POSTUROLOGIA E SCHEMA CORPOREO - Associazione CHINESIS
POSTUROLOGIA E SCHEMA CORPOREO - Associazione CHINESIS
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INTRODUZIONE<br />
5<br />
<strong>POSTUROLOGIA</strong><br />
E <strong>SCHEMA</strong> <strong>CORPOREO</strong><br />
POSTUROLOGY AND BODY <strong>SCHEMA</strong><br />
Fabio Scoppa<br />
Docente di Metodologia della Riabilitazione, Facoltà di Medicina e Chirurgia, D.U. Fisioterapista<br />
Coordinatore Scientifico e Didattico, Corso di Perfezionamento in Posturologia<br />
Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università “La Sapienza” di Roma<br />
Riassunto: Un danno organico, una modificazione funzionale o un’alterazione posturale comportano in ogni caso un<br />
cambiamento dell’immagine corporea.<br />
Eppure negli studi e nelle pubblicazioni inerenti la posturologia i problemi relativi alla strutturazione e alla ristrutturazione<br />
dello schema corporeo non sono trattati se non marginalmente, così come è pressoché assente una riflessione approfondita<br />
sulla tematica della presa di coscienza corporea.<br />
Scopo di questo lavoro è stimolare una riflessione critica e costruttiva su questi argomenti, di rilevanza fondamentale<br />
per chi si occupa della valutazione e del trattamento delle alterazioni posturali.<br />
Parole chiave: Schema corporeo, immagine di sé, posturologia.<br />
S u m m a r y :An organic damage, a functional modification or a postural alteration leads to a change of the corporal<br />
image, every time.<br />
However, problems of the structuralization and restructuralization of the body schema are not considered, or treated<br />
summarily, in the studies and publications about posturology. There is even a lack of a deep reflection on themes of the<br />
corporal consciousness.<br />
Aim of this work is to stimulate a critical and constructive reflection about these subjects, so important for who is working<br />
on the evaluation and the treatment of postural alterations.<br />
Key words: Body schema, self-image, posturology.<br />
La postura, intesa come la posizione del corpo nel<br />
suo complesso, nonché la relazione spaziale tra segmenti<br />
scheletrici sia in condizioni statiche che nell’esecuzione<br />
di attività motorie, viene sempre più fatta oggetto<br />
di studi e ricerche.<br />
Lo studio della postura coinvolge specialisti di estrazione<br />
diversa e, pertanto, la posturologia va intesa come una<br />
branca “trasversale” che attraversa indifferentemente la<br />
neurofisiologia, la psicofisiologia, la chinesiologia, l’ortopedia,<br />
la medicina e la terapia riabilitativa, la clinica psicosomatica,<br />
l’odontoiatria, l’oculistica, la vestibologia e così via.<br />
Attraverso l’osservazione, la sperimentazione, la riflessione<br />
clinica, i vari specialisti hanno identificato e<br />
trattato con successo, grazie agli strumenti propri della<br />
posturologia, un gran numero di sindromi dolorose,<br />
vertiginose, neurologiche, disfunzionali.<br />
In realtà gli sforzi degli studiosi si sono concentrati<br />
in modo preminente sugli aspetti neurofisiologici e biomeccanici<br />
della postura piuttosto che, ad esempio, sugli<br />
aspetti psicosomatici della postura, come abbiamo avuto<br />
modo di sottolineare recentemente (Scoppa, 2000).<br />
Gli aspetti psico-emotivi hanno una tale rilevanza<br />
nel modulare la postura ed il sistema tonico posturale<br />
nel suo insieme da meritare una maggiore attenzione<br />
da parte degli studiosi del settore. Lo spazio dedicato<br />
allo studio degli aspetti psicologici nel campo della posturologia<br />
è ancora insufficiente e incerto nei suoi confini,<br />
a fronte di una abbondante produzione di studi e<br />
di ricerche in altre aree quali la neurologia, l’odontoiatria,<br />
la vestibologia, eccetera.
Posturologia e schema corporeo 6<br />
<strong>SCHEMA</strong> <strong>CORPOREO</strong><br />
E PRESA DI COSCIENZA CORPOREA<br />
IN <strong>POSTUROLOGIA</strong><br />
In questa sede vogliamo soffermarci su di un altro<br />
argomento che a nostro avviso merita uno spazio significativo<br />
in posturologia: quello dello schema corporeo<br />
e della presa di coscienza corporea.<br />
Negli studi e nelle pubblicazioni inerenti la posturologia<br />
i problemi relativi alla strutturazione e alla ristrutturazione<br />
dello schema corporeo non sono trattati se<br />
non marginalmente, così come è pressoché assente una<br />
riflessione critica e approfondita sulla tematica della<br />
presa di coscienza corporea.<br />
Riteniamo che queste siano gravi lacune da colmare<br />
per una disciplina, la posturologia, che ha per oggetto<br />
lo studio scientifico della postura e le metodologie di<br />
intervento per la prevenzione, la terapia, l’educazione e<br />
la rieducazione della postura.<br />
Ovviamente questo breve elaborato non ha lo scopo<br />
di colmare tali lacune, ma solo quello di stimolare<br />
una riflessione critica e costruttiva su questi argomenti.<br />
È ben noto a tutti che l’educazione e la rieducazione<br />
posturale sono metodologie di intervento di notevole<br />
diffusione e di conclamata utilità nell’ambito della<br />
posturologia.<br />
Infatti, partendo da una attenta analisi clinica della<br />
postura e del repertorio neuropsicomotorio del soggetto,<br />
tanto in età evolutiva quanto in età adulta e geriatrica<br />
è possibile aiutare il soggetto portatore di un disturbo<br />
posturale coinvolgendolo in un lavoro attivo e cosciente<br />
sul proprio corpo.<br />
Pertanto, anche quando l’esame posturologico consente<br />
di identificare un’interferenza, ad esempio podalica,<br />
occlusale o visiva, primariamente responsabile di<br />
un disequilibrio tonico posturale, non ci sembra ragionevole<br />
manipolare un’entrata del sistema tonico posturale<br />
e quindi modificare la strategia posturale del soggetto<br />
senza la sua partecipazione attiva e consapevole a<br />
questo cambiamento corporeo.<br />
La terapia posturale non può prescindere da<br />
una presa di coscienza.<br />
Le recenti acquisizioni nel campo della posturologia<br />
e le metodiche avanzate per la correzione di un’interferenza<br />
posturale mediante l’adozione di specifici ausili<br />
(byte, plantare propriocettivo, correzione visiva,…) o<br />
mediante una riprogrammazione neuroposturale indotta<br />
in via riflessa (auricoloterapia posturale), non devono<br />
farci dimenticare i principi classici ma sempre attuali<br />
della cultura rieducativa, che si è sviluppata sulla base<br />
dell’idea di fondo che la terapia riabilitativa debba<br />
essere condotta come un processo di apprendimento in<br />
condizioni patologiche (Perfetti, 1986).<br />
Il paziente deve essere messo in condizione di sviluppare<br />
un apprendimento motorio e posturale, confrontando<br />
sensazioni, posizioni, strategie motorie vecchie<br />
con le nuove, prendendo coscienza di tutto ciò onde<br />
stabilire nuovi punti di riferimento posturali sui<br />
quali rielaborare lo schema corporeo.<br />
Com’è pensabile modificare la postura di un sog-<br />
getto mediante un atto terapeutico indotto dall’esterno,<br />
senza consentire una partecipazione attiva e cosciente<br />
al cambiamento in atto da parte della persona stessa?<br />
La coscientizzazione, l’elaborazione, l’accettazione<br />
del cambiamento non sono dettagli secondari alla terapia<br />
posturale: non stiamo manipolando una macchina<br />
o un computer, stiamo inducendo delle modificazioni<br />
neuropsicomotorie e posturali a scopo terapeutico in<br />
un corpo vivente, vissuto, cioè propriamente umano.<br />
Il cambiamento della postura deve essere vissuto<br />
e non subito dal soggetto.<br />
Tale cambiamento implica una rielaborazione dello<br />
schema corporeo e dell’immagine di sé, con tutte le implicazioni<br />
annesse e connesse, da quelle neurofisiologiche<br />
a quelle psicoemotive a quelle sensomotorie.<br />
Come non tenere a mente, oggi più che mai, gli<br />
sforzi degli studiosi che si sono interessati al problema<br />
dello schema posturale, dell’immagine di sé, della percezione<br />
corporea? Come non riflettere, proprio oggi<br />
che utilizziamo strumenti così efficaci e immediati per<br />
modificare radicalmente la postura di una persona, sul<br />
successo dell’opera scientifica di Schilder (1935) le cui<br />
intuizioni e teorizzazioni sul concetto di schema corporeo<br />
sono risultate un punto di riferimento fondamentale<br />
per intere generazioni di studiosi?<br />
Un cambiamento della postura implica un cambiamento<br />
dello schema corporeo: pertanto lo studio dello<br />
schema corporeo, della sua elaborazione e rielaborazione,<br />
merita uno spazio più che legittimo nell’impianto<br />
teoretico della posturologia, così come le metodologie e<br />
le tecniche che concorrono alla strutturazione e alla ristrutturazione<br />
dello schema corporeo sono da inserire<br />
tra gli strumenti operativi propri della posturologia.<br />
Nel paragrafo successivo presenteremo sinteticamente<br />
cosa si intende per schema corporeo e come si è<br />
sviluppato questo concetto nell’ultimo secolo.<br />
DALLA CENESTESIA<br />
ALLO <strong>SCHEMA</strong> <strong>CORPOREO</strong><br />
Si intende per schema corporeo, o immagine corporea,<br />
la coscienza immediata del nostro corpo nella sua<br />
tridimensionalità, della sua posizione, del suo stato, sia<br />
in condizioni statiche che dinamiche: una sorta di immagine<br />
di sé che implica fattori di ordine neurofisiologico,<br />
psicodinamico, relazionale, e che consente all’individuo<br />
di entrare in relazione spaziale e temporale con<br />
il mondo circostante.<br />
Storicamente il concetto di schema corporeo viene<br />
fatto risalire alla fine del XIX secolo.<br />
Proposto da Bonnier, poi diffuso, valorizzato e rielaborato<br />
da studiosi quali Lhermitte, Pick, Head, il<br />
concetto di schema corporeo trova la sua consacrazione<br />
scientifica nel 1935 con l’opera di Schilder “The<br />
image and appearance of the human body”, tradotto in<br />
italiano con molti anni di ritardo sotto la direzione del<br />
prof. Cesa-Bianchi (1973).<br />
Le prime elaborazioni teoriche sull’argomento sono<br />
rintracciabili con la formulazione del concetto di cene-
7 Attualità in Terapia Manuale e Riabilitazione, Anno 3, numero 4, ottobre-dicembre 2001<br />
stesia, espresso all’inizio del secolo XIX. Il termine cenestesia<br />
può essere considerato “parente” del successivo<br />
concetto di schema corporeo ma sicuramente non<br />
sinonimo. Nell’ottocento con questo termine si alludeva<br />
al senso generale che noi abbiamo del nostro corpo,<br />
dato dall’insieme di sensazioni che da ogni parte del<br />
corpo venivano trasmesse al “sensorium”, centro di integrazione<br />
sensoriale. Questa definizione, in verità abbastanza<br />
indeterminata, tende ad evidenziare che si<br />
tratta di molteplici e disgiunte sensazioni che si fondono<br />
a livello cosciente in un “senso di sé”. L’imprecisione<br />
del termine è stata messa in evidenza da molti studiosi,<br />
tra cui Wallon (1974): in particolare questo<br />
“caos indifferenziato di sensazioni” sembra ricondurre<br />
ad un generico senso di coscienza del corpo senza distinguere,<br />
ad esempio, tra sensibilità enterocettiva e<br />
sensibilità propriocettiva, e senza precisare il ruolo degli<br />
aspetti emotivi ed affettivi in tutto ciò.<br />
Nei suoi studi a cavallo tra i due secoli, Bonnier si<br />
pone criticamente di fronte al concetto di cenestesia e<br />
introduce in modo originale un nuovo criterio rispetto<br />
agli studi dell’epoca: il criterio topologico. La novità di<br />
Bonnier, che egli indicò come essenziale, fu quella di<br />
attribuire al corpo un suo valore topologico, cioè spaziale,<br />
grazie al quale è possibile orientarsi oggettivamente<br />
nel mondo e soggettivamente riguardo le diverse<br />
parti del nostro corpo: il nostro corpo ci è dato come<br />
“sens d’espace”.<br />
Ulteriori sviluppi circa l’importanza del criterio spaziale<br />
vengono forniti da Pick, neurologo tedesco che all’inizio<br />
del novecento parla di “korperschema” e introduce<br />
lo schema topognostico. Secondo tale schema noi<br />
possediamo una consapevolezza topografica del nostro<br />
corpo che ci consente di sapere continuamente in che<br />
stato si trova. Mentre Bonnier attribuiva un ruolo particolarmente<br />
importante alla funzione vestibolare nella<br />
formazione dello schema del corpo, secondo Pick è la<br />
funzione visiva a definire primariamente l’immagine<br />
spaziale del corpo, senza comunque sottovalutare la<br />
funzione aptica e quella cinetica.<br />
Il neurofisiologo inglese Head fornisce una visione<br />
per così dire associazionistica dello schema corporeo,<br />
formato dall’associazione di vari ordini di informazioni<br />
posturali, tattili, cinetiche, visive la cui sintesi fornisce<br />
un somatogramma in continuo divenire. Head parla di<br />
modello (“model”; “standard”) e sottolinea l’aspetto dinamico,<br />
in evoluzione di questo processo.<br />
IMMAGINE DI SÉ E <strong>SCHEMA</strong> <strong>CORPOREO</strong><br />
Con Schilder (1935) assistiamo al superamento dei<br />
precedenti punti di vista nel tentativo di dare una definizione<br />
al contempo fisiologica, psicologica, sociologica.<br />
Secondo Schilder noi riceviamo una serie di sensazioni<br />
tattili, termiche, nocicettive, neuromuscolari, viscerali…<br />
“ma al di là di tutto questo vi è l’esperienza<br />
immediata dell’esistenza di una unità corporea che se è<br />
vero che viene percepita, è d’altra parte qualcosa di più<br />
di una percezione: noi la definiamo schema del nostro<br />
corpo o schema corporeo oppure, seguendo la concezione<br />
di Head che sottolinea l’importanza della conoscenza<br />
della posizione del corpo, modello posturale del<br />
corpo”.<br />
Arriviamo così alla definizione di Schilder: “lo schema<br />
corporeo è l’immagine tridimensionale che ciascuno<br />
ha di se stesso: possiamo anche definirlo immagine<br />
corporea”.<br />
A scopo riassuntivo affianchiamo accanto a questa<br />
di Schilder alcune altre definizioni tra quelle più conosciute.<br />
Ajuriaguerra-Hecaen: “lo schema corporeo è un dato<br />
gnostico costantemente presente, che permette la coscienza<br />
del nostro corpo come entità statica e dinamica”.<br />
Vayer (1974); Picq-Vayer (1968): “lo schema corporeo<br />
è l’organizzazione delle sensazioni relative al<br />
proprio corpo in relazione ai dati del mondo esterno”.<br />
Le Boulch (1975): “consideriamo lo schema corporeo<br />
o immagine del corpo come una intuizione globale<br />
o una conoscenza immediata che abbiamo del nostro<br />
corpo allo stato statico o in movimento, nel rapporto<br />
delle sue diverse parti tra loro e nei suoi rapporti con<br />
lo spazio circostante degli oggetti e delle persone”.<br />
Con Le Boulch (1975), così come con Fischer<br />
(1986), si assiste al completo superamento della distinzione<br />
artificiosa e dicotomica tra i termini schema e immagine<br />
corporea, essendo un modo di esprimere in<br />
due linguaggi diversi, l’uno fisiologico, l’altro psicologico,<br />
“una sola e stessa realtà fenomenologia che è quella<br />
del “corpo proprio”.<br />
Il concetto di corpo proprio (“corps-propre”) ci ricollega<br />
alla fenomenologia della percezione di Merleau-<br />
Ponty (1945), che porta a riconoscere che l’Io è sempre<br />
situato nel mondo in quanto è corporeità: “il corpo<br />
proprio è nel mondo come il cuore nell’organismo:<br />
mantiene continuamente in vita lo spettacolo visibile,<br />
lo anima e lo nutre interiormente, e forma con lui un<br />
sistema”. In questo contesto lo schema corporeo si<br />
identifica con l’esperienza del corpo al mondo: lo schema<br />
corporeo è un modo di esprimere che “il mio corpo<br />
è al mondo”. Merleau-Ponty riconosce un aspetto di<br />
integrazione a questa struttura: “il mio intero corpo<br />
non è per me un aggregato di organi giustapposti nello<br />
spazio. Io lo tengo in un possesso indiviso e conosco la<br />
posizione di ogni mio membro grazie ad uno schema<br />
corporeo…”.<br />
UN PROCESSO CIRCOLARE COMPLESSO<br />
Riassumendo, lo schema corporeo implica:<br />
- fattori neurofisiologici rappresentati dalla funzione<br />
propriocettiva, enterocettiva, esterocettiva, vestibolare<br />
che peraltro garantiscono la consapevolezza del<br />
movimento e della posizione del corpo;<br />
- fattori psico-emotivi, caratterizzanti l’immagine di<br />
sé e lo schema corporeo al punto tale che qualsiasi<br />
rigida separazione dai precedenti aspetti fisiologici<br />
risulta essere un’operazione arbitraria, impropria,<br />
d i c o t o m i c a .
Posturologia e schema corporeo 8<br />
In realtà gli aspetti fisiologici e gli aspetti psicologici<br />
dello schema corporeo rappresentano un’unità che non<br />
la natura, ma solo le esigenze didattico-metodologiche<br />
della scienza possono artificiosamente dividere e tenere<br />
separate.<br />
A questi due aspetti possiamo aggiungere i fattori<br />
sociali, trattati da Schilder in un’apposita parte della<br />
sua opera (sociologia dell’immagine corporea), in virtù<br />
del fatto che l’immagine del corpo può risentire dello<br />
specifico contesto sociale, culturale, etnico.<br />
Siamo pertanto di fronte ad un processo complesso<br />
in cui confluiscono aspetti senso-percettivi con aspetti<br />
immaginativi, al fine di produrre un qualcosa di<br />
profondamente unitario anche se costantemente in fieri:<br />
la coscienza immediata ed unitaria del nostro<br />
corpo.<br />
Giova ricordare che noi conosciamo la posizione di<br />
punti del corpo, ad esempio il naso, anche quando le<br />
afferenze somatoestesiche di queste parti del corpo<br />
vengono anestetizzate.<br />
Schilder spiega chiaramente che non si tratta semplicemente<br />
di una sensazione o di un’immagine mentale:<br />
esso implica che “l’immagine non è semplicemente<br />
percezione sebbene ci giunga attraverso i sensi, ma<br />
comporta schemi e rappresentazioni mentali, pur non<br />
essendo semplicemente una rappresentazione”.<br />
In altre parole, le afferenze sensoriali periferiche<br />
concorrono a formare lo schema centrale, ma d’altronde<br />
lo schema centrale modula e regola l’attività<br />
p e r i f e r i c a .<br />
È su questo principio che Ruggieri (1988) ha sviluppato<br />
un modello circolare in termini psicofisiologici,<br />
“modello che considera le rappresentazioni dello schema<br />
corporeo come sistemi complessi con componenti<br />
centrali e periferiche”. Secondo l’Autore anche in questo<br />
contesto acquista un significato peculiare la frase di<br />
Freud: “le originali percezioni sensoriali sono simboleggiate…”.<br />
In effetti, anche alla luce di questa pur breve rassegna<br />
storica sul concetto di schema corporeo, si evince<br />
come esso non sia un semplice processo lineare unidirezionale<br />
(le afferenze sensoriali periferiche che concorrono<br />
alla formazione dello schema corporeo centrale),<br />
ma al contrario un processo circolare bidirezionale e<br />
polifasico.<br />
Infatti lo schema corporeo centrale, come preconizzato<br />
da Head e da Schilder, è a sua volta in grado di<br />
influenzare e modificare la periferia corporea; in particolare<br />
lo schema centrale è in grado di modificare<br />
il tono posturale.<br />
A loro volta le re-afferentazioni di ritorno periferiche<br />
contribuiscono alla ristrutturazione e alla rielaborazione<br />
dello schema corporeo, secondo un processo circolare<br />
polifasico in continuo divenire di tipo bidirezionale<br />
(periferia - centro; centro - periferia; periferia -<br />
centro e così via).<br />
Una simile chiave di lettura del processo di strutturazione<br />
dello schema corporeo appare sintonica con<br />
l’approccio circolare e sistemico che viene utilizzato in<br />
psicosomatica (Onnis, 1989 e 1993; Scoppa e Nicotra,<br />
1996) per rappresentare meglio la prospettiva olistica<br />
della persona e superare la concezione biunivoca della<br />
malattia (psicogena o somatogena).<br />
<strong>SCHEMA</strong> <strong>CORPOREO</strong><br />
ED ESPERIENZE CORPOREE<br />
Già Schilder, rifacendosi agli studi di Head, sottolineava<br />
l’importanza della corteccia sensoriale come<br />
“magazzino” delle sensazioni passate, che formano<br />
dei modelli organici (schemi) che “modificano le impressioni<br />
degli impulsi sensoriali afferenti in modo tale<br />
che la sensazione finale di posizione o di localizzazione<br />
giunga a livello di coscienza correlata con qualcosa<br />
che è accaduto in precedenza”. Pertanto “qualsiasi<br />
cambiamento riconoscibile giunge alla coscienza<br />
dopo esser stato posto in relazione con qualcosa che è<br />
accaduto in precedenza”. Si tratta quindi di un complesso<br />
processo di riconoscimento, di confronto, comparativo,<br />
in riferimento ai dati delle esperienze corporee<br />
pregresse.<br />
Su questo tipo di interpretazione converge anche<br />
Gozzano (1959) per spiegare la coscienza immediata<br />
dell’unità del nostro corpo e la rappresentazione spaziale<br />
tridimensionale che ciascuno ha di se stesso: “le<br />
impressioni visive, tattili, muscolari, ci informano sull’esistenza<br />
delle diverse parti che compongono il nostro<br />
corpo, ma oltre a ciò noi abbiamo una coscienza immediata<br />
che il nostro corpo esiste come unità; d’altra parte<br />
le medesime impressioni visive tattili e soprattutto<br />
muscolari ci informano sulla posizione delle diverse<br />
parti del nostro corpo, e sui cambiamenti di posizione<br />
di ciascuna di esse rispetto alle altre e rispetto allo spazio,<br />
in virtù di un processo di confronto, compiuto dalla<br />
corteccia cerebrale, fra queste impressioni ed un modello<br />
o schema rappresentativo del nostro corpo e dei<br />
rapporti spaziali fra le sue parti”.<br />
UN PROCESSO DINAMICO<br />
Lo schema corporeo, o immagine corporea, non è<br />
una struttura innata e preformata, e non è un’immagine<br />
fissa e statica, ma al contrario è una struttura dinamica,<br />
in continuo divenire, dipendente dalla maturazione<br />
del sistema nervoso, dai vissuti psico-emotivi, dal<br />
livello di percezione senso-motoria e dai processi resi<br />
possibili dall’esperienza e dall’apprendimento motorio<br />
e posturale. Su questo punto Schilder è chiaro: “l’immagine<br />
del corpo da un punto di vista fisiologico non è<br />
un fenomeno statico. La si acquista, la si costruisce, ed<br />
essa trae la sua struttura da un continuo contatto col<br />
mondo. Non è una struttura, ma una strutturalizzazione<br />
in cui si verificano continui cambiamenti, e tutti<br />
questi cambiamenti sono in rapporto con la mobilità e<br />
le azioni del mondo esterno”.<br />
Pertanto lo schema corporeo è un processo tonico,<br />
dinamico, in evoluzione: a tal proposito Head<br />
(1911) non parla di schema, ma di schemi, al plurale,
9 Attualità in Terapia Manuale e Riabilitazione, Anno 3, numero 4, ottobre-dicembre 2001<br />
che integrandosi tra loro formano un somatogramma<br />
sempre in fieri.<br />
Su questa posizione si collocano in varia misura<br />
molti studiosi dell’argomento, tra cui ricordiamo: Bartlett<br />
(1932), Mucchielli (1962), Wallon (1962), Kohler<br />
e Lachanat (1972), Le Boulch (1981), Dropsy (1981),<br />
Perfetti (1986), Ruggieri (1988).<br />
LA STRUTTURAZIONE<br />
DELLO <strong>SCHEMA</strong> <strong>CORPOREO</strong><br />
Nell’età dello sviluppo la strutturazione dello schema<br />
corporeo passa attraverso tappe evolutive: Le<br />
Boulch (1975) definisce lo stadio del “corpo subito”,<br />
dalla nascita ai tre mesi di vita, la tappa del “corpo vissuto”,<br />
fino ai tre anni, lo stadio del “corpo percepito”,<br />
cioè la tappa della discriminazione percettiva che va<br />
dai tre ai sette anni, e lo stadio del “corpo rappresentato”,<br />
cioè il periodo dai sette ai dodici anni della rappresentazione<br />
mentale del “corpo proprio” in movimento<br />
e pensiero operatorio.<br />
Le prime esperienze infantili hanno pertanto un’importanza<br />
del tutto speciale nella strutturazione dello<br />
schema corporeo, ma questo processo dinamico, evolutivo,<br />
in continuo divenire non è circoscrivibile solo all’età<br />
evolutiva: ad ogni età possiamo avere modificazioni<br />
o ristrutturazioni dello schema corporeo, e particolarmente<br />
in concomitanza con modificazioni neuro-posturali,<br />
morfo-strutturali o psico-affettive. Ed è per tale<br />
ragione che noi consideriamo la rielaborazione dello<br />
schema corporeo come un capitolo fondamentale in<br />
posturologia, specie quando atti terapeutici o processi<br />
patologici inducono significative modificazioni tonicoposturali.<br />
<strong>SCHEMA</strong> <strong>CORPOREO</strong> E SISTEMA<br />
TONICO POSTURALE<br />
Nel descrivere la “sindrome del deficit posturale”,<br />
Da Cunha (1987) precisa che uno dei sintomi caratteristici<br />
è quello che il malato si lamenta di avere difficoltà<br />
nel rimanere eretto, sia che egli si senta titubante, sia<br />
che soffra in tale posizione.<br />
Schilder dice: “nella costruzione del modello posturale<br />
del corpo le difficoltà sorgono quando i vari sensi<br />
non possono venir usati o coordinati”; ma non è proprio<br />
questa la situazione in cui ci si trova in presenza di<br />
un’interferenza recettoriale che altera il sistema tonico<br />
posturale? Dobbiamo considerare come a tale alterazione<br />
posturale corrisponda un’alterazione del modello<br />
posturale centrale, ed è per tale ragione che è necessario<br />
considerare sempre anche lo schema corporeo<br />
quando studiamo il sistema posturale.<br />
Quando Da Cunha afferma che “il malato si lamenta<br />
di avere difficoltà nel rimanere eretto”, che si<br />
sente “titubante”, non sta forse parlando anche della<br />
funzione vestibolare e della funzione antigravitaria?<br />
L’importanza di queste funzioni nella costruzione<br />
dello schema corporeo sono ben sottolineate da Schilder:<br />
“tutti i sensi partecipano a questo processo costruttivo,<br />
e indubbiamente l’apparato vestibolare ha<br />
qui una particolare funzione. Il nostro rapporto con la<br />
terra, con la gravità è un fattore vistoso per la meccanica<br />
del movimento e per la percezione dell’immagine<br />
corporea”.<br />
Non ci dimentichiamo che uno dei padri del concetto<br />
di schema corporeo, il già citato medico francese<br />
E. Bonnier, ha iniziato le sue ricerche in ambito otologico<br />
studiando le malattie dell’orecchio; in particolare<br />
partendo dai suoi lavori sulla vertigine è andato a cercare<br />
il fondamento dello stato di non vertigine, ovvero<br />
il meccanismo che garantisce l’ancoraggio delle posture<br />
di un soggetto in un contesto spazio-temporale.<br />
Così nasce l’ipotesi fondamentale della presenza di<br />
uno schema del proprio corpo, ovvero di una struttura<br />
o meglio di una strutturalizzazione che lo rappresenti<br />
in ogni momento, ipotesi ripresa più volte sia pure con<br />
concettualizzazioni diverse: dalla configurazione spaziale<br />
del corpo, allo schema posturale, all’immagine di sé.<br />
LO <strong>SCHEMA</strong> <strong>CORPOREO</strong> IN AMBITO<br />
PATOLOGICO<br />
Le modificazioni dello schema corporeo in concomitanza<br />
di uno stato patologico o disfunzionale possono<br />
essere molto evidenti e a volte drammatiche.<br />
Ricordiamo a titolo esemplificativo il fenomeno dell’arto<br />
fantasma e il fenomeno dell’emidisattenzione, ovvero<br />
di pazienti che sentono un arto che non c’è più, o<br />
che non sentono più come proprio un arto ancora presente<br />
ma in condizioni anatomo–patologiche e funzionali<br />
radicalmente modificate.<br />
In caso di amputazione di una gamba, l’amputato<br />
può continuare a sentire il proprio arto ed avere la netta<br />
sensazione che ci sia ancora, che si muova, che faccia<br />
male, fino al punto di dimenticarsi della propria<br />
menomazione e cadere: è la comparsa di un arto fantasma,<br />
che è l’espressione dello schema corporeo.<br />
Schilder riferisce il caso di un amputato le cui sensazioni<br />
di una gamba e di un piede fantasmi scomparvero<br />
immediatamente con l’insorgere di una lesione celebrale:<br />
la stessa lesione che eliminò ogni riconoscimento<br />
della propria postura fece cessare anche la percezione<br />
dell’arto fantasma.<br />
Questo lascia supporre che il fenomeno sia di origine<br />
centrale e non periferica, come intuito da Descartes<br />
già nel XVII secolo quando scriveva: “il dolore della<br />
mano non è sentito dall’anima in quanto è nella mano,<br />
ma in quanto è nel cervello”. Ma anche una interpretazione<br />
di questo tipo, strettamente neurologica, non rispecchia<br />
in pieno la realtà del fenomeno dell’arto fantasma,<br />
che come è noto ha delle valenze psico–emotive.<br />
Una situazione contingente, un’emozione, un ricordo,<br />
che evocano il vissuto della ferita possono far comparire<br />
un arto fantasma in amputati che prima non lo avevano;<br />
così come può succedere che la dimensione notevole<br />
dell’arto fantasma si possa ridurre, fino al punto
Posturologia e schema corporeo 10<br />
di essere inglobato nel moncherino, in concomitanza<br />
con l’accettazione della menomazione da parte dell’amputato.<br />
Si pensi a quale ruolo possono avere questi<br />
aspetti ad esempio nel fenomeno della mammella fantasma<br />
delle mastectomizzate.<br />
Partendo da questo tipo di considerazioni, Bernard<br />
(1974) afferma: “bisogna dunque capire come i determinanti<br />
psichici e le condizioni fisiologiche si ingranino<br />
gli uni sulle altre: a prima vista non si concepisce come<br />
l’arto fantasma, se dipende da condizioni fisiologiche e<br />
se è a questo titolo l’effetto di un determinismo naturale,<br />
può d’altronde dipendere dalla storia personale del<br />
malato, dai suoi ricordi, dalle sue emozioni o dalla sua<br />
volontà. Perché abbiano una stessa risultante, queste<br />
due componenti fisiologiche e psicologiche necessitano<br />
di un terreno comune”.<br />
Altro fenomeno su cui giova riflettere è quello dell’emidisattenzione<br />
dell’emiplegico, specie in quei casi<br />
complessi in cui i pazienti negano, rifiutano (“denial”,<br />
“neglet”) l’esistenza di una metà del proprio corpo o la<br />
considerano estranea, cosa altrui, o la percepiscono come<br />
un oggetto.<br />
Riportiamo la testimonianza di una paziente affetta<br />
da emiparesi spastica destra dopo trauma cranico e<br />
asportazione chirurgica di porzioni del lobo temporale<br />
e frontale di sinistra, descritta da Sabbadini (in Pizzetti<br />
e Caruso, 1987) dopo due anni di terapia riabilitativa:<br />
“Vede, dottore: in questi due anni lei e i suoi terapisti<br />
mi avete ripetutamente chiesto di muovere la mano<br />
destra e contemporaneamente mi avete messo davanti<br />
“una cosa”. Io provavo a muovere la mano destra,<br />
ma non so se riuscivo, poiché non sapevo nemmeno<br />
dove cercarla. D’altra parte, davanti a me seguitava<br />
ad essere quella “cosa”, che io non sapevo che cosa<br />
potesse essere. Un giorno, anzi nel corso di molti<br />
mesi, io ho riflettuto sul fatto che voi ogni volta che mi<br />
chiedevate di muovere la mano mi facevate trovare davanti<br />
quella “cosa”. Ed io ho cominciato a studiarla:<br />
ho contato cinque “così”; più volte e quasi per caso ho<br />
associato il numero cinque alle dita di una mano; ho<br />
capito allora che quella “cosa” era una mano. Mi sono<br />
allora domandata perché proprio “io” dovessi muovere<br />
quella mano; poi ho capito che forse quella mano<br />
poteva essere la “mia”. Ho provato e riprovato ad<br />
orientarmi per capire se potesse essere attaccata al mio<br />
corpo; ho provato ad immaginarla prolungandola verso<br />
l’avambraccio ed il braccio. Solo allora ho cominciato<br />
a “sentirla” ed a “vederla” come mia. Ho allora capito<br />
che i movimenti della mano che io provavo a compiere<br />
su vostro ordine ed i movimenti della “cosa” talvolta<br />
erano gli stessi, cioè che la mano si apriva e si<br />
chiudeva perché “io” la comandavo…”.<br />
Questa testimonianza è esemplificativa di come il<br />
paziente possa percepire il proprio arto plegico come<br />
estraneo e come oggetto (“una cosa”).<br />
Soltanto ad un certo momento la rappresentazione<br />
mentale dell’arto è stata convalidata dalla “coincidenza”<br />
tra i movimenti che essa poteva comandare e quelli<br />
che “la cosa” contemporaneamente eseguiva.<br />
Solo a questo punto la paziente ha potuto percepire<br />
ed utilizzare il proprio arto plegico rispetto ad una rappresentazione<br />
storica di esso: è la nuova immagine corporea<br />
che si è ristrutturata su esperienze motorie e percettivo-conoscitive<br />
concrete.<br />
A questo punto ci si potrebbe chiedere quale sia la<br />
localizzazione neurologica dello schema corporeo. In<br />
effetti una localizzazione ben precisa sembra difficile<br />
da definire anche se qualche tentativo è stato fatto (ad<br />
esempio Luria, 1974): lo schema corporeo è il frutto<br />
dell’integrazione di molte funzioni sensoriali, motorie,<br />
emotive, e pertanto coinvolge numerose aree corticali<br />
e implica l’intervento associativo di molteplici centri<br />
c e r e b r a l i .<br />
FATTORI PSICODINAMICI<br />
DELLO <strong>SCHEMA</strong> <strong>CORPOREO</strong><br />
Riguardo gli aspetti psicologici dello schema corporeo<br />
e dell’immagine di sé, una testimonianza della loro<br />
rilevanza ci è data dalla vastità degli studi sull’argomento<br />
che, a partire da Freud, sono arrivati fino ai nostri<br />
giorni.<br />
Klein, Bick, Bion, Winnicot, Mahler, Merleau-<br />
Ponty, Jacobson, Bowlby, Kout, Eissler, Stern, Reich,<br />
Lowen, Piaget, Downing sono solo alcuni degli studiosi,<br />
di formazione e approccio concettuale anche molto<br />
eterogeneo, che possono essere accomunati dall’importanza<br />
data al corpo e alle esperienze corporee nella<br />
strutturazione dello psichismo globale e della coscienza<br />
del Sé. In effetti una piena coscienza del Sé può essere<br />
raggiunta solo con la strutturazione a livello mentale di<br />
uno schema radicato nell’esperienza corporea; questa<br />
struttura mentale rappresenta il garante dell’identità e<br />
dell’integrità della persona: “io sono il mio corpo”,<br />
questo è il messaggio che ci arriva, da Merleau-Ponty a<br />
Lowen. D’altronde anche su questo punto Schilder è<br />
chiaro: “I processi di costruzione dell’immagine corporea<br />
non avvengono soltanto nel campo della percezione,<br />
ma hanno anche i loro paralleli nella costruzione<br />
del campo libidico ed emotivo”.<br />
Una testimonianza del ruolo che giocano gli aspetti<br />
squisitamente psico-emotivi nella strutturazione dello<br />
schema corporeo può arrivare da casi di psicopatologia<br />
come ad esempio l’anoressia mentale.<br />
Come ben precisato nel DSM - IV, tra le caratteristiche<br />
essenziali dell’anoressia vi è la presenza di un’alterazione<br />
dell’immagine corporea per ciò che riguarda<br />
forma e dimensioni corporee.<br />
Nella nostra esperienza clinica con ragazze anoressiche<br />
questa alterazione si è costantemente presentata<br />
ed in modo ben visibile. Emblematico, a proposito, il<br />
test della figura umana, ove l’anoressica raffigura se<br />
stessa in modo abnorme e distorto rispetto alla reale<br />
struttura corporea e alle proprie dimensioni somatiche<br />
(Figg. 1 e 2). Osservando alcuni caratteri comuni alle<br />
due figure riportate come esempi, è possibile fare alcune<br />
considerazioni:<br />
- la modalità con cui sono stati disegnati i piedi testimonia<br />
l’insufficiente rappresentazione mentale dell’e-
11 Attualità in Terapia Manuale e Riabilitazione, Anno 3, numero 4, ottobre-dicembre 2001<br />
Figura 1 - Test della figura umana di una paziente anoressica<br />
di 35 anni che evidenzia un disturbo dell’immagine<br />
corporea. Si notino: testa e spalle sovradimensionate,<br />
collo pressoché inesistente, arti superiori e mani<br />
nascosti o assenti, sproporzione tra parte superiore (in<br />
particolare la testa) e parte inferiore del corpo, appoggio<br />
plantare molto scarso, quasi inesistente. Colpiscono<br />
inoltre la conformazione mascolina del volto (tratteggio<br />
tipo barba, sopracciglia molto pronunciate) nonché del<br />
corpo (assenza di una silohuette femminile, abiti maschili),<br />
e lo sguardo fortemente aggressivo.<br />
stremità distale del corpo. L’appoggio dei piedi, appena<br />
accennato da sembrare quasi inesistente, è indice<br />
di uno scarso contatto con la realtà. “Stare con i<br />
piedi per terra” è un modo di dire che rappresenta<br />
bene questo concetto. Avere i piedi per terra, sul piano<br />
fisico, equivale a livello psicologico ad un buon<br />
radicamento della persona nella realtà: questo processo,<br />
al contempo psicologico e corporeo, in Analisi<br />
Bioenergetica viene chiamato grounding;<br />
- le mani nascoste o assenti evidenziano una rappresentazione<br />
mentale della capacità di contatto scarsa o<br />
Figura 2 - Test della figura umana dell stessa paziente<br />
anoressica, eseguito a distanza di pochi giorni:<br />
da notare la sproporzione della testa rispetto al resto<br />
del corpo, le mani nascoste, lo sguardo fortemente<br />
aggressivo e la bocca socchiusa, l’appoggio plantare<br />
pressoché assente, l’atteggiamento mascolino<br />
sia nell’abbigliamento che nella silohuette corporea<br />
che nel volto.<br />
del tutto mancante. Non è difficile cogliere altresì un<br />
significato di inibizione: non dimentichiamo l’importanza<br />
delle attività manipolative per l’esplorazione e<br />
la conoscenza dell’ambiente nel periodo evolutivo, e<br />
come le braccia e le mani siano uno strumento corporeo<br />
dell’Io per esprimere amore (abbracciare, accarezzare)<br />
e aggressività o rabbia (colpire con i pugni);<br />
- la bocca socchiusa mette bene in evidenza il bisogno<br />
orale frustrato e insoddisfatto e l’ira che ne consegue,<br />
tipico delle pazienti con disturbi del comportamento<br />
alimentare;
Posturologia e schema corporeo 12<br />
- la testa grande, sovradimensionata e sproporzionata<br />
rispetto al resto del corpo, è coerente con la modalità<br />
cerebrale e intellettiva con cui queste ragazze vivono<br />
la propria vita, molto spesso pensata e immaginata<br />
piuttosto che sentita, con tendenza a privilegiare attività<br />
ideative e logico-creative rispetto alla percezione<br />
del sé corporeo.<br />
- La mascolinità, espressa in vario modo nei due disegni,<br />
fa pensare ad uno dei criteri diagnostici dell’anoressia<br />
nel sesso femminile in epoca post-puberale: l’amenorrea,<br />
che in genere segue il calo ponderale. In<br />
età pre-puberale, l’anoressia può condurre ad un ritardo<br />
del menarca. In generale, l’amenorrea e i disturbi<br />
dei cicli mestruali sono la spia di una disfunzione<br />
endocrina tipica dell’anoressia, e sono legati a<br />
livelli patologicamente bassi di estrogeni circolanti<br />
dovuti ad una diminuita secrezione di FSH e LH<br />
ipofisari.<br />
Ruggieri et al. (1994, 1997) hanno approfondito<br />
l’argomento dell’immagine corporea nell’anoressia<br />
mentale. Un’interessante ricerca sperimentale (1997)<br />
ha messo in evidenza come nelle donne anoressiche<br />
l’intensità della percezione cinestesica sia particolarmente<br />
bassa. Tali risultati sono coerenti con la problematica<br />
di queste pazienti che ruota intorno ad un processo<br />
di negazione della propria corporeità e di alterazione<br />
della propria immagine corporea. Secondo i ricercatori,<br />
tutto ciò va inteso come un processo di natura<br />
psicofisiologica che passa attraverso concrete modalità<br />
di inibizione dell’informazione sensoriale, mediante<br />
un meccanismo centrale di inibizione che interviene sia<br />
a modificare alcune forme particolari di sensibilità tattile<br />
che a ridurre il peso dell’informazione cinestesica<br />
nella costruzione dell’immagine corporea.<br />
LA PRESA DI COSCIENZA CORPOREA<br />
Come ci ricordano Gagey e Weber (2000), “il sistema<br />
posturale è un sistema automatico. L’uomo non ne<br />
ha alcuna coscienza; non ne parla”.<br />
Da questa semplice constatazione può avere inizio<br />
una seria riflessione sul senso di offrire al “malato posturale”<br />
la possibilità di prendere coscienza del suo<br />
stato, delle strategie posturali e motorie da lui messe<br />
in atto mediante un lavoro percettivo-motorio di rieducazione<br />
posturale e di rielaborazione dello schema<br />
c o r p o r e o .<br />
Ci risulta difficile comprendere come mai questo<br />
argomento non occupi uno spazio di maggior rilievo<br />
nell’ambito della posturologia, ben sapendo come l’organizzazione<br />
sensoriale sia propriocettiva che esterocettiva<br />
sia fondamentale per l’aggiustamento posturale e<br />
l’orientamento del soggetto nello spazio. Eppure questi<br />
processi sono conosciuti: “Gli individui regolano la posizione<br />
del centro di gravità rispetto al terreno attraverso<br />
l’uso di uno schema posturale corporeo che include<br />
la rappresentazione interna della verticale, della cinematica<br />
corporea e della cinetica corporea. Il principale<br />
substrato a base dell’orientamento corporeo è il cosid-<br />
detto schema posturale corporeo” (Cesarani e Alpini,<br />
2000).<br />
A livello metodologico, riteniamo che un arricchimento<br />
dell’attività senso-percettiva e motoria possa favorire<br />
una buona strutturazione dello schema corporeo<br />
consentendo così un miglior controllo motorio e posturale.<br />
Pertanto, in posturologia la terapia dovrebbe prevedere<br />
non soltanto la correzione delle specifiche interferenze<br />
posturali ma anche un accurato lavoro di percezione<br />
delle modificazioni tonico posturali indotte dalle<br />
stesse.<br />
Sappiamo infatti che la percezione è una funzione<br />
basilare che condiziona tutto l’agire dell’individuo,<br />
ogni suo apprendimento ed ogni sua relazione: se ne<br />
comprende così l’importanza che essa riveste in ambito<br />
educativo, rieducativi, terapeutico.<br />
Infatti il modo con cui un individuo percepisce la<br />
realtà, e quindi anche la propria realtà corporea, è condizionato<br />
non soltanto dalla funzionalità delle strutture<br />
organiche sensoriali, ma anche dall’uso di queste strutture<br />
sensoriali secondo l’esperienza e i fattori psicologici<br />
ed ambientali.<br />
Quindi, accanto a determinanti strutturali (le strutture<br />
nervose ed i recettori sensoriali) vi sono determinanti<br />
psico-emotivi, ambientali, esperienzali e socio-culturali<br />
che, in intima connessione tra loro, determinano<br />
l’attività percettiva del soggetto ed il suo comportamento<br />
ed orientamento nell’ambiente.<br />
L’attività percettiva rappresenta il punto di contatto<br />
dell’individuo con la realtà: il nostro comportamento,<br />
in ogni momento, viene adattato alla realtà così come<br />
essa viene da noi percepita. L’individuo non reagisce<br />
ad una realtà assoluta ed incontrovertibile, ma alla propria<br />
percezione della realtà: il campo percettivo diventa<br />
così per l’individuo la realtà stessa. La realtà corporea<br />
non fa eccezione: l’Io vive e agisce il proprio corpo così<br />
come lo percepisce, con tutte le valenze affettive ed<br />
emotive oltre che sensoriali e motorie.<br />
Riguardo quest’ultime, dobbiamo sempre tenere a<br />
mente, come ci ricorda Schilder, che “non esistono<br />
percezioni senza azioni”: pertanto uno schema corporeo<br />
non può strutturarsi se non attraverso un’adeguata<br />
attività percettivo-motoria, attiva o passiva; d’altronde<br />
non si può recuperare alcuna funzione motoria senza<br />
contemporaneamente recuperare lo schema ad essa<br />
pertinente.<br />
Molte sono le proposte utili in tal senso, che possano<br />
mettere il soggetto in condizioni di sviluppare un<br />
processo gnostico-percettivo significativo, ove necessario<br />
facendo ricorso a facilitazioni adeguate: esercizi di<br />
rieducazione respiratoria, di mobilizzazione segmentaria<br />
sia attiva che passiva, di lateralizzazione, di equilibrio,<br />
di coordinazione senso-motoria, di strutturazione<br />
spazio-temporale, oltre agli esercizi di rieducazione posturale<br />
(cfr. ad esempio Picq e Vayer, 1968; Le Boulch,<br />
1979; Loudes, 1980). Oltre al movimento, è necessario<br />
tenere a mente l’importanza del “non movimento”:<br />
il rilassamento.<br />
Insieme alle tecniche di rilassamento propriamente<br />
dette quali il Training Autogeno (Scoppa, 1990) il Ri-
13 Attualità in Terapia Manuale e Riabilitazione, Anno 3, numero 4, ottobre-dicembre 2001<br />
lassamento Progressivo di Jacobson, le tecniche respiratorie,<br />
… vogliamo sottolineare l’utilità di quelle proposte<br />
terapeutiche che in generale favoriscono una riduzione<br />
dello stato di tensione muscolare cronica liberando<br />
il corpo dalle contratture parassite e disfunzionali.<br />
Emblematica, a tal uopo, l’efficacia delle tecniche di<br />
Analisi Bioenergetica (Traetta, 1998; Scoppa e Borrello,<br />
1998), che ben si prestano ad essere integrate con<br />
metodiche più strettamente fisiokinesiterapiche e biomeccaniche<br />
per un approccio realmente olistico (Scoppa,<br />
1996, 1999a, 1999b, 1999c).<br />
Il fondamento di tali proposte terapeutiche, tese a<br />
ridurre lo stato di tensione cronica nel corpo, risiede<br />
nel fatto che la capacità di presa di coscienza corporea<br />
e di elaborazione dello schema corporeo sono seriamente<br />
ostacolate dallo stato muscolo-tensivo e di tensione<br />
emotiva. Questa evidenza clinica trova anche<br />
delle conferme sperimentali (Ruggieri et al., 1983), che<br />
hanno documentato a questo proposito come il grado<br />
di autopercezione corporea sia inversamente proporzionale<br />
al livello di tensione miografica. La strutturazione<br />
dello schema corporeo posturale e le attività senso-percettive<br />
e motorie sono intimamente correlate tra<br />
loro: basti ricordare che il canale privilegiato attraverso<br />
il quale viene modificata ed influenzata la funzione motoria<br />
è costituito dalle informazioni senso-percettive,<br />
cioè dalle informazioni proprio ed esterocettive, mediante<br />
i recettori cinestesici, tattili, labirintici, visivi,<br />
acustici. La sensibilità proprio ed esterocettiva, basata<br />
sulle informazioni dei recettori periferici convogliate<br />
nei centri nervosi superiori tramite le vie spinali, permette<br />
di realizzare una sorta di “coscienza soggettiva”<br />
della posizione spaziale dell’apparato locomotore e delle<br />
sue modalità di funzionamento, e rappresenta la base<br />
della strutturazione dello schema corporeo e della<br />
programmazione neuropsicomotoria.<br />
Quello che poi si può effettivamente educare non è<br />
la sensazione ma la percezione. Le informazioni sensoriali<br />
provengono dagli organi di senso periferici, intesi<br />
come strutture anatomo-funzionali che contengono recettori<br />
specifici per quella particolare modalità sensoriale.<br />
Tali informazioni sensoriali che forniscono gli input<br />
fondamentali per il sistema posturale sono combinate<br />
in molteplici guise e con esiti diversi. Esse possono<br />
provenire da sistemi sensoriali diversi (interazione<br />
intersensoriale) o da differenti recettori o da differenti<br />
sistemi di rilevamento all’interno di un sistema sensoriale<br />
(interazione intrasensoriale). Da non dimenticare<br />
l’importanza degli input sensoriali di ritorno che accompagnano<br />
l’attività motoria e che consentono un<br />
controllo retroattivo (reafferentazione).<br />
Ciò che più propriamente può essere educato è la<br />
ricezione e l’elaborazione di queste informazioni sensoriali<br />
a livello psichico: “solo un’educazione delle percezioni<br />
può condurre i centri superiori corticali ad esercitare<br />
un’influenza correttrice sui collegamenti sensitivomotori<br />
automatici dei centri inferiori” (Lapierre, 1975).<br />
L’educazione percettiva si basa essenzialmente su di<br />
un lavoro di presa di coscienza delle afferenze degli stimoli<br />
sensoriali. Per presa di coscienza di una nostra at-<br />
tività motoria possiamo intendere ciò che noi proviamo<br />
mentre è in funzione il sistema neuro-motorio responsabile<br />
di quella specifica attività; quindi la presa di<br />
coscienza implica semplicemente “…l’esercizio di una<br />
forma di attenzione incentrata sul proprio corpo e sulle<br />
sue modalità di funzionamento” (Le Boulch, 1975). In<br />
altre parole il soggetto seleziona i messaggi sensoriali,<br />
concentrando la propria attenzione sulle informazioni<br />
utili provenienti dal proprio corpo, dai propri movimenti,<br />
dall’ambiente, favorendo l’accesso alle informazioni<br />
specifiche desiderate ed attenuando od escludendo<br />
le informazioni sensoriali disturbanti o interferenti<br />
col processo percettivo in atto.<br />
La funzione percettiva diventa così un processo attivo<br />
e selettivo, in cui il soggetto, intenzionato ed orientato<br />
a percepire determinati stimoli sensoriali, modifica<br />
positivamente la soglia di percezione grazie a condizioni<br />
attentive, emotive, ambientali, nonché a condizioni<br />
legate all’apprendimento e all’esperienza.<br />
Spesso un cattivo controllo del proprio corpo può<br />
essere dovuto ad un deficitario sviluppo delle funzioni<br />
gnostico-percettive, a carenza di esperienze corporee<br />
significative vissute, ad una condizione di tensione<br />
psico-emotiva.<br />
Proporre esperienze corporee significative, immergere<br />
il soggetto in un “bagno senso-percettivo”, offrire<br />
l’opportunità di prendere coscienza delle proprie tensioni<br />
muscolari croniche in un’ottica bioenergetica: tutto<br />
ciò può aiutare il paziente ad essere maggiormente<br />
padrone del proprio corpo, e rendere il lavoro terapeutico<br />
in posturologia più attivo e cosciente e quindi più<br />
a misura d’uomo.<br />
Questo è il senso di una simile proposta, tesa ad integrare<br />
lo specifico lavoro sull’alterazione morfologica<br />
e gli input posturali, proprio della posturologia, con un<br />
attento processo senso-percettivo-motorio di analisi ed<br />
elaborazione delle modificazioni delle strategie posturali<br />
messe in atto dal soggetto.<br />
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