brochure Dolores misura corretta.indd - MarcaMontana
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TREIA<br />
terra del cuore e del sogno<br />
Testi dal romanzo<br />
di <strong>Dolores</strong> Prato<br />
Giù la piazza<br />
non c’è nessuno
2<br />
Io la chiamerò chiamer paese, ma<br />
essa è città. La restituì alla<br />
dignità civica uun<br />
papa che ne<br />
riscosse un monumento monu librato<br />
nell’aria; ne in<br />
bronzo br il suo<br />
ritratto a<br />
mezzo busto;<br />
iil<br />
resto pietra,<br />
sslancio,<br />
luce;<br />
st sta alto nello<br />
sp spazio come<br />
un<br />
gigantesco<br />
ostensorio e per fondo non potrà<br />
mai avere che il cielo… Voltando le<br />
spalle al Comune si aveva davanti<br />
qualcosa più vicina ad una visione<br />
che a una costruzione. Leggermente<br />
contenuta ai lati, di fronte la Piazza<br />
sfociava nel cielo; non c’era nulla,<br />
cielo e basta.<br />
Solo per limitare il vuoto, una<br />
balaustra di pietra che aveva<br />
nel mezzo un arioso ninfeo tutto<br />
aperto, perché le isolate colonne,<br />
la poca trabeazione, l’accenno di<br />
cupola, pur alzandosi contro il<br />
cielo non lo parasse.<br />
Balaustra e monumento lo<br />
ricamavano, non lo escludevano.<br />
Monumento, giacché in mezzo a<br />
quella nicchia ottica che non lo<br />
riparava, certo, ma lo stagliava<br />
sul cielo, c’era il semibusto di<br />
Pio VI. La balaustra di lontano<br />
sembrava quella di qualsiasi<br />
terrazzo, ma da vicino era<br />
poderosa c’erano anche degli<br />
scalini per arrivarci… Anche<br />
dalle mura di levante vedevo<br />
tutta la terra e tutto il cielo fi no<br />
al loro congiungimento, ma le<br />
stesse cose viste di lassù furono<br />
un’impressione di vuoto nel centro<br />
della vita dove sta il sole del corpo:<br />
la terra s’era sprofondata e il cielo<br />
abbassato.<br />
La balaustra era la cimasa di<br />
una enorme scarpata che andava<br />
giù giù fi no in fondo dove c’era<br />
una cosa che se fosse stata brutta,<br />
avrebbe potuto essere l’inferno<br />
tanto era profonda; ma era<br />
chiara, luminosa, liscia come<br />
un’altra piazza dentro la cornice<br />
di un lungo muricciolo e di due<br />
scalinate: quello era il gioco del<br />
pallone.<br />
3
4<br />
Il bracciale era un<br />
manicotto di legno duro<br />
con grossi spunzoni<br />
come un bugnato a punta di<br />
diamante, attraversato nell’interno<br />
da qualcosa a cui si afferrava la<br />
mano del giocatore.<br />
I giocatori erano vestiti di bianco,<br />
calzoncini corti adorni di pizzi,<br />
legati al ginocchio con nastri sopra<br />
le lunghe calze bianche, scarpe<br />
basse, una giacchetta a sacco piena<br />
di falpalà e di trine come i matinée<br />
delle signore; in vita una sciarpa<br />
di seta colorata pendente da un<br />
lato con frange d’oro. Fiore, fi glio<br />
di Lello il macellaio, alto, quasi<br />
biondo, bellissimo, quando passava<br />
vestito a quel modo pareva un<br />
arcangelo sceso dal cielo.<br />
Per il gioco del pallone ci voleva un<br />
muro. Macerata se l’era costruito<br />
tanto tempo prima che cadesse il<br />
papa, un muro interminabile, si<br />
chiamava lo Sferisterio perchè il<br />
pallone è una sfera.<br />
A Treja c’era il muro, ma non<br />
fabbricato per il gioco, era il muro<br />
che sosteneva la più bella piazza<br />
pensile del mondo…<br />
Da quel gioco del pallone era<br />
uscito un giocatore che se non<br />
era lui, era il diavolo; per la<br />
bravura di quel diavolo trejese, il<br />
recanatese Leopardi scrisse l’ode<br />
A un vincitore nel pallone.<br />
Quando giravo estasiata avanti<br />
ai banchi dei chincaglieri sotto le<br />
Logge… era il nome ad entrarmi<br />
di prepotenza negli occhi tanto<br />
era scritto grosso in una lapide:<br />
“Carlo Didimi”.<br />
5
6<br />
Treja fu il mio spazio,<br />
il panorama che<br />
la circonda la mia<br />
visione: terra del<br />
cuore e del sogno<br />
La città che <strong>Dolores</strong><br />
Prato descrive con<br />
prosa lirica nei suoi<br />
scritti si trova nelle<br />
Marche, in provincia<br />
di Macerata.<br />
La Prato è nata a<br />
Roma nel 1892,<br />
ma, in quanto fi glia<br />
illegittima, viene<br />
cresciuta fi no ai 18<br />
anni a Treia da due<br />
anziani zii, un colto<br />
ed eclettico prete che<br />
vive con la sorella<br />
nubile.<br />
Emozioni e descrizioni<br />
della scrittrice, tanto<br />
minuziose da essere<br />
quasi fotografi che, si<br />
ritrovano nel romanzo<br />
Giù la piazza non c’è<br />
nessuno, edito da<br />
“Noi cominciamo ad essere col<br />
primo ricordo che riponiamo<br />
in magazzino. Il luogo dove<br />
si ebbero i primi avvertimenti<br />
della vita diventa noi stessi. Treja fu il mio<br />
spazio, il panorama che la circonda la mia<br />
visione: terra del cuore e del sogno...<br />
Roma e Treja hanno in comune il mistero del<br />
nome… Da un irrecuperabile mistero nacque<br />
Treja le cui lettere furono sempre su per giù<br />
quelle della terra… Sia che si chiamassero paesi<br />
o città, ma prima dell’annessione, erano tutti<br />
straordinariamente ricchi di valori culturali e<br />
sociali. Nella fi la delle costruzioni sopraelevate<br />
sul lato destro di quel fantastico belvedere a picco<br />
sopra il gioco del pallone, c’era la casa degli<br />
Oratoriani, un faro di sapienza e di cultura dove<br />
si tenevano corsi dottrinari come nelle più celebri<br />
università; lì si scriveva, l’Accademia Georgica,<br />
di fronte, ne raccoglieva gli studi e li conserva. Il<br />
processo unitario d’Italia ebbe bisogno di cacciarli<br />
e disperderli anche per adibire a uso burocratico<br />
l’edifi cio. Resta San Filippo la cui facciata mi<br />
pareva fatta un ferro al dritto, uno al rovescio...<br />
Insomma, un’atmosfera carica di storia<br />
mista a poesia che fa dire alla Prato:<br />
“…Avanti l’ospedale lo spazio era limitato da un<br />
muretto poco più alto d’un uomo: una riga tirata<br />
sul cielo, l’orizzonte ne era coperto, al di là non c’era<br />
che un gran cielo, poteva esserci anche il mare sotto,<br />
occludeva lo spazio vicino e allargava a dis<strong>misura</strong><br />
quello lontano. Se Giacomo Leopardi fosse<br />
stato di Treia avrebbe sentito lì il mistero<br />
dell’infi nito…”<br />
I semi che nei negozi “Piante e sementi” stanno<br />
racchiusi in sacchettini di carta, sono piccole<br />
bombe vitali che per esplodere hanno bisogno di<br />
essere sepolte. Noi come loro, loro come noi.<br />
Io fui sepolta nel terremotato ventre di mia<br />
madre, di lì trapiantata in agro romano; messa<br />
a dimora a Treja nella casa del Benefi cio dove<br />
continuò l’inconscia mia crescita.... Io non<br />
appartenevo a Treja, Treja apparteneva a me;<br />
essa non mi aveva chiamata, non gradiva la<br />
mia presenza per le sue strade, nelle sue chiese:<br />
lo vedevo benissimo e anche questo apparteneva<br />
a me. Essa non mi assorbì, come il corpo non<br />
assorbe la spina che ci si è confi ccata; ci fu un<br />
processo di rigetto tra il paese e me. L’unica<br />
a non rigettarmi fu la signora Antonietta,<br />
fenomeno di ilare generosità, ma non era di lì.<br />
Ci stetti poco, l’infanzia, l’età delle carezze;<br />
non me ne fece, io non le appartenevo, essa<br />
apparteneva a me: a mia insaputa me la<br />
portai via...<br />
Chiesa di San Filippo<br />
Quodlibet.<br />
Da allora poco è<br />
cambiato.<br />
Il colore della città è<br />
ancora il caldo ocra<br />
dei mattoni illuminati<br />
dal sole che brilla<br />
nell’aria tersa sullo<br />
sfondo del cielo<br />
azzurro e del verde<br />
della cam pagna.<br />
Percorrendone le<br />
strade e le piazze,<br />
ad ogni angolo se<br />
ne scoprono i tanti<br />
tesori perfetta mente<br />
conservati.<br />
portai via... ad ogni angolo se<br />
Teatro Comunale<br />
7
8<br />
Non seppi mai che<br />
Treja fosse una città<br />
murata; che le Mura<br />
si chiamassero così<br />
perché giravano<br />
all’esterno dell’antica<br />
muraglia.<br />
Trea, Mon tecchio,<br />
Treia, ovvero 25<br />
secoli di storia<br />
che vanno dall’età<br />
romana al medioevo<br />
all’epoca moderna.<br />
Dalla pas seggiata<br />
che costeggia le mura<br />
il panorama spazia<br />
dal Monte Conero ai<br />
Sibillini.<br />
Mura turrite che<br />
ci riportano al<br />
Duecento, i tempi<br />
del Beato Pietro<br />
da Treia, di cui si<br />
parla nei Fioretti<br />
di San Francesco,<br />
e di Federico II, il<br />
cui fi glio Enzo tentò<br />
invano di espu gnarle<br />
attraverso Corrado<br />
Porta Vallesacco<br />
Sul crinale lungo e stretto,<br />
cominciava a settentrione<br />
un’antichissima porta, vecchie<br />
case salivano ripidamente sino<br />
alla spianata del palazzo vescovile strozzata<br />
dal duomo. Di lì, con bei palazzi, una strada<br />
larga saliva, se non proprio ripidamente certo<br />
con forte pendio, fi nché s’appianava sfociando<br />
nella Piazza del Municipio e del monumento<br />
aereo. Pianeggiante riappariva, si riapriva<br />
nella Piazzetta del Teatro: un salotto; si<br />
restringeva, si ramifi cava nell’irregolare<br />
fantastico spazio della Rotonda, precipitava<br />
a destra; a sinistra, quasi dritta, con<br />
breve discesa e breve salita arrivava allo<br />
spazio immenso davanti all’Ospedale: una<br />
sconfi nata piazza d’aria, di luce, di vuoto;<br />
di lì s’entrava in qualche cosa che strade<br />
non erano, vicoli nemmeno; erano passaggi,<br />
scoscendimenti, fossi, tra scure casette<br />
accatastate; era la misteriosa Ojolina che<br />
fi niva in uno slargo informe dove, oltre a<br />
un’interminabile scalinata per salire a un<br />
convento che lì pareva una montagna, e a<br />
un’antichissima porta del paese, c’era un po’<br />
di tutto: salite, discese, casupole e casette,<br />
due chiese, due sagrestie, un pozzo e nessuna<br />
bottega.<br />
Da quel basso ove affondava la pesantezza<br />
del duomo, sensibilmente o no, il crinale<br />
saliva sempre verso mezzogiorno; all’uscita<br />
da Ojolina, da quel sommosso slargo<br />
puntava per l’estrema, ardita, meravigliosa<br />
impennata della roccia che, spezzando di<br />
colpo il paese, protendeva al cielo il torrione di<br />
San Marco.<br />
Fuori c’era uno spazio erboso sotto al<br />
torrione: una prua da cui si vedevano solo<br />
lontananze. Tra il torrione e lo spazio erboso<br />
si congiungevano le Mura. Si diceva così, ma<br />
mura non erano, erano strada: una strada<br />
bianca che girandogli attorno, conteneva il<br />
paese: le Mura di ponente e quelle di levante;<br />
ci si affacciava il dietro delle case e gli orti<br />
sui terrapieni… Non seppi mai che Treja<br />
fosse una città murata; che le Mura<br />
si chiamassero così perché giravano<br />
all’esterno dell’antica muraglia. Eppure<br />
qualche mozzicone lo vedevo, ma era un<br />
pezzetto di paese fatto a quel modo, non<br />
era un superstite; alcune case sorgevano<br />
come vegetazione muraria su qualcosa che<br />
poteva essere roccia o anche resti di muri<br />
amalgamati con i secoli.<br />
Non supponevo il fascino delle rovine. La<br />
Torre di San Marco, per quanto mezzo<br />
diroccata, per me non era una rovina, era,<br />
dopo la Piazza, la cosa più bella del paese...<br />
d’Antiochia. I treiesi<br />
lo vinsero a Porta<br />
Vallesacco che si<br />
erge ancora in tutta<br />
la sua imponenza<br />
come la Torre del-<br />
Via Lanzi<br />
l’On glavina: estremo<br />
baluardo della città<br />
verso sud, risale al<br />
periodo longobardo.<br />
Torre di San Marco<br />
9
10<br />
Ero fi ssa sul nome<br />
Treja: copriva tutta<br />
Roma<br />
Trea, Mon tecchio,<br />
Treia: 25 secoli di<br />
storia segnata dagli<br />
uomini che l’hanno<br />
resa celebre nel<br />
mondo, perché a<br />
Treia, come scrive<br />
la Prato, ci sono<br />
sempre “stati<br />
uomini di studio e<br />
di cultura, laici ed<br />
ecclesiastici”.<br />
Uomini come Luigi<br />
Lanzi, sepolto a<br />
Firenze in Santa<br />
Croce, autore della<br />
prima Storia dell’arte<br />
italiana; come Carlo<br />
Didimi, giocatore di<br />
pallone con il bracciale<br />
e patriota cui Leopardi<br />
ha dedicato una delle<br />
sue cinque canzoni;<br />
come Ilario Altobelli,<br />
frate francescano,<br />
astronomo nonché<br />
matematico, scopritore<br />
dei satelliti di Saturno,<br />
che basterebbe a<br />
giustifi care le parole<br />
della Prato secondo<br />
Nella lunga monotona,<br />
stereotipata parentesi<br />
collegiale, il nome Treja<br />
appariva sulla posta che<br />
arrivava, per tutto il resto<br />
era scomparso, sostituito dal nome del collegio.<br />
Ma dal collegio esplosi a Roma e qui, di colpo,<br />
quando in un labirinto della vecchia città lessi<br />
“Piazza dell’Olmo di Treja”, uscì fuori tutta<br />
la tenerezza fascinosa di quel paese che m’ero<br />
portata dentro senza saperlo. Fu la prima delle<br />
tante epifanie. Ho ricercato quella piazza, non<br />
l’ho più trovata. Forse non c’è, forse non c’è mai<br />
stata. Ma io la vidi quella targa di un’epoca in<br />
cui vicoli, strade, piazze avevano il nome della<br />
loro essenza popolare; vidi il piccolo capriccioso<br />
slargo; l’albero non avrebbe potuto trovarci il<br />
suo centro, stava dove stava, l’olmo di Treja;<br />
non lo toccai. Ero fi ssa sul nome<br />
Treja: copriva tutta Roma.<br />
Ma se il nome di Treja non è<br />
stato mai piantato a Roma<br />
come albero, c’è disperso<br />
come cenere: a Campo de’<br />
Fiori fu arso vivo Pomponio<br />
Rustici, prete di Treja. Questo<br />
è sicuro come è sicuro che Treja<br />
scorre da sempre nelle acque del Tevere. Dove<br />
le discorsive rovine di Faleri raccontano la sua<br />
favola, c’è Treja: è un breve corso d’acqua a<br />
Pinacoteca<br />
nessun altro simile…<br />
Le Mura di levante erano un balcone sinuoso:<br />
davanti a ondulazioni collinose, valli di fi umi,<br />
vallicelle di torrenti, lontanissimo l’orizzonte:<br />
linea interrotta dalla gobba del Conero e da<br />
paesi sopraelevati come diademi turriti; brillio<br />
di lumi palpitanti la notte. Un incavo nel mezzo<br />
della linea riempito da un chiarore: il mare,<br />
mai in sintonia col cielo, sempre più chiaro,<br />
o più scuro. In quella conca di mare chi aveva<br />
vista acuta scorgeva un cupolone come quello<br />
di San Pietro: la casa della Madonna.<br />
Accademia Georgica<br />
la quale “eccetto quei<br />
pochi che non potevano<br />
esserlo, erano tutti dotti<br />
e studiosi i preti di Treja”.<br />
Guardando anche<br />
alla modernità degli<br />
studi agrari dell’<br />
Accademia Georgica,<br />
si può definire la<br />
città come una<br />
strardinaria nicchia<br />
di natura e cultura.<br />
11
12<br />
Pareva P che<br />
la sottostante<br />
roccia r per<br />
successive s<br />
fratture, f fosse<br />
diventata d<br />
mattone m<br />
Nel 291 a.C.<br />
i Piceni si allearono<br />
con i Romani contro<br />
i Galli: Trea era gia<br />
municipium (Tito<br />
Livio X, 10-11).<br />
Come molta parte<br />
del mondo romano,<br />
subì il fascino delle<br />
religioni orientali<br />
ed abbracciò il culto<br />
di Iside. I reperti<br />
egizi custoditi nel<br />
Museo Archeologico<br />
Porta Nuova o delle Scalette<br />
Quel tavolino sotto il quale<br />
nacque la mia coscienza,<br />
stava a metà di un’immensa<br />
sala da pranzo rettangolare<br />
nella casa del Benefi cio. Come<br />
prete lo zio era un benefi ciato, un mansionario;<br />
la casa era un usofrutto del benefi cio...<br />
Questa strada pendente, dove era la casa<br />
del Benefi cio, cominciava sullo slargo della<br />
Rotonda, quella che, venendo dalla piazza,<br />
precipitava a destra. Dico strada, ma strada<br />
non era, era una larga spaccatura creata dal<br />
capriccio delle case quasi mai allineate; una<br />
pareva che volesse voltare le spalle; l’altra che<br />
tentasse di andarsene; con uno spigolo una ci<br />
sporgeva, un’altra se ne ritirava; e ogni tanto<br />
l’apertura di un vicolo che scendeva, un’altra<br />
per quello che saliva; l’incrocio estroso evitava<br />
la croce; quando ne risultava un piccolo slargo,<br />
una casa ci si disponeva come il municipio<br />
davanti al cielo della piazza. In uno di questi<br />
slarghi c’era la fontanella;<br />
una casa s’era tirata indietro,<br />
con l’altra cominciava un<br />
ripido vicolo a cordonata.<br />
Tra questo e la strada il<br />
cuneo spuntato di una casa;<br />
l’amputazione ne era la<br />
facciata larga quanto bastava<br />
per aprirci un portoncino in<br />
basso e una fi nestra in alto.<br />
Poco più su della fontanella<br />
cominciavano a sinistra le<br />
Strade Basse… erano una<br />
strada lungo il fi anco ponente<br />
della collina, sotto il crinale,<br />
diceva noi come il papa.<br />
Cominciava a sinistra con la<br />
casa lamata dei Mosci, quella<br />
casa eccezionale dove la parte<br />
diroccata e puntellata stava<br />
nel basso e sopra, pulita e<br />
intatta la casa di Eugenia<br />
come un bronzo sostenuto<br />
dalla da ricotta. Come fi niva non<br />
sso.<br />
Basse erano le sue case, sia<br />
dda<br />
una parte che dall’altra,<br />
bbenché<br />
quelle volte alle Mura,<br />
ddi<br />
laggiù, risultassero alte;<br />
pa pareva che la sottostante roccia<br />
pe per successive fratture, fosse<br />
di diventata mattone; benché a<br />
dest destra incombessero, altissime,<br />
molte<br />
case che lungo la strada<br />
centra centrale appoggiata sul crinale, erano<br />
medioc mediocri. Verso le Strade Basse esse<br />
volgev volgevano il di dietro con le porte<br />
delle<br />
cantine e dei magazzini quasi<br />
semp sempre chiuse; sopra a quelle porte<br />
gran grandi e disadorne, le finestre a<br />
ddue,<br />
a tre righe, con le persiane più spesso<br />
chiuse che aperte.<br />
Eppure di lassù potevano vedere Pitì e la<br />
Roccaccia come dirimpettai.<br />
Non sempre le case alte volgevano il dorso,<br />
più spesso erano un fi anco o uno spigolo<br />
acuto, storture necessarie per le tante<br />
stradette anguste del pendio sopra alle Strade<br />
Basse. Un groviglio di brevissimi sdruccioli e<br />
vicoletti a sali e a scendi, selciati a cordonata<br />
con mattoni e in mezzo un incavo a canale<br />
per far scorrere l’acqua piovana e quella che<br />
buttavano fuori dalle case; accenni di scalette<br />
ripide e rotte, piccoli slarghi irregolari.<br />
Fare di quell’intrico una piccola proiezione<br />
orizzontale, diffi cile, se non impossibile...<br />
Museo archeologico<br />
Strade basse<br />
sono venuti alla luce<br />
nella zona in cui<br />
sorgeva l’iseo di Trea,<br />
durante gli scavi per<br />
la costruzione del<br />
Santuario del SS.<br />
Crocifisso. Statue<br />
egizie e frammenti,<br />
considerati resti<br />
di copie romane,<br />
furono collocati<br />
sulla facciata del<br />
campanile. Oltre ad<br />
un mosaico, una testa<br />
del dio Serapide ed<br />
una di Iside stessa,<br />
ci sono due pregevoli<br />
prodotti di arte egizia<br />
di epoca tolemaica<br />
più volte richiesti<br />
per l’esposizione nel<br />
corso di mostre a<br />
tema dai più grandi<br />
musei del mondo.<br />
13
14<br />
Lo spirito francescano<br />
aveva attecchito puro<br />
e cresceva senza<br />
innesti<br />
I luoghi di culto<br />
sono sparsi per<br />
tutto il territorio<br />
treiese: cattedrali<br />
imponenti, pievi<br />
nate in prossimità<br />
di eremi ed antichi<br />
monasteri, abbazie di<br />
rara bellezza come<br />
la romanica Santa<br />
Maria in Selva di cui<br />
restano le residenze<br />
dei monaci e la grancia.<br />
Nella Chiesa<br />
di Santa Chiara, in<br />
puro stile barocco,<br />
c’è la statua della<br />
Un movimento della strada,<br />
una fontanella e si era<br />
arrivati ai Zoccolanti. È<br />
lì il profondo di Treja, ma<br />
io non lo sapevo. Dopo la<br />
fontanella ecco nella sua grossa mole il<br />
chiesone del Crocefi sso. Con chiunque io<br />
fossi, quel chiunque faceva una piccola sosta<br />
e guardandolo diceva: “È del Bazzani” A<br />
me non importava di chi fosse, a me pareva<br />
che fosse cosa da città, non da campagna...<br />
Una volta dentro un cenno a un frate, quello<br />
accendeva delle luci, tirava un velo e si vedeva<br />
Gesù in croce colorato come se fosse vero. Noi<br />
si stava già alla sua sinistra a guardargli gli<br />
occhi. Sì, sì, sono aperti, spalancati proprio<br />
no, ma socchiusi, però è vivo. Passavamo a<br />
guardargli gli occhi di fronte. Sono tanto<br />
tanto socchiusi tra le palpebre c’è una<br />
fessurina come un rigo di penna; agonizza.<br />
Passavamo a destra, gli occhi erano chiusi, è<br />
morto. Quel gioco miracoloso mi interessava,<br />
ma passava presto, quello per cui avrei<br />
voluto restare in chiesa tutto il tempo che<br />
volevo, erano gli stendardi. I monti rendevano<br />
omaggio al Crocefi sso, su ogni stendardo la<br />
sua fi gura e il suo nome... Non m’incontrai<br />
mai né col Monte Bianco, né con quello Rosa<br />
che pure incontravo a scuola sulle Alpi.<br />
Probabilmente quelli degli stendardi erano<br />
monti di quelle parti, monti conoscenti del<br />
Crocefi sso…<br />
Lo zio andava spesso “a Fraticelli”, così<br />
lui diceva… si creò in me un’idea vaga<br />
come se quei luoghi fossero stati nei secoli<br />
passati, naturale rifugio per santi ribelli,<br />
per santi fuori legge. Quel pezzo di Marca<br />
dov’è Treja fu ospitale per i Fraticelli che,<br />
tutto sommato, erano frati a double face: per<br />
alcuni eretici, per altri santi. A Macerata e<br />
nelle terre vicine, lo spirito francescano aveva<br />
attecchito puro e cresceva senza innesti; erano<br />
terre per Fraticelli.<br />
I Fraticelli di Treja, eremiti del Clareno,<br />
Santa Chiara<br />
stavano in luoghi appartati, vestiti<br />
poveramente, più poveramente vivevano;<br />
vivevano con la fede nella fede di Gioacchino<br />
da Fiore; erano tutti spirituali; volevano<br />
riportare il francescanesimo alla primitiva<br />
letizia. La curiosa denominazione restava da<br />
secoli a testimoniare la vitalità che ebbero<br />
a Treja i Fraticelli.<br />
Mio zio non aveva certo lo spirito dei<br />
Fraticelli, ma il loro carattere sereno e lieto<br />
sì. Che una bambina sentisse quanta ragione<br />
aveva la gente che per quello lo ammirava,<br />
di quello parlava, è segno che la sua serena<br />
letizia era veramente fenomenale... Del<br />
resto anche lui era fatto come tutti di tanti<br />
cartoccetti come le dalie. Nel suo fondo,<br />
nel centro del fi ore, c’era anche un lieto<br />
Spirituale: per pochi soldi, per un pugno di<br />
grano, andava così contento a elemosinare.<br />
SS. Crocifi sso<br />
Madonna di Loreto,<br />
esposta nella Santa<br />
Casa in sostituzione<br />
di quella portata a<br />
Parigi da Napoleone.<br />
Tradizione vuole che<br />
la statua in Santa<br />
Chiara sia quella<br />
originariamente<br />
venerata a Loreto e<br />
che lo scambio, dopo<br />
la restituzione del<br />
prezioso simulacro<br />
da parte dei francesi,<br />
non sia mai avvenuto.<br />
Duomo, Venerdì Santo<br />
15
16<br />
Quello lassù l’ha<br />
fatto lo zio<br />
Se San Francesco è<br />
per la Prato la chiesa<br />
più bella di tutte, la<br />
Catterale, opera di<br />
Andrea Vici, discepolo<br />
del Vanvitelli, viene<br />
considerata uno dei<br />
maggiori templi delle<br />
Marche per ampiezza,<br />
maestosità e purezza<br />
delle linee.<br />
È uno scrigno d’arte<br />
in cui, tra l’altro,<br />
si ammirano (oltre<br />
al ciborio donato<br />
dalla famiglia della<br />
Prato) una tela di<br />
Vin cenzo Pagani, una<br />
pala di Giacomo da<br />
Recanati, un busto<br />
di Papa Sisto V opera<br />
di Bastiano Torrigiani<br />
detto il Bologna una<br />
cui copia si conserva<br />
presso il Victoria and<br />
Albert Museum di<br />
Londra.<br />
Duomo, ciborio<br />
Dopo i palazzi Acquaticci e<br />
Castellani veniva la chiesa<br />
più bella di tutte, San<br />
Francesco, una chiesa senza<br />
archi, senza colonne, senza<br />
pilastri tra i quali le cose bisogna cercarle<br />
come se facessero a nascondarella; in questa<br />
s’entrava e si vedeva tutto; era un<br />
immenso salone col soffi tto altissimo, mo,<br />
tutta luce, tutta colori, tutta quadri ri<br />
e affreschi, tutta cornici e stucchi<br />
dorati, altari, pareti e soffi tto.<br />
Sapevo che il soffi tto l’aveva fatto<br />
lo zio, “opera sua” sentivo dire.<br />
“Quando stava in cima all’armatura” ura”<br />
disse la zia e un’altra volta, dentro o<br />
la chiesa: “Quello lassù l’ha fatto lo zio”,<br />
ma non so se “lassù” era tutto il soffi tto o<br />
qualche particolare. Adesso non lo so, ma<br />
allora lo sapevo: era tutto opera sua e la<br />
maggior parte del tempo stavo in chiesa<br />
guardando il soffi tto. Certo è che indorò,<br />
stuccò. dipinse, restaurò, qualcosa fece lassù,<br />
sul soffi tto, la mano e il cuore di mio zio<br />
nella luce sempiterna…<br />
Il Duomo non aveva facciata, ma solo<br />
quell’entrata principale di fronte all’altar<br />
maggiore, perché era unità, conversione<br />
a un centro, distanze ugauli. Quando lo<br />
ricostruirono, eccetto la torre campanaria,<br />
tutto rifecero, senza alterare la croce greca…<br />
Il ciborio dell’altare del sacramento mi<br />
interessava assai più della lapide che faceva<br />
da sfondo alla sedia del conte Grimaldi.<br />
Nel braccio sinistro della croce, era una<br />
costruzione tutta d’oro, stava sopra un<br />
grande altare isolato e, tolto il breve<br />
spazio per celebrare, l’occupava tutto.<br />
Rappresentava un tempio raccolto intorno<br />
a una grandissima alta cupola con quattro<br />
cupolette minori a croce, come sarebbe stato<br />
San Pietro se non l’avessero allungato. “È<br />
dono dei Ciaramponi” disse la zia più d’una<br />
volta, mai però aggiunse una parola di più…<br />
San Francesco<br />
17
18<br />
Per Pasqua<br />
si facevano<br />
anche i calcioni<br />
La qualità della vita<br />
si <strong>misura</strong> anche dalla<br />
tavola: il calcione di<br />
Treia è riconosciuto<br />
prodotto tradizionale<br />
regionale. re<br />
È un disco di<br />
sfoglia tirata<br />
al mattarello<br />
ripieno di un<br />
impasto i<br />
di<br />
farina,<br />
uova, pecorino, i<br />
zucchero, olio.<br />
Dal caratteristico<br />
sapore agrodolce, è<br />
un prodotto unico<br />
della tradizione<br />
marchigiana.<br />
La Sagra del Calcione<br />
lo propone anche<br />
fritto ed al forno ogni<br />
terza domenica di<br />
maggio, Treia vanta<br />
anche una varietà<br />
autoctona di grano<br />
turco, il Quarantino<br />
di Treia, base di una<br />
polenta dal sapore<br />
particolare che è<br />
Per Pasqua si facevano anche<br />
i calcioni, enormi agnolotti<br />
ripieni d’un impasto in cui<br />
eccedeva o il formaggio, o la<br />
cioccolata. Pur preferendo questi poco mi<br />
piaceva il dentro, molto l’involucro.<br />
Tagliato un rotondo di sfoglia come un<br />
piattino, ripiegato su se stesso dopo averci<br />
messo il ripieno, bisognava far energica<br />
pressione sui bordi perché col calore del forno<br />
non si aprissero. Quella funzione fu un mio<br />
divertimento: avevo trovato un aggeggio che<br />
non solo premeva, ma ci lasciava un disegno.<br />
Quando tornavano dal forno cercavo quelli e<br />
li guardavo sorridendo…<br />
Andavo a mangiare la polenta…<br />
Sulla fi amma, sotto il camino, dentro al<br />
caldaio attaccato alla catena, Angelina<br />
faceva piovere dalle dita appena appena<br />
vibranti, veli di farina gialla, un pugno<br />
dietro l’altro, diminuiva la farina<br />
del cestello, s’addensava la polenta nel<br />
caldaio; col bastone la rimestava forte<br />
forte, la sbatteva con fatica alla fi ne.<br />
Sul tavolino in mezzo alla cucina c’era<br />
la spianatora; sulla spianatora versava<br />
la polenta che scendeva lenta, pesante; un<br />
grande ovale giallo…<br />
Boccio alto, bello mi sorrideva il caldaio,<br />
retto con due stracci dalle mani di Angelina,<br />
lentamente versava dal suo gran labbro la<br />
gialla polenta fumante; un grande ovale con<br />
qualche lieve insenatura, qualche piccolo<br />
promontorio come in tutte le isole; le forchette<br />
di stagno battevano sulle spianatora…<br />
Lui mi diceva: “Ecco, guarda, ci fa un O, mai<br />
una volta che ci faccia il riccio”. Lei severa,<br />
con l’orciolo dell’olio, da cui ne scendeva un<br />
fi lo, faceva il famoso O e, davvero, senza<br />
neppure l’accenno del riccio, un O ovale<br />
perfetto. Era tutto il condimento della polenta<br />
che a me piaceva tanto. Angelina non mi<br />
guardava, non mi sorrideva, metteva la<br />
forchetta di stagno al mio posto, e basta…<br />
Ognuno con la propria forchetta stendeva<br />
quel poco olio sul pezzo che presumibilmente<br />
avrebbe mangiato; sulla provincia che<br />
gli apparteneva. Avanti a ognuno di noi<br />
si scavava un golfo, tra ognuno di noi si<br />
formava una penisola stretta come un nastro.<br />
Io non l’avrei mangiata, ma qualcuno<br />
mangiava anche quella.<br />
La poca polenta che restava, oramai fredda,<br />
Angelina la tagliava a fette, si staccava<br />
dalla spianatora netta, sotto luccicava,<br />
ammonticchiava i pezzi su un piatto: la<br />
sera, abbrustoliti sulla graticola sarebbero<br />
stati una parte della cena, forse la più<br />
consistente. Anche noi si faceva la polenta,<br />
ma per allegria. Non era come quella dei<br />
poveri. Angelina la rimestava con forza, la<br />
sbatteva, la bastonava con un grosso bastone<br />
lucido, in casa la rimestavano con un lungo<br />
cucchiaione di legno; la versavano sui piatti<br />
piani, la condivano col sugo e nel<br />
mezzo mettevano una salsiccia.<br />
quello gustato dalla<br />
Prato. La Sagra<br />
della Polenta è in<br />
programma ogni<br />
terza domenica di<br />
settembre.<br />
Tra i piatti tipici<br />
tradizionali anche<br />
il ciauscolo, salume<br />
morbido di carne di<br />
maiale da spalmare<br />
su pane fresco o<br />
abbrustolito.<br />
Assaggio obbligato<br />
per i vincisgrassi,<br />
pasta sfoglia tirata<br />
a mano e tagliata<br />
a strisce larghe<br />
sovrapposte e con dite<br />
con ragù di carne e<br />
besciamella.<br />
19
20<br />
C’erano tre zone<br />
che si movevano nel<br />
paese ondeggiando<br />
fra di loro.<br />
Quattro oggi le zone<br />
in cui è ripartito<br />
il variegato popolo<br />
treiese che rivive<br />
nella Disfida del<br />
Bracciale ogni prima<br />
domenica di agosto. I<br />
giocatori, vestiti dei<br />
colori dei quartieri<br />
cittadini, imbrac ciano<br />
il classico manicotto<br />
in legno irto di punte<br />
in cerca di una volata<br />
che la pesante e<br />
velocissima palla di<br />
cuoio rende assai<br />
diffi cile.<br />
La città è pavesata a<br />
festa: l’azzurro è del<br />
Borgo (contadini), il<br />
viola del Vallesacco<br />
(artigiani), il verde del<br />
Cassero (nobili) e il<br />
giallo dell’Onglavina,<br />
per i treiesi Ojolina,<br />
la la zona in cui si<br />
stabilì la la comunità<br />
“Ojolina dicevamo noi, strada<br />
nera, stretta, un poco storta.<br />
Casucce buttate a caso,<br />
emergenti, sprofondate,<br />
sconquassate, molte puntellate: casa e stalla<br />
si fon devano … Da un tetto all’altro, canne<br />
o corde cariche di cenci, cenci alle fi nestre,<br />
cenci sui muri, cenci addosso alla gente.<br />
Quella gente era<br />
un mistero. Una<br />
famiglia per ogni<br />
buco, ma tutti<br />
insieme erano<br />
una cosa sola:<br />
erano i Mòsci. Di<br />
dove venissero,<br />
che cosa facessero, che magia praticassero<br />
non so, certo erano una razza a sé. C’era chi<br />
diceva che facessero le fatture, che di notte<br />
rubassero… Dicevano, ma non era mai né<br />
ieri, né oggi, era chissà quando…<br />
Gli uomini parevano brutti, forse più per<br />
l’espressione e la barba ba non fatta che per i<br />
lineamenti.<br />
Le donne bellissime o bruttissime,<br />
erano Mòsce. Alte, andatura ndatura superba,<br />
zigomi larghi, bocca grande con<br />
labbra sporgenti, occhi hi stretti e lunghi,<br />
palpebre pesanti sempre pre abbassate,<br />
ne fi ltrava luce di pietra tra nera.<br />
Voce bassa e rauca. Una<br />
Mòscia non avrebbe mai<br />
parlato di testa come certe<br />
vecchie signore… I Mòsci<br />
non solo non si<br />
vedevano mai in chiesa, sa, ma<br />
non si vedevano neppure ure<br />
per il paese. S’incontravano ravano<br />
fi tti fi tti come mosche e nel<br />
giulebbe, solo o Ojolina”… na”…<br />
C’erano tre zone che<br />
si movevano nel paese e<br />
ondeggiando fra di loro. ro. In<br />
quella più alta i titolati, ati, in<br />
quella più bassa gli artigiani e i contadini, in<br />
mezzo tutti gli altri, i piccoli benestanti, gli<br />
impiegati, i professionisti…<br />
Quelle terre prima dell’Annessione furono<br />
una riserva per cacciare titoli di nobiltà…<br />
il papa non era troppo diffi cile…<br />
Anche una distrazione papale poteva<br />
conferire il titolo… Se una signora,<br />
inginocchiata avanti a lui seduto in trono,<br />
si stava chinando al bacio della sacra<br />
pantofola, egli con parole e con gesto la<br />
invitava a rialzarsi, ma poteva avere<br />
dimenticato chi fosse e che distrattamente<br />
dicesse: “Si alzi, si alzi contessa”. Al coniuge<br />
che la seguiva automaticamente diveva conte.<br />
Il titolo era conferito. Nobili, conti, marchesi<br />
non si contavano in città e nella campagna.<br />
Le loro ville erano luoghi incantati, stavano<br />
zitte zitte a occhi socchiusi in una pace<br />
sconfi nata.<br />
Non tanti quanti i preti, ma di fattori ce<br />
n’erano parecchi; dove metterli? Tra i poveri<br />
no, tra gli aristocratici, giammai! tra i ricchi<br />
neppure, se lo fossero stati non avrebbero<br />
lavorato; dovevano essere in una scala rurale<br />
perché si occupavano delle terre di chi le<br />
possedeva e dei relativi contadini…<br />
Il martedì i contadini venivano in paese per<br />
comprare o vendere, vestiti meglio di quando<br />
stavano per i campi, ma non con la muta<br />
buona della festa… La domenica tutti si<br />
vestivano con gli abiti più belli: signori,<br />
artigiani e contadini. Villano in paese voleva<br />
dire maleducato; a me quel nome richiamava<br />
le ville davanti alle quali passavo di corsa<br />
senza mai potermi fermare, neppure per il<br />
salice piangente. Stavano con la terra, con<br />
le piante, con gli animali tutta la settimana<br />
perché anche se venivano in paese il martedì<br />
ci venivano per la terra, per le piante, per<br />
gli animali. La domenica per gironzolare,<br />
per incontrarsi tra di loro e per la Messa<br />
Cantata…<br />
Aprile, il bello tessere e il dolce dormire”.<br />
di zingari calderai<br />
cui <strong>Dolores</strong> Prato si<br />
riferisce chiamandoli<br />
con la versione<br />
treiese dell’eponimo<br />
magiari: Mòsci).<br />
La sfi lata in costume<br />
e gli addobbi delle vie,<br />
ricreano le atmosfere<br />
della prima metà del<br />
secolo d’oro di Carlo<br />
Didimi, l’Ottocento.<br />
Treia apre taverne,<br />
21
22<br />
botteghe artigiane<br />
e portoni centenari.<br />
Se è vero che la città<br />
è testimonial illustre<br />
del bracciale grazie<br />
a Didimi e Leopardi,<br />
è altrettanto vero<br />
che il bracciale<br />
non è l’unico dei<br />
suoi gioielli. In ogni<br />
periodo non mancano<br />
proposte interessanti<br />
di soggiorno tra<br />
gusto, natura, arte e<br />
cultura.<br />
Tra tradizione e<br />
folklore si collocano<br />
le rievocazioni sacre<br />
di Passione e<br />
Presepio Vivente,<br />
quelle ludiche del<br />
Carnevale con i suoi<br />
carri allegorici, gli<br />
appuntamenti con i<br />
sapori delle tipicità<br />
come la Sagra del<br />
Calcione e del Raviolo<br />
(terza domenica di<br />
maggio), la Sagra del<br />
Maialino alla Brace<br />
(luglio) e la Sagra<br />
della Polenta (ogni<br />
terza domenica di<br />
settembre).<br />
Lo dicevano in paese e<br />
non sembrava un vecchio<br />
detto perché dentro qualche<br />
casa c’era ancora il telaio.<br />
Riempiva quasi una stanza; la donna seduta<br />
di dentro, faceva tuttuno con lui: manovrando<br />
pettine, spola e<br />
pedali tesseva la<br />
vita… un’altra<br />
seduta fuori<br />
della porta, al<br />
fi anco sinistro<br />
la conocchia che<br />
s’alzava dritta<br />
come un missile<br />
di canna, fi lava.<br />
Già, a Treja<br />
in quell’epoca<br />
c’era ancora la<br />
conocchia, rocca<br />
diceva il libro<br />
di lettura. Era una canna spezzata a un suo<br />
termine, ma prima che fi nisse in più strisce<br />
alte un palmo, tra una striscia e l’altra infi late<br />
a forza stecchette di canna che gonfi avano<br />
il tratto spezzato; intorno a quel gonfi ore<br />
avvolgevano quel che era da fi lare: lana, lino,<br />
canapa. La mano sinistra traeva il fi lamento,<br />
la destra l’annodava alla cima del fuso e lo<br />
scoccava; quello girava vorticoso torcendo il<br />
fi lo; con una spinta del pollice scioglievano il<br />
nodo e avvolgevano il fi lo ritorto intorno alla<br />
parte centrale del fuso, quella un po’ gonfi a,<br />
tenendone una punta appoggiata alla persona,<br />
girando l’altra e con la sinistra conducendo il<br />
tratto di fi lo già ritorto.<br />
Poi riprendeva a trarre il fi lo dal pennecchio<br />
passandolo tra le labbra per inumidirlo.<br />
I merletti e la tessitura furono l’antica<br />
industria del paese.<br />
Anche i merletti oramai erano scaduti.<br />
Non conveniva più smerlettare e tessere, le<br />
fabbriche mandavano tutto.<br />
A Treja crescevano i mulini e le fornaci.<br />
Perché ero sola, perché non avevo quello<br />
che avevano gli altri bambini certi episodi<br />
diventavano cippi miliari di una strada<br />
deserta; si dilatavano proprio perché intorno<br />
avevano il deserto. Forse proprio per questa<br />
mia solitudine m’incantavo avanti a tutto,<br />
anche a un ombrello…<br />
La solitudine mi dava le meraviglie, le<br />
meraviglie cancellavano la solitudine…<br />
Mai m’era capitato che qualcuno mi mettesse<br />
a cavalcioni sulle sue ginocchia e ridesse<br />
e scherzasse con me. Non sapevo neppure<br />
che agli altri ragazzini potesse capitare di<br />
stare sulle ginocchia di qualcuno come su<br />
un cavallo a dondolo. “Staccia minaccia”...<br />
mi buttava giù, mi tirava su, mi ributtava<br />
giù, più mi buttava e più godevo. “Staccia<br />
minaccia, buttiamola giù la piazza”...;<br />
cominciava così, non so come continuasse, ma<br />
fi niva con un “giù” lungo e profondo, atroce<br />
e dolcissimo che mi capovolgeva. Emozione<br />
e felicità. Il pavimento era la piazza, io il<br />
br bbrivido iv ivid id ido de dell della lla a ca cadu caduta. duta ta ta.<br />
No Non<br />
n l’ l’ho<br />
ho i iimp<br />
imparata mp m ar arat at ata a la fi lastrocca; quando<br />
te tent tentavo ntavo o di ric rricostruirla,<br />
ic i os o tr trui ui uirl rl rla, a, aarr<br />
arrivata rriv ivat ata a “giù<br />
iù<br />
la pia ppiazza”,<br />
ia iazz z a” a”, , at attimi<br />
mi d’inu d’inutile nuti ti tile le l<br />
at aattesa, te t sa sa, , po poi<br />
i il pen ppensiero<br />
en e si sier ero o co come<br />
me m<br />
se p pparlasse,<br />
ar a la lass ss sse, dic diceva icev eva a “G “Giù<br />
iù l lla<br />
la a<br />
pi piaz piazza az azza za z nnon<br />
non o c’è<br />
’è nes nessuno”. essu su suno no ”. .<br />
An Anch Anche ch c e ad ades adesso esso s se, nnel<br />
nel<br />
te tent tentativo ntat at ativ iv ivo o di ffar<br />
f ffar<br />
ar rris<br />
rrisorgere<br />
is i or o ge g re<br />
il r<br />
resto, es esto to, , ca cant cantileno nt ntil il ilen en e o “S “ “Staccia ta tacc ccia ia<br />
mi mina minaccia, na nacc cc ccia ia i , bu butt buttiamola ttia ia iamo mo mola la giù g ggiù<br />
iù i<br />
la ppia<br />
p ppiazza”<br />
iazz zz a” e s ssfo<br />
sforzo fo f rz rzo o un una<br />
re rresurrezione su surr rr r ez ezio io i ne<br />
ch che<br />
e no non<br />
n<br />
av aavviene, vi vien ene, e, d<br />
ddi<br />
di i<br />
pe pper r sè è a aarr<br />
arriva: rr r iv iva: a:<br />
“G “ “Giù iù lla<br />
la<br />
pi ppiazza azza za non nnon<br />
on<br />
c’ c’è<br />
è ne nnessuno”. ss ssun un u o” o .<br />
DOLORES PRATO NASCE A<br />
ROMA IL 12 APRILE 1892.<br />
DAI CINQUE AI DICIOTTO ANNI<br />
VIVE A TREIA. APPRENDE LE<br />
PRIME NOZIONI IN CASA DEGLI<br />
ZII; DAL 1901-1902 AL<br />
1910 STUDIA NEL COLLEGIO<br />
SALESIANO DELLA VISITAZIONE,<br />
A TREIA; COMPLETA I SUOI<br />
STUDI A ROMA, SINO ALLA<br />
LAUREA. RITORNA NELLE<br />
MARCHE COME INSEGNANTE<br />
DI LETTERE PRESSO SCUOLE DI<br />
SAN GINESIO E DI MACERATA;<br />
SUCCESSIVAMENTE È TRASFERITA<br />
A SANSEPOLCRO, IN TOSCANA,<br />
E INFINE A ROMA, DOVE SI<br />
STABILISCE DEFINITIVAMENTE.<br />
PUBBLICA ARTICOLI DI CULTURA,<br />
SPECIALMENTE ROMANA,<br />
PRESSO VARI QUOTIDIANI.<br />
RESTA TUTTAVIA QUASI DEL<br />
TUTTO SCONOSCIUTA E ANCHE<br />
DUE VOLUMI RIMANGONO<br />
RIMAN<br />
SEMICLANDESTINI. LA SCOPERTA SC<br />
DELLA PRATO AVVIENE QUANDO Q<br />
LA SCRITTRICE HA COMPIUTO COM<br />
OTTANTASETTE ANNI, GRAZIE<br />
ALLA PUBBLICAZIONE PRESSO P<br />
EINAUDI DEL RACCONTO<br />
RACC<br />
AUTOBIOGRAFICO GIÙ G LA<br />
PIAZZA NON C’È NESSUNO NE<br />
(1980). SUCCESSIVA SUCCESSIVAMENTE<br />
MONDADORI (1997) (199 E<br />
QUODLIBET (2009) (2009 NE<br />
PUBBLICANO L’EDIZIONE<br />
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Aeroporto di Ancona + bus 65 km<br />
Porto di Ancona + bus 55 km<br />
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