Settecento a luci rosse - Centro Studi Biscegliese
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Luca De Ceglia<br />
<strong>Settecento</strong> a <strong>luci</strong> <strong>rosse</strong><br />
Storie di stupri e di violenza nel Nord-Barese<br />
7/QUADERNI DEL CENTRO STUDI BISCEGLIESE
- Tutti i diritti riservati -<br />
La riproduzione anche parziale del testo e delle fotografie è subordinata alla citazione della fonte.<br />
In copertina: J.P. MAYGRIER, Esplorazione in posizione orizzontale (1832).
PRESENTAZIONE<br />
Questo studio si propone di testimoniare i segni morali e materiali<br />
della vessazione femminile, da sempre soggiogata dalla supremazia<br />
maschile e dai condizionamenti patriarcali.<br />
Il voler argomentare quali furono le concause della sottomissione che<br />
unitamente alla complicità, al silenzio e all’omertà hanno inficiato sullo<br />
status d’inferiorità dell’essere donna rimane un enigma, sicché alla luce<br />
dei fatti, l’enorme danno morale che la donna si porta addosso è ancora<br />
attuale.<br />
Nel corso della leggendaria storia dell’umanità, il dono della creazione<br />
che il genere umano avrebbe dovuto sviluppare ulteriormente fu<br />
invece sottoposto ad un’involuzione.<br />
Il sesso debole, dominato dalla legge gerarchica della forza, non fu<br />
capace di liberarsi dal domínio; sebbene per riequilibrarne la dignità, i<br />
piú saggi cercarono invano di moralizzare una coscienza, prettamente<br />
maschilista, in cui all’uomo tutto era concesso.<br />
Tuttavia, si avanza l’ipotesi che la sudditanza o l’inferiorità sia una<br />
costante derivante dal peccato originale, perché alla donna fu detto: «…e<br />
la tua brama sarà verso tuo marito, ed egli ti dominerà» [Ge 3. 16].<br />
Verrebbe da chiedersi: ma senza quel peccato l’uomo e la donna<br />
sarebbero stati veramente uguali?<br />
Altrettanto vero è che la sapienza filosofica paragona la conoscenza<br />
ad un tabú, al quale si può accedere solo se si è veramente degni. Quindi<br />
ci è impossibile andare oltre, perché convinti che le carenze cognitive<br />
sono particolarmente evidenti, laddove si cercasse di incastonare il tutto<br />
in un quadro teorico che ne giustifichi la genesi.<br />
Tutti sappiamo ciò che le passioni eterne della vita hanno comportato<br />
nel genere umano, influenzando e modellando, sempre piú nello specifico,<br />
determinate categorie che si sono compiaciute della facoltà o del<br />
5
diritto-dovere di mascherare la verità. Ancora oggi, in molti Paesi, la<br />
“libertà della conoscenza” è vissuta come una minaccia per il mantenimento<br />
dell’ordine politico-religioso e, tutt’ora, continua a godere del<br />
sospetto delle autorità, perché ritenuta dannosa e pericolosa.<br />
Ma al di là delle derivanti argomentazioni o connotazioni sessuali, una<br />
riflessione piú approfondita ci porta a pensare alla grande conquista epocale<br />
raggiunta dall’emancipazione femminile ed inevitabilmente a<br />
respingere ogni genere di ambiguità e di pregiudizi.<br />
Nel costruire una società piú umana e intelligibile, affinché si possa<br />
meglio comprendere il futuro cammino che la femminilità è tenuta a percorrere,<br />
va sostenuta una maggiore informazione sulla verità della sua<br />
natura creativa e della sua missione culturale, perché la donna è destinata<br />
ad essere l’artefice della civiltà dell’amore del terzo millennio.<br />
6<br />
Antonio Cortese<br />
CENTRO STUDI BISCEGLIESE
INTRODUZIONE<br />
Nel 1231, a Melfi, Federico II promulgò il cosiddetto Liber Augustalis<br />
in cui si esaltava la totale dignità della donna e si comminavano asperrime<br />
pene (la pena capitale con forca o mannaia) a chi violava la loro morale,<br />
rapiva vergini o fidanzate nonché coniugate.<br />
Nessun discrimine, dunque, fra le violentate: dalla monaca alla meretrice.<br />
Né fra i violentatori: dal feudatario al villano. Né pietà per i complici,<br />
né elusività per la latitanza degli omertosi costernati 1 .<br />
Fu emessa una sentenza sovrana contro un castaldo che aveva abusato<br />
della domestica del suo padrone: «Sia immediatamente mutilato nei<br />
canali seminali: col terrore d’una punizione cosí aspra ma giusta si<br />
impari a controllare la propria libidine ed a rispettare la fedeltà col<br />
pudore ed il pudore con la fedeltà».<br />
Lo stupro come atto sessuale imposto con violenza è contemplato<br />
come reato già dagli antichi codici di legge.<br />
Il codice di Hammurabi condannava a morte il violentatore ma anche<br />
la donna se era sposata. Aveva salva la vita la donna soltanto se era vergine<br />
ma contemporaneamente diventava disonorata e non avrebbe piú<br />
potuto convolare a nozze ed era posta ai margini della società.<br />
Gli ebrei condannavano lo stupro ma come un reato contro la proprietà<br />
di un altro uomo.<br />
Nei secoli XVI e XVII, i medici quando testimoniavano ai processi, di<br />
solito affermavano che se vi era stato concepimento v’era stato anche piacere<br />
e dunque non vi era stato stupro!<br />
Nel medioevo si iniziò a punire la semplice congiunzione carnale, consenziente<br />
la donna, anche se libera, presumendo che fosse stata sedotta;<br />
successivamente si distinse lo stupro proprio, con la deflorazione, da<br />
1 R. IORIO, rubrica di Storia ne La Gazzetta del Mezzogiorno del 27 marzo 1999.<br />
7
quello improprio, senza deflorazione.<br />
Se poi la seduzione della donna avveniva con lusinghe ed in particolare<br />
con la promessa di un matrimonio, si imponeva all’uomo di sposarla o di<br />
dotarla.<br />
La conseguenza immediata di questo orientamento fece proliferare<br />
matrimoni riparatori tra appartenenti a classi sociali diverse.<br />
Per porvi un freno in Francia nel 1730 fu emessa un’ordinanza che illustrando<br />
gli svantaggi della regola aut nubat, aut dotet (o la sposi o la doti)<br />
previde solo pene lievi che, a seconda della gravità, andavano dall’elemosina<br />
alle pene corporali.<br />
In Italia, Ferdinando I di Borbone stabilí che «si avesse stupro nel solo<br />
caso di vera violenza perché le donne non devono approfittare della loro<br />
complicità nel delitto ma badare a conservare l’onore delle famiglie in<br />
cui nascono».<br />
Nacque cosí un nuovo concetto di stupro da intendersi come congiunzione<br />
carnale accompagnata da violenza, fisica o morale, reale o presunta<br />
2 .<br />
Anche nella nostra epoca lo stupro (dal latino stuprum = onta, disonore)<br />
continua ad essere spesso argomento per la giurisprudenza.<br />
Si ricorderà, nel febbraio 1999, il vespaio di opinioni e di proteste clamorose<br />
scatenatesi per la sentenza n. 1636 emessa dalla Cassazione, con<br />
cui veniva annullata una condanna per violenza carnale perché la vittima,<br />
una ragazza di Bella (PZ), indossava i jeans: un indumento, hanno sostenuto<br />
i giudici, «quasi impossibile da sfilare anche in parte senza la fattiva<br />
collaborazione di chi lo porta».<br />
Fu tuttavia un caso isolato perché, tre anni dopo, la Suprema Corte<br />
confermò la condanna di un violentatore di donna in jeans per un’altra<br />
vicenda.<br />
Sempre la Corte di Cassazione - terza sezione penale - con sentenza n.<br />
13829/99 ha sancito che non ha diritto a sconti di pena e non può invocare<br />
la concessione delle circostanze attenuanti il violentatore che non riesce<br />
a congiungersi carnalmente con la vittima per la resistenza che questa gli<br />
oppone.<br />
Come è noto la legge n. 66 del 15 febbraio 1996, che ha introdotto l’articolo<br />
609 bis del codice penale, ha ridisegnato il delitto di violenza sessuale<br />
come reato contro la libertà personale, abolendo la distinzione –<br />
propria del codice Rocco nel 1930 – tra congiunzione carnale ed atti di libi-<br />
8<br />
2 E. PESSINA, Enciclopedia del diritto penale italiano, Milano 1909.
dine. Secondo la nuova configurazione, l’elemento materiale del reato<br />
coincide con il compimento di qualsiasi atto sessuale senza il consenso<br />
del partner (consistente o no nella compenetrazione corporale); mentre<br />
oggetto giuridico del reato è propriamente la libertà sessuale della persona,<br />
intesa come diritto di disporre liberamente della propria sessualità.<br />
Insomma uno stupro non è come l’altro.<br />
È uno strumento di prevaricazione spesso usato per sottomettere<br />
popoli interi, come quello di massa compiuto a Nanchino in Giappone<br />
nella seconda guerra mondiale o ancora quelli perpetrati dai nazisti sulle<br />
donne sovietiche, fino alle gravi violenze sessuali compiute dai serbi sulle<br />
donne in Bosnia durante la guerra etnica.<br />
«Lo stupro – come sostiene l’Eurispes - è una presenza che ricorre<br />
nella storia dell’umanità».<br />
Sono invece cambiati repentinamente i tempi per la classica “pacca sul<br />
fondoschiena”.<br />
A gennaio 2001 la sezione V della Corte di Cassazione ha definito non<br />
punibile la “toccata e fuga sui glutei”. Dopo due anni e mezzo, nell’estate<br />
2003, la sezione III ha affermato che “basta una fuggevole toccata ai glutei<br />
per essere condannati per il reato di violenza sessuale previsto dal<br />
codice penale”. «Il palpeggiamento – si legge nella sentenza – costituisce<br />
indubbiamente un atto sessuale in quanto l’autore ha commesso un’effettiva<br />
e concreta intrusione nella sfera sessuale della vittima e tali atti,<br />
sia pur superficiali, integrano una oggettiva manifestazione di sessualità».<br />
Per non lasciar spazio a dubbi i giudici della Suprema Corte precisano<br />
che «devono includersi nella nozione di atti sessuali tutti quegli atti<br />
indirizzati verso zone erogene, e che siano idonei a compromettere la<br />
libera determinazione della sessualità del soggetto passivo e ad entrare<br />
nella sua sfera sessuale con modalità connotate dalla costrizione, sostituzione<br />
di persona, abuso di condizioni di inferiorità fisica e psichica».<br />
Fra questi atti «vanno ricompresi i toccamenti, palpeggiamenti e<br />
sfregamenti sulle parti intime delle vittime, suscettibili di eccitare la<br />
concupiscenza sessuale anche in modo non completo o di breve durata,<br />
essendo del tutto irrilevante, ai fini della consumazione, che il soggetto<br />
abbia o meno conseguito la soddisfazione erotica».<br />
Tra gli antichi manoscritti custoditi negli archivi locali, specie in quelli<br />
ecclesiastici, non è difficile imbattersi in curiosi e voluminosi processi per<br />
il reato di violenza carnale, verificatisi nel territorio Nord-Barese nel ’700.<br />
Si tratta di storie di sconvolgente attualità, che offrono un’interessante<br />
9
comparazione tra i modi di giudicare di ieri e quelli di oggi 3 .<br />
Questa divulgazione ha alla base una finalità storica e di studio; motivo<br />
per cui ho scelto di riportare nel testo narrativo anche i particolari piú<br />
crudi delle vicende selezionate, che destano sconcerto ma inevitabilmente<br />
ironia e curiosità.<br />
3 Numerosi sono i processi che ho rinvenuto molti anni fa nell’Archivio storico<br />
diocesano della Curia Arcivescovile di Trani. Introvabile è purtroppo il manoscritto<br />
risalente al 1694 relativo ad un “processo per seduzione” a Bisceglie, citato in un<br />
inventario dell’archivio privato Majellaro (carteggio in gran parte poi recuperato dai<br />
carabinieri del nucleo tutela patrimonio artistico di Bari, restituito e dotato di inventario<br />
presso l’Archivio storico diocesano di Bisceglie). Proprio nella “collezione<br />
Majellaro” (Acta criminalia, busta n. 4, n. 27) vi è una causa criminale datata Napoli<br />
11 agosto 1759, fra Margarita Cursano e Donato Dell'Olio, “attrice e reo convenuto”,<br />
per una “querela di stupro” mossa dalla stessa Cursano, ormai consapevole della<br />
volontà di Dell’Olio di non rispettare la “parola di matrimonio” data e di non ottemperare<br />
a quell’impegno dicendole: «mi ripugna di farlo senza averne la cagione».<br />
Presso l’archivio capitolare di Terlizzi sono stati censiti tre processi per stupro<br />
negli anni 1646, 1734 e 1736 (cfr. A. D’AMBROSIO, Acta criminalia, in Archivio diocesano<br />
di Terlizzi, vol. I, Inventario del fondo cartaceo in Quaderni dell’Archivio diocesano<br />
di Molfetta, Ruvo, Giovinazzo e Terlizzi, Tipografia Mezzina, Molfetta 1994).<br />
Sull’argomento si veda anche A. MILILLO, Giustizia e clero nel <strong>Settecento</strong>. Gli acta<br />
criminalia dell’Archivio storico diocesano di Bitonto, in <strong>Studi</strong> Bitontini, Edipuglia<br />
1996, pp. 57-70.<br />
Invece Vito Antonio Melchiorre, ne La Gazzetta del Mezzogiorno del 14 luglio<br />
2003, segnala un documento dell’Archivio Capitolare di Bari, che attesta un grave atto<br />
di violenza commesso contro una fanciulla “in capillis” (ossia non maritata, perché<br />
le donne nubili solevano un tempo portare i capelli sciolti sulle spalle e non raccolti<br />
in crocchia sulla testa). Era il 25 novembre 1672 quando un individuo penetrò nella<br />
casa della donna e coprendola di baci disse di volerla sposare (ciò in ossequio ad una<br />
prammatica del 9 marzo 1563, la quale faceva obbligo a chi baciasse una donna di<br />
unirsi con lei in matrimonio). Dopo averla cosí illusa, la sera dello stesso giorno la<br />
condusse in un luogo appartato, ove la stuprò, mentre alcuni compagni assistevano<br />
di nascosto alla scena. Il giorno dopo però la ragazza, avendo appreso la notizia che<br />
quell’individuo si andava vantando dell’azione commessa e che non aveva alcuna<br />
intenzione di prendersela come moglie, andò a denunziarlo alle autorità, facendolo<br />
incarcerare per 10 giorni. Successivamente scarcerato, senza che fossero ascoltate le<br />
ragioni della parte offesa, cominciò ad andarsene in giro vantandosi della potenza di<br />
cui godeva e di avere amicizie influenti. La giovane violentata non si diede per vinta e<br />
sporse denuncia contro di lui presso la Sacra Regia Udienza di Trani, chiedendo di<br />
instaurare contro di lui un regolare procedimento giudiziario. L’ 8 gennaio 1673 la<br />
Corte ordinò di raccogliere le informazioni a suo carico e l’immediata nuova carcerazione<br />
dell’accusato.<br />
10
BISCEGLIE<br />
VITTORIA STUPRATA DAL CHIERICO<br />
DOMENICO DE FEUDIS IN UN CASOLARE A SALSELLO<br />
Fra le mura della sua abitazione, in piazza Castello, a pochi passi dalla<br />
chiesa del Purgatorio, la giovane Vittoria Tattoli piange senza fermarsi un<br />
attimo.<br />
È stata anche abbandonata da tutti i suoi parenti per il disonore. Le<br />
donne del vicinato cercano di consolarla. Ma ella non riesce a trattenere il<br />
“delitto” che ha subìto e dopo pochi mesi confessa alla giustizia quanto è<br />
accaduto.<br />
Cosí sul finire del 1708 al Procuratore Fiscale della Corte vescovile di<br />
Bisceglie perviene la notizia che «Vittoria Tattoli, vergine in capillo, è<br />
stata stuprata et ingravidata sotto pretesto di matrimonio dal chierico<br />
Domenico De Feudis, con averci amoreggiato a lungo».<br />
Un fatto grave che merita di essere approfondito con l’istruzione di un<br />
processo, che in seguito finisce anche sul tavolo della Sacra Udienza di<br />
Trani.<br />
Il Procuratore intima ai due protagonisti della triste vicenda di violenza<br />
carnale di comparire dinnanzi alla corte ecclesiastica entro 6 giorni.<br />
Il chierico De Feudis, accusato di stupro, è irreperibile; mentre Vittoria<br />
Tattoli, la vittima, arriva immediatamente.<br />
«Son venuta a cercar giustizia – implora la giovane malcapitata –<br />
mentre mi trovo gravida e deflorata dal chierico Domenico De Feudis, i<br />
quale sotto i pretesto di volermi per moglie mi ha levato il fiore della mia<br />
gioventú».<br />
Parole che creano imbarazzo in aula.<br />
Il Procuratore avvia il dibattimento: «Dica essa Vittoria da quanto<br />
tempo ha tenuto amicizia col chierico? Con che occasione e come le ha<br />
11
levato la verginità ? Di quanti mesi sta gravida?».<br />
Vittoria racconta la sua lunga e dolorosa storia nei minimi particolari.<br />
«Due anni fa – dice la donna – venne in casa mia Narda Di Modugno,<br />
mandata dal chierico De Feudis, la quale mi disse che detto chierico<br />
voleva fare l’amore con me».<br />
Il chierico si era invaghito della bella Vittoria e dunque si era servito di<br />
un’ambasciatrice per rendere noto il suo desiderio.<br />
Era tale la “cotta” che l’innamorato «passava e ripassava dalla strada<br />
del Castello – dice Vittoria – con salutarmi ogni volta che passava<br />
quando io dimoravo alla finestra e alle volte in mezzo alla strada, mandandomi<br />
a regalare diversi frutti, qualche zagarella ed un fazzoletto di<br />
seta».<br />
A quei tempi un saluto del genere poteva costare caro alle fanciulle, era<br />
quasi un impegno; figuriamoci quindi che cosa comportava accettare un<br />
regalo da un uomo: «È cosí che il chierico – continua Vittoria – cominciò<br />
a farmi l’amore [corteggiarmi, n.d.r.], facendo allargare i miei innamorati,<br />
minacciandoli e cosí io cominciai a pigliarli affetto».<br />
Questo amoreggiare si protraeva da circa due anni.<br />
L’epilogo si verificò nell’estate del 1708, quando Vittoria, non potendone<br />
piú, si trasferí nella “casella” di suo zio Mauro, sita a Salsello.<br />
Qui la giovane perseguitata dai “mille” amanti (doveva avere sicuramente<br />
un bel aspetto) trascorreva le notti afose di agosto.<br />
Ma il chierico non vedendola piú, non si dà pace. Riesce ad appurare il<br />
luogo dove la sua amata Vittoria dimora. Tant’è che di sera, verso le tre di<br />
notte, egli si reca nelle vigne di Salsello con Sergio Senigaglia alias capatunno,<br />
Girolamo D’Addato e Vito Antonio Cataldo, col pretesto di andare<br />
a pescare.<br />
Vittoria riferisce al Procuratore che il chierico ed i suoi compari non<br />
andarono a pesca, ma si portarono nella vigna mentre suo zio Mauro e suo<br />
cugino Tomaso stavano di sentinella a Salsello.<br />
Gli altri fecero da palo ed il chierico passò ai fatti.<br />
«Egli – racconta Vittoria – vide che io ero sola nella casella e mentre<br />
stavo dormendo a letto con altri due miei nipoti piccoli, fra sonno e<br />
veglia lo vidi entrare». «Mi alzai – continua – e gli gridai: mi sei venuta<br />
a tradire».<br />
Ed il chierico le rispose: «Che paura hai? E se dovessi finire in mano<br />
ai turchi? Affidati a me».<br />
La donna comincia quindi a ricostruire la fase drammatica di quello<br />
che accadde in quella calda notte di agosto, mentre «lucea la luna come<br />
12
mezzogiorno», in quella piccola costruzione rurale a Salsello.<br />
«Egli – ricorda con amarezza Vittoria – cominciò a saggiare e toccare<br />
e per ultimo si calò li calzoni e calzonetti e si pose sopra di me con<br />
alzarmi la camicia dalla parte d’avanti slargandomi le coscie e col suo<br />
membro virile lo pose dentro la mia natura, cioè fessa, e nell’entrare mi<br />
fece gran dolore, dalla quale mi uscí gran sangue. La natura menare dal<br />
suo genitale come un’acqua tiepida. Dopo mi fece calcare di nuovo a<br />
letto e mi negoziò due altre notti carnali della medesima maniera di<br />
sopra».<br />
Insomma per Vittoria non vi era stato scampo.<br />
Tace per alcuni giorni e torna a casa.<br />
Il chierico si rifà vivo dopo quindici giorni: «con parola di volermi per<br />
moglie – dice la donna – e per questo mi contentai a condiscendere con la<br />
speranza di essere affidata».<br />
Poi l’amara sorpresa: «dopo un po’ mi accorsi di essere gravida». Per<br />
cui ella sopraggiunse: «Quando abbiamo a sbrigare a fare i matrimonio?».<br />
Ed il chierico: «quando accomodo le mie cose e dopo se ne parla».<br />
«Quindi vedendo che il chierico mi burlava – conclude Vittoria nell’interrogatorio<br />
– fui costretta a confidarmi con la vicina di casa e poi ad<br />
esporre querela criminale a questa Corte, affinché mi sia restituito l’onore<br />
che mi è stato tolto, col matrimonio».<br />
Placatasi l’emozione del racconto scandaloso, il Procuratore chiama<br />
come testimoni “de causa scientia” le vedove Rosa Muscio e Cecilia<br />
Bannera, di professione ostetriche.<br />
La loro perizia è la seguente: «Ho ritrovato il vaso virginale di<br />
Vittoria Tattoli rotto e messo il dito dentro mi è parso di toccare la testa<br />
della creatura che tiene nell’utero che stimo a mio giudizio possa…».<br />
«A mio parere – aggiunge Rosa Muscio – è gravida di 6 mesi».<br />
Davanti al Procuratore sfilano in seguito anche i vicini di casa,<br />
Ippolita, Giulio e Fabrizio.<br />
Essi confermano che Vittoria ha avuto diversi corteggiatori che la<br />
volevano per moglie e che «è nata da uomo e donna onorata e da buon<br />
parentato e che mai ha dato scandalo».<br />
Stranamente non vengono invece chiamati a testimoniare coloro che<br />
accompagnarono il De Feudis nelle vigne di Salsello.<br />
Il processo quindi si concentra sull’audizione del chierico accusato,<br />
che nel frattempo si è costituito spontaneamente alla Corte, essendo<br />
ricercato, ed è stato rinchiuso nelle prigioni vescovili in attesa di giudizio.<br />
13
Un esempio di custodia cautelare di trecento anni fa. De Feudis viene<br />
ascoltato a lungo dal Procuratore, ma nega tutto: «Voglio sapere – dice –<br />
perché sono stato carcerato, per una impostura fattami non so da chi?».<br />
Ma il procuratore vuole sapere innanzitutto dove egli si era rifugiato<br />
durante la sua latitanza.<br />
«Mi sono trattenuto alli padri Cappuccini di Bisceglie e di Andria»,<br />
risponde l’imputato.<br />
Poi il Procuratore va subito al nocciolo della questione: «Conosce<br />
Vittoria Tattoli e dove stava il 1708, il 25 del mese di agosto alle 3 di<br />
notte?».<br />
«Io – si difende De Feudis – stetti in un giardino di Molfetta del sig.<br />
Francesco Posa per alcuni miei affari e poi poiché non tenevamo servitori<br />
andammo in città per comprare da magnare. Non sono però mai<br />
entrato di notte in Bisceglie perché le porte della città erano chiuse».<br />
De Feudis continua a negare: «Non conosco Vittoria Tattoli e quindi<br />
come potevo fare l’amore? Non sono andato sonando e cantando sotto la<br />
finestra di nessuno, né ho mandato un’ambasciata per riferire che ero<br />
innamorato. Non conosco Narda Di Modugno».<br />
Ma l’ira del Procuratore incalza: «Come non conosce Vittoria Tattoli!<br />
Ha tenuto prattica con lei, l’ha stuprata e l’ha fatta uscire gravida e non<br />
la conosce?». «Non la conosco», ribatte il chierico ed aggiunge: «Io mi<br />
chiedo se sia possibile che uno possa incolpare un altro senza causa».<br />
Dopo altri confronti e qualche testimonianza piú o meno coincidente,<br />
termina l’interrogatorio.<br />
Per la Corte il chierico De Feudis, che peraltro era già stato in carcere<br />
un’altra volta ed era uscito per grazia ricevuta dal Vescovo, è colpevole.<br />
Egli viene condannato a dotare la donna stuprata ed all’esilio di tre<br />
anni dalla città di Bisceglie. Tutto sommato gli andò bene 4 .<br />
14<br />
4 ARCHIVIO STORICO CURIA ARCIVESCOVILE DI TRANI, Fondo manoscritti, C 2092.
CORATO<br />
PROCESSO CONTRO IL FRATE NICOLA MALEX<br />
PER CONCUBINATO E COMMERCIO CARNALE<br />
Abusi da dietro al confessionale. Se ne parla da tempo nella città di<br />
Corato. C’è un frate “mano lunga” che ne approfitta delle giovani fedeli.<br />
È il 1717 quando la coratina Donata Russo presenta una denuncia al<br />
Vicario foraneo don Giovanni Battista Balducci su quanto di osceno si<br />
verifica nel convento di San Cataldo.<br />
La vittima racconta di essere andata a confessarsi da frate Nicola con<br />
un epilogo a sorpresa.<br />
«Dopo aver udito i miei peccati mi disse che voleva tenere con me<br />
amicizia e prattica carnale – sostiene Donata – me lo accennò piú volte<br />
ed io me ne scandalizzai».<br />
Ma si va oltre. Il frate fa leva sul timore reverenziale per afferrare la sua<br />
ennesima “preda”.<br />
«Andavo a far orazione piú di una volta in detta chiesa e non potevo<br />
seccarmi davanti al frate che mi stimolava a ridere – spiega la donna –<br />
cosí mi indusse ad andare una volta di sera verso un’ora di notte nel<br />
convento».<br />
Ella accetta e si reca tra i muri “religiosi” accompagnata dalla “paesana”<br />
Nunzia Malcangio che però rimane fuori ad attenderla.<br />
«Mi introdusse nella sua cella ove con me stette solo», conclude la<br />
donna senza aggiungere particolari piccanti.<br />
Qualche giorno dopo confessa tutto ciò al sacerdote Giuseppe<br />
Castellaneta, che rifiuta di assolverla.<br />
Ma nei confronti del frate scattano le indagini. Viene inquisito ed incarcerato<br />
nel convento del Carmine.<br />
Si registra l’intervento di suo fratello, il prete don Girolamo, per chie-<br />
15
dere gli alimenti in favore di Nicola “per non vederlo morire di fame in<br />
carcere”.<br />
Nel frattempo nel processo che dura circa due anni fanno la loro comparsa<br />
altre vittime del frate e vari testimoni.<br />
C’è chi rivela di aver ricevuto dal frate la “promessa di denaro in cambio<br />
di commercio carnale” e chi riferisce che egli “fece dare bastonate ad<br />
una mia figliola dal Governatore perché ella aveva trovato un anelletto<br />
di oro e detto frate disse al Governatore che lo aveva rubato”.<br />
Elisabetta Bracco di Corato conferma i sospetti del “serial” molestatore:<br />
«mi diede scandalo, mi domandò nome e cognome e mi volle regalare<br />
delle lattuche ed altre cose che io avessi desiderato».<br />
Ma la storia continua.<br />
«Un’altra volta che mi confessai – aggiunge Elisabetta – dopo aver<br />
recitato i miei peccati, in cambio d’esortarmi ad un atto di pentimento<br />
e d’amore verso Iddio, fra Nicola, che tiene la faccia rossa come avesse il<br />
mal di fegato, mi disse di volermi portare nella sua cella per darmi due<br />
baci».<br />
Le accuse sono schiaccianti.<br />
Frate Nicola Malex viene interrogato. Ad una prima negazione segue il<br />
suo pentimento. Egli ammette di aver peccato, promette al giudice di non<br />
farlo piú e sostiene che “sollecitare le donne è stato solamente un atto di<br />
fragilità umana”.<br />
Ma per lui non c’è scampo alla condanna a cinque anni di carcere con<br />
la perpetua inabilitazione ad udire le confessioni sacramentali 5 .<br />
5 ARCHIVIO STORICO CURIA ARCIVESCOVILE DI TRANI, Fondo manoscritti, C 2150.<br />
A Corato il 9 giugno 1735 si verificò un omicidio a sfondo passionale. La vittima del<br />
delitto d’onore fu Pasquale Piancone “scannato nel letto della commara” dal marito<br />
della sua amante con la quale aveva “pratica carnale”. Cfr. P. TANDOI, Corato ieri, ne Lo<br />
Stradone, n. 8, agosto 1995 che ha pubblicato la sintesi del relativo processo.<br />
16
CORATO<br />
IL CHIERICO “ASSETATO” DI SESSO<br />
TENTA DI VIOLENTARE ANGELA<br />
Quella dell’Epifania del 1718 è stata una notte “brava” per il chierico<br />
Marco Pinto.<br />
Sono da poco passate quattro ore dopo la mezzanotte quando il sonno<br />
tranquillo di Angela Pinto viene sconvolto dal “toc toc” alla porta di casa<br />
sua.<br />
C’è un chierico che vuole entrare nel suo focolare domestico, ma la<br />
giovane lo respinge.<br />
“Non ho volontà piú d’offendere Dio perché ho fatto voto a Maria<br />
Vergine dell’Incoronata”, risponde ella all’insistente pretendente.<br />
Evidentemente, in precedenza, forse si era già “concessa”.<br />
Ma il chierico, di fronte al rifiuto, perde la pazienza e forza la porta d’ingresso.<br />
«Entrò in casa ed io tramortí a terra – racconta Angela nella querela<br />
criminale presentata al vicario capitolare – e mentre stavo in questa<br />
maniera ebbe detto chierico a che fare carnalmente».<br />
Si indaga. Viene citato un testimone.<br />
«Stava colcata (era a letto, n.d.r.) ed il chierico tozzolò la porta ma al<br />
rifiuto fece forza – racconta un vicino di casa – Angela cominciò a gridare<br />
e cascò a terra».<br />
Ma il chierico non si ferma. «Marco sfogava la sua raggia mentre essa<br />
stava a terra – aggiunge il teste – dicendo sta quieta mo ti faccio uscire<br />
l’anima e ti faccio trovare ne polvere ne cenere».<br />
Questo il fatto.<br />
Ma alla querela non vi sono allegati altri atti. Vi fu punizione per il chierico<br />
“assetato” di sesso 6 ?<br />
6 ARCHIVIO STORICO CURIA ARCIVESCOVILE DI TRANI, Fondo manoscritti, C 2153.<br />
17
18<br />
TRANI<br />
GIULIO INQUISITO PER INGIURIE<br />
E PRATICA CARNALE VERSO ISABELLA<br />
Un’ora dopo la mezzanotte, il 28 agosto 1719 nel borgo di Trani il silenzio<br />
viene turbato da urla ed impropéri.<br />
Il chierico Giulio De Angelis, accompagnato da suo fratello, tenta di<br />
offrire un confetto ad Isabella Zecchillo, una donna che abita nei paraggi<br />
della sua abitazione e peraltro è coniugata.<br />
Ma il dono, pretesto per introdurre il corteggiamento, viene rifiutato.<br />
Si degenera. Il fine è quello di “voler trattenere pratica carnale”. È una storia<br />
che si protrae da parecchio tempo.<br />
Isabella non acconsente ed il chierico la ingiuria, la maltratta e le graffia<br />
il viso.<br />
Ma non si ferma qui, stando alla denuncia che ella presenta alla Curia<br />
metropolitana nei confronti dell’aggressore.<br />
Egli infatti tenta di sfondare la porta di casa e non riuscendoci lancia<br />
una pietra alla finestra.<br />
Nella fase dibattimentale del processo si scopre anche un grave precedente:<br />
Isabella era in stato di gravidanza da 40 giorni ma aveva abortito a<br />
causa di un calcio nella pancia inflittole dallo stesso Giulio.<br />
La Corte interroga numerosi testimoni.<br />
Il Signor De Martino, vicino di casa, sostiene di averla “conosciuta<br />
come donna disonesta” e di aver notato il chierico Giulio “praticare la<br />
casa di Isabella per circa una anno”.<br />
Poi si verifica il fattaccio.<br />
Mentre don Giulio passava con suo fratello Girolamo, suonando flauto<br />
e chitarra, la donna lo ha ingiuriato apostrofandolo con questi termini: “sei<br />
un bardascio, malandrino porco”.
La risposta di Giulio non si è fatta attendere: “sei una puttana, porca<br />
io ti voglio squartare e poi – conclude il teste - l’ha rincorsa”.<br />
La donna invoca il Monsignore.<br />
Sfilano nell’aula delle udienze anche la madre Giulia Pizzo, le amiche<br />
Flora Pappolla e Bellaria De Mango.<br />
La vicina di casa Margherita Di Cassanello sostiene che “Giulio ha<br />
datto scandalo assai, mormoravasi che aveva pratica carnale, poi al<br />
lume della luna mi affacciai per curiosità e vidi che essi si ingiuriavano<br />
l’un l’altro e che egli la rincorreva”.<br />
Le indagini si concludono con la condanna e l’arresto del chierico<br />
Giulio che viene rinchiuso nel carcere del convento dei padri Agostiniani 7 .<br />
7 ARCHIVIO STORICO CURIA ARCIVESCOVILE DI TRANI, Fondo manoscritti, C 2160.<br />
19
TRANI<br />
IL SACERDOTE NICOLA SI INVAGHISCE<br />
DELLA MASSAIA LUCIA<br />
Nel febbraio 1723 Lucia Pellegrino alias mangia orgio, di 17 anni, presenta<br />
querela contro Nicola Leonardo Marinaro, sacerdote tranese, con<br />
una pesante accusa: “per avermi stuprata e tolto il mio onore”.<br />
La ricorrente racconta la vicenda in questi termini.<br />
«Stando io servendo nella casa di Belloccia e facendo servigi in<br />
strada, piú d’una volta mi sono incontrata col sacerdote Nicola – dice -<br />
sono salita su casa sua per vendergli una tovaglia bianca».<br />
Il sacerdote dopo averla vista disse che le avrebbe dato ciò che voleva,<br />
purché avesse fatto ciò che lui desiderava.<br />
«Ma io non gli risposi – continua – ed egli mi calò in un’altra camera<br />
e mi fece coricare a terra. Poi si calò li calzoni e mi alzò la gonnella e la<br />
camiscia e uscì da dentro la sua brachetta il membro virile e lo puntellò<br />
alla bocca della mia natura e si strinse a me baciandomi e mi fece assai<br />
dolore…e dopo che uscì mi trovai tutta insanguinata».<br />
Il procuratore fiscale chiama in veste di periti due “mammare” tranesi,<br />
Angela Zecchillo ed Angela Stella, le quali dopo averle effettuato un’accurata<br />
visita, attestano che Lucia “è stata deflorata e stuprata”.<br />
Poi compare nella veste di testimone il signor Antonio Basso, alias<br />
zoffa, che riferisce ciò che ha visto: «stavo fabbricando con mio figlio<br />
Felice e mastro Nicola Domenico Casamassima alla casa di don Nicola<br />
e vidi che passò Lucia che portava sotto il braccio un involucro di tela.<br />
Essa entrò e stavano parlando insieme e scherzando, poi vidi salire da<br />
giù il sacerdote, imbrattato e sbattuto».<br />
Versione questa confermata anche da altri teste.<br />
Nel corso del processo si verifica però un caso strano: la parte lesa,<br />
20
cioè Lucia, accompagnata da suo padre Leonardo, ritira la querela “per<br />
amor di Gesù Cristo e dichiara di essere illibata la sua verginità”.<br />
L’ 8 ottobre 1723 si costituisce il sacerdote Marinaro, che nel frattempo<br />
era stato carcerato nel convento di Sant’Agostino, il quale si difende in<br />
questi termini: «tale donna non la conosco» e rivela che i «fabbricatori<br />
[che avevano testimoniato contro di lui, n.d.r.] li ho cacciati perché essi<br />
commettevano molti furti e perciò mi hanno fatto tale impostura».<br />
Lucia viene interrogata nuovamente e si giunge ad un risvolto clamoroso<br />
dei fatti: «sono venuti a trovarmi il sacerdote Tommaso Termine ed<br />
Antonio Basso affinché io fossi andata dal signor Vicario a far querela<br />
contro Nicola Marinaro con dire che mi aveva sverginata, poiché lo volevano<br />
male».<br />
Si tenta di cambiare le carte in tavola e di depistare le indagini, ovvero<br />
di chiudere “pro bono pacis” la vicenda.<br />
Tuttavia il sacerdote Marinaro viene condannato all’esilio dalla città 8 .<br />
8 ARCHIVIO STORICO CURIA ARCIVESCOVILE DI TRANI, Fondo manoscritti, C 2193.<br />
21
CORATO<br />
SERVA VIOLENTATA ED INDOTTA<br />
A DICHIARARE IL FALSO<br />
È il 1729 quando Oronzo Giove “oratore umilissimo” della città di<br />
Corato denunzia Giacinto Frascolla perché “fusse castigato” in quanto nei<br />
giorni precedenti si era reso responsabile di aver “sforzato e violentato<br />
una sua serva”.<br />
Tal atto era passato in silenzio perché il sacerdote don Domenico<br />
Frascolla, fratello dell’accusato, “contro il decoro della dignità sacerdotale”<br />
aveva chiamato a casa di suo cognato una delle donne che testimoniavano<br />
contro Giacinto e di forza le aveva fatto sottoscrivere un atto pubblico,<br />
in cui ribaltava le accuse contro il suo padrone.<br />
Cosí il signor Giove, poiché “un tal atto è contro la stima e l’onore del<br />
supplicando”, aveva fatto in modo che la donna che aveva detto il falso<br />
fosse arrestata e carcerata.<br />
Successivamente egli invoca che quel sacerdote che ha “truccato il<br />
vero, sia castigato per falsità” 9 .<br />
22<br />
9 ARCHIVIO STORICO CURIA ARCIVESCOVILE DI TRANI, Fondo manoscritti, C 2256.
BARLETTA<br />
MARIA QUERELA IL SUO DATORE DI LAVORO<br />
PER STUPRO. POI RITRATTA:<br />
“L’HO FATTO PERCHÉ ERO STATA LICENZIATA”<br />
Nella curia di Trani si costituisce Maria Colella di Barletta per il ritiro<br />
di una “querela criminale” sporta il 4 novembre 1728 nei confronti del<br />
sacerdote Carlo Antonio Battipaglia della sua stessa città.<br />
Ella aveva denunciato il “secolare” sostenendo che mentre serviva in<br />
casa sua era stata “stuprata, ingravidata ed indi sgravata d’un figliolo”.<br />
Ma un anno dopo ritratta l’accusa.<br />
«Sono stata solamente indotta sul motivo che fui licenziata dal servizio<br />
di detta casa e però per disgrazia di sua coscienza…», dice la<br />
donna.<br />
Quindi discolpa il sacerdote “e lo fa di sua spontanea volontà e non è<br />
stata né minacciata né le sono stati promessi denari o altro e lo fa solo<br />
per vivere da cristiana e non ingannarmi l’anima”.<br />
Quanto ci sia di vero in queste ultime parole proferite nella remissione<br />
della querela è difficile stabilirlo 10 .<br />
10 ARCHIVIO STORICO CURIA ARCIVESCOVILE DI TRANI, Fondo manoscritti, C 2262. Un<br />
caso analogo di remissione della querela per stupro si verificò a Terlizzi. Il 18 dicembre<br />
1752 il sacerdote don Michele De Vanna fu inquisito di stupro da Grazia Modesto,<br />
zitella. Egli, essendo stato citato, si presentò spontaneamente nella Curia. Dopo aver<br />
preso le “informazioni” la Curia dispose la sua carcerazione nel convento dei Padri<br />
Minori Osservanti. Dopo un periodo di detenzione egli fu liberato poiché ottenne<br />
dalla parte offesa la remissione e la discolpa e se la cavò con una multa. In ARCHIVIO<br />
DIOCESANO DI TERLIZZI, Acta criminalia n. 468.<br />
A proposito delle serve domestiche a Terlizzi, riguardo alla coabitazione delle<br />
donne con i chierici fu emanato un editto da mons. Antonio Pacecco, vescovo di<br />
Bisceglie e visitatore apostolico in quella città, in cui si dispose che: «Dovendo i chierici<br />
non solamente essere lontani dal male ma, eziando da ogni sospetto di male,<br />
23
ordiniamo ed espressamente comandiamo che quei chierici, quali vivono soli, non<br />
abbiano veruna donna in casa di qualsivoglia età e condizione sotto pretesto di<br />
tenerla per serva, se non avranno la nostra espressa licenza, la quale non si darà<br />
senza le dovute cautele. Chi contravverrà, incorrerà in gravissime pene». Cfr. A.<br />
FICCO e A. D’AMBROSIO, Trasgressione e criminalità in Terra di Bari (Molfetta e<br />
Terlizzi tra Sei e <strong>Settecento</strong>), Capone Editore, Cavallino di Lecce 1991.<br />
A Molfetta, dinanzi al notaio, il signor Domenico Calò giura, che con l’occasione<br />
di esser andato come figliolo alla scuola del penitenziere don Corrado Mangini, di<br />
aver visto il comportamento che sua nipote Marianna “con molta libertà tratteneva<br />
con tutti quelli che praticavano in sua casa dove solea ammettere ogni sorte di<br />
uomini”. «Ella – racconta – col Padre Regente Giuseppe Novelli, domenicano, ci<br />
aveva una confidenza grandissima». È tempo di Natale. Il 23 dicembre 1766 “il<br />
Padre Novelli con le solite cerimonie si sedé vicino al letto dov’era Marianna e poi<br />
a mano a mano che discorrevano in disparte tra loro senza suggezzione… piú volte<br />
li ha fatto biglietti confidenziali con affettuose espressioni, come se fossero stati<br />
tra persone innamorate”. Marianna avrebbe dovuto sposare il signor Domenico<br />
Tortora. Ma quest’ultimo si era ritirato da tale promessa nuziale dimostrando con vari<br />
testimoni le malefatte della donna, che si era concessa anche ad alcuni soldati. Dal<br />
documento traspare poi lo “spettro” dell’aborto ed il ricorso a “medicamenti”. Per<br />
interrompere la gravidanza, poiché non arrivavano “li fiori” [le mestruazioni, n.d.r.]<br />
assunse l’erba “marcinise” procurata da Terlizzi che, mista ad una porzione di vino,<br />
la fece “spolverizzare”. (Atto notarile segnalatomi dall’avv. Giacinto La Notte, che<br />
ringrazio, in Archivio notarile di Trani, notaio G. La Notte, 1767, vol. 816).<br />
Il <strong>Settecento</strong> nel territorio Nord-Barese fu caratterizzato non solo da storie di violenza<br />
come quelle selezionate e sintetizzate fin qui. Furti di raccolti e brigantaggio<br />
erano all’ordine del giorno. In una lettera del 7 novembre 1774 si dispose<br />
all’Università di Bisceglie di prendere misure contro “la nota comitiva di malviventi,<br />
che infestano diverse campagne della provincia con l’assaltare, ferire e<br />
rubare per le medesime qualunque individuo” (Archivio Storico del Comune di<br />
Bisceglie, Conclusioni parlamentari, ad annum, f. 6). Ancora nel 1793 il Governatore<br />
locale rappresentò al parlamento cittadino l’urgenza di intervenire in quanto “per<br />
ogni dove ne’ territori si sentono di continuo, e si vedono de’ malviventi, che girano<br />
per la campagna, e commettono furti, incendi, omicidi, ed altri gravi eccessi”<br />
(A.S.C.B., Conclusioni parlamentari, verbale del 15 novembre, ff. 10-11). Ma anche il<br />
centro urbano non offriva migliore sicurezza. Tra il 1772 ed il 1773 si registrò un’autentica<br />
esplosione di delinquenza “sentendosi ogni notte commettere furti da figli<br />
d’iniquità nelle case de’ cittadini con scaliazione da sopra li solari”. (A.S.C.B.,<br />
Conclusioni parlamentari, tornata del 4 novembre 1772, f. 1; tornata del 22 agosto<br />
1773, f. 12).<br />
Una serie di fatti e di processi sia ecclesiatici che civili per tentato omicidio,<br />
aggressioni e ferimenti, furti ed estorsioni, tangenti eccetera dei secoli scorsi è stata<br />
raccolta in L. DE CEGLIA, Cronache curiose della Bisceglie d’un tempo, editore<br />
Cortese, Bisceglie 1994.<br />
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INDICE<br />
Presentazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 05<br />
Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 07<br />
Vittoria stuprata dal chierico Domenico De Feudis<br />
in un casolare a Salsello . . . . . . . . . . . . . . . » 11<br />
Processo contro il frate Nicola Malex per concubinato<br />
e commercio carnale . . . . . . . . . . . . . . . . » 15<br />
Il chierico “assetato” di sesso tenta<br />
di violentare Angela . . . . . . . . . . . . . . . . » 17<br />
Giulio inquisito per ingiurie e pratica<br />
carnale verso Isabella . . . . . . . . . . . . . . . . » 18<br />
Il sacerdote Nicola si invaghisce<br />
della massaia Lucia . . . . . . . . . . . . . . . . . » 20<br />
Serva violentata ed indotta<br />
a dichiarare il falso . . . . . . . . . . . . . . . . . » 22<br />
Maria querela il suo datore di lavoro per stupro. Poi ritratta:<br />
“L’ho fatto perché ero stata licienziata” . . . . . . . . . . » 23
Impresso in Bisceglie<br />
nel quinto mese<br />
del duemilaquattro<br />
dalla Litostampa Antonio Cortese