Prove di esame Classe di Lettere - Area Download
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<strong>Prove</strong> <strong>di</strong> <strong>esame</strong><br />
<strong>Classe</strong> <strong>di</strong> <strong>Lettere</strong><br />
Ammissione al corso or<strong>di</strong>nario<br />
Primo anno<br />
anni accademici 2008/09 e 2009/10<br />
1
LETTERATURA ITALIANA<br />
Svolgere uno dei seguenti temi:<br />
Anno accademico 2008/09<br />
1. Personaggi mostruosi e dannati dall’aspetto fisico deforme e stravolto sono frequenti<br />
nell’Inferno dantesco. Il can<strong>di</strong>dato in<strong>di</strong>chi, attraverso riferimenti precisi, presupposti <strong>di</strong> gusto e<br />
implicazioni etiche e allegoriche <strong>di</strong> tali raffigurazioni.<br />
2. Commentate questa celebre affermazione <strong>di</strong> Francesco Guicciar<strong>di</strong>ni,<br />
analizzandola anche dal punto <strong>di</strong> vista formale:<br />
“E’ grande errore parlare delle cose del mondo in<strong>di</strong>stintamente e assolutamente e, per così <strong>di</strong>re, per<br />
regola; perché quasi tutte hanno <strong>di</strong>stinzione e eccezione per la varietà delle circunstanze, le quali non<br />
si possono fermare con una medesima misura: e queste <strong>di</strong>stinzione e eccezione non si truovano scritte<br />
in su’ libri, ma bisogna le insegni la <strong>di</strong>screzione”.<br />
3. La seguente poesia <strong>di</strong> Libero Altomare (Remo Mannoni, Roma 1883-ivi 1966) apparve<br />
nell’antologia I poeti futuristi, uscita nel 1912, una raccolta programmatica del movimento<br />
d’avanguar<strong>di</strong>a, a cui era posto come introduzione il fondamentale Manifesto tecnico della poesia<br />
futurista <strong>di</strong> Filippo Tommaso Marinetti. La poesia <strong>di</strong> Libero Altomare interpreta sul piano tematico come<br />
su quello stilistico alcune centrali istanze futuristiche. Esaminatela anche sotto tali prospettive.<br />
SINFONIA LUMINOSA<br />
a Vittorio Luce<br />
Amo le luci sfrontate<br />
che violentano la morbida Notte<br />
ingemmata, che strappano<br />
tutti i veli dei sogni fluttuanti nell’aria<br />
de la Città assopita;<br />
gli elettrici globuli<br />
che irra<strong>di</strong>ano l’insonnia<br />
nelle sue vene torpide, le innumeri<br />
pupille d’oro sanguinose e vigili<br />
a illuminare i tesori<br />
che ostenta, come una cortigiana,<br />
prima <strong>di</strong> coricarsi<br />
nel sonno scomposto, a mezzanotte,<br />
con un solenne russar<br />
<strong>di</strong> orologi nascosti.
Ecco: le case<br />
socchiudono le palpebre stridule<br />
de le finestre<br />
da cui traspare e guizza<br />
qualche pupilla ostinata.<br />
Anno accademico 2008/09<br />
La Città che riposa, ebbra <strong>di</strong> sole, palpita luce dai suoi mille cuori<br />
e sgrana per le vie tentacolari<br />
i suoi occulti, simbolici rosari.<br />
- Il torrente <strong>di</strong> luce esulta e scroscia,<br />
i fari della gioia o dell’angoscia gridano, chiamano, provocano... —<br />
Sono occhi <strong>di</strong>abolici in agguato,<br />
esplosioni d’o<strong>di</strong>o e <strong>di</strong> peccato<br />
che staffilano l’anima<br />
come parole amare,<br />
scrosci <strong>di</strong> risa, squilli <strong>di</strong> fanfare;<br />
mentre i fanali snelli ed eguali<br />
si seguono monotoni<br />
come i ritornelli<br />
delle vecchie canzoni marinare.<br />
E voci e suoni hanno<br />
risuonanze fosforiche<br />
Veicoli erranti, squillanti s’attardano<br />
galoppano adorni <strong>di</strong> multicolori collane.<br />
La luce s’effonde <strong>di</strong>laga<br />
con spasimi d’orgia:<br />
dai variopinti ritrovi mondani<br />
sprizzano i luminosi<br />
echi delle ribalte.<br />
La luce applaude sé stessa; canta, sussurra, deride<br />
la luna beghina<br />
che biascica preci al suo sole.
FILOSOFIA<br />
Anno accademico 2008/09<br />
Il can<strong>di</strong>dato analizzi e commenti, situandolo nel contesto filosofico al quale appartiene, uno a piacere<br />
dei seguenti brani:<br />
1. Platone, Critone, 51D-52°, trad. <strong>di</strong> Manara Valgimigli<br />
« Socr. “E ora ve<strong>di</strong>, o Socrate”, potrebbero seguitare le leggi, “se è vero questo che noi <strong>di</strong>ciamo, che<br />
cioè non è giusto tu faccia contro <strong>di</strong> noi quello che ora appunto hai in animo <strong>di</strong> fare. Perché noi che ti<br />
generammo, noi che ti allevammo, noi che ti educammo, noi che ti mettemmo a parte <strong>di</strong> tutti quei beni<br />
che erano in nostro potere, e te [d] e tutti gli altri concitta<strong>di</strong>ni; noi, <strong>di</strong>co, nonostante ciò, ti abbiamo<br />
pur anche fatto capire in tempo, col darne licenza a chiunque degli Ateniesi lo desideri, dopo che sia<br />
stato inscritto nel ruolo dei citta<strong>di</strong>ni e già conosca il governo della città e le sue leggi, che se a taluno<br />
queste leggi non piacciono è libero <strong>di</strong> prender seco le sue cose e <strong>di</strong> andarsene dove vuole. E a questo<br />
nessuna <strong>di</strong> noi frappone ostacoli; né a chiunque de’ citta<strong>di</strong>ni voglia recarsi, per fasti<strong>di</strong>o <strong>di</strong> noi e della<br />
città, in qualcuna delle nostre colonie, o voglia ad<strong>di</strong>rittura andar a vivere altrove in paese forestiero,<br />
nessuna <strong>di</strong> noi gli impe<strong>di</strong>sce <strong>di</strong> andare dove gli piaccia [e] e portar seco tutte le sue cose. Ma chi <strong>di</strong><br />
voi rimane qui, e vede in che modo noi amministriamo la giustizia e come ci comportiamo nel resto<br />
della pubblica amministrazione, allora <strong>di</strong>ciamo che costui si è <strong>di</strong> fatto obbligato rispetto a noi a fare<br />
ciò che noi gli or<strong>di</strong>niamo; e se egli non obbe<strong>di</strong>sce, <strong>di</strong>ciamo che commette ingiustizia, contro noi in tre<br />
mo<strong>di</strong>: primo, perché non obbe<strong>di</strong>sce a noi che lo abbiamo generato; secondo, perché non obbe<strong>di</strong>sce a<br />
noi che lo abbiamo allevato; terzo, perché essendosi egli obbligato a obbe<strong>di</strong>rci, né ci obbe<strong>di</strong>sce né si<br />
adopera , caso che facciamo alcuna cosa non bene, <strong>di</strong> persuaderci altrimenti, [a] nonostante che noi,<br />
quello che gli <strong>di</strong>ciamo <strong>di</strong> fare, gli si proponga benevolmente, e non già duramente gli s’imponga; che<br />
anzi, mentre noi gli lasciamo libertà <strong>di</strong> scegliere delle due cose l’una, o <strong>di</strong> persuaderci o <strong>di</strong> fare quello<br />
che gli <strong>di</strong>ciamo, egli non fa né l’una cosa nè l’altra”.»<br />
2. M. Lutero, Il servo arbitrio, a cura <strong>di</strong> F. De Michelis Pintacuda, Clau<strong>di</strong>ana E<strong>di</strong>trice, Torino 1993,<br />
pp. 122-231<br />
«Io sostengo quanto segue: se è stato provato che la nostra salvezza sta al <strong>di</strong> fuori delle nostre forze<br />
e intenzioni, ma <strong>di</strong>pende soltanto dall’opera <strong>di</strong> Dio - cosa che spero <strong>di</strong> <strong>di</strong>mostrare più avanti in modo<br />
inconfutabile - non ne segue forse in tutta chiarezza che, finché Dio non è presente in noi con la sua<br />
azione, tutto quello che noi facciamo è male e che, necessariamente, quanto compiamo non ha nessun<br />
valore per la salvezza? Se infatti non già noi, ma Dio soltanto opera la salvezza in noi, che lo vogliamo<br />
oppure no, noi non possiamo compiere nulla <strong>di</strong> salutare prima del suo intervento. [...] Ciò vuol <strong>di</strong>re<br />
che, quando un uomo è privo dello Spirito <strong>di</strong> Dio, non compie il male per un atto <strong>di</strong> violenza esterna<br />
(quasi trascinato per il collo) e contro la sua volontà (alla maniera in cui un ladro o un malfattore è<br />
condotto contro il proprio volere alla pena) ma lo fa <strong>di</strong> sua spontanea e piena volontà. Tuttavia non<br />
può eliminare, reprimere o mo<strong>di</strong>ficare con le proprie forze questa inclinazione o questa volontà <strong>di</strong><br />
compiere il male, bensì continua a volerla e desiderarla. Anche se costretta da una forza esterna a
Anno accademico 2008/09<br />
compiere qualcos’ altro, la volontà ulteriore rimane avversa e s’in<strong>di</strong>gna contro chi la costringe o le<br />
resiste. Se avesse invece la capacità <strong>di</strong> mo<strong>di</strong>ficarsi e <strong>di</strong> piegarsi liberamente alla forza esterna, non si<br />
in<strong>di</strong>gnerebbe affatto. »<br />
3. Cartesio, Discorso sul metodo, trad. <strong>di</strong> Eugenio Garin<br />
«Poscia, esaminando con attenzione che cosa io fossi, e vedendo che avrei potuto anche fingere <strong>di</strong><br />
non aver corpo <strong>di</strong> sorta e che non esistesse né mondo né luogo alcuno in cui io fossi, ma che non avrei<br />
potuto fingere perciò <strong>di</strong> non esistere; e che, al contrario, dal fatto stesso che pensavo a dubitare della<br />
verità delle altre cose, seguiva con la massima evidenza e certezza che io esistevo; mentre, se avessi<br />
soltanto cessato <strong>di</strong> pensare, ancor che fosse stato vero tutto il resto <strong>di</strong> ciò che avessi immaginato, non<br />
avrei avuta ragione alcuna <strong>di</strong> credere che fossi esistito io: riconobbi da ciò che io ero una sostanza,<br />
la cui essenza o natura tutta quanta consiste nel pensare, e che, per essere, non ha bisogno <strong>di</strong> luogo<br />
alcuno, né <strong>di</strong>pende da alcuna cosa materiale. Di modo che quest’io, cioè l’anima per la quale io sono<br />
ciò che sono, è intieramente <strong>di</strong>stinta dal corpo, anzi più facile a conoscere <strong>di</strong> questo; e quand’anche<br />
questo non esistesse, essa non cesserebbe d’essere tutto ciò che è. »<br />
4. Giovan Battista Vico, La scienza nuova. Libro I, De principii.<br />
«Osserviamo tutte le nazioni così barbare come umane, quantunque, per immensi spazi <strong>di</strong> luoghi<br />
e tempi tra loro lontane, decisamente fondate, custo<strong>di</strong>re questi tre umani costumi: che tutte hanno<br />
qualche religione, tutte contraggono matrimoni solenni, tutte seppelliscono i loro morti; né tra le<br />
nazioni, quantunque selvagge e crude, si celebrano azioni umane con più ricercate cerimonie e più<br />
consegrate solennità che religioni, matrimoni e sepolture. Ché, per la <strong>di</strong>gnità che “idee uniformi, nate<br />
tra popoli sconosciuti tra loro, debbono aver un principio comune <strong>di</strong> vero”, dee essere stato dettato a<br />
tutte: che da queste tre cose incominciò appo tutte l’umanità, e per ciò si debbono santissimamente<br />
custo<strong>di</strong>re da tutte perché ‘l mondo non s’infierisca e si rinselvi <strong>di</strong> nuovo. Perciò abbiamo presi questi<br />
tre costumi eterni ed universali per tre primi princìpi <strong>di</strong> questa Scienza. Né ci accusino <strong>di</strong> falso il<br />
primo i moderni viaggiatori, i quali narrano che popoli del Brasile, <strong>di</strong> Cafra ed altre nazioni del mondo<br />
nuovo […] vivano in società senza alcuna cognizione <strong>di</strong> Dio; da’ quali forse persuaso, Bayle afferma<br />
nel Trattato delle comete che possano i popoli senza lume <strong>di</strong> Dio vivere con giustizia; che tanto non<br />
osò affermare Polibio, al cui detto da taluni s’acclama: che, se fussero al mondo filosofi, che ‘n forza<br />
della ragione non delle leggi vivessero con giustizia, al mondo non farebber uopo religioni. Queste<br />
sono novelle <strong>di</strong> viaggiatori, che procurano smaltimento a’ loro libri con mostruosi ragguagli.»<br />
5. Hume, Sui miracoli, trad. <strong>di</strong> Mario Dal Pra.<br />
«Quando uno mi <strong>di</strong>ce che ha visto un uomo morto restituito alla vita, io considero imme<strong>di</strong>atamente in<br />
me stesso quale delle due cose sia più probabile, che questa persona inganni o sia ingannata, oppure
Anno accademico 2008/09<br />
che il fatto che essa riferisce sia realmente accaduto. Io peso l’un miracolo contro l’altro; ed a seconda<br />
della superiorità che scopro, pronuncio la mia decisione e respingo sempre il miracolo più grande. Se<br />
la falsità della sua testimonianza fosse più miracolosa dell’acca<strong>di</strong>mento che la persona in questione<br />
riferisce, allora e soltanto allora, essa potrà pretendere <strong>di</strong> imporsi alla mia credenza <strong>di</strong> opinione.»<br />
6. Kant, Scritti <strong>di</strong> storia politica e <strong>di</strong>ritto, trad. <strong>di</strong> Filippo Gonnelli<br />
«Ma che l’uomo debba compiere il suo dovere del tutto <strong>di</strong>sinteressatamente e che gli sia necessario<br />
separare completamente il suo desiderio <strong>di</strong> felicità dal concetto del dovere per possedere quest’ultimo<br />
in modo del tutto puro, <strong>di</strong> ciò egli è consapevole con la massima chiarezza; oppure, quando credesse <strong>di</strong><br />
non esserlo, allora si può esigere da lui che egli lo sia per quanto è nelle sue capacità, perché appunto<br />
in questa purezza va colto il vero valore della moralità, ed egli deve perciò anche poterlo. Forse mai<br />
un uomo ha potuto compiere del tutto <strong>di</strong>sinteressatamente (senza mescolanza <strong>di</strong> altri impulsi) il suo<br />
dovere, dovere riconosciuto e persino da lui venerato; forse mai nessun uomo, pur col più grande<br />
sforzo, riuscirà a tanto. Ma nella misura in cui può esperire in sé, con il più scrupoloso auto<strong>esame</strong>, <strong>di</strong><br />
<strong>di</strong>venire consapevole non solo dell’assenza <strong>di</strong> quei motivi concorrenti, ma piuttosto dell’autorinuncia<br />
ai molti motivi opposti all’idea del dovere, e dunque della massima <strong>di</strong> tendere a quella purezza, è<br />
in grado <strong>di</strong> farlo; e ciò è anche sufficiente per la sua osservanza del dovere. Viceversa, darsi come<br />
massima l’assecondare l’influsso <strong>di</strong> tali motivi, con la scusa che la natura umana non consente una<br />
tale purezza (ciò che parimenti non si può affermare in modo certo), è la morte <strong>di</strong> ogni moralità.»
GRECO - PRIMO ANNO<br />
Licensed to: -<br />
Anno accademico 2008/09<br />
Plutarchus, De sera numinis vin<strong>di</strong>cta (548a―568a)<br />
JO Soleu;" Qespevsio", ajnh;r ejkeivnou tou' genomevnou meqÆhJmw'n ejntau'qa<br />
Prwtogevnou" oijkei'o" kai; fivlo", ejn pollh'/<br />
biwvsa" ajkolasiva/ to;n prw'ton<br />
crovnon ei\ta tacu; th;n oujsivan ajpolevsa" h[dh crovnon tina; kai; <strong>di</strong>a; th;n<br />
ajnavgkhn ejgevneto ponhrov", kai; to;n plou'ton ejk metanoiva" <strong>di</strong>wvkwn taujto;<br />
toi'" ajkolavstoi" e[pasce pavqo", oi} ta;" gunai'ka" e[conte" me;n ouj<br />
fulavttousi, proevmenoi de; peirw'sin au\qi" aj<strong>di</strong>vkw" eJtevroi" sunouvsa"<br />
<strong>di</strong>afqeivrein.<br />
oujdeno;" ou\n ajpecovmeno" aijscrou' fevronto" eij" ajpovlausin h] kevrdo"<br />
oujsivan me;n ouj pollh;n dovxan de; ponhriva" ejn ojlivgw/ pleivsthn sunhvgage.<br />
mavlista dÆaujto;n <strong>di</strong>evbalen ajnenecqei'sav ti" ejx ÆAmfilovcou manteiva.<br />
pevmya" ga;r wJ" e[oiken hjrwvta to;n qeovn, eij bevltion biwvsetai to;n ejpivloipon<br />
bivon: oJ dÆajnei'len o{ti pravxei bevltion, o{tan ajpoqavnh/. kai; dh; trovpon tina;<br />
tou'to metÆouj polu;n crovnon aujtw'/<br />
sunevpese.<br />
katenecqei;" ga;r ejx u{you" tino;" eij" travchlon ouj genomevnou trauvmato"<br />
ajlla; plhgh'" movnon ejxevqane, kai; tritai'o" h[dh peri; ta;" tafa;" aujta;"<br />
ajnhvnegke. tacu; de; rJwsqei;" kai; parÆauJtw'/<br />
genovmeno" a[pistovn tina tou' bivou<br />
th;n metabolh;n ejpoivhsen. ou[te ga;r <strong>di</strong>kaiovteron peri; ta; sumbovlaia<br />
ginwvskousin e{teron Kivlike" ejn toi'" tovte crovnoi" genovmenon, ou[te pro;"<br />
to; qei'on oJsiwvteron ou[te luphrovteron ejcqroi'" h] bebaiovteron fivloi": w{ste<br />
kai; poqei'n tou;" ejntugcavnonta" aujtw'/<br />
th;n aijtivan ajkou'sai th'" <strong>di</strong>afora'",<br />
oujk ajpo; tou' tucovnto" oijomevnou" gegonevnai <strong>di</strong>akovsmhsin eij" h\qo"<br />
tosauvthn. o{per h\n ajlhqev", wJ" aujto;" <strong>di</strong>hgei'to tw'/<br />
te Prwtogevnei kai; toi'"<br />
oJmoivw" ejpieikevsi tw'n fivlwn.
LATINO<br />
Anno accademico 2008/09<br />
UN’AGGRESSIONE POLITICO-GIUDIZIARIA CONTRO CICERONE<br />
Atque haec cum ita sint, tamen se Cicero <strong>di</strong>cit in concilio deorum immortalium fuisse, inde missum<br />
huic urbi civibusque custodem absque carnificis nomine, qui civitatis incommodum in gloriam suam<br />
ponit. Quasi vero non illius coniurationis causa fuerit consulatus tuus, et idcirco res publica <strong>di</strong>siecta<br />
eo tempore, quo te custodem habebat. Sed, ut opinor, illa te magis extollunt, quae post consulatum<br />
cum Terentia uxore de re publica consuluisti, cum legis Plautiae iu<strong>di</strong>cia domi faciebatis; ex coniuratis<br />
alios pecunia condemnabas, cum tibi alius Tusculanam, alius Pompeianam villam exae<strong>di</strong>ficabat, alius<br />
domum emebat: qui vero nihil poterat, is erat calumniae proximus, is aut domum tuam oppugnatum<br />
venerat aut insi<strong>di</strong>as senatui fecerat, denique de eo tibi compertum erat.<br />
Quae si tibi falsa obicio, redde rationem, quantum patrimonii acceperis, quid tibi litibus accreverit,<br />
qua ex pecunia domum paraveris, Tusculanum et Pompeianum infinito sumptu ae<strong>di</strong>ficaveris. Aut, si<br />
retices, cui dubium potest esse? Opulentiam istam ex sanguine et miseriis civium parasti.<br />
Verum, ut opinor, homo novus Arpinas, ex M. Crassi familia, illius virtutem imitatur, contemnit<br />
simultatem hominum nobilium, rem publicam caram habet, neque terrore neque gratia removetur a<br />
vero, amicitia tantum ac virtus est animi.<br />
Immo vero homo levissimus, supplex inimicis, amicis contumeliosus, modo harum, modo illarum<br />
partium, fidus nemini, levissimus senator, mercennarius patronus, cuius nulla pars corporis a<br />
turpitu<strong>di</strong>ne vacat: lingua vana, manus rapacissimae, gula immensa, pedes fugaces; quae honeste<br />
nominari non possunt, inhonestissima. Atque is cum eius mo<strong>di</strong> sit, tamen audet <strong>di</strong>cere: «O fortunatam<br />
natam me consule Romam!»
STORIA<br />
1) Analizzate e commentate il passo seguente:<br />
Anno accademico 2008/09<br />
“La verità è che il presente sistema delle nostre leggi, come la nostra lingua e la nostra cultura, è un<br />
ammasso molto misto ed eterogeneo; per alcuni aspetti del tutto nostro, per altri preso in prestito da<br />
altre nazioni e messo insieme, alterato e variamente mo<strong>di</strong>ficato, a seconda delle varie necessità che i<br />
costumi, la religione e il commercio del popolo hanno imposto in epoche <strong>di</strong>verse” (E. Burke, Essay<br />
Towards a History of the Laws ofEngland, 1757 circa).<br />
2) Analizzate e commentate il passo seguente:<br />
“Libertas creden<strong>di</strong> nihil aliud est quam libertas peccan<strong>di</strong>” (Card. Roberto<br />
Bellarmino, 1542-1621, Controversìae)<br />
3) Giovanni Botero, affermando l’importanza dell’esperienza per chi deve avere il “maneggio della<br />
republica” , la <strong>di</strong>stingue tra quella che si impara dai viventi e quella che si ha dai morti. Tra le due<br />
“molto maggior campo d’imparare è quello che ci porgono i morti con l’istorie scritte da loro, perché<br />
questi comprendono tutta la vita del mondo e tutte le parti <strong>di</strong> esso; ed invero “l’istoria è il più vago<br />
teatro che si possa imaginare: ivi a spese d’altri l’uomo impara quel che conviene a sé, ivi si veggono<br />
i naufragi senza orrore, le guerre senza pericolo, i costumi <strong>di</strong> varie genti e gl’istituti <strong>di</strong> <strong>di</strong>verse<br />
republiche senza spesa, ivi si scorgono i princìpi, i mezzi e i fini e le cagioni degli accrescimenti e<br />
delle rovine degl’imperi...”<br />
{Della ragion <strong>di</strong> stato, cap. III, Della istoria).<br />
Analizzate e commentate questo passo.<br />
4) Analizzate e commentate il passo seguente:<br />
“L’abolizione dei fedecommessi, nella sua crudezza rivoluzionaria...altro non è che l’ammodernamento<br />
dell’economia pubblica in quello sta<strong>di</strong>o estremo <strong>di</strong> <strong>di</strong>ssoluzione sociale, che abolisce il più sacro dei<br />
legami, l’unità ed autorità domestica...Spogliata la Chiesa, spogliato il monarca, saccheggiata la<br />
Provincia e il Comune, s’introduce nella famiglia l’in<strong>di</strong>vidualismo morale. Si abolisce col Beccaria<br />
il ben <strong>di</strong> famiglia perché si è detto con lui: la repubblica non è composta <strong>di</strong> famiglie ma <strong>di</strong> in<strong>di</strong>vidui,<br />
e gli in<strong>di</strong>vidui hanno tutti egual <strong>di</strong>ritto, <strong>di</strong> godere”.<br />
(Luigi Taparelli D’Azeglio (1793-1862), Esame critico degli or<strong>di</strong>ni rappresentativi nella società<br />
moderna, Roma 1854, pp. 290-92).
STORIA DELL’ARTE<br />
Anno accademico 2008/09<br />
I<br />
«Da tempo ci siamo resi conto che l’arte non si realizza nel vuoto, che non c’è artista che non<br />
<strong>di</strong>penda da predecessori e modelli, che l’artista, al pari dello scienziato e del filosofo, è legato a una<br />
precisa tra<strong>di</strong>zione e lavora in una ben strutturata area <strong>di</strong> problemi. Il grado <strong>di</strong> padronanza all’interno<br />
<strong>di</strong> questa struttura e, almeno in certi perio<strong>di</strong>, la libertà <strong>di</strong> mo<strong>di</strong>ficare questi vincoli fanno parte,<br />
presumibilmente, della complessa scala con cui si valutano i risultati».<br />
Così scriveva Ernst Kris (1900-1957), versatile storico dell’arte interessato alle con<strong>di</strong>zioni storiche,<br />
sociali e psicologiche dell’operare dell’in<strong>di</strong>viduo artista e dei suoi risultati. Esponi le tue<br />
considerazioni in proposito, facendo perno su una definita casistica storica, a tua scelta.<br />
II<br />
Nelle <strong>di</strong>eci fotocopie allegate sono riprodotte opere che possono esemplificare, lungo un arco <strong>di</strong><br />
circa mille anni, alcuni momenti della continuità o della profonda trasformazione della tra<strong>di</strong>zione<br />
classica. Scegline alcune per costruire - in presenza <strong>di</strong> tali testimonianze figurative e soprattutto <strong>di</strong><br />
quelle che vorrai richiamare — un percorso all’interno <strong>di</strong> questo aspetto sterminato e cruciale della<br />
nostra cultura. è necessario che tu in<strong>di</strong>chi sulle fotocopie il numero corrispondente alle <strong>di</strong>dascalie:<br />
1. Arnold Böcklin, Ulisse e Calipso (1883), Basilea, Kunstmuseum<br />
2. Antonio Canova, Amore e Psiche, stanti (1797-1802), San Pietroburgo, Ermitage<br />
3. Annibale Carracci, Diana e En<strong>di</strong>mione, particolare della volta (c. 1600), Roma, Palazzo<br />
Farnese<br />
4. Andrea Mantegna, San Sebastiano (1470 circa), Parigi, Louvre<br />
5. Andrea Palla<strong>di</strong>o, Villa Foscari alla Malcontenta, presso Mira (fine degli anni Cinquanta del<br />
XVI secolo)<br />
6. Nicola Pisano, rilievo del pulpito (entro il 1259-60), Pisa, Battistero<br />
7. Nicolas de Verdun, particolare della cassa dei Re Magi (c. 1182-90), Colonia, Cattedrale<br />
8. Giulio Paolini, Doppia verità (1995-96), nell’installazione del 1999, Torino, Galleria<br />
d’arte moderna<br />
9. Giovan Battista Piranesi, Veduta del sotterraneo. Fondamenti del Mausoleo (1745)<br />
10. Wiligelmo (fine del sec. XII), rilievo, Modena, Cattedrale<br />
III<br />
La percezione della realtà nell’arte gotica.<br />
IV<br />
Leggi con attenzione, per poi inquadrarlo nella storia dell’arte e della letteratura artistica, il Proemio<br />
alla terza parte delle Vite de’ più eccellenti pittori, scultori ed architettori <strong>di</strong> Giorgio Vasari,<br />
secondo l’e<strong>di</strong>zione Giuntina del 1568. Potrai svolgere l’argomento anche in forma <strong>di</strong> ragionate<br />
postille a passi cruciali o a momenti lessicali <strong>di</strong> particolare rilievo.<br />
V<br />
Paul Klee: le sue ra<strong>di</strong>ci, la sua posterità
PROEMIO<br />
Anno accademico 2008/09<br />
Veramente grande augumento fecero alle arti della architettura, pittura e scultura quelli eccellenti Maestri che<br />
noi abbiamo de scritti sin qui, nella seconda parte <strong>di</strong> queste Vite; aggiugnendo alle cose de’ primi regola,<br />
or<strong>di</strong>ne,’misura, <strong>di</strong>segno e maniera se non in tutto perfettamente, tanto almanco vicino al vero, che i terzi, <strong>di</strong> chi<br />
noi ragioneremo da qui avanti, poterono, me<strong>di</strong>ante quel lume, sollevarsi e condursi alla somma perfezione, dove<br />
ab biamo le cose moderne <strong>di</strong> maggior pregio e pitì celebrate. Ma perché più chiaro ancor si conosca la qualità del<br />
miglioramento che d hanno fatto i predetti artefici, non sarà certo fuori <strong>di</strong> propo sito <strong>di</strong>chiarare, in poche parole, i<br />
cinque aggiunti che io nominai, e <strong>di</strong>scorrer succintamente donde sia nato quel vero buono, che superato il secolo<br />
antico, fa il moderno sf glorioso. Fu adunque la regola nella architettura il modo del misurare delle anticaglie,<br />
osservando le piante de gli e<strong>di</strong>ficai antichi nelle opere moderne; l’or<strong>di</strong>ne fu il <strong>di</strong>videre l’un genere dall’altro, sf che<br />
toccasse ad ogni corpo le membra sue, e non si cambiasse più tra loro il dorico, lo ionico, il corinzio et il toscano; e<br />
la misura fu universale, si nella architettura, come nella scultura, fare i corpi delle figure retti, dritti e con le membra<br />
organizzate parimente; et il simile nella pittura. Il <strong>di</strong>segno fu lo imitare il più bello della natura in tutte le figure,<br />
cosi scolpite come <strong>di</strong>pinte, la qual parte viene dallo aver la mano, e l’ingegno che raporti tutto quello che vede<br />
l’occhio in sul piano, o <strong>di</strong>segni o in su fogli o tavola o altro piano, giustissimo et a punto; e cosi <strong>di</strong> rilievo nella<br />
scultura; la maniera venne poi la più bella, dall’avere messo in uso il frequente ritrarre le cose Ipìu’belle; e da quel<br />
più bello, o mani o teste o corpi o gambe [II, 2Y aggiugnerk insieme e fare una figura <strong>di</strong> tutte quelle bellezze che più<br />
si poteva; e metterla in uso in ogni opera per tutte le figure, che per questo si <strong>di</strong>ce esser bella maniera.<br />
1. Nella giunrina le pagine del Proemio non hanno numerazione. Ne in<strong>di</strong>chiamo” la progressione eoa nomerò in corsivo.378<br />
Queste cose non l’aveva fatte Giotto, né que’ primi artefici, se bene eglino avevano scoperto i principii <strong>di</strong> tutte<br />
queste <strong>di</strong>fficoltà, e toccatele in superficie, come nel <strong>di</strong>segno, più vero che non era prima e più simile alla<br />
natura, e cosi l’unione de* colori et i com ponimenti delle figure nelle storie e molte altre cose, de le quali<br />
a bastanza s’è ragionato 1 . Ma se bene i secon<strong>di</strong> agomentarono grandemente a queste arti tutte le cose<br />
dette <strong>di</strong> sopra, elle non erano però tanto perfette, che elle finissino <strong>di</strong> aggiugnere all’intero della perfezione.<br />
Mancandoci ancora nella regola, una licenzia, che non essendo <strong>di</strong> regola, fosse or<strong>di</strong>nata nella regola e potesse<br />
stare senza fare confusione o guastare l’or<strong>di</strong>ne, il quale aveva bisogno d’una invenzione copiosa <strong>di</strong> tutte<br />
le cose e d’una certa bellezza continuata in ogni minima cosa, che mostrasse tutto quell’or<strong>di</strong>ne con più<br />
ornamento*. Nelle misure mancava uno retto giu<strong>di</strong>zio, che senza che le figure fussino misurate avessero in<br />
quelle grandezze, ch’elle eran fatte, una grazia che eccedesse la misura3 . Nel <strong>di</strong>segno non v’erano gli estremi<br />
del fine suo, perché se bene e’ facevano un braccio tondo et una gamba <strong>di</strong>ritta, non era ricerca con muscoli<br />
con quella facilità graziosa e dolce, che apparisce fra ‘1 ve<strong>di</strong> e non ve<strong>di</strong>, come fanno la carne e le cose vive:<br />
ma elle erano crude, e scorticate, che faceva <strong>di</strong>fficoltà a gli occhi e durezza nella maniera, alla quale mancava una<br />
leggiadria <strong>di</strong> fare svelte e graziose tutte le figure e massimamente le femmine et i putti con le membra naturali<br />
come a gli uomini, ma ricoperte <strong>di</strong> quelle grassezze e car nosità, che non siano goffe, come li naturali,<br />
ma arceficiate dal <strong>di</strong>segno e dal giu<strong>di</strong>zio.<br />
Vi mancavano ancora la copia de’ belli abiti, la varietà <strong>di</strong> tante bizarrie, la vaghezza de’ colori, la università<br />
ne’ casamenti e la lontananza e varietà ne’ paesi. Et avegna che molti <strong>di</strong> loro co-minciassino come Andrea<br />
Verrocchio*, Antonio del Poliamolo* e molti altri più moderni, a cercare <strong>di</strong> fare le loro figure più stu<strong>di</strong>ate, e che ci<br />
apparisse dentro maggior <strong>di</strong>segno, con quella imitazione<br />
1. Cfr., a proposito delle idee che il Vasari va esponendo, il primo vo lume, pag. 13 e pag. 15 e sgg.<br />
2. Io questo celebre passo vasariano è la migliore definizione della poe tica manieristica, non “antickssica” ma “licenziosa” nei limiti<br />
della regolaclassica.<br />
3. Sulla “grazia” manieristica nel Vasari si può vedere: A. BLUNT,Artittic Tbeory in Udy 1450-1600, Oxford, 1959, pag. 93 e<br />
sgg.<br />
4. Ve<strong>di</strong> la Vita <strong>di</strong> Andrea del Verrocchio, nel presente volume.<br />
5. Ve<strong>di</strong> la Vita d’Antonio e Piero Poliamoli, nel presente volume.<br />
più simile e più apunto alle cose naturali, non<strong>di</strong>meno e’ non v’era il tutto ancora, che ci fusse l’una sicurtà più certa,<br />
che eglino an davano inverso il buono e ch’elle fussino però approvate secondo l’opere de gli antichi, come si vide<br />
quando il Verrocchio rifece le gambe e le braccia <strong>di</strong> marmo al Marsia <strong>di</strong> casa Me<strong>di</strong>ci in Fio-renza 1 , mancando<br />
loro pure una fine et una estrema perfezione ne’ pie<strong>di</strong>, mani, capegli, barbe, ancora che il tutto delle membra,<br />
sia accordato con l’antico et abbia una certa corrispondenza giusta nelle misure. Che s’eglino avessino avuto quelle<br />
minuzie de i fini, che sono la perfezzione et il fiore dell’arte, arebbono avuto an cora una gagliardezza risoluta<br />
nell’opere loro e ne sarebbe conse guito la leggiadria et una pulitezza e somma grazia, che non eb-bono, ancora che<br />
vi sia lo stento della dìligenzìa, che son quelli che danno gli stremi dell’arte nelle belle figure*, o <strong>di</strong> rilievo o<br />
<strong>di</strong>pinte. Quella fine e quel certo che che ci mancava, non lo po tevano mettere cosi presto in atto, avvenga che lo stu<strong>di</strong>o<br />
insecchisce la maniera, quando egli è preso per terminare i fini in quel modo. Bene lo trovaron poi dopo [II, 3] loro
Anno accademico 2008/09<br />
gli altri, nel veder cavar fuora <strong>di</strong> terra certe anticaglie, citate da Plinio delle più famose: il Lacoonte, l’èrcole et<br />
il Torso grosso <strong>di</strong> Bel Vedere, cosi la Venere, la Qeopatra, lo Apollo et infinite altre: le quali nella lor dolcezza e<br />
nelle lor asprezze con termini carnosi e cavati dalle maggior bellezze del vivo, con certi atti, che non in tutto si<br />
storcono, ma si vanno in certe parti movendo e si mostrano con una graziosis-sima grazia. E furono cagione <strong>di</strong> levar<br />
via una certa maniera secca e cruda e tagliente, che per lo soverchio stu<strong>di</strong>o avevano lasciata in questa arte Pietro<br />
della Francesca, Lazaro Vasari, Alesso Bal-dovinetti, Andrea dal Castagno, Pesello, èrcole Ferrarese, Giovan Bellini,<br />
Cosimo RosseUi, l’Abate <strong>di</strong> San demente, Domenico del Ghirlandaio, Sandro Botticello, Andrea Mantegna, Filippo<br />
e Luca Signorello 1 ; i quali per sforzarsi, cercavano fare l’impossibile del l’arte con le fatiche e massime ne gli scorti<br />
e nelle vedute spia cevoli che, si come erano a loro dure a condurle, cosi erano aspre a vederle. Et ancora che la<br />
maggior parte russino ben “<strong>di</strong>segnate e senza errori, vi mancava pure uno spirito <strong>di</strong> prontezza che non ed si vide<br />
mai, et una dolcezza ne’ colori unita, che la cominciò ad<br />
1. Ve<strong>di</strong> la Vita <strong>di</strong> Andrea del Verrocchio, in questo stesso volume,<br />
pag. 229, nota 2.<br />
2. lì Vasari ha scruto la vita <strong>di</strong> questi artisti in questo e nel precedente<br />
volume. Il “Filippo” nominato è verosimilmente Filippino Lippi, dato che<br />
gli artisti sono menzionati in or<strong>di</strong>ne cronologico.<br />
usare nelle cose sue il Francia Bolognese e Pietro Perugino’. Et i popoli nel vederla corsero come matti a<br />
questa bellezza nuova e più viva, parendo loro assolutamente che e* non si potesse giamai far meglio.<br />
Ma lo errore <strong>di</strong> costoro <strong>di</strong>mostrarono poi chiaramente le opere <strong>di</strong> Lionardo da Vinci 1 , il quale, dando<br />
principio a quella terza ma niera, che noi vogliamo chiamare la moderna, oltra la gagliardezza e bravezza del<br />
<strong>di</strong>segno, et oltra il contraffare sottilissimamente tutte le minuzie della natura cosf apunto, come elle sono, con<br />
buona regola, miglior or<strong>di</strong>ne, retta misura, <strong>di</strong>segno perfetto e grazia <strong>di</strong>vina, abbondantissimo <strong>di</strong> copie e<br />
profon<strong>di</strong>ssimo <strong>di</strong> arte, dette ve ramente alle sue figure il moto et il fiato. Seguitò dopo lui, ancora che alquanto<br />
lontano, Giorgione da Castel Franco”, il quale sfumò le sue pitture e dette una terribil movenzia alle sue cose,<br />
per una certa oscurità <strong>di</strong> ombre bene intese; né meno <strong>di</strong> costui <strong>di</strong>ede alle sue pitture forza, rilievo, dolcezza<br />
e grazia ne’ colori fra’ Bartolo-meo <strong>di</strong> San Marco 4 . Ma più <strong>di</strong> tutti il graziosissimo Raffaello da Urbino 5 , il<br />
quale stu<strong>di</strong>ando le fatiche de’ maestri vecchi e quelle de’ moderni, prese da tutti il meglio, e fattone raccolta,<br />
arricchì l’arte della pittura <strong>di</strong> quella intera perfezione, che ebbero antica mente le figure d’Apelle e <strong>di</strong> Zeusi<br />
e più, se si potesse <strong>di</strong>re o mostrare l’opere <strong>di</strong> quelli a questo paragone. Là onde la natura restò vinta da i<br />
suoi colori, e l’invenzione era in lui si facile e propria quanto può giu<strong>di</strong>care chi vede le storie sue, le quali<br />
sono simili alii scritti, mostrandoci in quelle i siti simili e gli e<strong>di</strong>ficii, cosf come nelle genti nostrali e strane,<br />
le cere e gli abiti, secondo che egli ha voluto: oltra il dono della grazia delle teste, giovani, vecchi e femmine,<br />
riservando alle modeste la modestia, alle lascive la lascivia et ai putti ora i vizii ne gli occhi et ora i giuochi<br />
nelle attitu<strong>di</strong>ni. E cosi i suoi panni piegati, né troppo semplici, né intrigati, ma con una guisa che paiono<br />
veri. Segui in questa ma niera, ma più dolce <strong>di</strong> colorito e non tanta gagliarda Andrea del Sarto 6 , il qual si può<br />
<strong>di</strong>re che fusse raro, perché l’opere sue sono senza errori. Né si può [II, 4] esprimere le leggiadrissime vivacità,<br />
1. Ve<strong>di</strong> la Via del Francia e quella <strong>di</strong> Pietro Perugino nel presente<br />
volume.<br />
2. Ve<strong>di</strong> la Vita <strong>di</strong> Leonardo da Vinci io questo stesso volume.<br />
3. Ve<strong>di</strong> ia Vita <strong>di</strong> Giorgione da CasteJfranco nel presente volume.<br />
4. Ve<strong>di</strong> la Vita <strong>di</strong> Fra Bartoiomeo in questo stesso volume.<br />
5- Ve<strong>di</strong> la Vita <strong>di</strong> Raffaello nel quarto volume.<br />
6. La Vita <strong>di</strong> Andrea del Sarto si legge ne) quarto volume.<br />
che fece nelle opere sue Antonio da Correggio 1 , sfilando i suoi ca pelli con un modo, non <strong>di</strong> quella maniera fine che<br />
facevano gli in nanzi a lui, ch’era <strong>di</strong>fficile, tagliente e secca, ma d’una piumosità morbi<strong>di</strong>, che si scorgevano le fila<br />
nella facilità del farli, che parevano d’oro e più belli che i vivi, i quali restano vinti da i suoi coloriti. Il simile fece<br />
Francesco Mazzola Parmigiano 2 , il quale in molte parti <strong>di</strong> grazia e <strong>di</strong> ornamenti e <strong>di</strong> bella maniera lo avanzò, come si<br />
vede in molte pitture sue, le quali ridano nel viso e sì come gli occhi veggono vivacissimamente, cosf si scorge il batter<br />
de’ polsi, come più piacque al suo pennello. Ma chi considererà l’opere delle facciate <strong>di</strong> Polidoro e <strong>di</strong> Maturino*,<br />
vedrà le figure far que’ gesti che l’impossibile non può fare, e stupirà come e’ si possa non ragionare con la lingua<br />
ch’è facile, ma esprimere col pennello le terribilissime invenzioni messe da loro in opera con tanta pratica e destrezza,<br />
rappresentando i fatti de 1 Romani, come e’ furono pro priamente. E quanti ce ne sono stati, che hanno dato vita alle<br />
loro figure co i colori ne’ morti 4 ? Come il Rosso, fra’ Sebastiano, Giu lio Romano, Perin del Vaga 1 , perché de’ vivi,<br />
che per se me desimi son notissimi, non accade qui ragionare. Ma quello che importa il tutto <strong>di</strong> questa arte è che<br />
l’hanno ridotta oggi talmente perfetta e facile per chi possiede il <strong>di</strong>segno, l’invenzione et il colorito, che dove<br />
prima da que’ nostri maestri si faceva una tavola in sei anni, oggi in un anno q < uè > sti maestri ne fanno sei: et<br />
io ne £o indubitatamente fede e <strong>di</strong> vista e d’opa; e molto più si veggono finite e p fette, che non facevano<br />
prima gli altri maestri <strong>di</strong> conto 4 . Ma q < uè > Ho che fra i morti e vivi porta la palma e trascende e ricuopre tutti è il<br />
<strong>di</strong>vino Michelagn Buon < arroti > 7 il qual non solo tien il principato <strong>di</strong> una <strong>di</strong> qste arti, ma <strong>di</strong> tutte tre<br />
insieme. Costui supera e vince non solamente tutti costoro, channo quasi che vinto già la na tura, ma quelli
stessi famosiss < imi > antichi, che si lodatamente<br />
Anno accademico 2008/09<br />
1. Ve<strong>di</strong> la Vita del Correggio in questo stesso volume.<br />
2. Ve<strong>di</strong> la Vita del Parmigianino nei volumi succèssivi. Neàla prima<br />
e<strong>di</strong>zione, il Vasari aveva scritto : “Francesco Parmigiano suo creato”.<br />
3. La Vira <strong>di</strong> Polidoro da Caravaggio e <strong>di</strong> Maturino si trova nel quartp<br />
volume.<br />
4. Parla cioè <strong>di</strong> artisti già moni (*).<br />
5. Ve<strong>di</strong> le Vite del Rosso, nel quarto volume, e quelle <strong>di</strong> Sebastiano<br />
del Piombo, <strong>di</strong> Giulio Romano, <strong>di</strong> Perin del Vaga nei volumi successivi.<br />
6. La frase da “Ma quello che importa...” a qui fu aggiunta nella seconda<br />
e<strong>di</strong>zione (1568).<br />
7. 8. Ve<strong>di</strong> la Vita <strong>di</strong> Michelangelo nei volumi successivi.<br />
fuor d’ogni dubbio la superarono: et unico si trionfa <strong>di</strong> qgli, <strong>di</strong> qsti e <strong>di</strong> lei, non imaginandosi appena<br />
qlla cosa alcuna si strana e tanto <strong>di</strong>fficile, ch’egli con la virtù del <strong>di</strong>viniss•«ci mo ingegno suo, me<strong>di</strong>ante<br />
l’industria, il <strong>di</strong>segno, l’arte, il giu<strong>di</strong>zio e la grazia, <strong>di</strong> gran lunga non la trapassi. E non solo nella pittura e ne’<br />
colori, sotto il qual genere si comprendono tutte Je forme e tutti i corpi retti e non retti, palpabili et impalpabili,<br />
visibili e non visi bili, ma nell’estrema roton<strong>di</strong>la ancora de’ corpi: e con la punta del suo scarpello, e delle fatiche <strong>di</strong><br />
cosi bella e fruttifera pianta, son <strong>di</strong> stesi già tanti rami e si onorati, che oltre l’aver pieno il mondo in si <strong>di</strong>susata foggia<br />
de’ più saporiti frutti che siano, hanno ancora dato l’ultimo termine a queste tre nobiliss arti con tanta e<br />
sf maravigliosa perfezzione, che ben si può <strong>di</strong>re e sicuramente, le sue statue in qual si voglia parte <strong>di</strong> quelle, esser<br />
più belle assai che l’antiche. Conoscendosi nel mettere a paragone teste, mani, braccia e pie<strong>di</strong> formati dall’uno e<br />
dall’altro, rimanere in qlle <strong>di</strong> co stui un certo fondamento più saldo, una grazia più interamente gra ziosa et una<br />
molto più assoluta pfezzione, condotta con una certa <strong>di</strong>fficultà si facile nella sua maniera, che egli è impossibile<br />
mai veder meglio. Il che medesimamente si può credere delle sue pit ture. Le quali, se p < er > avventura ci russerò<br />
<strong>di</strong> q < uè > Uè famo-siss greche o romane da poterle a fronte a fronte para gonare, tanto resterebbono in<br />
maggior pregio e più f II, 5] onorate, quanto più appariscono le sue sculture superiori a tutte le antiche. Ma se tanto<br />
sono da noi ammirati que’ famosissimi, che provocati con sf eccessivi premii e con tanta felicità, <strong>di</strong>edero vita alle<br />
opere loro; quanto doviamo noi maggiormente celebrare e mettere in cielo questi rarissimi ingegni, che non solo senza<br />
premii, ma in una po vertà miserabile fanno frutti sì preziosi? Credasi et affermisi adun que, che se in questo nostro<br />
secolo russe la giusta remunerazione, si farebbono senza dubbio cose più gran<strong>di</strong> e molto migliori che non fecero<br />
mai gli antichi. Ma lo avere a combattere più con la fame, che con la Fama, tien sotterrati i miseri ingegni, né<br />
gli lascia (colpa e vergogna <strong>di</strong> chi sollevare gli potrebbe e non se ne cura) farsi conoscere. E tanto basti a questo<br />
proposito, essendo tempo <strong>di</strong> oramai tornare a le Vite; trattando <strong>di</strong>stintamente <strong>di</strong> tutti quegli che hanno fatto opere<br />
celebrate, in questa terza maniera: il principio della quale fu Lionardo da Vinci, dal quale appresso cominrìeremo.<br />
IL FINE DEL PROEMIO
STORIA DELL’ARTE - GALLERIA IMMAGINI<br />
Anno accademico 2008/09
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Anno accademico 2008/09
LETTERATURA ITALIANA<br />
Il can<strong>di</strong>dato svolga una delle seguenti tracce:<br />
1.<br />
La finzione letteraria nel Giorno <strong>di</strong> Parini.<br />
2.<br />
Le figure femminili nella narrativa verghiana.<br />
Anno accademico 2009/10<br />
3<br />
L'esperienza della guerra nella letteratura italiana del novecento<br />
4<br />
Commentate sotto il profilo linguistico, metrico, retorico·stilistico e tematico il seguente componimento <strong>di</strong><br />
Petrarca:<br />
Ver<strong>di</strong> panni, sanguigni, oscuri o persi<br />
non vestì donna unquancho<br />
né d'òr capelli in bionda treccia attorse,<br />
sì bella com'è questa che mi spoglia<br />
d'arbitrio, et dal camin de libertade<br />
seco mi tira, si ch'io non sostegno<br />
alcun giogo men grave.<br />
Et se pur s'arma talor a dolersi<br />
l'anima a cui vien mancho,<br />
consiglio, ove 'l martir l'adduce in forse,<br />
rappella lei da la sfrenata voglia<br />
sùbita vista, ché del cor mi rade<br />
ogni delira impresa, et ogni sdegno<br />
fa 'l veder lei soave<br />
Di quanto per Amor già mai soffersi,<br />
et aggio a soffrir ancho,<br />
fin che mi sani ‘l cor colei che 'l morse,<br />
rubella <strong>di</strong> mercé, che pur l'envoglia,<br />
vendetta fia, sol che contra Humiltade<br />
Orgoglio et Ira il bel passo ond'io vegno<br />
non chiuda, et non inchiave.<br />
Ma l'ora e 'l giorno ch'io le luci apersi<br />
nel bel nero et nel biancho<br />
che mi scacciâr <strong>di</strong> là dove Amor corse,<br />
novella d'esta vita che m'addoglia<br />
furon ra<strong>di</strong>ce, et quella in cui l'etade<br />
nostra si mira, la qual piombo o legno<br />
vedendo è chi non pave.
Lagrima dunque che dagli occhi versi<br />
per quelle. che nel mancho<br />
lato mi bagna chi primier s'accorse,<br />
quadrella, dal voler mio non mi svoglia,<br />
ché 'n giusta parte la sententia cade:<br />
per lei sospira l'alma, et ella è degno<br />
che le sue piaghe lave.<br />
Da me san fatti i miei pensier' <strong>di</strong>versi:<br />
tal già, qual io mi stancho,<br />
l'amata spada in se stessa contorse;<br />
né quella prego che però mi scioglia,<br />
ché men son dritte al ciel tutt'altre strade,<br />
et non s'aspira al glorїoso regno<br />
certo in più salda nave.<br />
Benigne stelle che compagne fersi<br />
al fortunato Ciancho<br />
quando 'l bel pano giù nel mondo scórse!<br />
ch'è stella in terra, et come in lauro foglia<br />
conserva verde il pregio d'onestade,<br />
ave non spira folgore, né indegno<br />
vento mai che l'aggrave<br />
So io ben ch'a voler chiuder in versi<br />
suo lau<strong>di</strong>, fôra stancho<br />
chi più degna la mano a scriver porse:<br />
qual cella è <strong>di</strong> memoria in cui s'accoglia<br />
quanta vede vertù, quanta beltade,<br />
che gli occhi mira d'ogni valor segno,<br />
dolce del mio cor chiave?<br />
Quanto il sol gira, Amor più caro pegno,<br />
donna, <strong>di</strong> voi non ave.<br />
Anno accademico 2009/10
FILOSOFIA<br />
Anno accademico 2009/10<br />
1.<br />
Nel brano seguente, tratto dal libro un<strong>di</strong>cesimo della Metafisica, si parla della 'scienza del filosofo': il<br />
can<strong>di</strong>dato commenti il testo, cercando <strong>di</strong> spiegare come Aristotele caratterizzi siffatta scienza e accenni ai<br />
problemi interpretativi che sorgono al riguardo. "La scienza del filosofo è la scienza dell'essere in quanto<br />
essere, universale, e non particolare. Ma , l'essere si <strong>di</strong>ce in molti mo<strong>di</strong>, e non in uno solo; ora, se l'essere è<br />
uno soltanto equivocamente, ma non si pre<strong>di</strong>ca secondo nulla <strong>di</strong> comune, non è possibile che sia oggetto <strong>di</strong><br />
un'unica scienza, perché non ci sarebbe un unico genere dei <strong>di</strong>versi mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> essere; ma se l'essere si <strong>di</strong>ce<br />
secondo qualcosa <strong>di</strong> comune, dovrebbe essere ricondotto sotto un'unica scienza. Sembra che l'essere si <strong>di</strong>ca<br />
proprio in quest'ultimo modo, come si <strong>di</strong>cono me<strong>di</strong>co e salubre, perché anche ciascuno <strong>di</strong> questi due termini<br />
si usa in molti mo<strong>di</strong>. Questi termini si <strong>di</strong>cono nello stesso modo in cui si <strong>di</strong>ce l'essere, perché l'uno viene<br />
ricondotto in qualche modo alla scienza me<strong>di</strong>ca, l'altro alla salute ( ... ] ma ciascuno viene ricondotto a<br />
qualcosa <strong>di</strong> identico"<br />
[Aristotele, \emph {La metafisica}, trad. a cura <strong>di</strong> C. A. Viano, Torino UTET, 1974, pp. 469-70]<br />
2.<br />
La religione naturale è uno dei temi centrali della filosofia moderna. Analizzate e commentate, su questo<br />
sfondo problematico, lo scambio <strong>di</strong> battute fra Toralba e Salomone nel Colloquium hepraplomeres <strong>di</strong> Jean<br />
Bo<strong>di</strong>n: "Toralba: Vedo che sull'insieme dei princìpi fondamentali della religione c'è <strong>di</strong>saccordo tra Giudei e<br />
Cristiani, tra Agareni e questi due, e che anche tra gli stessi Agareni esistono gravi controversie <strong>di</strong> fede,<br />
mentre tra i Cristiani, Tertulliano ed Epifania menzionano non meno <strong>di</strong> 120 eresie ... e anche se sembra che i<br />
Giudei conservino con maggiore coerenza la purezza della loro religione, tuttavia gli orientali si<br />
<strong>di</strong>fferenziano dagli occidentali nei riti. Poiché le cose stanno così, non è forse meglio abbracciare quella<br />
semplicissima, antichissima e per giunta verissima religione <strong>di</strong> natura, posta fin dal1'inizio dall'immortale<br />
Id<strong>di</strong>o nella mente <strong>di</strong> ogni uomo, da cui non avremmo dovuto allontanarci (mi riferisco a quella religione in<br />
cui vissero Abele, Enoc, Lot, Seth, Noè, Giobbe, Abramo, Isacco, Giacobbe, gran<strong>di</strong> uomini carissimi a Dio),<br />
piuttosto che andare errando ciascuno con incertezza tra tante e sì varie opinioni e non avere una sede sicura,<br />
in cui l'anima possa trovare pace?<br />
Sa/omone: - Se fossimo simili a quei gran<strong>di</strong> uomini, non avremmo affatto bisogno <strong>di</strong> riti né <strong>di</strong> cerimonie ma<br />
è impossibile mantenere la plebe e il volgo ignorante nella pura adesione alla vera religione senza riti e<br />
cerimonie."<br />
[Jean Bo<strong>di</strong>n, Colloquium heptap/omeres, traduzione <strong>di</strong> C. Peri, Ed. Terziaria, Milano, 2003, pp. 634-635).<br />
3.<br />
Il can<strong>di</strong>dato esamini il seguente passo tratto dalle Me<strong>di</strong>tazioni metafisiiche <strong>di</strong> Descartes e ne esponga il<br />
contenuto, rispettando la scansione delle argomentazioni e soffermandosi sui nessi concettuali che legano le<br />
une alle altre. Spieghi, inoltre, quale ruolo svolge nell'ambito della filosofia cartesiana il concetto qui<br />
sviluppato. "Io mi ero però persuaso che non vi fosse assolutamente niente al mondo, che non vi fosse cielo,<br />
né terra, né menti, né corpi; e non mi ero forse persuaso che neppure io esistevo? Invece, <strong>di</strong> certo io esistevo<br />
se mi ero persuaso. C'è tuttavia un non so quale essere ingannatore, sommamente potente, sommamente<br />
astuto, che deliberatamente mi inganna sempre. Non vi è dubbio, però, che io esisto, se mi inganna; e mi<br />
inganni pure quanto può, non riuscirà mai a fare in modo, tuttavia, che io sia nulla finché penserò <strong>di</strong> essere<br />
qualcosa. Cosicché, dopo aver soppesate a sufficienza tutte le cose, bisogna concludere che questo enunciato:<br />
io sono, io esisto tutte le volte che viene da me proferito o concepito nella mia mente, è necessariamente<br />
vero."<br />
[Descartes, Me<strong>di</strong>tationes de prima philosophia, Paris, Vrin, 1970, p. 25]<br />
4.<br />
Nel brano seguente, tratto dai Prolegomeni, Kant espone in dettaglio la sua dottrina del giu<strong>di</strong>zio: il<br />
can<strong>di</strong>dato, in primo luogo spieghi e commenti il passo; cerchi quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> mostrare quali implicazioni abbiano<br />
le tesi ivi contenute, in rapporto alla concezione generale kantiana della conoscenza.<br />
"Noi dobbiamo quin<strong>di</strong> analizzare l'esperienza in genere per vedere che cosa in questo prodotto appartenga ai<br />
sensi e che cosa all'intelletto e come il giu<strong>di</strong>zio <strong>di</strong> esperienza sia possibile. A fondamento sta l'intuizione<br />
della quale ho coscienza, cioè la percezione (perceptio), che è tutta cosa del senso. Ma in secondo luogo vi
Anno accademico 2009/10<br />
concorre anche un giu<strong>di</strong>zio (che è cosa del solo intelletto). Ora questo giu<strong>di</strong>zio può essere <strong>di</strong> due specie,<br />
secondoché io comparo semplicemente le percezioni e le collego in una coscienza, nella coscienza del mio<br />
stato, oppure le collego in una coscienza genericamente. Il primo è solo un giu<strong>di</strong>zio percettivo ed ha intanto<br />
solo valore soggettivo: esso è un puro collegamento delle percezioni nel mio stato <strong>di</strong> coscienza senza<br />
riferimento all'oggetto. Quin<strong>di</strong> non basta per l'esperienza, come si crede comunemente, comparare delle<br />
percezioni e collegarle per mezzo del giu<strong>di</strong>zio in una coscienza: questo non dà ancora nessuna universalità e<br />
necessità del giu<strong>di</strong>zio, per le quali proprietà soltanto esso può essere oggettivamente valido e chiamarsi<br />
esperienza. Bisogna quin<strong>di</strong> che preceda ancora un altro giu<strong>di</strong>zio, perché dalla percezione si abbia<br />
l'esperienza. L'intuizione data dev'essere sussunta sotto un concetto che determina la forma del giu<strong>di</strong>zio in<br />
genere in rapporto all'intuizione, collega le intuizioni della coscienza empirica in una coscienza generica e<br />
per questo mezzo conferisce ai giu<strong>di</strong>zi empirici un valore universale; tale concetto è un concetto intellettivo<br />
puro a priori e il compito suo è semplicemente quello <strong>di</strong> determinare in rispetto ad un'intuizione il modo in<br />
cui può venir costituito da essa un giu<strong>di</strong>zio."<br />
[I. Kant, Prolegomeni ad ogni metafisica futura, a cura <strong>di</strong> P. [nnocenti e M. Roncoroni, Milano, Rusconi,<br />
1995]<br />
5.<br />
Qual è il rapporto tra filosofia e storia? Analizzate e commentate questo luogo delle Lezioni sulla storia della<br />
filosofia in cui Hegel svolge il tema, dal suo punto <strong>di</strong> vista, in termini chiari e rigorosi: "Ogni filosofia, per il<br />
fatto <strong>di</strong> rappresentare un particolare sta<strong>di</strong>o <strong>di</strong> svolgimento, appartiene al tempo suo ed è chiusa nella sua<br />
limitatezza. L'in<strong>di</strong>viduo è figlio del suo popolo, del suo mondo, <strong>di</strong> cui egli non fa altro che manifestare la<br />
sostanza, sebbene in una forma peculiare. Il singolo può ben gonfiarsi quanto vuole, ma non potrà mai uscire<br />
dal proprio tempo, come non può uscire dalla propria pelle; infatti egli appartiene a quell'unico spirito<br />
universale, che costituisce la sua sostanza e la sua propria essenza. Come potrebbe egli sottrarvisi? E'<br />
appunto questo spirito universale che viene colto col pensiero dalla filosofia; in essa lo spirito universale<br />
pensa sé stesso ed essa quin<strong>di</strong> ne costituisce il determinato contenuto sostanziale. Ogni filosofia è filosofia<br />
dell'età sua, è una anello della catena complessiva dello svolgimento spirituale, e può dar sod<strong>di</strong>sfazione<br />
soltanto agli interessi del suo tempo".<br />
[Hegel, Lezioni sulla storia del/a filosofia, traduzione <strong>di</strong> E. Co<strong>di</strong>gnola e G. Sanna, voI. I, La Nuova<br />
Italia, Firenze, 1981, p. 57.]<br />
6.<br />
Esiste, e se esiste, qual è il nesso tra cultura e libertà? Analizzate e <strong>di</strong>scutete il punto <strong>di</strong> vista argomentato da<br />
Tocqueville in questo testo: "Sembra che un popolo civilizzato, ridotto a non occuparsi più delle questioni<br />
politiche, debba cercare con più ardore i piaceri letterari, ma non è così. Si resta insensibili e sterili in<br />
letteratura, come in politica [ ... ] quasi tutti i capolavori dello spirito umano sono stati prodotti in secoli <strong>di</strong><br />
libertà; e, se le lettere e le ani sono sembrate prendere un nuovo slancio e raggiungere una più grande<br />
perfezione appena la libertà è stata <strong>di</strong>strutta, questa tesi, però non è mai stata sostenuta. Infatti, quando si<br />
guarda da vicino quel che è successo allora, ci si accorge che questi governi assoluti ere<strong>di</strong>tavano le fanne,<br />
l'attività dello spirito, la libertà <strong>di</strong> immaginazione, che i costumi e le istituzioni libere avevano creato ( ... ]<br />
questo spiega Augusto, i Me<strong>di</strong>ci e Luigi XIV. La Repubblica romana, la democrazia fiorentina, la libertà<br />
feudale, che viveva ancora in mezzo alle lotte <strong>di</strong> religione e della Fronda, erano i <strong>di</strong>versi terreni capaci <strong>di</strong><br />
produrre i gran<strong>di</strong> uomini, che hanno illustrato quel che si chiama il secolo <strong>di</strong> Augusto, <strong>di</strong> Leone X e <strong>di</strong> Luigi<br />
XIV; e la prova ne è che, man mano che il regime nuovo creato da questi principi o dal loro tempo si<br />
affermava, questi pretesi effetti andavano gradualmente scomparendo e si rientrava nella normalità delle<br />
cose, cioè nella tranquillità e nella sterilità del <strong>di</strong>spotismo."<br />
[Alexis de Tocqueville, La rivoluzione, a cura <strong>di</strong> Marco Diani, Sellerio, Palermo, 1989, pp. 211 · 212.)<br />
7.<br />
La cultura moderna si è interrogata, in modo costante, sui rapporti e anche sulle <strong>di</strong>fferenze tra filosofia e<br />
religione. Analizzate e commentate la posizione sostenuta da Croce in questo "frammento" <strong>di</strong> etica: "Si suole<br />
affermare che la religione dà quella consolazione e quella serenità, che nessuna filosofia può dare. Ma, come<br />
considerazione <strong>di</strong> fatto, non oserei <strong>di</strong>re che la cosa sia vera. Mi guardo attorno o raccolgo i miei ricor<strong>di</strong> sugli<br />
uomini religiosi (e intendo ingenuamente credenti in una determinata religione), coi quali ho vissuto o mi<br />
sono imbattuto, e non li riconosco più sereni o meno turbati degli altri non religioni (non credenti), che anche<br />
ho praticato .... Si <strong>di</strong>rà che gli uomini religiosi e i santi sono pur uomini, con le umane debolezze e miserie. E
Anno accademico 2009/10<br />
sta bene: mettiamo in <strong>di</strong>sparte la questione <strong>di</strong> fatto. Dunque, per quale ragione ideale la religione darebbe<br />
quella serenità che la filosofia non può dare? Si risponde: perché essa offre la stabilità della fede. Ma la fede<br />
non è niente che sia particolare alla religione: ogni pensiero, pensato che sia, si fa fede, ossia da <strong>di</strong>venire<br />
passa a <strong>di</strong>venuto, da pensato a non pensato, da <strong>di</strong>namico a stabile o statico".<br />
[Benedetto Croce, Religione e serenità in Elica e politica, Adelphi, Milano, 1994, pp. 29·30.]<br />
8.<br />
Il rapporto tra responsabilità e convinzione è un tema assai <strong>di</strong>battuto nella riflessione etica sia antica che<br />
moderna. Analizzate, in questo quadro, la <strong>di</strong>stinzione posta da Weber ne La politica come professione tra<br />
"elica della convinzione" ed "etica della responsabilità": "Dobbiamo renderei conto che ogni agire può stare<br />
sotto due massime ra<strong>di</strong>calmente contrapposte e fondamentalmente <strong>di</strong>verse una dall'altra: può essere<br />
orientato, cioè, secondo "l'etica della convinzione" oppure secondo "l'etica della responsabilità". Non che<br />
l'etica della convinzione si identifichi con la mancanza <strong>di</strong> responsabilità e che l'etica della responsabilità si<br />
identifichi con la mancanza <strong>di</strong> convinzione. Naturalmente non intendo <strong>di</strong>re questo. Ma c'è un contrasto<br />
abissale tra l' agire secondo la massima dell'etica della convinzione, la quale, considerata dal punto <strong>di</strong> vista •<br />
religioso, afferma che " il cristiano opera giustamente e rimette il successo a Dio" oppure secondo la<br />
massima dell'etica della responsabilità, secondo la quale si deve rispondere delle (preve<strong>di</strong>bili) conseguenze<br />
del proprio agire". [Max Weber, La politica come professione in Scritti politici, traduzione <strong>di</strong> A. Cariolato e<br />
E. Fongaro, Donzelli E<strong>di</strong>tore, Roma, 1998, p. 222.}
STORIA<br />
Il can<strong>di</strong>dato svolga una delle seguenti tracce:<br />
Anno accademico 2009/10<br />
l.<br />
A partire dal secolo XIV gli europei si trovarono sempre più davanti all'"altro": il can<strong>di</strong>dato in<strong>di</strong>vidui le<br />
principali fasi storiche e i <strong>di</strong>battiti teorici che hanno caratterizzato nel lungo periodo il rapporto dell a civiltà<br />
occidentale con l'alterità etnica e/o religiosa.<br />
2.<br />
Commentate il seguente passo:<br />
"Il fin dunque del perfetto cortigiano (...) estimo che sia il guadagnarsi per mezzo delle con<strong>di</strong>cioni<br />
attribuitegli da questi signori talmente la benivolenzia e l'animo <strong>di</strong> quel principe a cui serve, che possa <strong>di</strong>rgli<br />
e sempre gli <strong>di</strong>ca la verità d'ogni cosa che ad esso convenga sapere, senza timor o periculo <strong>di</strong> <strong>di</strong>spiacergli<br />
(...); e così avendo il cortegiano in sé la bontà, come gli hanno attribuita questi signori, accompagnata con<br />
lo prontezza d'ingegno e piacevolezza e con lo prudenzia e notizia <strong>di</strong> lettere e <strong>di</strong> tante altre cose, saprà in<br />
ogni proposito destramente far vedere al suo principe quanto onore ed utile nasca a lui ed alli suoi dalla<br />
giustizia, dalla liberalità, dalla magnanimità, dalla mansuetu<strong>di</strong>ne e dall 'altre virtù che si convengono al<br />
buon principe ... ".<br />
(Baldesar Castiglione, Il libro del cortegiano, 1528, Libro IV, capitolo V).<br />
3.<br />
Commentate il seguente passo (Montaigne, "Dei cannibali", Saggi, I, 3 1, 1580):<br />
"Penso che ci sia più barbarie nel mangiare un uomo vivo che nel mangiarlo morto, ne! lacerare con<br />
supplizi e martiri un corpo ancora sensibile, farlo arrostire a poco a poco, farlo mordere e <strong>di</strong>laniare dai<br />
cani e dai porci (come abbiamo non solo letto, ma visto recentemente, non fra antichi nemici, ma fra vicini e<br />
concitta<strong>di</strong>ni, e, quel che è peggio, sotto il pretesto della pietà religiosa), che nell'arrostirlo e mangiarlo dopo<br />
che è morto".<br />
4.<br />
Commentate il seguente passo, tratto da Alexis de Tocqueville, La democrazia in America (II vol., 1840):<br />
"Gli uomini che abitano i paesi democratici, non avendo superiori, né inferiori, e nemmeno associati<br />
abituali e necessari, si ripiegano volentieri su se stessi e si considerano isolatamente. (...) Con grande<br />
sforzo, dunque, questi uomini si strappano ai propri affari particolari per occuparsi degli affari comuni: la<br />
loro inclinazione naturale è <strong>di</strong> lasciarne lo cura al solo rappresentante visibile e permanente degli interessi<br />
collettivi, che è lo Stato. Non solo non hanno naturalmente il gusto <strong>di</strong> occuparsi del pubblico, ma spesso<br />
manca loro il tempo per farlo. La vita privata, nei tempi democratici, è così attiva, così agitata, così piena <strong>di</strong><br />
desideri, <strong>di</strong> lavori, che per la vita politica quasi non resta loro energia e tempo. (...) L'amore della<br />
tranquillità pubblica è sovente l'unica passione politica che conservano questi popoli, e <strong>di</strong>venta più attiva e<br />
più potente fra loro via via che tutte le altre s'indeboliscono e muoiono; ciò <strong>di</strong>spone naturalmente i citta<strong>di</strong>ni<br />
ad attribuire continuamente o a lasciar prendere nuovi <strong>di</strong>ritti al potere centrale, che sembra loro il solo che,<br />
per <strong>di</strong>fendere se stesso, abbia l'interesse e i mezzi per <strong>di</strong>fenderli dall'anarchia. (...) Penso che, nei secoli<br />
democratici che stanno per aprirsi, l'in<strong>di</strong>pendenza in<strong>di</strong>viduale e le libertà locali saranno sempre un prodotto<br />
artificioso. L'accentramento sarà il governo naturale".<br />
5.<br />
Invenzione della stampa e Internet: è possibile usare quest'analogia (con le convergenze e <strong>di</strong>vergenze che<br />
essa implica) per comprendere la realtà presente? (Non si tratta <strong>di</strong> una domanda retorica: sono ammesse<br />
anche risposte negative, purché argomentate).
GRECO<br />
Anno accademico 2009/10<br />
UN PRECETTO PER GIUDICARE BENE
LATINO - PRIMO ANNO<br />
Anno accademico 2009/10<br />
I SOGNI PER CONOSCERE IL FUTURO?<br />
Illud etiam requiro, cur, si deus ista visa nobis providen<strong>di</strong> causa dat, non vigilantibus potius det quam<br />
dormientibus. Sive enim externus et adventicius pulsus animos dormientium commovet, sive per se ipsi animi<br />
moventur, sive quae causa alia est cur secundum quietem aliquid videre, au<strong>di</strong>re, agere videamur, eadem<br />
causa vigilantibus esse poterat; idque si nostra causa <strong>di</strong> secundum quietem facerent, vigilantibus idem<br />
facerent, praesertim cum Chrysippus Academicos refellens permulto clariora et certiora esse <strong>di</strong>cat quae<br />
vigilantibus videantur quam quae somniantibus. Fuit igitur <strong>di</strong>vina beneficentia <strong>di</strong>gnius, cum consulerent<br />
nobis, clariora visa dare vigilanti quam obscuriora per somnum. Quod quoniam non fit, somnia <strong>di</strong>vina<br />
putanda non sunt. Iam vero quid opus est circumitione et anfractu, ut sit utendum interpretibus, somniorum,<br />
potius quam derecto deus, siquidem nobis consulebat, "hoc facito, hoc ne feceris" <strong>di</strong>ceret idque visum<br />
vigilanti potius quam dormienti daret?<br />
Iam vero quis <strong>di</strong>cere audeat vera omnia esse somnia? "Aliquot somnia vera," inquit Ennius, " sed omnia non<br />
necesse est." Quae est tandem ista <strong>di</strong>stinctio? Quae vera, quae falsa habet? Et si vera a deo mittuntur, falsa<br />
unde nascuntur? Nam si ea quoque <strong>di</strong>vina, quid inconstantius deo? Quid inscitius autem est quam mentes<br />
mortalium falsis et mendacibus visis concitare? Sin vera visa <strong>di</strong>vina sunt, falsa autem et inania humana,<br />
quae est ista designan<strong>di</strong> licentia, ut hoc deus, hoc natura fecerit potius quam aut omnia deus, quod negatis,<br />
aut omnia natura? Quod quoniam illud negatis, hoc necessario confitendum est. Naturam autem eam <strong>di</strong>co,<br />
qua numquam animus insistens agitatione et motu esse vacuus potest. Is cum languore corporis nec membris<br />
uti nec sensibus potest, inci<strong>di</strong>t in visa varia et incerta ex reliquiis, ut ait Aristoteles, inhaerentibus earum<br />
rerum quas vigilans gesserit aut cogitaverit; quarum perturbatione mirabiles interdum exsistunt species<br />
somniorum; quae si alia falsa, alia vera, qua nota internoscantur scire sane velim. Si nulla est, quid istos<br />
interpretes au<strong>di</strong>amus? Sin quaepiam est, aveo au<strong>di</strong>re quae sit; sed haerebunt.
STORIA DELL’ARTE<br />
Il can<strong>di</strong>dato svolga una delle seguenti tracce:<br />
Anno accademico 2009/10<br />
I<br />
La pagina allegata, sull’Apollo del Belvedere, copia <strong>di</strong> un originale greco in bronzo (Roma, Musei<br />
Vaticani), viene dalla Storia dell'arte nell'Antichità (1764) <strong>di</strong> Johann Joachim Winckelmann, padre<br />
del Neoclassicismo: senza perdere <strong>di</strong> vista l’opera (fig. 1), prova a ricavame le linee critiche<br />
fondamentali.<br />
II<br />
Questo passo <strong>di</strong> Roberto Longhi risale al 1929 e chiude la parte dei Quesiti caravaggeschi relativa a<br />
I precedenti, che venivano in<strong>di</strong>viduati nella tra<strong>di</strong>zione luministica lombarda, a partire da Foppa.<br />
Servitene per mettere a fuoco il punto <strong>di</strong> vista storiografico <strong>di</strong> Longhi e/o come punto <strong>di</strong> appoggio<br />
per tracciare un profilo <strong>di</strong> Caravaggio (sono allegate le figg. 2, 3)<br />
III<br />
La figura, l'esperienza e l’opera <strong>di</strong> Giotto segnano una svolta sia nella storia figurativa, sia in quella<br />
dello status sociale e culturale dell'artista, e del pittore in particolare. Presenta le tue cognizioni e<br />
riflessioni sul tema inquadrandolo storicamente, e valendoti in particolare del proemio del Libro<br />
dell ’arte, un trattato, prevalentemente de<strong>di</strong>cate alle tecniche pittoriche, scritto intorno al 1400 dal<br />
pittore Cennino Cennini: un’opera la cui stessa esistenza sarebbe impensabile senza la rivoluzione<br />
giottesca (e allegata, assieme alla pagina <strong>di</strong> Cennino, una riproduzione della Fuga in Egitto della<br />
Cappella Scrovegni: fig.4).<br />
IV<br />
I due quadri riprodotti furono <strong>di</strong>pinti a <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong> una decina <strong>di</strong> anni: nel 1800, il Napoleone varca<br />
le Alpi del francese Jacques—Louis David (fig. 5, Berlino, Charlottenburg, cm. 271x232), verso il<br />
1811, Bufera <strong>di</strong> neve. Annibale e il sua esercito attraversano le Alpi dell’inglese Joseph Tumer (fig.<br />
6, Londra, Tate Gallery, cm. 146x237,5). Sviluppa un’analisi ed un confronto fra i due <strong>di</strong>pinti.<br />
V<br />
La piazza come cuore della città storica e come scena della stratificazione monumentale rifletti su<br />
alcuni esempi, che ti siano familiari o che tu abbia scoperto viaggiando.
ALLEGATI<br />
Anno accademico 2009/10<br />
Traccia I<br />
La statua dell’Apollo rappresenta il più alto ideale dell’arte tra le opere antiche che si sono<br />
conservate fino a noi. L’artista ha impostato la sua opera su <strong>di</strong> un concetto puramente ideale e si è<br />
servito della materia solo per quel tanto che era necessario ad esprimere il suo intento e a renderlo<br />
visibile. Questa statua supera tutte le altre immagini <strong>di</strong> Apollo, quanto l’Apollo <strong>di</strong> Omero supera<br />
l’Apollo descritto dagli altri poeti. La sua statura sopravanza ogni forma umana, e il suo<br />
atteggiamento riflette la grandezza <strong>di</strong>vina che lo impronta. Una primavera eterna. come quella che<br />
regna nei beati Elisi, versa sulle forme virili d’un’età perfetta la gentilezza e la grazia dell’età<br />
giovanile e scherza con tenera morbidezza sull’altera struttura delle sue membra. Entra, o lettore,<br />
con lo spirito nel regno delle bellezze incorporee e cerca <strong>di</strong> crearti l’immagine d’una natura <strong>di</strong>vina,<br />
per poterti colmare l’anima con l’idea <strong>di</strong> bellezze soprannaturali: qui nulla ricorda la morte né le<br />
miserie terrene. Né vene né ten<strong>di</strong>ni riscaldano e muovono questo corpo, ma uno spirito celeste,<br />
simile ad . un placido fiume, riempie tutti i suoi contorni. Il <strong>di</strong>o ha inseguito il serpente Pitone, lo<br />
ha trafitto con l’arco e col possente passo lo ha raggiunto. Dall’alto della sua purezza volge<br />
sublime lo sguardo all’infinito, <strong>di</strong> là dalla sua vittoria. Sulle sue labbra si legge il <strong>di</strong>sprezzo, e lo<br />
sdegno che egli in sé rinchiude, gli <strong>di</strong>lata le narici e sale Eno all’altera fronte; ma resta inalterata<br />
la pace e la tranquillità d’animo che su <strong>di</strong> essa aleggia, e l’occhio è pieno <strong>di</strong> dolcezza come se egli<br />
si trovasse tra le braccia delle Muse.
FIG. 1<br />
Anno accademico 2009/10
Traccia II<br />
Anno accademico 2009/10<br />
QUESITI CARAVAGGESCHI: I PRECEDENTI - 1929<br />
Ma anche il Caravaggio ha sofferto e soffre tuttora, come i suoi antenati, <strong>di</strong> giu<strong>di</strong>zi eterocliti. La<br />
condanna <strong>di</strong> mero naturalismo inflittagli dal Baglione e dal Bellori è senza dubbio ingiusta; ma da<br />
ragione almeno d'una delle due facce dello stile <strong>di</strong> lui. Assai più sviate ci paiono le interpretazioni<br />
moderne. Parlare del Caravaggio <strong>di</strong>segnatore, o plastico, o colorista, o barocco, é ancora<br />
giu<strong>di</strong>carlo da questa o da quella delle prerogative del classicismo, nessuna delle quali gli potrebbe<br />
mai convenire. Non cosi parlare del luminismo ch’è la contro- parte stilistica della sua ineluttabile<br />
naturalezza. Dalle esperienze luministiche dei suoi precursori, fra cui erano anche quel Lotto che il<br />
Lomazzo (in questo argomento, come lombardo, molto piu autorevole del Vasari) chiama «maestro<br />
del dare il lume» e quel Savoldo in cui il Pino esalta «le ingegnose descrittioni dell’oscurità», il<br />
Caravaggio scopre la forma delle ombre: uno stile dove il lume, non più asservito, finalmente, alla<br />
definizione plastica dei corpi su cui incide, e anzi arbitro dell’ombra seguace della loro esistenza<br />
stessa. Il principio era per la prima volta immateriale; non <strong>di</strong> corpo ma <strong>di</strong> sostanza; esterno ed<br />
ambiente all’uomo, non schiavo dell’uomo. Già il lombardo Lomazzo, sebbene classicista, aveva<br />
definito in astratto: «lume é qualità senza corpo», anticipando a suo modo, <strong>di</strong> tre secoli, il «rien<br />
n’est ma- tériel dans l’espace» del lombardo Medardo Rosso. Che cosa importasse questo nuovo<br />
stile nei confronti col Rinascimento ch'era invece partito dall'uomo, e vi aveva sopra e<strong>di</strong>ficato una<br />
superba mole antropocentrica, cui anche la luce era ano<strong>di</strong>na servente, e facile intendere.<br />
All'artificio, al simbolo drammatico dello stile attendeva ora il lume medesimo, non l'idea che<br />
l’uomo poteva aver formato <strong>di</strong> se stesso. Ma quando in un battito del lume una cosa assommasse, e<br />
poiché non era più luogo a preor<strong>di</strong>narla nella forma, nel <strong>di</strong>segno, nel costume, e neppure nella<br />
rarità del colore, essa non poteva sortire che terribilmente naturale. Il <strong>di</strong>rompersi delle tenebre<br />
rivelava l'accaduto e nient'altro che l'accaduto; donde la sua inesorabile naturalezza e la sua<br />
inevitabile varietà, la sua incapacita <strong>di</strong> «scelta». Uomini, oggetti, paesi, ogni cosa sullo stesso<br />
piano <strong>di</strong> costume, non in una scala gerarchia <strong>di</strong> degnità. E anche <strong>di</strong> questo concepimento, che <strong>di</strong>rei<br />
fatalisticamente popolare, della vita, i precursori del Caravaggio avevan dato per più secoli prove<br />
tangibili, se anche non cosl coerenti come quelle ch’egli ora pro- poneva ed opponeva alle nuove<br />
circostanze. Di fronte alla soluzione gran<strong>di</strong>osa ed ottimistica, ma provvisoria, del barocco cui già il<br />
classicismo aveva dato l’avvio, la soluzione del Caravaggio trova infatti, nell'accordo deciso e<br />
perentorio fra il fisico e il metafisico, il segno del proprio valore, amaramente vero e perenne. Ed<br />
ogni stile autentico contiene in sé — o ha contenuto almeno fino al principio <strong>di</strong> questo secolo — la<br />
<strong>di</strong>alettica del dualismo tra natura e visione: naturalezza somma e somma astrazione s’in- vertono<br />
fra sé. Cosi nella macchia astratta e <strong>di</strong>rupata dal chiaroscuro caravaggesco, dove alla prima nulla<br />
si avvisa se non un collasso tragico e primor<strong>di</strong>ale <strong>di</strong> luce ed ombra, emerge subitamente, e come<br />
per fatale incidenza, l'avvenimento più vero, più tangibile, più naturale, insomma, che mai sia stato<br />
immaginato ed espresso. Qui è lo sbocco e la fine degli antichi fatti lombar<strong>di</strong> e insieme l’inizio <strong>di</strong><br />
fatti nuovi, non tanto italiani, ma europei, che, attraversando il sonno agitato e fumante del vecchio<br />
gigante barocco, e senza punto smarrirsi in quei vapori, vengono a riunirsi con i maggiori<br />
raggiungimenti moderni. Dal « cavallo » protagonista della Conversione <strong>di</strong> San Paolo è una via,<br />
tortuosa fin che si vuole, ma una via che conduce agli a ombrelli » protagonisti nel quadro del<br />
Renoir. O, per portare una prova più <strong>di</strong>rettamente genealogica e stilistica: quando il<br />
contemporaneo Rubens copia per <strong>di</strong>letto la Deposizione caravaggesca della Vallicella, egli la<br />
sforza ed altera in ogni senso per il suo travaglio <strong>di</strong> Sisifo barocco. Ma quando, per sua<br />
e<strong>di</strong>ficazione, la copia il Cézanne, egli illumina con intelligenza incre<strong>di</strong>bile, dopo quasi tre secoli, la<br />
faccia quintessenziale, astratta, metafisica del modello caravaggesco. Nulla meglio <strong>di</strong> questa<br />
constatazione ultima ci può chiarire <strong>di</strong> che involucro sommamente ideale si ravvolga la terribile<br />
naturalezza del Caravaggio, ultimo dei « lombar<strong>di</strong>r »
FIG. 2<br />
Anno accademico 2009/10
FIG. 3<br />
Anno accademico 2009/10
Anno accademico 2009/10<br />
Traccia III<br />
Incomincia il libro dell’arte, fatto e composto da Cienino da Colle a riverenza <strong>di</strong> Dio e della<br />
Vergine Maria e <strong>di</strong> Santo Eustacchio e <strong>di</strong> Santo Francesco e <strong>di</strong> San Giovanni Battista e <strong>di</strong> Santo<br />
Antonio da Padova e generalmente <strong>di</strong> tutti e' Santi e Sante <strong>di</strong> Dio, e a riverenza <strong>di</strong> Giotto <strong>di</strong> Taddeo<br />
e d'Agnolo maestro <strong>di</strong> Ciennino, e a ultolità 1 e bene e guadagno <strong>di</strong> chi alla detta arte vorrà<br />
pervenire.<br />
CAPITOLO 1<br />
Nel principio che Id<strong>di</strong>o onipotente creò il cielo e la terra, sopra tutti animali e alimenti creò l’uomo<br />
e la donna alla sua propria inmagine, dotandoli <strong>di</strong> tutte virtù. Poi, per lo inconvenente che per<br />
invi<strong>di</strong>a venne da Lucifero ad Adam, che con sua malizia e segacità lo ingannò <strong>di</strong> peccato contro al<br />
comandamento <strong>di</strong> Id<strong>di</strong>o (cioè Eva, e poi Eva Adam), onde per questo Id<strong>di</strong>o si crucciò inverso<br />
d’Adam, e sì li fe' dall’angelo cacciare, lui e la sua compagnia, fuor del para<strong>di</strong>so, <strong>di</strong>cendo loro: —<br />
Perché <strong>di</strong>subi<strong>di</strong>to avete el comandamento il quale Id<strong>di</strong>o vi détte, per vostre fatiche ed esercizii<br />
vostra vita traporterete. — Onde cognoscendo Adam il <strong>di</strong>fetto per lui conmesso, e sendo dotato da<br />
Dio si nobilmente, sì come ra<strong>di</strong>ce principio e padre <strong>di</strong> tutti noi, rinvenne <strong>di</strong> sua scienza <strong>di</strong> bisogno<br />
era trovare modo da vivere manualmente; e così egli incominciò con la zappa e Eva col filare 2 . Poi<br />
seguitò molt’arti bisognevoli e <strong>di</strong>fferenziate l’una dall'altra; e fu ed è <strong>di</strong> maggiore scienzìa l'una che<br />
l'altra, ché tutte non potevano essere uguali: perché la più degna è la scienzia; appresso <strong>di</strong> quella<br />
seguitò alcune <strong>di</strong>scendenti da quella, la quale conviene avere fondamento da quella con operazione<br />
<strong>di</strong> mano: e quest’è un’arte che si chiama <strong>di</strong>pignere, che conviene avere fantasia e operazione <strong>di</strong><br />
mano, <strong>di</strong> trovare cose non vedute, cacciandosi sotto ombra <strong>di</strong> naturali, e fermarle con la mano,<br />
dando a <strong>di</strong>mostrare quello che non è, sia. E con ragione merita metterla a sedere in secondo grado<br />
alla scienza e coronarla <strong>di</strong> poesia 3 . La ragione è questa: che 'l poeta, con la scienza prima che ha, il<br />
fa degno e libero <strong>di</strong> potere compone e legare insieme sì e no come gli piace, secondo sua volontà.<br />
Per lo simile al <strong>di</strong>pintore dato è libertà potere comporre una figura ritta, a sedere, mezzo uomo<br />
mezzo cavallo, sì come gli piace, secondo sua fantasia. Adunque ho per gran cortesia a tutte quelle<br />
persone che in loro si sentono via a sa- pere o modo <strong>di</strong> potere adornare queste principali scienze con<br />
qual- che gioiello, che realmente senza alcuna periteza si mettano innanzi, offerendo alle predette<br />
scienze quel poco sapere che gli ha Id<strong>di</strong>o dato 4 . Sì come piccolo membro essercitante nell’arte <strong>di</strong><br />
<strong>di</strong>pintorìa 5 , Cennino d`Andrea Cennini da Colle <strong>di</strong> Valdelsa nato, fui informato nella detta arte Xll<br />
1 Ultolità: utilità<br />
2 Onde cognoscendo Adam il <strong>di</strong>fetto .... col filare: per cui Adamo riconosciuta la sua colpa, dato che aveva avuto da<br />
Dio notevoli capacità, capì, essendo origine e padre <strong>di</strong> tutto il genere umano, che doveva vivere compiendo lavori<br />
manuali e cominciò quin<strong>di</strong> a lavorare la terra. mentre Eva si de<strong>di</strong>cò alla filatura.<br />
3 Poi seguito molt'arti .... poesia: poi Adamo intraprese molte altre attività necessarie e ognuna <strong>di</strong>versa dall'altra,<br />
secondo una gerarchia <strong>di</strong> valori al cui vertice era ed è la «Scienza» e subito dopo vengono le scienze applicate fra cui<br />
primeggia la pittura; arte questa che si <strong>di</strong>stingue da ogni altra, perche richiede fantasia e abilità manuale; capacità,<br />
insomma, <strong>di</strong> creare immagini pittoriche frutto della fantasia e tali da far credere che «quello che non è, sian». Per questo<br />
la pittura è un'arte che viene subito dopo la scienza e nella quale la creatività dell`artista può spaziare con la stessa<br />
libertà <strong>di</strong> immagini proprie della poesia.<br />
4 Adunque .... Id<strong>di</strong>o dato: perciò riterrò atto <strong>di</strong> grande generosità da parte <strong>di</strong> tutte quelle persone che, potendo dare un<br />
contributo allo sviluppo dell'arte, lo daranno senza esitazione, offrendo alle scienze quel contributo che hanno ricevuto<br />
per grazia <strong>di</strong> Dio.<br />
5 Si come piccolo membro essercitante nell'arte <strong>di</strong> <strong>di</strong>pìntorìa: questa affermazione. che talvolta è stata considerata come<br />
la confessione delle limitate capacità dell’artista, è da ritenersi. a nostro avviso, uno dei consueti luoghi comuni che<br />
frequentemente si incontrano negli scrittori del tempo (ve<strong>di</strong>: Franco Sacchetti (1335-1410), Novella CXXXVII, Milano,<br />
1937 « .... io scrittore essendo, benché indegno, de' Priori nella nostra città», ve<strong>di</strong> inoltre: Giorgio Vasari, Le Vite, La<br />
Spezia, l987, p. l, « [l'arte] l`han saputa, con maggiore felicita che forse non ho potuto io, esercitarla» e p.6 «...che il<br />
mio debole ingegno ed il poco giu<strong>di</strong>zio, potrà fare»),
Anno accademico 2009/10<br />
anni da Agnolo <strong>di</strong> Taddeo da Firenze mio maestro, il quale imparò la detta arte da Taddeo suo<br />
padre; il quale suo padre fu battezzato da Giotto e fu suo <strong>di</strong>scepolo anni XXIII. ll quale Giotto<br />
rimutò l’arte del <strong>di</strong>pignere <strong>di</strong> greco in latino e ridusse al moderno; ed ebbe l’arte più compiuta che<br />
avessi mai più nessuno. Per confortar tutti quelli che all’arte vogliono venire, <strong>di</strong> quello che a me fu<br />
insegnato dal predetto Agnolo mio maestro nota farò, e <strong>di</strong> quello che con mia mano ho provato;<br />
principalmente invocando l’alto Id<strong>di</strong>o onnipotente, cioè Padre Figliuolo Spirito Santo; secondo,<br />
quella <strong>di</strong>lettissima avvocata <strong>di</strong> tutti i peccatori Vergine Maria, e <strong>di</strong> Santo Luca evangelista, primo<br />
<strong>di</strong>- pintore cristiano 6 , e dell’avvocato mio Santo Eustachio, e generalmente <strong>di</strong> tutti i Santi e Sante <strong>di</strong><br />
Para<strong>di</strong>so. Amen.<br />
6 Santo Luca Evangelista, prima <strong>di</strong>pintore cristiano: fra le <strong>di</strong>vinità invocate, Cennino mette, dopo Dio e la Madonna,<br />
San Luca Evangelista, che la tra<strong>di</strong>zione ci presenta come pittore <strong>di</strong> ritratti della Vergine e protettore delle Arti<br />
Figurative.
FIG. 4<br />
Anno accademico 2009/10
Traccia III<br />
FIG. 5<br />
Anno accademico 2009/10
FIG. 6<br />
Anno accademico 2009/10
A cura <strong>di</strong><br />
Giandonato Tartarelli<br />
Divisione Didattica Ricerca e<br />
Relazioni Esterne<br />
Servizio Orientamento e Progetti Culturali