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RECENSIONI Vita D'Adriano - Giorgio Felicetti

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<strong>RECENSIONI</strong><br />

di<br />

VITA D’ADRIANO<br />

memorie di un cecchettaro nella neve<br />

di Francesco Niccolini, <strong>Giorgio</strong> <strong>Felicetti</strong>, Andrea Chesi<br />

con<br />

<strong>Giorgio</strong> <strong>Felicetti</strong><br />

“Dura un’ora, ma è lo spettacolo più toccante che ho visto<br />

in vita mia.<br />

Da vedere! Assolutamente!”<br />

RENATO SARTI<br />

scrittore e regista<br />

“Nelle Marche è lo spettacolo più visto dell’anno:<br />

al suo primo anno di vita ha già avuto più di 4.500 spettatori ! “<br />

Il Messaggero<br />

1


<strong>RECENSIONI</strong> DI “VITA D’ADRIANO”<br />

Adriano entra a lavorare in fabbrica nel 1940. Ha solo 13 anni.<br />

La sua storia di operaio finisce come quella di tanti altri: dal medico.<br />

Perché l’amianto l’ha distrutto.<br />

Scritto e interpretato da <strong>Giorgio</strong> <strong>Felicetti</strong>, lo spettacolo procede con ritmo<br />

serrato sulle tracce di una classe operaia spazzata via dalla storia ma di cui<br />

restano testimonianze che hanno molto da dire.<br />

Un mondo scomparso, quello della fabbrica, a cui <strong>Felicetti</strong> rende omaggio<br />

raccontandoci fatiche, miserie, sfruttamento.<br />

Ma senza dimenticare l’orgoglio ruvido e spartano dei suoi protagonisti.<br />

Radio3 Rai<br />

Il consiglio teatrale della settimana di “Piazza Verdi”:<br />

<strong>Vita</strong> d'Adriano - memorie di un cecchettaro nella neve<br />

con <strong>Giorgio</strong> <strong>Felicetti</strong>,<br />

Teatro della Cooperativa, Milano 24 ottobre - 2 novembre;<br />

2<br />

Sara Chiappori<br />

PREMIO LIBERO BIZZARRI<br />

Splendido il monologo <strong>Vita</strong> d'Adriano di <strong>Giorgio</strong> <strong>Felicetti</strong>,<br />

un "operaio invisibile" delle officine meccaniche Cecchetti di Civitanova<br />

Marche che, come tanti altri nell'azienda, ha maneggiato per anni<br />

amianto da mattino a sera, incosciente di ciò che gli avrebbe causato.


www.art21.it<br />

<strong>Vita</strong> d’Adriano, morte di un operaio<br />

Ti spegne lentamente, anno dopo anno, giorno dopo giorno. All’inizio è quasi<br />

impercettibile; solo un po’ di tosse, un naturale affaticamento dovuto al duro<br />

lavoro. Solo verso la fine, dove averti logorato silenziosamente l’esistenza, ti<br />

annienta e ti devasta. Comincia dalla fine il monologo di <strong>Giorgio</strong> <strong>Felicetti</strong> in<br />

programma in questi giorni e fino al 2 novembre al Teatro della Cooperativa,<br />

una piccola realtà d’eccellenza della periferia milanese.<br />

“<strong>Vita</strong> d’Adriano, memorie di un cecchettaro nella neve” è una storia che sa di<br />

realtà, di coraggio, di terrore.<br />

E’ una storia che sa di ingiustizia, soprattutto.<br />

E’ la storia di Adriano. Aveva dodici anni e mezzo quando cominciò a lavorare<br />

alla Fabbrica Cecchetti; sessantadue quando ne uscì. Licenziato, abbandonato,<br />

defraudato della sua dignità, della sua salute.<br />

Adriano ha riparato carrozze ferroviarie, ha vissuto la maggior parte degli<br />

ultimi quarantanove anni della sua vita tra rotaie e fonderie. Quarantanove<br />

anni scanditi dalle sirene di entrata ed uscita. Alle 6. Alle 16.45.<br />

Adriano ha respirato amianto. Tanto. Anno dopo anno, giorno dopo giorno.<br />

Sta morendo. Ne moriranno 25 mila nel giro di vent’anni, gli hanno detto.<br />

Operai come lui, “mica gente comune”, gli anno detto.<br />

La Cecchetti di Civitanova Marche negli anni ’40 era una delle più importanti<br />

fabbriche italiane per la costruzione e la riparazione di carri e carrozze<br />

ferroviarie. Dava lavoro a tanti, per poche lire.<br />

La Fabbrica nel dopoguerra rimase orfana di quel suo proprietario, quell’altro<br />

Adriano, Adriano Cecchetti quello che in fondo non era poi così male, quello<br />

che l’Adriano bambino-operaio vedeva come il “padrone buono”.<br />

La Cecchetti fu venduta a proprietari privi di scrupolo che la trasformarono in<br />

poco tempo in una gallina dalle uova d’oro, in una vacca da mungere<br />

all’inverosimile. Poco importava dei mungitori, della neve di amianto che<br />

respiravano. Anno dopo anno, giorno dopo giorno.<br />

Fino al 1994, quando per mancanza di commesse, proprio a causa di quella<br />

neve, la Fabbrica fu chiusa.<br />

<strong>Vita</strong> di Adriano, un viaggio tra i ricordi; quella “classe operaia”, quella<br />

solidarietà tra colleghi, la fatica, la rassegnazione, l’orgoglio.<br />

<strong>Vita</strong> raccontata senza retorica, con grandissima umanità e secchezza,<br />

con la ruvida veracità di un uomo semplice, che voleva una vita semplice.<br />

Che sta semplicemente morendo.<br />

<strong>Vita</strong> di tanti, troppi Adriano, operai come lui.<br />

Mica gente comune.<br />

3<br />

Giulia Cusumano


UNA VITA (O UNA MORTE) DI LAVORO<br />

<strong>Felicetti</strong>:”Racconto la storia di Adriano, con l’amianto per 50 anni”<br />

“In un mondo basato sulla precarietà e sul ricatto, la questione operaia diventa<br />

marginale. E’ “normale” dunque dimenticarsi che più di sette milioni di persone<br />

ogni mattina si svegliano presto per andare a lavorare, e tre o quattro di loro,<br />

ogni giorno, non tornano a casa”.<br />

Parole lucide e sentite di un attore impegnato sul fronte del teatro civile,<br />

<strong>Giorgio</strong> <strong>Felicetti</strong>, autore ed interprete di un appassionato spettacolo,<br />

VITA D’ADRIANO, in scena al Teatro della Cooperativa fino al 2 novembre.<br />

Un lavoro autentico che pone al centro del palcoscenico il mondo operaio e la<br />

sua cultura, attraverso le voci di chi ha passato una vita in fabbrica o in<br />

fonderia. “In <strong>Vita</strong> d’Adriano – spiega l’autore – racconto la storia di un<br />

ragazzino di tredici anni che in piena guerra mondiale (1940) va a lavorare<br />

alle Officine Meccaniche Cecchetti di Civitanova Marche. Ma tra quella prima<br />

mattina di giugno quando incomincerà il suo lavoro, a oggi, quando si alzerà,<br />

come sempre presto, questa volta per andare dal medico, in mezzo ci sono<br />

cinquant’anni di vita passata in fabbrica; un pezzo di storia del Paese che oggi<br />

sembra contare poco più di niente”.<br />

Un monologo che, in dialetto marchigiano, affronta temi seri come l’amianto e<br />

le sue morti annunciate (in Italia 25.000 nei prossimi vent’anni), con sensibilità<br />

e una possibile leggerezza.<br />

“Le condizioni degli operai di oggi sono peggiorate – afferma <strong>Felicetti</strong> –<br />

l’isolamento è totale: chi entra in fabbrica oggi non ha alcuna aspettativa di<br />

migliorare le proprie condizioni di lavoro; l’unica cosa che conta è mantenere il<br />

posto che ha. In questo sprofondamento di coscienze è successa una cosa<br />

molto grave, la perdita della dignità operaia. Fino a venti anni fa lavorare in<br />

fabbrica era un orgoglio, oggi quasi una colpa di cui vergognarsi.”<br />

4<br />

Livia Grossi


TeatroTeatro.IT<br />

Recensione<br />

Parlare di questa fabbrica marchigiana significa raccontare il lavoro industriale<br />

di tutto il '900 italiano. E’ una storia che illustra le condizioni inumane, la presa<br />

di coscienza di appartenere ad una “classe”, quella dei “cecchettari”, i pericoli e<br />

gli incidenti sul lavoro, gli scioperi, i licenziamenti, la chiusura, avvenuta nel<br />

1994, per mancanza di commesse a causa di una presenza terribile all'interno<br />

della Fabbrica, l'amianto...<br />

L'amianto era abbondantemente usato per coibentare le carrozze ferroviarie.<br />

Ed è proprio sull'amianto, dopo aver fatto un lungo periodo di ricerca ed<br />

intervistato molti ex operai, che è stato scritto questo monologo. Gli operai<br />

della Cecchetti hanno perso il posto di lavoro, hanno visto radere al suolo la<br />

fabbrica e la loro storia per far posto al nuovo che avanza: arriva un centro<br />

commerciale e si ritrovano oggi con un bel regalo nei polmoni: amianto.<br />

I ricordi dell'operaio Adriano scandiscono i ritmi ed i tempi del racconto.<br />

Sono ricordi, privi di toni nostalgici, che a momenti si tingono di comicità, in<br />

altri si asciugano fino a sfiorare una drammaticità assoluta. La fabbrica era<br />

fatta di treni, rotaie, fonderia, chiacchiere negli spogliatoi, sciocchezze dette<br />

per sfottersi e scacciare la fatica che ammazza. Ma c’era anche un sogno più<br />

grande di tutti, quello del compagno boxeur: partecipare alle Olimpiadi di<br />

Roma nel '60.<br />

E in questo doppio binario l'operaio Adriano racconta la sua storia, partendo da<br />

una mattina di guerra del 1940, quando lui tredicenne entra a lavorare in<br />

fabbrica, ad una mattina di oggi, quando si alza presto per andare dal medico:<br />

l’amianto ha colpito ancora.<br />

Dice <strong>Felicetti</strong>: “ciò che mi interessava veramente era far capire alle giovani<br />

generazioni cosa è stato il mondo operaio, oggi che la parola operaio fa quasi<br />

vergogna. Sono partito dalla Cecchetti per parlare del lavoro di fabbrica di<br />

tutto il '900 italiano: le condizioni di lavoro, la presa di coscienza di<br />

appartenere ad una “classe”, quella dei “cecchettari”, i pericoli e gli incidenti<br />

sul lavoro, gli scioperi, i licenziamenti, la chiusura, avvenuta nel 1994, per<br />

mancanza di commesse a causa di una presenza terribile all'interno della<br />

fabbrica, l'amianto. Questa storia a mio avviso è anche una bellissima storia di<br />

amicizia, e di solidarietà, qualità scomparse nel mondo del lavoro”.<br />

<strong>Felicetti</strong> ha voluto ricordare un mondo industriale, scomparso; le scarse tracce<br />

di memoria rimaste, sono le protagoniste di questa storia. Negli occhi di quegli<br />

uomini della Cecchetti, di quei lavoratori, si intuisce stupore incredulità e<br />

orgoglio. Tutte queste persone hanno insegnato il linguaggio della dignità.<br />

<strong>Vita</strong> d’Adriano è un lavoro vibrante, autentico che fa comprendere e<br />

meditare, che ha il pregio di raccontare ai più giovani la dura realtà<br />

delle fabbriche di meccanica pesante, oggi in via di estinzione.<br />

5<br />

Mauro Lupoli


delteatro.it<br />

Storie d'operai marchigiani<br />

Silenziosamente, a causa dello scarso rilievo di cui gode nei media, ma più<br />

profondamente e capillarmente del cinema e della Tv, il teatro di narrazione<br />

italiano sta lavorando a fondo per colmare una delle tante lacune che svuotano<br />

di senso la nostra memoria collettiva: quella della vita (e della morte) in<br />

fabbrica. Non solo i drammi recenti come quello della Thyssen di Torino e il<br />

quotidiano bollettino delle morti bianche servono a non dimenticare. Un<br />

capitolo a sé è rappresentato dal rapporto operai-amianto, un rapporto spesso<br />

mortale, non cercato ma subito da migliaia di uomini che, da Taranto a Milano,<br />

dal Piemonte al Veneto alle Marche, pagano ancora oggi con la vita colpe non<br />

commesse.<br />

Ed è singolare che proprio al Teatro della Cooperativa di Milano, che sorge a<br />

Niguarda, un tempo borgo operaio d'eccellenza che ha fornito braccia e<br />

polmoni a migliaia alle fornaci Falck, Breda, Pirelli, Ansaldo e via elencando, sia<br />

in scena - fino al 2 novembre - <strong>Vita</strong> d'Adriano, di e con <strong>Giorgio</strong> <strong>Felicetti</strong>.<br />

È una singolare ma naturalmente voluta e cercata coincidenza, perché<br />

l'Adriano del titolo non ha nulla a che fare con quello tormentato ma imperiale<br />

della Yourcenar, trattando la storia di una tuta blu della Cecchetti di Civitanova<br />

Marche, fino al 1994 - anno della chiusura - un colosso nella coibentazione<br />

delle carrozze ferroviarie, dove in 90 anni di attività hanno sudato 50mila<br />

persone. Moltissime hanno respirato le sottili pagliuzze di amianto che si<br />

accumulano inesorabilmente nei recessi più fini degli alveoli polmonari,<br />

sviluppando malattie terribili e spesso senza scampo.<br />

Una storia, quella del "cecchettaro" Adriano, che <strong>Felicetti</strong> rievoca<br />

attraverso episodi, aneddoti, sogni, speranze e delusioni,<br />

drammaticamente simile alle tante che potrebbero raccontare gli<br />

operai di Niguarda. Quelli ancora vivi per farlo, s'intende.<br />

6


Il cuore della vecchia Civitanova operaia è tornato a pulsare per una notte.<br />

Le ex Fonderie Marinelli si sono trasformate in un suggestivo anfiteatro<br />

all’aperto, ed hanno ospitato un evento d’eccezione: la prima nazionale dello<br />

spettacolo “<strong>Vita</strong> d’Adriano - Memorie di un cecchettaro nella neve”, diretto e<br />

interpretato da <strong>Giorgio</strong> <strong>Felicetti</strong>, scritto dallo stesso <strong>Felicetti</strong>, da Francesco<br />

Niccolini e da Andrea Chesi.<br />

La vasta area delle Fonderie non è riuscita a contenere la grande affluenza di<br />

pubblico, più di mille persone si sono presentate ai cancelli, e solo la metà è<br />

riuscita ad entrare e a seguire l’evento in religioso silenzio. Il monologo di<br />

<strong>Giorgio</strong> <strong>Felicetti</strong> è la storia di un uomo, un operaio, e di una fabbrica, la<br />

Officine Meccaniche Cecchetti di Civitanova Marche, storie che insieme,<br />

attraversano la storia di mezzo '900.<br />

Protagonista del racconto è un operaio di nome Adriano, che si chiama come il<br />

suo padrone.<br />

E sono proprio i ricordi dell'operaio Adriano a scandire i ritmi e i tempi del<br />

racconto.<br />

E <strong>Felicetti</strong>, nel fluire dei ricordi dell’Adriano, commuove, fa ridere il pubblico, lo<br />

porta ad identificarsi con quest’operaio in pensione. E come un pugile <strong>Felicetti</strong><br />

colpisce, e con maestria da grande narratore sa dove farlo. Colpisce al cuore,<br />

allo stomaco, alla testa. Perché la vita di Adriano è la vita di tutti quelli che<br />

hanno fatto e vissuto “la fabbrica”.<br />

Un’ora di ricordi, privi di toni nostalgici, che a momenti si asciugano fino a<br />

toccare una drammaticità assoluta. I treni, le rotaie, la fonderia, le chiacchiere<br />

negli spogliatoi, le cazzate dette per sfottersi e scacciare la fatica che<br />

ammazza, ed un sogno, il sogno più grande di tutti, quello del suo compagno<br />

boxeur: partecipare alle olimpiadi di Roma nel '60.<br />

L'Adriano operaio ci racconta la sua storia, da una mattina di guerra del 1940,<br />

quando lui tredicenne entra a lavorare in fabbrica, ad una mattina di oggi,<br />

quando si alza presto per andare dal medico...<br />

<strong>Giorgio</strong> <strong>Felicetti</strong> dà vita ad un magnifico affresco della classe operaia e di tutto<br />

il ‘900 italiano: “questa storia è anche quello che vedevo e immaginavo da<br />

bambino, quando andando a scuola, mi fermavo lì, davanti a quel grande<br />

cancello di ferro che chiudeva un mondo di ciclopi, di uomini forti e fieri.<br />

Bastava vederli lì fuori dal cancello, con quanta fierezza indossavano le loro<br />

tute blu.<br />

Ho voluto raccontare quel mondo, scomparso come Atlantide, e le poche<br />

tracce di memoria umana rimaste, sono le protagoniste di questa storia.”<br />

Una serata di grande pathos e di grande teatro, che rimarrà a lungo<br />

nella memoria degli spettatori presenti.<br />

(15/07/07)<br />

7


LOCARNO - CH<br />

<strong>Vita</strong> d’Adriano, memorie di un cecchettaro nella neve<br />

Un progetto teatrale di <strong>Giorgio</strong> <strong>Felicetti</strong><br />

“…un vero monologo tragico dei nostri tempi.”<br />

Lo spettacolo è stato seguito dal pubblico con altissima concentrazione e molta<br />

emozione, come una spettatrice ha spiegato ai microfoni della TELEVISIONE<br />

SVIZZERA ITALIANA, che ha realizzato un servizio sull’evento. Il lungo e<br />

caloroso applauso che è stato tributato a <strong>Felicetti</strong> testimonia di un successo<br />

sulle cui cause può essere utile meditare.<br />

Il mondo della generazione operaia del secondo novecento è raccontato con<br />

rara efficacia, con tenerezza e calore unici. La coloritura dialettale del testo,<br />

che non ne ostacola minimamente la comprensibilità, produce un inatteso<br />

effetto di eleganza: è l’abito della mente del protagonista, ed è commisurato<br />

alla semplice e profonda nobiltà dei suoi pensieri e dei suoi ricordi.<br />

Ma da cosa nasce questa nobiltà? Il racconto del protagonista narratore,<br />

l’operaio Adriano, è condotto sul filo di un potente concetto, mai dichiarato<br />

esplicitamente: il concetto della dignità umana.<br />

Questo è il cuore del mondo emotivo di “<strong>Vita</strong> d’Adriano”, un vero monologo<br />

tragico dei nostri tempi. La recitazione di <strong>Felicetti</strong> ha fatto sentire i battiti di<br />

questo cuore, l’ha vivificato, ne ha messo in rilievo tutta la bellezza e la<br />

grandezza.<br />

Le ragioni di un successo così grande stanno nel contenuto e nello stile del<br />

testo, e soprattutto nella recitazione di <strong>Felicetti</strong>, misurata, attenta alle<br />

sottolineature, capace di sollecitare aspetti più intimi della vita di Adriano.<br />

Vittore Nason, Dirigente di Teatro, Locarno<br />

17 gennaio 2008<br />

8


www.solidarieta.ch<br />

CANTON TICINO – Svizzera<br />

<strong>Vita</strong> d’Adriano, memorie di un cecchettaro nella neve, di <strong>Giorgio</strong> <strong>Felicetti</strong><br />

( Arzo, sabato 1 settembre 2007) racconta la storia di un operaio che entra in<br />

fabbrica praticamente bambino durante la seconda guerra mondiale e ne esce<br />

alla fine del secolo scorso, quando la fabbrica chiude. La fabbrica è la<br />

Cecchetti, dove in novant’anni hanno lavorato 50mila persone impegnate nella<br />

costruzione e nella riparazione di carri e carrozze ferroviarie. Raccontare della<br />

Cecchetti vuol dire parlare del lavoro di fabbrica di tutto il ‘900 italiano: le<br />

condizioni di lavoro, la presa di coscienza di appartenere a una “classe”, quella<br />

dei “cecchettari”, i pericoli e gli incidenti sul lavoro, gli scioperi, i licenziamenti,<br />

la chiusura, avvenuta nel 1994, per mancanza di commesse a causa di una<br />

presenza terribile all’interno della fabbrica: l’amianto. Lo spettacolo nasce da<br />

un lungo lavoro di interviste agli operai e gli autori hanno seguito, nella<br />

scrittura, un codice di comportamento che era quello di dire soltanto cose vere.<br />

Adriano rappresenta una sorta di archetipo dell’operaio di quelle generazioni e,<br />

come tutti coloro che sono stati intervistati, esprime una profonda amarezza<br />

dettata dalla sensazione di aver visto radere al suolo, insieme alla fabbrica,<br />

anche la propria memoria. “ E’ come se in qualche maniera non fossero esistiti<br />

perché il loro è un senso di appartenenza a un mondo che non c’è più.<br />

Girandosi intorno troviamo una società che quasi nasconde gli operai. La vera<br />

differenza è che allora essere operaio era un atto di nobiltà, c’era un ruolo<br />

all’interno della società. Oggi ci si manifesta operaio quasi con vergogna.”<br />

afferma <strong>Giorgio</strong> <strong>Felicetti</strong> parlando del suo protagonista. Raccontare Adriano e la<br />

Cecchetti significa quindi riscattare una memoria che si vorrebbe occultare, ma<br />

anche denunciare una realtà che per i protagonisti è impossibile rimuovere:<br />

come molti suoi ex colleghi, Adriano è costretto a convivere con il<br />

mesotelioma, il cancro provocato dall’amianto nei polmoni.<br />

9<br />

Natalia Genni


IL QUOTIDIANO<br />

<strong>Giorgio</strong> <strong>Felicetti</strong> e il suo "<strong>Vita</strong> d'Adriano"<br />

al rientro dalla tournèe europea<br />

<strong>Giorgio</strong> <strong>Felicetti</strong>, il regista attore marchigiano, di ritorno in Italia dopo una<br />

due giorni a lui dedicata dal Festival Internazionale della Narrazione del Canton<br />

Ticino, porterà in scena il suo "VITA D'ADRIANO - Memorie di un cecchettaro<br />

nella neve", al Festival dei Teatri Invisibili, venerdì 14 settembre, Teatro<br />

dell'Arancio di Grottammare, ore 21,30.<br />

La presentazione in Svizzera di "<strong>Vita</strong> d'Adriano" è stata una grande vetrina per<br />

la Provincia di Macerata e per il Festival Terra di Teatri, produttori dell'opera<br />

teatrale. Attraverso la Cecchetti e i cecchettari, <strong>Giorgio</strong> <strong>Felicetti</strong> dà vita con<br />

grande rigore e pathos ad un magnifico affresco della classe operaia di tutto il<br />

‘900 italiano, e al tempo stesso crea uno splendido omaggio alla regione in cui<br />

è nato, le Marche, di cui racconta le gesta operaie e usa quell'impasto<br />

linguistico gergale vicino al dialetto, che per la prima volta viene usato come<br />

lingua teatrale, che tanto ha affascinato gli spettatori d'oltralpe.<br />

Al prestigioso Festival ticinese della narrazione, oltre a "<strong>Vita</strong> d'Adriano" <strong>Giorgio</strong><br />

<strong>Felicetti</strong> ha presentato anche il suo "Scarpagnante". Entrambi i monologhi<br />

saranno trasmessi nei prossimi giorni dalla Rete Due della Radio Svizzera<br />

Italiana, unitamente ad un'intervista che <strong>Giorgio</strong> <strong>Felicetti</strong> ha rilasciato alla<br />

Radio Svizzera.<br />

Il clamore suscitato dalla doppia esibizione di <strong>Giorgio</strong> <strong>Felicetti</strong> in<br />

questa tournèe europea hanno confermato la qualità del lavoro e il<br />

talento dell'artista marchigiano, premiando una volta di più il percorso<br />

intrapreso da <strong>Felicetti</strong> sul recupero della memoria e sul teatro di<br />

impegno civile.<br />

Protagonista del racconto è un operaio di nome Adriano, che, ironia della sorte,<br />

si chiama come il suo padrone, Adriano Cecchetti, figura mitizzata di buona<br />

razza padrona. E sono proprio i ricordi dell'operaio Adriano a scandire i ritmi e i<br />

tempi del racconto. E <strong>Felicetti</strong>, nel fluire dei ricordi dell'Adriano, commuove, fa<br />

ridere il pubblico, lo porta ad identificarsi con questo uomo, ormai ex operaio.<br />

E con maestria da grande narratore sa come farlo. Colpisce al cuore, allo<br />

stomaco, alla testa, questo racconto. Perché la vita di Adriano è la vita di tutti<br />

quelli che hanno fatto e vissuto "la fabbrica".<br />

14/09/2007<br />

10


TEATRO.ORG<br />

Questa è la storia di un uomo, di un operaio e di una fabbrica ma è soprattutto<br />

la storia della classe operaia del ‘900 italiano. <strong>Vita</strong> d’Adriano – memorie di<br />

un cecchettaro nella neve di <strong>Giorgio</strong> <strong>Felicetti</strong>, in prima milanese al Teatro<br />

della Cooperativa di Milano dal 24 ottobre al 2 novembre 2008, è un<br />

ritratto che commuove, fa ridere, è un pugno allo stomaco.<br />

Una mattina, nel 1940, in periodo di guerra, Adriano Cecchetti, 13 anni, va a<br />

lavorare per la prima volta in fabbrica, le Officine Meccaniche Cecchetti di<br />

Civitanova Marche e, casualità della sorte, ha lo stesso nome del padrone della<br />

fabbrica.<br />

In un’ora di monologo denso, in una lingua che fonde il vernacolo marchigiano<br />

e l’invenzione, lo spettatore incontra il ragazzino che entra in fabbrica e<br />

insieme a lui trova un intero spaccato di vita: gli incidenti sul lavoro, gli<br />

scioperi, la dignità calpestata ma sempre intatta di tanti operai, la presa di<br />

coscienza della classe operaia. Trova anche Augusto, un boxeur che vuole solo<br />

coronare un sogno: partecipare alle Olimpiadi di Roma nel ’60.<br />

Trova un’umanità complessa e variegata, un mondo che sembra non esistere<br />

più, un mondo fatto di fatica, di treni, di rotaie, di fonderia, di chiacchiere negli<br />

spogliatoi: la memoria passa attraverso le parole dell’attore ma senza toni<br />

nostalgici.<br />

Poi un giorno, nel 1994, le officine Meccaniche Cecchetti, dove in 90 anni<br />

hanno lavorato 50.000 persone, chiudono: la fabbrica è piena di amianto. Tutti<br />

a casa. Al posto della fabbrica un centro commerciale, il nuovo che avanza.<br />

Adriano racconta e dalla mattina del 1940 in cui comincia la storia del<br />

ragazzino operaio, lo si lascia ad una mattina di oggi, quando si alza di nuovo<br />

presto ma per andare dal medico. L’amianto non ha smesso di lavorare.<br />

<strong>Vita</strong> di Adriano è un lavoro nato dall’indagine che <strong>Giorgio</strong> <strong>Felicetti</strong> ha<br />

condotto sulla fabbrica del suo paese di origine, intervistando gli operai,<br />

appuntando i loro racconti fino a partorire una storia che a partire da una, ne<br />

contenesse molte, come dice lo stesso autore: “ho voluto raccontare<br />

quel mondo, scomparso come Atlantide, e le poche tracce di memoria umana<br />

rimaste, sono le protagoniste di questa storia.”<br />

E ha deciso di debuttare proprio lì, in quella città davanti agli stessi operai che<br />

quelle vicende le hanno vissute:<br />

“Negli occhi di quegli uomini, così scomodamente seduti da chiedere quasi<br />

scusa della loro presenza, tra arazzi e poltrone di lusso di un teatro storico,<br />

capivo stupore incredulità e orgoglio: essi vedevano la loro vita diventare un<br />

monumento grande un’ora. Tutte queste persone mi hanno insegnato il<br />

linguaggio della dignità” (<strong>Giorgio</strong> <strong>Felicetti</strong>).<br />

11


Stratagemmi. Prospettive teatrali.<br />

Milano<br />

Dalle testimonianze al testo.<br />

Intervista a <strong>Giorgio</strong> <strong>Felicetti</strong>.<br />

di Maddalena Giovannelli<br />

Il desiderio di fare uno spettacolo sul lavoro in fabbrica, e un vecchio ricordo di bambino che<br />

guarda gli operai uscire dai cancelli con la tuta blu: queste sono le motivazioni all’origine di «<strong>Vita</strong><br />

d’Adriano» di <strong>Giorgio</strong> <strong>Felicetti</strong>, che a Milano è andato in scena al Teatro della Cooperativa.<br />

Adriano, detto Ninì, è un cecchettaro: cioè un lavoratore alle Officine Meccaniche Cecchetti di<br />

Civitanova, la seconda fabbrica più importante delle Marche. È entrato nel 1940 a tredici anni, per<br />

la voglia di “fadigà” e di diventare come il suo adorato zio operaio: e lì dentro, in quel mondo a<br />

parte, è rimasto fino alla chiusura dello stabilimento nel 1994. In mezzo c’è un’intera vita, ma non<br />

solo: c’è anche la storia del lavoro in fabbrica del Novecento italiano. Dopo la morte di Adriano<br />

Cecchetti – quel proprietario vecchia maniera ammirato e odiato, “figura mitizzata di buona razza<br />

padrona” che con la sua omonimia in qualche modo nobilita Ninì – la fabbrica passa di mano in<br />

mano, viene venduta e rasa al suolo. Dopo un’esistenza spesa a riparare carrozze ferroviarie,<br />

Adriano vede il suo universo spazzato via: “Hanno tirato su palazzi banche e supermercati, e adesso<br />

te pare che ’sta fabbrica non c’è stata mai. Un secolo per costruilla, sognalla, fadigacce, falla cresce,<br />

difendela e poi, vendi e compri e vendi e co’ ’na botta de ruspa spacchi tutto”.<br />

<strong>Felicetti</strong> è in scena seduto su una sedia; e il monologo di Adriano scaturisce come una confessione a<br />

bassa voce ad un interlocutore immaginario. Il testo, scritto dallo stesso <strong>Felicetti</strong> in collaborazione<br />

con i drammaturghi Francesco Niccolini e Andrea Chesi, ripercorre tutta la vita di Ninì e tocca,<br />

senza enfasi e in un tono per così dire anti-teatrale, registri drammatici molto differenti.<br />

Si sorride per certi ricordi di scioperi, per gli scherzi con i compagni, per Ciro che lasciava tutto il<br />

suo stipendio in beneficenza, per l’incontro con una ragazza testarda che diventerà poi compagna di<br />

vita, per quel dialetto marchigiano che è efficace come ogni lingua d’esperienza ma riesce ad<br />

arrivare a inconsapevoli tocchi di lirismo. Non è assente però la dimensione del tragico, che affiora<br />

nella lotta con un nemico occulto e misconosciuto: l’amianto usato per la coibentazione delle<br />

carrozze. Un nemico che non lascia mai Adriano, nemmeno quando ormai lo stabilimento è chiuso<br />

ed è tempo di riposare, e invece l’amianto continua implacabile a lavorare nel suo corpo. È un<br />

tragico senza enfasi, senza drammi, un tragico raccontato con dignità e privo di autocompiacimento.<br />

«<strong>Vita</strong> d’Adriano» è un testo complesso e completo: per la varietà dei registri, per il dovere di<br />

cronaca verso una verità difficile, per la volontà di tracciare, in controluce, l’affresco di un periodo<br />

storico, per la responsabilità verso i protagonisti, ancora viventi, del racconto.<br />

La fase della vera e propria scrittura è stata preceduta da un lungo periodo di ricerca. <strong>Felicetti</strong> ha<br />

rintracciato gli operai della Cecchetti, “quelli vecchi, quelli andati, quelli senza vergogna”: sono<br />

seguiti mesi di interviste, di conversazioni, di rapporti umani. Mesi nei quali i termini tecnici, la<br />

struttura dei reparti, le mansioni svolte cominciavano a divenire familiari e “l’immagine di questa<br />

immensa mappa di industria e di fatica prendeva forma”. Modi di dire, episodi, linguaggio: tutto<br />

questo è confluito dalle testimonianze al testo. Rimanere più fedele possibile alle parole dei<br />

cecchettari, alla loro dignità. Non alterare, non teatralizzare, non allontanarsi da quel piccolo<br />

scrigno di verità, per quanto possibile: questo è stato l’intento che ha guidato <strong>Felicetti</strong> nella stesura<br />

del testo.<br />

Qual è stato il primo passo del vostro lavoro?<br />

12


Sono andato a cercare i vecchi cecchettari. Ho ascoltato centinaia di testimonianze, ho sentito e<br />

amato moltissime storie ed episodi. Voglio citare l’operaio Umberto Pancotto, che per me è stato un<br />

vero e proprio Virgilio. Poi Pietro Emili, che per la sua lunga attività con il Sindacato, mi ha<br />

permesso di ricostruire senza approssimazione agitazioni e scioperi. Invece Augusto Coppini ha<br />

ispirato la figura di Augusto, operaio pugile che abbandona i suoi sogni di Olimpiade per un<br />

incidente sul lavoro.<br />

Da queste conversazioni siete arrivati a un testo. Come?<br />

Abbiamo lavorato a sei mani con Francesco Niccolini e Andrea Chesi. Il problema è stato trovare<br />

una sintesi dell’enorme materiale che avevamo raccolto con le testimonianze. Così è nato Adriano:<br />

in lui c’è qualcosa di ogni operaio che ho incontrato. È stato difficile, perché abbiamo dovuto<br />

eliminare molto, e non è stato indolore: dopo mesi che lavori su certi racconti, che li rileggi e ti<br />

toccano, non è facile lasciarli da parte. Ma ovviamente non puoi tenere tutto.<br />

Adriano parla in un modo particolare. Come avete lavorato sul suo linguaggio?<br />

Abbiamo creato un “impasto” marchigiano ottenuto con un lungo lavoro di cesello. L’obiettivo era<br />

quello di arrivare il più vicino possibile alla lingua delle persone che avevo ascoltato. E poi si<br />

doveva creare un linguaggio vivo, vero. A differenza di altri dialetti, per esempio del napoletano,<br />

il marchigiano non è mai diventato lingua da palcoscenico. Questa forse è la prima volta che viene<br />

nobilitato a teatro: ed è un piccolo merito che possiamo prenderci. Adriano è un archetipo: quello<br />

dell’operaio del secondo Novecento italiano. Però ha anche un forte radicamento territoriale, e il<br />

linguaggio è un segno forte di questo radicamento.<br />

Infatti tu hai scritto che questo spettacolo per te ha rappresentato un “ritorno a casa”…<br />

Proprio così. Avevo deciso di fare un lavoro sulla fabbrica, sulla classe operaia. E’ stato normale<br />

attingere ai miei ricordi più lontani. E così sono venute a saldarsi due esigenze che avevo, tornare<br />

alla mia terra madre, e quella di parlare della classe operaia.<br />

Eppure nelle parole di Adriano si legge un rimprovero per una città che ha dimenticato la sua<br />

fabbrica.<br />

In effetti è così. Tutto è in rapidissimo cambiamento, si ha l’impressione ora di una folle corsa verso<br />

una specie di modernità senza progetto. E’ un po’ lo specchio alterato di tutto il nostro paese.<br />

Questa corsa a me pare molto pericolosa: il rischio è quello di cancellare la propria memoria, le<br />

proprie origini e la propria storia. Come è possibile che non rimanga nemmeno una targa a<br />

testimoniare che in quel luogo c’era una fabbrica che ha modificato la storia dell’intera regione?<br />

E gli operai? Come vivono questa rimozione collettiva?<br />

Quando si parla di questo argomento, la loro risposta è sempre la stessa: “io di lì non ci voglio più<br />

passare, non ci voglio più tornare”. È un dolore troppo forte per loro: è il segno tangibile della loro<br />

cancellazione dalla storia.<br />

In questo senso forse il tuo spettacolo ha restituito loro qualcosa…<br />

13


Si, credo di si. Ho fatto un’anteprima dello spettacolo solo per i cecchettari. Pensa che al debutto,<br />

che è stato nel luglio del 2007, delle mille persone presenti, metà erano ex operai: per loro forse<br />

questo VITA D’ADRIANO è stato quel monumento che non hanno mai avuto.<br />

Per le tue precedenti drammaturgie hai fatto un lavoro simile a questo?<br />

È la prima volta che lavoro su testi e testimonianze di persone viventi. Questo da un lato ti facilita,<br />

perché puoi parlare, confrontarti, prendere spunti, continuare a perfezionare. Dall’altro ti carica di<br />

una responsabilità enorme. Ma è una bella sfida, la grande commozione e la meravigliata<br />

incredulità negli occhi degli ex cecchettari per me è valsa più di qualsiasi elogio di critica.<br />

Nella stesura del testo, avete tenuto in considerazione qualche caratteristica particolare del modo<br />

di parlare degli operai?<br />

Mi ha colpito moltissimo quel modo di raccontare secco, dignitoso, che non lascia nulla alla<br />

retorica. Così il nostro obiettivo drammaturgico è diventato la sobrietà, la semplicità. Non è cosa da<br />

poco: come dice Peter Brook, la semplicità è una meta, il risultato più difficile… per un regista,<br />

quanto per un attore o un drammaturgo.<br />

Qual è la tua formazione come drammaturgo?<br />

Io nasco soprattutto come attore. Poi viene un momento, nel tuo percorso, che non ti ritrovi più<br />

nelle cose che altre persone ti chiedono di fare. Nasce in te l’urgenza di parlare e di fare quello che<br />

hai da dire, e in qualche modo senti che è giusto dedicarti a quello. Fino in fondo, fino a creare un<br />

testo tutto tuo. Sto lavorando molto sul concepire il teatro come progetto totale.<br />

Dallo spettacolo è nato un libro. Hai cambiato qualcosa per la pubblicazione?<br />

Non ho toccato quasi nulla. L’unica cosa che ho tenuto sempre presente, per il libro come per il<br />

monologo è stato la comprensibilità. Volevo che il racconto di Adriano arrivasse chiaro a tutti.<br />

Perché ha molto da dirci: sulla nostra storia, ma soprattutto sul nostro presente.<br />

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