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La Mostra - Home Page della Scuola Media N.2 "A. Diaz"

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IL NOSTRO<br />

PERCORSO:<br />

dalla scuola alla<br />

spiaggia


LA VIA DEL SALE<br />

Queste sono le vasche intercomunicanti in cui si produceva il sale<br />

Il sale veniva utilizzato, probabilmente, fin dai tempi antichi per salare tutti i cibi ( carni, pesci),<br />

alfine di permetterne una ottimale conservazione<br />

Il sale marino veniva prodotto in Sardegna in poche aree costiere in quanto dovevano avere<br />

requisiti importanti, quali quella di avere dei bacini chiusi intercomunicanti, in cui si faceva<br />

penetrare l'acqua marina, filtrata. Quest'acqua durante i mesi estivi piano piano evapora facendo<br />

depositare dapprima i sali meno solubili e poi per ultimo il sale comune.<br />

In Sardegna le antiche saline erano quelle di Alghero, Terranova ( Olbia) e Molentargius<br />

(Cagliar)i.<br />

Questa importante risorsa alimentare fu tra i motivi più importanti che indussero i romani fino ad<br />

arrivare ai pisani, catalani, spagnoli e sabaudi poi a voler a tutti i costi conquistare e mantenere il<br />

possesso <strong>della</strong> nostra isola.<br />

<strong>La</strong> lavorazione del sale fino alla fine dell'Ottocento era molto dispendiosa e faticosa al tempo<br />

stesso, infatti occorreva attuare una rotazione del personale e per far questo si ricorreva alle<br />

prestazioni feudali. Venivano istituite delle leggi che imponevano agli abitanti dei villaggi di<br />

lavorare gratuitamente nelle saline per almeno tre giorni all'anno. <strong>La</strong> furbizia dei governanti<br />

spagnoli portò ad esonerare da questo obbligo coloro che pagavano la tassa sul sale, per cui le<br />

persone benestanti riuscivano ad eludere a questa incombenza.<br />

Il sale estratto dai bacini <strong>della</strong> Sardegna veniva commerciato in tutto il Mediterraneo. Per riempire<br />

di sale le stive delle navi occorrevano dei mesi, dapprima per spalarlo ed ammuchiarlo nei bacini<br />

poi trasportarlo sui barconi a remi, quindi trasferirlo sulla nave.


DRAGUT IL CORSARO, IL TERRORE<br />

DEL MEDITERRANEO, E’ SBARCA-<br />

TO ALLE SALINE<br />

IL 29 LUGLIO 1553<br />

E HA DISTRUTTO OLBIA<br />

Turghud Alì, o Dragut, Turghut Reis,<br />

Darghout Rais, Turhud Rais, Dargut<br />

(Bodrum, 1485 – Gozo, 25 giugno 1565), è<br />

stato un<br />

ammiraglio e<br />

corsaro turco. Fu<br />

un comandante navale<br />

ottomano e il<br />

successore di<br />

Khayr al-Din<br />

Barbarossa.<br />

Viceré di Algeri,<br />

Signore di Tripoli e di al-Mahdiyya, si fece<br />

chiamare Spada vendicatrice dell'Islam e fu<br />

spesso lo spietato protagonista di credenze popolari,<br />

romanzi e film. È ricordato anche per<br />

essere stato uno dei pochi ammiragli (in<br />

turco Kapudanpaşa) di etnia turca al servizio<br />

del sultano: nella maggior parte dei casi, infatti,<br />

il comando <strong>della</strong> flotta ottomana finiva<br />

per essere affidato a degli europei convertiti.<br />

Il 29 luglio 1553, Dragut con la sua<br />

“Armada Turquesca”, con 112 navi<br />

tra galere e brigantini, risalì la costa<br />

orientale <strong>della</strong> Sardegna e approdò<br />

alla spiaggia delle Saline. In quella<br />

notte di luna piena, senza incontrare<br />

alcuna resistenza, i turchi guidati da<br />

Dragut, passarono il fiume Padrongianus<br />

e, in meno di due ore, arrivarono<br />

a Terranova, l’attuale Olbia.<br />

Gli abitanti, , per fortuna, si erano<br />

messi in salvo nelle colline retrostanti,<br />

ma la città fu saccheggiata, incendiata<br />

e distrutta.


Nel maggio del 1565 assediò il forte di Sant'Elmo a (Malta), cannoneggiandola<br />

ripetutamente. Il forte tuttavia resistette e contrattaccò. Dragut tuttavia,<br />

ferito alla fronte da una scheggia di pietra, morì.<br />

Il corpo di Dragut fu traslato a Tripoli, ove fu sepolto, nella moschea chiamata "Sarāy Dragut". <strong>La</strong><br />

sua tomba si trova ancora là, accanto alla scuola coranica madrasa e ai bagni pubblici hammam che<br />

portano ancora il suo nome.<br />

The Monument Of The Admiral Turgut (Dragut) Reis in Bodrum, Turkiye<br />

SCUOLA MEDIA A.DIAZ – OLBIA – CLASSE III H


D<br />

alla Montagna Pistoiese generalmente partivano tutti i Carbonari che lavoravano nella Maremma<br />

toscana ed in quella laziale, nei mesi invernali. In questi luoghi infatti i carbonari venivano spesso<br />

chiamati "pistoiesi". Quella <strong>della</strong> maremma era la migrazione stagionale più massiccia, fatta<br />

dai carbonari pistoiesi, che portarono il loro mestiere anche in Sardegna ed in Corsica.<br />

I<br />

carbonai svolgevano un'attività complementare a quella del taglio <strong>della</strong> foresta.<br />

Anch'essi, come i tagliaboschi, giungevano sui monti a gruppi, con i loro pochi attrezzi e i poveri vestiti.<br />

Una volta assegnato loro il lotto, si affaccendavano per costruirsi rapidamente una capanna in cui<br />

alloggiare, che edificavano a forma quadrangolare, in pietra e legname del bosco, allo stesso modo di<br />

quella dei tagliaboschi. In genere le compagnie erano formate da tre o quattro persone, spesso familiari e,<br />

in molti casi, con la presenza <strong>della</strong> moglie del capo compagnia: le donne lavoravano quanto gli uomini.<br />

C<br />

ostruita la capanna, per prima cosa cercavano qualche albero di fico da tagliare per fabbricarsi le<br />

scarpe. Perché le scarpe con le suole di fico? Perché il legno di fico, a differenza di altro legno,<br />

costituisce un ottimo isolante e resiste ad alte temperature; ed essi lavoravano in mezzo al<br />

carbone caldo.<br />

<strong>La</strong> piazzola<br />

<strong>Scuola</strong> <strong>Media</strong> A. Diaz – Olbia – Classe III H<br />

T<br />

utto era pronto. Non rimaneva che studiare con molta attenzione il punto centrale di una certa area<br />

in cui fare la carbonaia, lì sarebbe converso il legname da trasformare in carbone.<br />

Durante gli ultimi tagli, spesso venivano recuperate le piazzole costruite precedentemente. In questo<br />

caso il lavoro era minore: le ripulivano da eventuali cespugli e alberelli novelli che vi fossero cresciuti,<br />

poi le ricoprivano con uno strato di terra molto fine e senza sassi, in modo che la base fosse perfettamente<br />

in piano. Nella piazzola così restaurata o costruita a nuovo, i tagliaboschi trasportavano la legna


che avevano già tagliata. I carbonai collaboravano con essi in modo che gli spiazzi fossero costruiti il più<br />

vicino possibile al luogo del taglio. <strong>La</strong> legna veniva accatastata ai bordi <strong>della</strong> piazzola e dopo che il capomacchia<br />

o un suo rappresentante aveva cubato e quantificato la catasta, i carbonai ricevevano il<br />

consenso a proseguire il loro lavoro.<br />

Il castelletto <strong>La</strong> catasta<br />

<strong>La</strong> scala <strong>La</strong> cottura<br />

Si sforna<br />

Dall’odore e dal colore del fumo che esce dalle carbonaie si può subito<br />

capire a che punto siamo <strong>della</strong> cottura. Il fumo biancastro, opaco e denso<br />

sta a significare che la combustione è iniziata da un giorno o al massimo<br />

da due e che è ancora in corso la disidratazione <strong>della</strong> legna. Un<br />

fumo giallastro, tendente al marrone con un odore aspro e pungente: è<br />

iniziata la carbonizzazione, accompagnata dall’immissione di sostanze<br />

catramose e di sostanze acide che si volatilizzano. Con il proseguire<br />

<strong>della</strong> cottura, il fumo diventa celeste e sempre meno denso.<br />

Una volta terminato il processo si toglie la camicia di terra sotto la<br />

quale troviamo il carbone. Il prodotto verrà disposto tutto intorno al perimetro<br />

<strong>della</strong> piazza per essere raffreddato dopo di che sarà pronto per<br />

essere imballato in grossi sacchi ed essere portato a valle, spesso da<br />

donne, attraverso percorsi noti come le vie dei carbonai.<br />

Queste operazioni le ha ben descritte Giuseppe Dessì nel suo romanzo più conosciuto Paese D'Ombre.


Neri come il carbone<br />

Dopo aver lavorato in alcune<br />

carbonaie, gli operatori,<br />

uomini e donne, di-<br />

ventavano<br />

del colore dello<br />

stesso carbone e arrivavano<br />

al punto che in loro si<br />

distinguevano solo i denti e<br />

il luccicare degli occhi.<br />

Ogni giorno si lavavano le<br />

mani, ma solo per la polvere,<br />

con l'acqua che portavano<br />

dalla sorgente o dal<br />

fiume, con sa cubedda, il<br />

barilotto fatto di doghe di<br />

castagno, non avendola<br />

corrente.<br />

<strong>La</strong> domenica o qualche<br />

giorno particolare in cui<br />

non erano molto impegnati,<br />

si recavano al fiume dove<br />

cercavano di fare una<br />

pulizia più accurata, ma<br />

sempre molto limitata, dal<br />

momento che la polvere di<br />

carbone penetrava nei pori<br />

<strong>della</strong> pelle e non se ne andava<br />

nonostante le forti abluzioni.<br />

Le loro mani in<br />

particolare erano nere e<br />

cotte dal carbone.<br />

Un tempo era indispensabile<br />

produrre carbone per<br />

uso domestico, per alimentare<br />

le stufe, le locomotive,<br />

i bastimenti....in generale<br />

le macchine a vapore, ma<br />

soprattutto come fonte di<br />

guadagno. Le carbonaie<br />

fumavano in tutti i boschi<br />

attorno al paese ed era un<br />

mestiere remunerativo ma<br />

molto duro.


Su carradore<br />

Un'altra categoria di lavoratori svolgeva un ruolo determinante ed insostituibile per i mezzi di allora:<br />

sos carradores, i conduttori dei carri a buoi o CARROLANTI, come li chiamavano i toscani addetti al<br />

taglio e alle carbonaie., per lungo tempo, essi hanno avuto una funzione preminente. Fin dai tempi<br />

più remoti è stato utilizzato il carro a buoi perché era il mezzo che più si adattava al tipo di<br />

territorio, per trasportare le merci che venivano prodotte<br />

Il possesso di un giogo di buoi e di un carro era la garanzia di un reddito per tutta la famiglia. Nel<br />

passato vigeva l'uso, di procurarsi su carru o caddu e carru, un giogo di buoi o un cavallo con<br />

rispettivo carro, ancor prima che l'uomo pensasse di formarsi una famiglia sua.<br />

I giovani che riuscivano in questo intento, iniziando a servizio con i vari padroni, diventavano poi<br />

partiti ambiti per le ragazze <strong>della</strong> borgata e talvolta persino per le figlie dei padroni.<br />

.<br />

A Terranova, l’attuale Olbia, negli anni ’20 e ’30, era già presente in città, un’economia<br />

commerciale dovuta a famiglie toscane ed emiliane giunte in Sardegna alla fine dell’Ottocento che<br />

in origine affittavano i boschi per la produzione di carbone. Il carbone veniva portato a valle con i<br />

carri a buoi.<br />

Dove ora è il Palazzo Comunale e nella zona prospiciente il mare erano tutti cortili di carbone e file<br />

di cinquanta, sessanta donne lo sistemavano in ceste che portavano sulla testa fino ai barconi che, a<br />

remi raggiungevano i velieri chiamati “barcobestia” in rada oltre l’Isola di Mezzo.<br />

Anche alle Saline veniva trasportato il carbone dalle montagne e, sfruttando un ramo <strong>della</strong> foce<br />

del Padrongianus, che allora sfociava proprio a nod-ovest <strong>della</strong> spiaggia,<br />

i carichi venivano trasportati sui barconi chiamati “bette”, fino ai velieri in rada,<br />

all’imboccatura del porto, proprio di fronte a “ Punta delle Saline”che viene ancora chiamata<br />

dagli olbiesi “Punta Calvone”.


LE CARBONAIE<br />

<strong>La</strong> pratica delle “carbonaie” ancora resiste in<br />

Sardegna, infatti c’è chi continua a produrre carbone<br />

con la stessa tecnica di un tempo.<br />

<strong>La</strong> catasta di legna di circa 5 – 6 quintali, composta da<br />

piccoli tronchi di macchia mediterranea,<br />

viene realizzata a forma di cono arrotondato, con al<br />

centro una sorta di canna fumaria che servirà appunto<br />

per l’alimentazione <strong>della</strong> carbonaia e per la fuoriuscita<br />

del fumo<br />

<strong>La</strong> catasta, una volta terminata, viene avvolta con delle<br />

frasche e successivamente ricoperta di terra, cenere e residui<br />

di carbone formatosi con le precedenti lavorazioni.<br />

<strong>La</strong> carbonaia viene accesa nella parte alta del<br />

camino con <strong>della</strong> legna secca che cadendo<br />

all’interno del camino, fa ardere la legna interna.<br />

<strong>Scuola</strong> <strong>Media</strong> A. Diaz – Olbia – Classe III H


<strong>La</strong> catasta è alta circa due metri e per queste<br />

operazioni è necessario salirci sopra, quindi viene<br />

costruita una scala per alimentarla e controllarla.<br />

Le fiamme interne al camino devono essere soffocate<br />

con altra legna, piccoli tronchetti, in modo che il tutto<br />

bruci lentamente e si formi così il carbone.<br />

E’ un’operazione delicata che richiede molta<br />

attenzione e diverso tempo, in genere cinque – sette<br />

giorni.<br />

Quella <strong>della</strong> carbonaia era una tecnica usata in<br />

passato (ma talvolta tutt'oggi utilizzata).<br />

Questa tecnica, ha subito dei piccoli cambiamenti nel<br />

corso dei secoli, ma sempre, ha mantenuto la sua<br />

forma di montagnola conica, formata da un camino<br />

centrale ed altri cunicoli di sfogo laterali, usati con lo<br />

scopo di regolare il tiraggio dell'aria. Il procedimento di produzione del<br />

carbone si può dire che sia una combustione imperfetta del legno, in<br />

quando avviene in condizioni di scarso ossigeno.<br />

<strong>Scuola</strong> <strong>Media</strong> A. Diaz – Olbia – Classe III H


GASDOTTO ALGERIA-ITALIA<br />

VIA SARDEGNA<br />

ANNABA - ALGERIA<br />

PORTOBOTTE – SUD SARDEGNA<br />

OLBIA – LE SALINE – NORD SARDEGNA<br />

PIOMBINO - TOSCANA


Il Galsi sarà<br />

lungo 900 km<br />

circa,<br />

di cui 300 km<br />

saranno su terra<br />

in Sardegna<br />

I restanti 600 km<br />

offshore nel Mar<br />

Mediterraneo<br />

Il punto di massima profondità che dovrebbe essere raggiunto, 2.885 m, ne farà il gasdotto più<br />

profondo mai realizzato al mondo. Il suo diametro sarà di 26" per il tratto onshore fra Algeria e<br />

Sardegna, di 42" sul territorio sardo e di 32" nel braccio di mare fra Sardegna e Toscana.<br />

Per trasferire il gas naturale dall’Algeria al continente italiano attraverso la Sardegna, il progetto<br />

Galsi prevede la realizzazione di due stazioni di compressione. <strong>La</strong> prima sarà ubicata sulla costa<br />

algerina del Golfo di Annaba in prossimità dell’approdo di Koudiet Draouche e consentirà di<br />

trasportare il gas fino alla costa sarda e di spingerlo lungo la Sardegna da Porto Botte ad Olbia. <strong>La</strong><br />

seconda stazione sarà realizzata ad Olbia e consentirà il trasporto del gas fino alla costa toscana nei<br />

pressi di Piombino dove avverrà l’allaccio alla rete Snam Rete Gas.<br />

<strong>La</strong> stazione di compressione di Olbia<br />

L'impianto per la compressione del gas ad Olbia sarà costituito da:<br />

• due unità di compressione di dimensione paragonabile a<br />

due palazzine di 5 piani. Delle due una sola sarà in funzione<br />

e l'altra di riserva. Le unità di compressione saranno dotate<br />

di un sistema di insonorizzazione per contenere all'interno<br />

dell'area <strong>della</strong> centrale il rumore dei compressori<br />

• Tre uffici destinati ad ufficio, officina e sala controllo<br />

simili a 3 palazzine di circa 500 mq di base<br />

• 1 edificio che ospiterà le caldaie<br />

• Due macchinari per il raffreddamento del gas


RESTI DI FRUTTA<br />

E VERDURA<br />

15-90 GG<br />

FAZZOLETTI DI<br />

CARTA<br />

3 – 6 MESI<br />

CARTA E<br />

GIORNALI<br />

4 – 12 MESI<br />

PACCHETTO DI<br />

SIGARETTE<br />

VUOTO<br />

senza plastica<br />

1 ANNO<br />

MOZZICONI DI<br />

SIGARETTE<br />

1 – 2 ANNI<br />

GOMMA DA<br />

MASTICARE<br />

5 ANNI<br />

LATTINE<br />

(ALLUMINIO)<br />

100 ANNI<br />

BOTTIGLIE DI<br />

PLASTICA PET<br />

100 – 1000 ANNI<br />

ACCENDINO<br />

PVC<br />

100 – 1000 ANNI<br />

POLISTIROLO<br />

100 – 1000 ANNI<br />

VETRO<br />

OLTRE 1000 ANNI<br />

SCUOLA MEDIA A.<br />

DIAZ -OLBIA


<strong>La</strong> spiaggia<br />

è una lunga e stretta fascia<br />

fra terra e mare, costituita<br />

prevalentemente da depositi<br />

sabbiosi.<br />

Vegetazione delle coste<br />

sabbiose<br />

In quest’ambiente difficile le piante hanno<br />

sviluppato delle particolarità: succulenza, pelosità,<br />

foglie coriacee e rizomi striscianti.<br />

Le Saline<br />

LE SALINE<br />

<strong>La</strong> duna<br />

è il settore litoraneo stretto e<br />

allungato parallelamente alla<br />

linea di costa, caratterizzato da<br />

rilievi perlopiù di modesta entità.<br />

Lo stato di<br />

conservazione delle<br />

dune e delle spiagge<br />

è legato a quello di<br />

altri ecosistemi:<br />

ambienti umidi<br />

retrodunali, lagune e<br />

laghi costieri, foci<br />

fluviali.<br />

Man mano che ci si allontana dalla linea di<br />

battigia,da rare specie erbacee si passa ad<br />

arbusti ed alberi.


CAKILE MARITIMA<br />

ERICA<br />

ARBOREA<br />

MATTHIOLA TRICUSPIDATA<br />

CARPOBROTUS<br />

ACINACIFORNIS<br />

LA FLORA<br />

CISTUS INCANUS<br />

OTANTHUS MARITIMUS<br />

PANCRATIUM<br />

MARITIMUM<br />

LAVANDULA STOECHAS<br />

ASPHODELUS AESTIVUS<br />

PRAGHMITES AUSTRALIS<br />

CALYCOTOME VILLOSA


CRUCIFERAE<br />

Matthiola tricuspidata<br />

Nome sardo bascu marinu, berbesa.<br />

Portamento: pianta compatta, con rivestimento tomentoso e<br />

con ramificazioni a livello di suolo.<br />

Foglie : basali pennatosette, con lobi e apici arrotondati.<br />

Fiori : rosa violacei con parte centrale biancastra.<br />

<strong>La</strong> pianta è riconoscibile per i suoi frutti con tre caratteristiche<br />

espansioni triangolari.<br />

Habitat : Spiagge e dune.<br />


Leggere il territorio:<br />

Le Saline<br />

<strong>Scuola</strong> <strong>Media</strong> A. Diaz<br />

Classe III H


Leggere il territorio:<br />

Le Saline<br />

<strong>Scuola</strong> <strong>Media</strong> A. Diaz<br />

Classe III H


ASFODELO<br />

Asphodelus aestivus<br />

Nomi sardi:Cadrilloni, Arvutu, Irbutu, Iscrareu, Usciareu,<br />

Scraria, Pramuttu.<br />

Portamento: Pianta erbacea perenne con radice ingrossata<br />

e fusto eretto e privo di foglie.<br />

Foglie: Di forma lineare e presenti solo alla base.<br />

Fiori: Infiorescenza di forma piramidale, fiori di colore bianco<br />

con una nervatura scura sui petali, fiorisce da febbraio a<br />

maggio in funzione dell'altitudine.<br />

Frutti: Capsule di forma appiattita.


Leguminosae<br />

Lotus cytisoides<br />

Ginestrino delle scogliere<br />

Descrizione : pianta perenne, caratterizzata<br />

da legume cilindrico e diritto, calice con due denti<br />

laterali più brevi degli altri e soprattutto per la<br />

tomentosità argentina che che ricopre l’intera<br />

pianta che rivela lo spiccato carattere xerofilo<br />

<strong>della</strong> specie ( adattamento a stazioni molto aride).


Leggere il territorio:<br />

Le Saline<br />

<strong>Scuola</strong> <strong>Media</strong> A. Diaz<br />

Classe III H


Leggere il territorio:<br />

Le Saline<br />

<strong>Scuola</strong> <strong>Media</strong> A. Diaz<br />

Classe III H


CHENOPODIACEAE<br />

Arthocnemum glaucum<br />

Salicornia<br />

Portamento : Pianta erbacea perenne, con fusti<br />

prostrati o eretti, carnosi, divisi in segmenti; si<br />

sviluppa in cespuglietti oppure forma un tappeto<br />

compatto. Il colore <strong>della</strong> pianta è inizialmente<br />

verdastro, poi rossastro.<br />

Fiori : poco appariscenti ,in gruppi di tre. Semi<br />

nerastri, lucenti.


Leguminosae<br />

Calycotome villosa<br />

Nome sardo: tiria, marticusa oina, ippina santa.<br />

Descrizione:Arbusto talvolta alberello alto fino a 2<br />

metri, molto ramificato, rami rigidi che terminano<br />

con un mucrone (punta spinosa) Corteccia:Rami<br />

giovani sottili ricoperti da una leggera peluria, gli<br />

adulti di colore bruno sono privi di peli. Foglie<br />

caduche e composte (trifogliate), con foglioline<br />

ovali ricoperte di peluria.Fiori di colore giallo, riuniti<br />

in piccoli gruppi sui rami giovani, fioriscono da<br />

marzo a maggio.Frutti:Legume lineare ricoperto di<br />

peli rigidi e biancastri, matura da maggio a giugno.


Leggere il territorio:<br />

Le Saline<br />

<strong>Scuola</strong> <strong>Media</strong> A. Diaz<br />

Classe III H


Graminaceae<br />

Phragmites australis<br />

Descrizione : pianta perenne,<br />

rizomatosa. Fusti eretti non<br />

ramificati. Foglie lanceolate.<br />

Infiorescenza a pannocchia densa,<br />

con spighette violacee.


Leggere il territorio:<br />

Le Saline<br />

<strong>Scuola</strong> <strong>Media</strong> A. Diaz<br />

Classe III H


Amaryllidaceae<br />

Pancratium maritimum<br />

Giglio marino<br />

Descrizione : pianta erbacea bulbosa,<br />

con foglie basali larghe, a lamina<br />

lanceolata e spiralata. Infiorescenza ad<br />

ombrella con fiori bianchi. Semi con<br />

denti triangolari.


Leggere il territorio:<br />

Le Saline<br />

<strong>Scuola</strong> <strong>Media</strong> A. Diaz<br />

Classe III H


Compositae<br />

Otanthus maritimus<br />

Santolina delle spiagge<br />

Descrizione: pianta litoranea ,cespugliosa<br />

aromatica,coperta sulle foglie e sui fusti da un<br />

feltro di colore argentato.<br />

Foglie: sessili,oblunghe,a margine intero.<br />

Fiori : Capolini fiorali sferici riuniti in piccoli gruppi.<br />

Fiori con sole corolle tubulose Brattee fiorali di<br />

forma ovale ricoperte anch’esse di lanugine<br />

argentata.<br />

Frutto: achenio ricurvo.<br />

Habitat: spiagge e dune sabbiose.<br />

Cruciferae<br />

Cakile maritima<br />

Ravastrello<br />

Nome Sardo: araussa de mari , arreca de mari<br />

Descrizione: pianta erbacea annuale ,con steli<br />

glabri, prostrati o ascendenti,alta 15-60 cm.<br />

Foglie: foglie carnose per lo più divise in lobi<br />

lanceolati ,con margini talvolta dentati.<br />

Fiori: a petali rosa,viola o bianchi,riuniti<br />

infiorescenze ramificate; sepali verdastri.<br />

Frutti: lunghi 1-2,5 cm , sono divisi in due parti ,<br />

ciascuna contenente un seme.


Leggere il territorio:<br />

Le Saline<br />

<strong>Scuola</strong> <strong>Media</strong> A. Diaz<br />

Classe III H


LENTISCO<br />

Pistacia lentiscus<br />

Nomi sardi: Chessa, 'Essa, Moddizza, Moddizzi, Oll'e<br />

stincu.<br />

Descrizione: Arbusto talvolta alberello, molto nodoso e<br />

folto.Corteccia di colore cenerino o rossiccia. Foglie<br />

persistenti, composte alterne e paripennate, con 3-5 paia di<br />

foglioline sessili (prive di picciolo, coriacee e di forma<br />

lanceolata Fiori: Unisessuali in piante distinte (dioica),<br />

infiorescenze raccolte in racemi (grappoli), all'ascella<br />

fogliare di colore rossiccio . Fiorisce da marzo ad prile.<br />

Frutti, drupe ovoidali di colore rosso scuro , quasi nere a<br />

maturità (fine inverno), con un solo seme.


Leggere il territorio:<br />

Le Saline<br />

<strong>Scuola</strong> <strong>Media</strong> A. Diaz<br />

Classe III H


Leggere il territorio:<br />

Le Saline<br />

<strong>Scuola</strong> <strong>Media</strong> A. Diaz<br />

Classe III H


MYTILUS GALLOPROVINCIALIS<br />

IL mitilo mediterraneo chiamato volgarmente<br />

muscolo nelle regioni nord-occidentali, peocio in<br />

quelle nord-orientali e cozza in quelle centro-meridionali<br />

- è un mollusco bivalve ed equivalve.<br />

È un mollusco lamellibranco, dotato cioè di branchie a<br />

lamelle che assorbono l'ossigeno per la respirazione e<br />

che trattengono contemporaneamente il cibo per<br />

l'alimentazione, costituita soprattutto da plancton e<br />

particellato organico in sospensione. <strong>La</strong> valva,<br />

composta principalmente da carbonato di calcio, si<br />

presenta esternamente di colore nero o nero-viola, con<br />

sot-tili cerchi d'accrescimento radiali e concentrici verso<br />

la parte appuntita; internamente si presenta invece di<br />

colore madreperla, ma con una superficie liscia. Le due<br />

valve sono tenute insieme da una cerniera con tre o<br />

quattro dentelli.


Leggere il territorio:<br />

Le Saline<br />

<strong>Scuola</strong> <strong>Media</strong> A. Diaz<br />

Classe III H


Ordine Mytiloida<br />

Superfamiglia Pinnacea<br />

Famiglia Pinnidae<br />

Genere Pinna<br />

Specie Pinna nobilis Linnaeus.<br />

Pinna nobilis è una specie animale appartenente al gruppo<br />

zoologico (Phylum) dei molluschi. Il nome volgare italiano proposto<br />

in sede internazionale è “pinna comune”, ma è comunemente nota<br />

anche con i termini “nacchera”, “gnacchera” o “cozza pinna”. <strong>La</strong><br />

specie, il più grande bivalve dei mari europei con oltre 1 m di<br />

lunghezza delle valve, è endemica per il Mare Mediterraneo, ed è<br />

attualmente sottoposta a regime di protezione e tutela in<br />

conformità a Atti Ufficiali quali la Convenzione di Barcellona (1995),<br />

ratificata dal Governo Italiano con la legge n° 175 del 25/05/1999,<br />

e la Direttiva Habitat <strong>della</strong> Comunità Europea (43/92). Sulla base di<br />

tali atti ufficiali, è proibita la raccolta, l’uccisione, la detenzione, la<br />

commercializzazione e persino l’esposizione ai fini commerciali<br />

<strong>della</strong> specie.<br />

L’inclusione di Pinna nobilis nel novero delle specie protette è<br />

soprattutto dovuta alla raccolta indiscriminata da parte dei<br />

subacquei, oltre che alle catture accidentali <strong>della</strong> pesca<br />

professionale; l’attività di strascico illegale nelle aree costiere<br />

caratterizzate dalla presenza delle praterie di Posidonia oceanica<br />

ha contribuito non poco alla diminuzione delle popolazioni in mare.

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