CREDENZE POPOLARI E - L'Alba della Piana
CREDENZE POPOLARI E - L'Alba della Piana
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L’ALBA DELLA PIANA<br />
A CURA<br />
DELL’ASSOCIAZIONE CULTURALE<br />
«L’ALBA»<br />
Redazione:<br />
Viale Pietro Nenni, 13<br />
89020 Maropati (RC)<br />
<br />
339‐8951719<br />
<br />
redazione@lalba<strong>della</strong>piana.it<br />
Stampato in proprio<br />
La collaborazione è per invito<br />
ed è completamente gratuita.<br />
Manoscritti, fotografie, disegni anche se non<br />
pubblicati non vengono restituiti.<br />
I lavori pubblicati riflettono<br />
il pensiero dei singoli autori<br />
i quali ne assumono la responsabilità<br />
di fronte alla legge.<br />
www.lalba<strong>della</strong>piana.it<br />
GENNAIO 2010<br />
2<br />
3<br />
7<br />
9<br />
13<br />
16<br />
17<br />
21<br />
23<br />
27<br />
33<br />
35<br />
SOMMARIO<br />
PUBBLICATI I DIARI DI FORTUNATO<br />
SEMINARA<br />
di Umberto di Stilo<br />
I CROCIFISSI DI PALMI E TERRANOVA SAPPO<br />
MINULIO<br />
di Antonio Tripodi<br />
NOTAI ED ASSASSINI NELLA CALABRIA DEL<br />
1790<br />
di Giovanni Quaranta<br />
NEL 1856 FRANCESCO MORANI ACQUISTÒ<br />
LA CASA DI VIA DOMENICANI<br />
di Giovanni Russo<br />
CRONACHE DELLA GUERRA TRA ANGIOINI<br />
ED ARAGONESI IN CALABRIA NEGLI ANNI<br />
DAL 1462 AL 1464<br />
di Roberto Avati<br />
NATALE A PESCÀNO (1935-1940)<br />
di Domenico Cavallari<br />
UNA SCORRIBANDA TRA ‘600 E ‘700 NELLA<br />
STORIA DI VARAPODIO<br />
di Rocco Liberti<br />
<strong>CREDENZE</strong> <strong>POPOLARI</strong> E «MODI DI DIRE»<br />
CALABRESI<br />
di Antonio Violi<br />
ALCUNE EVIDENTI INCONGRUENZE<br />
PSEUDO-STORICHE SULLA VITA DI SAN<br />
NICODEMO DI MAMMOLA<br />
di Giovanni Mobilia<br />
CONVENTI E CHIESE DEI MINIMI NEL<br />
CORSO DEI SECOLI<br />
di Ferdinando Mamone<br />
LO SCULTORE ROCCO MILANESE E I SUOI<br />
RAPPORTI CON TERRANOVA<br />
di Agostino Formica<br />
MAROPATI: DATATA LA STATUA DI<br />
S. ANTONIO DA PADOVA<br />
di Giovanni Mobilia
L’Alba <strong>della</strong> <strong>Piana</strong><br />
PUBBLICATI I DIARI DI FORTUNATO SEMINARA<br />
C<br />
ome alcuni protagonisti dei<br />
suoi romanzi (Laura de Il diario<br />
di Laura, Ortensia delle Donne<br />
di Napoli, Fausto di Disgrazia in<br />
casa Amato, ecc.) anche Fortunato<br />
Seminara, lo scrittore calabrese<br />
che con le sue opere diede vita al<br />
neorealismo letterario italiano, per<br />
anni ha avuto la costanza di affidare<br />
alle pagine di un diario idee,<br />
sensazioni, pensieri e riflessioni<br />
che avevano origine da avvenimenti<br />
e situazioni particolari, dall’attenta<br />
osservazione <strong>della</strong> società<br />
nella quale viveva e dalle persone<br />
che incontrava casualmente o che<br />
era solito frequentare. Lo stesso<br />
Seminara, in una pagina dei suoi<br />
diari scrive: “sono avido di conoscenza,<br />
ho bisogno di osservare tutto<br />
ciò che mi circonda (persone e<br />
cose) di penetrare i segreti <strong>della</strong> vita<br />
altrui, vedere sempre cose nuove<br />
e saziare la mia curiosità”. Adesso<br />
quelle intime riflessioni, quelle<br />
considerazioni, quei turbamenti<br />
dell’animo che lo scrittore affidava<br />
alle pagine dei suoi quaderni-diari<br />
(dieci quaderni di scuola che si<br />
conservano alla “Fondazione Seminara”<br />
di Maropati) sono stati pazientemente<br />
trascritti da Erik Pesenti<br />
Rossi, professore ordinario di<br />
letteratura italiana presso l’università<br />
di Alta Alsazia (Mulhouse,<br />
Francia) e con prefazione di Luigi<br />
Maria Lombardi Satriani, sono stati<br />
pubblicati dall’Editore Pellegrini<br />
(Cosenza) a cui va il merito di aver<br />
già editato i romanzi inediti dello<br />
scrittore di Maropati (l’Arca, Il<br />
viaggio, La Dittatura, Terra amara)<br />
e ristampato in edizione critica<br />
i suoi grandi successi letterari (Le<br />
baracche, La fidanzata impiccata,<br />
La masseria, Il vento nell’oliveto e<br />
Disgrazia in casa Amato).<br />
I Diari di Seminara coprono un<br />
arco temporale che va dal 1939 al<br />
1976 e, come scrive Pesenti nell’introduzione<br />
al volume, “possono es-<br />
Umberto di Stilo<br />
sere considerati come dei carnets<br />
de voyage, anzi dei compagni di viaggio<br />
usati quando lo scrittore lascia<br />
Maropati”. Infatti attraverso le<br />
pagine dei diari veniamo a conoscenza<br />
<strong>della</strong> sua “grande ed irrisarcibile<br />
solitudine” ma anche dei<br />
suoi viaggi in Italia e all’estero e<br />
dei suoi abituali spostamenti in Toscana,<br />
regione delle sue prime<br />
esperienze sentimentali e culturali,<br />
luogo delle ultime passioni d’amore,<br />
terra dove vive la famiglia del<br />
figlio Oliverio e nella quale si registrano<br />
i suoi ricoveri ospedalieri.<br />
Ma sappiamo soprattutto delle sue<br />
amicizie, delle sue frequentazioni<br />
con il mondo culturale calabrese,<br />
delle sue apprensioni per la malattia<br />
<strong>della</strong> nuora, dei suoi sentimenti più<br />
intimi, del suo innamoramento<br />
“maturo” per la giovane Caterina,<br />
<strong>della</strong> stima o <strong>della</strong> disistima per<br />
scrittori e poeti suoi contemporanei.<br />
E, cosa più importante, attraverso<br />
questa pubblicazione, conosciamo<br />
il vero mondo interiore dello scrittore<br />
da tutti considerato introverso<br />
e scontroso. Seminara è consapevole<br />
dell’immagine che di lui hanno<br />
soprattutto i suoi concittadini e sotto<br />
la data del 12 gennaio 1961 annota:<br />
«agli altri sembro aspro e<br />
selvatico perché non immaginano<br />
ciò che ho dentro».<br />
Quel che aveva dentro emerge<br />
chiaramente proprio dalla pubblicazione<br />
dei suoi Diari perché<br />
dall'attenta lettura di essi si scopre<br />
il vero animo dello scrittore,<br />
tutt’altro che indifferente e sempre<br />
intento a cercare materiale vero e<br />
vissuto per i suoi romanzi. Molto<br />
probabilmente alcuni quadernidiari<br />
sono andati perduti. Altri, forse,<br />
sono stati volutamente distrutti<br />
dallo stesso Seminara. Non è possibile,<br />
infatti, che <strong>della</strong> sua vicenda<br />
politico-amministrativa vissuta a<br />
Galatro nel 1944 non abbia lasciato<br />
niente di scritto proprio lui che me-<br />
todicamente appuntava tutto e che,<br />
proprio in quegli anni, dopo il successo<br />
letterario del suo romanzo Le<br />
baracche, stava vivendo il periodo<br />
di più feconda creatività letteraria.<br />
Stranamente, però, tra gli altri,<br />
manca proprio il quaderno di<br />
quell’anno, quasi che lo stesso Seminara<br />
abbia voluto cancellare<br />
quella breve ma intensa esperienza<br />
politica <strong>della</strong> quale, qualche anno<br />
dopo, con i toni <strong>della</strong> favola, ha ricostruito<br />
la conclusione ne “La<br />
leggenda di novembre”.<br />
Qualunque possa essere stata la<br />
sorte dei diari mancanti è certo, però,<br />
che proprio grazie alle pagine di<br />
questa pubblicazione oggi i biografi<br />
oltre alla sua tematica narrativa<br />
possono meglio conoscere il vero<br />
animo di Fortunato Seminara che<br />
esterna tutta la sua rabbia contro gli<br />
autori dell’incendio <strong>della</strong> casa di<br />
Pescàno (notte di Natale 1975) ma<br />
anche del Seminara che in un momento<br />
di estrema sincerità scriveva:<br />
«la mancanza di fama e di chiasso<br />
intorno al mio nome e alla mia persona<br />
mi ha permesso di vivere<br />
tranquillo e di lavorare con assidua<br />
scrupolosità. Non sono stato traviato<br />
dai premi, né impigrito dal guadagno,<br />
né incitrullito dalle donne.<br />
Ciò che ho fatto, forse poco, posso<br />
dire di averlo fatto con impegno e<br />
meglio che potessi».<br />
Gennaio 2010 Pagina 2
L<br />
a ricorrenza giubilare dei<br />
duemila anni dalla nascita di<br />
Cristo, anche se a tutti è noto che<br />
c’è uno sfasamento di 3 ÷ 4 anni<br />
dovuto ad un errore nel computo<br />
commesso da un monaco orientale<br />
nel quinto secolo dell’era cristiana,<br />
non può non indirizzare gli<br />
spiriti alla contemplazione<br />
<strong>della</strong> conclusione <strong>della</strong> vita<br />
terrena di quel Bambino che<br />
quando venne la pienezza dei<br />
tempi apparve all’orizzonte<br />
<strong>della</strong> storia umana.<br />
La statua del Crocefisso<br />
di Terranova riporta agli inizi<br />
del ’500, epoca in cui la devozione<br />
alla ”Vittima del<br />
Gòlgota” era praticata in particolare<br />
dai francescani, i<br />
quali la propagavano quando<br />
si spostavano da un paese<br />
all’altro per le prediche quaresimali<br />
o per i panegirici<br />
nelle feste dei santi che le varie<br />
comunità celebravano.<br />
Si rileva dai verbali <strong>della</strong><br />
visita pastorale eseguita nel<br />
1586 dal vescovo di Mileto,<br />
all’epoca il napoletano Marcantonio<br />
Del Tufo, che nelle chiese<br />
parrocchiali e filiali <strong>della</strong> vasta<br />
diocesi non erano state ancora<br />
erette cappelle dedicate al Crocefisso<br />
1 . I visitatori del 1630 poterono<br />
constatare invece che nel corso<br />
di quei quarantaquattro anni d’intervallo<br />
erano state costruite alcune<br />
chiese e cappelle sotto il titolo<br />
del Crocefisso 2 .<br />
Sul finire del ’500 e per tutto il<br />
’600, e seppure con frequenza decrescente<br />
anche nei secoli seguenti<br />
fino ai nostri giorni, furono commissionati<br />
statue o gruppi statuari<br />
del Crocifisso ad artisti noti e poco<br />
noti, religiosi e laici, perché in<br />
L’Alba <strong>della</strong> <strong>Piana</strong><br />
I CROCIFISSI DI PALMI E<br />
TERRANOVA SAPPO MINULIO<br />
Antonio Tripodi<br />
ogni chiesa non mancasse il riferimento<br />
concreto e visibile del sacrificio<br />
cruento col quale l’Uomo -<br />
Dio riconciliò l’umanità con la divinità.<br />
Si pensi al Crocifisso di Cutro,<br />
che si mostra con espressioni di-<br />
Il Crocifisso di Terranova<br />
verse a seconda del punto di osservazione.<br />
Il volto del Cristo si<br />
vede sofferente guardandolo da sinistra,<br />
sorridente dal centro e nella<br />
serenità <strong>della</strong> morte da destra 3 .<br />
Sorsero contemporaneamente le<br />
confraternite, ormai la maggior parte<br />
estinte, e le poche ancora in funzione<br />
ridotte nel numero degli aderenti,<br />
dedicate al “Santissimo Crocefisso”<br />
od anche alle “Cinque Piaghe<br />
di Nostro Signore Gesù Cristo”.<br />
Nei luoghi vicini a Palmi ed a<br />
Terranova si ricordano la confraternita<br />
di Cinquefrondi, fondata il<br />
23 agosto 1719, e quella di Melicucco,<br />
documentata esistente nel<br />
1727 4 .<br />
Per questi sodalizi, che furono<br />
le prime forme di associazionismo<br />
laicale nella Chiesa e che tanto bene<br />
operarono al servizio delle comunità,<br />
pur se non mancavano e<br />
non mancano motivi ed occasioni<br />
per contrasti, in questo mondo che<br />
vorrebbe essere dissacratore<br />
ma che non riesce a dissacrarsi,<br />
si è iniziata da tempo la parabola<br />
discendente che in<br />
tempi più o meno brevi porterà<br />
alla probabile estinzione.<br />
La pietà popolare manifestò<br />
in ogni tempo ed in ogni<br />
modo la partecipazione al<br />
mistero del Gòlgota. Inni, coroncine,<br />
poesie, preghiere furono<br />
composti da anime ispirate<br />
che infondevano nelle<br />
loro composizioni l’intimo<br />
dramma vissuto nella meditazione<br />
<strong>della</strong> passione del<br />
Redentore.<br />
Per l’occasione, l’anno<br />
scorso a cura <strong>della</strong> Sezione di<br />
Archivio di Stato di Palmi<br />
sono stati esposti due rosari,<br />
due poesie ed una lauda<br />
drammatica in onore del<br />
Crocifisso, testimonianze <strong>della</strong> perenne<br />
presenza del mistero <strong>della</strong><br />
morte di Cristo nella vita di quanti<br />
credono in lui.<br />
Nel territorio <strong>della</strong> ”<strong>Piana</strong>” è<br />
ancora vivo l’eco del miracolo del<br />
Santissimo Crocefisso di Terranova,<br />
avvenuto in Palmi l’ormai lontano<br />
20 di luglio 1533, riportato<br />
dal sacerdote terranovese Paolo<br />
Gualtieri nel suo Leggendario dei<br />
ss. martiri di Calabria, pubblicato<br />
nel 1630 a Napoli 5 . Narrò il pio<br />
ecclesiastico che a quell’epoca<br />
l’immagine <strong>della</strong> Madonna del<br />
Soccorso di Palmi era oggetto di<br />
venerazione anche dalle popola-<br />
Gennaio 2010 Pagina 3
zioni dei centri viciniori. I fedeli di<br />
Terranova si recarono in processione<br />
con la confraternita che portava<br />
il proprio Crocifisso per dodici<br />
miglia di strada scoscesa e<br />
sconnessa. Quando la statua del<br />
Figlio giunse nella chiesa del Soccorso<br />
di Palmi, e si trovò di fronte<br />
all’immagine <strong>della</strong> Madre, cominciò<br />
a sudare sangue da ogni parte<br />
del corpo. La commozione dei<br />
presenti fu tale che tutti ruppero in<br />
pianto e con animo contrito imploravano<br />
la divina misericordia. Per<br />
tramandare ai posteri la memoria<br />
dell’evento miracoloso, il notaio<br />
Antonio Oliva <strong>della</strong> vicina Seminara,<br />
probabilmente tra i pellegrini,<br />
fu incaricato di compilare un<br />
pubblico istrumento, purtroppo disperso,<br />
che si conosce dalla trascrizione<br />
del citato Gualtieri 6 .<br />
Il termine ”immagine” in riferimento<br />
alla Madonna porta alla<br />
supposizione che poteva trattarsi<br />
di un quadro. Probabilmente era<br />
quello ”di tavola pinto ad oglio<br />
con l’imagine <strong>della</strong> Madonna del<br />
Soccorso con le cornici et le colonne<br />
adorate ” che il 25 ottobre<br />
1586 fu ammirato dal vescovo<br />
Marcantonio Del Tufo e dal suo<br />
seguito nel corso delle visita pastorale<br />
effettuata in quella chiesa 7 .<br />
Testimonianze <strong>della</strong> devozione<br />
filiale dei cittadini di Terranova al<br />
loro ”Vecchio”, come affettuosamente<br />
chiamano il loro Crocefisso,<br />
sono il componimento drammatico<br />
intitolato ”Melos concinendum”,<br />
musicato dal sacerdote Giuseppantonio<br />
Barba, maestro di cappella,<br />
ed eseguito la prima volta nella<br />
chiesa il 3 maggio 1754; un’altra<br />
melodia italo – latina, un inno e<br />
tante poesie 8 .<br />
Il quarto centenario del miracolo<br />
è stato celebrato l’anno 1933,<br />
nel corso dell’Anno Santo <strong>della</strong><br />
Redenzione, indetto dal pontefice<br />
Pio XI in ricordo dei diciannove<br />
secoli trascorsi dalla morte del Signore.<br />
E … non è da escludere che<br />
la processione dei fedeli di Terranova,<br />
snodatasi sotto il sole cocente<br />
del 20 luglio 1533, non sia stata<br />
L’Alba <strong>della</strong> <strong>Piana</strong><br />
suggerita dalla ricorrenza quindici<br />
volte centenaria <strong>della</strong> Redenzione.<br />
In un libro sulla devozione al<br />
Crocefisso venerato a Terranova, lo<br />
storico locale Raffaele Germanò ha<br />
scritto che “era consuetudine, in<br />
occasione <strong>della</strong> festa di Maria Vergine<br />
del Soccorso, portare nella<br />
città di Palmi dai paesi circonvicini<br />
le immagini più miracolose” 9 . Ma<br />
nell’opera del padre Fiore, dalla<br />
quale assicura di avere attinto la<br />
notizia, nessun accenno si legge in<br />
riferimento a tale ”consuetudine” 10 .<br />
Nel narrare il ”fatto inaudito”<br />
che si sarebbe verificato alle ore<br />
21 del 27 marzo 1638, quell’anno<br />
sabato delle Palme, in occasione<br />
di una scorreria di pirati in Terranova,<br />
lo stesso Germanò tramanda<br />
che, dopo aver sfondato la porta<br />
<strong>della</strong> sagrestia, un gruppo di quegli<br />
infedeli penetrò nella chiesa del<br />
Crocefisso illuminandosi il percorso<br />
con torce a vento. Presa la venerata<br />
statua, dopo averla estratta<br />
dalla nicchia sopra l’altare maggiore<br />
da due dei più robusti di<br />
quegli uomini, fu portata fuori dalla<br />
chiesa ad un centinaio di passi<br />
di distanza. Il capo aveva ordinato<br />
di cospargerla di pece e di darle<br />
fuoco, affinché le fiamme per<br />
sempre la togliessero alla venerazione<br />
dei fedeli. Ma mentre quei<br />
sacrileghi stavano per mettere in<br />
esecuzione il loro nefando disegno<br />
fuggirono sorpresi ed impauriti<br />
dalle scosse di terremoto avvertite<br />
in quel momento 11 .<br />
L’autore del libro ha consentito<br />
alquanta libertà alla fantasia, lasciandosi<br />
condurre ad errori che è<br />
bene considerare derivanti da ingenuità.<br />
Le ore 21 di quell’epoca<br />
corrispondevano alle tre pomeridiane<br />
attuali, e nella chiesa quelle<br />
torce a vento in mano ai pirati erano<br />
d’impaccio. Se il fatto inaudito<br />
accadde nel XV secolo, come<br />
scritto dal Germanò, la differenza<br />
di due secoli può essere trascurata<br />
solo se il tempo si misura con<br />
l’orologio dell’eternità 12 .<br />
Il venerato Crocefisso, incastonato<br />
in un’artistica pala marmorea<br />
dentro una nicchia cruciforme,<br />
troneggia sopra l’altare maggiore<br />
dell’omonimo santuario, affidato<br />
negli anni ’70 dal vescovo Santo<br />
Bergamo ai religiosi Missionari<br />
dell’evangelizzazione, fondati dal<br />
p. Vincenzo Idà.<br />
La solenne festa liturgica si celebra<br />
ogni anno il 3 maggio. Il<br />
giorno precedente, sul mezzogiorno,<br />
il simulacro viene rimosso dalla<br />
pala che lo incastona e si espone<br />
alla venerazione dei fedeli davanti<br />
all’altare. La sera si porta nella<br />
chiesa parrocchiale, dove alle ore<br />
11,00 del giorno tre si celebra la<br />
messa. Segue la processione per le<br />
vie del paese, con la partecipazione<br />
di devoti coperti di spine, detti<br />
spinati, ed al termine la statua<br />
rientra nel santuario, dove rimane<br />
esposta fino al termine <strong>della</strong> messa<br />
celebrata alle ore 11,00 dell’ultima<br />
domenica di maggio.<br />
Il santuario è meta di pellegrinaggi,<br />
sia di gruppi che di famiglie<br />
o di singoli fedeli provenienti anche<br />
da luoghi lontani, tutti i giorni<br />
dell’anno.<br />
Per poter riferire sul convento<br />
dei Riformati di Palmi, e quindi<br />
sul Crocefisso venerato in quella<br />
chiesa, è necessario anzitutto fare<br />
chiarezza su alcuni elementi di<br />
confusione che sono stati introdotti<br />
da alquanto tempo a questa parte.<br />
Non può essere razionalmente<br />
sostenibile che i Riformati fossero<br />
presenti nella città nell’anno 1537 o<br />
venti anni dopo. Infatti la Strictior<br />
Observantia, nota come la Riforma<br />
Serafica ed in forma breve col nome<br />
di Riforma, in Calabria fu riconosciuta<br />
con l’istituzione <strong>della</strong> Custodia<br />
nel 1586 e successivamente<br />
<strong>della</strong> Provincia nel 1638 13 .<br />
Pertanto i Riformati presero<br />
stanza in Palmi nel 1621, come attestano<br />
il Napoleone ed il già citato<br />
Fiore. Realisticamente quest’ultimo<br />
affermò che il convento<br />
dell’Annunziata era stato fondato<br />
nel 1537 dal padre Antonio dell’Osservanza,<br />
originario di Palmi,<br />
e che fu “ceduto” nel 1621 ai confratelli<br />
<strong>della</strong> Riforma 14 .<br />
Gennaio 2010 Pagina 4
La data concorda con il contenuto<br />
<strong>della</strong> dichiarazione emessa<br />
dalla commissione composta dai<br />
quattro padri incaricati <strong>della</strong> ricognizione,<br />
che il 6 gennaio 1724 attestarono<br />
che sopra una lapide posta<br />
sul frontespizio <strong>della</strong> chiesa si<br />
leggeva che il convento era abitato<br />
da circa un secolo dai frati <strong>della</strong><br />
Riforma 15 .<br />
Si apprende dalla stessa relazione<br />
che venti anni prima era stata<br />
iniziata la ricostruzione del convento<br />
dalle fondamenta, nello stesso sito,<br />
perché non più adatto alle esigenze<br />
<strong>della</strong> comunità religiosa 16 .<br />
Il convento, già abitato, era stato<br />
costruito con le offerte dei<br />
devoti <strong>della</strong> città e col lavoro<br />
dei frati, ed al momento erano<br />
pronte ventidue celle e due sale<br />
delle quali una era in comune<br />
perché adibita a deposito<br />
degli indumenti e <strong>della</strong> biancheria<br />
dei religiosi.<br />
Non si era ancora potuto<br />
sistemare la biblioteca. I sacri<br />
arredi e paramenti e le suppellettili<br />
erano riposti in una cella<br />
adiacente alla chiesa in attesa<br />
del completamento <strong>della</strong> nuova<br />
sagrestia. Nel convento era<br />
in funzione l’infermeria, e le<br />
medicine per la farmacia erano<br />
offerte con grande carità<br />
dai farmacisti benefattori.<br />
L’olio e la frutta per la comunità<br />
si producevano nell’orto,<br />
ch’era cinto completamente<br />
da muri, con un perimetro di<br />
circa mezzo miglio. Per la<br />
mancanza di censi e di legati, di<br />
terreni, di vigne e di boschi, i religiosi<br />
vivevano con l’elemosine che<br />
provenivano dalla questua nella città.<br />
La pubblica amministrazione<br />
elargiva spontaneamente ogni anno<br />
al convento trentacinque ducati,<br />
che l’amministratore (detto sindaco<br />
apostolico) spendeva per le necessità<br />
<strong>della</strong> comunità dei religiosi 17 .<br />
Su questo convento, come<br />
sull’intera Calabria centromeridionale,<br />
detta all’epoca Calabria Ultra,<br />
si abbatté la violenza delle<br />
scosse telluriche che nei giorni 5 e<br />
L’Alba <strong>della</strong> <strong>Piana</strong><br />
7 febbraio 1783 seminarono lutti e<br />
disperazione nelle popolazioni. Si<br />
produssero lesioni di una certa<br />
gravità sia al convento che alla<br />
chiesa, tanto che si dovette procedere<br />
alla demolizione del frontespizio<br />
sino al piano del Cornicione,<br />
del campanile e del muro laterale<br />
rivolto a levante, perché pericolanti.<br />
Inoltre era necessaria la<br />
ricostruzione di un dormitorio per<br />
i frati 18 .<br />
Soppresso dalle leggi francesi,<br />
dal decreto del 7 agosto 1809 o dal<br />
successivo del 10 gennaio 1811, il<br />
convento fu ripristinato nel 1822<br />
assieme a molti altri nella regione 19 .<br />
L’attaccamento ai frati francescani<br />
è testimoniato dal testamento<br />
olografo di Gaetano Grassi pubblicato<br />
il 3 febbraio 1848, col quale<br />
erano lasciati cento ducati per la<br />
celebrazione di messe in suffragio<br />
delle anime dello stesso testatore e<br />
<strong>della</strong> propria madre 20 Il Crocifisso di Palmi<br />
.<br />
Il convento rimase in funzione<br />
fino al 1866, anno in cui il nuovo<br />
governo italiano il 7 luglio decretò<br />
la soppressione di tutti gli ordini<br />
religiosi. La fine <strong>della</strong> presenza dei<br />
Figli del Poverello in Palmi si ri-<br />
leva dalla comunicazione <strong>della</strong><br />
Sottoprefettura <strong>della</strong> città in data 4<br />
febbraio 1867, contenente l’assicurazione<br />
che fino all’ultimo i frati si<br />
erano allontanati dai locali del<br />
convento 21 .<br />
Nella seduta consiliare del 28<br />
novembre 1866 fu riconosciuto<br />
che “la Chiesa annessa a tale Fabbricato<br />
si rende necessaria ed utile<br />
a quella parte di abitanti che dimorano<br />
in quel Quartiere, non essendovene<br />
altra vicina per adempiere<br />
essi agli servigi religiosi” 22 .<br />
Nella delibera del 12 ottobre<br />
1868 fu precisato che “la quale<br />
Chiesa come accessoria del Convento<br />
il Municipio potrà chiudere<br />
o tenere aperta al pubblico,<br />
avvertendo che in<br />
quest’ultimo caso saranno a<br />
suo carico le spese tutte relative,<br />
come altresì dell’Ufficiatura.<br />
In la quale essendo prescelto<br />
un religioso <strong>della</strong> soppressa<br />
Congregazione, questi<br />
dovrà svestire l’abito monastico,<br />
e vestire invece quello di<br />
prete secolare”. Non sono necessarie<br />
profonde riflessioni<br />
per comprendere che si voleva<br />
far dimenticare il passato<br />
francescano <strong>della</strong> chiesa 23 .<br />
Partiti i frati, la chiesa fu<br />
gestita dal Comune. E fu adibita<br />
a seggio elettorale, ad aula<br />
di tribunale, a sala per comizi<br />
ed altro. La mattina del<br />
23 ottobre 1892 l’on. Rocco<br />
De Zerbi espose il programma<br />
elettorale ai cittadini per le<br />
elezioni che si dovevano svolgere<br />
il successivo 6 novembre 24 .<br />
Nonostante tante pubbliche<br />
profanazioni, il vescovo Luigi<br />
Carvelli non volle interdirla per il<br />
timore che il Municipio potesse<br />
trarre motivo per demolire gli altari<br />
facendo scempio delle opere<br />
d’arte <strong>della</strong> chiesa 25 .<br />
Però, bisogna sottolineare che<br />
il sindaco, cav. Pasquale Suriano,<br />
in data 20 novembre 1883 aveva<br />
rassicurato il Vescovo di Mileto<br />
che la chiesa degli ex-Riformati<br />
“fu dal Comune sempre adibita al<br />
Gennaio 2010 Pagina 5
Culto Cattolico, ed a tale scopo la<br />
s’intende conservare, e se per<br />
mancanza d’ampi locali qualche<br />
volta si dovette adibire per uffici<br />
civili”. Essendo in costruzione il<br />
teatro comunale, il problema sarebbe<br />
stato risolto 26 .<br />
Ma … nove anni dopo il problema<br />
era più grave di prima. Probabilmente<br />
al moderato Suriani era<br />
succeduto sulla poltrona di primo<br />
cittadino un massone.<br />
L’ultima dimostrazione di devozione<br />
fu offerta nel 1875, con la<br />
proposta di utilizzare il complesso<br />
convento-chiesa per sede <strong>della</strong><br />
diocesi di Palmi <strong>della</strong> quale proprio<br />
in quegli anni era stata richiesta<br />
l’istituzione 27 .<br />
Oggi rimane soltanto la chiesa<br />
con le capriate in vista, tipiche <strong>della</strong><br />
povera architettura francescana,<br />
e per fortuna anche le opere d’arte<br />
che nel corso dei secoli l’ornarono.<br />
Sull’altare maggiore è collocato il<br />
Crocefisso descritto a “figura intera<br />
eretta su la croce, di proporzioni<br />
al naturale e dipinto con cupo e<br />
tragico verismo. Il corpo si piega<br />
arcuato sui piedi disuniti, la testa è<br />
abbassata fortemente. Opera forse<br />
monastica del periodo sec. XVII -<br />
XVIII” 28 .<br />
Non è dato sapere se l’ignoto<br />
autore del Crocefisso fosse un laico<br />
oppure uno dei tanti frati crocifissari<br />
che popolavano i conventi<br />
nel ’600, ma era un credente che<br />
nel modo di plasmare la materia<br />
seppe consegnare per i secoli la<br />
sua retta devozione sulla passione<br />
del Cristo Redentore.<br />
Lo stesso si può osservare riguardo<br />
all’altrettanto ignoto scultore<br />
del Crocefisso di Terranova<br />
Sappo Minulio, classificato “artisticamente<br />
di modesto interesse” 29 .<br />
In una lapide marmorea posta alla<br />
sommità di un edicola affrescata<br />
fuori dall’attuale centro abitato,<br />
fino ad alcuni anni addietro si leggeva<br />
: “In questo luogo santo / nel<br />
XIII secolo / fu dal prospiciente<br />
Molochiello / scorta e poi ritrovata<br />
/ in un roveto miracoloso / la tormentata<br />
immagine / del SS. Croce-<br />
L’Alba <strong>della</strong> <strong>Piana</strong><br />
fisso / venerato in Terranova” si<br />
vorrebbe datare la statua appunto<br />
al XIII secolo 30 .<br />
In ogni caso le due statue non<br />
possono essere state eseguite dalla<br />
stessa mano, perché in contrasto<br />
con le date del miracolo del 1533 e<br />
dell’arrivo dei Riformati nel 1621.<br />
La differenza di un secolo non è<br />
trascurabile, e alle leggende non<br />
può e non deve essere riconosciuto<br />
valore storico.<br />
La chiesa di Palmi, non più del<br />
convento, ma tuttora e per<br />
l’avvenire nota col tradizionale titolo<br />
del Crocefisso, nella francescana<br />
eleganza invita al raccoglimento<br />
ed alla preghiera e ricorda<br />
agli uomini che hanno varcato la<br />
soglia del terzo millennio dell’era<br />
cristiana il bene spirituale dispensato<br />
in più di due secoli dai Figli<br />
del Poverello di Assisi.<br />
Il riconoscimento non deve andare<br />
soltanto a quelli che per dovere<br />
di ministero o per devozione in<br />
tanti anni s’impegnarono prima<br />
per la conservazione e poi per i restuari<br />
<strong>della</strong> chiesa. E si ricordano il<br />
defunto vescovo di Mileto mons.<br />
Vincenzo De Chiara, il canonico<br />
Filippo Papalia ed altri fra gli ecclesiastici,<br />
e la signora Enza Posterino<br />
Bagalà fra i laici.<br />
Il ringraziamento, dal profondo del<br />
cuore di credenti, deve essere tributato<br />
a Lui, all’Innocente che dalla<br />
perfidia degli uomini fu condannato<br />
“al disonor del Golgota”,<br />
accompagnandolo con la promessa<br />
che la meditazione dei Suoi dolori<br />
ci renderà più buoni e maggiormente<br />
a Lui devoti.<br />
ABBREVIAZIONI :<br />
ASDM = Archivio Storico Diocesano di Mileto<br />
ASRC = Archivio di Stato di Reggio Calabria<br />
SAS Pm = Sezione di Archivio di Stato di Palmi<br />
not. = protocollo del notaio<br />
istr. = istrumento<br />
ob. = obbligo<br />
f. = foglio<br />
n. n. = non numerati<br />
N O T E:<br />
1 ASDM, Visite pastorali 1586 (1° - 4°).<br />
2 ASDM, Visite … 1630 (5°).<br />
3 Santuario SS. Crocifisso - Cutro, Bologna<br />
1974, p. 9; D. NERI, Scultori francescani<br />
del Seicento in Italia, Pistoia 1952, pp. 28 -<br />
33; L. RIZZICA, Il Crocifisso <strong>della</strong> chiesa<br />
dell’Annunziata di Palmi, in ”Banca Popolare<br />
Cooperativa di Palmi” (1994), n. 3, p. 67.<br />
4 A. TRIPODI, Sulle fonti per la storia delle<br />
confraternite <strong>della</strong> diocesi di Oppido Mamertina<br />
- Palmi, in P. BORZOMATI (a cura di),<br />
Calabria Cristiana (Atti del convegno di studi,<br />
Palmi - Cittanova 21 - 25/11/1994), Soveria<br />
Mannelli 2001, pp. 391, 392, 407, 410.<br />
5 P. GUALTIERI, Leggendario dei ss. martiri<br />
di Calabria, Napoli 1630, p. 360; G. LA<br />
ROSA, Profilo storico dell’antica Terranova,<br />
Roma 1983, p. 44.<br />
6 Ivi, pp. 360 - 361.<br />
7 ASDM, Visite … 1586 (4°), f. 656v; A.<br />
TRIPODI, Le chiese di Palmi nel 1586, in ”Calabria<br />
Letteraria” XLV (1997), nn. 4-6, p. 64.<br />
8 R. GERMANÒ, Cenni storici del SS. Crocifisso,<br />
Taurianova 1960, pp. 60 - 63.<br />
9 R. GERMANÒ, Santuario del SS. Crocifisso<br />
di Terranova Sappominulio (RC), Taurianova<br />
1998, p. 55.<br />
10 G. FIORE, Della Calabria illustrata (2°),<br />
Napoli 1743 (rist. anast. Bologna s. d.), pp.<br />
266 - 267.<br />
11 R. GERMANÒ, Santuario … , pp. 49 - 50.<br />
12 Ivi, pp. 48 - 49.<br />
13 ARCHIVIO PROVINCIALE dei FRATI<br />
MINORI - CATANZARO, Status Provinciae<br />
Reformatorum Sanctorum septem Martyrum,<br />
Fundatae in Custodiam 1586 in Provinciam<br />
1638 (con l’annotazione in fondo alla paginafrontespizio<br />
che il prezioso manoscritto ”Appartiene<br />
a questo con(ven)to <strong>della</strong> SS. Annunz(iat)a<br />
di Tropea”), relazione del convento<br />
dell’Annunziata di Palmi del 6 gennaio 1724.<br />
14 G. FIORE, Della …, p. 418; V. F. LUZZI, Le<br />
”memorie” di Uriele Maria Napolione, Reggio<br />
Calabria 1984, p. 219.<br />
15 ARCHIVIO PROVINCIALE …, relazione .<br />
16 Ivi.<br />
17 Ivi.<br />
18 SAS Pm, not. M. A. SORIANO, ob.<br />
16/05/1783; D. FERRARO, La chiesa del<br />
Crocifisso dei monaci, in ”Banca Popolare<br />
Cooperativa di Palmi” (1994), n. 3, p. 58.<br />
19 U. CALDORA, Calabria Napoleonica, Napoli<br />
1960 (rist. anast. Cosenza 1985), p. 227.<br />
20 SAS Palmi, not. F. P. LONGO, test.to<br />
03/02/1848.<br />
21 ASRC, fondo Prefettura, serie 2°, inv. 17,<br />
b. 162, fasc. 8.<br />
22 ASDM, cart. Palmi - chiese, f. n. n..<br />
23 Ivi.<br />
24 Ivi.<br />
25 Ivi.<br />
26 Ivi.<br />
27 D. FERRARO, La chiesa …, pp. 57 - 58.<br />
28 A. FRANGIPANE (a cura di), Inventario degli<br />
oggetti d’arte d’Italia (2°) - Calabria,<br />
Roma 1933, p. 295.<br />
29 A. FRANGIPANE (a cura di), Inventario …,<br />
p. 323.<br />
30 R. CONDÒ, Terranova e il culto del SS.<br />
Crocifisso, in ”Brutium” LXVIII (1989), n.<br />
2, p. 14.<br />
Gennaio 2010 Pagina 6
N<br />
ella Calabria dei secoli passati,<br />
il ricorso al notaio era<br />
previsto per una serie innumerevole<br />
e varia di casi.<br />
Questi pubblici ufficiali che,<br />
specialmente nelle zone più impervie<br />
e desolate <strong>della</strong> regione,<br />
rappresentavano “lo Stato” erano<br />
chiamati a svolgere funzioni molto<br />
diverse di quelle richieste ai<br />
colleghi dei giorni nostri.<br />
Il notaio, quasi sempre, svolgeva<br />
la sua professione operando<br />
nel paese di nascita o in quelli vicini<br />
ed a lui si rivolgevano i cittadini<br />
di ogni ceto sociale, sia per<br />
questioni patrimoniali che di altro<br />
genere. Non era raro, però, che,<br />
per i casi scabrosi, si cercasse un<br />
notaio nei paesi o città alquanto distanti<br />
e, per non dare nell’occhio, si<br />
approfittava di particolari ricorrenze<br />
per recarsi nei centri dove si<br />
svolgevano importanti fiere o mercati<br />
e fare una capatina dal notaio<br />
del luogo.<br />
Il 29 settembre del 1790, giorno<br />
in cui Cinquefrondi festeggiava<br />
il patrono San Michele, tale<br />
Domenico Staltari, cittadino <strong>della</strong><br />
Terra di Mammola, trovandosi in<br />
quella città, si presentò davanti al<br />
L’Alba <strong>della</strong> <strong>Piana</strong><br />
NOTAI ED ASSASSINI<br />
NELLA CALABRIA DEL 1790<br />
Giovanni Quaranta<br />
Panorama di Stilo<br />
regio notaio Francesco Saverio<br />
De Guisa del luogo per una pubblica<br />
testimonianza.<br />
Alla presenza del regio giudice<br />
a contratti (mag.co Francesco Argirò)<br />
e dei testimoni (d. Domenico<br />
Vento, Giuseppe Antonio Ferraro,<br />
Michelangelo Lauro, d.<br />
Domenico Marchesano e d. Francesco<br />
Palermo), con giuramento<br />
tactis scripturis 1 , asseriva che il<br />
19 giugno precedente, davanti al<br />
mag.co notaio Michelangelo Zirilli,<br />
aveva costituito per suo procuratore<br />
il mag.co d. Giovanni<br />
Calabretta di Catanzaro perchè in<br />
suo nome avesse ricorso nel Regio<br />
Tribunale di quella città contro<br />
i fratelli notar Giuseppe e d.<br />
Nicola Froyo e un di loro garzone<br />
Nicola Ramondo, tutti <strong>della</strong> regia<br />
città di Guardavalle, nonché contro<br />
la Regia Corte di Stilo.<br />
Tutto ciò si era reso necessario<br />
in seguito all’omicidio di Nicodemo<br />
Staltari (fratello del dichiarante)<br />
avvenuto a colpi di stile nella<br />
località Quercia del territorio di<br />
Stilo. Le accuse caddero immediatamente<br />
sui tre di Guardavalle finché,<br />
dopo l’istruttoria <strong>della</strong> corte<br />
stilese, fu il solo garzone ad essere<br />
imputato dell’omicidio.<br />
In base alla procura suddetta,<br />
il Calabretta aveva provveduto a<br />
depositare querela criminale contro<br />
i tre ritenendoli tutti autori<br />
dell’omicidio e denunciando che<br />
il proscioglimento dei Froyo era<br />
dovuto al fatto che gli stessi avevano<br />
sborsato un’ingente somma<br />
di denaro a quel Governatore di<br />
giustizia facendo cadere la colpa<br />
esclusivamente sul garzone.<br />
Inoltre, il Calabretta denunciava<br />
che lo Staltari era stato minacciato<br />
e chiedeva che fossero assunte<br />
le dovute informazioni e<br />
che gli fosse data una protezione<br />
perchè era a rischio la sua vita.<br />
Con la dichiarazione resa davanti<br />
al notaio cinquefrondese, lo<br />
Staltari, meglio informatosi delle<br />
cose sosteneva di essere stato ingannato<br />
e che quanto gli fu riferito<br />
fu una falsa invenzione degli<br />
Emuli 2 dei Froyo che lo indussero<br />
a fare la procura in modo ché, col<br />
suo nome, potessero calunniarli<br />
nella Regia Udienza di Catanzaro.<br />
Pertanto, si affrettava a revocare<br />
la procura fatta al Calabretta e ad<br />
accettare che l’unico vero reo<br />
Gennaio 2010 Pagina 7
d’omicidio fosse Nicola<br />
Ramondo (così come appurato<br />
dalla Corte di Stilo),<br />
ritrattando di fatto tutto<br />
quanto aveva precedentemente<br />
asserito. Egli,<br />
“spontaneamente e libero”,<br />
«... mediante il suo<br />
giuramento, per onor <strong>della</strong><br />
verità, e per indennità<br />
di chi spetta, e per scrupolo<br />
di sua coscienza, avendo<br />
avuto magior chiarore<br />
delle cose, per non essere<br />
alcuno ingiustamente bersagliato<br />
in suo nome, e<br />
specialmente li sudetti<br />
Froyo, dichiarandosi ben<br />
contento <strong>della</strong> condotta<br />
<strong>della</strong> detta Regia Corte di<br />
Stilo in detta causa<br />
d’omicidio, dichiarando<br />
essersi portata con tutta<br />
rettitudine, esculpa, e dichiara<br />
l’innocenza delli<br />
prefati N.r Giuseppe, e D.<br />
Nicola Froyo, ed affermando<br />
essere mai stato<br />
minacciato, o insultato, ne<br />
aver avuto, come di presente<br />
non ha timore alcuno<br />
delli medesimi, a<br />
quell’effetto cassa ed annulla tanto<br />
detto mandato di procura, che<br />
ogn’altra carta, e scrittura così<br />
publica, che privata apparisce in<br />
suo nome fatta contro detti Froyo,<br />
e specialmente intende cassare,<br />
ed annullare il publico atto fatto<br />
sotto la data lì vent’uno dell’andante<br />
mese di 7mbre per<br />
gl’atti del Mag.co N.r Nicola<br />
Condoluci di Melicucco, come<br />
asserisce, il quale vuole che non<br />
abbia forza veruna, e sia come se<br />
fatto non fusse. Come parimenti<br />
cassa, ed annulla, e vuole che non<br />
si tenga alcun conto di tutto e<br />
quanto detto suo Procuratore abbia<br />
operato, e fatto contro li menzionati<br />
Froyo tanto nel detto Regio<br />
Tribunale, che in qualunque<br />
altra Corte, o Tribunale, per essere<br />
questa la sua volontà, e la<br />
verità de fatti. ...» 3 .<br />
L’Alba <strong>della</strong> <strong>Piana</strong><br />
Non sappiamo queste “migliori<br />
informazioni” da dove fossero<br />
scaturite, ma non è da escludere<br />
che il mammolese possa essere<br />
stato effettivamente indotto a ritrattare<br />
attraverso minacce o, addirittura,<br />
che possa essere stato<br />
tacitato dietro esborso di denaro.<br />
La storia ci racconta che non sono<br />
mancati casi di notai rei confessi<br />
di omicidio che, perdonati dai<br />
familiari <strong>della</strong> vittima, hanno continuato<br />
regolarmente ad esercitare<br />
la professione senza nessun impedimento.<br />
Certamente questa vicenda<br />
andrebbe chiarita perchè di lati<br />
oscuri ne nasconde tanti, e ciò anche<br />
alla luce delle lotte intestine<br />
che in quel periodo vedevano<br />
coinvolte le famiglie “bene” di<br />
Guardavalle. Si sa che nel 1786<br />
alcuni cittadini che formano in<br />
detta terra un partito quanto cri-<br />
minoso, altrettanto pregiudizievole<br />
alla pace di<br />
quel comune ricorsero<br />
contro l’elezione di Giuseppe<br />
Froyo alla carica di<br />
Sindaco ed invocando alcune<br />
provisioni del Sacro<br />
Regio Consiglio artificiosamente<br />
ottenute pretesero<br />
di fare la elezione a lor<br />
modo in persona di quei<br />
soggetti a loro devoti e del<br />
di loro potente partito 4 .<br />
Qualche chiarimento su<br />
come maturò e quali furono<br />
le dinamiche del crimine<br />
e, soprattutto, sulle<br />
prove che lo Staltari aveva<br />
sul coinvolgimento dei<br />
Froyo nell’omicidio e sulla<br />
corruzione <strong>della</strong> Corte<br />
stilese avrebbe potuto darcelo<br />
la lettura dell’atto fatto<br />
col notaio Nicola Condoluci<br />
ma, stranamente,<br />
nel suo protocollo notarile<br />
non vi è alcuna traccia 5 .<br />
La “scomparsa” del<br />
primo atto, confermato con<br />
il richiamo in quello successivo<br />
del notaio De Guisa,<br />
contribuisce ancor di<br />
più ad accrescere il mistero su<br />
questo caso di omicidio lasciando<br />
spazio ad ulteriori ed inquietanti<br />
interrogativi circa il ruolo avuto<br />
nella vicenda dai due notai pianigiani.<br />
NOTE:<br />
1 Giuramento “di dire la verità” prestato mediante<br />
l’apposizione <strong>della</strong> mano sulla Sacra<br />
Bibbia.<br />
2 Antagonisti <strong>della</strong> stessa classe sociale.<br />
3 SEZIONE DI ARCHIVIO DI STATO DI<br />
PALMI (SASP), Prot. Nr. Francesco Saverio<br />
De Guisa di Cinquefrondi, b.190, vol.2092, ff.<br />
21r-21v.<br />
4 http://www.navajo.it/Sito_Glle/casale_di_stilo.htm<br />
5 SASP, Prot. Nr. Nicola Condoluci di Melicucco,<br />
b.143, vol.1483. Al f. 5r si ritrova<br />
l’atto del 22 agosto 1790 tra Francesco Mammoliti<br />
e Giuseppe Falleti, entrambi di Melicucco,<br />
per un casaleno posto nel quadrato <strong>della</strong><br />
chiesa Madre; mentre al f. 6r è riportato l’atto<br />
del 14 novembre 1790 tra Saverio Larosa e<br />
Domenico Condoluci, entrambi di Melicucco,<br />
per un fondo denominato Romana nel territorio<br />
dello stesso paese.<br />
Gennaio 2010 Pagina 8
L<br />
Gennaio 2010<br />
NE EL 1856<br />
FRA ANCES SCO MORA M ANI<br />
ACCQUIS<br />
STÒ LA A CAS SA DI VIA DDOMEENICA<br />
ANI<br />
a Casa dei “Moran ni” (di via<br />
Domen nicani a Poli istena), in-<br />
serita in unn<br />
percorso di i visita dei<br />
luoghi legat ti agli artisti polistene-<br />
si, è una costruzione e piuttosto<br />
semplice chhe<br />
oggi vien ne conside-<br />
rata simbollo<br />
di una gr randemis- sione d’artee.<br />
Essa, pur se s nel cor-<br />
so degli annni,<br />
subì unna<br />
serie di<br />
eventi naturrali<br />
(danni deel<br />
terremo-<br />
to del 18944)<br />
e con-<br />
seguenti iinterventi<br />
di restauro, mantiene<br />
quell’essenz zialità e<br />
semplicità, oltre il<br />
fascino dovuuto<br />
anche<br />
alla presenzza<br />
di ede-<br />
ra che la co olora,se- condo il pe eriodo, di<br />
verde o di marrone.<br />
L’edificio, oggi di<br />
proprietà ddel<br />
prof.<br />
Francesco MMorani<br />
fu<br />
Emanuele, è incasto-<br />
nato nella ccornice<br />
di<br />
uno degli antichi<br />
rioni dell’ ’autentico<br />
centro storrico<br />
poli-<br />
stenese e l’aatmosfera<br />
suggestiva che offr fre, dona<br />
l’emozione di lasciarsi trasportare<br />
in una dim mensione surrreale,<br />
fuori<br />
dal tempo. È, È insomma, , un conte-<br />
nitore delle testimonianzze<br />
e di tut-<br />
to ciò che può<br />
essere riccondotto<br />
ad<br />
uno dei pi iù grandi pprotagonisti<br />
<strong>della</strong> vita artistica a delll’Ottocento<br />
polistenese: Francesco MMorani.<br />
La faccia ata, che, accaanto<br />
all’in-<br />
gresso reca affisso a un preegiatissimo<br />
medaglione in marmo rraffigurante<br />
lo scultore Francesco F Moorani<br />
(Poli-<br />
stena 1804-1878),<br />
opera a del nipote<br />
Francesco Je erace, posta pper<br />
onorare<br />
la memoria del nonno mmaterno,<br />
ri-<br />
porta anche e stemmi ed altreiscri- zioni, piutto osto recenti, checele- brano tutti i Morani, atttestandone<br />
L’Alb ba dell la <strong>Piana</strong>a<br />
Giovvanni<br />
Russo<br />
un’antica tradizione t di operosità e<br />
laboriosità artistica in es ssa, a partire<br />
dai primiss simi anni del ll’Ottocento,<br />
epoca delll’arrivo<br />
del capostipite<br />
Fortunato Morano, fin no ad oggi.<br />
Alcuni di taali<br />
assunti no on ci trovano<br />
d’accordo per i motivi che, di se-<br />
guito, tenteeremo<br />
di esem mplificare.<br />
Che il capostipite, , Fortunato<br />
Morano, peerò,<br />
fin dal matrimonio, m<br />
abbia abita<br />
da due cam<br />
in pietra e<br />
comodo di<br />
mitanti suo<br />
gelo Mamm<br />
ria Sorace<br />
ed al mar<br />
“Evoli” e n<br />
(ove oggi<br />
Domenican<br />
sodato 1 ato nella casa<br />
composta<br />
mere terranee e fabbricate<br />
e calce, di cui c una per<br />
i bottega, do onate dai li-<br />
oceri mastro oMichelan- mone e mad damaSavee alla figlia Pasqualina<br />
rito, site ne el quartiere<br />
non nel rione e “Pomara”<br />
insiste la casa c di via<br />
ni), è un fatt to ormai as-<br />
. EEd<br />
in tale qu uartiere,ap- punto “Evvoli”,<br />
in un n’abitazione<br />
che anche a noi resta im mprecisabi-<br />
le (forse ppresa<br />
in affit tto),credia- mo abbia vissuto, dop po il matrimonio<br />
cellebrato<br />
il 14<br />
febbraio<br />
1824 a Saan<br />
Pietro di Caridà con<br />
Giuseppa LLucà-Cotron<br />
nea, France-<br />
sco Moranni.<br />
Ne fa fed de l’atto di<br />
nascita deel<br />
proprio fig glio Vincenzo,<br />
del 1° ° aprile 1830 0 che, a mar-<br />
gine, recca<br />
anche l’indicazione<br />
l<br />
<strong>della</strong> stesssa<br />
data per il battesimo,<br />
amministrrato<br />
dal Pa arroco <strong>della</strong><br />
Chiesa di Santa Marin na. In tale oc-<br />
casione, “ “è comparso o Francesco<br />
Morano, ddi<br />
anni vent tisei, di pro-<br />
fessione sstucchiatore,<br />
domiciliato<br />
quì quartiere<br />
Evoli” a dichiarare<br />
davanti al sindaco<br />
Giovan Battista Je-<br />
race, “ch he lo stesso<br />
nacque oggi o ad ore<br />
otto da a esso m.<br />
Francesc<br />
e da sua<br />
gitima<br />
Giuseppa<br />
anni ven<br />
lui dom<br />
suo dom<br />
sopra<br />
quartiere<br />
Anche<br />
Diego M<br />
tegaio, e<br />
ce, ferr<br />
domicilia<br />
tiere Evolli.<br />
Franceesco<br />
Morani,<br />
potrebbe aaver<br />
continua<br />
zare quellla<br />
del padre<br />
rono anchhe<br />
alcuni dei<br />
ma <strong>della</strong> loro parten<br />
Accademiie<br />
di Belle<br />
quando nnon<br />
riuscì<br />
quella dovve<br />
stabilì, non<br />
residenza abitativa, m<br />
bottega d’ ’arte da dove<br />
uscire capolavori<br />
dell’arte sstatuaria<br />
e gl<br />
le innumerevoli<br />
chiese<br />
Pertantto,<br />
quando,<br />
chi Francesco<br />
Morani<br />
casa che oggi è situa<br />
Domenicaani<br />
e che, ne<br />
ponomastiica<br />
cittadina,<br />
o<br />
co Morano,<br />
a moglie leg-<br />
D. a Maria<br />
a Lucà di<br />
nticinque con<br />
miciliata nel<br />
micilio come<br />
[cioè, nel<br />
e Evoli]” 2 -<br />
-<br />
e<br />
,<br />
a<br />
-<br />
o<br />
-<br />
o<br />
e<br />
o<br />
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o<br />
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i<br />
n<br />
l<br />
e<br />
l<br />
.<br />
i testimoni, ,<br />
Megna, bot-<br />
e Biagio Pa-<br />
raio, eranoo<br />
ati nel quar-<br />
per bottega, ,<br />
ato ad utiliz-<br />
ovelavora- i fratelli pri-<br />
nza verso lee<br />
Arti, fino a<br />
a compraree<br />
n solo la suaa<br />
ma anche laa<br />
e ripresero add<br />
indiscussii<br />
i stucchi per r<br />
e.<br />
come e daa<br />
i acquistò laa<br />
ata nella viaa<br />
ell’antica to--<br />
, era indicataa<br />
Pagina<br />
9
dentro il quartiere “Pomara sotto<br />
la Trinità”?<br />
A sciogliere, probabilmente,<br />
tali interrogativi cui, da anni tentiamo<br />
di dare una risposta, ci sovviene<br />
un atto rogato dal notaio<br />
Giuseppe Condoluci 3 fu Don Carlo,<br />
di Cinquefrondi, del 5 giugno<br />
1856, le cui parti contraenti furono<br />
tali Maria Rosa Bellantonio fu<br />
Giovanni, autorizzata dal proprio<br />
marito Giuseppe Colaciuri fu Stefano,<br />
Giuseppe Silipigni fu Michelangelo,<br />
proprietario residente<br />
in Gioia e, finalmente, il signor<br />
Don Francesco Morani fu Fortunato,<br />
proprietario qui domiciliato.<br />
Testimoni dell’atto furono: Antonio<br />
Rocca fu Ignazio e Luigi<br />
Franco. Con tale atto, la Bellantonio<br />
vendette a Don Francesco<br />
Morani, per il convenuto prezzo<br />
di ducati 270, “un comprensorio<br />
di case, composto di quattro stanze<br />
Superiori, una Cucina, e tre<br />
bassi sito nel rione sotto la Trinità,<br />
ossia Pomara, limite lo detto<br />
Palazzo dico Palazzo con quello<br />
di Domenico Scali, con quello di<br />
Giacinto Candiloro, ed altri,<br />
franco e libero di qualunque censo,<br />
servitù ed ipoteca meno che<br />
dal solo dazio fondiario, pervenuta<br />
ad essa venditrice per retagio<br />
Paterno”. Per conoscere, più dettagliatamente<br />
le condizioni di pagamento,<br />
da parte del compratore<br />
Morani alla venditrice Bellantonio<br />
ed al Silipigni (creditore di<br />
L’Alba <strong>della</strong> <strong>Piana</strong><br />
quella per 120 ducati), oltre<br />
quant’altro relativo all’acquisto,<br />
crediamo sia utile qui riportare integralmente<br />
il documento rogato<br />
dal Notaio Condoluci che è del<br />
tenore seguente:<br />
“REGNO DELLE DUE SICILIE -<br />
Oggi li cinque Giugno dell’anno<br />
milleottocentocinquantasei in Polistina.<br />
Regnante Ferdinando Secondo<br />
per la grazia di Dio Re del Regno<br />
delle Due Sicilie, di Gerusalemme,<br />
Duca di Parma, Piacenza,<br />
[...] Gran Principe Ereditario di<br />
Toscana [...]<br />
Avanti di me Notaio Giuseppe<br />
Condoluci del fu Don Carlo, residente,<br />
e domiciliato in Cinquefrondi,<br />
col mio studio rione San<br />
Lorenzo, oggi qui presente richiesto<br />
per la stipola del presente atto,<br />
ed alla presenza degli sotto<br />
scrivendi testimonj aventi le qualità<br />
richieste dalla Legge ben cogniti,<br />
si sono personalmente costituiti<br />
Maria Rosa Bellantonio ,<br />
autorizzata dal di lei marito Giuseppe<br />
Colaciuri fu Stefano, e la<br />
detta Bellantonio figlia fu Giovanni,<br />
per la validità del presente<br />
atto, nonche Giuseppe Silipigni fu<br />
Michelangelo proprietarjo domiciliato<br />
in Gioja, e finalmente il<br />
signor Don Francesco Morani fu<br />
Fortunato, proprietario qui domiciliato,<br />
e sono tutti da me Notaio,<br />
e testimonj ben conosciuti.<br />
La detta costituita Bellantonio<br />
autorizzata come sopra sotto la<br />
garentia di fatto, e di dritto, e colla<br />
promessa dell’[...], vende liberamente<br />
e senza alcuna riserba<br />
all’altro costituito Signor Morani<br />
un comprensorio di case, composto<br />
di quattro stanze Superiori,<br />
una Cucina, e tre bassi sito e posto<br />
in questo abitato nel rione sotto<br />
la Trinità, osia Pomara, limite<br />
lo detto Palazzo dico Palazzo<br />
con quello di Domenico Scali,<br />
con quello di Giacinto Candiloro,<br />
ed altri, franco e libero di qualunque<br />
censo, servitù ed ipoteca<br />
meno che dal solo dazio fondiario,<br />
pervenuta ad essa venditrice<br />
per retagio Paterno.<br />
La detta vendita vien fatta mediante<br />
il convenuto prezzo fra esse<br />
parti di Ducati dugento settanta,<br />
di qual somma esso compratore<br />
in atto sborza, numera e consegna<br />
in tante buone monete effettive<br />
di argento corrente in regno<br />
soli docati settanta, i quali<br />
vengono imborzati da essa venditrice<br />
Bellantonio in presenza di<br />
me Notajo, e Testimonj e perciò<br />
ne fà a pro di esso compratore<br />
ampia, e finale quietanza nè modi<br />
di Legge; e degli altri Docati dugento<br />
a compimento dell’intero<br />
prezzo, si obbliga esso compratore<br />
Signor Morani consegnarli,<br />
cioè Docati ottanta ad esso Colaciuri<br />
perchè così ha voluto la detta<br />
venditrice sua moglie fra il<br />
corso di anni tre a contare da oggi,<br />
coll’annuo interesse alla ragione<br />
del sette per cento fino<br />
all’intero soddisfo; e gli altri Docati<br />
cento venti rimane obbligato<br />
pagarli all’altro costituito Silipigni<br />
anche fra i detti tre anni da<br />
oggi, col pagare due annualità<br />
con interessi alla ragione<br />
dell’otto per cento, poichè una<br />
annualità generosamente le fu lasciata<br />
generosamente in Docati<br />
sedici per detti due anni, non volendo<br />
interesse alcuno sopra i<br />
Docati venti, perchè così convenuti<br />
fra loro, e che il detto Silipi-<br />
Gennaio 2010 Pagina 10
gni era creditore dalla<br />
detta Bellantonio, come<br />
risulta dall’atto e<br />
Brevetto da Istrumento<br />
redatto per atto di Notar<br />
Don Francesco<br />
Rizzi di Gioja del dì<br />
quattordici settembre<br />
mille otto cento quarantanove,<br />
registrato<br />
al numero 1220 in<br />
Palme li diecisette<br />
detto mese, ed anno,<br />
registro 1° vol. sessantuno<br />
, foglio 14 retto,<br />
cas. 3 a per grana trenta<br />
nell’Archivio. Il Ricevitore<br />
Gregorio Catalano,<br />
al quale non<br />
abbiasi rapporto, o relazione<br />
alcuna.<br />
Per effetto quindi di si<br />
fatta libera vendita il<br />
detto Palazzo da oggi<br />
e per sempre passi e<br />
sia, e sia nel pieno<br />
dominio e posesso nella<br />
persona di esso acquirente<br />
Signor Morani, e suoi<br />
eredi che potrà disporre dello<br />
stesso come casa propria.<br />
L’estratto di detto immobile si alligherà<br />
al presente atto fra il corso<br />
di Legge.<br />
[...] le parti <strong>della</strong> Legge all’uopo si<br />
sono conformate con me Notajo,<br />
ed han dichiarato di averlo ben<br />
capito.<br />
Del presente atto si è fatta lettura<br />
chiara alta ed intelligibile voce alle<br />
parti in presenza dè testimonj.<br />
Fatto, letto, pubblicato, e stipolato<br />
a dì come sopra in Polistina,<br />
Provincia di Calabria Ultra Prima,<br />
distretto di Palme in casa di<br />
esso Signor Morani rione sotto la<br />
Trinità; presenti per testimonj<br />
Don Antonio Rocca fu Ignazio<br />
proprietario e mastro Luigi Franco<br />
fu Ferdinando calzolajo, ambi<br />
qui domiciliati, i quali sotto scrivono<br />
il presente come con esso<br />
Silipigni, Signor Morani, e con<br />
me Notajo in un solo foglio; mentre<br />
gli altri costituiti han detto<br />
non sapere scrivere:<br />
L’Alba <strong>della</strong> <strong>Piana</strong><br />
Giuseppe Silipigni; Francesco<br />
Morani; Antonio Rocca Testimone;<br />
Luigi Franco testimone; Notar<br />
Giuseppe Condoluci del fù<br />
Don Carlo residente in Cinquefrondi<br />
ho stipolato.<br />
[Segue la specifica delle spese notarili,<br />
ammontanti a Ducati 3: 30]<br />
[In margine a sinistra]: N. 504<br />
Reg.to in Cinquefrondi li sei Giugno<br />
1856= Reg. o 1° vol. 48 fol 62<br />
retto Cas. o 5°; Ricevuto gr. Ottanta<br />
= 80; N. 155 Archivio gr.<br />
Venti= 20 = 1:00; Il Ricevitore:<br />
Giuseppe Ascone”.<br />
Da questa data, quindi, cioè dal<br />
1856, l’edificio del quartiere Pomara,<br />
sotto la Trinità (oggi via Domenicani),<br />
acquistato da Francesco<br />
Morani, fu, non solo l’abitazione ma<br />
anche la bottega d’arte, ove si forgiarono<br />
i propri figli ed ove operò<br />
anche il fratello Giovanni ancora<br />
dimorante a Polistena 4 .<br />
“Francesco Morani con i figli<br />
Fortunato e Vincenzo aprirono in<br />
Polistena, bottega d’intagliatori<br />
da dove uscirono in gran numero<br />
le statue di santi, in legno,<br />
mentre la loro attività<br />
artistica si completava<br />
con le decorazioni<br />
in stucco di tante<br />
chiese di Polistena e di<br />
molte altre disseminate<br />
in tutta la Calabria”.<br />
Tale preciso riferimento<br />
di tale D.G.C. su<br />
Calabria Oggi 5 , relativamente<br />
all’apertura<br />
<strong>della</strong> nuova bottega di<br />
Francesco, con i figli<br />
Fortunato e Vincenzo,<br />
non è assolutamente<br />
casuale. Evidentemente,<br />
in altri tempi, era<br />
scontato che l’edificio<br />
di Via Domenicani, era<br />
stata l’abitazione e la<br />
bottega <strong>della</strong> famiglia<br />
di Francesco Morani.<br />
Quell’aprire bottega<br />
va riferito, questa<br />
volta, alla casa di Via<br />
Domenicani che,<br />
nell’antico catasto fabbricati 6 , figurava<br />
intestata ai figli del fu<br />
Francesco, deceduto il 21 gennaio<br />
1878, all’età di 74 anni: Morano<br />
Fortunato, Mariastella, Fortunata<br />
e Vincenzo. La consistenza<br />
dell’immobile figurava con un<br />
vano terraneo, due al primo piano,<br />
2 al secondo piano e 3 al terzo<br />
piano, al numero civico 7, oltre alla<br />
partita n. 1011, di via Saponiera,<br />
14 con una stanza terranea. Tutto<br />
ciò, secondo l’impianto catastale<br />
del 1879.<br />
In data 13 aprile 1895, a causa<br />
del terremoto del 16 Novembre<br />
1894, nella partita fu effettuata la<br />
seguente variazione: “Partita n.<br />
1011, Salita Domenicani, 7, Casa,<br />
Piano terreno: vani 1; 1° Piano:<br />
vani 2; 2° Piano: vani 2; Reddito<br />
imponibile: 35, 50”. Rispetto<br />
all’impianto catastale del 1879, la<br />
casa, evidentemente, subì la demolizione<br />
di uno dei piani che<br />
non fu più ricostruito.<br />
Alla luce dell’importante documento<br />
di acquisto <strong>della</strong> nuova<br />
Gennaio 2010 Pagina 11
casa, del 1856, epoca che fa da<br />
spartiacque tra le generazioni dei<br />
Morani, crediamo che il nostro<br />
assunto 7 circa la visita di Edward<br />
Lear, del 1847, non effettuata nella<br />
casa di via Domenicani, bensì<br />
in quella sita nel quartiere Evoli,<br />
sia appagata, finalmente, di un<br />
supporto, oltre che logico, anche<br />
documentario. Quindi, per verità<br />
storica, la piccola iscrizione posta<br />
sull’attuale edificio, andrebbe o<br />
modificata, indicando che la casa<br />
visitata dal Lear era stata quella<br />
del quartiere “Evoli” o, addirittura,<br />
rimossa. Analogamente, andrebbe<br />
tolta la targa turistica apposta<br />
dal Comune in occasione<br />
<strong>della</strong> manifestazione nazionale<br />
antimafia del 21 marzo 2007 che<br />
segnala la casa di via Domenicani<br />
come “Casa dei Morani” 8 .<br />
Circa lo stemma, recente riproduzione<br />
in pietra di quello <strong>della</strong><br />
famiglia “Morano”, baroni e<br />
feudatari di Gagliato (CZ), pur se<br />
pregevole opera del prof. Francesco<br />
Morani fu Emanuele, è un lavoro<br />
che, molto sinceramente,<br />
non riteniamo adatto ad una facciata<br />
di una modesta casa polistenese,<br />
prima appartenuta alla famiglia<br />
Bellantonio e poi a quella<br />
di importanti ed illustri artisti ed<br />
artigiani che, con il feudo gagliatese,<br />
però, non ebbe alcuna relazione<br />
dal punto di vista feudale.<br />
L’Alba <strong>della</strong> <strong>Piana</strong><br />
La famiglia Morano, come abbiamo<br />
potuto dimostrare nel già<br />
citato opuscolo dedicato al capostipite<br />
Fortunato, proveniva dal<br />
mondo dell’artigianato di Soriano<br />
Calabro ed, a Polistena, non rappresentò,<br />
dal punto di vista strettamente<br />
araldico, alcuna nobiltà.<br />
Pertanto, nel ritenere lo stemma<br />
una falsa ostentazione araldica,<br />
crediamo che vada rimosso.<br />
In conclusione, la casa in oggetto,<br />
crediamo possa essere inquadrata<br />
come casa di Francesco<br />
Morani e non complessivamente<br />
di tutti i Morano.<br />
Se la storia è fatta anche di<br />
piccoli tasselli, quella degli artisti<br />
polistenesi, oggi, crediamo ne abbia<br />
uno in più.<br />
NOTE:<br />
1<br />
G. RUSSO, Fortunato Morano (Soriano Calabro<br />
1778-Polistena 1836), Polistena, 2000,<br />
p. 11 e segg.; A. TRIPODI, Per la biografia di<br />
Fortunato Morano, in ROGERIUS, a. V, n. 1,<br />
Gennaio-Giugno 2002, pp. 159-163; A.<br />
TRIPODI, Scritti e documenti per la storia del<br />
Monteleonese, Vibo Valentia, Mapograf, 2004,<br />
pp. 78-81.<br />
2<br />
ARCHIVIO DI STATO REGGIO<br />
CALABRIA (ASRC), Stato Civile, Inv. 76, f.<br />
261, a. 1830, numero d’ordine 84.<br />
3<br />
SEZIONE DI ARCHIVIO DI STATO<br />
PALMI (SASP), Notaio Giuseppe Condoluci,<br />
b. 926, vol. 7848, ff. 138r.-140 v.<br />
4<br />
SASP, Catasto Terreni e Fabbricati Polistena,<br />
Comune di Polistena - Fabbricati, Catasto<br />
Fabbricati - Registro delle Partite, partita n.<br />
1014. Secondo tale catasto (impianto del<br />
1879), Giovanni Morano fu Fortunato risultò<br />
intestatario <strong>della</strong> casa di Via Villa Rodinò n.<br />
15, composta da 2 vani al piano terra e 3 al<br />
primo. In altri tempi, è stato da noi consultato,<br />
a Polistena, presso l’Ufficio del Registro ove si<br />
conservava. Da diversi anni tutto l’Archivio,<br />
da Polistena è stato versato alla Sezione di Archivio<br />
di Stato di Palmi.<br />
5<br />
D.G.C., Artisti Polistenesi: I Morani, in<br />
CALABRIA D’OGGI, Cittanova, Maggio<br />
1950, p. 35.<br />
6<br />
SASP, Catasto Terreni e Fabbricati Polistena,<br />
Comune di Polistena - Fabbricati, Catasto<br />
Fabbricati - Registro delle Partite, partita n.<br />
1011.<br />
7<br />
G. RUSSO, Fortunato Morano... op. cit., pp.<br />
22-23.<br />
8<br />
La targa è stata messa in sostituzione<br />
dell’altra (corretta) che il sottoscritto aveva<br />
dettato, nell’ambito dell’incarico ricevuto dal<br />
Comune di curare la segnaletica inerente tutti i<br />
monumenti cittadini.<br />
Gennaio 2010 Pagina 12
C<br />
L’Alba <strong>della</strong> <strong>Piana</strong><br />
CRONACHE DELLA GUERRA<br />
TRA ANGIOINI ED ARAGONESI IN CALABRIA<br />
NEGLI ANNI DAL 1462 AL 1464<br />
orreva l'anno 1462 e Ferrante<br />
I° d'Aragona, volendo sconfiggere<br />
definitivamente i baroni,<br />
partigiani degli angioni, spinse il<br />
suo fiero condottiero Mase Barrese<br />
in Calabria per dare una buona<br />
lezione ai ribelli.<br />
La carriera di Mase o Maso<br />
Barresi era iniziata da falconiere<br />
maggiore di Alfonso<br />
d'Aragona che nel 1453<br />
lo aveva nominato capitano.<br />
Arrivato in Calabria riuscì<br />
a farsi odiare da molti ma<br />
per il matrimonio con la figlia<br />
di Antonio Centeglia,<br />
ex nemico, assurse a notevole<br />
prestigio.<br />
Tuttavia le sue fortune<br />
ebbero fine dopo la pace<br />
del 1464 quando, nel tragitto<br />
verso Napoli, incontrò ed<br />
uccise per vecchi rancori<br />
Giovanni Spatafora che si<br />
recava nella capitale per<br />
rendere omaggio al sovrano,<br />
per questa uccisione fu<br />
messo in carcere dove, dopo<br />
alcuni anni, morì miseramente.<br />
Le notizie più precise sul<br />
Barrese derivano dal tomo<br />
terzo “Dell'Historia <strong>della</strong><br />
città e regno di Napoli” di<br />
Giovanni Antonio Summonte.<br />
Nella sua opera il Summonte<br />
precisa che il Barrese raggiunse<br />
Plaisano nell'aprile del 1463 e si<br />
accampò nel monte presso il fiume<br />
Medina, l'attuale Metramo.<br />
Il posto era di per se già naturalmente<br />
“forte” ma Barrese “per<br />
arte” lo rese “inespugnabile” con<br />
bastioni ed artiglierie e lasciato in<br />
questo accampamento la maggior<br />
parte dell'esercito si mise a scor-<br />
Roberto Avati<br />
rere i dintorni con frequenti incursioni.<br />
In effetti tuttora in prossimità<br />
delle colline che sovrastano il Metramo<br />
esiste una località chiamata<br />
Castellace che tuttavia non presenta<br />
rovine riconducibili alle poderose<br />
fortificazioni descritte.<br />
Avuta notizia dell'arrivo di Barrese,<br />
Battista Grimaldi, generale di<br />
Giovanni d'Angiò, radunò a<br />
Sant'Agata, i capitani Galeotto<br />
Baldassino, Luigi d'Arena, Francesco<br />
Gironda, capitano delle genti<br />
di Marzano, Francesco Caracciolo<br />
e suo figlio Giancola e con loro<br />
decise di muovere contro il Barrese<br />
lasciando a Sant'Agata soltanto<br />
il d'Arena.<br />
Le schiere angioine presero posizione<br />
tra Flogasi e Panaia, gli<br />
odierni paesi di Motta Filogaso e<br />
Panaia, in vicinanza del monte<br />
Poro, ma successivamente esse si<br />
avvici-narono al campo di Barrese,<br />
fino a raggiungere Santo Filo<br />
(San Fili, l'odierna frazione di<br />
Melicucco), per impedire al<br />
nemico di ricevere i rifornimenti<br />
provenienti da Seminara.<br />
In effetti le schiere del<br />
Grimaldi si erano talmente<br />
avvicinate ai nemici che tra<br />
i due eserciti correva uno<br />
spazio poco maggiore di<br />
mezzo miglio, ovvero<br />
700/800 metri.<br />
Il giorno successivo Grimaldi<br />
usci dall'accampamento<br />
in aperta provocazione<br />
verso il Barrese, questi<br />
accettò la sfida e lasciato<br />
Alfonso a guardia degli alloggiamenti,<br />
radunò l'esercito<br />
ed esortò i suoi uomini<br />
a superare la nuova prova<br />
precisando che il nemico<br />
non era certo all'altezza <strong>della</strong><br />
loro esperienza di guerra<br />
e quindi si trattava soltanto<br />
di “segar col ferro questa<br />
inutile erba di soldati” prospettando<br />
come ricompensa<br />
la ricchezza <strong>della</strong> provincia<br />
che avrebbero completamente avuto<br />
in pugno vincendo la battaglia.<br />
Discesi dal monte dove era posto<br />
l'accampamento i soldati del<br />
Barrese scorsero i nemici pronti<br />
al combattimento alla loro stessa<br />
stregua.<br />
Tuttavia non tutto l'esercito angioino<br />
era spiegato di fronte agli<br />
aragonesi ma secondo gli ordini<br />
Gennaio 2010 Pagina 13
del Grimaldi un certo numero di<br />
“scelti cavalli” era appostato in<br />
una strada nel mezzo <strong>della</strong> valle<br />
del Metramo che divideva i contendenti.<br />
È probabile che questa strada<br />
sia quella del fondovalle del torrente<br />
Eia che da Maropati raggiunge<br />
il Metramo.<br />
Il Barrese alla testa dei suoi<br />
uomini spinse subito quattro<br />
squadre di cavalli contro le formazioni<br />
avversarie verso il passo<br />
<strong>della</strong> strada ma i suoi avversari<br />
non si dimostrarono “quell'inutile<br />
erba di soldati” e resistettero alla<br />
carica <strong>della</strong> cavalleria.<br />
La battaglia si fece più cruenta<br />
con lo scontro delle fanterie.<br />
Il numero degli angioini era superiore<br />
a quello degli avversari e,<br />
sebbene il Barrese si prodigasse in<br />
ogni modo per animare i suoi, gli<br />
aragonesi si trovavano subito in<br />
serie difficoltà e quando sul campo<br />
di battaglia irruppe la squadra di<br />
cavalieri che Grimaldi aveva lasciato<br />
nascosta nella strada a destra<br />
<strong>della</strong> valle, le schiere del Barrese<br />
furono infrante e poste in rotta,<br />
lo stesso Mase fu costretto a<br />
fuggire in direzione di Seminara<br />
dove si ricoverò con altri dieci cavalieri.<br />
Nella fuga venne inseguito<br />
da alcuni nemici tra cui Capaccio<br />
Capano Napolitano che si spinse<br />
L’Alba <strong>della</strong> <strong>Piana</strong><br />
talmente in avanti da essere catturato<br />
dallo stesso Barrese.<br />
La battaglia fu terribile ed il terreno<br />
rimase coperto di cadaveri.<br />
In quello scontro, tra le file degli<br />
aragonesi, trovò la morte Gugliemo<br />
Ruffo che Summonte dice<br />
uomo di gran virtù, degno di più<br />
lunga vita.<br />
Le salme dei caduti vennero<br />
spogliate di ogni bene e quando gli<br />
angioini trovarono un ferito con<br />
una insegna sul cimiero, prendendolo<br />
per il Barrese, si avventarono<br />
su di lui con tale furia da squartarlo,<br />
tanto era l'odio per il capo dei<br />
loro nemici, in realtà il ferito era il<br />
capitano Luigi Gentile.<br />
Successivamente l'esercito del<br />
Grimaldi corse verso il campo del<br />
Barrese guardato da Alfonso che<br />
in un primo momento riuscì a difendere<br />
l'accampamento ma, successivamente,<br />
fu costretto ad abbandonarlo<br />
e raggiungere Burrello.<br />
Gli angioini si fermarono presso<br />
l'accampamento nemico per curare<br />
i feriti e spartire la preda e successivamente<br />
mossero verso Seminara<br />
fermandosi a circa due<br />
miglia dalla città con la speranza<br />
di riuscire a convincere alla defezione<br />
gli abitanti ma sebbene assedianti,<br />
non riuscirono a ricevere<br />
rifornimenti e dopo pochi giorni<br />
tolsero l'assedio per cui ogni capitano<br />
rientrò nella propria patria.<br />
Da altre fonti risulta che il Barrese,<br />
probabilmente prima <strong>della</strong><br />
battaglia, aveva espugnato i paesi<br />
di Terranova e San Giorgio e che<br />
in quest'ultimo paese aveva vendicato<br />
la morte di suo fratello<br />
Giovanni, avvenuta a Cosenza,<br />
facendo precipitare giù dalla torre<br />
più alta del castello Ruggero Olirio<br />
e due suoi complici, Luigi Caselli<br />
e Roberto Preti.<br />
Il Barrese aveva anche posto<br />
l'assedio ad Oppido dove si trovava<br />
il traditore Galeotto Baldassino<br />
ed una notte era riuscito ad espugnare<br />
la città saccheggiandola.<br />
Raggiunta Terranova si era<br />
fermato e vi aveva posto i quartieri<br />
d'inverno pur tentando di catturare<br />
Marino Curriale da Gerace<br />
con il tranello di un colloquio.<br />
La sequenza temporale di questi<br />
ultimi avvenimenti non è chiara<br />
anche perché il Barrese sposando<br />
la figlia di Antonio Centelles<br />
Ventimiglia aveva ricevuto in<br />
feudo le terre di Enrichetta Ruffo.<br />
Per come abbiamo visto il capitano<br />
di ventura Galeotto Baldassino<br />
partecipò alla battaglia di<br />
Plaesano ma durante l'assedio di<br />
Seminara diede molte bastonate<br />
ad alcuni soldati al punto che per<br />
evitare la ribellione fu costretto a<br />
lasciare il campo con i suoi fidi<br />
ed a dirigersi verso Gerace e<br />
quindi “nei castelli prossimi al<br />
mare” da dove raggiunse la terra<br />
dei Bruzzi per tentare di conquistare<br />
Cosenza.<br />
Contro Galeotto Baldassino, in<br />
aiuto di Cosenza, si precipitò il<br />
duca Alfonso d'Aragona, figlio<br />
del re, e Baldassino dopo aver<br />
promesso ai suoi soldati di lasciarli<br />
per andare in Sicilia in cerca<br />
d'aiuto, lasciò il paese fortificato<br />
di Rocchetta e da gran fellone<br />
abbandonò completamente i suoi<br />
soldati.<br />
Questi resisi conto del tradimento<br />
si consegnarono ad Alfonso<br />
che li trattò con buone maniere<br />
Gennaio 2010 Pagina 14
al punto che molti passarono al<br />
suo servizio.<br />
Galeotto Baldassino aveva comunque<br />
già depredato Nicastro e<br />
dopo la fuga in Sicilia passò in<br />
Francia dove finì i suoi giorni per<br />
un colpo di colubrina nella battaglia<br />
di Nancy.<br />
Alfonso, dopo l'incruenta conquista<br />
di Rocchetta, si diresse<br />
contro il paese fortificato di Pentadattilo,<br />
lontano dal mare quattro<br />
miglia, conquistandolo e saccheggiandolo<br />
facilmente.<br />
Proseguendo lungo le coste raggiunse<br />
Motta detta anticamente<br />
Ammeria e per convincere gli abitanti<br />
alla resa fece arrivare da<br />
Reggio le artiglierie e per spostare<br />
sui terreni fangosi queste armi fu<br />
costretto ad utilizzare dei tronchi.<br />
Durante una sortita gli abitanti<br />
riuscirono ad incendiare le cataste<br />
di legna utilizzate per spostare i<br />
cannoni ed Alfonso, furioso, stava<br />
già per ordinare l’assalto del paese<br />
quando Antonio Centiglia lo<br />
trattenne consigliandolo di aspettare<br />
che le scorte d'acqua dei nemici<br />
si fossero esaurite; in effetti<br />
dopo poco tempo la città di<br />
arrese per la mancanza d'acqua.<br />
Antonio Ventimiglia alias<br />
Centiglia era di origini siciliane<br />
ma aveva avuto l'investitura<br />
di alcuni feudi in Calabria,<br />
dapprima stava dalla<br />
parte degli angioini infatti,<br />
riunitosi a Luigi D'Arena,<br />
Battista Grimaldi, al fratello<br />
Alfonso ed a Luigi Caracciolo,<br />
sbarrò la strada agli aragonesi<br />
nella Sila.<br />
Successivamente, tramite i<br />
cognati Luca Sanseverino e<br />
Girolamo Ruffo, intavolò trattative<br />
per riconciliarsi con<br />
Ferrante, ma fu a Sinopoli con<br />
tre squadre di cavalli ed un<br />
buon numero di fanti e successivamente<br />
assediò la Rocchetta<br />
vicino Catanzaro.<br />
Durante l'assedio venne assalito<br />
e battuto in un agguato<br />
da Maso Barrese che catturò<br />
L’Alba <strong>della</strong> <strong>Piana</strong><br />
il fratello Alfonso.<br />
Alfonso defezionò quasi subito<br />
e convinse anche Antonio a passare<br />
nel campo aragonese con<br />
l'accordo che sua figlia Giovanna<br />
dovesse sposare Maso Barrese e<br />
portare in dote allo sposo tutti i<br />
beni derivanti dalla madre Enrichetta<br />
Ruffo.<br />
Alfonso di Aragona mosse contro<br />
l'altra Motta detta Rossa ma<br />
durante i preparativi dell'assedio<br />
si verificarono dei tremendi temporali<br />
e le scariche dei fulmini fecero<br />
esplodere le munizioni delle<br />
artiglierie, nell'esplosione perirono<br />
quattordici soldati ed il comandante<br />
Sancio D'Acerbo rimase<br />
stordito per parecchi giorni.<br />
Nonostante fossero state ricostituite<br />
le scorte di munizioni la città<br />
fu conquistata senza esplodere un<br />
colpo di cannone grazie al tradimento<br />
di tale Antonio, un ex monaco<br />
detto Gabbadio, che propose<br />
al comandante <strong>della</strong> città di farlo<br />
uscire per tentare d'inchiodare i<br />
cannoni dei nemici ovvero per otturare<br />
con dei chiodi i luminelli<br />
d'accensione dei cannoni, in effetti<br />
Gabbadio, uscito dalla città, si<br />
reco da Alfonso soltanto per proporgli<br />
il suo tradimento.<br />
Gabbadio, tornato in città, venne<br />
accolto con grande entusiasmo<br />
e facendo credere agli abitanti di<br />
voler prendere in giro gli assedianti,<br />
sali sugli spalti da dove<br />
lanciò delle scale sulle quali si<br />
aggrapparono immediatamente gli<br />
aragonesi che saccheggiarono il<br />
paese e deportarono gli abitanti<br />
superstiti nella città di Reggio.<br />
Successivamente Alfonso tentò<br />
di conquistare Sant'Agata ma la<br />
città era talmente ben presidiata<br />
dal Grimaldi che si rese conto che<br />
era meglio tornare a Cosenza ma<br />
comunque lasciò il Centiglia a<br />
Fiumara con l'esercito.<br />
Grimaldi rimase a Sant'Agata<br />
per due anni durante i quali non<br />
perdeva occasione per effettuare<br />
rapide incursioni nei paesi vicini e<br />
lasciò quella terra soltanto nel<br />
1464 quando il Duca Giovanni gli<br />
comunicò da Marsiglia che aveva<br />
stretto un patto con il cardinale<br />
Roverella e che, secondo questo<br />
patto, quelle terre passavano in<br />
possesso del cardinale e quindi<br />
sarebbero state amministrate<br />
dal fratello Florio.<br />
Avuta conferma di questo<br />
accordo, il Battista passò in<br />
Sicilia e quindi in Provenza<br />
dove si ricongiunse al duca<br />
Giovanni.<br />
Tuttavia la pace per le nostre<br />
contrade non fu duratura infatti<br />
dopo pochi anni per ulteriori<br />
contrasti tra angioini ed aragonesi<br />
maturarono le ben più<br />
famose battaglie di Seminara.<br />
In conclusione permettetemi<br />
di augurarmi che queste mie<br />
poche righe possano suscitare<br />
l'interesse per ulteriori studi<br />
ed approfondimenti su quel<br />
periodo <strong>della</strong> nostra storia di<br />
cui, purtroppo, rimangono<br />
poche notizie e vestigia.<br />
Gennaio 2010 Pagina 15
O<br />
gni anno, di solito attorno al<br />
20 dicembre, iniziavano le<br />
vacanze natalizie.<br />
Arrivati a Pescàno mettevamo<br />
su un presepe fantasioso, composto<br />
da vari residui di casette e pastori,<br />
ma che a noi sembrava bellissimo.<br />
Muschio, rametti di corbezzoli<br />
con i rossi frutti, specchi<br />
che simulavano laghetti.<br />
Però, tutti, quello che attendevamo<br />
con maggiore interesse era<br />
un gustoso pranzo natalizio offerto<br />
dalla nonna Rosa Marina, a<br />
turno, a tre famiglie di contadini,<br />
che mangiavano con noi attorno<br />
al lungo tavolo fatto armare dalla<br />
nonna nel casettone vicino a Villa<br />
Cavallari.<br />
Le quattro donne, aiutanti in<br />
cucina, iniziavano a lavorare<br />
giorni prima, per preparare i fusilli<br />
fatti a mano, le cotolettine di<br />
pollo, le polpettine di carne per il<br />
L’Alba <strong>della</strong> <strong>Piana</strong><br />
NATALE A PESCÀNO (1935-40)<br />
Domenico Cavallari<br />
brodo con la verdura, servito per<br />
tradizione come antipasto.<br />
Ed ancora, il ragù per i fusilli,<br />
cotto a fuoco lento, con carne di<br />
maiale, salsicce sotto strutto e carne<br />
di agnello, zeppole tradizionali,<br />
patatine, dolcetti di ogni tipo, vino<br />
aspumantino a volontà; e poi ricotta<br />
e quagliata di pecora, fichi secchi<br />
imbottiti con noce e canditi…<br />
La nonna faceva servire il<br />
pranzo con intervalli premeditati,<br />
per aiutare la degustazione<br />
delle<br />
pietanze.<br />
Poco prima<br />
del banchetto, arrivava<br />
il canonico<br />
Scoleri che<br />
celebrava una<br />
veloce Messa,<br />
mettendosi poi a<br />
tavola con noi e<br />
facendo onore ai<br />
preparati <strong>della</strong><br />
nonna e aiutanti.<br />
Il pranzo, lento,<br />
terminava a<br />
tarda sera.<br />
La nonna,<br />
come era sua usanza,<br />
distribuiva<br />
alle mamme<br />
somme in denaro<br />
e un fazzolettone<br />
per la testa; ai<br />
papà, tabacco e<br />
una coppola nuova;<br />
ai bambini, giocattolini in legno<br />
e latta, che faceva comperare<br />
da zio Matteo a Laureana.<br />
Durante il pranzo, e come intervallo<br />
salutare, venivo impiegato<br />
io – il più giovane dei nipoti – che<br />
recitavo la poesia natalizia, sempre<br />
la stessa, ma che era molto applaudita<br />
dai commensali… allegrotti<br />
per il buon vino digerito.<br />
Mi facevano salire sul tavolo e<br />
con le mossette del caso, iniziavo<br />
a declamare:<br />
È Natale, è Natale<br />
Grande gioia senza il male:<br />
Per essere a noi vicino<br />
È rinato Gesù Bambino.<br />
Per realizzare la carità<br />
Non basta solo la pietà:<br />
Per essere di Gesù degno<br />
Ci vuole un serio impegno.<br />
Quando il Mondo sarà più buono<br />
In cielo si sentirà un gran tuono:<br />
È il segnale che nostro Signore,<br />
Ci terrà sempre nel suo cuore.<br />
Poi chiedevo un applauso per<br />
l’iniziativa e per il pranzo <strong>della</strong><br />
nonna.<br />
La nonna ringraziava, benedicendoci<br />
tutti con un ramo di ulivo.<br />
A fine pranzo le mamme presenti<br />
erano invitate da nonna Rosa<br />
Marina a dividersi fra di loro<br />
quanto era rimasto.<br />
Sicuramente in ogni singola<br />
famiglia avrebbero mangiato bene<br />
per qualche altro giorno.<br />
Che bel Natale, ogni volta!<br />
Grazie, nonna.<br />
Gennaio 2010 Pagina 16
F<br />
ino a non n molto<br />
tempo fa i ricerca-<br />
tor ri di storia si iaffida- van no in buona sostan<br />
za a quanto prodotto p<br />
dag gli antichi autori,<br />
che e reiterat tamente<br />
pla agiavano. Non N che<br />
oggi<br />
non avvie ene, ma<br />
piùù<br />
che gli antichi,<br />
oggi<br />
si plagian no i mo-<br />
derrni.<br />
È più agevole! a<br />
Se non altro noon<br />
c’è il<br />
latino<br />
di mezzoo.<br />
Si ri-<br />
porrtano<br />
disinvolta<br />
meente<br />
quasi peer<br />
intero le fatiche fa al-<br />
truui<br />
come se foossero<br />
proprie e. Si trat-<br />
ta fortunatameente<br />
di una a sparuta<br />
miinoranza,<br />
chhe,<br />
alla fine e mostra<br />
scoopertamente<br />
in ogni pa articolare<br />
l’innganno.<br />
I piiù,<br />
senza alc cun dub-<br />
bio o, si rifanno soprattutto aldocu- meento<br />
e gli arcchivi<br />
di stato o privati<br />
con noscono gli sforzi di og gnuno nel<br />
ven nire a capo ddei<br />
tanti prob blemi che<br />
nei i secoli hannno<br />
interessat to la vita<br />
del lle comunitàà.<br />
Si, proprio<br />
la vita<br />
del lle comunitàà!<br />
Lo studio <strong>della</strong> d sto-<br />
riaa<br />
ormai non s’interessa piùuni- cammente<br />
a singgoli<br />
episodi eclatanti,<br />
chee<br />
pur a voltte<br />
hanno ca ambiato i<br />
desstini<br />
dei poppoli,<br />
ma è attento a in<br />
sommmo<br />
grado aad<br />
accertare e presen-<br />
tarre<br />
i conati ddell’umanità<br />
nell’impeggno<br />
ad andaare<br />
avanti. Quindi, Q a<br />
risaltare<br />
sono i comportame enti delle<br />
maasse<br />
in tuttaa<br />
la gamma delle si-<br />
tuaazioni.<br />
Non ssto<br />
qui ad el lencarli. I<br />
varri<br />
casi prosspettabili<br />
son no facil-<br />
meente<br />
intuibili.<br />
Sono molte e di vario ti ipo le do-<br />
cum mentazioni cche<br />
aiutano il i ricerca-<br />
tor re a comporrre<br />
il mosaico <strong>della</strong>vi- ta quotidiana di una popolazione,<br />
maa<br />
quello che, a parere di tanti, t rie-<br />
scee<br />
il più adattto<br />
allo scopo o è senza<br />
alccun<br />
dubbio ll’atto<br />
notarile<br />
o rogi-<br />
to, vera testimoonianza<br />
diret tta di fat-<br />
Geennaio<br />
2010<br />
L’Alb ba dell la <strong>Piana</strong>a<br />
UNAA<br />
SCO ORRIBAANDA<br />
A TRA ‘600 E 700<br />
NEELLA<br />
STORI S IA DI VARA V APODIIO<br />
Roc cco Lib berti<br />
ti e personaaggi,<br />
che solo o nell’ultimoo<br />
periodo haa<br />
raggiunto importantii<br />
traguardi. IIn<br />
passato, quando non n<br />
c’erano uffi fici appositi, tutti gli av-<br />
venimenti, anche i più trascurabili, ,<br />
venivano coonsegnati<br />
all la penna del l<br />
notaro, chee<br />
li seppelliv va in vecchi i<br />
tomi. A queel<br />
pubblico ufficiale, u ol-<br />
tre a vendiite,<br />
eredità, concessioni i<br />
ecc., si rriferiva<br />
di tutto, da a<br />
un’alluvionne<br />
che aveva recato gravi i<br />
danni alle cculture<br />
ad un n caso di os-<br />
sessa o dallla<br />
conversion ne di un tur-<br />
chesco, allaa<br />
rivelazione e di malver-<br />
sazioni e deelitti.<br />
Altro materiale m si-<br />
milare, ma fatta la deb bitapropor- zione, era rrappresentato<br />
o dai registri i<br />
parrocchialii,<br />
dove ogn ni evento di i<br />
particolare impressione,<br />
come il l<br />
grande flaggello<br />
del 17 783, era im-<br />
mancabilmeente<br />
annotat to per i po-<br />
steri. Non posso, in questa q sede, ,<br />
presentare aal<br />
gran comp pleto lo svi-<br />
luppo <strong>della</strong>a<br />
comunità varapodiese e<br />
nei secoli passati – sarebbe s una a<br />
presunzionee<br />
davvero im mproponibile e<br />
– ma i pochhi<br />
casi sui quali q mi sof-<br />
fermerò sarranno<br />
sicuram mentesuffi- cienti a deelineare<br />
alm meno alcuni i<br />
aspetti forsse<br />
poco o affatto a cono-<br />
sciuti ed a ffare,<br />
quindi, comprende-<br />
re come talii<br />
documentaz zioni, da so-<br />
le, basterebbero<br />
a far riv vivereistan- ze ed azionii<br />
di un tempo o che fu.<br />
Sul finire del '7700<br />
Varapodio<br />
o, meg glio,<br />
Varapodi,<br />
casale di<br />
Oppido,<br />
contava alll'in<br />
circa 1.150 abita anti<br />
compresi<br />
nelle due d<br />
parrocchie<br />
di S. Nic cola<br />
e S. St tefano. Da una u<br />
corrispo ondenza int ter-<br />
corsa nel n 1816 tra a il<br />
segretar rio di stato bor- b<br />
bonico addetto agli af<br />
fari del culto, il ves sco<br />
vo Ale essandro To om<br />
masini ed il sindaco o di<br />
Varapoddio<br />
si conosc ce che nel pae- p<br />
sello vivvevano<br />
all'ep poca circa 20 000<br />
naturali più un alt tro migliaio di<br />
«forastieeri<br />
bracciali» ».<br />
Fustigazzione<br />
di un terziario ago- a<br />
stinianoo<br />
nel 1647<br />
Si coonosceva<br />
per<br />
certo che fra<br />
Pietro dda<br />
Varapodi, , terziario ago- a<br />
stiniano, , fosse stato fustigato dieetro<br />
ordine ddell'affittuario<br />
o dello statoo<br />
di<br />
Terranovva,<br />
don Fulv vio Caraccioolo,<br />
dopo esssere<br />
stato tr radotto nel ca-<br />
stello. MMa<br />
un tal fra angente non po<br />
teva asssolutamente<br />
essere provvato<br />
perché nnessuno,<br />
sicu uramente, si sa-<br />
rebbe faatto<br />
avanti a testimoniaare.<br />
Motivo per cui l'avv vocato fiscal le e<br />
procurattore<br />
<strong>della</strong> cor rte vescovile e di<br />
Oppido, don Matteo o Teotino ed d il<br />
priore deel<br />
convento di d S. Maria del- d<br />
la Grazia,<br />
fra Dome enico da Fran nci<br />
ca, il 7 ottobre 1647 7 inoltrarono o al<br />
vescovo di Nicotera ed al suo vi ica-<br />
rio geneerale,<br />
scelti quali deleg gati<br />
apostolicci<br />
nella caus sa tra il mo ona-<br />
stero vaarapodiese<br />
ed d il Caraccio olo,<br />
richiestaa<br />
di emanazio one di un mooni<br />
torio di scomunica, che solo foorse<br />
avrebbe permesso di i mettere le cose<br />
a postto.<br />
Pagina<br />
17
L'arcivescovo di Santa Severina<br />
nel 1671 benedice la prima pietra<br />
<strong>della</strong> chiesa del Rosario<br />
Nel 1672 la chiesa del Rosario a<br />
Varapodio era ancora in stato di costruzione.<br />
Ne relazionavano al notaio,<br />
in presenza dell'arcivescovo di<br />
Santa Severina mons. Giuseppe Palermo<br />
originario di Molochio, i<br />
fondatori mag. Carlo Brancati e<br />
Anef (?) Medicina con il figlio dr.<br />
Antonio, tutti domiciliati in quel<br />
villaggio, i quali vennero a riferire<br />
di numerosi particolari.<br />
Essi, desiderando erigere dalle<br />
fondamenta un tempio in onore <strong>della</strong><br />
S.ma Vergine del Rosario «nella<br />
regione detta il petto <strong>della</strong> Corte»,<br />
in terreno accosto alle «case palatiate»<br />
di loro residenza, ne avevano<br />
ottenuto licenza dal vescovo diocesano<br />
mons. Paolo Diano Parisio, il<br />
quale in data 22 settembre 1671 aveva<br />
pure provveduto a concedere<br />
al suddetto prelato il permesso di<br />
benedire «la prima pietra e fare<br />
l'altri atti necessarj» e celebrare il<br />
pontificale romano all'altare appositamente<br />
elevato. Alla chiesa, <strong>della</strong><br />
quale effettiva-mente venne di lì a<br />
poco, il 27 dello stesso mese, a<br />
compiersi la funzione indicata, a cui<br />
assistette anche il Diano Parisio, i<br />
Brancati affidavano una dote di 10<br />
ducati più un altro all'anno con il<br />
fine di far celebrare una messa settimanale<br />
ad un «sacrista» scelto da<br />
loro e successori. Tutto questo ci<br />
dice che essi potevano essere stati<br />
spinti a far ciò dalla necessità di assicurare<br />
il sostentamento ad un parente,<br />
cosa non insolita ai tempi,<br />
anzi! Al nuovo ente assegnavano<br />
ulteriori somme<br />
usufruibili da censi loro dovuti,<br />
come segue: duc. 36<br />
da Caterina Changemi di<br />
Messignadi, duc. 36 da<br />
Francesco Malarbì da idem,<br />
duc. 23 e carl. 4 da d. Pietro<br />
Gioanne e Filippo d'Agnolo<br />
da id., duc. 18 da d. Filippo<br />
Augimeri da Varapodio,<br />
quindi duc. 1 e carl. 8 di<br />
annui censi e duc. 10 e tarì<br />
1 sopra loro beni stabili.<br />
Oltre a ciò, s'impegnavano<br />
a provvedere la chiesa<br />
L’Alba <strong>della</strong> <strong>Piana</strong><br />
di un altare ed a dotarlo <strong>della</strong> suppellettile<br />
sia sacra che profana occorrente,<br />
più cera, olio per le lampade<br />
e quant'altro potesse necessitare.<br />
Il rogito del 1672 era una conferma<br />
di quanto stabilito in precedenza.<br />
Non conosciamo quando e come<br />
venne completata, ma una chiesa<br />
del SS. Rosario agì in Varapodio<br />
anteriormente al terremoto del<br />
1783. Ne danno atto i registri parrocchiali<br />
e notarili ed anche il catasto<br />
De Bonis, che la indica quale<br />
«cappella». Il documento, di cui<br />
abbiamo sopra relazionato, permette<br />
di correggere alcune inesatte affermazioni<br />
espresse in passato. Non<br />
furono i Majorica a possedere in<br />
origine per diritto di jus patronato<br />
il tempietto in questione né vi possono<br />
essere stati tumulati defunti<br />
prima <strong>della</strong> sua costruzione, cioè,<br />
come si dice, a partire dal 1615. Peraltro,<br />
gli atti vaticani ci danno<br />
chiara notizia di un Antonio Brancato,<br />
che nel 1660 era provvisto<br />
<strong>della</strong> cappellania di S. Michele Arcangelo<br />
nella chiesa di S. Nicola<br />
con frutto di 24 ducati, mentre<br />
quelli notarili di altro omonimo o<br />
parente vivente nel 1674 e dedito<br />
all'arte <strong>della</strong> medicina. Era quest'ultimo,<br />
sicuramente, il figlio dei fondatori<br />
indicato col titolo di dottore.<br />
Cittadini di Anoia e Varapodi condannati<br />
sulle galere tra 1733 e 1737<br />
Giuseppe Fossari e Carmelo<br />
Lucchisi di Varapodi, entrambi<br />
trentottenni, il 23 giugno del 1743<br />
riferivano al notaio come verso il<br />
1733 si ritrovassero assieme a<br />
Resti del convento degli Agostiniani<br />
Carmine Giorgìa di Anoia, allora di<br />
stanza a Terranova, a servire sulla<br />
galera Sant'Elisabetta <strong>della</strong> squadra<br />
di Napoli, essendo stati condannati<br />
dalla regia udienza di Catanzaro.<br />
Un giorno il comandante ordinò di<br />
far vela verso «Tresti» (Trieste?) a<br />
quella capitanata da lui e ad altre<br />
due ed ivi giunti, quelli vi rimasero<br />
per ben tre anni. Avendo, intanto, il<br />
generale Pallavicini concesso la<br />
grazia alle tre ciurme al completo,<br />
tutti gli uomini furono condotti a<br />
terra. Qui egli li passò in «rivista» e<br />
ne venne a scegliere 150, con i quali<br />
volle formare una compagnia di<br />
«Granetteri per la custodia di Tresti».<br />
Di essa ne vennero a far parte<br />
anche i tre calabresi, che in quella<br />
città rimasero ancora un anno, trascorso<br />
il quale ebbero licenza di ritornarsene<br />
alle proprie dimore. Alla<br />
stesura dell'atto assistettero, tra gli<br />
altri, il regio giudice ai contratti<br />
Francesco Giofrè di Messignadi,<br />
chierico don Pio dell'Oleo, magnifico<br />
Gioacchino Augimeri e Giacomo<br />
de Laurentijs.<br />
Mentre il Fossari viveva in quel<br />
di Trieste, il di lui padre Domenico<br />
a Varapodio, «sotto false persuasioni,<br />
e motivi con rivela fatteli dal<br />
Reverendo Abate don Domenico<br />
Boccafurni fu indotto fare al medesimo<br />
donazione irrevocabile tra vivi<br />
delli suoi beni» con atto di notar<br />
Giulio Lemmo. Gli si era dato a bere,<br />
in particolare, che il figlio si<br />
qualificava ormai «per certo inabile<br />
a più ricevere la libertà». Verificatosi<br />
il contrario e ritornato alfine<br />
Giuseppe predetto «in casa dell'oratore<br />
sotto la sua Padria potestà»<br />
proprio nel 1737, cioè<br />
dopo i quattro anni, di cui si è<br />
riferito, il genitore chiese l'annullamento<br />
di quella sua prima<br />
concessione.<br />
Offerte ed acquisti di suppellettili<br />
religiose di un certo<br />
valore tra 1753 e 1779<br />
Un cittadino di Varapodi,<br />
Giuseppe Tropiano, il 9 gennaio<br />
1753 venne a far omaggio<br />
alla chiesa parrocchiale di<br />
Santo Stefano di «un calice di<br />
argento colla sua patena», di<br />
Gennaio 2010 Pagina 18
cui era «vero Padrone», a certe condizioni,<br />
che dettò ad un pubblico notaio.<br />
Di seguito quanto preteso dal<br />
donatore. Le cappelle dei Suffragi e<br />
del Venerabile, ubicate nello stesso<br />
tempio, avrebbero dovuto dare in<br />
cambio alla cappella del S.mo Crocifisso,<br />
da lui stesso fondata, «tutto<br />
l'utensile, cioè di vestimenti, calice,<br />
messale, otra (oltre?), ostie, e vino<br />
in perpetuo», materiale che occorreva<br />
per poter celebrare due messe<br />
semplici ed altra cantata nella ricorrenza<br />
del suo «anniversario» e venti<br />
messe all'anno «sopra la Casa».<br />
Inoltre, nel frangente delle festività<br />
in onore del S.mo Crocifisso, ricorrenti<br />
nei mesi di maggio e settembre,<br />
avrebbero dovuto imprestarle il<br />
medesimo calice avuto in offerta.<br />
In altre occasioni si ha notizia<br />
dell’acquisto per la chiesa di San<br />
Nicola di una grande pisside in argento<br />
fatta ad Oppido a dicembre<br />
del 1765 e pagata 36 ducati, quindi di<br />
una croce d'argento e di un aspersorio,<br />
per come testimoniava la ricevuta<br />
rilasciata dall'orefice oppidese<br />
Francesco Russo sotto la data del 19<br />
novembre 1776. Il costo di<br />
quest’ultimo oggetto era quantificato<br />
in 76 ducati, 47 grana e 9 piccoli.<br />
La festa <strong>della</strong> Madonna del Carmine<br />
un anno avanti il grande<br />
flagello<br />
È nota la grande passione che i<br />
Varapodiesi mettono nell'organizzazione<br />
delle sagre paesane, soprattutto<br />
di quella in devozione <strong>della</strong> Madonna<br />
del Carmine, espressione <strong>della</strong> parrocchia<br />
di Santo Stefano, cuore dei<br />
"iusani". Se per la nostra epoca a<br />
darcene un vivo ritratto sono cronache<br />
giornalistiche, bollettini ecclesiastici,<br />
il cronicon parrocchiale od anche<br />
le memorie dell'uomo, per il periodo<br />
precedente il grande flagello ci<br />
si offrono due obblighi notarili, con<br />
attori delle persone chiamate ad esercitare<br />
per l'occasione la loro arte.<br />
Il 9 giugno del 1782 presso il<br />
locale notaio Lenza vennero ad abboccarsi<br />
mastro Francesco Tropeano,<br />
cassiere pro-tempore <strong>della</strong> congrega<br />
di S. Maria del Carmine eretta<br />
nella chiesa arcipretale di Santo Stefano<br />
e mastro Marino Rao di Casalnuovo,<br />
i quali si affidarono ad un<br />
L’Alba <strong>della</strong> <strong>Piana</strong><br />
contratto. Il Rao s'impegnava ad eseguire<br />
una serie di «artificii, e spari<br />
di mortaretti» durante lo svolgimento<br />
<strong>della</strong> festa di S. Maria del Carmine,<br />
che avrebbe dovuto aver luogo<br />
nella terza domenica di luglio, come<br />
anche a tempo <strong>della</strong> novena. Dietro<br />
compenso di ducati 4 e grana 75 al<br />
«migliaro» più 20 carlini per «spese<br />
cibarie», avrebbe dovuto fornire<br />
«folgori, bombe, rotelle e batterie»<br />
nella misura ordinatagli dal Tropeano,<br />
il quale peraltro teneva a ribadire<br />
«che il numero delli mortaretti per<br />
riuscire facile lo sparo debba essere<br />
di mille, e ducento», o da un suo incaricato.<br />
Per il trasporto e gli uomini<br />
di esso incaricati si sarebbe dovuto<br />
occupare lo stesso pirotecnico, restando<br />
a suo completo carico le spese<br />
in riferimento. Era ancora il Tropeano<br />
il successivo 16 giugno a far<br />
convenzione per il medesimo motivo<br />
con mastro Francesco Papalia di<br />
Palmi, «apparatore di chiese».<br />
Quantificandosi una corresponsione<br />
di 15 ducati, quest'ultimo avrebbe<br />
dovuto «apparare, ed adornare» la<br />
chiesa di S. Stefano «con li soliti<br />
padiglioni, palastri, con le solite<br />
nimpe, macchinette, frico, e che sia<br />
di robbe nuove» ed occuparsi <strong>della</strong><br />
sistemazione, accensione e spegnimento<br />
<strong>della</strong> cera consegnatagli dalla<br />
confraternita. Le spese di trasporto<br />
restavano tutte a suo carico, ma il<br />
sodalizio gli veniva incontro elargendogli<br />
ancora 6 carlini.<br />
Una spezieria nel 1784<br />
Dagli atti d'archivio si rileva<br />
all’epoca l'esistenza di una spezie-<br />
ria a Varapodi. Apparteneva al<br />
mag. Giuseppantonio Lenza, il quale<br />
il 17 gennaio dello stesso ordinava<br />
a mastro Orazio Buttafoco di<br />
Catania il facimento degli arredi<br />
necessari. Probabilmente, doveva<br />
operare da più tempo ed essere incappata<br />
nei guasti del sisma<br />
dell'anno prima. Difatti, nel rogito,<br />
che venne ad interessare i due, è<br />
chiaro cenno <strong>della</strong> presenza di un<br />
«Bancone <strong>della</strong> maniera di prima»<br />
e di una «tavola vecchia». Questi i<br />
patti intercorsi tra l'agiato varapodiese,<br />
che sottoscrisse con buona<br />
grafìa ed il lavoratore siciliano, che<br />
appose solo un segno di croce e fu<br />
definito, perciò, «idiota», cioè analfabeta.<br />
Mastro Orazio avrebbe dovuto<br />
«compire, e rendere a perfezzione<br />
una spezieria di legno di noce,<br />
di abeto, e castagna giusta il disegno<br />
che esso produsse», liscia e<br />
senza intagli, comprendente cinque<br />
stipi con relative vetrate, le cui<br />
scansìe nella parte sottostante regolate<br />
con apertura «a guisa di Burò»,<br />
il tutto secondo «le regole dell'arte,<br />
e il disegno predetto». Erano a carico<br />
del Lenza l'acquisto del «tavolame<br />
e chiodame» occorrenti e le<br />
«spese cibarie», oltre «l'albergo, e<br />
letto» da fornire al Buttafoco e ad<br />
uno o due mastri, che l'avessero affiancato.<br />
Per la manifattura di<br />
quanto richiesto si era stabilita la<br />
somma di 36 ducati e per intanto,<br />
come «caparro» il committente ne<br />
versava 13 più grana 30 in contanti.<br />
Gennaio 2010 Pagina 19
Un brigante o patriota del decennio<br />
francese: Nicolantonio<br />
Demasi<br />
In passato abbiamo esperito<br />
indagini nei fondi più pertinenti,<br />
onde ottenere, oltre a quanto pubblicato<br />
dal Caldora e dal Mozzillo,<br />
qualche notizia in più in merito ad<br />
uno dei personaggi più famosi,<br />
anche se «tristamente», come<br />
scrive il primo, di Varapodi. Intendiamo<br />
dire di Domenico De Masi alias<br />
Nico-Leone o Mico-Leone, ch'è<br />
stato accomunato ai crudeli Vizzarro,<br />
Parafante, Friddizza e Francatrippa,<br />
cioè al fior fiore del brigantaggio del<br />
decennio francese. Nonostante ogni<br />
impegno messo nella caccia al documento,<br />
nessun elemento nuovo è<br />
mai venuto alla luce, per cui abbiamo<br />
dovuto giocoforza accontentarci<br />
dell'atto riportato dal Mozzillo, che<br />
faceva del De Masi nel gennaio del<br />
l807 un fuoruscito in contatto con elementi<br />
di Pedàvoli di uguale stampo,<br />
bollati come briganti dall'esercito<br />
di occupazione, ma forse, al pari di<br />
tanti altri, in odore di patrioti presso i<br />
fautori dell'abolito regime.<br />
Viene a riparare in buona parte ad<br />
una delle tante lacune la scrittura di<br />
un notaio di Terranova, che ci permette<br />
di conoscere il personaggio in<br />
questione prima <strong>della</strong> sua reazione ai<br />
nemici giunti d'oltralpe e ridimensiona<br />
completamente quello che giustamente<br />
poteva sembrare un nome<br />
di battaglia riferito a sue possibili<br />
imprese belliche o pseudo tali. Domenico<br />
Di Masi, come annotato, era<br />
chiamato Nico-Leone semplicemente<br />
perchè figlio di Leone Di Masi e non<br />
per altra causa. Per cui Nico-Leone<br />
sta per Nico di Leone.<br />
Col rogito di nr. Cento del febbraio<br />
l806, cioè di un mese prima che i<br />
francesi iniziassero la conquista del<br />
territorio calabrese, il Di Masi, che<br />
certamente pensava ai casi suoi senza<br />
altri grilli per il capo, venne ad acquistare<br />
da tale Nicolina Morabito, moglie<br />
di mastro Domenico Lorenzo<br />
«una casa palaziata divisa in due<br />
stanze, e cucina con scala di fabrica<br />
di fuori ... sita e posta nel quartiere<br />
Fiore», che il muratore mastro Giuseppantonio<br />
Comperatore ed il fale-<br />
L’Alba <strong>della</strong> <strong>Piana</strong><br />
gname mastro Marco Barone avevano<br />
valutato ducati 250 e carlini 2. Il<br />
Di Masi, che all'epoca non doveva<br />
certo nuotare nell'oro, ai due coniugi,<br />
i quali avevano deciso la vendita <strong>della</strong><br />
casa allo scopo di farsene una «più<br />
comoda, e di maggior veduta e ariosa»,<br />
versò quanto doveva parte in<br />
contanti in più rate e parte in pietre,<br />
calce, tegole ed altro materiale che a<br />
detti occorreva per l'erezione <strong>della</strong><br />
nuova abitazione. Superfluo dire che<br />
il Di Masi appose nel documento soltanto<br />
il segno di croce, in quanto,<br />
come le altre persone costituite, non<br />
sapeva firmare. Fecero da testimoni<br />
nell'occasione Filippo Lenza, Giuseppe<br />
Sammarco e Francesco Paolo<br />
Virdia. Particolare interessante:<br />
quest'ultimo, assieme al Di Masi,<br />
verrà qualificato in una lista compilata<br />
nel l8l2 come capomassa, cioè capo<br />
di uno dei tanti raggruppamenti<br />
formatisi in opposizione armata alla<br />
dominazione straniera.<br />
Pianoti in giro per l'Europa con le<br />
armate napoleoniche<br />
Non è, certo, cosa di tutti i giorni<br />
pescare in archivio notizie su calabresi,<br />
segnatamente oriundi <strong>della</strong><br />
<strong>Piana</strong> di Gioia, al seguito dei contingenti<br />
napoleonici operanti sullo scacchiere<br />
europeo e, cioè, come ben ha<br />
indicato il Poeta, «Dall'Alpi alle Piramidi,<br />
dal Manzanarre al Reno ...<br />
da Scilla al Tanai, dall'uno all'altro<br />
mar». Però, se in passato avevamo<br />
potuto segnalare un abitante di Iatrinoli,<br />
Vincenzo Zappone, morto nel<br />
l832, il quale nel l8l2, appena ventenne,<br />
era stato «miles belli Russiae»,<br />
quindi un soldato che aveva partecipato<br />
alla campagna di Russia, il caso<br />
di recente ci ha messo sulla pista di<br />
ben cinque palmesi e di uno di Varapodi,<br />
i quali tutti nel l8l3 vennero a<br />
trovarsi in Spagna a cagione di altro<br />
conflitto. A rivelare il nuovo<br />
frangente è un atto notarile con attori<br />
i primi cinque. Il 29 maggio<br />
del l8l5, quindi nel periodo dei famosi<br />
cento giorni, avanti al notaio<br />
Zappone in Palmi fecero una comune<br />
dichiarazione Elia e Michele<br />
Cicala fu Saverio e Carmine Parrello<br />
fu Rocco, di mestiere vaticali,<br />
Gaetano Pavia di Giuseppe, industriante<br />
e Antonino Genovese, bracciale,<br />
domiciliati nei quartieri S. Elia,<br />
li Canali e il Rosario e tutti in maggior<br />
età. Detti rivelarono al funzionario<br />
quanto segue.<br />
Nei primi mesi del l8l3 essi si<br />
conducevano in Spagna in forza al<br />
Reggimento Franco, sicuramente una<br />
specie di legione straniera al cui comando<br />
c'era il colonnello Chiari, che<br />
serviva la causa di «Sua Maestà Britannica».<br />
Sostando nelle località denominate<br />
Biar e Castajno, ebbero<br />
modo d'incontrare Domenico Antonio<br />
Sgambiatterra di Varapodi, già<br />
alle dipendenze dell'ex-re Gioacchino<br />
Napoleone, il quale, avendo disertato<br />
dal reggimento in cui militava, venne<br />
poi ad intrupparsi in quello, del quale<br />
i cinque facevano parte. Questi ultimi<br />
ben conoscevano lo Sgambiatterra, in<br />
quanto, a motivo del mestiere esercitato,<br />
avevano avuto modo in precedenza<br />
di recarsi «spesso» a Varapodi.<br />
Ma, se alla fine riuscirono a riportare<br />
la pellaccia a casa, non fu così per<br />
quel poveretto, che appena ad aprile<br />
del medesimo anno venne a cadere<br />
sul «Campo di Battaglia» di Biar assieme<br />
a molti altri commilitoni in<br />
uno scontro che oppose il reggimento<br />
ai «Nemici Francesi». Ai palmesi<br />
toccò vederlo «morto» proprio in<br />
quell'azione di guerra.<br />
E così via! Avremmo sicuramente<br />
potuto dire tant’altro e su tanti altri<br />
aspetti. Come vedete, a piluccare tra i<br />
vari rogiti non c’è che l’imbarazzo<br />
<strong>della</strong> scelta. Certo, ormai tante perlustrazioni<br />
tra le vecchie carte sono state<br />
già esperite, ma vi assicuro che a<br />
ritornare sui nostri passi c’è sempre<br />
qualcosa di nuovo da scoprire, anche<br />
su particolari che appaiono già bell’e<br />
definiti. È proprio questo il bello <strong>della</strong><br />
ricerca!<br />
Gennaio 2010 Pagina 20
L<br />
e credenze popolari di un<br />
tempo riguardavano principalmente<br />
il mondo rurale e, dagli<br />
uomini che ne facevano parte, venivano<br />
rispettate e tramandate. La<br />
loro vita dedita alla campagna,<br />
consisteva di rituali quotidiani,<br />
mensili e stagionali. Visti i tempi<br />
in cui ci troviamo, proviamo ad<br />
analizzare i riti e le credenze del<br />
mese in corso e di febbraio, attraverso<br />
alcuni detti<br />
e modi di dire che<br />
accompagnavano<br />
la vita dei contadini<br />
di altri tempi.<br />
Gennaio, era<br />
ed è un mese importante,<br />
cioè<br />
quello che segue il<br />
vecchio anno, ma,<br />
soprattutto, dà inizio<br />
al nuovo. I<br />
due mesi che si<br />
susseguono hanno<br />
molto in comune:<br />
dicembri e jenaru<br />
si spartinu i cucchjari,<br />
cioè si dividono<br />
(o condividono) molte cose.<br />
Infatti, dal punto di vista meteorologico,<br />
i primi giorni di gennaio<br />
generalmente sono come gli ultimi<br />
giorni di dicembre. Entrambi<br />
fanno parte dell’inverno, sono<br />
freddi e mantengono la campagna<br />
silente. Così finisce l’anno, tra<br />
buoni auspici e sortilegi. C’è da<br />
lavorare soprattutto tra gli ulivi;<br />
c’è da accudire la famiglia e crescere<br />
i figli; si ha fede, si deve andare<br />
in chiesa per chiedere protezione<br />
e speranza; c’è da soffrire e<br />
lottare giornalmente e rassegnarsi<br />
alle malattie e all’impotenza<br />
dell’uomo che nulla può nei confronti<br />
del soprannaturale. Così,<br />
L’Alba <strong>della</strong> <strong>Piana</strong><br />
<strong>CREDENZE</strong> <strong>POPOLARI</strong> E<br />
«MODI DI DIRE» CALABRESI<br />
Antonio Violi<br />
umilmente si sostiene: comu m’ ‘i<br />
manda m’ ‘i pígghjiu, come Iddio<br />
me le manda (sofferenza o felicità),<br />
le accetterò, ciò per confermare<br />
la vita umile e rassegnata di<br />
quella povera gente.<br />
Cambiato foglio al calendario,<br />
gennaio si fa sentire con i fatti, perché<br />
ci ritroviamo nel vero inverno.<br />
Un mese buio dell’anno, da<br />
molti paragonato al medioevo nel<br />
contesto delle ere. Ma in realtà, il<br />
mese ci offre la luna più splendente<br />
dell’anno. Se la luna non è<br />
offuscata dalle nuvole, di notte si<br />
può gironzolare in aperta campagna<br />
e ritrovarsi nel cielo la luna<br />
grande e splendente. Un “girare di<br />
pagina” che annualmente si ripete,<br />
per chi vive: ogni vintiquattr’uri<br />
è mundu novu, ogni<br />
sett’anni ’u mundu gira. Quello<br />
che può capitare giornalmente è<br />
imprevedibile e, comunque, diverso.<br />
Alla fine, dicembre ritorna<br />
ancora, non soltanto come mese,<br />
ma anche per chiudere l’anno<br />
(quello vecchio!): i giorni si allungano…’i<br />
Natali ’mpoi ’nu passu ’i<br />
voi, ecc. Difficilmente, però, i con-<br />
tadini di un tempo andavano in giro<br />
di notte. Loro andavano presto a<br />
letto perché l’illuminazione artificiale<br />
non era cosa di tutti e, comunque<br />
doveva dormire e riposare,<br />
per recuperare la stanchezza<br />
sofferta durante il giorno: la notte<br />
è inquietante! è tempo degli incendi,<br />
dei tradimenti e degli …<br />
spettri.<br />
Nuovo anno, nuovi propositi?<br />
Tutto il vecchio si<br />
butta via:<br />
bon’annu e bon<br />
capu di misi, tutti<br />
li vecchji cu’<br />
ll’anchi tisi, col<br />
nuovo anno si<br />
buttano via anche<br />
le persone vecchie,<br />
specie quelle<br />
più difficili da<br />
gestire.<br />
Comunque, è<br />
un’importante ricorrenza<br />
da festeggiare,<br />
per cui<br />
anche in questo<br />
caso arriva un avvertimento:<br />
bon capudannu e bon<br />
capu di misi, arretu a’ ’la porta<br />
’na petra ti misi, e ti la misi pe’<br />
tuttu l’annu, u ti ricordi du’ capudannu.<br />
Le festività natalizie dovrebbero<br />
terminare con l’Epifania (…chi<br />
tutti i festi porta via), ma pare che<br />
a questo patto non ci stia la Candelòra,<br />
la quale si coinvolge di prepotenza,<br />
infatti: jitivindi cara Matri,<br />
ca’ li festi su’ finuti - rispundiu<br />
‘a ‘Pifania – no ca’ ancora<br />
‘nc’esti ‘a mia – rispundiu ‘a<br />
Candilora – e ‘a mia esti cchju fora,<br />
cioè il 2 febbraio. Mattina<br />
dell’epifania, giorno <strong>della</strong> befana, i<br />
bambini si svegliavano come in-<br />
Gennaio 2010 Pagina 21
cantati, con la mente che fantasticava<br />
nella speranza di un bel regalo<br />
(chi se lo poteva permettere!)<br />
sotto il letto. Ma, soprattutto, la loro<br />
fantasia era rivolta alla befana, a<br />
quella vecchia che entrava nelle<br />
case, forse dal comignolo, per lasciare<br />
soprattutto ai bravi un bel<br />
regalo. Ai cattivi, indiscutibilmente,<br />
cenere e carbone!<br />
Da gennaio in poi, ma specialmente<br />
a marzo, si sceglie una<br />
giornata in cui il tempo sia sincero,<br />
ma con la luna crescente, per tramutare<br />
il vino. La luna di questo<br />
mese è propiziatoria di molti eventi<br />
positivi, come per la semina, la maturazione<br />
di alcuni frutti, la raccolta<br />
e, addirittura, per la fecondazione,<br />
la gravidanza ed il parto delle contadine<br />
e degli animali. Gli animali<br />
devono trascorrere nove lune<br />
piene per partorire. Ogni 29 la<br />
luna vecchia sarà nuova.<br />
I frutti invernali sono, oltre<br />
alle olive, arance, mandarini,<br />
limoni, ecc. Per questo<br />
periodo è la verdura a compensare<br />
le esigenze alimentari<br />
del contadino: patate, broccoli,<br />
cavoli, carciofi, finocchi,<br />
bietole varie, ecc., e<br />
quello che si era accumulato<br />
nell’estate e nell’autunno.<br />
Non ultimi, gli importanti<br />
grassi conservati dopo aver macellato<br />
il maiale. Cosa che più<br />
frequentemente succede tra dicembre<br />
e gennaio.<br />
Il 20 gennaio si festeggia S.<br />
Sebastiano e, secondo la credenza<br />
popolare, è un giorno caratterizzato<br />
dalla pioggia. In questi giorni,<br />
il contadino, in rapporto<br />
all’aspetto ed alle condizioni<br />
dell’uliveto e dell’oliva, ricavava<br />
l’idea dell’annata più o meno<br />
buona. Si ricorda che un tempo le<br />
olive si raccoglievano dopo caduta<br />
spontanea, fino ai mesi estivi.<br />
Gli esperti pastori consigliavano<br />
crapa i jenaru e pecora<br />
d’agustu.<br />
Finisce gennaio e per molti finisce<br />
il grande inverno, perché<br />
da’ Candilora l’urzu caccia ’a te-<br />
L’Alba <strong>della</strong> <strong>Piana</strong><br />
sta fora…, finisce il letargo di<br />
molti animali. Ma una continuazione<br />
di questo detto vuole che si<br />
aggiunga: …se voliti e se no’ voliti,<br />
quaranta jorna ‘i ’mbernu aviti,<br />
se volete e se non volete ci sono<br />
ancora quaranta giorni di inverno<br />
ed infatti, facendo i conti, si<br />
arriva quasi alla metà di marzo.<br />
Mentre, gioveddì ‘i ll’agghjaloru<br />
(o ardaloru), cu’ no’ ’nd’avi carni<br />
si ’mpigna ‘u figghjolu. Cioè,<br />
giovedì grasso, per tradizione si<br />
dovrebbe mangiare carne e la<br />
gente fa di tutto per poter osservare<br />
questa tradizione.<br />
Un segno premonitore poco<br />
piacevole per il pastore è<br />
l’abbondante piovosità di gennaio:<br />
jenaru siccu, massaru riccu,<br />
jenaru vagnatu, massaru rovina-<br />
tu. L’acqua abbondante di questi<br />
tempi condiziona la quantità e la<br />
qualità dell’erba primaverile che,<br />
comunque, comu faci ‘u ’mbernu<br />
faci ‘a stati… e tu contadino, puta<br />
e liga a jenaru se voi ‘u linchi ‘a<br />
cantina, cioè pota e lega la vigna a<br />
gennaio se vuoi fare un’ottima<br />
vendemmia. Comunque, non ci si<br />
può sbagliare, a gennaju e febbraju<br />
puta paru: si può potare qualsiasi<br />
albero durante i primi due mesi.<br />
Addirittura: ciangi lu pecuraru<br />
quando ‘nghjela, no’ ciangi quandu<br />
batti la cucchjara, cioè, il pastore<br />
si preoccupa quando c’è gelo,<br />
ma gioisce quando lavora<br />
l’abbondante latte.<br />
Giorno 3 febbraio è la festa di<br />
san Biagio, ‘i san Biasi ‘a merenda<br />
trasi e, visto che c’è soltanto<br />
un giorno di differenza con la<br />
Candelora, un’altra versione dice:<br />
san Biasi, san Biasellu, l’urzu<br />
caccia ‘a testa fora, anche questa<br />
è una conferma <strong>della</strong> fine<br />
dell’inverno. Secondo la credenza,<br />
giorno di S. Biagio è caratterizzato<br />
dalla grandine.<br />
Il 5 febbraio veniva ricordato<br />
il grande flagello del 1783 attraverso<br />
la celebrazione di alcune<br />
messe. Era usanza, per evitare che<br />
il “malu spiritu”, cioè il diavolo,<br />
si appropriasse del corpo di qualche<br />
bambino, di appuntare dentro<br />
le giacchette le medagliette benedette<br />
di metallo, raffiguranti Gesù,<br />
la Madonna o altri santi, e un<br />
abitino contenente incenso preso<br />
in chiesa e qualche foglia di ulivo<br />
benedetto, per cui si raccomandava,<br />
in caso di visioni straordinarie,<br />
di fare il segno <strong>della</strong><br />
croce, per scacciare il diavolo<br />
e gli spiriti maligni.<br />
Non è un mese lungo febbraio,<br />
ma potrebbe essere<br />
molto freddo e piovoso: frevaru<br />
curtu e amaru, amaru è<br />
cu’ lu dici, ca’ esti lu hjuri di<br />
tutti li misi. Mentre un’altra<br />
versione dice: frevi mu<br />
’nd’avi cu’ frevi mi misi, eu<br />
su’ lu hjiuri di tutti li misi. È<br />
inverno! Tra febbraio e marzo<br />
è bene zappare la vigna ma, se<br />
prendiamo in cosiderazione questi<br />
primi due mesi dell’anno, per il<br />
contadino non c’era un gran lavoro<br />
negli orti.<br />
Con questo mese potrebbe<br />
terminare il peggio. Potrebbe,<br />
perché poi ci sarà marzo pazzerello:<br />
‘nc’é marzu pa’ gneji! Il lungo<br />
inverno comincia a stancare di<br />
questi tempi, ma bisogna ancora<br />
avere pazienza, anche se prossimamente<br />
il calendario segnerà<br />
l’arrivo <strong>della</strong> primavera. Frevaru<br />
scorcia i vecchji o’ focularu ma,<br />
se marzu pungi, ti scoppa<br />
l’unghji; i vecchi è bene che stiano<br />
ancora al fuoco!<br />
Gennaio 2010 Pagina 22
N<br />
L’Alba <strong>della</strong> <strong>Piana</strong><br />
ALCUNE EVIDENTI INCONGRUENZE<br />
PSEUDO-STORICHE SULLA VITA DI<br />
SAN NICODEMO DI MAMMOLA<br />
otizie certe sulla vita di san<br />
Nicodemo ci sono pervenute<br />
attraverso il “Sermone sulla vita<br />
del santo padre nostro Nicodemo<br />
ad opera dell’umile monaco Nilo”<br />
del monastero delle Saline o di S.<br />
Elia il Giovane, composto in greco<br />
nell’XI secolo.<br />
Esso fu copiato nel 1307 da un<br />
inesperto monaco siculo-greco del<br />
Monastero del SS. Salvatore di<br />
Messina, di nome Daniele, definito<br />
copista di rara eleganza, ma<br />
particolarmente abile nello storpiare<br />
toponimi e nomi che non conosce.<br />
Probabilmente l’amanuense<br />
ha scritto sotto dettatura, generando<br />
una serie di errori che, come<br />
scrive il prof. Giuseppe Schirò, ad<br />
averli voluti manomettere di proposito,<br />
difficilmente sarebbero riusciti<br />
così paradossali. Tale copia<br />
(l’originale, quella scritta dal monaco<br />
Nilo è andata perduta) è conservata<br />
nel Codice Messinense<br />
presso la Biblioteca Universitaria<br />
di Messina. Il manoscritto, formato<br />
da 10 fogli pergamenacei, è, in<br />
pratica, un panegirico che faceva<br />
parte di un menologio, vale a dire<br />
di una raccolta di Vite di Santi o<br />
Discorsi per le loro ricorrenze, ed<br />
era stato riprodotto per essere letto,<br />
il giorno <strong>della</strong> festa del Santo,<br />
ai monaci <strong>della</strong> comunità.<br />
Melina Arco Magrì, nei suoi<br />
studi sul bios di san Nicodemo, arriva<br />
alla conclusione che esso fu<br />
composto, da Nilo, tra il 1060 e il<br />
1065, non oltre, e che per la stesura<br />
il novello agiografo abbia preso<br />
come modello il bios di sant’Elia<br />
lo Speleota. Per altri studiosi, invece,<br />
la data di composizione andrebbe<br />
collocata verso la fine XII<br />
secolo.<br />
Giovanni Mobilia<br />
Nella prefazione, l’agiografo<br />
Nilo, autore del Logos, spiega che<br />
per evitare che «le cose belle si<br />
vanifichino con lo scorrere del<br />
tempo e che le più belle siano lasciate<br />
cadere nell’abisso dell’oblio»,<br />
con umiltà e per ubbidire<br />
ai Superiori, si accinge a tramandare<br />
ai posteri il ricordo del grande<br />
padre Nicodemo, usando un<br />
linguaggio semplice e veritiero,<br />
per non incorrere nelle «disapprovazioni<br />
di molti» essendoci stato<br />
un altro, prima di lui, che aveva<br />
scritto sullo stesso argomento deludendo<br />
le aspettative «per il linguaggio<br />
oscuro e disadorno».<br />
Bisogna sapere che il monaco<br />
Nilo, del monastero di sant’Elia il<br />
Giovane (fondato nell’884 da<br />
sant’Elia di Enna), scrisse anche il<br />
bios di san Filareto di Seminara, di<br />
cui fu contemporaneo e che, probabilmente,<br />
conobbe durante il<br />
noviziato, così come attestò:<br />
«…quelle Saline, che per me, seppure<br />
per qualche altro, sono state<br />
ospiti di ogni bene. Queste, infatti,<br />
mi hanno fatto conoscere questo<br />
Grande e, inoltre, sono state per<br />
me l’occasione e il punto di partenza<br />
per avere una mentalità più<br />
santa e una condotta di vita più<br />
perfetta».<br />
Nilo ci tramanda, quindi, fatti<br />
veri e circostanziati nonché località<br />
precise che dovrebbero spazzare<br />
via dalla storiografia agiografica<br />
episodi leggendari, frutto di apologie,<br />
fantasie e campanilismi esagerati,<br />
come ci insegna Polibio di<br />
Megapoli: «Io posso ammettere<br />
che gli storiografi parteggino per<br />
la loro patria, ma non che per<br />
questa ragione dicano il contrario<br />
<strong>della</strong> verità. Sono già molti gli errori<br />
che derivano dagli autori e<br />
che ben difficilmente gli uomini<br />
riescono ad evitare: se per di più<br />
mentiamo volontariamente per<br />
amor di patria o per favorire gli<br />
amici, che differenza ci sarà fra<br />
noi e chi scrive per denaro?».<br />
Nicodemo “l’Umile” nacque a<br />
Sikrò, villaggio posto in una vasta<br />
pianura montana, nella Valle delle<br />
Saline, da genitori religiosissimi.<br />
La Valle delle Saline (definita<br />
Turma o Chora o Eparchia Salinòn)<br />
o <strong>Piana</strong> di S. Martino è<br />
l’attuale <strong>Piana</strong> di Gioia Tauro e<br />
non le Saline del Neto, nei dintorni<br />
di Cirò, come affermava Apollinare<br />
Agresta, e Sikrò, secondo recenti<br />
scoperte archeologiche, sorgeva,<br />
probabilmente, nel territorio di<br />
Castellace (frazione di Oppido<br />
Mamertina, RC), nel luogo dove<br />
ancora, sul finire del 1500, esisteva<br />
un nucleo abitato con una chiesetta<br />
bizantina dedicata a san Cono,<br />
come spiega la dottoressa Zagari<br />
nella Relazione preliminare<br />
1999-2001 sugli scavi di S. Marina<br />
a Delianuova (RC), e come fin<br />
dagli anni Settanta aveva asserito<br />
lo storico prof. Rocco Liberti.<br />
Gennaio 2010 Pagina 23
Sikrò non è quindi Cirò (Kr),<br />
che vanta la casa natale di san Nicodemo,<br />
nel rione Portello e che<br />
Apollinare Agresta (1621-1695)<br />
nella sua opera su S. Nicodemo<br />
aveva identificato, dopo una serie<br />
forzata di trasformazioni etimologiche,<br />
partendo da Ipsykrò (gr.<br />
Biz. = luogo fresco) e passando<br />
per Psicrò – (Iskirò) - Zirò – Cirò,<br />
così come scrive: «Nicodemo, aperti<br />
gl’occhi del corpo nel suo<br />
natale alla luce del mondo sotto il<br />
fortunato orizonte <strong>della</strong> Città<br />
Chrimissa, ò Paterno, hoggi Zirò<br />
appellato, habbia poscia eletto le<br />
contrade di Mammola…». Da notare<br />
che lo Scrittore era a conoscenza<br />
dell’antico manoscritto redatto<br />
da Nilo che cita come:<br />
«l’antico Scrittore, che formò<br />
l’aureo encomio sopra la vita e<br />
morte del nostro Santo Padre, lasciò<br />
commendato a’ posteri quel,<br />
che miracolosamente si è osservato<br />
nel sacro cadavere di lui…»,<br />
ma, come precisa Melina Arco<br />
Magrì, l’Agresta non tenne affatto<br />
conto di questa fonte antica e autorevole,<br />
preferendo attingere a<br />
tradizioni orali e più probabilmente<br />
alla propria fantasia per<br />
arricchire la sua operetta con dati<br />
e notizie.<br />
Noi non sappiamo dove<br />
l’Agresta abbia raccolto le informazioni<br />
che riporta nel suo scritto,<br />
né possiamo affermare al cento per<br />
cento che siano frutto di tradizioni<br />
orali o fantasie. L’unica cosa certa<br />
è che Apollinare Agresta non cita<br />
le fonti delle sue notizie. Forse ha<br />
solo cercato di conciliare una tradizione<br />
già affermata all’epoca del<br />
suo scritto che voleva Cirò come<br />
città natale di Nicodemo e il passo<br />
tra l’identificare Cirò con Sikrò e<br />
la Valle delle Saline con le Saline<br />
del Neto è stato decisivo.<br />
Ma il S. Nicodemo di Cirò, se è<br />
veramente esistito, poteva essere<br />
benissimo un Santo omonimo, non<br />
dimentichiamoci che fino a pochi<br />
decenni or sono anche i due S.<br />
Fantino (il vecchio e il Giovane)<br />
venivano confusi e, per così dire,<br />
L’Alba <strong>della</strong> <strong>Piana</strong><br />
unificati, così come i due S. Elia e<br />
i due o più S. Luca, tutti monaci.<br />
Sikrò non è quindi Cirò, né<br />
Skrisi, nei pressi di Palmi, come<br />
sosteneva lo storico Vincenzo Saletta;<br />
né Sicri, contrada di Melicuccà,<br />
come sostiene il dott. Martino<br />
in un articolo pubblicato su<br />
internet nel quale scrive che: «Le<br />
biografie dei Santi italo greci parlano<br />
di un centro commerciale<br />
(Emporium), la cittadina di Sicri,<br />
oggi contrada disabitata nei pressi<br />
di Melicuccà; da Sicri di cui si è<br />
persa ogni memoria storica (forse<br />
distrutta dai Saraceni durante le<br />
scorrerie dell’Emiro Hasan 950-<br />
952), i profughi scampati all’eccidio<br />
si spostarono, probabilmente,<br />
nella valle di Melicuccà (Melikokkos)<br />
e dove scaturivano abbondanti<br />
sorgenti, incrementando il<br />
preesistente insediamento agropastorale<br />
e dando così inizio al<br />
primo consistente nucleo abitato<br />
del paese».<br />
Né Sìkrò si può individuare<br />
nella zona di Cinquefrondi, attraversata<br />
dal fiume Sikrò, oggi Jarapòtamo<br />
(o Sciarapòtamo), come<br />
affermava il Pagano nella sua<br />
“Storia <strong>della</strong> Calabria”; ma il sito<br />
è da identificarsi nei pressi di Castellace,<br />
frazione di Oppido Mamertina.<br />
Il toponimo Sikrò noi l’abbiamo<br />
trovato citato sia negli Atti di<br />
sant’Agata sia nel bios di sant’Elia<br />
lo Speleota, ai numeri 88 e 92:<br />
al numero 88, infatti, si narra<br />
che un certo «Cristoforo di Sikrò<br />
era andato una volta per comprare<br />
grano e per via fu percosso dal<br />
demonio meridiano: strabuzzava<br />
gli occhi, tremava tutto, restò quasi<br />
venti giorni senza mangiare né<br />
dormire.<br />
Fu portato con una barella e<br />
deposto presso la tomba del Santo<br />
(Elia) e fu unto con olio <strong>della</strong><br />
lampada. Essendosi assopito, vede<br />
il Santo risplendente di luce, che<br />
gli apre lo stomaco e ne tira fuori<br />
come un uovo di oca, dicendo:<br />
“D’ora sarai sano e libero dal<br />
cattivo spirito!”.<br />
Al Mattino andò via guarito,<br />
lasciando la barella come prova<br />
<strong>della</strong> guarigione».<br />
E al numero 92 si riporta che<br />
«Il servo di Maele di Sikrò era<br />
indemoniato e schiumava dalla<br />
bocca.<br />
Portato al monastero, mentre<br />
l’igumeno Lorenzo celebrava la liturgia,<br />
nove volte lo spirito travagliò<br />
il ragazzo.<br />
I monaci portarono allora la<br />
spugna con la quale – alla morte –<br />
avevano lavato il corpo del Santo e<br />
ne diedero a bere a quello; così che<br />
subito il cattivo spirito andò via».<br />
Il toponimo Sicrous compare<br />
anche in un atto di donazione di<br />
beni «pro anima», a favore del<br />
Vescovo Nicola di Oppido e <strong>della</strong><br />
Cattedrale, databile 1050-1065:<br />
«La “monaca” Giovanna dona<br />
alla Chiesa Cattedrale di Oppido<br />
ed al suo Vescovo Nicola i<br />
beni che ella eredita dai genitori,<br />
disseminati in Dapidalbon (= Pedavoli),<br />
Skidon (Scido), Sicrous,<br />
Sinopolis, Butzanon, Reggio e<br />
Oppido».<br />
E, se ancora ci fossero dei dubbi<br />
che la Valle delle Saline fosse<br />
l’odierna <strong>Piana</strong> di Gioia Tauro, per<br />
spazzarli definitivamente basta<br />
sfogliare la Vita di S. Luca “il<br />
Grammatico”, copiata pure questa<br />
da Daniele, nella quale si legge -<br />
in modo inconfutabile – che Luca<br />
nacque nella prima metà dell’XI<br />
secolo a Melicuccà, nella Valle<br />
delle Saline: «In Calabria c’è un<br />
paese, chiamato Melicuccà, dalle<br />
parti delle Saline. Qui fiorì e diede<br />
buoni frutti il nostro prodigioso<br />
Padre, il Beato Luca (…)».<br />
Nicodemo sarebbe nato, in<br />
base a deduzioni storico-cronologiche<br />
tratte dai bioi bizantini di alcuni<br />
Santi con i quali il Nostro ebbe<br />
rapporti, nella prima metà del<br />
secolo X, non più tardi del 920,<br />
come annota il Saletta nella sua<br />
opera citata, da genitori devoti e<br />
molto religiosi.<br />
Gennaio 2010 Pagina 24
La tradizionale data di nascita,<br />
riferibile al 12 maggio del 900 e i<br />
nomi dei genitori, Teofano e Panta,<br />
del casato dei Dima di Cirò,<br />
non trovano, per quanto prima esposto,<br />
conferme documentabili.<br />
Nicodemo, come il precursore<br />
di Cristo, Giovanni Battista, abbracciò<br />
fin da fanciullo la vita eremitica.<br />
Il suo nome deriva dal<br />
greco Nicodèmos, cioè trascinatore<br />
o vincitore di popoli; l’agiografo,<br />
però, l’interpreta come Nicodaimon,<br />
ossia vincitore dei demoni,<br />
per mettere in risalto il carisma<br />
principale del Santo, quello di<br />
scacciare i demoni, paragonandolo<br />
all’apostolo sant’Andrea.<br />
Stranamente l’arc. Vincenzo<br />
Zavaglia, nella sua opera del 1961<br />
(Vita del Santo Padre nostro Nicodemo),<br />
racconta che «Il suo<br />
primo biografo Nilo (…) dice che<br />
il piccolo Nicodemo trascorreva le<br />
ore <strong>della</strong> giornata a costruire<br />
chiesette ed altarini d’argilla, sui<br />
quali erigeva statuette dei Santi,<br />
calcanti coi piedi immagini di demoni,<br />
espressi in figura di mostri e<br />
serpenti, ignaro del misterioso<br />
nome, che portava e che avrebbe<br />
dovuto tradurre, praticamente,<br />
nella vita cristiana di ogni giorno,<br />
in una battaglia continua e fiera<br />
contro l’inferno (…)».<br />
E, in opuscoletto anonimo<br />
stampato a Grottaferrata nel 1935,<br />
dal titolo San Nicodemo abate,<br />
leggiamo: «Il suo biografo Nilo,<br />
monaco, ci riferisce che, da fanciullino,<br />
Nicodemo ricreavasi a<br />
fabbricare con la creta chiesuole e<br />
altarini, e su questi si divertiva a<br />
mettere qualche sacra icona (…)<br />
Dal suo biografo raccogliamo,<br />
come egli facesse sua delizia <strong>della</strong><br />
lettura dei libri di pietà, trascorresse<br />
lunghe ore nella Chiesa, si<br />
accostasse molto frequentemente<br />
ai sacramenti <strong>della</strong> Confessione e<br />
<strong>della</strong> Comunione…». Queste ed altre<br />
asserzioni simili, lette altrove,<br />
ci lasciano perplessi; Nilo non<br />
scrisse nulla di ciò. La studiosa<br />
Melina Arco Magrì, che scrupolosamente<br />
ha tradotto il testo, con-<br />
L’Alba <strong>della</strong> <strong>Piana</strong><br />
ferma che l’agiografo fu molto parsimonioso<br />
e corretto nel raccontare<br />
di Nicodemo che, probabilmente,<br />
conobbe solo tramite le testimonianze<br />
dei monaci coevi che ancora<br />
erano vivi, «Nilo non lavora di fantasia<br />
e non divaga. Anzi se può, si<br />
sforza di essere scrupoloso, di attenersi<br />
alla verità».<br />
Gli accostamenti descrittivi di<br />
don Zavaglia e altri, sulla fanciullezza<br />
di Nicodemo, tipici <strong>della</strong> letteratura<br />
agiografica, anche se verosimili,<br />
nascono, quasi sicuramente,<br />
dalla smisurata e ardente<br />
devozione degli Autori per il Santo<br />
eremita e dall’influenza secolare,<br />
fino allora indiscussa, dell’opera<br />
di Apollinare Agresta.<br />
Dell’infanzia di Nicodemo, dal logos<br />
appuriamo soltanto che «Il<br />
fanciullo, illuminato da Dio, fin da<br />
bambino, per opera dello Spirito<br />
Santo progrediva ogni giorno<br />
nell’apprendimento delle divine<br />
Scritture e nell’acquisizione di tutte<br />
le virtù».<br />
Saldo alla chiamata e imperturbabile<br />
davanti alle evanescenti<br />
chimere giovanili, decise che solo<br />
la vita monastica avrebbe appagato<br />
il forte desiderio di Cristo e, verso<br />
i quindici anni d’età, bussò alle<br />
porte di un convento nei pressi di<br />
Taureana (vicino Palmi), ai piedi<br />
del Monte Aulinas (Monte S. Elia),<br />
nel luogo in cui dimorò il grande<br />
taumaturgo Fantino il Cavallaio (il<br />
conduttore di cavalli), vissuto nel<br />
IV secolo; qui fu accolto da un<br />
Anziano monaco che viveva in ritiro<br />
assieme a diversi confratelli.<br />
Alcuni autori, interpretando in<br />
modo diverso questo passo del bios,<br />
vedono nell’Anziano monaco<br />
la figura di san Fantino il Giovane<br />
o del Mercurion maestro di san<br />
Nilo da Rossano, morto a Tessalonica<br />
all’età di 73 anni. Noi accettiamo<br />
l’interpretazione <strong>della</strong> Follieri,<br />
perché Fantino non poteva<br />
essere Anziano all’epoca del noviziato<br />
di Nicodemo e, anche se ci<br />
sforzassimo di spostare la data di<br />
nascita del Nostro al 920, come<br />
proposto dal Saletta, Nicodemo ri-<br />
sulterebbe sempre più anziano di<br />
Fantino. Questi, inoltre, fu un monaco<br />
itinerante, fondatore di diversi<br />
Monasteri, mentre il santo Anziano,<br />
maestro di Nicodemo, non<br />
si mosse da Taureana. Oltre a tutto,<br />
nella Vita di san Nilo da Rossano,<br />
dove si parla di san Fantino,<br />
il nome di san Nicodemo non<br />
compare mai.<br />
Il saggio vecchio lesse nello<br />
sguardo del giovane Nicodemo il<br />
suo ardore per Cristo e lo accolse<br />
ben volentieri nel gruppo dei suoi<br />
confratelli, vestendolo con l’abito<br />
beato e calzandolo con i sandali<br />
monacali. Il ragazzo rimase alla<br />
scuola dell’Igumeno moltissimi<br />
anni, perfezionandosi con digiuni,<br />
preghiere e veglie, esercitando<br />
l’ubbidienza e la modestia tanto<br />
da essere appellato Nicodemo<br />
“l’umile”.<br />
L’agiografo Nilo ripercorre per<br />
tappe la vita del Santo e non fa riferimento<br />
alcuno a Galatone, pio e<br />
dotto sacerdote, al quale i genitori,<br />
Teofano e Panta, avrebbero affidato<br />
il figlio; né fà citazioni di sorta<br />
circa il complesso monastico del<br />
Mercurion (nel territorio montagnoso<br />
che domina il Golfo di Policastro<br />
tra la Calabria e la Basilicata)<br />
forgia di vita spirituale del Santo,<br />
come alcuni sostengono.<br />
Nicodemo aveva circa 35-40<br />
anni quando i Saraceni cominciarono<br />
a devastare le coste <strong>della</strong> Calabria<br />
(se poi teniamo per buona la<br />
tradizionale data di nascita del 12<br />
maggio 900, Nicodemo aveva 50<br />
anni). Egli, con gli altri monaci del<br />
convento, per scampare alle scorrerie<br />
dei Saraceni, si rifugiò verso<br />
le montagne dell’Aspromonte.<br />
Gennaio 2010 Pagina 25
L’historiola cantata narra anche<br />
di un improbabile incontro del<br />
Santo con sant’Antonio del Castello<br />
e san Jeiuno, nei pressi del<br />
Monte Zappino, dove per un certo<br />
periodo i tre monaci presero dimora<br />
in inaccessibili spelonche. Ambedue<br />
erano originari di Gerace.<br />
Antonio viveva in una grotta nei<br />
pressi dell’attuale castello e poi si<br />
ritirò nel convento di S. Filippo<br />
d’Argirò; Jeiuno era il soprannome<br />
del monaco Giovanni <strong>della</strong><br />
famiglia Triapane di Gerace, così<br />
chiamato perché trascorse la sua<br />
vita digiunando.<br />
Ci sono fondati dubbi che i due<br />
Santi siano vissuti al tempo di Nicodemo<br />
e, sebbene don Zavaglia<br />
sposta l’incerto incontro al 975,<br />
noi sappiamo che il convento dove<br />
si ritirò Sant’Antonio del Castello,<br />
cioè il monastero di S. Filippo Argirò,<br />
come d’altronde lo stesso<br />
Zavaglia annota, fu costruito tra il<br />
1112 e il 1118, cioè 137–143 anni<br />
dopo, quando ormai Nicodemo era<br />
morto da tempo come si evince<br />
dagli studi di Guillou sul Monastero<br />
di S. Nicodemo che portano<br />
chiarezza anche sul sito del Monte<br />
Kellarana, dove Nicodemo trovò<br />
rifugio, che dovrebbe corrispondere<br />
a questo posto, anche se in passato<br />
non tutti, comunque, erano<br />
concordi. Il Saletta, per esempio,<br />
era sicuro che il Kellarana fosse<br />
vicino al monastero di S. Nicodemo,<br />
nei pressi di Seminara, e precisamente<br />
nella contrada Sellerana,<br />
citando in suo favore anche il<br />
Fiore e il De Salvo che scrisse:<br />
«Sorse più tardi, presso Seminara,<br />
il monastero basiliano di S. Nicodemo<br />
che poi, l’anno 1436, passò<br />
ai Frati Minori sotto il titolo di S.<br />
Maria degli Angioli».<br />
Altre incongruenze nascono dal<br />
racconto <strong>della</strong> morte del Santo.<br />
L’autore del Logos afferma che<br />
Nicodemo morì a 70 anni.<br />
Di parere contrario è il Saletta<br />
il quale, in base alla sua ricostruzione<br />
cronologica, afferma che il<br />
Santo è vissuto fino a un’età di 90<br />
anni o superiore, d’accordo, questa<br />
L’Alba <strong>della</strong> <strong>Piana</strong><br />
volta, con l’Apollinare Agresta<br />
«che forse poté avere in visione<br />
non già una copia imperfetta, ma<br />
l’originale del logos o altro documento<br />
perduto».<br />
Lo studioso ritiene, quindi, che<br />
il copista Daniele, scrivendo sotto<br />
dettatura, tra i tanti errori abbia<br />
fatto anche questo, scambiando il<br />
numero novanta per settanta. Il Saletta,<br />
che aveva proposto come anno<br />
di nascita di Nicodemo il 920,<br />
pone l’anno <strong>della</strong> morte del Santo<br />
nel 1010; mentre l’Agresta, che<br />
aveva fissato l’anno <strong>della</strong> sua nascita<br />
al 900, ne colloca la morte al<br />
990. A favore dell’ipotesi del Saletta<br />
(errore di trascrizione)<br />
l’espressione dell’agiografo «l’età<br />
perfetta del popolo di Cristo» che<br />
allora si aggirava sui 90 anni (vedi<br />
S. Elia lo Speleota, S. Luca di<br />
Taureana, S. Luca di Damena, S.<br />
Nilo, S. Leoluca, S. Saba, ecc.).<br />
Di tutt’altro parere Melina Arco<br />
Magrì che, facendo riferimento<br />
all’incursione dell’emiro Ab-<br />
Akhal nella città di Bisignano nel<br />
1020, e accettando il termine settant’anni,<br />
aveva proposto (ma<br />
questo prima <strong>della</strong> pubblicazione<br />
delle ricerche di Guillou sul Monastero<br />
di S. Nicodemo) come data<br />
di morte del Santo poco dopo il<br />
1020 e, come nascita, il 950-955.<br />
È probabile, comunque, che il<br />
riferimento “settant’anni”, nel logos<br />
originale, si riferisse alla vita<br />
monastica di Nicodemo e non<br />
all’età <strong>della</strong> sua dipartita.<br />
Dal logos appuriamo che raggiunta<br />
«l’età perfetta del popolo di<br />
Cristo», il 12 marzo di un anno<br />
imprecisato, circondato dall’affetto<br />
dei confratelli più cari San Nicodemo<br />
muore, come muoiono i<br />
santi che trascorrono la vita per<br />
cercare Dio, affrontano la morte<br />
per trovarlo e abbracciano l’eternità<br />
per possederlo.<br />
Ed ecco che improvvisamente<br />
dal volto di Nicodemo iniziarono a<br />
sprigionarsi raggi di luce che si<br />
diffusero tutt’intorno fino al momento<br />
in cui fu deposto nella tomba.<br />
Davanti a tale miracolo bellis-<br />
simo e straordinario, l’agiografo<br />
Nilo, che raccolse le testimonianze<br />
dai monaci ancora in vita, non può<br />
fare a meno di registrare sbalordito:<br />
«raramente conobbi sì miracoli<br />
nelle sante morti di beati!».<br />
Chi con digiuni e veglie – insegnava<br />
sant’Elia Speleota – avrà<br />
fatto morire le passioni, alla sua<br />
uscita l’anima risplenderà più delle<br />
stelle…perché si arriva al Tutto<br />
solo dopo aver rinunciato a tutto.<br />
È la fede che fortifica i santi e<br />
li conduce attraverso le intemperie;<br />
che sposta le montagne e che<br />
scavalca gli oceani. La fede non è<br />
altro che la consapevolezza profonda<br />
e certa dell’esistenza di Dio<br />
dentro di noi. Colui che la possiede<br />
non manca di nulla. Sofferente<br />
fisicamente, è vigoroso spiritualmente;<br />
misero di beni materiali,<br />
trabocca di ricchezze spirituali.<br />
Qualcuno, da qualche parte, ha<br />
scritto che Dio non è complicato: è<br />
semplice. Non è difficile raggiungerlo,<br />
ma ci vuole umiltà. Il segreto<br />
dell’esistenza è proprio questo:<br />
vivere con semplicità e pensare<br />
con grandezza. Ecco perché donnette<br />
del popolo, fanciulli e giovani<br />
ardenti lo trovano subito, direttamente,<br />
talora più rapidamente<br />
dei teologi che conoscono le vicende<br />
complesse <strong>della</strong> salita a Dio.<br />
La scienza aiuta, ma non basta.<br />
Ci vuole amore. È questo il messaggio<br />
attuale, il testamento spirituale,<br />
che l’umile Nicodemo ci ha<br />
lasciato: dare sé stessi agli altri. È<br />
un messaggio che ha più di duemila<br />
anni, è il messaggio di Cristo.<br />
Gennaio 2010 Pagina 26
A<br />
500 anni dalla salita al cielo<br />
di san Francesco di Paola,<br />
fondatore dei Minimi, Patrono <strong>della</strong><br />
Calabria e <strong>della</strong> gente di mare,<br />
abbiamo rivisitato i luoghi <strong>della</strong><br />
diocesi di Oppido-Palmi, da lui attraversati<br />
in occasione del suo viaggio<br />
verso la Sicilia.<br />
Nonostante i devastanti<br />
terremoti, gli incendi, le<br />
soppressioni e l’incuria umana,<br />
ancora sono tante le<br />
vestigia che testimoniano<br />
una devozione popolare forte,<br />
ancora viva nei calabresi.<br />
I conventi che sono stati<br />
edificati nell’attuale diocesi<br />
di Oppido Mamertina-Palmi<br />
tra ‘500 e ‘900, sono otto<br />
cioè Borrello, Laureana di<br />
Borrello, Anoia Inferiore,<br />
Sinopoli Inferiore, Oppido<br />
Mamertina, Seminara, Polistena,<br />
Rosarno.<br />
Furono luoghi di grande<br />
culto, devozione, spiritualità<br />
e formazione vocazionale.<br />
Tuttavia, subirono tutti la<br />
stessa dolorosa sorte sia con<br />
i terremoti del 1638, 1783,<br />
1908, nonché con le soppressioni<br />
delle leggi governative<br />
iniziate il 7 agosto 1809 e<br />
riconfermate fino all’unità d’Italia.<br />
BORRELLO E LAUREANA DI<br />
BORRELLO - Dal popolo, successivamente<br />
al miracolo compiuto da san<br />
Francesco, durante il suo passaggio<br />
mentre era diretto a Milazzo, salì la richiesta<br />
di erigere extra Fevos, nelle<br />
adiacenze di Borrello un monastero<br />
dei frati Minimi. Promotore <strong>della</strong> fondazione<br />
fu “Nicola Antonio Protospataro,<br />
Sindaco di detta Terra, con i<br />
suoi eletti avendoli assegnato il luogo<br />
per fondare il Convento e dato 200<br />
ducati per mettersi a censo” 1 , e così<br />
avere una rendita perpetua. Lavori iniziati<br />
nel 1550 su terreno“detto Cerulli<br />
L’Alba <strong>della</strong> <strong>Piana</strong><br />
CONVENTI E CHIESE DEI MINIMI<br />
NEL CORSO DEI SECOLI<br />
Ferdinando Mamone<br />
possessione concessa dalla propria<br />
Università, nella stagliata delle coste<br />
loco detto Litrò” 2 , con il contributo<br />
del popolo e di alcune famiglie agiate<br />
<strong>della</strong> città. I lavori si conclusero il 28<br />
luglio 1555, quando i religiosi presero<br />
reale possesso del Convento il 28 luglio<br />
1555.<br />
Accanto al convento fu pure edificata<br />
una “chiesa sotto il titolo, et invocazione<br />
del glorioso Patriarca S. Francesco<br />
di Paola, tenuta in grandissima<br />
venerazione da tutti quei popoli con<br />
vicini. La struttura è molto vaga, che<br />
il frontespizio rimira il vigesimo quinto<br />
grado di mezzogiorno verso la parte<br />
di ponente; hà molte cappelle,<br />
adorne di figure bellissime. Il dormitorio<br />
dalla parte superiore hà non più<br />
di 4 celle, che quantunque ne fossero<br />
state al numero di 10, ad ogni modo il<br />
gran terremoto successo in questi’anni<br />
dietro rovinino l’altri sei, dalla parte,<br />
poi, inferiore vi sono tutte l’officine necessarie…”<br />
3 . Vi dimoravano 5 religiosi,<br />
ma nel 1650, erano appena 4, ovverosia<br />
il p. Antonio d’ Orlando di Maida,<br />
vicario, frat’Antonio Cordiano;<br />
serventi fra Giobatt[ist]a Zangara, fra’<br />
Domenico Sessa.<br />
Questo convento nel 1650 possedeva:<br />
24 terre lavorative per un totale di 20<br />
salmati circa; alcuni piccoli oliveti; un<br />
piccolo bosco di querce; una vigna con<br />
alcuni piedi di gelsi; un fondo con alcuni<br />
gelsi ed ulivi di poca resa; due case<br />
piccole; un molino; diversi censi<br />
perpetui; un legato di 18 scudi<br />
<strong>della</strong> signora Gerolima Colonna<br />
già duchessa di Monteleone<br />
(od. Vibo Valentia), sorella di<br />
Marcantonio Colonna luogotenente<br />
di don Giovanni d’Austria<br />
nella Battaglia di Lepanto<br />
(1571).<br />
L’attività missionaria dei frati<br />
minimi fu quanto mai efficace<br />
in quanto i costumi sociali e le<br />
pratiche religiose, si erano<br />
progressivamente rilassati e<br />
indeboliti.<br />
Questo convento, proprio per la<br />
sua notoria esperienza spirituale<br />
e culturale dei suoi componenti,<br />
costituiva un faro, un argine<br />
contro il paganesimo.<br />
“Dei religiosi più cospicui, che<br />
vissero in questo convento le<br />
nostre fonti fanno menzione del<br />
p. Pietro di Borrello, lettore<br />
egregio di filosofia e teologia, -<br />
qui praesertim ob valementiam,<br />
ubertatem ac sententiarum in<br />
predicando, ununque satis laudandus,<br />
sed magis est venerantus” 4 .<br />
Il catastrofico terremoto sortito il 5<br />
febbraio 1783 che interessò l’intera<br />
Calabria e in particolare la <strong>Piana</strong>,<br />
sconvolse tutti gli abitati e ogni opera<br />
architettonica, cambiando in più parti,<br />
la topografia del terreno. Il sommovimento<br />
rase al suolo anche il convento<br />
dei minimi di Borrello. I religiosi<br />
si portarono prima nella villa dei<br />
Mottola nelle pertinenze di Borrello e<br />
successivamente a Laureana di Borrello,<br />
ove sull’altura di “Capitano”,<br />
ove costruirono un conventino con<br />
annessa chiesuola. Tuttavia, seguì la<br />
sorte degli altri ordini religiosi soppressi<br />
con legge del 7 agosto 1809 e<br />
l’altra del 10 gennaio 1811.<br />
Gennaio 2010 Pagina 27
I ruderi dell’antico convento di Borrello,<br />
oggi ricadenti nel territorio<br />
amministrativo di Serrata, sono stati<br />
lasciati in un colpevole oblio. Dopo<br />
tanto abbandono, inesorabilmente, un<br />
bosco rigoglioso di lecci e conifere si<br />
è impadronito del sito.<br />
A testimonianza <strong>della</strong> propria devozione,<br />
negli anni scorsi, l’ottimo medico<br />
Vincenzo Montorro, in una sua<br />
proprietà adiacente la strada comunale<br />
Candidoni-Borrello, fece installare<br />
sopra un basamento in muratura,<br />
una maestosa statua del santo paolano,<br />
ove gli occasionali passanti volentieri<br />
sostano per una breve preghiera.<br />
Da G.B. Marzano, sempre ben informato,<br />
apprendiamo che quando i religiosi<br />
a motivo del terremoto del 5<br />
febbraio 1783 si apprestavano a lasciare<br />
Borrello per una sede più sicura<br />
in un paese vicino, i candidonesi<br />
avendo avuto sentore che i Minimi<br />
miravano a trasferirsi a nel loro paese,<br />
inizialmente si opposero. Quando<br />
però i frati trovarono ospitalità a<br />
Laureana, gli abitanti di Candidoni,<br />
gelosi, ma pure coscienti del bene spirituale<br />
che ne potevano trarne, si offrirono<br />
di accoglierli. Ma ormai era<br />
troppo tardi.<br />
In quel tempo di grande incertezza e<br />
smarrimento, la bella statua lignea<br />
del Patriarca, opera dello scultore<br />
Domenico De Lorenzo rimase sotto le<br />
macerie del convento di Borrello. I<br />
candidonesi, come molte persone di<br />
Laureana, si recarono tra le rovine<br />
per recuperare eventuali oggetti di<br />
valore o comunque riutilizzabili. Alcuni<br />
saccheggiatori avendo individuato<br />
il simulacro, progettarono di ritornare<br />
il giorno seguente per portarselo<br />
a Candidoni. I Laureanesi, però, avendo<br />
avuto sentore del possibile trafugamento,<br />
si recarono nottetempo a<br />
Borrello, anticipando l’operazione di<br />
recupero e trasferimento al loro paese.<br />
La statua, che aveva subito notevoli<br />
danni soprattutto per l’umidità, subì<br />
un efficace restauro, e quindi, sistemata<br />
nella chiesetta del calvario, nei<br />
cui pressi i religiosi frattanto si erano<br />
costruiti un conventino.<br />
In occasione delle periodiche visite<br />
pastorali, la chiesetta fu puntualmente<br />
esaminata e trovata in ordine.<br />
Legato di una messa la settimana<br />
nell’altare di San Francesco di Paola<br />
eretto dentro la chiesa del medesimo<br />
titolo in Laureana, lasciato come sec-<br />
L’Alba <strong>della</strong> <strong>Piana</strong><br />
camente si asserisce dal quondam don<br />
Francesco Macedonio di detto luogo,<br />
con l’assegnazione di un fondo detto<br />
Barbadoro, alborato di olive, vigna,<br />
sito in detto territorio di salmate diciassett<br />
circa <strong>della</strong> valuta in proprietà<br />
ducati millesettecentocinquanta e<br />
dell’annua rendita in ducati ottantacinque,<br />
eretto a titolo di cappellania<br />
vitalizia in persona del chierico Leonardo<br />
Ferrandello di Cinquefrondi in<br />
forza di dominazione avuta<br />
dall’abate don Domenico Chiotti del<br />
luogo, giusta dichiarazione del nipote<br />
ed erede del Macedonio 5 .<br />
ANOIA INFERIORE - Un altro monastero<br />
dei Minimi risulta fondato ad<br />
Anoia Inferiore nell’anno 1582<br />
all’inizio del paese, con l’assenso del<br />
vescovo di Mileto Gio: Mario d’Alessandro,<br />
e con il contributo di quell’Università<br />
(Comune) e relativi Casali.<br />
Il contributo pari a ducati cinquanta<br />
annui in perpetuo, da servire<br />
anche per il sostentamento dei monaci,<br />
consentì tra l’altro di costruire accanto<br />
al convento anche una chiesetta<br />
col titolo di Santa Maria <strong>della</strong> Grazia,<br />
a beneficio di quei fedeli.<br />
Il piano terra del convento era destinato<br />
a magazzino e dispensa, la cucina<br />
e refettorio. Il piano superiore destinato<br />
a dormitorio con sette camere.<br />
Il numero dei frati assegnati al momento<br />
dell’insediamento fu di 12 per<br />
poi passare a 15 e poi a 10. Dalla relazione<br />
inviata alla Santa Sede nel<br />
1650 risultano presenti nel convento 5<br />
sacerdoti: Correttore fra’ Michele<br />
Valensisi d’Anoya, p. fra’ Gio: Battista<br />
Chizoniti d’Anoya, p. fra’ Paulo<br />
Tropepi d’Anoya, p. Matteo Porcino<br />
d’Anoya, e p. fra’ Domenico Arcovito<br />
di Reggio. I due laici professi: frà<br />
Marco Nicoletta d’Anoya e frat’Antonio<br />
Carlino di Galatro.<br />
Il convento possedeva diversi beni<br />
immobili quali terre aratorie e altre<br />
alberate in territorio di Terranova,<br />
Feroleto e Melicucco. Possedeva inoltre<br />
delle case ad Anoia a Feroleto e<br />
Plaesano e numerosi censi. La chiesa<br />
parrocchiale di questa cittadina, custodisce<br />
una statua lignea del santo<br />
già registrata nel 1646 6 .<br />
Nel detto convento dimorarono tanti<br />
religiosi colti e di santa vita. Si ricordano<br />
i padri Domenico Giacalà, Gregorio<br />
e Antonio di Anoia nonché il<br />
frate laico Marco <strong>della</strong> stessa località.<br />
La secentesca statua di Anoia<br />
Anche questo convento fu danneggiato<br />
dal terremoto del 5 febbraio 1783.<br />
Il Comune di Anoia, che nel corso del<br />
Settecento aveva utilizzato un sigillo<br />
con l’effigie di S. Francesco di Paola<br />
e la scritta “CHARITAS”, il 5 febbraio<br />
2005, fu autorizzato con decreto del<br />
Presidente <strong>della</strong> Repubblica ad adottare<br />
lo stemma civico raffigurante il<br />
Patriarca 7 .<br />
CINQUEFRONDI - Cappellania sotto<br />
il titolo di San Francesco di Paola<br />
eretta nell’altare e chiesa del medesimo<br />
titolo in Cinquefrondi, preteso<br />
padronato <strong>della</strong> famiglia Sofrà, col<br />
peso di quattro messe la settimana e<br />
con l’assegnazione dei fondi denominati<br />
Barbadoro e Favalano, posti in<br />
detto territorio, limite i beni di detta<br />
chiesa e di Gio: Tommaso Condò, <strong>della</strong><br />
capacità di tombolate trentaquattro<br />
e dell’annua rendita di ducati<br />
quarantacinque. Il decreto <strong>della</strong> curia<br />
risale al settembre 1722, con cui<br />
si conferì una sola delle quattro messe<br />
a titolo di cappellania collatica al<br />
Gennaio 2010 Pagina 28
chierico Rosario de Guisa del predetto<br />
luogo.<br />
DROSI - Legato di una messa<br />
nell’altare di San Francesco di Paola,<br />
eretto dentro la chiesa <strong>della</strong> SS. Annunciazione<br />
in Drosi, voluto dai<br />
componenti la famiglia Ierullo del<br />
luogo. L’atto notarile di erezione e relativa<br />
dotazione risale al 1750 8 .<br />
Si ha memoria <strong>della</strong> convenzione tra<br />
la magnifica Laura Iarullo, nipote ed<br />
erede del fu Natale Ierullo e la signora<br />
donna Porzia Cordiano, rappresentata<br />
dal marito d. Giuseppe Antonio<br />
Cafero. Con detta convenzione<br />
(1750) la signora Ierullo cede i suoi<br />
beni dotali alla cappella di San<br />
Francesco di Paola. Viene<br />
quindi nominato cappellano<br />
don Filippo Cordiano, presentato<br />
da Tommaso Ierullo suo<br />
zio. Per il mantenimento di tale<br />
cappellania risultano assegnate<br />
una parte di terra estimativa in<br />
grano, consistente in tombolate<br />
trenta circa, in territorio di<br />
Terranova in contrada Croce,<br />
sopra la quale si pagano annui<br />
perpetui tumuli dueci e due ottavi<br />
di grano staglio e carlini<br />
ventiquattro l’anno alla Corte<br />
di Terranova 9 .<br />
GALATRO - Nella chiesa<br />
dell’Immacolata Concezione di<br />
Galatro all’altare di S. Francesco<br />
di Paola vi è una cappellania<br />
con il titolo medesimo fondata<br />
l’ 1 dicembre 1749 da d.<br />
Diego Longo che si riserva il<br />
padronato.<br />
GIFFONE - In questo paese,<br />
già feudo e “Casale” dei marchesi<br />
Giffone di Cinquefrondi il<br />
culto verso il santo paolano è<br />
tuttora molto diffuso.<br />
Nella chiesa parrocchiale vi<br />
era un altare intestato a San Francesco<br />
di Paola, eretto dalla famiglia del<br />
marchese Giffone, con il peso di 150<br />
messe l’anno e con la riserva <strong>della</strong><br />
nomina del cappellano 10 .<br />
IATRINOLI - Cappellania sotto il titolo<br />
di San Francesco di Paola eretta<br />
nell’altare del medesimo titolo dentro<br />
la chiesa matrice in Iatrinoli, fondata<br />
con istromento de’ 22 agosto 1765 da<br />
don Marco li Donnici, col peso di annue<br />
messe dodici con la riserba del<br />
Padronato e con la sua dotazione, ed<br />
annue rendite esplicitata di ducati tredici.<br />
Vi sta il suo decreto di erezione 11 .<br />
L’Alba <strong>della</strong> <strong>Piana</strong><br />
SINOPOLI INFERIORE - A Sinopoli<br />
Inferiore, un convento con l’invocazione<br />
del Santo Paolano, fu eretto nel<br />
1595 per decisione del principe di Scilla<br />
Vincenzo Ruffo e moglie d. Maria<br />
per soddisfare un voto comune, quello<br />
di aver avuto figliolanza.<br />
La casa religiosa con annessa chiesa,<br />
fu edificata fuori l’abitato con<br />
l’assenso del Padre Provinciale fra<br />
Francesco d’Oppido. Aveva otto celle<br />
per i religiosi che nel 1650 erano fra<br />
Francesco Bello da Gerace correttore,<br />
fra’ Antonino Franco da Mileto, fra’<br />
Bernardino Rosis di Rocca Bernarda e<br />
fra’ Diego Maggio di Bagnara; <strong>della</strong><br />
famiglia facevano parte pure i laici<br />
fra’ Alessio Trimarchi di Sinopoli e<br />
fra’ Matteo Ferro di Gerace.<br />
Questo convento aveva buone rendite<br />
provenienti da giardini dati in fitto e<br />
alcuni censi da facoltosi proprietari. I<br />
pesi erano degli oneri che i monaci<br />
soddisfacevano regolarmente alla<br />
scadenza prevista. Tuttavia il bilancio<br />
era sempre attivo.<br />
OPPIDO MAMERTINA - La presenza<br />
dei Minimi è attestata ad Oppido<br />
Mamertina già nel 1610 secondo G.<br />
Fiore da Celico e 1611 secondo il Roberti,<br />
storico dell’Ordine.<br />
La fondazione oppidese fu caldeggiata<br />
dal vescovo Antonio Cesonio, con<br />
l’assenso del p. Provinciale Andrea di<br />
Zambrone, e sovvenzionato dall’abate<br />
Scipione Sartiano e dal titolato Camillo<br />
Sertiano.<br />
Il monastero era ubicato all’interno<br />
<strong>della</strong> città, con annessa chiesa sotto il<br />
titolo di S. Francesco di Paola. Inizialmente<br />
i frati occuparono alcune<br />
casette, poi inglobate nel costruendo<br />
monastero, da utilizzare per dormitorio.<br />
Nel progetto era previsto anche<br />
un reparto da destinare a clausura.<br />
Nella relazione inviata a Roma, nel<br />
1650 risultavano presenti: Correttore<br />
p. Giacinto Calastra di Mayda,<br />
p. Giacinto Filippine di Siderno,<br />
p. Gio: Lombardo d’Oppido,<br />
tutti sacerdoti; inoltre<br />
fra’ Carlo Rijtano d’Oppido<br />
chierico, fra’ Antonino Ieraci<br />
oblato, fra’ Gregorio Iermanò<br />
di Sinopoli terziario.<br />
I monaci possedevano diverse<br />
proprietà che consentivano loro<br />
una vita agevole. Tuttavia il<br />
convento era gravato di censi<br />
passivi che venivano soddisfatti<br />
puntualmente, grazie alle cospicue<br />
entrate, di libere donazioni.<br />
Il venerabile convento crollò<br />
per i sommovimenti tellurici del<br />
5 febbraio 1783, ma successivamente,<br />
per l’esattezza nel<br />
1799 fu ricostruito nella nuova<br />
città. Comunque, in ottemperanza<br />
alla legge francese del 7<br />
agosto 1809, fu alla pari degli<br />
altri conventi soppresso inesorabilmente.<br />
S. GIORGIO MORGETO -<br />
Beneficio sotto il titolo di San<br />
Francesco di Paola eretto<br />
nell’altare del medesimo titolo,<br />
eretto nell’altare del medesimo titolo<br />
dentro la chiesa arcipretale un San<br />
Giorgio, fondato con istromento del 4<br />
aprile 1715 da Isabella Fazari, Domenico<br />
e Giacomo Bultorni suoi figli, col<br />
peso di una messa il mese, con la riserba<br />
de patronato, e con la dotazione<br />
di un giardino di olive senza specificarsi<br />
il suo valore o la rendita 12 .<br />
Cappellania sotto il titolo di San<br />
Francesco di Paola eretta nell’altare<br />
del medesimo titolo dentro la chiesa<br />
collegiale dio San Giorgio, fondata<br />
con istrumento del 7 febbraio 1757 da<br />
Stefano Sorbara quondam Domenico,<br />
col peso di annue messe dodici, e con<br />
Gennaio 2010 Pagina 29
la riserba del padronato e con la sua<br />
dotazione 13 .<br />
SEMINARA - L’antica e nobile città<br />
di Seminara, ha avuto in passato un<br />
monastero dei Minimi intitolato alla<br />
SS.ma Annunciazione, fondato nel<br />
1622 per iniziativa di Matteo Regio,<br />
uomo integerrimo e di santa vita. Il<br />
monastero ebbe tre siti diversi, dovuti<br />
principalmente a motivi di sicurezza<br />
prima e <strong>della</strong> insalubrità dell’aria poi.<br />
Finalmente la terza ubicazione e edificazione<br />
fu voluta da p. Domenico di<br />
Galatro che per migliore comodità dei<br />
frati, procurò cospicue entrate finalizzate<br />
alla nuova fabbrica. Molti furono<br />
i benefattori che con le loro oblazioni<br />
resero possibile la realizzazione di<br />
quel progetto, dal quale i cittadini ne<br />
ricavavano benefici spirituali grazie a<br />
quella presenza monastica.<br />
Nella relazione inviata alla curia romana<br />
in data 9 febbraio 1650, viene<br />
asserito che il “convento dell’ordine<br />
dei Minimi di S.to Francisco di Paula<br />
fu fondato nell’anno 1621, a primo<br />
d’Agosto”, con l’assenso del vescovo<br />
di Mileto mons. Virgilio Cappone.<br />
Aveva poche stanze, sicché i monaci<br />
oltre al disagio del poco spazio, venivano<br />
disturbati dai banditi che imperversavano<br />
nelle campagne vicine. Con<br />
decreto apostolico del 9 maggio 1622,<br />
Papa Gregorio XV, fu trasferito<br />
all’interno <strong>della</strong> città. La famiglia religiosa<br />
era composta da p. Domenico<br />
Spanò di Melicucco, p. Francesco<br />
Pannace di Briatico, p. fra Gio: Batta<br />
Spanò di Melicucco e il p. fra’ Francesco<br />
Mandaglia di Caridà. I laici<br />
erano fra’ Francesco Piromalli di Gerace,<br />
fra’ Paulo Chizziniti di Maropati,<br />
e fra’ Honofrio Romano di Nao 14 .<br />
POLISTENA - Un convento risulta<br />
fondato a Polistena nel 1701 per interessamento<br />
dei nobili Gio. Domenico<br />
Milano e la moglie d. Ludovica<br />
Gioeni, marchesi di S. Giorgio e Polistena,<br />
su richiesta di fra’ Michele da<br />
Polistena 15 . Ai predetti coniugi il Capitolo<br />
del 1728 attribuì il titolo<br />
“dummodo incoeptum coenobium<br />
perficiant ac necessariis redditibus<br />
augeant” 16 . Per volontà popolare, la<br />
comunità polistenese il 7 settembre<br />
1704, proclamò S. Francesco compatrono<br />
<strong>della</strong> città 17 . Nel 1732 risultano<br />
presenti il Correttore fra Antonino<br />
Vetere di Sambiase e i sacerdoti Domenico<br />
Militano di Bellantone e Marco<br />
Mancuso di Coccorino. Attigua al<br />
L’Alba <strong>della</strong> <strong>Piana</strong><br />
La chiesa di Polistena<br />
convento fu edificata una chiesa dedicata<br />
al Santo Paolano, mentre sul<br />
piazzale antistante, sopra una basamento<br />
con tre gradini, fu innalzata<br />
una colonna con sopra una croce in<br />
ferro. A lato del basamento è riportata<br />
incisa la scritta: “Charitas 1739 –<br />
EANT VET SUO AERE EF”.<br />
ROSARNO - Il convento di Rosarno<br />
intestato a S. Francesco di Paola, risulta<br />
fondato nel 1650 18 ad opera di p.<br />
Giacinto da Ionadi, religioso di “vita<br />
ac moribus integerrimo”, sovvenzionato<br />
dai coniugi Francesco Montoro e<br />
Isabella Lascala. Questo cenobio nel<br />
capitolo generale di Lione nel 1758,<br />
fu declassato a vicariato. Nel successivo<br />
capitolo di Firenze tornò ad essere<br />
elevato a convento correttoriale 19 .<br />
Nella chiesa parrocchiale, è tuttora<br />
presente una statua lignea del nostro<br />
santo.<br />
Beneficio sotto il titolo di san Francesco<br />
di Paola, eretto nell’altare del<br />
medesimo titolo dentro la chiesa parrocchiale<br />
in Rosarno, fondata con<br />
istromento del 11 febbraio 1651 per<br />
atti di notar apostolico di Domenico<br />
Longo di detto luogo, col peso di una<br />
messala settimana, colla riserba de<br />
Padronato, e con la dotazione di un<br />
fondo sito in territorio di Terranova<br />
limite il fondo di Antonio Ammiraglia<br />
dell’annua rendita di ducati dieci, con<br />
la sua erezione del 19 luglio 1691 20 .<br />
PALMI - A Palmi, dopo il terremoto<br />
del 28 dicembre 1908 unitamente alle<br />
baracche per il ricovero dei senza tetto,<br />
venne edificata una chiesetta dedicata<br />
a S. Francesco di Paola. Negli<br />
anni trenta del passato secolo, in attuazione<br />
di un ampio piano di rico-<br />
struzione delle chiese nella diocesi<br />
(allora Mileto), “in vicinanza delle<br />
case popolari ove già esisteva una<br />
chiesa baracca, dedicata a S. Francesco<br />
di Paola con annesso Asilo Infantile,<br />
su terreno espropriato alla ditta<br />
Aiossa” 21 , la chiesuola venne demolita<br />
per costruire nello stesso sito la<br />
chiesa parrocchiale <strong>della</strong> Madonna<br />
del Rosario. Nella stessa chiesa fu eretto<br />
un altare ove fu situata l’antica<br />
statua del santo Paolano. Analogo altare<br />
fu eretto nella chiesa del Soccorso<br />
ove si venera un dipinto del Patriarca<br />
dei Minimi, opera del pittore Paris<br />
Nogari 22 .<br />
Nella chiesa parrocchiale S. Nicolò,<br />
sede <strong>della</strong> Collegiata, in occasione<br />
<strong>della</strong> santa visita pastorale effettuata<br />
il 29 settembre 1775, vi era un altare<br />
dedicato a S, Francesco di Paola con<br />
i seguenti pesi:1) una messa cantata<br />
nel giorno di detto santo, per l’anima<br />
del fu d. Giovanni di Aquino. Obbligo<br />
da adempirsi dai suoi eredi; 2) una<br />
messa la settimana per il legato lasciato<br />
da Stefano Morabito, obbligo<br />
d’adempiersi dai suoi eredi; 3) messe<br />
due la settimana, lasciato dal quondam<br />
Domenico Bagalà, con l’obbligo<br />
d’adempiersi dal rev. d. Filippo Bagalà;<br />
4)una messa la settimana lasciata<br />
dal quondam d. Giuseppe Speranza<br />
come dal testamento rogato per gli atti<br />
di notar Saverio Monaco. Ha la cura<br />
di celebrare il rev. Canonico d. Saverio<br />
Napoli di Placido 23 .<br />
Beneficio sotto il titolo di San Francesco<br />
di Paola eretto dentro la chiesa<br />
parrocchiale di Palmi. L’atto di fondazione<br />
risale al 1640 24 .<br />
Beneficio sotto il titolo di San Francesco<br />
di Paola eretto dentro la chiesa<br />
parrocchiale in Palmi. Oltre il decreto<br />
d’erezione esiste una fede dell’atto<br />
<strong>della</strong> fondazione, risalente al 1689 25 .<br />
Beneficio sotto il titolo di San Francesco<br />
di Paola eretto all’altare del medesimo<br />
titolo dentro la chiesa parrocchiale<br />
di Palmi, fondato come si pretende<br />
nel 1692 con atto pubblico del<br />
quondam Vito Morabito di Palmi, col<br />
peso di una messa la settimana, con la<br />
riserva del Padronato e con la dotazione<br />
di alcuni fondi siti in detto territorio,<br />
e propriamente di un giardino<br />
confinante con i beni di Giuseppantonio<br />
Papio e di un uliveto in contrada<br />
nomata Santa Maria delli coratoli,<br />
confinante con ibeni di Leonardo Saffioti<br />
e con tre vigne; lo stesso benefi-<br />
Gennaio 2010 Pagina 30
cio, inoltre, è accresciuto di un censo<br />
di ducati tre 26 .<br />
Beneficio sotto il titolo di San Francesco<br />
di Paola eretto nell’altare del medesimo<br />
titolo dentro la chiesa parrocchiale<br />
di Palmi, fondato con istromento<br />
degli 11 agosto 1697 da Giovanni<br />
do Aquino di detto luogo, colla riserba<br />
del patronato, senza alcun peso di<br />
messe, e colla dotazione di ducati annui<br />
quattro in tanti censi dovuti dai<br />
vari particolari del luogo di detta fondazione<br />
ed erezione 27 .<br />
Peso di una messa la settimana<br />
nell’altare di San Francesco di Paola<br />
eretto dentro la chiesa parrocchiale in<br />
Palmi, fondato con atto notarile del<br />
11 agosto 1689 da Marco Morabito di<br />
Seminara con la riserva <strong>della</strong> nomina<br />
del cappellano e con l’assegnazione<br />
di un fondo nomato lo Piano, sito in<br />
detto territorio confinante con i beni<br />
di Antonino Morabito, avente l’annua<br />
rendita di ducati ventitrè, eretto a titolo<br />
di cappellania vitalizia con decreto<br />
del 29 dicembre 1736, in persona del<br />
chierico Francesco Morabito 28 .<br />
Peso di una messa il mese nell’altare<br />
di San Francesco di Paola, eretto<br />
dentro la chiesa parrocchiale denominata<br />
S. Maria del Soccorso in Palmi,<br />
fondato con atto notarile del 8 aprile<br />
1734 da Patron Angiolo Giovannino<br />
quondam Leonardo di detta<br />
città, con la riserva <strong>della</strong> nomina del<br />
cappellano e con l’assegnazione di un<br />
fondo detto Cozza, sito in detto territorio<br />
limite i beni di Antonio Sinopoli,<br />
dell’annua rendita di ducati dodici,<br />
eretto a titolo di cappellania vitalizia<br />
con decreto del 17 agosto 1734, in favore<br />
del chierico Francesco Giannino<br />
di detto luogo 29 .<br />
Legato di 10 messe l’anno nell’altare<br />
di San Francesco di Paola eretto dentro<br />
la chiesa parrocchiale in Palmi,<br />
lasciato nel 1689, conforme si asserisce<br />
dal quondam Placido Grillà, con<br />
l’assegnazione di una casa sita in detta<br />
città dell’annua rendita di ducati<br />
otto, eretto con decreto del 26 maggio<br />
1726 a titolo di cappellania in persona<br />
del chierico Francesco Caristo di<br />
Palmi 30 .<br />
GIOIA TAURO - A Gioia Tauro, la<br />
città portuale <strong>della</strong> piana omonima,<br />
avendo il vescovo di Mileto, mons.<br />
Vincenzo De Chiara, istituito in data<br />
1° settembre 1968, una nuova parrocchia,<br />
per volontà dello stesso presule,<br />
di mons. De Lorenzo parroco di<br />
Sant’Ippolito e di don Albino Cara-<br />
L’Alba <strong>della</strong> <strong>Piana</strong><br />
tozzolo primo parroco, fu intestata a<br />
S. Francesco di Paola, un santo calabrese,<br />
moderno e molto venerato 31 .<br />
Accanto alla chiesa è stata edificata<br />
una moderna struttura che ospita i locali<br />
per la catechesi ai fanciulli, gli<br />
Scout e l’Azione Cattolica per giovani<br />
ed adulti. Nella struttura, inoltre, è attiva<br />
una libreria di testi sacri e scolastici<br />
intestata a Piergiorgio Frassati.<br />
Un settore dell’edificio, per diversi<br />
anni ha ospitato l’Istituto di Scienze<br />
Religiose “Giovanni XXIII”, poi trasferito<br />
in uno stabile <strong>della</strong> Curia diocesana.<br />
Una forma devozionale rimasta<br />
viva nel popolo sino a pochi anni<br />
addietro, consisteva nel portare nel<br />
piccolo tempio laureanese tredici<br />
“virginedhi” per pregare. Sicchè<br />
nella ricorrenza <strong>della</strong> festa del Patrono<br />
accorrevano piccoli drappelli<br />
dei paesi vicini, Candidoni, Plaesano,<br />
Feroleto e in special modo<br />
da Bellantone, il cui parroco d.<br />
Giuseppe Blasi aveva scritto un<br />
canto dialettale adatto per i fanciulli:<br />
Jamu, jamu a S. Franciscu<br />
Lu grà ssantu Calarvisi,<br />
Chi portau pe stì paisi<br />
La so grandi carità.<br />
Jamu, jamu nui figghioli,<br />
Ca nd’aspetta, ca ndi voli,<br />
Jamu tutti li figghioli<br />
Ca ndi fa la carità.<br />
Jamu, jamu a S. Franciscu,<br />
Lu grà santu Paulanu,<br />
Chia di supra a Mantuvanu<br />
Pe nui prega, pe nui sta.<br />
Jamu, jamu nui figghioli,<br />
Ca nd’aspetta, ca ndi voli,<br />
Jamu tutti li figghioli,<br />
Ca ndi fa la carità.<br />
Ndinocchiati a lu so’ artaru,<br />
Lu pregami cu gra’ ffidi,<br />
Ebidimu si nd’arridi<br />
Chidha facci d’abbondà.<br />
Jamu, jamu nui figghioli,<br />
Ca nd’aspetta, ca ndi voli,<br />
Jamu tutti li figghioli,<br />
Ca ndi fa la carità.<br />
A’ mu trova nu riparu,<br />
Ca Ddeu tuttu nci concedi,<br />
Ca si nno iamu addipedi<br />
E ndi stamu sempi dha.<br />
Jamu, jamu nui figghioli,<br />
Ca nd’aspetta, ca ndi voli,<br />
Jamu tutti i figghioli,<br />
Ca ndi fa la carità.<br />
No po’ diri mu sbijamu<br />
Ca su’ grandi li peccati,<br />
Mo cu nui sdirregiunati<br />
A’ mu vidi chi a’ mu fa.<br />
Jamu, iamu nui figghioli,<br />
Ca nd’aspetta, ca ndi voli,<br />
Jamu tutti li figghioli,<br />
Ca ndi fa la carità.<br />
Iju passa e nui cantamu,<br />
Ca meraculi a’ di fari:<br />
No li caccia a li contrari<br />
Ca lu poti la pietà.<br />
Jamu, jamu nui figghioli,<br />
Ca nd’aspetta, ca ndi voli,<br />
Jamu tutti li figghioli<br />
Ca ndi fa la carità.<br />
A conclusione del breve pellegrinaggio<br />
gli organizzatori, che<br />
prevalentemente erano pie donne,<br />
offrivano ai piccoli partecipanti,<br />
frutta secca e dolciumi vari: caramelle,<br />
confetti, nacatole e qualche<br />
soldo. A Candidoni, questa religiosa<br />
usanza fu promossa per molti<br />
anni da Rosaria Tartaria e Immacolata<br />
Sibio, particolarmente<br />
devote del santo <strong>della</strong> Carità.<br />
Sintesi e conclusione<br />
Il culto a San Francesco di Paola<br />
ha radici remote, ed è tuttora diffuso<br />
in tutti gli abitati <strong>della</strong> diocesi<br />
di Oppido Mamertina – Palmi,<br />
concretamente testimoniato dalla<br />
presenza nelle chiese di altari votivi,<br />
cappellanie, monti di messe, statue<br />
e quadri. A Messignadi 32 nel<br />
1628 venne fondata una Confraternita<br />
di S. Francesco di Paola. Analoghi<br />
sodalizi risultano a Castelmonardo,<br />
Catona, Pizzoni e Reggio<br />
Calabria, risalente al 1589.<br />
A Castellace, frazione di Oppido<br />
Mamertina, di recente è stata edificata<br />
una chiesetta con il titolo del<br />
fondatore dei Minimi.<br />
A Cinquefrondi all’inizio del ‘700<br />
era stata edificata una chiesa inte-<br />
Gennaio 2010 Pagina 31
stata al santo di Paola. Analoga<br />
chiesa esisteva a Casalnuovo,<br />
l’odierna Cittanova. Danneggiata<br />
dal terremoto del 5 febbraio 1783,<br />
fu ricostruita nel 1865 e rintitolata<br />
a S. Giuseppe Patriarca.<br />
A Galatro esisteva una cappellania<br />
fondata da don Diego Longo il 1°<br />
dicembre 1749, con l’assegnazione<br />
di un fondo, forse lo stesso ove una<br />
tradizione orale sostiene come luogo<br />
ove San Francesco avrebbe operato<br />
il miracolo del pane. Nella filiale<br />
chiesa del Carmine è tuttora<br />
custodita e venerata una pregevole<br />
statua lignea del santo.<br />
A Laureana di Borrello la signora<br />
Carlotta <strong>della</strong> Rosa, il 20 agosto<br />
1831, istituì nella chiesa arcipretale<br />
una cappellania gentilizia sotto<br />
il titolo di san Francesco di Paola.<br />
Un legato a titolo di cappellania<br />
vitalizia per la celebrazione di una<br />
messa all’altare <strong>della</strong> chiesa di S.<br />
Francesco di Paola di Laureana di<br />
Borrello, fu istituito da d. Francesco<br />
Macedonio, e assegnato al<br />
chierico d. Leonardo Ferrandello<br />
di Cinquefrondi.<br />
Un beneficio intestato a S. Francesco<br />
di Paola risulta a Lubrìchi<br />
nella prima metà del ‘700 33 .<br />
L’Alba <strong>della</strong> <strong>Piana</strong><br />
A San Giorgio Morgeto<br />
dal 1694 era stata<br />
istituita una cappella<br />
dedicata al Santo del<br />
sole <strong>della</strong> Carità. Vi<br />
erano inoltre nella parrocchia<br />
altre cappellanie<br />
ormai estinte.<br />
A Giffone, già dalla<br />
sua fondazione, è stato<br />
dedicato un altare al<br />
Patriarca paolano.<br />
Altre statue del Santo,<br />
sono disseminate un<br />
po’ ovunque. Sono note<br />
quella di Candidoni,<br />
Serrata, Rosarno, San<br />
Pietro di Caridà,<br />
Palmi. A Melicucco è<br />
presente un’edicola<br />
fuori l’abitato.<br />
Una mulattiera che<br />
collega il piano di Borrello<br />
al fondovalle<br />
Mottola e quindi alla<br />
intercomunale Candidoni-San Giovanni-Talania,<br />
un tempo molto frequentata,<br />
ma allo stato attuale in<br />
completo abbandono, a testimonianza<br />
del passaggio del Patriarca,<br />
ancora adesso viene denominata “A<br />
calata i San Franciscu”.<br />
Ogni centro abitato, nel corso dei<br />
secoli, ha dato religiosi all’Ordine<br />
dei Minimi. Si riportano qui di seguito<br />
i padri Correttori Provinciali<br />
di Calabria Ultra, originari del territorio<br />
<strong>della</strong> <strong>Piana</strong> di Goia Tauro 34 :<br />
1602: p. Francesco Longo di Sinopoli<br />
/ 1662: p. Teodoro da Caridà<br />
/ 1665: p. Domenico da Caridà<br />
/ 1668: p. Pietro da Borrello /<br />
1671: p. Domenico da Caridà la 2^<br />
volta / 1674: p. Francesco da Caridà<br />
/ 1677: p. Domenico da Caridà<br />
la 3^ volta / 1699: p. Michele da<br />
Caridà / 1720: p. Francesco da Caridà<br />
/ 1732: p. Gregorio da Caridà.<br />
I religiosi francescani minimi, ovunque<br />
hanno operato, hanno portato<br />
il carisma del loro fondatore,<br />
mediante una nuova evangelizzazione,<br />
fondata sull’amore di Gesù<br />
Cristo unico salvatore. Nei loro<br />
conventi affluivano i fedeli che<br />
nutriti con la parola di Dio e forti-<br />
ficati dal sacramento <strong>della</strong> riconciliazione<br />
e dell’eucaristia hanno ritrovato<br />
il sole <strong>della</strong> Charitas, la più<br />
grande delle virtù.<br />
Gennaio 2010 Pagina 32<br />
Note:<br />
1 ASV, S.C. Stat. Reg. Relations 33, ff, 490-<br />
490v.<br />
2 ASDM, Borrello, Monasteri, cartella n. 78.<br />
3 ASV, S.C. Stat.Reg. Relationes 33, ff. 490-<br />
490v.<br />
4 P. G. M. ROBERTI,, Disegno storico<br />
dell’Ordine de’ Minimi (1507-1907), pp.162-<br />
163.<br />
5 ASDM, I.C.5. p. 86r<br />
6 Biblioteca Nazionale di Napoli, Ms. XIV D.4.<br />
7 G. QUARANTA, Il Nuovo Stemma del Comune<br />
di Anoia, Poligrafiche Varamo, Polistena (RC)<br />
p.20.<br />
8 ASDM, I.C.5, p. 147P.<br />
9 ASDM, I.C.5. p. 87P bis.<br />
10 ASDM, Sante Visite vol. 12, p.731.<br />
11 ASDM, I.C.4., p. 59E.<br />
12 ASDM, I.C.4., p. 60E.<br />
13 ASDM, I.C.4., 61Er<br />
14 ASV, Relationes , ff. 474-474v.<br />
15 G. RUSSO, Polistena, Il Convento e la Chiesa<br />
di S. Francesco di Paola, Centro Studi Polistenesi,<br />
1997, p.5<br />
16 P. G. M. ROBERTI, Disegno Storico<br />
dell’Ordine dei Minimi, Roma, Tipografia Romana,<br />
1922 vol. III, p. 169.<br />
17 R. BENVENUTO, I Patronati di S. Francesco.<br />
Estr. da “Atti del II Convegno Internazionale di<br />
studio”, Paola, 7-9 dicembre 1990, Roma, Curia<br />
Generalizia dell’Ordine dei Minimi, 1992,<br />
pp.785-787; 790-791; 832-835.<br />
18 P. G. M. ROBERTI,, Disegno Storico<br />
dell’Ordine dei Minimi, Roma, Tipografia Romana,<br />
1922 vol. III p. 159.<br />
19 P. G. M. ROBERTI,, Disegno Storico<br />
dell’Ordine dei Minimi, Roma, Tipografia Romana,<br />
1922, vol. III pp. 168-169.<br />
20 ASDM, Benefici, p. 94P.<br />
21 ASDM, Palmi, Piano ricostruzione, cart. 64.<br />
22 D. FERRARO, La devozione di Palmi al patrono<br />
<strong>della</strong> Calabria, in Calabria Letteraria, anno<br />
LV n. 1-2-3, pp.112-113.<br />
23 ASDM, Sante visite, vol. 12, p. 628.<br />
24 ASDM, Benefici, p.147P.<br />
25 ASDM, I.C.5. 147Pr.<br />
26 ASDM, Benefici, p. 107P<br />
27 ASDM, I.C.5., p. 105Pr<br />
28 ASDM, I.C.5, p. 110P<br />
29 ASDM, I.C.5., pp. 109Pr-110P.<br />
30 ASDM, I.C.5., 111Pr.<br />
31 L. PRONESTÌ – SEMINARA, Parrocchia di San<br />
Francesco di Paola in Gioia Tauro, Castrovillari<br />
(Cs), 1994, p. 9.<br />
32 R. LIBERTI, Le Confraternite nella <strong>Piana</strong> di<br />
Gioia (Diocesi di Oppido-Palmi) in Le Confraternite<br />
Religiose in Calabria e nel mezzogiorno,<br />
Mapograf, Vibo Valentia 2002 Vol. I, pp. 249-<br />
250.<br />
33 R. LIBERTI, Le Confraternite nella <strong>Piana</strong> di<br />
Gioia ecc. p. 634.<br />
34 G. FIORE (P), Della Calabria Illustrata, Napoli<br />
1691.
F<br />
L’Alba <strong>della</strong> <strong>Piana</strong><br />
LO SCULTORE ROCCO MILANESE<br />
E I SUOI RAPPORTI CON TERRANOVA<br />
ino ad ora non sono stati sufficientemente<br />
evidenziati i<br />
rapporti dello scultore Rocco Milanese<br />
con Terranova. È vero,<br />
però, che in un volumetto, edito<br />
nel 1960, l’autore dello<br />
stesso, Raffaele Germanò<br />
(1901-1980), inseri-sce lo<br />
scultore “fra gli uomini che<br />
hanno illustrato questa città”<br />
senza altro specificare sotto il<br />
profilo delle informazioni, per<br />
cui la breve nota può sembrare<br />
una affermazione assolutamente<br />
priva di fondamento, non ripresa<br />
da alcuno proprio per la<br />
sua aleatorietà 1 . Eppure Milanese,<br />
per i dati incontrovertibili<br />
che emergeranno nel prosieguo<br />
di questo articolo, ha degli agganci<br />
solidi, di carattere parentale,<br />
con Terranova.<br />
Evidentemente Germanò,<br />
per quanto scritto, avrà fatto<br />
riferimento a qualche racconto<br />
<strong>della</strong> trasmissione orale, magari<br />
ascoltato in famiglia, o<br />
fatto tesoro di qualche ricordo<br />
adolescenziale (era dodicenne<br />
all’epoca di una visita di Milanese<br />
a Terranova), senza<br />
prendersi cura, tuttavia, di esperire<br />
altre indagini per offrire<br />
sostegni comprovanti la<br />
propria asserzione.<br />
Innanzitutto, prima di chiarire<br />
e di esaminare i dati biografici<br />
(fondamentali, come si vedrà, per<br />
“collegare” Milanese a Terranova),<br />
mi pare opportuno illustrare brevemente<br />
il personaggio, evidenziando<br />
come Rocco Milanese sia<br />
uno scultore, di formazione napoletana,<br />
vissuto a cavallo tra Ottocento<br />
e Novecento, abbastanza quotato in<br />
Italia e all’estero, tanto è vero che<br />
viene citato in qualche dizionario<br />
Agostino Formica<br />
specifico di artisti calabresi del periodo<br />
2 .<br />
Numerosissime sono state le<br />
sue partecipazioni a importanti<br />
collettive in diverse città italiane<br />
(Napoli, Torino, Venezia, Bologna,<br />
Roma, Milano) e straniere<br />
(Londra) con successo di pubblico<br />
e di critica (è stato molto apprezzato,<br />
fra l’altro, dal raffinato oratore<br />
e collezionista Achille Limoncelli<br />
e da Luca Postiglione).<br />
Le sue opere (in seguito inserite<br />
anche in retrospettive d’epoca)<br />
fanno parte oggi di collezioni<br />
pubbliche e private (due busti di<br />
notevoli dimensioni sono collocati<br />
nel cimitero di Vicenza).<br />
Tra le più significative basterà<br />
citare: Pescatore (bronzo);<br />
Testina (bronzo); Primo<br />
dono, bronzetto; Danzatrice;<br />
Testa di frate; La zingara; Ritratto<br />
di Signora; Contadino<br />
che ritorna dalla campagna;<br />
Sogno di una Venere, Monaco,<br />
Busto di Domenico Cirillo,<br />
(bronzo, Museo Nazionale di<br />
San Martino, Napoli) e tante<br />
altre ancora.<br />
Il suo mo<strong>della</strong>to (e gli<br />
stessi spunti compositivi)<br />
possono paragonarsi alla<br />
grande tradizione partenopea<br />
che ha in Vincenzo Gemito<br />
uno dei punti di riferimento,<br />
se non un indiscusso caposcuola.<br />
Milanese è stato allievo,<br />
nei suoi anni giovanili, del<br />
Regio Istituto di Belle Arti di<br />
Napoli (ecco perché è stata<br />
sottolineata la formazione<br />
napoletana), quindi ha lavorato<br />
in botteghe di altri scultori,<br />
perfezionandosi, infine, sulla<br />
figura umana con la frequenza<br />
<strong>della</strong> scuola di anatomia di<br />
Roma. Comunque Napoli rimane<br />
un punto focale <strong>della</strong><br />
vita, non soltanto artistica, di<br />
Milanese.<br />
Lo scultore calabro (per la verità<br />
il cognome registrato<br />
all’anagrafe è Milanesi e quello di<br />
Melanese compare nell’atto di<br />
matrimonio dei genitori) è nato a<br />
Melicuccà il 12 novembre 1852<br />
(viene dichiarato due giorni dopo)<br />
da padre melicucchese, Vincenzo<br />
(di diciassette anni) e da madre di<br />
Terranova, Serafina Rosa Scoleri<br />
(di venti anni), di professione fila-<br />
Gennaio 2010 Pagina 33
trice (ecco i rapporti con Terranova),<br />
figlia di Giuseppe Antonio<br />
e di Antonia Bongiorno 3 .<br />
Inoltre il matrimonio tra i coniugi<br />
Milanese è celebrato a Terranova<br />
il 25 gennaio 1852 dal<br />
Rev.do Sac. D. Carmelo Penura<br />
di Melicucca (scritto Melicocha)<br />
nella Chiesa dell’Assunta. Testimoni:<br />
D. Giuseppe D’Agostino e<br />
D. Giuseppe Calogero di Melicuccà.<br />
L’atto di matrimonio è<br />
firmato dal can. Vincenzo Cento 4 .<br />
Milanese ha fatto ritorno a<br />
Terranova nella tarda maturità,<br />
nel 1913 (almeno di questa data<br />
ufficiale si è in possesso, ma non<br />
è escluso che sia venuto precedentemente<br />
nella cittadina di<br />
origine <strong>della</strong> propria mamma)<br />
quando, per incarico dell’amministrazione<br />
comunale dell’epoca,<br />
ha redatto una “relazione<br />
peritale” sulla Madonna<br />
<strong>della</strong> Neve, allora - come oggi<br />
- collocata nella navata destra<br />
<strong>della</strong> Chiesa dell’Assunta (o<br />
forse gli amministratori, rivedendolo<br />
in Terranova, lo hanno<br />
sollecitato nel senso di approntare<br />
una perizia: solo questa,<br />
tuttavia, è congettura). Nulla si<br />
sa, infine, dell’anno e del luogo<br />
di morte dello scultore né<br />
dell’eventuale matrimonio o di<br />
discendenti.<br />
Ovviamente la relazione olografa<br />
di Milanese (che accanto<br />
alla firma in calce inserisce<br />
“Regio Istituto delle Arti”) con la<br />
sua attribuzione <strong>della</strong> splendida<br />
statua terranovese a Donatello è<br />
superata dagli studi recenti di<br />
Francesco Caglioti 5 , comunque<br />
rivela nel contesto un non sopito<br />
amore per la propria terra di origine<br />
quando si pronuncia per il riconoscimento,<br />
alla Chiesa terranovese<br />
dell’Assunta, del rango di<br />
“Monumento nazionale”.<br />
Riproponiamo di seguito, esclusivamente<br />
come contributo<br />
documentario, la trascrizione <strong>della</strong><br />
sua relazione 6 :<br />
L’Alba <strong>della</strong> <strong>Piana</strong><br />
Relazione del prof. Rocco Milanese<br />
Bassorilievo di marmo esistente<br />
nella Chiesa Parrocchiale di<br />
Terranova Sappominulio<br />
Opera di Donatello<br />
Si conosce che detto bassorilievo,<br />
rappresentante La Madonna <strong>della</strong><br />
Neve, fu rinvenuto fra i ruderi <strong>della</strong><br />
piccola Città di Terranova, distrutta<br />
col terremoto del 1783, negli scavi<br />
che s’incominciarono a praticare verso<br />
il 1785; unitamente ad altra Statua,<br />
quasi al vero, di poca importanza<br />
artistica, rappresentante la Madonna<br />
del Soccorso; ed ancora ad una statuina<br />
con la testa staccata dal busto<br />
(stile Donatelliano), rappresentante<br />
Santa Caterina, vergine e martire.<br />
Prima <strong>della</strong> catastrofe (1783),<br />
Terranova vantava ben sette monasteri<br />
e cinque conventi, con annesse<br />
relative chiese.<br />
Non si riscontra però, a precisare,<br />
a quali di questi luoghi di culto religioso<br />
appartenessero le opere d’arte<br />
su’ citate. Si sa soltanto, che il più<br />
importante fosse quello intitolato<br />
“Monastero di Santa Catarina” che<br />
secondo l’Onciario, risparmiato dal<br />
terremoto e conservato nell’Archivio<br />
comunale, aveva una rendita di ben<br />
18 mila ducati.<br />
Data l’importanza di essi conventi<br />
e la buona coltura dei frati, si arguisce<br />
che da Firenze alcuno di loro<br />
abbia potuto, per via di mare, far trasportare<br />
in Calabria l’Opera che citiamo,<br />
ch’è senza dubbio fra le più<br />
pregevoli del Donatello. Scolpita da<br />
Lui nella giovane età, e nel primo periodo<br />
felice dell’esperienza e maturità<br />
di studi dell’arte sua singolare.<br />
Ricavata dal marmo finissimo, la<br />
Madonna siede con posa molle e<br />
semplice tra due monticelli laterali,<br />
che chiudono tutta la figura.<br />
Ha nella mano sinistra adagiato il<br />
suo bambino, il quale alzando la manina<br />
destra, benedice con tanta grazia<br />
e vivacità infantile, che sembra del<br />
tutto vivo e vero! Poggiando l’altra<br />
manina sul suo ginocchio; e tutto intero,<br />
ha disegno e fattura delicatissima.<br />
Il volto umile e sereno <strong>della</strong> Madonna<br />
inclina delicatamente con divina<br />
e pura grazia. Il collo, robustissimo,<br />
arrotondito, sembra di quelli<br />
cui s’ispirava il divino Urbinate! Le<br />
pieghe del suo manto, maestralmente<br />
girate, scoprono in parte le<br />
fattezze del nudo. Il velo scende<br />
sulle spalle, lasciando scoperta la<br />
limpida rotonda fronte, coronata<br />
di lievi capelli, e gli occhi semiaperti<br />
pregano!<br />
Nel montecello a destra, da<br />
una screpolatura esce un serpentino,<br />
che s’inerpica, striscia e cammina;<br />
così bene è messo. Di tanto<br />
in tanto, in rari punti, si vedono<br />
scolpiti piccoli fiorellini di prato.<br />
Descrivere l’Opera, provarsi<br />
soltanto a farlo, riesce inefficace;<br />
è cosa molto difficile, siccome essa<br />
parla all’intelletto quando<br />
s’ammira.<br />
Poggia questa su bellissimo<br />
fregio in marmo. È da supporre,<br />
esso fregio, con altri pezzi, ancora<br />
sepelliti (sic), o non trovati; come<br />
pure la statuetta con la testa staccata<br />
dal busto, facessero parte di una intera<br />
Cappella in marmo tutta opera del<br />
nostro Donatello.<br />
Conclusione<br />
Debolmente, come ho potuto, ho<br />
descritto. Restami la certezza che la<br />
Chiesa, ove trovasi il gioiello, sarà<br />
dichiarata Monumento Nazionale<br />
<strong>della</strong> Parrocchia di Terranova Sappo<br />
Minulio.<br />
Napoli Giugno 1913<br />
R. Istituto delle Arti<br />
Rocco Milanese”.<br />
Ovviamente moltissime sono<br />
le “ingenuità” critiche che emergono<br />
nel contesto <strong>della</strong> relazione<br />
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di Milanese, sia in rapporto<br />
all’attribuzione <strong>della</strong> “Madonna<br />
<strong>della</strong> Neve” a Donatello, sia nella<br />
citazione à vol d’oiseau, ad<br />
esempio, <strong>della</strong> “statuina con la testa<br />
staccata dal busto (stile donatelliano)”,<br />
ovvero la splendida<br />
Santa Caterina d’Alessandria,<br />
opera di Benedetto da Maiano, restaurata<br />
magistralmente a Firenze<br />
dall’Opificio delle Pietre Dure e<br />
tornata a Terranova.<br />
L’attribuzione a Donatello delle<br />
due opere terranovesi rientra<br />
nella vecchia tradizione storiografica<br />
<strong>della</strong> provincia italiana - durata<br />
praticamente dal tardo Cinquecento<br />
fino al pieno Novecento<br />
(ed attiva tuttora in qualche regione,<br />
come, ad esempio, la Romagna)<br />
- per la quale ogni bella opera<br />
plastica di cui si potesse intuire<br />
l’origine quattrocentesca e toscana<br />
veniva riferita al grande patriarca<br />
fiorentino <strong>della</strong> scultura moderna,<br />
quasi che Donatello avesse avuto<br />
le braccia e la forza di Briareo atte<br />
ad affrontare anche solo il dieci<br />
per cento di tutto ciò che gli è stato<br />
attribuito nel tempo.<br />
A noi con questa nota interessa<br />
solo far luce sugli ascendenti terranovesi<br />
di Rocco Milanese e chiarire<br />
definitivamente il dato anagrafico<br />
di nascita dello scultore.<br />
L’Alba <strong>della</strong> <strong>Piana</strong><br />
NOTE:<br />
1 Santuario del “SS. Crocifisso”, Terranova Sappominulio<br />
(Reggio Calabria), Cenni storici del SS. Crocifisso,<br />
Esercizi di pietà, Stab. Tip. “Fausto Formica”,<br />
Taurianova (RC). Così viene detto a pag. 19:<br />
“Rocco Milanese, insigne scultore, delle cui opere si<br />
trovano in tutta Italia”.<br />
2 Cfr. E. Le Pera, Arte di Calabria tra Otto e Novecento:<br />
dizionario degli artisti nati nell’Ottocento,<br />
Rubbettino, Soveria Mannelli 2001, pagg. 134-135.<br />
Tuttavia anche Le Pera ha qualche dubbio sull’anno<br />
di nascita dell’artista, tanto è vero che inserisce tra<br />
parentesi, dopo il 1852, anche la data del 1857. Cfr.<br />
pure: A. Panzetta (schede di), Giovanni Bastianini,<br />
Rocco Milanese, Francesco La Monaca e Giuseppe<br />
Bergomi, in Il Ritratto interiore da Lotto a Pirandello,<br />
a cura di V. Sgarbi, catalogo <strong>della</strong> mostra di Aosta<br />
e Lodi, Skira, Milano 2005.<br />
3 Archivio Storico di Reggio Calabria, Registri di<br />
Stato civile, atti di nascita, inv. 76, b. 194.<br />
4 Archivio Parrocchiale di Terranova, Libri dei matrimoni,<br />
anno 1852. “Anno salutis millesimo octingentesimo<br />
quinquagesimo secundo die vero vigesima<br />
quinta mensis Januarii Vincentius Melanese ex terra<br />
Melicocha Seminariae Dioecesis Mileti, et D. Rosa<br />
Seraphina Scoleri hujus terrae, factis, per me, inter<br />
missarum solemnia triis denuntiationibus tribus diebus<br />
festivis continuis, scilicet die septima, die octava,<br />
et die decima quarta mensis Decembris anni 1851, et<br />
nullo impedimento allato, servatisque aliis servandis,<br />
mea licentia, conjuncti sunt in Matrimonium a<br />
Rev.do Sacerdote D. Carmelo Penura ex dicta terra<br />
Melicocha, in hac Parochiali Ecclesia sub titulo Sanctae<br />
Mariae in Coelum Assumptae, vulgo d(ict)a de<br />
Canto Civitatis Terranovae. Praesentibus testibus D.<br />
Josepho D’Agostino, D. Josepho Calogero ex d(ict)o<br />
loco Melicocha aliisque. Et inter solemnia ibidem<br />
beneditionem matrimonialem receperunt.<br />
Can(oni)cus Cento Oeconomus.<br />
5 F. Caglioti-G. Gentilini, Il quinto centenario di Benedetto<br />
da Maiano e alcuni marmi dell’artista in Calabria,<br />
in Bulletin année 1996-1997, n. 3, 1-4, Ètudes,<br />
Association des historiens de l’Art Italien, 50<br />
Rue de Varenne, Paris; F. Caglioti, La scultura del<br />
primo Rinascimento in Calabria (trascrizione da una<br />
conferenza Rotary), in Realtà Nuova, Rivista bimestrale,<br />
Istituto Rotary International, Istituto Culturale<br />
Rotariano, anno LXVII, n. 6, Milano, novembredicembre<br />
2003, pagg. 34-61; F. Caglioti, La scultura<br />
del quattrocento e dei primi decenni del cinquecento,<br />
in Storia <strong>della</strong> Calabria nel Rinascimento (a cura di<br />
S. Valtieri), Collana Meridione, Gangemi editore,<br />
Roma 2002.<br />
6 Archivio prof. Agostino Formica, Taurianova (RC).<br />
Maropati<br />
Datata la statua di<br />
S. Antonio da Padova<br />
Giovanni Mobilia<br />
La statua di Sant’Antonio da Padova,<br />
custodita nella chiesa parrocchiale<br />
di Maropati, ha finalmente una datazione<br />
precisa e un committente,<br />
grazie al rinvenimento di una lettera,<br />
conservata nell’Archivio Storico <strong>della</strong><br />
Diocesi di Mileto 1 , scritta il 1°<br />
agosto 1839 dal Sindaco Vincenzo<br />
Cordiano al Vescovo di Mileto<br />
mons. Armentano.<br />
Nella missiva il primo cittadino<br />
chiedeva al presule che ordinasse al<br />
Parroco di riportare la statua nella<br />
chiesa Madre, altrimenti Raffaele<br />
Nicoletta che, per devozione, di<br />
consueto patrocinava la festa, si sarebbe<br />
rifiutato di promuoverla.<br />
Questo il testuale documento:<br />
“Eccellenza Rev.ma,<br />
Giuseppe Seminara mio amministrato sin<br />
dal 1832 offrì alla chiesa matrice una statua<br />
di S. Antonio di Padova, che sempre fu<br />
celebrata la festa senza questuanti, ma a<br />
divozione di Raffaele Nicoletta.<br />
In quest’anno detta Statua fu trasportata<br />
nella chiesa filiale di S. Lucia, e la festa<br />
non fu celebrata a divozione di detto Nicoletta,<br />
per la ragione, che la sudetta statua<br />
fu cacciata dalla chiesa matrice, e si<br />
dovette venire alla nomina di un pio cercatore,<br />
con gravare questa popolazione<br />
ammiserita, quale festa può celebrarsi<br />
senza immiserire detta popolazione. Perciò<br />
prego l’E.V.R.ma ordinare che detta<br />
statua fusse trasportata nella chiesa matrice,<br />
e che la festa in parola si celebrasse<br />
a divozione di Raffaele Nicoletta secondo<br />
il solito.<br />
Passo ad implorare la Pastorale benedizione.<br />
Il Sindaco Vincenzo Cordiano”<br />
1 ASDM, B V II 603, Maropati, Parrocchia (1830-1849).<br />
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