lavoravano la terra a Nigoline, come mezzadri. Ho fatto la quarta classe, qui a Colombaro dove adesso c’è il Centro Anziani, la maes<strong>tra</strong> era una Busecchi. Zanölå era il soprannome che mi davano allora. Se cercavano Parzani Giovanni non lo conosceva nessuno, ma se chiedevano di Zanölå lo conoscevano tutti. A mio fratello Battista, quello del ’22, dicevano Caròshå, a quello del ’20 Pìpo, e Angelo era Frìlo. Nel ’37 sono andato via soldato, una volta si andava a 21 anni; sono stato congedato nel ’38 e nel ’39 sono stato richiamato. Il lavoro del contadino non mi è mai piaciuto perché se avessi voluto fare il famiglio lì dai miei zii l’avrei fatto, allora... non c’era altro che andare alle <strong>fornaci</strong>. Ho lavorato prima con el Gal e poi con Brico Pignàtå e facevo il piccolo. Alla “Anessi Eugenio” lavoravo con i Burì e alla “Pezzotti Enrico” con Angel Sgàiå. Con Angel Sgàiå facevamo i coppi... io li mettevo... poi mi ha fatto imparare a fare i quadrelli e stavamo al banco tutti e due a farli. Ne facevo tanti come lui. Dai Ferrari la stessa cosa, facevamo 3.000 coppi al giorno. Eravamo in tre, suo fratello preparava l’argilla da lavorare, la móltå, e noi due al banco, ma quando il tempo non era tanto bello facevamo i quadrelli tutti e due, io e Emilio Burì, il maggiore dei fratelli. Poi la sera bisognava prenderli, metterli in pila e contarli. Al lavoro andavamo alle 4 della mattina fino alle 8 della sera e arrivavamo giù a piedi, vestiti con un paio di pantaloncini ed una canottiera. Mangiavamo verso le 8:30-9:00, un quarto d’ora per fare colazione, un’ora a mezzogiorno e verso le 16:30 mangiavi un pezzo di pane. Da bere non ce n’era molto. Quando lavoravo con Burì c’era sua sorella che veniva giù col caffè, ma non caffè e latte, caffè e vino bollito! Allora ne dava un po’ anche a me per... dare forza. Era furbo, eh!? Il lavoro si svolgeva così: l’argilla l’avevano già portata lì in inverno, tu la zappavi e innaffiavi 2 o 3 volte, la ammucchiavi e la tagliavi giù con la mano. Finché ci sono dentro dei cosi duri bisogna bagnare bene e zappare, se no non riesci a fare i quadrelli o i coppi. Una volta preparata l’argilla, andavamo con le carriole a prenderla e la mettevamo sul banco. Per fare i coppi c’era uno stampo, la cosiddetta cupérå, che serviva a dare la forma e sulla quale veniva messo il materiale. <strong>La</strong> portavamo sull’aia, toglievamo la cupérå e il materiale restava lì in piedi a seccare. Il giorno dopo raccoglievamo i coppi e li impilavamo sotto i portici: quelli addetti al forno sarebbero venuti a prenderli per la cottura, 109
Percorsi dei carrettieri 110 S<strong>tra</strong>da del Gas fino a Cremignane S<strong>tra</strong>da per Iseo S<strong>tra</strong>da per Provaglio-Brescia S<strong>tra</strong>da per Rovato S<strong>tra</strong>da per Adro-Capriolo-Bergamo
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