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Saggio_Oltre_la_Collina.pdf - Istituto Superiore C. Balbo

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Vincitore 29a edizione del Premio "Cesare Pavese"<br />

CE.PA.M Centro Pavesiano Museo Casa Natale<br />

Fondazione Cesare Pavese<br />

Comune di Santo Stefano Belbo<br />

Sezione dedicata ai <strong>la</strong>vori sco<strong>la</strong>stici 2012<br />

Ernesto Treccani (1920- )<br />

“La luna e i falò n.5”, Olio su te<strong>la</strong>.


Auditorium Fondazione C.Pavese<br />

Santo Stefano Belbo (CN)


OLTRE LA COLLINA<br />

L’interesse di critica e di pubblico per l’opera di Cesare Pavese ne fanno probabilmente il<br />

«testimone» più suggestivo di vent’anni (dal ’30 al ’50) tra i più densi e cruciali del<strong>la</strong> nostra<br />

vita letteraria e culturale.<br />

La scelta di sviluppare un discorso sul<strong>la</strong> figura e l’attività di Pavese nasce dal<strong>la</strong> volontà di<br />

indagare a fondo quei concetti (solitudine, mito, simbolo, impegno politico) che lo scrittore<br />

propone come chiave di lettura del<strong>la</strong> società ma soprattutto dell’animo umano.<br />

La trattazione è svolta sotto forma di saggio, e tratta temi legati all’attività e al<strong>la</strong> vita<br />

dell’autore, con riferimenti partico<strong>la</strong>ri al rapporto, ad esempio, con <strong>la</strong> figura femminile o con <strong>la</strong><br />

letteratura americana.<br />

Ma il desiderio di Pavese di trovare, attraverso il simbolo e il mito, senso al<strong>la</strong> condizione<br />

umana, si può scindere in due differenti aspetti d’indagine: il primo, in senso - se vogliamo -<br />

spaziale, è quello legato al<strong>la</strong> letteratura (prosa ma anche poesia) d’oltreoceano, che Pavese<br />

conosce e interiorizza sia per affinità artistica che attraverso <strong>la</strong>vori di traduzione; il secondo, in<br />

senso temporale, è un ritorno al mito greco, fonte di ispirazione per i romanzi ma soprattutto<br />

strumento di conoscenza: se è vero che il mito è un fatto avvenuto una volta per tutte che<br />

perciò si riempie di significati e sempre se ne andrà riempiendo, per Pavese <strong>la</strong> collina di<br />

Torino può trasformarsi nel favoloso Elicona per unire così un significato simbolico assoluto<br />

al<strong>la</strong> realtà concreta dei luoghi vissuti.<br />

È proprio in questa scissione che Pavese ricerca e realizza i suoi scritti, essendo capace di<br />

legarsi profondamente ai luoghi dell’infanzia e del<strong>la</strong> vita ma anche di “cambiare aria”, forse<br />

solo per capire meglio le proprie origini: un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di<br />

andarsene via.<br />

Probabilmente nel mondo attuale, in cui l’uomo straniato rischia di divenire sempre più<br />

soggetto passivo nel vivere quotidiano, ripensare a una letteratura in cui i personaggi sono gli<br />

alberi, le case, le montagne può aiutare a ritrovare quell’identità quasi completamente perduta<br />

eppure sempre necessaria.


Del mito e del paese<br />

“ <strong>Oltre</strong> <strong>la</strong> <strong>Collina</strong>”<br />

«Il mio sangue, le mie ossa, il mio respiro, tutto era fatto di quel<strong>la</strong> sostanza e oltre me e quel<strong>la</strong><br />

terra non esisteva nul<strong>la</strong>… Ero io stesso il mio paese»<br />

[dal racconto «La <strong>la</strong>nga», Feria d’Agosto 1946]<br />

Pavese è uomo di collina, è uomo di campagna più in generale, ma di una partico<strong>la</strong>re campagna, che<br />

permette di definire spazi e orientarsi, in modo da poter sempre ripetere un’esperienza ma anche per<br />

fissare un confine oltre il quale andare. Tutto questo non è possibile senza dei riferimenti precisi,<br />

immutabili, come un fiume, una collina, un campanile. Fondamentale, come spesso in letteratura, il<br />

luogo natale dell’autore, Santo Stefano Belbo, paese d’infanzia ma soprattutto di ritorni: «Qua ho<br />

riveduti i colli fra cui sono nato nel<strong>la</strong> dolce pianura del fiume, piena d’alberi e <strong>la</strong> terra dal <strong>la</strong>rgo<br />

declivio dolcissimo dove ho scorrazzato e vissuto bambino; ho riveduto i profili delle colline pallidi<br />

di lontananza dove bambino ancora, spaziavo lo sguardo col cuore gonfio, e con parole esaltate al<strong>la</strong><br />

bocca in un’aspirazione struggente a mondi lontani, tanto lontani, dove si viveva soltanto del<strong>la</strong><br />

musica di quelle belle parole d’amore».<br />

Il momento del ritorno è l’occasione per riprendere l’infanzia nel punto in cui viene interrotta ed<br />

avere <strong>la</strong> possibilità di mettere nuovamente in pratica ciò che solo l’infanzia è in grado di offrire:<br />

l’esperienza del mito. Le prime sensazioni del bambino, <strong>la</strong> prima visione di ogni cosa, assumono<br />

una valenza determinante in prospettiva, poiché «non esiste un “veder le cose <strong>la</strong> prima volta”:<br />

quel<strong>la</strong> che conta è sempre una seconda». Comprendiamo a fondo le cose so<strong>la</strong>mente attraverso il<br />

ricordo, ma ci è necessaria una loro prima esperienza nel tempo del<strong>la</strong> mitopeia infantile, l’unico<br />

periodo del<strong>la</strong> vita in cui qualsiasi segno delle cose (non è necessario un contatto immediato con<br />

esse) si fa simbolo, e dunque mito, perché anche <strong>la</strong> fantasia allora giunge come realtà.<br />

«Il concepire mitico dell’infanzia è insomma un sollevare al<strong>la</strong> sfera di eventi unici e assoluti le<br />

successive rive<strong>la</strong>zioni delle cose, per cui queste vivranno nel<strong>la</strong> coscienza come schemi normativi<br />

dell’immaginazione affettiva. Così ognuno di noi possiede una mitologia personale, che dà un<br />

valore assoluto al suo mondo più remoto, e gli riveste povere cose del passato con un ambiguo e<br />

seducente lucore dove pare, come in un simbolo, riassumersi il senso di tutta <strong>la</strong> vita».<br />

Santo Stefano è una necessità per Cesare, e pur rappresentando il luogo da cui evadere, fisicamente<br />

e idealmente, pur essendo «quattro baracche e un gran fango», pur essendo già chiuso nel corpo e<br />

nel<strong>la</strong> coscienza di Pavese, non smette mai di emozionarlo:<br />

Santo Stefano Belbo, inizi 1900<br />

Pagina 1<br />

«Sempre, ma più che mai<br />

questa volta, ritrovarmi davanti<br />

e in mezzo alle mie colline mi<br />

sommuove nel profondo […].<br />

Quello era il mio Paradiso, i<br />

miei Mari del Sud, <strong>la</strong> Prateria, i<br />

coralli, Ophir, l’Elefante<br />

bianco».


Città<br />

“ <strong>Oltre</strong> <strong>la</strong> <strong>Collina</strong>”<br />

«Questo è il giorno che salgono le nebbie dal fiume<br />

Nel<strong>la</strong> bel<strong>la</strong> città, in mezzo a prati e colline,<br />

E <strong>la</strong> sfumano come un ricordo...» [“Paesaggio VI”, Il mestiere di vivere 1936]<br />

Un secondo percorso confuta, a prima vista, <strong>la</strong> prima affermazione del precedente: Pavese è anche<br />

uomo di città. L’evasione dal “nido” paesano avviene in giovane età, attraverso uno dei tanti luoghisimbolo<br />

del<strong>la</strong> letteratura pavesiana: <strong>la</strong> ferrata. I binari del<strong>la</strong> stazione di Santo Stefano sono il<br />

collegamento con Canelli, <strong>la</strong> «porta del mondo» in fondo al<strong>la</strong> valle del Belbo, oltre <strong>la</strong> quale Pavese<br />

sogna meraviglie, stazioni e città. E Canelli è solo il primo orizzonte per un autore che ha saputo<br />

andare molto lontano, con gli scritti e con l’esperienza, consapevole che forse, per provare a<br />

definire <strong>la</strong> propria identità, bisogna andarsene via.<br />

Che poi il risultato di questo tentativo sia negativo, non influisce sull’importanza del<strong>la</strong> ricerca<br />

stessa, da completarsi per «realizzare il mito autentico in cui si crede»; se infatti è fissa <strong>la</strong><br />

consapevolezza che «un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via», purtroppo<br />

Pavese constata, poco dopo: «Possibile che a quarant’anni, e con tutto il mondo che ho visto, non<br />

sappia ancora che cos’è il mio paese?». Eppure, se <strong>la</strong> campagna è il tempo dell’infanzia, <strong>la</strong> città è<br />

altrettanto indispensabile come luogo del<strong>la</strong> maturità. Qui l’autore trova forti contrasti tra <strong>la</strong><br />

solitudine che segue <strong>la</strong> fine dell’adolescenza e il periodo di apprendistato culturale che conduce al<strong>la</strong><br />

maturità, ma se «il paese diventa <strong>la</strong> città, <strong>la</strong> natura diventa uomo», ecco che Torino, come Santo<br />

Stefano, può essere luogo dove si ritorna e dunque dove si fanno esperienze vitali.<br />

È Natalia Ginzburg, amica di Pavese che con lui condivide anche <strong>la</strong> stanza di <strong>la</strong>voro per un certo<br />

periodo all’Einaudi, a dirci che anche Torino, come il paese natale, assomiglia a Pavese: «La nostra<br />

città rassomiglia, noi adesso ce ne accorgiamo, all’amico che abbiamo perduto e che l’aveva cara; è,<br />

come era lui, <strong>la</strong>boriosa, aggrondata in una sua operosità febbrile e testarda; ed è nello stesso tempo<br />

svogliata e disposta a oziare e a sognare. Nel<strong>la</strong> città che gli rassomiglia, noi sentiamo rivivere il<br />

nostro amico dovunque andiamo». Il Po e il Belbo, Santo Stefano e Torino. Ma <strong>la</strong> città è anche <strong>la</strong><br />

scoperta di “come va il mondo”, l’impegno politico e <strong>la</strong>vorativo: Roma per Pavese, ad esempio, è<br />

come Genova per Anguil<strong>la</strong>. «Qui al<strong>la</strong> Mora era niente, ma quand’ho fatto il soldato e girato i<br />

carrugi e i cantieri a Genova ho capito cosa sono i padroni, i capitalisti, i militari… Allora c’erano i<br />

fascisti e queste cose non si potevano dire… Ma c’erano anche gli altri…».<br />

Durante il <strong>la</strong>voro di dirigenza del<strong>la</strong> filiale romana del<strong>la</strong> Einaudi, <strong>la</strong> vicinanza alle idee di sinistra lo<br />

introduce al<strong>la</strong> militanza politica, dal<strong>la</strong> quale però non riesce a dissipare il suo intimo disincanto –<br />

«<strong>la</strong> politica non teneva un gran posto nel<strong>la</strong> sua vita interiore» scrive Massimo Mi<strong>la</strong> – e del<strong>la</strong> quale<br />

probabilmente avverte l’epilogo e <strong>la</strong> stagione dell’ incomprensione, come, ancora viva <strong>la</strong> delusione<br />

del<strong>la</strong> sconfitta elettorale del 1948, fissa magistralmente nelle righe del suo capo<strong>la</strong>voro: «Non<br />

gliel’avevo mai raccontata per non tirarlo su quel discorso che tanto era inutile e adesso dopo<br />

vent’anni e tante cose successe non sapevo nemmeno più io che cosa credere, ma a Genova<br />

quell’inverno ci avevo creduto […]».<br />

Pagina 2<br />

Elio Vittorini e Cesare Pavese, col<strong>la</strong>boratori<br />

al<strong>la</strong> “Einaudi”<br />

Terra d’esilio


“ <strong>Oltre</strong> <strong>la</strong> <strong>Collina</strong>”<br />

«Là finiva ogni terra su spiagge brulle e basse, in un’immensità vaga»<br />

[«Terra d’esilio» racconto pubbl. postumo in “Notte di festa” 5-24 Luglio 1936]<br />

Un curioso scherzo del destino fa di Pavese una sorta di “antifascista per caso”: se è vero che in<br />

qualità di direttore del mensile “La cultura”, rivista di critica letteraria e cinematografica a cui<br />

col<strong>la</strong>boravano una schiera di antifascisti dai nomi prestigiosi (dall’ editore Einaudi ad Antonicelli,<br />

Ginzburg, Carlo Levi, Salvatorelli, Paolo e Piero Treves, e molti ancora), quanto invisi al<strong>la</strong> polizia,<br />

Pavese era inconsapevolmente un “osservato speciale”, è in realtà una storia d’ amore che lo<br />

coinvolge sino al<strong>la</strong> pena del confino. E’ Tina Pizzardo, <strong>la</strong> “donna dal<strong>la</strong> voce rauca” che Pavese ama,<br />

che utilizzando il suo recapito per l’invio di corrispondenza compromettente, porta <strong>la</strong> questura sulle<br />

tracce dello scrittore.<br />

E’ così che «Al confino di polizia il nominato Pavese Cesare fu Eugenio per <strong>la</strong> durata di anni tre,<br />

ritenuto pericoloso per l’ordine nazionale, per aver svolta in Torino e Mi<strong>la</strong>no attività politica tale da<br />

recare nocumento agli interessi nazionali».<br />

Come Carlo Levi (Cristo si è fermato ad Eboli), anche Pavese, sradicato dal<strong>la</strong> sua terra, si trova «in<br />

fondo all’Italia», ma a differenza di Levi, che instaura un rapporto pedagogico con gli abitanti per<br />

capire <strong>la</strong> realtà sociale e storica del Sud, l’esperienza di Pavese mantiene un sostanziale senso di<br />

estraneità verso una terra che non potrà mai essere come le Langhe piemontesi ma neanche come i<br />

Mari del Sud del cugino Silvio Pavese.<br />

L’elemento a cui rapportarsi è questa volta il mare, ma un mare «remoto e s<strong>la</strong>vato» che non si<br />

avvicina minimamente a quello esotico e letterario navigato dal cugino, ed è soltanto ostacolo a<br />

«vivere il grande mondo oltre le montagne». Brancaleone Ca<strong>la</strong>bro può offrire spiagge e montagne<br />

alle sue spalle, ma non ha porti o stradoni che conducano lontano, dove Pavese vuole e sa andare.<br />

Una insofferenza solo a tratti mitigata da una consumata autoironia, che traspare dal<strong>la</strong><br />

corrispondenza con <strong>la</strong> sorel<strong>la</strong>: «La mia stanza ha davanti un cortiletto, poi <strong>la</strong> ferrovia, poi il mare.<br />

Cinque o sei volte al giorno (e <strong>la</strong> notte) mi si rinnova così <strong>la</strong> nostalgia dietro i treni che passano.<br />

Indifferente mi <strong>la</strong>sciano invece i piroscafi all’ orizzonte e <strong>la</strong> luna nel mare […]. Inutile, il mare è<br />

una gran vaccata».<br />

Su sollecitazione del<strong>la</strong> famiglia le diverse domande di grazia portarono probabilmente ad una lieve<br />

riduzione del<strong>la</strong> pena: Pavese, per <strong>la</strong> sua stessa personalità, non era del<strong>la</strong> pasta di molti suoi amici<br />

che patirono il carcere, il confino e parteciparono attivamente al<strong>la</strong> resistenza. La sua lotta al<br />

fascismo si realizzerà con <strong>la</strong> penna, l’unica arma di cui era consapevole attore; illuminano in questa<br />

direzione le parole di Corrado in Prima che il gallo canti: «Ma ho visto i morti sconosciuti, i morti<br />

repubblichini. Sono questi che mi hanno svegliato. Se un ignoto, un nemico, diventa morendo una<br />

cosa simile, se ci si arresta e si ha paura a scavalcarlo, vuol dire che anche vinto il nemico è<br />

qualcuno, che dopo averne sparso il sangue bisogna p<strong>la</strong>carlo, dare una voce a questo sangue,<br />

giustificare chi l'ha sparso».<br />

Foto segnaletica di Pavese Brancaleone Ca<strong>la</strong>bro (RC)<br />

Pagina 3


America<br />

“ <strong>Oltre</strong> <strong>la</strong> <strong>Collina</strong>”<br />

«Tutte le strade finiscono al mare», gli dicevo, «dove ci sono i porti. Di là ci s’imbarca e si va nelle<br />

isole, dove gli stradoni riprendono» [La luna e i falò 1950]<br />

Pavese vuole e sa andare lontano, spesso con l’immaginazione e soprattutto con <strong>la</strong> lettura: c’è chi<br />

par<strong>la</strong> del<strong>la</strong> figura di uomo-libro per questo autore che ha saputo inventare molto ma ancor prima<br />

studiare ed applicarsi sia nel<strong>la</strong> conoscenza dei c<strong>la</strong>ssici che degli autori d’oltreoceano.<br />

Il violinista Antonio Chiuminatto, amico italo-americano di Cesare che abitava negli Stati Uniti, gli<br />

spedisce opere di scrittori americani introvabili in Italia, e Cesare inizia a leggere e a tradurre autori<br />

divenuti, spesso per suo diretto merito, conosciuti ed apprezzati: su tutti il Moby Dick di Melville<br />

ma anche Dos Passos, Steinbeck, Whitman, e infine Edgar Lee Masters, un avvocato (suo<br />

malgrado) dell’ Illinois, che nel 1915 pubblica il suo capo<strong>la</strong>voro, L’Antologia di Spoon River.<br />

C’è probabilmente affinità di sentire tra i due scrittori, che hanno saputo descrivere <strong>la</strong> realtà locale<br />

in modo innovativo rispetto agli anni precedenti, utilizzando forme e contenuti derivati, ad esempio,<br />

dal<strong>la</strong> grecità: si pensi al mito in Pavese e al<strong>la</strong> forma dell’epitaffio ellenistico per Lee Masters. In un<br />

saggio del 1943, ringraziando <strong>la</strong> giovane traduttrice Fernanda Pivano – che ha tradotto, dice Pavese,<br />

«tutta pervasa di una gioia ingenua del<strong>la</strong> scoperta, che trascina e convince» – il commento<br />

sull’autore americano sembra ricordare quanto già scritto a proposito dell’importanza delle<br />

esperienze giovanili: «Par<strong>la</strong>re di questo libro è risalire al<strong>la</strong> fonte di qualcuna delle più vivide<br />

esperienze poetiche del<strong>la</strong> nostra adolescenza, al periodo eroico in cui gettammo per <strong>la</strong> prima volta<br />

lo sguardo su un meraviglioso mondo che ci parve qualcosa di più che una cultura: una promessa di<br />

vita, un richiamo del destino».<br />

Sebbene già nel 1931 avesse scritto «Non ci sono simboli, beninteso. Tutto è vigorosamente vivo,<br />

materiato, attuale, in una paro<strong>la</strong>, tutto è poesia», differenziando quel<strong>la</strong> poesia dal<strong>la</strong> sua prosa, ne<br />

riconosce definitivamente l’importanza, eternando<strong>la</strong> come un nuovo modo di descrivere «questo<br />

vil<strong>la</strong>ggetto provinciale che è <strong>la</strong> terra»: «Se uno non sente da sé <strong>la</strong> solennità tragica e definitiva di<br />

quelle poche frasi, poste a concludere una vita, in un verseggiare così sobrio e pacato, che ha<br />

semplicemente l’ufficio di segnare il pensiero, dubito che qualunque discorso lo possa mai<br />

educare».<br />

Fernanda Pivano L’esito dell’esame di <strong>la</strong>urea in lettere con <strong>la</strong> discussione<br />

su Walt Whitman<br />

Donne<br />

Pagina 4


“ <strong>Oltre</strong> <strong>la</strong> <strong>Collina</strong>”<br />

«Un calore di terra annerita di umori: un respiro di vita»<br />

[“Piaceri notturni”, Lavorare stanca 1936]<br />

«Pensava anche lui a farsi una famiglia, ma ci pensava in un modo che si faceva, con gli anni,<br />

sempre più complicato e tortuoso, così tortuoso, che non ne poteva germogliare nessuna semplice<br />

conclusione». Così <strong>la</strong> Ginzburg, descrivendo le “costruzioni” di famiglie tra il gruppo di amici di<br />

cui faceva parte Cesare, analizza <strong>la</strong> sua difficoltà di dare compiutezza a quell’amore da lui sempre<br />

cercato ma che non si era mai realizzato.<br />

Già <strong>la</strong> figura femminile per Pavese passa dall’essere «come i tedeschi: un popolo nemico» ad una<br />

esistenza angelica, il calore del<strong>la</strong> vita, <strong>la</strong> ragione stessa del vivere. Nelle esperienze vissute poi, da<br />

Tina Pizzardo (<strong>la</strong> “donna con <strong>la</strong> voce rauca”) all’attrice americana Constance Dowling, Pavese<br />

sembra trovare compagne che non partecipano del<strong>la</strong> sua visione del mondo, e che contribuiscono ad<br />

aumentare quell’illusione che, una volta caduta, sarà probabilmente uno dei motivi del suicidio.<br />

Eppure nel<strong>la</strong> finzione letteraria egli conosce e descrive bene <strong>la</strong> complicata psicologia femminile (si<br />

pensi a Tra donne sole, La spiaggia), tanto che, sostiene Franco Vaccaneo, «è curioso come grandi<br />

misogini abbiano saputo creare pagine esaltanti sul<strong>la</strong> donna», paragonando il nostro autore al<br />

filosofo danese Kierkegaard, che pure aveva scritto (Aut-aut): «il principio femminile è un talento<br />

innato, una disposizione originaria, un assoluto virtuosismo nel conferire al finito un senso».<br />

Dunque <strong>la</strong> donna è il tramite conciliatore tra l’uomo e il mondo, e il matrimonio è il legame umano<br />

che riesce a consolidare l’uomo nel<strong>la</strong> società. Anche per questo, forse, Pavese non riesce a “fissare”<br />

<strong>la</strong> sua esistenza, lui che pur rimanendo fermo nelle Langhe o in Italia, spazia territori ben lontani e<br />

non arriva mai a definire <strong>la</strong> sua esistenza personale, quanto piuttosto il suo <strong>la</strong>voro di scrittore.<br />

È significativo che <strong>la</strong> donna – reale, non mitizzata – ritorni negli ultimi romanzi e in partico<strong>la</strong>re<br />

nel<strong>la</strong> Luna e i falò, il «romanzo che ho più goduto a scrivere»: <strong>la</strong> dedica è a C., ovvero all’ ultimo<br />

amore (dolore), l’attrice americana Costance Dowling che, dopo un breve idillio a Cervinia nel<br />

1950, non era più tornata in Italia.<br />

Infine il libro che Pavese sceglie per <strong>la</strong>sciare le sue ultime parole, i Dialoghi con Leucò, nasconde il<br />

riferimento ad un altro rapporto, quello con Bianca Garufi, del quale sono perfetto riassunto queste<br />

partico<strong>la</strong>ri parole del 17 aprile 1946: «Cara Bianca, […] che cosa pretendi? Che ci coccoliamo<br />

come due conigli? Io trovo molto bello questo maltrattarci insaziabile; è sincero dopotutto e<br />

producente. Ciascuno ha i suoi sistemi – noi siamo una bellissima coppia discorde».<br />

Rapporti controversi, dunque, che dimostrano come <strong>la</strong> vera ragione di vita per Pavese sia <strong>la</strong><br />

scrittura: il “mestiere” di Pavese è prima di tutto quello di scrivere, che dopo averlo impegnato in<br />

gioventù in uno studio quasi maniacale, si esaurisce nel momento in cui ha «eliminato tutti gli<br />

aggettivi» dal<strong>la</strong> propria vita.<br />

Costance Dowling e Pavese a Cervinia Bianca Garufi e Pavese, “coppia discorde”<br />

Estate<br />

Pagina 5


“ <strong>Oltre</strong> <strong>la</strong> <strong>Collina</strong>”<br />

«Stemmo insieme ancora molti giorni, fin che durò <strong>la</strong> stagione, ma entrambi sapevamo che tutto<br />

sarebbe finito entro l’autunno. Così fu infatti» [dal racconto «L’estate», Feria d’Agosto 1946]<br />

Cesare Pavese muore a Torino <strong>la</strong> notte del 26 agosto 1950. Gli ultimi scritti sembrano già<br />

preannunciare <strong>la</strong> decisione ultima del suicidio, che fu – quasi certamente – una scelta determinata in<br />

precedenza: «È fatale chi realizza in sé il mito autentico in cui crede. L’uomo fatale non è libero»<br />

sono parole del 30 gennaio di quell’anno. Quasi seguendo un sillogismo aristotelico è facile capire<br />

che l’uomo che si dà <strong>la</strong> morte non è libero, e dunque Pavese è propriamente un “uomo del fato”.<br />

Sul piano più umano e personale, nell’ estate del 1950 Pavese subisce <strong>la</strong> pressione di una serie di<br />

eventi concomitanti che lo condurrà al<strong>la</strong> lucida decisione di quel giorno: <strong>la</strong> delusione per l’epilogo<br />

del<strong>la</strong> re<strong>la</strong>zione con Costance Dowling, musa delle sue ultime e più sofferte liriche,<br />

l’incomprensione degli ambienti culturali vicini al partito comunista, il “fastidio” dovuto al<br />

successo (era fresco vincitore del premio “Strega”) ed al<strong>la</strong> notorietà mondana e non ultimo <strong>la</strong><br />

sensazione di essere giunto, con il suo ultimo romanzo, al<strong>la</strong> “summa” del<strong>la</strong> sua creazione artistica.<br />

Una consapevolezza che traduce in una delle sue ultime lettere: «Effettivamente “La luna” è il libro<br />

che mi portavo dentro da più tempo e che ho più goduto a scrivere. Tanto che credo che per un<br />

pezzo - forse per sempre - non farò più altro. Non conviene tentare troppo gli dèi».<br />

In questo caso quindi, il suicidio si pone come il termine naturale e giusto di un’esistenza piena,<br />

come se Pavese fosse giunto – ed è stato probabilmente così – a quel<strong>la</strong> sofferta maturità cercata<br />

attraverso i libri e <strong>la</strong> cultura, dopo <strong>la</strong> quale non si ha più niente da esprimere o insegnare.<br />

È da questa considerazione che muove <strong>la</strong> riflessione sul<strong>la</strong> stagione estiva, per definizione tempo<br />

definitivo, ultimo, del<strong>la</strong> maturazione dei frutti e termine delle potenzialità del<strong>la</strong> terra. Non è un caso<br />

che molti simboli, su tutti <strong>la</strong> luna, i falò, il mare, siano legati a questo periodo dell’anno (si pensi<br />

anche soltanto ai titoli: La luna e i falò, Feria d’agosto, La bel<strong>la</strong> estate). Per il futuro poi, Pavese<br />

<strong>la</strong>ncia solo un avvertimento, subito disatteso: «Non fate troppi pettegolezzi». In realtà ciò che<br />

avrebbe voluto Pavese è probabilmente un “ritorno ai testi” che si può ricavare anche dalle righe di<br />

uno dei suoi libri più partico<strong>la</strong>ri, su cui decise di scrivere le sue ultime parole: i Dialoghi con Leucò.<br />

All’interno di questa raccolta di miti greci e alter-ego pavesiani (potrebbero esserlo Edipo o Virbio,<br />

oppure Orfeo), Circe afferma: «L’uomo mortale, Leucò, non ha che questo d’immortale. Il ricordo<br />

che porta e il ricordo che <strong>la</strong>scia. Nomi e parole sono questo». I nomi e le parole sono gli elementi<br />

del ricordo di Cesare, lui che era tutt’uno con i libri e, forse, non può essere compreso al di fuori di<br />

essi.<br />

Maria Bellonci premia Cesare Pavese. 1950 Autografo sul<strong>la</strong> prima pagina dei “Dialoghi”<br />

Pagina 6


Comunità<br />

“ <strong>Oltre</strong> <strong>la</strong> <strong>Collina</strong>”<br />

«Ero tornato, ero sbucato, avevo fatto fortuna […] ma le facce, le voci e le mani che dovevano<br />

toccarmi e riconoscermi, non c’erano più» [ La luna e i falò 1950]<br />

Tutto parte dal paese, e torna al paese. In questa circo<strong>la</strong>rità non si deve leggere una monotonia, né<br />

tantomeno una semplicità, una riduzione. Per Pavese è semplicemente un bisogno, che ricorda quasi<br />

uno dei discorsi di Seneca a Lucilio (Epistu<strong>la</strong> 95): «Siamo nati per essere una comunità».<br />

Nonostante infatti il distacco necessario per <strong>la</strong> conoscenza personale e collettiva («Il modo migliore<br />

di scoprire se stessi e il proprio paese è frequentare gente e terre esotiche»), il ritorno – altro<br />

derivato c<strong>la</strong>ssico, il νόστος – riporta Pavese al<strong>la</strong> terra e di conseguenza all’autenticità, anche<br />

attraverso <strong>la</strong> figura di Nuto, guida dello scrittore nel<strong>la</strong> riscoperta del vil<strong>la</strong>ggio e del<strong>la</strong> comunità<br />

collinare.<br />

Al<strong>la</strong> consapevolezza del legame di sangue e di terra che fissa gli uomini sul loro territorio sino a<br />

confrontarsi con una natura che in Pavese, attraverso <strong>la</strong> mitizzazione, diviene personaggio essa<br />

stessa si contrappone (è un tema ricorrente ne l suo ultimo romanzo) il concetto di una umanità<br />

“bastarda”, dove l’assenza di legami se da un <strong>la</strong>to apre nuove frontiere dall’altro spersonalizza<br />

l’essere umano sino al regresso al<strong>la</strong> bestia.<br />

Così quando Pavese/Anguil<strong>la</strong> par<strong>la</strong> dell’America «C'erano donne, c'era terra, c'era denari. Ma<br />

nessuno ne aveva abbastanza, nessuno per quanto ne avesse si fermava […]. Non era un paese che<br />

uno potesse rassegnarsi, posare <strong>la</strong> testa e dire agli altri: “Per male che vada mi conoscete. Per<br />

male che vada <strong>la</strong>sciatemi vivere”. Era questo che faceva paura. Neanche tra loro non si<br />

conoscevano; traversando quelle montagne si capiva a ogni svolta che nessuno lì si era mai<br />

fermato, nessuno le aveva toccate con le mani», ci sorprendiamo nel poter trasporre facilmente<br />

questi sentimenti nel<strong>la</strong> nostra civiltà ipertecnologica quando avvertiamo l’horror vacui che ci<br />

raggiunge facilmente a terminali spenti.<br />

Uno degli insegnamenti più attualizzabili e applicabili del<strong>la</strong> scrittura pavesiana sembra proprio<br />

quello del recupero delle origini, che è <strong>la</strong> via per <strong>la</strong> loro valorizzazione: sul piano pratico, anche il<br />

mondo attuale avrebbe bisogno di ripensare il concetto di comunità e quelli da esso derivati, quali<br />

quello di sfruttamento del<strong>la</strong> natura e condivisione di valori, ridefinendo un nuovo approccio all’<br />

agricoltura, all’economia locale, al risparmio ed al sapere tradizionale.<br />

Leggere questi testi significa apprezzare il messaggio di uno scrittore che ha saputo dare senso e<br />

valore ai suoi luoghi, dopo aver viaggiato con <strong>la</strong> penna attraverso mondi lontanissimi.<br />

Vita in cascina agli inizi del 1900<br />

<strong>Oltre</strong> <strong>la</strong> collina<br />

Pagina 7


“ <strong>Oltre</strong> <strong>la</strong> <strong>Collina</strong>”<br />

«Non so se vengo dal<strong>la</strong> collina o dal<strong>la</strong> valle, dai boschi o da una casa di balconi»<br />

«Capivo che da ragazzo, anche quando facevo correre <strong>la</strong> capra, quando d'inverno rompevo con<br />

rabbia le fascine mettendoci il piede sopra, o giocavo, chiudevo gli occhi per provare se<br />

riaprendoli <strong>la</strong> collina era scomparsa - anche allora mi preparavo al mio destino, a vivere senza<br />

una casa, a sperare che di là dalle colline ci fosse un paese più bello e più ricco»<br />

«Mentre par<strong>la</strong>va, io mi vedevo Gaminel<strong>la</strong> in faccia, che a quell'altezza sembrava più grossa<br />

ancora, una collina come un pianeta, e di qui si distinguevano pianori, alberetti, stradoni che non<br />

avevo mai visto. Un giorno, pensai, bisogna che saliamo <strong>la</strong>ssù» [La luna e i falò<br />

1950]<br />

Con “La luna e i falò”, Pavese traduce nel<strong>la</strong> sua massima espressione artistica il concetto di mito,<br />

giungendo a fare del<strong>la</strong> collina un personaggio silenzioso, testimone dei vecchi e nuovi, disperati,<br />

falò che illuminano <strong>la</strong> notte.<br />

La collina diviene nell’immagine di Cinto ragazzo e Anguil<strong>la</strong> adulto il limite <strong>la</strong> “frontiera” oltre <strong>la</strong><br />

quale sognare un destino diverso, quasi una trasposizione dell’orizzonte nascosto dal<strong>la</strong> siepe<br />

leopardiana ne “L’ infinito”.<br />

Qua però <strong>la</strong> collina giunge quasi ad una descrizione antropomorfa, divenendo simbolo di quell’<br />

universo femminile amato e temuto al tempo stesso, come riscontriamo in due passaggi: «[…]<br />

pensavo a quei ciuffi di piante e di canne, quei boschetti, quelle rive - tutti quei nomi di paesi e di<br />

siti là intorno - che sono inutili e non danno raccolto, eppure hanno anche quelli il loro bello - ogni<br />

vigna <strong>la</strong> sua macchia - e fa piacere posarci l’occhio e saperci i nidi. “Le donne, pensai, hanno<br />

addosso qualcosa di simile”» ; «Una vigna ben <strong>la</strong>vorata è come un fisico sano, un corpo che vive,<br />

che ha il suo respiro e il suo sudore».<br />

«Nuto stava zitto e guardava <strong>la</strong> collina […]. E <strong>la</strong> collina saliva sempre: avevamo già passato diverse<br />

cascine, e adesso eravamo fuori».<br />

Arriviamo cosi all’ epilogo del romanzo e del<strong>la</strong> vita dell’ autore che, quasi novello Ulisse, decide di<br />

superare le vigne sognate da ragazzo, riportando amaramente <strong>la</strong> consapevolezza che oltre <strong>la</strong> collina<br />

ora ci sono i falò del Valino, suicida per povertà e disperazione e del<strong>la</strong> giovane Santa, bruciata dal<strong>la</strong><br />

follia del<strong>la</strong> guerra.<br />

«Per quest'estate era finita», dice Anguil<strong>la</strong> nel romanzo e Pavese agisce su di sé conseguentemente.<br />

Pagina 8


“ <strong>Oltre</strong> <strong>la</strong> <strong>Collina</strong>”<br />

Pavese e i suoi tempi : breve biografia comparata<br />

Vita e opere. Contesto<br />

sociale.<br />

politico e<br />

1908<br />

1908:Congresso socialista<br />

Nasce a Santo Stefano Belbo: qui il padre, a Firenze.<br />

cancelliere di tribunale a Torino, ha un 1912:concessione del<br />

piccolo podere che per tutta l’ infanzia sarà suffragio maschile<br />

per Pavese <strong>la</strong> sede,mitizzata poi nel ricordo, universale<br />

delle sue vacanze estive<br />

1913:elezioni con vittoria<br />

socialista e primi deputati<br />

cattolici<br />

1914-1930<br />

1915:Guerra contro l’<br />

Nel 1914 muore il padre ed il peso del<strong>la</strong><br />

famiglia ricade sul<strong>la</strong> madre,figura energica e<br />

Austria-Ungheria<br />

taciturna.<br />

1917: Rivoluzione russa.<br />

Compie gli studi medi e universitari a<br />

Torino, <strong>la</strong>ureandosi nel 1930 con una tesi<br />

sul<strong>la</strong> poesia di Walt Whitman.<br />

Al liceo ha come insegnante di lettere<br />

Augusto Monti, antifascista e pedagogo<br />

illuminato, che ne amplia <strong>la</strong> cerchia delle<br />

amicizie a Norberto Bobbio, Massimo Mi<strong>la</strong>,<br />

Leone Ginzburg, Vittorio Foà.<br />

1931<br />

Muore <strong>la</strong> madre Consolina Mesturini:<br />

Pavese continua a vivere nel<strong>la</strong> stessa casa<br />

con <strong>la</strong> sorel<strong>la</strong> Maria , sempre «estraniato in<br />

se stesso e riluttante ad ogni confidente<br />

abbandono»(L. Mondo)<br />

Insegna intanto saltuariamente in vari istituti<br />

medi statali, ma non essendo iscritto al<br />

partito fascista, deve ripiegare sugli istituti<br />

privati.<br />

Prima stesura del<strong>la</strong> raccolta di poesie<br />

“Lavorare stanca”e prima traduzione di “Our<br />

Mr. Wrenn” di Sinc<strong>la</strong>ir Lewis edita da<br />

Bemporad.<br />

1933<br />

Inizia <strong>la</strong> col<strong>la</strong>borazione con <strong>la</strong> casa editrice<br />

Einaudi dove trova come colleghi Carlo<br />

Levi, Massimo Mi<strong>la</strong> e Leone Ginzburg.<br />

1935<br />

Viene arrestato perché coinvolto<br />

indirettamente in attività antifasciste: riceve<br />

al proprio indirizzo lettere politicamente<br />

compromettenti indirizzate a Tina Pizzardo,<br />

1918-1919: Finisce <strong>la</strong><br />

prima guerra mondiale;<br />

Conferenza di Parigi.<br />

1920-22: biennio”rosso”,<br />

violenza fascista.<br />

1924-30: marcia su Roma<br />

e consolidamento del<br />

regime fascista.<br />

1931 : obbligo del<br />

giuramento fascista per i<br />

professori universitari.<br />

1932 : affermazione<br />

elettorale del partito<br />

nazista in Germania.<br />

F.D. Roosvelt presidente<br />

degli Stati Uniti : avvio<br />

del<strong>la</strong> politica economica<br />

del “new deal”.<br />

1933: Hitler cancelliere<br />

del Reich<br />

Vita letteraria e artistica.<br />

1908: Prezzolini fonda “La<br />

Voce“.<br />

1909: Manifesto del<br />

futurismo di Marinetti; “Ecce<br />

Homo” di Nietzsche e<br />

“Nuovi Poemetti “ di Pascoli<br />

1914: Dino Campana<br />

pubblica i “Canti Orfici”.<br />

1915: E.Lee Masters: ”Spoon<br />

River Anthology”.<br />

1916:Kafka”La<br />

metamorfosi”.<br />

1918-1919:fiorire dei circoli e<br />

riviste :<br />

”Energie Nuove”(Gobetti),<br />

”La Ronda”,<br />

“OrdineNuovo”(Gramsci).<br />

1930 :Quasimodo:”Acqua e<br />

terre”.<br />

Alvaro:”Gente in<br />

Aspromonte”<br />

Breton pubblica il secondo<br />

manifesto surrealista.<br />

1932 : Benedetto Croce<br />

“:Storia d’ Europa”.<br />

1933: Ungaretti:”Sentimento<br />

del tempo”.<br />

Il regime nazista scoglie <strong>la</strong><br />

“Bauhaus”.<br />

1935: Guerra di Etiopia. 1934: Pa<strong>la</strong>zzeschi:”Le<br />

sorelle Materassi”.<br />

Pagina 9


con <strong>la</strong> quale ha appena avviato una re<strong>la</strong>zione<br />

amorosa.<br />

Ne consegue il confino sino al marzo del<br />

1936 a Brancaleone Ca<strong>la</strong>bro.<br />

Inizio del diario “Il mestiere di vivere” in cui<br />

traspare una crescente inquietudine<br />

esistenziale.<br />

Al ritorno da confino ritrova Tina già<br />

sposata: ne ricava una delusione che gli fa<br />

sfiorare il suicidio, un esperienza<br />

sentimentale che « traccerà un solco di<br />

incolmabile dolore , di disperata<br />

frustrazione». (L.Mondo).<br />

1936 -1940<br />

Esce “Lavorare Stanca” per l’editore So<strong>la</strong>ria;<br />

riprende <strong>la</strong> col<strong>la</strong>borazione con Einaudi.<br />

Intensa attività di traduttore di letteratura<br />

americana, Dos Passos (“The big money”),<br />

Steinbeck (“Of mice and men”) e inglese,<br />

Defoe (“Misfortunes of the Famous Moll<br />

F<strong>la</strong>nders”), Dickens(“David Copperfield”).<br />

Affettuosa amicizia con Fernada Pivano cui<br />

affiderà <strong>la</strong> traduzione del<strong>la</strong> “Spoon River<br />

Anthology di Edgar Lee Masters..<br />

1941-1945<br />

Nel 1941 esce “Paesi Tuoi”, che lo segna<strong>la</strong><br />

al<strong>la</strong> critica e “La spiaggia”; traduce per<br />

Bompiani Faulkner e Morley.<br />

Nel 1943 l’armistizio lo sorprende nel suo<br />

<strong>la</strong>voro di redattore al<strong>la</strong> Einaudi a Roma:<br />

dopo <strong>la</strong> caduta del fascismo si rifugia dal<strong>la</strong><br />

sorel<strong>la</strong> a Serralunga di Crea, in Monferrato.<br />

La solitudine, l’introspezione, il dissidio fra<br />

desiderio e incapacità di legarsi agli altri di<br />

questo periodo si fissano nelle pagine de “La<br />

casa in collina” che trae diretta ispirazione<br />

da questo periodo.<br />

1946<br />

Prosegue a Roma, nel 1946, l’attività<br />

editoriale al<strong>la</strong> Einaudi e intraprende <strong>la</strong><br />

re<strong>la</strong>zione sentimentale con Bianca Garufi<br />

con <strong>la</strong> quale scrive il romanzo “Fuoco<br />

Grande”, che uscirà postumo nel 1953.<br />

“ <strong>Oltre</strong> <strong>la</strong> <strong>Collina</strong>”<br />

Sanzioni del<strong>la</strong> Società<br />

delle Nazioni contro<br />

l’Italia.<br />

Politica di forte riarmo<br />

bellico del<strong>la</strong> Germania.<br />

1936: Guerra civile di<br />

Spagna.<br />

1937: Istituzione del<br />

Ministero del<strong>la</strong> Cultura<br />

Popo<strong>la</strong>re e completa<br />

“fascistizzazione” dell’<br />

Italia.<br />

1938 :”Anschluss” dell’<br />

Austria<br />

1939: invasione del<strong>la</strong><br />

Cecoslovacchia e del<strong>la</strong><br />

Polonia:seconda guerra<br />

mondiale.<br />

1940: L’Italia in guerra.<br />

1941 : invasione del<strong>la</strong><br />

russa e massima<br />

espansione dell’ avanzata<br />

nazista; gli USA in guerra.<br />

1943 : sconfitta in Africa,<br />

sbarco alleato in Sicilia, 8<br />

Settembre e fondazione<br />

del<strong>la</strong> RSI.<br />

1944: Sbarco in<br />

Normandia, liberazione di<br />

Roma<br />

1945: Conferenza di<br />

Yalta,resa nazi-fascista;<br />

primo governo De Gasperi<br />

e bombe atomiche sul<br />

Giappone.<br />

1946: L’Italia è una<br />

repubblica; le donne per <strong>la</strong><br />

prima volta al voto<br />

Nascita dell’ assemblea<br />

costituente<br />

Pagina<br />

10<br />

Bernari:”Tre Operai”<br />

Brecht:”Canzoni,poesie,cori<br />

”<br />

1935: Persecuzione<br />

antisemita in Germania.<br />

1936:<br />

Sartre :”La Nausea”.<br />

.<br />

1937: Moravia:”L’imbroglio”.<br />

1938:<br />

Brecht :“Madre Coraggio e i<br />

suoi figli”.<br />

1939:<br />

Montale : “Le Occasioni”.<br />

.<br />

1941 :<br />

Vittorini:”Conversazione in<br />

Sicilia”.<br />

Brancati:”Don Giovanni in<br />

Sicilia”.<br />

1942 :<br />

Quasimodo:”Ed è subito<br />

sera”.<br />

Paul Eluard: “Poesia e<br />

verità”.<br />

1945 :<br />

Levi:”Cristo si è fermato a<br />

Eboli”.<br />

Vittorini:”Uomini e no”.<br />

Nasce <strong>la</strong> rivista “Il<br />

Politecnico”.<br />

1946:<br />

Eluard: “Poesia ininterrotta”.<br />

Sartre:” nascita dell’<br />

“esistenzialismo”.


Il rapporto strabico con l’universo femminile<br />

e <strong>la</strong> solitudine esistenziale emergono nel “Il<br />

mestiere di vivere”: «certo avere una donna<br />

che ti aspetta, che dormirà con te, è come il<br />

tepore di qualcosa che dovrai dire, e ti<br />

scalda e t’accompagna» (8 Febbraio); «<br />

Ogni sera, finito l’ufficio,finita l’osteria,le<br />

compagnie – torna <strong>la</strong> felice gioia, il<br />

refrigerio di essere solo. E’ l’unico vero<br />

bene quotidiano» (25 Aprile).<br />

1947<br />

Pavese raggiunge <strong>la</strong> piena maturità artistica:<br />

escono “Il compagno”, ”I dialoghi con<br />

Leucò”, ed il trittico di romanzi brevi “La<br />

casa in collina”, ”Tra donne sole” e “Il<br />

diavolo sulle colline”.<br />

Si impone al pubblico ed al<strong>la</strong> critica come<br />

autore «impegnato»<br />

1948-1950<br />

Notorietà, successo e solitudine avvitano<br />

Pavese in una spirale perversa.<br />

Nel 1949 conosce l’attrice americana<br />

Constance Dowling, oggetto di un amore<br />

breve e tormentato che ispirerà <strong>la</strong> raccolta di<br />

versi “Verrà <strong>la</strong> morte e avrà i tuoi occhi” e le<br />

pagine del capo<strong>la</strong>voro “La luna e i falò”<br />

,partendo dalle tracce raccolte dall’ amico<br />

Pinolo “Nuto” Scaglione.<br />

Vince il premio strega del 1950 con “La<br />

bel<strong>la</strong> estate” , ma il rapporto con gli ambienti<br />

culturali del<strong>la</strong> sinistra si incrinano. Gli è cara<br />

<strong>la</strong> stima di Piero Ca<strong>la</strong>mandrei, a cui, dopo <strong>la</strong><br />

recensione de’ “La luna e i falò” e otto<br />

giorni prima del suicidio scrive:” «La sua<br />

lettera è venuta come una brezza nel<br />

deserto[…]quel<strong>la</strong> “serena contemp<strong>la</strong>zione<br />

del ricordo”che lei rileva nei miei libretti<br />

,non è stata se non a prezzo di tali rinunzie<br />

nel<strong>la</strong> mia vita che oggi ne sono tramortito.»<br />

Il 27 Agosto 1950 si suicida in una camera<br />

d’ albergo a Torino,dando seguito a quanto<br />

aveva già lucidamente realizzato quattro<br />

anni prima nel suo diario: «Aver scritto<br />

qualcosa che ti <strong>la</strong>scia come un fucile<br />

sparato[…] e accorgersi che tutto questo è<br />

come nul<strong>la</strong> se un segno umano, una paro<strong>la</strong>,<br />

una presenza non lo accoglie, lo scalda - e<br />

morir di freddo – par<strong>la</strong>re al deserto – essere<br />

solo notte e giorno come un morto».<br />

“ <strong>Oltre</strong> <strong>la</strong> <strong>Collina</strong>”<br />

Aiuti economici dagli<br />

Stati Uniti al governo De<br />

Gasperi.<br />

1947 : “caccia alle<br />

streghe” negli Stati Uniti:<br />

Nuovo governo De<br />

Gasperi senza l’appoggio<br />

delle sinistre.<br />

.<br />

1948 : Approvazione del<strong>la</strong><br />

Costituzione repubblicana<br />

Prime elezioni politiche<br />

con vittoria del<strong>la</strong><br />

Democrazia Cristiana.<br />

Attentato a Togliatti.<br />

Inizia <strong>la</strong> guerra fredda fra<br />

USA e URSS.<br />

1949 :La chiesa impone <strong>la</strong><br />

scomunica agli aderenti al<br />

PCI.<br />

1950: Guerra di Corea<br />

Nascita dei sindacati CISL<br />

e UIL<br />

Nascita del<strong>la</strong> “Cassa per il<br />

Mezzogiorno”<br />

Pagina<br />

11<br />

Il P.C.U.S. riafferma sulle<br />

questioni culturali <strong>la</strong> linea del<br />

realismo socialista in<br />

letteratura.<br />

1947 :<br />

Pratolini:”Cronache di poveri<br />

amanti”.<br />

Calvino:”Il sentiero dei nidi<br />

di ragno”.<br />

Gramsci:”Lettere dal<br />

carcere”.<br />

1948 :<br />

Pollock dipinge “Number 1”<br />

e dà inizio al<strong>la</strong> “pittura<br />

spontanea” ovvero all’<br />

”action painting”.<br />

1949 :<br />

Brancati:”Il bell’Antonio”.<br />

Casso<strong>la</strong>:”Il taglio del bosco”.<br />

Quasimodo:”La vita non è<br />

sogno”.<br />

1950:<br />

Jovine:”Le terre del<br />

sacramento”.<br />

Ungaretti:”La terra<br />

promessa”<br />

Il pittore Lucio Fontana<br />

compone i primi ”Concetti<br />

spaziali”.


Bibliografia<br />

Opere di Cesare Pavese<br />

Paesi tuoi, Einaudi “Narratori contemporanei”, Torino 1941<br />

Feria d’agosto, Einaudi “Narratori contemporanei”, Torino 1946<br />

Dialoghi con Leucò, Einaudi “Saggi”, Torino 1947<br />

La bel<strong>la</strong> estate [La bel<strong>la</strong> estate], Einaudi “Supercoralli”, Torino 1949<br />

La luna e i falò, Einaudi “I Coralli”, Torino 1950<br />

Vita attraverso le lettere (a cura di Lorenzo Mondo), Einaudi, Torino 1966 e 2004 (passim)<br />

Racconti, Einaudi, Torino 1968<br />

Una bellissima coppia discorde. Il carteggio tra Cesare Pavese e Bianca Garufi (1945-1950)<br />

(a cura di Mariarosa Masoero, Leo S. Olschki, Firenze 2011 (passim)<br />

Biografie<br />

Franco Vaccaneo, Cesare Pavese. La vita, le opere, i luoghi, Gribaudo “Biografie per<br />

immagini”, Mi<strong>la</strong>no 2009<br />

Saggi<br />

Jacques Beaudry, Cesare Pavese. L’uomo del fato, Rubbettino, Soveria Mannelli (Cz) 2010<br />

(edizione originale: CESARE PAVESE. L’homme fatal, Éditions Nota bene, Québec, Canada<br />

2002)<br />

Lorenzo Mondo, Quell’antico ragazzo, Rizzoli, Mi<strong>la</strong>no 2006 (passim)<br />

Opere di altri autori<br />

Edgar Lee Masters, Antologia di Spoon River, prima edizione italiana Einaudi “Universale<br />

Einaudi”, Torino 1943<br />

Natalia Ginzburg, Le piccole virtù (passim), all’interno di Opere, Mondadori “I Meridiani”,<br />

Mi<strong>la</strong>no 1986<br />

Wendell Berry, La risurrezione del<strong>la</strong> rosa. Agricoltura, luoghi, comunità, edizione italiana<br />

Slow Food Editore srl, Bra (Cn) 2006 (passim)<br />

www.fondazionecesarepavese.it<br />

www.parcoletterario.it<br />

Sitografia

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