Capitolo 1. - Dipartimento di Fisica
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<strong>Capitolo</strong> <strong>1.</strong><br />
<strong>1.</strong>1 L’interesse astrofisico per le polveri.<br />
Sin da quando l’uomo ha iniziato ad osservare il cielo con strumenti più potenti<br />
dell’occhio umano, si è accorto della presenza <strong>di</strong> oggetti <strong>di</strong>fferenti dalle stelle;<br />
solo con il passare del tempo e con il potenziarsi delle metodologie <strong>di</strong><br />
osservazione, ha osservato oggetti non stellari sempre più piccoli, passando dai<br />
pianeti ad asteroi<strong>di</strong> <strong>di</strong> <strong>di</strong>mensioni <strong>di</strong> qualche decina <strong>di</strong> metri.<br />
Con lo svilupparsi delle tecniche <strong>di</strong> spettroscopia stellare si è andati ad<br />
investigare sulla composizione chimica delle stelle. Anche se i costituenti<br />
principali delle stelle sono l’idrogeno e l’elio, si è notata la presenza <strong>di</strong><br />
concentrazioni, anche se molto basse, <strong>di</strong> metalli 1 . Tale scoperta è in seguito stata<br />
giustificata tramite una teoria <strong>di</strong> evoluzione stellare secondo cui, mentre le stelle<br />
<strong>di</strong> prima generazione sono costituite solo da idrogeno ed elio, le stelle <strong>di</strong><br />
generazione successiva, essendo create da nebulose arricchite <strong>di</strong> materiali dalla<br />
1<br />
In astrofisica si è soliti definire metalli tutti gli elementi chimici aventi numero atomico<br />
superiore a due.
Polveri interstellari. 5<br />
prima, hanno un contenuto in metalli non nullo. Questo fu l’avvento della teoria<br />
che vede le stelle come fucine in cui vengono creati gli elementi che danno<br />
origine all’universo come noi lo ve<strong>di</strong>amo.<br />
Nei paragrafi successivi si esploreranno le varie strade che i materiali prodotti<br />
dalle stelle seguono una volta liberati nello spazio e, <strong>di</strong> conseguenza, i vari<br />
processamenti che subiscono. In particolare si evidenzieranno le caratteristiche<br />
delle polveri planetarie e cometarie, la riproduzione del cui spettro in laboratorio è<br />
uno degli scopi del lavoro <strong>di</strong> tesi.<br />
<strong>1.</strong><strong>1.</strong><strong>1.</strong> Polveri interstellari.<br />
Già Charles-Joseph Messier (1730-1817), autore dell’omonimo catalogo<br />
astronomico, notò, con le osservazioni <strong>di</strong> oggetti esterni al sistema solare, la<br />
presenza <strong>di</strong> oggetti estesi. In seguito al progresso della tecnica e della tecnologia<br />
astronomica si è scoperto che un gran numero degli oggetti catalogati da Messier<br />
sono delle galassie, giganteschi ammassi stellari. Un numero considerevole <strong>di</strong><br />
oggetti è costituito, però, da nuvole le cui origini coprono una notevole casistica.<br />
Si può <strong>di</strong>stinguere a questo punto due <strong>di</strong>fferenti tipi <strong>di</strong> nebulosità: le nebulose<br />
gassose e le nebulose a riflessione. Così come <strong>di</strong>ce il nome, le prime sono delle<br />
gran<strong>di</strong> nubi <strong>di</strong> gas ionizzato, associate a stelle calde che emettono luce visibile
Polveri interstellari. 6<br />
Figura <strong>1.</strong><strong>1.</strong> La nebulosa della Tarantola, esempio <strong>di</strong> nebulosa gassosa. Si<br />
tratta <strong>di</strong> una regione HII, vale a <strong>di</strong>re una regione costituita da idrogeno<br />
ionizzato.<br />
sotto l’azione della ra<strong>di</strong>azione ultravioletta che ricevono dalle stelle. Le nebulose<br />
a riflessione, a causa della presenza <strong>di</strong> polvere, sostanzialmente <strong>di</strong>ffondono la luce<br />
stellare senza mo<strong>di</strong>ficare sostanzialmente lo spettro.<br />
Figura <strong>1.</strong>2. Classico esempio <strong>di</strong> nebulosa a riflessione. M57, la nebulosa ad<br />
anello in Lyra.<br />
La <strong>di</strong>fferenza tra questi due tipi <strong>di</strong> nebule si capisce facilmente se si pensa che<br />
il mezzo interstellare è costituito essenzialmente da due componenti: il gas e la
Polveri interstellari. 7<br />
polvere, quest’ultima costituita da microscopiche particelle solide condensatesi<br />
dallo stesso gas interstellare.<br />
Mentre il gas, in seguito all’assorbimento <strong>di</strong> ra<strong>di</strong>azione UV ionizzante, emette<br />
per ricombinazione un suo caratteristico spettro nella regione ottica, la polvere<br />
deve invece la sua luminosità (sempre nella regione ottica) alla semplice<br />
<strong>di</strong>ffusione della ra<strong>di</strong>azione delle stelle vicine. È quin<strong>di</strong> imme<strong>di</strong>ato pensare che i<br />
fattori che determinano l’apparenza <strong>di</strong> una nebulosa come ad emissione o a<br />
riflessione saranno il rapporto gas/polvere ed il rapporto tra ra<strong>di</strong>azione UV e<br />
visuale emessa dalle stelle ed ovviamente la geometria del sistema e le <strong>di</strong>stanza<br />
dalle stelle.<br />
In pratica, a causa della forte <strong>di</strong>pendenza dell’emissione UV <strong>di</strong> una stella dalla<br />
temperatura, la con<strong>di</strong>zione più importante che deve essere sod<strong>di</strong>sfatta per avere<br />
una nebulosa gassosa intorno ad una stella è che questa sia calda. È ovvio però<br />
che deve esserci anche presenza <strong>di</strong> mezzo interstellare nelle vicinanze, con<strong>di</strong>zione<br />
questa che viene sod<strong>di</strong>sfatta il più delle volte in prossimità della nascita o della<br />
fine <strong>di</strong> una stella. La ragione <strong>di</strong> questa stretta associazione è che le stelle si<br />
formano per condensazione <strong>di</strong> gran<strong>di</strong> nubi interstellari e che negli ultimi sta<strong>di</strong><br />
della loro evoluzione sono accompagnate da rilevanti per<strong>di</strong>te <strong>di</strong> massa.<br />
Ma la materia interstellare non si trova solo nelle nebulose, essa è sparsa<br />
ovunque nello spazio che separa le stelle del <strong>di</strong>sco galattico con concentrazione<br />
<strong>di</strong>versa da zona a zona e con densità maggiore nelle nebulose.<br />
Si pone allora il problema dello stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> questo materiale sparso nella fascia<br />
del piano galattico. Anche se la massa totale <strong>di</strong> tale materia osservabile<br />
<strong>di</strong>rettamente, all’interno della Galassia, è inferiore al 10% della massa galattica, la
Polveri interstellari. 8<br />
sua analisi riveste grande importanza nello stu<strong>di</strong>o sulla formazione delle stelle.<br />
Per scoprire la presenza e stu<strong>di</strong>are le caratteristiche della materia interstellare si<br />
indagano gli effetti che essa produce sulla ra<strong>di</strong>azione proveniente da stelle<br />
lontane.<br />
Le polveri interstellari, piccola percentuale della materia interstellare, sono<br />
costituite da minutissimi grani <strong>di</strong> particelle solide che hanno la proprietà <strong>di</strong><br />
<strong>di</strong>ffondere la luce in modo selettivo: per effetto <strong>di</strong> questo fenomeno <strong>di</strong> <strong>di</strong>ffusione<br />
ed assorbimento, la luce che proviene da una stella appare ai nostri apparati <strong>di</strong><br />
misura tanto più indebolita ed arrossata quanto più la stella è lontana, o più<br />
esattamente quanto maggiore è la quantità <strong>di</strong> polveri interstellari che ha<br />
attraversato. La misura dell’effetto <strong>di</strong> arrossamento <strong>di</strong> una stella è condotta<br />
confrontando l’in<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> colore 2 osservato con quello previsto in assenza <strong>di</strong><br />
arrossamento interstellare.<br />
La determinazione dell’in<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> colore <strong>di</strong> una stella consiste nella misura della<br />
<strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> magnitu<strong>di</strong>ne che la stella presenta quando è osservata in due <strong>di</strong>versi<br />
domini spettrali. Nella sua formulazione più semplice, il problema si risolve<br />
me<strong>di</strong>ante la misura della luminosità <strong>di</strong> una stella facendo uso <strong>di</strong> un fotometro<br />
accoppiato a vari filtri <strong>di</strong> colore <strong>di</strong>verso. Ora se la ra<strong>di</strong>azione <strong>di</strong> una stella è<br />
arrossata per effetto delle polveri interstellari, il suo in<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> colore appare<br />
maggiore <strong>di</strong> quello <strong>di</strong> una stella <strong>di</strong> pari tipo spettrale e classe <strong>di</strong> luminosità ma non<br />
arrossata: si <strong>di</strong>ce che la stella presenta un eccesso <strong>di</strong> colore. È il caso <strong>di</strong> porre<br />
l’accento sul fatto che un eccesso <strong>di</strong> colore non in<strong>di</strong>ca che la stella presenta troppa<br />
2 Si definisce in<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> colore la <strong>di</strong>fferenza tra le magnitu<strong>di</strong>ni in <strong>di</strong>verse bande fotometriche. Le<br />
bande fotometriche più usate in astronomia sono U (λU = 365 µm), B (λB = 440 µm) e V (λV = 548<br />
µm), <strong>di</strong> conseguenza gli in<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> colore più usati sono (B-V) e (U-B).
Polveri planetarie. 9<br />
ra<strong>di</strong>azione alla lunghezza d'onda più grande, ma esprime piuttosto quanta<br />
ra<strong>di</strong>azione alla lunghezza d'onda minore è stata sottratta per effetto<br />
dell’arrossamento interstellare. Il fenomeno globale dell’arrossamento ed<br />
indebolimento della ra<strong>di</strong>azione stellare da parte della materia interstellare prende<br />
il nome <strong>di</strong> estinzione interstellare. La misura dell’eccesso <strong>di</strong> colore racchiude<br />
preziose informazioni sia sulla quantità <strong>di</strong> polveri interposte tra noi e le stelle che<br />
sulla loro natura.<br />
<strong>1.</strong><strong>1.</strong>2. Polveri planetarie.<br />
Così come le stelle anche i sistemi planetari hanno origine dal collasso<br />
gravitazionale <strong>di</strong> una nebulosa, <strong>di</strong> conseguenza si viene a creare un forte legame<br />
tra le polveri interstellari e quelle che troviamo sui pianeti. Risulta conveniente<br />
riassumere brevemente come viene a formarsi un sistema planetario, in particolar<br />
modo quello solare, su cui si hanno molte informazioni.<br />
L’ipotesi generalmente accettata è quella della formazione del sistema solare<br />
dalla condensazione <strong>di</strong> una nube <strong>di</strong> gas e polveri, che contraendosi e collassando<br />
prese a ruotare con velocità crescente. Nel centro <strong>di</strong> questa nube primor<strong>di</strong>ale si<br />
accumulò una quantità <strong>di</strong> materia densa e calda che <strong>di</strong>ede origine al Sole. La<br />
materia esterna coagulò in corpi che, dopo un periodo <strong>di</strong> assestamento, <strong>di</strong>vennero<br />
pianeti e satelliti. Naturalmente è facile da comprendere che non tutta la polvere<br />
ha subito il processo <strong>di</strong> coagulazione, una parte <strong>di</strong> queste polveri è rimasta <strong>di</strong>ffusa<br />
in tutto il sistema solare. La maggior parte <strong>di</strong> ciò che rimane della nebula che<br />
<strong>di</strong>ede origine al sistema solare si trova al confine <strong>di</strong> questo ed è nota con il nome
Polveri planetarie. 10<br />
<strong>di</strong> nube <strong>di</strong> Oort, la culla delle comete. Infatti la maggior parte delle comete che<br />
attraversano il nostro sistema planetario vedono la loro genesi in questa nube e<br />
sono <strong>di</strong> conseguenza cariche delle polveri che <strong>di</strong>edero origine ai pianeti.<br />
Naturalmente il materiale cometario non ha subito i processamenti <strong>di</strong> quello<br />
planetario; uno stu<strong>di</strong>o comparativo fornirebbe una verifica sperimentale alla teoria<br />
della genesi planetaria.<br />
Tutti i pianeti rocciosi ed i satelliti planetari del sistema solare hanno una<br />
superficie ricoperta da polveri. Queste sono dovute o ad un’azione <strong>di</strong> corrosione<br />
da parte dell’atmosfera, anche se flebile, del pianeta o ad un’azione <strong>di</strong> raccolta<br />
gravitazionale del materiale presente lungo l’orbita. Nei giganti gassosi, d’altro<br />
canto la polvere è presente, oltre che sui satelliti, nei caratteristici anelli, quando<br />
Figura <strong>1.</strong>3. Neil Armstrong sulla superficie lunare. È ben visibile la polvere<br />
che ricopre la superficie.
Polveri planetarie. 11<br />
sono presenti, e sospesa nell’atmosfera. Tralasciando i giganti gassosi, possiamo<br />
subito fare una <strong>di</strong>stinzione tra polveri in sospensione e polveri al suolo. Anche se<br />
si può trattare dello stesso materiale nei due tipi <strong>di</strong> polvere si ha una forte<br />
<strong>di</strong>fferenza in termini <strong>di</strong> <strong>di</strong>mensione del grano e ciò, come vedremo in seguito,<br />
influenza fortemente lo spettro.<br />
Già prima del lancio delle prime sonde esplorative, si è analizzato lo spettro in<br />
riflessione <strong>di</strong> pianeti, satelliti, comete e asteroi<strong>di</strong> osservando la luce solare <strong>di</strong><br />
ritorno da questi oggetti. In questo modo si è andati a stimare la composizione<br />
me<strong>di</strong>a degli oggetti, composizione poi confermata dai prelievi effettuati dalle<br />
missioni Apollo dall’11 al 17 (con esclusione della missione Apollo 13,<br />
Figura <strong>1.</strong>4. Vista della superficie <strong>di</strong> Marte dalla lander camera del Viking.<br />
che non effettuò l’allunaggio per l’esplosione <strong>di</strong> uno dei serbatoi <strong>di</strong> ossigeno)<br />
sulla Luna e dagli spettri e dalle immagini prese dalle sonde Mariner (1964-1973)<br />
(Mariner 2 e 10 <strong>di</strong> Venere, Mariner 4 e 9 <strong>di</strong> Marte, informazioni raccolte<br />
dall’orbita), Pioneer (1972-73) (Pioneer 10 <strong>di</strong> Giove, Pioneer 11 <strong>di</strong> Saturno,<br />
informazioni raccolte dall’orbita; le sonde Pioneer sono state le prime ad<br />
avventurasi nello spazio interstellare), Voyager (1977) (Voyager 1 <strong>di</strong> Giove,<br />
Saturno e Titano, Voyager 2 Urano, Nettuno, Ariel e Miranda, informazioni
Polveri planetarie. 12<br />
Figura <strong>1.</strong>5. La sonda Voyager 2.<br />
raccolte dall’orbita), Viking (1975) (<strong>di</strong> Marte, sia il Viking 1 che il 2 raccolsero le<br />
informazioni dalla superficie tramite dei lander) ed altre.<br />
I dati del Mars Pathfinder (1996) confermano la composizione del suolo<br />
marziano e la presenza in atmosfera <strong>di</strong> grani <strong>di</strong> polvere <strong>di</strong> piccole <strong>di</strong>mensioni,<br />
confermando le informazioni fornite dai lander delle sonde Viking sulla<br />
composizione del suolo marziano, costituito fondamentalmente da ossi<strong>di</strong> del ferro<br />
e silicati.<br />
Figura <strong>1.</strong>6. Vista della superficie <strong>di</strong> Marte da Mars Pathfinder.
Polveri planetarie. 13<br />
Lo stu<strong>di</strong>o delle polveri planetarie riveste un’importanza fondamentale<br />
nell’ambito della planetologia, ci fornisce informazioni sulla storia geologica del<br />
pianeta, sulla tettonica presente oggi, come nei satelliti galileani, o agli albori<br />
come nel caso <strong>di</strong> Marte oppure sulla presenza <strong>di</strong> bacini d’acqua prosciugati. Sono<br />
proprio i bacini ciò che più attira l’attenzione dei ricercatori, infatti la presenza<br />
d’acqua è una con<strong>di</strong>tio sine qua non per la presenza <strong>di</strong> vita su <strong>di</strong> un pianeta, anche<br />
solo allo sta<strong>di</strong>o primor<strong>di</strong>ale. La presenza <strong>di</strong> carbonati sul suolo <strong>di</strong> un pianeta è un<br />
forte in<strong>di</strong>zio dell’esistenza <strong>di</strong> bacini prosciugati, infatti i carbonati, sali dell’acido<br />
carbonico, si formano in soluzioni d’acqua e precipitano sul fondale <strong>di</strong> mari e<br />
laghi e vengono alla luce a causa <strong>di</strong> forti evaporazioni. Marte, ad esempio,<br />
dovrebbe essere fornito <strong>di</strong> depositi <strong>di</strong> carbonati (Marra, 1999), infatti esistono<br />
numerose testimonianze in<strong>di</strong>rette che inducono a ritenere che i carbonati siano<br />
presenti sul pianeta anche se non si sa ancora in che misura. Analizzando rocce<br />
marziane trovate sulla Terra, dette SNC (l’acronimo deriva dalle città Shergotty,<br />
Nakhla e Chassigny, dove furono trovati i primi tre esemplari), lanciate fuori dal<br />
campo gravitazionale del pianeta dall’impatto <strong>di</strong> una cometa o <strong>di</strong> un asteroide e<br />
successivamente precipitate sulla Terra, si sono trovate tracce <strong>di</strong> carbonati<br />
(Goo<strong>di</strong>ng et al, 1991; Treiman et al., 1993); in particolare all’interno <strong>di</strong> tali rocce<br />
sono sicuramente presenti campioni <strong>di</strong> calcite (CaCO3), dolomite (CaMg(CO3)2) e<br />
magnesite (MgCO3).<br />
La matrice che contiene le tracce <strong>di</strong> carbonati nelle SNC (Calvin et al, 1999) è<br />
principalmente <strong>di</strong> tipo basaltico, quin<strong>di</strong> ricco <strong>di</strong> minerali ferrosi e silicati.<br />
L’olivina, <strong>di</strong> cui ci si occuperà in questo lavoro <strong>di</strong> tesi, è uno dei minerali non<br />
carbonatici che compongono le SNC, (ve<strong>di</strong> Figura <strong>1.</strong>7. in cui il campione
L’olivina. 14<br />
ALH84001 è proprio una meteorite SNC). Da notare la struttura intorno a <strong>1.</strong>0 µm,<br />
che come vedremo nei capitoli successivi è tipica dell’olivina.<br />
Figura <strong>1.</strong>7. Spettri in riflessione <strong>di</strong> un campione <strong>di</strong> meteorite SNC,<br />
composito della parte scura <strong>di</strong> Marte e del CO 2 atmosferico calcolato.<br />
Inoltre è stato suggerito da più fonti che si tratti <strong>di</strong> una materiale molto <strong>di</strong>ffuso<br />
sulla superficie <strong>di</strong> Marte (Clark et al., 2000) e, come verrà detto più in dettaglio in<br />
seguito, nelle chiome delle comete.<br />
<strong>1.</strong>2. L’olivina.<br />
La maggior parte delle rocce terrestri possono essere sud<strong>di</strong>vise in due gran<strong>di</strong><br />
gruppi: i carbonati ed i silicati. Mentre le prime, per la loro formazione richiedono<br />
ambienti molto particolari, soluzioni, quasi sempre in acqua, le seconde sfruttano<br />
per lo più attività magmatiche e tettoniche. Nell’ambiente interstellare ed<br />
interplanetario il processamento non segue nessuno degli schemi terrestri, quin<strong>di</strong>
I silicati. 15<br />
la genesi <strong>di</strong> tali materiali non è semplice. Si tratta principalmente <strong>di</strong> genesi per<br />
impatto, anche se la rate del fenomeno è molto bassa.<br />
Le polveri si possono presentare a loro volta sotto due forme: cristallina ed<br />
amorfa. Il lavoro <strong>di</strong> tesi riguarderà solo la forma cristallina, mentre per quella<br />
amorfa si rimanda a lavori futuri.<br />
Nei paragrafi successivi si daranno cenni sulla formazione dei silicati, sul<br />
perché si sia scelto, tra i vari silicati <strong>di</strong>sponibili, l’olivina ed alcuni cenni sulla<br />
struttura cristallina <strong>di</strong> questa e come essa si mo<strong>di</strong>fica tramite processamenti, per lo<br />
più termici, a cui può essere sottoposta. Questo fa sì che una volta trovata la<br />
struttura del campione in analisi se ne può anche ricostruire la storia.<br />
<strong>1.</strong>2.<strong>1.</strong> I silicati.<br />
L’importanza quantitativa dei silicati è enorme, dato che essi costituiscono il<br />
90% della crosta terrestre. La genesi dei più importanti silicati, i minerali delle<br />
rocce, si identifica ovviamente con quella delle rocce stesse, magmatiche,<br />
metamorfiche e se<strong>di</strong>mentarie. Senza scendere troppo nel dettaglio si può tracciare<br />
il seguente quadro generico, limitato ai minerali più significativi.<br />
Nel processo magmatico (Andretta, 1957) si possono <strong>di</strong>stinguere vari sta<strong>di</strong>. Lo<br />
sta<strong>di</strong>o <strong>di</strong> cristallizzazione ortomagmatico in cui le sostanze volatili come fluoro,<br />
cloro, boro e vapor d’acqua, partecipano molto scarsamente alla cristallizzazione,<br />
perciò si concentrano nel residuo magmatico, aumentando la pressione interna e<br />
mantenendo allo stato fuso il residuo stesso a temperature relativamente basse. Ad<br />
un dato momento precipita anche il residuo magmatico e questa volta partecipano<br />
ampiamente alla cristallizzazione anche i componenti volatili. Questa fase è detta
I silicati. 16<br />
pegmagmatica. Terminata la cristallizzazione del magma, restano ancora sostanze<br />
volatili che non hanno partecipato alla mineralizzazione pegmagmatica. Questi<br />
gas tendono a salire verso l’alto utilizzando fratture <strong>di</strong> contrazione della massa<br />
eruttiva già consolidata e quelle delle rocce incastranti. La temperatura varia da<br />
500 °C a 372 °C, temperatura critica dell’acqua, ossia la temperatura oltre la quale<br />
l’acqua passa dallo stato <strong>di</strong> liquido allo stato <strong>di</strong> vapore anche ad altissime<br />
pressioni. Le deposizioni avvengono nelle fratture per abbassamento della<br />
temperatura o in fasce, tasche o concentrazioni dovute alla reazione dei convogli<br />
gassosi mineralizzati con le rocce attraversate. Di solito reagiscono vivacemente<br />
con i convogli mineralizzati le rocce carbonate. Questo è lo sta<strong>di</strong>o pneumatolitico.<br />
Quando la temperatura del convoglio mineralizzato proveniente da un magma in<br />
raffreddamento scende al <strong>di</strong>sotto dei 372 °C si hanno soluzioni idrotermali. Le<br />
soluzioni idrotermali depositano minerali in fratture, formando filoni; impregnano<br />
rocce porose e sostituiscono rocce carbonate.<br />
Nello sta<strong>di</strong>o ortomagmatico si formano i tipici minerali delle rocce: olivina,<br />
pirosseni, anfiboli, miche, feldspati, fel<strong>di</strong>spatoi<strong>di</strong> e quarzo. Nello sta<strong>di</strong>o<br />
pegmagmatico e pneumatolitico, accanto ai su elencati minerali delle rocce, si<br />
possono formare anche meno comuni silicati <strong>di</strong> elementi più rari, come litio,<br />
fluoro, zirconio, torio uranio ed altri. Nello sta<strong>di</strong>o idrotermale, i tipici minerali<br />
sono le zeoliti, alcuni minerali argillosi, l’apofillite e, per la silice, l’opale ed il<br />
quarzo, quest’ultimo in cristalli generalmente limpi<strong>di</strong> e talvolta <strong>di</strong> gran<strong>di</strong><br />
<strong>di</strong>mensioni (Carobbi, 1971).<br />
Nel processo metamorfico regionale si possono formare, oltre ai soliti minerali<br />
delle rocce magmatiche, dei silicati tipici come i granati, il silicato <strong>di</strong> alluminio
I silicati. 17<br />
Al nelle varie mo<strong>di</strong>ficazioni polimorfiche (cianite, andalusite e sillimanite),<br />
2 5 SiO<br />
wollastonite, clorite, talco ed altri. Tipici del metamorfismo <strong>di</strong> contatto sono la<br />
cor<strong>di</strong>erite, la vesuviana e le humiti.<br />
Per il processo se<strong>di</strong>mentario, nei vari sta<strong>di</strong> <strong>di</strong> alterazione, deposizione e<br />
<strong>di</strong>agenesi 3 , i tipici materiali sono quelli argillosi <strong>di</strong> qualsiasi natura, ma si possono<br />
produrre anche altri silicati come alcune zeoliti, alcuni fel<strong>di</strong>spati e, fra le varie<br />
forme <strong>di</strong> silice, l’opale ed il quarzo.<br />
Nel passato i mineralisti avevano compiuto una classificazione dei silicati<br />
basandosi su alcune caratteristiche fisiche, come la sfaldatura o la forma<br />
cristallina. Tale classificazione non si conciliava, tuttavia, con quella chimica, che<br />
considerava questi minerali come sali <strong>di</strong> una serie <strong>di</strong> aci<strong>di</strong> silicici (orto-, meta-,<br />
<strong>di</strong>-, tri-, ecc.) in buona parte ipotetici, in quanto solo del primo è stata <strong>di</strong>mostrata<br />
l’esistenza.<br />
È merito <strong>di</strong> Machatschki e <strong>di</strong> Bragg (Cipriani et al, 1988) aver proposto, verso<br />
il 1930, una classificazione basata sul tipo strutturale, cioè sulla forma del tipo <strong>di</strong><br />
cella fondamentale che vedeva coinvolto il silicio, unico principio valido per<br />
composti esistenti solo allo sta<strong>di</strong>o cristallino, e in particolare sulle modalità <strong>di</strong><br />
concatenamento dei tetraedri SiO 4 . Infatti è questo poliedro che ricorre pressoché<br />
costantemente nei silicati, mentre si ha una grande varietà <strong>di</strong> poliedri M-O.<br />
3<br />
La <strong>di</strong>agenesi è l’insieme dei fenomeni chimici e fisici che trasformano una roccia dopo la sua<br />
formazione.
I silicati. 18<br />
Figura <strong>1.</strong>8. Cella fondamentale dei nesosilicati, ( ) 4<br />
SiO4 − .<br />
I tetraedri Si − O (ve<strong>di</strong> Figura <strong>1.</strong>8.) possono essere isolati oppure possono<br />
polimerizzarsi, cioè riunirsi ad altri tetraedri in gruppi <strong>di</strong>screti o ad estensione<br />
indefinita, ma sempre attraverso l’unione <strong>di</strong> vertici <strong>di</strong> tetraedri, in quanto l’unione<br />
secondo spigoli o facce è impe<strong>di</strong>ta dalla repulsione Si − Si e dai troppo deboli<br />
legami che verrebbe ad esplicare l’ossigeno. È noto solo un caso <strong>di</strong> unione <strong>di</strong><br />
tetraedri per spigoli, nella silice fibrosa, mentre questo collegamento è abbastanza<br />
comune negli ottaedri, per la maggiore <strong>di</strong>stanza Si − Si .<br />
Nei silicati, aventi in genere una struttura complessa, vi è la possibilità <strong>di</strong><br />
ampie sostituzioni isomorfe, così che è preferibile descrivere i vari minerali in<br />
termini delle loro strutture, posizioni reticolari che possono essere occupate da<br />
membri <strong>di</strong> un gruppo isomorfogeneo 4 <strong>di</strong> ioni, piuttosto che darne le composizioni<br />
chimiche, spesso puramente teoriche<br />
4 Un gruppo ismorfogeneo è l’insieme <strong>di</strong> ioni con raggio ionico simile in modo che possono<br />
sostituirsi in un reticolo cristallino. La <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> raggio ionico non deve superare il 10÷15%.
Scelta dell’olivina. 19<br />
Fra i vari ioni presenti nei silicati, un caso particolare è quello dell’alluminio 5 :<br />
il suo rapporto ra<strong>di</strong>ale è prossimo a quello critico <strong>di</strong> separazione fra la<br />
coor<strong>di</strong>nazione tetraedrica e quella ottaedrica, per tanto può assumere entrambe<br />
giocando un doppio ruolo, in pratica non riconoscibile chimicamente, <strong>di</strong><br />
sostituente del silicio e <strong>di</strong> normale catione. In termini <strong>di</strong> nomenclatura chimica<br />
possiamo così <strong>di</strong>stinguere gli allumosilicati dai silicati <strong>di</strong> alluminio.<br />
Nelle strutture complesse, gli ioni che occupano le varie posizioni reticolari<br />
vengono in<strong>di</strong>cati con i simboli Z = Si,<br />
Al in coor<strong>di</strong>nazione tetraedrica,<br />
+ 3<br />
+ 2<br />
Y = Al,<br />
Fe , Mg,<br />
Fe in coor<strong>di</strong>nazione ottaedrica, X = K,<br />
Na,<br />
Ca in<br />
coor<strong>di</strong>nazioni varie, ma comunque inferiori a sei.<br />
<strong>1.</strong>2.2. Scelta dell’olivina.<br />
Osservazioni spettroscopiche su pianeti e su comete hanno messo in evidenza<br />
la presenza <strong>di</strong> bande tipiche dei silicati, particolarmente nell’infrarosso. Numerosi<br />
sono i lavori presenti in letteratura che vanno ad investigare sulle bande dei silicati<br />
in forma cristallina o amorfa <strong>di</strong> piccole <strong>di</strong>mensioni. Come detto in precedenza, i<br />
silicati, specie l’olivina, hanno un’origine fortemente legata alla tettonica<br />
planetaria. Ma questo non è l’unico modo in cui si formano i cristalli dei silicati,<br />
infatti se ne trovano tracce nello spazio interstellare. Ciò è stato messo in risalto<br />
dall’analisi dello spettro della cometa Hale-Bopp (Orofino et al, 2000)ed altre in<br />
cui si sono evidenziati dei picchi nella regione tra 8 e 13 µm tipici dei silicati,<br />
5 Si riporta qui una piccola <strong>di</strong>gressione sull’alluminio poiché oltre ad avere un rapporto ra<strong>di</strong>ale <strong>di</strong><br />
particolare interesse, presenta una notevole somiglianza con l’olivina quando si trova nella forma
Scelta dell’olivina. 20<br />
inoltre è stata evidenziata una banda a 11,3 µm che suggerisce la presenza <strong>di</strong> grani<br />
<strong>di</strong> olivina cristallina nella cometa <strong>di</strong> Halley.<br />
Le ricerche effettuate su Marte hanno messo in evidenza che il pianeta ha avuto<br />
una storia geologica e tettonica molto simile a quella terrestre, il che porta alla<br />
formazione <strong>di</strong> materiali, specie quelli <strong>di</strong> origine magmatica, simili a quelli presenti<br />
sulla Terra.<br />
Proprio tale similitu<strong>di</strong>ne spinge i ricercatori ad analizzare, in laboratorio,<br />
materiali terrestri per poi confrontare gli spettri così ricavati con quelli rilevati<br />
tramite tecniche <strong>di</strong> remote sensing ed in situ su Marte, ciò che è stato fatto con la<br />
missione Mars Pathfinder, o su altri pianeti che verranno esplorati in futuro 6 , in<br />
attesa che vengano portati a terra dei materiali prelevati dalla superficie dei<br />
pianeti.<br />
In particolare, su Marte, si sono osservate, tramite i Viking landers che<br />
avevano un range spettrale compreso tra 350 e 1100 nm, dei picchi vicino ai 750<br />
nm, con la pendenza che cambia vicino ai 500 e 600 nm. Si osserva anche una<br />
banda poco profonda centrata vicino agli 860 – 870 nm. Tutte queste strutture<br />
sono attribuite allo ione<br />
3<br />
Fe + . Inoltre nello spettro delle regioni scure si evidenzia<br />
la presenza della banda <strong>di</strong> assorbimento dello ione<br />
2<br />
Fe + a 1000 nm dovuta alla<br />
presenza <strong>di</strong> silicati <strong>di</strong> ferro e magnesio, principalmente pirossene ed olivina.<br />
<strong>di</strong> allumosilicato.<br />
6 Sono allo stu<strong>di</strong>o due missioni per l’esplorazione <strong>di</strong> Mercurio, Mercury<br />
MESSENGER (MErcury Surface, Space ENvironment, GEochemistry and<br />
Ranging) e BepiColombo (Cornerstone ESA) che prevede, tra l’altro un’analisi<br />
spettroscopica in riflessione della superficie dall’UV al NIR. Ci si aspetta <strong>di</strong><br />
riscontrare, come suggeriscono i dati del Mariner 10, una presenza elevata <strong>di</strong><br />
silicati e composti ferrosi.
Cenni <strong>di</strong> cristallografia dell’olivina. 21<br />
Huguenin (1987), usando delle tecniche <strong>di</strong> analisi spettrale basate su derivate <strong>di</strong><br />
alto or<strong>di</strong>ne, ha analizzato lo spettro marziano su <strong>di</strong> un ampio range spettrale in<br />
modo da determinare la composizione della polvere marziana. Egli conclude che<br />
nella polvere marziana è presente dell’olivina idrolizzata e suggerisce come<br />
origine <strong>di</strong> tale polvere rocce mafiche e ultramafiche 7 ricche <strong>di</strong> olivina.<br />
Poiché il range spettrale del nostro spettrofotometro è compreso tra 200 e 2500<br />
nm, in pratica lo spettro dei Viking landers allargato sia nel NIR che nell’UV, si è<br />
deciso <strong>di</strong> analizzare lo spettro in riflessione dell’olivina ed in una seconda fase<br />
confrontarlo con quello rilevato. La scelta <strong>di</strong> utilizzare la spettroscopia in<br />
riflessione deriva dal fatto che i dati sia in remote sensing che presi in situ sono<br />
perlopiù in riflessione poiché è una tecnologia che richiede una minore, in molti<br />
casi nessuna, manipolazione dei campioni da sottoporre all’analisi.<br />
<strong>1.</strong>2.3. Cenni <strong>di</strong> cristallografia dell’olivina.<br />
Se il tetraedro Si − O può essere isolato, allora si hanno i nesosilicati (in greco:<br />
silicati ad isole) nei quali il ra<strong>di</strong>cale è ( ) 4<br />
SiO4 − (Cipriani et al, 1988). La struttura<br />
è basata su tetraedri isolati ZO 4 , dove Z è rappresentato esclusivamente o quasi<br />
da Si : ne risulta una <strong>di</strong>sposizione molto compatta così che i vari minerali<br />
7 Le rocce ignee, dette anche magmatiche o eruttive, si formano per raffreddamento <strong>di</strong> una massa<br />
fusa incandescente, con temperature <strong>di</strong> varie centinaia <strong>di</strong> gra<strong>di</strong>, che si origina all’interno della<br />
Terra. Una prima grande sud<strong>di</strong>visione delle rocce ignee, che riflette la loro composizione chimicomineralogica,<br />
e quin<strong>di</strong> del magma originario, è basata sul colore: le rocce chiare sono dette<br />
felsiche, quelle scure mafiche. Quelle chiare sono ricche <strong>di</strong> quarzo e fel<strong>di</strong>spati(da qui il prefisso<br />
fels-), mentre quelle scure sono ricche <strong>di</strong> anfiboli, pirosseni ed olivina, tutti materiali a base <strong>di</strong><br />
magnesio e ferro (da qui il prefisso maf-). Si <strong>di</strong>cono ultramafiche quelle costituite esclusivamente<br />
da pirosseni ed olivina.
Cenni <strong>di</strong> cristallografia dell’olivina. 22<br />
presentano elevati valori <strong>di</strong> rifrangenza, durezza e densità. Tra nesosilicati<br />
ricor<strong>di</strong>amo l’olivina, i granati, lo zircone ed altri.<br />
Figura <strong>1.</strong>9. Struttura fondamentale del cristallo <strong>di</strong> olivina.<br />
L’olivina ( ) [ ] Fe<br />
Mg, è la soluzione solida completa fra forsterite<br />
2 4 SiO<br />
Mg 2SiO4<br />
e fayalite Fe 2SiO4<br />
(ve<strong>di</strong> Figura <strong>1.</strong>9.) con piccolissime quantità <strong>di</strong> Ca ,<br />
Mn , Ni (il <strong>di</strong>agramma <strong>di</strong> stato è riportato in Figura <strong>1.</strong>10.).<br />
Figura <strong>1.</strong>10. Diagramma <strong>di</strong> stato dell’olivina.
Cenni <strong>di</strong> cristallografia dell’olivina. 23<br />
La struttura, con simmetria P bnm 8 , è basata su un impaccamento compattato <strong>di</strong><br />
ioni ossigeno pochissimo <strong>di</strong>storto, con parziale occupazione delle cavità, che<br />
determina tetraedri isolati 4<br />
SiO legati a catene <strong>di</strong> ottaedri ( Fe)<br />
O6<br />
Mg, . Si<br />
<strong>di</strong>stinguono due posizioni ottaedriche (ve<strong>di</strong> Figura <strong>1.</strong>1<strong>1.</strong>) M1, più piccola, e M2,<br />
più grande, che risultano occupate <strong>di</strong>versamente in vari composti, tipo olivina, sia<br />
presenti in natura che preparati sinteticamente.<br />
Figura <strong>1.</strong>1<strong>1.</strong> Schema strutturale dell’olivina.<br />
Si hanno soluzioni solide complete Mg − Fe , Mg − Mn , Fe − Mn , parziali<br />
Ca − Mn , Ca − Fe , limitatissima Ca − Mg , ciò che comporta in natura<br />
l’esistenza dei seguenti termini estremi: forsterite Mg 2 , fayalite Fe 2 , tefroite<br />
8 La prima lettera rappresenta la definizione della simmetria per traslazione, ossia del tipo <strong>di</strong><br />
reticolo, che si concreta nella scelta della cella elementare standard capace <strong>di</strong> descriverlo secondo l<br />
convenzioni (P sistema triclino, parallelepipedo obliquo con base a forma <strong>di</strong> parallelogramma; F<br />
sistema rombico con tutte le facce centrate). I tre in<strong>di</strong>ci successivi in<strong>di</strong>viduano gli elementi <strong>di</strong><br />
simmetria che si riferiscono nell’o<strong>di</strong>ne alle <strong>di</strong>rezioni a, b e c.
Cenni <strong>di</strong> cristallografia dell’olivina. 24<br />
Mn 2 , larnite Ca 2 , monticellite CaMg , glaucocroite CaMn , kirchteinite CaFe<br />
(ve<strong>di</strong> Figura <strong>1.</strong>12.).<br />
Figura <strong>1.</strong>12. Diagramma composito <strong>di</strong> composti M 2SiO4<br />
: a segno marcato<br />
l’estensione delle soluzioni.<br />
Le variazioni con la temperatura, la pressione e la composizione chimica<br />
inducono sensibili variazioni nelle <strong>di</strong>mensioni degli ottaedri mentre i tetraedri<br />
restano rigi<strong>di</strong> determinando ad un certo punto la non corrispondenza tra questi<br />
poliedri con conseguente demolizione della struttura ed il passaggio ad altre fasi<br />
polimorfe.<br />
In particolare ad elevatissime pressioni la struttura tipo olivina (fase α), già<br />
molto compatta (la densità varia da 3,2 a 4,4 g cm -3 ), si trasforma in strutture tipo<br />
spinello (fasi β e γ con piccole <strong>di</strong>fferenze tra loro) con impaccamento cubico<br />
compatto F d3m, aventi una densità superiore <strong>di</strong> circa il 10%. Le transizioni, a<br />
1000°, avvengono con pressioni dell’or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> 100-120 kbar (ve<strong>di</strong> Figura <strong>1.</strong>13.)
Cenni <strong>di</strong> cristallografia dell’olivina. 25<br />
corrispondenti ad una profon<strong>di</strong>tà del mantello terrestre <strong>di</strong> circa 400 km, cioè dove<br />
si riscontra un salto nella velocità delle onde sismiche. Questo induce a ritenere<br />
l’olivina, che per vari motivi si pensa sia il costituente principale del mantello<br />
superiore, si trasformi nelle fasi tipo spinello nel mantello inferiore, caratterizzato<br />
da pressioni più elevate.<br />
Figura <strong>1.</strong>13. Trasformazione polimorfa del composto ( ) [ ] Fe Mg,<br />
(isoterma a 1000°)<br />
2 4 SiO<br />
I cristalli mostrano spesso la combinazione dei prismi { 1 1 0}<br />
e { 2 1}<br />
0 col<br />
pinacoide 9 { 0 1 0}<br />
. Le sfaldature, buona la { 0 1 0}<br />
ed accennata quella { 0 0}<br />
1 ,<br />
sono parallele alle catene <strong>di</strong> ottaedri MO 6 collegate per spigoli e sviluppantesi<br />
9 Facce parallele <strong>di</strong> un cristallo.
Cenni <strong>di</strong> cristallografia dell’olivina. 26<br />
lungo l’asse c. La durezza è me<strong>di</strong>o-alta (7-6 ½), il colore da giallo verde a verde<br />
oliva (da cui il nome) a giallo bruno, la lucentezza vitrea.<br />
La rifrazione è alta, la birifrangenza me<strong>di</strong>a, entrambe crescenti dai termini<br />
fosteritici a quelli ferrosi con passaggio del segno ottico 10 da positivo a negativo e<br />
comparsa in sezione sottile <strong>di</strong> un debole pleocroismo sul giallo.<br />
L’olivina si altera facilmente nel metamorfismo superficiale in serpentino,<br />
clorite e id<strong>di</strong>ngsite (miscela <strong>di</strong> vari minerali tra cui ematite e goethite).<br />
L’olivina è un importantissimo minerale delle rocce. Costituente essenziale<br />
delle peridotiti, fondamentale in molti gabbri e basalti detti appunto olivinici, e in<br />
rocce fel<strong>di</strong>spatoi<strong>di</strong> come le basaniti; può essere presente come accessorio in altre<br />
rocce magmatiche come andesiti, trachiti e sieniti. Nelle rocce magmatiche la<br />
composizione oscilla da Fo 95 nelle peridotiti a Fo80−60 nei basalti. Forsterite<br />
pura, eventualmente insieme a monticellite, si origina in calcari e dolomie<br />
termometamorfosate per reazione con quarzo, come i proietti dei vulcani laziali e<br />
del Vesuvio. È presente anche in molte meteoriti condriche.<br />
Possiamo sud<strong>di</strong>videre le meteoriti, in base alla loro composizione, in due<br />
classi: meteoriti ferrose (in cui predominano il ferro ed il nichel) e meteoriti<br />
pietrose (con predominanza <strong>di</strong> silicati). Queste ultime sono le più numerose e tra<br />
queste le condriti carbonacee (così chiamate per l’alto contenuto <strong>di</strong> sferule <strong>di</strong><br />
carbonio; dal greco chòndros, granello) (ve<strong>di</strong> Figura <strong>1.</strong>14.) sono le più vecchie: si<br />
ritiene siano quelle che più si avvicinano alla struttura originale del<br />
10 Consideriamo le tre <strong>di</strong>rezioni principali X, Y e Z. Rispetto all’angolo degli assi ottici si potrà<br />
riconoscere una bisettrice acuta ed una bisettrice ottusa, oltre ad una normale ottica, cioè la<br />
perpen<strong>di</strong>colare agli assi ottici. Quest’ultima sarà sempre Y, essendo gli assi ottici giacenti sul<br />
piano XZ, ma per le bisettrici potranno darsi due casi: 1) la bisettrice acuta è Z (quin<strong>di</strong> X è<br />
l’ottusa); 2) la bisettrice acuta è X (quin<strong>di</strong> Z è l’ottusa). Nel primo caso i cristalli si <strong>di</strong>cono<br />
otticamente positivi e nel secondo otticamente negativi.
L’olivina. 27<br />
Figura <strong>1.</strong>14. Fotomicrografia <strong>di</strong> un condro in sezione sottile.<br />
materiale primor<strong>di</strong>ale da cui si è formato il sistema solare e poiché non presentano<br />
tracce <strong>di</strong> successive fusioni potrebbero ad<strong>di</strong>rittura essere esemplari <strong>di</strong> planetesimi.<br />
Le varietà perfettamente trasparenti sono usate come gemme <strong>di</strong> <strong>di</strong>screto valore,<br />
in particolare quella giallo-oro va sotto il nome <strong>di</strong> crisolito.