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BREGOVIC IL MUSICISTA CHE VOLEVIC ARE HARE IL ... - Ctrl

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52<br />

C'era una volta in<br />

Anatolia<br />

Nuri Bilge Ceylan Anno: 2011<br />

Nelle steppe dell'Anatolia,<br />

alcuni poliziotti, un medico e un<br />

procuratore vagano alla ricerca di<br />

un cadavere da seppellire. Inizia<br />

così,come un anomalo giallo<br />

investigativo, l'ultimo film del turco<br />

Ceylan, ma diventa presto un noir<br />

dell'anima, eludendo le domande<br />

del caso e lasciando che l'indagine<br />

di una notte, raccontata quasi in<br />

tempo reale, illumini gradualmente<br />

i personaggi in scena, misurandone<br />

Cinema / Lo stato delle cose<br />

Caccia al cadavere<br />

le distanze, le paure, le solitudini.<br />

In fondo, come recita l'epitaffio di<br />

Marcel Duchamp, “sono sempre gli<br />

altri a morire”. Ed è proprio meditando<br />

sulla morte di qualcun'altro<br />

che i protagonisti possono scrutare<br />

dentro di sé, in una storia tenebrosa<br />

e lunare, che vive di luce riflessa<br />

nel cuore della notte. Quanto alla<br />

ricerca della verità, per tutta la<br />

durata del film si rimane soli, senza<br />

indizi. Visione respingente, mette in<br />

crisi il racconto dando la precedenza<br />

all'introspezione, a rischio di<br />

estenuare chi guarda per la durata<br />

(157 min.) e per i lunghi piani fissi<br />

di cui si compone. Sembra un thriller<br />

inceppato, perchè rifiuta ogni<br />

interpretazione certa, incarica lo<br />

spettatore di farsi una propria idea<br />

della vicenda narrata e lo depista<br />

con dettagli oscuri e digressioni<br />

sottilmente grottesche. Ma è pure<br />

un film enormemente suggestivo:<br />

insieme alla verità, lascia che anche<br />

l'immagine si sfaldi dolcemente,<br />

mentre il racconto si sfuoca e le<br />

figure sembrano perdere nitidezza<br />

e contorni, in bilico tra realtà e<br />

metafisica. Formatosi come pittore<br />

e fotografo, Ceylan contempla con<br />

minuzia figurativa e psicologica i<br />

suoi soggetti, persi in un'atmosfera<br />

sospesa e misteriosa che accorda<br />

un livido road-movie alla quieta<br />

monotonia della vita. Si pensa a<br />

Bergman, per la partitura di silenzi<br />

e soliloqui, e a Tarkovskij, per la<br />

pregnanza di quadri densi e ipnotici.<br />

Ma a interessare il regista è il<br />

lato oscuro della natura umana, il<br />

passato e i sentimenti di chi rimane<br />

(per Ceylan “è il volto umano il<br />

paesaggio più bello”). Non fatevi<br />

intimidire dalla durata: questo<br />

viaggio al termine della notte, tra<br />

cronaca e favola, è un'esperienza<br />

da provare.<br />

Il mistero del<br />

cadavere scomparso<br />

Carl Reiner Anno: 1982<br />

Tutt'altro registro, da scanzonata<br />

parodia demenziale, per un altro<br />

giallo a base di cadaveri introvabili<br />

e depistamenti snervanti, uno dei<br />

film più strambi e spassosi prodotti<br />

dal sodalizio tra il commediografo<br />

Carl Reiner e il comico americano<br />

Steve Martin. Dead Men Don't<br />

Wear Plaid (“I morti non portano<br />

il doppiopetto”), questo il titolo<br />

originale, non è solo un cult poco<br />

noto della commedia anni '80, ma<br />

un tentativo folle e assolutamente<br />

originale di riutilizzare spezzoni di<br />

classici del noir hollywoodiano, riportando<br />

in vita attori trapassati per<br />

farli duettare con Martin, vulcanico<br />

ed eclettico artista dello sketch. Ne<br />

esce un sorprendente remix di altri<br />

film, uno scherzo a perfetto incastro<br />

visivo e narrativo, che – come e più<br />

del recente The Artist - si serve di<br />

un apparato filologicamente perfetto<br />

(fotografia, luci, costumi e musica<br />

studiate ad imitazione dei vecchi<br />

noir) per omaggiare e attualizzare<br />

il cinema che fu, esasperando temi<br />

e stereotipi del genere (il detective<br />

spaccone, la femme fatale) in un<br />

intreccio fumoso e inestricabile. Il<br />

ricalco non chiede interpretazioni e<br />

deduzioni, ma, da autentica contraffazione<br />

postmoderna qual è, invita<br />

solamente a rintracciare (e decifrare)<br />

citazioni e finzioni. In modo non<br />

troppo diverso da C'era una volta<br />

in Anatolia, però, la morte continua<br />

a farla da padrona. Ad andare in<br />

scena, qui, è la decomposizione del<br />

Cinema, materiale d'archivio utile a<br />

concimare, da ready-made, nuove<br />

riscritture e caricature, reliquie di<br />

un cadavere inesauribile riportato<br />

in vita – insieme ai divi che<br />

lo fecero grande – da un dialogo<br />

impossibile, insieme nostalgico e<br />

tremendamente necrofilo.<br />

A cura di Dario Stefanoni

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