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Ammoniaca, acido, candeggina, alccol, meglio evitarli - Cantello

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I manuali di <strong>Cantello</strong><br />

Pericoli


ALCUNE CONSIDERAZIONI<br />

Il mondo delle pulizie è assai strano.<br />

Ci sono abitudini e credenze difficili da sradicare.<br />

Casalinghe, operatrici, pulitori professionisti sono talmente<br />

abituati a compiere ogni giorno dei gesti e delle operazioni<br />

sbagliate che sono diventate pratica comune.<br />

Questi errori e queste tradizioni si tramandano da madre<br />

in figlia o tra i lavoratori e diventa difficile fare capire gli<br />

errori.<br />

Spesso si è poi convinti che usare certi prodotti sia più<br />

sicuro, economico e meno inquinante che non utilizzare<br />

un detergente.<br />

Questa convinzione è invece errata.<br />

Alcuni prodotti largamente utilizzati sono dannosi sia per<br />

la salute di chi li utilizza sia per l’ambiente in quanto<br />

fortemente inquinanti.<br />

Di seguito riportiamo quindi una serie di utili notizie su<br />

alcuni prodotti ancora oggi largamente utilizzati, sebbene<br />

superati da detergenti molto più efficaci e molto meno<br />

pericolosi.


L’IPOCLORITO DI SODIO<br />

La vecchia, scontata <strong>candeggina</strong> ha un nome<br />

scientifico. Si chiama ipoclorito di sodio<br />

(formula chimica NaC10) ed e’ un prodotto dei<br />

cosiddetti impianti cloro-soda che servono alla<br />

fabbricazione di altre materie prime.<br />

Una soluzione al 5% circa di ipoclorito di sodio<br />

in acqua è nota come acqua di Labarraque (dal<br />

chimico francese Antoine Germain Labarraque,<br />

1777-1850), <strong>candeggina</strong>, varechina, nettorina,<br />

neveina, niveina o conegrina sono tutti nomi diversi per uno stesso prodotto una<br />

soluzione di colore giallo dal caratteristico odore penetrante. Spesso la comune<br />

conegrina viene chiamata anche Amuchina (che però è tutt’altro prodotto).<br />

L’impiego naturale e’ quello di “ossidante”, perché l’ipoclorito e’ in grado di<br />

modificare, attraverso meccanismi di reazione, le caratteristiche di altre materie<br />

chimiche.<br />

In realtà l’uso più diffuso dell’ipoclorito di sodio e’ quello di candeggiante per<br />

l’eliminazione delle macchie dai tessuti. Da questo punto di vista svolge<br />

egregiamente il suo lavoro, permettendo di eliminare a bassa temperatura, con un<br />

certo risparmio energetico, alcune macchie di difficile rimozione. Per il basso costo<br />

unitario la “<strong>candeggina</strong>” e’ preferita ad altri prodotti ben più cari ma dalle<br />

caratteristiche anche molto diverse.<br />

Ma quali sono gli usi “efficaci” di questo prodotto e quali invece quelli inutili o<br />

addirittura dannosi ?<br />

Il candeggio della biancheria è’ l’unica utilizzazione consentita senza rischi, sempre<br />

che si usi la giusta concentrazione, seguita da un intervento di neutralizzazione (un<br />

semplice buon lavaggio con detergente da bucato.<br />

Per quanto riguarda invece il potere disinfettante, le cose sono più complesse. Il<br />

prodotto libera facilmente cloro, uno dei migliori, ma più pericolosi, disinfettanti<br />

esistenti in natura.<br />

Se si vuole ottenere un’effettiva attività nei confronti dei batteri, bisogna utilizzare<br />

l’ipoclorito di sodio con molta attenzione sia nella concentrazione che nella diluizione<br />

di impiego, controllando attentamente il tempo di contatto.<br />

Attenzione pero’: l’ipoclorito venduto nelle famose “bottiglie gialle” diffuse nei vari<br />

punti di vendita, non supera i 6 o 7 volumi di concentrazione, assolutamente<br />

insufficiente per raggiungere lo scopo prefissato : la disinfezione.<br />

Inoltre la <strong>candeggina</strong> ha tre altri grossi problemi:<br />

- non è stabile nel tempo<br />

- è sensibile alla luce<br />

- è sensibile al calore


Questi fattori posso degradare velocemente i principi attivi rendendo la <strong>candeggina</strong><br />

poco più attiva che l’acqua fresca. Quindi se utilizzata per disinfettare potrebbe<br />

essere assolutamente inefficace.<br />

I problemi maggiori sorgono quando si vuole utilizzare l’ipoclorito come detergente.<br />

L’azione principale di un tensioattivo e’ quella di abbassare la tensione superficiale<br />

dell’acqua e di sciogliere, sospendere ed eliminare lo sporco grazie all’aiuto di altre<br />

componenti. L’ipoclorito invece e’ in grado di abbassare solo parzialmente la<br />

tensione superficiale dell’acqua e non contiene tensioattivi e quindi alcuna<br />

componente adatta a svolgere un’azione detergente.<br />

Anzi, l’attività detergente e’ del tutto marginale e addirittura dannosa : sulle superfici<br />

porose trattate frequentemente con la <strong>candeggina</strong> lo sporco tende ad accumularsi di<br />

volta in volta con effetti igienici negativi, inoltre questo acculo di sporco è difficile da<br />

eliminare.<br />

Neppure per le superfici non porose i risultati sono soddisfacenti: il colore bianco<br />

smagliante delle piastrelle di ceramica trattate con l’ipoclorito si deve infatti all’azione<br />

ossidante e non a quella detergente, come erroneamente si crede, quindi avremo<br />

superfici bianche ma sporche.<br />

Quindi si rischi di avere superfici molto bianche ma molto sporche.<br />

E, siccome lo sporco è il migliore nutrimento per germi e batteri, le superfici<br />

potrebbero diventare igienicamente insicure.<br />

Oltre a questi grossi inconvenienti, ce ne sono altri, più gravi, causati dalla tossicità e<br />

dall’errato impiego del prodotto, che contiene cloro, irritante per contatto, tossico per<br />

inalazione, inutilizzabile in miscela con altri prodotti perché può provocare reazioni<br />

anche molto pericolose.<br />

Insomma, l’antica, “sicura” <strong>candeggina</strong> dall’odore rassicurante, che ci fa venire in<br />

mente un ambiente pulito e disinfettato, non e’ così utile come sembra: il suo unico<br />

vero vantaggio e’ di costare poco. Ma oggi non ci basta più.


L’ACIDO MURIATICO<br />

L'<strong>acido</strong> cloridrico è un idr<strong>acido</strong> di formula<br />

HCl, noto commercialmente anche come<br />

<strong>acido</strong> muriatico.<br />

È un <strong>acido</strong> minerale forte (ovvero si<br />

ionizza completamente in soluzione<br />

acquosa) monoprotico (cioè ogni sua<br />

molecola, dissociandosi, libera un solo<br />

ione idrogeno), ed è il principale costituente del succo gastrico, oltre ad essere un<br />

reagente comunemente usato nell'industria. L'<strong>acido</strong> cloridrico è uno dei liquidi più<br />

corrosivi esistenti (una sua soluzione al 37% in acqua a 20 °C ha pH inferiore a 1),<br />

quindi deve essere maneggiato con attenzione.<br />

Pulizie [modifica]<br />

Nel campo delle pulizie trova utilizzo in svariate applicazioni:[22]<br />

■ pulizia di cantiere dopo la posa di pavimenti resistenti agli acidi per eliminare<br />

tracce di cemento e stucco;<br />

■ pulizia dei servizi igienici (eliminazione di residui calcarei);[23]<br />

■ pulizia di pietre.<br />

Tuttavia il suo utilizzo è sempre sconsigliato visto il suo potere fortemente corrosivo<br />

ed è preferibile utilizzare detergenti acidi specificatamente studiati per tali impieghi.<br />

Sempre nel campo delle pulizie risulta particolarmente dannoso se utilizzato su<br />

marmi e pietre calcaree (le rovina irrimediabilmente).<br />

Deve sempre e comunque essere utilizzato da solo e mai mescolato con altre<br />

sostanze con le quali potrebbe reagire producendo sostanze molto nocive; il caso più<br />

frequente è l'avvelenamento da cloro causato dal mescolamento di <strong>acido</strong> muriatico<br />

con la <strong>candeggina</strong>.<br />

(fonte http://it.wikipedia.org/wiki/Acido_muriatico)


L’<strong>acido</strong> muriatico viene utilizzato nel settore delle pulizie, soprattutto come<br />

disincrostante, anche se non e’ ancora stato completamente abbandonato il suo<br />

utilizzo come detergente. Il prodotto e’ decisamente <strong>acido</strong> e la sua azione<br />

violentissima, ovunque venga impiegato. Ricordiamo poi che sui pavimenti in marmo<br />

provoca danni gravissimi ed irreversibili come su molti altri materiali come le<br />

porcellane di servizi igienici. La sua azione corrosiva rende porosi i materiali con la<br />

conseguenza che lo sporco si attacca ancora di più e diventa ancora più difficile la<br />

sua rimozione.<br />

Non si può negare che l’<strong>acido</strong> muriatico funzioni come disincrostante per la<br />

rimozione dei residui calcarei e in certi casi anche come detergente, se intendiamo<br />

con questo termine solo ed esclusivamente l’eliminazione chimica dello sporco e non<br />

il suo distacco dalle superfici. Tuttavia gli aspetti negativi sono talmente numerosi da<br />

sconsigliarne decisamente l’utilizzo.<br />

L’azione disincrostante, che avviene per eliminazione fisica e non per distacco<br />

dell’incrostazione, sfugge al controllo e intacca irreparabilmente la superficie. Anche<br />

durante l’azione detergente le macchie e lo sporco vengono eliminati, ma con seri<br />

guai per i materiali (tipico il caso dei pavimenti in pietra, dove si vede il “friggere”<br />

delle superfici: in quel momento l’<strong>acido</strong> le sta intaccando).<br />

L’<strong>acido</strong> muriatico, oltre ad essere estremamente tossico se toccato, ingerito o inalato,<br />

libera gas di cloro a contatto con l’aria, rendendo malsana e addirittura cancerogena<br />

l’atmosfera degli ambienti in cui viene utilizzato.<br />

E’ importante anche prestare la massima attenzione quando si eseguono miscele<br />

con l’<strong>acido</strong> muriatico: questo prodotto e’ estremamente reattivo e quasi sempre i<br />

risultati di queste reazioni sono molto pericolose, soprattutto se l’<strong>acido</strong> muriatico<br />

viene unito a detergenti non acidi di cui inibisce il funzionamento, liberando vapori<br />

tossici.<br />

L’<strong>acido</strong> muriatico oltre a rovinare senza rimedio le superfici con cui viene a contatto<br />

agisce anche su oggetti che si trovino nelle vicinanze. Per esempio se viene<br />

utilizzato per lavare un pavimento e nelle stesso ambiente si trova dell’alluminio<br />

anodizzato, questo materiale annerisce in breve tempo per un processo di<br />

sensibilizzazione.<br />

In conclusione dall’utilizzo dell’<strong>acido</strong> muriatico derivano una grossa probabilità di<br />

danneggiare le superfici, gravi danni alla salute di chi lo adopera e un minor<br />

rendimento sul lavoro.<br />

I prodotti alternativi all’<strong>acido</strong> muriatico sono i detergenti a base acida chiamati acidi<br />

tamponati che favoriscono il distacco dello sporco e dei residui senza il pericolo di<br />

reazioni secondarie pericolose e senza alcuna tossicità per gli operatori.


L’ALCOOL<br />

Sono in molti a prenderne le difese: asciuga<br />

rapidamente, disinfetta e non richiede risciacquo.<br />

L’alcool è uno dei prodotti più utilizzati da alberghi,<br />

ristoranti, imprese, per pulire vetri, formica,<br />

superfici verniciate, acciaio, alluminio. Ma è<br />

davvero così efficace come sembra? Ricerche<br />

sulle caratteristiche di questo prodotto hanno<br />

dimostrato che l’alcool agisce come disinfettante<br />

solo su superfici lisce e sgrassate<br />

precedentemente con un detergente, mentre ha<br />

poca efficacia sulle superfici porose.<br />

Bisogna inoltre considerare che per tempi di<br />

applicazione uguali o inferiori a 30 secondi, l’alcool ha un potere battericida molto<br />

scarso con effetti irritanti sulla pelle e sulle mucose delle vie respiratorie. Un altro<br />

problema è quello della denaturizzazione delle proteine, che ostacola i processi di<br />

cicatrizzazione delle ferite.<br />

Analizzando poi le presunte caratteristiche detergenti di questo prodotto, possiamo<br />

affermare che l’alcool non ha alcuna proprietà detergente, perché si limita a<br />

“sciogliere” lo sporco, senza “staccarlo” dalla superficie, come avviene invece con i<br />

prodotti tensioattivi.<br />

Inoltre l’alcool dà scarsi risultati quando viene applicato su grandi superfici (ad<br />

esempio grandi vetrate) perché la sua evaporazione troppo rapida impedisce l’azione<br />

solvente che va sempre accompagnata, nel caso di utilizzazione dell’alcool, da un<br />

energico sfregamento della superficie.<br />

Per concludere, è consigliabile utilizzare detergenti specificatamente formulati che<br />

garantiscono risultati più completi e metodologie di impiego semplici.<br />

Per disinfettare è <strong>meglio</strong> usare prodotti universalmente riconosciuti ottimi per il<br />

trattamento delle superfici, che non provocano danni.


AMMONIACA<br />

L’ ammoniaca disponibile in commercio per<br />

uso privato è una soluzione di acqua e di<br />

idrossido di ammonio (NH4OH) in varie<br />

concentrazioni. L’ idrossido di ammonio ha<br />

proprietà spiccatamente sgrassanti ed è un<br />

componente di vari detergenti commerciali.<br />

USO DELL’ AMMONIACA<br />

L’ ammoniaca è una sostanza tossica per<br />

inalazione e irritante per contatto sulla pelle;<br />

va pertanto utilizzata con cautela e con<br />

grande parsimonia anche perché ha effetti<br />

inquinanti seri.<br />

La sua presenza in acqua infatti contribuisce all’ eutrofizzazione delle acque<br />

superficiali (torrenti, fiumi, laghi), un processo chimico di degenerazione che facilita<br />

lo sviluppo di alghe dannose, che sottraggono ossigeno e costringono all’ asfissia<br />

altri organismi vegetali e animali.<br />

L’ ammoniaca è presente come ingrediente nei pulitori sgrassanti e può essere<br />

utilizzata in dosi minute per potenziare il detergente alternativo per lavastoviglie, in<br />

caso di necessità.<br />

E un ottimo ravvivante dei colori tessili (tappeti e tessuti in genere).<br />

Non lascia aloni e per questo è amatissima da tutte le massaie per lavare vetri o<br />

pavimenti in ceramica.<br />

Attenzione: l’ ammoniaca reagisce con la <strong>candeggina</strong> e l’ <strong>acido</strong> muriatico producendo<br />

vapori tossici.<br />

Non usate mai ammoniaca, <strong>candeggina</strong> o <strong>acido</strong> muriatico insieme!<br />

Fonte: Cura naturale della casa, di Garzena – Tadiello – Edizioni Fag


LO SAPEVATE CHE....<br />

Veniamo ad un aspetto ben poco conosciuto in merito alla “miscele” tra prodotti.<br />

Molti dopo avere sentito tutto ciò si difendono dicendo che l’ammoniaca, loro, la<br />

usano assolutamente da sola e la diluiscono ulteriormente con acqua (magari molto<br />

calda).<br />

Sono convinti che diluendo l’ammoniaca con l’acqua del rubinetto si annulli ogni<br />

pericolo.<br />

Ma siete sicuri?<br />

Leggete con attenzione:<br />

Appunti sulla clorazione negli<br />

acquedotti<br />

(fonte: http://www.oppo.it/normative/clorazione.html)<br />

Il cloro per la disinfezione può essere aggiunto in vari modi; nella clorazione<br />

comunemente intesa (quella dei piccoli/medi impianti) viene semplicemente aggiunta<br />

una soluzione di ipoclorito di sodio (varechina, <strong>candeggina</strong>) all'acqua.<br />

Il pH e la temperatura incidono in modo rilevante sulla efficacia della disinfezione.<br />

Sia che il cloro venga immesso direttamente nella rete idrica, sia in un serbatoio,<br />

dovrebbe essere assicurato prima dell'utilizzo un “tempo di contatto” fra acqua e<br />

cloro di almeno 30 minuti, affinché il cloro possa svolgere la sua azione battericida,<br />

ossidando qualsiasi forma vivente esistente nell’acqua.<br />

Il Cloro così “si consuma” ed il residuo attivo in uscita dal serbatoio, o comunque<br />

misurato all'utenza, dovrà rientrare in un campo di determinati valori.<br />

Le soluzioni commerciali di ipoclorito di sodio usate per la clorazione hanno una<br />

percentuale tra il 12 e il 14% in volume, pari a circa il 10% in peso di cloro attivo (la<br />

<strong>candeggina</strong> ne contiene il 5%).<br />

Per ottenere un determinato valore al punto di controllo (es. 0,3 ppm), considerando<br />

che le soluzioni di ipoclorito perdono spontaneamente il titolo in cloro attivo, devono<br />

essere adottati al punto di immissione dosaggi superiori (es. 0,5 ppm).<br />

In questo caso, tenendo conto della diluizione commerciale (10%) occorrerebbe<br />

dosare l'additivo a 5 ppm (5 mg/l).<br />

DEFINIZIONI:<br />

Il cloro presente nell'acqua in forma disponibile, in grado di agire come ossidante<br />

(disinfettante), viene indifferentemente definito: libero, disponibile, attivo, residuo.<br />

Cloro libero (disponibile, attivo, residuo)<br />

Prodotto chimico attivo per la disinfezione.<br />

Quello che ha capacità igienizzante e che negli acquedotti non deve superare


determinati valori all'utenza.<br />

E' il parametro cui fanno riferimento le normative del settore acquedottistico.<br />

Cloro totale<br />

L'insieme di sostanze a base di cloro presenti nell'acqua.<br />

E' la somma di cloro libero (totalmente disponibile per la disinfezione) + cloro<br />

combinato (composto di cloro con altre sostanze organiche prodotte dalla<br />

disinfezione).<br />

Non corrisponde al cloro originariamente versato, ma a quello ridotto da<br />

evaporazione e consumo per disinfezione.<br />

E' un parametro molto utilizzato nel settore piscine.<br />

RIFERIMENTI NORMATIVI:<br />

La norma UNI EN 805:2002 "Approvvigionamento di acqua - Requisiti per sistemi e<br />

componenti" prevede l'ipoclorito di sodio (NaClO) tra i prodotti chimici per la<br />

disinfezione dei sistemi di distribuzione dell'acqua con una concentrazione max di 50<br />

mg/litro (50 p.p.m.).<br />

Probabilmente tale valore massimo è accettabile solo per la disinfezione iniziale delle<br />

tubature, non per la distribuzione dell'acqua.<br />

Il Decreto Legislativo 2 febbraio 2001 n. 31, allegato 1, parte c (parametri<br />

indicatori), indica un valore minimo consigliato 0,2 mg/l di disinfettante residuo,<br />

se impiegato.<br />

Detto valore dovrebbe essere inteso al punto di messa a disposizione dell'acqua<br />

all'utente.<br />

L'ipoclorito impiegato deve essere conforme alle norme UNI EN 901:2002.<br />

Estratto delle Linee-guida del 4 aprile 2000 per la prevenzione e il controllo della<br />

legionellosi, pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale n. 103 del 05 maggio 2000.<br />

Clorazione shock iniziale (episodica): deve essere effettuata su acqua a temperatura<br />

inferiore a 30°, con una singola immissione di cloro in acqua fino ad ottenere<br />

concentrazioni di cloro residuo libero di 20-50 mg/L in tutto l'impianto, ivi compresi i<br />

punti distali.<br />

Dopo un periodo di contatto di 2h con 20 mg/L di cloro oppure di 1h con 50 mg/L di<br />

cloro, l'acqua viene drenata e nuova acqua viene fatta scorrere nell'impianto fino a<br />

che il livello di cloro ritorna alla concentrazione di 0,5-1 mg/L.<br />

A tali concentrazioni di cloro l'acqua puo' essere considerata potabile, anche se il<br />

decreto del Presidente della Repubblica n. 236/1988 (superato da successive<br />

normative) prevede un limite consigliato di 0,2 mg/L, vista la particolare situazione<br />

contingente.<br />

Riprendiamo da testi in internet che:<br />

• negli USA la normativa stabilisce un residuo massimo di cloro di 4mg/l<br />

• la Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO) indica un residuo massimo di<br />

cloro utilizzabile di 5 mg/l, e minimo di 0,5 mg/l dopo almeno 30 minuti di<br />

contatto.<br />

I valori di cloro sia libero che totale vengono evidenziati con appositi reagenti, e<br />

prevalentemente misurati con il colorimetro portatile. vedi: Colorimetro digitale


QUINDI:<br />

ogni volta che diluiamo<br />

ammoniaca o <strong>acido</strong><br />

muriatico con acqua del<br />

rubinetto rischiamo di<br />

fabbricare una miscela<br />

estremamente pericolosa,<br />

e di inalare gas tossici<br />

per la salute.

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