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Il realismo platonico di Galileo Galilei - Liceoaselli.it

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MARCO PAOLO ALLEGRI<br />

<strong>Il</strong> <strong>realismo</strong> <strong>platonico</strong><br />

<strong>di</strong> <strong>Galileo</strong> <strong>Galilei</strong><br />

La matematizzazione strumentalistica<br />

della natura e della fisica: dal Quale al Quanto<br />

1


Sommario<br />

Introduzione<br />

1. L’ unificazione <strong>di</strong> fisica terrestre e fisica celeste<br />

1.1. Realismo e strumentalismo<br />

1.2. <strong>Galileo</strong>: la riunificazione <strong>di</strong> fisica terrestre e fisica celeste<br />

1.3. <strong>Il</strong> senso comune e la miope pervicacia degli aristotelisti moderni<br />

2. La dest<strong>it</strong>uzione del para<strong>di</strong>gma tolemaico-aristotelico<br />

2.1. La matematizzazione della fisica e della natura<br />

2.2. I “puri astronomi” e gli “astronomi filosofi”<br />

2.3. Matematismo e meccanicismo<br />

2.4. La <strong>di</strong>struzione del para<strong>di</strong>gma tolemaico-aristotelico<br />

3. La matematizzazione della natura e della fisica<br />

3.1. Contro Aristotele, la geometrizzazione del mondo sub lunare<br />

3.2. La matematizzazione <strong>di</strong> tutta la scienza fisica<br />

3.3. L’ accelerazione dei progressi nella matematica<br />

3.4. Semplic<strong>it</strong>à e or<strong>di</strong>ne matematico della natura<br />

4. Aristotelici ed aristotelisti<br />

4.1. <strong>Il</strong> linguaggio geometrico-matematico del “gran libro” dell’ universo<br />

4.2. Platonismo e aristotelismo<br />

4.3. <strong>Galileo</strong> autentico <strong>di</strong>scepolo <strong>di</strong> Aristotele<br />

5. <strong>Il</strong> mondo-macchina<br />

5.1. Lo statuto epistemologico del <strong>realismo</strong> <strong>platonico</strong> <strong>di</strong> <strong>Galileo</strong> <strong>Galilei</strong>: un <strong>di</strong>lemma<br />

5.2. Modelli matematici teorici, fenomeni e loro corrispondenza<br />

5.3. Finalismo e antrocentrismo antichi e moderni<br />

5.4. Una nuova concezione dell’ esperienza<br />

6. “Dal mondo del pressappoco all’ universo della precisione”<br />

6.1. L’ esigenza <strong>di</strong> precisione nelle misurazioni<br />

6.2. “Non solo osservare, ma misurare”<br />

6.3. <strong>Il</strong> p<strong>it</strong>agorismo <strong>di</strong> Keplero<br />

6.4. Le implicanze tecnologiche della nuova scienza<br />

7. Esperienza ed esperimento<br />

7.1. L’ autentica lezione <strong>di</strong> Aristotele per <strong>Galileo</strong>: le osservazioni<br />

7.2. Mano e mente<br />

7.3. “Intensive” la conoscenza matematica umana è pari a quella <strong>di</strong>vina<br />

2


7.4. La giusta misura tra creativ<strong>it</strong>à umana e potenza <strong>di</strong>vina<br />

8. Questioni <strong>di</strong> lana caprina …<br />

8.1. Le “sottigliezze matematiche” sono applicabili alla materia sensibile?<br />

8.2. Sfere, cavalli, locuste: arch<strong>it</strong>etture naturali e abil<strong>it</strong>à umane<br />

8.3. Esperimenti mentali<br />

3


Introduzione<br />

“Concludo per tanto, l’ intender nostro, e quanto al modo e quanto alla molt<strong>it</strong>u<strong>di</strong>ne delle<br />

cose intese, esser d’ infin<strong>it</strong>o intervallo superato dal <strong>di</strong>vino; ma non però l’ avvilisco tanto, ch’<br />

io lo reputi assolutamente nullo; anzi, quando io vo considerando quante e quanto<br />

meravigliose cose hanno intese investigare ed operare gli uomini, pur troppo chiaramente<br />

conosco io ed intendo, esser la mente umana opera <strong>di</strong> Dio, e delle più eccellenti” (<strong>Galileo</strong><br />

<strong>Galilei</strong>, Dialogo sopra i due massimi sistemi tolemaico e copernicano, Giornata Prima)<br />

“… il principale scopo de i puri astronomi è il render solamente ragione delle apparenze ne i<br />

corpi celesti, ed ad esse ed a i movimenti delle stelle adattar tali strutture e composizioni <strong>di</strong><br />

cerchi, che i moti secondo quelle calcolati rispondano alle medesime apparenze, poco<br />

curandosi <strong>di</strong> ammetter qualche esorb<strong>it</strong>anza che in fatto, per altri rispetti, avesse del <strong>di</strong>fficile:<br />

e l’ istesso Copernico scrive, aver egli ne’ primi suoi stu<strong>di</strong> restaurata la scienza astronomica<br />

sopra le medesime supposizioni <strong>di</strong> Tolomeo, e in maniera ricorretti i movimenti de i pianeti,<br />

che molto aggiustamente rispondevano i computi all’ apparenze e l’ apparenze a i calcoli”<br />

(<strong>Galileo</strong> <strong>Galilei</strong>, Dialogo sopra i due massimi sistemi tolemaico e copernicano, Giornata<br />

Terza).<br />

“Né perciò <strong>di</strong>co io che non si deva ascoltare Aristotile, anzi laudo il vederlo e <strong>di</strong>ligentemente<br />

stu<strong>di</strong>arlo, e solo biasimo il darsegli in preda in maniera che alla cieca si sottoscriva a ogni<br />

suo detto e, senza cercarne altra ragione, si debba avere per decreto inviolabile; il che è un<br />

abuso che si tira <strong>di</strong>etro un altro <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ne estremo, ed è che altri non si applica più a cercar<br />

d’ intender la forza delle sue <strong>di</strong>mostrazioni. E qual cosa è più vergognosa che ‘l sentir nelle<br />

publiche <strong>di</strong>spute, mentre si tratta <strong>di</strong> conclusioni <strong>di</strong>mostrabili uscir un <strong>di</strong> traverso con un testo,<br />

e bene spesso scr<strong>it</strong>to in ogni altro propos<strong>it</strong>o, e con esso serrar la bocca all’ avversario? Ma<br />

quando pure voi vogliate continuare in questo modo <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>are, deponete il nome <strong>di</strong> filosofi,<br />

e chiamatevi o istorici o dottori <strong>di</strong> memoria; chè non conviene che quelli che non filosofano<br />

mai, su usurpino l’ onorato t<strong>it</strong>olo <strong>di</strong> filosofo” (<strong>Galileo</strong> <strong>Galilei</strong>, Dialogo sopra i due massimi<br />

sistemi tolemaico e copernicano, Giornata Seconda)<br />

“La storia del pensiero scientifico del Me<strong>di</strong>o Evo e del Rinascimento, che si comincia ora a<br />

comprendere un po’ meglio, si può <strong>di</strong>videre in due perio<strong>di</strong>, o meglio, perché l’ or<strong>di</strong>ne<br />

cronologico corrisponde solo molto approssimativamente a questa <strong>di</strong>visione, si può <strong>di</strong>videre,<br />

grosso modo, in tre fasi o epoche, corrispondenti successivamente a tre <strong>di</strong>fferenti correnti <strong>di</strong><br />

pensiero: prima la fisica aristotelica; poi la fisica dell’ impetus, iniziata, come ogni altra<br />

cosa, dai Greci ed elaborata dalla corrente dei Nominalisti parigini del XIV secolo; e infine<br />

la fisica moderna, archimedea e galileiana. Troviamo riprodotte queste fasi nelle opere <strong>di</strong><br />

<strong>Galileo</strong> giovane, che non solo ci informano sulla storia – o preistoria – del suo pensiero, sulle<br />

sollec<strong>it</strong>azioni e i motivi che lo hanno dominato e ispirato, ma ci forniscono allo stesso tempo<br />

un quadro sorprendente e altamente istruttivo, condensato e come chiarificato dalla<br />

meravigliosa mente dell’ autore, <strong>di</strong> tutta la storia della fisica pregalileiana … La fisica<br />

aristotelica è sbagliata naturalmente; è del tutto antiquata. Ciò non<strong>di</strong>meno è una “fisica”,<br />

cioè una scienza stu<strong>di</strong>ata in modo elevato sebbene non matematico. Non è una fantasia<br />

fanciullesca, e nemmeno una esposizione in parole (e priva <strong>di</strong> significato) del senso comune,<br />

bensì una teoria, cioè una dottrina, che basandosi naturalmente sui dati del senso comune, li<br />

sottopone a una manipolazione molto coerente e sistematica. I fatti o i dati che servono <strong>di</strong><br />

base a questa elaborazione teoretica sono molto semplici e in pratica li ammettiamo come<br />

Aristotele. Sembra “naturale” anche a noi che un corpo pesante cada “in basso”. E come<br />

Aristotele e San Tommaso saremmo molto stup<strong>it</strong>i se vedessimo un corpo pesante – una pietra<br />

o un bove – sollevarsi liberamente nell’ aria. Ci sembrerebbe abbastanza “non naturale” e<br />

5


cercheremmo una spiegazione pensando esserci in azione qualche meccanismo nascosto. E’<br />

per noi altrettanto “naturale” che la fiamma <strong>di</strong> un fiammifero vada “verso l’ alto” e che si<br />

mettano pentole padelle “sopra” il fuoco. … Chiameremo infantile e semplice questo<br />

concetto, o meglio atteggiamento? Forse. Possiamo forse anche rilevare che secondo lo<br />

stesso Aristotele la scienza cominciò proprio dal cercare una spiegazione per cose che<br />

appaiono naturali … La fisica aristotelica, come la termo<strong>di</strong>namica, non si lim<strong>it</strong>a solo a<br />

esprimere nel suo linguaggio il “fenomeno” del senso comune già ricordato; lo trasferisce, e<br />

la <strong>di</strong>stinzione tra moti “naturali” e “violenti” assume una posizione determinata in una<br />

concezione generale della realtà fisica; le cui caratteristiche fondamentali sembrano essere:<br />

a) fiducia nell’ esistenza <strong>di</strong> “nature” qual<strong>it</strong>ativamente determinate e b) fiducia nell’ esistenza<br />

<strong>di</strong> un Cosmo – cioè fiducia nell’ esistenza <strong>di</strong> principi <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne in virtù dei quali la total<strong>it</strong>à<br />

degli esseri reali forma un tutto or<strong>di</strong>nato gerarchicamente. <strong>Il</strong> tutto, l’ or<strong>di</strong>ne cosmico, l’<br />

armonia sono concetti che richiedono che le cose nell’ universo siano (o debbano essere)<br />

<strong>di</strong>stribu<strong>it</strong>e e <strong>di</strong>sposte in un certo or<strong>di</strong>ne determinato; che la loro posizione non sia una<br />

questione in<strong>di</strong>fferente (né per esse né per l’ universo); che, al contrario, ogni cosa, secondo<br />

la sua natura, ha una determinata “posizione” nell’ Universo, che in certo senso è la sua. Un<br />

posto per ogni cosa, ogni cosa al suo posto: la “posizione naturale” esprime questa esigenza<br />

teorica della fisica aristotelica … Così ogni movimento implica una specie <strong>di</strong> <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ne<br />

cosmico, una perturbazione dell’ equilibrio del mondo, che è effetto <strong>di</strong>retto <strong>di</strong> una violenza<br />

o, al contrario, l’ effetto dello sforzo dell’ Essere <strong>di</strong> fare equilibrio alla violenza, <strong>di</strong><br />

ricuperare il proprio or<strong>di</strong>ne e equilibrio perduto e turbato, riportare le cose al loro posto<br />

naturale, dove possano fermarsi e rimanre. Questo r<strong>it</strong>orno all’ or<strong>di</strong>ne cost<strong>it</strong>uisce<br />

precisamente quello che abbiamo chiamato moto “naturale”” (Alexandre Koyré, <strong>Galileo</strong> e<br />

Platone)<br />

Wilhelm Dilthey 1 vuole Keplero e <strong>Galilei</strong> come le massime espressioni del “pensiero<br />

calcolatore” che, agli albori dell’ età moderna, analizzava l’ universo e scopriva le semplici<br />

leggi che presiedevano ai suoi complessi fenomeni, sull’ onda delle esigenze della nuova<br />

società borghese. Dilthey enfatizza il contesto sociale, tecnico ed economico nel quale <strong>Galileo</strong><br />

<strong>Galilei</strong> stabilì le leggi del movimento: “<strong>Il</strong> lavoro degli opifici urbani, i problemi sorti dall’<br />

invenzione della polvere da sparo e dalla tecnica delle fortificazioni, i bisogni della<br />

navigazione relativamente ad apertura <strong>di</strong> canali, a costruzione e armamento <strong>di</strong> navi, avevano<br />

fatto della meccanica la scienza prefer<strong>it</strong>a del tempo. Specialmente in Italia, nei Paesi Bassi e<br />

in Inghilterra, questi bisogni erano assai vivaci, e provocarono la ripresa e continuazione degli<br />

stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> statica degli antichi e le prime ricerche nel nuovo campo della <strong>di</strong>namica, specialmente<br />

per opera <strong>di</strong> Leonardo, del Benedetti e dell’ Ubal<strong>di</strong>” 2 . Certamente, proprio in un simile<br />

contesto, ricco <strong>di</strong> sollec<strong>it</strong>azioni e <strong>di</strong> aspettative, <strong>Galileo</strong> <strong>Galilei</strong> sviluppò il programma<br />

centrale dello stesso Keplero, che dava preminenza assoluta all’ “armonia dell’ universo, la<br />

cui bellezza è manifestazione <strong>di</strong> leggi rivolte ad un fine, e consistenti nel numero e nella<br />

misura … La prima proprietà della sostanza è la quant<strong>it</strong>à; e solo in quanto le determinazioni<br />

qual<strong>it</strong>ative possono ridursi a quant<strong>it</strong>à, si può avere una conoscenza … La nostra conoscenza si<br />

misura dal suo accostarsi alle nudae quant<strong>it</strong>ates: In tal modo era stabil<strong>it</strong>o il principio<br />

meto<strong>di</strong>co della moderna scienza della natura, secondo il quale una conoscenza esatta della<br />

natura è possibile solo in quanto i fenomeni possono mettersi per così <strong>di</strong>re sullo stesso piano e<br />

<strong>di</strong>venir così confrontabili; e quin<strong>di</strong> solo mercè la scienza naturale matematica” 3 .<br />

Ma a quale complessa operazione filosofica, e con quali categorie concettuali, pose capo<br />

<strong>Galileo</strong> <strong>Galilei</strong> elaborando il suo metodo scientifico <strong>di</strong> indagine della natura? In quale<br />

1 Wilhelm Dilthey, L’ analisi dell’ uomo e l’ intuizione della natura. Dal Rinascimento al secolo XVIII, prefazione e traduzione<br />

<strong>it</strong>aliana <strong>di</strong> Giovanni Sanna, 2 voll., La Nuova Italia, Firenze 1927-1974, 16-vol. 2.<br />

2 Ibidem, 16-7-vol 2.<br />

3 Ibidem, 17-vol.2.<br />

6


contesto culturale si mosse? Di quali istanze era portatore e in quale alveo della cultura<br />

occidentale navigava, quando approdò alla nov<strong>it</strong>à delle esperienze sensate e delle<br />

<strong>di</strong>mostrazioni necessarie, elaborando un metodo che cost<strong>it</strong>uisce, comunque, una netta<br />

soluzione <strong>di</strong> continu<strong>it</strong>à rispetto ad ogni tra<strong>di</strong>zione e ad ogni concezione del passato? Non vi è<br />

dubbio che le <strong>di</strong>scontinu<strong>it</strong>à non escludano le continu<strong>it</strong>à, e le une non si danno, anzi, senza le<br />

altre, reciprocamente.<br />

Cogliendo bene la natura del metodo galileiano, Rodolfo Mondolfo nota che “<strong>Il</strong> vincolo<br />

stabil<strong>it</strong>o da <strong>Galileo</strong> tra osservazione e <strong>di</strong>mostrazione … le esperienze fatte me<strong>di</strong>ante i sensi e<br />

le <strong>di</strong>mostrazioni logico-matematiche della loro necess<strong>it</strong>à – era un vincolo reciproco, non<br />

unilaterale: né le esperienze sensibili dell’ osservazione potevano valere scientificamente<br />

senza la relativa <strong>di</strong>mostrazione della loro necess<strong>it</strong>à, né la <strong>di</strong>mostrazione logica e matematica<br />

poteva raggiungere la sua “assoluta certezza oggettiva” come quella della natura senza<br />

appoggiarsi all’ esperienza nel suo punto <strong>di</strong> partenza e senza trovare la sua conferma in essa<br />

nel suo punto d’ arrivo” 4 .<br />

<strong>Il</strong> metodo ipotetico-deduttivo-sperimentale <strong>di</strong> <strong>Galileo</strong> <strong>Galilei</strong> non è certamente la semplice<br />

sommatoria dell’ empirismo induttivo e del razionalismo deduttivo moderni, pur avendo in<br />

entrambe le concezioni, tra<strong>di</strong>zionalmente contrapposte, le sue premesse. Rodolfo Mondolfo,<br />

avvedutamente, metteva in guar<strong>di</strong>a da una assunzione senza riserve e lim<strong>it</strong>azioni dell’<br />

“ant<strong>it</strong>esi tra<strong>di</strong>zionale <strong>di</strong> empirismo, personificato da Bacone (insieme con la maggior parte dei<br />

filosofi inglesi), e <strong>di</strong> razionalismo, personificato da Cartesio (insieme alla filosofia<br />

continentale fino a Leibniz)” 5 . L’ operazione <strong>di</strong> <strong>Galileo</strong> <strong>Galilei</strong> non può consistere nel<br />

semplice superamento <strong>di</strong> una tale ant<strong>it</strong>esi e nella conciliazione dei due punti <strong>di</strong> vista. Ma è pur<br />

vero che le “sintesi a priori”, se conservano gli elementi che esse unificano, li superano e li<br />

“tolgono” in una prospettiva ra<strong>di</strong>calmente nuova.<br />

Ci si può approssimare notevolmente alla nov<strong>it</strong>à galileiana se si considera, con Rodolfo<br />

Mondolfo, che “La deduzione della natura, che Descartes attua partendo dall’ idea dell’<br />

estensione e dalle leggi fondamentali del movimento, è tutta una costruzione a priori, in cui s’<br />

aprono ad ogni tappa, secondo lo stesso Descartes, molteplici possibil<strong>it</strong>à <strong>di</strong>verse, tra le quali<br />

la sola realizzata effettivamente risulta contingente, resa manifesta dall’ esperienza, che ha<br />

quin<strong>di</strong> solo un comp<strong>it</strong>o <strong>di</strong> verifica post eventum, non preve<strong>di</strong>bile ante eventum per la<br />

mancanza <strong>di</strong> una necess<strong>it</strong>à causale univoca. <strong>Galileo</strong> invece, con il suo metodo sperimentale,<br />

vuole scoprire nel fatto osservato una necess<strong>it</strong>à intrinseca dovuta al suo legame con la causa<br />

che lo produce … Ma è una deduzione o <strong>di</strong>mostrazione necessaria; e per ciò si <strong>di</strong>fferenzia<br />

pure dall’ empirismo induttivo <strong>di</strong> Bacone … < il quale > con le sue tavole <strong>di</strong> presenza e <strong>di</strong><br />

assenza (come più tar<strong>di</strong> lo Stuart Mill con i suoi meto<strong>di</strong> <strong>di</strong> concordanza e <strong>di</strong>fferenza) mira<br />

unicamente alla comprova dei fatti; e la comprova ha vali<strong>di</strong>tà per i fatti osservati, non<br />

necessariamente per gli altri” 6 .<br />

Dietro la sintesi galileiana <strong>di</strong> empirismo e razionalismo moderni, vi è, probabilmente una<br />

ancor più profonda sintesi, quella tra platonismo e aristotelismo proto e premoderni, che<br />

conclude e invera il <strong>di</strong>batt<strong>it</strong>o quattro e cinquecentesco <strong>di</strong> umanisti e aristotelici 7 . Anche in tal<br />

4 Rodolfo Mondolfo, “<strong>Il</strong> pensiero <strong>di</strong> <strong>Galileo</strong> e i suoi rapporti con l’ antich<strong>it</strong>à e con il Rinascimento”, in Figure e idee della filosofia<br />

del Rinascimento, La Nuova Italia, Firenze 1963-1970, 118-59, 120-1.<br />

5 Ibidem, 121n.<br />

6 Ibidem, 122-3.<br />

7 Eugenio Garin, Storia della filosofia <strong>it</strong>aliana, volume secondo, Einau<strong>di</strong>, Torino 1966, ha scr<strong>it</strong>to che: “Alla ra<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> gran parte<br />

della nuova scienza, da Leonardo a <strong>Galileo</strong>, accando al desiderio tutto rinascimentale <strong>di</strong> non lasciare intentata via alcuna, è viva<br />

la certezza che il sapere ha aperta innanzi a sé la possibil<strong>it</strong>à <strong>di</strong> una salda cognizione. Se noi ripercorriamo la Teologia platonica,<br />

vi troviamo al centro questa tesi, largamente e minutamente <strong>di</strong>scussa nel libro secondo: alla mente <strong>di</strong> Dio sono presenti tutte le<br />

essenze; la <strong>di</strong>vina volontà, che poteva non creare, ha manifestato la sua generos<strong>it</strong>à col dare concreta e mondana realizzazione<br />

alle eterne idee facendole vivere. La fecon<strong>di</strong>tà del concetto <strong>di</strong> creazione si rivela nel dono della v<strong>it</strong>a che Dio ha dato, e poteva<br />

non dare. Ma la volontà non tocca quel mondo razionale che cost<strong>it</strong>uisce l’ eterna ragione <strong>di</strong>vina, il verbo <strong>di</strong>vino, cui dunque si<br />

conforma e si adegua questo mondo il quale, platonicamente, rispecchia l’ ideale razional<strong>it</strong>à per il tram<strong>it</strong>e dell’ interme<strong>di</strong>ario<br />

matematico: “numero, pondere et mensura”. La mente umana, raggio del Verbo <strong>di</strong>vino, è nelle sue ra<strong>di</strong>ci impiantata essa pure<br />

in Dio; è in Dio partecipe in qualche modo dell’ assoluta certezza. La scienza nasce così per il corrispondersi <strong>di</strong> questa struttura<br />

razionale del mondo, impiantata nell’ eterna sapienza <strong>di</strong>vina, e della mente umana partecipe <strong>di</strong> questa luce <strong>di</strong>vina <strong>di</strong> ragione.<br />

7


caso, l’ operazione compiuta va ben oltre un generico eclettismo, e non è neppur valutabile<br />

soltanto nei termini <strong>di</strong> una soluzione sincretica. La nov<strong>it</strong>à è ra<strong>di</strong>cale e non è facile analizzarne<br />

gli elementi tra<strong>di</strong>zionali che vi convergono e comprenderne la loro sintesi strutturale.<br />

a questione del sostrato e dei riman<strong>di</strong> filosofici della <strong>di</strong>namica galileiana ha susc<strong>it</strong>ato un<br />

vigoroso <strong>di</strong>batt<strong>it</strong>o tra gli epistemologi e gli storici della scienza. Ha bene inquadrato la<br />

questione Ernest A. Moody, riflettendovi in questi termini: “Quali sono i fondamenti<br />

filosofici della fisica <strong>di</strong> <strong>Galileo</strong> e quin<strong>di</strong> della scienza moderna in genere? <strong>Galileo</strong> è<br />

sostanzialmente un <strong>platonico</strong>, un aristotelico o nessuno dei due? Si lim<strong>it</strong>ò, come sostiene<br />

Duhem, a rilevare e perfezionare una scienza meccanica che aveva avuto origine nel<br />

Me<strong>di</strong>oevo cristiano e i cui principi fondamentali erano stati scoperti e formulati da Buridano,<br />

da Nicola Oresme e dagli altri esponenti della cosiddetta “fisica dell’ impetus” del XIV<br />

secolo? Oppure, come sostengono Cassirer e Koyré, voltò le spalle a questa tra<strong>di</strong>zione dopo<br />

averla brevemente processata nella sua <strong>di</strong>namica pisana e ripartì ispirandosi ad Archimede e<br />

Platone? Le controversie più recenti su <strong>Galileo</strong> sono consist<strong>it</strong>e in larga misura in un <strong>di</strong>batt<strong>it</strong>o<br />

circa il valore fondamentale e l’ influsso storico che su <strong>di</strong> lui avevano eserc<strong>it</strong>ato le tra<strong>di</strong>zioni<br />

filosofiche, platoniche e aristoteliche, scolastiche e antiscolastiche” 8 .<br />

Alexandre Koyré, Ernst Cassirer, E. A. Burtt e altri hanno sostenuto senza mezzi termini il<br />

platonismo <strong>di</strong> <strong>Galileo</strong>, contro la tesi <strong>di</strong> Pierre Duhem – ripresa da J. H. Randall Jr., a sostegno<br />

Solo perché Dio ha costru<strong>it</strong>o razionalmente il mondo la ragione umana r<strong>it</strong>rova se stessa nella razional<strong>it</strong>à immanente alla natura<br />

e “che in lei … vive”. <strong>Il</strong> numero viene perciò ad essere un’ espressione <strong>di</strong> questo fondamentale consenso fra l’ uomo, il mondo e<br />

Dio; nel numero si articola e si precisa la scienza umana, che vi trova la saldezza e il fondamento dell’ immutabil<strong>it</strong>à stessa <strong>di</strong><br />

Dio, della ragione <strong>di</strong>vina, poiché da essa, e non dalla volontà creante, <strong>di</strong>pende la struttura delle cose. “Id<strong>di</strong>o mai non se po’<br />

mutare” – osservava fra’ Luca Pacioli nella sua Divina proportione (1509), ove proclamava che “tutto ciò che per lo universo<br />

inferiore e superiore si squaterna, quello de necess<strong>it</strong>à al numero, peso e mensura fia sottoposto”. La concezione del<br />

neoplatonismo fiorentino, permeata <strong>di</strong> motivi p<strong>it</strong>agorizzanti e cabalistici, mentre con Platone riconosceva alla matematica la<br />

funzione <strong>di</strong> me<strong>di</strong>atrice fra l’ idea e la materia, rivestiva poi il numero <strong>di</strong> quelle virtù <strong>di</strong> cui l’ aveva cinto la gnosi dei cabalisti. <strong>Il</strong><br />

numero è il verbo immanente, la trama <strong>di</strong> cui il tutto è tessuto. Onde mal si è apposto a chi ha voluto vedere ad esempio nel<br />

Pico per certe sue cr<strong>it</strong>iche alla matematica un’ ant<strong>it</strong>esi con Leonardo. La matematica cr<strong>it</strong>icata dal Pico è mera astrazione, a cui<br />

va sost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>a quell’ ars numeran<strong>di</strong> che schiude con chiavi p<strong>it</strong>agoriche la porta del mistero naturale. Proprio perciò le ragioni<br />

matematiche che Leonardo vuole scoprire sono <strong>di</strong> sapore <strong>platonico</strong>, mentre tutta la sua natura è viva per un’ anima <strong>di</strong> ragione<br />

che ne spiega l’ or<strong>di</strong>ne e la simmetria, e giustifica la nostra conoscenza. La certezza matematica, nella quale appunto il Ficino<br />

aveva visto una rassomiglianza fra l’ uomo e Dio, è tale per un oggetto su cui essa si appoggia per quel nocciolo matematico<br />

che è immanente al cosmo ” (616-7).<br />

8 Ernest A. Moody, “<strong>Galileo</strong> e Avempace: la <strong>di</strong>namica dell’ esperimento della torre pendente”, in: Philip P. Wiener e Aaron<br />

Noland (a cura <strong>di</strong>), Le ra<strong>di</strong>ci del pensiero scientifico, Feltrinelli, Milano 1971-1977, 182-213, 184. A propos<strong>it</strong>o del <strong>di</strong>alogo pisano<br />

<strong>di</strong> <strong>Galileo</strong> <strong>Galilei</strong>, De motu, in Opere <strong>di</strong> <strong>Galileo</strong> <strong>Galilei</strong>, ed. Albèri, XI, Firenze, 1854, scrive Ernest A. Moody che “ … il problema<br />

più <strong>di</strong>fficile che si pone all’ aristotelismo quando sostiene che il mezzo fisico è una con<strong>di</strong>zione necessaria del moto, è quello <strong>di</strong><br />

spiegare il moto dei proietti. In questo caso infatti il mezzo sembra solo ostacolare il moto e non produrlo né mantenerlo.<br />

Siccome l’ agente che ha lanciato il proietto non è più a contatto con quest’ ultimo e potrebbe venire annullato senza che per<br />

questo il proietto cessi <strong>di</strong> muoversi, sembrerebbe che non si possa in<strong>di</strong>viduare altra causa della continuazione del moto del<br />

proietto se non il proietto stesso. Sembrerebbe in questo caso <strong>di</strong>mostrato da i fatti l’ esistenza del moto spontaneo<br />

intrinsecamente determinato dal corpo in movimento; in tal caso verrebbe il crollo dell’ assunto fondamentale <strong>di</strong> Aristotele che<br />

tutto ciò che si muove è mosso da qualcos’ altro. E’ per questo motivo che <strong>Galileo</strong> apre il <strong>di</strong>alogo chiedendosi perché i proietti<br />

continuino a muoversi anche dopo aver lasciato la mano <strong>di</strong> chi li lancia. Egli inizia il suo attacco al principio fondamentale della<br />

<strong>di</strong>namica aristotelica proprio nel punto in cui la sua applicazione appare più debole. La <strong>di</strong>scussione <strong>di</strong> <strong>Galileo</strong> assume la forza <strong>di</strong><br />

una confutazione degli sforzi <strong>di</strong> Aristotele per spiegare la continuazione del moto del proietto attraverso un’ azione propulsiva<br />

dell’ aria o del mezzo. Gli argomenti <strong>di</strong> cui si serve a tal fine non sono originali; sono quasi letteralmente quelli usati da Buridano<br />

e da Alberto <strong>di</strong> Sassonia e prima <strong>di</strong> loro da altri autori, e ripetuti dopo <strong>di</strong> loro dai commentatori della Fisica del Quattrocento e<br />

Cinquecento. <strong>Galileo</strong> poteva leggere questi argomenti in numerosi libri pubblicati al suo tempo e senza dubbio li aveva sent<strong>it</strong>i <strong>di</strong><br />

prima mano da Francesco Bonamico che insegnava a Pisa quand’ egli stu<strong>di</strong>ava, e che <strong>di</strong>scute estesamente la questione del<br />

moto dei proietti nella sua enorme opera De motu. Questi argomenti, ancorché usati nel Me<strong>di</strong>evo sia dai <strong>di</strong>fensori della<br />

meccanica dell’ impetus sia dai molti altri che ripu<strong>di</strong>avano la spiegazione del moto dei proe<strong>it</strong>ti me<strong>di</strong>ante l’ impetus, non<br />

stabiliscono né implicano comunque alcuna teoria pos<strong>it</strong>iva sul moto dei proietti; servono solo a <strong>di</strong>mostrare che la spiegazione <strong>di</strong><br />

Aristotele è incompatibile con i fatti proposti dall’ esperienza quoti<strong>di</strong>ana. <strong>Galileo</strong> si serve <strong>di</strong> questi argomenti per confutare<br />

Aristotele; la sua conclusione va poco oltre una ripresentazione del problema dei proietti. Siccome il proietto non è mosso dal<br />

mezzo, dev’ essere costretto a continuare il suo moto da qualche con<strong>di</strong>zione o potere intrinseco che esso ha acquistato in<br />

segu<strong>it</strong>o alla precedente azione eserc<strong>it</strong>ata su <strong>di</strong> esso da chi l’ ha lanciato. Per designare q uesta causa intrinseca del moto del<br />

proietto <strong>Galileo</strong> usa invece del termine impetus l’ espressione “forza impressa” (vis impressa). “Quale sia questa forza,”<br />

conclude cautamente, “ci rimane oscuro”” (200-1). Ernest A. Moory ricorda anche i “… tre assunti fondamentali che <strong>di</strong>stinguono<br />

la meccanica <strong>di</strong> <strong>Galileo</strong>: assunti che persistettero nella meccanica della matuir<strong>it</strong>à e che sono <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne filosofico. Essi sono: 1) il<br />

concetto <strong>di</strong> grav<strong>it</strong>à come proprietà fisica e universale dei corpi materiali; 2; la concezione dello spazio come <strong>di</strong> per sé vuoto,<br />

senza peso e immateriale, e ciononostante reale e dotato <strong>di</strong> proprietà matematiche, come una estensione vuota riemp<strong>it</strong>a o<br />

occupata da corpi materiali pesanti; 3) l’ assunzione <strong>di</strong> un centro del mondo o dello spazio, che determina la posizione assoluta<br />

dei corpi in esso contenuti e la <strong>di</strong>rezione del moto “naturale” che deriva dalla grav<strong>it</strong>à intrinseca dei corpi” (Ibidem, 189).<br />

8


del sostrato aristotelico scolastico, <strong>di</strong> matrice padovana, del metodo del Pisano – secondo cui<br />

<strong>Galileo</strong> <strong>Galilei</strong> avrebbe rivalutato e valorizzato la fisica trecentesca della “forza impressa” (o<br />

impetus o vis motiva che il motore trasmette al mosso, considerando che la fisica aristotelica<br />

non concepiva azioni a <strong>di</strong>stanza). Tuttora le valutazioni e la comprensione <strong>di</strong> <strong>Galileo</strong> <strong>Galilei</strong><br />

filosofo e “filosofo naturale” sono <strong>di</strong>scordanti 9 .<br />

E’ sostenibile tuttora una prospettiva realistica della scienza? I pos<strong>it</strong>ivisti ottocenteschi<br />

fondarono la scienza sulla certezza dei fatti e considerarono le teorie come ipotetiche e<br />

destinate a funzioni meramente calcolistiche. Ernst Mach e Pierre Duhem avrebbero r<strong>it</strong>enuto<br />

teorie e leggi scientifiche nient’ altro che schemi utili ad organizzare i fenomeni ed a<br />

prevedere quelli futuri. <strong>Il</strong> loro convenzionalismo sarebbe <strong>di</strong>venuto poi uno strumento <strong>di</strong><br />

cr<strong>it</strong>ica efficace nei confronti della scienza da parte <strong>di</strong> filosofi come Benedetto Croce e Henry<br />

Bergson.<br />

In ogni caso, è <strong>di</strong>fficile all’ epistemologia contemporanea farsi portatrice <strong>di</strong> un <strong>realismo</strong><br />

ingenuo, che postuli la corrispondenza fra teorie e realtà. Buona parte della filosofia della<br />

scienza novecentesca ha assunto un’ ottica strumentalista, che, rifiutando la veri<strong>di</strong>c<strong>it</strong>à e l’<br />

aderenza alla realtà delle teorie scientifiche, ne accetta soltanto la funzione <strong>di</strong> organizzazione<br />

dei dati in quadri coerenti e <strong>di</strong> previsione e anticipazione <strong>di</strong> nuovi dati. Le teorie scientifiche<br />

non sono altro, insomma, che strumenti <strong>di</strong> calcolo, efficaci ed utili, che non colgono però<br />

sostanziali aspetti reali. <strong>Il</strong> <strong>realismo</strong> ingenuo, laddove sopravvive, r<strong>it</strong>iene che la realtà esista<br />

in<strong>di</strong>pendentemente da ogni atto conosc<strong>it</strong>ivo e oggetto conoscente, e che sia accessibile così<br />

com’è. Le posizioni ontologigo-gnoseologiche che si sono contrapposte, nella storia della<br />

filosofia, ad una tale posizione, possono definirsi, genericamente, idealistiche, ma prevedono<br />

concezioni <strong>di</strong>verse. Idealismo, nominalismo, concettualismo, sono concezioni filosofiche che<br />

si sono <strong>di</strong>stinte dal <strong>realismo</strong> e che, sul piano gnoseologico, hanno rigettato variamente la<br />

capac<strong>it</strong>à del pensiero <strong>di</strong> conosce fedelmente la realtà. Come ha sottolineato Mariano Bianca 10 ,<br />

con quella dell’ induzione e del metodo induttivo, la questione del <strong>realismo</strong> cost<strong>it</strong>uisce uno<br />

dei no<strong>di</strong> fondamentali dell’ epistemologia post-neopos<strong>it</strong>ivista 11 .<br />

Sul <strong>realismo</strong> <strong>platonico</strong> <strong>di</strong> <strong>Galileo</strong>, Alexandre Koyré non ha alcun dubbio. “<strong>Il</strong> pensiero, o se si<br />

preferisce, l’ atteggiamento mentale <strong>di</strong> <strong>Galileo</strong> è sensibilmente <strong>di</strong>verso da quello <strong>di</strong> Descartes.<br />

Quello <strong>di</strong> <strong>Galileo</strong> non è puramente matematico: è fisico-matematico. <strong>Galileo</strong> non formula<br />

delle ipotesi sui mo<strong>di</strong> possibili del moto accelerato: ciò che egli cerca, è il modo reale, il<br />

modo <strong>di</strong> cui si serve la natura. <strong>Galileo</strong> non parte, come Descartes, da un meccanismo causale,<br />

per tradurlo in segu<strong>it</strong>o in un rapporto puramente geometrico, o anche, per sost<strong>it</strong>uirvi un tale<br />

rapporto. Egli muove dall’ idea – indubbiamente precost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>a, ma che fornisce la base alla sua<br />

filosofia della natura – che le leggi della natura sono delle leggi matematiche. <strong>Il</strong> reale incarna<br />

il matematico. In tal modo non è presente, in <strong>Galileo</strong>, uno scarto tra l’ esperienza e la teoria:<br />

la teoria, la formula, non si applica ai fenomeni dall’ esterno, non “salva” questi fenomeni, ma<br />

ne esprime l’ essenza. La natura non risponde che alle domande poste in linguaggio<br />

matematico, giacchè la natura è il regno della misura e dell’ or<strong>di</strong>ne. E se l’ esperienza guida<br />

così “come la mano” il ragionamento, ciò avviene perché, nell’ esperienza ben <strong>di</strong>retta, vale a<br />

<strong>di</strong>re a una domanda ben posta, la natura rivela la sua essenza profonda che solo l’ intelletto, d’<br />

altronde, è capace <strong>di</strong> comprendere.<br />

9 Si confrontino soltanto due <strong>di</strong>stinti punti <strong>di</strong> vista: quello <strong>di</strong> Alexandre Koyré, Stu<strong>di</strong> galileiani, Einau<strong>di</strong>, Torino 1976, e quello <strong>di</strong><br />

Ludovico Geymonat, <strong>Galileo</strong> <strong>Galilei</strong>, Einau<strong>di</strong>, Torino 1957. In buona sostanza, secondo Geymonat, in <strong>Galileo</strong> vi sono profonde<br />

tracce <strong>di</strong> aristotelismo, soprattutto laddove egli antepone l’ esperienza al <strong>di</strong>scorso, anche se l’ esperienza dev’ essere, secondo il<br />

Pisano, sapientemente interrogata, se vuol essere probativa. Geymonat non intende contrapporre al <strong>Galileo</strong> <strong>platonico</strong> <strong>di</strong> Koyré<br />

un <strong>Galileo</strong> puramente aristotelico, giacchè l’ osservazione del Pisano è quant<strong>it</strong>ativa e non meramente qual<strong>it</strong>ativa. <strong>Il</strong> più autentico<br />

spir<strong>it</strong>o dell’ indagine <strong>di</strong> Aristotele è comunque salvaguardato e inverato da <strong>Galileo</strong> <strong>Galilei</strong>.<br />

10 Cfr. Introduzione a Rom Harré, Le filosofie della scienza. Panorama introduttivo, Armando, Roma 1983, 7-32.<br />

11 Nel <strong>realismo</strong> Bianca coglie in sostanza due tesi. La prima è che “esiste una realtà esterna e in<strong>di</strong>pendente al soggetto<br />

conoscente (la scienza)”. La seconda è che “gli asserti scientifici conosc<strong>it</strong>ivi espressi dal soggetto conoscente, la scienza, si<br />

riferiscono <strong>di</strong>rettamente alla realtà ad esso esterna” (26).<br />

9


<strong>Galileo</strong> ci esorta a partire dall’ esperienza: ma questa “esperienza” non è la bruta esperienza<br />

dei sensi; questo dato al quale deve conformarsi, o con il quale deve concordare, la<br />

definizione che egli cerca, non sono altro che le due leggi descr<strong>it</strong>tive – le leggi dei sintomi –<br />

della caduta <strong>di</strong> cui è già in possesso. <strong>Galileo</strong> ci esorta anche a farci guidare dall’ idea della<br />

semplic<strong>it</strong>à. Non la semplic<strong>it</strong>à formale soltanto: si tratta <strong>di</strong> qualcosa <strong>di</strong> più; <strong>di</strong> qualcosa <strong>di</strong><br />

analogo, indubbiamente, ma purtuttavia <strong>di</strong>fferente: una semplic<strong>it</strong>à reale, se si può <strong>di</strong>re, una<br />

conform<strong>it</strong>à interna alla natura essenziale del fenomeno stu<strong>di</strong>ato. In questa intuizione, nell’<br />

attenzione ferma e costante al carattere reale del fenomeno, sta la ragione che permetterà a<br />

<strong>Galileo</strong> <strong>di</strong> ev<strong>it</strong>are l’ errore <strong>di</strong> Descartes; e il suo personale. <strong>Il</strong> movimento è, prima <strong>di</strong> tutto, un<br />

fenomeno temporale. Avviene nel tempo. E’ in funzione del tempo dunque che <strong>Galileo</strong><br />

cercherà <strong>di</strong> definire l’ essenza del moto accelerato e non più in funzione dello spazio percorso:<br />

lo spazio non è che una risultante, non è che un accidente, non è che un sintomo <strong>di</strong> una realtà<br />

essenzialmente temporale. Non si può, è vero, immaginare il tempo. E ogni rappresentazione<br />

grafica rasenterà sempre il pericolo <strong>di</strong> cadere nella geometrizzazione ad oltranza. Ma lo sforzo<br />

sostenuto dall’ intelletto, dal pensiero, concependo e comprendendo il carattere continuo del<br />

tempo, potrà senza pericolo simbolizzarlo con lo spazio. <strong>Il</strong> moto uniformemente accelerato<br />

sarà dunque quello che lo sarà in rapporto al tempo. La nozione <strong>di</strong> tempo svolge così per e nel<br />

pensiero <strong>di</strong> <strong>Galileo</strong> la funzione che quella della causal<strong>it</strong>à reale svolgeva per e in quelli <strong>di</strong><br />

Beeckman e Descartes. Ma, giustamente, il fatto che egli ha potuto – o saputo – fare a meno<br />

<strong>di</strong> ogni rappresentazione concreta del modo <strong>di</strong> produzione del moto, dell’ accelerazione<br />

(forza, attrazione, ecc.) gli ha permesso <strong>di</strong> mantenersi, per così <strong>di</strong>re, in equilibrio su questa<br />

frontiera, stretta come una lama, in cui, nel caso del moto, il reale coincide con il matematico.<br />

<strong>Galileo</strong> è riusc<strong>it</strong>o laddove Descartes è fall<strong>it</strong>o” 12 .<br />

Ci si può chiedere che cosa fosse, prima <strong>di</strong> <strong>Galileo</strong> <strong>Galilei</strong>, il movimento per gli Scolastici<br />

me<strong>di</strong>oevali e in particolare per San Tommaso d’ Aquino. “Tutte le prove tomiste < dell’<br />

esistenza <strong>di</strong> Dio > - ha scr<strong>it</strong>to Etienne Gilson – mettono in gioco due elementi <strong>di</strong>stinti: la<br />

constatazione <strong>di</strong> una realtà sensibile che richiede una spiegazione, l’ affermazione <strong>di</strong> una serie<br />

causale <strong>di</strong> cui questa realtà è la base e Dio il vertice. La via più evidente è quella che parte dal<br />

movimento. Nell’ universo c’è del movimento; questo è il fatto da spiegare, e la superior<strong>it</strong>à <strong>di</strong><br />

questa prova non <strong>di</strong>pende dal fatto che essa sia più rigorosa delle altre, ma dal fatto che il suo<br />

punto <strong>di</strong> partenza è il più facile da capire. Ogni movimento ha una causa e questa causa deve<br />

essere esterna all’ essere stesso che è in movimento; infatti non si potrebbe essere,<br />

contemporaneamente e sotto lo stesso rapporto, il principio motore e la cosa mossa. Ma il<br />

motore stesso deve essere mosso da un altro, e questo da un altro ancora” 13 .<br />

<strong>Il</strong> movimento galileiano non ha altra causa fuori <strong>di</strong> sé. Non dev’ essere altro che misurato. E<br />

così si coglie la sostanza delle leggi naturali e delle cose stesse. La mente umana possiede le<br />

categorie matematiche per comprendere le leggi naturali. Essa è aperta alla realtà naturale,<br />

nella sua struttura geometrico-matematica. E come non evocare, quin<strong>di</strong>, la <strong>di</strong>stinzione <strong>di</strong><br />

ver<strong>it</strong>à ontologica e ver<strong>it</strong>à logica in San Tommaso d’ Aquino? La ver<strong>it</strong>à ontologica, secondo<br />

San Tommaso, è che ogni ente è adeguato all’ intelletto <strong>di</strong>vino. Una tale ver<strong>it</strong>à è espressa dal<br />

principio secondo cui adaequatio rei ad intellectum. La ver<strong>it</strong>à logica (umana), invece, deve<br />

tendere ad essere adeguazione alla cosa del nostro intelletto, secondo il principio adaequatio<br />

intellectus nostri ad rem. Ogni ente è, comunque, espressione del pensiero e del progetto <strong>di</strong><br />

Dio 14 .<br />

Resta inevasa una domanda epistemologica cruciale. Per formularla con Mauro Donato 15 ,<br />

“Perché le leggi <strong>di</strong> natura sono matematiche?”. Chiosando E. Wigner, Donato t<strong>it</strong>ola il<br />

12<br />

Alexandre Koyré, Stu<strong>di</strong> galileiani, Einau<strong>di</strong>, Torino 1979, 156-8.<br />

13<br />

Etienne Gilson, La filosofia del Me<strong>di</strong>oevo. Dalle origini patristiche alla fine del XIV secolo, Presentazione <strong>di</strong> Mario Dal Pra, La<br />

Nuova Italia, Firenze 1973, 636.<br />

14<br />

La teologia <strong>di</strong> San Tommaso d’ Aquino è esposta nella: Somma teologica, a cura dei domenicani <strong>it</strong>aliani, con testo latino a<br />

fronte, 34 voll., Salani, Firenze 1949 ss.<br />

15<br />

Mauro Donato, <strong>Il</strong> software dell’ universo. Saggio sulle leggi <strong>di</strong> natura, Bruno Mondadori, Milano 2000, 68 e sgg..<br />

10


paragrafo iniziale del suo saggio con “L’ “irragionevole efficacia della matematica” nel<br />

descrivere il mondo fisico” e, “ … riprendendo le cr<strong>it</strong>iche che già Aristotele aveva mosso al<br />

dualismo <strong>platonico</strong> tra mondo delle idee e mondo fenomenico, la duplicazione delle proprietà<br />

del mondo fisico in un universo matematico “preesistente” alla comparsa della mente <<br />

umana > sulla terra non fa che duplicare i problemi da risolvere. <strong>Il</strong> problema <strong>di</strong> spiegare<br />

perché il mondo fisico riproduca le caratteristiche strutturali <strong>di</strong> un mondo astratto da esso<br />

sconnesso e in<strong>di</strong>pendente ci appare insolubile” 16 . Una concezione platonista della matematica,<br />

secondo la quale vi sarebbe un “mondo” astratto non si può escludere a priori, ma “ … il<br />

platonismo rende il problema dell’ applicabil<strong>it</strong>à della matematica <strong>di</strong> ancor più <strong>di</strong>fficile<br />

soluzione …” perciò, conclude, “Sembra … assai plausibile ipotizzare che la matematica si<br />

applichi all’ esperienza solo perché nasce e deriva da quest’ ultima e in particolare, come<br />

Kant aveva anticipato, dalla nostra intuizione dello spazio (geometria) e del tempo<br />

(ar<strong>it</strong>metica)” 17 .<br />

Cremona, 2004 Marco Paolo Allegri<br />

16 Ibidem, 119.<br />

17 Ibidem, 119-20.<br />

11


1. L’ unificazione <strong>di</strong> fisica terrestre e fisica celeste<br />

1.1. Realismo e strumentalismo. Aveva ragione, sostanzialmente, il gesu<strong>it</strong>a Car<strong>di</strong>nal<br />

Bellarmino, quando sosteneva, contro il realista copernicano <strong>Galileo</strong> <strong>Galilei</strong>, che le teorie<br />

scientifiche non cost<strong>it</strong>uiscono rappresentazioni vere e oggettive della realtà 18 . <strong>Il</strong> rifiuto del<br />

<strong>realismo</strong> ingenuo dei copernicani è con<strong>di</strong>visibile se si acconsente allo strumentalismo che<br />

contrad<strong>di</strong>stingue tutta l’ epistemologia del Novecento, pur non trovando mai esso un’<br />

adesione netta, esplic<strong>it</strong>a, “volgare”, nei filosofi della scienza del secolo appena concluso. Ma<br />

è, comunque, vero che tutti costoro, in fin dei conti, strumentalisti, in qualche misura, lo<br />

sono. Nessuno, infatti, aderirebbe più al <strong>realismo</strong> ingenuo e <strong>platonico</strong> <strong>di</strong> <strong>Galileo</strong> <strong>Galilei</strong>. Lo<br />

stesso neopos<strong>it</strong>ivismo o pos<strong>it</strong>ivismo logico del Circolo <strong>di</strong> Vienna (si pensi alla polemica tra<br />

Mor<strong>it</strong>z Schlick e Otto Neurath) mise in <strong>di</strong>scussione il principio <strong>di</strong> verificazione, la sua<br />

capac<strong>it</strong>à a comprovare la veri<strong>di</strong>c<strong>it</strong>à delle teorie scientifiche secondo la loro aderenza alla<br />

realtà empirica. Si pensi soltanto che le teorie scientifiche, secondo Karl Raimund Popper,<br />

non sono <strong>di</strong> per sé né vere né false, ma servono soltanto ad inquadrare con coerenza le<br />

osservazioni. E debbono essere riformulate ed ampliate quando siano poste a confronto con<br />

nuove osservazioni che non riescono ad inquadrare.<br />

Non altrettanta ragione aveva il Car<strong>di</strong>nal Bellarmino nei confronti “De l’ infin<strong>it</strong>o, universo e<br />

mon<strong>di</strong>”, in cui Giordano Bruno deduceva l’ infin<strong>it</strong>à dell’ universo dall’ infin<strong>it</strong>a potenza<br />

<strong>di</strong>vina. Del resto, un universo infin<strong>it</strong>o, in cui tutto è centro e periferia, avrebbe dato le<br />

vertigini a chiunque. <strong>Il</strong> basso assoluto e l’ alto assoluto erano certezze aristoteliche inveterate,<br />

cui nessuno avrebbe spontaneamente rinunciato 19 .<br />

A parte il monismo naturalistico <strong>di</strong> Giordano Bruno, quel che Copernico sosteneva non era<br />

meno angosciante. Egli toglieva l’ uomo dal centro del Cosmo: “tutte le sfere ruotano intorno<br />

al Sole come al loro punto centrale e pertanto il centro dell’ Universo è intorno al Sole”.<br />

Copernico non <strong>di</strong>fendeva una escog<strong>it</strong>azione, una semplice ipotesi geometrico-matematica che<br />

giustificasse in via teorica le strane vicende dei pianeti. Strane, se non altro, se messe a<br />

confronto con quello che si r<strong>it</strong>eneva essere, da sempre, il loro in<strong>di</strong>scutibile e imprescin<strong>di</strong>bile<br />

moto circolare e uniforme. Copernico voleva spostare la posizione dell’ osservatore, che sulla<br />

Terra è immobile, per confermare, più agevolmente, la circolar<strong>it</strong>à dei moti celesti 20 . Come<br />

18 Per approfon<strong>di</strong>re la conoscenza delle traversie <strong>di</strong> <strong>Galileo</strong> <strong>Galilei</strong> si possono consultare: S. Drake, Una biografia scientifica, <strong>Il</strong><br />

Mulino, Bologna 1988; G. Morpurgo Tagliabue, I processi a <strong>Galileo</strong> e l’ epistemologia, Armando, Roma 1981; P. Redon<strong>di</strong>, <strong>Galileo</strong><br />

eretico, Einau<strong>di</strong>, Torino 1983; G. De Santillana, <strong>Il</strong> processo a <strong>Galileo</strong>, Mondadori, Milano 1960.<br />

19 Thomas Kuhn, La rivoluzione copernicana, L’ astronomia planetaria nello sviluppo del pensiero occidentale, Einau<strong>di</strong>, Torino<br />

1972, ha enfatizzato le angosce religiose, dottrinali, fideistiche, che il copernicanesimo dovette susc<strong>it</strong>are nei contemporanei. Se<br />

non vi è <strong>di</strong>stinzione tra mondo celeste e mondo terrestre, se il primo è tanto imperfetto quanto il secondo, perché l’ uomo<br />

dovrebbe essere chiamato a soffrire nell’ “al <strong>di</strong> qua”, e perché dovrebbe esservi una drastica <strong>di</strong>visione tra il mondo del bene (il<br />

mondo celeste) e il mondo del male (il mondo terrestre)? Se i cieli partecipano dell’ imperfezione e del male che vi sono sulla<br />

Terra, possono essere una <strong>di</strong>mora degna <strong>di</strong> Dio? E, infine, in un universo infin<strong>it</strong>o, senza centro e senza confini, ove si trova il<br />

trono <strong>di</strong> Dio?<br />

20 Thomas Kuhn, La rivoluzione copernicana c<strong>it</strong>.. considera l’ innovazione copernicana alla luce della propria celeberrima<br />

<strong>di</strong>stinzione tra le epoche <strong>di</strong> “scienza normale”, in cui la ricerca scientifica è orientata da un para<strong>di</strong>gma unanimemente con<strong>di</strong>viso<br />

dall’ intera comun<strong>it</strong>à scientifica, e da “epoche rivoluzionarie”, in cui le incongruenze evidenziate dal para<strong>di</strong>gma vigente nella<br />

comprensione della realtà, inducono all’ adozione <strong>di</strong> un nuovo para<strong>di</strong>gma. Così accadde nel caso dell’ eliocentrismo copernicano<br />

che, seppur legato per vari aspetti a quello tolemaico, avviò un’ età <strong>di</strong> “scienza straor<strong>di</strong>naria” (<strong>Galileo</strong>, Keplero, Newton).<br />

“Copernico – scrive Kuhn – viene spesso defin<strong>it</strong>o come il primo astronomo moderno, in quanto fu il primo a sviluppare<br />

integralmente un sistema fondato sul moto della Terra. Ma, come <strong>di</strong>mostra il testo del De revolutionibus, altrettanto<br />

opportunamente lo si potrebbe definire come l’ ultimo grande astronomo tolemaico. L’ astronomia tolemaica era molto <strong>di</strong> più <strong>di</strong><br />

un’ astronomia basata unicamente sull’ immobil<strong>it</strong>à della Terra ed è soltanto in funzione della posizione e del moto della Terra<br />

che Copernico ruppe con la tra<strong>di</strong>zione tolemaica. La struttura cosmologica, in cui fu inser<strong>it</strong>a la sua astronomia, la sua fisica<br />

terrestre e celeste e perfino gli accorgimenti matematici che egli usò per far sì che il suo sistema potesse fornire previsioni<br />

adeguate alla realtà, appartengono tutti alla tra<strong>di</strong>zione che gli scienziati antichi e me<strong>di</strong>evali avevano costru<strong>it</strong>o. Sebbene gli<br />

storici si siano, <strong>di</strong> tanto in tanto, affannati a stabilire se Copernico sia in effetti l’ ultimo degli astronomi antichi oppure il primo<br />

dei moderni, la <strong>di</strong>scussione è assurda in linea <strong>di</strong> principio. Copernico non è un astronomo né antico né moderno, ma piuttosto<br />

un astronomo rinascimentale nella cui opera le due tra<strong>di</strong>zioni si fondono. Chiedersi se la sua opera sia in effetti antica o<br />

moderna è un po’ come chiedersi se, in una strada, la curva fra due rettilinei appartiene al tratto <strong>di</strong> strada che precede la curva<br />

oppure a quello che viene dopo. Dalla curva si possono vedere entrambi i tratti e la continu<strong>it</strong>à della strada è evidente. Tuttavia,<br />

vista da un punto che precede la curva, la strada sembra proseguire dr<strong>it</strong>ta fino alla curva e poi scomparire, e la curva sembra l’<br />

ultimo punto <strong>di</strong> una strada rettilinea. Vista, invece, da un punto del tratto successivo, dopo la curva, la strada sembra aver inizio<br />

12


mai, se i pianeti si muovono <strong>di</strong> moto circolare uniforme attorno alla Terra, alcuni <strong>di</strong> essi<br />

mutano luminos<strong>it</strong>à e <strong>di</strong>mensioni e sembrano talvolta sparire? Anzi, le retrogradazioni <strong>di</strong><br />

alcuni pianeti aggravano l’ incompatibil<strong>it</strong>à del loro strano movimento con la presunta<br />

circolar<strong>it</strong>à dei corpi celesti. Un pianeta, incastonato in una perfetta e pura sfera cristallina, non<br />

può che muoversi <strong>di</strong> moto circolare e uniforme, un moto perfetto, in cui ogni punto è inizio e<br />

fine allo stesso tempo. Insomma i corpi celesti si muovono <strong>di</strong> moto perpetuo, l’ unico degno<br />

<strong>di</strong> essi, visto che sono eterni, perfetti, immutabili e semplici. La loro luminos<strong>it</strong>à, la loro<br />

<strong>di</strong>mensione, la loro traiettoria, dovrebbero essere sempre le stesse …<br />

Dalla cosmologia dell’ Accademia <strong>di</strong> Platone in poi, il mondo antico aveva sempre sostenuto<br />

la perfetta circolar<strong>it</strong>à del moto dei pianeti. Senonchè Eudosso <strong>di</strong> Cnido aveva elaborato da<br />

puro matematico il sistema geostatico e geocentrico che Aristotele intese, invece, come reale.<br />

Cinquantacinque intelligenze motrici più una (il Primo Motore immobile) muovono i cieli, dal<br />

più esterno, il cielo delle stelle fisse, alla sfera della Luna. Gli astronomi postaristotelici,<br />

Tolomeo in particolare, colsero però le incongruenze <strong>di</strong> un tale sistema. Le rilevazioni delle<br />

irregolari posizioni dei pianeti ne evidenziavano l’ inconciliabil<strong>it</strong>à col moto circolare. La<br />

cosmologia ellenistica concepì, pertanto, alcune escog<strong>it</strong>azioni puramente matematicogeometriche,<br />

come gli eccentrici, gli epicicli e gli equanti. Si trattava <strong>di</strong> ipotesi che miravano<br />

a “salvare i fenomeni”, a giustificare gli irregolari moti dei pianeti, <strong>di</strong> fronte all’ irrinunciabile<br />

ma aprioristico loro moto circolare. L’ orb<strong>it</strong>a eccentrica <strong>di</strong> un pianeta non ha il suo centro in<br />

quello della Terra; e quin<strong>di</strong>, il suo moto non sarà uniforme in rapporto alle stelle (fisse), pur<br />

essendo uniforme il suo moto sull’ orb<strong>it</strong>a circolare. L’ eccentrico contribuiva a spiegare la<br />

varia luminos<strong>it</strong>à dei pianeti, come confermavano le osservazioni. Gli epicicli erano le orb<strong>it</strong>e<br />

circolari percorse dai pianeti. <strong>Il</strong> centro <strong>di</strong> tali orb<strong>it</strong>e coincideva con un punto <strong>di</strong> una seconda<br />

orb<strong>it</strong>a (deferente) avente per centro la Terra. <strong>Il</strong> centro dell’ epiciclo veniva, quin<strong>di</strong>, trascinato<br />

dal deferente. Gli epicicli intendevano spiegare le retrocessioni dei pianeti e i loro arresti<br />

improvvisi. L’ equante prevedeva che il centro dell’ epiciclo non si muovesse uniformemente<br />

rispetto al centro del deferente, e scuoteva la regola platonica dell’ uniform<strong>it</strong>à del moto<br />

celeste.<br />

1.2. <strong>Galileo</strong>: la riunificazione <strong>di</strong> fisica terrestre e fisica celeste. In realtà, la questione che<br />

tormentava <strong>Galileo</strong> <strong>Galilei</strong> non era l’ alternativa fra sistema eliocentrico e sistema geostatico.<br />

Bensì l’ unificazione <strong>di</strong> fisica terrestre e fisica celeste. Egli voleva estendere al mondo<br />

sublunare le regolar<strong>it</strong>à e le misurazioni matematiche, che Aristotele ne aveva<br />

inappellabilmente espunto. E le mere ipotesi-escog<strong>it</strong>azioni degli astronomi matematici si<br />

sarebbero trasformate in ipotesi da verificare nella realtà fisica. Un comp<strong>it</strong>o da attribuire ai<br />

filosofi naturali, che si occupano della realtà e non <strong>di</strong> sistemi tracciati sulla carta. Occorreva<br />

spezzare la commistione tra la cosmologia matematica <strong>di</strong> Tolomeo e la fisica qual<strong>it</strong>ativa del<br />

mondo sublunare <strong>di</strong> Aristotele. Abbattuto il para<strong>di</strong>gma tolemaico-aristotelico e i suoi<br />

caposal<strong>di</strong>, la fisica e la natura avrebbero potuto essere quantificate e matematizzate. <strong>Il</strong> sistema<br />

copernicano spezzava, non soltanto, l’ un<strong>it</strong>à solidale tra astronomia matematica e fisica<br />

qual<strong>it</strong>ativa, ma si apprestava a <strong>di</strong>ventare un quadro teorico irrinunciabile per la nuova fisica<br />

matematica.<br />

nella curva stessa, da cui poi prosegue rettilinea. La curva appartiene, in ugual misura, a entrambi i tratti, oppure non<br />

appartiene a nessuno dei due. Essa contrassegna una svolta della <strong>di</strong>rezione d’ avanzamento della strada, cos’ come il De<br />

revolutionibus rappresenta un cambiamento <strong>di</strong> <strong>di</strong>rezione nello sviluppo del pensiero astronomico … Per i seguaci <strong>di</strong> Copernico<br />

dei secoli XVI e XVII, l’ importanza fondamentale del De revolutionibus deriva dal suo solo concetto innovatore: la Terra<br />

planetaria, e dalle conseguenze astronomiche innovatrici, le nuove armonie che egli aveva tratto da quel concetto. Per essi il<br />

copernicanesimo significava il triplice moto della Terra e solo questo, inizialmente. Le concezioni tra<strong>di</strong>zionali <strong>di</strong> cui Copernico<br />

aveva rivest<strong>it</strong>o la sua innovazione non erano, per i suoi seguaci, elementi essenziali della sua opera, semplicemente perché,<br />

come elementi tra<strong>di</strong>zionali, non cost<strong>it</strong>uivano un contributo originale <strong>di</strong> Copernico alla scienza. E non fu per questi elementi<br />

tra<strong>di</strong>zionali che gli uomini si trovarono in contrasto sul De Revolutionibus. Ecco, dunque, perché il De revolutionibus potè essere<br />

il punto <strong>di</strong> partenza <strong>di</strong> una nuova tra<strong>di</strong>zione astronomica e cosmologica e, nello stesso tempo, il culmine <strong>di</strong> una tra<strong>di</strong>zione<br />

antica”.<br />

13


<strong>Il</strong> teologo protestante Osiander aveva già scr<strong>it</strong>to, all’ insaputa <strong>di</strong> Copernico, nella introduzione<br />

al “De revolutionibus”, che il sistema eliostatico andava considerato soltanto come una<br />

escog<strong>it</strong>azione matematica: era più semplice <strong>di</strong> quello tolemaico, e si sbarazzava <strong>di</strong> epicicli ed<br />

equanti. E grazie al movimento terrestre dava conto meglio <strong>di</strong> quello tolemaico delle strane<br />

evoluzioni dei pianeti. La stessa tesi oppose il Car<strong>di</strong>nale gesu<strong>it</strong>a Bellarmino a <strong>Galileo</strong>: il<br />

sistema eliostatico poteva essere accettato ed apprezzato come una pura escog<strong>it</strong>azione – più<br />

efficace e più semplice <strong>di</strong> quello tolemaico - atta a giustificare e salvare i fenomeni, le<br />

osservazioni.<br />

Di fronte all’ ammonimento e poi all’ imposizione dell’ abiura del sistema copernicano, si<br />

comprende come il <strong>realismo</strong> <strong>di</strong> <strong>Galileo</strong> <strong>Galilei</strong> sembri vacillare. Almeno, se si leggono le<br />

prime righe del “Dialogo sopra i due massimi sistemi tolemaico e copernicano. Nella<br />

prefazione apposta all’ inizio del “Dialogo”, e rivolta “Al <strong>di</strong>screto lettore”, <strong>Galileo</strong> ricorda che<br />

“Si promulgò a gli anni passati in Roma un salutifero e<strong>di</strong>tto, che, per ovviare a’ pericolosi<br />

scandoli dell’ età presente, imponeva opportuno silenzio all’ opinione P<strong>it</strong>agorica della<br />

mobil<strong>it</strong>à della Terra”. “…ho presa nel <strong>di</strong>scorso – aggiunge – la parte Copernicana,<br />

procedendo in pura ipotesi matematica, cercando per ogni strada artificiosa <strong>di</strong> rappresentarla<br />

superiore, non a quella della fermezza della Terra assolutamente, ma secondo che si <strong>di</strong>fende<br />

da alcuni che, <strong>di</strong> professione Peripatetici, ne r<strong>it</strong>engono solo il nome, contenti, senza<br />

passeggio, <strong>di</strong> adorar l’ ombre, non filosofando con l’ avvertenza propria, ma con solo la<br />

memoria <strong>di</strong> quattro principii mal intesi”. E precisa che, nel “Dialogo”, “… si esamineranno li<br />

fenomeni celesti, rinforzando l’ ipotesi copernicana come se assolutamente dovesse rimaner<br />

v<strong>it</strong>toriosa, aggiungendo nuove speculazioni, le quali però servano per facil<strong>it</strong>à d’ astronomia,<br />

non per necess<strong>it</strong>à <strong>di</strong> natura”. E conclude con l’ auspicio che si riconosca, alla fine del<br />

“Dialogo”, che “… se altre nazioni hanno navigato più, noi non abbiamo speculato meno, e<br />

che il rimettersi ad asserir la fermezza della terra, e prender il contrario solamente per<br />

capriccio matematico, non nasce da non aver contezza <strong>di</strong> quant’ altri ci abbia pensato, ma,<br />

quando altro non fusse, da quelle ragioni che la pietà, la religione, il conoscimento della<br />

<strong>di</strong>vina onnipotenza, e la coscienza della debolezza dell’ ingegno umano, ci somministrano” 21 .<br />

Un <strong>Galileo</strong> <strong>Galilei</strong> pent<strong>it</strong>o, transfuga del copernicanesimo, convinto che l’ eliocentrismo sia<br />

una pura escog<strong>it</strong>azione per astronomi matematici? Sembrerebbe che <strong>Galileo</strong> <strong>Galilei</strong> aderisca<br />

alla tesi strumentalista del Car<strong>di</strong>nal Bellarmino. Sostiene che il “Dialogo” è stato scr<strong>it</strong>to per<br />

far capire ai protestanti ed alle altre nazioni che la condanna pronunciata dalla Chiesa nel<br />

1616 non scaturisce dall’ incompetenza scientifica o da debole speculazione. Parole<br />

inconsuetamente prudenti e caute in un battagliero e mai domo <strong>Galileo</strong>, che sino a non molto<br />

tempo prima era certo che le sue tesi sarebbero state accolte. La cautela non gli risparmiò l’<br />

abiura, e comunque il “Dialogo” è irrevocabilmente copernicano.<br />

1.3. <strong>Il</strong> senso comune e la miope pervicacia degli aristotelisti moderni. Nella Seconda Giornata<br />

del “Dialogo”, Sagredo (Giovanfrancesco, “nobil veneziano, che poi in un de’ personaggi del<br />

Dialogo <strong>di</strong>pigner mi piacque”, gentiluomo dotto, spir<strong>it</strong>o libero, aperto alle nuove prospettive<br />

scientifiche) chiede all’ aristotelista Simplicio “qual delle due opinioni sia più probabile e<br />

ragionevole: quella che tiene, la sustanza de i corpi celesti esser ingenerabile, incorruttibile,<br />

inalterabile, impassibile, ed in somma esente da ogni mutazione, fuor che dalla locale, e però<br />

essere una quinta essenza <strong>di</strong>versissima da questa de i nostri corpi elementari, generali,<br />

corruttibili, alterabili, etc.; o pur l’ altra che, levando tal <strong>di</strong>fform<strong>it</strong>à <strong>di</strong> parti dal mondo, reputa<br />

la Terra goder delle medesime perfezioni che gli altri corpi integranti dell’ universo, ed esser<br />

in somma un globo mobile e vagante non men che la Luna, Giove, Venere o altro pianeta”.<br />

21 <strong>Galileo</strong> <strong>Galilei</strong>, Dialogo sopra i due massimi sistemi tolemaico e copernicano, in Opere, Barbera, Firenze 1890-1909/1929-<br />

1939, VII. Nell’ e<strong>di</strong>zione elettronica Manuzio, l’ avvertenza Al <strong>di</strong>screto lettore è alle pagine 3-4.<br />

14


E poiché Simplicio si rinserra, come <strong>di</strong> consueto, <strong>di</strong>etro “l’ autor<strong>it</strong>à <strong>di</strong> tanti gran<strong>di</strong> scr<strong>it</strong>tori” 22 ,<br />

Sagredo gli propone un ricordo personale: gli aristotelisti negano l’ evidenza e si appellano<br />

all’ “ipse <strong>di</strong>x<strong>it</strong>”. “Mi trovai un giorno in casa un me<strong>di</strong>co molto stimato in Venezia, dove<br />

alcuni per loro stu<strong>di</strong>o, ed altri per curios<strong>it</strong>à, convenivano tal volta a veder qualche taglio <strong>di</strong><br />

notoria per mano <strong>di</strong> uno veramente non men dotto che <strong>di</strong>ligente e pratico notomista. Ed<br />

accadde quel giorno, che si andava ricercando l’ origine e nascimento de i nervi, sopra <strong>di</strong> che<br />

è famosa controversia tra i me<strong>di</strong>ci galenisti ed i peripatetici; e mostrando il notomista come,<br />

partendosi dal cervello e passando per la nuca, il gran<strong>di</strong>ssimo ceppo de i nervi si andava poi<br />

<strong>di</strong>stendendo per la spinale e <strong>di</strong>ramandosi per tutto il corpo, e che solo un filo sottilissimo<br />

come il refe arrivava al cuore, voltosi ad un gentil uomo ch’ egli conosceva per filosofo<br />

peripatetico, e per la presenza del quale egli aveva con straor<strong>di</strong>naria <strong>di</strong>ligenza scoperto e<br />

mostrato il tutto, gli domandò s’ ei restava ben pago e sicuro, l’ origine dei i nervi venir dal<br />

cervello e non dal cuore; al quale il filosofo, doppo essere stato alquanto sopra <strong>di</strong> sé, rispose:<br />

“Voi mi avete fatto veder questa cosa talmente aperta e sensata, che quando il testo d’<br />

Aristotile non fusse in contrario, che apertamente <strong>di</strong>ce, i nervi nascer dal cuore, bisognerebbe<br />

per forza confessarla per vera”” 23 . Ed una tale pervicacia d’ aristotelista conferma proprio lo<br />

stesso Simplicio, sub<strong>it</strong>o dopo, replicando che “…questa <strong>di</strong>sputa dell’ origine de i nervi non è<br />

miga così smalt<strong>it</strong>a e decisa come forse alcuno si persuade. Tanto che Sagredo gli deve<br />

riba<strong>di</strong>re “la stravaganza della risposta del Peripatetico, il quale contro a così sensata<br />

esperienza non produsse altre esperienze o ragioni d’ Aristotile, ma la sola autor<strong>it</strong>à ed il puro<br />

“ipse <strong>di</strong>x<strong>it</strong>””.<br />

E a sostegno delle “sensate esperienze” lo scienziato copernicano Salviati s’ oppone alla<br />

incrollabile certezza <strong>di</strong> Simplicio che Aristotele non debba esser soltanto inteso ma<br />

approfon<strong>di</strong>tamente conosciuto, perché è necessario “aver tanta pratica ne’ suoi libri, che se ne<br />

sia formata un’ idea perfettissima, in modo che ogni suo detto vi sia sempre innanzi alla<br />

mente; perché e’ non ha scr<strong>it</strong>to per il volgo, né si è obligato a infilzare i suoi sillogismi col<br />

metodo triviale or<strong>di</strong>nato, anzi … ha messo talvolta la prova <strong>di</strong> una proposizione fra testi che<br />

par che trattino <strong>di</strong> ogni altra cosa”. Salviati c<strong>it</strong>a alcuni “gentil uomini che furon presenti<br />

quanto un dottor leggente in uno Stu<strong>di</strong>o famoso, nel sentir circoscrivere il telescopio, da sé<br />

non ancor veduto, <strong>di</strong>sse che l’ invenzione era presa da Aristotile; e fattosi portare un testo,<br />

trovò certo luogo dove si rende la ragione onde avvenga che dal fondo d’ un pozzo molto<br />

cupo si possano <strong>di</strong> giorno veder le stelle in cielo; e <strong>di</strong>sse a i circostanti: “Eccovi il pozzo, che<br />

denota il cannone; eccovi i vapori grossi, da i quali è tolta l’ invenzione de i cristalli; ed<br />

eccovi finalmente fortificata la vista nel passare i raggi per il <strong>di</strong>afano più denso e oscuro”.<br />

Vi è qui la denuncia del rifiuto dell’ unica autor<strong>it</strong>à ammissibile: quella della ragione applicata<br />

all’ esperienza. Gli aristotelisti trovan tutte le spiegazioni nei testi del Maestro. E negano l’<br />

evidenza. Eppure, proprio i loro argomenti contro il moto della Terra sono sostenuti dall’<br />

imme<strong>di</strong>ato senso comune. In effetti, essi rifiutano <strong>di</strong> metter in <strong>di</strong>scussione l’ apparente<br />

evidenza sensibile e <strong>di</strong> riformularne l’ interpretazione. Certo, <strong>di</strong>rebbe Andrea Frova, evocando<br />

gli “Stu<strong>di</strong> galileiani” <strong>di</strong> Alexandre Koyré, non era facile abbandonare la convinzione che “la<br />

veloc<strong>it</strong>à <strong>di</strong> un corpo fosse in qualche modo da collegare a una forza applicata” 24 . Se si vuole<br />

che una carrozza viaggi con veloc<strong>it</strong>à costante, la forza complessiva che su <strong>di</strong> essa agisce deve<br />

essere nulla. Altrimenti (per la legge <strong>di</strong> Isaac Newton: forza = massa per accelerazione) essa<br />

continuerebbe ad accelerare. Lo spazio euclideo non è intuibile imme<strong>di</strong>atamente dalla<br />

percezione sensibile.<br />

22<br />

Ibidem, E<strong>di</strong>zione elettronica Manuzio, 58.<br />

23<br />

Ibidem, 59.<br />

24<br />

Andrea Frova – Mariapiera Marenzana, Parola <strong>di</strong> <strong>Galileo</strong>, Rizzoli, Milano 1998, 81 e sgg.. Si veda, in particolare, la “Nota<br />

fisico-matematica” al Cap<strong>it</strong>olo 3.<br />

15


2. La dest<strong>it</strong>uzione del para<strong>di</strong>gma tolemaico-aristotelico<br />

2.1. La matematizzazione della fisica e della natura. <strong>Galileo</strong> <strong>Galilei</strong> si oppose all’ astronomia<br />

antica che, calcolando i moti celesti, ne salvaguardava la perfetta circolar<strong>it</strong>à e giustificava le<br />

osservazioni che la sconfessavano (gli strani comportamenti dei pianeti, come, ad esempio, le<br />

variazioni della loro luminos<strong>it</strong>à o della loro grandezza) con escog<strong>it</strong>azioni geometricomatematiche<br />

(equanti, eccentrici, epicicli) che non pretendevano <strong>di</strong> esser fisicamente reali. La<br />

fisica aristotelica, saldamente un<strong>it</strong>a all’ astronomia tolemaica, si occupava delle sostanze<br />

sensibili e del mondo sublunare, ove tutto si genera e si corrompe, e nulla è immutabile ed<br />

eterno. Lo strumentalismo che il Car<strong>di</strong>nal Bellarmino voleva imporre a <strong>Galileo</strong>, offriva un<br />

consistente vantaggio: ev<strong>it</strong>ava l’ aperto e scomodo confl<strong>it</strong>to tra copernicanesimo e<br />

tolemaismo, ma avrebbe potuto anche salvaguardare la concezione eliostatica da argomenti<br />

fisici aristotelici <strong>di</strong> un certo peso.<br />

<strong>Galileo</strong> non rinunciò al copernicanesimo, nonostante i problemi che esso comportava. Del<br />

resto, coloro che, dopo <strong>di</strong> lui, affrontarono tali problemi, <strong>di</strong>edero un grande impulso all’ ottica<br />

e alla fisica, consolidandone l’ apparato teorico-sperimentale. E le due scienze sarebbero<br />

comunque state acquis<strong>it</strong>e, anche se il copernicanesimo non fosse stato confermato, qualora<br />

non avesse saputo far fronte alle obiezioni mossegli. Per la ver<strong>it</strong>à, fu solo con la fisica <strong>di</strong> Isaac<br />

Newton che il copernicanesimo trovò la sua defin<strong>it</strong>iva conferma. La fisica <strong>di</strong> Newton – lui<br />

stesso lo riconobbe – si giovava del lasc<strong>it</strong>o della meccanica <strong>di</strong> <strong>Galileo</strong> e dava sistemazione<br />

pressoché defin<strong>it</strong>iva a concetti come quelli <strong>di</strong> forza, accelerazione, inerzia, collocandoli in un<br />

quadro teorico coerente ed un<strong>it</strong>ario 25 . La matematizzazione della fisica e della natura avviata<br />

da <strong>Galileo</strong> confluiva nella “via matematica” <strong>di</strong> Newton, e sarebbe prosegu<strong>it</strong>a con un<br />

incessante lavoro <strong>di</strong> verifica sperimentale, <strong>di</strong> riformulazione sempre più adeguata <strong>di</strong><br />

congetture e ipotesi. La nuova fisica impostata da <strong>Galileo</strong> e defin<strong>it</strong>a da Newton, avrebbe<br />

richiesto un protratto e impegnativo lavoro collettivo, fatto <strong>di</strong> tanti apporti in<strong>di</strong>viduali e<br />

contributi non sempre adeguatamente riconosciuti e celebrati. Al <strong>di</strong> là delle figure notevoli,<br />

non si sottolineerà mai a sufficienza la <strong>di</strong>mensione collettiva e sociale della prima rivoluzione<br />

e scientifica e della scienza che ne scaturì, come aveva lucidamente previsto Francesco<br />

Bacone.<br />

2.2. I “puri astronomi” e gli “astronomi filosofi”. Nella Terza Giornata del “Dialogo” <strong>di</strong><br />

<strong>Galileo</strong> <strong>Galilei</strong>, al copernicano Salviati, che ne sollec<strong>it</strong>a un po’ d’ elastic<strong>it</strong>à mentale,<br />

(inv<strong>it</strong>andolo ad immaginare che, se fosse su Giove ne vedrebbe luminosi i tre satell<strong>it</strong>i quanto<br />

la Luna dalla Terra), l’ aristotelista Simplicio si mostra scettico. “Questi accidenti son tanto<br />

gran<strong>di</strong> e cospicui, che non è possibile che Tolomeo e gli altri suoi seguaci non ne abbiano<br />

avuto cognizione”. E Salviati, il copernicano saldo nelle proprie, ragionate certezze, ma<br />

pronto al confronto, con la forza dell’ argomentazione, replica: “… sappiate che il principale<br />

scopo de i puri astronomi è il render solamente ragione delle apparenze ne i corpi celesti, ed a<br />

esse ed ai movimenti delle stelle adattar tali strutture e composizioni <strong>di</strong> cerchi, che i moti<br />

secondo quelle calcolati rispondano alle medesime apparenze, poco curandosi <strong>di</strong> ammetter<br />

qualche esorb<strong>it</strong>anza che in fatto, per altri rispetti, avesse del <strong>di</strong>fficile: e l’ istesso Copernico<br />

scrive, aver egli ne’ primi suoi stu<strong>di</strong> restaurata la scienza astronomica sopra le medesime<br />

supposizioni <strong>di</strong> Tolomeo, e in maniera ricorretti i movimenti de i pianeti, che molto<br />

aggiustamente rispondevano i computi all’ apparenze e l’ apparenze a i calcoli, tuttavia però<br />

che si prendeva separatamente pianeta per pianeta; ma soggiugne che nel voler poi comporre<br />

insieme tutta la struttura delle fabbriche particolari, ne risultava un mostro ed una chimera<br />

composta <strong>di</strong> membra tra <strong>di</strong> loro proporzionatissime e del tutto incompatibili, sì che,<br />

quantunque si sod<strong>di</strong>sfacesse alla parte dell’ astronomo puro calcolatore, non però ci era la<br />

sod<strong>di</strong>sfazione e quiete dell’ astronomo filosofo. E perché egli molto ben intendeva, che se con<br />

25 Cfr. Alexandre Koyré, Stu<strong>di</strong> newtoniani, Einau<strong>di</strong>, Torino 1972.<br />

16


assunti falsi in natura si potevan salvare le apparenze celesti, molto meglio ciò si sarebbe<br />

potuto ottenere dalle vere supposizioni, si messe a ricercar <strong>di</strong>ligentemente se alcuno tra gli<br />

antichi uomini segnalati avesse attribu<strong>it</strong>a al mondo altra struttura che la comunemente<br />

ricevuta <strong>di</strong> Tolomeo; e trovando che alcuni P<strong>it</strong>agorici avevano in particolare attribu<strong>it</strong>o alla<br />

Terra la conversion <strong>di</strong>urna, ed altri il movimento annuo ancora, cominciò a ricontrai con<br />

queste due nuove supposizioni le apparenze e le particolar<strong>it</strong>à de i moti de i pianeti, le quali<br />

tutte cose egli aveva prontamente alle mani, e vedendo il tutto con mirabil facil<strong>it</strong>à<br />

corrisponder con le sue parti, abbracciò questa nuova cost<strong>it</strong>uzione ed in essa si quietò” 26 .<br />

Qui si afferma la tesi che il filosofo-matematico, o filosofo astronomo che <strong>di</strong>r si voglia, al<br />

contrario dei “puri astronomi”, non elabora soltanto escog<strong>it</strong>azioni per “salvare le apparenze”,<br />

ma si occupa della “vera cost<strong>it</strong>uzione dell’ universo” che “è, ed è in un modo solo, vero e<br />

reale, impossibile ad essere altramente”.<br />

2.3. Matematismo e meccanicismo. <strong>Il</strong> realista <strong>Galileo</strong> <strong>Galilei</strong> sosteneva a spada tratta i due<br />

postulati metafisici in<strong>di</strong>spensabili a leg<strong>it</strong>timare la matematizzazione-geometrizzazione della<br />

natura (terrestre o sovralunare che fosse): 1. il linguaggio geometrico in cui è scr<strong>it</strong>to il<br />

“gran<strong>di</strong>ssimo libro” della natura; 2. la <strong>di</strong>stinzione tra qual<strong>it</strong>à oggettive e soggettive dei corpi,<br />

che era stata sostenuta dagli atomisti antichi, Leucippo e Democr<strong>it</strong>o, ed era tornata in auge<br />

con i maggiori filosofi-scienziati moderni. L’ incrollabile e fiero suo ottimismo lo conduceva<br />

a scontrarsi senza timori con i “nimici del sapere”. La sua adesione incon<strong>di</strong>zionata al sistema<br />

<strong>di</strong> Copernico non esprimeva soltanto un temperamento determinato, ben <strong>di</strong>verso da quello del<br />

prudente Cartesio – che, appresane la condanna, corse in tipografia a r<strong>it</strong>irare il “Mondo” – ma<br />

mostrava la forte consapevolezza della posta in gioco.<br />

Se fosse prevalsa la concezione delle ipotesi matematiche come pure escog<strong>it</strong>azioni, la fisica<br />

non si sarebbe affrancata dalla metafisica (aristotelico-scolastica) e la scienza non avrebbe<br />

potuto darsi con unica autor<strong>it</strong>à la ragione. Avrebbe dovuto soggiacere ancora alla tra<strong>di</strong>zione e<br />

all’ interpretazione (letterale) delle Scr<strong>it</strong>ture. La netta presa <strong>di</strong> posizione galileiana era<br />

necessaria ad unificare in una sola fisica il mondo celeste e quello sublunare, rimuovendo la<br />

“filosofia seconda <strong>di</strong> Aristotele”, una fisica che rifiutava la matematica ed usava categorie<br />

sovrasensibili. Era la con<strong>di</strong>zione per superare la <strong>di</strong>stinzione tra la sostanza celeste,<br />

“impassibile e immortale”, e le sostanze sensibili terrestri, “alterabili e caduche”, soggette a<br />

generazione e corruzione. Non v’ è <strong>di</strong>vers<strong>it</strong>à tra cielo e terra: da una tale certezza si doveva<br />

ripartire.<br />

Ma perché propendere per il sistema copernicano, piuttosto che per quello tolemaico? Le<br />

versioni illustrate semplificate del sistema copernicano, che appaiono nelle storie della<br />

scienza, ad esempio nei saggi <strong>di</strong> Paolo Rossi o <strong>di</strong> Thomas Kuhn, possono risultare<br />

ingannevoli. Si tratta <strong>di</strong> un sistema soltanto relativamente più semplice, sotto il profilo<br />

strettamente matematico, rispetto a quello antagonista. Nel “Dialogo”, l’ aristotelista<br />

Simplicio chiede: ”quali esorb<strong>it</strong>anze sono nella cost<strong>it</strong>uzione tolemaica, che maggiori non ne<br />

sieno in questa copernicana?”. E Salviati risponde: “Sono in Tolomeo le inferm<strong>it</strong>à e nel<br />

Copernico i me<strong>di</strong>camenti loro. E prima, non chiameranno tutte le sette de i filosofi grande<br />

sconvenevolezza che un corpo naturalmente mobile in giro si muova irregolarmente sopra il<br />

proprio centro, e regolarmente sopra un altro punto? E pur <strong>di</strong> tali movimenti <strong>di</strong>fformi sono<br />

nella fabbrica <strong>di</strong> Tolomeo; ma nel Copernico tutti sono equabili intorno al proprio centro. In<br />

Tolomeo bisogna assegnare a i corpi celesti movimenti contrarii, e far che tutti si muovano da<br />

levante a ponente ed insieme insieme da ponente verso levante, che nel Copernico son tutte le<br />

revoluzion celesti per un sol verso, da occidente in oriente. Ma che <strong>di</strong>remo noi dell’ apparente<br />

movimento de i pianeti, tanto <strong>di</strong>fforme che non solamente ora vanno veloci ed ora più tar<strong>di</strong>,<br />

ma talvolta del tutto si fermano, ed anco dopo per molto spazio r<strong>it</strong>ornano in <strong>di</strong>etro? Per la<br />

26 Dialogo c<strong>it</strong>., E<strong>di</strong>zione elettronica Manuzio, 200 e sgg..<br />

17


quale apparenza salvare introdusse Tolomeo gran<strong>di</strong>ssimi epicicli, adattandone un per un uno a<br />

ciaschedun pianeta, con alcune regole <strong>di</strong> moti incongruenti” 27 .<br />

2.4. La <strong>di</strong>struzione del para<strong>di</strong>gma tolemaico-aristotelico. Copernico intendeva opporre a<br />

quello tolemaico, un sistema del mondo più semplice e armonioso. Mettere in movimento la<br />

Terra gli consentiva <strong>di</strong> salvaguardare con più efficacia la circolar<strong>it</strong>à e l’ uniform<strong>it</strong>à dei moti<br />

circolari dei pianeti. E <strong>di</strong> eliminare escog<strong>it</strong>azioni come gli equanti tolemaici, un insulto alla<br />

semplic<strong>it</strong>à. Le irregolar<strong>it</strong>à nel moto dei pianeti si spiegano meglio se l’ osservatore è in<br />

movimento piuttosto che immobile al centro dell’ universo. In effetti, come ha scr<strong>it</strong>to Paolo<br />

Rossi, “La semplic<strong>it</strong>à del sistema (copernicano) era tuttavia più apparente che reale: per<br />

giustificare i dati delle osservazioni, Copernico era costretto, in primo luogo, a non far<br />

coincidere il centro dell’ universo con il sole, ma con il punto centrale dell’ orb<strong>it</strong>a terrestre<br />

(onde il suo sistema è da definire eliostatico, meglio che eliocentrico); in secondo luogo,<br />

reintrodurre… come Tolomeo, una serie <strong>di</strong> cerchi ruotanti attorno ad altri cerchi; ad attribuire<br />

infine alla terra (accanto al moto <strong>di</strong> rotazione attorno al suo asse e <strong>di</strong> rivoluzione attorno al<br />

sole) un terzo movimento <strong>di</strong> declinazione (“declinationis motus”) per giustificare la<br />

invariabil<strong>it</strong>à dell’ asse terrestre rispetto alla sfera delle stelle fisse” 28 . A parte che, soprattutto<br />

nel primo Libro del “De Revolutionibus” <strong>di</strong> Copernico, ricorre un forte p<strong>it</strong>agorismoplatonismo-ermetismo<br />

29 che lo induce a credere nella superiore <strong>di</strong>gn<strong>it</strong>à e <strong>di</strong>vin<strong>it</strong>à del Sole, ha<br />

ragione Alexandre Koyré quando nota che l’ astronomia non uscì perfezionata nei suoi meto<strong>di</strong><br />

dal copernicanesimo; e che esso si servì delle stesse effemeri<strong>di</strong> (i dati sulle posizioni dei<br />

27 Ibidem, 201.<br />

28 Paolo Rossi (a cura <strong>di</strong>), La rivoluzione scientifica: da Copernico a Newton, Loescher, Torino 1973, 124-5.<br />

29 Niccolò Copernico, De revolutionibus orbium coelestium libri VI, Einau<strong>di</strong>, Torino 1975, aveva de<strong>di</strong>cato l’ opera a papa Paolo<br />

III (Alessandro Farnese) in un’ epistola e ne fece poi l’ Introduzione alla sua opera, pubblicata molto tar<strong>di</strong>vamente. Nella lettera<br />

al papa, Copernico cr<strong>it</strong>icava il geocentrismo. Ne emergeva il presupposto metafisico, connesso al platonismo rinascimentale. Le<br />

teorie astronomiche non sono ipotetiche e astratte. Vi sono nel cosmo un or<strong>di</strong>ne matematico intrinseco, una proporzione ed<br />

una simmetria reali e fisiche. Scrive nell’ Introduzione, Copernico, che “Non voglio nascondere alla Sant<strong>it</strong>à Vostra che nient’<br />

altro mi ha spinto a pensare ad un nuovo modo <strong>di</strong> considerare i moti delle sfere del mondo, se non il fatto che giunsi a<br />

comprendere che i matematici stessi non si trovano d’ accordo nelle loro indagini. Prima <strong>di</strong> tutto infatti sono a tal punto insicuri<br />

circa il moto del Sole e della Luna, che non sono in grado <strong>di</strong> <strong>di</strong>mostrare in modo efficace la durata costante dell’ anno<br />

stagionale. In secondo luogo, allorché stabiliscono i movimenti sia del Sole e della Luna sia degli altri cinque pianeti, non fanno<br />

ricorso ai medesimi principi e assunzioni, né alle stesse <strong>di</strong>mostrazioni adottati per le risoluzioni e i moti apparenti: in tal modo gli<br />

uni ricorrono soltanto alle sfere omocentriche, gli altri agli eccentrici e agli epicicli, senza però riuscirre ad ottenre ciò che è<br />

richiesto. Coloro infatti che fanno affidamento sulle sfere omocentriche, per quanto abbiano <strong>di</strong>mostrato che con essi possono<br />

esser costru<strong>it</strong>i <strong>di</strong>versi movimenti, non<strong>di</strong>meno non hanno potuto stabilire niente <strong>di</strong> sicuro che corrispondesse senz’ altro ai<br />

fenomeni. Coloro che poi sono ricorsi agli eccentrici, per quanto sembri che mezzo <strong>di</strong> essi abbiano risolto in gran parte i moti<br />

apparenti me<strong>di</strong>ante calcoli corrispondenti alle previsioni, tuttavia hanno ammesso cose che per lo più sembrano essere contrarie<br />

ai primi principi circa l’ uniform<strong>it</strong>à del movimento. E la cosa più importante, cioè la forma del mondo e la esatta simmetria delle<br />

sue parti, non poterono trovarla o ricostruirla me<strong>di</strong>ante il ricorso agli eccentrici. Accadde quin<strong>di</strong> ad essi ciò che accadrebbe ad<br />

una figura umana che si compomesse <strong>di</strong> mani, capo, pie<strong>di</strong> e altre membra ottime ma tutte <strong>di</strong> lunghezza <strong>di</strong>fferente, nient’ affatto<br />

armoniche tra sé, prese senza tener conto del <strong>di</strong>segno un<strong>it</strong>ario <strong>di</strong> un solo corpo, in modo che si otterrebbe un mostro anziché<br />

un uomo … Ora, mentre me<strong>di</strong>tavo a lungo tra me circa l’ incertezza delle tra<strong>di</strong>zioni matematiche nella determinazione dei moti<br />

delle sfere dell’ orbe, cominciai ad essere turbato dal fatto che a filosofi che svolgevano le proprie indagini in modo tanto<br />

accurato, con rispetto dei più minuti fenomeni dell’ universo, non fosse nota alcuna sicura spiegazione dei moti della macchina<br />

del mondo che per noi venne fondato dall’ Artefice che è bontà e or<strong>di</strong>ne supremo. Per la qual cosa mi assunsi l’ impegno <strong>di</strong><br />

rileggere i libri <strong>di</strong> tutti i filosofi <strong>di</strong> cui potessi <strong>di</strong>sporre, allo scopo <strong>di</strong> indagare se qualcuno mai avesse pensato che i moti delle<br />

sfere del mondo fossero <strong>di</strong>versi da quelli stabil<strong>it</strong>i da coloro che nelle scuole insegnano matematica”. Copernico c<strong>it</strong>a Cicerone,<br />

Plutarco, Filolao, Eracl<strong>it</strong>o pontico e Ecfanto p<strong>it</strong>agorico, e prosegue: “… presi anch’ io a pensare alla mobil<strong>it</strong>à della Terra. E per<br />

quanto l’ opinione sembrasse assurda, tuttavia poiché sapevo che ad altri prima <strong>di</strong> me era stata concessa la libertà <strong>di</strong><br />

immaginare circoli per <strong>di</strong>mostrare i fenomeni degli astri, r<strong>it</strong>enni che anche a me si potesse facilmente concedere <strong>di</strong> ricercare se,<br />

supposto un certo movimento della Terra, potessero essere trovate nelle rivoluzioni degli orbi celesti, <strong>di</strong>mostrazioni più ferme <strong>di</strong><br />

quelle degli antichi. E così io, dopo aver considerato che la Terra si muovesse secondo i movimenti che più avanti le assegno nel<br />

testo, trovai infine, dopo una lunga e attenta indagine, che se si rapportano al circu<strong>it</strong>o della Terra i movimenti degli altri astri<br />

erranti calcolati secondo la rivoluzione <strong>di</strong> ciascuna stella, non solo ne conseguono i loro movimenti e fasi, ma anche l’ or<strong>di</strong>ne e la<br />

grandezza delle stelle e <strong>di</strong> tutti gli orbi e lo stesso cielo <strong>di</strong>venta un tutto così collegato che in nessuna parte <strong>di</strong> esso si può<br />

spostare qualcosa senza crear confusione delle restanti parti e <strong>di</strong> tutto l’ insieme. Di conseguenza nello sviluppo dell’ opera ho<br />

segu<strong>it</strong>o quest’ or<strong>di</strong>ne: nel primo libro ho descr<strong>it</strong>to tutte le posizioni degli orbi con i movimenti che ho assegnati alla Terra, in<br />

modo che tale libro contenga quasi la cost<strong>it</strong>uzione generale dell’ universo. Nei restanti libri poi, confronto i moti delle altre stelle<br />

e <strong>di</strong> tutti gli orbi con il movimento della Terra, in maniera che si possa comprendre fino a qual punto possano essere salvate le<br />

apparenze e i movimenti delle altre stelle ed orbi, se si confrontino coi movimenti della Terra. E non dub<strong>it</strong>o che matematici dotti<br />

e dotati <strong>di</strong> ingegno si renderanno solidali con me se vorranno conoscere ed esaminare non superficialmente, ma profondamente<br />

… quanto è da me riportato in quest’ opera per la <strong>di</strong>mostrazione <strong>di</strong> quanto sopra”.<br />

18


pianeti) su cui aveva contato l’ astronomia antica. La sferic<strong>it</strong>à dei corpi celesti e il loro moto<br />

circolare e uniforme non erano messi in <strong>di</strong>scussione. E’ certo, però, che il movimento della<br />

Terra sconvolgeva non soltanto i quadri mentali del tempo, ma minava alle fondamenta l’<br />

astronomia tolemaica e la fisica aristotelica 30 .<br />

<strong>Galileo</strong> <strong>Galilei</strong> aderì pubblicamente e con entusiasmo al Copernicanesimo. E non vi rinunciò<br />

neppure dopo il severo richiamo e la successiva imposizione dell’ abiura. <strong>Il</strong> sistema <strong>di</strong><br />

Copernico – che egli <strong>di</strong>fese fino in fondo – cost<strong>it</strong>uiva, in effetti, un nuovo para<strong>di</strong>gma che,<br />

sost<strong>it</strong>uendo il precedente, avrebbe consent<strong>it</strong>o <strong>di</strong> riformulare ra<strong>di</strong>calmente fisica e astronomia,<br />

unificandole nel metodo matematico-sperimentale.<br />

<strong>Il</strong> Copernicanesimo preannunciava un vero e proprio “sisma” culturale del massimo grado,<br />

che avrebbe frantumato i caposal<strong>di</strong> dell’ astronomia e della fisica ere<strong>di</strong>tate dall’ antich<strong>it</strong>à.<br />

Caposal<strong>di</strong> che Paolo Rossi ha colto schematicamente: “1. La <strong>di</strong>stinzione <strong>di</strong> principio tra una<br />

fisica dei cieli e una fisica terrestre, che risultava dalla <strong>di</strong>visione dell’ universo in due sfere, l’<br />

una perfetta, l’ altra imperfetta e soggetta al <strong>di</strong>venire. 2. La convinzione (che conseguiva da<br />

questo primo punto) del carattere necessariamente circolare dei moti celesti. 3. <strong>Il</strong> presupposto<br />

dell’ immobil<strong>it</strong>à della terra e della sua central<strong>it</strong>à nell’ universo che era <strong>di</strong>ventata una “ver<strong>it</strong>à <strong>di</strong><br />

senso comune”, che era confortata da una serie <strong>di</strong> argomenti in apparenza irrefutabili, che<br />

sembrava trovare conferma nel testo stesso delle Sacre Scr<strong>it</strong>ture. 4. La credenza nella fin<strong>it</strong>ezza<br />

dell’ universo e in un “mondo chiuso”, che è legata alla dottrina dei luoghi naturali. 5. La<br />

convinzione (che è strettamente connessa alla <strong>di</strong>stinzione fra moti naturali e moti violenti) che<br />

per spiegare il perdurare dello “stato <strong>di</strong> quiete” <strong>di</strong> un corpo non ci sia bisogno <strong>di</strong> addurre<br />

nessuna causa, mentre al contrario, ogni “movimento” viene spiegato o come <strong>di</strong>pendente dalla<br />

forma o natura del corpo, o come provocato da un motore che lo produce e lo conserva in<br />

moto durante il movimento. 6. <strong>Il</strong> <strong>di</strong>vorzio che si era andato stabilendo fra le ipotesi dell’<br />

astronomia e la fisica o, considerando le cose da un altro punto <strong>di</strong> vista, fra la matematica e la<br />

fisica, o le teorie e gli esperimenti, o le speculazioni e le operazioni” 31 .<br />

Sarebbe stato Isaac Newton a porre capo a quella prima Rivoluzione scientifica che, nel corso<br />

dell’ intero Seicento, abbattè tutti e sei i pilastri. Nell’ apporto collettivo recato ad una tale<br />

impresa, spicca il contributo <strong>di</strong> <strong>Galileo</strong> <strong>Galilei</strong>.<br />

30 Alexandre Koyré, La rivoluzione astronomica, Feltrinelli, Milano 1966, ha intravvisto nella rivoluzione copernicana un nucleo<br />

fortemente p<strong>it</strong>agorico. La natura geometrica dei corpi, e non le sostanze che li compongono, come voleva invece Aristotele,<br />

deermina il tipo del loro movimento. Un corpo sferico non può che muoversi <strong>di</strong> moto uniformemente circolare. Ciò vale anche<br />

per la Terra. “La <strong>di</strong>namica <strong>di</strong> Copernico – scrive Koyré – non è certo moderna. Essa <strong>di</strong>fferisce tuttavia da quella dei suoi<br />

contemporanei in quanto, ispirandosi probabilmente a Nicola Cusano, ma superandolo sensibilmente, Copernico geometrizza la<br />

natura. E’ da “matematico”, cioè da geometra, che egli vede l’ universo… la geometrizzazione del suo pensiero è così ra<strong>di</strong>cale e<br />

così profonda da trasformare sensibilmente perfino la nozione aristotelica <strong>di</strong> forma. Quando la fisica me<strong>di</strong>oevale e classica<br />

parlano <strong>di</strong> “forme”, si riferiscono, generalmente, alle forme sostanziali. Copernico, al contrario, pensa alla forma geometrica. Le<br />

implicazioni <strong>di</strong> questa concezione, o <strong>di</strong> questo nuovo atteggiamento, sono numerose e <strong>di</strong> notevole portata. Mentre, ad esempio,<br />

per la fisica antica il genere <strong>di</strong> moto naturale appartenente ad un corpo (rettilineo per i corpi sublunari, circolare per i moti<br />

celesti) era determinato dalla natura specifica, dalla forma sostanziale defin<strong>it</strong>a (e quin<strong>di</strong> dalla materia corrispondente), in<br />

Copernico questa funzione è svolta dalla forma geometrica. I corpi celesti ruotano, non perché abbiano una natura specifica,<br />

ma semplicemente perché sono sferici”.<br />

31 Paolo Rossi (a cura <strong>di</strong>), <strong>Il</strong> pensiero <strong>di</strong> <strong>Galileo</strong> <strong>Galilei</strong>, Loescher, Torino 1989, XII.<br />

19


3. La matematizzazione della natura e della fisica<br />

3.1. Contro Aristotele, la geometrizzazione del mondo sub lunare. Al <strong>di</strong> sotto del confronto tra<br />

i due massimi sistemi del mondo – copernicano e tolemaico – c’ era, nel Seicento, l’<br />

opposizione tra la fisica aristotelica (nutr<strong>it</strong>a <strong>di</strong> categorie metafisiche “incontrollabili” e<br />

fondata sul senso comune) e una “filosofia naturale” che, emergendo dal naturalismo<br />

cinquecentesco, mirava a stu<strong>di</strong>are la natura secondo i suoi stessi principi ed a coglierne le<br />

leggi matematiche. Gli aristotelisti sostenevano l’ astronomia matematica ma rifiutavano una<br />

filosofia matematica della natura. Nessuno <strong>di</strong> loro intendeva mettere in questione l’<br />

incrollabile certezza che la forma (un<strong>it</strong>a alla materia, ma sovrasensibile) e la qual<strong>it</strong>à si<br />

contrappongono alla quant<strong>it</strong>à e che le sostanze materiali non si conformano mai alle figure<br />

geometriche. <strong>Il</strong> nominalismo che serpeggiava tra gli aristotelici dava loro l’ incrollabile<br />

certezza che della natura fosse possibile solo una conoscenza empirica, frutto dell’<br />

osservazione dei “fenomeni manifesti”.<br />

Ma il corpo che – secondo la prospettiva galileiana, <strong>di</strong>rebbe Alexandre Koyré – procede con<br />

moto rettilineo uniforme nello spazio vuoto ed infin<strong>it</strong>o, privo <strong>di</strong> attr<strong>it</strong>i, non è la sostanza<br />

sensibile che possegga un luogo naturale ed uno proprio. Nella fisica <strong>di</strong> Aristotele, lo stato <strong>di</strong><br />

quiete è naturale; non altrettanto il moto locale: il sasso scagliato in alto ricade verso il centro<br />

della Terra, poiché è cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>o <strong>di</strong> sostanza pesante e tende a tornare nel suo luogo naturale.<br />

Come ha scr<strong>it</strong>to Alexandre Koyré 32 , secondo la fisica aristotelica “Ogni movimento implica<br />

… una sorta <strong>di</strong> <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ne cosmico, un turbamento dell’ equilibrio del mondo che sarà o un<br />

effetto <strong>di</strong>retto della “violenza” oppure al contrario l’ effetto <strong>di</strong> uno sforzo dell’ Essere al fine<br />

<strong>di</strong> compensare la “violenza”, <strong>di</strong> recuperare il proprio or<strong>di</strong>ne ed equilibrio perduto e sconvolto<br />

e riportare le cose al loro luogo naturale, nel quale possono posare e riposare”.<br />

Secondo Aristotele, a parte il moto locale (traslazione), muoversi equivaleva a mutare:<br />

generazione e corruzione, alterazione <strong>di</strong> qual<strong>it</strong>à, aumento e <strong>di</strong>minuzione <strong>di</strong> quant<strong>it</strong>à. Se il<br />

moto è naturale, a causarlo è la “forma”, inscin<strong>di</strong>bilmente un<strong>it</strong>a alla materia <strong>di</strong> una sostanza<br />

sensibile. Se il moto è violento, esso esige l’ azione continua <strong>di</strong> un motore, comunque<br />

connesso al mosso, giacchè l’ azione a <strong>di</strong>stanza non è concepibile. La <strong>di</strong>namica aristotelica<br />

nega il vuoto e il moto nel vuoto. Quando il sasso è scagliato verso l’ alto, esso r<strong>it</strong>orna, con<br />

moto rettilineo, al suo luogo naturale con la maggior veloc<strong>it</strong>à consent<strong>it</strong>agli dalle resistenze<br />

ambientali. Se il suo moto avvenisse nel vuoto, nel suo r<strong>it</strong>orno al luogo naturale avrebbe una<br />

veloc<strong>it</strong>à infin<strong>it</strong>a. E, aggiunge Koyré, “Per quanto riguarda il moto violento, per esempio<br />

quello <strong>di</strong> proiezione, il moto nel vuoto equivarrebbe al moto senza motore; è evidente che il<br />

vuoto non è un mezzo fisico e non può ricevere, trasmettere e conservare un movimento.<br />

Inoltre nel vuoto (come nello spazio della geometria euclidea) non esistono luoghi o <strong>di</strong>rezioni<br />

privilegiate. Nel vuoto non ci sono e non possono esserci luoghi “naturali””. La fisica<br />

aristotelica rifiutava <strong>di</strong> applicare la geometria alla realtà fisica.<br />

3.2. La matematizzazione <strong>di</strong> tutta la scienza fisica. <strong>Il</strong> contributo determinante “al metodo<br />

scientifico – rileva A. C. Crombie – fu l’ estensione della matematica a tutta la scienza fisica,<br />

almeno in linea <strong>di</strong> principio. Aristotele aveva lim<strong>it</strong>ato l’ uso della matematica, nella sua teoria<br />

della subor<strong>di</strong>nazione <strong>di</strong> una scienza all’ altra, <strong>di</strong>stinguendo nettamente i ruoli esplicativi della<br />

matematica e della fisica. L’ effetto <strong>di</strong> quest’ innovazione non fu tanto quello <strong>di</strong> <strong>di</strong>struggere<br />

tale <strong>di</strong>stinzione quanto quello <strong>di</strong> cambiare il tipo <strong>di</strong> domanda che gli scienziati si ponevano.<br />

Uno dei motivi principali dell’ innovazione fu l’ introduzione della concezione neoplatonica<br />

della natura, intesa in defin<strong>it</strong>iva come matematica, concezione compen<strong>di</strong>ata nell’ idea che la<br />

chiave del mondo fisico andasse ricercata nello stu<strong>di</strong>o della luce. Certamente gli scienziati del<br />

Me<strong>di</strong>oevo non portarono questa concezione all’ estremo lim<strong>it</strong>e, ma cominciarono a mostrare<br />

32 Alexandre Koyré, <strong>Galileo</strong> e Platone, in Philip P. Wiener e Aaron Noland (a cura <strong>di</strong>), Le ra<strong>di</strong>ci del pensiero scientifico, Feltrinelli,<br />

Milano 1971, 156-82.<br />

20


meno interesse alla questione “fisica” o metafisica della causa e a porsi un tipo <strong>di</strong> domande<br />

cui poteva rispondere una teoria matematica nell’ amb<strong>it</strong>o delle possibil<strong>it</strong>à <strong>di</strong> verifica<br />

sperimentale. Esempi <strong>di</strong> questo metodo si hanno nella meccanica, nell’ ottica e nell’<br />

astronomia del XIII e XIV secolo. Attraverso la matematizzazione della natura e della fisica<br />

lo sconveniente concetto classico delle coppie dei contrari fu sost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>o dal concetto moderno<br />

<strong>di</strong> misure lineari omogenee” 33 .<br />

Non vi è dubbio che la matematica abbia conosciuto un forte impulso nella prima età<br />

moderna. Come sostengono Philip P. Wiener e Aaron Noland, “<strong>Il</strong> sorgere del commercio e la<br />

rival<strong>it</strong>à fra le nazioni europee dopo la scoperta del Nuovo Mondo furono accompagnati da un’<br />

altrettanto stimolante esplosione <strong>di</strong> pensiero nelle scienze fisiche e matematiche” 34 . Non è<br />

certo facile stabilire le con<strong>di</strong>zioni che, nelle nuove età storiche, promuovono il progresso e l’<br />

evoluzione dei saperi, ma non vi è dubbio che le conseguenze sociali, economiche e pol<strong>it</strong>iche<br />

dell’ accesso alle nuove risorse extraeuropee, abbiano indotto gli intellettuali a porsi questioni<br />

note con nuovo vigore e con nuove soluzioni. D’ altra parte, nel Cinquecento l’ Italia era un<br />

gigante culturale ed un nano pol<strong>it</strong>ico. Mentre i suoi principi si logoravano in inutili alleanze e<br />

controalleanze per un improbabile controllo dell’ intera Penisola, gli intellettuali vivevano l’<br />

intensa stagione della cultura umanistico-rinascimentale. Dopo aver rivalutato le virtù civili,<br />

scoprivano la vocazione dell’ uomo al dominio sulla natura. Di quest’ istanza furono<br />

portatori, anz<strong>it</strong>utto, i gran<strong>di</strong> maghi rinascimentali, da Cardano a Della Porta, da Paracelso ad<br />

Agrippa. La scienza moderna sorse e si definì lentamente attraverso una progressiva<br />

<strong>di</strong>stinzione meto<strong>di</strong>ca e metodologica dalla “filosofia occulta”, <strong>di</strong> cui con<strong>di</strong>videva l’ ambizione<br />

<strong>di</strong> dominio sul “regnum hominis”. La polemica contro il sapere magico-ermetico (che era<br />

stato coltivato dalla maggior parte degli Umanisti del Quattrocento) andò crescendo via via<br />

che lo statuto della nuova scienza prendeva corpo. In realtà, nei gran<strong>di</strong> maghi rinascimentali<br />

ambizioni magiche e aspettative scientifiche erano ancora frammiste in modo in<strong>di</strong>stinto.<br />

Come ha scr<strong>it</strong>to Paolo Rossi, “L’ immagine, <strong>di</strong> derivazione illuministica e pos<strong>it</strong>ivistica, <strong>di</strong> una<br />

marcia trionfale del sapere scientifico attraverso le tenebre, le oscur<strong>it</strong>à, le superstizioni sembra<br />

defin<strong>it</strong>ivamente tramontata nella storiografia e nella cultura dell’ età contemporanea” 35 . Rossi<br />

non ha <strong>di</strong>fficoltà a sottolineare che Copernico riven<strong>di</strong>ca la central<strong>it</strong>à del Sole richiamandosi ad<br />

Ermete Trismegisto, r<strong>it</strong>enuto grande profeta e sapiente da Marsilio Ficino. <strong>Il</strong> quale aveva<br />

rest<strong>it</strong>u<strong>it</strong>o al Quattrocento una cultura magico-ermetica rielaborata, in effetti, da varie mani<br />

neoplatoniche nei primi secoli dell’ era cristiana.<br />

Francesco Bacone denunciò con vigore le imposture <strong>di</strong> Paracelso, scagliandosi contro un<br />

sapere privato, incomunicabile, da “illuminati” 36 . L’ inglese auspicava un sapere pubblico,<br />

comunicabile con un linguaggio chiaro, oggettivo e con<strong>di</strong>visibile dai membri della comun<strong>it</strong>à<br />

scientifica. Non vi fu scienziato moderno che non prendesse le <strong>di</strong>stanze dalla magia. Eppure<br />

Keplero, ricorda Paolo Rossi, “è un conosc<strong>it</strong>ore profondo del “Corpus hermeticum”; la sua<br />

convinzione <strong>di</strong> una segreta corrispondenza fra le strutture della geometria e quelle dell’<br />

universo, la sua tesi <strong>di</strong> una musica celeste delle sfere che ne riproduce e ne rivela gli arcani<br />

rapporti sono profondamente imbevute <strong>di</strong> misticismo p<strong>it</strong>agorico” 37 . Ma è proprio Keplero a<br />

33 A. C. Crombie, Dal razionalismo allo sperimentalismo, in: Philip P. Wiener e Aaron Noland (a cura <strong>di</strong>), Le ra<strong>di</strong>ci del pensiero<br />

scientifico c<strong>it</strong>., 133-43, 141.<br />

34 Philip P. Wiener e Aaron Noland, Le ra<strong>di</strong>ci del pensiero scientifico c<strong>it</strong>., 308.<br />

35 Paolo Rossi, La rivoluzione scientifica c<strong>it</strong>., VIII. L’ autore c<strong>it</strong>a, al riguardo, la cr<strong>it</strong>ica corrosiva <strong>di</strong> Joseph Agassi alla tra<strong>di</strong>zionale<br />

immagine storiografica della storia della scienza.<br />

36 Paolo Rossi, “Le arti meccaniche, la magia, la scienza”, in: Francesco Bacone. Dalla magia alla scienza, Einau<strong>di</strong>, Torino 1974,<br />

nota come alla tra<strong>di</strong>zione magico-alchimistica “così come essa venne configurandosi nell’ età del Rinascimento, sono legati due<br />

concetti centrali della filosofia <strong>di</strong> Bacone, che stanno alla base della sua concezione della natura, dell’ uomo e del rapporti fra l’<br />

uomo e la natura. Questi concetti sono: 1) l’ ideale della scienza come potenza e come opera attiva volta a mo<strong>di</strong>ficare la<br />

s<strong>it</strong>uazione naturale ed umana; 2) la definizione dell’ uomo come “ministro e interprete della natura” (naturae minister et<br />

interpres) che Bacone sost<strong>it</strong>uiva alla veneranda definizione dell’ uomo come “animale ragionevole”. Senza dubbio, nella filosofia<br />

<strong>di</strong> Bacone, questi due concetti finiranno per assumere un significato ben <strong>di</strong>verso da quello che essi conservavano nella<br />

letteratura magica o nelle trattazioni dei filosofi naturalisti del Rinascimento” (24-5).<br />

37 Paolo Rossi, La rivoluzione scientifica c<strong>it</strong>., 4.<br />

21


stigmatizzare la magia, laddove essa vuol comprendere e descrivere la natura servendosi <strong>di</strong><br />

simboli incomprensibili. Ad essi opponeva la chiarezza dell’ intelletto, propria dei<br />

matematici. “Keplero – <strong>di</strong>ce ancora Paolo Rossi – contrapponeva … due <strong>di</strong>versi atteggiamenti<br />

<strong>di</strong> fronte al sapere e <strong>di</strong> fronte al mondo: opponeva la chiarezza dell’ indagine razionale al<br />

carattere allusivo, oscuro, misterioso del linguaggio dei maghi” 38 .<br />

3.3. L’ accelerazione dei progressi nella matematica. La svolta cruciale, nella quale i destini<br />

della nuova scienza e della magia si <strong>di</strong>visero, fu la matematizzazione della natura e della<br />

fisica. “I matematici <strong>it</strong>aliani del Cinquecento – ricordano Philip P. Wiener e Aaron Noland -,<br />

quali Scipione del Ferro, Tartaglia, Bombelli e Cardano, avevano risolto problemi algebrici<br />

del tipo <strong>di</strong> quelli connessi alla soluzione generale dell’ equazione <strong>di</strong> terzo grado” 39 . E però i<br />

due epistemologi sottolineano che “… fu necessario il genio più universale <strong>di</strong> Cartesio per<br />

<strong>di</strong>mostrare come fosse possibile combinare algebra e geometria e facil<strong>it</strong>are la soluzione dei<br />

problemi <strong>di</strong> sezioni coniche risalenti a Pappo e ad Apollonio <strong>di</strong> Alessandria, cioè al III sec. A.<br />

C.” 40 . Pappo, per intenderci con un esempio significativo, si era concentrato sulla costruzione<br />

<strong>di</strong> una circonferenza che toccasse tre circonferenze date. “Finchè si considera solo la<br />

geometria – ricordano Wiener e Noland – la soluzione è molto complessa” e aggiungono che<br />

“Cartesio, con la sua geometria anal<strong>it</strong>ica, mostrò come si potessero rappresentare le<br />

circonferenze in forma algebrica, riducendo quin<strong>di</strong> il problema <strong>di</strong> Pappo a quello della<br />

soluzione <strong>di</strong> un sistema <strong>di</strong> tre equazioni” 41 .<br />

La scienza aveva bisogno <strong>di</strong> una fondamentale un<strong>it</strong>à, che <strong>di</strong>scendesse da assiomi, postulati,<br />

principi generali. “Per i principi generali che dovevano fornire i più ampi concetti occorrenti<br />

all’ un<strong>it</strong>à della scienza, Cartesio e Leibniz ricorsero ai nuovi sviluppi matematici. A causa del<br />

suo simbolismo, nessuna scienza è più generale della matematica. Cartesio non scoprì la<br />

geometria anal<strong>it</strong>ica (l’ applicazione dell’ algebra alla geometria era iniziata con Oresme e con<br />

Fermat), ma seppe escog<strong>it</strong>are un nuovo simbolismo e sua fu l’ intuizione filosofica <strong>di</strong> vedere<br />

le potenzial<strong>it</strong>à della nuova matematica. Egli potenziò il simbolismo algebrico introducendo gli<br />

esponenti … Invenzioni come i logar<strong>it</strong>mi <strong>di</strong> Napier (che secondo Keplero “triplicano la v<strong>it</strong>a<br />

degli astronomi”) non solo permettono <strong>di</strong> risparmiare tempo ma consentono un’ economia <strong>di</strong><br />

pensiero e facil<strong>it</strong>ano la percezione <strong>di</strong> rapporti astratti… Leibniz spinse oltre la ricerca<br />

cartesiana della rigoros<strong>it</strong>à e dell’ un<strong>it</strong>à delle scienze, e contribuì in modo importante al<br />

perfezionamento del simbolismo matematico … Anche se si r<strong>it</strong>iene che Newton abbia<br />

inventato in<strong>di</strong>pendentemente il calcolo infin<strong>it</strong>esimale, i matematici preferiscono, alla sua, la<br />

notazione <strong>di</strong> Leibniz” 42 .<br />

Lo scolastico me<strong>di</strong>oevale Guglielmo d’ Ockham fu il primo ad intuire l’ importanza dei<br />

simboli per il pensiero scientifico. Egli enunciò il principio del “rasoio d’ Ockham”, che<br />

imponeva <strong>di</strong> lim<strong>it</strong>arsi alle ipotesi e alle cause necessarie, ev<strong>it</strong>ando <strong>di</strong> moltiplicarle. Platone,<br />

per spiegare il cosmo sensibile, ne inventò uno intelligibile, l’ Iperuranio, il mondo delle Idee,<br />

delle essenze delle cose in sé e per sé sussistenti, come sostanze pure, eterne, perfette,<br />

intelligibili ed eterne. Ma nella spiegazione dei fenomeni e nell’ eseguire i calcoli necessari al<br />

lavoro scientifico, si deve impiegare solo il necessario. I filosofi astronomi e matematici<br />

costruivano sistemi e schemi <strong>di</strong> simboli geometrici per “salvare le apparenze” ed esplicare le<br />

regolar<strong>it</strong>à rilevate nei fenomeni celesti, ma ancor prima per giustificare le irregolar<strong>it</strong>à,<br />

conciliandole con la presunta perfezione dei cieli. <strong>Il</strong> sistema eliostatico <strong>di</strong> Copernico si rivelò<br />

certamente più semplice <strong>di</strong> quello aristotelico-tolemaico, anche se non si sbarazzava <strong>di</strong> tutte le<br />

tra<strong>di</strong>zionali escog<strong>it</strong>azioni. Le versioni semplificate del sistema copernicano che circolano nei<br />

testi <strong>di</strong> storia dell’ astronomia e della scienza, possono essere ingannevoli. Anche nel suo<br />

38 La rivoluzione scientifica c<strong>it</strong>., 8.<br />

39 Philip P. Wiener e Aaron Noland (a cura <strong>di</strong>), “La rivoluzione scientifica” in: Le ra<strong>di</strong>ci del pensiero scientifico c<strong>it</strong>., 308.<br />

40 Ibidem.<br />

41 Ibidem.<br />

42 Ibidem, 309.<br />

22


sistema sopravvivono gli eccentrici, e propriamente dovremmo parlare <strong>di</strong> un sistema<br />

eliostatico più che eliocentrico.<br />

Wiener e Noland riconoscono che “l’ economia <strong>di</strong> simboli e <strong>di</strong> pensiero” non è l’ unico<br />

obiettivo <strong>di</strong> un Copernico, un Cartesio o un Leibniz: “Indubbiamente essi considerano le<br />

proprie teorie scientifiche come rappresentazioni vere e necessarie della semplic<strong>it</strong>à e dell’<br />

or<strong>di</strong>ne logico dei fenomeni naturali” 43 . La prefazione al “De revolutionibus” <strong>di</strong> Copernico fu<br />

scr<strong>it</strong>ta, a sua insaputa, dal teologo protestante Osiander. Costui sosteneva che il sistema<br />

eliostatico illustrato nell’ Opera, intendeva “salvare le apparenze” con maggior efficacia <strong>di</strong><br />

quello tolemaico. La stessa epistemologia strumentalista avrebbe opposto il Car<strong>di</strong>nal<br />

Bellarmino al <strong>realismo</strong> <strong>di</strong> <strong>Galileo</strong> <strong>Galilei</strong>.<br />

3.4. Semplic<strong>it</strong>à e or<strong>di</strong>ne matematico della natura. <strong>Galileo</strong> e gli altri protagonisti della prima<br />

rivoluzione scientifica credevano nella semplic<strong>it</strong>à e nella regolar<strong>it</strong>à della natura. Era perciò<br />

facile, per loro, identificare l’ or<strong>di</strong>ne matematico e le leggi fisiche. Thomas Kuhn si associa ad<br />

Alexandre Koyré, quando eleva il (neo) platonismo umanistico-rinascimentale, ad orizzonte<br />

metafisico-assiomatico del Copernicanesimo. Le due certezze che ne <strong>di</strong>scendono (la natura<br />

matematica dell’ or<strong>di</strong>ne cosmico e la suprema <strong>di</strong>gn<strong>it</strong>à del Sole) decretano la<br />

matematizzazione del mondo sublunare 44 . “L’ assunto logico – sostengono Wiener e Noland –<br />

era questo: siccome Euclide, con il suo genio or<strong>di</strong>natore, ha stabil<strong>it</strong>o una volta per tutte la<br />

natura dello spazio, i fisici non devono far altro che trovare esempi della geometria euclidea<br />

nel mondo esterno <strong>di</strong> leve, piani, moto circolare e forze meccaniche. La legge newtoniana<br />

della grav<strong>it</strong>azione universale, secondo cui l’ attrazione grav<strong>it</strong>azionale tra due corpi varia in<br />

ragione inversa del quadrato della <strong>di</strong>stanza che li separa, si basa su una proprietà della<br />

seconda potenza, e cioè quella per cui la superficie è proporzionale al quadrato del raggio” 45 . I<br />

due epistemologi, comunque, non es<strong>it</strong>ano a riconoscere la fecon<strong>di</strong>tà dell’ “erronea<br />

identificazione tra geometria euclidea e fisica: le acquisizioni scientifiche <strong>di</strong> coloro che hanno<br />

segu<strong>it</strong>o la “via matematica <strong>di</strong> Newton” non lasciano alcun dubbio.<br />

“Non bisogna – <strong>di</strong>ce l’ aristotelista Simplicio nel “Dialogo” – nella scienza naturale ricercar l’<br />

esquis<strong>it</strong>a evidenza matematica”. La fisica <strong>di</strong> Aristotele, o filosofia seconda, si occupa delle<br />

sostanze sensibili. Mira a coglierne le cause e i principi primi, che son sovrasensibili. Quin<strong>di</strong>,<br />

propriamente, oggetto della scienza metafisica. E’ vero che la forma sovrasensibile determina<br />

progressivamente la materia, in cui è contenuta potenzialmente. Che cos’ è un essere vivente<br />

se non una inscin<strong>di</strong>bile un<strong>it</strong>à <strong>di</strong> forma e materia, in mutamento? Aristotele fanciullo <strong>di</strong>venterà<br />

43 Ibidem.<br />

44 Thomas Kuhn, La rivoluzione copernicana, Einau<strong>di</strong>, Torino 1972, ricorda che “Domenico Maria da Novara, amico <strong>di</strong> Copernico<br />

e suo docente a Bologna, fu strettamente legato ai neoplatonici fiorentini che tradussero Proclo < neo<strong>platonico</strong> > ed altri autori<br />

della sua scuola. <strong>Il</strong> Novara stesso fu tra i primi a cr<strong>it</strong>icare la teoria planetaria tolemaica con argomentazioni neoplatoniche,<br />

r<strong>it</strong>enendo che nessun sistema così complesso e pesante potesse rappresentare il vero or<strong>di</strong>ne matematico della natura. Quando<br />

l’ allievo <strong>di</strong> Novara, Copernico, lamentava che gli astronomi tolemaici “sembrano violare i principi basilari dell’ uniform<strong>it</strong>à del<br />

moto” e che essi erano stati incapaci “<strong>di</strong> dedurre la cosa più importante, vale a <strong>di</strong>re la forma dell’ universo e l’ immutabile<br />

simmetria delle sue parti” si inquadrava nella stessa tra<strong>di</strong>zione neoplatonica. La tendenza neoplatonica è ancor più forte nel<br />

grande successore <strong>di</strong> Copernico, Kepler. … la ricerca <strong>di</strong> semplici relazioni numeriche informa e motiva gran parte dell’ opera <strong>di</strong><br />

Kepler … <strong>Il</strong> Dio del neoplatonismo era un principio creatore che si moltiplicava e la cui immensa potenzial<strong>it</strong>à era <strong>di</strong>mostrata dalla<br />

stessa molteplic<strong>it</strong>à delle forme che da lui scaturivano. Nell’ universo materiale questa feconda <strong>di</strong>vin<strong>it</strong>à era appropriatamente<br />

rappresentata dal Sole, le cui irra<strong>di</strong>azioni visibili e invisibili davano all’ universo luce, calore e fertil<strong>it</strong>à. Questa identificazione<br />

simbolica del Sole con Dio si r<strong>it</strong>rova spesso nella letteratura e arte del Rinascimento. Marsilio Ficino, figura centrale dell’<br />

accademia umanistica e neoplatonica fiorentina del secolo XV, <strong>di</strong>ede a tale identificazione una caratteristica espressione nel suo<br />

trattato Liber de Sole … Con Ficino, come con Proclo, ci troviamo molto lontani dalla scienza. Ficino non sembra capire l’<br />

astronomia. Certamente non fece alcun tentativo <strong>di</strong> darle nuove strutture. Sebbene il Sole abbia un’ importanza nuova nell’<br />

universo <strong>di</strong> Ficino, esso conserva la sua vecchia posizione. Eppure tale posizione non era più quella giusta. Ficino scrisse, ad<br />

esempio, che il Sole era stato creato per primo e nel centro dei cieli. Certamente nessun’ altra posizione inferiore nello spazio e<br />

nel tempo avrebbe potuto essere compatibile con la <strong>di</strong>gn<strong>it</strong>à e la funzione creatrice del Sole. Tale posizione tuttavia non era<br />

compatibile con l’ astronomia tolemaica e le <strong>di</strong>fficoltà che da ciò derivarono al neoplatonismo spinsero forse Copernico a<br />

concepire un nuovo sistema costru<strong>it</strong>o attorno al Sole centrale. In ogni caso gli fornirono un’ argomentazione per il nuovo<br />

sistema … <strong>Il</strong> neoplatonismo è evidente nell’ atteggiamento mentale <strong>di</strong> Copernico verso il Sole e la semplic<strong>it</strong>à matematica. E’ un<br />

elemento essenziale del clima intellettuale che generò la sua visione dell’ universo”.<br />

45 Philip P. Wiener e Aaron Noland, Le ra<strong>di</strong>ci del pensiero scientifico c<strong>it</strong>., 309.<br />

23


Aristotele adulto, essere razionale dotato <strong>di</strong> tutte le funzioni dell’ uomo, quando la forma avrà<br />

pienamente determinato la materia, giungendo all’ “entelechia”. Nessun essere vivente sfugge<br />

al mutamento-movimento: tutto, nel mondo sublunare è soggetto a generazione e corruzione.<br />

Alexandre Koyré ha sottolineato che “…i contemporanei <strong>di</strong> <strong>Galileo</strong> … sapevano che la<br />

qual<strong>it</strong>à, come la forma, essendo per natura non matematica non può venir trattata in termini<br />

matematici. La fisica non è geometria applicata. La materia terrestre non può mai tradursi in<br />

figure matematiche esatte … Nel cielo è <strong>di</strong>verso; quin<strong>di</strong> è possibile un’ astronomia<br />

matematica. Ma l’ astronomia non è fisica” 46 . Le “sottigliezze matematiche” son vere in<br />

astratto – <strong>di</strong>ce Simplicio – ma se le si applica alla “materia sensibile e fisica” si rivelano sterili<br />

e improduttive. Una posizione che Koyré ha espresso molto bene quando ha rimarcato che<br />

“… quanto più una mente è ab<strong>it</strong>uata alla precisione e al rigore del pensiero geometrico, tanto<br />

meno essa riuscirà ad afferrare la veloc<strong>it</strong>à dell’ Essere , nella sua mobil<strong>it</strong>à, nella<br />

sua mutevolezza” 47 . Unificare fisica terrestre e fisica celeste, matematizzare la natura e la<br />

fisica: era il comp<strong>it</strong>o che si prefisse <strong>Galileo</strong> <strong>Galilei</strong>.<br />

46 Alexandre Koyré, <strong>Galileo</strong> e Platone c<strong>it</strong>., 177.<br />

47 Alexandre Koyré,<strong>Galileo</strong> e Platone c<strong>it</strong>., 178.<br />

24


4. Aristotelici ed aristotelisti<br />

4.1. <strong>Il</strong> linguaggio geometrico-matematico del “gran libro” dell’ universo. Ne “<strong>Il</strong> Saggiatore,<br />

nel quale con bilancia esquis<strong>it</strong>a e giusta si ponderano le cose contenute nella libra astronomica<br />

e filosofica <strong>di</strong> Lotario Sarsi Sigensano …” 48 , <strong>Galileo</strong> <strong>Galilei</strong> contesta la salda convinzione<br />

dello stesso Sarsi (pseudonimo del padre gesu<strong>it</strong>a Orazio Grassi, professore <strong>di</strong> matematica nel<br />

Collegio Romano) che “nel filosofare sia necessario appoggiarsi all’ opinioni <strong>di</strong> qualche<br />

celebre autore, sì che la mente nostra, quando non si mar<strong>it</strong>asse col <strong>di</strong>scorso d’ un altro, ne<br />

dovesse in tutto rimanere ostile ed infeconda; e forse stima che la filosofia sia un libro e una<br />

fantasia d’ un uomo, come l’ <strong>Il</strong>iade e l’ Orlando furioso, libri ne’ quali la meno importante<br />

cosa è che quello che vi è scr<strong>it</strong>to sia vero”.<br />

“Signor Sarsi, la cosa non istà così”, obietta drasticamente <strong>Galileo</strong>, ed enuncia la celeberrima<br />

tesi: “La filosofia è scr<strong>it</strong>ta in questo gran<strong>di</strong>ssimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi<br />

a gli occhi (io <strong>di</strong>co l’ universo), ma non si può intendere se prima non s’ impara a intender la<br />

lingua, e conoscer i caratteri, ne’ quali è scr<strong>it</strong>to. Egli è scr<strong>it</strong>to in lingua matematica, e i<br />

caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezi è impossibile a<br />

intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro<br />

labirinto”. <strong>Galileo</strong> si oppone all’ adesione <strong>di</strong> Sarsi al sistema <strong>di</strong> Tycho Brahe, interme<strong>di</strong>o tra i<br />

due massimi, giacchè accoglie i vantaggi del Copernicanesino ma lascia immobile la Terra.<br />

La cosa però, qui, poco importa. Se non per sottolineare che soltanto i due massimi hanno,<br />

secondo <strong>Galilei</strong>, struttura matematica mer<strong>it</strong>evole <strong>di</strong> un confronto.<br />

Alexandre Koyré ha scr<strong>it</strong>to in un suo celebre saggio, “<strong>Galileo</strong> e Platone”, che “Noi siamo così<br />

ab<strong>it</strong>uati alla scienza matematica, alla fisica matematica, che non avvertiamo più la stranezza<br />

<strong>di</strong> un approccio matematico , né l’ audacia paradossale <strong>di</strong> <strong>Galileo</strong> quando<br />

afferma che il libro della natura è scr<strong>it</strong>to in caratteri geometrici. Per noi è una conclusione<br />

scontata. Non lo era invece per i contemporanei <strong>di</strong> <strong>Galileo</strong>” 49 . E prosegue sostenendo che “il<br />

vero oggetto del “Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo” non è tanto l’ opposizione<br />

tra due sistemi astronomici quanto la giustezza della scienza matematica, <strong>di</strong> una spiegazione<br />

matematica della natura, in contrapposizione a quella non matematica del senso comune e<br />

della fisica aristotelica” 50 . In effetti, sostenere il Copernicanesimo, comportava il superamento<br />

della <strong>di</strong>stinzione tra fisica celeste e fisica terrestre, che il para<strong>di</strong>gma tolemaico-aristotelico<br />

portava con sé. L’ unificazione delle due fisiche e dei due piani <strong>di</strong> realtà (Cielo perfetto<br />

sovralunare e mondo sublunare) avrebbe consent<strong>it</strong>o <strong>di</strong> applicare la matematica anche alla<br />

Terra, uscendo dalla <strong>di</strong>mensione delle mere “escog<strong>it</strong>azioni”, prive <strong>di</strong> riscontro sperimentale.<br />

Aristotele aveva decretato il mondo sublunare come il luogo del mutamento, della<br />

generazione e della corruzione, dell’ imperfezione. La sua fisica era qual<strong>it</strong>ativa e si avvaleva<br />

della dottrina della potenza e dell’ atto, della forma sostanziale, categorie concettuali<br />

metafisiche.<br />

4.2. Platonismo e aristotelismo. Ha ragione Koyré quando sostiene che al centro del<br />

“Dialogo”, vi è una questione, “la questione filosofica del ruolo svolto dalla matematica nell’<br />

e<strong>di</strong>ficazione della scienza della natura”. E ne coglie il ruolo cruciale, quando ricorda che<br />

“Quello del ruolo della matematica nella scienza non è in realtà un problema recentissimo. Al<br />

contrario: per più <strong>di</strong> duemila anni esso è stato oggetto <strong>di</strong> me<strong>di</strong>tazione, <strong>di</strong> indagine e <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>scussione da parte dei filosofi. <strong>Galileo</strong> se ne rende perfettamente conto… Fin da ragazzo,<br />

studente all’ univers<strong>it</strong>à <strong>di</strong> Pisa, potrebbe aver appreso dalle lezioni del suo maestro Francesco<br />

Buonamici che il “ques<strong>it</strong>o” circa il ruolo e la natura della matematica rappresenta il principale<br />

argomento <strong>di</strong> contrasto tra Aristotele e Platone. Alcuni anni dopo, tornato a Pisa questa volta<br />

48 <strong>Galileo</strong> <strong>Galilei</strong>, <strong>Il</strong> Saggiatore, in Opere c<strong>it</strong>., VI. Nell’ e<strong>di</strong>zione elettronica Manuzio, il passo successivo è a pagina 11.<br />

49 Alexandre Koyré, <strong>Galileo</strong> e Platone c<strong>it</strong>., 174.<br />

50 Ibidem, 174.<br />

25


in veste <strong>di</strong> professore, avrà appreso dal suo amico e collega Jacopo Mazzoni, autore <strong>di</strong> un<br />

libro su Platone e Aristotele, che “non esiste altro ques<strong>it</strong>o che abbia dato luogo a speculazioni<br />

più nobili e più belle … della questione se l’ uso della matematica nella scienza fisica come<br />

strumento <strong>di</strong> prova e termine interme<strong>di</strong>o <strong>di</strong> <strong>di</strong>mostrazione sia opportuno o meno” 51 .<br />

La questione si pone, secondo Koyré, in termini semplici ed esplic<strong>it</strong>i, e “La linea <strong>di</strong>visoria tra<br />

Aristotelici e Platonici è perfettamente chiara”. E’ in <strong>di</strong>scussione il ruolo della matematica nei<br />

confronti dell’ “essere reale”: “Se si riven<strong>di</strong>ca alla matematica una posizione superiore, se, al<br />

<strong>di</strong> là <strong>di</strong> questo, le si attribuisce un valore reale e una posizione <strong>di</strong> comando nella fisica si è<br />

Platonici. Se invece si vede nella matematica una scienza astratta che riveste pertanto un<br />

valore minore <strong>di</strong> quelle che, come la fisica e la metafisica, si occupano dell’ essere reale; se in<br />

particolare si presume che alla fisica non occorra altra base che l’ esperienza e che essa si<br />

costruisca <strong>di</strong>rettamente sulla percezione; che la matematica deve accontentarsi del ruolo<br />

secondario e sussi<strong>di</strong>ario <strong>di</strong> semplice scienza ausiliaria, allora si è Aristotelici”.<br />

Certamente <strong>Galileo</strong> <strong>Galilei</strong> mirava a leggi matematiche della natura e non aveva alcun<br />

dubbio che si potessero fornire risposte matematiche a questioni fisiche concrete. E’ vero che<br />

agli esor<strong>di</strong> del “Dialogo”, Simplicio rileva che un matematico che si occupi della realtà fisica,<br />

propende senza alcun dubbio per le speculazioni numeriche dei P<strong>it</strong>agorici. Speculazioni senza<br />

alcuna importanza, è la risposta. “Che i P<strong>it</strong>agorici avessero in somma stima la scienza dei<br />

numeri, e che Platone stesso ammirasse l’ intelletto umano e lo stimasse partecipe <strong>di</strong> <strong>di</strong>vin<strong>it</strong>à<br />

solo per l’ intender egli la natura de’ numeri, io benissimo lo so, né sarei lontano dal farne l’<br />

istesso giu<strong>di</strong>zio” 52 .<br />

Secondo Koyré, <strong>Galileo</strong> è un “<strong>platonico</strong>” ra<strong>di</strong>cale; ne sottolinea la ripetuta evocazione, nelle<br />

opere, dei riferimenti all’ arte maieutica <strong>di</strong> Socrate e all’ innatismo gnoseologico (la dottrina<br />

della reminiscenza); c<strong>it</strong>a, al riguardo quel che obietta Salviati a Simplicio: “Quel ch’ io senta<br />

dell’ opinion <strong>di</strong> Platone, posso significarvelo con parole ed ancora con fatti. Già ne’<br />

ragionamenti sin qui mi son io più d’ una volta <strong>di</strong>chiarato con fatti: seguirò l’ istesso stile nel<br />

particolare che aviamo per le mani, che potrà poi servirvi come esempio a più agevolmente<br />

comprendere il mio concetto circa l’ acquisto della scienza …”. Quell’ indagine che Salviati<br />

<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> “aver per le mani” è, precisa Koyré “…la deduzione delle proposizioni fondamentali<br />

della meccanica. Veniamo a sapere che <strong>Galileo</strong> r<strong>it</strong>iene <strong>di</strong> non essersi lim<strong>it</strong>ato a <strong>di</strong>chiararsi<br />

seguace e partigiano dell’ epistemologia <strong>di</strong> Platone. Oltre a questo, applicandola, scoprendo le<br />

vere leggi della fisica, facendole dedurre da Sagredo e Simplicio cioè dal lettore stesso …<br />

r<strong>it</strong>iene <strong>di</strong> aver <strong>di</strong>mostrato la ver<strong>it</strong>à del Platonismo ”attraverso i fatti”. E conclude: “<strong>Il</strong><br />

“Dialogo” e i “Discorsi” ci danno la storia <strong>di</strong> un esperimento intellettuale, <strong>di</strong> un esperimento<br />

conclusivo … ci raccontano la storia della scoperta, o meglio della riscoperta, del linguaggio<br />

parlato dalla Natura. Ci spiegano il modo <strong>di</strong> interrogarla, cioè la teoria <strong>di</strong> quella<br />

sperimentazione scientifica nella quale la formulazione <strong>di</strong> postulati e la deduzione delle loro<br />

implicazioni precedono e guidano il ricorso all’ osservazione. Anche questa, almeno per<br />

<strong>Galileo</strong>, è una prova “attraverso i fatti”. La nuova scienza è per lui una prova sperimentale del<br />

Platonismo” 53 .<br />

Koyré, per la ver<strong>it</strong>à, ricorda che è stato E. A. Burtt ad evidenziare la struttura metafisica<br />

latente nella scienza moderna 54 . Si tratta <strong>di</strong> un “matematismo <strong>platonico</strong>” che ne cost<strong>it</strong>uirebbe<br />

il fondamento para<strong>di</strong>gmatico. Burtt non avrebbe però evidenziato (il mer<strong>it</strong>o spetterebbe,<br />

invece, a L. Brunschwicg) la presenza <strong>di</strong> due filoni nella tra<strong>di</strong>zione platonica: l’ ar<strong>it</strong>mologia<br />

mistica, da una parte, e la scienza matematica, dall’ altra. La questione non è affatto semplice.<br />

<strong>Galileo</strong> era una Platonico, ma non un aristotelico né un p<strong>it</strong>agorico? Come si s<strong>it</strong>uano all’<br />

orizzonte della sua “filosofia matematica e naturale”, Platone, Euclide e Archimede?<br />

51 Alexandre Koyré, <strong>Galileo</strong> e Platone c<strong>it</strong>., 175.<br />

52 Dialogo c<strong>it</strong>., E<strong>di</strong>zione elettronica Manuzio 6.<br />

53 Alexandre Koyré, <strong>Galileo</strong> e Platone c<strong>it</strong>., 182.<br />

54 Alexandre Koyré, <strong>Galileo</strong> e Platone c<strong>it</strong>., n. 180.<br />

26


4.3. <strong>Galileo</strong> autentico <strong>di</strong>scepolo <strong>di</strong> Aristotele. Intanto, <strong>Galileo</strong> <strong>Galilei</strong> si <strong>di</strong>chiara Aristotelico<br />

non meno che Platonico. Egli sostiene, <strong>di</strong> fronte agli aristotelisti come Simplicio, d’ essere un<br />

autentico <strong>di</strong>scepolo dello Stagir<strong>it</strong>a. Allo sterile sapere libresco (contro cui già inveiva<br />

Leonardo da Vinci, “homo sanza lettere”) dei “togati”, dei cattedratici, degli scolastici<br />

“trombetti”, insomma degli aristotelisti, <strong>Galileo</strong> sosteneva d’ aver appreso la vera lezione <strong>di</strong><br />

Aristotele: osservare e ragionare sopra l’ esperienza propria, dandole preminenza rispetto ad<br />

ogni maestro e ad ogni testo 55 .<br />

Non è riconoscimento <strong>di</strong> poco conto da parte <strong>di</strong> chi seppe unire sensate esperienze e<br />

matematiche <strong>di</strong>mostrazioni. <strong>Galileo</strong> <strong>Galilei</strong> si <strong>di</strong>chiarava matematico e filosofo (naturale),<br />

rifiutando d’ esser equiparato ai “puri astronomi”. Si r<strong>it</strong>eneva un “astronomo filosofo”. L’<br />

astronomo (matematico) filosofo (naturale) non propone escog<strong>it</strong>azioni (ipotesi) che “salvino<br />

le apparenze” – senza alcun riscontro reale – e si lim<strong>it</strong>ino a conciliare la perfetta circolar<strong>it</strong>à<br />

del moto dei pianeti e i loro incongruenti comportamenti, rivelati dalle osservazioni. L’<br />

astronomo filosofo si occupa della “vera cost<strong>it</strong>uzione dell’ universo”, reale, unica, com’ è e<br />

come non può non essere.<br />

Eugenio Garin ha ricostru<strong>it</strong>o con grande attenzione il <strong>di</strong>batt<strong>it</strong>o a più voci degli aristotelici e<br />

dei platonici fra Quattrocento, Cinquecento e Seicento. E, in particolare, si è occupato della<br />

“filosofia dell’ amore” neoplatonica dell’ umanista, filologo, filosofo Marsilio Ficino e del<br />

suo influsso su numerosi <strong>di</strong>scepoli. “L’ amore eserc<strong>it</strong>a nel pensiero ficiniano – scrive Garin –<br />

una funzione fondamentale, come quello che cost<strong>it</strong>uisce il vincolo per cui l’ umano si<br />

ricongiunge al <strong>di</strong>vino” 56 . “Eros”, l’ anel<strong>it</strong>o filosofico <strong>di</strong> Platone alla Ver<strong>it</strong>à trascendente, era<br />

<strong>di</strong>venuto l’ amore <strong>di</strong> Dio che, in Plotino, riconduce l’ uomo al suo Principio, nella circolar<strong>it</strong>à<br />

del rapporto Dio/mondo. <strong>Il</strong> pichiano Francesco Giorgio Veneto minor<strong>it</strong>a, si riconosce nella<br />

tra<strong>di</strong>zione ermetico-p<strong>it</strong>agorico-platonica che Ficino e Pico <strong>di</strong>ffondono fra i dotti del loro<br />

tempo, rest<strong>it</strong>uendo loro gli scr<strong>it</strong>ti magico-ermetici. Risonanze ermetiche, platoniche,<br />

cabalistiche e pichiane si r<strong>it</strong>rovano nella sua concezione dell’ universo “Governato da leggi<br />

numeriche … vivente immagine <strong>di</strong> Dio, concerto intonato alla gloria del Signore … <strong>Il</strong> filosofo<br />

non fa che trascrivere la musica arcana che scan<strong>di</strong>sce il r<strong>it</strong>mo del <strong>di</strong>venire … Armonia,<br />

bellezza e bontà si fondono in questa intuizione estetica della realtà, che insieme giustifica<br />

una conoscenza matematica delle cose …” 57 .<br />

Non si può <strong>di</strong>menticare, d’ altra parte, la preoccupazione dell’ altro grande <strong>platonico</strong><br />

fiorentino, Giovan Battista Pico della Mirandola, per <strong>di</strong>rla con Garin, <strong>di</strong> “ … mettere d’<br />

55 Nel “Dialogo” l’ aristotelista Simplicio pone una domanda angosciata e carica <strong>di</strong> incogn<strong>it</strong>e per il sapere del tempo: “Ma<br />

quando si lasci Aristotele, chi ne ha da essere scorta nella filosofia? Nominate voi qualche mentore”. E il copernicano Salviati<br />

risponde con pacata sicurezza: “Ci è bisogno <strong>di</strong> scorta ne i paesi incogn<strong>it</strong>i e selvaggi ma ne i luoghi paerti e piani i ciechi<br />

solamente hanno bisogno <strong>di</strong> guida; e chi è tale, è ben che si resti in casa, ma chi ha gli occhi nella fronte e nella mente, <strong>di</strong> quelli<br />

si ha da servire per iscorta. Né perciò <strong>di</strong>co io che non si deva ascoltare Aristotele, anzi laudo il vederlo e <strong>di</strong>ligentemente<br />

stu<strong>di</strong>arlo, e solo biasimo il darsegli in preda in maniera che alla cieca si sottoscriva a ogni suo detto e, senza cercarne altra<br />

ragione, si deva avere per decreto inviolabile; il che è un abuso che si tira <strong>di</strong>etro un altro <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ne estremo, ed è che altri non<br />

si applica più a cercar d’ intender la forza delle sue <strong>di</strong>mostrazioni. E qual cosa è più vergognosa che ‘l sentir nelle pubbliche<br />

<strong>di</strong>spute, mentre si tratta <strong>di</strong> conclusioni <strong>di</strong>mostrabili, uscir un <strong>di</strong> traverso con un testo, e bene spesso scr<strong>it</strong>to in ogni altro<br />

propos<strong>it</strong>o, e con esso serrar la bocca all’ avversario? Ma quando pure voi vogliate continuare in questo modo <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>are,<br />

deponete il nome <strong>di</strong> filosofi, e chiamatevi o istorici o dottori <strong>di</strong> memoria; chè non conviene che quelli che non filosofano mai, si<br />

usurpino l’ onorato t<strong>it</strong>olo <strong>di</strong> filosofo”. <strong>Galileo</strong> <strong>Galilei</strong>, Discorso sopra i due massimi sistemi del mondo tolemaico e copernicano<br />

(1632), in: Opere <strong>di</strong> <strong>Galileo</strong> <strong>Galilei</strong>, Firenze 1929-39, VII, 138-9.<br />

56 Eugenio Garin, “La filosofia dell’ amore. Sincretismo <strong>platonico</strong>-aristotelico”, in Storia della filosofia <strong>it</strong>aliana, Volume secondo,<br />

Einau<strong>di</strong>, Torino 1966, 581-615, 581. Dopo aver analizzato nei vari autori, il ripensamento del platonismo, ormai scaduto a vacuo<br />

eclettismo, Garin osserva argutamente: “Che cosa fosse ormai <strong>di</strong>ventato il vezzo <strong>di</strong> chiosare, confrontare, accordare, balza agli<br />

occhi solo che si scorrano i libri <strong>di</strong> un Gabriello Buratelli, che promette ancora una volta la conciliazione aristotelico-platonica,<br />

“opud desideratum et a veteribus et recentioribus pollic<strong>it</strong>um, non tamen absolutum”; o le deca<strong>di</strong> del Beni, che commentando il<br />

Timeo, mette insieme la filosofia <strong>di</strong>vina <strong>di</strong> Platone e quella naturale <strong>di</strong> Aristotele; o il tante volte ristampato e veramente<br />

monumentale Seminarium totius philosophiae del Bernar<strong>di</strong>, che è, almeno, un <strong>di</strong>zionario e un repertorio alfabetico del pensiero<br />

classico e scolastico”. E conclude acutamente Garin: “<strong>Il</strong> <strong>Galilei</strong> si domandava, ironico, come, dopo aver tanto sottilmente<br />

speculato su mille autori, uno riuscisse ancora a pensare qualcosa <strong>di</strong> proprio. In realtà, oltre Platone e Aristotele, anche se,<br />

almeno in parte, alla loro scuola, era nato, ormai, rubusto e v<strong>it</strong>ale, il maggior pensiero filosofico <strong>it</strong>aliano, <strong>di</strong> Telesio e <strong>di</strong> <strong>Galileo</strong>,<br />

<strong>di</strong> Bruno e <strong>di</strong> Campanella” (609).<br />

57 Eugenio Garin, op. c<strong>it</strong>., 595 e sgg..<br />

27


accordo platonismo e aristotelismo in una sintesi cristiana” 58 . E’ vero che nei platonici dell’<br />

Accademia fiorentina, il platonismo sembra dover essere soprattutto conferma del<br />

cristianesimo e che l’ ottica <strong>di</strong> Marsilio Ficino nella lettura <strong>di</strong> Platone e Plotino è quella del<br />

(neo) platonismo agostiniano. E non è meno vero che, se il naturalismo del Cinquecento si<br />

libera del misticismo <strong>platonico</strong> del secolo precedente, conferma all’ uomo la central<strong>it</strong>à nel<br />

mondo assegnatagli da Marsilio Ficino (l’ uomo anello <strong>di</strong> congiunzione tra il <strong>di</strong>vino e il<br />

corporeo). Da Pomponazzi a Piccolomini a Cremonini, nei maggiori aristotelici è fortemente<br />

presente la <strong>di</strong>gn<strong>it</strong>à e la potenza dell’ uomo, che, fatto ad immagine e somiglianza <strong>di</strong> Dio, si<br />

muove nella natura come nel proprio regno.<br />

Eugenio Garin ha recisamente sostenuto che “Chi continuasse a vedere l’ aristotelismo<br />

padovano del Cinquecento e del primo Seicento solo come una scia d’ ombra me<strong>di</strong>evale<br />

prolungatasi nell’ età moderna, mostrerebbe una strana incomprensione tra i più interessanti<br />

motivi del pensiero moderno” 59 . Occorre guardare tanto all’ aristotelismo quanto al<br />

platonismo, entrambi rinnovati, per comprendere il naturalismo <strong>di</strong> un Bernar<strong>di</strong>no Telesio o <strong>di</strong><br />

un Giordano Bruno, ma soprattutto, la scienza <strong>di</strong> un <strong>Galileo</strong> <strong>Galilei</strong>, anche se le due scuole<br />

restano pur sempre <strong>di</strong>stinte 60 . San Tommaso, Averroè, Alessandro d’ Afro<strong>di</strong>sia, continuano<br />

ad alimentare le <strong>di</strong>atribe sulla mortal<strong>it</strong>à dell’ anima <strong>di</strong> non pochi “trombetti”, come definirà<br />

gli aristotelisti <strong>Galileo</strong> <strong>Galilei</strong> (che consiglierà loro <strong>di</strong> rinunciare a chiamarsi filosofi, ed a<br />

<strong>di</strong>rsi piuttosto “istorici o dottori <strong>di</strong> memoria”). Ma, nel frattempo, l’ aristotelico Pomponazzi<br />

esige “… una natura che procede rigidamente per leggi proprie, dove tutto è or<strong>di</strong>nato e<br />

connesso senza interventi <strong>di</strong> elementi appartenenti a piani <strong>di</strong>versi” ricorda Garin, e non vi è<br />

dubbio che le indagini logiche e le “questiones naturales” <strong>di</strong> un altro aristotelico, Zabarella 61 ,<br />

infliggano fieri colpi alla fisica aristotelica tra<strong>di</strong>zionale, aprendo uno spiraglio al naturalismo<br />

<strong>di</strong> un Bernar<strong>di</strong>no Telesio, che intende stu<strong>di</strong>are la natura secondo i suoi stessi principi. Garin<br />

ha riba<strong>di</strong>to, senza equivoci, che il metodo <strong>di</strong> <strong>Galileo</strong> ha le sue ra<strong>di</strong>ci nell’ aristotelismo<br />

padovano, ma, si ponga attenzione, “… per l’ inserzione dell’ influenza <strong>di</strong> Archimede sullo<br />

58 Eugenio Garin, op. c<strong>it</strong>., 582.<br />

59 Eugenio Garin, “L’ aristotelismo da Pomponazzi a Cremonini”, in Storia della filosofia <strong>it</strong>aliana c<strong>it</strong>., 499-580, 502.<br />

60 John Herman Randall Jr., “<strong>Il</strong> metodo scientifico allo Stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Padova”, in Philip P. Wiener e Aaron Noland, Le ra<strong>di</strong>ci del<br />

pensiero scientifico c<strong>it</strong>., 147-55, sostiene una tesi <strong>di</strong> grande rilievo attorno ai reali mer<strong>it</strong>i <strong>di</strong> <strong>Galileo</strong> e dei suoi contemporanei<br />

nella scoperta del metodo ipotetico-deduttivo-sperimentale: “… la concezione della scienza, dei suoi rapporti con l’ osservazione<br />

dei fatti e del metodo con cui essa andava persegu<strong>it</strong>a e formulata, che <strong>Galileo</strong> trasmise ai suoi successori, non era opera dei<br />

nuovi indagatori del metodo < i filosofi naturali del Seicento >. Pare invece che quest’ opera sia stata il risultato finale degli<br />

sforzi concom<strong>it</strong>anti <strong>di</strong> <strong>di</strong>eci generazioni <strong>di</strong> scienziati che stu<strong>di</strong>arono i problemi metodologici nelle univers<strong>it</strong>à dell’ Italia<br />

settentrionale. Per tre secoli i filosofi della natura dello Stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Padova, in fertile scambio con i lettori della facoltà <strong>di</strong> me<strong>di</strong>cina,<br />

si de<strong>di</strong>carono alla cr<strong>it</strong>ica e alla <strong>di</strong>ffusione <strong>di</strong> questa concezione e <strong>di</strong> questo metodo e mirarono a dargli solide fondamenta<br />

attraverso un’ attenta analisi dell’ esperienza. Questo conferì loro una raffinatezza e una precisione <strong>di</strong> linguaggio che non vene<br />

superata, malgrado il loro accurato stu<strong>di</strong>o del metodo, nenanche da parte <strong>di</strong> quegli scienziati del Seicento che pure se ne<br />

servirono” (148). Gli storici della scienza che hanno rimarcato l’ “affrancamento” dei filosofi naturali <strong>di</strong> Cinque e Seicento dai<br />

secoli precedenti, avrebbero commesso un consistente errore, ignorando legami e continu<strong>it</strong>à. <strong>Il</strong> lavoro degli scienziati moderni<br />

avrebbe, in sostanza, le sue ra<strong>di</strong>ci nel tardo Me<strong>di</strong>oevo, e certamente non si può non con<strong>di</strong>videre l’ affermazione <strong>di</strong> Randall Jr.<br />

quando sostiene, andando ancor più a r<strong>it</strong>roso nella ricerca <strong>di</strong> premesse e con<strong>di</strong>zioni, che “L’ idea basilare <strong>di</strong> una scienza della<br />

struttura matematica della natura fondata sull’ esperienza emerse non appena gli Europei cominciarono a esplorare la sapienza<br />

degli Antichi. Essa si sviluppò nel quadro generale del primo corpo <strong>di</strong> materiale antico assimilato, la filosofia agostiniana della<br />

ragione, che era poi il risultato platonizzato del pensiero ellenistico. Essa attingeva in particolare alle versioni arabe della scienza<br />

alessandrina, anche se il contatto <strong>di</strong>retto con il complesso della matematica, astronomia e meccanica greca fu l’ ultimo a venir<br />

stabil<strong>it</strong>o: Archimede non fu < ri > conosciuto fino al Cinquecento. Ma l’ idea <strong>di</strong> una scienza del genere e <strong>di</strong> molti dei suoi<br />

meto<strong>di</strong> e concetti era nota agli Europei fin dal XII secolo” (149-50”. “Se – conclude Randall Jr. – si giunse ai concetti della fisica<br />

matematica attraverso una lunga cr<strong>it</strong>ica delle idee aristoteliche, il “nuovo metodo”, la logica e la metodologia accolte ed<br />

espresse da <strong>Galileo</strong> e destinate a <strong>di</strong>venire il metodo scientifico dei fisici del Seicento … furonoil risultato <strong>di</strong> una fertile<br />

ricostruzione cr<strong>it</strong>ica della teoria scientifica aristotelica intrapresa in particolare a Padova e fecondata dalle <strong>di</strong>scussioni<br />

metodologiche dei commentatori dei gran<strong>di</strong> me<strong>di</strong>ci del passato.” (154).<br />

61 Eugenio Garin, Op. c<strong>it</strong>., (561) sottolinea, a propos<strong>it</strong>o dell’ ultimo aristotelismo <strong>di</strong> Padova, che “… resta evidente il lavoro<br />

cr<strong>it</strong>ico attraverso il quale si venivano aprendo la strada la filosofia e la scienza del Seicento, che se non furono la logica<br />

conseguenza <strong>di</strong> questo sforzo d’ indagine, come avrebbe amato asserire una storiografia quasi meccanicamente scan<strong>di</strong>ta nel<br />

r<strong>it</strong>mo del progresso, si servirono cero <strong>di</strong> un prezioso materiale d’ indagine, <strong>di</strong> un’ accorta e sottile chiarificazione <strong>di</strong> concetti. <strong>Il</strong><br />

Cremonini fu collega <strong>di</strong> <strong>Galileo</strong>, vivace nell’ asserire i <strong>di</strong>r<strong>it</strong>ti dell’ indagine e nel determinare regole meto<strong>di</strong>che e principi logici,<br />

uomo che uno storico bizzarro amò raffigurare una volta a colloquio con Cartesio, quasi a confortarne i propos<strong>it</strong>i così duramente<br />

rivoluzionari, anche se, certo, rivoluzionario egli non fu, ma anzi legato a una tra<strong>di</strong>zione stanca, e <strong>di</strong>sposto, per <strong>di</strong>fenderla, non<br />

solo a rifiutare la testimonianza dell’ esperienza, ma anche a unirsi, con gesto questa volta non eroico, a chi denunciava l’ opera<br />

<strong>di</strong> Telesio all’ Inquisizione”.<br />

28


sviluppo dell’ indagine naturale d’ Aristotele”. “Analisi, risoluzione, che parte dal dato<br />

sperimentale per giungere a quella struttura matematica che cost<strong>it</strong>uisce l’ ossatura della realtà,<br />

giunto alla quale il pensiero con processo autonomo procede alla formulazione <strong>di</strong> leggi<br />

universali, che l’ esperienza a sua volta tornerà a confermare. Matematica e sensata esperienza<br />

vengono così a congiungersi e a saldarsi perfettamente, attraverso la fede nell’ umano<br />

intelletto, o meglio, nella <strong>di</strong>vin<strong>it</strong>à dell’ umano intelletto, capace <strong>di</strong> aprirsi una strada a cogliere<br />

i processi <strong>di</strong>vini” 62 .<br />

Antonio Banfi, nel suo razionalismo cr<strong>it</strong>ico, si è incontrato con le posizioni <strong>di</strong> <strong>Galileo</strong> <strong>Galilei</strong>,<br />

ostile al dogmatismo speculativo degli aristotelici suoi contemporanei, che costringe i dati<br />

dell’ osservazione entro schemi a priori e li piega a tesi precost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>e. <strong>Il</strong> metodo <strong>di</strong> <strong>Galileo</strong><br />

<strong>Galilei</strong> è, secondo Banfi, proprio l’ opposto dei proce<strong>di</strong>menti mentali degli aristotelisti 63<br />

62 Eugenio Garin, Op. c<strong>it</strong>., 846.<br />

63 Antonio Banfi, V<strong>it</strong>a <strong>di</strong> <strong>Galileo</strong> <strong>Galilei</strong>, <strong>Il</strong> Saggiatore, Milano 1971. Banfi scrive che “… <strong>Galileo</strong> si trovava <strong>di</strong> fronte la mental<strong>it</strong>à<br />

stessa degli ambienti accademici che aveva conosciuto a Pisa ed a Padova: l’ autor<strong>it</strong>à <strong>di</strong> una tra<strong>di</strong>zione speculativa, come quella<br />

aristotelica, che sollevava l’ esperienza volgare, interpretandola finalisticamente, in un’ organica sistematica metafisica; il<br />

metodo deduttivo e analogico, in<strong>di</strong>fferente alla pressione dell’ esperienza; la fede nei principi e l’ uso incontrollato dei concetti<br />

speculativi; la pigra certezza <strong>di</strong> una ver<strong>it</strong>à raggiunta, sistematicamente conclusa e defin<strong>it</strong>a. <strong>Il</strong> nuovo sapere era, <strong>di</strong> fronte a<br />

quella, ar<strong>di</strong>mento infaticabile <strong>di</strong> ricerca: osservazione sperimentale <strong>di</strong>retta, meto<strong>di</strong>ca analisi, secondo il proce<strong>di</strong>mento<br />

geometrico della sua intima struttura relativa, costruzione e chiarificazione dei concetti e dei principi <strong>di</strong> tale risoluzione, rinuncia<br />

ad una ver<strong>it</strong>à conclusa per una ver<strong>it</strong>à progressiva, a un sistema teologico del mondo, secondo un ideale dogmatico della<br />

ragione, per lo sviluppo indefin<strong>it</strong>o <strong>di</strong> un’ immanente trama razionale dell’ esperienza. E ciò corrispondeva all’ ant<strong>it</strong>esi tra l’ ideale<br />

<strong>di</strong> una cultura staticamente fissata nei suoi valori e quello <strong>di</strong> una cultura aperta, <strong>di</strong>namica, in cui la ragione valesse non come<br />

principio <strong>di</strong> una dotta saggezza, ma <strong>di</strong> una umana coscienza ed energia … <strong>Galileo</strong> metteva in guar<strong>di</strong>a gli amici contro il<br />

pregiu<strong>di</strong>zio <strong>di</strong> una ver<strong>it</strong>à defin<strong>it</strong>ivamente raggiunta, ostile alla spregiu<strong>di</strong>cata libertà dell’ esperienza, come al progressivo sviluppo<br />

della ragione”.<br />

29


5. <strong>Il</strong> mondo-macchina<br />

5.1. Lo statuto epistemologico del <strong>realismo</strong> <strong>platonico</strong> <strong>di</strong> <strong>Galileo</strong> <strong>Galilei</strong>: un <strong>di</strong>lemma. La<br />

matematizzazione della natura e della fisica compiuta da <strong>Galileo</strong> <strong>Galilei</strong> assieme a numerosi<br />

altri protagonisti della prima Rivoluzione scientifica, scaturisce da una salda concezione<br />

realistica, metafisica e platonica, oppure cost<strong>it</strong>uisce un’ ipotesi euristica, del tipo del<br />

corporeismo <strong>di</strong> Thomas Hobbes, o degli “stati <strong>di</strong> cose” <strong>di</strong> Ludwig W<strong>it</strong>tgenstein? <strong>Il</strong> primo<br />

W<strong>it</strong>tgenstein non intendeva fondare un’ ontologia, quando ragionava sul principio <strong>di</strong><br />

verificazione e sulle proposizioni atomiche-elementari. Che avrebbero il loro riscontro in<br />

“stati <strong>di</strong> cose”. Hobbes, da parte sua, era alla ricerca <strong>di</strong> una gnoseologia fisiologica ed intese<br />

ricondurre la conoscenza all’ urto e al moto <strong>di</strong> corpi. Per quanto si sia a lungo insist<strong>it</strong>o sul<br />

“platonismo matematico” <strong>di</strong> <strong>Galileo</strong>, e per quanto <strong>Galileo</strong> consideri “<strong>di</strong>vini” Platone, Euclide,<br />

Archimede, dovremmo propendere per la seconda soluzione. Si possono proporre, al<br />

riguardo, alcune interpretazioni e riflessioni.<br />

5.2. Modelli matematici teorici, fenomeni e loro corrispondenza. Una prima questione. Nella<br />

Quarta Giornata dei “Discorsi e <strong>di</strong>mostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze” – l’<br />

opera della tarda matur<strong>it</strong>à <strong>di</strong> <strong>Galileo</strong> – l’ aristotelico Simplicio dub<strong>it</strong>a che, nelle “praticate<br />

esperienze”, nella concreta realtà fenomenica, la traiettoria <strong>di</strong> un proiettile sia proprio una<br />

semiparabola come gli ha <strong>di</strong>mostrato teoricamente il copernicano Salviati. La questione è<br />

rilevante. I modelli matematici teorici possono applicarsi ai fenomeni? I modelli teorici<br />

collimano con l’ esperienza concreta? <strong>Galileo</strong> fa <strong>di</strong>re a Salviati che si può accettare una<br />

corrispondenza approssimata tra modelli geometrici e fenomeni. Non è necessario che i<br />

fenomeni corrispondano e collimino perfettamente con le leggi matematiche. L’<br />

approssimazione è lec<strong>it</strong>a. Ma in virtù <strong>di</strong> che cosa? E’ un risibile residuo? E’ da ricondurre ad<br />

una platonica “spazial<strong>it</strong>à indeterminata” che fatica ad accogliere la forma, perfetta e<br />

intelligibile?<br />

Archimede stesso si prende una licenza, <strong>di</strong>ce Salviati, quando “piglia come principio vero, l’<br />

ago della bilancia o stadera essere una linea retta in ogni suo punto equalmente <strong>di</strong>stante dal<br />

centro comune de i gravi, e le corde alle quali sono appesi i gravi esser tra <strong>di</strong> loro parallele”.<br />

Quando le tacche della stadera sono in equilibrio, il giogo è orizzontale. L’ approssimazione è<br />

giustificata: “nelle nostre pratiche gli strumenti nostri e le <strong>di</strong>stanze le quali vengono da noi<br />

adoprate, son così piccole in comparazione della nostra gran lontananza dal centro del globo<br />

terrestre, che ben possiamo prendere un minuto <strong>di</strong> un grado del cerchio massimo come se<br />

fusse una linea retta, e due perpen<strong>di</strong>colari che da i suoi estremi pendessero, come se fussero<br />

paralleli” 64 . Insomma, data la circonferenza massima (della Terra), se ne prenda un minuto <strong>di</strong><br />

grado: è un arco <strong>di</strong> circonferenza, ma, date le proporzioni, si può considerare come il<br />

segmento <strong>di</strong> una retta. E, se proprio volessimo badare alle “minuzie”, dovremmo riprendere<br />

gli stessi arch<strong>it</strong>etti, “li quali col perpen<strong>di</strong>colo suppongono d’ alzar le altissime torri tra linee<br />

equi<strong>di</strong>stanti”. Le torri, “altissime”, a rigore non sono parallele, anche se controllate col filo a<br />

piombo. Se tendono entrambe al centro (della Terra), saranno convergenti alla base e<br />

<strong>di</strong>vergenti alla somm<strong>it</strong>à. Archimede superava ogni <strong>di</strong>fficoltà prendendo per ipotesi che siano<br />

ad una <strong>di</strong>stanza infin<strong>it</strong>a dal centro della Terra. Certo, in realtà la <strong>di</strong>stanza non è infin<strong>it</strong>a, ma<br />

possiede un’ ent<strong>it</strong>à pur sempre enorme nei confronti delle esigue <strong>di</strong>mensioni <strong>di</strong> una torre, per<br />

quanto alta appaia a noi.<br />

5.3. Finalismo e antropocentrismo antichi e moderni. Una seconda questione. <strong>Il</strong> filosofo che<br />

muova da un’ interpretazione metafisica del Cosmo, sull’ esempio della “Monadologia” <strong>di</strong><br />

Leibniz o del panenteismo <strong>di</strong> Spinoza, non può non possedere una prospettiva teleologica. Chi<br />

r<strong>it</strong>enga <strong>di</strong> possedere la struttura ontologica e ultima della realtà, intravvede anche l’<br />

64 <strong>Galileo</strong> <strong>Galilei</strong>, Discorsi e <strong>di</strong>mostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze, Boringhieri, Torino 1958.<br />

30


intervento, nella vicenda cosmica, <strong>di</strong> una final<strong>it</strong>à e <strong>di</strong> una progettual<strong>it</strong>à che oltrepassano la<br />

mera <strong>di</strong>mensione meccanicistica-causale dei fenomeni. Tra gli antichi non vi fu chi si astenne<br />

dal teleologismo, se si escludono gli atomisti Leucippo e Democr<strong>it</strong>o, che, sopravvissuti<br />

attraverso Epicuro, Lucrezio e Gassen<strong>di</strong>, sarebbero tornati in auge nel corpuscolarismo<br />

moderno (dal quale si deve escludere il solo Cartesio). <strong>Galileo</strong> <strong>Galilei</strong> rigettò tanto il<br />

finalismo tra<strong>di</strong>zionale quanto quello moderno (umanistico). Li r<strong>it</strong>enne semplicistici e<br />

arroganti. <strong>Il</strong> finalismo operante nell’ universo traspare attraverso le regolar<strong>it</strong>à e le leggi della<br />

natura, ma supera <strong>di</strong> gran lunga la comprensione umana e non può esser ridotto ad una<br />

prospettiva banalmente e imme<strong>di</strong>atamente antropocentrica.<br />

Ma l’ uomo deve proprio possedere una collocazione privilegiata nel Creato? <strong>Il</strong> copernicano<br />

Salviati, mentre <strong>di</strong>fende l’ eliocentrismo, nel “Dialogo”, dest<strong>it</strong>uisce d’ogni fondamento l’<br />

antropocentrismo che contrad<strong>di</strong>stingue tutta la cosmologia occidentale (antica, me<strong>di</strong>oevale e<br />

moderna). La questione in gioco è l’ ent<strong>it</strong>à del raggio del cielo delle stelle fisse rispetto a<br />

quello della Terra. Ora, se l’ orbe <strong>di</strong> Saturno, il pianeta più lontano dalla Terra, è cosa infima<br />

rispetto alla sfera delle stelle fisse, il fatto che non vi sia parallasse delle stelle non s’ oppone<br />

al moto della Terra attorno al Sole, come sostenevano gli aristotelisti. D’ altra parte, l’<br />

aristotelista Simplicio non accetta la spropos<strong>it</strong>ata <strong>di</strong>stanza tra la Terra e i pianeti che le sono<br />

prossimi, da una parte, e il cielo delle stelle fisse, dall’ altra. Fra Saturno, il più esterno<br />

rispetto alla Terra, e il cielo delle stelle fisse ci sarebbe un vuoto dalle <strong>di</strong>mensioni inus<strong>it</strong>ate, <strong>di</strong><br />

cui non vi sarebbe ragione. “ … mi pare che – osserva il copernicano Salviati all’ aristotelista<br />

Simplicio -, sì come nell’ apprension de’ numeri, come si comincia a passar quelle migliaia <strong>di</strong><br />

milioni, l’ immaginazion si confonde né può più formar concetto, così avvenga anche nell’<br />

apprender grandezze e <strong>di</strong>stanze immense; sì che intervenga al <strong>di</strong>scorso effetto simile a quello<br />

che accade al senso, che mentre nella notte serena io guardo verso le stelle, giu<strong>di</strong>co al senso la<br />

lontananza loro esser <strong>di</strong> poche miglia, né esser le stelle fisse punto più remote <strong>di</strong> Giove o <strong>di</strong><br />

Saturno, anzi pur né della Luna. Ma, senza più, considerate le controversie passate tra gli<br />

astronomi ed i filosofi peripatetici per cagione della lontananza delle stelle nuove <strong>di</strong><br />

Cassiopea e del Sag<strong>it</strong>tario, riponendoli quelli tra le fisse, e questi credendole più basse della<br />

Luna: tanto è impotente il nostro senso a <strong>di</strong>stinguere le <strong>di</strong>stanze gran<strong>di</strong> dalle gran<strong>di</strong>ssime,<br />

ancor che queste in fatto siano molte migliaia <strong>di</strong> volte maggiori <strong>di</strong> quelle. E finalmente io ti<br />

domando, oh uomo sciocco: compren<strong>di</strong> tu con l’ immaginazione quella grandezza dell’<br />

universo, la quale tu giu<strong>di</strong>chi poi essere troppo vasta? Se la compren<strong>di</strong>, vorrai tu stimar che la<br />

tua apprensione si estenda più che la potenza <strong>di</strong>vina, vorrai tu <strong>di</strong>r d’immaginarti cose<br />

maggiori <strong>di</strong> quelle che Dio possa operare? Ma se non la compren<strong>di</strong>, perché vuoi apportar<br />

giu<strong>di</strong>zio delle cose da te non cap<strong>it</strong>e?”.<br />

E ancora: è da stolti credere che l’ onniscienza e l’ onnipotenza <strong>di</strong>vina possano essere del tutto<br />

assorb<strong>it</strong>e dalla preoccupazione per le cose umane. “Troppo mi par che ci arroghiamo, signor<br />

Simplicio, mentre vogliamo che la sola cura <strong>di</strong> noi sia l’ opera adeguata ed il termine oltre al<br />

quale la <strong>di</strong>vina sapienza e potenza niuna altra cosa faccia o <strong>di</strong>sponga”. Infine: conoscerei la<br />

funzione della milza nel mio corpo solo che mi fosse asportata. E così si <strong>di</strong>ca della funzione <strong>di</strong><br />

Giove o Saturno nell’ universo. “… io stimo – <strong>di</strong>ce Sagredo – una delle maggiori arroganze<br />

… il <strong>di</strong>re “Perch’ io non so a quel che mi serva Giove o Saturno, adunque questi son<br />

superflui, anzi non sono in natura”; mentre che, oh stoltissimo uomo, io non so né anco a quel<br />

che mi servano le arterie, le cartilagini, la milza o il fele, anzi né saprei d’ avere il fele, la<br />

milza o i reni, se in molti cadaveri tagliati non mi fussero stati mostrati, ed allora solamente<br />

potrei intender quello che operi in me la milza, quando ella mi fusse levata” 65 . In conclusione:<br />

<strong>Galileo</strong> <strong>Galilei</strong> non nega vi possa, anzi vi debba essere, una prospettiva finalistica nella<br />

vicenda dell’ universo, ma essa certamente trascende le possibil<strong>it</strong>à <strong>di</strong> comprensione umana.<br />

65 <strong>Galileo</strong> <strong>Galilei</strong>, Dialogo c<strong>it</strong>, E<strong>di</strong>zione elettronica Manuzio, 215 e sgg..<br />

31


5.4. Una nuova concezione dell’ esperienza. Nelle “Lettere copernicane” <strong>di</strong> <strong>Galileo</strong> <strong>Galilei</strong>, il<br />

<strong>realismo</strong> era sicuro e spavaldo; nel “Dialogo” subentrano più attente consapevolezze, anche se<br />

il suo <strong>realismo</strong> non viene messo in dubbio. <strong>Il</strong> filosofo naturale, là, sosteneva, senz’ ombra <strong>di</strong><br />

dubbio, la veri<strong>di</strong>c<strong>it</strong>à fisica del sistema copernicano. Qui, riconosce i lim<strong>it</strong>i della conoscenza<br />

scientifica, che è comunque conoscenza fondata su ipotesi.<br />

Certo le ipotesi scientifiche hanno ben poco a che vedere con le “congetture” dei teologi e<br />

degli astronomi tra<strong>di</strong>zionali. Le ipotesi scientifiche cercano la loro conferma sperimentale<br />

nella realtà naturale. Ma non ambiscono a costruire un sapere assoluto, a conseguire una<br />

ver<strong>it</strong>à assoluta. La <strong>di</strong>mensione naturale, cui il filosofo matematico applica ipotesi razionali e<br />

sperimentali, non deve intendersi come assoluta e metafisica. Ciò non significa che le leggi<br />

naturali acquis<strong>it</strong>e attraverso la verifica sperimentale cost<strong>it</strong>uiscano delle mere convenzioni o<br />

siano prive <strong>di</strong> veri<strong>di</strong>c<strong>it</strong>à. <strong>Il</strong> fatto è che, <strong>di</strong>rebbe Paolo Rossi, il mondo doveva essere<br />

“sottoposto ad analisi, ricondotto ad un modello meccanico il più possibile semplice,<br />

interpretato matematicamente”.<br />

Della antica tesi atomista circa la <strong>di</strong>stinzione tra le qual<strong>it</strong>à oggettive e le qual<strong>it</strong>à soggettive dei<br />

corpi, si avvalsero, oltre che <strong>Galileo</strong>, moderni come Cartesio, Hobbes, Mersenne, Gassen<strong>di</strong>,<br />

Pascal, fondando il meccanicismo che avrebbe dominato nella scienza sino a tutto l’<br />

Ottocento. <strong>Il</strong> mondo circostante e imme<strong>di</strong>ato, soggetto al senso comune, era dest<strong>it</strong>u<strong>it</strong>o <strong>di</strong><br />

fondamento. Suoni, sapori, colori – ma, secondo <strong>Galileo</strong>, anche il calore – “tengono<br />

solamente lor residenza nel corpo sens<strong>it</strong>ivo”, il che implica che, se si rimuove la coscienza del<br />

senziente, <strong>di</strong> quelle qual<strong>it</strong>à non restano che i nomi. Oggettive sono soltanto le qual<strong>it</strong>à<br />

geometrico-matematiche. Altri, come Thomas Hobbes, avrebbero ricondotto le stesse qual<strong>it</strong>à<br />

secondarie al moto e all’ urto tra corpi, secondo una spiegazione meccanicistica. La fisica<br />

espungeva da sé qualsiasi residuo <strong>di</strong> antropomorfismo. Si <strong>di</strong>ssolveva la gnoseologia<br />

tra<strong>di</strong>zionale e scolastica secondo cui qual<strong>it</strong>à specifiche, proprie del corpo stesso, sono all’<br />

origine delle proprietà che nel corpo si possono osservare.<br />

In un mondo-macchina non vi può esser più alcuna gerarchia ontologica <strong>di</strong> perfezioni. E<br />

nulla, in un tale universo, sembra esser funzionale o finalizzato all’ uomo. Ogni parte del<br />

mondo, come ogni ingranaggio <strong>di</strong> una macchina, ha la stessa importanza ai fini del buon<br />

funzionamento del tutto. Analizzare quella macchina che è il mondo in ciascuna sua parte,<br />

stabilire in quali relazioni siano le singole parti, significa operare misure matematiche e<br />

quant<strong>it</strong>ative, ridurre tutto a variazione quant<strong>it</strong>ativa e misurabile.<br />

Rimuovendo il significato aristotelico <strong>di</strong> esperienza come constatazione empirica scatur<strong>it</strong>a dal<br />

senso comune, <strong>Galileo</strong> <strong>Galilei</strong> la piegava all’ indagine cr<strong>it</strong>ica del ragionamento, oltre ogni<br />

<strong>di</strong>mensione soggettiva, e la formalizzava matematizzandola. Evidenziava le proprietà<br />

geometriche dei fenomeni, escludendone le qual<strong>it</strong>à sensibili; oppure, isolava e misurava<br />

alcuni loro aspetti quantificabili (come il tempo e lo spazio nella caduta dei gravi).<br />

Confermava la <strong>di</strong>stinzione tra qual<strong>it</strong>à primarie geometrico-matematiche dei corpi e qual<strong>it</strong>à<br />

secondarie e soggettive.<br />

Aristotele aveva <strong>di</strong>stinto tra il “come” avvengono i fatti naturali (<strong>di</strong> pertinenza delle scienze<br />

particolari) e il loro “perché”, che riguarda la scienza delle cause e dei principi primi, la<br />

metafisica. <strong>Galileo</strong> <strong>Galilei</strong> confermò la <strong>di</strong>stinzione, lim<strong>it</strong>ando la scienza al “come”, alla<br />

descrizione del fatto scientifico. La spiegazione si avvale della legge naturale, che fornisce le<br />

ragioni della produzione e dello svolgimento dei fatti scientifici: il loro “come”. A tale fine, la<br />

ragione scientifica interroga cr<strong>it</strong>icamente l’ esperienza, pre<strong>di</strong>sponendo teorie matematiche.<br />

Nel “Dialogo”, il quadro teorico generale è cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>o dal sistema copernicano. Esso può<br />

essere integrato con nuove ipotesi, ma quel che importa è che i fatti osservati siano<br />

riconducibili alla teoria generale, attraverso un modello ideale semplice, dal quale risultino<br />

deducibili.<br />

32


6. “Dal mondo del pressappoco all’ universo della precisione”<br />

6.1. L’ esigenza <strong>di</strong> precisione nelle misurazioni. Una <strong>di</strong>ffusa esigenza <strong>di</strong> precisione nelle<br />

misurazioni ha accompagnato la prima età moderna. Paolo Rossi ha rilevato come, nel<br />

secondo Cinquecento, l’ economia mercantile precap<strong>it</strong>alistica urbana esiga “una più esatta<br />

misurazione del tempo” e come la <strong>di</strong>ffusione dell’ orologio e <strong>di</strong> strumenti più precisi<br />

caratterizzi quest’ età 66 . Però, solo con <strong>Galileo</strong> o con Huygens, l’orologio <strong>di</strong>venta uno<br />

strumento scientifico. E non solo per le richieste dell’ astronomia e della fisica, ma anche per<br />

quelle della navigazione oceanica. In ogni caso, l’ età moderna ha recato due questioni,<br />

strettamente legate tra loro: la misura e la conservazione del tempo. Huygens e <strong>Galileo</strong> hanno<br />

risolto il primo grazie alle oscillazioni del pendolo. Huygens ha risolto il secondo in virtù del<br />

sistema bilancere-spirale.<br />

La prima rivoluzione scientifica ha profondamente mo<strong>di</strong>ficato la tra<strong>di</strong>zionale immagine del<br />

mondo fisico. Un t<strong>it</strong>olo <strong>di</strong> Alexandre Koyré esprime molto bene <strong>di</strong> che cosa si sia trattato:<br />

“Dal mondo del pressappoco all’ universo della precisione” 67 . Lo stesso Koyré scrive che<br />

“<strong>Galileo</strong>, costruendo i primi strumenti scientifici e mostrando al genere umano cose mai viste<br />

prima <strong>di</strong> allora, rese accessibili alla ricerca scientifica i due mon<strong>di</strong> strettamente connessi dell’<br />

infin<strong>it</strong>amente grande e dell’ infin<strong>it</strong>amente piccolo” 68 . La cosa è <strong>di</strong> enorme importanza, ma<br />

Koyré sottolinea anche che “… sottoponendo il movimento a misurazione matematica,<br />

<strong>Galileo</strong> elaborò una nuova formulazione dei concetti <strong>di</strong> materia e <strong>di</strong> movimento che<br />

formarono la base della nuova scienza e cosmologia” 69 .<br />

66 Paolo Rossi, La rivoluzione scientifica c<strong>it</strong>., 68 e sgg.,<br />

67 Alexandre Koyré, Dal mondo del pressappoco all’ universo della precisione, Einau<strong>di</strong>, Torino 1967. “E’ curioso – scrive Koyré -:<br />

duemila anni prima P<strong>it</strong>agora aveva proclamato che il numero è l’ essenza stessa delle cose, e la Bibbia aveva insegnato che Dio<br />

aveva fondato il suo mondo sopra “il numero, il peso, la misura”. Tutti l’ hanno ripetuto, nessuno l’ ha creduto. Per lo meno,<br />

nessuno fino a <strong>Galileo</strong> l’ ha preso sul serio. Nessuno ha mai tentato <strong>di</strong> determinare questi numeri, questi pesi, queste misure.<br />

Nessuno si è provato a contare, pesare, misurare. O più esattamente, nessuno ha mai cercato <strong>di</strong> superare l’ uso pratico del<br />

numero, del peso, della misura nell’ imprecisione della v<strong>it</strong>a quoti<strong>di</strong>ana – contare i mesi e le bestie, misurare le <strong>di</strong>stanze e i<br />

campi, pesare l’ oro e il grano, per farne un elemento del sapere preciso … come è possibile che per quattro secoli – il<br />

telescopio è del principio del Seicento – nessuno, né fra coloro che li fabbricavano, né fra coloro che ne facevano uso, si sia<br />

azzardato a tentare <strong>di</strong> tagliare una lente un po’ più spessa, con una curvatura <strong>di</strong> superficie un po’ più prolungata, arrivando così<br />

al microscopio semplice, che appare soltanto verso il principio del secolo XVII o alla fine del XVI? Non si può, r<strong>it</strong>engo, invocare<br />

lo stato dell’ industria del vetro. Probabilmente non era molto avanzato, e i vetrai del secolo XIII e anche del XIV sarebbero stati<br />

del tutto incapaci <strong>di</strong> fabbricare un telescopio … ma tutt’ altra faccenda sarebbe stata per il microscopio semplice, che non è se<br />

non una perla <strong>di</strong> vetro ben livigata: un operaio capace <strong>di</strong> tagliare lenti da occhiali è ipso facto capace <strong>di</strong> fabbricarlo. Una voltà<br />

<strong>di</strong> più, non è l’ insufficienza tecnica, è l’ assenza dell’ idea che ci fornisce la spiegazione. L’ assenza dell’ idea non vuol <strong>di</strong>re<br />

neppure l’ insufficienza scientifica. Senza dubbio l’ ottica me<strong>di</strong>evale … conosceva la rifrazione della luce, ma ne ignorava le<br />

leggi: l’ ottica fisica non nasce davvero che con Keplero e Cartesio. Ma a <strong>di</strong>re il vero <strong>Galileo</strong> non ne sapeva molto più <strong>di</strong><br />

V<strong>it</strong>ellone: questo però era abbastanza perché, avendo concep<strong>it</strong>o l’ idea, sia stato capace <strong>di</strong> realizzarla. Inoltre, nulla è più<br />

semplice <strong>di</strong> un telescopio, o almeno <strong>di</strong> un cannocchiale. Per realizzarli non c’è bisogno <strong>di</strong> nessuna scienza, né <strong>di</strong> lenti speciali, né<br />

dunque <strong>di</strong> tecniche specializzate. Due lenti da occhiali poste una <strong>di</strong>etro l’ altra: ecco un cannocchiale. Ora per quanto<br />

stupefacente, inverosimile ciò appaia, per quattro secoli nessuno ha avuto l’ idea <strong>di</strong> vedere che cosa sarebbe accaduto se,<br />

invece <strong>di</strong> servirsi <strong>di</strong> un paio d’ occhiali, se ne fossero adoperati simultaneamente due. In realtà, il fabbricante <strong>di</strong> occhiali non era<br />

in nessun modo un ottico: era solo un artigiano. Ed egli non faceva uno strumento ottico: faceva un utensile. Così egli li<br />

fabbricava secondo le regole tra<strong>di</strong>zionali del mestiere e non cercava altro… un utensile, ossia qualcosa che – come aveva scorto<br />

bene il pensiero antico – prolunga e rinforza l’ azione delle nostre membra, dei nostri organi sensibili; qualcosa che appartiene<br />

al mondo del senso comune. E che non può mai farcelo superare. Questa, invece, è la funzione propria dello strumento, il quale<br />

non è un prolungamento dei sensi, ma nell’ accezione più forte e più letterale del termine, incarnazione dello spir<strong>it</strong>o,<br />

materializzazione del pensiero. Nulla ci rivelerà questa <strong>di</strong>fferenza fondamentale meglio della costruzione del telescopio da parte<br />

<strong>di</strong> <strong>Galileo</strong> … E’ per bisogni puramente teorici, per attingere ciò che non accade sotto i nostri sensi, per vedere ciò che nessuno<br />

ha mai visto, che <strong>Galileo</strong> ha costru<strong>it</strong>o i suoi strumenti … La ricerca <strong>di</strong> questo fine puramente teorico produce risultati la cui<br />

importanza, per la nasc<strong>it</strong>a della tecnica moderna, della tecnica <strong>di</strong> precisione, è decisiva. Per fare apparecchi ottici, infatti, non<br />

bisogna solo migliorare la qual<strong>it</strong>à dei vetri che si usano a determinare – cioè misurare prima o poi calcolare – gli angoli <strong>di</strong><br />

rifrazione; bisogna anche migliorare il loro taglio, cioè sapere loro dare una forma precisa, una forma geometrica esattamente<br />

defin<strong>it</strong>a; e per farlo bisogna costruire macchine sempre più precise, macchine matematiche, le quali, non meno degli stessi,<br />

presuppongono la sost<strong>it</strong>uzione, nello spir<strong>it</strong>o dei loro inventori, dell’ universo <strong>di</strong> precisione al mondo del pressappoco”.<br />

68 Alexandre Koyré, “<strong>Il</strong> significato della sintesi newtoniana”, in Stu<strong>di</strong> newtoniani, Einau<strong>di</strong>, Torino 1972, 9.<br />

69 Ibidem, il corsivo è nel testo, ad evidenziare il rilievo dell’ affermazione.<br />

33


Nella storia della scienza si enfatizza l’ efficacia dei nuovi strumenti, messi a punto tra<br />

Cinque e Seicento, nel potenziamento dei sensi: essi consentirono osservazioni sino ad allora<br />

impossibili. Sol<strong>it</strong>amente, si ricordano, ad esempio, il cannocchiale <strong>di</strong> <strong>Galileo</strong>, la “Dioptrica”<br />

<strong>di</strong> Keplero (1611), i rilievi al microscopio del “De pulmonibus” <strong>di</strong> Marcello Malpighi (1611)<br />

e della “Micrographia” <strong>di</strong> Hooke (1665). Si tratta <strong>di</strong> casi in cui gli strumenti scientifici<br />

conferiscono ai sensi una nuova “g<strong>it</strong>tata”, permettendo <strong>di</strong> vedere “cose mai viste a occhi<br />

nudo”. Ve ne sono altri, però, che consentono <strong>di</strong> misurare con precisione, variazioni <strong>di</strong><br />

temperatura, pressione atmosferica, intervalli <strong>di</strong> tempo … Lo strumento <strong>di</strong> misura è, esso<br />

stesso, esperimento, come il tubo <strong>di</strong> Torricelli, nel quale risale il mercurio. Edme Mariotte lo<br />

denominerà barometro (1676). Ma, nel frattempo, il “tubo” <strong>di</strong> Torricelli aveva superato la<br />

<strong>di</strong>atriba tra vacuisti e plenisti. Secondo gli aristotelici (nemici del vuoto) vi sarebbe una<br />

naturale avversione al vuoto nelle cose naturali. Essi erano certi che la colonna <strong>di</strong> mercurio<br />

salga per occupare il vuoto interno nella parte superiore del “tubo”.<br />

Christian Huygens, nell’ “Horologium oscillatorium” (1763) sost<strong>it</strong>uiva all’ approssimativo e<br />

impreciso orologio meccanico me<strong>di</strong>evale l’ orologio a pendolo 70 . Le mo<strong>di</strong>fiche al bilanciere<br />

gli consentirono oscillazioni isocrone ed una precisione decisamente superiore. Forse non si<br />

sottolinea in modo adeguato l’ importanza dell’ isocronismo dei pendoli, che consentì a<br />

<strong>Galileo</strong> accurate misure del tempo.<br />

6.2. “Non solo osservare, ma misurare”. “Aveva ragione Bertrand Russell – <strong>di</strong>ce Enrico<br />

Bellone – quando sosteneva che l’ esistenza <strong>di</strong> Capo Horn non si deduce, per via speculativa,<br />

me<strong>di</strong>tando su teorie già esistenti. Gli strumenti hanno dunque un ruolo essenziale e unico<br />

nella cresc<strong>it</strong>a delle conoscenze. E’ d’ altra parte noto, però, che i manufatti non si lim<strong>it</strong>ano ad<br />

essere insost<strong>it</strong>uibili nella sola cornice dell’ osservazione. Essi sono insost<strong>it</strong>uibili soprattutto<br />

per effettuare misu <strong>Galilei</strong> fece eccellenti osservazioni che lo spinsero a sostenere l’ esistenza,<br />

attorno a Giove, <strong>di</strong> quattro satell<strong>it</strong>i. Egli tuttavia mo<strong>di</strong>ficò i propri telescopi non soltanto per<br />

vedere meglio quei satell<strong>it</strong>i, ma, in re. particolare, per misurare certe caratteristiche <strong>di</strong> ciò che<br />

era osservabile … Non solo osservare, ma misurare …” 71 . Certo, non si può sottovalutare la<br />

forza demol<strong>it</strong>rice delle “prove fisiche” <strong>di</strong> <strong>Galileo</strong> contro la cosmologia tolemaico-aristotelica<br />

e la <strong>di</strong>stinzione tra astronomia matematica e fisica (metafisica) terrestre: nel “Sidereus<br />

Nuncius” (1610), <strong>Galileo</strong>, dopo aver puntato il suo cannocchiale al cielo, constatava con “la<br />

certezza che è data dagli occhi”, che la Luna ha la stessa natura della Terra, pur muovendosi<br />

nei cieli. Del resto, il sistema <strong>di</strong> Giove, con i suoi satell<strong>it</strong>i, era un ottimo modello semplificato<br />

del sistema copernicano. E le fasi <strong>di</strong> Venere? E le macchie solari? E le innumerevoli stelle<br />

della Via Lattea? Era tempo <strong>di</strong> por fine – <strong>di</strong> fronte all’ evidenza – a <strong>di</strong>spute secolari e<br />

<strong>di</strong>scussioni verbose. Gli astri e il cielo non sono né immutabili né incorruttibili, né eterni né<br />

perfetti. Hanno la stessa natura del mondo sublunare. E’ possibile riunire fisica celeste e fisica<br />

terrestre. E matematizzare quest’ ultima.<br />

Lo strumento potenzia i sensi. Ma l’ esigenza <strong>di</strong> osservazioni accurate e misurazioni precise<br />

non poteva esser necessariamente sod<strong>di</strong>sfatta, soltanto, lim<strong>it</strong>andosi a moltiplicare la portata e<br />

l’ acutezza delle facoltà umane. Che <strong>di</strong>re della carica innovativa delle osservazioni a occhio<br />

nudo del danese Tycho Brahe? Servendosi soltanto <strong>di</strong> un sestante a braccio – appos<strong>it</strong>amente<br />

70 Attestava Huygens nell’ Horologium oscillatorium, sive de motu pendolorum ad horologia aptato demonstrationes geometricae<br />

(1673), L’ orologio a pendolo, trad. <strong>it</strong>. C. Pieghetti, Barbera, Firenze 1963 (27-9) che “L’ esatta e sicura misurazione del tempo<br />

non si potrebbe … trovare in un pendolo <strong>di</strong> tipo semplice, dal momento che si nota che le oscillazioni più ampie sono più lente<br />

<strong>di</strong> quelle meno ampie; ma io, con la guida della geometria, avendo notato la curvatura <strong>di</strong> una linea che è in grado <strong>di</strong> dare al<br />

pendolo, in modo mirabile, l’ eguaglianza desiderata, ho scoperto una nuova sospensione del pendolo stesso, prima<br />

sconosciuta. Dopo che l’ ho applicata agli orologi, il loro movimento è <strong>di</strong>venuto così costante e preciso, che, in segu<strong>it</strong>o a<br />

numerosi esperimenti, esegu<strong>it</strong>i sulla terra ferma e sul mare, è apparso chiaro che essi sono <strong>di</strong> valido aiuto, sia nelle ricerche<br />

astronomiche, che nella navigazione. La linea <strong>di</strong> cui parlo è quella che un chiodo, attaccato alla circonferenza <strong>di</strong> una ruota in<br />

movimento, descrive per la continua circumvoluzione nell’ aria, e che, chiamata cicloide dai geometri del nostro tempo, è<br />

attentamente stu<strong>di</strong>ata per le sue molte proprietà, ma, per parte mia, soprattutto per la suddetta capac<strong>it</strong>à <strong>di</strong> misurare il tempo,<br />

che inopinatamente r<strong>it</strong>rovai in essa, lim<strong>it</strong>andomi a procedere secondo i meto<strong>di</strong> dell’ arte”.<br />

71 Enrico Bellone, I corpi e le cose. Un modello naturalistico della conoscenza, Bruno Mondadori, Milano 2000, 105-6.<br />

34


adattato – calcolò con precisione la parallasse della cometa (la “Stella nova”) del 1577. <strong>Il</strong><br />

matematico imperiale aveva affinato le tecniche d’ osservazione e rilevazione. Ma i suoi occhi<br />

non vedevano, per questo, più lontano … Copernico non aveva aggiunto nuove, rilevanti,<br />

effemeri<strong>di</strong> a quelle ere<strong>di</strong>tate dall’ antich<strong>it</strong>à. In fondo, continuavano a credere i suoi<br />

contemporanei, se un pianeta incastonato su <strong>di</strong> una perfetta sfera cristallina, si muove <strong>di</strong><br />

moto circolare, una volta che se ne sia stabil<strong>it</strong>a la posizione, è ben preve<strong>di</strong>bile dove si troverà<br />

novanta gra<strong>di</strong> dopo … Quelle tavole si mostrarono palesemente inatten<strong>di</strong>bili alla verifica sui<br />

nuovi dati. Tycho Brahe trasse dalle sue effemeri<strong>di</strong>, inferenze devastanti ai danni del<br />

geocentrismo. Le implicanze delle sue effemeri<strong>di</strong> non sono meno incisive delle rilevazioni <strong>di</strong><br />

<strong>Galileo</strong> al cannocchiale, per dest<strong>it</strong>uire <strong>di</strong> fondamento il sistema tolemaico. L’ orb<strong>it</strong>a della<br />

“Stella nova” è esterna a quella <strong>di</strong> Venere e taglia quelle dei pianeti. I quali non possono,<br />

quin<strong>di</strong>, esser incastonati su sfere solide, cristalline, perfette, eterne. L’ orbe materiale e<br />

sostanziale vacilla e, d’ altra parte, l’ orb<strong>it</strong>a-traiettoria della “Stella nova” non sembra affatto<br />

circolare. La sua curva è verosimilmente, piuttosto, ovale. <strong>Il</strong> passo ulteriore sarebbe stata l’<br />

orb<strong>it</strong>a ell<strong>it</strong>tica <strong>di</strong> Keplero<br />

Tycho Brahe era matematico imperiale. Gli succedette il suo assistente Johannes Kepler.<br />

Costui ampliò il catalogo delle centinaia <strong>di</strong> stelle già classificate dal Maestro (“Tavole<br />

rudolfiane”, in onore dell’ Imperatore Rodolfo II). Come ricorda Paolo Rossi, furono proprio<br />

le “Tavole Rudolfiane” a sost<strong>it</strong>uire, dal 1627, quelle compilate dal copernicano Erasmus<br />

Reinhold e dette “pruteniche”, perché de<strong>di</strong>cate al Duca <strong>di</strong> Prussia. Le une e le altre erano<br />

denominate “effemeri<strong>di</strong>” e offrivano la posizione del Sole, della Luna e dei pianeti giorno per<br />

giorno, oltre all’ ora del loro sorgere, del loro culminare al meri<strong>di</strong>ano e del loro tramontare.<br />

Keplero proseguì sulla strada che il predecessore gli aveva in<strong>di</strong>cato. <strong>Il</strong> consiglio <strong>di</strong> Brahe era<br />

stato quello <strong>di</strong> definire e determinare l’ orb<strong>it</strong>a e il moto <strong>di</strong> Marte, il più eccentrico dei pianeti ,<br />

<strong>di</strong>fficilmente riconducibile ad un’ orb<strong>it</strong>a circolare, nella quale credeva ancora Copernico.<br />

6.3. <strong>Il</strong> p<strong>it</strong>agorismo <strong>di</strong> Keplero. La soli<strong>di</strong>tà dell’ orbe dei pianeti e la sua circolar<strong>it</strong>à erano stati<br />

messi in serio dubbio da Brahe. Keplero, come <strong>Galileo</strong>, r<strong>it</strong>enne vero, reale, fisico, il sistema<br />

copernicano, senza es<strong>it</strong>azioni. Un sistema dalle poche congetture, privo <strong>di</strong> inutili orpelli,<br />

aderente alla semplic<strong>it</strong>à ed alla congruenza della natura. E, prima <strong>di</strong> formulare le sue tre leggi,<br />

lo ripensò alla luce del “Timeo”, l’ opera cosmologica <strong>di</strong> Platone. <strong>Il</strong> “Myterium<br />

cosmographicum” <strong>di</strong> Keplero ne riprende i cinque soli<strong>di</strong> regolari che cost<strong>it</strong>uirebbero il mondo<br />

fisico ed a cui corrisponderebbero, secondo Euclide, altrettanti pianeti. Keplero <strong>di</strong>segnava un<br />

cosmo cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>o da cinque poliedri regolari (cubo, tetraedro, dodecaedro, icosaedro e<br />

ottaedro), ciascuno dei quali, essendo perfettamente simmetrico, può essere inscr<strong>it</strong>to e<br />

circoscr<strong>it</strong>to ad una sfera. Un sistema del mondo platonizzante, fondato sull’ opera creatrice <strong>di</strong><br />

un “Dio che geometrizza”, su <strong>di</strong> una <strong>di</strong>vina Ragione matematica.<br />

Letto il “Mysterium cosmographicum”, Brahe inv<strong>it</strong>ò l’ allievo ad essere meno aprioristico e<br />

metafisico, ed a cercare la corrispondenza tra congetture e rilevazioni empiriche. Keplero,<br />

comunque, non avrebbe mai abbandonato il suo sostrato metafisico p<strong>it</strong>agorico. Ma si assunse<br />

l’ onere <strong>di</strong> stabilire l’ orb<strong>it</strong>a <strong>di</strong> Marte, impegno arduo trasmessogli da Tycho: l’ eccentric<strong>it</strong>à<br />

del pianeta rendeva <strong>di</strong>fficile pensare ad un’ orb<strong>it</strong>a circolare. E le orb<strong>it</strong>e copernicane erano<br />

ancora circolari. Del resto il sistema copernicano non era eliocentrico: il centro dell’ orb<strong>it</strong>a <strong>di</strong><br />

Marte era spostato rispetto a quello del Sole. Keplero volle essere realista come <strong>Galileo</strong> e<br />

Copernico, ma cercò anche le cause fisiche e naturali del moto dei pianeti, volle sbarazzarsi<br />

<strong>di</strong> qualsiasi moto matematico che fosse privo <strong>di</strong> una causa fisica, eliminò gli eccentrici<br />

superst<strong>it</strong>i nel sistema <strong>di</strong> Copernico e concluse che Marte non può esser decentrato rispetto al<br />

Sole, se il Sole è la causa del suo moto. All’ inizio dell’ “Astronomia nova” Keplero scrive<br />

che il suo “Scopo principale … è <strong>di</strong> correggere la dottrina astronomica (particolarmente per<br />

ciò che attiene al moto <strong>di</strong> Marte) … <strong>di</strong> modo che i dati che calcoliamo dalle tavole<br />

corrispondano ai dati ricavabili dall’ osservazione dei fenomeni celesti. <strong>Il</strong> che, fino a questo<br />

35


momento non si è potuto fare in modo sod<strong>di</strong>sfacente … Mentre realizzo felicemente questo<br />

scopo, entro anche nella metafisica <strong>di</strong> Aristotele o meglio nella fisica celeste e svolgo un’<br />

indagine sulle cause naturali dei moti celesti … Attraverso <strong>di</strong>mostrazioni molto laboriose e<br />

servendomi dei risultati <strong>di</strong> moltissime osservazioni, giunsi finalmente a stabilire che la<br />

traiettoria del pianeta in cielo non è circolare, ma è una traiettoria ovale perfettamente ell<strong>it</strong>tica<br />

…”.<br />

<strong>Il</strong> suo originale programma <strong>di</strong> ricerca, per <strong>di</strong>rla con Thomas Kuhn, lo avrebbe condotto alla<br />

formulazione delle tre leggi sul moto dei pianeti. Ma, all’ apice della sua indagine, il<br />

p<strong>it</strong>agorismo r<strong>it</strong>orna più forte che mai. E nel “Compen<strong>di</strong>o <strong>di</strong> astronomia” svela, scrive Koyré, “<br />

… una struttura archetipale più alta e più p<strong>it</strong>agorica, ossia quella dei numeri e dell’<br />

armonia” 72 . L’ armonia del cosmo è musicale oltre che geometrica. La terza legge <strong>di</strong> Keplero<br />

privilegia, p<strong>it</strong>agoricamente, i rapporti ar<strong>it</strong>metici piuttosto che quelli geometrici platonici. L’<br />

armonia ar<strong>it</strong>metica si esprime in una melo<strong>di</strong>a del “coro” planetario.<br />

6.4. Le implicanze tecnologiche della nuova scienza. A tanto aveva condotto l’ esigenza <strong>di</strong><br />

precisione, numerazione, e astrazione dagli elementi sensibili. Eppure proprio qui si definiva<br />

la vocazione tecnologica e pratica della nuova scienza; è stato sottolineato che <strong>Galileo</strong><br />

concepiva applicazioni tecniche non <strong>di</strong>struttive e non invasive, e che non finalizzava la ricerca<br />

scientifica esclusivamente alle sue applicazioni teoriche. Ma non ignorava le potenzial<strong>it</strong>à della<br />

scienza nella pre<strong>di</strong>sposizione <strong>di</strong> macchine per l’ arch<strong>it</strong>ettura, l’ idraulica, le installazioni<br />

mil<strong>it</strong>ari … Ne sono conferma gli intensi rapporti epistolari che egli ebbe con ingegneri,<br />

artigiani, tecnici su questioni ben precise, come il sollevamento dell’ acqua tram<strong>it</strong>e pompe e<br />

tubazioni od opere <strong>di</strong> fortificazione. I “Discorsi” <strong>di</strong> <strong>Galileo</strong> <strong>Galilei</strong> iniziano, del resto, con il<br />

riconoscimento della primaria funzione svolta dalla tecnologia nei confronti della scienza<br />

“pura”, la qual cosa sembra il contrario della o<strong>di</strong>erna funzional<strong>it</strong>à della ricerca alla esigenze<br />

del mercato.<br />

Esor<strong>di</strong>sce Salviati sostenendo che “Largo campo <strong>di</strong> filosofare a gl’ intelletti speculativi parmi<br />

che porga la frequente pratica del famoso arsenale <strong>di</strong> voi, signori “Veneziani”, ed in<br />

particolare in quella parte che mecanica si domanda; atteso che quivi ogni sorte <strong>di</strong> strumento e<br />

<strong>di</strong> machina vien continuamente posta in opera da numero grande d’ artefici, tra i quali, e per l’<br />

osservazioni fatte dai loro antecessori, e per quelle che <strong>di</strong> propria avvertenza vanno<br />

continuamente per se stessi facendo, è forza che ve ne siano de i per<strong>it</strong>issimi e <strong>di</strong> finissimo<br />

<strong>di</strong>scorso”. E questo conferma che la nuova scienza nasce dalla confluenza, per <strong>di</strong>rla con<br />

Francesco Bacone, della mano e della mente.<br />

Da sempre tenute in <strong>di</strong>spregio dai dotti, le vili arti meccaniche tornano ad essere patrimonio<br />

degli uomini d’ intelletto. Una per tutte: <strong>Galileo</strong> non è certo l’ inventore del cannocchiale, ma<br />

leviga personalmente le lenti del proprio, ed ha, a fianco dello stu<strong>di</strong>o, un arsenale, un<br />

laboratorio, in altri tempi impensabile per un filosofo o un accademico. “L’ attribuzione <strong>di</strong> un<br />

“valore” allo strumento scientifico – ha scr<strong>it</strong>to Paolo Rossi – è una delle gran<strong>di</strong> conquiste<br />

della rivoluzione scientifica. Quella conquista nacque anche dal rapporto, che in quel<br />

72 Cfr.: Alexandre Koyré, La rivoluzione astronomica, Feltrinelli, Milano 1966, rileva che Keplero superò la sua originaria teoria<br />

dei cinque soli<strong>di</strong> regolari, pur non rigettando la dottrina p<strong>it</strong>agorica dell’ armonia matematica dell’ universo. Fu così coerente con<br />

il p<strong>it</strong>agorismo cui si era formato da elaborare la teoria musicale dei movimenti dei pianeti. Scrive Koyré , al riguardo, che “… per<br />

aver trascurato il tempo … il Mysterium cosmographicum non era riusc<strong>it</strong>o a scoprire la struttura reale del cosmo. I rapporti<br />

geometrici puri non potevano esprimerla; bisognava aggiungervi dei rapporti armonici: perché Dio, come avevano ben presag<strong>it</strong>o<br />

gli antichi p<strong>it</strong>agorici, pur essendo geometra, non era soltanto arch<strong>it</strong>etto, ma anche, e soprattutto, musico. Inversamente, un<br />

Dio puramente geometra si sarebbe accontentato <strong>di</strong> un mondo costru<strong>it</strong>o in funzione della sfera e dei cinque corpi regolari, <strong>di</strong><br />

un mondo in cui i pianeti ruotassero eternamente su cerchi concentrici, ossia senza mai mo<strong>di</strong>ficare né le loro <strong>di</strong>stanze dal Sole,<br />

né la veloc<strong>it</strong>à dei loro movimenti. Ma per un Dio musico, un mondo in cui i pianeti emettessero eternamente ognuno la propria<br />

“nota”, quand’ anche l’ insieme <strong>di</strong> queste note formasse un accordo armonioso, sarebbe inaccettabile. Chi <strong>di</strong>ce musica <strong>di</strong>ce<br />

varietà, e non monotonia; così un Dio musico era tenuto ad attribuire ad ogni pianeta non una “nota” unica, ma una frase<br />

musicale propria e a formare, partendo da queste frasi, un’ armonia polifonica e contrappuntistica svolgentesi nel tempo; pronto<br />

ad infrangere, per ottenerlo, la rigida cornice dei rapporti geometrici e a subire l’ effetto delle necess<strong>it</strong>à naturali del meccanismo<br />

fisico dei movimenti eccentrici”.<br />

36


secolo venne a stabilirsi, tra le ricerche scientifiche e le operazioni tecniche… decisiva è la<br />

assimilazione, da parte dei “teorici”, delle tecniche artigianali e manuali <strong>di</strong> costruzione. Sulla<br />

base delle nuove richieste presenti nella società, la elaborazione delle teorie e le attiv<strong>it</strong>à dei<br />

laboratori trovano, in questa nuova s<strong>it</strong>uazione, una saldatura effettiva” 73 .<br />

<strong>Il</strong> teorico <strong>Galileo</strong> <strong>Galilei</strong> provvedeva personalmente a levigare le lenti del proprio telescopio<br />

nel laboratorio-arsenale attiguo al suo stu<strong>di</strong>o. Era il primo atto della tecnologia moderna,<br />

anche se la cosa sembra più evidente nelle in<strong>di</strong>cazioni da lui forn<strong>it</strong>e per l’ esperimento del<br />

piano inclinato. Se anche <strong>Galileo</strong> non ha materialmente lucidato il canaletto inclinato,<br />

affinché fosse “<strong>di</strong>r<strong>it</strong>tissimo, ben pul<strong>it</strong>o e liscio” così da farvi scivolare senza attr<strong>it</strong>i la sfera <strong>di</strong><br />

bronzo “ben rotonda e pul<strong>it</strong>a”, egli ha comunque tracciato la via <strong>di</strong> una tecnologia che non<br />

avrebbe avuto più nulla a che vedere con la tecnica tra<strong>di</strong>zionale degli “artigiani superiori” e<br />

degli “ingenieri” dei suoi tempi.<br />

La scienza moderna incorpora le teorie negli esperimenti. Ne garantisce la previsione e l’<br />

anticipazione a date con<strong>di</strong>zioni. Per la tecnologia quel che è esperimento è anche prototipo,<br />

carico <strong>di</strong> util<strong>it</strong>à. L’ esperimento conferma la teoria ma nel contempo pre<strong>di</strong>spone protesi,<br />

utensili, strumenti, artefatti, che sopperiscono alla debole dotazione naturale dell’ uomo 74 .<br />

Alla rivoluzione scientifica gli “artigiani superiori” hanno dato un apporto notevole ma non<br />

determinante e il risultato <strong>di</strong> quella è stata la nuova figura <strong>di</strong> teorico-scienziato con cui il<br />

73 Paolo Rossi, La Rivoluzione scientifica c<strong>it</strong>., 67.<br />

74 Una riflessione sull’ occultamento, da parte della scienza, del mondo empirico, sulla <strong>di</strong>sumanizzazione della scienza, dopo<br />

<strong>Galileo</strong> <strong>Galilei</strong>, si trova in Edmund Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, <strong>Il</strong> Saggiatore,<br />

Milano 1961. Scrive Husserl che “E’ estremamente importante rilevare come già con <strong>Galileo</strong> fosse avvenuta una sovrapposizione<br />

del mondo matematicamente strutturato delle ideal<strong>it</strong>à all’ unico mondo reale, al mondo che si dà realmente nella percezione, al<br />

mondo esper<strong>it</strong>o ed esperibile, al mondo circostante della v<strong>it</strong>a. Questa sovrapposizione è stata ere<strong>di</strong>tata dai successori, dai fisici<br />

<strong>di</strong> tutti i secoli successivi … Nella matematizzazione geometrica e scientifico-naturale noi commisuriamo così al mondo-della-v<strong>it</strong>a<br />

… nell’ aperta infin<strong>it</strong>à <strong>di</strong> un’ esperienza possibile, un ben confezionato ab<strong>it</strong>o ideale, quello delle cosiddette ver<strong>it</strong>à obiettivamente<br />

scientifiche; costruiamo, cioè … attraverso un metodo realmente praticabile in tutti i particolari e costantemente verificato,<br />

determinate induzioni numeriche per i piena sensibili e reali e possibili delle forme concrete-intu<strong>it</strong>ive del mondo-della-v<strong>it</strong>a, e<br />

proprio così attingiamo la possibil<strong>it</strong>à <strong>di</strong> una previsione degli acca<strong>di</strong>menti concreti nel mondo <strong>di</strong> quegli eventi che non sono più o<br />

non sono ancora realmente dati, degli eventi, cioè, intu<strong>it</strong>ivi del mondo della v<strong>it</strong>a, attingiamo la possibil<strong>it</strong>à <strong>di</strong> una previsione che<br />

supera infin<strong>it</strong>amente la portata della previsione quoti<strong>di</strong>ana. L’ ab<strong>it</strong>o ideale che si chiama “matematica e scienza naturale<br />

matematica” oppure l’ ab<strong>it</strong>o simbolico delle teorie simbolico-matematiche, abbraccia, riveste tutto ciò che per gli scienziati e per<br />

le persone colte, in quanto “natura obiettivamente reale e vera” rappresenta il mondo-della-v<strong>it</strong>a. L’ ab<strong>it</strong>o ideale fa sì che noi<br />

pren<strong>di</strong>amo per il vero essere quello che invece è soltanto un metodo, un metodo che deve servire a migliorare, me<strong>di</strong>ante<br />

previsioni scientifiche iin un progressus ad infin<strong>it</strong>um, le previsioni grezze, le uniche possibili nell’ amb<strong>it</strong>o <strong>di</strong> ciò che è realmente<br />

esper<strong>it</strong>o ed esperibile nel mondo-della-v<strong>it</strong>a; l’ ab<strong>it</strong>o ideale potè far sì che il senso proprio del metodo, delle formule, delle teorie,<br />

rimanesse incomprensibile e che durante l’ elaborazione ingenua del metodo non venisse mai compreso … Manca cioè, e<br />

continua mancare, una reale evidenza, grazie alla quale colui che è immerso nel processo delle operazioni conosc<strong>it</strong>ive, potrebbe<br />

rendersi conto non soltanto delle nov<strong>it</strong>à che egli realizza e <strong>di</strong> ciò <strong>di</strong> cui si sta occupando, ma anche <strong>di</strong> tutte le implicazioni <strong>di</strong><br />

senso occluse dalle se<strong>di</strong>mentazioni e dalla tra<strong>di</strong>zione, cioè delle premesse delle sue formazioni teoretiche, dei suoi concetti, delle<br />

sue proposizioni, delle sue teorie. La scienza e il metodo scientifico non somigliano così a una macchina che produce<br />

evidentemente qualcosa <strong>di</strong> molto utile e <strong>di</strong> cui quin<strong>di</strong> ci si può fidare, una macchina che ciascuno può imparare a manovrare pur<br />

senza comprenderne minimamente le interne possibil<strong>it</strong>à e la necess<strong>it</strong>à delle sue operazioni? Ma è possibile che la geometria, la<br />

scienza, siano state progettate fin dall’ inizio come una macchina, come il prodotto <strong>di</strong> una mental<strong>it</strong>à perfetta in senso analogo –<br />

<strong>di</strong> una mental<strong>it</strong>à scientifica? … <strong>Galileo</strong>, lo scopr<strong>it</strong>ore della fisica e della natura fisica – oppure, per render giustizia ai suoi<br />

predecessori, colui che aveva portato a compimento le scoperte precedenti – è un genio che scopre e insieme occulta. Egli<br />

scopre la natura matematica, l’ idea meto<strong>di</strong>ca, egli apre una strada ad un’ infin<strong>it</strong>à <strong>di</strong> scopr<strong>it</strong>ori e <strong>di</strong> scoperte fisiche. Egli scopre,<br />

<strong>di</strong> fronte alla causal<strong>it</strong>à universale del mondo intu<strong>it</strong>ivo, ciò che d’ allora in poi si chiamerà senz’altro (in quanto sua forma<br />

invariante) legge causale, la “forma a priori” del “vero” mondo (idealizzato e matematico), la legge della “legal<strong>it</strong>à esatta”<br />

secondo la quale qualsiasi acca<strong>di</strong>mento della “natura” – della natura idealizzata – deve sottostare a leggi esatte. Tutto ciò è una<br />

scoperta e insieme un occultamento … Certo, io pongo in tutta serietà <strong>Galileo</strong> alla testa dei gran<strong>di</strong> scopr<strong>it</strong>ori dell’ epoca<br />

moderna … Non intendo affatto umiliare la scienza definendola una téchne e abbozzando una cr<strong>it</strong>ica <strong>di</strong> principio intesa a<br />

mostrare come il senso peculiare, il senso originario e autentico delle teorie dei fisici sia rimasto e dovesse rimanere occulto<br />

anche agli occhi <strong>di</strong> coloro che tra essi erano i più gran<strong>di</strong>. Non si tratta del senso contrabbandato metafisicamente , elucubrato<br />

speculativamente, ma del senso proprio e peculiare della scienza, un senso che gode <strong>di</strong> un’ evidenza vincolante, il solo reale <strong>di</strong><br />

fronte al senso dei meto<strong>di</strong> che <strong>di</strong>venta comprensibile soltanto nell’ operare per mezzo <strong>di</strong> formule e nella loro pratica<br />

applicazione, nella tecnica … <strong>Galileo</strong>, considerando il modno in base alla geometria, in base a ciò che appare sensibilmente e<br />

che è ma tematizzabile, astrae dai soggetti in quanto persone, in quanto v<strong>it</strong>a personale, da tutto ciò che in un senso qualsiasi è<br />

spir<strong>it</strong>uale, da tutte le qual<strong>it</strong>à culturali che le cose hanno assunto nella prassi umana. Da questa astrazione risulano le pure cose<br />

corporee, le quali però vengono prese per realtà concrete e che nella loro total<strong>it</strong>à vengono tematizzate in questo mondo. Si può<br />

ben <strong>di</strong>re che soltanto con <strong>Galileo</strong> si delinea l’ idea <strong>di</strong> una natura concep<strong>it</strong>a come un mondo <strong>di</strong> corpi realmente circoscr<strong>it</strong>to in sé.<br />

Oltre che la matematizzazione, <strong>di</strong>ventava troppo rapidamente un’ ovvietà, ciò ha come conseguenza una causal<strong>it</strong>à naturale in sé<br />

conclusa, entro cui qualsiasi acca<strong>di</strong>mento è preliminarmente e univocamente determinato” ( 77 e sgg.).<br />

37


desolato “homo insipiens” si è trasformato in un operoso “homo faber” che affronta la sua<br />

incertezza esistenziale e la sua inadeguatezza ontologica, elaborando congetture sulla struttura<br />

legale del mondo e verificandone poi l’ efficacia, per <strong>di</strong>rla con i pragmatisti. <strong>Il</strong> teoricoscienziato<br />

moderno non era mosso né da spir<strong>it</strong>o <strong>di</strong> mera osservazione empirica né da final<strong>it</strong>à<br />

speculative e puramente teoretiche. <strong>Il</strong> suo sapere, fondato sia sulla congettura che sulla<br />

sperimentazione, si sarebbe legato in<strong>di</strong>ssolubilmente alla tecnologia.<br />

Senza credere che la ver<strong>it</strong>à scientifica cost<strong>it</strong>uisca un progressivo adeguamento a fini<br />

pragmatici e util<strong>it</strong>aristici, come il successo, il “confort” o il prof<strong>it</strong>to, è certo che l’<br />

in<strong>di</strong>ssolubile alleanza tra scienza e tecnica si è consolidata a tal punto da render <strong>di</strong>fficile la<br />

<strong>di</strong>stinzione tra la ricerca “<strong>di</strong>sinteressata” e i suoi concreti ricavi. Nonostante <strong>Galileo</strong> <strong>Galilei</strong> 75 ,<br />

l’ “homo faber” si è trasformato in un “homo technologicus”, barbarico, vigoroso e<br />

possessivo, per quella propensione immanente o potenziale della scienza moderna a ridurre il<br />

mondo a materia e movimento, a fare della natura un meccanismo privo <strong>di</strong> qual<strong>it</strong>à, final<strong>it</strong>à e<br />

valori, nella quale la stessa v<strong>it</strong>a organica può esser oggetto <strong>di</strong> manipolazione tecnologica<br />

in<strong>di</strong>scriminata. La tecnologia non è la figlia degenere della scienza ma non ne può essere<br />

neppure il motore e il senso. L’ aristotelica curios<strong>it</strong>à originaria, volta alla conoscenza e alla<br />

contemplazione, ha nutr<strong>it</strong>o l’ interrogazione galileiana, e continua ad esigere una<br />

demarcazione piuttosto netta tra pratica scientifica e pratica tecnologica. La pratica della<br />

ricerca scientifica dovrebbe avere una sua autonomia, sia pur relativa. La pratica tecnologica è<br />

sostanzialmente eteronoma ed appare sollec<strong>it</strong>ata da motivazioni come il prof<strong>it</strong>to, il mercato, il<br />

consenso …<br />

75 L’ idea che <strong>Galileo</strong> <strong>Galilei</strong> ha della tecnologia è tuttaltro che total<strong>it</strong>aria. Che gli strumenti meccanici siano utili, è per lui fuor <strong>di</strong><br />

dubbio, ma non vi è, nelle sue pagine, la concezione <strong>di</strong> una scienza ridotta strumentalmente ed esclusivamente al progresso<br />

tecnologico. Ne Le mecaniche, in Opere c<strong>it</strong>., II, ad esempio, scrive che “<strong>Il</strong> … maggior comodo delli altri che ci apportano li<br />

stromenti mecanici, è rispetto al movente, valendoci o <strong>di</strong> qualche forza inanimata, come del corso <strong>di</strong> un fiume, o pure <strong>di</strong> forza<br />

animata, ma <strong>di</strong> minor spesa assai <strong>di</strong> quella che saria necessaria per mantenere possanza umana: come quando per volgere<br />

mulini ci serviremo del corso <strong>di</strong> un fiume, o della forza <strong>di</strong> un cavallo per far quell’ effetto, al quale non basteria il potere <strong>di</strong><br />

quattro o sei uomini. E per questa via potremo ancora vantaggiarci nell’ alzar acque o fare altre forze gagliarde, le quali da<br />

uomini senz’ altri or<strong>di</strong>gni sariano esegu<strong>it</strong>e perché con un semplice vaso potrian pigliar acqua ed alzarla e votarla dove fa<br />

bisogno: ma perché il cavallo, o altro simile motore, manca del <strong>di</strong>scorso e <strong>di</strong> quelli strumenti che si ricercano per apprendere il<br />

vaso e da tempo votarlo, tornando poi a riempirlo, e solamente abbonda <strong>di</strong> forza, per ciò è necessario che il mecanico supplisca<br />

con suoi or<strong>di</strong>gni al natural <strong>di</strong>fetto <strong>di</strong> quel motore, somministrandogli artificii ed invenzioni tali, che, con la sola applicazione della<br />

forza sua, possa eseguire l’ effetto desiderato. Ed in ciò è gran<strong>di</strong>ssimo utile: non perché quelle ruote o altre machine faccino che<br />

con minor forza, e con maggior prestezza, o per maggior intervallo, si trasporti il medesimo peso, <strong>di</strong> quello che, senza tali<br />

intrudenti, eguale ma giu<strong>di</strong>ziosa e bene organizzata forza potria fare; ma sì bene perché la caduta <strong>di</strong> un fiume o niente o poco<br />

costa, ed il mantenimento <strong>di</strong> un cavallo o <strong>di</strong> altro simile animale, la cui forza supererà quella <strong>di</strong> otto e forse più uomini, è <strong>di</strong><br />

lunga mano <strong>di</strong> minor <strong>di</strong>spen<strong>di</strong>o, che quello non saria che potesse sostentare e mantenere li detti uomini. Queste dunque sono le<br />

util<strong>it</strong>à che dai mecanici intrudenti si caveranno, e non quelle che, con inganno <strong>di</strong> tanti principi e con loro propria vergogna, si<br />

vanno sognando i poco intendenti ingegneri, mentre si vogliono applicare a imprese impossibili” (157-8).<br />

38


7. Esperienza ed esperimento<br />

7.1. L’ autentica lezione <strong>di</strong> Aristotele per <strong>Galileo</strong>: le osservazioni. <strong>Galileo</strong> <strong>Galilei</strong> ha<br />

profondamente mo<strong>di</strong>ficato la concezione aristotelica dell’ esperienza, me<strong>di</strong>andola con il<br />

p<strong>it</strong>agorismo <strong>platonico</strong>, attraverso la geometria <strong>di</strong> Euclide e la statica <strong>di</strong> Archimede. <strong>Il</strong> sistema<br />

copernicano gli consentì <strong>di</strong> spezzare l’ un<strong>it</strong>à fra astronomia matematica e fisica qual<strong>it</strong>ativa,<br />

estendendo la misura matematica al mondo terrestre. Egli dest<strong>it</strong>uiva <strong>di</strong> fondamento l’ “ipse<br />

<strong>di</strong>x<strong>it</strong>” aristotelico, escludeva che il mondo potesse essere spiegato finalisticamente in funzione<br />

dell’ uomo, ed espungeva dal matematismo p<strong>it</strong>agorico-<strong>platonico</strong> la tra<strong>di</strong>zione magicoermetica<br />

con cui gli umanisti filologi l’ avevano rest<strong>it</strong>u<strong>it</strong>o alla prima età moderna.<br />

Matematica-geometria e scienza fisica potevano trovare una (pressoché) defin<strong>it</strong>iva<br />

conciliazione. <strong>Galilei</strong> riven<strong>di</strong>cava ad una fisica matematizzata nient’ altra autor<strong>it</strong>à che quella<br />

della ragione e dell’ esperienza. I naturalisti cinquecenteschi s’ erano affaticati nel superare la<br />

fisica aristotelica, così da poter stu<strong>di</strong>are la natura secondo i suoi stessi principi. Bernar<strong>di</strong>no<br />

Telesio era approdato ad un rigoroso sensismo che lo aveva indotto a recuperare forze<br />

ilozoistiche <strong>di</strong> stampo presocratico (il Caldo e il Freddo) che agirebbero <strong>di</strong>aletticamente su <strong>di</strong><br />

una materia inerte. Aristotele stesso aveva rivalutato, nella teoria della conoscenza, la<br />

funzione della conoscenza sensibile. Egli era convinto che nulla sia nell’ intelletto se prima<br />

non è passato attraverso i sensi. Gli organi sensoriali sarebbero potenzialmente pre<strong>di</strong>sposti a<br />

ricevere le forme sensibili, astraendole dalle sostanze sensibili, e da quelle poi l’ intelletto<br />

astrarrebbe le forme intelligibili.<br />

<strong>Galileo</strong> colse la miglior lezione <strong>di</strong> Aristotele scienziato, naturalista e biologo: l’ att<strong>it</strong>u<strong>di</strong>ne all’<br />

osservazione e alla rilevazione dei dati, ma ne mo<strong>di</strong>ficò profondamente il concetto d’<br />

esperienza. Gli aristotelisti fondavano ogni loro inferenza sull’ evidenza illusoria del senso<br />

comune, e la ripetizione protratta della stessa esperienza li convinceva della veri<strong>di</strong>c<strong>it</strong>à <strong>di</strong> cui<br />

essa era portatrice. Ma, notava <strong>Galileo</strong>, le osservazioni, soprattutto se riguardano oggetti<br />

nuovi, sono ingannevoli e sono suscettibili <strong>di</strong> varie interpretazioni; esse esigono, quin<strong>di</strong>, <strong>di</strong><br />

esser sottoposte al vaglio della ragione. La soluzione per sconfiggere l’ irriducibile<br />

soggettiv<strong>it</strong>à dell’ esperienza, era una sola: matematizzarla. Nasceva così il metodo ipoteticodeduttivo-sperimentale<br />

della scienza moderna. L’ esperienza viene, per un verso,<br />

“formalizzata” con la matematica, e, dall’ altro, i dati dell’ osservazione trovano esplicazione<br />

e sistemazione in modelli teorici.<br />

7.2. Mano e mente. A.C. Crombie ha c<strong>it</strong>ato pareri non meno autorevoli del proprio<br />

sostenendo che “…la scienza fa i progressi maggiori quando il <strong>di</strong>scorso speculativo del<br />

filosofo e del matematico rimane a stretto contatto con l’ abil<strong>it</strong>à manuale dell’ artigiano”. E si<br />

<strong>di</strong>ce certo che “la mancanza <strong>di</strong> questo contatto nel mondo greco-romano e nella cristian<strong>it</strong>à<br />

me<strong>di</strong>evale contribuì ad un supposto regresso nella scienza”. Non ignora, però, le opere <strong>di</strong><br />

me<strong>di</strong>cina greca – dal “corpus” ippocratico a Galeno –, i trattati <strong>di</strong> arch<strong>it</strong>ettura, ingegneria,<br />

meccanica applicata … dell’ età ellenistica e romana, da Apollodoro a Erone <strong>di</strong> Alessandria,<br />

da V<strong>it</strong>ruvio a Pappo <strong>di</strong> Alessandria. E dub<strong>it</strong>a che, nell’ Antich<strong>it</strong>à classica, “la separazione tra<br />

tecnica e scienza fosse così assoluta come si è a volte supposto” 76 .<br />

76 A. C. Crombie, Dal razionalismo allo sperimentalismo c<strong>it</strong>., 136 e sgg.. Crombie nota anche che “Nel XIV secolo il frate<br />

domenicano Giovanni da San Gimignano (m. 1323) compilò un’ enciclope<strong>di</strong>a destinata ai pre<strong>di</strong>catori in cui dette, perché li<br />

utilizzassero come esempi nei sermoni, descrizioni <strong>di</strong> svariati argomenti tecnici: agricoltura, pesca, coltivazione, mulini avento e<br />

ad acqua, navi, p<strong>it</strong>tura e miniatura, fortificazioni, armi, fuoco greco, lavorazione dei metalli, fabbricazione del vetro, pesi e<br />

misure. I nomi <strong>di</strong> altri due domenicani, Alessandro della Spina (m. 1313) e Salvino degli Armati (m. 1317), sono legati all’<br />

invenzione degli occhiali. Nel XV secolo furono scr<strong>it</strong>ti numerosi trattati <strong>di</strong> grande interesse <strong>di</strong> tecnica mil<strong>it</strong>are. Apera dal<br />

Bellifortis <strong>di</strong> Konrad Kyeser, scr<strong>it</strong>to tra il 1396 e il 1405, essa comprendeva un trattato <strong>di</strong> Giovanni de’ Fontana (1410-1420 c.), il<br />

Feuerwerksbuch (c. 1422), un trattato scr<strong>it</strong>to da un anonimo ingegnere all’ epoca delle guerre uss<strong>it</strong>e (1430 c.), e il cosiddetto<br />

M<strong>it</strong>telalterliches Hausbuch (c. 1480). La serie continuò nel Cinquecento con i trattati <strong>di</strong> Biringuccio e <strong>di</strong> Tartaglia. Vi si<br />

descriveva la fabbricazione dei cannoni e della polvere da sparo e vi si <strong>di</strong>scutevano problemi <strong>di</strong> ingegneria mil<strong>it</strong>are, trattati<br />

anche da altri contemporanei, tra cui Leon Battista Alberti e Leonardo da Vinci. Qualche manuale si occupò anche <strong>di</strong> questioni<br />

tecniche generali, come la costruzione <strong>di</strong> navi, <strong>di</strong>ghe e filatoi. La serie <strong>di</strong> trattati <strong>di</strong> chimica pratica, che nei primi secoli del<br />

39


Del resto Crombie osserva che, nel Me<strong>di</strong>oevo, “I trattati tecnici furono tra i primi testi tradotti<br />

dall’ arabo e dal greco in latino, e fu ad opera <strong>di</strong> persone colte. Fu, anzi, soprattutto per le loro<br />

cognizioni pratiche che i dotti occidentali, dai tempi <strong>di</strong> Gerberto alla fine del X secolo,<br />

cominciarono ad interessarsi alla cultura araba. Le enciclope<strong>di</strong>e del XIII secolo <strong>di</strong> Alessandro<br />

Neckam, Alberto Magno e Ruggero Bacone contenevano molte e precise informazioni sulla<br />

bussola, sulla chimica, sul calendario, sull’ agricoltura e su altri argomenti tecnici”. Certo,<br />

conclude Crombie, “Ci voleva un eru<strong>di</strong>to per scrivere <strong>di</strong> ar<strong>it</strong>metica, ma la maggior parte dei<br />

progressi compiuti dopo la comparsa del trattato <strong>di</strong> Fibonacci sui numeri in<strong>di</strong>ani nacquero da<br />

interessi commerciali” 77 .<br />

Edgar Zilsel noterebbe, al riguardo, che “I due pionieri più importanti della meccanica<br />

scientifica prima <strong>di</strong> <strong>Galileo</strong>, l’ <strong>it</strong>aliano Tartaglia e l’ olandese Stevino, non erano artigiani:<br />

Entrambi conoscevano la matematica classica. Tartaglia pubblicò, in base a traduzioni latine,<br />

versioni <strong>it</strong>aliane <strong>di</strong> Archimede e <strong>di</strong> Euclide; Stevino pubblicò una versione in francese <strong>di</strong><br />

Diofanto. Mancando <strong>di</strong> una preparazione accademica, essi giunsero alla scienza dall’<br />

ingegneria mil<strong>it</strong>are e da problemi <strong>di</strong> commercio” 78 .<br />

Non vi è dubbio che la figura del filosofo naturale o scienziato che <strong>di</strong>r si voglia, sia priva <strong>di</strong><br />

antecedenti. E non si può negare che le origini della scienza moderna stiano, come vuole<br />

Zilsel, nell’ incontro dell’ attiv<strong>it</strong>à accademica o dei dotti con l’ atteggiamento degli artigiani,<br />

tra Cinque e Seicento. Nota bene A. C. Keller che, sino ad allora, “… si frapponeva a quest’<br />

unificazione la barriera sociale che portava gli stu<strong>di</strong>osi a guardare con <strong>di</strong>sprezzo le arti<br />

meccaniche” 79 . Ma sostiene anche la reciproc<strong>it</strong>à della convergenza, giacchè “… se l’<br />

incremento del cap<strong>it</strong>alismo eserc<strong>it</strong>ò una pressione più potente e più <strong>di</strong>retta sugli artigiani che<br />

non sugli stu<strong>di</strong>osi, e rese il pensiero dei primi più significativamente “progressista”, gli<br />

accademici non furono poi tanto isolati dal movimento storico da non con<strong>di</strong>videre le vedute<br />

che Zilsel attribuisce ai soli artigiani. L’ attacco alle tra<strong>di</strong>zioni venne operato in ugual misura<br />

nella scienza e nella filosofia, e l’ in<strong>di</strong>pendenza intellettuale degli artigiani è tutt’ uno con<br />

quella dei pensatori speculativi” 80 . Non è casuale che, come rileva Walter E. Houghton jr. in<br />

Me<strong>di</strong>evo riportavano soprattutto ricette per pigmenti, continuò nei secoli XIV e XV con descrizioni della <strong>di</strong>stillazione e <strong>di</strong> altre<br />

tecniche pratiche e nel XVI con i libri sulla <strong>di</strong>stillazione <strong>di</strong> Girolamo Brunschwig, il Probierbőchlein sulla metallurgia e il De re<br />

metallica <strong>di</strong> Agricola. Si potrebbero, insomma, dare ancora molteplici esempi degli interessi tecnici degli stu<strong>di</strong>osi me<strong>di</strong>evali. Essi<br />

non <strong>di</strong>mostrarono solo <strong>di</strong> avere un astratto desiderio <strong>di</strong> dominare la natura, quale quello espresso da Ruggero Bacone, ma<br />

anche <strong>di</strong> essere capaci d’ acquistare le cognizioni suscettibili <strong>di</strong> dare risultati <strong>di</strong> util<strong>it</strong>à pratica …”.<br />

77<br />

Giova non ignorare, al riguardo, lo scetticismo <strong>di</strong> Alexandre Koyrè, Stu<strong>di</strong> newtoniani c<strong>it</strong>., quando scrive che: “ … è in<strong>di</strong>scutibile<br />

che lo sviluppo della scienza moderna presupponeva quello delle c<strong>it</strong>tà, che il perfezionamento delle armi da fuoco, specialmente<br />

dell’ artiglieria, richiamò l’ attenzione sui problemi <strong>di</strong> balistica; che la navigazione, specialmente verso l’ America e l’ In<strong>di</strong>a, favorì<br />

la costruzione <strong>di</strong> orologi, ecc. – eppure < tale genere <strong>di</strong> interpretazioni > mi lascia perplesso e insod<strong>di</strong>sfatto. Non vedo infatti<br />

che nesso si possa stabilire tra la scientia activa e il perfezionamento del calcolo, tra la nasc<strong>it</strong>a della borghesia e l’ avvento dell’<br />

astronomia <strong>di</strong> Copernico e <strong>di</strong> Keplero. E, quanto all’ esperienza e all’ esperimento – due cose che dobbiamo non soltanto<br />

<strong>di</strong>stinguere ma anche contrapporre – sono convinto che la nasc<strong>it</strong>a e lo sviluppo della scienza sperimentale non furono la causa<br />

bensì, al contrario, l’ effetto del nuovo atteggiamento teoretico – cioè del nuovo atteggiamento metafisico nei confronti della<br />

natura. In tale nuovo atteggiamento va in<strong>di</strong>viduato il vero contenuto della rivoluzione scientifica del secolo XVII, un contenuto<br />

che è in<strong>di</strong>spensabile comprendere prima <strong>di</strong> poter azzardare un’ interpretazione (qualunque essa sia) <strong>di</strong> quel fenomeno storico.<br />

R<strong>it</strong>engo si possa condensare il senso <strong>di</strong> questa rivoluzione in due punti strettamente connessi e anche complementari: a) la<br />

<strong>di</strong>struzione del cosmos e quin<strong>di</strong> la scomparsa della scienza – almeno in linea <strong>di</strong> massima – <strong>di</strong> tutte le considerazioni fondate su<br />

questo concetto; b) la geometrizzazione dello spazio, vale a <strong>di</strong>re la sost<strong>it</strong>uzione del concreto e in<strong>di</strong>fferenziato luogo “continuum”<br />

dei fisici ed astronomi pre-galileiani, con l’ omogenea e astratta – ora, comunque, considerata reale – <strong>di</strong>mensione spaziale della<br />

geometria euclidea. In realtà, ciò equivale a <strong>di</strong>re che si assiste alla matematizzazione (geometrizzazione) della natura e, quin<strong>di</strong>,<br />

alla matematizzazione (geometrizzazione) della scienza. La scomparsa – o <strong>di</strong>struzione – del cosmos in<strong>di</strong>ca che il mondo della<br />

scienza, il mondo reale, non è più visto o concep<strong>it</strong>o come un tutto fin<strong>it</strong>o e or<strong>di</strong>nato gerarchicamente, cioè qual<strong>it</strong>ativamente e<br />

ontologicamente <strong>di</strong>fferenziato, bensì come un universo aperto, indefin<strong>it</strong>o e anche infin<strong>it</strong>o, tenuto insieme non dalla sua struttura<br />

immanente, ma soltanto dall’ ident<strong>it</strong>à dei suoi contenuti e leggi fondamentali. Un universo nel quale, in contrasto alla<br />

tra<strong>di</strong>zionale concezione <strong>di</strong> una separazione e opposizione tra mondo dell’ essere e mondo del <strong>di</strong>venire, vale a <strong>di</strong>re tra cielo e<br />

terra, tutti i componenti sembrano sistemati al medesimo livello ontologico. Un universo nel quale la physica coelestis e la<br />

physica terrestris vengono identificate e unificate, nel quale astronomia e fisica <strong>di</strong>ventano inter<strong>di</strong>pendenti e strettamente<br />

connesse a motivo della loro comune subor<strong>di</strong>nazione alla geometria” (6-8).<br />

78<br />

Edgar Zilsel, “La genesi del concetto <strong>di</strong> progresso scientifico”, in Philip P. Wiener e Aaron Noland, Le ra<strong>di</strong>ci del pensiero<br />

scientifico c<strong>it</strong>., 260-83, 272.<br />

79<br />

A. C. Keller, “Zilsel, gli artigiani e l’ idea <strong>di</strong> progresso nel Rinascimento”, in Philip P. Wiener e Aaron Noland, Le ra<strong>di</strong>ci del<br />

pensiero scientifico c<strong>it</strong>., 290-5, 291.<br />

80 Ibidem, 291-2.<br />

40


un suo saggio sulla storia dei mestieri, quest’ ultima acquisti <strong>di</strong>gn<strong>it</strong>à “… per la prima volta in<br />

Bacone e in base al fatto che lo stu<strong>di</strong>o delle arti meccaniche occupa un posto centrale nel suo<br />

programma per la “ricostruzione delle scienze”” 81 .<br />

7.3. “Intensive”, la conoscenza matematica umana è pari a quella <strong>di</strong>vina. Alexandre Koyré<br />

ha defin<strong>it</strong>o <strong>Galileo</strong> <strong>Galilei</strong> “<strong>platonico</strong>”, letteralmente e ra<strong>di</strong>calmente, e per <strong>di</strong>ssolvere ogni<br />

dubbio ha sostenuto che “… tanto per i <strong>di</strong>scepoli <strong>di</strong> <strong>Galileo</strong> quanto per i suoi contemporanei e<br />

i suoi precursori matematismo significhi platonismo”. Secondo Koyré spetta a E. A. Burtt<br />

aver evidenziato nel miglior modo possibile il matematismo <strong>platonico</strong>, la struttura metafisica<br />

“latente”, che sono a fondamento della scienza <strong>di</strong> <strong>Galileo</strong> <strong>Galilei</strong> e della scienza moderna. A<br />

Burtt, però, Koyré rimprovera <strong>di</strong> non aver colto le due <strong>di</strong>stinte tra<strong>di</strong>zioni platoniche: l’<br />

ar<strong>it</strong>mologia mistica e la scienza matematica.<br />

Nella Prima Giornata del “Dialogo sopra i due massimi sistemi tolemaico e copernicano”, il<br />

copernicano Salviati sostiene che “l’ intendere si può pigliare in due mo<strong>di</strong>, cioè intensive, o<br />

vero extensive: e che extensive, cioè quanto alla molt<strong>it</strong>u<strong>di</strong>ne degli intelligibili, che sono<br />

infin<strong>it</strong>i, l’ intender umano è come nullo, quando bene egli intendesse mille proposizioni,<br />

perché mille rispetto all’ infin<strong>it</strong>à è come un zero; ma pigliando l’ intender intensive, in quanto<br />

cotal termine importa intensivamente, cioè perfettamente, alcuna proposizione, <strong>di</strong>co che l’<br />

intelletto umano ne intende alcune così perfettamente, e ne ha così assoluta certezza, quando<br />

se n’ abbia l’ istessa natura; e tali sono le scienze matematiche pure, cioè la geometria e l’<br />

ar<strong>it</strong>metica, delle quali l’ intelletto <strong>di</strong>vino ne sa bene infin<strong>it</strong>e proposizioni <strong>di</strong> più, perché le sa<br />

tutte, ma <strong>di</strong> quelle poche intese dall’ intelletto umano credo che la cognizione agguagli la<br />

<strong>di</strong>vina nella certezza obiettiva, poiché arriva a comprendere la necess<strong>it</strong>à, sopra la quale non<br />

par che possa essere sicurezza maggiore” 82 . Salviati, insomma, mette <strong>di</strong> fronte l’ intelletto<br />

lim<strong>it</strong>ato dell’ uomo e quello onnisciente <strong>di</strong> Dio. E opera il confronto su due piani: 1) l’<br />

intens<strong>it</strong>à, lo spessore e la profon<strong>di</strong>tà della conoscenza; 2) l’ estensione, il numero delle ver<strong>it</strong>à<br />

possedute. La tesi è che solo la mente <strong>di</strong>vina possegga tutte le infin<strong>it</strong>e ver<strong>it</strong>à matematicogeometriche<br />

e ciascuna perfettamente. La mente umana ne possiede solo alcune. Ma queste<br />

poche le possiede con intens<strong>it</strong>à pari a Dio. In intens<strong>it</strong>à, dunque, l’ intelletto umano è pari a<br />

quello <strong>di</strong>vino.<br />

Salviati ha il senso delle proporzioni, e si rivolge a Simplicio sostenendo che “Tra gli uomini<br />

… è la potestà <strong>di</strong> operare, ma non egualmente partecipata da tutti: e non è dubbio che la<br />

potenza d’ un imperadore è maggiore assai che quella d’ una persona privata; ma e questa e<br />

quella è nulla in comparazione dell’ onnipotenza <strong>di</strong>vina. Tra gli uomini vi sono alcuni che<br />

intendon meglio l’ agricoltura che molti altri; ma il saper piantare un sermento <strong>di</strong> v<strong>it</strong>e in una<br />

fossa, che ha da far col saperlo far barbicare, attrarre il nutrimento, da quello scierre questa<br />

parte buona per farne le foglie, quest’ altra per formarne i v<strong>it</strong>icci, quella per i grappoli, quell’<br />

altra per l’ uva, ed un’ altra per i fiocini, che son poi l’ opere della sapientissima natura?<br />

Questa è una sola opera particolare delle innumerabili che fa la natura, ed in essa solo si<br />

conosce un’ infin<strong>it</strong>a sapienza, talchè si può concludere, il saper <strong>di</strong>vino esser infin<strong>it</strong>e volte<br />

infin<strong>it</strong>o”.<br />

7.4. La giusta misura tra creativ<strong>it</strong>à umana e potenza <strong>di</strong>vina. Salviati propone un altro<br />

esempio, ancor più esplicativo: “Non <strong>di</strong>rem noi che ‘l sapere scoprire in un marmo una<br />

bellissima statua ha sublimato l’ ingegno del Buonarroti assai assai sopra gli ingegni comuni<br />

degli altri uomini? E questa opera non è altro che im<strong>it</strong>are una sola att<strong>it</strong>u<strong>di</strong>ne e <strong>di</strong>sposizion <strong>di</strong><br />

membra esteriore e superficiale d’ un uomo immobile; e però che cosa è in comparazione d’<br />

un uomo fatto dalla natura, composto <strong>di</strong> tante membra esterne ed interne, de i tanti muscoli,<br />

81 Walter E. Houghton Jr., “La storia dei mestieri in rapporto al pensiero seicentesco”, in Philip P. Wiener e Aaron Noland, Le<br />

ra<strong>di</strong>ci del pensiero scientifico c<strong>it</strong>., 362-90.<br />

82 <strong>Galileo</strong> <strong>Galilei</strong>, Dialogo c<strong>it</strong>., in Opere. E<strong>di</strong>zione elettronica Manuzio, 56.<br />

41


ten<strong>di</strong>ni, nervi, ossa, che servono a i tanti e sì <strong>di</strong>versi movimenti? Ma che <strong>di</strong>remo de i sensi,<br />

delle potenze dell’ anima, e finalmente dell’ intendere? Non possiamo noi <strong>di</strong>re, e con ragione,<br />

la fabbrica d’ una statura cedere d’ infin<strong>it</strong>o intervallo alla formazion d’ un uomo vivo, anzi<br />

anco alla formazion d’ un vilissimo verme?”. E, per ev<strong>it</strong>are equivoci e frainten<strong>di</strong>menti,<br />

Salviati precisa che “quanto alla ver<strong>it</strong>à <strong>di</strong> che ci danno cognizione le <strong>di</strong>mostrazioni<br />

matematiche, ella è l’ istessa che conosce la sapienza <strong>di</strong>vina; ma vi concederò bene che il<br />

modo col quale Id<strong>di</strong>o conosce le infin<strong>it</strong>e proposizioni , delle quali noi conosciamo alcune<br />

poche, è sommamente più eccellente del nostro, il quale procede con <strong>di</strong>scorsi e con passaggi<br />

<strong>di</strong> conclusione in conclusione, dove il Suo è <strong>di</strong> un semplice intu<strong>it</strong>o: e dove noi, per esempio,<br />

per guadagnar la scienza d’ alcune passioni del cerchio, che ne ha infin<strong>it</strong>e, cominciando da<br />

una delle più semplici e quella pigliando per sua definizione, passiamo con <strong>di</strong>scorso ad un’<br />

altra, e da questa alla terza, e poi alla quarta, etc., l’ intelletto <strong>di</strong>vino con la semplice<br />

apprensione della sua essenza comprende, senza temporaneo <strong>di</strong>scorso, tutta la infin<strong>it</strong>à <strong>di</strong><br />

quelle passioni; le quali anco poi in effetto virtualmente si comprendono nelle definizioni <strong>di</strong><br />

tutte le cose, e che poi finalmente, per esser infin<strong>it</strong>e, forse sono una sola nell’ essenza loro e<br />

nella mente <strong>di</strong>vina. <strong>Il</strong> che né anco all’ intelletto umano è del tutto incogn<strong>it</strong>o, ma ben da<br />

profonda e densa caligine adombrato, la qual viene in parte assottigliata e chiarificata quando<br />

ci siamo fatti padroni <strong>di</strong> alcune conclusioni fermamente <strong>di</strong>mostrate e tanto spe<strong>di</strong>tamente<br />

possedute da noi, che tra esse possiamo velocemente trascorrere: perché in somma, che altro è<br />

l’ esser nel triangolo il quadrato opposto all’ angolo retto eguale a gli altri due che gli sono<br />

intorno, se non l’ esser i parallelogrammi sopra base comune e tra le parallele, tra loro eguali?<br />

E questo non è egli finalmente il medesimo che essere eguali quelle due superficie che<br />

adattate insieme non si avanzano, ma si racchiuggono dentro al medesimo termine? Or questi<br />

passaggi, che l’ intelletto nostro fa con tempo e con moto <strong>di</strong> passo in passo, l’ intelletto<br />

<strong>di</strong>vino, a guisa <strong>di</strong> luce, trascorre in un instante, che è l’ istesso che <strong>di</strong>re, gli ha sempre tutti<br />

presenti. Concludo per tanto, l’ intender nostro, e quanto al modo e quanto alla molt<strong>it</strong>u<strong>di</strong>ne<br />

delle cose estese, esser d’ infin<strong>it</strong>o intervallo superato dal <strong>di</strong>vino; ma non però l’ avvilisco<br />

tanto, ch’io lo reputi assolutamente nullo; anzi quando io vo considerando quante e quanto<br />

meravigliose cose hanno intese investigare ed operare gli uomini, pur troppo chiaramente<br />

conosco io ed intendo, esser la mente umana opera <strong>di</strong> Dio, e delle più eccellenti”.<br />

E Sagredo corrobora la tesi <strong>di</strong> Salviati, integrandola con una forte sensibil<strong>it</strong>à umanistica, che<br />

non ignora certamente l’ infin<strong>it</strong>a onniscienza <strong>di</strong> Dio ma esalta le abil<strong>it</strong>à dell’ uomo: “Io son<br />

molte volte andato meco medesimo considerando, in propos<strong>it</strong>o <strong>di</strong> questo che <strong>di</strong> presente <strong>di</strong>te,<br />

quanto grande sia l’ acutezza dell’ ingegno umano; e mentre io <strong>di</strong>scorro per tante e tanto<br />

meravigliose invenzioni trovate da gli uomini, sì nelle arti come nelle lettere, e poi fo<br />

reflessione sopra il saper mio, tanto lontano dal potersi promettere non solo <strong>di</strong> r<strong>it</strong>rovarne<br />

alcuna <strong>di</strong> nuovo, ma anco <strong>di</strong> apprendere delle già r<strong>it</strong>rovate, confuso dallo stupore ed affl<strong>it</strong>to<br />

dalla <strong>di</strong>sperazione, mi reputo poco meno che infelice. S’ io guardo alcuna statua delle<br />

eccellenti, <strong>di</strong>co a me medesimo: “E quando sapresti levare il soverchio da un pezzo <strong>di</strong> marmo,<br />

e scoprire sì bella figura che vi era nascosa? Quanto mescolare <strong>di</strong>stendere sopra una tela o<br />

parete colori <strong>di</strong>versi, e con essi rappresentare tutti gli oggetti visibili, come un Michelagnolo,<br />

un Raffaello, un Tiziano?” S’ io guardo quel che hanno r<strong>it</strong>rovato gli uomini nel compartir gl’<br />

intervalli musici, nello stabilir precetti e regole per potergli maneggiar con <strong>di</strong>letto mirabile<br />

dell’ u<strong>di</strong>to, quando potrò io finir <strong>di</strong> stupire? Che <strong>di</strong>rò de i tanti e sì <strong>di</strong>versi strumenti? La<br />

lettura de i poeti eccellenti <strong>di</strong> qual meraviglia riempie chi attentamente considera l’ invenzion<br />

de’ concetti e la spiegatura loro? Che <strong>di</strong>remo dell’ arch<strong>it</strong>ettura? Che dell’ arte navigatoria? Ma<br />

sopra tutte le invenzioni stupende, qual eminenza <strong>di</strong> mente fu quella <strong>di</strong> colui che s’ immaginò<br />

<strong>di</strong> trovar modo <strong>di</strong> comunicare i suoi più recon<strong>di</strong>ti pensieri a qualsivoglia persona, benché<br />

<strong>di</strong>stante per lunghissimo intervallo <strong>di</strong> luogo e <strong>di</strong> tempo? Parlare con quelli che son nell’ In<strong>di</strong>e,<br />

parlare a quelli che non sono ancora nati né saranno se non <strong>di</strong> qua a mille e <strong>di</strong>eci mila anni? E<br />

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con qual facil<strong>it</strong>à? Con i vari accozzamenti <strong>di</strong> venti caratterizzi sopra una carta. Sia questo il<br />

sigillo <strong>di</strong> tutte le ammirande invenzioni umane…”.<br />

43


8. Questioni <strong>di</strong> lana caprina …<br />

8.1. Le “sottigliezze matematiche” sono applicabili alla materia sensibile? Nella Seconda<br />

Giornata del “Dialogo” <strong>di</strong> <strong>Galileo</strong> <strong>Galilei</strong>, lo scienziato copernicano Salviati afferma <strong>di</strong> non<br />

credere che l’ aristotelista Simplicio “sia <strong>di</strong> quei Peripatetici che <strong>di</strong>ssuadono i lor <strong>di</strong>scepoli<br />

dallo stu<strong>di</strong>o delle matematiche, come quelle che depravano il <strong>di</strong>scorso e lo rendono meno atto<br />

alla contemplazione” 83 . Simplicio replica brevemente: “Io non farei questo torto a Platone, ma<br />

<strong>di</strong>rei bene con Aristotile che ei s’ immerse troppo e troppo s’ invaghì <strong>di</strong> quella sua geometria;<br />

perché finalmente queste sottigliezze matematiche, signor Salviati, son vere in astratto, ma<br />

applicate alla materia sensibile e fisica non rispondono: perché <strong>di</strong>mostreranno ben i<br />

matematici con i lor principii, per esempio, che “sphaera tang<strong>it</strong> planum in puncto”,<br />

proposizione simile alla presente; ma come si viene alla materia, le cose vanno per un altro<br />

verso: e così voglio <strong>di</strong>re <strong>di</strong> quest’ angoli del contatto e <strong>di</strong> queste proporzioni, che tutte poi<br />

vanno a monte quando si viene alle cose materiali e sensibili”. “Adunque voi non credete<br />

altrimenti – gli chiede allora Salviati – che la tangente tocchi la superficie del globo terrestre<br />

in un punto?”. E Simplicio: “Non solo in un punto, ma credo che molte e molte decine e forse<br />

centinaia <strong>di</strong> braccia va<strong>di</strong>a una linea retta toccando la superficie anco dell’ acqua, non che della<br />

Terra, prima che separarsi da lei”.<br />

Si tratta <strong>di</strong> una questione che scaturisce dal fondamento del metodo ipotetico-deduttivo<br />

sperimentale galileiano, dalla matematizzazione della natura e della fisica. L’ aristotelista non<br />

ha <strong>di</strong>fficoltà a c<strong>it</strong>are il Maestro, il quale escludeva che nel mondo sublunare materiale vi sia<br />

una sfera perfetta, che possa toccare un piano, altrettanto perfetto, in un solo punto. Le leggi e<br />

le figure della geometria possono essere applicate al mondo celeste, esso sì perfetto e sono<br />

comunque ideali e astratte. L’ impegno <strong>di</strong> Salviati è quello <strong>di</strong> mostrare che le ver<strong>it</strong>à<br />

geometriche sono applicabili anche alla fisica terrestre: se vi fossero una sfera materiale ed un<br />

piano materiale perfetti come quelli ideali geometrici, la tangenza in un sol punto ci sarebbe.<br />

Certo, poi le sfere materiali e i piani materiali non sono perfetti e i punti in cui si toccano sono<br />

più d’ uno. Ma allora perché non credere che in essi prendano “corpo” sfere e piani ideali e<br />

geometrici anch’ essi imperfetti? Quando si costruiscono modelli matematici esplicativi e si<br />

formalizzano i dati dell’ osservazione, si deve provvedere a scegliere enti e soli<strong>di</strong> matematici<br />

e geometrici adeguati.<br />

Salviati non vuol lasciare l’ aristotelista nell’ errore <strong>di</strong> credere “che una sfera materiale non<br />

tocchi un piano in un sol punto” e gli pone la questione: “Or, per mostrarvi quanto sia grande<br />

l’ error <strong>di</strong> coloro che <strong>di</strong>cono che una sfera, verbigrazia, <strong>di</strong> bronzo, non tocca un piano,<br />

verbigrazia, d’ acciaio, in un punto, <strong>di</strong>temi qual concetto voi vi formereste <strong>di</strong> uno che <strong>di</strong>cesse<br />

e costantemente asseverasse che la sfera non fusse veramente sfera”. Laconicamente,<br />

Simplicio gli risponde: “Lo stimerei per privo <strong>di</strong> <strong>di</strong>scorso affatto”. Salviati non ha <strong>di</strong>fficoltà a<br />

replicare che: “In questo stato è colui che <strong>di</strong>ce che la sfera materiale non tocca un piano, pur<br />

materiale, in un punto, perché il <strong>di</strong>r questo è l’ istesso che <strong>di</strong>re che la sfera non è sfera. E che<br />

ciò sia vero, <strong>di</strong>temi in quello che voi cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>e l’ essenza della sfera, cioè che cosa è quella<br />

che fa <strong>di</strong>fferir la sfera da tutti gli altri corpi soli<strong>di</strong>”. “Credo che l’ essere sfera consista nell’<br />

aver tutte le linee rette, prodotte dal suo centro sin alla circonferenza eguali”, risponde<br />

Simplicio. E Salviati: “… basta che voi intendete, la retta esser la brevissima <strong>di</strong> tutte le linee<br />

che si posson tirare fra due punti. E quanto alla principal conclusione, voi <strong>di</strong>te che la sfera<br />

materiale non tocca il piano in un sol punto: qual è dunque il suo contatto?”. “Sarà una parte<br />

della sua superficie” risponde Simplicio, e all’ altro che gli chiede se “… il contatto<br />

parimente d’ un’altra sfera eguale alla prima, sarà pure una simil particella della sua<br />

superficie”, risponde semplicemente che “Non ci è ragione che non deva essere così”. E<br />

quando Salviati conclude: “Adunque ancor le due sfere, toccandosi, si toccheranno con le due<br />

medesime particelle <strong>di</strong> superficie, perché adattandosi ciascheduna <strong>di</strong> esse all’ istesso piano, è<br />

83 <strong>Galileo</strong> <strong>Galilei</strong>, Dialogo c<strong>it</strong>., E<strong>di</strong>zione elettronica Manuzio, 110 e sgg..<br />

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forza che si adattino ancor fra <strong>di</strong> loro”, facendogli la relativa <strong>di</strong>mostrazione, Simplicio replica<br />

che quel che vale per le “sfere in astratto” non vale per quelle materiali. E precisa: “Le sfere<br />

materiali son soggette a molti accidenti, a i quali non soggiacciono le immateriali. E perché<br />

non può esser che, posandosi una sfera <strong>di</strong> metallo sopra un piano, il proprio peso non calchi in<br />

modo che il piano ceda qualche poco, o vero che l’ istessa sfera nel contatto si ammacchi? In<br />

oltre, quel piano <strong>di</strong>fficilmente potrà essere perfetto, quando non per altro, almeno per esser la<br />

materia porosa; e forse non sarà men <strong>di</strong>fficile il trovare una sfera così perfetta, che abbia tutte<br />

le linee dal centro alla superficie egualissime per l’ appunto”. “Oh tutte queste cose – replica<br />

Salviati – ve le concedo io facilmente, ma elle sono assai fuor <strong>di</strong> propos<strong>it</strong>o; perché mentre voi<br />

volete mostrarmi che una sfera materiale non tocca un piano materiale in un punto, voi vi<br />

serv<strong>it</strong>e d’ una sfera che non è sfera e d’ un piano che non è piano, poiché, per vostro detto, o<br />

queste cose non si trovano al mondo, o se si trovano si guastano nell’ applicarsi a far l’<br />

effetto. Era dunque manco male che voi concedeste la conclusione, ma con<strong>di</strong>zionatamente,<br />

cioè che se si desse in materia una sfera e un piano che fussero e si conservassero perfetti, si<br />

toccherebber in un sol punto, e negaste poi ciò potersi dare”. Per Simplicio il <strong>di</strong>scorso sarebbe<br />

chiuso col <strong>di</strong>re che “l’ imperfezion della materia fa che le cose prese in concreto non<br />

rispondono alle considerate in astratto”. Ma Salviati insiste: “tuttavolta che in concreto voi<br />

applicate una sfera materiale a un piano materiale, voi applicate una sfera non perfetta a un<br />

piano non perfetto; e questi <strong>di</strong>te che non si toccano in un punto. Ma io vi <strong>di</strong>co che anco in<br />

astratto una sfera immateriale, che non sia sfera perfetta, può toccare un piano immateriale,<br />

che non sia piano perfetto, non in un punto, ma con parte della sua superficie; talchè sin qui<br />

quello che accade in concreto, accade nell’ istesso modo in astratto: e sarebbe ben nuova cosa<br />

che i computi e le ragioni fatte in numeri astratti, non rispondessero poi alle monete d’ oro e<br />

d’ argento e alle mercanzie in concreto. Ma sapete, signor Simplicio, quel che accade? Sì<br />

come a voler che i calcoli tornino sopra i zuccheri, le sete e le lane, bisogna che il computista<br />

faccia le sue tare <strong>di</strong> casse, invoglie ed altre bagaglie, così, quando il filosofo geometra vuol<br />

riconoscere in concreto gli effetti <strong>di</strong>mostrati in astratto, bisogna che <strong>di</strong>falchi gli impe<strong>di</strong>menti<br />

della materia; che se ciò saprà fare, io vi assicuro che le cose si riscontreranno non meno<br />

aggiustatamene che i computi ar<strong>it</strong>metici. Gli errori dunque non consistono né nell’ astratto né<br />

nel concreto, né nella geometria o nella fisica, ma nel calcolatore, che non sa fare i conti<br />

giusti”. E alla domanda <strong>di</strong> Simplicio, “Adunque voi credete che due pietre o due ferri, presi a<br />

caso e accostati insieme, il più delle volte si tocchino in un sol punto?”, risponde ponendo fine<br />

alla questione: “… quando le superficie loro fussero ben terse, e che posati amendue sopra<br />

una tavola, acciocché l’ uno non gravasse sopra all’ altro, si spingessero pian piano l’ uno<br />

verso l’ altro, io non ho dubbio che potrebbero condursi al semplice contatto in un sol punto”.<br />

8.2. Sfere, cavalli, locuste: arch<strong>it</strong>etture naturali e abil<strong>it</strong>à umane. Sagredo gliene pone sub<strong>it</strong>o<br />

un’ altra, strettamente attinente: “…se maggior <strong>di</strong>fficoltà si trovi in voler ridurre un pezzo <strong>di</strong><br />

marmo in figura d’ una sfera perfetta, che d’ una perfetta piramide o d’ un perfetto cavallo o d<br />

‘ una perfetta locusta”. E Salviati gli risponde sub<strong>it</strong>o che “se figura alcuna si può dare a un<br />

solido, la sferica è la facilissima sopra tutte l’ altre, sì come è anco la descrizion del qual<br />

cerchio, come più facile <strong>di</strong> tutte le altre, essa sola è stata giu<strong>di</strong>cata da i matematici degna d’<br />

esser posta tra i postulati attenenti alle descrizioni <strong>di</strong> tutte l’ altre figure. Ed è talmente facile<br />

la formazion della sfera, che se in una piastra piana <strong>di</strong> metallo duro si caverà un vacuo<br />

circolare, dentro al quale si va<strong>di</strong>a rivolgendo casualmente qualsivoglia solido assai<br />

grossamente tondeggiato, per se stesso senz’altro artifizio si ridurrà in figura sferica, quanto<br />

più sia possibile perfetta, purchè quel tal solido non sia minore della sfera che passasse per<br />

quel cerchio; e quel che ci è anche <strong>di</strong> più degno <strong>di</strong> considerazione è che dentro a quel<br />

medesimo incavo si formeranno sfere <strong>di</strong> <strong>di</strong>verse grandezze. Quello poi che ci voglia per<br />

formare un cavallo o (come voi <strong>di</strong>te) una locusta, lo lascio giu<strong>di</strong>care a voi, che sapete che<br />

pochissimi scultori si troveranno al mondo atti a poterlo fare; e credo che il signor Simplicio<br />

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in questo particolare non <strong>di</strong>ssentirà da me”. E Simplicio, pur sostenendo che “nessuna delle<br />

nominate figure si possa perfettamente ottenere”, conviene sul fatto che “incomparabilmente<br />

sia più agevole il ridurre il solido in figura sferica, che in forma <strong>di</strong> cavallo o <strong>di</strong> locusta”.<br />

Salviati interviene ponendo fine alla questione: “… mi par che noi siamo entrati in una<br />

<strong>di</strong>sputa non molto più rilevante che quella della lana caprina” ed inv<strong>it</strong>a gli interlocutori a<br />

riprendere altre tematiche. Non era affatto una questione priva <strong>di</strong> sostanza. E <strong>di</strong> questioni<br />

tuttaltro che <strong>di</strong> lana caprina si sarebbe occupata l’ epistemologia, a partire dalla fine dell’<br />

Ottocento, con Ernst Mach, con la crisi del para<strong>di</strong>gma meccanicistico e la cr<strong>it</strong>ica all’<br />

assolutezza del tempo newtoniano, rivelatasi una semplice ipotesi metafisica, sostenuta<br />

proprio da colui che aveva <strong>di</strong>chiarato, interrogato sulla causa e sulla natura della forza <strong>di</strong><br />

grav<strong>it</strong>azione universale: “Hypotheses non fingo”. Isaac Newton aveva sottolineato <strong>di</strong> essere<br />

un filosofo naturale e non un teologo. Ma quali sono i confini tra fisica e metafisica? Di quale<br />

verac<strong>it</strong>à sono portatrici le teorie scientifiche? I para<strong>di</strong>gmi scientifici hanno un valore<br />

sovrastorico o sono essi stessi espressione <strong>di</strong> età storiche ed il loro destino è quello <strong>di</strong> esser<br />

superati da rivoluzioni scientifiche?<br />

8.3. Esperimenti mentali. Nei “Discorsi e <strong>di</strong>mostrazioni sopra due nuove scienze”, emergono<br />

due esigenze, con le quali <strong>Galileo</strong> si confronta: la prima è quella dell’ approssimazione dei<br />

modelli matematici esplicativi alla reale struttura matematica dei fatti considerati; la seconda<br />

riguarda l’ astrazione da quei fattori perturbanti (come l’ attr<strong>it</strong>o) che si oppongono alla<br />

matematizzazione. “Una sempre più rigorosa astrazione da ogni elemento sensibile e<br />

qual<strong>it</strong>ativo: ecco ciò che Simplicio (cioè la scienza aristotelica) – ha scr<strong>it</strong>to Paolo Rossi – non<br />

è in grado <strong>di</strong> accettare e <strong>di</strong> comprendere. Bisogna supporre l’ assenza <strong>di</strong> ogni resistenza,<br />

immaginare che il movimento avvenga nel vuoto, che il piano sia in qualche modo<br />

incorporeo, che il mobile sia perfettamente sferico, che una forza piccola a piacere sia in<br />

grado <strong>di</strong> mettere in movimento una sfera grande a piacere, che la fragil<strong>it</strong>à del mobile e la<br />

resistenza dell’ aria siano solo “impe<strong>di</strong>menti esterni e accidentali”, che, una volta<br />

mentalmente eliminati, consentono <strong>di</strong> applicare ai mutamenti empirici quelle “conseguenze<br />

geometriche” delle quali parlano Salviati e Sagredo”.<br />

<strong>Galileo</strong> comprese l’ importanza degli “esperimenti mentali” 84 che svincolano i fatti esplicati<br />

dalle con<strong>di</strong>zioni concrete e particolari. <strong>Galileo</strong> stabiliva in astratto “che risulti uniformemente<br />

e … continuamente accelerato quel moto che in tempi uguali, comunque presi, acquista eguali<br />

mutamenti <strong>di</strong> veloc<strong>it</strong>à”. Sagredo e Simplicio rinfacciano al copernicano Salviati che si tratta<br />

<strong>di</strong> una definizione gratu<strong>it</strong>a e astratta, non verificabile in natura. Salviati replica: “In un regolo,<br />

o vogliàn <strong>di</strong>r corrente, <strong>di</strong> legno, lungo circa 12 braccia, e largo per un verso mezo bracio e per<br />

l’ altro 3 <strong>di</strong>ta, si era in questa minor larghezza incavato un cataletto, poco più largo d’ un <strong>di</strong>to;<br />

tiratolo dr<strong>it</strong>tissimo, e, per vaerlo ben pul<strong>it</strong>o e liscio, incollatovi dentro una cartapecora zannata<br />

e lustrata al possibile, si faceva in esso scendere una palla <strong>di</strong> bronzo durissimo, ben rotondata<br />

e pul<strong>it</strong>a; costru<strong>it</strong>o che si era il detto regolo pendente, elevando sopra il piano orizzontale una<br />

delle sue estrem<strong>it</strong>à un braccio o due ad arb<strong>it</strong>rio, si lasciava (come <strong>di</strong>co) scendere per il detto<br />

84 Karl R. Popper, Logica della scoperta scientifica, Einau<strong>di</strong>, Torino 1970, conclude che “Uno dei più importanti esperimenti<br />

immaginari nella storia della filosofia naturale, che cost<strong>it</strong>uisce al medesimo tempo una delle argomentazioni più semplici e<br />

ingegnose nella storia del pensiero razionale intorno all’ universo, è contenuto nelle cr<strong>it</strong>iche <strong>di</strong> <strong>Galileo</strong> alla teoria del moto <strong>di</strong><br />

Aristotele. Prova la fals<strong>it</strong>à della supposizione <strong>di</strong> Aristotele che la veloc<strong>it</strong>à naturale <strong>di</strong> un corpo più pesante sia maggiore <strong>di</strong> quella<br />

<strong>di</strong> un corpo più leggero. Ecco le argomentazioni del personaggio che rappresenta <strong>Galileo</strong>: “Quando dunque noi avessimo due<br />

mobili, le naturali veloc<strong>it</strong>à de i quali fussero ineguali, è manifesto che se noi congiungessimo il più tardo col più veloce, questo<br />

dal più tardo sarebbe in parte r<strong>it</strong>ardato, ed il tardo in parte veloc<strong>it</strong>ato dall’ altro più veloce”. Così, “se questo è, ed è insieme<br />

vero che una pietra grande si muova, per esempio, con otto gra<strong>di</strong> <strong>di</strong> veloc<strong>it</strong>à, ed una minore con quattro, adunque,<br />

congiungendole amendue insieme, il composto <strong>di</strong> loro si moverà con veloc<strong>it</strong>à minore <strong>di</strong> otto gra<strong>di</strong>: ma le due pietre, congiunte<br />

insieme, fanno una pietra maggiore che quella prima, che si moveva con otto gra<strong>di</strong> <strong>di</strong> veloc<strong>it</strong>à: adunque questo composto (che<br />

pure è maggiore che quella prima sola) si muoverà più tardamente che la prima sola, che è minore; che è contro alla vostra<br />

supposizione”. E poiché questa supposizione <strong>di</strong> Aristotele è quella da cui prende le mosse il suo ragionamento, essa è ora<br />

confutata: si è mostrato che è assurda. Nell’ esperimento immaginario <strong>di</strong> <strong>Galileo</strong> io scorgo un modello perfetto dell’ uso migliore<br />

che si possa fare degli esperimenti immaginari. Si tratta dell’ uso cr<strong>it</strong>ico. Non intendo però suggerire che questo sia l’ unico<br />

modo <strong>di</strong> usare tali esperimenti” (501-2).<br />

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canale la palla, notando, nel modo che appresso <strong>di</strong>rò, il tempo che consumava nello scorrerlo<br />

tutto, replicando il medesimo atto molte volte per assicurarsi bene della quant<strong>it</strong>à del tempo,<br />

nel quale non si trovava mai <strong>di</strong>fferenza né anco della decima parte d’ una battuta <strong>di</strong> polso”. La<br />

legge del moto uniformemente accelerato non scaturisce dall’ esperimento. Salviati <strong>di</strong>ce in<br />

sostanza d’ aver compiuto l’ esperimento per “assicurarsi che l’ accelerazione de’ gravi<br />

naturalmente <strong>di</strong>scendenti segua nella proporzione sopraddetta”.<br />

<strong>Galileo</strong> aveva fatto un uso accorto ed astuto <strong>di</strong> Platone e del neoplatonismo p<strong>it</strong>agorizzante per<br />

sostenere le ragioni <strong>di</strong> Euclide e Archimede nella nuova fisica. In effetti, egli separava le<br />

ipotesi e le ver<strong>it</strong>à scientifiche da quelle metafisiche. E il suo platonismo p<strong>it</strong>agorizzante<br />

appariva, più che una concezione metafisica, una ipotesi euristica ed esplicativa.<br />

Introducendo “Scienza e realtà”, un contributo a più voci, Giulio Peruzzi ha ricordato che<br />

“”Certamente la scienza, complice in molti casi la presunzione che le deriva dai suoi gran<strong>di</strong><br />

successi, crede spesso <strong>di</strong> poter sviluppare in modo autonomo dalla filosofia una riflessione su<br />

se stessa, finendo per trattare in modo superficiale e ingenuo questioni che da secoli la<br />

filosofia <strong>di</strong>batte. E’ però altrettanto vero che la filosofia, senza avere sufficiente familiar<strong>it</strong>à<br />

con i meto<strong>di</strong> e i portati più recenti della scienza, finisce spesso per parlare della scienza, dei<br />

suoi meto<strong>di</strong> e dei suoi processi <strong>di</strong> avanzamento, avendo presente una scienza che non c’è più,<br />

o come <strong>di</strong>ce maliziosamente qualcuno <strong>di</strong> una scienza che non c’è mai stata”. Due esempi <strong>di</strong><br />

questioni decisamente non “<strong>di</strong> lana caprina” 85 , possono dare la misura dell’ ent<strong>it</strong>à delle<br />

problematiche della filosofia della scienza. <strong>Il</strong> primo riguarda il <strong>di</strong>batt<strong>it</strong>o sorto, all’ interno del<br />

Circolo <strong>di</strong> Vienna, neopos<strong>it</strong>ivista, fra Mor<strong>it</strong>z Schlik e Otto Neurath, sul principio <strong>di</strong><br />

verificazione e sulle “proposizioni elementari” (del tipo “qui ora rosso”). <strong>Il</strong> secondo riguarda i<br />

rilievi cr<strong>it</strong>ici <strong>di</strong> Frege, Hilbert, Brouwer, Heyting al programma logicistico <strong>di</strong> Bertrand<br />

Russell, che voleva dare una fondazione logica alla matematica.<br />

85 Giulio Peruzzi, Prefazione a: Tullio Regge, Sergio Carrà, Maria Luisa Dalla Chiara, Paolo Zellini, Carlo Bernar<strong>di</strong>ni, Elena<br />

Castellani, Alessandro Treves, Enrico G. Beltrametti, Edoardo Boncinelli, Carlo Cellucci, Giorgio Mario Giacometti, Giovanni<br />

Giacometti, Giulio Giorello, Pier Carlo Marchisio, Giuliano Toraldo <strong>di</strong> Francia, Enrico Bellone, Scienza e realtà. Riduzionismo e<br />

antiriduzionismo nelle scienze del Novecento, Bruno Mondadori, Milano 2000, 4.<br />

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