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Carver Principianti

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<strong>Carver</strong> <strong>Principianti</strong><br />

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Raymond <strong>Carver</strong><br />

<strong>Principianti</strong> di ritorno<br />

Raymond <strong>Carver</strong><br />

<strong>Principianti</strong><br />

pp. 296, euro 19<br />

Einaudi, 2009<br />

di Marisa Cecchetti<br />

“<strong>Principianti</strong>” è il penultimo racconto della raccolta di<br />

Raymond <strong>Carver</strong>, che dà il titolo al libro edito da Einaudi<br />

nel marzo 2009. Corrisponde a Di cosa parliamo quando<br />

parliamo d’amore, raccolta di diciassette racconti pubblicati<br />

da Alfred Knoph nel 1981 dove il penultimo racconto dava<br />

il titolo alla raccolta stessa. La raccolta era uscita con<br />

rimaneggiamenti dell’editor, Gordon Lish, che aveva<br />

tagliato di oltre il 50% la versione originale di <strong>Carver</strong>. In<br />

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modo particolare questo racconto, <strong>Principianti</strong> che ha subito<br />

la forbice in modo impressionante, ora torna nella versione<br />

integrale.<br />

Nel 1980 Ray <strong>Carver</strong> implorava inutilmente Lish di<br />

ripristinare i passi tagliati. “Se il libro fosse pubblicato nella<br />

forma attuale - scriveva - non riuscirei più a scrivere un altro<br />

racconto, Dio non voglia”. Poi, diviso tra una pubblicazione<br />

penalizzante e il timore di perdere la stima dell’editor che lo<br />

aveva appoggiato fin dai primi anni della sua carriera,<br />

<strong>Carver</strong> accettò i tagli per la pubblicazione del 1981.<br />

William L. Stull e Maureen P. Carroll hanno faticato non<br />

poco a restaurare i diciassette racconti, arrivando agli<br />

originali nell’archivio Ray <strong>Carver</strong> nella Collezione di<br />

narrativa americana di William Charvat. Ricostruzione<br />

voluta intensamente e appoggiata dalla compagna di <strong>Carver</strong>,<br />

Tess Gallagher, scrittrice, saggista e poetessa, a cui lui aveva<br />

promesso una seconda edizione di “Di cosa parliamo<br />

quando parliamo d’amore”, dopo la prima tagliata da Lish.<br />

Ciò premesso, fino allo scorso anno conoscevo <strong>Carver</strong> solo<br />

per le sue teorie sulla scrittura, in particolare mi riferisco a<br />

“Il mestiere di scrivere”, a cura di William L. Stull e<br />

Riccardo Duranti. Condividevo le sue idee sulla scrittura<br />

che, tra le altre cose, metteva al bando la retorica, cercava il<br />

linguaggio delle azioni per scendere dentro l’uomo e gli<br />

eventi. La ricerca della frase breve, di tipo paratattico, era<br />

una caratteristica che apprezzavo.<br />

Quando ho letto Da dove sto chiamando, edito dalla<br />

Minimum Fax nel 2003, ho scoperto i trentasette racconti<br />

che l’autore stesso aveva ritenuti migliori e che aveva voluto<br />

ripubblicare, poco prima di morire nel 1988. Vi<br />

comparivano anche “Di cosa parliamo quando parliamo<br />

d’amore”, “Cattedrale”, “Vitamine”, tra i suoi più famosi,<br />

ed altri riproposti nella versione originale, con<br />

reintegrazione dei brani tolti dagli editor. La frase era<br />

asciutta, pulita a senza sbavature, risultato di un lavoro di<br />

revisione accurata, un livello di bravura ammirevole. Un<br />

maestro.<br />

Ho scritto allora che “sono racconti dove la tensione è<br />

sottile e tangibile, quasi un accenno costante a qualche<br />

rivelazione, ma, come <strong>Carver</strong> dice, senza trucchi, senza<br />

sperimentalismi intesi come licenza di scrivere in modo<br />

sciatto… nei suoi racconti raccoglie disagio, sofferenza,<br />

insicurezza, miseria, in una società che non vede realizzarsi<br />

il sogno americano… racconti che sanno di fumo e di<br />

alcool”.<br />

Tuttavia, solo dopo che ho letto <strong>Principianti</strong> nella versione<br />

originale, sono riuscita a spiegarmi quello strano stupore che<br />

avevo provato alla lettura di Da dove sto chiamando: allora<br />

mi colpivano da una parte il valore indiscusso della pagina<br />

di prosa e la vastità degli aspetti umani, dall’altra<br />

l’eccessiva essenzialità mi suggeriva una certa freddezza.<br />

Comunque, al solo pensiero della vita grama e della<br />

schiavitù da alcool che l’autore stesso aveva vissuto prima<br />

di arrivare all’università ed alla rinascita fuori dall’alcool e<br />

accanto a Tess, lo stupore diventava ammirazione, proprio<br />

per la oggettività estrema con cui era riuscito a trattare certi<br />

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temi, come se quelle storie non lo avessero mai sfiorato.<br />

Ma torniamo a <strong>Principianti</strong>. Ho la sfortuna – o forse il<br />

privilegio? – di dimenticare le storie. Anche se ho realizzato<br />

un accurato lavoro di analisi, tutte le storie di tutti i libri mi<br />

si intrecciano in testa, finché non mi fermo un attimo a<br />

raccogliere qualche elemento per ripartire e far riapparire la<br />

luce. Mi rimane l’immagine dello scrittore, fatta di emozioni<br />

che mi ha comunicato, di immagini flash, di colori, di<br />

messaggi dietro e fra le righe, e il ricordo di uno stile<br />

personale.<br />

Ora, man mano che riconoscevo le storie, per alcuni racconti<br />

mi accorgevo di essere entrata in un mondo diverso, e il<br />

racconto “<strong>Principianti</strong>” me ne ha dato definitivamente le<br />

dimensioni. Era come se mi trovassi davanti uno scrittore<br />

nuovo, dei cui racconti non avevo conosciuto il meglio.<br />

Questo che scoprivo ora era un abilissimo affabulatore, che<br />

mi riportava alle atmosfere della mia infanzia, quando<br />

restavo incollata ad una seggiolina per intere serate estive,<br />

in un cortile di campagna ad ascoltare un nonno che creava<br />

e intrecciava storie.<br />

“<strong>Principianti</strong>” in versione originale, non rifatto secondo<br />

metodi discutibili di chirurgia plastica di Lish tendenti al<br />

minimalismo, mi offriva il calore di emozioni, di gesti<br />

essenziali che parlavano più della parole, di brevi stacchi<br />

descrittivi su cui si proiettava la situazione emotiva del<br />

personaggio, tutto senza pathos né retorica. Essenziale nella<br />

sua umanità. Senza tagli che costringevano a rapidi sia pur<br />

intelligenti salti logici, ne traeva vantaggio l’aspetto della<br />

consequenzialità.<br />

Ampie finestre ora costituiscono un racconto dentro al<br />

racconto, come la storia completa di due vecchi vissuti<br />

insieme per tutta la vita, finiti in ospedale dopo un incidente,<br />

che si consumano perché, ingessati da capo a piedi, non si<br />

possono vedere né toccare. Intanto due coppie pluriseparate<br />

continuano a interrogarsi sull’amore, mentre l’alcool scorre<br />

come acqua.<br />

Nella versione originale il medico li va a trovare tutti i<br />

giorni e ascolta dal vecchio la storia della loro vita: “diceva<br />

solo che gli dispiaceva tanto non essere in grado di vedere<br />

più la sua Anna, perché insieme avevano vissuto bene”.<br />

Vivevano in una fattoria isolata, negli anni venti-trenta,<br />

senza figli, “facendo sempre le stesse cose, sempre la stesa<br />

routine, senza mai qualcuno con cui scambiare due parole o<br />

da andare a trovare per tutti i mesi invernali. Però avevano<br />

l’uno l’altra”. E alla sera andavano a ballare! “Avevamo un<br />

fonografo Victrola e qualche 78 giri. Li suonavamo tutte le<br />

sere e stavamo lì a sentirli e ballavamo insieme nel nostro<br />

soggiorno…certe volte nevicava e fuori c’era tanto silenzio<br />

che si sentiva la neve cadere”. Quando il vecchio può essere<br />

accompagnato dalla moglie su una sedia a rotelle- erano in<br />

due reparti separati- “la signora Gates, Anna, era ancora<br />

immobilizzata, ma poteva muovere la testa e il braccio<br />

sinistro. Aveva gli occhi chiusi ma appena siamo entrati li<br />

ha aperti di scatto. Era ancora tutta bendata, ma solo dal<br />

bacino in giù…Lei ha accennato a un sorriso e il volto le si<br />

è illuminato tutto. Da sotto il lenzuolo è spuntata la sua<br />

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mano. Era livida e scorticata. Henry l’ha presa tra le<br />

sue”…-Mi sei mancata- le ha detto.<br />

La storia dei due anziani, da cui viene il vero messaggio<br />

d’amore, si banalizza nella riduzione di Lish, scomparso<br />

ogni accenno al trascorso dei due, alle loro emozioni, alla<br />

unicità del loro legame. Si riduce a questo: “bendati e<br />

ingessati da capo a piedi, tutti e due… Due buchetti per gli<br />

occhi, per le narici, uno per la bocca. E lei oltretutto aveva<br />

tutte e due le gambe in trazione... Be’, il marito è rimasto<br />

depresso per un sacco di tempo. Anche quando lo<br />

informammo che la moglie se la sarebbe cavata, continuò a<br />

rimanere depresso. Mica per l’incidente…Mi avvicinavo al<br />

buco che aveva per la bocca, sapete, e lui mi diceva no, non<br />

era solo per via dell’incidente, ma perché non riusciva a<br />

vederla attraverso i buchetti degli occhi… ha detto che era<br />

quello che lo faceva sentire giù. Ma ci pensate? Ve lo giuro,<br />

quello si stava facendo venire il crepacuore solo perché non<br />

poteva girare quell’accidenti di testa e vedere<br />

quell’accidenti di moglie!”<br />

Tutto scomparso, se ne parla come se fossero degli<br />

extraterrestri, forse per l’incapacità di capire la forza di quel<br />

legame, o forse con un distacco voluto che nasconde la<br />

nostalgia. Scompare anche una lunga pausa introspettiva<br />

davanti al tramonto, in cui si ricerca equilibrio di emozioni e<br />

di pensiero, che viene ridotta a tre righe. Cambiati anche i<br />

nomi di tutti i personaggi, chissà perché.<br />

Allora sono rimasta anch’io in silenzio a riflettere sull’opera<br />

instancabile degli editor, che talora salvano solo un’idea, e<br />

danno ad un testo la veste adatta alle esigenze di mercato. O<br />

alle mode imperanti. Mi sono rimasti molti dubbi.<br />

In questa raccolta di originali di <strong>Carver</strong> ho sentito diverso<br />

anche il registro linguistico -stesso traduttore Riccardo<br />

Duranti-. Ho già scritto, a proposito di “Da dove sto<br />

chiamando”: <strong>Carver</strong> “fa dialogare i suoi personaggi con un<br />

linguaggio quotidiano, con dialoghi veloci, con più o meno<br />

misurate espansioni del racconto. Intanto carica gli oggetti,<br />

anche “il sasso, la finestra, la forchetta” di un potere<br />

immenso”. Eppure davanti al linguaggio di “<strong>Principianti</strong>”,<br />

quello ora appare molto più vicino al registro linguistico<br />

standard che si trova nei bestseller, un fraseggio che, pur<br />

nella sua interessante incisività, ricorda un po’ i testi di<br />

linguistica.<br />

L’originale di <strong>Carver</strong> usa frasi idiomatiche molto più di<br />

frequenti, quelle che usiamo in famiglia, nelle conversazioni<br />

veloci, non evita gli anacoluti tanto frequenti nella nostra<br />

oralità, torna sulle cose già dette come succede nelle nostre<br />

relazioni quotidiane, quando abbiamo bisogno di conferme.<br />

Un linguaggio chiaro, essenziale ma carico di spessore e di<br />

calore.<br />

Ho capito solo ora lo strana dissociazione provata di fronte<br />

ad alcuni racconti di “Da dove sto chiamando”: un po’<br />

troppo asettici e sterilizzati. E questo non era ciò che voleva<br />

<strong>Carver</strong>.<br />

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