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Paolo Scaroni - Comitato Natura Verde

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Uno Yes Man alla guida dell'Eni<br />

Il caso <strong>Paolo</strong> <strong>Scaroni</strong> Ovvero il manager all'italiana<br />

di Marco Travaglio (27 ottobre 2004)<br />

Quale migliore occasione per il cavaliere di<br />

importare il gas di Putin senza pagare un "tubo"<br />

già pagato dai contribuenti? Il "tubo" in questione<br />

è il gasdotto dell'Eni che porta in Italia il gas<br />

russo.<br />

Fantapolitica? Staremo a vedere.<br />

Giochino di società. Confrontare questi tre lanci di agenzia, uno del 1996,<br />

l'altro del 2002, il terzo di pochi giorni fa, e trovare l'eventuale errore.<br />

Il primo - un'Ansa da Milano del 22 febbraio 1996 - dice così: «Il<br />

vicepresidente della Techint, <strong>Paolo</strong> <strong>Scaroni</strong>, ha patteggiato la condanna a un<br />

anno e quattro mesi di reclusione per le tangenti pagate per gli appalti nelle<br />

centrali Enel. La sentenza è stata emessa dai giudici della sesta sezione<br />

penale del Tribunale di Milano. <strong>Scaroni</strong> era accusato di corruzione dal Pm<br />

<strong>Paolo</strong> Ielo per una serie di tangenti versate al Psi quando era amministratore<br />

delegato della Techint».<br />

Seconda agenzia Ansa, datata Roma 24 maggio 2002: «L'assemblea dell'Enel<br />

ha approvato le liste dei nomi proposti dall'azionista di maggioranza e da quelli<br />

di minoranza per il rinnovo del cda del gruppo, nominando alla presidenza - su<br />

proposta del Tesoro - Piero Gnudi. Nel pomeriggio è prevista la nomina di<br />

<strong>Paolo</strong> <strong>Scaroni</strong> ad amministratore delegato».<br />

Terza agenzia, stavolta dell'Adnkronos, datata 21 ottobre 2004: «Ecco l'elenco<br />

dei Cavalieri del Lavoro, nominati dal presidente della Repubblica Carlo<br />

Azeglio Ciampi, su proposta del ministro delle Attività produttive Antonio<br />

Marzano, di concerto col ministro per le Politiche agricole Gianni Alemanno,<br />

con l'indicazione del settore economico e della regione di attività: (...) <strong>Paolo</strong><br />

<strong>Scaroni</strong> (elettrica, Lombardia)».<br />

Niente paura, non c'è nessun errore. Non ci sono casi di omonimia: il <strong>Paolo</strong><br />

<strong>Scaroni</strong> promosso dal governo amministratore delegato dell'Enel e nominato<br />

Cavaliere del Lavoro su proposta dello stesso governo Berlusconi è lo stesso<br />

<strong>Paolo</strong> <strong>Scaroni</strong> che, quand'era vicepresidente della Techint, pagava le tangenti<br />

al Psi di Bettino Craxi e patteggiò la relativa pena di un anno e 4 mesi di<br />

reclusione davanti al tribunale di Milano.<br />

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Uno Yes Man alla guida dell'Eni<br />

E non ci sono nemmeno errori di valutazione: in Italia un condannato (sia pure<br />

col patteggiamento) per tangenti non è ritenuto incompatibile con incarichi in<br />

un'azienda pubblica o semipubblica. Anzi. Prima di pagare le mazzette<br />

<strong>Scaroni</strong> ne dirigeva una privata: fu promosso a quella pubblica solo dopo che<br />

fu preso con le mani nel sacco e patteggiò la pena. Forse per dargli<br />

un'altra chance. Ora è arrivata la decorazione finale: il cavalierato del Lavoro<br />

dalle mani del capo dello Stato (ovviamente ignaro del suo pedigree). Una<br />

sorta di risarcimento all'incontrario, riservato al colpevole anziché alle vittime.<br />

Nessun errore, ci mancherebbe. In un paese governato da ben altro<br />

Cavaliere, è tutto nella norma. Tutto, ma proprio tutto. Anche la mezza pagina<br />

d'intervista che il Corriere della Sera ha voluto gentilmente regalare il 20<br />

ottobre a Marcello Dell'Utri, per la firma di Maria Latella, valente giornalista<br />

che ha appena pubblicato un libro intervista alla signora Berlusconi.<br />

L'intervista-lenzuolo a Dell'Utri è comparsa proprio sotto i servizi dedicati dal<br />

Corriere alla controriforma dell'ordinamento giudiziario. Scelta azzeccata<br />

quant'altre mai, visto che stiamo parlando di un signore condannato in via<br />

definitiva a un paio d'anni a Torino per false fatture e frode fiscale, condannato<br />

in primo grado a Milano per tentata estorsione insieme al boss di Trapani<br />

Vincenzo Virga, imputato a Milano per falso in bilancio e a Palermo per<br />

concorso esterno in associazione mafiosa e per calunnia pluriaggravata.<br />

Figurarsi con quale avidità i lettori del Corriere si sono avventati sull'intervista,<br />

dall'avvincente titolo: «Dell'Utri: è tempo di pensare ai nuovi leader». Titolo<br />

che faceva presagire un più che opportuno ritiro dalla politica del personaggio<br />

in questione. Invece non era di questo che si parlava, né dei suoi copiosi guai<br />

giudiziari: ma di come rinnovare la classe dirigente, un'alta missione affidata<br />

proprio a lui, l'uomo giusto al posto giusto. L'implacabile intervistatrice, poi, lo<br />

incalzava con domande impietose: «L'Italia è una società immobile. Però si<br />

fanno un sacco di convegni. Ci si mette anche lei?».<br />

Dell'Utri vacillava, ma Latella insisteva: «Da Giulio Cesare a Shakespeare, i<br />

potenti non sono mai granché lieti di occuparsi della successione». Dell'Utri<br />

abbozzava una difesa, ma Latella lo colpiva ancora con un gancio destro:<br />

«Nel vostro convegno di Sorrento si parlerà di formazione e anche di ricerca:<br />

chi è più responsabile dei ritardi nell'uno e nell'altro campo?». Dell'Utri<br />

implorava pietà, ma Latella era incontenibile: «A proposito di calcio, lei che ha<br />

un grande amico nel settore, può aiutarci a capire perché appena un<br />

imprenditore italiano fa due lire si compra subito una squadra?».<br />

Dell'Utri, alle corde, faceva per avvicinarsi ai secondi, e si iscriveva alla<br />

categoria dei nuovi poveri («Ricco io? Io ho i mutui, e chi ha i mutui non è<br />

ricco. Tra tasse, mutui e quattro figli da mantenere, non mi rimane granché<br />

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per sentirmi ricco»). Ma Latella lo finiva con un uppercut dei suoi: «Restiamo<br />

sul terreno del pallone: che ne pensa della disputa tra Galliani e Della Valle?».<br />

Premio Pulitzer a lei. O cavalierato a lui.<br />

<strong>Scaroni</strong>, un uomo tutto d'un pezzo, "da 90"<br />

«In termini personali, io ho pedalato in<br />

discesa tutta la vita. All’improvviso, mi sono<br />

trovato davanti questo enorme problema,<br />

che mi ha reso più fiducioso in me stesso e<br />

mi ha fatto capire che sarei in grado di<br />

pedalare anche in salita». Chi parla,<br />

intervistato sulle colonne dell’autorevole<br />

Financial Times, è <strong>Paolo</strong> <strong>Scaroni</strong>, 55 anni,<br />

uomo ottimista e manager di successo.<br />

L’«enorme problema» a cui accenna è un<br />

arresto, subìto da <strong>Scaroni</strong> nel pieno di<br />

Mani pulite e seguito da una pena,<br />

patteggiata, di 1 anno e 4 mesi. Per<br />

tangenti: pagate per ottenere appalti e<br />

ammesse davanti ai magistrati. Ma dieci<br />

anni dopo, <strong>Scaroni</strong>, sul quotidiano<br />

londinese, si autoassolve: «In un paese in<br />

cui gli affari e il governo erano così<br />

strettamente intrecciati, dove le istituzioni<br />

erano controllate dai politici, era possibile<br />

comportarsi in modo diverso? La risposta<br />

semplice è: no, non era possibile». Chiusi<br />

così i conti con Mani pulite, il manager<br />

riprende felicemente a pedalare in discesa.<br />

Dopo un breve esilio è tornato in Italia ed è<br />

risalito sulla cresta dell’onda: il 13 maggio<br />

2002 è stato nominato dal governo<br />

Berlusconi amministratore delegato<br />

dell’Enel: proprio l’azienda pubblica da cui<br />

dieci anni prima aveva «comprato» appalti,<br />

a suon di tangenti («Something that in<br />

retrospect is somewhat ironic», si<br />

permette di commentare il Financial Times).<br />

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Ora, con la sua intervista del 3 ottobre 2002, si offre di fatto come caso<br />

emblematico, diventa paradigma dei rapporti tra affari e politica in Italia: una<br />

vicenda esemplare, una microstoria da studiare. Vale la pena dunque di<br />

accettare il terreno di confronto. E allineare materiali e informazioni per<br />

illuminare il caso e capire il fenomeno.<br />

Tangentopoli, due volte protagonista!!!<br />

<strong>Paolo</strong> Mario <strong>Scaroni</strong>, vicentino, studia alla Bocconi e si specializza a New<br />

York, alla Columbia University. Lavora alla McKinsey, alla Chevron, alla Saint<br />

Gobain, infine alla Techint, il gruppo della famiglia Rocca, con grandi interessi<br />

in Messico e Argentina. Proprio come amministratore delegato della Techint<br />

inciampa nell’inchiesta Mani pulite: il 14 luglio 1992 viene arrestato con<br />

l’accusa di aver pagato tangenti ai partiti per ottenere appalti dall’Enel.<br />

Dopo qualche tempo confessa: «Dal 1985 a oggi ho versato al Partito<br />

socialista circa 2 miliardi e mezzo, sempre su richiesta dell’onorevole<br />

Balzamo, consegnandogli denaro a volte in contanti e a volte su conti esteri».<br />

Racconta a verbale di essere stato convocato a metà degli anni Ottanta da<br />

Vincenzo Balzamo, segretario amministrativo del Psi e braccio destro<br />

finanziario di Bettino Craxi, il quale gli avrebbe spiegato che gli appalti alla<br />

Techint sarebbero stati condizionati da contributi versati al partito socialista.<br />

Gli uomini del Psi messi nei posti chiave, spiega <strong>Scaroni</strong> ai magistrati, «erano<br />

in grado di stoppare qualsiasi iniziativa del gruppo Techint, qualora non ci<br />

fossimo adeguati al sistema».<br />

Il manager si adegua. Agli inizi degli anni Novanta, però, il sistema sembra<br />

incepparsi: «Craxi aveva espresso uno sgradimento nei miei confronti», gli<br />

viene spiegato nel 1991 da un collaboratore di Balzamo, Vittorio Valenza.<br />

<strong>Scaroni</strong> chiede allora udienza al rappresentante di Craxi nel settore energia,<br />

Bartolomeo De Toma: «Mi fece capire che la ragione per cui Craxi ce l’aveva<br />

con noi era perché voleva più soldi dall’impresa». Il leader socialista voleva<br />

alzare il prezzo. «Transattivamente, convenimmo su un versamento della<br />

somma di lire 800 milioni».<br />

Tornerà in cella, per un giorno, nell’aprile 1993. Ammesse le tangenti – ma<br />

non un ruolo da regista nelle mazzette Enel – al processo, che si celebra nel<br />

1996, <strong>Scaroni</strong> chiede di patteggiare la pena: 1 anno e 4 mesi, sotto la soglia<br />

che obbliga a entrare in carcere. Con ciò, chiude i suoi problemi penali.<br />

Segue un periodo di eclissi, durante il quale però <strong>Scaroni</strong> realizza il suo<br />

capolavoro: la compravendita della Siv. Scoppiata Tangentopoli, lo Stato avvia<br />

la gigantesca operazione delle privatizzazioni. Ancor prima, però, deve<br />

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mettere in liquidazione, sotto la regia di Giuliano Amato e Alberto Predieri,<br />

l’Efim, carrozzone di Stato che fa acqua da tutte le parti, ma che contiene<br />

anche qualche boccone prelibato: come la Siv, un’azienda che produce vetri<br />

per auto.<br />

<strong>Scaroni</strong>, che ha iniziato giovanissimo la sua carriera come manager proprio di<br />

un’impresa del vetro, la Saint Gobain, fiuta l’affare e, per conto della Techint in<br />

alleanza con la britannica Pilkington, compra la Siv per soli 210 miliardi di lire:<br />

circa la metà del valore assegnatole da una perizia di Mediobanca, protesta<br />

invano qualche ex manager del gruppo. Dopo qualche tempo, la Pilkington<br />

rileva l’intera Siv e <strong>Scaroni</strong> si trasferisce a Londra, come chief executive<br />

officer dell’azienda britannica.<br />

Di Tangentopoli <strong>Scaroni</strong> è stato dunque due volte protagonista: la prima,<br />

come manager che ha comprato appalti pubblici in cambio di mazzette ai<br />

partiti, contribuendo così a formare la voragine del debito pubblico che<br />

ha portato nel 1992 l’Italia sull’orlo della bancarotta; la seconda, come<br />

beneficiario delle privatizzazioni rese necessarie per salvare il paese dai<br />

guasti di Tangentopoli.<br />

Trasversale, tra Londra e Roma<br />

Gli anni londinesi, più che un esilio, sono un periodo di intensi rapporti stretti<br />

con gli italiani che contano. In vista, evidentemente, del grande rientro.<br />

<strong>Scaroni</strong> ha sempre avuto ottime relazioni: è cugino di Margherita Boniver, ex<br />

ministro socialista; è amico di Massimo Pini, già uomo di Craxi all’Iri e oggi<br />

consigliere economico di An; e ha sempre avuto buoni rapporti con Gianni De<br />

Michelis, ex doge socialista. Non si può dunque dire che fosse taglieggiato da<br />

un Psi estraneo e nemico.<br />

Ma le sue amicizie sono sempre state trasversali: Luigi Bisignani,<br />

democristiano, tessera P2, ex giornalista, condannato a 2 anni e 8 mesi per le<br />

tangenti Enimont, è il lobbista che ha lavorato per lui, contribuendo a costruire<br />

il suo ritorno in Italia: prima, nel 2001, come presidente degli industriali di<br />

Venezia; poi, l’anno successivo, come amministratore delegato dell’Enel. Per<br />

<strong>Scaroni</strong> le pubbliche relazioni, si sa, sono importanti, tanto che ha incaricato<br />

un’agenzia specializzata di Londra, la Fensbury, di ricostruirgli l’immagine.<br />

Con ottimi risultati, a giudicare dall’articolo del Financial Times.<br />

Del resto, la carta stampata è sempre stata una sua passione, tanto che a<br />

metà degli anni Ottanta, insieme a un giornalista di Panorama, Angelo Maria<br />

Perrino, scrisse un libro, Professione manager, edito da Mondadori. In<br />

copertina il suo nome non compariva: «Anonimo», era scritto prima del titolo,<br />

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mentre il nome di Perrino era preceduto da un «a cura di». Il gioco però era<br />

fatto per essere scoperto: l’«Anonimo» autore di Professione manager era<br />

proprio lui, <strong>Paolo</strong> <strong>Scaroni</strong>, fisico alla Gene Hackman e voglia di cavalcare<br />

l’onda anni Ottanta dei manuali all’americana dove si indica la strada più<br />

breve per il successo.<br />

Nella sua città ha mantenuto salde radici, tanto da diventare, per un periodo,<br />

presidente del Vicenza Calcio. Ma le sue capitali d’adozione sono Londra e,<br />

naturalmente, Roma. E la sua relazione più preziosa è quella con un uomo<br />

anch’egli molto attivo sull’asse Roma-Londra: Mario Draghi, ex direttore<br />

generale del Tesoro, l’uomo che nel momento delle privatizzazioni tolse alla<br />

Mediobanca di Enrico Cuccia il monopolio delle operazioni finanziarie in Italia<br />

aprendo alle merchant bank straniere.<br />

La trasversalità dell’uomo ha il culmine naturale in Forza Italia: <strong>Scaroni</strong> ha<br />

buoni rapporti con Giancarlo Galan, ex venditore di pubblicità per Publitalia e<br />

oggi il presidente della Regione Veneto, ma soprattutto con Bruno Ermolli,<br />

personaggio chiave del mondo berlusconiano all’incrocio tra affari e politica.<br />

Basti pensare che Ermolli è il tutore di Marina Berlusconi, l’uomo-ombra che<br />

ha gestito la ristrutturazione della Fininvest restata senza il capo, ormai<br />

prestato alla politica. Così <strong>Scaroni</strong>, uomo dall’ottimo curriculum e dalle ottime<br />

relazioni, ha potuto arrivare alla poltrona che è stata di Franco Tatò.<br />

Il manager ha però qualche sponda anche a sinistra, se è vero che ai tempi<br />

dei governi dell’Ulivo era circolato il suo nome come possibile risanatore<br />

dell’Alitalia; e che la sua nomina ai vertici dell’Enel ha provocato, accanto alle<br />

reazioni critiche dell’ex ministro Pierluigi Bersani, Ds, anche i commenti<br />

soddisfatti di un altro ex ministro della Quercia, Vincenzo Visco. Un bel<br />

risultato, per l’autore di un manuale che consigliava agli aspiranti manager di<br />

non schierarsi troppo, di non bruciarsi brandendo una sola bandiera politica.<br />

La leggenda del povero manager<br />

Ora al corruttore dell’Enel diventato manager dell’Enel (ironica sorte, come<br />

scrive il Financial Times) toccherà gestire la strana stagione di una grande<br />

azienda privatizzata ma a metà (il ministero dell’Economia ne detiene ancora il<br />

68 per cento), diversificata ma a metà (che fine farà Wind?), risanata ma a<br />

metà (24 miliardi di euro di debito, 20 mila dipendenti considerati in eccesso).<br />

Certo è che ha già preso a soffiare un’arietta neo-statalista (il suo amico<br />

Massimo Pini, per esempio, è passato da Bettino Craxi a Maurizio Gasparri,<br />

ma con il medesimo programma: lavorare per mantenere un solido intervento<br />

statale – cioè dei partiti di governo – nell’economia).<br />

In tutto ciò, i cattivi spiriti di Tangentopoli sono ormai solo un lontano ricordo.<br />

In quell’Italia non si poteva lavorare senza pagare mazzette, scolpisce <strong>Scaroni</strong><br />

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per sempre sulle colonne austere del Financial Times. Lo ha dichiarato perché<br />

sa che, presumibilmente, nessuno s’alzerà a smentirlo, nessun manager gli<br />

risponderà: parla per te. Pagava lui, grande manager della grande Techint,<br />

come pagavano alla Fiat e alla Ferruzzi, alla Fininvest e all’Olivetti. Resta da<br />

spiegare perché grandi gruppi come Fiat, Ferruzzi, Techint, con attività<br />

multinazionali e immenso potere di pressione sulla politica, si comportassero<br />

come le piccole imprese di pulizia che barattavano un appaltino con una<br />

bustarella.<br />

Per smontare la leggenda dei cattivi politici che vessavano loro malgrado i<br />

poveri imprenditori, Maurizio Prada, ex cassiere della Dc milanese, ha<br />

riempito pagine memorabili di verbali giudiziari, che oggi si leggono come un<br />

romanzo balzacchiano. Un suo collega cassiere “riservato”, Roberto Mongini,<br />

ha spiegato al magistrato Piercamillo Davigo: «Ma quale concussione, dottore,<br />

i concussi siamo noi: gli imprenditori ci corrono dietro per poterci pagare le<br />

tangenti prima che arrivino i loro concorrenti». E Antonio Di Pietro, che ha<br />

subito capito il sistema in cui s’incistavano politici e imprenditori, per<br />

descriverlo ha coniato un’espressione delle sue: «dazione ambientale».<br />

Agli imprenditori, ai manager – almeno a quelli dei grandi gruppi – sarebbe<br />

bastato alzare la voce, svelare in pubblico il sistema. Invece, evidentemente, i<br />

patti con la politica e gli accordi di cartello sono più comodi della concorrenza<br />

e del libero mercato. E più facile, così, è rimpinguare i conti all’estero.<br />

Eppure non era quello che c’era scritto su Professione manager.<br />

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