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PAG.4 L’ARENA DI POLA N. 8 del 31 agosto 2004<br />

La memoria<br />

Durante recenti vacanze in<br />

Solo attraverso questa chiave di<br />

Istria, la terra di mia mo-<br />

dell’Esodo<br />

lettura si può comprendere un esoglie,<br />

feci amicizia con un<br />

do dalle dimensioni bibliche, mai<br />

croato dell’interno, innamorato co-<br />

prima verificatosi nella storia plume<br />

me di quel mare, che un giorno<br />

rim<strong>il</strong>lenaria del nostro paese, che <strong>il</strong><br />

mi disse con orgoglio di aver com-<br />

mondo politico rifiutò di vedere e<br />

prato all’estero un ottimo impianto<br />

apprezzare, quasi si trattasse di<br />

stereofonico invitandomi a pro-<br />

una vergogna del popolo italiano,<br />

varlo. Così, la sera, andai a casa<br />

anziché di un valore di cui andare<br />

sua. Mi fece sedere, per gent<strong>il</strong>ezza, nel posto migliore per<br />

di Antonio Scarano *<br />

fieri e orgogliosi. Era certamente più fac<strong>il</strong>e solidarizzare e<br />

l’ascolto, poi mi annunciò con entusiasmo:<br />

commuoversi per <strong>il</strong> dramma dei palestinesi o per quello<br />

«Ora ti farò<br />

bas<strong>il</strong>iche che, ancor oggi, ca- delle famiglie dei desaparecidos argentini, anziché com-<br />

ascoltare la<br />

ratterizzano la bellezza di quei prendere la tragedia dei profughi istriani o delle migliaia<br />

musica più<br />

luoghi, non avrebbero mai po- di scomparsi giuliani gettati nelle “foibe” carsiche. D’al-<br />

bella del<br />

tuto accettare di sottomettersi a tronde costoro non facevano notizia, erano gente tranqu<strong>il</strong>-<br />

mondo!».<br />

un invasore che, pur considerala che non rimaneva un giorno di più nei campi profughi, a<br />

Manco a<br />

to “vicino di casa”, ritenevano carico dello stato italiano, se una qualsiasi opportunità di<br />

farlo appo-<br />

completamente estraneo alla lavoro si presentava all’orizzonte. Rifiutarono ogni forma<br />

sta, era <strong>il</strong><br />

loro splendida cultura. Il feno- di terrorismo e non crearono mai la benché minima diffi-<br />

coro deI<br />

meno dell’abbandono della locoltà al governo nazionale, nemmeno quando vennero sti-<br />

Nabucco e<br />

ro terra da parte di 350.000 pulati gli ultimi trattati con la Jugoslavia, con i quali si ri-<br />

devo aver<br />

istriani, fiumani e dalmati fu nunciò per sempre a quella meravigliosa sponda adriatica<br />

mostrato in<br />

interpretato dai sociologi e da- che, nella sua storia bim<strong>il</strong>lenaria, mai appartenne, nemme-<br />

qualche mogli<br />

storici nei modi più diverno per un giorno o per un’ora, a un’entità statale del mondo<br />

<strong>il</strong> mio<br />

si. Certamente, le “foibe”, i do slavo.<br />

stupore e la<br />

massacri, <strong>il</strong> terrore comunista, Rimasero, gli esuli, disperatamente attaccati alle loro<br />

mia commo-<br />

la “pulizia etnica” - tornata tradizioni, ovunque riaccendessero i loro focolari: era <strong>il</strong><br />

zione perché<br />

tragicamente di moda nel solo modo per tenere in vita almeno l’anima della terra<br />

lui, improv-<br />

mondo slavo - hanno contri- istriana o dalmata, definitivamente perduta. Si organizzavisamentebuito<br />

ad accelerare l’abbanrono, a seconda della loro provenienza, nei liberi comuni<br />

serio, me ne<br />

dono del territorio, ma <strong>il</strong> fatto di Zara, di Fiume, di Pola, di Parenzo, di Buie e di tanti al-<br />

chiese la ra-<br />

straordinario che contadini, tri ancora. Ma quanta tristezza, quanta um<strong>il</strong>iazione per<br />

gione. Fui<br />

artigiani, pescatori e piccoli uno zaratino, un fiumano, un polese o un parentino sentir-<br />

costretto a<br />

si chiedere, da un popolo privo di memoria<br />

spiegargli<br />

storica, se provenivano dalla città di Zadar, di<br />

che cosa quella melodia dell’es<strong>il</strong>io significasse per noi<br />

Rieka, di Pula o di Porec.<br />

giuliani, come fossimo ricorsi a essa per cercar conforto<br />

Il loro es<strong>il</strong>io generò anche aspetti dramma-<br />

quando sembrava che tutto <strong>il</strong> nostro mondo di<br />

tici sul piano fam<strong>il</strong>iare. Le ideologie divisero<br />

tradizioni,di cultura, di civ<strong>il</strong>tà dovesse finire per sempre a<br />

talvolta i padri dai figli, i fratelli dalle sorelle.<br />

causa di loro pretese territoriali, ai nostri occhi dolorose e<br />

Una minoranza volle rimanere nella terra de-<br />

assurde. L’amico croato non conosceva bene la storia delgli<br />

avi, nell’errata convinzione che l’internala<br />

terra che l’ospitava, perciò non andammo oltre. Ci strinzionalismo<br />

comunista desse a ciascuna etnia<br />

gemmo semplicemente la mano e restammo amici. Ma mi<br />

pari dignità, anche se <strong>il</strong> potere statale passa-<br />

chiedo chi, in quel momento, abbia sofferto di più.<br />

va nelle mani del nuovo padrone slavo.<br />

Adesso, ripensando a quel coro del Nabucco ascoltato<br />

Quelli che rimasero furono considerati, dai<br />

fortuitamente in una terra ormai straniera, rivivo i momen-<br />

350.000 che scelsero l’Italia, dei “traditori”.<br />

ti dell’immediato dopoguerra, quando le popolazioni della<br />

Le ferite che allora si aprirono nella comu-<br />

Venezia-Giulia, unite tutte in un comune destino, seppero<br />

nità istriana e dalmata sembravano non po-<br />

dimostrare al mondo dei vincitori - che aveva rifiutato lotersi<br />

più rimarginare, finché non si afro<br />

<strong>il</strong> plebiscito - di voler scegliere comunque l’Italia, quelfacciarono<br />

alla vita le seconde e terze genela<br />

patria povera, sconfitta, distrutta e um<strong>il</strong>iata che pure,<br />

razioni, sia dei profughi, sia di coloro che<br />

nella loro storia plurisecolare, aveva costituito <strong>il</strong> punto di<br />

scelsero di rimanere.<br />

riferimento ideale. Ricordo i momenti di passione patriot-<br />

Solo da pochi anni le comunità degli esuli<br />

tica, momenti esaltanti che coinvolgevano tutti: vecchi e<br />

hanno riallacciato i rapporti con i fratelli ri-<br />

giovani, ricchi e poveri, borghesi e operai, contadini e pemasti<br />

in Jugoslavia, consapevoli che a coscatori.<br />

Sono consapevole di aver respirato gli epigoni di<br />

storo, come in una paradossale<br />

un Romanticismo che gli orrori della guerra avevano, in<br />

realtà, già cancellato per sempre.<br />

borghesi abbiano deciso in<br />

massa di lasciare i campi, le<br />

officine, <strong>il</strong> mare, le case e i cimiteri<br />

non può trovare questa<br />

sola e forse semplicistica spiegazione.<br />

Se, infatti, per alcuni l’esodo<br />

si svolse sotto la minaccia del<br />

terrore “titino”, per la gran<br />

parte avvenne due anni dopo<br />

la fine della guerra, alla firma<br />

dei trattati di pace, alla definizione<br />

dei nuovi confini, quando<br />

la carica diabolica della<br />

vendetta era già in fase di<br />

esaurimento. E allora le ragioni<br />

di una tale tragica scelta<br />

vanno ricercate altrove, in<br />

qualcosa che non tutto <strong>il</strong> popolo<br />

italiano può comprendere,<br />

specie quella parte che fa suo<br />

l’antico detto: “O Francia o<br />

Spagna purché se magna”.<br />

nemesi storica, si deve <strong>il</strong> merito di aver man-<br />

Le genti di frontiera, costrette sempre a difendetenuto sempre viva, tra m<strong>il</strong>le difficoltà, la fiammella del<br />

Fu proprio questa sua atipicità storica e culturale re la propria identità nazionale dalle insidie della storia, patrimonio culturale italiano nelle terre perdute. Solo oggi<br />

che indusse, nell’ottica nazionale, a considerare la nostra sentono l’attaccamento alla propria stirpe in maniera esi- si riconosce che, se in ogni luogo dell’Istria e in tante parti<br />

vicenda come una complicata, addirittura fastidiosa apstenziale, ideale, quasi religiosa. Per esse diviene <strong>il</strong> valore della Dalmazia si sentono ancora i dolci suoni della lingua<br />

pendice della seconda guerra mondiale che poteva turbare più grande, non paragonab<strong>il</strong>e a nessun altro, per la cui sal- del “Sì” confusi tra quelli aspri della favella slovena o<br />

<strong>il</strong> clima sereno della pace da poco conquistata. Nella coravaguardia vale la pena di affrontare anche <strong>il</strong> supremo sa- croata, ciò è dovuto alla perseveranza, al coraggio, al vale<br />

armonia dei vincitori - la guerra “fredda” non era ancora crificio, l’abbandono di ciò che si possiede di più caro. lore di quei “traditori” che hanno saputo difendere <strong>il</strong> dirit-<br />

cominciata - non si comprendeva perché, in un angolo Manlio Cecovini, già sindaco di Trieste, in un suo libro to ad avere le loro scuole, i loro as<strong>il</strong>i, i loro circoli cul-<br />

d’Europa, ci si fronteggiasse ancora per ottenere un lembo scriveva: “In ogni giuliano vi è un’italianità vergine e barturali, di fronte a un regime che conculcava ogni libertà.<br />

di terra e la gente continuasse a rivendicare l’appartenenza bara, un’italianità nuova, fresca e originale. In ognuno di Ma per le antiche ferite che stentano a cicatrizzarsi serve <strong>il</strong><br />

all’uno o all’altro stato. Soltanto i giuliani avvertivano noi c’è un senso morale delle cose che, in Italia, molti han- balsamo della solidarietà. Oggi che le frontiere non sono<br />

pienamente quello che era in gioco, cioè <strong>il</strong> loro stesso deno perduto”. Questo sentimento, diffuso in ogni ceto so- più muri invalicab<strong>il</strong>i, ma caselli autostradali tra paesi in<br />

stino sociale, civ<strong>il</strong>e e culturale che poteva essere segnato, ciale, spiega anche <strong>il</strong> primo esodo dalla Dalmazia dei pri- pace, i problemi degli esuli e quelli della minoranza istria-<br />

in quei disperati momenti, da un semplice tratto di penna o mi anni Venti, quando queste Terre Venete, plurietniche, na possono e debbono essere risolti con l’aiuto dell’Italia<br />

dallo spostamento di una linea su di una carta geografica. passarono, dopo la dissoluzione dell’Impero Asburgico, tutta.<br />

Gli eredi della latinità di Roma e di Venezia, i figli dei sotto la sovranità del Regno di Jugoslavia, dispotico, ma<br />

costruttori dei palazzi, delle logge, delle cattedrali e delle certamente non comunista.<br />

* EX SINDACO DI GORIZIA

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