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prenderò con la forza. Ti terrò lì, <strong>in</strong>chiodata alla mia devozione. Ti<br />

prenderò per sf<strong>in</strong>imento. Alla f<strong>in</strong>e mi amerai»<br />

Ride. «Ma io già ti amo»<br />

Dall’altra sera, dice. No, da prima. Dalla presentazione del libro di<br />

poesie. Sapeva già dell’operazione. Era stata bene con me, le è venuta<br />

voglia di fare l’amore l’ultima volta. Più di tutto, di lasciarsi guardare<br />

da un uomo l’ultima volta, f<strong>in</strong>ché era ancora bella da vedere. Ma non<br />

da un uomo qualsiasi, da me.<br />

«È stato bellissimo» dice. E distogliendo un poco lo sguardo: «ne ho<br />

avuta voglia ancora. Il matt<strong>in</strong>o dopo, e tutto il giorno. Voglia di te. Mi<br />

sono spaventata. Ho detto: che cosa proverò quando dovrò farne a<br />

meno?»<br />

«Non ne farai a meno»<br />

Si spazientisce, si agita sul divano.<br />

«Non lo capisci, quello che dovrò passare?»<br />

«No, non ancora. Ma lo capirò. Sarò lì con te»<br />

Adesso mi guarda, e sa che faccio sul serio. Mi osserva, <strong>in</strong> silenzio,<br />

per scovare la menzogna impercettibile, o la pietà <strong>in</strong>accettabile, <strong>in</strong><br />

questa faccia che non fa una piega <strong>in</strong>vece, scolpita <strong>in</strong> una certezza<br />

marmorea. Io ti amo, Valeria.<br />

Ha capito, f<strong>in</strong>almente, e l’anima si affaccia <strong>in</strong> un sorriso lum<strong>in</strong>oso.<br />

«Non avrò voglia di fare l’amore, per un sacco di tempo» dice.<br />

«T’<strong>in</strong>segno a giocare a BlackJack»<br />

Ma <strong>in</strong>tanto penso: aspetta e vedrai.<br />

La prima ragazza di cui mi sono <strong>in</strong>namorato si chiamava Betty. Lei<br />

aveva quattro anni e mezzo, io c<strong>in</strong>que, lei una cocc<strong>in</strong>ella come<br />

contrassegno sul grembiul<strong>in</strong>o dell’asilo, io la bandiera italiana, il che<br />

non ha fatto di me un gran patriota. La cosa è nata perché un giorno<br />

mi ha aiutato a f<strong>in</strong>ire la merenda: oltre a un’enorme fetta di torta mia<br />

madre aveva ficcato nel cest<strong>in</strong>o un’arancia che mi pareva un melone.<br />

Dopo il primo spicchio ero sazio, ma la suora si arrabbiava se avanzavi<br />

qualcosa (pensate ai bamb<strong>in</strong>i del Biafra! diceva: le carestie del Sahel<br />

erano ancora ignote alla compassione televisiva). Me ne stavo lì con<br />

l’arancia-melone <strong>in</strong> mano, e mi veniva da piangere, f<strong>in</strong>ché arrivò Betty<br />

e mi chiese: me ne dai uno spicchio? Io la guardai, era bellissima.<br />

Vent’anni dopo ha sposato un mio cug<strong>in</strong>o. Poi Maura. Povera<br />

Maura, forse avremmo avuto qualche chance <strong>in</strong> più se io non mi fossi<br />

messo a giocare all’androg<strong>in</strong>o <strong>in</strong> quel campeggio del Salento. Poi<br />

Sabr<strong>in</strong>a, una studentessa <strong>in</strong> medic<strong>in</strong>a con cui sognai di fuggire <strong>in</strong><br />

Africa a curare i lebbrosi, ma lei sognava dollari e prestigio e già al<br />

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