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CREDENZE POPOLARI E - L'Alba della Piana

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L’ALBA DELLA PIANA<br />

A CURA<br />

DELL’ASSOCIAZIONE CULTURALE<br />

«L’ALBA»<br />

Redazione:<br />

Viale Pietro Nenni, 13<br />

89020 Maropati (RC)<br />

<br />

339‐8951719<br />

<br />

redazione@lalba<strong>della</strong>piana.it<br />

Stampato in proprio<br />

La collaborazione è per invito<br />

ed è completamente gratuita.<br />

Manoscritti, fotografie, disegni anche se non<br />

pubblicati non vengono restituiti.<br />

I lavori pubblicati riflettono<br />

il pensiero dei singoli autori<br />

i quali ne assumono la responsabilità<br />

di fronte alla legge.<br />

www.lalba<strong>della</strong>piana.it<br />

GENNAIO 2010<br />

2<br />

3<br />

7<br />

9<br />

13<br />

16<br />

17<br />

21<br />

23<br />

27<br />

33<br />

35<br />

SOMMARIO<br />

PUBBLICATI I DIARI DI FORTUNATO<br />

SEMINARA<br />

di Umberto di Stilo<br />

I CROCIFISSI DI PALMI E TERRANOVA SAPPO<br />

MINULIO<br />

di Antonio Tripodi<br />

NOTAI ED ASSASSINI NELLA CALABRIA DEL<br />

1790<br />

di Giovanni Quaranta<br />

NEL 1856 FRANCESCO MORANI ACQUISTÒ<br />

LA CASA DI VIA DOMENICANI<br />

di Giovanni Russo<br />

CRONACHE DELLA GUERRA TRA ANGIOINI<br />

ED ARAGONESI IN CALABRIA NEGLI ANNI<br />

DAL 1462 AL 1464<br />

di Roberto Avati<br />

NATALE A PESCÀNO (1935-1940)<br />

di Domenico Cavallari<br />

UNA SCORRIBANDA TRA ‘600 E ‘700 NELLA<br />

STORIA DI VARAPODIO<br />

di Rocco Liberti<br />

<strong>CREDENZE</strong> <strong>POPOLARI</strong> E «MODI DI DIRE»<br />

CALABRESI<br />

di Antonio Violi<br />

ALCUNE EVIDENTI INCONGRUENZE<br />

PSEUDO-STORICHE SULLA VITA DI SAN<br />

NICODEMO DI MAMMOLA<br />

di Giovanni Mobilia<br />

CONVENTI E CHIESE DEI MINIMI NEL<br />

CORSO DEI SECOLI<br />

di Ferdinando Mamone<br />

LO SCULTORE ROCCO MILANESE E I SUOI<br />

RAPPORTI CON TERRANOVA<br />

di Agostino Formica<br />

MAROPATI: DATATA LA STATUA DI<br />

S. ANTONIO DA PADOVA<br />

di Giovanni Mobilia


L’Alba <strong>della</strong> <strong>Piana</strong><br />

PUBBLICATI I DIARI DI FORTUNATO SEMINARA<br />

C<br />

ome alcuni protagonisti dei<br />

suoi romanzi (Laura de Il diario<br />

di Laura, Ortensia delle Donne<br />

di Napoli, Fausto di Disgrazia in<br />

casa Amato, ecc.) anche Fortunato<br />

Seminara, lo scrittore calabrese<br />

che con le sue opere diede vita al<br />

neorealismo letterario italiano, per<br />

anni ha avuto la costanza di affidare<br />

alle pagine di un diario idee,<br />

sensazioni, pensieri e riflessioni<br />

che avevano origine da avvenimenti<br />

e situazioni particolari, dall’attenta<br />

osservazione <strong>della</strong> società<br />

nella quale viveva e dalle persone<br />

che incontrava casualmente o che<br />

era solito frequentare. Lo stesso<br />

Seminara, in una pagina dei suoi<br />

diari scrive: “sono avido di conoscenza,<br />

ho bisogno di osservare tutto<br />

ciò che mi circonda (persone e<br />

cose) di penetrare i segreti <strong>della</strong> vita<br />

altrui, vedere sempre cose nuove<br />

e saziare la mia curiosità”. Adesso<br />

quelle intime riflessioni, quelle<br />

considerazioni, quei turbamenti<br />

dell’animo che lo scrittore affidava<br />

alle pagine dei suoi quaderni-diari<br />

(dieci quaderni di scuola che si<br />

conservano alla “Fondazione Seminara”<br />

di Maropati) sono stati pazientemente<br />

trascritti da Erik Pesenti<br />

Rossi, professore ordinario di<br />

letteratura italiana presso l’università<br />

di Alta Alsazia (Mulhouse,<br />

Francia) e con prefazione di Luigi<br />

Maria Lombardi Satriani, sono stati<br />

pubblicati dall’Editore Pellegrini<br />

(Cosenza) a cui va il merito di aver<br />

già editato i romanzi inediti dello<br />

scrittore di Maropati (l’Arca, Il<br />

viaggio, La Dittatura, Terra amara)<br />

e ristampato in edizione critica<br />

i suoi grandi successi letterari (Le<br />

baracche, La fidanzata impiccata,<br />

La masseria, Il vento nell’oliveto e<br />

Disgrazia in casa Amato).<br />

I Diari di Seminara coprono un<br />

arco temporale che va dal 1939 al<br />

1976 e, come scrive Pesenti nell’introduzione<br />

al volume, “possono es-<br />

Umberto di Stilo<br />

sere considerati come dei carnets<br />

de voyage, anzi dei compagni di viaggio<br />

usati quando lo scrittore lascia<br />

Maropati”. Infatti attraverso le<br />

pagine dei diari veniamo a conoscenza<br />

<strong>della</strong> sua “grande ed irrisarcibile<br />

solitudine” ma anche dei<br />

suoi viaggi in Italia e all’estero e<br />

dei suoi abituali spostamenti in Toscana,<br />

regione delle sue prime<br />

esperienze sentimentali e culturali,<br />

luogo delle ultime passioni d’amore,<br />

terra dove vive la famiglia del<br />

figlio Oliverio e nella quale si registrano<br />

i suoi ricoveri ospedalieri.<br />

Ma sappiamo soprattutto delle sue<br />

amicizie, delle sue frequentazioni<br />

con il mondo culturale calabrese,<br />

delle sue apprensioni per la malattia<br />

<strong>della</strong> nuora, dei suoi sentimenti più<br />

intimi, del suo innamoramento<br />

“maturo” per la giovane Caterina,<br />

<strong>della</strong> stima o <strong>della</strong> disistima per<br />

scrittori e poeti suoi contemporanei.<br />

E, cosa più importante, attraverso<br />

questa pubblicazione, conosciamo<br />

il vero mondo interiore dello scrittore<br />

da tutti considerato introverso<br />

e scontroso. Seminara è consapevole<br />

dell’immagine che di lui hanno<br />

soprattutto i suoi concittadini e sotto<br />

la data del 12 gennaio 1961 annota:<br />

«agli altri sembro aspro e<br />

selvatico perché non immaginano<br />

ciò che ho dentro».<br />

Quel che aveva dentro emerge<br />

chiaramente proprio dalla pubblicazione<br />

dei suoi Diari perché<br />

dall'attenta lettura di essi si scopre<br />

il vero animo dello scrittore,<br />

tutt’altro che indifferente e sempre<br />

intento a cercare materiale vero e<br />

vissuto per i suoi romanzi. Molto<br />

probabilmente alcuni quadernidiari<br />

sono andati perduti. Altri, forse,<br />

sono stati volutamente distrutti<br />

dallo stesso Seminara. Non è possibile,<br />

infatti, che <strong>della</strong> sua vicenda<br />

politico-amministrativa vissuta a<br />

Galatro nel 1944 non abbia lasciato<br />

niente di scritto proprio lui che me-<br />

todicamente appuntava tutto e che,<br />

proprio in quegli anni, dopo il successo<br />

letterario del suo romanzo Le<br />

baracche, stava vivendo il periodo<br />

di più feconda creatività letteraria.<br />

Stranamente, però, tra gli altri,<br />

manca proprio il quaderno di<br />

quell’anno, quasi che lo stesso Seminara<br />

abbia voluto cancellare<br />

quella breve ma intensa esperienza<br />

politica <strong>della</strong> quale, qualche anno<br />

dopo, con i toni <strong>della</strong> favola, ha ricostruito<br />

la conclusione ne “La<br />

leggenda di novembre”.<br />

Qualunque possa essere stata la<br />

sorte dei diari mancanti è certo, però,<br />

che proprio grazie alle pagine di<br />

questa pubblicazione oggi i biografi<br />

oltre alla sua tematica narrativa<br />

possono meglio conoscere il vero<br />

animo di Fortunato Seminara che<br />

esterna tutta la sua rabbia contro gli<br />

autori dell’incendio <strong>della</strong> casa di<br />

Pescàno (notte di Natale 1975) ma<br />

anche del Seminara che in un momento<br />

di estrema sincerità scriveva:<br />

«la mancanza di fama e di chiasso<br />

intorno al mio nome e alla mia persona<br />

mi ha permesso di vivere<br />

tranquillo e di lavorare con assidua<br />

scrupolosità. Non sono stato traviato<br />

dai premi, né impigrito dal guadagno,<br />

né incitrullito dalle donne.<br />

Ciò che ho fatto, forse poco, posso<br />

dire di averlo fatto con impegno e<br />

meglio che potessi».<br />

Gennaio 2010 Pagina 2


L<br />

a ricorrenza giubilare dei<br />

duemila anni dalla nascita di<br />

Cristo, anche se a tutti è noto che<br />

c’è uno sfasamento di 3 ÷ 4 anni<br />

dovuto ad un errore nel computo<br />

commesso da un monaco orientale<br />

nel quinto secolo dell’era cristiana,<br />

non può non indirizzare gli<br />

spiriti alla contemplazione<br />

<strong>della</strong> conclusione <strong>della</strong> vita<br />

terrena di quel Bambino che<br />

quando venne la pienezza dei<br />

tempi apparve all’orizzonte<br />

<strong>della</strong> storia umana.<br />

La statua del Crocefisso<br />

di Terranova riporta agli inizi<br />

del ’500, epoca in cui la devozione<br />

alla ”Vittima del<br />

Gòlgota” era praticata in particolare<br />

dai francescani, i<br />

quali la propagavano quando<br />

si spostavano da un paese<br />

all’altro per le prediche quaresimali<br />

o per i panegirici<br />

nelle feste dei santi che le varie<br />

comunità celebravano.<br />

Si rileva dai verbali <strong>della</strong><br />

visita pastorale eseguita nel<br />

1586 dal vescovo di Mileto,<br />

all’epoca il napoletano Marcantonio<br />

Del Tufo, che nelle chiese<br />

parrocchiali e filiali <strong>della</strong> vasta<br />

diocesi non erano state ancora<br />

erette cappelle dedicate al Crocefisso<br />

1 . I visitatori del 1630 poterono<br />

constatare invece che nel corso<br />

di quei quarantaquattro anni d’intervallo<br />

erano state costruite alcune<br />

chiese e cappelle sotto il titolo<br />

del Crocefisso 2 .<br />

Sul finire del ’500 e per tutto il<br />

’600, e seppure con frequenza decrescente<br />

anche nei secoli seguenti<br />

fino ai nostri giorni, furono commissionati<br />

statue o gruppi statuari<br />

del Crocifisso ad artisti noti e poco<br />

noti, religiosi e laici, perché in<br />

L’Alba <strong>della</strong> <strong>Piana</strong><br />

I CROCIFISSI DI PALMI E<br />

TERRANOVA SAPPO MINULIO<br />

Antonio Tripodi<br />

ogni chiesa non mancasse il riferimento<br />

concreto e visibile del sacrificio<br />

cruento col quale l’Uomo -<br />

Dio riconciliò l’umanità con la divinità.<br />

Si pensi al Crocifisso di Cutro,<br />

che si mostra con espressioni di-<br />

Il Crocifisso di Terranova<br />

verse a seconda del punto di osservazione.<br />

Il volto del Cristo si<br />

vede sofferente guardandolo da sinistra,<br />

sorridente dal centro e nella<br />

serenità <strong>della</strong> morte da destra 3 .<br />

Sorsero contemporaneamente le<br />

confraternite, ormai la maggior parte<br />

estinte, e le poche ancora in funzione<br />

ridotte nel numero degli aderenti,<br />

dedicate al “Santissimo Crocefisso”<br />

od anche alle “Cinque Piaghe<br />

di Nostro Signore Gesù Cristo”.<br />

Nei luoghi vicini a Palmi ed a<br />

Terranova si ricordano la confraternita<br />

di Cinquefrondi, fondata il<br />

23 agosto 1719, e quella di Melicucco,<br />

documentata esistente nel<br />

1727 4 .<br />

Per questi sodalizi, che furono<br />

le prime forme di associazionismo<br />

laicale nella Chiesa e che tanto bene<br />

operarono al servizio delle comunità,<br />

pur se non mancavano e<br />

non mancano motivi ed occasioni<br />

per contrasti, in questo mondo che<br />

vorrebbe essere dissacratore<br />

ma che non riesce a dissacrarsi,<br />

si è iniziata da tempo la parabola<br />

discendente che in<br />

tempi più o meno brevi porterà<br />

alla probabile estinzione.<br />

La pietà popolare manifestò<br />

in ogni tempo ed in ogni<br />

modo la partecipazione al<br />

mistero del Gòlgota. Inni, coroncine,<br />

poesie, preghiere furono<br />

composti da anime ispirate<br />

che infondevano nelle<br />

loro composizioni l’intimo<br />

dramma vissuto nella meditazione<br />

<strong>della</strong> passione del<br />

Redentore.<br />

Per l’occasione, l’anno<br />

scorso a cura <strong>della</strong> Sezione di<br />

Archivio di Stato di Palmi<br />

sono stati esposti due rosari,<br />

due poesie ed una lauda<br />

drammatica in onore del<br />

Crocifisso, testimonianze <strong>della</strong> perenne<br />

presenza del mistero <strong>della</strong><br />

morte di Cristo nella vita di quanti<br />

credono in lui.<br />

Nel territorio <strong>della</strong> ”<strong>Piana</strong>” è<br />

ancora vivo l’eco del miracolo del<br />

Santissimo Crocefisso di Terranova,<br />

avvenuto in Palmi l’ormai lontano<br />

20 di luglio 1533, riportato<br />

dal sacerdote terranovese Paolo<br />

Gualtieri nel suo Leggendario dei<br />

ss. martiri di Calabria, pubblicato<br />

nel 1630 a Napoli 5 . Narrò il pio<br />

ecclesiastico che a quell’epoca<br />

l’immagine <strong>della</strong> Madonna del<br />

Soccorso di Palmi era oggetto di<br />

venerazione anche dalle popola-<br />

Gennaio 2010 Pagina 3


zioni dei centri viciniori. I fedeli di<br />

Terranova si recarono in processione<br />

con la confraternita che portava<br />

il proprio Crocifisso per dodici<br />

miglia di strada scoscesa e<br />

sconnessa. Quando la statua del<br />

Figlio giunse nella chiesa del Soccorso<br />

di Palmi, e si trovò di fronte<br />

all’immagine <strong>della</strong> Madre, cominciò<br />

a sudare sangue da ogni parte<br />

del corpo. La commozione dei<br />

presenti fu tale che tutti ruppero in<br />

pianto e con animo contrito imploravano<br />

la divina misericordia. Per<br />

tramandare ai posteri la memoria<br />

dell’evento miracoloso, il notaio<br />

Antonio Oliva <strong>della</strong> vicina Seminara,<br />

probabilmente tra i pellegrini,<br />

fu incaricato di compilare un<br />

pubblico istrumento, purtroppo disperso,<br />

che si conosce dalla trascrizione<br />

del citato Gualtieri 6 .<br />

Il termine ”immagine” in riferimento<br />

alla Madonna porta alla<br />

supposizione che poteva trattarsi<br />

di un quadro. Probabilmente era<br />

quello ”di tavola pinto ad oglio<br />

con l’imagine <strong>della</strong> Madonna del<br />

Soccorso con le cornici et le colonne<br />

adorate ” che il 25 ottobre<br />

1586 fu ammirato dal vescovo<br />

Marcantonio Del Tufo e dal suo<br />

seguito nel corso delle visita pastorale<br />

effettuata in quella chiesa 7 .<br />

Testimonianze <strong>della</strong> devozione<br />

filiale dei cittadini di Terranova al<br />

loro ”Vecchio”, come affettuosamente<br />

chiamano il loro Crocefisso,<br />

sono il componimento drammatico<br />

intitolato ”Melos concinendum”,<br />

musicato dal sacerdote Giuseppantonio<br />

Barba, maestro di cappella,<br />

ed eseguito la prima volta nella<br />

chiesa il 3 maggio 1754; un’altra<br />

melodia italo – latina, un inno e<br />

tante poesie 8 .<br />

Il quarto centenario del miracolo<br />

è stato celebrato l’anno 1933,<br />

nel corso dell’Anno Santo <strong>della</strong><br />

Redenzione, indetto dal pontefice<br />

Pio XI in ricordo dei diciannove<br />

secoli trascorsi dalla morte del Signore.<br />

E … non è da escludere che<br />

la processione dei fedeli di Terranova,<br />

snodatasi sotto il sole cocente<br />

del 20 luglio 1533, non sia stata<br />

L’Alba <strong>della</strong> <strong>Piana</strong><br />

suggerita dalla ricorrenza quindici<br />

volte centenaria <strong>della</strong> Redenzione.<br />

In un libro sulla devozione al<br />

Crocefisso venerato a Terranova, lo<br />

storico locale Raffaele Germanò ha<br />

scritto che “era consuetudine, in<br />

occasione <strong>della</strong> festa di Maria Vergine<br />

del Soccorso, portare nella<br />

città di Palmi dai paesi circonvicini<br />

le immagini più miracolose” 9 . Ma<br />

nell’opera del padre Fiore, dalla<br />

quale assicura di avere attinto la<br />

notizia, nessun accenno si legge in<br />

riferimento a tale ”consuetudine” 10 .<br />

Nel narrare il ”fatto inaudito”<br />

che si sarebbe verificato alle ore<br />

21 del 27 marzo 1638, quell’anno<br />

sabato delle Palme, in occasione<br />

di una scorreria di pirati in Terranova,<br />

lo stesso Germanò tramanda<br />

che, dopo aver sfondato la porta<br />

<strong>della</strong> sagrestia, un gruppo di quegli<br />

infedeli penetrò nella chiesa del<br />

Crocefisso illuminandosi il percorso<br />

con torce a vento. Presa la venerata<br />

statua, dopo averla estratta<br />

dalla nicchia sopra l’altare maggiore<br />

da due dei più robusti di<br />

quegli uomini, fu portata fuori dalla<br />

chiesa ad un centinaio di passi<br />

di distanza. Il capo aveva ordinato<br />

di cospargerla di pece e di darle<br />

fuoco, affinché le fiamme per<br />

sempre la togliessero alla venerazione<br />

dei fedeli. Ma mentre quei<br />

sacrileghi stavano per mettere in<br />

esecuzione il loro nefando disegno<br />

fuggirono sorpresi ed impauriti<br />

dalle scosse di terremoto avvertite<br />

in quel momento 11 .<br />

L’autore del libro ha consentito<br />

alquanta libertà alla fantasia, lasciandosi<br />

condurre ad errori che è<br />

bene considerare derivanti da ingenuità.<br />

Le ore 21 di quell’epoca<br />

corrispondevano alle tre pomeridiane<br />

attuali, e nella chiesa quelle<br />

torce a vento in mano ai pirati erano<br />

d’impaccio. Se il fatto inaudito<br />

accadde nel XV secolo, come<br />

scritto dal Germanò, la differenza<br />

di due secoli può essere trascurata<br />

solo se il tempo si misura con<br />

l’orologio dell’eternità 12 .<br />

Il venerato Crocefisso, incastonato<br />

in un’artistica pala marmorea<br />

dentro una nicchia cruciforme,<br />

troneggia sopra l’altare maggiore<br />

dell’omonimo santuario, affidato<br />

negli anni ’70 dal vescovo Santo<br />

Bergamo ai religiosi Missionari<br />

dell’evangelizzazione, fondati dal<br />

p. Vincenzo Idà.<br />

La solenne festa liturgica si celebra<br />

ogni anno il 3 maggio. Il<br />

giorno precedente, sul mezzogiorno,<br />

il simulacro viene rimosso dalla<br />

pala che lo incastona e si espone<br />

alla venerazione dei fedeli davanti<br />

all’altare. La sera si porta nella<br />

chiesa parrocchiale, dove alle ore<br />

11,00 del giorno tre si celebra la<br />

messa. Segue la processione per le<br />

vie del paese, con la partecipazione<br />

di devoti coperti di spine, detti<br />

spinati, ed al termine la statua<br />

rientra nel santuario, dove rimane<br />

esposta fino al termine <strong>della</strong> messa<br />

celebrata alle ore 11,00 dell’ultima<br />

domenica di maggio.<br />

Il santuario è meta di pellegrinaggi,<br />

sia di gruppi che di famiglie<br />

o di singoli fedeli provenienti anche<br />

da luoghi lontani, tutti i giorni<br />

dell’anno.<br />

Per poter riferire sul convento<br />

dei Riformati di Palmi, e quindi<br />

sul Crocefisso venerato in quella<br />

chiesa, è necessario anzitutto fare<br />

chiarezza su alcuni elementi di<br />

confusione che sono stati introdotti<br />

da alquanto tempo a questa parte.<br />

Non può essere razionalmente<br />

sostenibile che i Riformati fossero<br />

presenti nella città nell’anno 1537 o<br />

venti anni dopo. Infatti la Strictior<br />

Observantia, nota come la Riforma<br />

Serafica ed in forma breve col nome<br />

di Riforma, in Calabria fu riconosciuta<br />

con l’istituzione <strong>della</strong> Custodia<br />

nel 1586 e successivamente<br />

<strong>della</strong> Provincia nel 1638 13 .<br />

Pertanto i Riformati presero<br />

stanza in Palmi nel 1621, come attestano<br />

il Napoleone ed il già citato<br />

Fiore. Realisticamente quest’ultimo<br />

affermò che il convento<br />

dell’Annunziata era stato fondato<br />

nel 1537 dal padre Antonio dell’Osservanza,<br />

originario di Palmi,<br />

e che fu “ceduto” nel 1621 ai confratelli<br />

<strong>della</strong> Riforma 14 .<br />

Gennaio 2010 Pagina 4


La data concorda con il contenuto<br />

<strong>della</strong> dichiarazione emessa<br />

dalla commissione composta dai<br />

quattro padri incaricati <strong>della</strong> ricognizione,<br />

che il 6 gennaio 1724 attestarono<br />

che sopra una lapide posta<br />

sul frontespizio <strong>della</strong> chiesa si<br />

leggeva che il convento era abitato<br />

da circa un secolo dai frati <strong>della</strong><br />

Riforma 15 .<br />

Si apprende dalla stessa relazione<br />

che venti anni prima era stata<br />

iniziata la ricostruzione del convento<br />

dalle fondamenta, nello stesso sito,<br />

perché non più adatto alle esigenze<br />

<strong>della</strong> comunità religiosa 16 .<br />

Il convento, già abitato, era stato<br />

costruito con le offerte dei<br />

devoti <strong>della</strong> città e col lavoro<br />

dei frati, ed al momento erano<br />

pronte ventidue celle e due sale<br />

delle quali una era in comune<br />

perché adibita a deposito<br />

degli indumenti e <strong>della</strong> biancheria<br />

dei religiosi.<br />

Non si era ancora potuto<br />

sistemare la biblioteca. I sacri<br />

arredi e paramenti e le suppellettili<br />

erano riposti in una cella<br />

adiacente alla chiesa in attesa<br />

del completamento <strong>della</strong> nuova<br />

sagrestia. Nel convento era<br />

in funzione l’infermeria, e le<br />

medicine per la farmacia erano<br />

offerte con grande carità<br />

dai farmacisti benefattori.<br />

L’olio e la frutta per la comunità<br />

si producevano nell’orto,<br />

ch’era cinto completamente<br />

da muri, con un perimetro di<br />

circa mezzo miglio. Per la<br />

mancanza di censi e di legati, di<br />

terreni, di vigne e di boschi, i religiosi<br />

vivevano con l’elemosine che<br />

provenivano dalla questua nella città.<br />

La pubblica amministrazione<br />

elargiva spontaneamente ogni anno<br />

al convento trentacinque ducati,<br />

che l’amministratore (detto sindaco<br />

apostolico) spendeva per le necessità<br />

<strong>della</strong> comunità dei religiosi 17 .<br />

Su questo convento, come<br />

sull’intera Calabria centromeridionale,<br />

detta all’epoca Calabria Ultra,<br />

si abbatté la violenza delle<br />

scosse telluriche che nei giorni 5 e<br />

L’Alba <strong>della</strong> <strong>Piana</strong><br />

7 febbraio 1783 seminarono lutti e<br />

disperazione nelle popolazioni. Si<br />

produssero lesioni di una certa<br />

gravità sia al convento che alla<br />

chiesa, tanto che si dovette procedere<br />

alla demolizione del frontespizio<br />

sino al piano del Cornicione,<br />

del campanile e del muro laterale<br />

rivolto a levante, perché pericolanti.<br />

Inoltre era necessaria la<br />

ricostruzione di un dormitorio per<br />

i frati 18 .<br />

Soppresso dalle leggi francesi,<br />

dal decreto del 7 agosto 1809 o dal<br />

successivo del 10 gennaio 1811, il<br />

convento fu ripristinato nel 1822<br />

assieme a molti altri nella regione 19 .<br />

L’attaccamento ai frati francescani<br />

è testimoniato dal testamento<br />

olografo di Gaetano Grassi pubblicato<br />

il 3 febbraio 1848, col quale<br />

erano lasciati cento ducati per la<br />

celebrazione di messe in suffragio<br />

delle anime dello stesso testatore e<br />

<strong>della</strong> propria madre 20 Il Crocifisso di Palmi<br />

.<br />

Il convento rimase in funzione<br />

fino al 1866, anno in cui il nuovo<br />

governo italiano il 7 luglio decretò<br />

la soppressione di tutti gli ordini<br />

religiosi. La fine <strong>della</strong> presenza dei<br />

Figli del Poverello in Palmi si ri-<br />

leva dalla comunicazione <strong>della</strong><br />

Sottoprefettura <strong>della</strong> città in data 4<br />

febbraio 1867, contenente l’assicurazione<br />

che fino all’ultimo i frati si<br />

erano allontanati dai locali del<br />

convento 21 .<br />

Nella seduta consiliare del 28<br />

novembre 1866 fu riconosciuto<br />

che “la Chiesa annessa a tale Fabbricato<br />

si rende necessaria ed utile<br />

a quella parte di abitanti che dimorano<br />

in quel Quartiere, non essendovene<br />

altra vicina per adempiere<br />

essi agli servigi religiosi” 22 .<br />

Nella delibera del 12 ottobre<br />

1868 fu precisato che “la quale<br />

Chiesa come accessoria del Convento<br />

il Municipio potrà chiudere<br />

o tenere aperta al pubblico,<br />

avvertendo che in<br />

quest’ultimo caso saranno a<br />

suo carico le spese tutte relative,<br />

come altresì dell’Ufficiatura.<br />

In la quale essendo prescelto<br />

un religioso <strong>della</strong> soppressa<br />

Congregazione, questi<br />

dovrà svestire l’abito monastico,<br />

e vestire invece quello di<br />

prete secolare”. Non sono necessarie<br />

profonde riflessioni<br />

per comprendere che si voleva<br />

far dimenticare il passato<br />

francescano <strong>della</strong> chiesa 23 .<br />

Partiti i frati, la chiesa fu<br />

gestita dal Comune. E fu adibita<br />

a seggio elettorale, ad aula<br />

di tribunale, a sala per comizi<br />

ed altro. La mattina del<br />

23 ottobre 1892 l’on. Rocco<br />

De Zerbi espose il programma<br />

elettorale ai cittadini per le<br />

elezioni che si dovevano svolgere<br />

il successivo 6 novembre 24 .<br />

Nonostante tante pubbliche<br />

profanazioni, il vescovo Luigi<br />

Carvelli non volle interdirla per il<br />

timore che il Municipio potesse<br />

trarre motivo per demolire gli altari<br />

facendo scempio delle opere<br />

d’arte <strong>della</strong> chiesa 25 .<br />

Però, bisogna sottolineare che<br />

il sindaco, cav. Pasquale Suriano,<br />

in data 20 novembre 1883 aveva<br />

rassicurato il Vescovo di Mileto<br />

che la chiesa degli ex-Riformati<br />

“fu dal Comune sempre adibita al<br />

Gennaio 2010 Pagina 5


Culto Cattolico, ed a tale scopo la<br />

s’intende conservare, e se per<br />

mancanza d’ampi locali qualche<br />

volta si dovette adibire per uffici<br />

civili”. Essendo in costruzione il<br />

teatro comunale, il problema sarebbe<br />

stato risolto 26 .<br />

Ma … nove anni dopo il problema<br />

era più grave di prima. Probabilmente<br />

al moderato Suriani era<br />

succeduto sulla poltrona di primo<br />

cittadino un massone.<br />

L’ultima dimostrazione di devozione<br />

fu offerta nel 1875, con la<br />

proposta di utilizzare il complesso<br />

convento-chiesa per sede <strong>della</strong><br />

diocesi di Palmi <strong>della</strong> quale proprio<br />

in quegli anni era stata richiesta<br />

l’istituzione 27 .<br />

Oggi rimane soltanto la chiesa<br />

con le capriate in vista, tipiche <strong>della</strong><br />

povera architettura francescana,<br />

e per fortuna anche le opere d’arte<br />

che nel corso dei secoli l’ornarono.<br />

Sull’altare maggiore è collocato il<br />

Crocefisso descritto a “figura intera<br />

eretta su la croce, di proporzioni<br />

al naturale e dipinto con cupo e<br />

tragico verismo. Il corpo si piega<br />

arcuato sui piedi disuniti, la testa è<br />

abbassata fortemente. Opera forse<br />

monastica del periodo sec. XVII -<br />

XVIII” 28 .<br />

Non è dato sapere se l’ignoto<br />

autore del Crocefisso fosse un laico<br />

oppure uno dei tanti frati crocifissari<br />

che popolavano i conventi<br />

nel ’600, ma era un credente che<br />

nel modo di plasmare la materia<br />

seppe consegnare per i secoli la<br />

sua retta devozione sulla passione<br />

del Cristo Redentore.<br />

Lo stesso si può osservare riguardo<br />

all’altrettanto ignoto scultore<br />

del Crocefisso di Terranova<br />

Sappo Minulio, classificato “artisticamente<br />

di modesto interesse” 29 .<br />

In una lapide marmorea posta alla<br />

sommità di un edicola affrescata<br />

fuori dall’attuale centro abitato,<br />

fino ad alcuni anni addietro si leggeva<br />

: “In questo luogo santo / nel<br />

XIII secolo / fu dal prospiciente<br />

Molochiello / scorta e poi ritrovata<br />

/ in un roveto miracoloso / la tormentata<br />

immagine / del SS. Croce-<br />

L’Alba <strong>della</strong> <strong>Piana</strong><br />

fisso / venerato in Terranova” si<br />

vorrebbe datare la statua appunto<br />

al XIII secolo 30 .<br />

In ogni caso le due statue non<br />

possono essere state eseguite dalla<br />

stessa mano, perché in contrasto<br />

con le date del miracolo del 1533 e<br />

dell’arrivo dei Riformati nel 1621.<br />

La differenza di un secolo non è<br />

trascurabile, e alle leggende non<br />

può e non deve essere riconosciuto<br />

valore storico.<br />

La chiesa di Palmi, non più del<br />

convento, ma tuttora e per<br />

l’avvenire nota col tradizionale titolo<br />

del Crocefisso, nella francescana<br />

eleganza invita al raccoglimento<br />

ed alla preghiera e ricorda<br />

agli uomini che hanno varcato la<br />

soglia del terzo millennio dell’era<br />

cristiana il bene spirituale dispensato<br />

in più di due secoli dai Figli<br />

del Poverello di Assisi.<br />

Il riconoscimento non deve andare<br />

soltanto a quelli che per dovere<br />

di ministero o per devozione in<br />

tanti anni s’impegnarono prima<br />

per la conservazione e poi per i restuari<br />

<strong>della</strong> chiesa. E si ricordano il<br />

defunto vescovo di Mileto mons.<br />

Vincenzo De Chiara, il canonico<br />

Filippo Papalia ed altri fra gli ecclesiastici,<br />

e la signora Enza Posterino<br />

Bagalà fra i laici.<br />

Il ringraziamento, dal profondo del<br />

cuore di credenti, deve essere tributato<br />

a Lui, all’Innocente che dalla<br />

perfidia degli uomini fu condannato<br />

“al disonor del Golgota”,<br />

accompagnandolo con la promessa<br />

che la meditazione dei Suoi dolori<br />

ci renderà più buoni e maggiormente<br />

a Lui devoti.<br />

ABBREVIAZIONI :<br />

ASDM = Archivio Storico Diocesano di Mileto<br />

ASRC = Archivio di Stato di Reggio Calabria<br />

SAS Pm = Sezione di Archivio di Stato di Palmi<br />

not. = protocollo del notaio<br />

istr. = istrumento<br />

ob. = obbligo<br />

f. = foglio<br />

n. n. = non numerati<br />

N O T E:<br />

1 ASDM, Visite pastorali 1586 (1° - 4°).<br />

2 ASDM, Visite … 1630 (5°).<br />

3 Santuario SS. Crocifisso - Cutro, Bologna<br />

1974, p. 9; D. NERI, Scultori francescani<br />

del Seicento in Italia, Pistoia 1952, pp. 28 -<br />

33; L. RIZZICA, Il Crocifisso <strong>della</strong> chiesa<br />

dell’Annunziata di Palmi, in ”Banca Popolare<br />

Cooperativa di Palmi” (1994), n. 3, p. 67.<br />

4 A. TRIPODI, Sulle fonti per la storia delle<br />

confraternite <strong>della</strong> diocesi di Oppido Mamertina<br />

- Palmi, in P. BORZOMATI (a cura di),<br />

Calabria Cristiana (Atti del convegno di studi,<br />

Palmi - Cittanova 21 - 25/11/1994), Soveria<br />

Mannelli 2001, pp. 391, 392, 407, 410.<br />

5 P. GUALTIERI, Leggendario dei ss. martiri<br />

di Calabria, Napoli 1630, p. 360; G. LA<br />

ROSA, Profilo storico dell’antica Terranova,<br />

Roma 1983, p. 44.<br />

6 Ivi, pp. 360 - 361.<br />

7 ASDM, Visite … 1586 (4°), f. 656v; A.<br />

TRIPODI, Le chiese di Palmi nel 1586, in ”Calabria<br />

Letteraria” XLV (1997), nn. 4-6, p. 64.<br />

8 R. GERMANÒ, Cenni storici del SS. Crocifisso,<br />

Taurianova 1960, pp. 60 - 63.<br />

9 R. GERMANÒ, Santuario del SS. Crocifisso<br />

di Terranova Sappominulio (RC), Taurianova<br />

1998, p. 55.<br />

10 G. FIORE, Della Calabria illustrata (2°),<br />

Napoli 1743 (rist. anast. Bologna s. d.), pp.<br />

266 - 267.<br />

11 R. GERMANÒ, Santuario … , pp. 49 - 50.<br />

12 Ivi, pp. 48 - 49.<br />

13 ARCHIVIO PROVINCIALE dei FRATI<br />

MINORI - CATANZARO, Status Provinciae<br />

Reformatorum Sanctorum septem Martyrum,<br />

Fundatae in Custodiam 1586 in Provinciam<br />

1638 (con l’annotazione in fondo alla paginafrontespizio<br />

che il prezioso manoscritto ”Appartiene<br />

a questo con(ven)to <strong>della</strong> SS. Annunz(iat)a<br />

di Tropea”), relazione del convento<br />

dell’Annunziata di Palmi del 6 gennaio 1724.<br />

14 G. FIORE, Della …, p. 418; V. F. LUZZI, Le<br />

”memorie” di Uriele Maria Napolione, Reggio<br />

Calabria 1984, p. 219.<br />

15 ARCHIVIO PROVINCIALE …, relazione .<br />

16 Ivi.<br />

17 Ivi.<br />

18 SAS Pm, not. M. A. SORIANO, ob.<br />

16/05/1783; D. FERRARO, La chiesa del<br />

Crocifisso dei monaci, in ”Banca Popolare<br />

Cooperativa di Palmi” (1994), n. 3, p. 58.<br />

19 U. CALDORA, Calabria Napoleonica, Napoli<br />

1960 (rist. anast. Cosenza 1985), p. 227.<br />

20 SAS Palmi, not. F. P. LONGO, test.to<br />

03/02/1848.<br />

21 ASRC, fondo Prefettura, serie 2°, inv. 17,<br />

b. 162, fasc. 8.<br />

22 ASDM, cart. Palmi - chiese, f. n. n..<br />

23 Ivi.<br />

24 Ivi.<br />

25 Ivi.<br />

26 Ivi.<br />

27 D. FERRARO, La chiesa …, pp. 57 - 58.<br />

28 A. FRANGIPANE (a cura di), Inventario degli<br />

oggetti d’arte d’Italia (2°) - Calabria,<br />

Roma 1933, p. 295.<br />

29 A. FRANGIPANE (a cura di), Inventario …,<br />

p. 323.<br />

30 R. CONDÒ, Terranova e il culto del SS.<br />

Crocifisso, in ”Brutium” LXVIII (1989), n.<br />

2, p. 14.<br />

Gennaio 2010 Pagina 6


N<br />

ella Calabria dei secoli passati,<br />

il ricorso al notaio era<br />

previsto per una serie innumerevole<br />

e varia di casi.<br />

Questi pubblici ufficiali che,<br />

specialmente nelle zone più impervie<br />

e desolate <strong>della</strong> regione,<br />

rappresentavano “lo Stato” erano<br />

chiamati a svolgere funzioni molto<br />

diverse di quelle richieste ai<br />

colleghi dei giorni nostri.<br />

Il notaio, quasi sempre, svolgeva<br />

la sua professione operando<br />

nel paese di nascita o in quelli vicini<br />

ed a lui si rivolgevano i cittadini<br />

di ogni ceto sociale, sia per<br />

questioni patrimoniali che di altro<br />

genere. Non era raro, però, che,<br />

per i casi scabrosi, si cercasse un<br />

notaio nei paesi o città alquanto distanti<br />

e, per non dare nell’occhio, si<br />

approfittava di particolari ricorrenze<br />

per recarsi nei centri dove si<br />

svolgevano importanti fiere o mercati<br />

e fare una capatina dal notaio<br />

del luogo.<br />

Il 29 settembre del 1790, giorno<br />

in cui Cinquefrondi festeggiava<br />

il patrono San Michele, tale<br />

Domenico Staltari, cittadino <strong>della</strong><br />

Terra di Mammola, trovandosi in<br />

quella città, si presentò davanti al<br />

L’Alba <strong>della</strong> <strong>Piana</strong><br />

NOTAI ED ASSASSINI<br />

NELLA CALABRIA DEL 1790<br />

Giovanni Quaranta<br />

Panorama di Stilo<br />

regio notaio Francesco Saverio<br />

De Guisa del luogo per una pubblica<br />

testimonianza.<br />

Alla presenza del regio giudice<br />

a contratti (mag.co Francesco Argirò)<br />

e dei testimoni (d. Domenico<br />

Vento, Giuseppe Antonio Ferraro,<br />

Michelangelo Lauro, d.<br />

Domenico Marchesano e d. Francesco<br />

Palermo), con giuramento<br />

tactis scripturis 1 , asseriva che il<br />

19 giugno precedente, davanti al<br />

mag.co notaio Michelangelo Zirilli,<br />

aveva costituito per suo procuratore<br />

il mag.co d. Giovanni<br />

Calabretta di Catanzaro perchè in<br />

suo nome avesse ricorso nel Regio<br />

Tribunale di quella città contro<br />

i fratelli notar Giuseppe e d.<br />

Nicola Froyo e un di loro garzone<br />

Nicola Ramondo, tutti <strong>della</strong> regia<br />

città di Guardavalle, nonché contro<br />

la Regia Corte di Stilo.<br />

Tutto ciò si era reso necessario<br />

in seguito all’omicidio di Nicodemo<br />

Staltari (fratello del dichiarante)<br />

avvenuto a colpi di stile nella<br />

località Quercia del territorio di<br />

Stilo. Le accuse caddero immediatamente<br />

sui tre di Guardavalle finché,<br />

dopo l’istruttoria <strong>della</strong> corte<br />

stilese, fu il solo garzone ad essere<br />

imputato dell’omicidio.<br />

In base alla procura suddetta,<br />

il Calabretta aveva provveduto a<br />

depositare querela criminale contro<br />

i tre ritenendoli tutti autori<br />

dell’omicidio e denunciando che<br />

il proscioglimento dei Froyo era<br />

dovuto al fatto che gli stessi avevano<br />

sborsato un’ingente somma<br />

di denaro a quel Governatore di<br />

giustizia facendo cadere la colpa<br />

esclusivamente sul garzone.<br />

Inoltre, il Calabretta denunciava<br />

che lo Staltari era stato minacciato<br />

e chiedeva che fossero assunte<br />

le dovute informazioni e<br />

che gli fosse data una protezione<br />

perchè era a rischio la sua vita.<br />

Con la dichiarazione resa davanti<br />

al notaio cinquefrondese, lo<br />

Staltari, meglio informatosi delle<br />

cose sosteneva di essere stato ingannato<br />

e che quanto gli fu riferito<br />

fu una falsa invenzione degli<br />

Emuli 2 dei Froyo che lo indussero<br />

a fare la procura in modo ché, col<br />

suo nome, potessero calunniarli<br />

nella Regia Udienza di Catanzaro.<br />

Pertanto, si affrettava a revocare<br />

la procura fatta al Calabretta e ad<br />

accettare che l’unico vero reo<br />

Gennaio 2010 Pagina 7


d’omicidio fosse Nicola<br />

Ramondo (così come appurato<br />

dalla Corte di Stilo),<br />

ritrattando di fatto tutto<br />

quanto aveva precedentemente<br />

asserito. Egli,<br />

“spontaneamente e libero”,<br />

«... mediante il suo<br />

giuramento, per onor <strong>della</strong><br />

verità, e per indennità<br />

di chi spetta, e per scrupolo<br />

di sua coscienza, avendo<br />

avuto magior chiarore<br />

delle cose, per non essere<br />

alcuno ingiustamente bersagliato<br />

in suo nome, e<br />

specialmente li sudetti<br />

Froyo, dichiarandosi ben<br />

contento <strong>della</strong> condotta<br />

<strong>della</strong> detta Regia Corte di<br />

Stilo in detta causa<br />

d’omicidio, dichiarando<br />

essersi portata con tutta<br />

rettitudine, esculpa, e dichiara<br />

l’innocenza delli<br />

prefati N.r Giuseppe, e D.<br />

Nicola Froyo, ed affermando<br />

essere mai stato<br />

minacciato, o insultato, ne<br />

aver avuto, come di presente<br />

non ha timore alcuno<br />

delli medesimi, a<br />

quell’effetto cassa ed annulla tanto<br />

detto mandato di procura, che<br />

ogn’altra carta, e scrittura così<br />

publica, che privata apparisce in<br />

suo nome fatta contro detti Froyo,<br />

e specialmente intende cassare,<br />

ed annullare il publico atto fatto<br />

sotto la data lì vent’uno dell’andante<br />

mese di 7mbre per<br />

gl’atti del Mag.co N.r Nicola<br />

Condoluci di Melicucco, come<br />

asserisce, il quale vuole che non<br />

abbia forza veruna, e sia come se<br />

fatto non fusse. Come parimenti<br />

cassa, ed annulla, e vuole che non<br />

si tenga alcun conto di tutto e<br />

quanto detto suo Procuratore abbia<br />

operato, e fatto contro li menzionati<br />

Froyo tanto nel detto Regio<br />

Tribunale, che in qualunque<br />

altra Corte, o Tribunale, per essere<br />

questa la sua volontà, e la<br />

verità de fatti. ...» 3 .<br />

L’Alba <strong>della</strong> <strong>Piana</strong><br />

Non sappiamo queste “migliori<br />

informazioni” da dove fossero<br />

scaturite, ma non è da escludere<br />

che il mammolese possa essere<br />

stato effettivamente indotto a ritrattare<br />

attraverso minacce o, addirittura,<br />

che possa essere stato<br />

tacitato dietro esborso di denaro.<br />

La storia ci racconta che non sono<br />

mancati casi di notai rei confessi<br />

di omicidio che, perdonati dai<br />

familiari <strong>della</strong> vittima, hanno continuato<br />

regolarmente ad esercitare<br />

la professione senza nessun impedimento.<br />

Certamente questa vicenda<br />

andrebbe chiarita perchè di lati<br />

oscuri ne nasconde tanti, e ciò anche<br />

alla luce delle lotte intestine<br />

che in quel periodo vedevano<br />

coinvolte le famiglie “bene” di<br />

Guardavalle. Si sa che nel 1786<br />

alcuni cittadini che formano in<br />

detta terra un partito quanto cri-<br />

minoso, altrettanto pregiudizievole<br />

alla pace di<br />

quel comune ricorsero<br />

contro l’elezione di Giuseppe<br />

Froyo alla carica di<br />

Sindaco ed invocando alcune<br />

provisioni del Sacro<br />

Regio Consiglio artificiosamente<br />

ottenute pretesero<br />

di fare la elezione a lor<br />

modo in persona di quei<br />

soggetti a loro devoti e del<br />

di loro potente partito 4 .<br />

Qualche chiarimento su<br />

come maturò e quali furono<br />

le dinamiche del crimine<br />

e, soprattutto, sulle<br />

prove che lo Staltari aveva<br />

sul coinvolgimento dei<br />

Froyo nell’omicidio e sulla<br />

corruzione <strong>della</strong> Corte<br />

stilese avrebbe potuto darcelo<br />

la lettura dell’atto fatto<br />

col notaio Nicola Condoluci<br />

ma, stranamente,<br />

nel suo protocollo notarile<br />

non vi è alcuna traccia 5 .<br />

La “scomparsa” del<br />

primo atto, confermato con<br />

il richiamo in quello successivo<br />

del notaio De Guisa,<br />

contribuisce ancor di<br />

più ad accrescere il mistero su<br />

questo caso di omicidio lasciando<br />

spazio ad ulteriori ed inquietanti<br />

interrogativi circa il ruolo avuto<br />

nella vicenda dai due notai pianigiani.<br />

NOTE:<br />

1 Giuramento “di dire la verità” prestato mediante<br />

l’apposizione <strong>della</strong> mano sulla Sacra<br />

Bibbia.<br />

2 Antagonisti <strong>della</strong> stessa classe sociale.<br />

3 SEZIONE DI ARCHIVIO DI STATO DI<br />

PALMI (SASP), Prot. Nr. Francesco Saverio<br />

De Guisa di Cinquefrondi, b.190, vol.2092, ff.<br />

21r-21v.<br />

4 http://www.navajo.it/Sito_Glle/casale_di_stilo.htm<br />

5 SASP, Prot. Nr. Nicola Condoluci di Melicucco,<br />

b.143, vol.1483. Al f. 5r si ritrova<br />

l’atto del 22 agosto 1790 tra Francesco Mammoliti<br />

e Giuseppe Falleti, entrambi di Melicucco,<br />

per un casaleno posto nel quadrato <strong>della</strong><br />

chiesa Madre; mentre al f. 6r è riportato l’atto<br />

del 14 novembre 1790 tra Saverio Larosa e<br />

Domenico Condoluci, entrambi di Melicucco,<br />

per un fondo denominato Romana nel territorio<br />

dello stesso paese.<br />

Gennaio 2010 Pagina 8


L<br />

Gennaio 2010<br />

NE EL 1856<br />

FRA ANCES SCO MORA M ANI<br />

ACCQUIS<br />

STÒ LA A CAS SA DI VIA DDOMEENICA<br />

ANI<br />

a Casa dei “Moran ni” (di via<br />

Domen nicani a Poli istena), in-<br />

serita in unn<br />

percorso di i visita dei<br />

luoghi legat ti agli artisti polistene-<br />

si, è una costruzione e piuttosto<br />

semplice chhe<br />

oggi vien ne conside-<br />

rata simbollo<br />

di una gr randemis- sione d’artee.<br />

Essa, pur se s nel cor-<br />

so degli annni,<br />

subì unna<br />

serie di<br />

eventi naturrali<br />

(danni deel<br />

terremo-<br />

to del 18944)<br />

e con-<br />

seguenti iinterventi<br />

di restauro, mantiene<br />

quell’essenz zialità e<br />

semplicità, oltre il<br />

fascino dovuuto<br />

anche<br />

alla presenzza<br />

di ede-<br />

ra che la co olora,se- condo il pe eriodo, di<br />

verde o di marrone.<br />

L’edificio, oggi di<br />

proprietà ddel<br />

prof.<br />

Francesco MMorani<br />

fu<br />

Emanuele, è incasto-<br />

nato nella ccornice<br />

di<br />

uno degli antichi<br />

rioni dell’ ’autentico<br />

centro storrico<br />

poli-<br />

stenese e l’aatmosfera<br />

suggestiva che offr fre, dona<br />

l’emozione di lasciarsi trasportare<br />

in una dim mensione surrreale,<br />

fuori<br />

dal tempo. È, È insomma, , un conte-<br />

nitore delle testimonianzze<br />

e di tut-<br />

to ciò che può<br />

essere riccondotto<br />

ad<br />

uno dei pi iù grandi pprotagonisti<br />

<strong>della</strong> vita artistica a delll’Ottocento<br />

polistenese: Francesco MMorani.<br />

La faccia ata, che, accaanto<br />

all’in-<br />

gresso reca affisso a un preegiatissimo<br />

medaglione in marmo rraffigurante<br />

lo scultore Francesco F Moorani<br />

(Poli-<br />

stena 1804-1878),<br />

opera a del nipote<br />

Francesco Je erace, posta pper<br />

onorare<br />

la memoria del nonno mmaterno,<br />

ri-<br />

porta anche e stemmi ed altreiscri- zioni, piutto osto recenti, checele- brano tutti i Morani, atttestandone<br />

L’Alb ba dell la <strong>Piana</strong>a<br />

Giovvanni<br />

Russo<br />

un’antica tradizione t di operosità e<br />

laboriosità artistica in es ssa, a partire<br />

dai primiss simi anni del ll’Ottocento,<br />

epoca delll’arrivo<br />

del capostipite<br />

Fortunato Morano, fin no ad oggi.<br />

Alcuni di taali<br />

assunti no on ci trovano<br />

d’accordo per i motivi che, di se-<br />

guito, tenteeremo<br />

di esem mplificare.<br />

Che il capostipite, , Fortunato<br />

Morano, peerò,<br />

fin dal matrimonio, m<br />

abbia abita<br />

da due cam<br />

in pietra e<br />

comodo di<br />

mitanti suo<br />

gelo Mamm<br />

ria Sorace<br />

ed al mar<br />

“Evoli” e n<br />

(ove oggi<br />

Domenican<br />

sodato 1 ato nella casa<br />

composta<br />

mere terranee e fabbricate<br />

e calce, di cui c una per<br />

i bottega, do onate dai li-<br />

oceri mastro oMichelan- mone e mad damaSavee alla figlia Pasqualina<br />

rito, site ne el quartiere<br />

non nel rione e “Pomara”<br />

insiste la casa c di via<br />

ni), è un fatt to ormai as-<br />

. EEd<br />

in tale qu uartiere,ap- punto “Evvoli”,<br />

in un n’abitazione<br />

che anche a noi resta im mprecisabi-<br />

le (forse ppresa<br />

in affit tto),credia- mo abbia vissuto, dop po il matrimonio<br />

cellebrato<br />

il 14<br />

febbraio<br />

1824 a Saan<br />

Pietro di Caridà con<br />

Giuseppa LLucà-Cotron<br />

nea, France-<br />

sco Moranni.<br />

Ne fa fed de l’atto di<br />

nascita deel<br />

proprio fig glio Vincenzo,<br />

del 1° ° aprile 1830 0 che, a mar-<br />

gine, recca<br />

anche l’indicazione<br />

l<br />

<strong>della</strong> stesssa<br />

data per il battesimo,<br />

amministrrato<br />

dal Pa arroco <strong>della</strong><br />

Chiesa di Santa Marin na. In tale oc-<br />

casione, “ “è comparso o Francesco<br />

Morano, ddi<br />

anni vent tisei, di pro-<br />

fessione sstucchiatore,<br />

domiciliato<br />

quì quartiere<br />

Evoli” a dichiarare<br />

davanti al sindaco<br />

Giovan Battista Je-<br />

race, “ch he lo stesso<br />

nacque oggi o ad ore<br />

otto da a esso m.<br />

Francesc<br />

e da sua<br />

gitima<br />

Giuseppa<br />

anni ven<br />

lui dom<br />

suo dom<br />

sopra<br />

quartiere<br />

Anche<br />

Diego M<br />

tegaio, e<br />

ce, ferr<br />

domicilia<br />

tiere Evolli.<br />

Franceesco<br />

Morani,<br />

potrebbe aaver<br />

continua<br />

zare quellla<br />

del padre<br />

rono anchhe<br />

alcuni dei<br />

ma <strong>della</strong> loro parten<br />

Accademiie<br />

di Belle<br />

quando nnon<br />

riuscì<br />

quella dovve<br />

stabilì, non<br />

residenza abitativa, m<br />

bottega d’ ’arte da dove<br />

uscire capolavori<br />

dell’arte sstatuaria<br />

e gl<br />

le innumerevoli<br />

chiese<br />

Pertantto,<br />

quando,<br />

chi Francesco<br />

Morani<br />

casa che oggi è situa<br />

Domenicaani<br />

e che, ne<br />

ponomastiica<br />

cittadina,<br />

o<br />

co Morano,<br />

a moglie leg-<br />

D. a Maria<br />

a Lucà di<br />

nticinque con<br />

miciliata nel<br />

micilio come<br />

[cioè, nel<br />

e Evoli]” 2 -<br />

-<br />

e<br />

,<br />

a<br />

-<br />

o<br />

-<br />

o<br />

e<br />

o<br />

-<br />

o<br />

e<br />

o<br />

-<br />

a<br />

i<br />

n<br />

l<br />

e<br />

l<br />

.<br />

i testimoni, ,<br />

Megna, bot-<br />

e Biagio Pa-<br />

raio, eranoo<br />

ati nel quar-<br />

per bottega, ,<br />

ato ad utiliz-<br />

ovelavora- i fratelli pri-<br />

nza verso lee<br />

Arti, fino a<br />

a compraree<br />

n solo la suaa<br />

ma anche laa<br />

e ripresero add<br />

indiscussii<br />

i stucchi per r<br />

e.<br />

come e daa<br />

i acquistò laa<br />

ata nella viaa<br />

ell’antica to--<br />

, era indicataa<br />

Pagina<br />

9


dentro il quartiere “Pomara sotto<br />

la Trinità”?<br />

A sciogliere, probabilmente,<br />

tali interrogativi cui, da anni tentiamo<br />

di dare una risposta, ci sovviene<br />

un atto rogato dal notaio<br />

Giuseppe Condoluci 3 fu Don Carlo,<br />

di Cinquefrondi, del 5 giugno<br />

1856, le cui parti contraenti furono<br />

tali Maria Rosa Bellantonio fu<br />

Giovanni, autorizzata dal proprio<br />

marito Giuseppe Colaciuri fu Stefano,<br />

Giuseppe Silipigni fu Michelangelo,<br />

proprietario residente<br />

in Gioia e, finalmente, il signor<br />

Don Francesco Morani fu Fortunato,<br />

proprietario qui domiciliato.<br />

Testimoni dell’atto furono: Antonio<br />

Rocca fu Ignazio e Luigi<br />

Franco. Con tale atto, la Bellantonio<br />

vendette a Don Francesco<br />

Morani, per il convenuto prezzo<br />

di ducati 270, “un comprensorio<br />

di case, composto di quattro stanze<br />

Superiori, una Cucina, e tre<br />

bassi sito nel rione sotto la Trinità,<br />

ossia Pomara, limite lo detto<br />

Palazzo dico Palazzo con quello<br />

di Domenico Scali, con quello di<br />

Giacinto Candiloro, ed altri,<br />

franco e libero di qualunque censo,<br />

servitù ed ipoteca meno che<br />

dal solo dazio fondiario, pervenuta<br />

ad essa venditrice per retagio<br />

Paterno”. Per conoscere, più dettagliatamente<br />

le condizioni di pagamento,<br />

da parte del compratore<br />

Morani alla venditrice Bellantonio<br />

ed al Silipigni (creditore di<br />

L’Alba <strong>della</strong> <strong>Piana</strong><br />

quella per 120 ducati), oltre<br />

quant’altro relativo all’acquisto,<br />

crediamo sia utile qui riportare integralmente<br />

il documento rogato<br />

dal Notaio Condoluci che è del<br />

tenore seguente:<br />

“REGNO DELLE DUE SICILIE -<br />

Oggi li cinque Giugno dell’anno<br />

milleottocentocinquantasei in Polistina.<br />

Regnante Ferdinando Secondo<br />

per la grazia di Dio Re del Regno<br />

delle Due Sicilie, di Gerusalemme,<br />

Duca di Parma, Piacenza,<br />

[...] Gran Principe Ereditario di<br />

Toscana [...]<br />

Avanti di me Notaio Giuseppe<br />

Condoluci del fu Don Carlo, residente,<br />

e domiciliato in Cinquefrondi,<br />

col mio studio rione San<br />

Lorenzo, oggi qui presente richiesto<br />

per la stipola del presente atto,<br />

ed alla presenza degli sotto<br />

scrivendi testimonj aventi le qualità<br />

richieste dalla Legge ben cogniti,<br />

si sono personalmente costituiti<br />

Maria Rosa Bellantonio ,<br />

autorizzata dal di lei marito Giuseppe<br />

Colaciuri fu Stefano, e la<br />

detta Bellantonio figlia fu Giovanni,<br />

per la validità del presente<br />

atto, nonche Giuseppe Silipigni fu<br />

Michelangelo proprietarjo domiciliato<br />

in Gioja, e finalmente il<br />

signor Don Francesco Morani fu<br />

Fortunato, proprietario qui domiciliato,<br />

e sono tutti da me Notaio,<br />

e testimonj ben conosciuti.<br />

La detta costituita Bellantonio<br />

autorizzata come sopra sotto la<br />

garentia di fatto, e di dritto, e colla<br />

promessa dell’[...], vende liberamente<br />

e senza alcuna riserba<br />

all’altro costituito Signor Morani<br />

un comprensorio di case, composto<br />

di quattro stanze Superiori,<br />

una Cucina, e tre bassi sito e posto<br />

in questo abitato nel rione sotto<br />

la Trinità, osia Pomara, limite<br />

lo detto Palazzo dico Palazzo<br />

con quello di Domenico Scali,<br />

con quello di Giacinto Candiloro,<br />

ed altri, franco e libero di qualunque<br />

censo, servitù ed ipoteca<br />

meno che dal solo dazio fondiario,<br />

pervenuta ad essa venditrice<br />

per retagio Paterno.<br />

La detta vendita vien fatta mediante<br />

il convenuto prezzo fra esse<br />

parti di Ducati dugento settanta,<br />

di qual somma esso compratore<br />

in atto sborza, numera e consegna<br />

in tante buone monete effettive<br />

di argento corrente in regno<br />

soli docati settanta, i quali<br />

vengono imborzati da essa venditrice<br />

Bellantonio in presenza di<br />

me Notajo, e Testimonj e perciò<br />

ne fà a pro di esso compratore<br />

ampia, e finale quietanza nè modi<br />

di Legge; e degli altri Docati dugento<br />

a compimento dell’intero<br />

prezzo, si obbliga esso compratore<br />

Signor Morani consegnarli,<br />

cioè Docati ottanta ad esso Colaciuri<br />

perchè così ha voluto la detta<br />

venditrice sua moglie fra il<br />

corso di anni tre a contare da oggi,<br />

coll’annuo interesse alla ragione<br />

del sette per cento fino<br />

all’intero soddisfo; e gli altri Docati<br />

cento venti rimane obbligato<br />

pagarli all’altro costituito Silipigni<br />

anche fra i detti tre anni da<br />

oggi, col pagare due annualità<br />

con interessi alla ragione<br />

dell’otto per cento, poichè una<br />

annualità generosamente le fu lasciata<br />

generosamente in Docati<br />

sedici per detti due anni, non volendo<br />

interesse alcuno sopra i<br />

Docati venti, perchè così convenuti<br />

fra loro, e che il detto Silipi-<br />

Gennaio 2010 Pagina 10


gni era creditore dalla<br />

detta Bellantonio, come<br />

risulta dall’atto e<br />

Brevetto da Istrumento<br />

redatto per atto di Notar<br />

Don Francesco<br />

Rizzi di Gioja del dì<br />

quattordici settembre<br />

mille otto cento quarantanove,<br />

registrato<br />

al numero 1220 in<br />

Palme li diecisette<br />

detto mese, ed anno,<br />

registro 1° vol. sessantuno<br />

, foglio 14 retto,<br />

cas. 3 a per grana trenta<br />

nell’Archivio. Il Ricevitore<br />

Gregorio Catalano,<br />

al quale non<br />

abbiasi rapporto, o relazione<br />

alcuna.<br />

Per effetto quindi di si<br />

fatta libera vendita il<br />

detto Palazzo da oggi<br />

e per sempre passi e<br />

sia, e sia nel pieno<br />

dominio e posesso nella<br />

persona di esso acquirente<br />

Signor Morani, e suoi<br />

eredi che potrà disporre dello<br />

stesso come casa propria.<br />

L’estratto di detto immobile si alligherà<br />

al presente atto fra il corso<br />

di Legge.<br />

[...] le parti <strong>della</strong> Legge all’uopo si<br />

sono conformate con me Notajo,<br />

ed han dichiarato di averlo ben<br />

capito.<br />

Del presente atto si è fatta lettura<br />

chiara alta ed intelligibile voce alle<br />

parti in presenza dè testimonj.<br />

Fatto, letto, pubblicato, e stipolato<br />

a dì come sopra in Polistina,<br />

Provincia di Calabria Ultra Prima,<br />

distretto di Palme in casa di<br />

esso Signor Morani rione sotto la<br />

Trinità; presenti per testimonj<br />

Don Antonio Rocca fu Ignazio<br />

proprietario e mastro Luigi Franco<br />

fu Ferdinando calzolajo, ambi<br />

qui domiciliati, i quali sotto scrivono<br />

il presente come con esso<br />

Silipigni, Signor Morani, e con<br />

me Notajo in un solo foglio; mentre<br />

gli altri costituiti han detto<br />

non sapere scrivere:<br />

L’Alba <strong>della</strong> <strong>Piana</strong><br />

Giuseppe Silipigni; Francesco<br />

Morani; Antonio Rocca Testimone;<br />

Luigi Franco testimone; Notar<br />

Giuseppe Condoluci del fù<br />

Don Carlo residente in Cinquefrondi<br />

ho stipolato.<br />

[Segue la specifica delle spese notarili,<br />

ammontanti a Ducati 3: 30]<br />

[In margine a sinistra]: N. 504<br />

Reg.to in Cinquefrondi li sei Giugno<br />

1856= Reg. o 1° vol. 48 fol 62<br />

retto Cas. o 5°; Ricevuto gr. Ottanta<br />

= 80; N. 155 Archivio gr.<br />

Venti= 20 = 1:00; Il Ricevitore:<br />

Giuseppe Ascone”.<br />

Da questa data, quindi, cioè dal<br />

1856, l’edificio del quartiere Pomara,<br />

sotto la Trinità (oggi via Domenicani),<br />

acquistato da Francesco<br />

Morani, fu, non solo l’abitazione ma<br />

anche la bottega d’arte, ove si forgiarono<br />

i propri figli ed ove operò<br />

anche il fratello Giovanni ancora<br />

dimorante a Polistena 4 .<br />

“Francesco Morani con i figli<br />

Fortunato e Vincenzo aprirono in<br />

Polistena, bottega d’intagliatori<br />

da dove uscirono in gran numero<br />

le statue di santi, in legno,<br />

mentre la loro attività<br />

artistica si completava<br />

con le decorazioni<br />

in stucco di tante<br />

chiese di Polistena e di<br />

molte altre disseminate<br />

in tutta la Calabria”.<br />

Tale preciso riferimento<br />

di tale D.G.C. su<br />

Calabria Oggi 5 , relativamente<br />

all’apertura<br />

<strong>della</strong> nuova bottega di<br />

Francesco, con i figli<br />

Fortunato e Vincenzo,<br />

non è assolutamente<br />

casuale. Evidentemente,<br />

in altri tempi, era<br />

scontato che l’edificio<br />

di Via Domenicani, era<br />

stata l’abitazione e la<br />

bottega <strong>della</strong> famiglia<br />

di Francesco Morani.<br />

Quell’aprire bottega<br />

va riferito, questa<br />

volta, alla casa di Via<br />

Domenicani che,<br />

nell’antico catasto fabbricati 6 , figurava<br />

intestata ai figli del fu<br />

Francesco, deceduto il 21 gennaio<br />

1878, all’età di 74 anni: Morano<br />

Fortunato, Mariastella, Fortunata<br />

e Vincenzo. La consistenza<br />

dell’immobile figurava con un<br />

vano terraneo, due al primo piano,<br />

2 al secondo piano e 3 al terzo<br />

piano, al numero civico 7, oltre alla<br />

partita n. 1011, di via Saponiera,<br />

14 con una stanza terranea. Tutto<br />

ciò, secondo l’impianto catastale<br />

del 1879.<br />

In data 13 aprile 1895, a causa<br />

del terremoto del 16 Novembre<br />

1894, nella partita fu effettuata la<br />

seguente variazione: “Partita n.<br />

1011, Salita Domenicani, 7, Casa,<br />

Piano terreno: vani 1; 1° Piano:<br />

vani 2; 2° Piano: vani 2; Reddito<br />

imponibile: 35, 50”. Rispetto<br />

all’impianto catastale del 1879, la<br />

casa, evidentemente, subì la demolizione<br />

di uno dei piani che<br />

non fu più ricostruito.<br />

Alla luce dell’importante documento<br />

di acquisto <strong>della</strong> nuova<br />

Gennaio 2010 Pagina 11


casa, del 1856, epoca che fa da<br />

spartiacque tra le generazioni dei<br />

Morani, crediamo che il nostro<br />

assunto 7 circa la visita di Edward<br />

Lear, del 1847, non effettuata nella<br />

casa di via Domenicani, bensì<br />

in quella sita nel quartiere Evoli,<br />

sia appagata, finalmente, di un<br />

supporto, oltre che logico, anche<br />

documentario. Quindi, per verità<br />

storica, la piccola iscrizione posta<br />

sull’attuale edificio, andrebbe o<br />

modificata, indicando che la casa<br />

visitata dal Lear era stata quella<br />

del quartiere “Evoli” o, addirittura,<br />

rimossa. Analogamente, andrebbe<br />

tolta la targa turistica apposta<br />

dal Comune in occasione<br />

<strong>della</strong> manifestazione nazionale<br />

antimafia del 21 marzo 2007 che<br />

segnala la casa di via Domenicani<br />

come “Casa dei Morani” 8 .<br />

Circa lo stemma, recente riproduzione<br />

in pietra di quello <strong>della</strong><br />

famiglia “Morano”, baroni e<br />

feudatari di Gagliato (CZ), pur se<br />

pregevole opera del prof. Francesco<br />

Morani fu Emanuele, è un lavoro<br />

che, molto sinceramente,<br />

non riteniamo adatto ad una facciata<br />

di una modesta casa polistenese,<br />

prima appartenuta alla famiglia<br />

Bellantonio e poi a quella<br />

di importanti ed illustri artisti ed<br />

artigiani che, con il feudo gagliatese,<br />

però, non ebbe alcuna relazione<br />

dal punto di vista feudale.<br />

L’Alba <strong>della</strong> <strong>Piana</strong><br />

La famiglia Morano, come abbiamo<br />

potuto dimostrare nel già<br />

citato opuscolo dedicato al capostipite<br />

Fortunato, proveniva dal<br />

mondo dell’artigianato di Soriano<br />

Calabro ed, a Polistena, non rappresentò,<br />

dal punto di vista strettamente<br />

araldico, alcuna nobiltà.<br />

Pertanto, nel ritenere lo stemma<br />

una falsa ostentazione araldica,<br />

crediamo che vada rimosso.<br />

In conclusione, la casa in oggetto,<br />

crediamo possa essere inquadrata<br />

come casa di Francesco<br />

Morani e non complessivamente<br />

di tutti i Morano.<br />

Se la storia è fatta anche di<br />

piccoli tasselli, quella degli artisti<br />

polistenesi, oggi, crediamo ne abbia<br />

uno in più.<br />

NOTE:<br />

1<br />

G. RUSSO, Fortunato Morano (Soriano Calabro<br />

1778-Polistena 1836), Polistena, 2000,<br />

p. 11 e segg.; A. TRIPODI, Per la biografia di<br />

Fortunato Morano, in ROGERIUS, a. V, n. 1,<br />

Gennaio-Giugno 2002, pp. 159-163; A.<br />

TRIPODI, Scritti e documenti per la storia del<br />

Monteleonese, Vibo Valentia, Mapograf, 2004,<br />

pp. 78-81.<br />

2<br />

ARCHIVIO DI STATO REGGIO<br />

CALABRIA (ASRC), Stato Civile, Inv. 76, f.<br />

261, a. 1830, numero d’ordine 84.<br />

3<br />

SEZIONE DI ARCHIVIO DI STATO<br />

PALMI (SASP), Notaio Giuseppe Condoluci,<br />

b. 926, vol. 7848, ff. 138r.-140 v.<br />

4<br />

SASP, Catasto Terreni e Fabbricati Polistena,<br />

Comune di Polistena - Fabbricati, Catasto<br />

Fabbricati - Registro delle Partite, partita n.<br />

1014. Secondo tale catasto (impianto del<br />

1879), Giovanni Morano fu Fortunato risultò<br />

intestatario <strong>della</strong> casa di Via Villa Rodinò n.<br />

15, composta da 2 vani al piano terra e 3 al<br />

primo. In altri tempi, è stato da noi consultato,<br />

a Polistena, presso l’Ufficio del Registro ove si<br />

conservava. Da diversi anni tutto l’Archivio,<br />

da Polistena è stato versato alla Sezione di Archivio<br />

di Stato di Palmi.<br />

5<br />

D.G.C., Artisti Polistenesi: I Morani, in<br />

CALABRIA D’OGGI, Cittanova, Maggio<br />

1950, p. 35.<br />

6<br />

SASP, Catasto Terreni e Fabbricati Polistena,<br />

Comune di Polistena - Fabbricati, Catasto<br />

Fabbricati - Registro delle Partite, partita n.<br />

1011.<br />

7<br />

G. RUSSO, Fortunato Morano... op. cit., pp.<br />

22-23.<br />

8<br />

La targa è stata messa in sostituzione<br />

dell’altra (corretta) che il sottoscritto aveva<br />

dettato, nell’ambito dell’incarico ricevuto dal<br />

Comune di curare la segnaletica inerente tutti i<br />

monumenti cittadini.<br />

Gennaio 2010 Pagina 12


C<br />

L’Alba <strong>della</strong> <strong>Piana</strong><br />

CRONACHE DELLA GUERRA<br />

TRA ANGIOINI ED ARAGONESI IN CALABRIA<br />

NEGLI ANNI DAL 1462 AL 1464<br />

orreva l'anno 1462 e Ferrante<br />

I° d'Aragona, volendo sconfiggere<br />

definitivamente i baroni,<br />

partigiani degli angioni, spinse il<br />

suo fiero condottiero Mase Barrese<br />

in Calabria per dare una buona<br />

lezione ai ribelli.<br />

La carriera di Mase o Maso<br />

Barresi era iniziata da falconiere<br />

maggiore di Alfonso<br />

d'Aragona che nel 1453<br />

lo aveva nominato capitano.<br />

Arrivato in Calabria riuscì<br />

a farsi odiare da molti ma<br />

per il matrimonio con la figlia<br />

di Antonio Centeglia,<br />

ex nemico, assurse a notevole<br />

prestigio.<br />

Tuttavia le sue fortune<br />

ebbero fine dopo la pace<br />

del 1464 quando, nel tragitto<br />

verso Napoli, incontrò ed<br />

uccise per vecchi rancori<br />

Giovanni Spatafora che si<br />

recava nella capitale per<br />

rendere omaggio al sovrano,<br />

per questa uccisione fu<br />

messo in carcere dove, dopo<br />

alcuni anni, morì miseramente.<br />

Le notizie più precise sul<br />

Barrese derivano dal tomo<br />

terzo “Dell'Historia <strong>della</strong><br />

città e regno di Napoli” di<br />

Giovanni Antonio Summonte.<br />

Nella sua opera il Summonte<br />

precisa che il Barrese raggiunse<br />

Plaisano nell'aprile del 1463 e si<br />

accampò nel monte presso il fiume<br />

Medina, l'attuale Metramo.<br />

Il posto era di per se già naturalmente<br />

“forte” ma Barrese “per<br />

arte” lo rese “inespugnabile” con<br />

bastioni ed artiglierie e lasciato in<br />

questo accampamento la maggior<br />

parte dell'esercito si mise a scor-<br />

Roberto Avati<br />

rere i dintorni con frequenti incursioni.<br />

In effetti tuttora in prossimità<br />

delle colline che sovrastano il Metramo<br />

esiste una località chiamata<br />

Castellace che tuttavia non presenta<br />

rovine riconducibili alle poderose<br />

fortificazioni descritte.<br />

Avuta notizia dell'arrivo di Barrese,<br />

Battista Grimaldi, generale di<br />

Giovanni d'Angiò, radunò a<br />

Sant'Agata, i capitani Galeotto<br />

Baldassino, Luigi d'Arena, Francesco<br />

Gironda, capitano delle genti<br />

di Marzano, Francesco Caracciolo<br />

e suo figlio Giancola e con loro<br />

decise di muovere contro il Barrese<br />

lasciando a Sant'Agata soltanto<br />

il d'Arena.<br />

Le schiere angioine presero posizione<br />

tra Flogasi e Panaia, gli<br />

odierni paesi di Motta Filogaso e<br />

Panaia, in vicinanza del monte<br />

Poro, ma successivamente esse si<br />

avvici-narono al campo di Barrese,<br />

fino a raggiungere Santo Filo<br />

(San Fili, l'odierna frazione di<br />

Melicucco), per impedire al<br />

nemico di ricevere i rifornimenti<br />

provenienti da Seminara.<br />

In effetti le schiere del<br />

Grimaldi si erano talmente<br />

avvicinate ai nemici che tra<br />

i due eserciti correva uno<br />

spazio poco maggiore di<br />

mezzo miglio, ovvero<br />

700/800 metri.<br />

Il giorno successivo Grimaldi<br />

usci dall'accampamento<br />

in aperta provocazione<br />

verso il Barrese, questi<br />

accettò la sfida e lasciato<br />

Alfonso a guardia degli alloggiamenti,<br />

radunò l'esercito<br />

ed esortò i suoi uomini<br />

a superare la nuova prova<br />

precisando che il nemico<br />

non era certo all'altezza <strong>della</strong><br />

loro esperienza di guerra<br />

e quindi si trattava soltanto<br />

di “segar col ferro questa<br />

inutile erba di soldati” prospettando<br />

come ricompensa<br />

la ricchezza <strong>della</strong> provincia<br />

che avrebbero completamente avuto<br />

in pugno vincendo la battaglia.<br />

Discesi dal monte dove era posto<br />

l'accampamento i soldati del<br />

Barrese scorsero i nemici pronti<br />

al combattimento alla loro stessa<br />

stregua.<br />

Tuttavia non tutto l'esercito angioino<br />

era spiegato di fronte agli<br />

aragonesi ma secondo gli ordini<br />

Gennaio 2010 Pagina 13


del Grimaldi un certo numero di<br />

“scelti cavalli” era appostato in<br />

una strada nel mezzo <strong>della</strong> valle<br />

del Metramo che divideva i contendenti.<br />

È probabile che questa strada<br />

sia quella del fondovalle del torrente<br />

Eia che da Maropati raggiunge<br />

il Metramo.<br />

Il Barrese alla testa dei suoi<br />

uomini spinse subito quattro<br />

squadre di cavalli contro le formazioni<br />

avversarie verso il passo<br />

<strong>della</strong> strada ma i suoi avversari<br />

non si dimostrarono “quell'inutile<br />

erba di soldati” e resistettero alla<br />

carica <strong>della</strong> cavalleria.<br />

La battaglia si fece più cruenta<br />

con lo scontro delle fanterie.<br />

Il numero degli angioini era superiore<br />

a quello degli avversari e,<br />

sebbene il Barrese si prodigasse in<br />

ogni modo per animare i suoi, gli<br />

aragonesi si trovavano subito in<br />

serie difficoltà e quando sul campo<br />

di battaglia irruppe la squadra di<br />

cavalieri che Grimaldi aveva lasciato<br />

nascosta nella strada a destra<br />

<strong>della</strong> valle, le schiere del Barrese<br />

furono infrante e poste in rotta,<br />

lo stesso Mase fu costretto a<br />

fuggire in direzione di Seminara<br />

dove si ricoverò con altri dieci cavalieri.<br />

Nella fuga venne inseguito<br />

da alcuni nemici tra cui Capaccio<br />

Capano Napolitano che si spinse<br />

L’Alba <strong>della</strong> <strong>Piana</strong><br />

talmente in avanti da essere catturato<br />

dallo stesso Barrese.<br />

La battaglia fu terribile ed il terreno<br />

rimase coperto di cadaveri.<br />

In quello scontro, tra le file degli<br />

aragonesi, trovò la morte Gugliemo<br />

Ruffo che Summonte dice<br />

uomo di gran virtù, degno di più<br />

lunga vita.<br />

Le salme dei caduti vennero<br />

spogliate di ogni bene e quando gli<br />

angioini trovarono un ferito con<br />

una insegna sul cimiero, prendendolo<br />

per il Barrese, si avventarono<br />

su di lui con tale furia da squartarlo,<br />

tanto era l'odio per il capo dei<br />

loro nemici, in realtà il ferito era il<br />

capitano Luigi Gentile.<br />

Successivamente l'esercito del<br />

Grimaldi corse verso il campo del<br />

Barrese guardato da Alfonso che<br />

in un primo momento riuscì a difendere<br />

l'accampamento ma, successivamente,<br />

fu costretto ad abbandonarlo<br />

e raggiungere Burrello.<br />

Gli angioini si fermarono presso<br />

l'accampamento nemico per curare<br />

i feriti e spartire la preda e successivamente<br />

mossero verso Seminara<br />

fermandosi a circa due<br />

miglia dalla città con la speranza<br />

di riuscire a convincere alla defezione<br />

gli abitanti ma sebbene assedianti,<br />

non riuscirono a ricevere<br />

rifornimenti e dopo pochi giorni<br />

tolsero l'assedio per cui ogni capitano<br />

rientrò nella propria patria.<br />

Da altre fonti risulta che il Barrese,<br />

probabilmente prima <strong>della</strong><br />

battaglia, aveva espugnato i paesi<br />

di Terranova e San Giorgio e che<br />

in quest'ultimo paese aveva vendicato<br />

la morte di suo fratello<br />

Giovanni, avvenuta a Cosenza,<br />

facendo precipitare giù dalla torre<br />

più alta del castello Ruggero Olirio<br />

e due suoi complici, Luigi Caselli<br />

e Roberto Preti.<br />

Il Barrese aveva anche posto<br />

l'assedio ad Oppido dove si trovava<br />

il traditore Galeotto Baldassino<br />

ed una notte era riuscito ad espugnare<br />

la città saccheggiandola.<br />

Raggiunta Terranova si era<br />

fermato e vi aveva posto i quartieri<br />

d'inverno pur tentando di catturare<br />

Marino Curriale da Gerace<br />

con il tranello di un colloquio.<br />

La sequenza temporale di questi<br />

ultimi avvenimenti non è chiara<br />

anche perché il Barrese sposando<br />

la figlia di Antonio Centelles<br />

Ventimiglia aveva ricevuto in<br />

feudo le terre di Enrichetta Ruffo.<br />

Per come abbiamo visto il capitano<br />

di ventura Galeotto Baldassino<br />

partecipò alla battaglia di<br />

Plaesano ma durante l'assedio di<br />

Seminara diede molte bastonate<br />

ad alcuni soldati al punto che per<br />

evitare la ribellione fu costretto a<br />

lasciare il campo con i suoi fidi<br />

ed a dirigersi verso Gerace e<br />

quindi “nei castelli prossimi al<br />

mare” da dove raggiunse la terra<br />

dei Bruzzi per tentare di conquistare<br />

Cosenza.<br />

Contro Galeotto Baldassino, in<br />

aiuto di Cosenza, si precipitò il<br />

duca Alfonso d'Aragona, figlio<br />

del re, e Baldassino dopo aver<br />

promesso ai suoi soldati di lasciarli<br />

per andare in Sicilia in cerca<br />

d'aiuto, lasciò il paese fortificato<br />

di Rocchetta e da gran fellone<br />

abbandonò completamente i suoi<br />

soldati.<br />

Questi resisi conto del tradimento<br />

si consegnarono ad Alfonso<br />

che li trattò con buone maniere<br />

Gennaio 2010 Pagina 14


al punto che molti passarono al<br />

suo servizio.<br />

Galeotto Baldassino aveva comunque<br />

già depredato Nicastro e<br />

dopo la fuga in Sicilia passò in<br />

Francia dove finì i suoi giorni per<br />

un colpo di colubrina nella battaglia<br />

di Nancy.<br />

Alfonso, dopo l'incruenta conquista<br />

di Rocchetta, si diresse<br />

contro il paese fortificato di Pentadattilo,<br />

lontano dal mare quattro<br />

miglia, conquistandolo e saccheggiandolo<br />

facilmente.<br />

Proseguendo lungo le coste raggiunse<br />

Motta detta anticamente<br />

Ammeria e per convincere gli abitanti<br />

alla resa fece arrivare da<br />

Reggio le artiglierie e per spostare<br />

sui terreni fangosi queste armi fu<br />

costretto ad utilizzare dei tronchi.<br />

Durante una sortita gli abitanti<br />

riuscirono ad incendiare le cataste<br />

di legna utilizzate per spostare i<br />

cannoni ed Alfonso, furioso, stava<br />

già per ordinare l’assalto del paese<br />

quando Antonio Centiglia lo<br />

trattenne consigliandolo di aspettare<br />

che le scorte d'acqua dei nemici<br />

si fossero esaurite; in effetti<br />

dopo poco tempo la città di<br />

arrese per la mancanza d'acqua.<br />

Antonio Ventimiglia alias<br />

Centiglia era di origini siciliane<br />

ma aveva avuto l'investitura<br />

di alcuni feudi in Calabria,<br />

dapprima stava dalla<br />

parte degli angioini infatti,<br />

riunitosi a Luigi D'Arena,<br />

Battista Grimaldi, al fratello<br />

Alfonso ed a Luigi Caracciolo,<br />

sbarrò la strada agli aragonesi<br />

nella Sila.<br />

Successivamente, tramite i<br />

cognati Luca Sanseverino e<br />

Girolamo Ruffo, intavolò trattative<br />

per riconciliarsi con<br />

Ferrante, ma fu a Sinopoli con<br />

tre squadre di cavalli ed un<br />

buon numero di fanti e successivamente<br />

assediò la Rocchetta<br />

vicino Catanzaro.<br />

Durante l'assedio venne assalito<br />

e battuto in un agguato<br />

da Maso Barrese che catturò<br />

L’Alba <strong>della</strong> <strong>Piana</strong><br />

il fratello Alfonso.<br />

Alfonso defezionò quasi subito<br />

e convinse anche Antonio a passare<br />

nel campo aragonese con<br />

l'accordo che sua figlia Giovanna<br />

dovesse sposare Maso Barrese e<br />

portare in dote allo sposo tutti i<br />

beni derivanti dalla madre Enrichetta<br />

Ruffo.<br />

Alfonso di Aragona mosse contro<br />

l'altra Motta detta Rossa ma<br />

durante i preparativi dell'assedio<br />

si verificarono dei tremendi temporali<br />

e le scariche dei fulmini fecero<br />

esplodere le munizioni delle<br />

artiglierie, nell'esplosione perirono<br />

quattordici soldati ed il comandante<br />

Sancio D'Acerbo rimase<br />

stordito per parecchi giorni.<br />

Nonostante fossero state ricostituite<br />

le scorte di munizioni la città<br />

fu conquistata senza esplodere un<br />

colpo di cannone grazie al tradimento<br />

di tale Antonio, un ex monaco<br />

detto Gabbadio, che propose<br />

al comandante <strong>della</strong> città di farlo<br />

uscire per tentare d'inchiodare i<br />

cannoni dei nemici ovvero per otturare<br />

con dei chiodi i luminelli<br />

d'accensione dei cannoni, in effetti<br />

Gabbadio, uscito dalla città, si<br />

reco da Alfonso soltanto per proporgli<br />

il suo tradimento.<br />

Gabbadio, tornato in città, venne<br />

accolto con grande entusiasmo<br />

e facendo credere agli abitanti di<br />

voler prendere in giro gli assedianti,<br />

sali sugli spalti da dove<br />

lanciò delle scale sulle quali si<br />

aggrapparono immediatamente gli<br />

aragonesi che saccheggiarono il<br />

paese e deportarono gli abitanti<br />

superstiti nella città di Reggio.<br />

Successivamente Alfonso tentò<br />

di conquistare Sant'Agata ma la<br />

città era talmente ben presidiata<br />

dal Grimaldi che si rese conto che<br />

era meglio tornare a Cosenza ma<br />

comunque lasciò il Centiglia a<br />

Fiumara con l'esercito.<br />

Grimaldi rimase a Sant'Agata<br />

per due anni durante i quali non<br />

perdeva occasione per effettuare<br />

rapide incursioni nei paesi vicini e<br />

lasciò quella terra soltanto nel<br />

1464 quando il Duca Giovanni gli<br />

comunicò da Marsiglia che aveva<br />

stretto un patto con il cardinale<br />

Roverella e che, secondo questo<br />

patto, quelle terre passavano in<br />

possesso del cardinale e quindi<br />

sarebbero state amministrate<br />

dal fratello Florio.<br />

Avuta conferma di questo<br />

accordo, il Battista passò in<br />

Sicilia e quindi in Provenza<br />

dove si ricongiunse al duca<br />

Giovanni.<br />

Tuttavia la pace per le nostre<br />

contrade non fu duratura infatti<br />

dopo pochi anni per ulteriori<br />

contrasti tra angioini ed aragonesi<br />

maturarono le ben più<br />

famose battaglie di Seminara.<br />

In conclusione permettetemi<br />

di augurarmi che queste mie<br />

poche righe possano suscitare<br />

l'interesse per ulteriori studi<br />

ed approfondimenti su quel<br />

periodo <strong>della</strong> nostra storia di<br />

cui, purtroppo, rimangono<br />

poche notizie e vestigia.<br />

Gennaio 2010 Pagina 15


O<br />

gni anno, di solito attorno al<br />

20 dicembre, iniziavano le<br />

vacanze natalizie.<br />

Arrivati a Pescàno mettevamo<br />

su un presepe fantasioso, composto<br />

da vari residui di casette e pastori,<br />

ma che a noi sembrava bellissimo.<br />

Muschio, rametti di corbezzoli<br />

con i rossi frutti, specchi<br />

che simulavano laghetti.<br />

Però, tutti, quello che attendevamo<br />

con maggiore interesse era<br />

un gustoso pranzo natalizio offerto<br />

dalla nonna Rosa Marina, a<br />

turno, a tre famiglie di contadini,<br />

che mangiavano con noi attorno<br />

al lungo tavolo fatto armare dalla<br />

nonna nel casettone vicino a Villa<br />

Cavallari.<br />

Le quattro donne, aiutanti in<br />

cucina, iniziavano a lavorare<br />

giorni prima, per preparare i fusilli<br />

fatti a mano, le cotolettine di<br />

pollo, le polpettine di carne per il<br />

L’Alba <strong>della</strong> <strong>Piana</strong><br />

NATALE A PESCÀNO (1935-40)<br />

Domenico Cavallari<br />

brodo con la verdura, servito per<br />

tradizione come antipasto.<br />

Ed ancora, il ragù per i fusilli,<br />

cotto a fuoco lento, con carne di<br />

maiale, salsicce sotto strutto e carne<br />

di agnello, zeppole tradizionali,<br />

patatine, dolcetti di ogni tipo, vino<br />

aspumantino a volontà; e poi ricotta<br />

e quagliata di pecora, fichi secchi<br />

imbottiti con noce e canditi…<br />

La nonna faceva servire il<br />

pranzo con intervalli premeditati,<br />

per aiutare la degustazione<br />

delle<br />

pietanze.<br />

Poco prima<br />

del banchetto, arrivava<br />

il canonico<br />

Scoleri che<br />

celebrava una<br />

veloce Messa,<br />

mettendosi poi a<br />

tavola con noi e<br />

facendo onore ai<br />

preparati <strong>della</strong><br />

nonna e aiutanti.<br />

Il pranzo, lento,<br />

terminava a<br />

tarda sera.<br />

La nonna,<br />

come era sua usanza,<br />

distribuiva<br />

alle mamme<br />

somme in denaro<br />

e un fazzolettone<br />

per la testa; ai<br />

papà, tabacco e<br />

una coppola nuova;<br />

ai bambini, giocattolini in legno<br />

e latta, che faceva comperare<br />

da zio Matteo a Laureana.<br />

Durante il pranzo, e come intervallo<br />

salutare, venivo impiegato<br />

io – il più giovane dei nipoti – che<br />

recitavo la poesia natalizia, sempre<br />

la stessa, ma che era molto applaudita<br />

dai commensali… allegrotti<br />

per il buon vino digerito.<br />

Mi facevano salire sul tavolo e<br />

con le mossette del caso, iniziavo<br />

a declamare:<br />

È Natale, è Natale<br />

Grande gioia senza il male:<br />

Per essere a noi vicino<br />

È rinato Gesù Bambino.<br />

Per realizzare la carità<br />

Non basta solo la pietà:<br />

Per essere di Gesù degno<br />

Ci vuole un serio impegno.<br />

Quando il Mondo sarà più buono<br />

In cielo si sentirà un gran tuono:<br />

È il segnale che nostro Signore,<br />

Ci terrà sempre nel suo cuore.<br />

Poi chiedevo un applauso per<br />

l’iniziativa e per il pranzo <strong>della</strong><br />

nonna.<br />

La nonna ringraziava, benedicendoci<br />

tutti con un ramo di ulivo.<br />

A fine pranzo le mamme presenti<br />

erano invitate da nonna Rosa<br />

Marina a dividersi fra di loro<br />

quanto era rimasto.<br />

Sicuramente in ogni singola<br />

famiglia avrebbero mangiato bene<br />

per qualche altro giorno.<br />

Che bel Natale, ogni volta!<br />

Grazie, nonna.<br />

Gennaio 2010 Pagina 16


F<br />

ino a non n molto<br />

tempo fa i ricerca-<br />

tor ri di storia si iaffida- van no in buona sostan<br />

za a quanto prodotto p<br />

dag gli antichi autori,<br />

che e reiterat tamente<br />

pla agiavano. Non N che<br />

oggi<br />

non avvie ene, ma<br />

piùù<br />

che gli antichi,<br />

oggi<br />

si plagian no i mo-<br />

derrni.<br />

È più agevole! a<br />

Se non altro noon<br />

c’è il<br />

latino<br />

di mezzoo.<br />

Si ri-<br />

porrtano<br />

disinvolta<br />

meente<br />

quasi peer<br />

intero le fatiche fa al-<br />

truui<br />

come se foossero<br />

proprie e. Si trat-<br />

ta fortunatameente<br />

di una a sparuta<br />

miinoranza,<br />

chhe,<br />

alla fine e mostra<br />

scoopertamente<br />

in ogni pa articolare<br />

l’innganno.<br />

I piiù,<br />

senza alc cun dub-<br />

bio o, si rifanno soprattutto aldocu- meento<br />

e gli arcchivi<br />

di stato o privati<br />

con noscono gli sforzi di og gnuno nel<br />

ven nire a capo ddei<br />

tanti prob blemi che<br />

nei i secoli hannno<br />

interessat to la vita<br />

del lle comunitàà.<br />

Si, proprio<br />

la vita<br />

del lle comunitàà!<br />

Lo studio <strong>della</strong> d sto-<br />

riaa<br />

ormai non s’interessa piùuni- cammente<br />

a singgoli<br />

episodi eclatanti,<br />

chee<br />

pur a voltte<br />

hanno ca ambiato i<br />

desstini<br />

dei poppoli,<br />

ma è attento a in<br />

sommmo<br />

grado aad<br />

accertare e presen-<br />

tarre<br />

i conati ddell’umanità<br />

nell’impeggno<br />

ad andaare<br />

avanti. Quindi, Q a<br />

risaltare<br />

sono i comportame enti delle<br />

maasse<br />

in tuttaa<br />

la gamma delle si-<br />

tuaazioni.<br />

Non ssto<br />

qui ad el lencarli. I<br />

varri<br />

casi prosspettabili<br />

son no facil-<br />

meente<br />

intuibili.<br />

Sono molte e di vario ti ipo le do-<br />

cum mentazioni cche<br />

aiutano il i ricerca-<br />

tor re a comporrre<br />

il mosaico <strong>della</strong>vi- ta quotidiana di una popolazione,<br />

maa<br />

quello che, a parere di tanti, t rie-<br />

scee<br />

il più adattto<br />

allo scopo o è senza<br />

alccun<br />

dubbio ll’atto<br />

notarile<br />

o rogi-<br />

to, vera testimoonianza<br />

diret tta di fat-<br />

Geennaio<br />

2010<br />

L’Alb ba dell la <strong>Piana</strong>a<br />

UNAA<br />

SCO ORRIBAANDA<br />

A TRA ‘600 E 700<br />

NEELLA<br />

STORI S IA DI VARA V APODIIO<br />

Roc cco Lib berti<br />

ti e personaaggi,<br />

che solo o nell’ultimoo<br />

periodo haa<br />

raggiunto importantii<br />

traguardi. IIn<br />

passato, quando non n<br />

c’erano uffi fici appositi, tutti gli av-<br />

venimenti, anche i più trascurabili, ,<br />

venivano coonsegnati<br />

all la penna del l<br />

notaro, chee<br />

li seppelliv va in vecchi i<br />

tomi. A queel<br />

pubblico ufficiale, u ol-<br />

tre a vendiite,<br />

eredità, concessioni i<br />

ecc., si rriferiva<br />

di tutto, da a<br />

un’alluvionne<br />

che aveva recato gravi i<br />

danni alle cculture<br />

ad un n caso di os-<br />

sessa o dallla<br />

conversion ne di un tur-<br />

chesco, allaa<br />

rivelazione e di malver-<br />

sazioni e deelitti.<br />

Altro materiale m si-<br />

milare, ma fatta la deb bitapropor- zione, era rrappresentato<br />

o dai registri i<br />

parrocchialii,<br />

dove ogn ni evento di i<br />

particolare impressione,<br />

come il l<br />

grande flaggello<br />

del 17 783, era im-<br />

mancabilmeente<br />

annotat to per i po-<br />

steri. Non posso, in questa q sede, ,<br />

presentare aal<br />

gran comp pleto lo svi-<br />

luppo <strong>della</strong>a<br />

comunità varapodiese e<br />

nei secoli passati – sarebbe s una a<br />

presunzionee<br />

davvero im mproponibile e<br />

– ma i pochhi<br />

casi sui quali q mi sof-<br />

fermerò sarranno<br />

sicuram mentesuffi- cienti a deelineare<br />

alm meno alcuni i<br />

aspetti forsse<br />

poco o affatto a cono-<br />

sciuti ed a ffare,<br />

quindi, comprende-<br />

re come talii<br />

documentaz zioni, da so-<br />

le, basterebbero<br />

a far riv vivereistan- ze ed azionii<br />

di un tempo o che fu.<br />

Sul finire del '7700<br />

Varapodio<br />

o, meg glio,<br />

Varapodi,<br />

casale di<br />

Oppido,<br />

contava alll'in<br />

circa 1.150 abita anti<br />

compresi<br />

nelle due d<br />

parrocchie<br />

di S. Nic cola<br />

e S. St tefano. Da una u<br />

corrispo ondenza int ter-<br />

corsa nel n 1816 tra a il<br />

segretar rio di stato bor- b<br />

bonico addetto agli af<br />

fari del culto, il ves sco<br />

vo Ale essandro To om<br />

masini ed il sindaco o di<br />

Varapoddio<br />

si conosc ce che nel pae- p<br />

sello vivvevano<br />

all'ep poca circa 20 000<br />

naturali più un alt tro migliaio di<br />

«forastieeri<br />

bracciali» ».<br />

Fustigazzione<br />

di un terziario ago- a<br />

stinianoo<br />

nel 1647<br />

Si coonosceva<br />

per<br />

certo che fra<br />

Pietro dda<br />

Varapodi, , terziario ago- a<br />

stiniano, , fosse stato fustigato dieetro<br />

ordine ddell'affittuario<br />

o dello statoo<br />

di<br />

Terranovva,<br />

don Fulv vio Caraccioolo,<br />

dopo esssere<br />

stato tr radotto nel ca-<br />

stello. MMa<br />

un tal fra angente non po<br />

teva asssolutamente<br />

essere provvato<br />

perché nnessuno,<br />

sicu uramente, si sa-<br />

rebbe faatto<br />

avanti a testimoniaare.<br />

Motivo per cui l'avv vocato fiscal le e<br />

procurattore<br />

<strong>della</strong> cor rte vescovile e di<br />

Oppido, don Matteo o Teotino ed d il<br />

priore deel<br />

convento di d S. Maria del- d<br />

la Grazia,<br />

fra Dome enico da Fran nci<br />

ca, il 7 ottobre 1647 7 inoltrarono o al<br />

vescovo di Nicotera ed al suo vi ica-<br />

rio geneerale,<br />

scelti quali deleg gati<br />

apostolicci<br />

nella caus sa tra il mo ona-<br />

stero vaarapodiese<br />

ed d il Caraccio olo,<br />

richiestaa<br />

di emanazio one di un mooni<br />

torio di scomunica, che solo foorse<br />

avrebbe permesso di i mettere le cose<br />

a postto.<br />

Pagina<br />

17


L'arcivescovo di Santa Severina<br />

nel 1671 benedice la prima pietra<br />

<strong>della</strong> chiesa del Rosario<br />

Nel 1672 la chiesa del Rosario a<br />

Varapodio era ancora in stato di costruzione.<br />

Ne relazionavano al notaio,<br />

in presenza dell'arcivescovo di<br />

Santa Severina mons. Giuseppe Palermo<br />

originario di Molochio, i<br />

fondatori mag. Carlo Brancati e<br />

Anef (?) Medicina con il figlio dr.<br />

Antonio, tutti domiciliati in quel<br />

villaggio, i quali vennero a riferire<br />

di numerosi particolari.<br />

Essi, desiderando erigere dalle<br />

fondamenta un tempio in onore <strong>della</strong><br />

S.ma Vergine del Rosario «nella<br />

regione detta il petto <strong>della</strong> Corte»,<br />

in terreno accosto alle «case palatiate»<br />

di loro residenza, ne avevano<br />

ottenuto licenza dal vescovo diocesano<br />

mons. Paolo Diano Parisio, il<br />

quale in data 22 settembre 1671 aveva<br />

pure provveduto a concedere<br />

al suddetto prelato il permesso di<br />

benedire «la prima pietra e fare<br />

l'altri atti necessarj» e celebrare il<br />

pontificale romano all'altare appositamente<br />

elevato. Alla chiesa, <strong>della</strong><br />

quale effettiva-mente venne di lì a<br />

poco, il 27 dello stesso mese, a<br />

compiersi la funzione indicata, a cui<br />

assistette anche il Diano Parisio, i<br />

Brancati affidavano una dote di 10<br />

ducati più un altro all'anno con il<br />

fine di far celebrare una messa settimanale<br />

ad un «sacrista» scelto da<br />

loro e successori. Tutto questo ci<br />

dice che essi potevano essere stati<br />

spinti a far ciò dalla necessità di assicurare<br />

il sostentamento ad un parente,<br />

cosa non insolita ai tempi,<br />

anzi! Al nuovo ente assegnavano<br />

ulteriori somme<br />

usufruibili da censi loro dovuti,<br />

come segue: duc. 36<br />

da Caterina Changemi di<br />

Messignadi, duc. 36 da<br />

Francesco Malarbì da idem,<br />

duc. 23 e carl. 4 da d. Pietro<br />

Gioanne e Filippo d'Agnolo<br />

da id., duc. 18 da d. Filippo<br />

Augimeri da Varapodio,<br />

quindi duc. 1 e carl. 8 di<br />

annui censi e duc. 10 e tarì<br />

1 sopra loro beni stabili.<br />

Oltre a ciò, s'impegnavano<br />

a provvedere la chiesa<br />

L’Alba <strong>della</strong> <strong>Piana</strong><br />

di un altare ed a dotarlo <strong>della</strong> suppellettile<br />

sia sacra che profana occorrente,<br />

più cera, olio per le lampade<br />

e quant'altro potesse necessitare.<br />

Il rogito del 1672 era una conferma<br />

di quanto stabilito in precedenza.<br />

Non conosciamo quando e come<br />

venne completata, ma una chiesa<br />

del SS. Rosario agì in Varapodio<br />

anteriormente al terremoto del<br />

1783. Ne danno atto i registri parrocchiali<br />

e notarili ed anche il catasto<br />

De Bonis, che la indica quale<br />

«cappella». Il documento, di cui<br />

abbiamo sopra relazionato, permette<br />

di correggere alcune inesatte affermazioni<br />

espresse in passato. Non<br />

furono i Majorica a possedere in<br />

origine per diritto di jus patronato<br />

il tempietto in questione né vi possono<br />

essere stati tumulati defunti<br />

prima <strong>della</strong> sua costruzione, cioè,<br />

come si dice, a partire dal 1615. Peraltro,<br />

gli atti vaticani ci danno<br />

chiara notizia di un Antonio Brancato,<br />

che nel 1660 era provvisto<br />

<strong>della</strong> cappellania di S. Michele Arcangelo<br />

nella chiesa di S. Nicola<br />

con frutto di 24 ducati, mentre<br />

quelli notarili di altro omonimo o<br />

parente vivente nel 1674 e dedito<br />

all'arte <strong>della</strong> medicina. Era quest'ultimo,<br />

sicuramente, il figlio dei fondatori<br />

indicato col titolo di dottore.<br />

Cittadini di Anoia e Varapodi condannati<br />

sulle galere tra 1733 e 1737<br />

Giuseppe Fossari e Carmelo<br />

Lucchisi di Varapodi, entrambi<br />

trentottenni, il 23 giugno del 1743<br />

riferivano al notaio come verso il<br />

1733 si ritrovassero assieme a<br />

Resti del convento degli Agostiniani<br />

Carmine Giorgìa di Anoia, allora di<br />

stanza a Terranova, a servire sulla<br />

galera Sant'Elisabetta <strong>della</strong> squadra<br />

di Napoli, essendo stati condannati<br />

dalla regia udienza di Catanzaro.<br />

Un giorno il comandante ordinò di<br />

far vela verso «Tresti» (Trieste?) a<br />

quella capitanata da lui e ad altre<br />

due ed ivi giunti, quelli vi rimasero<br />

per ben tre anni. Avendo, intanto, il<br />

generale Pallavicini concesso la<br />

grazia alle tre ciurme al completo,<br />

tutti gli uomini furono condotti a<br />

terra. Qui egli li passò in «rivista» e<br />

ne venne a scegliere 150, con i quali<br />

volle formare una compagnia di<br />

«Granetteri per la custodia di Tresti».<br />

Di essa ne vennero a far parte<br />

anche i tre calabresi, che in quella<br />

città rimasero ancora un anno, trascorso<br />

il quale ebbero licenza di ritornarsene<br />

alle proprie dimore. Alla<br />

stesura dell'atto assistettero, tra gli<br />

altri, il regio giudice ai contratti<br />

Francesco Giofrè di Messignadi,<br />

chierico don Pio dell'Oleo, magnifico<br />

Gioacchino Augimeri e Giacomo<br />

de Laurentijs.<br />

Mentre il Fossari viveva in quel<br />

di Trieste, il di lui padre Domenico<br />

a Varapodio, «sotto false persuasioni,<br />

e motivi con rivela fatteli dal<br />

Reverendo Abate don Domenico<br />

Boccafurni fu indotto fare al medesimo<br />

donazione irrevocabile tra vivi<br />

delli suoi beni» con atto di notar<br />

Giulio Lemmo. Gli si era dato a bere,<br />

in particolare, che il figlio si<br />

qualificava ormai «per certo inabile<br />

a più ricevere la libertà». Verificatosi<br />

il contrario e ritornato alfine<br />

Giuseppe predetto «in casa dell'oratore<br />

sotto la sua Padria potestà»<br />

proprio nel 1737, cioè<br />

dopo i quattro anni, di cui si è<br />

riferito, il genitore chiese l'annullamento<br />

di quella sua prima<br />

concessione.<br />

Offerte ed acquisti di suppellettili<br />

religiose di un certo<br />

valore tra 1753 e 1779<br />

Un cittadino di Varapodi,<br />

Giuseppe Tropiano, il 9 gennaio<br />

1753 venne a far omaggio<br />

alla chiesa parrocchiale di<br />

Santo Stefano di «un calice di<br />

argento colla sua patena», di<br />

Gennaio 2010 Pagina 18


cui era «vero Padrone», a certe condizioni,<br />

che dettò ad un pubblico notaio.<br />

Di seguito quanto preteso dal<br />

donatore. Le cappelle dei Suffragi e<br />

del Venerabile, ubicate nello stesso<br />

tempio, avrebbero dovuto dare in<br />

cambio alla cappella del S.mo Crocifisso,<br />

da lui stesso fondata, «tutto<br />

l'utensile, cioè di vestimenti, calice,<br />

messale, otra (oltre?), ostie, e vino<br />

in perpetuo», materiale che occorreva<br />

per poter celebrare due messe<br />

semplici ed altra cantata nella ricorrenza<br />

del suo «anniversario» e venti<br />

messe all'anno «sopra la Casa».<br />

Inoltre, nel frangente delle festività<br />

in onore del S.mo Crocifisso, ricorrenti<br />

nei mesi di maggio e settembre,<br />

avrebbero dovuto imprestarle il<br />

medesimo calice avuto in offerta.<br />

In altre occasioni si ha notizia<br />

dell’acquisto per la chiesa di San<br />

Nicola di una grande pisside in argento<br />

fatta ad Oppido a dicembre<br />

del 1765 e pagata 36 ducati, quindi di<br />

una croce d'argento e di un aspersorio,<br />

per come testimoniava la ricevuta<br />

rilasciata dall'orefice oppidese<br />

Francesco Russo sotto la data del 19<br />

novembre 1776. Il costo di<br />

quest’ultimo oggetto era quantificato<br />

in 76 ducati, 47 grana e 9 piccoli.<br />

La festa <strong>della</strong> Madonna del Carmine<br />

un anno avanti il grande<br />

flagello<br />

È nota la grande passione che i<br />

Varapodiesi mettono nell'organizzazione<br />

delle sagre paesane, soprattutto<br />

di quella in devozione <strong>della</strong> Madonna<br />

del Carmine, espressione <strong>della</strong> parrocchia<br />

di Santo Stefano, cuore dei<br />

"iusani". Se per la nostra epoca a<br />

darcene un vivo ritratto sono cronache<br />

giornalistiche, bollettini ecclesiastici,<br />

il cronicon parrocchiale od anche<br />

le memorie dell'uomo, per il periodo<br />

precedente il grande flagello ci<br />

si offrono due obblighi notarili, con<br />

attori delle persone chiamate ad esercitare<br />

per l'occasione la loro arte.<br />

Il 9 giugno del 1782 presso il<br />

locale notaio Lenza vennero ad abboccarsi<br />

mastro Francesco Tropeano,<br />

cassiere pro-tempore <strong>della</strong> congrega<br />

di S. Maria del Carmine eretta<br />

nella chiesa arcipretale di Santo Stefano<br />

e mastro Marino Rao di Casalnuovo,<br />

i quali si affidarono ad un<br />

L’Alba <strong>della</strong> <strong>Piana</strong><br />

contratto. Il Rao s'impegnava ad eseguire<br />

una serie di «artificii, e spari<br />

di mortaretti» durante lo svolgimento<br />

<strong>della</strong> festa di S. Maria del Carmine,<br />

che avrebbe dovuto aver luogo<br />

nella terza domenica di luglio, come<br />

anche a tempo <strong>della</strong> novena. Dietro<br />

compenso di ducati 4 e grana 75 al<br />

«migliaro» più 20 carlini per «spese<br />

cibarie», avrebbe dovuto fornire<br />

«folgori, bombe, rotelle e batterie»<br />

nella misura ordinatagli dal Tropeano,<br />

il quale peraltro teneva a ribadire<br />

«che il numero delli mortaretti per<br />

riuscire facile lo sparo debba essere<br />

di mille, e ducento», o da un suo incaricato.<br />

Per il trasporto e gli uomini<br />

di esso incaricati si sarebbe dovuto<br />

occupare lo stesso pirotecnico, restando<br />

a suo completo carico le spese<br />

in riferimento. Era ancora il Tropeano<br />

il successivo 16 giugno a far<br />

convenzione per il medesimo motivo<br />

con mastro Francesco Papalia di<br />

Palmi, «apparatore di chiese».<br />

Quantificandosi una corresponsione<br />

di 15 ducati, quest'ultimo avrebbe<br />

dovuto «apparare, ed adornare» la<br />

chiesa di S. Stefano «con li soliti<br />

padiglioni, palastri, con le solite<br />

nimpe, macchinette, frico, e che sia<br />

di robbe nuove» ed occuparsi <strong>della</strong><br />

sistemazione, accensione e spegnimento<br />

<strong>della</strong> cera consegnatagli dalla<br />

confraternita. Le spese di trasporto<br />

restavano tutte a suo carico, ma il<br />

sodalizio gli veniva incontro elargendogli<br />

ancora 6 carlini.<br />

Una spezieria nel 1784<br />

Dagli atti d'archivio si rileva<br />

all’epoca l'esistenza di una spezie-<br />

ria a Varapodi. Apparteneva al<br />

mag. Giuseppantonio Lenza, il quale<br />

il 17 gennaio dello stesso ordinava<br />

a mastro Orazio Buttafoco di<br />

Catania il facimento degli arredi<br />

necessari. Probabilmente, doveva<br />

operare da più tempo ed essere incappata<br />

nei guasti del sisma<br />

dell'anno prima. Difatti, nel rogito,<br />

che venne ad interessare i due, è<br />

chiaro cenno <strong>della</strong> presenza di un<br />

«Bancone <strong>della</strong> maniera di prima»<br />

e di una «tavola vecchia». Questi i<br />

patti intercorsi tra l'agiato varapodiese,<br />

che sottoscrisse con buona<br />

grafìa ed il lavoratore siciliano, che<br />

appose solo un segno di croce e fu<br />

definito, perciò, «idiota», cioè analfabeta.<br />

Mastro Orazio avrebbe dovuto<br />

«compire, e rendere a perfezzione<br />

una spezieria di legno di noce,<br />

di abeto, e castagna giusta il disegno<br />

che esso produsse», liscia e<br />

senza intagli, comprendente cinque<br />

stipi con relative vetrate, le cui<br />

scansìe nella parte sottostante regolate<br />

con apertura «a guisa di Burò»,<br />

il tutto secondo «le regole dell'arte,<br />

e il disegno predetto». Erano a carico<br />

del Lenza l'acquisto del «tavolame<br />

e chiodame» occorrenti e le<br />

«spese cibarie», oltre «l'albergo, e<br />

letto» da fornire al Buttafoco e ad<br />

uno o due mastri, che l'avessero affiancato.<br />

Per la manifattura di<br />

quanto richiesto si era stabilita la<br />

somma di 36 ducati e per intanto,<br />

come «caparro» il committente ne<br />

versava 13 più grana 30 in contanti.<br />

Gennaio 2010 Pagina 19


Un brigante o patriota del decennio<br />

francese: Nicolantonio<br />

Demasi<br />

In passato abbiamo esperito<br />

indagini nei fondi più pertinenti,<br />

onde ottenere, oltre a quanto pubblicato<br />

dal Caldora e dal Mozzillo,<br />

qualche notizia in più in merito ad<br />

uno dei personaggi più famosi,<br />

anche se «tristamente», come<br />

scrive il primo, di Varapodi. Intendiamo<br />

dire di Domenico De Masi alias<br />

Nico-Leone o Mico-Leone, ch'è<br />

stato accomunato ai crudeli Vizzarro,<br />

Parafante, Friddizza e Francatrippa,<br />

cioè al fior fiore del brigantaggio del<br />

decennio francese. Nonostante ogni<br />

impegno messo nella caccia al documento,<br />

nessun elemento nuovo è<br />

mai venuto alla luce, per cui abbiamo<br />

dovuto giocoforza accontentarci<br />

dell'atto riportato dal Mozzillo, che<br />

faceva del De Masi nel gennaio del<br />

l807 un fuoruscito in contatto con elementi<br />

di Pedàvoli di uguale stampo,<br />

bollati come briganti dall'esercito<br />

di occupazione, ma forse, al pari di<br />

tanti altri, in odore di patrioti presso i<br />

fautori dell'abolito regime.<br />

Viene a riparare in buona parte ad<br />

una delle tante lacune la scrittura di<br />

un notaio di Terranova, che ci permette<br />

di conoscere il personaggio in<br />

questione prima <strong>della</strong> sua reazione ai<br />

nemici giunti d'oltralpe e ridimensiona<br />

completamente quello che giustamente<br />

poteva sembrare un nome<br />

di battaglia riferito a sue possibili<br />

imprese belliche o pseudo tali. Domenico<br />

Di Masi, come annotato, era<br />

chiamato Nico-Leone semplicemente<br />

perchè figlio di Leone Di Masi e non<br />

per altra causa. Per cui Nico-Leone<br />

sta per Nico di Leone.<br />

Col rogito di nr. Cento del febbraio<br />

l806, cioè di un mese prima che i<br />

francesi iniziassero la conquista del<br />

territorio calabrese, il Di Masi, che<br />

certamente pensava ai casi suoi senza<br />

altri grilli per il capo, venne ad acquistare<br />

da tale Nicolina Morabito, moglie<br />

di mastro Domenico Lorenzo<br />

«una casa palaziata divisa in due<br />

stanze, e cucina con scala di fabrica<br />

di fuori ... sita e posta nel quartiere<br />

Fiore», che il muratore mastro Giuseppantonio<br />

Comperatore ed il fale-<br />

L’Alba <strong>della</strong> <strong>Piana</strong><br />

gname mastro Marco Barone avevano<br />

valutato ducati 250 e carlini 2. Il<br />

Di Masi, che all'epoca non doveva<br />

certo nuotare nell'oro, ai due coniugi,<br />

i quali avevano deciso la vendita <strong>della</strong><br />

casa allo scopo di farsene una «più<br />

comoda, e di maggior veduta e ariosa»,<br />

versò quanto doveva parte in<br />

contanti in più rate e parte in pietre,<br />

calce, tegole ed altro materiale che a<br />

detti occorreva per l'erezione <strong>della</strong><br />

nuova abitazione. Superfluo dire che<br />

il Di Masi appose nel documento soltanto<br />

il segno di croce, in quanto,<br />

come le altre persone costituite, non<br />

sapeva firmare. Fecero da testimoni<br />

nell'occasione Filippo Lenza, Giuseppe<br />

Sammarco e Francesco Paolo<br />

Virdia. Particolare interessante:<br />

quest'ultimo, assieme al Di Masi,<br />

verrà qualificato in una lista compilata<br />

nel l8l2 come capomassa, cioè capo<br />

di uno dei tanti raggruppamenti<br />

formatisi in opposizione armata alla<br />

dominazione straniera.<br />

Pianoti in giro per l'Europa con le<br />

armate napoleoniche<br />

Non è, certo, cosa di tutti i giorni<br />

pescare in archivio notizie su calabresi,<br />

segnatamente oriundi <strong>della</strong><br />

<strong>Piana</strong> di Gioia, al seguito dei contingenti<br />

napoleonici operanti sullo scacchiere<br />

europeo e, cioè, come ben ha<br />

indicato il Poeta, «Dall'Alpi alle Piramidi,<br />

dal Manzanarre al Reno ...<br />

da Scilla al Tanai, dall'uno all'altro<br />

mar». Però, se in passato avevamo<br />

potuto segnalare un abitante di Iatrinoli,<br />

Vincenzo Zappone, morto nel<br />

l832, il quale nel l8l2, appena ventenne,<br />

era stato «miles belli Russiae»,<br />

quindi un soldato che aveva partecipato<br />

alla campagna di Russia, il caso<br />

di recente ci ha messo sulla pista di<br />

ben cinque palmesi e di uno di Varapodi,<br />

i quali tutti nel l8l3 vennero a<br />

trovarsi in Spagna a cagione di altro<br />

conflitto. A rivelare il nuovo<br />

frangente è un atto notarile con attori<br />

i primi cinque. Il 29 maggio<br />

del l8l5, quindi nel periodo dei famosi<br />

cento giorni, avanti al notaio<br />

Zappone in Palmi fecero una comune<br />

dichiarazione Elia e Michele<br />

Cicala fu Saverio e Carmine Parrello<br />

fu Rocco, di mestiere vaticali,<br />

Gaetano Pavia di Giuseppe, industriante<br />

e Antonino Genovese, bracciale,<br />

domiciliati nei quartieri S. Elia,<br />

li Canali e il Rosario e tutti in maggior<br />

età. Detti rivelarono al funzionario<br />

quanto segue.<br />

Nei primi mesi del l8l3 essi si<br />

conducevano in Spagna in forza al<br />

Reggimento Franco, sicuramente una<br />

specie di legione straniera al cui comando<br />

c'era il colonnello Chiari, che<br />

serviva la causa di «Sua Maestà Britannica».<br />

Sostando nelle località denominate<br />

Biar e Castajno, ebbero<br />

modo d'incontrare Domenico Antonio<br />

Sgambiatterra di Varapodi, già<br />

alle dipendenze dell'ex-re Gioacchino<br />

Napoleone, il quale, avendo disertato<br />

dal reggimento in cui militava, venne<br />

poi ad intrupparsi in quello, del quale<br />

i cinque facevano parte. Questi ultimi<br />

ben conoscevano lo Sgambiatterra, in<br />

quanto, a motivo del mestiere esercitato,<br />

avevano avuto modo in precedenza<br />

di recarsi «spesso» a Varapodi.<br />

Ma, se alla fine riuscirono a riportare<br />

la pellaccia a casa, non fu così per<br />

quel poveretto, che appena ad aprile<br />

del medesimo anno venne a cadere<br />

sul «Campo di Battaglia» di Biar assieme<br />

a molti altri commilitoni in<br />

uno scontro che oppose il reggimento<br />

ai «Nemici Francesi». Ai palmesi<br />

toccò vederlo «morto» proprio in<br />

quell'azione di guerra.<br />

E così via! Avremmo sicuramente<br />

potuto dire tant’altro e su tanti altri<br />

aspetti. Come vedete, a piluccare tra i<br />

vari rogiti non c’è che l’imbarazzo<br />

<strong>della</strong> scelta. Certo, ormai tante perlustrazioni<br />

tra le vecchie carte sono state<br />

già esperite, ma vi assicuro che a<br />

ritornare sui nostri passi c’è sempre<br />

qualcosa di nuovo da scoprire, anche<br />

su particolari che appaiono già bell’e<br />

definiti. È proprio questo il bello <strong>della</strong><br />

ricerca!<br />

Gennaio 2010 Pagina 20


L<br />

e credenze popolari di un<br />

tempo riguardavano principalmente<br />

il mondo rurale e, dagli<br />

uomini che ne facevano parte, venivano<br />

rispettate e tramandate. La<br />

loro vita dedita alla campagna,<br />

consisteva di rituali quotidiani,<br />

mensili e stagionali. Visti i tempi<br />

in cui ci troviamo, proviamo ad<br />

analizzare i riti e le credenze del<br />

mese in corso e di febbraio, attraverso<br />

alcuni detti<br />

e modi di dire che<br />

accompagnavano<br />

la vita dei contadini<br />

di altri tempi.<br />

Gennaio, era<br />

ed è un mese importante,<br />

cioè<br />

quello che segue il<br />

vecchio anno, ma,<br />

soprattutto, dà inizio<br />

al nuovo. I<br />

due mesi che si<br />

susseguono hanno<br />

molto in comune:<br />

dicembri e jenaru<br />

si spartinu i cucchjari,<br />

cioè si dividono<br />

(o condividono) molte cose.<br />

Infatti, dal punto di vista meteorologico,<br />

i primi giorni di gennaio<br />

generalmente sono come gli ultimi<br />

giorni di dicembre. Entrambi<br />

fanno parte dell’inverno, sono<br />

freddi e mantengono la campagna<br />

silente. Così finisce l’anno, tra<br />

buoni auspici e sortilegi. C’è da<br />

lavorare soprattutto tra gli ulivi;<br />

c’è da accudire la famiglia e crescere<br />

i figli; si ha fede, si deve andare<br />

in chiesa per chiedere protezione<br />

e speranza; c’è da soffrire e<br />

lottare giornalmente e rassegnarsi<br />

alle malattie e all’impotenza<br />

dell’uomo che nulla può nei confronti<br />

del soprannaturale. Così,<br />

L’Alba <strong>della</strong> <strong>Piana</strong><br />

<strong>CREDENZE</strong> <strong>POPOLARI</strong> E<br />

«MODI DI DIRE» CALABRESI<br />

Antonio Violi<br />

umilmente si sostiene: comu m’ ‘i<br />

manda m’ ‘i pígghjiu, come Iddio<br />

me le manda (sofferenza o felicità),<br />

le accetterò, ciò per confermare<br />

la vita umile e rassegnata di<br />

quella povera gente.<br />

Cambiato foglio al calendario,<br />

gennaio si fa sentire con i fatti, perché<br />

ci ritroviamo nel vero inverno.<br />

Un mese buio dell’anno, da<br />

molti paragonato al medioevo nel<br />

contesto delle ere. Ma in realtà, il<br />

mese ci offre la luna più splendente<br />

dell’anno. Se la luna non è<br />

offuscata dalle nuvole, di notte si<br />

può gironzolare in aperta campagna<br />

e ritrovarsi nel cielo la luna<br />

grande e splendente. Un “girare di<br />

pagina” che annualmente si ripete,<br />

per chi vive: ogni vintiquattr’uri<br />

è mundu novu, ogni<br />

sett’anni ’u mundu gira. Quello<br />

che può capitare giornalmente è<br />

imprevedibile e, comunque, diverso.<br />

Alla fine, dicembre ritorna<br />

ancora, non soltanto come mese,<br />

ma anche per chiudere l’anno<br />

(quello vecchio!): i giorni si allungano…’i<br />

Natali ’mpoi ’nu passu ’i<br />

voi, ecc. Difficilmente, però, i con-<br />

tadini di un tempo andavano in giro<br />

di notte. Loro andavano presto a<br />

letto perché l’illuminazione artificiale<br />

non era cosa di tutti e, comunque<br />

doveva dormire e riposare,<br />

per recuperare la stanchezza<br />

sofferta durante il giorno: la notte<br />

è inquietante! è tempo degli incendi,<br />

dei tradimenti e degli …<br />

spettri.<br />

Nuovo anno, nuovi propositi?<br />

Tutto il vecchio si<br />

butta via:<br />

bon’annu e bon<br />

capu di misi, tutti<br />

li vecchji cu’<br />

ll’anchi tisi, col<br />

nuovo anno si<br />

buttano via anche<br />

le persone vecchie,<br />

specie quelle<br />

più difficili da<br />

gestire.<br />

Comunque, è<br />

un’importante ricorrenza<br />

da festeggiare,<br />

per cui<br />

anche in questo<br />

caso arriva un avvertimento:<br />

bon capudannu e bon<br />

capu di misi, arretu a’ ’la porta<br />

’na petra ti misi, e ti la misi pe’<br />

tuttu l’annu, u ti ricordi du’ capudannu.<br />

Le festività natalizie dovrebbero<br />

terminare con l’Epifania (…chi<br />

tutti i festi porta via), ma pare che<br />

a questo patto non ci stia la Candelòra,<br />

la quale si coinvolge di prepotenza,<br />

infatti: jitivindi cara Matri,<br />

ca’ li festi su’ finuti - rispundiu<br />

‘a ‘Pifania – no ca’ ancora<br />

‘nc’esti ‘a mia – rispundiu ‘a<br />

Candilora – e ‘a mia esti cchju fora,<br />

cioè il 2 febbraio. Mattina<br />

dell’epifania, giorno <strong>della</strong> befana, i<br />

bambini si svegliavano come in-<br />

Gennaio 2010 Pagina 21


cantati, con la mente che fantasticava<br />

nella speranza di un bel regalo<br />

(chi se lo poteva permettere!)<br />

sotto il letto. Ma, soprattutto, la loro<br />

fantasia era rivolta alla befana, a<br />

quella vecchia che entrava nelle<br />

case, forse dal comignolo, per lasciare<br />

soprattutto ai bravi un bel<br />

regalo. Ai cattivi, indiscutibilmente,<br />

cenere e carbone!<br />

Da gennaio in poi, ma specialmente<br />

a marzo, si sceglie una<br />

giornata in cui il tempo sia sincero,<br />

ma con la luna crescente, per tramutare<br />

il vino. La luna di questo<br />

mese è propiziatoria di molti eventi<br />

positivi, come per la semina, la maturazione<br />

di alcuni frutti, la raccolta<br />

e, addirittura, per la fecondazione,<br />

la gravidanza ed il parto delle contadine<br />

e degli animali. Gli animali<br />

devono trascorrere nove lune<br />

piene per partorire. Ogni 29 la<br />

luna vecchia sarà nuova.<br />

I frutti invernali sono, oltre<br />

alle olive, arance, mandarini,<br />

limoni, ecc. Per questo<br />

periodo è la verdura a compensare<br />

le esigenze alimentari<br />

del contadino: patate, broccoli,<br />

cavoli, carciofi, finocchi,<br />

bietole varie, ecc., e<br />

quello che si era accumulato<br />

nell’estate e nell’autunno.<br />

Non ultimi, gli importanti<br />

grassi conservati dopo aver macellato<br />

il maiale. Cosa che più<br />

frequentemente succede tra dicembre<br />

e gennaio.<br />

Il 20 gennaio si festeggia S.<br />

Sebastiano e, secondo la credenza<br />

popolare, è un giorno caratterizzato<br />

dalla pioggia. In questi giorni,<br />

il contadino, in rapporto<br />

all’aspetto ed alle condizioni<br />

dell’uliveto e dell’oliva, ricavava<br />

l’idea dell’annata più o meno<br />

buona. Si ricorda che un tempo le<br />

olive si raccoglievano dopo caduta<br />

spontanea, fino ai mesi estivi.<br />

Gli esperti pastori consigliavano<br />

crapa i jenaru e pecora<br />

d’agustu.<br />

Finisce gennaio e per molti finisce<br />

il grande inverno, perché<br />

da’ Candilora l’urzu caccia ’a te-<br />

L’Alba <strong>della</strong> <strong>Piana</strong><br />

sta fora…, finisce il letargo di<br />

molti animali. Ma una continuazione<br />

di questo detto vuole che si<br />

aggiunga: …se voliti e se no’ voliti,<br />

quaranta jorna ‘i ’mbernu aviti,<br />

se volete e se non volete ci sono<br />

ancora quaranta giorni di inverno<br />

ed infatti, facendo i conti, si<br />

arriva quasi alla metà di marzo.<br />

Mentre, gioveddì ‘i ll’agghjaloru<br />

(o ardaloru), cu’ no’ ’nd’avi carni<br />

si ’mpigna ‘u figghjolu. Cioè,<br />

giovedì grasso, per tradizione si<br />

dovrebbe mangiare carne e la<br />

gente fa di tutto per poter osservare<br />

questa tradizione.<br />

Un segno premonitore poco<br />

piacevole per il pastore è<br />

l’abbondante piovosità di gennaio:<br />

jenaru siccu, massaru riccu,<br />

jenaru vagnatu, massaru rovina-<br />

tu. L’acqua abbondante di questi<br />

tempi condiziona la quantità e la<br />

qualità dell’erba primaverile che,<br />

comunque, comu faci ‘u ’mbernu<br />

faci ‘a stati… e tu contadino, puta<br />

e liga a jenaru se voi ‘u linchi ‘a<br />

cantina, cioè pota e lega la vigna a<br />

gennaio se vuoi fare un’ottima<br />

vendemmia. Comunque, non ci si<br />

può sbagliare, a gennaju e febbraju<br />

puta paru: si può potare qualsiasi<br />

albero durante i primi due mesi.<br />

Addirittura: ciangi lu pecuraru<br />

quando ‘nghjela, no’ ciangi quandu<br />

batti la cucchjara, cioè, il pastore<br />

si preoccupa quando c’è gelo,<br />

ma gioisce quando lavora<br />

l’abbondante latte.<br />

Giorno 3 febbraio è la festa di<br />

san Biagio, ‘i san Biasi ‘a merenda<br />

trasi e, visto che c’è soltanto<br />

un giorno di differenza con la<br />

Candelora, un’altra versione dice:<br />

san Biasi, san Biasellu, l’urzu<br />

caccia ‘a testa fora, anche questa<br />

è una conferma <strong>della</strong> fine<br />

dell’inverno. Secondo la credenza,<br />

giorno di S. Biagio è caratterizzato<br />

dalla grandine.<br />

Il 5 febbraio veniva ricordato<br />

il grande flagello del 1783 attraverso<br />

la celebrazione di alcune<br />

messe. Era usanza, per evitare che<br />

il “malu spiritu”, cioè il diavolo,<br />

si appropriasse del corpo di qualche<br />

bambino, di appuntare dentro<br />

le giacchette le medagliette benedette<br />

di metallo, raffiguranti Gesù,<br />

la Madonna o altri santi, e un<br />

abitino contenente incenso preso<br />

in chiesa e qualche foglia di ulivo<br />

benedetto, per cui si raccomandava,<br />

in caso di visioni straordinarie,<br />

di fare il segno <strong>della</strong><br />

croce, per scacciare il diavolo<br />

e gli spiriti maligni.<br />

Non è un mese lungo febbraio,<br />

ma potrebbe essere<br />

molto freddo e piovoso: frevaru<br />

curtu e amaru, amaru è<br />

cu’ lu dici, ca’ esti lu hjuri di<br />

tutti li misi. Mentre un’altra<br />

versione dice: frevi mu<br />

’nd’avi cu’ frevi mi misi, eu<br />

su’ lu hjiuri di tutti li misi. È<br />

inverno! Tra febbraio e marzo<br />

è bene zappare la vigna ma, se<br />

prendiamo in cosiderazione questi<br />

primi due mesi dell’anno, per il<br />

contadino non c’era un gran lavoro<br />

negli orti.<br />

Con questo mese potrebbe<br />

terminare il peggio. Potrebbe,<br />

perché poi ci sarà marzo pazzerello:<br />

‘nc’é marzu pa’ gneji! Il lungo<br />

inverno comincia a stancare di<br />

questi tempi, ma bisogna ancora<br />

avere pazienza, anche se prossimamente<br />

il calendario segnerà<br />

l’arrivo <strong>della</strong> primavera. Frevaru<br />

scorcia i vecchji o’ focularu ma,<br />

se marzu pungi, ti scoppa<br />

l’unghji; i vecchi è bene che stiano<br />

ancora al fuoco!<br />

Gennaio 2010 Pagina 22


N<br />

L’Alba <strong>della</strong> <strong>Piana</strong><br />

ALCUNE EVIDENTI INCONGRUENZE<br />

PSEUDO-STORICHE SULLA VITA DI<br />

SAN NICODEMO DI MAMMOLA<br />

otizie certe sulla vita di san<br />

Nicodemo ci sono pervenute<br />

attraverso il “Sermone sulla vita<br />

del santo padre nostro Nicodemo<br />

ad opera dell’umile monaco Nilo”<br />

del monastero delle Saline o di S.<br />

Elia il Giovane, composto in greco<br />

nell’XI secolo.<br />

Esso fu copiato nel 1307 da un<br />

inesperto monaco siculo-greco del<br />

Monastero del SS. Salvatore di<br />

Messina, di nome Daniele, definito<br />

copista di rara eleganza, ma<br />

particolarmente abile nello storpiare<br />

toponimi e nomi che non conosce.<br />

Probabilmente l’amanuense<br />

ha scritto sotto dettatura, generando<br />

una serie di errori che, come<br />

scrive il prof. Giuseppe Schirò, ad<br />

averli voluti manomettere di proposito,<br />

difficilmente sarebbero riusciti<br />

così paradossali. Tale copia<br />

(l’originale, quella scritta dal monaco<br />

Nilo è andata perduta) è conservata<br />

nel Codice Messinense<br />

presso la Biblioteca Universitaria<br />

di Messina. Il manoscritto, formato<br />

da 10 fogli pergamenacei, è, in<br />

pratica, un panegirico che faceva<br />

parte di un menologio, vale a dire<br />

di una raccolta di Vite di Santi o<br />

Discorsi per le loro ricorrenze, ed<br />

era stato riprodotto per essere letto,<br />

il giorno <strong>della</strong> festa del Santo,<br />

ai monaci <strong>della</strong> comunità.<br />

Melina Arco Magrì, nei suoi<br />

studi sul bios di san Nicodemo, arriva<br />

alla conclusione che esso fu<br />

composto, da Nilo, tra il 1060 e il<br />

1065, non oltre, e che per la stesura<br />

il novello agiografo abbia preso<br />

come modello il bios di sant’Elia<br />

lo Speleota. Per altri studiosi, invece,<br />

la data di composizione andrebbe<br />

collocata verso la fine XII<br />

secolo.<br />

Giovanni Mobilia<br />

Nella prefazione, l’agiografo<br />

Nilo, autore del Logos, spiega che<br />

per evitare che «le cose belle si<br />

vanifichino con lo scorrere del<br />

tempo e che le più belle siano lasciate<br />

cadere nell’abisso dell’oblio»,<br />

con umiltà e per ubbidire<br />

ai Superiori, si accinge a tramandare<br />

ai posteri il ricordo del grande<br />

padre Nicodemo, usando un<br />

linguaggio semplice e veritiero,<br />

per non incorrere nelle «disapprovazioni<br />

di molti» essendoci stato<br />

un altro, prima di lui, che aveva<br />

scritto sullo stesso argomento deludendo<br />

le aspettative «per il linguaggio<br />

oscuro e disadorno».<br />

Bisogna sapere che il monaco<br />

Nilo, del monastero di sant’Elia il<br />

Giovane (fondato nell’884 da<br />

sant’Elia di Enna), scrisse anche il<br />

bios di san Filareto di Seminara, di<br />

cui fu contemporaneo e che, probabilmente,<br />

conobbe durante il<br />

noviziato, così come attestò:<br />

«…quelle Saline, che per me, seppure<br />

per qualche altro, sono state<br />

ospiti di ogni bene. Queste, infatti,<br />

mi hanno fatto conoscere questo<br />

Grande e, inoltre, sono state per<br />

me l’occasione e il punto di partenza<br />

per avere una mentalità più<br />

santa e una condotta di vita più<br />

perfetta».<br />

Nilo ci tramanda, quindi, fatti<br />

veri e circostanziati nonché località<br />

precise che dovrebbero spazzare<br />

via dalla storiografia agiografica<br />

episodi leggendari, frutto di apologie,<br />

fantasie e campanilismi esagerati,<br />

come ci insegna Polibio di<br />

Megapoli: «Io posso ammettere<br />

che gli storiografi parteggino per<br />

la loro patria, ma non che per<br />

questa ragione dicano il contrario<br />

<strong>della</strong> verità. Sono già molti gli errori<br />

che derivano dagli autori e<br />

che ben difficilmente gli uomini<br />

riescono ad evitare: se per di più<br />

mentiamo volontariamente per<br />

amor di patria o per favorire gli<br />

amici, che differenza ci sarà fra<br />

noi e chi scrive per denaro?».<br />

Nicodemo “l’Umile” nacque a<br />

Sikrò, villaggio posto in una vasta<br />

pianura montana, nella Valle delle<br />

Saline, da genitori religiosissimi.<br />

La Valle delle Saline (definita<br />

Turma o Chora o Eparchia Salinòn)<br />

o <strong>Piana</strong> di S. Martino è<br />

l’attuale <strong>Piana</strong> di Gioia Tauro e<br />

non le Saline del Neto, nei dintorni<br />

di Cirò, come affermava Apollinare<br />

Agresta, e Sikrò, secondo recenti<br />

scoperte archeologiche, sorgeva,<br />

probabilmente, nel territorio di<br />

Castellace (frazione di Oppido<br />

Mamertina, RC), nel luogo dove<br />

ancora, sul finire del 1500, esisteva<br />

un nucleo abitato con una chiesetta<br />

bizantina dedicata a san Cono,<br />

come spiega la dottoressa Zagari<br />

nella Relazione preliminare<br />

1999-2001 sugli scavi di S. Marina<br />

a Delianuova (RC), e come fin<br />

dagli anni Settanta aveva asserito<br />

lo storico prof. Rocco Liberti.<br />

Gennaio 2010 Pagina 23


Sikrò non è quindi Cirò (Kr),<br />

che vanta la casa natale di san Nicodemo,<br />

nel rione Portello e che<br />

Apollinare Agresta (1621-1695)<br />

nella sua opera su S. Nicodemo<br />

aveva identificato, dopo una serie<br />

forzata di trasformazioni etimologiche,<br />

partendo da Ipsykrò (gr.<br />

Biz. = luogo fresco) e passando<br />

per Psicrò – (Iskirò) - Zirò – Cirò,<br />

così come scrive: «Nicodemo, aperti<br />

gl’occhi del corpo nel suo<br />

natale alla luce del mondo sotto il<br />

fortunato orizonte <strong>della</strong> Città<br />

Chrimissa, ò Paterno, hoggi Zirò<br />

appellato, habbia poscia eletto le<br />

contrade di Mammola…». Da notare<br />

che lo Scrittore era a conoscenza<br />

dell’antico manoscritto redatto<br />

da Nilo che cita come:<br />

«l’antico Scrittore, che formò<br />

l’aureo encomio sopra la vita e<br />

morte del nostro Santo Padre, lasciò<br />

commendato a’ posteri quel,<br />

che miracolosamente si è osservato<br />

nel sacro cadavere di lui…»,<br />

ma, come precisa Melina Arco<br />

Magrì, l’Agresta non tenne affatto<br />

conto di questa fonte antica e autorevole,<br />

preferendo attingere a<br />

tradizioni orali e più probabilmente<br />

alla propria fantasia per<br />

arricchire la sua operetta con dati<br />

e notizie.<br />

Noi non sappiamo dove<br />

l’Agresta abbia raccolto le informazioni<br />

che riporta nel suo scritto,<br />

né possiamo affermare al cento per<br />

cento che siano frutto di tradizioni<br />

orali o fantasie. L’unica cosa certa<br />

è che Apollinare Agresta non cita<br />

le fonti delle sue notizie. Forse ha<br />

solo cercato di conciliare una tradizione<br />

già affermata all’epoca del<br />

suo scritto che voleva Cirò come<br />

città natale di Nicodemo e il passo<br />

tra l’identificare Cirò con Sikrò e<br />

la Valle delle Saline con le Saline<br />

del Neto è stato decisivo.<br />

Ma il S. Nicodemo di Cirò, se è<br />

veramente esistito, poteva essere<br />

benissimo un Santo omonimo, non<br />

dimentichiamoci che fino a pochi<br />

decenni or sono anche i due S.<br />

Fantino (il vecchio e il Giovane)<br />

venivano confusi e, per così dire,<br />

L’Alba <strong>della</strong> <strong>Piana</strong><br />

unificati, così come i due S. Elia e<br />

i due o più S. Luca, tutti monaci.<br />

Sikrò non è quindi Cirò, né<br />

Skrisi, nei pressi di Palmi, come<br />

sosteneva lo storico Vincenzo Saletta;<br />

né Sicri, contrada di Melicuccà,<br />

come sostiene il dott. Martino<br />

in un articolo pubblicato su<br />

internet nel quale scrive che: «Le<br />

biografie dei Santi italo greci parlano<br />

di un centro commerciale<br />

(Emporium), la cittadina di Sicri,<br />

oggi contrada disabitata nei pressi<br />

di Melicuccà; da Sicri di cui si è<br />

persa ogni memoria storica (forse<br />

distrutta dai Saraceni durante le<br />

scorrerie dell’Emiro Hasan 950-<br />

952), i profughi scampati all’eccidio<br />

si spostarono, probabilmente,<br />

nella valle di Melicuccà (Melikokkos)<br />

e dove scaturivano abbondanti<br />

sorgenti, incrementando il<br />

preesistente insediamento agropastorale<br />

e dando così inizio al<br />

primo consistente nucleo abitato<br />

del paese».<br />

Né Sìkrò si può individuare<br />

nella zona di Cinquefrondi, attraversata<br />

dal fiume Sikrò, oggi Jarapòtamo<br />

(o Sciarapòtamo), come<br />

affermava il Pagano nella sua<br />

“Storia <strong>della</strong> Calabria”; ma il sito<br />

è da identificarsi nei pressi di Castellace,<br />

frazione di Oppido Mamertina.<br />

Il toponimo Sikrò noi l’abbiamo<br />

trovato citato sia negli Atti di<br />

sant’Agata sia nel bios di sant’Elia<br />

lo Speleota, ai numeri 88 e 92:<br />

al numero 88, infatti, si narra<br />

che un certo «Cristoforo di Sikrò<br />

era andato una volta per comprare<br />

grano e per via fu percosso dal<br />

demonio meridiano: strabuzzava<br />

gli occhi, tremava tutto, restò quasi<br />

venti giorni senza mangiare né<br />

dormire.<br />

Fu portato con una barella e<br />

deposto presso la tomba del Santo<br />

(Elia) e fu unto con olio <strong>della</strong><br />

lampada. Essendosi assopito, vede<br />

il Santo risplendente di luce, che<br />

gli apre lo stomaco e ne tira fuori<br />

come un uovo di oca, dicendo:<br />

“D’ora sarai sano e libero dal<br />

cattivo spirito!”.<br />

Al Mattino andò via guarito,<br />

lasciando la barella come prova<br />

<strong>della</strong> guarigione».<br />

E al numero 92 si riporta che<br />

«Il servo di Maele di Sikrò era<br />

indemoniato e schiumava dalla<br />

bocca.<br />

Portato al monastero, mentre<br />

l’igumeno Lorenzo celebrava la liturgia,<br />

nove volte lo spirito travagliò<br />

il ragazzo.<br />

I monaci portarono allora la<br />

spugna con la quale – alla morte –<br />

avevano lavato il corpo del Santo e<br />

ne diedero a bere a quello; così che<br />

subito il cattivo spirito andò via».<br />

Il toponimo Sicrous compare<br />

anche in un atto di donazione di<br />

beni «pro anima», a favore del<br />

Vescovo Nicola di Oppido e <strong>della</strong><br />

Cattedrale, databile 1050-1065:<br />

«La “monaca” Giovanna dona<br />

alla Chiesa Cattedrale di Oppido<br />

ed al suo Vescovo Nicola i<br />

beni che ella eredita dai genitori,<br />

disseminati in Dapidalbon (= Pedavoli),<br />

Skidon (Scido), Sicrous,<br />

Sinopolis, Butzanon, Reggio e<br />

Oppido».<br />

E, se ancora ci fossero dei dubbi<br />

che la Valle delle Saline fosse<br />

l’odierna <strong>Piana</strong> di Gioia Tauro, per<br />

spazzarli definitivamente basta<br />

sfogliare la Vita di S. Luca “il<br />

Grammatico”, copiata pure questa<br />

da Daniele, nella quale si legge -<br />

in modo inconfutabile – che Luca<br />

nacque nella prima metà dell’XI<br />

secolo a Melicuccà, nella Valle<br />

delle Saline: «In Calabria c’è un<br />

paese, chiamato Melicuccà, dalle<br />

parti delle Saline. Qui fiorì e diede<br />

buoni frutti il nostro prodigioso<br />

Padre, il Beato Luca (…)».<br />

Nicodemo sarebbe nato, in<br />

base a deduzioni storico-cronologiche<br />

tratte dai bioi bizantini di alcuni<br />

Santi con i quali il Nostro ebbe<br />

rapporti, nella prima metà del<br />

secolo X, non più tardi del 920,<br />

come annota il Saletta nella sua<br />

opera citata, da genitori devoti e<br />

molto religiosi.<br />

Gennaio 2010 Pagina 24


La tradizionale data di nascita,<br />

riferibile al 12 maggio del 900 e i<br />

nomi dei genitori, Teofano e Panta,<br />

del casato dei Dima di Cirò,<br />

non trovano, per quanto prima esposto,<br />

conferme documentabili.<br />

Nicodemo, come il precursore<br />

di Cristo, Giovanni Battista, abbracciò<br />

fin da fanciullo la vita eremitica.<br />

Il suo nome deriva dal<br />

greco Nicodèmos, cioè trascinatore<br />

o vincitore di popoli; l’agiografo,<br />

però, l’interpreta come Nicodaimon,<br />

ossia vincitore dei demoni,<br />

per mettere in risalto il carisma<br />

principale del Santo, quello di<br />

scacciare i demoni, paragonandolo<br />

all’apostolo sant’Andrea.<br />

Stranamente l’arc. Vincenzo<br />

Zavaglia, nella sua opera del 1961<br />

(Vita del Santo Padre nostro Nicodemo),<br />

racconta che «Il suo<br />

primo biografo Nilo (…) dice che<br />

il piccolo Nicodemo trascorreva le<br />

ore <strong>della</strong> giornata a costruire<br />

chiesette ed altarini d’argilla, sui<br />

quali erigeva statuette dei Santi,<br />

calcanti coi piedi immagini di demoni,<br />

espressi in figura di mostri e<br />

serpenti, ignaro del misterioso<br />

nome, che portava e che avrebbe<br />

dovuto tradurre, praticamente,<br />

nella vita cristiana di ogni giorno,<br />

in una battaglia continua e fiera<br />

contro l’inferno (…)».<br />

E, in opuscoletto anonimo<br />

stampato a Grottaferrata nel 1935,<br />

dal titolo San Nicodemo abate,<br />

leggiamo: «Il suo biografo Nilo,<br />

monaco, ci riferisce che, da fanciullino,<br />

Nicodemo ricreavasi a<br />

fabbricare con la creta chiesuole e<br />

altarini, e su questi si divertiva a<br />

mettere qualche sacra icona (…)<br />

Dal suo biografo raccogliamo,<br />

come egli facesse sua delizia <strong>della</strong><br />

lettura dei libri di pietà, trascorresse<br />

lunghe ore nella Chiesa, si<br />

accostasse molto frequentemente<br />

ai sacramenti <strong>della</strong> Confessione e<br />

<strong>della</strong> Comunione…». Queste ed altre<br />

asserzioni simili, lette altrove,<br />

ci lasciano perplessi; Nilo non<br />

scrisse nulla di ciò. La studiosa<br />

Melina Arco Magrì, che scrupolosamente<br />

ha tradotto il testo, con-<br />

L’Alba <strong>della</strong> <strong>Piana</strong><br />

ferma che l’agiografo fu molto parsimonioso<br />

e corretto nel raccontare<br />

di Nicodemo che, probabilmente,<br />

conobbe solo tramite le testimonianze<br />

dei monaci coevi che ancora<br />

erano vivi, «Nilo non lavora di fantasia<br />

e non divaga. Anzi se può, si<br />

sforza di essere scrupoloso, di attenersi<br />

alla verità».<br />

Gli accostamenti descrittivi di<br />

don Zavaglia e altri, sulla fanciullezza<br />

di Nicodemo, tipici <strong>della</strong> letteratura<br />

agiografica, anche se verosimili,<br />

nascono, quasi sicuramente,<br />

dalla smisurata e ardente<br />

devozione degli Autori per il Santo<br />

eremita e dall’influenza secolare,<br />

fino allora indiscussa, dell’opera<br />

di Apollinare Agresta.<br />

Dell’infanzia di Nicodemo, dal logos<br />

appuriamo soltanto che «Il<br />

fanciullo, illuminato da Dio, fin da<br />

bambino, per opera dello Spirito<br />

Santo progrediva ogni giorno<br />

nell’apprendimento delle divine<br />

Scritture e nell’acquisizione di tutte<br />

le virtù».<br />

Saldo alla chiamata e imperturbabile<br />

davanti alle evanescenti<br />

chimere giovanili, decise che solo<br />

la vita monastica avrebbe appagato<br />

il forte desiderio di Cristo e, verso<br />

i quindici anni d’età, bussò alle<br />

porte di un convento nei pressi di<br />

Taureana (vicino Palmi), ai piedi<br />

del Monte Aulinas (Monte S. Elia),<br />

nel luogo in cui dimorò il grande<br />

taumaturgo Fantino il Cavallaio (il<br />

conduttore di cavalli), vissuto nel<br />

IV secolo; qui fu accolto da un<br />

Anziano monaco che viveva in ritiro<br />

assieme a diversi confratelli.<br />

Alcuni autori, interpretando in<br />

modo diverso questo passo del bios,<br />

vedono nell’Anziano monaco<br />

la figura di san Fantino il Giovane<br />

o del Mercurion maestro di san<br />

Nilo da Rossano, morto a Tessalonica<br />

all’età di 73 anni. Noi accettiamo<br />

l’interpretazione <strong>della</strong> Follieri,<br />

perché Fantino non poteva<br />

essere Anziano all’epoca del noviziato<br />

di Nicodemo e, anche se ci<br />

sforzassimo di spostare la data di<br />

nascita del Nostro al 920, come<br />

proposto dal Saletta, Nicodemo ri-<br />

sulterebbe sempre più anziano di<br />

Fantino. Questi, inoltre, fu un monaco<br />

itinerante, fondatore di diversi<br />

Monasteri, mentre il santo Anziano,<br />

maestro di Nicodemo, non<br />

si mosse da Taureana. Oltre a tutto,<br />

nella Vita di san Nilo da Rossano,<br />

dove si parla di san Fantino,<br />

il nome di san Nicodemo non<br />

compare mai.<br />

Il saggio vecchio lesse nello<br />

sguardo del giovane Nicodemo il<br />

suo ardore per Cristo e lo accolse<br />

ben volentieri nel gruppo dei suoi<br />

confratelli, vestendolo con l’abito<br />

beato e calzandolo con i sandali<br />

monacali. Il ragazzo rimase alla<br />

scuola dell’Igumeno moltissimi<br />

anni, perfezionandosi con digiuni,<br />

preghiere e veglie, esercitando<br />

l’ubbidienza e la modestia tanto<br />

da essere appellato Nicodemo<br />

“l’umile”.<br />

L’agiografo Nilo ripercorre per<br />

tappe la vita del Santo e non fa riferimento<br />

alcuno a Galatone, pio e<br />

dotto sacerdote, al quale i genitori,<br />

Teofano e Panta, avrebbero affidato<br />

il figlio; né fà citazioni di sorta<br />

circa il complesso monastico del<br />

Mercurion (nel territorio montagnoso<br />

che domina il Golfo di Policastro<br />

tra la Calabria e la Basilicata)<br />

forgia di vita spirituale del Santo,<br />

come alcuni sostengono.<br />

Nicodemo aveva circa 35-40<br />

anni quando i Saraceni cominciarono<br />

a devastare le coste <strong>della</strong> Calabria<br />

(se poi teniamo per buona la<br />

tradizionale data di nascita del 12<br />

maggio 900, Nicodemo aveva 50<br />

anni). Egli, con gli altri monaci del<br />

convento, per scampare alle scorrerie<br />

dei Saraceni, si rifugiò verso<br />

le montagne dell’Aspromonte.<br />

Gennaio 2010 Pagina 25


L’historiola cantata narra anche<br />

di un improbabile incontro del<br />

Santo con sant’Antonio del Castello<br />

e san Jeiuno, nei pressi del<br />

Monte Zappino, dove per un certo<br />

periodo i tre monaci presero dimora<br />

in inaccessibili spelonche. Ambedue<br />

erano originari di Gerace.<br />

Antonio viveva in una grotta nei<br />

pressi dell’attuale castello e poi si<br />

ritirò nel convento di S. Filippo<br />

d’Argirò; Jeiuno era il soprannome<br />

del monaco Giovanni <strong>della</strong><br />

famiglia Triapane di Gerace, così<br />

chiamato perché trascorse la sua<br />

vita digiunando.<br />

Ci sono fondati dubbi che i due<br />

Santi siano vissuti al tempo di Nicodemo<br />

e, sebbene don Zavaglia<br />

sposta l’incerto incontro al 975,<br />

noi sappiamo che il convento dove<br />

si ritirò Sant’Antonio del Castello,<br />

cioè il monastero di S. Filippo Argirò,<br />

come d’altronde lo stesso<br />

Zavaglia annota, fu costruito tra il<br />

1112 e il 1118, cioè 137–143 anni<br />

dopo, quando ormai Nicodemo era<br />

morto da tempo come si evince<br />

dagli studi di Guillou sul Monastero<br />

di S. Nicodemo che portano<br />

chiarezza anche sul sito del Monte<br />

Kellarana, dove Nicodemo trovò<br />

rifugio, che dovrebbe corrispondere<br />

a questo posto, anche se in passato<br />

non tutti, comunque, erano<br />

concordi. Il Saletta, per esempio,<br />

era sicuro che il Kellarana fosse<br />

vicino al monastero di S. Nicodemo,<br />

nei pressi di Seminara, e precisamente<br />

nella contrada Sellerana,<br />

citando in suo favore anche il<br />

Fiore e il De Salvo che scrisse:<br />

«Sorse più tardi, presso Seminara,<br />

il monastero basiliano di S. Nicodemo<br />

che poi, l’anno 1436, passò<br />

ai Frati Minori sotto il titolo di S.<br />

Maria degli Angioli».<br />

Altre incongruenze nascono dal<br />

racconto <strong>della</strong> morte del Santo.<br />

L’autore del Logos afferma che<br />

Nicodemo morì a 70 anni.<br />

Di parere contrario è il Saletta<br />

il quale, in base alla sua ricostruzione<br />

cronologica, afferma che il<br />

Santo è vissuto fino a un’età di 90<br />

anni o superiore, d’accordo, questa<br />

L’Alba <strong>della</strong> <strong>Piana</strong><br />

volta, con l’Apollinare Agresta<br />

«che forse poté avere in visione<br />

non già una copia imperfetta, ma<br />

l’originale del logos o altro documento<br />

perduto».<br />

Lo studioso ritiene, quindi, che<br />

il copista Daniele, scrivendo sotto<br />

dettatura, tra i tanti errori abbia<br />

fatto anche questo, scambiando il<br />

numero novanta per settanta. Il Saletta,<br />

che aveva proposto come anno<br />

di nascita di Nicodemo il 920,<br />

pone l’anno <strong>della</strong> morte del Santo<br />

nel 1010; mentre l’Agresta, che<br />

aveva fissato l’anno <strong>della</strong> sua nascita<br />

al 900, ne colloca la morte al<br />

990. A favore dell’ipotesi del Saletta<br />

(errore di trascrizione)<br />

l’espressione dell’agiografo «l’età<br />

perfetta del popolo di Cristo» che<br />

allora si aggirava sui 90 anni (vedi<br />

S. Elia lo Speleota, S. Luca di<br />

Taureana, S. Luca di Damena, S.<br />

Nilo, S. Leoluca, S. Saba, ecc.).<br />

Di tutt’altro parere Melina Arco<br />

Magrì che, facendo riferimento<br />

all’incursione dell’emiro Ab-<br />

Akhal nella città di Bisignano nel<br />

1020, e accettando il termine settant’anni,<br />

aveva proposto (ma<br />

questo prima <strong>della</strong> pubblicazione<br />

delle ricerche di Guillou sul Monastero<br />

di S. Nicodemo) come data<br />

di morte del Santo poco dopo il<br />

1020 e, come nascita, il 950-955.<br />

È probabile, comunque, che il<br />

riferimento “settant’anni”, nel logos<br />

originale, si riferisse alla vita<br />

monastica di Nicodemo e non<br />

all’età <strong>della</strong> sua dipartita.<br />

Dal logos appuriamo che raggiunta<br />

«l’età perfetta del popolo di<br />

Cristo», il 12 marzo di un anno<br />

imprecisato, circondato dall’affetto<br />

dei confratelli più cari San Nicodemo<br />

muore, come muoiono i<br />

santi che trascorrono la vita per<br />

cercare Dio, affrontano la morte<br />

per trovarlo e abbracciano l’eternità<br />

per possederlo.<br />

Ed ecco che improvvisamente<br />

dal volto di Nicodemo iniziarono a<br />

sprigionarsi raggi di luce che si<br />

diffusero tutt’intorno fino al momento<br />

in cui fu deposto nella tomba.<br />

Davanti a tale miracolo bellis-<br />

simo e straordinario, l’agiografo<br />

Nilo, che raccolse le testimonianze<br />

dai monaci ancora in vita, non può<br />

fare a meno di registrare sbalordito:<br />

«raramente conobbi sì miracoli<br />

nelle sante morti di beati!».<br />

Chi con digiuni e veglie – insegnava<br />

sant’Elia Speleota – avrà<br />

fatto morire le passioni, alla sua<br />

uscita l’anima risplenderà più delle<br />

stelle…perché si arriva al Tutto<br />

solo dopo aver rinunciato a tutto.<br />

È la fede che fortifica i santi e<br />

li conduce attraverso le intemperie;<br />

che sposta le montagne e che<br />

scavalca gli oceani. La fede non è<br />

altro che la consapevolezza profonda<br />

e certa dell’esistenza di Dio<br />

dentro di noi. Colui che la possiede<br />

non manca di nulla. Sofferente<br />

fisicamente, è vigoroso spiritualmente;<br />

misero di beni materiali,<br />

trabocca di ricchezze spirituali.<br />

Qualcuno, da qualche parte, ha<br />

scritto che Dio non è complicato: è<br />

semplice. Non è difficile raggiungerlo,<br />

ma ci vuole umiltà. Il segreto<br />

dell’esistenza è proprio questo:<br />

vivere con semplicità e pensare<br />

con grandezza. Ecco perché donnette<br />

del popolo, fanciulli e giovani<br />

ardenti lo trovano subito, direttamente,<br />

talora più rapidamente<br />

dei teologi che conoscono le vicende<br />

complesse <strong>della</strong> salita a Dio.<br />

La scienza aiuta, ma non basta.<br />

Ci vuole amore. È questo il messaggio<br />

attuale, il testamento spirituale,<br />

che l’umile Nicodemo ci ha<br />

lasciato: dare sé stessi agli altri. È<br />

un messaggio che ha più di duemila<br />

anni, è il messaggio di Cristo.<br />

Gennaio 2010 Pagina 26


A<br />

500 anni dalla salita al cielo<br />

di san Francesco di Paola,<br />

fondatore dei Minimi, Patrono <strong>della</strong><br />

Calabria e <strong>della</strong> gente di mare,<br />

abbiamo rivisitato i luoghi <strong>della</strong><br />

diocesi di Oppido-Palmi, da lui attraversati<br />

in occasione del suo viaggio<br />

verso la Sicilia.<br />

Nonostante i devastanti<br />

terremoti, gli incendi, le<br />

soppressioni e l’incuria umana,<br />

ancora sono tante le<br />

vestigia che testimoniano<br />

una devozione popolare forte,<br />

ancora viva nei calabresi.<br />

I conventi che sono stati<br />

edificati nell’attuale diocesi<br />

di Oppido Mamertina-Palmi<br />

tra ‘500 e ‘900, sono otto<br />

cioè Borrello, Laureana di<br />

Borrello, Anoia Inferiore,<br />

Sinopoli Inferiore, Oppido<br />

Mamertina, Seminara, Polistena,<br />

Rosarno.<br />

Furono luoghi di grande<br />

culto, devozione, spiritualità<br />

e formazione vocazionale.<br />

Tuttavia, subirono tutti la<br />

stessa dolorosa sorte sia con<br />

i terremoti del 1638, 1783,<br />

1908, nonché con le soppressioni<br />

delle leggi governative<br />

iniziate il 7 agosto 1809 e<br />

riconfermate fino all’unità d’Italia.<br />

BORRELLO E LAUREANA DI<br />

BORRELLO - Dal popolo, successivamente<br />

al miracolo compiuto da san<br />

Francesco, durante il suo passaggio<br />

mentre era diretto a Milazzo, salì la richiesta<br />

di erigere extra Fevos, nelle<br />

adiacenze di Borrello un monastero<br />

dei frati Minimi. Promotore <strong>della</strong> fondazione<br />

fu “Nicola Antonio Protospataro,<br />

Sindaco di detta Terra, con i<br />

suoi eletti avendoli assegnato il luogo<br />

per fondare il Convento e dato 200<br />

ducati per mettersi a censo” 1 , e così<br />

avere una rendita perpetua. Lavori iniziati<br />

nel 1550 su terreno“detto Cerulli<br />

L’Alba <strong>della</strong> <strong>Piana</strong><br />

CONVENTI E CHIESE DEI MINIMI<br />

NEL CORSO DEI SECOLI<br />

Ferdinando Mamone<br />

possessione concessa dalla propria<br />

Università, nella stagliata delle coste<br />

loco detto Litrò” 2 , con il contributo<br />

del popolo e di alcune famiglie agiate<br />

<strong>della</strong> città. I lavori si conclusero il 28<br />

luglio 1555, quando i religiosi presero<br />

reale possesso del Convento il 28 luglio<br />

1555.<br />

Accanto al convento fu pure edificata<br />

una “chiesa sotto il titolo, et invocazione<br />

del glorioso Patriarca S. Francesco<br />

di Paola, tenuta in grandissima<br />

venerazione da tutti quei popoli con<br />

vicini. La struttura è molto vaga, che<br />

il frontespizio rimira il vigesimo quinto<br />

grado di mezzogiorno verso la parte<br />

di ponente; hà molte cappelle,<br />

adorne di figure bellissime. Il dormitorio<br />

dalla parte superiore hà non più<br />

di 4 celle, che quantunque ne fossero<br />

state al numero di 10, ad ogni modo il<br />

gran terremoto successo in questi’anni<br />

dietro rovinino l’altri sei, dalla parte,<br />

poi, inferiore vi sono tutte l’officine necessarie…”<br />

3 . Vi dimoravano 5 religiosi,<br />

ma nel 1650, erano appena 4, ovverosia<br />

il p. Antonio d’ Orlando di Maida,<br />

vicario, frat’Antonio Cordiano;<br />

serventi fra Giobatt[ist]a Zangara, fra’<br />

Domenico Sessa.<br />

Questo convento nel 1650 possedeva:<br />

24 terre lavorative per un totale di 20<br />

salmati circa; alcuni piccoli oliveti; un<br />

piccolo bosco di querce; una vigna con<br />

alcuni piedi di gelsi; un fondo con alcuni<br />

gelsi ed ulivi di poca resa; due case<br />

piccole; un molino; diversi censi<br />

perpetui; un legato di 18 scudi<br />

<strong>della</strong> signora Gerolima Colonna<br />

già duchessa di Monteleone<br />

(od. Vibo Valentia), sorella di<br />

Marcantonio Colonna luogotenente<br />

di don Giovanni d’Austria<br />

nella Battaglia di Lepanto<br />

(1571).<br />

L’attività missionaria dei frati<br />

minimi fu quanto mai efficace<br />

in quanto i costumi sociali e le<br />

pratiche religiose, si erano<br />

progressivamente rilassati e<br />

indeboliti.<br />

Questo convento, proprio per la<br />

sua notoria esperienza spirituale<br />

e culturale dei suoi componenti,<br />

costituiva un faro, un argine<br />

contro il paganesimo.<br />

“Dei religiosi più cospicui, che<br />

vissero in questo convento le<br />

nostre fonti fanno menzione del<br />

p. Pietro di Borrello, lettore<br />

egregio di filosofia e teologia, -<br />

qui praesertim ob valementiam,<br />

ubertatem ac sententiarum in<br />

predicando, ununque satis laudandus,<br />

sed magis est venerantus” 4 .<br />

Il catastrofico terremoto sortito il 5<br />

febbraio 1783 che interessò l’intera<br />

Calabria e in particolare la <strong>Piana</strong>,<br />

sconvolse tutti gli abitati e ogni opera<br />

architettonica, cambiando in più parti,<br />

la topografia del terreno. Il sommovimento<br />

rase al suolo anche il convento<br />

dei minimi di Borrello. I religiosi<br />

si portarono prima nella villa dei<br />

Mottola nelle pertinenze di Borrello e<br />

successivamente a Laureana di Borrello,<br />

ove sull’altura di “Capitano”,<br />

ove costruirono un conventino con<br />

annessa chiesuola. Tuttavia, seguì la<br />

sorte degli altri ordini religiosi soppressi<br />

con legge del 7 agosto 1809 e<br />

l’altra del 10 gennaio 1811.<br />

Gennaio 2010 Pagina 27


I ruderi dell’antico convento di Borrello,<br />

oggi ricadenti nel territorio<br />

amministrativo di Serrata, sono stati<br />

lasciati in un colpevole oblio. Dopo<br />

tanto abbandono, inesorabilmente, un<br />

bosco rigoglioso di lecci e conifere si<br />

è impadronito del sito.<br />

A testimonianza <strong>della</strong> propria devozione,<br />

negli anni scorsi, l’ottimo medico<br />

Vincenzo Montorro, in una sua<br />

proprietà adiacente la strada comunale<br />

Candidoni-Borrello, fece installare<br />

sopra un basamento in muratura,<br />

una maestosa statua del santo paolano,<br />

ove gli occasionali passanti volentieri<br />

sostano per una breve preghiera.<br />

Da G.B. Marzano, sempre ben informato,<br />

apprendiamo che quando i religiosi<br />

a motivo del terremoto del 5<br />

febbraio 1783 si apprestavano a lasciare<br />

Borrello per una sede più sicura<br />

in un paese vicino, i candidonesi<br />

avendo avuto sentore che i Minimi<br />

miravano a trasferirsi a nel loro paese,<br />

inizialmente si opposero. Quando<br />

però i frati trovarono ospitalità a<br />

Laureana, gli abitanti di Candidoni,<br />

gelosi, ma pure coscienti del bene spirituale<br />

che ne potevano trarne, si offrirono<br />

di accoglierli. Ma ormai era<br />

troppo tardi.<br />

In quel tempo di grande incertezza e<br />

smarrimento, la bella statua lignea<br />

del Patriarca, opera dello scultore<br />

Domenico De Lorenzo rimase sotto le<br />

macerie del convento di Borrello. I<br />

candidonesi, come molte persone di<br />

Laureana, si recarono tra le rovine<br />

per recuperare eventuali oggetti di<br />

valore o comunque riutilizzabili. Alcuni<br />

saccheggiatori avendo individuato<br />

il simulacro, progettarono di ritornare<br />

il giorno seguente per portarselo<br />

a Candidoni. I Laureanesi, però, avendo<br />

avuto sentore del possibile trafugamento,<br />

si recarono nottetempo a<br />

Borrello, anticipando l’operazione di<br />

recupero e trasferimento al loro paese.<br />

La statua, che aveva subito notevoli<br />

danni soprattutto per l’umidità, subì<br />

un efficace restauro, e quindi, sistemata<br />

nella chiesetta del calvario, nei<br />

cui pressi i religiosi frattanto si erano<br />

costruiti un conventino.<br />

In occasione delle periodiche visite<br />

pastorali, la chiesetta fu puntualmente<br />

esaminata e trovata in ordine.<br />

Legato di una messa la settimana<br />

nell’altare di San Francesco di Paola<br />

eretto dentro la chiesa del medesimo<br />

titolo in Laureana, lasciato come sec-<br />

L’Alba <strong>della</strong> <strong>Piana</strong><br />

camente si asserisce dal quondam don<br />

Francesco Macedonio di detto luogo,<br />

con l’assegnazione di un fondo detto<br />

Barbadoro, alborato di olive, vigna,<br />

sito in detto territorio di salmate diciassett<br />

circa <strong>della</strong> valuta in proprietà<br />

ducati millesettecentocinquanta e<br />

dell’annua rendita in ducati ottantacinque,<br />

eretto a titolo di cappellania<br />

vitalizia in persona del chierico Leonardo<br />

Ferrandello di Cinquefrondi in<br />

forza di dominazione avuta<br />

dall’abate don Domenico Chiotti del<br />

luogo, giusta dichiarazione del nipote<br />

ed erede del Macedonio 5 .<br />

ANOIA INFERIORE - Un altro monastero<br />

dei Minimi risulta fondato ad<br />

Anoia Inferiore nell’anno 1582<br />

all’inizio del paese, con l’assenso del<br />

vescovo di Mileto Gio: Mario d’Alessandro,<br />

e con il contributo di quell’Università<br />

(Comune) e relativi Casali.<br />

Il contributo pari a ducati cinquanta<br />

annui in perpetuo, da servire<br />

anche per il sostentamento dei monaci,<br />

consentì tra l’altro di costruire accanto<br />

al convento anche una chiesetta<br />

col titolo di Santa Maria <strong>della</strong> Grazia,<br />

a beneficio di quei fedeli.<br />

Il piano terra del convento era destinato<br />

a magazzino e dispensa, la cucina<br />

e refettorio. Il piano superiore destinato<br />

a dormitorio con sette camere.<br />

Il numero dei frati assegnati al momento<br />

dell’insediamento fu di 12 per<br />

poi passare a 15 e poi a 10. Dalla relazione<br />

inviata alla Santa Sede nel<br />

1650 risultano presenti nel convento 5<br />

sacerdoti: Correttore fra’ Michele<br />

Valensisi d’Anoya, p. fra’ Gio: Battista<br />

Chizoniti d’Anoya, p. fra’ Paulo<br />

Tropepi d’Anoya, p. Matteo Porcino<br />

d’Anoya, e p. fra’ Domenico Arcovito<br />

di Reggio. I due laici professi: frà<br />

Marco Nicoletta d’Anoya e frat’Antonio<br />

Carlino di Galatro.<br />

Il convento possedeva diversi beni<br />

immobili quali terre aratorie e altre<br />

alberate in territorio di Terranova,<br />

Feroleto e Melicucco. Possedeva inoltre<br />

delle case ad Anoia a Feroleto e<br />

Plaesano e numerosi censi. La chiesa<br />

parrocchiale di questa cittadina, custodisce<br />

una statua lignea del santo<br />

già registrata nel 1646 6 .<br />

Nel detto convento dimorarono tanti<br />

religiosi colti e di santa vita. Si ricordano<br />

i padri Domenico Giacalà, Gregorio<br />

e Antonio di Anoia nonché il<br />

frate laico Marco <strong>della</strong> stessa località.<br />

La secentesca statua di Anoia<br />

Anche questo convento fu danneggiato<br />

dal terremoto del 5 febbraio 1783.<br />

Il Comune di Anoia, che nel corso del<br />

Settecento aveva utilizzato un sigillo<br />

con l’effigie di S. Francesco di Paola<br />

e la scritta “CHARITAS”, il 5 febbraio<br />

2005, fu autorizzato con decreto del<br />

Presidente <strong>della</strong> Repubblica ad adottare<br />

lo stemma civico raffigurante il<br />

Patriarca 7 .<br />

CINQUEFRONDI - Cappellania sotto<br />

il titolo di San Francesco di Paola<br />

eretta nell’altare e chiesa del medesimo<br />

titolo in Cinquefrondi, preteso<br />

padronato <strong>della</strong> famiglia Sofrà, col<br />

peso di quattro messe la settimana e<br />

con l’assegnazione dei fondi denominati<br />

Barbadoro e Favalano, posti in<br />

detto territorio, limite i beni di detta<br />

chiesa e di Gio: Tommaso Condò, <strong>della</strong><br />

capacità di tombolate trentaquattro<br />

e dell’annua rendita di ducati<br />

quarantacinque. Il decreto <strong>della</strong> curia<br />

risale al settembre 1722, con cui<br />

si conferì una sola delle quattro messe<br />

a titolo di cappellania collatica al<br />

Gennaio 2010 Pagina 28


chierico Rosario de Guisa del predetto<br />

luogo.<br />

DROSI - Legato di una messa<br />

nell’altare di San Francesco di Paola,<br />

eretto dentro la chiesa <strong>della</strong> SS. Annunciazione<br />

in Drosi, voluto dai<br />

componenti la famiglia Ierullo del<br />

luogo. L’atto notarile di erezione e relativa<br />

dotazione risale al 1750 8 .<br />

Si ha memoria <strong>della</strong> convenzione tra<br />

la magnifica Laura Iarullo, nipote ed<br />

erede del fu Natale Ierullo e la signora<br />

donna Porzia Cordiano, rappresentata<br />

dal marito d. Giuseppe Antonio<br />

Cafero. Con detta convenzione<br />

(1750) la signora Ierullo cede i suoi<br />

beni dotali alla cappella di San<br />

Francesco di Paola. Viene<br />

quindi nominato cappellano<br />

don Filippo Cordiano, presentato<br />

da Tommaso Ierullo suo<br />

zio. Per il mantenimento di tale<br />

cappellania risultano assegnate<br />

una parte di terra estimativa in<br />

grano, consistente in tombolate<br />

trenta circa, in territorio di<br />

Terranova in contrada Croce,<br />

sopra la quale si pagano annui<br />

perpetui tumuli dueci e due ottavi<br />

di grano staglio e carlini<br />

ventiquattro l’anno alla Corte<br />

di Terranova 9 .<br />

GALATRO - Nella chiesa<br />

dell’Immacolata Concezione di<br />

Galatro all’altare di S. Francesco<br />

di Paola vi è una cappellania<br />

con il titolo medesimo fondata<br />

l’ 1 dicembre 1749 da d.<br />

Diego Longo che si riserva il<br />

padronato.<br />

GIFFONE - In questo paese,<br />

già feudo e “Casale” dei marchesi<br />

Giffone di Cinquefrondi il<br />

culto verso il santo paolano è<br />

tuttora molto diffuso.<br />

Nella chiesa parrocchiale vi<br />

era un altare intestato a San Francesco<br />

di Paola, eretto dalla famiglia del<br />

marchese Giffone, con il peso di 150<br />

messe l’anno e con la riserva <strong>della</strong><br />

nomina del cappellano 10 .<br />

IATRINOLI - Cappellania sotto il titolo<br />

di San Francesco di Paola eretta<br />

nell’altare del medesimo titolo dentro<br />

la chiesa matrice in Iatrinoli, fondata<br />

con istromento de’ 22 agosto 1765 da<br />

don Marco li Donnici, col peso di annue<br />

messe dodici con la riserba del<br />

Padronato e con la sua dotazione, ed<br />

annue rendite esplicitata di ducati tredici.<br />

Vi sta il suo decreto di erezione 11 .<br />

L’Alba <strong>della</strong> <strong>Piana</strong><br />

SINOPOLI INFERIORE - A Sinopoli<br />

Inferiore, un convento con l’invocazione<br />

del Santo Paolano, fu eretto nel<br />

1595 per decisione del principe di Scilla<br />

Vincenzo Ruffo e moglie d. Maria<br />

per soddisfare un voto comune, quello<br />

di aver avuto figliolanza.<br />

La casa religiosa con annessa chiesa,<br />

fu edificata fuori l’abitato con<br />

l’assenso del Padre Provinciale fra<br />

Francesco d’Oppido. Aveva otto celle<br />

per i religiosi che nel 1650 erano fra<br />

Francesco Bello da Gerace correttore,<br />

fra’ Antonino Franco da Mileto, fra’<br />

Bernardino Rosis di Rocca Bernarda e<br />

fra’ Diego Maggio di Bagnara; <strong>della</strong><br />

famiglia facevano parte pure i laici<br />

fra’ Alessio Trimarchi di Sinopoli e<br />

fra’ Matteo Ferro di Gerace.<br />

Questo convento aveva buone rendite<br />

provenienti da giardini dati in fitto e<br />

alcuni censi da facoltosi proprietari. I<br />

pesi erano degli oneri che i monaci<br />

soddisfacevano regolarmente alla<br />

scadenza prevista. Tuttavia il bilancio<br />

era sempre attivo.<br />

OPPIDO MAMERTINA - La presenza<br />

dei Minimi è attestata ad Oppido<br />

Mamertina già nel 1610 secondo G.<br />

Fiore da Celico e 1611 secondo il Roberti,<br />

storico dell’Ordine.<br />

La fondazione oppidese fu caldeggiata<br />

dal vescovo Antonio Cesonio, con<br />

l’assenso del p. Provinciale Andrea di<br />

Zambrone, e sovvenzionato dall’abate<br />

Scipione Sartiano e dal titolato Camillo<br />

Sertiano.<br />

Il monastero era ubicato all’interno<br />

<strong>della</strong> città, con annessa chiesa sotto il<br />

titolo di S. Francesco di Paola. Inizialmente<br />

i frati occuparono alcune<br />

casette, poi inglobate nel costruendo<br />

monastero, da utilizzare per dormitorio.<br />

Nel progetto era previsto anche<br />

un reparto da destinare a clausura.<br />

Nella relazione inviata a Roma, nel<br />

1650 risultavano presenti: Correttore<br />

p. Giacinto Calastra di Mayda,<br />

p. Giacinto Filippine di Siderno,<br />

p. Gio: Lombardo d’Oppido,<br />

tutti sacerdoti; inoltre<br />

fra’ Carlo Rijtano d’Oppido<br />

chierico, fra’ Antonino Ieraci<br />

oblato, fra’ Gregorio Iermanò<br />

di Sinopoli terziario.<br />

I monaci possedevano diverse<br />

proprietà che consentivano loro<br />

una vita agevole. Tuttavia il<br />

convento era gravato di censi<br />

passivi che venivano soddisfatti<br />

puntualmente, grazie alle cospicue<br />

entrate, di libere donazioni.<br />

Il venerabile convento crollò<br />

per i sommovimenti tellurici del<br />

5 febbraio 1783, ma successivamente,<br />

per l’esattezza nel<br />

1799 fu ricostruito nella nuova<br />

città. Comunque, in ottemperanza<br />

alla legge francese del 7<br />

agosto 1809, fu alla pari degli<br />

altri conventi soppresso inesorabilmente.<br />

S. GIORGIO MORGETO -<br />

Beneficio sotto il titolo di San<br />

Francesco di Paola eretto<br />

nell’altare del medesimo titolo,<br />

eretto nell’altare del medesimo titolo<br />

dentro la chiesa arcipretale un San<br />

Giorgio, fondato con istromento del 4<br />

aprile 1715 da Isabella Fazari, Domenico<br />

e Giacomo Bultorni suoi figli, col<br />

peso di una messa il mese, con la riserba<br />

de patronato, e con la dotazione<br />

di un giardino di olive senza specificarsi<br />

il suo valore o la rendita 12 .<br />

Cappellania sotto il titolo di San<br />

Francesco di Paola eretta nell’altare<br />

del medesimo titolo dentro la chiesa<br />

collegiale dio San Giorgio, fondata<br />

con istrumento del 7 febbraio 1757 da<br />

Stefano Sorbara quondam Domenico,<br />

col peso di annue messe dodici, e con<br />

Gennaio 2010 Pagina 29


la riserba del padronato e con la sua<br />

dotazione 13 .<br />

SEMINARA - L’antica e nobile città<br />

di Seminara, ha avuto in passato un<br />

monastero dei Minimi intitolato alla<br />

SS.ma Annunciazione, fondato nel<br />

1622 per iniziativa di Matteo Regio,<br />

uomo integerrimo e di santa vita. Il<br />

monastero ebbe tre siti diversi, dovuti<br />

principalmente a motivi di sicurezza<br />

prima e <strong>della</strong> insalubrità dell’aria poi.<br />

Finalmente la terza ubicazione e edificazione<br />

fu voluta da p. Domenico di<br />

Galatro che per migliore comodità dei<br />

frati, procurò cospicue entrate finalizzate<br />

alla nuova fabbrica. Molti furono<br />

i benefattori che con le loro oblazioni<br />

resero possibile la realizzazione di<br />

quel progetto, dal quale i cittadini ne<br />

ricavavano benefici spirituali grazie a<br />

quella presenza monastica.<br />

Nella relazione inviata alla curia romana<br />

in data 9 febbraio 1650, viene<br />

asserito che il “convento dell’ordine<br />

dei Minimi di S.to Francisco di Paula<br />

fu fondato nell’anno 1621, a primo<br />

d’Agosto”, con l’assenso del vescovo<br />

di Mileto mons. Virgilio Cappone.<br />

Aveva poche stanze, sicché i monaci<br />

oltre al disagio del poco spazio, venivano<br />

disturbati dai banditi che imperversavano<br />

nelle campagne vicine. Con<br />

decreto apostolico del 9 maggio 1622,<br />

Papa Gregorio XV, fu trasferito<br />

all’interno <strong>della</strong> città. La famiglia religiosa<br />

era composta da p. Domenico<br />

Spanò di Melicucco, p. Francesco<br />

Pannace di Briatico, p. fra Gio: Batta<br />

Spanò di Melicucco e il p. fra’ Francesco<br />

Mandaglia di Caridà. I laici<br />

erano fra’ Francesco Piromalli di Gerace,<br />

fra’ Paulo Chizziniti di Maropati,<br />

e fra’ Honofrio Romano di Nao 14 .<br />

POLISTENA - Un convento risulta<br />

fondato a Polistena nel 1701 per interessamento<br />

dei nobili Gio. Domenico<br />

Milano e la moglie d. Ludovica<br />

Gioeni, marchesi di S. Giorgio e Polistena,<br />

su richiesta di fra’ Michele da<br />

Polistena 15 . Ai predetti coniugi il Capitolo<br />

del 1728 attribuì il titolo<br />

“dummodo incoeptum coenobium<br />

perficiant ac necessariis redditibus<br />

augeant” 16 . Per volontà popolare, la<br />

comunità polistenese il 7 settembre<br />

1704, proclamò S. Francesco compatrono<br />

<strong>della</strong> città 17 . Nel 1732 risultano<br />

presenti il Correttore fra Antonino<br />

Vetere di Sambiase e i sacerdoti Domenico<br />

Militano di Bellantone e Marco<br />

Mancuso di Coccorino. Attigua al<br />

L’Alba <strong>della</strong> <strong>Piana</strong><br />

La chiesa di Polistena<br />

convento fu edificata una chiesa dedicata<br />

al Santo Paolano, mentre sul<br />

piazzale antistante, sopra una basamento<br />

con tre gradini, fu innalzata<br />

una colonna con sopra una croce in<br />

ferro. A lato del basamento è riportata<br />

incisa la scritta: “Charitas 1739 –<br />

EANT VET SUO AERE EF”.<br />

ROSARNO - Il convento di Rosarno<br />

intestato a S. Francesco di Paola, risulta<br />

fondato nel 1650 18 ad opera di p.<br />

Giacinto da Ionadi, religioso di “vita<br />

ac moribus integerrimo”, sovvenzionato<br />

dai coniugi Francesco Montoro e<br />

Isabella Lascala. Questo cenobio nel<br />

capitolo generale di Lione nel 1758,<br />

fu declassato a vicariato. Nel successivo<br />

capitolo di Firenze tornò ad essere<br />

elevato a convento correttoriale 19 .<br />

Nella chiesa parrocchiale, è tuttora<br />

presente una statua lignea del nostro<br />

santo.<br />

Beneficio sotto il titolo di san Francesco<br />

di Paola, eretto nell’altare del<br />

medesimo titolo dentro la chiesa parrocchiale<br />

in Rosarno, fondata con<br />

istromento del 11 febbraio 1651 per<br />

atti di notar apostolico di Domenico<br />

Longo di detto luogo, col peso di una<br />

messala settimana, colla riserba de<br />

Padronato, e con la dotazione di un<br />

fondo sito in territorio di Terranova<br />

limite il fondo di Antonio Ammiraglia<br />

dell’annua rendita di ducati dieci, con<br />

la sua erezione del 19 luglio 1691 20 .<br />

PALMI - A Palmi, dopo il terremoto<br />

del 28 dicembre 1908 unitamente alle<br />

baracche per il ricovero dei senza tetto,<br />

venne edificata una chiesetta dedicata<br />

a S. Francesco di Paola. Negli<br />

anni trenta del passato secolo, in attuazione<br />

di un ampio piano di rico-<br />

struzione delle chiese nella diocesi<br />

(allora Mileto), “in vicinanza delle<br />

case popolari ove già esisteva una<br />

chiesa baracca, dedicata a S. Francesco<br />

di Paola con annesso Asilo Infantile,<br />

su terreno espropriato alla ditta<br />

Aiossa” 21 , la chiesuola venne demolita<br />

per costruire nello stesso sito la<br />

chiesa parrocchiale <strong>della</strong> Madonna<br />

del Rosario. Nella stessa chiesa fu eretto<br />

un altare ove fu situata l’antica<br />

statua del santo Paolano. Analogo altare<br />

fu eretto nella chiesa del Soccorso<br />

ove si venera un dipinto del Patriarca<br />

dei Minimi, opera del pittore Paris<br />

Nogari 22 .<br />

Nella chiesa parrocchiale S. Nicolò,<br />

sede <strong>della</strong> Collegiata, in occasione<br />

<strong>della</strong> santa visita pastorale effettuata<br />

il 29 settembre 1775, vi era un altare<br />

dedicato a S, Francesco di Paola con<br />

i seguenti pesi:1) una messa cantata<br />

nel giorno di detto santo, per l’anima<br />

del fu d. Giovanni di Aquino. Obbligo<br />

da adempirsi dai suoi eredi; 2) una<br />

messa la settimana per il legato lasciato<br />

da Stefano Morabito, obbligo<br />

d’adempiersi dai suoi eredi; 3) messe<br />

due la settimana, lasciato dal quondam<br />

Domenico Bagalà, con l’obbligo<br />

d’adempiersi dal rev. d. Filippo Bagalà;<br />

4)una messa la settimana lasciata<br />

dal quondam d. Giuseppe Speranza<br />

come dal testamento rogato per gli atti<br />

di notar Saverio Monaco. Ha la cura<br />

di celebrare il rev. Canonico d. Saverio<br />

Napoli di Placido 23 .<br />

Beneficio sotto il titolo di San Francesco<br />

di Paola eretto dentro la chiesa<br />

parrocchiale di Palmi. L’atto di fondazione<br />

risale al 1640 24 .<br />

Beneficio sotto il titolo di San Francesco<br />

di Paola eretto dentro la chiesa<br />

parrocchiale in Palmi. Oltre il decreto<br />

d’erezione esiste una fede dell’atto<br />

<strong>della</strong> fondazione, risalente al 1689 25 .<br />

Beneficio sotto il titolo di San Francesco<br />

di Paola eretto all’altare del medesimo<br />

titolo dentro la chiesa parrocchiale<br />

di Palmi, fondato come si pretende<br />

nel 1692 con atto pubblico del<br />

quondam Vito Morabito di Palmi, col<br />

peso di una messa la settimana, con la<br />

riserva del Padronato e con la dotazione<br />

di alcuni fondi siti in detto territorio,<br />

e propriamente di un giardino<br />

confinante con i beni di Giuseppantonio<br />

Papio e di un uliveto in contrada<br />

nomata Santa Maria delli coratoli,<br />

confinante con ibeni di Leonardo Saffioti<br />

e con tre vigne; lo stesso benefi-<br />

Gennaio 2010 Pagina 30


cio, inoltre, è accresciuto di un censo<br />

di ducati tre 26 .<br />

Beneficio sotto il titolo di San Francesco<br />

di Paola eretto nell’altare del medesimo<br />

titolo dentro la chiesa parrocchiale<br />

di Palmi, fondato con istromento<br />

degli 11 agosto 1697 da Giovanni<br />

do Aquino di detto luogo, colla riserba<br />

del patronato, senza alcun peso di<br />

messe, e colla dotazione di ducati annui<br />

quattro in tanti censi dovuti dai<br />

vari particolari del luogo di detta fondazione<br />

ed erezione 27 .<br />

Peso di una messa la settimana<br />

nell’altare di San Francesco di Paola<br />

eretto dentro la chiesa parrocchiale in<br />

Palmi, fondato con atto notarile del<br />

11 agosto 1689 da Marco Morabito di<br />

Seminara con la riserva <strong>della</strong> nomina<br />

del cappellano e con l’assegnazione<br />

di un fondo nomato lo Piano, sito in<br />

detto territorio confinante con i beni<br />

di Antonino Morabito, avente l’annua<br />

rendita di ducati ventitrè, eretto a titolo<br />

di cappellania vitalizia con decreto<br />

del 29 dicembre 1736, in persona del<br />

chierico Francesco Morabito 28 .<br />

Peso di una messa il mese nell’altare<br />

di San Francesco di Paola, eretto<br />

dentro la chiesa parrocchiale denominata<br />

S. Maria del Soccorso in Palmi,<br />

fondato con atto notarile del 8 aprile<br />

1734 da Patron Angiolo Giovannino<br />

quondam Leonardo di detta<br />

città, con la riserva <strong>della</strong> nomina del<br />

cappellano e con l’assegnazione di un<br />

fondo detto Cozza, sito in detto territorio<br />

limite i beni di Antonio Sinopoli,<br />

dell’annua rendita di ducati dodici,<br />

eretto a titolo di cappellania vitalizia<br />

con decreto del 17 agosto 1734, in favore<br />

del chierico Francesco Giannino<br />

di detto luogo 29 .<br />

Legato di 10 messe l’anno nell’altare<br />

di San Francesco di Paola eretto dentro<br />

la chiesa parrocchiale in Palmi,<br />

lasciato nel 1689, conforme si asserisce<br />

dal quondam Placido Grillà, con<br />

l’assegnazione di una casa sita in detta<br />

città dell’annua rendita di ducati<br />

otto, eretto con decreto del 26 maggio<br />

1726 a titolo di cappellania in persona<br />

del chierico Francesco Caristo di<br />

Palmi 30 .<br />

GIOIA TAURO - A Gioia Tauro, la<br />

città portuale <strong>della</strong> piana omonima,<br />

avendo il vescovo di Mileto, mons.<br />

Vincenzo De Chiara, istituito in data<br />

1° settembre 1968, una nuova parrocchia,<br />

per volontà dello stesso presule,<br />

di mons. De Lorenzo parroco di<br />

Sant’Ippolito e di don Albino Cara-<br />

L’Alba <strong>della</strong> <strong>Piana</strong><br />

tozzolo primo parroco, fu intestata a<br />

S. Francesco di Paola, un santo calabrese,<br />

moderno e molto venerato 31 .<br />

Accanto alla chiesa è stata edificata<br />

una moderna struttura che ospita i locali<br />

per la catechesi ai fanciulli, gli<br />

Scout e l’Azione Cattolica per giovani<br />

ed adulti. Nella struttura, inoltre, è attiva<br />

una libreria di testi sacri e scolastici<br />

intestata a Piergiorgio Frassati.<br />

Un settore dell’edificio, per diversi<br />

anni ha ospitato l’Istituto di Scienze<br />

Religiose “Giovanni XXIII”, poi trasferito<br />

in uno stabile <strong>della</strong> Curia diocesana.<br />

Una forma devozionale rimasta<br />

viva nel popolo sino a pochi anni<br />

addietro, consisteva nel portare nel<br />

piccolo tempio laureanese tredici<br />

“virginedhi” per pregare. Sicchè<br />

nella ricorrenza <strong>della</strong> festa del Patrono<br />

accorrevano piccoli drappelli<br />

dei paesi vicini, Candidoni, Plaesano,<br />

Feroleto e in special modo<br />

da Bellantone, il cui parroco d.<br />

Giuseppe Blasi aveva scritto un<br />

canto dialettale adatto per i fanciulli:<br />

Jamu, jamu a S. Franciscu<br />

Lu grà ssantu Calarvisi,<br />

Chi portau pe stì paisi<br />

La so grandi carità.<br />

Jamu, jamu nui figghioli,<br />

Ca nd’aspetta, ca ndi voli,<br />

Jamu tutti li figghioli<br />

Ca ndi fa la carità.<br />

Jamu, jamu a S. Franciscu,<br />

Lu grà santu Paulanu,<br />

Chia di supra a Mantuvanu<br />

Pe nui prega, pe nui sta.<br />

Jamu, jamu nui figghioli,<br />

Ca nd’aspetta, ca ndi voli,<br />

Jamu tutti li figghioli,<br />

Ca ndi fa la carità.<br />

Ndinocchiati a lu so’ artaru,<br />

Lu pregami cu gra’ ffidi,<br />

Ebidimu si nd’arridi<br />

Chidha facci d’abbondà.<br />

Jamu, jamu nui figghioli,<br />

Ca nd’aspetta, ca ndi voli,<br />

Jamu tutti li figghioli,<br />

Ca ndi fa la carità.<br />

A’ mu trova nu riparu,<br />

Ca Ddeu tuttu nci concedi,<br />

Ca si nno iamu addipedi<br />

E ndi stamu sempi dha.<br />

Jamu, jamu nui figghioli,<br />

Ca nd’aspetta, ca ndi voli,<br />

Jamu tutti i figghioli,<br />

Ca ndi fa la carità.<br />

No po’ diri mu sbijamu<br />

Ca su’ grandi li peccati,<br />

Mo cu nui sdirregiunati<br />

A’ mu vidi chi a’ mu fa.<br />

Jamu, iamu nui figghioli,<br />

Ca nd’aspetta, ca ndi voli,<br />

Jamu tutti li figghioli,<br />

Ca ndi fa la carità.<br />

Iju passa e nui cantamu,<br />

Ca meraculi a’ di fari:<br />

No li caccia a li contrari<br />

Ca lu poti la pietà.<br />

Jamu, jamu nui figghioli,<br />

Ca nd’aspetta, ca ndi voli,<br />

Jamu tutti li figghioli<br />

Ca ndi fa la carità.<br />

A conclusione del breve pellegrinaggio<br />

gli organizzatori, che<br />

prevalentemente erano pie donne,<br />

offrivano ai piccoli partecipanti,<br />

frutta secca e dolciumi vari: caramelle,<br />

confetti, nacatole e qualche<br />

soldo. A Candidoni, questa religiosa<br />

usanza fu promossa per molti<br />

anni da Rosaria Tartaria e Immacolata<br />

Sibio, particolarmente<br />

devote del santo <strong>della</strong> Carità.<br />

Sintesi e conclusione<br />

Il culto a San Francesco di Paola<br />

ha radici remote, ed è tuttora diffuso<br />

in tutti gli abitati <strong>della</strong> diocesi<br />

di Oppido Mamertina – Palmi,<br />

concretamente testimoniato dalla<br />

presenza nelle chiese di altari votivi,<br />

cappellanie, monti di messe, statue<br />

e quadri. A Messignadi 32 nel<br />

1628 venne fondata una Confraternita<br />

di S. Francesco di Paola. Analoghi<br />

sodalizi risultano a Castelmonardo,<br />

Catona, Pizzoni e Reggio<br />

Calabria, risalente al 1589.<br />

A Castellace, frazione di Oppido<br />

Mamertina, di recente è stata edificata<br />

una chiesetta con il titolo del<br />

fondatore dei Minimi.<br />

A Cinquefrondi all’inizio del ‘700<br />

era stata edificata una chiesa inte-<br />

Gennaio 2010 Pagina 31


stata al santo di Paola. Analoga<br />

chiesa esisteva a Casalnuovo,<br />

l’odierna Cittanova. Danneggiata<br />

dal terremoto del 5 febbraio 1783,<br />

fu ricostruita nel 1865 e rintitolata<br />

a S. Giuseppe Patriarca.<br />

A Galatro esisteva una cappellania<br />

fondata da don Diego Longo il 1°<br />

dicembre 1749, con l’assegnazione<br />

di un fondo, forse lo stesso ove una<br />

tradizione orale sostiene come luogo<br />

ove San Francesco avrebbe operato<br />

il miracolo del pane. Nella filiale<br />

chiesa del Carmine è tuttora<br />

custodita e venerata una pregevole<br />

statua lignea del santo.<br />

A Laureana di Borrello la signora<br />

Carlotta <strong>della</strong> Rosa, il 20 agosto<br />

1831, istituì nella chiesa arcipretale<br />

una cappellania gentilizia sotto<br />

il titolo di san Francesco di Paola.<br />

Un legato a titolo di cappellania<br />

vitalizia per la celebrazione di una<br />

messa all’altare <strong>della</strong> chiesa di S.<br />

Francesco di Paola di Laureana di<br />

Borrello, fu istituito da d. Francesco<br />

Macedonio, e assegnato al<br />

chierico d. Leonardo Ferrandello<br />

di Cinquefrondi.<br />

Un beneficio intestato a S. Francesco<br />

di Paola risulta a Lubrìchi<br />

nella prima metà del ‘700 33 .<br />

L’Alba <strong>della</strong> <strong>Piana</strong><br />

A San Giorgio Morgeto<br />

dal 1694 era stata<br />

istituita una cappella<br />

dedicata al Santo del<br />

sole <strong>della</strong> Carità. Vi<br />

erano inoltre nella parrocchia<br />

altre cappellanie<br />

ormai estinte.<br />

A Giffone, già dalla<br />

sua fondazione, è stato<br />

dedicato un altare al<br />

Patriarca paolano.<br />

Altre statue del Santo,<br />

sono disseminate un<br />

po’ ovunque. Sono note<br />

quella di Candidoni,<br />

Serrata, Rosarno, San<br />

Pietro di Caridà,<br />

Palmi. A Melicucco è<br />

presente un’edicola<br />

fuori l’abitato.<br />

Una mulattiera che<br />

collega il piano di Borrello<br />

al fondovalle<br />

Mottola e quindi alla<br />

intercomunale Candidoni-San Giovanni-Talania,<br />

un tempo molto frequentata,<br />

ma allo stato attuale in<br />

completo abbandono, a testimonianza<br />

del passaggio del Patriarca,<br />

ancora adesso viene denominata “A<br />

calata i San Franciscu”.<br />

Ogni centro abitato, nel corso dei<br />

secoli, ha dato religiosi all’Ordine<br />

dei Minimi. Si riportano qui di seguito<br />

i padri Correttori Provinciali<br />

di Calabria Ultra, originari del territorio<br />

<strong>della</strong> <strong>Piana</strong> di Goia Tauro 34 :<br />

1602: p. Francesco Longo di Sinopoli<br />

/ 1662: p. Teodoro da Caridà<br />

/ 1665: p. Domenico da Caridà<br />

/ 1668: p. Pietro da Borrello /<br />

1671: p. Domenico da Caridà la 2^<br />

volta / 1674: p. Francesco da Caridà<br />

/ 1677: p. Domenico da Caridà<br />

la 3^ volta / 1699: p. Michele da<br />

Caridà / 1720: p. Francesco da Caridà<br />

/ 1732: p. Gregorio da Caridà.<br />

I religiosi francescani minimi, ovunque<br />

hanno operato, hanno portato<br />

il carisma del loro fondatore,<br />

mediante una nuova evangelizzazione,<br />

fondata sull’amore di Gesù<br />

Cristo unico salvatore. Nei loro<br />

conventi affluivano i fedeli che<br />

nutriti con la parola di Dio e forti-<br />

ficati dal sacramento <strong>della</strong> riconciliazione<br />

e dell’eucaristia hanno ritrovato<br />

il sole <strong>della</strong> Charitas, la più<br />

grande delle virtù.<br />

Gennaio 2010 Pagina 32<br />

Note:<br />

1 ASV, S.C. Stat. Reg. Relations 33, ff, 490-<br />

490v.<br />

2 ASDM, Borrello, Monasteri, cartella n. 78.<br />

3 ASV, S.C. Stat.Reg. Relationes 33, ff. 490-<br />

490v.<br />

4 P. G. M. ROBERTI,, Disegno storico<br />

dell’Ordine de’ Minimi (1507-1907), pp.162-<br />

163.<br />

5 ASDM, I.C.5. p. 86r<br />

6 Biblioteca Nazionale di Napoli, Ms. XIV D.4.<br />

7 G. QUARANTA, Il Nuovo Stemma del Comune<br />

di Anoia, Poligrafiche Varamo, Polistena (RC)<br />

p.20.<br />

8 ASDM, I.C.5, p. 147P.<br />

9 ASDM, I.C.5. p. 87P bis.<br />

10 ASDM, Sante Visite vol. 12, p.731.<br />

11 ASDM, I.C.4., p. 59E.<br />

12 ASDM, I.C.4., p. 60E.<br />

13 ASDM, I.C.4., 61Er<br />

14 ASV, Relationes , ff. 474-474v.<br />

15 G. RUSSO, Polistena, Il Convento e la Chiesa<br />

di S. Francesco di Paola, Centro Studi Polistenesi,<br />

1997, p.5<br />

16 P. G. M. ROBERTI, Disegno Storico<br />

dell’Ordine dei Minimi, Roma, Tipografia Romana,<br />

1922 vol. III, p. 169.<br />

17 R. BENVENUTO, I Patronati di S. Francesco.<br />

Estr. da “Atti del II Convegno Internazionale di<br />

studio”, Paola, 7-9 dicembre 1990, Roma, Curia<br />

Generalizia dell’Ordine dei Minimi, 1992,<br />

pp.785-787; 790-791; 832-835.<br />

18 P. G. M. ROBERTI,, Disegno Storico<br />

dell’Ordine dei Minimi, Roma, Tipografia Romana,<br />

1922 vol. III p. 159.<br />

19 P. G. M. ROBERTI,, Disegno Storico<br />

dell’Ordine dei Minimi, Roma, Tipografia Romana,<br />

1922, vol. III pp. 168-169.<br />

20 ASDM, Benefici, p. 94P.<br />

21 ASDM, Palmi, Piano ricostruzione, cart. 64.<br />

22 D. FERRARO, La devozione di Palmi al patrono<br />

<strong>della</strong> Calabria, in Calabria Letteraria, anno<br />

LV n. 1-2-3, pp.112-113.<br />

23 ASDM, Sante visite, vol. 12, p. 628.<br />

24 ASDM, Benefici, p.147P.<br />

25 ASDM, I.C.5. 147Pr.<br />

26 ASDM, Benefici, p. 107P<br />

27 ASDM, I.C.5., p. 105Pr<br />

28 ASDM, I.C.5, p. 110P<br />

29 ASDM, I.C.5., pp. 109Pr-110P.<br />

30 ASDM, I.C.5., 111Pr.<br />

31 L. PRONESTÌ – SEMINARA, Parrocchia di San<br />

Francesco di Paola in Gioia Tauro, Castrovillari<br />

(Cs), 1994, p. 9.<br />

32 R. LIBERTI, Le Confraternite nella <strong>Piana</strong> di<br />

Gioia (Diocesi di Oppido-Palmi) in Le Confraternite<br />

Religiose in Calabria e nel mezzogiorno,<br />

Mapograf, Vibo Valentia 2002 Vol. I, pp. 249-<br />

250.<br />

33 R. LIBERTI, Le Confraternite nella <strong>Piana</strong> di<br />

Gioia ecc. p. 634.<br />

34 G. FIORE (P), Della Calabria Illustrata, Napoli<br />

1691.


F<br />

L’Alba <strong>della</strong> <strong>Piana</strong><br />

LO SCULTORE ROCCO MILANESE<br />

E I SUOI RAPPORTI CON TERRANOVA<br />

ino ad ora non sono stati sufficientemente<br />

evidenziati i<br />

rapporti dello scultore Rocco Milanese<br />

con Terranova. È vero,<br />

però, che in un volumetto, edito<br />

nel 1960, l’autore dello<br />

stesso, Raffaele Germanò<br />

(1901-1980), inseri-sce lo<br />

scultore “fra gli uomini che<br />

hanno illustrato questa città”<br />

senza altro specificare sotto il<br />

profilo delle informazioni, per<br />

cui la breve nota può sembrare<br />

una affermazione assolutamente<br />

priva di fondamento, non ripresa<br />

da alcuno proprio per la<br />

sua aleatorietà 1 . Eppure Milanese,<br />

per i dati incontrovertibili<br />

che emergeranno nel prosieguo<br />

di questo articolo, ha degli agganci<br />

solidi, di carattere parentale,<br />

con Terranova.<br />

Evidentemente Germanò,<br />

per quanto scritto, avrà fatto<br />

riferimento a qualche racconto<br />

<strong>della</strong> trasmissione orale, magari<br />

ascoltato in famiglia, o<br />

fatto tesoro di qualche ricordo<br />

adolescenziale (era dodicenne<br />

all’epoca di una visita di Milanese<br />

a Terranova), senza<br />

prendersi cura, tuttavia, di esperire<br />

altre indagini per offrire<br />

sostegni comprovanti la<br />

propria asserzione.<br />

Innanzitutto, prima di chiarire<br />

e di esaminare i dati biografici<br />

(fondamentali, come si vedrà, per<br />

“collegare” Milanese a Terranova),<br />

mi pare opportuno illustrare brevemente<br />

il personaggio, evidenziando<br />

come Rocco Milanese sia<br />

uno scultore, di formazione napoletana,<br />

vissuto a cavallo tra Ottocento<br />

e Novecento, abbastanza quotato in<br />

Italia e all’estero, tanto è vero che<br />

viene citato in qualche dizionario<br />

Agostino Formica<br />

specifico di artisti calabresi del periodo<br />

2 .<br />

Numerosissime sono state le<br />

sue partecipazioni a importanti<br />

collettive in diverse città italiane<br />

(Napoli, Torino, Venezia, Bologna,<br />

Roma, Milano) e straniere<br />

(Londra) con successo di pubblico<br />

e di critica (è stato molto apprezzato,<br />

fra l’altro, dal raffinato oratore<br />

e collezionista Achille Limoncelli<br />

e da Luca Postiglione).<br />

Le sue opere (in seguito inserite<br />

anche in retrospettive d’epoca)<br />

fanno parte oggi di collezioni<br />

pubbliche e private (due busti di<br />

notevoli dimensioni sono collocati<br />

nel cimitero di Vicenza).<br />

Tra le più significative basterà<br />

citare: Pescatore (bronzo);<br />

Testina (bronzo); Primo<br />

dono, bronzetto; Danzatrice;<br />

Testa di frate; La zingara; Ritratto<br />

di Signora; Contadino<br />

che ritorna dalla campagna;<br />

Sogno di una Venere, Monaco,<br />

Busto di Domenico Cirillo,<br />

(bronzo, Museo Nazionale di<br />

San Martino, Napoli) e tante<br />

altre ancora.<br />

Il suo mo<strong>della</strong>to (e gli<br />

stessi spunti compositivi)<br />

possono paragonarsi alla<br />

grande tradizione partenopea<br />

che ha in Vincenzo Gemito<br />

uno dei punti di riferimento,<br />

se non un indiscusso caposcuola.<br />

Milanese è stato allievo,<br />

nei suoi anni giovanili, del<br />

Regio Istituto di Belle Arti di<br />

Napoli (ecco perché è stata<br />

sottolineata la formazione<br />

napoletana), quindi ha lavorato<br />

in botteghe di altri scultori,<br />

perfezionandosi, infine, sulla<br />

figura umana con la frequenza<br />

<strong>della</strong> scuola di anatomia di<br />

Roma. Comunque Napoli rimane<br />

un punto focale <strong>della</strong><br />

vita, non soltanto artistica, di<br />

Milanese.<br />

Lo scultore calabro (per la verità<br />

il cognome registrato<br />

all’anagrafe è Milanesi e quello di<br />

Melanese compare nell’atto di<br />

matrimonio dei genitori) è nato a<br />

Melicuccà il 12 novembre 1852<br />

(viene dichiarato due giorni dopo)<br />

da padre melicucchese, Vincenzo<br />

(di diciassette anni) e da madre di<br />

Terranova, Serafina Rosa Scoleri<br />

(di venti anni), di professione fila-<br />

Gennaio 2010 Pagina 33


trice (ecco i rapporti con Terranova),<br />

figlia di Giuseppe Antonio<br />

e di Antonia Bongiorno 3 .<br />

Inoltre il matrimonio tra i coniugi<br />

Milanese è celebrato a Terranova<br />

il 25 gennaio 1852 dal<br />

Rev.do Sac. D. Carmelo Penura<br />

di Melicucca (scritto Melicocha)<br />

nella Chiesa dell’Assunta. Testimoni:<br />

D. Giuseppe D’Agostino e<br />

D. Giuseppe Calogero di Melicuccà.<br />

L’atto di matrimonio è<br />

firmato dal can. Vincenzo Cento 4 .<br />

Milanese ha fatto ritorno a<br />

Terranova nella tarda maturità,<br />

nel 1913 (almeno di questa data<br />

ufficiale si è in possesso, ma non<br />

è escluso che sia venuto precedentemente<br />

nella cittadina di<br />

origine <strong>della</strong> propria mamma)<br />

quando, per incarico dell’amministrazione<br />

comunale dell’epoca,<br />

ha redatto una “relazione<br />

peritale” sulla Madonna<br />

<strong>della</strong> Neve, allora - come oggi<br />

- collocata nella navata destra<br />

<strong>della</strong> Chiesa dell’Assunta (o<br />

forse gli amministratori, rivedendolo<br />

in Terranova, lo hanno<br />

sollecitato nel senso di approntare<br />

una perizia: solo questa,<br />

tuttavia, è congettura). Nulla si<br />

sa, infine, dell’anno e del luogo<br />

di morte dello scultore né<br />

dell’eventuale matrimonio o di<br />

discendenti.<br />

Ovviamente la relazione olografa<br />

di Milanese (che accanto<br />

alla firma in calce inserisce<br />

“Regio Istituto delle Arti”) con la<br />

sua attribuzione <strong>della</strong> splendida<br />

statua terranovese a Donatello è<br />

superata dagli studi recenti di<br />

Francesco Caglioti 5 , comunque<br />

rivela nel contesto un non sopito<br />

amore per la propria terra di origine<br />

quando si pronuncia per il riconoscimento,<br />

alla Chiesa terranovese<br />

dell’Assunta, del rango di<br />

“Monumento nazionale”.<br />

Riproponiamo di seguito, esclusivamente<br />

come contributo<br />

documentario, la trascrizione <strong>della</strong><br />

sua relazione 6 :<br />

L’Alba <strong>della</strong> <strong>Piana</strong><br />

Relazione del prof. Rocco Milanese<br />

Bassorilievo di marmo esistente<br />

nella Chiesa Parrocchiale di<br />

Terranova Sappominulio<br />

Opera di Donatello<br />

Si conosce che detto bassorilievo,<br />

rappresentante La Madonna <strong>della</strong><br />

Neve, fu rinvenuto fra i ruderi <strong>della</strong><br />

piccola Città di Terranova, distrutta<br />

col terremoto del 1783, negli scavi<br />

che s’incominciarono a praticare verso<br />

il 1785; unitamente ad altra Statua,<br />

quasi al vero, di poca importanza<br />

artistica, rappresentante la Madonna<br />

del Soccorso; ed ancora ad una statuina<br />

con la testa staccata dal busto<br />

(stile Donatelliano), rappresentante<br />

Santa Caterina, vergine e martire.<br />

Prima <strong>della</strong> catastrofe (1783),<br />

Terranova vantava ben sette monasteri<br />

e cinque conventi, con annesse<br />

relative chiese.<br />

Non si riscontra però, a precisare,<br />

a quali di questi luoghi di culto religioso<br />

appartenessero le opere d’arte<br />

su’ citate. Si sa soltanto, che il più<br />

importante fosse quello intitolato<br />

“Monastero di Santa Catarina” che<br />

secondo l’Onciario, risparmiato dal<br />

terremoto e conservato nell’Archivio<br />

comunale, aveva una rendita di ben<br />

18 mila ducati.<br />

Data l’importanza di essi conventi<br />

e la buona coltura dei frati, si arguisce<br />

che da Firenze alcuno di loro<br />

abbia potuto, per via di mare, far trasportare<br />

in Calabria l’Opera che citiamo,<br />

ch’è senza dubbio fra le più<br />

pregevoli del Donatello. Scolpita da<br />

Lui nella giovane età, e nel primo periodo<br />

felice dell’esperienza e maturità<br />

di studi dell’arte sua singolare.<br />

Ricavata dal marmo finissimo, la<br />

Madonna siede con posa molle e<br />

semplice tra due monticelli laterali,<br />

che chiudono tutta la figura.<br />

Ha nella mano sinistra adagiato il<br />

suo bambino, il quale alzando la manina<br />

destra, benedice con tanta grazia<br />

e vivacità infantile, che sembra del<br />

tutto vivo e vero! Poggiando l’altra<br />

manina sul suo ginocchio; e tutto intero,<br />

ha disegno e fattura delicatissima.<br />

Il volto umile e sereno <strong>della</strong> Madonna<br />

inclina delicatamente con divina<br />

e pura grazia. Il collo, robustissimo,<br />

arrotondito, sembra di quelli<br />

cui s’ispirava il divino Urbinate! Le<br />

pieghe del suo manto, maestralmente<br />

girate, scoprono in parte le<br />

fattezze del nudo. Il velo scende<br />

sulle spalle, lasciando scoperta la<br />

limpida rotonda fronte, coronata<br />

di lievi capelli, e gli occhi semiaperti<br />

pregano!<br />

Nel montecello a destra, da<br />

una screpolatura esce un serpentino,<br />

che s’inerpica, striscia e cammina;<br />

così bene è messo. Di tanto<br />

in tanto, in rari punti, si vedono<br />

scolpiti piccoli fiorellini di prato.<br />

Descrivere l’Opera, provarsi<br />

soltanto a farlo, riesce inefficace;<br />

è cosa molto difficile, siccome essa<br />

parla all’intelletto quando<br />

s’ammira.<br />

Poggia questa su bellissimo<br />

fregio in marmo. È da supporre,<br />

esso fregio, con altri pezzi, ancora<br />

sepelliti (sic), o non trovati; come<br />

pure la statuetta con la testa staccata<br />

dal busto, facessero parte di una intera<br />

Cappella in marmo tutta opera del<br />

nostro Donatello.<br />

Conclusione<br />

Debolmente, come ho potuto, ho<br />

descritto. Restami la certezza che la<br />

Chiesa, ove trovasi il gioiello, sarà<br />

dichiarata Monumento Nazionale<br />

<strong>della</strong> Parrocchia di Terranova Sappo<br />

Minulio.<br />

Napoli Giugno 1913<br />

R. Istituto delle Arti<br />

Rocco Milanese”.<br />

Ovviamente moltissime sono<br />

le “ingenuità” critiche che emergono<br />

nel contesto <strong>della</strong> relazione<br />

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di Milanese, sia in rapporto<br />

all’attribuzione <strong>della</strong> “Madonna<br />

<strong>della</strong> Neve” a Donatello, sia nella<br />

citazione à vol d’oiseau, ad<br />

esempio, <strong>della</strong> “statuina con la testa<br />

staccata dal busto (stile donatelliano)”,<br />

ovvero la splendida<br />

Santa Caterina d’Alessandria,<br />

opera di Benedetto da Maiano, restaurata<br />

magistralmente a Firenze<br />

dall’Opificio delle Pietre Dure e<br />

tornata a Terranova.<br />

L’attribuzione a Donatello delle<br />

due opere terranovesi rientra<br />

nella vecchia tradizione storiografica<br />

<strong>della</strong> provincia italiana - durata<br />

praticamente dal tardo Cinquecento<br />

fino al pieno Novecento<br />

(ed attiva tuttora in qualche regione,<br />

come, ad esempio, la Romagna)<br />

- per la quale ogni bella opera<br />

plastica di cui si potesse intuire<br />

l’origine quattrocentesca e toscana<br />

veniva riferita al grande patriarca<br />

fiorentino <strong>della</strong> scultura moderna,<br />

quasi che Donatello avesse avuto<br />

le braccia e la forza di Briareo atte<br />

ad affrontare anche solo il dieci<br />

per cento di tutto ciò che gli è stato<br />

attribuito nel tempo.<br />

A noi con questa nota interessa<br />

solo far luce sugli ascendenti terranovesi<br />

di Rocco Milanese e chiarire<br />

definitivamente il dato anagrafico<br />

di nascita dello scultore.<br />

L’Alba <strong>della</strong> <strong>Piana</strong><br />

NOTE:<br />

1 Santuario del “SS. Crocifisso”, Terranova Sappominulio<br />

(Reggio Calabria), Cenni storici del SS. Crocifisso,<br />

Esercizi di pietà, Stab. Tip. “Fausto Formica”,<br />

Taurianova (RC). Così viene detto a pag. 19:<br />

“Rocco Milanese, insigne scultore, delle cui opere si<br />

trovano in tutta Italia”.<br />

2 Cfr. E. Le Pera, Arte di Calabria tra Otto e Novecento:<br />

dizionario degli artisti nati nell’Ottocento,<br />

Rubbettino, Soveria Mannelli 2001, pagg. 134-135.<br />

Tuttavia anche Le Pera ha qualche dubbio sull’anno<br />

di nascita dell’artista, tanto è vero che inserisce tra<br />

parentesi, dopo il 1852, anche la data del 1857. Cfr.<br />

pure: A. Panzetta (schede di), Giovanni Bastianini,<br />

Rocco Milanese, Francesco La Monaca e Giuseppe<br />

Bergomi, in Il Ritratto interiore da Lotto a Pirandello,<br />

a cura di V. Sgarbi, catalogo <strong>della</strong> mostra di Aosta<br />

e Lodi, Skira, Milano 2005.<br />

3 Archivio Storico di Reggio Calabria, Registri di<br />

Stato civile, atti di nascita, inv. 76, b. 194.<br />

4 Archivio Parrocchiale di Terranova, Libri dei matrimoni,<br />

anno 1852. “Anno salutis millesimo octingentesimo<br />

quinquagesimo secundo die vero vigesima<br />

quinta mensis Januarii Vincentius Melanese ex terra<br />

Melicocha Seminariae Dioecesis Mileti, et D. Rosa<br />

Seraphina Scoleri hujus terrae, factis, per me, inter<br />

missarum solemnia triis denuntiationibus tribus diebus<br />

festivis continuis, scilicet die septima, die octava,<br />

et die decima quarta mensis Decembris anni 1851, et<br />

nullo impedimento allato, servatisque aliis servandis,<br />

mea licentia, conjuncti sunt in Matrimonium a<br />

Rev.do Sacerdote D. Carmelo Penura ex dicta terra<br />

Melicocha, in hac Parochiali Ecclesia sub titulo Sanctae<br />

Mariae in Coelum Assumptae, vulgo d(ict)a de<br />

Canto Civitatis Terranovae. Praesentibus testibus D.<br />

Josepho D’Agostino, D. Josepho Calogero ex d(ict)o<br />

loco Melicocha aliisque. Et inter solemnia ibidem<br />

beneditionem matrimonialem receperunt.<br />

Can(oni)cus Cento Oeconomus.<br />

5 F. Caglioti-G. Gentilini, Il quinto centenario di Benedetto<br />

da Maiano e alcuni marmi dell’artista in Calabria,<br />

in Bulletin année 1996-1997, n. 3, 1-4, Ètudes,<br />

Association des historiens de l’Art Italien, 50<br />

Rue de Varenne, Paris; F. Caglioti, La scultura del<br />

primo Rinascimento in Calabria (trascrizione da una<br />

conferenza Rotary), in Realtà Nuova, Rivista bimestrale,<br />

Istituto Rotary International, Istituto Culturale<br />

Rotariano, anno LXVII, n. 6, Milano, novembredicembre<br />

2003, pagg. 34-61; F. Caglioti, La scultura<br />

del quattrocento e dei primi decenni del cinquecento,<br />

in Storia <strong>della</strong> Calabria nel Rinascimento (a cura di<br />

S. Valtieri), Collana Meridione, Gangemi editore,<br />

Roma 2002.<br />

6 Archivio prof. Agostino Formica, Taurianova (RC).<br />

Maropati<br />

Datata la statua di<br />

S. Antonio da Padova<br />

Giovanni Mobilia<br />

La statua di Sant’Antonio da Padova,<br />

custodita nella chiesa parrocchiale<br />

di Maropati, ha finalmente una datazione<br />

precisa e un committente,<br />

grazie al rinvenimento di una lettera,<br />

conservata nell’Archivio Storico <strong>della</strong><br />

Diocesi di Mileto 1 , scritta il 1°<br />

agosto 1839 dal Sindaco Vincenzo<br />

Cordiano al Vescovo di Mileto<br />

mons. Armentano.<br />

Nella missiva il primo cittadino<br />

chiedeva al presule che ordinasse al<br />

Parroco di riportare la statua nella<br />

chiesa Madre, altrimenti Raffaele<br />

Nicoletta che, per devozione, di<br />

consueto patrocinava la festa, si sarebbe<br />

rifiutato di promuoverla.<br />

Questo il testuale documento:<br />

“Eccellenza Rev.ma,<br />

Giuseppe Seminara mio amministrato sin<br />

dal 1832 offrì alla chiesa matrice una statua<br />

di S. Antonio di Padova, che sempre fu<br />

celebrata la festa senza questuanti, ma a<br />

divozione di Raffaele Nicoletta.<br />

In quest’anno detta Statua fu trasportata<br />

nella chiesa filiale di S. Lucia, e la festa<br />

non fu celebrata a divozione di detto Nicoletta,<br />

per la ragione, che la sudetta statua<br />

fu cacciata dalla chiesa matrice, e si<br />

dovette venire alla nomina di un pio cercatore,<br />

con gravare questa popolazione<br />

ammiserita, quale festa può celebrarsi<br />

senza immiserire detta popolazione. Perciò<br />

prego l’E.V.R.ma ordinare che detta<br />

statua fusse trasportata nella chiesa matrice,<br />

e che la festa in parola si celebrasse<br />

a divozione di Raffaele Nicoletta secondo<br />

il solito.<br />

Passo ad implorare la Pastorale benedizione.<br />

Il Sindaco Vincenzo Cordiano”<br />

1 ASDM, B V II 603, Maropati, Parrocchia (1830-1849).<br />

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