatura<br />

η = viscosità del mezzo<br />

d = diametro sferico equivalente della particella .<br />

Il coefficiente di diffusione risente delle variazioni che i moti relativi delle particelle<br />

inducono sull’intensità della luce diffusa. Il diametro medio viene calcolato a partire dal<br />

valore misurato per D.<br />

57


2.4. Appendice I<br />

L’ANALISI DELLA CARICA SUPERFICIALE DELLE PARTICELLE<br />

Lo strumento utilizzato per la determinazione del PZC dei colloidi (DELSA 440,<br />

Coulter Electronics) sfrutta la diffusione della luce laser dovuta ad effetto Doppler per<br />

misurare in modo diretto la velocità di particelle che si muovono in un mezzo di<br />

sospensione per effetto di un campo elettrico applicato.<br />

Il Coulter DELSA combina la velocimetria laser Doppler alla spettroscopia a<br />

correlazione di fotoni (LDV-PCS). Nello strumento (fig. 19), all’interno di un’apposita<br />

cella elettroforetica, le particelle del materiale di interesse si muovono in un campo<br />

elettrico generato dall’applicazione di un potenziale. Nello stesso tempo vengono<br />

colpite dalla radiazione monocromatica ad alta intensità di un laser, e la diffondono in<br />

varie direzioni causando uno spostamento della frequenza per effetto Doppler. La luce<br />

diffusa è raccolta simultaneamente da alcuni rivelatori a fotodiodi situati in posizioni<br />

fisse. Il parametro misurato è la variazione di frequenza della radiazione, da cui viene<br />

calcolata la velocità delle particelle, dipendente dal valore del campo elettrico applicato,<br />

e poi la mobilità elettroforetica. Usando l’equazione di Smoluchowski si ottiene il<br />

valore del potenziale zeta corrispondente (eq. 12 del Par. 2.3.).<br />

L’analizzatore è dotato di una sorgente laser He-Ne (5 mW; λ = 632 nm; 6.0 · 10 14 Hz)<br />

e di quattro rivelatori per la luce diffusa posti ad angoli differenti rispetto alla direzione<br />

della radiazione incidente (7.5°, 15°, 22.5° e 30°); la cella portacampione è costituita da<br />

due elettrodi in argento che delimitano un condotto trasparente in quarzo in cui è<br />

contenuta la sospensione.<br />

FIG. 19: Schema dell’analizzatore Coulter D.E.L.S.A. 440 (Doppler Elettrophoretic<br />

Light Scattering Analyzer.<br />

58


La radiazione laser è suddivisa in cinque raggi: uno principale, che funge da<br />

riferimento, e quattro secondari, la cui intensità è venti volte più bassa. Tutti i raggi<br />

vengono fatti convergere sulla cella elettroforetica: il movimento delle particelle<br />

colloidali induce, per effetto Doppler, una variazione della frequenza dei quattro raggi<br />

secondari, i quali subiscono la diffusione e raggiungono i fotomoltiplicatori<br />

combinandosi al raggio di riferimento, che non è stato alterato. La sovrapposizione dei<br />

due raggi a frequenza leggermente diversa (beating) dà una radiazione risultante che<br />

viene registrata da ciascun fotorivelatore; i segnali in uscita passano quindi in quattro<br />

autocorrelatori a 256 canali che, calcolando la trasformata di Fourier delle funzioni di<br />

autocorrelazione, forniscono lo spettro della mobilità elettroforetica.<br />

Misurando la luce diffusa in corrispondenza di diversi angoli si ottiene un dato più<br />

affidabile, per vari motivi. Dal momento che l’angolo di diffusione della luce influenza<br />

la frequenza della radiazione, ma non la sua intensità, sarà possibile osservare i picchi<br />

misurati e individuare quelli di uguale intensità il cui shift di frequenza è proporzionale<br />

agli angoli considerati, escludendo tutti gli altri. Un’altra caratteristica dei segnali è<br />

l’ampiezza del picco. Questa aumenta al crescere dell’angolo di diffusione, e l’entità di<br />

tale variazione dipende da alcune caratteristiche del sistema colloidale. L’allargamento<br />

del segnale può essere legato a due tipi di cause: effetti dovuti ai moti Browniani delle<br />

particelle oppure alla distribuzione dei valori di mobilità elettroforetica, differenti per le<br />

diverse particelle che compongono il campione sottoposto a misura. Questi due effetti<br />

incidono con diversa proporzionalità sulla dipendenza dell’ampiezza e della forma dei<br />

picchi dall’angolo di diffusione, e potranno pertanto essere separati grazie alla<br />

misurazione simultanea del segnale in corrispondenza di quattro posizioni.<br />

Il Coulter DELSA, inoltre, misura le dimensioni delle particelle in sospensione,<br />

sfruttandone il moto Browniano. Con la spettroscopia di correlazione di fotoni (PCS) è<br />

possibile, infatti, determinarne il diametro idrodinamico medio, inversamente<br />

proporzionale al loro coefficiente di diffusione.<br />

59


Capitolo III<br />

MATERIALI E METO<strong>DI</strong><br />

1. Sintesi della goethite<br />

La goethite è stata sintetizzata secondo il metodo descritto da Schwertmann e Cornell<br />

(1991). In una bottiglia di polietilene a 100 mL di una soluzione di Fe(NO3)3 1 M,<br />

ottenuta per dissoluzione di Fe(NO3)3 · 9H2O in acqua deionizzata, sono stati aggiunti<br />

180 mL di una soluzione di KOH 5 M, ottenendo la precipitazione immediata di un<br />

solido rosso-bruno (ferridrite). La sospensione è poi stata diluita con acqua deionizzata,<br />

portata ad un volume finale di 2 L e incubata nella bottiglia chiusa ad una temperatura di<br />

343 K per 60 ore. Al termine di questo periodo di tempo si è formato un precipitato<br />

compatto giallo-bruno di goethite. La bottiglia è stata rimossa dalla stufa e il sedimento è<br />

stato separato dal surnatante per centrifugazione (3000 RPM per 15 min). Il solido è stato<br />

disperso alcune volte in acqua deionizzata e successivamente centrifugato per rimuovere<br />

gli ioni K + , OH - e NO3 - presenti. Questi ioni mantengono le particelle di ossido<br />

flocculate, favorendone la sedimentazione sul fondo; eliminandoli si ottiene la<br />

diminuzione della forza ionica ed il passaggio in sospensione della goethite. Per ottenere<br />

una ulteriore purificazione dell’ossido, la sospensione è stata sottoposta a dialisi in acqua<br />

deionizzata, usando delle membrane di cellulosa (SIGMA-ALDRICH) con porosità<br />

nominale di 12000 Da. L’acqua, mantenuta in agitazione, veniva cambiata più volte al<br />

giorno. Il procedimento è durato circa una settimana, fino a quando la conducibilità<br />

elettrica misurata nell’acqua di dialisi ha raggiunto valori inferiori a 4 μS/cm. La goethite<br />

è stata poi liofilizzata.<br />

2. Caratterizzazione della goethite<br />

La goethite è stata caratterizzata tramite diffrattometria a raggi X, dissoluzione selettiva e<br />

misura dell’area superficiale specifica tramite adsorbimento di N2.<br />

2.1. <strong>DI</strong>FFRATTOMETRIA A RAGGI X<br />

Per caratterizzare la goethite è stata fatta un’analisi diffrattometrica usando uno<br />

strumento Philips PW 1710. La lampada utilizzata emette una radiazione CoKα filtrata<br />

tramite Fe. E’ stata effettuata una scansione tra 5° e 80° 2θ, a passi di 5 secondi ogni<br />

60


0,05 gradi per un totale di 2 ore e 5 minuti. L’intensità e il voltaggio sono stati posti<br />

rispettivamente a 20 mA e 40 KV.<br />

Il diffrattogramma relativo all’ossido sintetizzato è riportato in figura 20.<br />

Il materiale ottenuto è cristallino, come si può vedere dalla presenza dei picchi<br />

caratteristici della goethite.<br />

angolo 2θ<br />

FIG. 20: Diffrattogramma a raggi X della goethite sintetizzata.<br />

Per controllare la purezza del materiale sintetizzato e per quantificare l’eventuale<br />

presenza di ossidi a scarso ordine cristallino è stata fatta una prova di estrazione del<br />

ferro in ossalato. A 10 mL di una soluzione di ossalato ottenuta sciogliendo 0,8055 g di<br />

(NH4)2C2O4 (ossalato d’ammonio) e 0,5460 g di H2C2O4 (acido ossalico) in 50 mL di<br />

acqua deionizzata, sono stati addizionati 0,500 g di goethite. La prova è stata eseguita in<br />

doppio. Dopo 2 ore di agitazione della sospensione al buio, i campioni sono stati<br />

centrifugati a 3000 RPM per 10 minuti. Il surnatante è stato decantato e filtrato (a 0.2<br />

μm), e diluito in proporzione 1:100 per determinare la concentrazione del Fe in<br />

soluzione tramite spettrometria di assorbimento atomico (A.A.S.). Lo ione ossalato,<br />

infatti, è capace di complessare il ferro contenuto negli ossidi a scarso ordine cristallino<br />

e di portare alla dissoluzione di questi minerali. In questo caso il valore medio misurato<br />

per il Fe era di 59,5 mg di ferro disciolto per ogni grammo di ossido. Questo dato indica<br />

la presenza, insieme alla goethite, di una certa quantità di ferridrite, corrispondente a<br />

circa il 5,9 % del materiale,capace di influenzare le proprietà dell’ossido di sintesi che<br />

sono di interesse nelle prove di adsorbimento.<br />

61


2.2. AREA SUPERFICIALE SPECIFICA<br />

La superficie specifica dell’ossido è stata ottenuta utilizzando uno strumento<br />

Sorptomatic 1900 Fison. Il dato è stato calcolato a partire dall’adsorbimento di N2<br />

misurato con il metodo di Brunauer, Hemmett e Teller (B.E.T.), che mette in relazione il<br />

volume di gas adsorbito su un materiale solido a formare un monostrato e la superficie<br />

stessa del solido adsorbente secondo l’equazione:<br />

p/V(p0-p) = 1/(Vm · C) + (C-1)/(Vm · C) · p/p0<br />

dove: V = volume di gas adsorbito alla pressione p<br />

Vm = volume necessario a ricoprire la superficie con un monostrato<br />

C è una costante legata al calore di adsorbimento<br />

Da una rappresentazione lineare di p/V(p0-p) in funzione di p/p0 è possibile ottenere il<br />

valore di Vm, e da questo la superficie specifica, se si conoscono le dimensioni occupate<br />

da ciascuna molecola di sostanza adsorbita ed il peso del campione di solido usato per la<br />

misura. L’area riportata per la molecola di azoto è di 16,2 Å 2 .<br />

Sulla base di considerazioni relative all’osservazione dei valori di area superficiale<br />

media dell’ossido di ferro di interesse, si è stimata la quantità idonea di campione<br />

necessario per la misura: 0,5 g di goethite sono stati introdotti nel bulbo della buretta di<br />

misura e sottoposti a degasamento sotto vuoto per 24 ore a 313 K prima<br />

dell’adsorbimento di N2.<br />

Il valore calcolato dallo strumento sulla base dell’equazione B.E.T. è 39,42 m 2 /g, e<br />

rientra nel campo dei normali valori di superficie specifica riportati per questo tipo di<br />

ossido (Schwertmann e Cornell, 1991).<br />

3. Isoterme di adsorbimento<br />

Le isoterme di adsorbimento di arseniato, arsenito e inositolo esafosfato sulla goethite<br />

sono state ottenute a pH 4.5, 6.5 e 8.5.<br />

La goethite è stata dispersa in KCl 0.05 M in modo tale da ottenere delle sospensioni di<br />

densità 6 mg/L. Ciascuna sospensione è stata portata al pH desiderato utilizzando alcune<br />

gocce di HCl e KOH a varie concentrazioni, ed è stata lasciata in agitazione per 24 ore,<br />

ricontrollando il pH alcune volte prima di portare a volume. Per diluizione di soluzioni<br />

madre a 10000 mg/L, ottenute a partire dai sali di sodio e potassio NaAsO2, Na2HAsO4 ·<br />

62


7H2O e C6H16K2O24P6, sono state preparate le soluzioni di As(III), As(V) e IHP alla<br />

concentrazione di 1000 mg/L (corrispondente a 13.35 mmol/L per l’arsenico e 32.28<br />

mmol/L per il fosforo) e ai pH indicati, anche queste in KCl 0.05 M. Le concentrazioni<br />

indicate per l’IHP si riferiscono sempre alle moli di fosforo presenti in soluzione, e non a<br />

quelle del composto organico.<br />

I campioni sono stati preparati aggiungendo a 5 mL di sospensione, mantenuta<br />

costantemente in agitazione, delle quantità di soluzione tali da ottenere nel volume finale<br />

di 10 mL concentrazioni crescenti, comprese tra 1 e 150 mg/L, di arsenito, arseniato e<br />

inositolo esafosfato. Le sospensioni sono state messe in agitazione per 24 ore. Quindi i<br />

campioni sono stati centrifugati a 3000 RPM per 10 minuti, e il surnatante decantato e<br />

conservato per la misura delle concentrazioni di specie anionica rimaste in soluzione (si<br />

veda il Par. 5 di questo capitolo).<br />

4. Prove di competizione<br />

La competizione tra le specie inorganiche dell’arsenico ed il fosforo organico è stata<br />

studiata sulla base di due diversi aspetti.<br />

Inizialmente l’attenzione è stata rivolta all’influenza del pH e all’ordine di aggiunta <strong>degli</strong><br />

adsorbati (possibilità di diverse combinazioni), eseguendo delle prove di adsorbimentodesorbimento<br />

a tre pH differenti (4.5, 6.5, 8.5) in cui il tempo di contatto tra i soluti e la<br />

goethite per ciascun passaggio era fissato, in ogni caso, a 24 ore. In un secondo momento<br />

è stata effettuata un’altra serie di prove il cui scopo era quello di osservare, per gli stessi<br />

pH, l’effetto del tempo di interazione delle due specie di As con la goethite sulla quantità<br />

di As scambiabile da parte dell’IHP e sulla competizione tra As e IHP aggiunti alla<br />

goethite contemporaneamente.<br />

4.1. EFFETTO DEL pH E DELL’OR<strong>DI</strong>NE <strong>DI</strong> AGGIUNTA <strong>DEGLI</strong><br />

ANIONI<br />

In queste prime prove sono state utilizzate varie modalità di aggiunta dei singoli anioni,<br />

esaminando sei casi diversi:<br />

1) saturazione con IHP + successiva aggiunta di As(III)<br />

2) saturazione con IHP + successiva aggiunta di As(V)<br />

3) saturazione con As(III) + successiva aggiunta di IHP<br />

4) saturazione con As(V) + successiva aggiunta di IHP<br />

63


5) aggiunta contemporanea di concentrazioni saturanti di IHP e As(III)<br />

6) aggiunta contemporanea di concentrazioni saturanti di IHP e As(V).<br />

Le analisi sono state eseguite ai tre valori di pH già usati per le isoterme di<br />

adsorbimento: 4.5, 6.5, 8.5. La goethite è stata equilibrata in KCl 0.05 M ai pH voluti,<br />

utilizzando HCl e KOH, con una densità della sospensione di 8 mg/mL. La sospensione<br />

è stata mantenuta in agitazione per 24 ore, ricontrollando e riaggiustando il pH<br />

periodicamente.<br />

Dalle soluzioni di As(III), As(V) e IHP a 10000 mg/L sono state preparate delle<br />

diluizioni in KCl 0.05 M a 160 mg/L, corrispondenti a 2.14 mmol/L per l’arsenico e a<br />

5.17 mmol/L per il fosforo, equilibrate ai tre pH voluti, per ottenere, nei tubi usati per<br />

l’esperimento, una concentrazione iniziale C0 di analita di 100 mg/L (1.33 e 3.23<br />

mmol/L rispettivamente per i due elementi). Questo valore è stato scelto in base ai<br />

risultati delle isoterme di adsorbimento in modo tale da saturare la superficie adsorbente<br />

dell’ossido. Si è scelto un valore che fosse il più possibile prossimo alle Qamax ottenute<br />

per ciascuna specie ai pH più favorevoli all’adsorbimento (4.5 per As(V) e IHP e 8.5 per<br />

As(III)).<br />

I campioni sono stati preparati introducendo in tubi da centrifuga 7,5 mL di sospensione<br />

prelevata sotto agitazione e 12,5 mL di soluzione a 160 mg/L di arsenito, arseniato o<br />

inositolo esafosfato allo stesso pH, raggiungendo un volume finale di 20 mL. I tubi<br />

utilizzati per le prove sono stati preventivamente pesati (con tappo). I campioni sono<br />

stati posti ad agitare per 24 ore su agitatore rotante e quindi centrifugati a 18000 RPM<br />

per 15 minuti. Il surnatante è stato conservato per le misure colorimetriche dell’arsenico<br />

e del fosfato e i tubi sono stati nuovamente pesati. A questo punto sono stati aggiunti 10<br />

mL di KCl 0.05 M ad ogni campione per lavare il solido dalla soluzione di As o di IHP<br />

in eccesso, e i campioni sono stati messi in agitazione per un’ora per ridisperdere la<br />

goethite. L’adsorbimento specifico di anioni causa una variazione sensibile del pH<br />

(Raven et al., 1998; Celi et al., 1999), pertanto è stato necessario riportare il suo valore a<br />

quello di partenza, affinché il secondo passaggio di adsorbimento, che coinvolge il<br />

competitore, avvenisse nelle stesse condizioni del primo, ripesando poi i tubi per<br />

valutare l’esatto volume del surnatante di lavaggio, dopodiché i campioni sono stati<br />

centrifugati una seconda volta con le stesse modalità ed il KCl decantato e conservato<br />

per la determinazione <strong>degli</strong> anioni riportati in soluzione. Pesati nuovamente i tubi, in<br />

ciascuno di essi sono stati pipettati 12,5 mL delle soluzioni di As(III), As(V) o IHP a<br />

160 mg/L come competitori e 6 mL di KCl 0.05 M, per ottenere un volume totale di<br />

64


circa 20 mL. I campioni sono stati poi messi ad agitare per 24 ore, centrifugati (18000<br />

RPM per 15 min) ed il surnatante è stato decantato e conservato per le misure<br />

colorimetriche.<br />

Tutti i surnatanti raccolti (36 per ogni valore di pH) sono stati utilizzati per la<br />

determinazione delle concentrazioni di As(III), As(V) e P tramite spettrofotometria Uv-<br />

Vis., con le stesse procedure descritte per le isoterme di adsorbimento (si veda il Par. 5<br />

di questo capitolo). A causa della dispersione indotta dall’IHP sul sistema in esame, i<br />

surnatanti che lo contenevano sono stati filtrati prima di essere sottoposti all’analisi<br />

colorimetrica del fosforo, per eliminare le microparticelle di goethite eventualmente<br />

rimaste in sospensione.<br />

Tutte le prove sono state effettuate in doppio.<br />

La procedura sperimentale si differenzia per i casi 5 e 6, che prevedevano l’aggiunta<br />

contemporanea di arsenito (o arseniato) e IHP. Per avere una effettiva aggiunta<br />

contemporanea di soluzioni saturanti di As e IHP escludendo effetti preferenziali non<br />

facilmente valutabili, sono state preparate delle soluzioni miste in cui l’As e il P<br />

organico erano presenti in uguale concentrazione, sempre ai tre diversi pH e in KCl 0.05<br />

M. La preparazione dei campioni e la procedura di adsorbimento è stata identica a quella<br />

già descritta per le tesi 1, 2, 3 e 4. In questo caso però, dopo aver eseguito la seconda<br />

centrifugazione e raccolto il surnatante del passaggio di lavaggio per l’analisi del<br />

desorbimento, su questi campioni non è stata fatta nessuna ulteriore operazione.<br />

4.2. EFFETTO DEL TEMPO <strong>DI</strong> CONTATTO TRA ADSORBENTE ED<br />

ADSORBATO<br />

Poiché il tempo di contatto tra adsorbente ed adsorbato può influenzare la successiva<br />

reazione di desorbimento, per esaminare l’effetto di questa variabile sono state condotte<br />

delle prove scegliendo tempi di contatto crescenti tra As(III), As(V) ed IHP con la<br />

goethite: 1 ora, 7 giorni, 14 giorni, 30 giorni. Infatti, al crescere del tempo di contatto<br />

può aumentare la quantità di ione adsorbita e può diminuire la reversibilità della<br />

reazione.<br />

In base ai risultati ottenuti dagli esperimenti condotti a 24 ore sono state studiate quattro<br />

delle precedenti sei tesi:<br />

3) saturazione con As(III) + successiva aggiunta di IHP<br />

4) saturazione con As(V) + successiva aggiunta di IHP<br />

65


5) aggiunta contemporanea di concentrazioni saturanti di IHP e As(III)<br />

6) aggiunta contemporanea di concentrazioni saturanti di IHP e As(V),<br />

escludendo quelle nelle quali la superficie della goethite veniva saturata con IHP per poi<br />

essere sottoposta alla competizione da parte <strong>degli</strong> anioni arsenito o arseniato.<br />

Anche in questo caso le analisi sono state eseguite ai tre valori di pH (4.5, 6.5, 8.5) già<br />

usati per le isoterme e per le prove di competizione precedenti adottando un<br />

procedimento del tutto analogo a quello descritto per gli esperimenti a 24 ore.<br />

Tutti i surnatanti raccolti sono stati utilizzati per la determinazione delle concentrazioni<br />

di As(III), As(V) e P tramite spettrofotometria Uv-Vis., come descritto nel Par. 5.<br />

4.3. EFFETTO SULLA CARICA SUPERFICIALE<br />

L’effetto del tempo sui processi di adsorbimento-desorbimento è stato studiato anche<br />

tramite la determinazione della carica superficiale della goethite. Tale parametro può<br />

dare alcune informazioni importanti per differenziare il comportamento delle due specie<br />

di As in questo tipo di reazioni.<br />

Al termine dell’adsorbimento a tempi di contatto diversi (1 ora, 7 giorni, 14 giorni o 30<br />

giorni di agitazione), da ciascun campione è stata prelevata una quantità di sospensione<br />

saturata con arsenico di 50 μL. Ad essa è stata aggiunta una quantità di 5 mL dei<br />

surnatanti raccolti per decantazione dopo aver centrifugato i campioni. Sulle sospensioni<br />

così ottenute è stato determinato il potenziale zeta con l’analizzatore elettroforetico<br />

Coulter DELSA descritto nel Cap.II Par. 2.4., iniettando una aliquota di tali sospensioni<br />

nella cella di misura (Prati, 2002).<br />

5. Determinazione dell’Arsenico e del Fosforo<br />

Per la determinazione dell’arsenico si è utilizzata una reazione colorimetrica che sfrutta la<br />

formazione di un complesso As-molibdato (metodo di Huang e Fuji, 1996).<br />

Lo stesso metodo è stato utilizzato per tutte le prove.<br />

Il reattivo colorimetrico (R.B) è preparato sciogliendo 11 g/L di acido ascorbico<br />

(C6H8O6) in una soluzione precedentemente preparata (R.A.), composta da molibdato di<br />

ammonio [(NH4)6Mo7O24 · 4H2O] 6 g/L e antimoniltartrato di potassio 0.136 g/L in<br />

H2SO4 2.5 N. Mentre la soluzione R.A. è stabile e può essere conservata per alcuni mesi,<br />

il reattivo colorimetrico R.B. deve essere preparato al momento dell’uso e non si può<br />

conservare per più di 12 ore. L’As(III) non forma complessi colorati, e deve essere<br />

ossidato ad As(V) per poter essere determinato con questo metodo. L’ossidante utilizzato<br />

66


è una soluzione di Iodio-ioduro 0.02 M, preparata sciogliendo I2 e KI in acqua<br />

deionizzata e diluita in proporzione 1:10 al momento della misura.<br />

Ad un opportuno volume di campione sono stati aggiunti 0,2 mL di reattivo R.B, 0,2 mL<br />

di reagente ossidante diluito o di H2O a seconda che la forma presente fosse tri- o<br />

pentavalente, e acqua fino ad un volume finale di 2,5 mL. Dopo un tempo di 90 minuti è<br />

stata effettuata la misura dell’assorbanza dei campioni così preparati tramite<br />

spettrofotometro Uv–Vis alla lunghezza d’onda di 880 nm, scelta in base ad una<br />

scansione dell’assorbanza in funzione della lunghezza d’onda del complesso Asmolibdico.<br />

Anche per l’analisi del fosforo organico si utilizza una reazione colorimetrica, ma è<br />

necessario effettuare un passaggio preliminare di mineralizzazione dell’inositol fosfato<br />

(Martin et al., 1999). I gruppi fosfato legati al nucleo di inositolo non danno infatti alcun<br />

complesso colorato. I surnatanti devono perciò essere sottoposti ad una digestione acida<br />

per liberare in soluzione il P come ortofosfato, a cui la reazione colorimetrica utilizzata è<br />

sensibile.<br />

Un opportuno volume di surnatante filtrato a 0.45 μm (scelto in base a prove preliminari<br />

in modo da avere dei dati di assorbanza che ricadano all’intervallo di linearità del<br />

metodo) è stato posto in matracci da 10 mL e portato a secco ad una temperatura di 373 K<br />

per un tempo di circa 24 ore. I campioni essiccati sono stati ripresi con H2SO4 e HClO4<br />

concentrati, e scaldati su una piastra a 473 K, proseguendo il trattamento fino a completo<br />

sviluppo dei densi fumi bianchi formatisi e a totale scomparsa della colorazione gialla,<br />

che a tale temperatura compare dopo pochi istanti. Quando i campioni sono ritornati ad<br />

essere trasparenti, i matracci sono stati lasciati raffreddare, e portati a volume con acqua<br />

deionizzata. Su queste soluzioni acide è stata eseguita la misura colorimetrica, utilizzando<br />

un reattivo (R1) preparato sul momento e contenente 14.4 g/L di ammonio molibdato e<br />

0.5 g/L di antimoniltartrato di potassio. Ad 1 mL di ciascun campione acido sono stati<br />

aggiunti 0,2 mL di H2SO4 2.5 N, 0.5 mL di R1, 0.5 mL di acido ascorbico 16 g/L e acqua<br />

a complemento per avere un volume finale di 10 mL. Dopo un tempo di 90 minuti è stata<br />

fatta la determinazione dell’assorbanza tramite spettrofotometria Uv-Vis, ad una<br />

lunghezza d’onda di 880 nm, che garantisce una buona sensibilità anche per il fosforo.<br />

I dati ottenuti per i campioni contenenti P da IHP sono stati modificati, sottraendo il<br />

contributo all’assorbanza dato dall’As presente contemporaneamente nei surnatanti, che è<br />

sensibile ad entrambi i reagenti colorimetrici usati. Questo valore è stato calcolato a<br />

partire dal dato di concentrazione ottenuto sperimentalmente di volta in volta per l’As,<br />

67


utilizzando delle rette di taratura ottenute da prove precedenti in cui le due specie di<br />

arsenico sono state sottoposte allo stesso trattamento di digestione acida subito dal<br />

fosforo organico ed allo stesso tipo di reazione colorimetrica.<br />

La quantità <strong>degli</strong> anioni adsorbiti, Qa, è stata calcolata dalla differenza tra la<br />

concentrazione iniziale, corrispondente a quella delle soluzioni preparate, e quella<br />

all’equilibrio, corrispondente alla sostanza rimasta in soluzione. L’espressione usata è la<br />

seguente:<br />

Qa = 10 -3 · [(C0-Ce) · V] / (m · SSO · P.M.)<br />

dove: C0 = concentrazione iniziale dell’anione in mg/L<br />

Ce = concentrazione all’equilibrio in mg/L<br />

V = volume della soluzione in L<br />

m = massa dell’adsorbente (goethite) in g<br />

SSO = superficie specifica dell’ossido in m 2 /g<br />

P.M. = peso molecolare della specie adsorbita in g/mol<br />

Qa è quindi espressa in μmol/m 2 .<br />

6. Determinazione del ferro in soluzione<br />

Sui surnatanti ottenuti dopo le prove di adsorbimento, lavaggio in KCl e competizione è<br />

stato determinato per spettrometria di assorbimento atomico il contenuto di Fe disperso<br />

(surnatante non filtrato) nonché di Fe solubile o sotto forma di particolato molto fine<br />

(surnatante filtrato a 0.45 μm) per valutare l’eventuale effetto disperdente o dissolvente<br />

dell’IHP sulla goethite.<br />

7. Determinazione della carica superficiale<br />

Al fine di studiare le variazioni della carica superficiale della goethite indotte<br />

dall’adsorbimento <strong>degli</strong> anioni arsenito, arseniato e inositolo esafosfato, è stato<br />

necessario determinare questo parametro per l’ossido puro, da usare come valore di<br />

confronto.<br />

La determinazione della carica superficiale della goethite è stata eseguita in<br />

corrispondenza di tre valori di pH, gli stessi scelti per le prove di competizione.<br />

Una certa quantità di ossido è stata dispersa in KCl 0.01 M per 24 ore, al fine di ottenere<br />

una sospensione di densità 8 mg/mL. Aliquote di 3,75 mL della sospensione sono state<br />

68


addizionate con altri 3,75 mL di KCl 0.01 M ed equilibrate a pH 4.5, 6.5 e 8.5 con alcune<br />

gocce di HCl e KOH a varie concentrazioni. I campioni, preparati in doppio, sono stati<br />

posti su agitatore rotante per 24 ore. Successivamente, dopo aver ricontrollato il pH e<br />

portato ad un volume finale di 10 mL, è stato fatto un prelievo di 50 μL di sospensione da<br />

ciascun campione. Le sospensioni sono state centrifugate a 3000 giri per 15 minuti e<br />

filtrate a 0.2 μm, e 5 mL di surnatante così ottenuto sono stati aggiunti alle rispettive<br />

quantità prelevate precedentemente. Dopo un breve tempo di agitazione uguale per tutti, i<br />

campioni preparati secondo questa procedura sono stati analizzati per determinare la<br />

carica superficiale, utilizzando l’analizzatore elettroforetico Coulter D.E.L.S.A. 440 (si<br />

veda l’Appendice I, Par. 2.4. del Cap.II).<br />

I valori più adeguati per la densità della sospensione e per i parametri sperimentali sono<br />

stati messi a punto mediante prove preliminari, che hanno consentito di ottimizzare la<br />

procedura analitica.<br />

In tabella 4 sono riportati i parametri strumentali utilizzati per tutte le misure. Gli stessi<br />

valori sono stati impostati per l’analisi dei campioni e dello standard di mobilità, che<br />

precede ogni misura e consente di verificare il buon funzionamento dello strumento.<br />

CORRENTE: 0.700 mA TEMPO <strong>DI</strong> MISURAZIONE: 60 sec.<br />

TEMPO <strong>DI</strong> ATTIVAZIONE DEL CAMPO: 2.5 sec POSIZIONE DELLA CELLA: 16 μm<br />

TEMPO <strong>DI</strong> <strong>DI</strong>SATTIVAZIONE DEL CAMPO: 0.5 sec. FREQUENZA: 500 Hz<br />

TAB. 4: Parametri strumentali dell’analizzatore elettroforetico Coulter D.E.L.S.A. 440<br />

utilizzati per la misura del punto di carica zero.<br />

69


Capitolo IV<br />

RISULTATI E <strong>DI</strong>SCUSSIONE<br />

1. Isoterme di adsorbimento<br />

Le isoterme di adsorbimento su goethite per arsenito, arseniato e inositolo esafosfato a<br />

pH 4.5, 6.5 e 8.5 sono presentate in figura 21, 22, 23. Tutte le curve sono state descritte<br />

con il modello di Langmuir (R 2 > 0.98), e questo ha permesso di ricavare un valore di<br />

massimo adsorbimento per ciascuna specie in corrispondenza di ogni valore di pH<br />

considerato, nonché di stimare l’affinità di ciascun anione nei confronti della goethite.<br />

In tabella 5 sono riportati i parametri del modello di Langmuir (Qamax, K) ottenuti per i<br />

tre anioni ai tre pH, insieme al valore del coefficiente di determinazione R 2 .<br />

TAB. 5: Coefficienti di Langmuir delle isoterme di adsorbimento di As(III), As(V) e<br />

IHP su goethite a pH 4.5, 6.5 e 8.5..<br />

pH specie<br />

Qamax<br />

(μmol/g)<br />

Qamax<br />

(μmol/m 2 )<br />

K (L/mol) R 2<br />

4,5 As(III) 79,0 2,01 3,12 · 10 5<br />

As(V) 106,4 2,70 2,73 · 10 5<br />

IHP 254,0 6,44 2,56 · 10 4<br />

6,5 As(III) 121,3 3,08 1,39 · 10 5<br />

As(V) 95,4 2,42 1,17 · 10 5<br />

IHP 251,4 6,38 1,18 · 10 4<br />

8,5 As(III) 160,7 4,08 2,57 · 10 4<br />

As(V) 56,6 1,44 1,86 · 10 5<br />

IHP 138,7 3,52 7,64 · 10 4<br />

0,983<br />

0,999<br />

0,996<br />

0,996<br />

0,996<br />

0,985<br />

0,993<br />

0,998<br />

0,999<br />

70


• Adsorbimento di arsenito<br />

L’adsorbimento di As(III) (fig. 21 a,b,c), come atteso, cresce al crescere del pH, con<br />

valori di quantità massima adsorbita (Qamax), espressi sia per unità di massa (μmol/g),<br />

che di superficie (μmol/m 2 ), che aumentano progressivamente passando dalla<br />

sospensione a pH più acido a quella a pH basico (tab. 5). A pH 8.5 la Qamax è doppia<br />

rispetto a quella ottenuta a pH 4.5 passando da 2.0 a 4.0 μmol di As/m 2 di goethite.<br />

Tali valori concordano con quelli della letteratura (Dixit e Hering, 2003), benché<br />

parametri pubblicati di Qamax per l’adsorbimento di arsenito non siano molto comuni.<br />

L’andamento crescente all’aumentare del pH è invece ampiamente descritto dai<br />

numerosi esperimenti di adsorbimento in funzione del pH disponibili in bibliografia<br />

(Raven et al., 1998; Goldberg e Johnston, 2001; Dixit e Hering, 2003), che riportano<br />

un pH ottimale per l’adsorbimento dell’arsenito su ossidi di Fe e di Al a pH compresi<br />

tra 7 e 9. L’acido arsenioso è infatti presente prevalentemente come molecola neutra<br />

indissociata a pH inferiori al pKa1 che è pari a 9.2 e suo adsorbimento è nettamente<br />

sfavorito rispetto alla specie anionica dissociata (Hingston et al., 1972).<br />

L’adsorbimento di arsenico tende ad aumentare con la concentrazione della specie<br />

anionica finché, a pH superiori rispetto al punto di carica zero dell’ossido, la<br />

repulsione elettrostatica comincerà a contrastare l’avvicinamento <strong>degli</strong> anioni ai siti<br />

adsorbenti delle superfici.<br />

L’arsenito mostra una notevole affinità per la superficie della goethite. Le isoterme<br />

(fig. 21 a,b,c) hanno un andamento che si approssima a quello di curve di tipo H,<br />

tipiche di sistemi con elevata affinità tra l’adsorbato e le superfici adsorbenti (Sparks,<br />

1995). A basse concentrazioni iniziali (punti che corrispondono a C0 < 0.27 µmol/mL),<br />

l’anione è pressoché completamente sottratto dalla soluzione a tutti e tre i valori di pH<br />

in studio. Successivamente, con la progressiva saturazione dei siti di adsorbimento, il<br />

rapporto Qa/Ce diminuisce, finché la quantità adsorbita tende asintoticamente a un<br />

valore costante. L’andamento è piuttosto simile per le curve ai pH 6.5 e 8.5 (fig. 21<br />

b,c) che coincidono nella parte iniziale, mentre l’isoterma a pH 4.5 (fig. 21a) mostra<br />

un incremento repentino del valore di Qa in corrispondenza di concentrazioni iniziali<br />

di arsenico aggiunto superiori a 0.53 μmol/mL. Questo potrebbe essere dovuto<br />

all’instaurarsi di un meccanismo di precipitazione di composti di arsenico sulla<br />

superficie delle particelle. Tale possibilità esiste per valori elevati di concentrazione<br />

della specie di interesse in soluzione e quindi al crescere del ricoprimento superficiale<br />

ed è indicata dalla presenza di una discontinuità nell’aumento della quantità adsorbita.<br />

71


Spesso è comunque difficile stabilire la linea di demarcazione tra i meccanismi di<br />

adsorbimento e di precipitazione di superficie al crescere della concentrazione<br />

dell’adsorbato (Sparks, 2003; Violante e Pigna, 2002). Data l’assenza di altri cationi<br />

in soluzione che possano dare sali insolubili di As, il precipitato potrebbe essere<br />

dovuto alla formazione di sali di ferro e arsenico, favorita a pH acidi dove, inoltre, la<br />

concentrazione di Fe 3+ in soluzione è maggiore. I dati delle isoterme di adsorbimento<br />

dell’arsenito a pH 4.5 sono stati utilizzati per il calcolo dei parametri di Langmuir<br />

soltanto fino a una concentrazione di As inizialmente aggiunta pari a 0.40 μmol/mL,<br />

dove non era ancora evidenziata alcuna precipitazione (fig. 21a).<br />

Le costanti di Langmuir trovate per l’arsenito sono decrescenti con il pH: K = 1,62 ·<br />

10 5 a pH 4.5; K = 1,39 · 10 5 a pH 6.5; K = 2,57 · 10 4 a pH 8.5. La proporzionalità della<br />

K con la Qamax è quindi inversa. Questo potrebbe essere spiegato dalla presenza di siti<br />

sulla goethite a diversa affinità per l’arsenito. A pH acidi, quando l’adsorbimento è<br />

limitato dalla scarsa presenza della specie anionica rispetto alla molecola indissociata,<br />

si potrebbe ipotizzare l’occupazione dei soli siti aventi maggiore affinità, mentre a pH<br />

più prossimi al pKa1 dell’acido, anche l’occupazione dei siti meno affini potrebbe<br />

essere possibile. Inoltre, benché da studi di spettroscopia EXAFS l’arsenito risulti<br />

essere adsorbito in modo specifico sugli ossidi di Fe principalmente come complesso<br />

binucleare bidentato (Manning et al., 1998), è possibile la contemporanea formazione<br />

di una certa quota di adsorbimento aspecifico di tipo “outer-sphere” la cui incidenza<br />

cresce al crescere del pH (Sverjensky e Fukushi, 2006). Questo spiegherebbe anche il<br />

superamento, da parte dell’arsenito, di una copertura della superficie della goethite<br />

pari a 2.5 μmol/m 2 , che è il valore massimo compatibile con la formazione di<br />

complessi binucleari bidentati con gli ossidrili reattivi della superficie dell’ossido,<br />

tipicamente presenti in quantità pari a 5 μmol/m 2 .<br />

72


Qa (μmol/m 2 )<br />

Qa (μmol/m 2 )<br />

Qa (μmol/m 2 )<br />

4.5<br />

4<br />

3.5<br />

3<br />

2.5<br />

2<br />

1.5<br />

1<br />

0.5<br />

0<br />

4.5<br />

4<br />

3.5<br />

3<br />

2.5<br />

2<br />

1.5<br />

1<br />

0.5<br />

0<br />

4.5<br />

4<br />

3.5<br />

3<br />

2.5<br />

2<br />

1.5<br />

1<br />

0.5<br />

0<br />

As(III) su Gt pH 4,5<br />

0 0.05 0.1 0.15 0.2 0.25 0.3 0.35<br />

Ce (μmol/mL)<br />

As(III) su Gt pH 6.5<br />

(a)<br />

0 0.05 0.1 0.15 0.2 0.25 0.3 0.35<br />

Ce (μmol/mL)<br />

As(III) su Gt pH 8,5<br />

0 0.5 1 1.5<br />

Ce (μmol/mL)<br />

FIG. 21: Isoterme di adsorbimento di As(III) su goethite a pH 4.5 (a) ; 6.5 (b) e 8.5 (c).<br />

(b)<br />

(c)<br />

2<br />

73


• Adsorbimento di arseniato<br />

Per l’As(V) il valore di Qamax (tab. 5) diminuisce, come atteso, in modo netto passando<br />

da condizioni di pH acido a condizioni basiche. Osservando le curve (fig. 22 a,b,c) si<br />

nota che le isoterme relative ai pH 4.5 e 6.5 sono piuttosto simili, con valori di Qamax<br />

(tab. 5) che si discostano di poco (il Qamax a pH 6.5 è il 90% di quello a pH 4.5),<br />

mentre la quantità adsorbita a pH 8.5 risulta solo il 53 % di quella adsorbita a pH 4.5.<br />

Ciò è conforme a quanto riportato in letteratura (Goldberg e Johnston, 2001; Dixit e<br />

Hering, 2003; Antelo et al., 2005). Per l’arseniato si osserva un massimo di<br />

adsorbimento a pH acidi e sub-acidi, a cui segue una brusca diminuzione al di sopra<br />

del pKa2 dell’acido (pH 6.8) ed ulteriormente accentuata oltre il PZC dell’ossido.<br />

Anche in questo caso nella parte iniziale delle curve, corrispondente a C0 < 0.20<br />

μmol/mL, l’arseniato è pressoché totalmente adsorbito sulla goethite e l’elevata<br />

affinità per l’ossido di ferro utilizzato è confermata dai valori elevati della costante di<br />

Langmuir (tab. 5). Con la progressiva saturazione dei siti adsorbenti si raggiunge un<br />

plateau più definito rispetto a quello dell’arsenito per tutti e tre i valori di pH. Le<br />

quantità di As(V) complessivamente adsorbite dalla goethite risultano inferiori a<br />

quelle di As(III) a pH alcalino e sub-acido, mentre risultano superiori a pH acido<br />

(Dixit e Hering, 2003), anche se i valori di pH in cui le curve di adsorbimento<br />

dell’arseniato incrociano quelle dell’arsenito variano con la natura dell’adsorbente e<br />

con la composizione e la forza ionica della soluzione (Goldberg e Johnston, 2001;<br />

Dixit e Hering, 2003). L’influenza del pH sulla massima quantità adsorbita risulta<br />

lievemente maggiore per l’As(III) rispetto all’As(V): il rapporto Qamax a pH 8.5/ Qamax<br />

a pH 4.5 è uguale a 2,0 per l’arsenito e l’inverso è uguale a 1,9 per l’arseniato.<br />

Per l’adsorbimento di arseniato le costanti di Langmuir non hanno un andamento<br />

definito in funzione del pH e non si nota una realzione con i valori di Qamax.<br />

Contrariamente a quanto osservato in altri lavori (e.g. Martin et al., comunicazione<br />

personale), la costante di Langmuir ottenuta per l’arseniato è sempre minore di quella<br />

ottenuta per l’arsenito, tranne che per la curva a pH 8.5 in cui si era ipotizzata la<br />

formazione di una parziale componente di adsorbimento non specifico per l’arsenito.<br />

74


Qa (μmol/m 2 )<br />

Qa (μmol/m 2 )<br />

Qa (μmol/m 2 )<br />

3<br />

2.5<br />

2<br />

1.5<br />

1<br />

0.5<br />

0<br />

3<br />

2.5<br />

2<br />

1.5<br />

1<br />

0.5<br />

0<br />

3<br />

2.5<br />

2<br />

1.5<br />

1<br />

0.5<br />

0<br />

As(V) su Gt pH 4.5<br />

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 1.2<br />

Ce (μmol/mL)<br />

As(V) su Gt pH 6.5<br />

(a)<br />

0 0.1 0.2 0.3 0.4 0.5<br />

Ce (μmol/mL)<br />

As(V) su Gt pH 8,5<br />

(b)<br />

0 0.1 0.2 0.3 0.4 0.5 0.6<br />

Ce (μmol/mL)<br />

FIG. 22: Isoterme di adsorbimento di As(V) su goethite a pH 4.5 (a) ; 6.5 (b) e 8.5 (c).<br />

(c)<br />

75


• Adsorbimento di IHP<br />

L’adsorbimento dell’IHP diminuisce all’aumentare del pH (fig. 23 a,b,c), come atteso<br />

(Celi et al., 2001). Analogamente a quanto osservato per l’As(V), i valori di Qamax<br />

(tab. 5) indicano una diminuzione dell’adsorbimento del 55% circa passando da pH<br />

4.5 a pH 8.5, con valori per pH 4.5 e 6.5 che si discostano molto poco. Tutte le<br />

isoterme mostrano un primo tratto in cui l’adsorbimento dell’anione è quasi completo,<br />

indicando quindi una grande affinità per la superficie della goethite a basse<br />

concentrazioni di soluto. Successivamente, il rapporto Qa/Ce diminuisce e la quantità<br />

di IHP adsorbito tende a rimanere costante anche se il plateau non è sempre ben<br />

definito, in particolare a pH 4.5 e 6.5. Esiste quindi una similitudine di comportamento<br />

tra l’IHP e l’As(V), così come tra l’IHP e il fosfato inorganico (Celi et al., 1999 e<br />

2001) e tra l’arseniato e il fosfato inorganico (Smith et al., 1998; Bissen e Frimmel,<br />

2003). I valori di Qamax (espressi come fosfato) sia per unità di massa (μmol/g) che di<br />

superficie (μmol/m 2 ) trovati in questo studio sono maggiori rispetto a quelli attesi per<br />

la goethite. Celi et al., (1999 e 2001) riportano infatti valori di fosfato da IHP adsorbiti<br />

su goethite di 3.8 – 4.5 μmol/m 2 a pH 4.5 contro le 6.4 μmol/m 2 ottenute nel presente<br />

studio. Il valore di 3.8 μmol/m 2 corrisponderebbe ad un adsorbimento dell’IHP con<br />

quattro dei sei gruppi ortofosfato legati alla superficie della goethite e gli altri due<br />

liberi e rivolti verso la soluzione (Celi et al., 1999). Nel caso di adsorbimento di IHP<br />

su di un ossido di ferro a scarso ordine cristallino come la ferridrite pura o precipitata<br />

sulle superfici della caolinite, i valori riportati arrivano a circa 13 μmol/m 2 ,<br />

probabilmente in seguito a una maggiore densità di siti disponibili e/o a un loro<br />

diverso arrangiamento che consente alla ingombrante molecola dell’inositolo di legarsi<br />

con un numero minore di funzioni fosfatiche, due o una sola, mentre le altre<br />

rimangono libere, ma sono comunque sottratte dalla soluzione (Celi et al., 2003). La<br />

goethite utilizzata nel presente lavoro contiene effettivamente il 5.9 % di ossido a<br />

scarso ordine cristallino estraibile in ossalato (si veda il Par. 2.1. del Cap. III)<br />

probabilmente depositatosi sui cristalli di goethite in modo tale da modificarne in parte<br />

la reattività nei confronti dell’IHP, aumentando la quantità di fosfato da IHP adsorbita<br />

per unità di superficie. Dal momento che solo una parte dei sei gruppi fosfatici si lega<br />

effettivamente alla superficie della goethite, l’adsorbimento per unità di superficie di<br />

un numero di moli di P da IHP maggiore rispetto a quello delle due specie di arsenico,<br />

corrisponde a quanto riportato per il confronto dell’adsorbimento di P da IHP e di P<br />

inorganico (Celi et al., 1999, 2001, 2003).<br />

76


Qa (μmol/m 2 )<br />

Qa (μmol/m 2 )<br />

Qa (μmol/m 2 )<br />

7<br />

6<br />

5<br />

4<br />

3<br />

2<br />

1<br />

0<br />

7<br />

6<br />

5<br />

4<br />

3<br />

2<br />

1<br />

0<br />

7<br />

6<br />

5<br />

4<br />

3<br />

2<br />

1<br />

0<br />

IHP su Gt pH 4,5<br />

0 1 2 3 4 5<br />

Ce (μmol/mL)<br />

IHP su Gt pH 6,5<br />

(a)<br />

0 0.5 1 1.5 2 2.5 3<br />

Ce (μmol/L)<br />

IHP su Gt pH 8,5<br />

(b)<br />

0 0.5 1 1.5 2 2.5 3<br />

Ce (μmol/mL)<br />

FIG. 23: Isoterme di adsorbimento di P da IHP su goethite a pH 4.5 (a); 6.5 (b) e 8.5 (c).<br />

(c)<br />

77


Solo a pH 8.5 la Qamax registrata per l’As(III) è maggiore rispetto a quella ottenuta per<br />

il P da IHP e ciò si spiega con il diverso effetto del pH sull’adsorbimento di As(III)<br />

rispetto a IHP e As(V).<br />

I valori trovati per la costante di Langmuir sono simili a quelli riportati in letteratura e<br />

sono più bassi a pH 8.5 (Presta et al., 2000), anche se, come è stato già notato per<br />

l’As(V), la variazione non è continua in funzione del pH. I valori ottenuti sono più<br />

bassi rispetto a quelli ottenuti per l’arseniato e, tranne che a pH 8.5, anche per<br />

l’arsenito, mentre precedenti lavori indicavano valori di K maggiori per il P da IHP<br />

rispetto al P inorganico su goethite (Celi et al., 1999), benché ciò non si verifichi per<br />

tutti i substrati adsorbenti (Celi et al., 2003). I bassi valori di K, così come la maggior<br />

quantità adsorbita rispetto ai dati riportati per la goethite, potrebbero essere spiegati da<br />

un minor numero di legami tra la molecola di inositoloesafosfato e la superficie della<br />

goethite, forse in parte ricoperta da ossido di Fe a scarso ordine cristallino.<br />

Confrontando le tre specie anioniche tra loro in corrispondenza di ciascun pH, in sintesi,<br />

si osserva che:<br />

• A pH 4.5 la specie adsorbita in quantità maggiore è l’IHP, con valori di Qamax pari<br />

almeno al doppio di quelli di As(III) e As(V). La K di Langmuir, tuttavia, è di un<br />

ordine di grandezza minore rispetto a quelle ottenute per arsenito e arseniato, che<br />

risultano molto simili tra loro.<br />

• A pH 6.5 la specie prevalente per quanto riguarda le quantità adsorbite è sempre<br />

l’IHP. Per le due specie di arsenico si osserva la tendenza dell’adsorbimento di<br />

As(III) a crescere con il pH e la quantità adsorbita supera quella dell’As(V).<br />

L’andamento osservato per le K di Langmuir è analogo a quello a pH 4.5.<br />

• A pH 8.5 la crescita dell'adsorbimento per l’As(III) è ancora più evidente: la<br />

quantità adsorbita dell’arsenito si porta a valori di Qamax superiori a quelli misurati<br />

per l’IHP, con una tendenza a non assestarsi su un plateau, al contrario dell’As(V)<br />

e dell'IHP. La K di Langmuir per l’arsenito è minore rispetto a quelle dell’IHP e<br />

dell’arseniato, nonostante si tratti della specie adsorbita in quantità maggiori a<br />

questo pH.<br />

78


2. Competizione tra arsenico e fosforo: effetto del pH<br />

Il primo <strong>degli</strong> obiettivi del presente lavoro era lo studio dell’effetto del pH e dell’ordine<br />

di aggiunta <strong>degli</strong> anioni sulla competizione tra l’arsenito o l’arseniato e l’inositolo<br />

esafosfato (IHP) nei processi di adsorbimento sulla goethite.<br />

Nelle tabelle 6, 7 e 8 sono indicati i valori, espressi in μmol/m 2 , delle quantità di analita<br />

adsorbite e desorbite nei vari casi di competizione esaminati (si veda il Cap.III, Par. 4.1.),<br />

in funzione dell’ordine di aggiunta <strong>degli</strong> anioni e del pH. I grafici, invece, mettono<br />

direttamente a confronto gli effetti della competizione sull’adsorbimento delle due specie<br />

dell’arsenico (fig. 24 a,b,c) e dell’inositolo esafosfato (fig. 24 d,e,f).<br />

Quando l’arsenico viene aggiunto per primo alla sospensione (tesi: As(III)/IHP ed<br />

As(V)/IHP) si osservano quantità adsorbite (As ads Inizio) variabili da 2,7 a 3,5 μmol/m 2<br />

per As(III) e da 2,6 a 1,7 μmol/m 2 per As(V), passando da pH 4.5 a 8.5 (tab. 6 e fig. 24).<br />

Questi valori sono in accordo con quanto previsto dalle isoterme (tab. 5): in condizioni di<br />

pH basico la quantità di arsenito ritenuta è maggiore che a pH acido, e l’inverso vale per<br />

l’arseniato.<br />

TAB. 6: Dati relativi alle tesi As(III)/IHP e As(V)/IHP (As aggiunto per primo).<br />

pH<br />

As des KCl As des IHP<br />

As ads Inizio<br />

μmol/m 2<br />

μmol/m2 X † μmol/m2 X ‡<br />

As ads Fine<br />

IHP ads<br />

μmol P/m 2<br />

As(III) / IHP<br />

4.5 3,06 0,53 0,17 1,98 0,78 1,08 12,09<br />

6.5 2,73 0,36 0,13 1,52 0,65 1,21 10,34<br />

8.5 3,45 0,67 0,19 1,91 0,58 1,54 N.D.<br />

As(V) / IHP<br />

4.5 2,60 0,19 0,07 0,69 0,29 1,64 10,48<br />

6.5 2,61 0,31 0,12 1,19 0,52 1,43 9,33<br />

8.5 1,75 0,35 0,20 1,10 0,78 0,68 N.D.<br />

As ads Inizio = quantità di As(III) o As(V) adsorbita sulla goethite<br />

As des KCl = quantità di As(III) o As(V) desorbita in KCl 0.05 M<br />

X † = frazione molare della quantità inizialmente adsorbita<br />

As des IHP = quantità di As(III) o As(V) desorbita in seguito a competizione con IHP<br />

X ‡ = frazione molare della quantità rimasta dopo desorbimento in KCl.<br />

As ads Fine = quantità di As(III) o As(V) residua sulla goethite<br />

IHP ads = quantità di P da IHP adsorbita sulla goethite saturata con As, espressa in µmol<br />

P/m 2<br />

79


Il desorbimento in KCl 0.05 M era volto a rimuovere l’adsorbato debolmente legato alla<br />

superficie in forma facilmente reversibile, in modo da distinguere tra la quantità di<br />

adsorbato rilasciato per semplice desorbimento a opera di un elettrolita indifferente e<br />

quello rimosso per competizione. La quantità di arsenito e di arseniato desorbita in KCl<br />

(As des KCl) non era trascurabile a nessuna delle condizioni di pH in studio (tab. 6):<br />

l’arsenito non mostra un andamento regolare in funzione del pH e viene desorbito circa il<br />

20 % della quantità inizialmente adsorbita (tab. 6), per l’arseniato, invece, si osserva un<br />

aumento del desorbimento con il pH. Nel caso invece in cui è l’IHP ad essere aggiunto<br />

per primo (tesi: IHP/As(III) e IHP/As(V)) non solo non si ha alcun rilascio (tab. 7), ma<br />

talvolta si ha riadsorbimento di parte dell’analita derivante dal surnatante rimasto dopo la<br />

decantazione<br />

L’aggiunta di IHP alla goethite saturata con arsenito o arseniato provoca il desorbimento<br />

(As des IHP) di entrambe le forme di arsenico (tab. 6). Quasi 2 delle 3 μmol/m 2 di arsenito<br />

inizialmente adsorbite vengono rimosse per competizione, corrispondenti a una frazione<br />

molare, calcolata rispetto alla copertura in As rimasta dopo il lavaggio in KCl, variabile<br />

tra 0,78 e 0,58 e decrescente all’aumentare del pH. La quantità di arseniato rilasciata per<br />

competizione è circa 1 μmol/m 2 , corrispondente ad una frazione molare variabile da 0,29<br />

a 0,78 in funzione diretta del pH. La quantità di arsenico residua (As ads Fine), per contro,<br />

aumenta con il pH nel caso dell’arsenito, andando dal 30 al 45 % della copertura iniziale<br />

e diminuisce nel caso dell’arseniato, passando dal 63 % al 39 %. La quantità totale di<br />

As(V) rimasta sulla goethite dopo l’aggiunta di IHP è dunque più alta rispetto a quella di<br />

As(III) ai pH al di sotto della neutralità, mentre a pH 8.5 accade il contrario.<br />

La quantità di IHP adsorbita su goethite già saturata con As (IHP ads) è risultata<br />

estremamente elevata, circa tripla rispetto a quella riportata in letteratura (Celi et al.,<br />

1999). Dati di adsorbimento di IHP simili a quelli riportati in tab. 6 sono stati registrati<br />

per ossidi di ferro a scarso ordine cristallino, come la ferridrite, e per sistemi misti nei<br />

quali questo stesso ossido ricopre la superficie delle particelle di minerali argillosi<br />

(Celi et al., 2003). La maggiore densità di copertura superficiale da parte dell’IHP era<br />

spiegata dagli autori con un diverso meccanismo di adsorbimento dell’IHP stesso,<br />

probabilmente dovuto all’interazione soltanto di uno o due dei sei gruppi fosfatici con<br />

la superficie irregolare dell’ossido non cristallino, che non consentirebbe lo stesso<br />

arrangiamento che l’IHP assume sulla goethite. La presenza di un 6 % di Fe estraibile<br />

in ossalato nella goethite qui utilizzata potrebbe spiegare le Qamax di IHP più elevate<br />

rispetto ai valori riportati in bibliografia per la goethite perfettamente cristallina (si<br />

80


veda il Par.1 di questo capitolo), ma non l’ulteriore aumento di IHP legato alla<br />

goethite per unità di superficie in presenza di As(III) o As(V). Probabilmente, la<br />

perturbazione dell’arrangiamento dell’IHP da parte dell’As presente sulle superfici si<br />

somma all’effetto della piccola quantità di ossido scarsamente cristallino, risultando in<br />

una ulteriore riduzione del numero dei gruppi fosfatici in grado di legarsi alla<br />

superficie per ciascuna molecola di IHP.<br />

Analizzando il caso di competizione in cui l’ordine di aggiunta <strong>degli</strong> anioni alla<br />

sospensione di goethite è inverso e l’IHP è aggiunto per primo, (tab. 7), si può notare che<br />

esso si adsorbe fortemente sulla superficie con cui è a contatto, e la successiva aggiunta<br />

di arsenico non è in grado, in nessuna condizione di pH, di desorbirne quantità<br />

apprezzabili (valori indicati con un trattino nelle tabelle). A pH 8.5 succede addirittura<br />

che la quantità di IHP adsorbita aumenti dopo il trattamento con KCl (valori negativi di<br />

μmol/m 2 desorbite).<br />

TAB. 7: Dati relativi alle tesi IHP/As(III) e IHP/As(V) (IHP aggiunto per primo).<br />

pH<br />

IHP ads<br />

Inizio<br />

μmol P/m<br />

IHP des KCl IHP des As<br />

2 μmol P/m2 X μmol P/m2 X<br />

IHP ads<br />

Fine<br />

As ads<br />

μmol/m 2<br />

IHP / As(III)<br />

4.5 6,17 0,12 0,02 - - 5,63 1,12<br />

6.5 4,89 0,17 0,04 - - 4,59 1,19<br />

8.5 5,72 - 0,29 - 0,06 - 1,01 - 0,19 6,10 1,59<br />

IHP / As(V)<br />

4.5 6,57 - - - - 6,60 0,49<br />

6.5 5,02 - - - - 5,02 -<br />

8.5 5,72 - 0,17 - 0,05 - 1,04 - 0,16 7,37 0,52<br />

IHP ads Inizio = quantità di P da IHP adsorbita su goethite, espressa in µmol P/m 2<br />

IHP des KCl = quantità di P da IHP desorbita in KCl 0.05 M<br />

IHP des As = quantità di P da IHP desorbita in seguito a competizione con As(III) o As(V)<br />

X = frazione molare della quantità inizialmente adsorbita<br />

IHP ads Fine = quantità di P da IHP residua sulla goethite<br />

As ads = quantità di As(III) o As(V) adsorbita<br />

81


Un tale dato potrebbe indicare il verificarsi di fenomeni di adsorbimento a cinetica lenta:<br />

questi coinvolgerebbero l’IHP presente nella piccola quantità di soluzione che, dopo la<br />

centrifugazione dei campioni, non è possibile decantare senza perdere una parte del<br />

materiale solido. Questa quantità residua di IHP rimane dunque a contatto della goethite<br />

durante tutto il trattamento con KCl e potrebbe continuare ad adsorbirsi sull’ossido.<br />

La presenza di IHP adsorbito sulla superficie dell’ossido inibisce l’adsorbimento di<br />

As(III) e l’effetto diminuisce al crescere del pH, per condizioni che diventano<br />

progressivamente più favorevoli all’adsorbimento dell’As (III) e sfavorevoli a quello del<br />

fosfato organico: i valori di As adsorbito alla fine dell’esperimento (As ads) a pH 4.5, 6.5<br />

e 8.5 sono pari, rispettivamente, al 37, 44 e 46 % di quelli misurati in assenza di inositolo<br />

esafosfato. L’effetto sull’As(V) è molto più marcato per tutti i pH considerati, con valori<br />

di quantità adsorbita che non superano il 30 % delle quantità ottenute nelle tesi in cui<br />

l’arsenico è aggiunto per primo alla sospensione. Sebbene entrambe le specie di arsenico<br />

siano incapaci di provocare il rilascio del fosforo organico legato alla goethite, nella sua<br />

forma trivalente l’As riesce comunque ad adsorbirsi in quantità considerevoli su una<br />

superficie già ricoperta dall’IHP. L’arseniato invece, benché si adsorba in quantità<br />

minime quando l’IHP è presente, riesce a diminuire in modo più accentuato<br />

l’adsorbimento del fosfato organico rispetto all’arsenito.<br />

Nei casi in cui l’aggiunta dei due anioni è contemporanea (tesi: As(III) + IHP e As(V) +<br />

IHP) (tab. 8), si osservano delle quantità adsorbite che indicano per tutti e due gli anioni<br />

coinvolti un adsorbimento minore rispetto a quello che si verifica per ciascuno di essi in<br />

assenza di competitori. In ogni caso l’IHP si adsorbe in quantità superiori ad entrambe le<br />

forme di arsenico, ma leggermente più basse (del 6-15 %) rispetto a quelle registrate<br />

quando il fosfato è l’unico anione a contatto con l’ossido, con una diminuzione maggiore<br />

in presenza di As(V). Anche le quantità adsorbite di arsenico si abbassano in presenza di<br />

IHP, ma anche in questo caso si osservano delle differenze tra i due stati di ossidazione.<br />

Per l’As(III) la quantità adsorbita risulta dimezzata in condizioni di acidità, ma raggiunge<br />

il 70 % di quella di riferimento ai pH 6.5 e 8.5. La quantità adsorbita di As(V), invece, al<br />

di sotto della neutralità è pari al 50 % della quantità misurata in assenza di inositolo<br />

esafosfato, e scende al 35 % a pH 8.5. L’inibizione è quindi più efficace nei confronti<br />

dell’arseniato piuttosto che dell’arsenito, soprattutto in condizioni di pH basico.<br />

82


TAB. 8: Dati relativi alle tesi As(III)+IHP e As(V)+IHP (aggiunta contemporanea di As e<br />

IHP).<br />

pH<br />

As ads<br />

μmol/m 2<br />

desorbimento As in<br />

KCl<br />

μmol/m2 X<br />

As(III) + IHP<br />

IHP ads<br />

μmol P/m 2<br />

Desorbimento P in KCl<br />

μmol P/m 2 X<br />

4.5 1,46 0,48 0,33 5,78 0,05 0,0085<br />

6.5 1,92 0,43 0,22 4,16 0,02 0,004<br />

8.5 2,43 0,49 0,20 5,16 - 0,54 - 0,105<br />

As(V) + IHP<br />

4.5 1,30 0,12 0,09 5,33 0,02 0,0025<br />

6.5 1,42 0,16 0,12 3,53 - -<br />

8.5 0,61 0,10 0,16 4,89 - 0,46 - 0,094<br />

As ads = quantità di As(III) o As(V) adsorbita su goethite<br />

Desorbimento As in KCl = quantità di As(III) o As(V) desorbita in KCl 0.05 M<br />

IHP ads = quantità di P da IHP adsorbita<br />

Desorbimento As in KCl = quantità di P da IHP desorbita in KCl 0.05 M<br />

Il KCl ha un effetto di desorbimento su tutte e tre le specie: facendo riferimento ai dati in<br />

frazione molare (X) si può notare che l’efficacia del cloruro di potassio nel rimuovere gli<br />

anioni è paragonabile a quella osservata nel caso di competizione in due tempi per<br />

l’arseniato e leggermente superiore per l’arsenito, che in questo caso si dimostra un po’<br />

più labile. Sembrerebbe quindi che la presenza contemporanea di fosfato<br />

contemporaneamente adsorbito influenzi molto poco la stabilità dei complessi formati<br />

dall’arsenico sulla goethite. L’effetto del KCl sull’IHP è trascurabile (valori di μmol/m 2<br />

desorbite inferiori all’1 %), come già è stato evidenziato nei casi descritti<br />

precedentemente.<br />

La figura 24 evidenzia l’effetto dell’ordine delle aggiunte <strong>degli</strong> anioni sulle quantità<br />

adsorbite e mostra, per ciascun valore di pH, un confronto diretto tra le quantità adsorbite<br />

delle due specie di arsenico, [As(III)] o [As(V)], (fig. 24 a,b,c) e tra le quantità adsorbite<br />

di IHP in presenza di arsenito [IHP-As(III)] o di arseniato [IHP-As(V)] nei vari casi di<br />

competizione (fig. 24 d,e,f).<br />

83


As adsorbito (µmol/m 2 )<br />

As adsorbito (µmol/m 2 )<br />

As adsorbito (µmol/m 2 )<br />

4.0<br />

3.5<br />

3.0<br />

2.5<br />

2.0<br />

1.5<br />

1.0<br />

0.5<br />

0.0<br />

4.0<br />

3.5<br />

3.0<br />

2.5<br />

2.0<br />

1.5<br />

1.0<br />

0.5<br />

0.0<br />

4.0<br />

3.5<br />

3.0<br />

2.5<br />

2.0<br />

1.5<br />

1.0<br />

0.5<br />

0.0<br />

ADSORBIMENTO As<br />

As(III)<br />

As(V)<br />

As As /IHP IHP/As As +IHP<br />

(a)<br />

ADSORBIMENTO As<br />

As As/IHP IHP/As As+IHP<br />

(b)<br />

ADSORBIMENTO As<br />

As(III)<br />

As(V)<br />

As As/IHP IHP/As As+IHP<br />

(c)<br />

As(III)<br />

As(V)<br />

IHP adsorbito (µmol P/m 2 )<br />

IHP adsorbito (µmol P/m 2 )<br />

IHP adsorbito (µmol P/m 2 )<br />

14.0<br />

12.0<br />

10.0<br />

14.0<br />

12.0<br />

10.0<br />

8.0<br />

6.0<br />

4.0<br />

2.0<br />

0.0<br />

14.0<br />

12.0<br />

10.0<br />

8.0<br />

6.0<br />

4.0<br />

2.0<br />

0.0<br />

8.0<br />

6.0<br />

4.0<br />

2.0<br />

0.0<br />

ADSORBIMENTO IHP<br />

IHP-As(III)<br />

IHP-As(V)<br />

IHP As/IHP IHP/As IHP+As<br />

(d)<br />

ADSORBIMENTO IHP<br />

IHP-As(III)<br />

IHP-As(V)<br />

IHP As/IHP IHP/As IHP+As<br />

(e)<br />

ADSORBIMENTO IHP<br />

IHP-As(III)<br />

IHP-As(V)<br />

IHP As/IHP IHP/As IHP+As<br />

FIG. 24: Adsorbimento di arsenito e arseniato (a,b,c) e inositolo esafosfato (d,e,f) sulla<br />

goethite in funzione del diverso ordine di aggiunta <strong>degli</strong> anioni, in corrispondenza<br />

dei tre pH di studio: 4.5 (a,d); 6.5 (b,e); 8.5 (c,f).<br />

(f)<br />

84


A pH 4.5 (fig. 24a) la quantità adsorbita per l’arsenito è poco maggiore che per<br />

l’arseniato, per tutte le combinazioni di aggiunta <strong>degli</strong> anioni, ma l’As(V) risulta legato<br />

più fortemente alla superficie della goethite, infatti per le quantità rimaste adsorbite dopo<br />

la competizione con il fosfato la relazione è invertita. Le quantità di arsenito e arseniato<br />

adsorbite sulla superficie già ricoperta con l’IHP sono ancora inferiori e, questa volta,<br />

quasi doppie per l’arsenito rispetto all’arseniato. Quando IHP e As sono aggiunti<br />

contemporaneamente (As + IHP) le quantità delle due forme di As adsorbite sono molto<br />

simili e per entrambe superiori rispetto al caso in cui l’IHP era aggiunto per primo e, per<br />

l’arseniato, minori rispetto a quelle rimaste dopo competizione. Per quanto riguarda<br />

l’IHP, le quantità adsorbite dopo il passaggio di competizione con As(III) o As(V) non<br />

sono diminuite rispetto a quella inizialmente adsorbita e sono paragonabili tra loro (fig.<br />

23d); lo stesso accade nel caso delle soluzioni miste. L’inositolo esafosfato non viene<br />

desorbito da nessuna delle due forme di arsenico e si comporta allo stesso modo se<br />

aggiunto contemporaneamente all’una o all’altra. L’unica differenza si osserva quando<br />

l’IHP è aggiunto a goethite già saturata da As in entrambe le forme: il suo adsorbimento<br />

sembrerebbe ostacolato dalla presenza di arsenico sulle superfici, con maggior effetto<br />

inibente da parte dell’arseniato rispetto all’arsenito.<br />

A pH 6.5 (fig. 24 b,e) l’effetto dell’ordine dell’aggiunta <strong>degli</strong> analiti è del tutto analogo a<br />

quello descritto a pH 4.5, anche se è possibile notare un generale abbassamento delle<br />

quantità assolute di As e IHP adsorbite. Se l’IHP viene aggiunto a goethite già saturata da<br />

As la situazione è analoga a quella descritta per il pH acido, con un adsorbimento<br />

maggiore nel caso in cui la superficie della goethite sia saturata da As(III) anziché da<br />

As(V) (fig. 24e). Quando l’IHP è aggiunto per primo, l’arseniato adsorbito è in questo<br />

caso praticamente nullo, mentre l’arsenito viene comunque trattenuto in una certa misura<br />

(fig. 24b). Anche per l’adsorbimento di IHP valgono le considerazioni fatte per il pH 4.5.<br />

Superata la neutralità (fig. 24c,f) si verificano delle variazioni qualitative e quantitative.<br />

Come nei casi precedenti la quantità di arsenito adsorbita è maggiore di quella misurata<br />

per l’arseniato per tutte le tesi studiate, ma a pH 8.5 questa differenza è nettamente più<br />

accentuata. Inoltre si inverte la tendenza delle due specie a resistere al desorbimento ad<br />

opera dell’IHP: a pH basico l’arsenito rimane legato alla superficie dell’ossido in<br />

proporzione maggiore rispetto all’arseniato, contrariamente a quanto avviene in<br />

corrispondenza <strong>degli</strong> altri valori di pH considerati (fig. 24c). L’adsorbimento di IHP<br />

sembrerebbe maggiore dopo aggiunta di arsenito o arseniato, ma si tratta, probabilmente,<br />

del riadsorbimento dell’analita aggiunto inizialmente e ancora presente nel surnatante<br />

85


imasto, come spiegato in precedenza (fig. 24f). A pH 8.5 questo effetto è più evidente<br />

per via di una maggiore dispersione della sospensione che ha avuto come conseguenza<br />

una peggiore separazione solido/liquido in seguito alla centrifugazione, e quindi una<br />

maggior quantità di surnatante contenente IHP è stata ritenuta insieme al sedimento.<br />

L’effetto della precedente copertura delle superfici da parte dell’As e dell’aggiunta<br />

contemporanea di As e IHP segue lo stesso andamento osservato ai pH inferiori.<br />

In tutte le tesi studiate, l’IHP si è dimostrato un competitore molto forte nei confronti<br />

dell’arsenico per i siti di adsorbimento della goethite, con un’efficacia dipendente dal pH<br />

e dallo stato di ossidazione dell’As nelle due forme con le quali il fosforo organico è stato<br />

messo a confronto. In generale l’inositolo esafosfato compete più decisamente con lo ione<br />

arseniato, così come compete con il fosfato inorganico (Presta et al., 2000). Con<br />

l’arsenito la relazione di competizione reciproca è più complessa, probabilmente a causa<br />

della maggiore diversità strutturale tra i due anioni, che implica la formazione di legami e<br />

l’instaurarsi di interazioni che sono in parte differenti. I dati osservati suggeriscono che la<br />

diversità di comportamento delle due specie di arsenico nei confronti dell’IHP possa<br />

dipendere dal diverso modo di interagire con la superficie dell’ossido: probabilmente<br />

l’arseniato e il fosforo organico tendono ad occupare siti comuni, mentre l’arsenito è<br />

capace di utilizzare anche altri tipi di siti e di adsorbirsi quando quelli comuni sono già<br />

occupati dal fosfato, oppure di interagire in parte anche con legami non specifici<br />

(Goldberg e Johnston, 2001; Sverjenski e Fukushi, 2006). Questo rende l’adsorbimento<br />

dell’As(III) parzialmente indipendente da quello dell’IHP e giustifica la compresenza di<br />

grandi quantità di entrambi sulle superfici della goethite utilizzata. Tale osservazione è<br />

confermata dal fatto che, nel caso in cui l’arsenico è aggiunto come competitore ad una<br />

goethite già saturata con l’IHP, l’adsorbimento dell’arsenito è inibito in modo molto<br />

meno marcato rispetto a quello dell’arseniato per tutti i valori di pH, a pari copertura di<br />

inositolo esafosfato. Nel Par. 1 del Capitolo II erano stati descritti i tipi di legame<br />

possibili per le due specie di arsenico, ed era già stata evidenziata la possibilità, per<br />

l’As(III), di formare complessi a sfera esterna oltre a quelli a sfera interna, sfruttando<br />

diversamente la superficie disponibile e i gruppi ossidrilici presenti su di essa (Sun e<br />

Doner, 1996; Goldberg e Johnston, 2001). Questo avvalora l’ipotesi che ci siano dei siti<br />

accessibili all’arsenito, ma non all’arseniato e all’IHP, sui quali H3AsO3 si può adsorbire<br />

anche in presenza di un elevato ricoprimento da parte di altre specie.<br />

Confrontando i presenti risultati con la letteratura disponibile sulla competizione tra<br />

arsenico e fosfato inorganico (Liu et al., 2001; Violante e Pigna, 2002) si nota una netta<br />

86


differenza tra la capacità di competizione con l’As dell’IHP rispetto all’anione<br />

ortofosfato. Infatti, mentre su goethite la presenza di arseniato è capace di diminuire il<br />

successivo adsorbimento di fosfato più di quanto possa fare il fosfato nei confronti<br />

dell’arseniato (Liu et al., 2001), il contrario accade quando il P si trova sotto forma di<br />

inositolo esafosfato. Inoltre, mentre l’arseniato è in grado di rimuovere dalla goethite una<br />

quota del fosfato precedentemente adsorbito maggiore della quota di arseniato che è<br />

rimossa dal fosfato (Liu et al., 2001), esso non è assolutamente in grado di sostituire<br />

l’IHP a nessuno dei pH in studio, mentre l’IHP rimuove la maggior parte dell’arseniato<br />

adsorbito. La competizione tra arsenito e fosfato è stata meno diffusamente studiata<br />

(Jackson and Miller, 2000; Dixit e Hering, 2003). Dallo studio di Dixit e Hering (2003),<br />

si evince che la capacità di competere da parte del fosfato aggiunto contemporaneamente<br />

all’arsenito diminuisce moltissimo col pH, mentre nel presente studio, benché<br />

l’andamento osservato sia lo stesso, l’effetto del pH appare meno marcato. Inoltre, a pH <<br />

7, l’inibizione indotta dal fosfato è molto più sensibile per l’arsenito che per l’arseniato<br />

mentre, nel caso di contemporanea aggiunta di IHP, la quantità di arsenito adsorbito è<br />

superiore a quella dell’arseniato già a pH 4.5.<br />

La diversità strutturale e dimensionale dell’IHP rispetto al fosfato e all’arseniato può<br />

essere determinante nel giustificare il loro diverso comportamento. L’inositolo esafosfato<br />

è una molecola dotata di un notevole ingombro sterico e di una densità di carica maggiore<br />

rispetto alle altre specie considerate. Questa differenza è tanto più elevata quanto più alto<br />

è il pH del sistema. E’ possibile che, in seguito all’ingombro e alla rigidità della molecola<br />

di IHP, non tutti gli ossidrili singolarmente coordinati della superficie della goethite siano<br />

impegnati in legami con i gruppi fosfatici (Celi et al., 1999), a dispetto dell’elevata<br />

quantità di P che risulta adsorbita per unità di superficie. L’arseniato è presente come<br />

anione in tutto l’intervallo di pH considerato, e la sua carica può essere di ostacolo<br />

nell’avvicinamento alla superficie dell’ossido su cui si trovano adsorbite molecole di IHP<br />

con elevata densità di carica negativa. L’arsenito, che nelle condizioni esaminate è<br />

presente per lo più in forma neutra indissociata sembra non risentire di tali effetti<br />

elettrostatici e questo potrebbe spiegare la sua capacità di adsorbirsi in maggior misura<br />

rispetto all’arseniato quando l’IHP è aggiunto in precedenza o in contemporanea. Liu et<br />

al. (2001) suggeriscono la presenza, sulla superficie della goethite, di una maggioranza di<br />

siti comuni per l’adsorbimento di fosfato e arseniato, e di alcuni siti capaci di legare<br />

esclusivamente l’uno o l’altro anione. Questo sembra verificarsi anche per la<br />

competizione tra arseniato e IHP. Nel caso della competizione tra arsenito e IHP la<br />

87


frazione di arsenito adsorbito in modo indipendente dal competitore è molto incrementata<br />

rispetto all’adsorbimento su siti comuni. Tali siti indipendenti sembrano però meno<br />

specifici e capaci di trattenere l’arsenito in modo più labile rispetto all’arseniato.<br />

Riassumendo possiamo dire che:<br />

• l’IHP compete fortemente con As(III) e As(V) per i siti di adsorbimento sulla<br />

goethite a tutti i valori di pH esaminati, e, se aggiunto per primo inibisce<br />

l’asorbimento delle due specie di As<br />

• né l’As(III) né l’As(V) sono in grado di desorbire l’IHP una volta che questo è<br />

legato alla goethite<br />

• l’effetto dell’IHP è maggiore nei confronti dell’As(V), che è a sua volta più<br />

efficace nell’inibire l’adsorbimento del fosfato organico se è aggiunto per primo<br />

• il pH influenza maggiormente la competizione dell’IHP con l’As(V) piuttosto che<br />

con l’As(III)<br />

• l’influenza del pH sull’adsorbimento ed il desorbimento di IHP e As(V) è analoga<br />

(l’adsorbimento diminuisce all’aumentare del pH) mentre è opposta nel caso<br />

dell’IHP e dell’As(III) (all’aumentare del pH l’adsorbimento dell’IHP aumenta<br />

mentre quello dell’arsentito diminuisce).<br />

Queste osservazioni possono essere riferite a situazioni reali di inquinamento di terreni e,<br />

conseguentemente, di corpi idrici. La capacità di suoli che contengono una parte<br />

consistente di ossidi di ferro di immobilizzare l’arsenico può essere molto ridotta in<br />

presenza di elevate concentrazioni di fosforo organico, che in questo lavoro è stato<br />

rappresentato con la sua forma più comune ed abbondante in natura, l’inositolo<br />

esafosfato. Un grande apporto di IHP ad un suolo contaminato, come quello che può<br />

derivare dall’uso di ammendanti organici in agricoltura, può indurre un notevole<br />

desorbimento dell’As legato ai minerali, ed il rilascio di questo elemento nelle acque,<br />

che costituiscono la principale fonte di contatto tra l’arsenico e gli esseri viventi. In<br />

genere l’arsenito è considerato l’anione più mobile, ma al di sopra della neutralità<br />

l’effetto della competizione con il fosfato organico può essere più spiccato per<br />

l’arseniato, specialmente quando questo venga a contatto con superfici che già recano<br />

dell’IHP adsorbito.<br />

88


3. Competizione tra arsenico e inositoloesafosfato: effetto del tempo<br />

Le prove precedenti, in cui il tempo di contatto <strong>degli</strong> anioni con la goethite era fissato a<br />

24 ore, hanno mostrato che l’inositolo esafosfato, a pari condizioni di pH, viene adsorbito<br />

in maggiore quantità e in modo più stabile rispetto all’arsenito e all’arseniato. Tuttavia, il<br />

tempo di contatto tra adsorbato e superfici può influenzare non solo le quantità adsorbite,<br />

ma anche i meccanismi di ritenzione e la stabilità del complesso adsorbato-superficie<br />

(Pigna et al., 2006). Si è quindi proceduto allo studio del desorbimento di arsenito ed<br />

arseniato ad opera dell’IHP [tesi As(III)/IHP e As(V)/IHP] dopo interazione di ciascuna<br />

delle due specie di arsenico con la goethite per tempi molto diversi: 1 ora, 7 giorni, 14<br />

giorni, 30 giorni. La goethite è stata posta a interagire anche con la soluzione mista di<br />

IHP e As(III) [tesi As(III)+IHP] oppure di IHP e As(V) [tesi As(V)+IHP] per gli stessi<br />

tempi indicati sopra. Le tesi che prevedevano l’aggiunta dell’IHP per primo [IHP/As(III)<br />

e IHP/As(V)] non sono più state considerate, perchè dalle prove precedenti era risultato<br />

che l’IHP, già dopo 24 ore di contatto con la goethite, non veniva rimosso in alcuna<br />

misura dall’As.<br />

I dati sono presentati nelle figure da 25 a 32 e nella tabelle da 9 a 13.<br />

L’adsorbimento di arsenito ed arseniato è, come noto (Anderson et al., 1976; Raven et al.,<br />

1998; Lakshmipathiraj et al., 2006) un processo rapido. Dopo una sola ora di contatto con<br />

la goethite, l’arsenito adsorbito è il 90-95 % del dato ottenuto dopo 24 ore per i pH 4.5 e<br />

6.5 e si abbassa al 75 % a pH 8.5 (tab. 9; fig. 25 a,b,c e fig. 29). Per l’arseniato la<br />

percentuale è circa il 90 % in ambiente acido, ma subisce maggiormente l’effetto del pH<br />

rispetto all’arsenito e si avvicina al 60 % per i pH 6.5 e 8.5. La frazione desorbita in KCl<br />

non differisce sostanzialmente da quella misurata nell’esperimento a 24 ore, così pure la<br />

frazione rilasciata per competizione con l’IHP (tab. 9). Le quantità di IHP adsorbite sulle<br />

superfici già saturate con As sono molto elevate (tab. 9 e figura 25 d,e,f) e paragonabili a<br />

quelle riportate per le 24 ore (tab. 6 e fig 24 d,e,f).<br />

Quando le soluzioni di arsenico vengono poste a contatto con la goethite<br />

contemporaneamente all’IHP [tesi As(III)+IHP e tesi As(V)+IHP] , le quantità di As(III)<br />

e soprattutto di As(V) adsorbite dopo 1 ora (tab. 13; fig. 25 a,b,c e fig. 30) rappresentano<br />

una percentuale molto più bassa della quantità adsorbita dopo 24 ore nelle corrispondenti<br />

tesi a quando l’IHP non è presente in soluzione (tab 6 e fig. 24 a,b,c). La velocità di<br />

adsorbimento dell’arsenito e, ancor più quella dell’arseniato, sembra quindi decisamente<br />

diminuita dalla compresenza di IHP in soluzione. Ciascuna delle due specie di As risente<br />

89


della competizione con l’IHP in misura maggiore quanto più ci si allontana dal pH<br />

ottimale per l’adsorbimento, che è acido per l’arseniato, basico per l’arsenito. L’arsenito<br />

adsorbito dalla soluzione mista dopo un’ora varia dal 55 % a pH 4.5 al 95 % a pH 8.5 di<br />

quello adsorbito dopo 24 ore. L’arseniato adsorbito a pH 4.5 dopo un’ora è invece<br />

soltanto il 29 % di quello adsorbito a 24 ore, scende al 19 % a pH 6.5 ed è nullo a pH 8.5.<br />

Anche l’adsorbimento dell’IHP risente in qualche misura della compresenza dell’As. In<br />

presenza di arsenito, le quantità di IHP adsorbite dopo un’ora diminuiscono all’aumentare<br />

del pH e rappresentano l’86 %, il 73 %, e il 42 % della quantità adsorbita dopo 24 ore ai<br />

pH 4.5, 6.5 e 8.5 nelle medesime condizioni. In presenza di arseniato la percentuale di<br />

IHP adsorbita dopo 1 ora rispetto al dato delle 24 ore non segue un andamento definito in<br />

funzione del pH e va dal 65 ad oltre il 100 %.<br />

TAB. 9: Dati relativi alle tesi As(III)/IHP e As(V)/IHP, con tempo di contatto di 1 ora tra le<br />

soluzioni di arsenico e la goethite.<br />

pH As ads Inizio<br />

μmol/m 2<br />

As des KCl<br />

μmol/m 2<br />

X †<br />

As des IHP<br />

μmol/m 2<br />

X ‡<br />

As ads<br />

Fine<br />

IHP ads<br />

μmol P/m 2<br />

As(III) / IHP<br />

4.5 2,77 0,34 0,12 1,23 0,51 1,19 11,6<br />

6.5 2,62 0,70 0,28 1,59 0,84 0,33 10,2<br />

8.5 2,58 0,75 0,29 1,30 0,63 0,75 9,15<br />

As(V) / IHP<br />

4.5 2,31 0,19 0,08 0,87 0,41 1,25 10,8<br />

6.5 1,57 0,20 0,13 0,75 0,55 0,62 9,74<br />

8.5 1,01 0,03 0,03 0,82 0,84 0,15 10,4<br />

As ads Inizio = quantità di As(III) o As(V) adsorbita su goethite<br />

As des KCl = quantità di As(III) o As(V) desorbita in KCl 0.05 M<br />

X † = frazione molare della quantità inizialmente adsorbita<br />

As des IHP = quantità di As(III) o As(V) desorbita in seguito a competizione con IHP<br />

X ‡ = frazione molare della quantità rimasta dopo desorbimento in KCl.<br />

As ads Fine = quantità di As(III) o As(V) residua sulla goethite<br />

IHP ads = quantità di P da IHP adsorbita, espressa in µmol P/m 2<br />

90


)<br />

2<br />

As adsorbito (µmol/m<br />

2 )<br />

As adsorbito (µmol/m<br />

As adsorbito (µmol/m 2 )<br />

4.5<br />

4.0<br />

3.5<br />

3.0<br />

2.5<br />

2.0<br />

1.5<br />

1.0<br />

0.5<br />

0.0<br />

4.5<br />

4.0<br />

3.5<br />

3.0<br />

2.5<br />

2.0<br />

1.5<br />

1.0<br />

0.5<br />

0.0<br />

4.5<br />

4.0<br />

3.5<br />

3.0<br />

2.5<br />

2.0<br />

1.5<br />

1.0<br />

0.5<br />

0.0<br />

ADSORBIMENTO As<br />

As(III)<br />

As(V)<br />

As As/IHP As+IHP<br />

1 ORA<br />

IHP adsorbito (µmol P/m 2 )<br />

14.0<br />

12.0<br />

10.0<br />

8.0<br />

6.0<br />

4.0<br />

2.0<br />

0.0<br />

ADSORBIMENTO IHP<br />

As/IHP IHP+As<br />

(a) (d)<br />

ADSORBIMENTO As<br />

As(III)<br />

As(V)<br />

As As /IHP As +IHP<br />

IHP adsorbito (µmol P/m 2 )<br />

14.0<br />

12.0<br />

10.0<br />

8.0<br />

6.0<br />

4.0<br />

2.0<br />

0.0<br />

ADSORBIMENTO IHP<br />

As/IHP IHP+As<br />

(b) (e)<br />

ADSORBIMENTO As<br />

As(III)<br />

As(V)<br />

As As/IHP As +IHP<br />

IHP adsorbito (µmol P/m 2 )<br />

14.0<br />

12.0<br />

10.0<br />

8.0<br />

6.0<br />

4.0<br />

2.0<br />

0.0<br />

ADSORBIMENTO IHP<br />

As/IHP IHP+As<br />

(c) (f)<br />

IHP-As(III)<br />

IHP-As(V)<br />

IHP-As(III)<br />

IHP-As(V)<br />

IHP-As(III)<br />

IHP-As(V)<br />

FIG. 25: Adsorbimento di arsenito, arseniato (a,b,c) e inositolo esafosfato (d,e,f) sulla goethite<br />

dopo un tempo di contatto di 1 ora, in funzione del diverso ordine di aggiunta <strong>degli</strong><br />

anioni e in corrispondenza dei tre pH di studio: 4.5 (a,d), 6.5(b,e) e 8.5 (c,f).<br />

91


TAB. 10: Dati relativi alle tesi As(III)/IHP e As(V)/IHP, con tempo di contatto di 7 giorni tra le<br />

soluzioni di arsenico e la goethite.<br />

pH As ads Inizio<br />

μmol/m 2<br />

As des KCl<br />

μmol/m 2<br />

X †<br />

As des IHP<br />

μmol/m 2<br />

As(III) / IHP<br />

X ‡<br />

As ads Fine<br />

IHP ads<br />

μmol P/m 2<br />

4.5 2,55 0,65 0,23 1,72 0,91 0,18 10,95<br />

6.5 3,32 0,77 0,23 1,61 0,63 0,94 10,13<br />

8.5 3,49 0,81 0,23 1,67 0,62 1,01 8,74<br />

As(V) / IHP<br />

4.5 2,24 0,31 0,14 0,99 0,51 0,94 10,1<br />

6.5 2,06 0,31 0,15 0,97 0,56 0,78 9,59<br />

8.5 1,39 0,32 0,23 0,68 0,63 0,40 10,7<br />

As ads Inizio = quantità di As(III) o As(V) adsorbita su goethite<br />

As des KCl = quantità di As(III) o As(V) desorbita in KCl 0.05 M<br />

X † = frazione molare della quantità inizialmente adsorbita<br />

As des IHP = quantità di As(III) o As(V) desorbita in seguito a competizione con IHP<br />

X ‡ = frazione molare della quantità rimasta dopo desorbimento in KCl.<br />

As ads Fine = quantità di As(III) o As(V) residua sulla goethite<br />

IHP ads = quantità di P da IHP adsorbita, espressa in µmol P/m 2<br />

TAB. 11: Dati relativi alle tesi As(III)/IHP e As(V)/IHP, con tempo di contatto di 14 giorni tra le<br />

soluzioni di arsenico e la goethite.<br />

pH As ads Inizio<br />

μmol/m 2<br />

As des KCl<br />

μmol/m 2<br />

X †<br />

As des IHP<br />

μmol/m 2<br />

As(III) / IHP<br />

X ‡<br />

As ads Fine<br />

IHP ads<br />

μmol P/m 2<br />

4.5 2,66 0,63 0,24 1,64 0,81 0,37 10,9<br />

6.5 3,21 0,61 0,19 1,23 0,47 1,37 9,21<br />

8.5 3,73 0,71 0,19 1,38 0,46 1,64 7,45<br />

As(V) / IHP<br />

4.5 2,50 0,31 0,12 0,94 0,43 1,25 9,31<br />

6.5 2,00 0,34 0,17 0,83 0,50 0,83 9,07<br />

8.5 1,36 - - 0,59 0,43 0,77 9,60<br />

As ads Inizio = quantità di As(III) o As(V) adsorbita su goethite<br />

As des KCl = quantità di As(III) o As(V) desorbita in KCl 0.05 M<br />

X † = frazione molare della quantità inizialmente adsorbita<br />

As des IHP = quantità di As(III) o As(V) desorbita in seguito a competizione con IHP<br />

X ‡ = frazione molare della quantità rimasta dopo desorbimento in KCl.<br />

As ads Fine = quantità di As(III) o As(V) residua sulla goethite<br />

IHP ads = quantità di P da IHP adsorbita, espressa in µmol P/m 2<br />

92


As adsorbito (µmol/m 2 )<br />

As adsorbito (µmol/m 2 )<br />

As adsorbito (µmol/m 2 )<br />

4.5<br />

4.0<br />

3.5<br />

3.0<br />

2.5<br />

2.0<br />

1.5<br />

1.0<br />

0.5<br />

0.0<br />

4.5<br />

4.0<br />

3.5<br />

3.0<br />

2.5<br />

2.0<br />

1.5<br />

1.0<br />

0.5<br />

0.0<br />

4.5<br />

4.0<br />

3.5<br />

3.0<br />

2.5<br />

2.0<br />

1.5<br />

1.0<br />

0.5<br />

0.0<br />

ADSORBIMENTO As<br />

As As /IHP As +IHP<br />

(a)<br />

ADSORBIMENTO As<br />

7 GIORNI<br />

As(III)<br />

As(V)<br />

As As /IHP As +IHP<br />

(b)<br />

ADSORBIMENTO As<br />

As(III)<br />

As(V)<br />

As As /IHP As +IHP<br />

(c)<br />

As(III)<br />

As(V)<br />

IHP adsorbito (µmol P/m 2 )<br />

IHP adsorbito (µmol P/m 2 )<br />

IHP adsorbito (µmol P/m 2 )<br />

14.0<br />

12.0<br />

10.0<br />

14.0<br />

12.0<br />

10.0<br />

8.0<br />

6.0<br />

4.0<br />

2.0<br />

0.0<br />

8.0<br />

6.0<br />

4.0<br />

2.0<br />

0.0<br />

14.0<br />

12.0<br />

10.0<br />

8.0<br />

6.0<br />

4.0<br />

2.0<br />

0.0<br />

ADSORBIMENTO IHP<br />

As/IHP IHP+As<br />

(d)<br />

ADSORBIMENTO IHP<br />

As/IHP IHP+As<br />

(e)<br />

ADSORBIMENTO IHP<br />

As /IHP IHP+As<br />

(f)<br />

IHP-As(III)<br />

IHP-As(V)<br />

IHP-As(III)<br />

IHP-As(V)<br />

IHP-As(III)<br />

IHP-As(V)<br />

FIG. 26: Adsorbimento di arsenito, arseniato (a,b,c) e inositolo esafosfato (d,e,f) sulla goethite<br />

dopo un tempo di contatto di 7 giorni, in funzione del diverso ordine di aggiunta <strong>degli</strong><br />

anioni e in corrispondenza dei tre pH di studio: 4.5 (a,d), 6.5(b,e) e 8.5 (c,f).<br />

93


As adsorbito (µmol/m 2 )<br />

As adsorbito (µmol/m 2 )<br />

As adsorbito (µmol/m 2 )<br />

4.5<br />

4.0<br />

3.5<br />

3.0<br />

2.5<br />

2.0<br />

1.5<br />

1.0<br />

0.5<br />

0.0<br />

4.5<br />

4.0<br />

3.5<br />

3.0<br />

2.5<br />

2.0<br />

1.5<br />

1.0<br />

0.5<br />

0.0<br />

4.5<br />

4.0<br />

3.5<br />

3.0<br />

2.5<br />

2.0<br />

1.5<br />

1.0<br />

0.5<br />

0.0<br />

ADSORBIMENTO As<br />

As As /IHP As +IHP<br />

(a)<br />

ADSORBIMENTO As<br />

As As/IHP As+IHP<br />

(b)<br />

ADSORBIMENTO As<br />

14 GIORNI<br />

As(III)<br />

As(V)<br />

As(III)<br />

As As/IHP As+IHP<br />

(c)<br />

As(V)<br />

As(III)<br />

As(V)<br />

IHP adsorbito (µmol P/m 2 )<br />

IHP adsorbito (µmol P/m 2 )<br />

IHP adsorbito (µmol P/m 2 )<br />

14.0<br />

12.0<br />

10.0<br />

8.0<br />

6.0<br />

4.0<br />

2.0<br />

0.0<br />

14.0<br />

12.0<br />

10.0<br />

8.0<br />

6.0<br />

4.0<br />

2.0<br />

0.0<br />

14.0<br />

12.0<br />

10.0<br />

8.0<br />

6.0<br />

4.0<br />

2.0<br />

0.0<br />

ADSORBIMENTO IHP<br />

As /IHP IHP+As<br />

(d)<br />

ADSORBIMENTO IHP<br />

As/IHP IHP+As<br />

(e)<br />

ADSORBIMENTO IHP<br />

As/IHP IHP+As<br />

(f)<br />

IHP-As(III)<br />

IHP-As(V)<br />

IHP-As(III)<br />

IHP-As(V)<br />

IHP-As(III)<br />

IHP-As(V)<br />

FIG. 27: Adsorbimento di arsenito, arseniato (a,b,c) e inositolo esafosfato (d,e,f) sulla goethite<br />

dopo un tempo di contatto di 14 giorni, in funzione del diverso ordine di aggiunta <strong>degli</strong><br />

anioni e in corrispondenza dei tre pH di studio: 4.5 (a,d), 6.5(b,e) e 8.5 (c,f).<br />

94


TAB. 12: Dati relativi alle tesi As(III)/IHP e As(V)/IHP, con tempo di contatto di 30 giorni tra le<br />

soluzioni di arsenico e la goethite.<br />

pH As ads Inizio<br />

μmol/m 2<br />

As des KCl<br />

μmol/m 2<br />

X †<br />

As des IHP<br />

μmol/m 2<br />

As(III) / IHP<br />

X ‡<br />

As ads Fine<br />

IHP ads<br />

μmol P/m 2<br />

4.5 3,46 0,57 0,17 1,89 0,66 1,00 10,4<br />

6.5 3,93 0,39 0,10 1,13 0,31 2,42 6,85<br />

8.5 10,92 1,10 0,10 1,51 0,15 8,04 0,94<br />

As(V) / IHP<br />

4.5 2,75 0,69 0,25 0,97 0,47 1,09 9,16<br />

6.5 2,12 0,22 0,11 0,73 0,44 1,06 8,86<br />

8.5 10,9 0,47 0,04 0,72 0,07 9,76 0,55<br />

As ads Inizio = quantità di As(III) o As(V) adsorbita su goethite<br />

As des KCl = quantità di As(III) o As(V) desorbita in KCl 0.05 M<br />

X † = frazione molare della quantità inizialmente adsorbita<br />

As des IHP = quantità di As(III) o As(V) desorbita in seguito a competizione con IHP<br />

X ‡ = frazione molare della quantità rimasta dopo desorbimento in KCl.<br />

As ads Fine = quantità di As(III) o As(V) residua sulla goethite<br />

IHP ads = quantità di P da IHP adsorbita, espressa in µmol P/m 2<br />

Quando l’interazione tra goethite e arsenico si estende a tempi più lunghi, da 7 a 30 giorni<br />

(tab 10-12) le quantità di As adsorbite prima dell’introduzione dell’IHP nel sistema<br />

aumentano lentamente, come atteso (O’Reilly et al., 2001; Zhao e Stanforth, 2001), e le<br />

proporzioni tra le due forme di arsenico adsorbite o desorbite nelle diverse situazioni<br />

sperimentali (aggiunta di IHP al termine dell’interazione della goethite con l’As oppure<br />

in contemporanea) e le variazioni in funzione del pH (tab 9-12; fig. 25-28) si mantengono<br />

analoghe a quelle descritte precedentemente (si veda il Par. 2 del Cap. IV) per il tempo di<br />

interazione pari a 24 ore (tab 6 e fig. 24). Le quantità di As desorbite in KCl 0.05 M non<br />

variano sensibilmente in funzione del tempo (tab 9-12), mentre le quantità desorbite per<br />

competizione con l’IHP sono generalmente decrescenti all’aumentare del tempo di<br />

interazione goethite-As (tab 9-12).<br />

Le quantità di IHP adsorbite da goethite già saturata con l’arsenico sono molto elevate<br />

(tab. 9-12; fig. 25-28 d,e,f), con valori che raggiungono le 11.6 μmol/m 2 (tab 9: tesi<br />

As(III)/IHP, pH 4.5), e sono sempre superiori sia alle quantità adsorbite sulla goethite in<br />

assenza di As (si veda il Par. 1, tabella 5 e il Par. 2, tabella 6), sia a quelle adsorbite nel<br />

caso delle soluzioni miste (tab. 13 e fig. 25-28 d,e,f). L’unica eccezione si ha a pH 8.5<br />

95


dopo un mese di interazione tra goethite e As, dove si osserva una copertura delle<br />

superfici della goethite da parte di entrambe le forme di arsenico molto al di sopra di<br />

quella giustificabile da soli fenomeni di adsorbimento ed una inibizione estremamente<br />

accentuata dell’adsorbimento successivo di IHP (tab 12 e fig. 28 e 29). La quantità di IHP<br />

adsorbito tende a diminuire, seppur lentamente e non a tutti i pH in modo uniforme, al<br />

crescere del tempo di interazione goethite-As (fig. 31) e all’aumentare dell’As adsorbito<br />

(fig. 29). Questa tendenza si verifica in presenza sia di As(III) sia di As(V). Le quantità di<br />

IHP adsorbito sono un po' maggiori in presenza di As(III) piuttosto che di As(V) ma<br />

l’entità della differenza non segue un andamento lineare né col tempo né con il pH.<br />

TAB. 13: Dati relativi alle tesi As(III)+IHP e As(V)+IHP, con tempo di contatto crescente<br />

tra le soluzioni di arsenico e la goethite.<br />

pH<br />

As(III) + IHP As(V) + IHP<br />

As ads IHP ads As ads IHP ads<br />

μmol/m 2<br />

μmol P/m 2<br />

1 ora<br />

μmol/m 2<br />

μmol P/m 2<br />

4.5 0,80 4,97 0,37 4,47<br />

6.5 1,59 3,02 0,27 3,73<br />

8.5 2,30 2,18 - 3,18<br />

7 giorni<br />

4.5 0,78 6,22 / /<br />

6.5 1,55 4,92 1,04 4,21<br />

8.5 2,77 2,96 0,79 2,93<br />

14 giorni<br />

4.5 1,49 7,01 / /<br />

6.5 2,09 4,97 1,25 4,48<br />

8.5 3,25 3,28 0,93 3,03<br />

30 giorni<br />

4.5 1,55 6,71 / /<br />

6.5 2,71 3,50 1,39 4,55<br />

8.5 3,85 2,51 1,32 2,16<br />

As ads = quantità di As(III) o As(V) adsorbita su goethite, espressa in µmol/m 2<br />

IHP ads = quantità di P da IHP adsorbita, espressa in µmol P/m 2<br />

96


As adsorbito (µmol/m 2 )<br />

As adsorbito (µmol/m 2 )<br />

As adsorbito (µmol/m 2 )<br />

4.5<br />

4.0<br />

3.5<br />

3.0<br />

2.5<br />

2.0<br />

1.5<br />

1.0<br />

0.5<br />

0.0<br />

4.5<br />

4.0<br />

3.5<br />

3.0<br />

2.5<br />

2.0<br />

1.5<br />

1.0<br />

0.5<br />

0.0<br />

12.0<br />

10.0<br />

8.0<br />

6.0<br />

4.0<br />

2.0<br />

0.0<br />

ADSORBIMENTO As<br />

As As /IHP As +IHP<br />

(a)<br />

ADSORBIMENTO As<br />

As As/IHP As+IHP<br />

(b)<br />

ADSORBIMENTO As<br />

As As /IHP As+IHP<br />

(c)<br />

30 GIORNI<br />

As(III)<br />

As(V)<br />

As(III)<br />

As(V)<br />

As(III)<br />

As(V)<br />

IHP adsorbito (µmol P/m 2 )<br />

IHP adsorbito (µmol P/m 2 )<br />

IHP adsorbito (µmol P/m 2 )<br />

14.0<br />

12.0<br />

10.0<br />

8.0<br />

6.0<br />

4.0<br />

2.0<br />

0.0<br />

14.0<br />

12.0<br />

10.0<br />

8.0<br />

6.0<br />

4.0<br />

2.0<br />

0.0<br />

14.0<br />

12.0<br />

10.0<br />

8.0<br />

6.0<br />

4.0<br />

2.0<br />

0.0<br />

ADSORBIMENTO IHP<br />

As/IHP IHP+As<br />

(d)<br />

ADSORBIMENTO IHP<br />

As/IHP IHP+As<br />

(e)<br />

ADSORBIMENTO IHP<br />

As/IHP IHP+As<br />

(f)<br />

IHP-As(III)<br />

IHP-As(V)<br />

IHP-As(III)<br />

IHP-As(V)<br />

IHP-As(III)<br />

IHP-As(V)<br />

FIG. 28: Adsorbimento di arsenito, arseniato (a,b,c) e inositolo esafosfato (d,e,f) sulla goethite<br />

dopo un tempo di contatto di 30 giorni, in funzione del diverso ordine di aggiunta <strong>degli</strong><br />

anioni e in corrispondenza dei tre pH di studio: 4.5 (a,d), 6.5(b,e) e 8.5 (c,f).<br />

97


La ritenzione di una quantità più elevata di arsenico sull’ossido per tempi di contatto<br />

crescenti induce quindi una progressiva diminuzione della reversibilità della reazione e<br />

dunque una diminuzione nell'adsorbimento della specie che entra nel sistema in un<br />

secondo momento. Per ogni tempo la ritenzione dell’inositoloesafosfato sulla superficie<br />

già parzialmente ricoperta segue l’andamento con il pH che è proprio di questo anione<br />

solo quando l’arsenico è nello stato di ossidazione +III. Se invece siamo in presenza della<br />

forma pentavalente, l’andamento delle quantità adsorbite di IHP non diminuisce, come<br />

previsto, passando da pH 4.5 a pH 8.5. È possibile che a pH basico, quando sia l’As(V)<br />

sia l’IHP sono in condizioni sfavorevoli all’adsorbimento, l’effetto si dimostri più<br />

accentuato per l’arseniato e la diminuzione del suo adsorbimento consenta al competitore<br />

di legarsi in quantità superiori rispetto al pH 6.5. Questo fenomeno si verificava già per le<br />

prove con tempo di contatto di 24 ore (tab. 6), sia nelle tesi in cui l’As(V) era aggiunto<br />

per primo, sia in quelle in cui era aggiunto contemporaneamente all’IHP.<br />

La stabilità del complesso goethite-As tende ad aumentare con il tempo di interazione per<br />

entrambe le specie di As (fig. 32 a,b), in accordo con quanto osservato da Liu et al.<br />

(2001) e Pigna et al. (2006) per il desorbimento di arseniato ad opera di fosfato<br />

inorganico, mentre, allo stato attuale delle nostre conoscenze, non esistono riferimenti<br />

bibliografici per l'adsorbimento competitivo di arsenico e forme organiche di fosforo, né<br />

per il desorbimento di As ad opera di P organico.<br />

L'effetto del tempo nell'aumentare la stabilità del legame è più evidente a pH acido o<br />

subacido per l'As(III) (fig 32a) e a pH 8.5 per l'As(V) (fig. 32b). L'elevata percentuale di<br />

As(III) e As(V) che resiste all'estrazione con IHP dopo una sola ora di interazione con la<br />

goethite a pH 4.5 è sorprendente e difficilmente spiegabile, anche se una maggiore<br />

resistenza dell'arseniato al desorbimento ad opera di fosfato dopo i tempi di interazione<br />

più brevi è stata riportata (Zhao e Stanforth, 2001). La diminuzione della scambiabilità<br />

dell'arsenico adsorbito sulla goethite ad opera del fosfato al crescere del tempo di<br />

interazione goethite-arsenico non è infatti univocamente descritta in letteratura. Alcuni<br />

autori non trovano effetti significativi del tempo di interazione goethite-As sulla<br />

desorbibilità dell'As ad opera del P inorganico nemmeno passando da tempi di poche ore<br />

a ben 12 mesi (O'Reilly et al., 2001). Altri, invece, trovano addirittura un aumento della<br />

labilità dell'arsenico al crescere del tempo di contatto (Zhao e Stanforth, 2001) ed<br />

ipotizzano la formazione lenta di un precipitato di superficie Fe-As, in cui l'As sarebbe<br />

però molto più facilmente scambiabile da parte del P rispetto a quello trattenuto tramite<br />

adsorbimento vero e proprio con formazione di complessi di superficie i quali, secondo<br />

98


questa ipotesi, sarebbero pressoché irreversibili. I risultati di questa tesi non concordano<br />

con tale interpretazione, ma sono più conformi a quelle fornite da Arai e Sparks (2002),<br />

per spiegare la diminuita estraibilità in fosfato dell'arseniato adsorbito su ossidi di Al<br />

all'aumentare dei tempi di interazione, e da Pigna et al. (2006) per spiegare lo stesso<br />

effetto sia su ossidi di Al che di Fe. Benché il principale meccanismo di adsorbimento<br />

evidenziato da analisi EXAFS continui ad essere la formazione di complessi bidentati<br />

binucleari anche dopo tempi di contatto di vari mesi (O'Reilly et al., 2001; Arai e Sparks,<br />

2002), la maggiore stabilità a tempi di interazione crescenti può essere attribuita al<br />

riarrangiamento dell'arseniato adsorbito, come suggerito sugli ossidi di alluminio dal<br />

modificarsi <strong>degli</strong> spettri XANES al crescere del tempo di contatto (Arai e Sparks, 2002).<br />

Con l'aumentare del tempo di contatto è possibile l'occupazione successiva di siti a<br />

maggiore energia derivanti da difetti strutturali, la migrazione all'interno dei micropori o<br />

della stessa struttura cristallina o anche la formazione di precipitati di superficie che sono<br />

stati osservati sulla ferridrite (Jia et al., 2006). Questi precipitati di superficie<br />

indurrebbero un legame più recalcitrante, e non più debole, dell'arseniato con le particelle<br />

dell'ossido (Arai e Sparks, 2002, Pigna et al., 2006).<br />

Nel presente studio, la fissazione più stabile di entrambe le forme di As, rispetto a tutte le<br />

altre tesi, si osserva a pH 8.5 dopo 30 giorni di interazione. Si ricorda che, in questo<br />

esperimento, le quantità di As(III) e di As(V) adsorbite erano uguali tra loro e pari a 10.9<br />

μmol/m 2 , mentre la quantità di IHP adsorbita successivamente crollava rispetto ai valori<br />

ottenuti a tutti gli altri pH e in seguito a tutti gli altri tempi di interazione As-goethite,<br />

passando da una media generale di circa 9-9.5 μmol/m 2 , a 0.94 μmol/m 2 in presenza di<br />

As(III) e 0.55 μmol/m 2 in presenza di As(V) (tab. 12 e fig. 28f, 31a,b). Poiché la quantità<br />

di arsenico associata alla fase solida era ben oltre la quantità giustificabile da meccanismi<br />

di semplice adsorbimento, è necessario ipotizzare il contributo di altri meccanismi, quali<br />

la diffusione all'interno delle particelle minerali, poco probabile in un tempo così breve, o<br />

la precipitazione di superficie. Entrambe queste ipotesi sarebbero compatibili con la più<br />

elevata stabilità dell'arsenico osservata in queste tesi rispetto a tutte le altre (fig 32a,b).<br />

La concomitante drastica diminuzione dell'adsorbimento di IHP fa pensare a una<br />

notevole trasformazione delle proprietà della superficie adsorbente che potrebbe essere<br />

spiegata dalla formazione di un precipitato di superficie del tipo superficie-arseniato (o<br />

arsenito)-Fe-arseniato (o arsenito), per quanto il pH elevato non favorisca la stabilità dei<br />

sali di Fe dell'arsenico. La nuova superficie così formata, che esibirebbe all'esterno una<br />

99


As adsorbito ( μmol / m 2 )<br />

8<br />

7<br />

6<br />

5<br />

4<br />

3<br />

2<br />

1<br />

copertura pressoché continua di ioni As legati saldamente al Fe, risulterebbe molto poco<br />

affine all'adsorbimento di IHP.<br />

As adsorbito ( μmol / m 2 )<br />

12<br />

10<br />

8<br />

6<br />

4<br />

2<br />

0<br />

0 4 8 12 16 20 24 28 32<br />

Tempo ( giorni )<br />

As(III) pH 4.5 As(III) pH 6.5 As(III) pH 8.5<br />

As(V) pH 4.5 As(V) pH 6.5 As(V) pH 8.5<br />

FIG. 29: Adsorbimento di As(III) o As(V) su goethite [tesi As(III)/IHP e As(V)/IHP]<br />

in funzione del tempo.<br />

0<br />

0 4 8 12 16 20 24 28 32<br />

Tempo ( giorni )<br />

As(III)+IHP pH 4.5 As(III)+IHP pH 6.5 As(III)+IHP pH 8.5<br />

As(V)+IHP pH 4.5 As(V)+IHP pH 6.5 As(V)+IHP pH 8.5<br />

IHP adsorbito ( μmol P/m 2 )<br />

8<br />

7<br />

6<br />

5<br />

4<br />

3<br />

2<br />

1<br />

0<br />

0 4 8 12 16 20 24 28 32<br />

Tempo ( giorni )<br />

FIG. 30: Adsorbimento di As(III) o As(V) (a) ed adsorbimento di IHP (b) su goethite, per<br />

gli esperimenti con aggiunta contemporanea di arsenico e fosfato organico<br />

[tesi As(III) + IHP e As(V) + IHP], in funzione del tempo.<br />

100


IHP adsorbito ( µmol P/m 2 )<br />

As ads Fine ( % As ads Inizio )<br />

12.00<br />

10.00<br />

8.00<br />

6.00<br />

4.00<br />

2.00<br />

0.00<br />

100<br />

90<br />

80<br />

70<br />

60<br />

50<br />

40<br />

30<br />

20<br />

10<br />

0<br />

As(III) / IHP<br />

pH 4.5 pH 6.5 pH 8.5<br />

1 ora 7 giorni 14 giorni 30 giorni<br />

(a)<br />

FIG. 31: Quantità di IHP adsorbito a pH 4.5, 6.5 e 8.5 dopo 1 ora, 7 giorni, 14 giorni o 30<br />

giorni di interazione della goethite con l’As(III) [tesi As(III)/IHP] (a) oppure con<br />

l’As(V) [tesi As(V)/IHP] (b). Il tempo di interazione tra l’IHP e il complesso<br />

goethite-As era di 24 ore.<br />

As(III) / IHP<br />

pH 4.5 pH 6.5 pH 8.5<br />

1 ora 7 giorni 14 giorni 30 giorni<br />

IHP adsorbito ( µmol P/m 2 )<br />

As ads Fine ( % As ads Inizio )<br />

12.00<br />

10.00<br />

8.00<br />

6.00<br />

4.00<br />

2.00<br />

0.00<br />

100<br />

90<br />

80<br />

70<br />

60<br />

50<br />

40<br />

30<br />

20<br />

10<br />

0<br />

As(V) / IHP<br />

(a) (b)<br />

As(V) / IHP<br />

pH 4.5 pH 6.5 pH 8.5<br />

1 ora 7 giorni 14 giorni 30 giorni<br />

pH 4.5 pH 6.5 pH 8.5<br />

1 ora 7 giorni 14 giorni 30 giorni<br />

FIG. 32: Quantità di As(III) (a) o di As(V) (b) che sono rimaste legate alla goethite dopo<br />

24 ore di estrazione in presenza di IHP a pH 4.5, 6.5 e 8.5, espresse come<br />

percentuale dell’As inizialmente adsorbito. I tempi di interazione tra goethite e<br />

As prima dell’introduzione dell’IHP erano di 1 ora, 7 giorni, 14 giorni o 30 giorni.<br />

(b)<br />

101


I dati relativi alle soluzioni miste As+IHP indicano che anche in queste condizioni la<br />

quantità di As adsorbita aumenta al crescere del tempo di contatto e l’aumento è, in<br />

questo caso, molto più marcato rispetto a quello registrato quando ciascuna delle forme di<br />

As era posta da sola a contatto con la goethite. Passando da 1 ora a 30 giorni di contatto,<br />

gli incrementi di adsorbimento per i sistemi con il solo As sono intorno al 20-25 % nel<br />

caso dell’As(III) e del 20-35 % nel caso dell’As(V) (fig. 28), mentre, con le soluzioni<br />

miste As+IHP (tab. 13 e fig 30a), l’adsorbimento di As(III) subisce, negli stessi tempi, un<br />

incremento del 70-95 %; quello di As(V) è addirittura quintuplicato a pH 6.5 e, a pH 8.5<br />

passa da zero a 1.32 μmol/m 2 . In tutti i casi gli incrementi sono più sensibili ai pH più<br />

lontani da quelli ottimali per l’adsorbimento di ciascuna specie, come già osservato per il<br />

confronto dei dati relativi ad 1 ora e 24 ore di interazione. Nonostante per l’As(V) non<br />

siano disponibili i dati a pH 4.5, da quelli ai pH 6.5 e 8.5 è comunque possibile<br />

confermare tale tendenza. Mentre l'adsorbimento di As presenta un aumento continuo con<br />

il tempo (fig 30a), la quantità di IHP adsorbito, dopo un incremento iniziale fino a 14<br />

giorni, tende a diminuire per tutte le tesi (fig. 30b). Questo potrebbe essere spiegato da un<br />

ri-arrangiamento sulle superfici dell'IHP e dell'As. Mentre il primo potrebbe essere<br />

adsorbito con una cinetica più rapida rispetto alle due forme di As, successivamente<br />

queste, di dimensioni più piccole, potrebbero occupare progressivamente siti non<br />

raggiungibili dalle grandi e più rigide molecole di IHP. L'avvicinamento a superfici con<br />

carica negativa indotta dalla presenza di IHP adsorbito è meno ostacolato per queste<br />

specie con carica negativa meno accentuata rispetto all'IHP. Questo, inoltre, favorirebbe<br />

una parziale sostituzione dell'IHP adsorbito quando i tempi di contatto con la soluzione<br />

mista sono molto lunghi e ci si avvicina alla massima quantità adsorbibile sull'ossido. In<br />

tali condizioni, se una molecola di IHP si desorbe dalla superficie (considerando che<br />

quello dell'adsorbimento è un equilibrio dinamico), la sua sostituzione con anioni di As,<br />

più piccoli e meno carichi, potrebbe essere più probabile del suo riadsorbimento o della<br />

sua sostituzione con un'altra molecola di IHP. Ciò condurrebbe a una lenta variazione<br />

dell'equilibrio nel lungo termine, con un aumento della proporzione di As presente sulle<br />

superfici e una tendenza, per quanto modesta, dell'IHP a ritornare nella soluzione.<br />

Nelle tesi in cui l’aggiunta dell’IHP è contemporanea a quella dell’As, le quantità di IHP<br />

adsorbito non superano le 7 μmol P/m 2 (fig. 31), paragonabili con i dati ottenuti dalle<br />

isoterme di adsorbimento a 24 ore (tab. 5), a differenza di quanto accade quando l’IHP<br />

viene aggiunto al sistema dopo che l’ossido ha già interagito con l’arsenico. In<br />

quest'ultimo caso, infatti, le quantità di inositoloesafosfato adsorbito solitamente<br />

102


aggiungono e talvolta superano le 9 μmol P/m 2 . Le elevate quantità di IHP adsorbite su<br />

un substrato che presenta una gran parte dei siti attivi già impegnati a formare complessi<br />

di tipo specifico con un’altra specie, possono essere il risultato di trasformazioni<br />

importanti subite dal materiale adsorbente proprio in seguito all’interazione con gli anioni<br />

che per primi si sono legati alla sua superficie e/o della variazione dei meccanismi di<br />

legame dell’IHP a causa della presenza dell’As già adsorbito. E’ possibile ipotizzare che<br />

nelle prove in esame l’arsenico, una volta adsorbito sulle superfici esterne ed interne delle<br />

particelle di goethite, si possa comportare da disperdente, provocando la disgregazione<br />

della parte amorfa, strutturalmente più debole, e creando così nuova superficie, con il<br />

conseguente aumento dei siti disponibili per la formazione di complessi per la specie<br />

aggiunta nel secondo passaggio della competizione, cioè l’IHP. Questo fenomeno può<br />

spiegare la differenza di comportamento che l’inositoloesafosfato mostra nei due diversi<br />

casi sperimentali, in cui viene immesso nel sistema successivamente all’adsorbimento<br />

dell’arsenico oppure contemporaneamente ad esso. Nel caso della competizione in due<br />

tempi la specie che per prima si trova a contatto con l’ossido è una delle due forme di As,<br />

avente dimensioni tali da consentire il raggiungimento anche dei pori più piccoli interni al<br />

materiale e l’esplicazione dell’effetto di disgregazione descritto sopra nei confronti dello<br />

strato di ferridrite che ricopre le superfici delle particelle. L’IHP aggiunto in un secondo<br />

momento troverebbe così a disposizione una quantità aumentata di siti disponibili, che<br />

altrimenti non sarebbero stati accessibili. L’IHP, infatti, è una molecola piuttosto grande e<br />

densamente carica, e questo ostacola notevolmente il suo avvicinamento alla porzione<br />

interna di superficie del materiale adsorbente, nonostante la grande affinità per quella<br />

esterna, facilmente accessibile. Potrebbe essere per questo motivo che nelle prove di<br />

competizione con aggiunta contemporanea <strong>degli</strong> anioni non si osservano per l’IHP valori<br />

di adsorbimento così elevati come quelli riscontrati in presenza di As già adsorbito: in tali<br />

casi, infatti, con le due specie introdotte nel sistema nello stesso momento, l’arsenico non<br />

avrebbe la possibilità di precedere l’IHP nell’adsorbimento, e di indurre le modificazioni<br />

ipotizzate sulla struttura della goethite. Un’altra possibilità, a cui si è già fatto cenno nel<br />

paragrafo precedente relativo agli esperimenti a 24 ore, è che la preventiva copertura dei<br />

siti adsorbenti da parte dell’As disturbi l’arrangiamento dell’IHP sulla goethite che, in<br />

condizioni ottimali, è in grado di legarsi agli ossidrili singolarmente coordinati alla<br />

superficie dell’ossido tramite 4 dei 6 gruppi fosfatici (Celi et al., 1999). In presenza di<br />

un’altra specie anionica già legata agli stessi siti in quantità prossima alla saturazione,<br />

l’IHP è in grado di sostituire parte <strong>degli</strong> anioni presenti legandosi con uno dei suoi gruppi<br />

103


fosfatici. Il ri-arrangiamento successivo della grossa molecola, con il distacco di altri<br />

anioni arsenico adiacenti in modo da consentire il legame di più gruppi appartenenti alla<br />

stessa molecola potrebbe essere meno probabile rispetto alla sostituzione, casuale, di altri<br />

anioni arsenico da parte di altre molecole di IHP ancora presenti in soluzione. Ipotizzando<br />

la formazione di un legame bidentato dei gruppi fosfatici con l'ossido, analogamente a<br />

quanto accade per il P inorganico (Violante P., 2002), la superficie di una goethite ideale,<br />

con una densità di ossidrili reattivi di 5 μmol/m 2 , potrebbe ospitare 2.5 μmol/m 2 di IHP<br />

legato tramite uno solo dei gruppi fosfato, corrispondenti a 15 μmol/m 2 di P. Per<br />

adsorbire la media di circa 9-9.5 μmol/m 2 di P, ottenuta considerando l’adsorbimento di<br />

IHP dopo As in tutte le tesi in esame, sarebbero sufficienti 3-3.2 μmol/m 2 di ossidrili<br />

liberi. In effetti, l’arsenico residuo dopo l’interazione con l’IHP è, in media, 1 μmol/m 2<br />

(pur con variabilità abbastanza elevata in base ai tempi, ai pH e alla specie considerata),<br />

in grado di occupare le restanti 2 μmol/m 2 di ossidrili. La media della somma delle<br />

μmol/m 2 di As e di P ai diversi pH e tempi di contatto As-goethite è in effetti<br />

relativamente costante (deviazione standard = 7.5 %; n = 24), e corrisponde a 10.4<br />

μmol/m 2 sia tra le tesi As(III)/IHP che tra le tesi As(V)/IHP. Quando As e IHP vengono<br />

aggiunti contemporaneamente, la cinetica di adsorbimento dell’IHP potrebbe essere più<br />

veloce di quella dell’As dando modo alle grosse molecole di sistemarsi con un numero<br />

maggiore di gruppi legati alla superficie. In questo caso, la copertura media risultante<br />

dalla somma di tutte le specie adsorbite è 5.4 μmol/m 2 , benché con variabilità molto<br />

maggiore in funzione della specie di As considerata, del pH e del tempo di contatto.<br />

Ripetendo i calcoli precedenti si ottiene, come indicazione di massima, un possibile<br />

legame dell’IHP con 2 o 3 dei suoi 6 gruppi fosfatici quando esso è posto a interagire<br />

contemporaneamente all'As.<br />

L’ipotesi della dispersione operata dall’As adsorbito e quella del peggiore arrangiamento<br />

delle molecole dell’IHP quando, per adsorbirsi, esso deve sostituire gli anioni di As,<br />

causando, paradossalmente, un aumento del numero di molecole legate per unità di<br />

superficie, non si escludono a vicenda e i due fenomeni potrebbero concorrere, in varia<br />

misura, a spiegare le osservazioni fatte. Tuttavia, se si verificasse dispersione, ci si<br />

potrebbe aspettare un incremento dell’adsorbimento di IHP dopo As(V) superiore rispetto<br />

a quello dopo As(III) per via del maggior contributo all’incremento di carica negativa<br />

dato dall’arseniato rispetto all’arsenito, prevalentemente indissociato ai pH di studio, cosa<br />

che, invece, non avviene.<br />

104


4. Effetto dell’adsorbimento di anioni sul potenziale zeta della<br />

goethite<br />

L’adsorbimento di ioni sulle particelle di un minerale a carica variabile è in grado di<br />

modificarne alcune proprietà, tra le quali la carica superficiale (Prati, 2002). Per tale<br />

ragione, il potenziale zeta della goethite è stato misurato sia per il minerale puro, prima<br />

dell’adsorbimento con As o IHP, sia successivamente all’interazione tra il minerale ed i<br />

vari anioni a differenti tempi di contatto. Ciò ha permesso di avere ulteriori informazioni<br />

sulla relazione tra la durata dell’adsorbimento e la modificazione della carica superficiale<br />

indotta da ciascuna specie. Per valutare correttamente questa variazione e la sua entità è<br />

necessario conoscere quella dovuta semplicemente al cambiamento delle condizioni di<br />

pH. Per questo motivo il potenziale ζ è stato misurato anche sulla sospensione di ossido<br />

puro, in corrispondenza <strong>degli</strong> stessi valori di pH scelti per le prove di competizione.<br />

4.1. POTENZIALE ZETA DELLA GOETHITE<br />

Il potenziale ζ della goethite a pH 4.5, 6.5 e 8.5 è risultato essere rispettivamente +38.3,<br />

+30.7 e +28.0 mV. La superficie dell’ossido, quindi, ai tre pH considerati, presenta<br />

valori di potenziale ζ decrescenti ma sempre positivi, che favoriscono l’avvicinamento<br />

delle specie anioniche ai siti di adsorbimento. Questo andamento concorda con quello<br />

abitualmente riscontrato per tale ossido di ferro, il cui PZC viene raggiunto,<br />

generalmente, al di sopra della neutralità, nell’intervallo di pH tra 8 e 9 (Kosmulski,<br />

2004).<br />

4.2. EFFETTO DELL’ADSORBIMENTO<br />

Il potenziale ζ è stato determinato sulle sospensioni di goethite a diversi tempi di<br />

interazione (1 ora, 7 giorni, 14 giorni, 30 giorni) con le soluzioni di As(III) o As(V) a<br />

pH 4.5, 6.5 e 8.5 (tabella 14). Il potenziale ζ della goethite con il solo IHP è stato<br />

misurato solo per la prova a 24 ore ed era, in media, intorno ai - 45 mV come atteso<br />

(Celi et al., 1999) e non mostrava variazioni significative con il pH (dati non riportati).<br />

I valori di potenziale ζ misurati in seguito ad adsorbimento di As(III) (tab. 14, fig 33)<br />

sono sempre positivi per gli esperimenti condotti a pH 4.5. Il potenziale ζ dopo un’ora<br />

di interazione non è significativamente diverso da quello dell’ossido in assenza di<br />

adsorbati (+ 39 mV e + 38 mV rispettivamente), scende progressivamente fino a + 23<br />

mV dopo 14 giorni e torna a salire intorno a + 40 mV dopo 30 giorni di interazione. A<br />

105


pH 6.5 i valori dopo un’ora di contatto con l’arsenito sono già inferiori a quelli<br />

dell’ossido da solo allo stesso pH (+ 14 mV e + 28 mV rispettivamente), continuano a<br />

scendere fino a passare da positivi a leggermente negativi con l’aumentare del tempo, da<br />

una a due settimane, stabilizzandosi intorno a -7 / -4 mV. A pH 8.5 i valori di potenziale<br />

ζ sono negativi per tutti i tempi di contatto, con un minimo dopo 14 giorni (-13 mV).<br />

Per l’As(V), invece, i valori di potenziale ζ sono nettamente negativi per tutti i tempi e<br />

tutte le condizioni di pH. A pH 4.5 l’adsorbimento di arseniato è in grado di spostare la<br />

carica della goethite da + 38 mV a -14 mV già dopo un’ora di interazione, raggiungendo<br />

un valore minimo di - 25 mV dopo 14 giorni. I valori misurati a pH 6.5 differiscono<br />

poco da quelli ottenuti a pH 8.5 e, anche in questi casi, i potenziali più negativi, intorno<br />

ai - 40 mV, si misurano dopo 14 giorni di contatto.<br />

TAB. 14: Potenziale ζ della goethite a tempi di interazione crescenti con<br />

As(III) o As(V) [tesi As(III)/IHP e As(V)/IHP] a pH 4.5, 6.5 e 8.5.<br />

1 ora 7 giorni 14 giorni 30 giorni<br />

pH Potenziale ζ (mV)<br />

As(III)<br />

4,5 + 38,9 + 29,4 + 23,0 + 40,9<br />

6,5 + 15,8 + 16,0 - 6,8 - 3,6<br />

8,5 - 6,0 - 5,0 - 12,9 - 8,2<br />

As(V)<br />

4,5 - 14,1 - 10,1 - 24,9 - 18,8<br />

6,5 - 35,0 - 30,8 - 42,1 - 29,6<br />

8,5 - 36,3 - 35,9 - 40,1 - 20,3<br />

L’adsorbimento specifico di anioni tende a spostare il potenziale delle superfici a carica<br />

variabile verso valori più negativi, come osservato per l’adsorbimento sia di arseniato<br />

sia di arsenito su ossidi di Fe (Goldberg e Johnston, 2001). L’arsenito è presente come<br />

acido arsenioso indissociato (H3AsO3), quindi nella forma neutra, in tutto l’intervallo di<br />

pH al di sotto di 9.2, corrispondente alla sua pKa1 (tab. 1), e dunque in tutte le<br />

condizioni sperimentali esaminate. Non contribuisce così in modo diretto alla variazione<br />

della carica superficiale del materiale su cui si adsorbe, al contrario dell’arseniato, ma,<br />

probabilmente, poiché l’adsorbimento specifico avviene di preferenza sugli ossidrili<br />

monocoordinati protonati, il legame dell’arsenito a questi siti implica una riduzione<br />

sostanziale del numero delle cariche positive di superficie, spostando così il potenziale ζ<br />

106


dell’ossido verso valori più bassi. L’effetto meno diretto sulla carica rispetto alle specie<br />

anioniche dissociate fa sì che, anche in corrispondenza di lunghi tempi di contatto, e di<br />

massima copertura della superficie da parte dell’As(III), la superficie si mantenga<br />

fortemente positiva a pH acido. L’As(V), invece, ai pH considerati è sempre presente in<br />

forma anionica, come acido arsenico variamente dissociato che porta una (H2AsO4 - ) o<br />

due (HAsO4 2- ) cariche negative (tab.1). Il suo adsorbimento provoca l’immediata<br />

inversione della carica superficiale dell’ossido, che risulta negativa già per il tempo di<br />

contatto più breve e in corrispondenza di tutti i pH considerati, con una diminuzione<br />

progressiva del potenziale ζ passando dal pH acido (- 14 mV) a quello intermedio (- 35<br />

mV) e poi a quello basico (- 36 mV). Questo andamento è valido anche per le prove<br />

relative ai tempi più lunghi, anche se per quella con tempo di contatto di 30 giorni il<br />

valore di potenziale a pH 6.5 è più negativo di quello a pH 8.5.<br />

Il grafico in fig. 33 evidenzia un generale abbassamento del potenziale ζ al crescere del<br />

tempo di contatto e al procedere della fase lenta di adsorbimento fino alle due settimane,<br />

seguito da un’inversione di tendenza in corrispondenza della prova a un mese, dove il<br />

potenziale ζ ritorna a spostarsi verso valori superiori. Questa osservazione potrebbe<br />

supportare indirettamente l’ipotesi di un graduale riarrangiamento <strong>degli</strong> anioni adsorbiti<br />

sulla superficie, che potrebbe essere alla base della maggiore stabilità del complesso<br />

goethite-As nei confronti dell’estrazione mediante IHP all’aumentare del tempo di<br />

contatto tra goethite e As.<br />

L’effetto dell’adsorbimento di IHP dopo arsenico sulla carica superficiale (tab. 15) è<br />

stato verificato per un solo tempo di contatto (14 giorni), dove gli effetti di entrambe le<br />

specie di As adsorbite erano massimi. L’adsorbimento di IHP, pur avvenendo su una<br />

superficie già saturata con un altro anione, rende le superfici estremamente negative<br />

(valori compresi tre - 34 mV dopo arsenito a pH 4.5 e - 48 mV dopo arsenito a pH 6.5 e<br />

8.5) con potenziali ζ analoghi a quelli ottenuti per l’adsorbimento dell’IHP come unica<br />

specie in prove effettuate per questa tesi (dati non mostrati) e a valori presentati in altri<br />

lavori (Prati, 2002). L’elevata densità di carica dell’IHP fa sì che l’adsorbimento di<br />

questo anione, anche su una superficie già parzialmente occupata da altre specie, domini<br />

la carica di superficie dell’ossido a tutti i pH. Ciò non sorprende, considerando che<br />

l’aggiunta di IHP ad una sospensione di goethite a pH 4.5 comporta un’inversione della<br />

carica dell’ossido già alle aggiunte più basse utilizzate per costruire l’isoterma di<br />

adsorbimento (Celi et. al., 1999).<br />

107


TAB. 15: Potenziale ζ della goethite dopo 14 giorni di interazione con As(III) o<br />

As(V) a pH 4.5, 6.5 e 8.5 e successiva introduzione di IHP [tesi<br />

As(III)/IHP e As(V)/IHP].<br />

pH<br />

14 giorni<br />

Potenziale ζ (mV)<br />

As(III) / IHP<br />

4,5 - 33,8<br />

6,5 - 48,4<br />

8,5 - 48,1<br />

As(V) / IHP<br />

4,5 - 39,5<br />

6,5 - 43,4<br />

8,5 - 43,8<br />

Per quanto riguarda gli esperimenti in cui l’aggiunta di ciascuna delle due specie di<br />

arsenico è contemporanea a quella dell’IHP (tab. 16 e fig. 34), la modificazione delle<br />

proprietà della superficie appare omogenea: tutti i dati di potenziale ζ misurati sono<br />

molto negativi in tutte le condizioni di pH e per tutti i tempi di contatto (valori compresi<br />

tra - 48 mV e -32 mV). Anche con l’aggiunta delle soluzioni miste sembra quindi essere<br />

l’IHP adsorbito a controllare la carica dell’ossido mascherando il diverso effetto sulla<br />

carica che distingue l’adsorbimento delle due forme di As.<br />

TAB. 16: Potenziale ζ della goethite a tempi di interazione crescenti con le<br />

soluzioni miste As(III) + IHP o As(V) + IHP a pH 4.5, 6.5 e 8.5 [tesi<br />

As(III)/IHP e As(V)/IHP].<br />

1 ora 7 giorni 14 giorni 30 giorni<br />

pH Potenziale ζ (mV)<br />

As(III) + IHP<br />

4,5 - 46,1 - 44,1 - 40,9 - 38,8<br />

6,5 - 45,1 - 48,4 - 40,4 - 38,1<br />

8,5 - 40,3 - 41,4 - 44,6 - 33,9<br />

As(V) + IHP<br />

4,5 - 45,6 - 41,3 - 37,6 - 32,4<br />

6,5 - 45,4 - 44,0 - 45,9 - 38,3<br />

8,5 - 43,3 - 43,6 - 46,8 - 36,9<br />

108


Potenziale ζ (mV)<br />

50<br />

40<br />

30<br />

20<br />

10<br />

0<br />

-10<br />

-20<br />

-30<br />

-40<br />

-50<br />

0 4 8 12 16 20 24 28 32<br />

Tempo (giorni)<br />

As(III) pH 4.5 As(V) pH 4.5 As(III) pH 6.5<br />

As(V) pH 6.5 As(III) pH 8.5 As(V) pH 8.5<br />

FIG. 33: Variazione del potenziale ζ della goethite in funzione del tempo di interazione<br />

con le soluzioni di As(III) o As(V) [tesi As(III)/IHP e As(V)/IHP] a pH 4.5, 6.5,<br />

8.5.<br />

Potenziale ζ (mV)<br />

-25<br />

-30<br />

-35<br />

-40<br />

-45<br />

-50<br />

0 4 8 12 16 20 24 28 32<br />

Tempo (giorni)<br />

As(III)+IHP pH 4.5 As(V)+IHP pH 4.5 As(III)+IHP pH 6.5<br />

As(V)+IHP pH 6.5 As(III)+IHP pH 8.5 As(V)+ IHP pH 8.5<br />

FIG. 34: Variazione del potenziale ζ della goethite in funzione del tempo di interazione<br />

con le soluzioni miste di arsenico e inositolo esafosfato [tesi As(III)+IHP e<br />

As(V)+IHP] a pH 4.5, 6.5, 8.5.<br />

109


Il potenziale ζ si sposta uniformemente verso valori sempre meno negativi<br />

all’aumentare del tempo di contatto per As(III) + IHP e As(V) + IHP a pH 4.5 (fig 34),<br />

mentre per gli altri pH considerati, si osserva un minimo dopo 7 giorni di interazione<br />

per la tesi As(III) + IHP a pH 6.5 e dopo 14 giorni per tutte le restanti tesi, prima di<br />

risalire verso valori decisamente meno negativi dopo 30 giorni di interazione. Il ritorno<br />

verso valori meno negativi dopo 30 giorni di interazione rispetto ai tempi precedenti si<br />

era verificato anche nel caso dell’adsorbimento del solo arsenico, ma in modo meno<br />

marcato. Benché sia l’adsorbimento di IHP a controllare la carica della goethite, non si<br />

può escludere che questo andamento tendenzialmente decrescente della carica possa<br />

essere dovuto all’incremento dell’adsorbimento di arsenito e arseniato, che, al contrario<br />

di quello di IHP, continua a crescere per tutti i 30 giorni di interazione quando<br />

l’influenza della presenza di queste due specie meno cariche potrebbe diventare in<br />

qualche modo rilevabile. Oppure, come ipotizzato per l’arsenico, anche l’IHP adsorbito<br />

potrebbe andare incontro ad un riarrangiamento sulle superfici che conduce ad una<br />

situazione in cui l’effetto sulla carica dell’ossido diviene meno sensibile.<br />

110


Capitolo V<br />

CONCLUSIONI<br />

Lo studio della competizione dell’As con l’inositolo esafosfato ha portato ad osservare che<br />

questa forma di fosforo è, così come l’anione ortofosfato, un forte competitore dell’arsenico<br />

nelle reazioni di adsorbimento che avvengono sulla superficie <strong>degli</strong> ossidi di ferro presenti nei<br />

suoli, come la goethite. La somiglianza delle caratteristiche chimiche dei due elementi è alla<br />

base di questa attitudine comune.<br />

I risultati di questo lavoro mettono in evidenza delle differenze di comportamento fra<br />

l’arsenico e l’IHP nell’adsorbimento sulla goethite, e tra le due forme dell’As a diverso stato<br />

di ossidazione nei confronti dell’inositolo esafosfato.<br />

Le variabili che regolano la competizione tra arsenico e IHP (pH, ordine di aggiunta <strong>degli</strong><br />

anioni, tempo), hanno effetti più pronunciati sull’adsorbimento e il desorbimento dell’As(V)<br />

piuttosto che dell’As(III). L’interazione dell’arsenito con i colloidi del suolo, al contrario di<br />

quella instaurata dall’arseniato, mostra, infatti, di essere parzialmente indipendente dalla<br />

presenza di fosforo organico nello stesso sistema. Probabilmente l’adsorbimento avviene con<br />

meccanismi in parte diversi per le due specie di As, coinvolgendo siti differenti e non<br />

ugualmente accessibili, e portando, nel caso dell’As(III), oltre che a fenomeni di<br />

adsorbimento specifico, forse anche alla formazione di complessi di natura diversa,<br />

caratterizzati da legami più deboli. Ciò significa che un’elevata concentrazione di inositolo<br />

esafosfato presente nella soluzione del suolo o fissato sugli ossidi di ferro non implica<br />

necessariamente che la capacità di un suolo di adsorbire arsenico ne risulti annullata, ma<br />

piuttosto che la capacità adsorbente dei minerali a carica variabile è largamente dipendente<br />

dal potenziale redox del sistema. In presenza di P organico la disponibilità di siti attivi è<br />

nettamente maggiore per la forma ridotta dell’As, che risulta però complessivamente più<br />

labile; l’adsorbimento della forma ossidata è, invece, quantitativamente sfavorito, perché<br />

l’As(V) e l’IHP si legano prevalentemente agli stessi siti, ma in questo caso i complessi<br />

formati sono più stabili.<br />

Per quanto riguarda, invece, il desorbimento, da tutte le prove di competizione è emerso che<br />

l’inositolo esafosfato si adsorbe in modo pressoché irreversibile sulla goethite e, al contrario<br />

del fosfato inorganico, non viene rimosso dalla superficie dell’ossido da nessuna delle due<br />

specie di As (stati di ossidazione +III e +V) in tutto l’intervallo di pH considerato. L’IHP si<br />

111


avvale di interazioni di tipo specifico molto forti che impediscono del tutto ad arsenito ed<br />

arseniato, se aggiunti in un secondo momento, di sostituirlo sui siti di adsorbimento.<br />

L’inositolo esafosfato, al contrario, agisce efficacemente sostituendo in parte l’arsenico nella<br />

maggioranza dei casi. La relazione tra arsenico e fosforo organico nell’adsorbimento<br />

competitivo su goethite, quindi, è fortemente favorevole all’immobilizzazione del secondo<br />

elemento piuttosto che del primo.<br />

Considerando i risultati osservati al variare del tempo di contatto tra adsorbato e materiale<br />

adsorbente, risulta anche che gli andamenti dell’adsorbimento di As e P nel tempo sono<br />

differenti. Le reazioni che coinvolgono arsenito ed arseniato proseguono nel tempo e non<br />

raggiungono un vero equilibrio: queste specie continuano ad interagire con le superfici e<br />

vengono ancora sottratte in minima quantità dalla soluzione anche dopo un contatto di un<br />

mese.<br />

Non del tutto spiegabile è l’aumento osservato della quantità di As associato alla fase solida,<br />

molto accentuato a pH basico dopo un mese di contatto, per entrambi gli stati di ossidazione.<br />

Un tale dato indica la possibilità che in alcune condizioni facciano la loro comparsa delle<br />

interazioni diverse dall’adsorbimento.<br />

L’adsorbimento di P organico in presenza di As nella soluzione, invece, ha un andamento più<br />

complesso: l’andamento crescente mostra di stabilizzarsi nel tempo, per poi invertire questa<br />

tendenza con quantità adsorbite che sono minori ai tempi di interazione più lunghi. La<br />

molecola di IHP probabilmente subisce un riarrangiamento sulla superficie reattiva <strong>degli</strong><br />

ossidi, modificando la propria disposizione ed il modo di legarsi ad essa, e questo influisce<br />

sull’interazione osservata.<br />

Confrontando i risultati ottenuti da questo lavoro con la letteratura esistente relativa alla<br />

competizione dell’arsenico con il fosfato inorganico, è possibile ipotizzare che l’IHP sia un<br />

competitore ancora più forte dell’anione PO4 3- nei confronti dell’arsenico, con un<br />

comportamento che sembra piuttosto diverso, specialmente quando la competizione avviene<br />

su un ossido già in parte ricoperto da arseniato o arsenito. In questo caso, infatti,<br />

l’adsorbimento di inositolo esafosfato non viene inibito dalla presenza di As(III) o As(V)<br />

sulla superficie della goethite, come in altri lavori è stato osservato per l’ortofosfato. Al<br />

contrario, la capacità di ritenzione del sistema ossido-As nei confronti del P organico risulta<br />

ulteriormente aumentata. Questo indica che la mobilità dell’As nel suolo e le dinamiche di<br />

trasferimento dalle superfici <strong>degli</strong> ossidi di ferro alle acque potrebbero essere influenzate dalla<br />

competizione con l’IHP in modo molto diverso che dalla competizione con il PO4 3- .<br />

Condizioni differenti, responsabili della presenza nel suolo di un forma di fosforo o dell’altra,<br />

112


potrebbero per esempio essere quelle legate ad un inquinamento da composti di sintesi,<br />

contenenti fosfato inorganico, oppure all’apporto massiccio di fertilizzanti naturali di origine<br />

animale, ricchi, invece, di P organico.<br />

Sebbene l’As(III), più tossico dell’As(V), sia considerato più mobile, e quindi più pericoloso,<br />

questo studio ha messo in evidenza che, proprio a causa delle più pronunciate differenze<br />

strutturali e di comportamento tra questa specie ed il P organico, tale situazione non sempre è<br />

vera. L’As(III), infatti, ha maggiori possibilità di interazione con gli ossidi di Fe. Questo fa sì<br />

che, spesso, le quantità di As(V) disciolto nelle acque superficiali e di falda siano più elevate,<br />

e quindi che l’arsenico presente nei suoli in forma ossidata sia quello che ha la maggiore<br />

probabilità di contaminare i corpi idrici e di entrare in contatto con gli esseri viventi.<br />

Le dinamiche che regolano la presenza dell’As nelle acque sono comunque molto complesse,<br />

e lontane dall’essere chiarite. Questo lavoro ha semplicemente provato ad esplorare uno dei<br />

tanti fronti di ricerca su questo argomento che ancora non era stato affrontato, ma che merita<br />

di essere considerato con attenzione e che necessita di ulteriori sperimentazioni, data la<br />

sempre maggiore diffusione delle pratiche di utilizzo e distribuzione nell’ambiente di reflui<br />

zootecnici contenenti elevate quantità di fosforo organico anche su suoli che possono essere<br />

contaminati da As e da altri componenti pericolosi.<br />

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