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21<br />

“<br />

Noi sappiamo che il nostro comandante<br />

Chavez è salito fino a quelle altezze, che<br />

ormai è faccia a faccia con Cristo.<br />

Una qualche influenza ha avuto perché si<br />

scegliesse un Papa sudamericano, una nuova<br />

mano si è mossa e Cristo gli ha detto: “È arrivata<br />

l’ora dell’America del Sud”<br />

RIUNIONE<br />

DI FAMIGLIA<br />

a pagina 4<br />

Nicolas Maduro,<br />

presidente ad interim del Venezuela<br />

14 marzo 2013<br />

Giani<br />

in ottava<br />

rima<br />

SUlle<br />

orme<br />

di LIncoln<br />

Q<br />

uesta settimana<br />

il menù è<br />

DA NON SALTARE<br />

Il dubbio<br />

degli ebrei<br />

ICON<br />

L’opera<br />

in verde<br />

Campanini a pagina 2<br />

ICON<br />

La coerenza<br />

di Ligabue<br />

LUCE CATTURATA<br />

Que viva<br />

Mexico!<br />

Rosi a pagina 5<br />

Vanni a pagina 6<br />

Gailli a pagina 9


CU .com<br />

O<br />

di Saverio Campanini<br />

saverio.campanini@irht.cnrs.fr<br />

Saverio Campanini, docente<br />

della École Pratique des Hautes<br />

Études di Parigi, ha tenuto la<br />

conferenza che di seguito pubblichiamo<br />

su Il dubbio nell’Ebraismo,<br />

nell’ambito del ciclo di incontri organizzati<br />

dall’Istituto Stensen di Firenze<br />

“Dubito ergo sum. L’esperienza e l’intelligenza<br />

del dubbio”, il giorno 16 febbraio<br />

2013.<br />

La questione del dubbio nell’Ebraismo<br />

è certo troppo ampia per poter<br />

essere affrontata seriamente qui, se<br />

non con una buona dose di incoscienza,<br />

con qualche perplessità, insomma<br />

con<br />

qualche dubbio.<br />

Non farò quindi<br />

altro che affrontare<br />

il tema in termini<br />

soggettivi, da studioso<br />

dell’ebraismo<br />

curioso di tutte le<br />

sue sfaccettature. E’<br />

buona cosa cercare<br />

di partire dal linguaggio,<br />

dalla filologia:<br />

in ebraico,<br />

tanto moderno<br />

quanto medievale,<br />

dubbio si dice<br />

safeq. Il termine<br />

però non è attestato<br />

nella Bibbia.<br />

Esiste per la verità la radice safaq,<br />

che significa “battere le mani”, un<br />

gesto di sconcerto, di lutto. Teniamo<br />

a mente che le mani quando si battono<br />

sono due: ci torneremo sopra.<br />

Esiste una variante grafica di un<br />

hapax legomenon, cioè di un termine<br />

che appare una volta sola nella<br />

Bibbia, in particolare nel libro di<br />

Giobbe, ma in quel caso significa<br />

“abbondanza”, “ricchezza”, un altro<br />

termine che ci può essere utile. Oltre<br />

alle due mani che battono, c’è questo<br />

elemento di sovrabbondanza, di eccesso<br />

che abita qualunque possibile<br />

idea di dubbio se cerchiamo di vederlo<br />

in ambito ebraico. Da quella<br />

che si potrebbe chiamare la più presente<br />

eredità ebraica, vivente il suo<br />

testatore, Baruk Hashem, penetra<br />

maggiormente il linguaggio comune<br />

la parola amen che sembra essere<br />

proprio l’opposto del dubbio perché<br />

essa indica la certezza, la verità salda,<br />

stabile, immutabile. Se dobbiamo<br />

dire però dubbio in ebraico, non ricorreremo<br />

tanto al termine moderno<br />

safeq (che però viene più<br />

spesso utilizzata nella locuzione en<br />

safeq, non c’è dubbio, quindi per negarlo),<br />

ad esempio nella letteratura<br />

rabbinica, ci soccorrerà un termine<br />

come qashiya, che viene dalla radice<br />

qashe, che significa duro, difficile, e<br />

indica dunque difficoltà, elemento inspiegabile<br />

nella dottrina. Ad esempio,<br />

nella Torah, quando due dottrine<br />

paiono contraddirsi il linguaggio<br />

rabbinico e quindi l’interpretazione<br />

di questa contraddizione che si cerca<br />

di sanare, il termine è qashiya, diffi-<br />

Il<br />

DA NON SALTARE<br />

Dubbio<br />

del<br />

popolo<br />

eletto<br />

René Magritte, Ceci n’est pas une pipe, 1926<br />

n<br />

sabato 16 marzo 2013<br />

o<br />

21 PAG.2<br />

coltà, problema. O anche, sempre rimanendo<br />

all’interno della letteratura<br />

rabbinica, un altro termine che può<br />

esprimere alcune delle dimensioni<br />

presenti nel dubbio, è machloqet, che<br />

deriva da chalaq che significa spezzare,<br />

spartire, dividere : machloqet significa<br />

dunque divisione, contrasto,<br />

conflitto, punto insanabile di contraddizione<br />

ad esempio fra due scuole<br />

rabbiniche; dunque, il dissidio più<br />

che il dubbio. Non posso esimermi<br />

dal precisare che la parola dubbio in<br />

italiano deriva dalla parola due.<br />

Molto più evidentemente in tedesco<br />

Zweifel, che deriva dal numerale zwei<br />

e collegata alla parola Zweig, ramo,<br />

appunto biforcazione, che impone<br />

una scelta e, di nuovo, due, bis. L’esitazione<br />

tra due corni che per definizione<br />

devono essere incompatibili.<br />

E come, allora, collegare l’idea di<br />

dualità che c’è dentro la dimensione<br />

del dubbio con l’Ebraismo che, soggettivamente<br />

e oggettivamente, si fa<br />

forte nella sua radice di una e una<br />

sola idea, l’idea monoteista? E, dunque,<br />

l’idea che l’unità sia l’intima e<br />

più profonda radice della Verità; che<br />

ci sia una Verità, che ci sia un Dio, e<br />

che il nostro Dio, Elohenu, sia Uno,<br />

come recita l’Ebreo pio ripetutamente<br />

durante il giorno e soprattutto<br />

nel momento dell’andare a dormire:<br />

lo Shema’, la preghiera fondamentale<br />

dell’Ebraismo, recita e si conclude<br />

sulla parola Uno. Dunque non c’è<br />

spazio per il dubbio. Il Due non può<br />

che assumere allora la casella del<br />

Male, della negatività, del dissidio,<br />

della difficoltà e, dunque, dell’essere<br />

fuori dall’Ebraismo. E in effetti, se<br />

consideriamo il Talmud, la grande<br />

raccolta di discussioni giuridiche che<br />

si è cristallizzata verso il VI secolo<br />

dopo Cristo, quindi in epoca alto<br />

medievale o tardo antica (anche se<br />

queste categorie non hanno molto significato<br />

in ambito orientale dove<br />

sorge il Talmud), il dualismo è identificato<br />

con la dottrina mazdeista,<br />

dunque persiana, che vede due principi<br />

il bene il male, l’Ahura Mazdā e<br />

l’Ahriman: il dualismo è considerata<br />

una pericolosa eresia, che deve essere<br />

sradicata con ogni mezzo. In effetti<br />

questo pericolo è stato corso fino alle<br />

estreme conseguenze da grandi Rabbini,<br />

di cui il Talmud ci parla. Un pericolo<br />

che non riguarda gli uomini<br />

semplici che possono essere tratti in<br />

inganno dal fascino della dottrina<br />

dualistica, bensì i grandi Rabbini,<br />

come uno dei più grandi di tutti, Elisha<br />

ben Abuyah, che il Talmud<br />

chiama eufemisticamente Acher, l’Altro<br />

(di nuovo il due, noi e l’altro). Elisha<br />

ben Abuyah ha violato la legge<br />

andando a cavallo di Sabato e inoltre<br />

ha dichiarato che ci sono in cielo due<br />

Autorità: questo è il peccato più<br />

grave di tutti, dire che ci sono due<br />

Poteri, due Dei. Alcuni, per esempio<br />

Peter Schäfer nel suo libro su Gesù,<br />

associano una dichiarazione del genere<br />

ad un possibile Cristianesimo<br />

camuffato, per cui non c’è solo Dio<br />

ma c’è anche Cristo, allora sono due.


CU .com<br />

O<br />

Ma effettivamente si direbbe piuttosto<br />

che l’Altro stia parlando del dualismo<br />

mazdeista. A tal punto che,<br />

racconta il Talmud, l’angelo Metatron,<br />

l’unico che ha il diritto di stare<br />

seduto al cospetto di Dio perché è lo<br />

scriba e dunque per la sua funzione<br />

non può stare in piedi ma ha il diritto<br />

di sedersi, viene frustato con il fuoco<br />

da parte degli altri angeli perché<br />

quando Elisha ben Abuyah ha contemplato<br />

la Corte divina, lo ha visto<br />

seduto davanti a Dio anche lui seduto,<br />

ne ha dedotto che allora esistessero<br />

effettivamente due Poteri.<br />

Metatron viene frustato benché non<br />

abbia colpa, ma perché ha indotto in<br />

errore il rabbino, l’ha indotto a pensare<br />

che ci sono due Autorità:<br />

avrebbe dovuto invece alzarsi per<br />

non ingannarlo. Sembra di poter affermare<br />

che c’è una radicale incompatibilità<br />

fra dubbio ed Ebraismo. E<br />

qui restiamo sorpresi perché siamo<br />

abituati quasi ad identificare il dubbio<br />

con l’Ebraismo. Dal punto di<br />

vista non ebraico, il dubbio è una<br />

delle accuse contro gli ebrei, in<br />

quanto fattore corrosivo della società<br />

poiché introduce il dubbio. In effetti,<br />

se pensiamo che il monoteismo è incompatibile<br />

con il dubbio, allora<br />

colui che dubita dovrebbe porsi fuori<br />

dall’Ebraismo. In realtà le cose non<br />

sono così semplici. Introduco almeno<br />

due possibili articolazioni del<br />

dubbio (come vedete parlando del<br />

dubbio si finisce per forza di cose ad<br />

avere a che fare con realtà duali): c’è<br />

il dubbio che concerne la fede che,<br />

secondo Martin Buber, per l’Ebraismo<br />

è diversa dalla pistis o interiorità<br />

credente del Cristianesimo, è invece<br />

emunah, la stessa radice di amen che<br />

significa fedeltà. Quindi il dubbio sarebbe<br />

semmai un problema, un’esitazione<br />

nella pratica dell’Ebraismo. Ma<br />

c’è certamente anche il dubbio che riguarda<br />

la possibilità stessa della conoscenza,<br />

in altre parole lo<br />

scetticismo, speso attribuito all’Ebraismo.<br />

In realtà si tratta di un’accusa<br />

molto recente. Riferisco una<br />

barzelletta famosa in ambito<br />

ebraico: quella del padre di famiglia<br />

ebreo che è fiero di mandare il proprio<br />

figlio in una delle più prestigiose<br />

e costose scuole di New York,<br />

una scuola cattolica. Il bambino<br />

torna da scuola e dice “ma cosa è la<br />

Trinità?” e lui risponde “Macché Trinità:<br />

esiste solo un Dio, e noi non ci<br />

crediamo”. Questo però è un modo<br />

di vedere gli ebrei che non corrisponde<br />

all’evidenza documentaria<br />

dell’Ebraismo antico o medievale.<br />

Che gli ebrei dal punto di vista Cristiano<br />

siano miscredenti, non ci<br />

sono dubbi. Ma che l’altro che non<br />

crede in ciò in cui credo io, non ne<br />

fa ancora un miscredente; è un miscredente<br />

in ciò in cui credo io e tuttavia<br />

l’ebreo continua a credere in<br />

ciò che per lui è vero. E non ci dicono<br />

molto sull’Ebraismo, quelli<br />

chiamati da una certa apologetica<br />

cristiana i Maestri del Dubbio,<br />

spesso elencati in una filiera che<br />

DA NON SALTARE<br />

Prima parte della conferenza<br />

di Saverio Campanini<br />

all’Istituto Stensen di Firenze<br />

nell'ambito del ciclo di incontri<br />

“Dubito ergo sum”<br />

Henrietta Rae, Dubbi, 1886<br />

n<br />

sabato 16 marzo 2013<br />

o<br />

21 PAG.3<br />

parte da Spinoza e passa per Marx,<br />

Freud, Einstein: ecco di questi 4 di<br />

ebrei veri ce n’è semmai uno, cioè<br />

Einstein e con qualche dubbio. Spinoza<br />

infatti era battezzato, un cristiano<br />

marrano; Marx era stato<br />

battezzato da fanciullo, era evangelico;<br />

Freud si dichiara sì ebreo, ma<br />

“senza Dio”. L’identificazione di dubbio<br />

ed Ebraismo è non soltanto un<br />

fenomeno esterno cioè di chi guarda<br />

l’Ebraismo dal di fuori, ma è un fenomeno<br />

che interessa l’ebraismo a<br />

partire dall’emancipazione e quindi<br />

dalla fine del Settecento. Perché<br />

l’emancipazione mette in gioco<br />

l’identità degli ebrei. Ora tornando<br />

un momento al Medioevo la questione<br />

del dubbio, se<br />

di fede o di conoscenza<br />

cioè se sia<br />

possibile la conoscenza,<br />

si articola in<br />

una maniera sorprendente<br />

per la sua<br />

modernità, perché<br />

ad esempio il libro<br />

di Maimonide, “la<br />

Guida dei perplessi”,<br />

la guida di coloro<br />

che dubitano, non è<br />

una esortazione a<br />

non dubitare della verità<br />

del giudaismo, piuttosto<br />

la rappresentazione all’esterno di<br />

un’altra forma di dogmatismo, quella<br />

della ragione. Maimonide ci presenta<br />

il suo perplesso ideale come<br />

colui che ha accettato la ragione<br />

come guida di verità. La ragione secondo<br />

la dottrina aristotelica ci dice<br />

che Dio non può avere un corpo, e<br />

allora perché la Bibbia ci dice che<br />

Dio agisce, auspica, spera, si pente,<br />

desidera, che Dio più semplicemente<br />

parla? Per parlare occorre<br />

avere un corpo. Quindi la messa in<br />

dubbio del giudaismo a partire dal<br />

dogma della ragione. Anche qui abbiamo<br />

un contrasto: crediamo nella<br />

ragione o nella Bibbia? Maimonide<br />

cerca di conciliare, di dimostrare che<br />

non ci sono due verità.<br />

Sorprende la modernità di Maimonide<br />

perché anche noi siamo spesso<br />

confrontati con una ragione che si fa<br />

dottrina inviolabile. E tuttavia che<br />

cosa c’è di ebraico nel dubbio che la<br />

ragione induce nella fede? Niente,<br />

questo dubbio poteva venire anche<br />

ad un cristiano: se la ragione ci dice<br />

di non uccidere, perché non dovremmo<br />

farlo perché ce lo dice Dio?<br />

In effetti la filosofia per sua natura è<br />

universalista; aspira a verità universale.<br />

Viceversa l’ebraismo propugna<br />

e pratica una miscela di vocazione<br />

universalistica (il Dio unico, di tutti)<br />

combinato con un radicamento particolaristico.<br />

Chi c’era davanti al<br />

Sinai? Non tutti. Seicentomila persone,<br />

ma quelli, solo quelli possono<br />

testimoniare la rivelazione per averla<br />

vista. Questo popolo, questo figlio<br />

(nel caso della scelta fra Giacobbe ed<br />

Esaù), questa terra (non altra, la Palestina).<br />

Fine prima parte - continua


CU .com<br />

O<br />

LE SORELLE MARX<br />

Giani<br />

in ottava<br />

rima<br />

Mentre si fa la calza, al canto del fuoco,<br />

una delle nostre sorelle ci canta sempre<br />

di poesia vi mandiamo un estratto delle<br />

sue ottave in endecasillabili liberi sul<br />

pluriamministratore Giani:<br />

L’Immarcescibile Eugenio<br />

Posti e poltrone meglio degli amori<br />

con cortesia e senz’audacia io canto<br />

del tempo politicante degli ardori<br />

che alla nostra città nocquero tanto,<br />

anni gl’eran di giovanil furori<br />

ognun di lor menava grande vanto<br />

il sopravvissuto a quei giorni sano<br />

dei cancellier restato è gran decano.<br />

In mille parti si disfa il Gian-presente<br />

per non perder cene o gare di pallone<br />

mai si dirà di lui che è stato assente,<br />

va dappertutto e suona il suo trombone.<br />

Anziano del Comune e mai perdente<br />

d’ogni partito è stato gran campione<br />

sorride sempre e a tutti da la mano<br />

a modo suo è un piccolo sovrano.<br />

Mai non perde una mostra di pittura<br />

gran premiator d’ogni sportiva gara<br />

politico median con pelle dura<br />

ad ogni discorso fategli la tara,<br />

parla di tutto con la voce pura<br />

ma ad ascoltarlo però poco s’impara.<br />

Non molla mai il Consiglio Comunale<br />

e in quello Regional non ci sta male.<br />

Registrazione del Tribunale di Firenze<br />

n. 5894 del 2/10/2012<br />

direttore<br />

simone siliani<br />

redazione<br />

sara chiarello<br />

aldo frangioni<br />

rosaclelia ganzerli<br />

michele morrocchi<br />

progetto grafico<br />

emiliano bacci<br />

editore<br />

Nem Nuovi Eventi Musicali<br />

Viale dei Mille 131, 50131 Firenze<br />

contatti<br />

www.culturacommestibile.com<br />

redazione@culturacommestibile.com<br />

culturacommestibile@gmail.com<br />

www.facebook.com/<br />

“<br />

cultura.commestibile<br />

la cultura“Con<br />

non si mangia<br />

Giulio Tremonti<br />

RIUNIONE DI FAMIGLIA<br />

Il nonno partigiano<br />

Fateci caso, se siete frequentatori di<br />

qualche movimento politico o sociale<br />

di sinistra non passerà riunione<br />

o intervista in cui qualche<br />

giovane (o pretendente tale) per<br />

presentarsi e sdoganarsi, non affermerà<br />

di avere avuto un nonno partigiano<br />

in famiglia.<br />

Esemplari in questo senso le interviste<br />

e gli status sui socialnetwork di<br />

molti neodeputati PD e SEL all’avvio<br />

di questa legislatura: tutti felici<br />

per l’incarico, tutti a ringraziare<br />

amici e parenti (pochissimi gli elettori,<br />

vista anche la legge elettorale)<br />

e con un pensiero speciale per il<br />

nonno partigiano quasi sempre defunto<br />

che quindi, li guarda da lassù.<br />

Ora, a sommare tutti questi nonni<br />

combattenti per la Libertà, vien da<br />

chiedersi come sia potuto mai avvenire<br />

il fascismo in Italia e come,<br />

visto che le brigate partigiane più<br />

numerose erano quelle socialiste e<br />

comuniste, l’Italia sia stata gover-<br />

nata per quarant’anni dalla DC.<br />

Tuttavia a voler dare credito a<br />

quelle affermazioni o anche solo a<br />

osservare il bisogno di doversi accreditare<br />

tramite un esperienza resistenziale<br />

(perdipiù indirettamente<br />

vissuta), di tutti questi militanti un<br />

problema politico serio a pensarci<br />

bene, almeno per quelli del PD,<br />

sorge. Dato che, come notato prima,<br />

la maggior parte dei partigiani<br />

erano di sinistra se oggi il PD elegge<br />

o promuove quasi solo nipotini di<br />

gente di sinistra l’incontro coi moderati,<br />

per il quale quel partito è nato,<br />

dove è andato a finire?<br />

n<br />

sabato 16 marzo 2013<br />

o<br />

21 PAG.4<br />

LO ZIO DI TROTSKY I CUGINI ENGELS<br />

“Io sono come Fëdor Dostoevskij”. L’incipit di Carta Canta di Antonio De Petris, appare<br />

il più idiota che si possa immaginare: l’istinto sarebbe buttar via il volume, ma recensire<br />

“oblige” e andiamo avanti. Il povero De Petris ci vuole con esso solo far sapere che, come<br />

Dostoevskij quando scrisse “Il giocatore” , anch’egli è stato costretto a pubblicare questo<br />

libro per pagare debiti. Storia vera di un disgraziato che fra gratta e vinci e slot machine<br />

non passa al Casinò ma direttamente al casino, come recita il sottotitolo. La tristissima<br />

vicenda non è ambientata nella termale Roulettenburg come il racconto dostoevskiano,<br />

ma in una squallida sala giochi di periferia, sudicia e piena di pensionati avvinazzati, ragazzotti<br />

perdigiorno che fregano i soldi alla mamma e tossici di tutte le età. E pensare che<br />

lo scrittore era entrato per indagare il fenomeno, per documentarsi, ah dimenticavo! De<br />

Petris è un giornalista e doveva scrivere, per un quotidiano di provincia, un articolo sulla<br />

ludodipendenza. Identificatosi troppo nel suo compito diventa in un batter d’occhio un<br />

giocatore invasato al pari dei disperati che lo circondano e sperpera colà un patrimonio.<br />

Chiude la sua opera dicendo: “Ho scritto questo racconto per racimolare qualche soldo,<br />

altrimenti mi suiciderò”. Ci siamo sentiti in dovere non solo di fare la recensione, ma anche<br />

di unirci alla catena di solidarietà in atto per salvarlo. Chi ci legge può inviare una libera<br />

offerta ad Aldo Frangioni e Paolo della Bella, Casella postale 333 di Firenze, poi penseremo<br />

noi ad inoltrare il ricavato al malcapitato scrittore: ci potete scommetere.<br />

Sulle orme<br />

di Lincoln<br />

Daniel Day-Lewis ha, giustamente,<br />

vinto il premio<br />

Oscar come miglior attore protagonista<br />

per la sua interpretazione<br />

del grande<br />

presidente Repubblicano<br />

nel film<br />

Lincoln di Steven<br />

Spielberg. Oltre<br />

alla statuetta di Hollywood,<br />

l’attore ha portato a casa il<br />

Golden Globe, il Premio BAFTA, lo<br />

Screen Actors Guild Awards, il Critics’<br />

Choice Movie Award, il Washington<br />

DC Area Film Critics Association, il<br />

San Diego Film Critics Society, il Boston<br />

Society of Film Critics, il New York<br />

Film Critics Online e praticamente ogni<br />

altro premio cinematografico dalla Est<br />

alla West Coast. Ora, noi vorremmo<br />

sollevare il nostro grido di protesta per<br />

questa palese ingiustizia. E ci spieghiamo.<br />

Se avete visto il film avrete notato<br />

che tutta la vicenda ci concentra<br />

intorno alle manovre, non tutte per la<br />

verità cristalline, che il buon Abramo si<br />

è inventato per conquistare il voto dei<br />

membri del Congresso USA, soprattutto<br />

gli “schiavisti” (all’epoca) democratici),<br />

nel gennaio 1865 a favore del<br />

XIII emendamento alla Costituzione<br />

degli Stati Uniti d’America. Non è ben<br />

chiaro se siano corsi soldi, ma certamente<br />

favori, minacce, promesse di<br />

seggi per convincere i recalcitranti senatori<br />

democratici a votare quell’aulico e<br />

coraggioso emendamento che inizia<br />

così: “La schiavitù o altra forma di costrizione<br />

personale non potranno essere<br />

ammesse negli Stati Uniti...”. Una nobile<br />

e storica iniziativa che nasce, però,<br />

nel sangue della guerra civile e nel lavacro<br />

della corruzione. Per questa storia<br />

non proprio edificante sotto il profilo<br />

dell’etica pubblica, raccontata in modo<br />

realistico da Spielberg, il nostro Daniel<br />

si è preso uno scatafascio di premi. Ecco<br />

il motivo della nostra protesta: perché<br />

mai, allora, il nostro Sergio De Gregorio,<br />

anche lui senatore (ma del Popolo<br />

della Libertà) che ha ammesso di aver<br />

ricevuto due milioni di euro in nero per<br />

far cadere il governo Prodi, non è stato<br />

neppur proposto per la nomination al<br />

Napoli Film Festival o al Festival del<br />

Cinema amatoriale di Posillipo sua<br />

terra d’origine? Non ci sembra giusto. Si<br />

dirà che c’è una differenza culturale fra<br />

le due opere d’ingegno (il XIII emendamento<br />

e la caduta del Governo Prodi).<br />

Forse, ma non certamente diverge la<br />

statura culturale dei due protagonisti,<br />

Lincoln e De Gregorio. Infatti, quest’ultimo<br />

è autore di libri fondamentali per<br />

la cultura mondiale. Citiamo soltanto<br />

due di queste opere per indicare l’eclettismo<br />

e l’enciclopedismo del Nostro: Tortora:<br />

morire d’ingiustizia (Napoli, Ed.<br />

De Dominicis, 1988) e Diete dimagranti,<br />

diete ingrassanti (Imola, Ed.<br />

Sarva, 1993).


CU .com<br />

O<br />

di Angela Rosi<br />

angelarosi18@gmail.com<br />

au vert di Giovanni De<br />

Gara alla Galleria La Corte è il<br />

paradiso, in lingua persiana<br />

L’Oeuvre<br />

giardino perché queste tele richiamano<br />

il verde e le decorazioni dell’Islam.<br />

Le opere di De Gara sono aiuole<br />

composte a formare giardini che ricordano<br />

anche il Giappone, i ricami sul kimono,<br />

i dipinti sui paraventi, le stampe,<br />

la leggerezza della carta di riso, gli ombrellini<br />

parasole. Giovanni lavora col<br />

verde, unione di blu e giallo, dipinge la<br />

speranza, la natura, l'autoaffermazione,<br />

ma anche la rabbia, l'invidia, la mancanza.<br />

I precedenti campi da calcio da lui<br />

pitturati sono stati nascosti da fiori ed<br />

erba annunciatori di primavera e rinascita,<br />

una dichiarazione di serenità con<br />

l’approdo a un bel giardino, dove tutto<br />

diventa facile persino bello, dove la vita<br />

scorre e noi ci lasciamo trasportare, dove<br />

tutto è fluido e segue un suo percorso,<br />

dove la vita stessa è danza. La Primavera<br />

di Botticelli, trionfo della natura e della<br />

bellezza, affiora. La natura è in galleria,<br />

respiriamo il profumo e la freschezza primaverile,<br />

sentiamo la voglia di rinascere<br />

e ricominciare, verdi, in erba, giovani<br />

anche se non lo siamo più. Il verde è respiro<br />

e noi lo inspiriamo a pieni polmoni,<br />

l'aria verde entra e ci allarga ci<br />

rende capienti e disponibili a essere diversi,<br />

più leggeri, più spontanei com’è la<br />

natura. Il nostro verde risvegliato si allarga<br />

e invade territori che poco prima<br />

erano “contaminati” rendendoli di<br />

nuovo vergini, restituendoli alla natura e<br />

alla vita, il verde li purifica per una nuova<br />

nascita. Come fosse un ciclo delle messi,<br />

c’è stata l’aratura, la semina e ora nascono<br />

i primi teneri germogli, De Gara ci porta<br />

dentro la ciclicità delle stagioni, dentro<br />

la sua primavera e di conseguenza nella<br />

nostra. Nella sua pittura la complessità<br />

della vita, del mondo, l'oriente e l'occidente,<br />

egli ci insemina facendoci riflettere<br />

sugli Ufo che ci mandano messaggi<br />

con i cerchi di grano ai quali noi rispondiamo<br />

con i nostri cerchi dei campi da<br />

calcio perché la terra vista dallo spazio è<br />

dominata da campi da calcio. Che cosa<br />

diciamo con i nostri cerchi agli Ufo? Essi<br />

cosa capiscono? Che dialogo ci può essere<br />

fra cerchi di diversa natura? In alcuni<br />

suoi quadri l'occidente si estingue e le<br />

geishe appaiono come bellissimi fiori di<br />

papavero in mezzo a bidoni BP per cercare<br />

quello che oramai non c'è più, gioco<br />

di parole tra il papa nero che segnerà la<br />

fine del mondo e BP società britannica<br />

del petrolio ma anche Black Pope. De<br />

Gara ci invita a cercare e trovare il nostro<br />

paradiso/giardino interiore e viverlo indipendentemente<br />

da ciò che accade<br />

nella realtà perché ciò ci porta a fluire<br />

con la vita, a divenire di volta in volta, ci<br />

porta verso la pace interiore che spesso<br />

cerchiamo all’esterno anche attraverso il<br />

consumismo. L’Oeuvre au vert di Giovanni<br />

De Gara ci porta un appagamento<br />

profondo senza il continuo bisogno di<br />

riempire un vuoto, ci porta verso la pienezza<br />

della nostra vita e all’abbandono<br />

delle sovrastrutture per la nostra vera natura.<br />

ICON<br />

n<br />

sabato 16 marzo 2013<br />

o<br />

21 PAG.5<br />

L’opera in verde<br />

Il paradiso<br />

di Giovanni De Gara<br />

alla Galleria La Corte<br />

a Firenze


CU .com<br />

O<br />

di Maurizio Vanni*<br />

Ligabue nasce nel 1889 a Zurigo da<br />

Elisabetta Costa, operaia emigrata<br />

in Svizzera e da padre ignoto.<br />

Dopo due anni Bonfiglio Laccabue,<br />

sposando la Costa, legittima il figlio<br />

dandogli il proprio cognome. Dopo<br />

poco tempo, il piccolo Antonio sarà<br />

dato in affidamento a una coppia di coniugi<br />

svizzero-tedeschi che desideravano<br />

tanto avere un bambino. Di<br />

carattere complicato ed esagitato, fin da<br />

piccolo Ligabue deve convivere con una<br />

corporatura affetta da rachitismo, due<br />

grandi orecchie a sventola e un gozzo<br />

talmente pronunciato che gli creerà, nel<br />

corso della vita, non pochi problemi fisiologici<br />

e psicologici. A scuola, pur eccellendo<br />

nel disegno, fatica ad<br />

assecondare la disciplina degli insegnanti,<br />

non tiene un comportamento<br />

adeguato, non sopporta gli scherzi e le<br />

prese di giro dei compagni e odia sentir<br />

tossire. Allo studio, preferisce girovagare<br />

per le campagne, da solo o in compagnia<br />

di cani randagi o altri animali.<br />

[…] Nel 1919 l’arrivo a Gualtieri ha un<br />

impatto drammatico e triste. Non conosce<br />

la lingua, non riesce ad adattarsi alla<br />

nuova realtà, vive tra vecchi malati ed<br />

alienati mentali: cerca invano di ritornare<br />

in Svizzera. Una situazione che lo<br />

porterà ad isolarsi sempre di più, ad allontanarsi<br />

dalla “civiltà”, ad acuire alcune<br />

fobie e manie. Continua a reagire in<br />

modo esagitato ai colpi di tosse e alla<br />

voce alta delle persone. Atteggiamenti<br />

che lo rendono bersaglio fin troppo facile<br />

di grandi e piccini. Le sue crisi depressive<br />

si fanno più frequenti e i boschi<br />

del Po diventano i luoghi dove rifugiarsi,<br />

dove esaltare un randagismo più vicino<br />

agli animali che agli uomini, in quello<br />

stato di libertà nel quale può sopportare<br />

meglio il suo essere genio incompreso<br />

che percepisce la propria diversità e che<br />

si rifugia, per lenire il disagio, nei ricordi<br />

e nella fantasia.<br />

[…] È proprio nelle macchie del Po che<br />

gli intenti artistici di Ligabue iniziano a<br />

prendere consistenza. Ciò che si manifestava<br />

in modo sporadico in giovane<br />

età inizia a rivelarsi attraverso un realismo<br />

diretto, relativamente semplice, in<br />

parte deformato e fantastico in alcuni<br />

aspetti, ma efficace nel trasmettere emozioni.<br />

Campi di grano, canneti, radure,<br />

pioppeti e gruppi di cascine erano alternati<br />

al mondo animale che conosceva di<br />

prima mano, che incontrava nelle sue<br />

campagne, attraverso musei di scienze<br />

naturali visitati in Svizzera, oppure belve<br />

feroci viste al circo o nel film su Tarzan:<br />

cavalli da tiro, cani da caccia, gatti, buoi,<br />

rettili, volpi, animali da cortile, ma<br />

anche rapaci, zebre, cinghiali, iene, scimmie,<br />

leoni, leopardi e tigri. Ne scaturiscono<br />

dipinti sempre legati a impulsi<br />

interiori prepotenti di un artista che<br />

spesso vede se stesso alla stregua di un<br />

animale.<br />

[…] Dalla seconda metà degli anni cinquanta<br />

iniziano ad arrivare grandi soddisfazioni<br />

da parte della critica e del<br />

pubblico più selezionato. Le committenze<br />

aumentano e la stima delle per-<br />

ICON<br />

Ligabue<br />

coerente e fedele<br />

a se stesso<br />

SU DI TONO<br />

Il Sudamerica a Cerreto<br />

di Francesca Merz<br />

amicidellavillacerretoguidi@gmail.com<br />

Musica popolare sudamericana per<br />

una serata di festa dedicata all’arrivo<br />

della primavera. Venerdì 22 marzo,<br />

a partire dalle 20.30, nel maestoso e<br />

magnifico scenario della Villa Medicea<br />

di Cerreto Guidi, immersa tra<br />

le più belle colline Toscane, a pochi<br />

passi da Vinci, va in scena La “Festa<br />

di primavera. Maschere e musica<br />

per festeggiare la fine dell’inverno e<br />

l’arrivo della bella stagione”. Il programma<br />

della serata sarà dedicato<br />

alla musica popolare sudamericana<br />

(samba, cha cha, jongo, tango, vals,<br />

milonga), con musiche tratte dal<br />

ricco e suggestivo repertorio musicale<br />

di Piazzolla, Montes, Pujol e<br />

altri autori, tutto rigorosamente dal<br />

vivo grazie a due straordinari artisti<br />

come Simona Miniati al flauto e<br />

Antonello Scarpa alla chitarra.<br />

A completare la serata, nella quale<br />

ad ogni ospite sarà richiesto di portare<br />

un accessorio o un vestito in<br />

tema primaverile, la Villa offrirà un<br />

ricco aperitivo agli ospiti.<br />

Il tutto nella suggestiva cornice di<br />

una delle Ville Medicee più suggestive<br />

e sconosciute. Gioiello artistico<br />

edificato nel 1556 da Cosimo<br />

I dei Medici come residenza di caccia<br />

e presidio territoriale, la Villa è<br />

resa nota dal peculiare ingresso, a<br />

opera del Buontalenti, caratterizzato<br />

da due rampe d’accesso “a scalera”<br />

in mattoni. Oltre ad essere tra<br />

le poche Ville Medicee aperte stabilmente<br />

come museo, ospita all’interno<br />

i ritratti della famiglia Medici<br />

e mobili di varia epoca e prove-<br />

n<br />

sabato 16 marzo 2013<br />

o<br />

21 PAG.6<br />

sone si fa più consistente. Risale al 1961<br />

la mostra della svolta alla Galleria La<br />

Barcaccia di Roma dove ottiene vendite<br />

e grandi consensi da parte di specialisti<br />

ed esperti.<br />

[…] La sua cosciente follia, la sua istintività<br />

primitiva, il suo lasciarsi trasportare<br />

da eccessi emotivi lo hanno reso<br />

unico nel panorama delle arti visive del<br />

secolo scorso. Un artista coerente, fedele<br />

solo a se stesso, capace di interagire,<br />

senza doverle controllare, con il flusso<br />

continuo, irregolare e talvolta estremo<br />

delle emozioni che sentiva dentro di sé.<br />

La sua lucida alterazione mentale lo<br />

porta a violare ogni schema, ad andare<br />

oltre ogni consuetudine, ad assecondare<br />

in modo attivo le sue nevrosi.<br />

*Testo tratto da Maurizio Vanni, “Antonio<br />

Ligabue. Istinto, genialità e follia”, Silvana<br />

Editoriale, 2013 al Lucca Center of Contemporary<br />

Art, fino al 9 giugno 2013<br />

nienza. Inoltre, al primo piano, è allestito<br />

dal 2002 il Museo Storico<br />

della Caccia e del Territorio, che<br />

ospita una raccolta di armi, principalmente<br />

da caccia e da tiro dei secoli<br />

XVII-XIX.<br />

L’evento fa parte del ricco calendario<br />

della prima stagione annuale di<br />

eventi presso la suggestiva Villa Medicea<br />

di Cerreto Guidi, situata in<br />

provincia di Firenze (via dei Ponti<br />

Medicei, 7).<br />

L’intento dell’iniziativa, che coinvolge<br />

varie realtà culturali del territorio,<br />

è promuovere e far conoscere<br />

sempre più la villa, attraverso un<br />

programma legato sia alle tradizioni<br />

cerretesi, sia ad un modo moderno<br />

di vivere il luogo, con eventi in<br />

grado di coinvolgere pubblici trasversali,<br />

trasformandolo in un<br />

luogo di condivisione e approfondimento<br />

per tutti.<br />

Per info e prenotazioni<br />

amicidellavillacerretoguidi@gmail.<br />

com<br />

tel 0571/55707


CU .com<br />

O<br />

a cura di Olivia Toscani<br />

e Mauro Lovi<br />

Lunedì prossimo alle ore 18.30 la<br />

Galleria Otto, di via Maggio presenta<br />

la sua ultima mostra “OttoconottO”;<br />

infatti dal 1 aprile,<br />

dopo due anni di attività la galleria si<br />

trasferisce e si trasforma. Con gli “8”,<br />

realizzati dagli artisti della “scuderia” di<br />

Olivia Toscani Rucellai, (opere tutte di<br />

cm.20x20) si chiude un ciclo durato<br />

due anni, per aprirne un altro; trasferendo<br />

la sede centrale nel Palazzo Rucellai,<br />

via della Vigna Nuova, 18 al<br />

quarto piano. Le proposte espositive, i<br />

nuovi oggetti e nuovi incontri saranno<br />

ospitati in un appartamento nel Palazzo<br />

Lotteringhi della Stufa, Piazza<br />

San Lorenzo, 5.<br />

L’attività potrà essere monitorata in<br />

una piccola vetrina di via de’ Palchetti,<br />

sempre in Palazzo Rucellai, Via de’ Palchetti,<br />

2. Nei due anni di vita la galleria<br />

ha realizzato 22 mostre, ospitato 73 artisti,<br />

architetti, designer, fotografi e<br />

anche scrittori di tutto il mondo. Questa<br />

attività ha permesso di raccogliere<br />

una preziosa collezione di oggetti di<br />

vari autori ai quali sarà data la giusta<br />

promozione. Durante questo periodo<br />

la Galleria Otto ha presentato opere<br />

prodotte con le tecniche espressive antichissime<br />

e futuribili, il mosaico, il<br />

ferro battuto, la falegnameria, la tappezzeria,<br />

la fusione a cera persa, ceramica,<br />

maiolica, terracotta, vetro,<br />

ebanisteria, lavorazione del marmo, alluminio,<br />

lampade, fotografia, installazioni,<br />

pittura ad olio, acrilico, collage,<br />

disegni ecc. Si sono così realizzati molti<br />

oggetti come letti, sedie, tavoli, lampade,<br />

materassi, copriletto, caminetti<br />

portabili, vasi, quadri, centrotavola,<br />

specchiere, tavolinetti, pendole, cuscini,<br />

sottopiatti, tovaglie, sculture, modellini,<br />

fruttiere, comodini, librerie e<br />

anche un libro per il comodino, ecc.<br />

Nella Galleria Otto si sono confrontanti<br />

numerosi critici, storici dell’arte e<br />

del design tra cui Cloe Piccoli, Isa Tutino,<br />

Philippe Daverio, Vanni Pasca,<br />

Gianni Pettena, Alessandro Mendini,<br />

Beppe Finessi, Maurizio Vanni, Ugo<br />

La Pietra, Pasquale Persico, Maurizio<br />

Corrado. Artisti presenti alla mostra<br />

“OttoconOtto”: Adam Marelli, Aldo<br />

Frangioni, Antonio LoPresti, Benvenuto<br />

Saba, Caterina Sbrana, Diego<br />

Aringhieri, Elisabetta Nencini, Elisabetta<br />

Scarpini, Emiliana Martinelli,<br />

Fausto Bertasa, Federica & Stefano<br />

RossoRamina, Federico Caruso,<br />

Franco Scuderi, Gabriele Mallegni,<br />

Giuliano Toma, Gum design, Jisoo<br />

Jung-Kopperud, JP Delaney, Liu Yung-<br />

Jen, Livio Tessandori, Lorenzo Perrone,<br />

Marco Pace, Marina Calamai,<br />

Matteo Appignani, Matthew Licht,<br />

Mauro Bonocore, Mauro Lovi, Michele<br />

Martinelli, Monica Fossi, Naomi<br />

Traina, Neal Barab, Nicola Perilli,<br />

Paolo Mazzanti, Paolo Mazzanti, Pietro<br />

Finelli, Roberta Cipriani, Sabine<br />

Korth, Simone Caldognetto, Stefano<br />

Breschi, Studio Barberini-Gunnell,<br />

Tarshito, Vincenzo Gialorenzi, Vincenzo<br />

Missanelli, Mimmo Di Cesare.<br />

ICON<br />

8<br />

8Marco Pace – Monolit8 – olio su tela 20x20<br />

con<br />

Elisabetta Nencini, 8 in espansione 20x20<br />

ICON<br />

di Sara Chiarello<br />

esse.chiarello@gmail.com<br />

Da giovedì presso la Tribuna Dantesca<br />

della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze<br />

(piazza dei Cavalleggeri, 1) si<br />

aperta la mostra dedicata all’artista torinese<br />

Valeria Ciotti: nata a Torino nel<br />

1931, frequenta il Liceo artistico e successivamente<br />

il corso di Scultura di Umberto<br />

Baglioni all’Accademia Albertina di<br />

Belle Arti che termina nel 1952. Abbandona<br />

la scultura per dedicarsi al disegno<br />

d’antiquariato. Nel 1965 riprende l’attività<br />

frequentando il corso di Enrico Paulucci,<br />

senza aver interrotto la pittura a<br />

olio, l’acquarello e l’incisione, quest’ultima<br />

sotto la guida dell’amico Mario Calandri.<br />

Organizza numerose mostre<br />

personali e partecipa a collettive in ambito<br />

nazionale e internazionale. Muore a<br />

Torino nel 1995. La mostra, curata da<br />

Francesca Merz e di Angelo Ciotti, propone<br />

40 opere.<br />

Valeria Ciotti ha realizzato grandi nudi<br />

femminili di prorompente sensualità.<br />

Dice la curatrice, Francesca Merz:<br />

“L’opera di Valeria Ciotti mostra una genialità<br />

emotiva espressa con un candore<br />

psicologico che denota straordinaria padronanza<br />

tecnica, di tutte le tecniche<br />

espressive possibili. Non c’è niente di<br />

macchinoso, artefatto, costruito. Esperienza<br />

e conoscenza artistica formatasi<br />

sulla scultura, la Ciotti è stata in grado di<br />

raccontare il suo universo interiore senza<br />

la ricerca o la volontà di stupire, ed è proprio<br />

quando non si vuole stupire che si<br />

stupisce, che le corde del cuore e dell’istinto<br />

si muovono e vengono toccate<br />

con forza. Come negli accostamenti di<br />

colori forti, intensi, quasi dissonanti negli<br />

oli, la levigata pacatezza coloristica negli<br />

acquerelli, o il tormentato ma equilibrato<br />

profilo nelle sculture. Un universo variegato<br />

di forme e colori quello creato dalla<br />

Alla Biblioteca<br />

una retrospettiva<br />

di Valeria Ciotti<br />

straordinaria personalità di quest’artista,<br />

che si dedica a lungo anche alla pittura<br />

informale; un’indagine sottile, quasi dimessa,<br />

lontana dai riflettori, un riservato<br />

aprirsi al mondo. I rossi, i verdi, i gialli e<br />

gli azzurri interagiscono con i chiari abbaglianti<br />

di ampio respiro e con i neri incisivi<br />

che lacerano e feriscono il supporto<br />

pittorico. Vedrete un mondo fatto di soffici<br />

chiaroscuri così come di colori forti,<br />

accecanti, primari, tonalità soffuse, macchie,<br />

intrecci”.La mostra rimane aperta<br />

fino al 6 aprile a ingresso libero.<br />

n<br />

sabato 16 marzo 2013<br />

o<br />

21 PAG.7<br />

Ultima mostra<br />

della Galleria Otto<br />

prima del suo trasferimento<br />

La Nazionale<br />

si mette a nudo


CU .com<br />

O<br />

di Francesco Gurrieri<br />

Isegreti del dolore e gli accenti della<br />

speranza: questa è la materia della<br />

poesia a cui i versi di Sandro ci riconducono,<br />

lasciandoci con discrezione,<br />

sulla soglia del complesso edificio dell’interrogazione<br />

esistenziale. Egli, architetto, sa<br />

bene come si possa progettare un’architettura<br />

che risponda a tutti i requisiti del suo<br />

statuto (firmitas, utilitas, venustas), ma sa<br />

anche che, alla fine, è chi lo abita che lo<br />

conforma a se stesso interpretandolo.<br />

Qualcosa di simile accade per i versi, la cui<br />

autografa carica emotiva non sempre corrisponde<br />

a quella del percettore. Ciò è particolarmente<br />

vero per questi paesaggi<br />

lirici tracciati dall’autore, perché fra “I verbali<br />

dell’anima” e questi versi sono passati<br />

cinque anni: anni estremamente importanti<br />

per la biografia di Sandro, che ha sottoposto<br />

ad un severo scrutinio etico e<br />

culturale l’intera sua vita. Cinque anni impiegati<br />

a studiare l’ebraico, ad approfondire<br />

il greco, a “comparare” i testi della<br />

Torah, dei Profeti, degli scritti della Bibbia<br />

Ebraica a fronte della cultura niceno-costantinopolitana<br />

della fede cattolica, cioè<br />

del credo romano. Un impegno, all’evidenza,<br />

non solo intellettuale ma anche di<br />

“fede”, considerata l’educazione religiosa<br />

giovanile che percorremmo insieme e che<br />

anch’io ben conosco. Questo richiamo<br />

non è secondario ed anzi è chiave di lettura<br />

di alcune delle liriche presenti (Lucerne,<br />

Halakhòt, Alétheia, per esempio);<br />

mentre altre si sciolgono secondo il libero<br />

scorrere dei sentimenti universali. E’ così<br />

per Fiori, Amare, Specchi, Canzoni, ove<br />

torna, intensa e prepotente, la vena del<br />

poeta che conoscevamo; ove sono le registrazioni<br />

dei sentimenti, gli appunti del<br />

dolore e della gioia. Ove, soprattutto, ritorna<br />

l’autenticità dei sentimenti che si fa<br />

garante della liricità del verso:<br />

Un fiore del campo,<br />

se fiore si può chiamare ,<br />

dalla vita breve.<br />

Appassisce in un giorno<br />

e anche quel giorno<br />

presto finisce<br />

nel rosso del tramonto<br />

mentre la vita passa,<br />

e tutto pare solo memoria.<br />

Nel febbraio del 1945, con le macerie ancora<br />

calde, Enrico Falqui pubblicava il suo<br />

primo Quaderno Internazionale di “Poesia”,<br />

rivolgendosi così al lettore: “Fondare<br />

oggi una rivista internazionale di poesia<br />

nuova ed antica, può apparire impresa azzardata,<br />

perfino assurda. Noi crediamo invece<br />

che sia impresa fra le più<br />

indispensabili: ché proprio in epoche di<br />

angoscia e disordine come questa, occorre<br />

attingere alle essenziali verità del sentimento<br />

e dell’intelligenza, là dove l’arte si<br />

manifesta e si afferma nei suoi valori più<br />

durevoli”. Oggi, per comune opinione,<br />

stiamo rivivendo una stagione di angoscia<br />

e disordine: una stagione non facile. La<br />

condizione del presente, che si è voluta<br />

definire “liquida”, sembra più inutilmente<br />

complessa di altre; più artefatta, carica<br />

d’ira e di indifferenza, naturalmente contraddittoria,<br />

deideologizzata, caratterizzata<br />

dal permanere di quel “pensiero<br />

debole” che ci marca da decenni. Siamo<br />

Un fiore<br />

dalla<br />

vita<br />

breve<br />

La gente di San Frediano vista<br />

da Piero Gronchi<br />

di Franco Manescalchi<br />

novecentopoesia@gmail.com<br />

L’amico Alessandro Bencistà,<br />

grande studioso di tradizioni popolari,<br />

pubblicò nel 1999 l’antologia<br />

“Fiorentinacci, I’ novecento in vernacolo<br />

fiorentino” , dove, fra gli autori<br />

inclusi, propose testi di Piero<br />

Gronchi, di cui trovò un libretto di<br />

poesie in vernacolo proprio in San<br />

Frediano, in mezzo a una catasta di<br />

libri usati; con la dedica autografa<br />

dell’autore: “Alla mia Città, che<br />

simpaticamente mi ha tenuto a battesimo”.<br />

Piero Gronchi fu personaggio versatile,<br />

così ce lo descrive Bencistà:<br />

“per molti anni gestore del bar<br />

Bonciani in via dei Panzani, poi incominciò<br />

a lavorare nel mondo dei<br />

libri (era un ratealista) prima con la<br />

Mondadori, poi con la Rizzoli e la<br />

Treccani. Nel 1966 insieme ad Eugenio<br />

Cassin diresse la libreria Bookmarket<br />

in via Masaccio.<br />

Incominciò a pubblicare le sue<br />

poesie sul nuovo quotidiano fiorentino<br />

“La Città”, prima di riunirle<br />

in un volume dalla veste tipografica<br />

modesta, sicuramente autoprodotto:<br />

cento brevi liriche quasi interamente<br />

dedicate a tipi e<br />

ambienti di una Firenze ormai sul<br />

punto di scomparire ma che nel<br />

quartiere d’Oltrarno resiste orgo-<br />

ODORE DI LIBRI<br />

Le poesie<br />

di Alessandro Dini:<br />

professione architetto<br />

tornati a toccare una nuova crisi ontologica.<br />

E allora perché non provare a riaffidare<br />

alla poesia – soprattutto a quella<br />

lontana dalle competizioni letterarie come<br />

questa di Sandro – la capacità di attraversamento<br />

della dimensione tragica dell’essere<br />

al mondo? Non sarà tutto, ma è pur<br />

qualcosa.<br />

SPIRITI DI MATERIA<br />

gliosamente, ancorata alle sue tradizioni,<br />

alla sua lingua, alle sue abitudini<br />

di vita; un popolo non sempre<br />

raffinato ed elegante ma vivo e autentico<br />

che i turisti ancora vengono<br />

a scoprire e a fotografare come si fa<br />

col Biancone in Piazza Signoria. È la<br />

Firenze che fu di Rosai e di Pratolini<br />

e che oggi stenta a sopravvivere in<br />

quest’ultimo lembo di medioevo che<br />

furono i “Camaldoli di S. Frediano”.”<br />

In questa poesia Gronchi sembra infatti<br />

“dipingere”, al modo di Rosai,<br />

un mondo che gli era caro perché,<br />

nella vita quotidiana, familiare.<br />

GENTE DI SAN FREDIANO<br />

n<br />

sabato 16 marzo 2013<br />

o<br />

21 PAG.8<br />

È pieno d’artigiani straordinari<br />

d’ antiche cose gran restauratori,<br />

valgano molto più de milionari<br />

di Tornabuoni Strit passeggiatori.<br />

C’è l’operai che vanno la mattina<br />

Vers’ i’ llavoro con la tuta ‘n dosso,<br />

tornan la sera, fan la partitina<br />

a briscola bussand’ a più non posso.<br />

I bottegai ti servono con carma,<br />

tranquilli senz’ avere punta fretta,<br />

è ‘nutile spiccialli, lor con flemma<br />

ti devon anche dir la barzelletta.<br />

Ci sono le comari che lì ‘n Borgo<br />

si mettan ‘ a parlare raggruppate,<br />

è naturale faccin ‘ un ingorgo<br />

a rischio di finir anc’arrotate.<br />

L’è verament’un popolo alla mano<br />

E non per nulla e vive ‘n San Frediano.<br />

Da “Gente, bozzetti-scenette di San<br />

Frediano<br />

e miscellanea in fiorentino”, Firenze,<br />

1982


CU .com<br />

O<br />

di Giacomo Gailli<br />

giacomo.gailli@gmail.com<br />

– e per umanità intendo<br />

proprio gli esseri umani –<br />

in queste fotografie di Andrea.<br />

L’umanità<br />

Biancalani è così: di passaggio...<br />

Filippo Polenchi<br />

Con queste parole viene presentata la<br />

mostra Tierra! del fotografo Andrea<br />

Biancalani(www.biancalanifoto.it), che<br />

verrà inaugurata oggi alle 17.30, alla Biblioteca<br />

Comunale Lazzerini di Prato.<br />

Perché il Messico?<br />

Negli anni ’80 in Messico accompagnavo<br />

i turisti italiani e conobbi le<br />

opere di Juan Rulfo. Adesso a distanza<br />

di anni è nato il desiderio di ripercorrere<br />

i luoghi dei suoi racconti e delle<br />

sue fotografie e vede cosa era cambiato,<br />

sia a livello paesaggistico che umano.<br />

Ora è tutto diverso. Quei paesi stanno<br />

vivendo un progresso rapidissimo e votato<br />

in gran parte al consumismo. Eppure<br />

ci sono meccaniche umane che<br />

non sono cambiate. Ad esempio: in<br />

Messico non c’è integrazione tra cultura<br />

precolombiana e cattolica, ma<br />

piuttosto sovrapposizione.<br />

“Un’umanità di passaggio”, dice la presentazione...<br />

E’ anche un omaggio a Rulfo. Nei suoi<br />

scatti le persone non guardano mai<br />

l’obiettivo, sono immersi nel momento.<br />

La fotografia per me contiene sempre<br />

qualcosa che non si vede, una suggestione<br />

che emerge e che può essere<br />

espressa con le parole. Nella mostra infatti<br />

le didascalie saranno citazioni di<br />

Rulfo stesso. Sarà anche proiettato un<br />

video, realizzato da me, in omaggio alla<br />

poetica visiva di Juan Rulfo e intitolato<br />

Tierra de Luz.<br />

Questo tuo interesse nel creare incontri tra<br />

forme di arte e comunicazione differenti<br />

da cosa deriva? In passato un’altra tua<br />

mostra, Hic Sunt Leones si completava dei<br />

testi di un autore...<br />

Filippo Polenchi, sì. Io credo, ma questo<br />

vale come percezione personale, riferita<br />

al mio lavoro, che la parola completi la<br />

fotografia. Proprio per dare voce a quel<br />

qualcosa che non c’è ma che suggestiona<br />

l’immagine, la parola scritta diventa<br />

uno strumento prezioso. Filippo<br />

fece un lavoro splendido con Hic Sunt<br />

Leones, e infatti vorremmo collaborare<br />

ancora per un progetto futuro.<br />

Quanto è stato difficile realizzare la mostra?<br />

La cultura qui vive un momento<br />

complesso.<br />

Da noi manca la cultura dell’immagine.<br />

Spesso anche chi lavora nel ramo della<br />

cultura non sa esattamente cosa sta<br />

trattando e di conseguenza non sa valutare<br />

se un progetto abbia potenzialità<br />

o meno. Come finisce? Che si va solo<br />

sul sicuro e si lascia poco margine alle<br />

voci meno conosciute. Lo dico anche<br />

e soprattutto per chi ha molti meno<br />

anni di me.<br />

Nel tuo caso?<br />

Questo è un lavoro che risale al 2008.<br />

A suo tempo preparai un progetto<br />

complesso e articolato. Solo ora però,<br />

riproponendo il lavoro in una veste più<br />

semplice, ho incontrato la disponibilità<br />

dell’Assessorato alla <strong>Cultura</strong> del Co-<br />

mune di Prato e della Biblioteca Lazzerini<br />

che ospita la mostra. Anche “Estra”<br />

ha finanziato una parte del progetto.<br />

Tornando ai progetti futuri?<br />

Stiamo lavorando, con Filippo Polenchi,<br />

a un lavoro fatto nei Balcani. Il tema<br />

LUCE CATTURATA<br />

Que viva Mexico!<br />

SU DI TONO<br />

Fura<br />

di Maggio<br />

di Dario Collini<br />

Mi faccio largo tra la folla e prendo<br />

posto in un Mandela Forum gremito di<br />

persone. Il palco campeggia sul fondo<br />

della struttura, come per un concerto<br />

rock. Il programma della serata tuttavia<br />

non prevede alcun cantante all’ultimo<br />

grido, bensì l’allestimento dei Carmina<br />

Burana di Carl Orff (1895-1982), cantata<br />

scenica in un atto su testo di medievali<br />

“canzoni profane per cantori e<br />

cori da eseguire con il sussidio di strumenti<br />

e di immagini magiche”. Sul<br />

palco l’Orchestra e il Coro del Maggio<br />

assieme al Coro delle voci bianche<br />

della Scuola di Musica di Fiesole. La<br />

magia delle “immagini”, perfettamente<br />

riuscita, è invece affidata alla compagnia<br />

teatrale catalana La Fura dels Baus,<br />

per la regia di Carlos Padrissa. Rivelatasi<br />

nel 1983 con Acciones, performances<br />

ispirate alle tecniche acrobatiche<br />

del circo, la Fura propone da sempre un<br />

è l’indeterminatezza dell’essere, la capacità<br />

che “ciò si vede” e “ciò che è”<br />

hanno di interferire tra loro e rendere<br />

possibili più letture di uno stesso soggetto.<br />

Come mai proprio i Balcani?<br />

“teatro di azione” che fa perno su un<br />

forte coinvolgimento del pubblico. In<br />

anni più recenti la compagnia ha sviluppato<br />

grande interesse per scenografie in<br />

cui si mescolano strutture metalliche e di<br />

cemento a immagini interattive e virtuali<br />

rese possibili dalle nuove tecnologie. Frequenti<br />

le collaborazioni con il teatro<br />

d’opera e con il Maggio in particolare:<br />

impossibile scordare il magnifico e visionario<br />

allestimento della tetralogia wagneriana<br />

tra il maggio del 2007 e il giugno<br />

del 2009. Sul podio, allora come oggi, il<br />

Maestro Zubin Mehta, che in prima persona<br />

ha fortemente voluto questa nuova<br />

collaborazione. Di grande impatto e originalissima<br />

la rappresentazione: l’orchestra<br />

è schermata da un enorme telo<br />

bianco circolare con immagini proiettate;<br />

il soprano Angel Blue, il controtenore Ni-<br />

n<br />

sabato 16 marzo 2013<br />

o<br />

21 PAG.9<br />

Perché sono la sublimazione di questo<br />

concetto. Un luogo che non è più quel<br />

che era prima e che non sa ancora cosa<br />

diventerà. Esattamente come quella<br />

parte di umanità che vorrei mostrare,<br />

con foto e parole.<br />

cola Marchesini e il baritono Juha Uusitalo<br />

sul proscenio si elevano sul pubblico<br />

grazie a macchinari metallici, si immergono<br />

in una vasca d’acqua che si tinge di<br />

rosso o si muovono con estrema libertà<br />

in platea, assieme agli attori; i giochi di<br />

luci, il trucco e i costumi coloratissimi<br />

fanno il resto. Da segnalare la buona acustica,<br />

frutto di un complesso lavoro dell’architetto<br />

Carlo Carbone, che ha<br />

permesso di escludere l’amplificazione<br />

per i cantanti, senza perdere alcunché in<br />

forza e intensità, e di ampliare inoltre la<br />

capienza dello spazio destinato al pubblico.<br />

Al tempo in cui i teatri riescono a<br />

malapena a riempire le proprie sale trovarsi<br />

in mezzo a 6mila persone, tra vecchi<br />

e giovani (molti, moltissimi giovani), fa<br />

uno strano effetto. Gli stessi dipendenti<br />

del Teatro del Maggio raccontano di essersi<br />

resi conto della portata dell’evento<br />

soltanto nel corso delle prevendite, che<br />

ha portato al sold out in pochissimi<br />

giorni. Non di un sogno si tratta, ma di<br />

una bellissima e concreta realtà. Una realtà<br />

ripetibile e da ripetere, per permettere<br />

alle generazioni giovani e meno<br />

giovani di saldarsi attorno al miracolo<br />

della musica, per permettere al Maggio<br />

di superare la crisi che sta attraversando.<br />

Auguriamoci cento di queste rappresentazioni.<br />

Ne abbiamo davvero bisogno.


CU .com<br />

O<br />

LUCE CATTURATA<br />

I confini della città<br />

di Sandro Bini<br />

www.deaphoto.it<br />

Sandro Bini - I Confini della Città - Cantiere Tramvia - Viale Talenti - Firenze 2008<br />

MENÙ<br />

di Barbara, cuoca di Pane e Vino<br />

barbarazattoni@gmail.com Porri<br />

Questa volta non sarà una mia ricetta<br />

ad incuriosirvi ma un gioco letterario,<br />

altrettanto godurioso quanto<br />

beffardo che passando dalle dosi e<br />

descrizione di una minestra di porri<br />

e patate, alza il sipario su un possibile<br />

“soggetto del cucinare” dove la<br />

cucina rispecchia perfettamente il<br />

luogo dove dal sacrificio alla gola,<br />

tutto si ritrova. Marguerite Duras<br />

riesce a scrivere una ricetta spostando<br />

la sua ragione neanche tanto<br />

intrinseca: la decisione di mangiare.<br />

Mangiare-Digiunare. Ancora<br />

prima di scegliere, ci regala uno<br />

spazio dove si muore, si uccide<br />

magari il marito, magari per l’orrore<br />

degli intingoli grassi. Se il<br />

destino della fame è quello di<br />

non esser mai soddisfatta è ancor<br />

più vero che la decisione di mangiare<br />

non sia ovvia. O il cibo non<br />

c’è o c’è ma è regolato da “imposizioni”<br />

sociali e personali. E allora<br />

avanti signori, alzate il<br />

sipario su questa versione dove<br />

ho aggiunto dosi e omesso qualche<br />

ripetizione: “tutti credono di<br />

saperla fare, sembra così semplice<br />

ma molto spesso viene trascurata.<br />

Deve cuocere non più di<br />

n<br />

sabato 16 marzo 2013<br />

o<br />

21 PAG.10<br />

Un racconto per immagini<br />

dalla periferia fiorentina (2001-2013)<br />

e patate a là Duras<br />

15 minuti e bisogna dosare bene gli<br />

ingredienti. 2 porri medi con un kg<br />

di patate sbucciate, aggiungendoli<br />

solo quando le patate bollono (in 1<br />

litro d’acqua), rimarrà una minestra<br />

più verde e più saporita. Nelle trattorie<br />

non è mai buona, troppo cotta,<br />

troppo diluita, è triste, noiosa e finisce<br />

nel fondo comune delle minestre<br />

di verdura. Bisogna invece farla<br />

con cura evitando così di perdere la<br />

sua identità. Una volta cotta si serve<br />

con burro o panna fresca e crostini<br />

prima di scodellarla. Si chiamerà allora<br />

con un altro nome, se ne inventerà<br />

uno: i bambini la mangeranno<br />

più volentieri se non le verrà appioppato<br />

il nome di minestra di<br />

porri e patate. Ci vuol tempo per ritrovare<br />

il sapore di quella minestra,<br />

imposta ai bimbi sotto vari pretesti...Sarà<br />

stata sicuramente inventata<br />

in una contrada occidentale, da una<br />

donna ancora giovane della borghesia<br />

locale che, quella sera, aveva orrore<br />

degli intingoli grassi-e forse di<br />

qualcosa d’altro – ma ne era cosciente?<br />

Il corpo trangugia la minestra<br />

con letizia. Nessuna ambiguità<br />

possibile: non è la minestra di verze<br />

al lardo, la minestra per nutrirsi e<br />

scaldarsi, no, è la minestra magra<br />

che rinfresca; il corpo la trangugia a<br />

grandi sorsate, viene pulito,<br />

purificato (verdura<br />

primigenia), i muscoli se<br />

ne imbevono. Nelle case,<br />

il suo odore si sparge<br />

molto rapidamente, fortissimo,<br />

volgare come il<br />

cibo dei poveri, il lavoro<br />

delle donne, il riposo<br />

delle bestie, il vomito<br />

dei neonati. Si può<br />

anche avere voglia di far<br />

niente e poi invece farla,<br />

quella minestra; tra queste<br />

due scelte corre un<br />

margine strettissimo,<br />

sempre lo stesso, il suicidio.”<br />

(Parigi.1976)


CU .com<br />

O<br />

di Alberto Favilli<br />

favilli1975@libero.it Il<br />

La vetta del Monte Giovi, che si<br />

erge sul confine dei territori comunali<br />

di Borgo San Lorenzo e<br />

Pontassieve e, in misura minore,<br />

di Vicchio, Dicomano e Rufina,<br />

è stata oggetto - nel triennio<br />

2010-2012 - di regolari campagne di<br />

scavo condotte dall’Università degli<br />

Studi di Firenze sotto la direzione<br />

del dott. Luca Cappuccini, docente<br />

di Etruscologia e Archeologia Italica<br />

presso lo stesso Ateneo. Le ricerche<br />

hanno permesso di individuare i<br />

resti di una fortificazione etrusca di<br />

età ellenistica e tracce di una frequentazione<br />

riferibile a una fase più<br />

antica. Sulla cima del monte (quota<br />

992.60 metri s.l.m.) si apre un pianoro<br />

di forma pressoché rettangolare,<br />

esteso per circa 1300 mq, il cui<br />

perimetro è caratterizzato da un profilo<br />

anomalo rispetto all’andamento<br />

naturale del terreno: i margini sono<br />

rilevati di circa un metro rispetto<br />

all’interno e digradano con un declivio<br />

piuttosto pronunciato verso<br />

l’esterno. Le indagini, concentratesi<br />

su questa “anomalia”, hanno portato<br />

alla luce nella zona sud-orientale,<br />

sotto un poderoso strato di crollo, i<br />

resti di una cinta muraria difensiva<br />

dello spessore superiore ai due<br />

metri. Questo muro è costruito con<br />

la tecnica “a sacco”, consistente in<br />

due paramenti di contenimento, realizzati<br />

con bozze d’arenaria locale<br />

appena squadrate, che racchiudono<br />

un getto di pietre di dimensioni minori<br />

frammiste a terra. Frammenti<br />

ceramici rinvenuti all’interno del<br />

sacco permettono di fissare al IV secolo<br />

a.C. la cronologia della struttura.<br />

In prossimità del paramento<br />

interno è stata scoperta una sequenza<br />

stratigrafica, riferibile alla<br />

PUÒ ACCADERE<br />

EX CAVO<br />

n<br />

sabato 16 marzo 2013<br />

o<br />

21 PAG.11<br />

dubbio di Monte Giovi<br />

Avamposto militare<br />

o luogo di culto etrusco<br />

fase di abbandono del sito, che lascia<br />

supporre un evento distruttivo: evidenti<br />

tracce d’incendio sono visibili<br />

sulle pietre del muro e, a confermare<br />

l’ipotesi, numerosi sono i frammenti<br />

di legno carbonizzato rinvenuti, probabili<br />

resti di una palificazione con<br />

funzione di sostegno o comunque<br />

ausiliaria alla muratura. Il recupero<br />

di vari frammenti di bucchero, databili<br />

a un periodo compreso tra la<br />

fine del VII e la prima metà del VI<br />

secolo a.C., testimonia l’esistenza di<br />

una più antica fase di frequentazione<br />

del sito. La scelta di occupare la vetta<br />

di Monte Giovi, sia essa da riferire a<br />

un avamposto militare - data la presenza<br />

di mura difensive - oppure a<br />

un luogo di culto - dati i ritrovamenti<br />

di statuette votive -, sembra<br />

comunque da attribuire alle caratteristiche<br />

orografiche del luogo, che<br />

ne facevano un punto strategico di<br />

osservazione e controllo del territorio.<br />

Per informazioni più approfondite<br />

si rimanda all’articolo Il sito di<br />

Monte Giovi nell’ager Faesulanus (L.<br />

Cappuccini) in Aristonothos. Scritti<br />

Momenti di scavo: il recupero di reperti ceramici. Foto di Luca Cappuccini<br />

per il Mediterraneo antico, 5 (2012).<br />

di Susanna Stigler<br />

susannastigler@gmail.com<br />

Firenze - Marzo 2013<br />

Futuri


CU .com<br />

O<br />

di Ilaria Sabbatini<br />

ilaria.sabbatini@gmail.com<br />

Il 14 febbraio 2013 più di un miliardo<br />

di persone in tutto il mondo hanno<br />

data vita a un flashmob per dire<br />

basta alla violenza contro le donne.<br />

E a me torna in mente un pomeriggio di<br />

fine anni ’80 quando, molto giovane, ma<br />

già interessata al cinema andai a vedere<br />

il mio primo film sullo stupro. Rispetto<br />

a quel periodo, che ora sembra lontano<br />

come una pellicola graffiata, molte consapevolezze<br />

sono andate perdute. Idee<br />

KINO&VIDEO<br />

di Tommaso Alvisi<br />

t.alvisi@tiscali.it<br />

Lo so, molti di voi diranno “ no il dibattito<br />

no!” come nell’opera prima di<br />

un famoso regista italiano. Sto parlando<br />

di Nanni Moretti che era al<br />

“Verdi” di Firenze insieme al compositore<br />

Nicola Piovani e all’Orchestra<br />

Regionale della Toscana. Si è trattato<br />

di uno spettacolo unico dove si sono<br />

fuse musica, immagini e monologhi<br />

che hanno regalato la notorietà al regista.<br />

Lo spettacolo è iniziato con “Io<br />

sono autartico” (1976),sua opera<br />

prima, passando per Ecce Bombo,<br />

Sogni D’Oro e Bianca. Tutti i film<br />

sono contraddistinti dalla collaborazione<br />

di Moretti con il musicista<br />

Franco Piersanti. Nel 1985 con “La<br />

messa è finita”, entra in scena il compositore<br />

Nicola Piovani (premio<br />

Oscar per le musiche de “La vita è<br />

bella” di Benigni).<br />

Fino al 2001 (con “La stanza del figlio”)<br />

è durata la simbiosi fra il regista<br />

e il musicista passando per opere<br />

come Palombella Rossa, Caro diario<br />

e Aprile. Moretti si è soffermato<br />

molto su questa fase della sua carriera<br />

perché in questo periodo inizia<br />

la crisi ideologica della sinistra italiana<br />

(la palombella è il gesto tecnico<br />

del “pallonetto”) e la scissione permanente<br />

del Partito Comunista con<br />

la svolta della “Bolognina” del 1991.<br />

Moretti<br />

Si parla della memoria perduta attraverso<br />

un riaffiorare di ricordi confusi<br />

ed una realtà che non riesce a comprendere<br />

(il PD ne sa qualcosa…).<br />

La conclusione della serata è stata affidata<br />

a due opere recenti e piuttosto<br />

famose di Moretti: “Il caimvano” e<br />

“Habemus Papam” che segnano il ritorno<br />

con Piersanti.<br />

La prima riporta alla luce la figura di<br />

Berlusconi attraverso i vizi degli italiani<br />

e il consumismo sfrenato definito<br />

come “berlusconismo.”<br />

Nella sua ultima opera,terribilmente<br />

attuale viste le dimissioni del Papa,<br />

Moretti ha preferito glissare l’argomento<br />

raccontando quanto fosse difficile<br />

per un’artista raccontare la crisi<br />

di una guida spirituale così importante.<br />

In ogni caso è il tema dell’impegno<br />

politico, del comunismo a fare da<br />

leone in questa serata: non a caso<br />

chiude con il finale de “Il caimano”<br />

in cui afferma che la sinistra non<br />

KINO&VIDEO<br />

No,<br />

solo conquistate<br />

Una riflessione cinefila sulla violenza<br />

di genere<br />

Il profeta<br />

al Verdi<br />

vince “perché è triste” e non ha dà<br />

speranza ai suoi elettori.<br />

Ecco che allora riecheggia il “noi<br />

siamo una forza come le altre: siamo<br />

uguali, anche se siamo diversi” di<br />

“Palombella Rossa” dove Moretti ricorda<br />

a tutti di essere un artista difficile,estremamente<br />

critico,a volte<br />

contorto, ma completo. Ricordatevi<br />

che parla sinceramente a noi come<br />

un amico: non a caso il cuore è a sinistra…<br />

E i numerosi e fragorosi applausi finali<br />

confermano la mia tesi…<br />

No<br />

n<br />

sabato 16 marzo 2013<br />

o<br />

21 PAG.12<br />

con fatica oggi tornano ad<br />

essere rimesse in discussione come se si<br />

dovesse partire sempre da capo. E forse<br />

è veramente così, forse ogni generazione<br />

ha bisogno di sviluppare autonomamente<br />

il proprio sistema di valori. Ma in<br />

nessuna occasione è tanto vero come nel<br />

caso della violenza contro le donne. Era<br />

il 1988 e nella sala semideserta io acquisivo<br />

una nuova consapevolezza dai dialoghi<br />

del film Sotto accusa, di Jonathan<br />

Kaplan, che oggi sembrano antiquariato<br />

cinefilo. Eppure quelle situazioni tornano<br />

oggi con la forza di una rivelazione<br />

rinnovata poiché contengono un frammento<br />

della consapevolezza che ormai<br />

abbiamo perso. Per la verità non lo ritengo<br />

un grandissimo film dal punto di<br />

vista formale ma nonostante questo è<br />

una delle riflessioni che ha maggiormente<br />

influenzato la mia idea sui rapporti<br />

di genere. La storia è ispirata ad un<br />

fatto autentico, avvenuto nel Massachusetts<br />

nel 1983, di cui fu vittima Cheryl<br />

Araujo che nel film diventa Sarah Tobias,<br />

interpretata dal premio Oscar Jodie<br />

Foster. Cheryl aveva 21 anni quando fu<br />

stuprata da quattro uomini su un tavolo<br />

da biliardo mentre gli altri avventori<br />

guardavano e incitavano la violenza. Ma<br />

al di là di questa circostanza odiosa ricordo<br />

che fu la fase processuale, descritta<br />

nel film, a suscitare la mia<br />

attenzione perché illustrava la dinamica<br />

di colpevolizzazione della vittima, quella<br />

stessa colpevolizzazione che oggi vediamo<br />

sempre più spesso insinuarsi nel<br />

dibattito pubblico e politico. Il processo<br />

di colpevolizzazione avviene quando la<br />

vittima di un crimine è ritenuta parzialmente<br />

responsabile per l’aggressione da<br />

lei stessa subita. È un processo che si attiva<br />

indipendentemente dal fatto che la<br />

vittima abbia alcuna responsabilità reale<br />

per il crimine. Tale comportamento si<br />

sviluppa soprattutto in un contesto razzista,<br />

sessista o classista ma, come afferma<br />

uno studio del Bollettino<br />

dell’Organizzazione Mondiale della Sanità,<br />

esiste in forma semiufficiale in<br />

molti paesi del mondo occidentale. La<br />

protagonista della storia veniva presentata<br />

come una donna contradditoria e<br />

sessualmente provocatoria nei confronti<br />

degli uomini che la avrebbero poi aggredita.<br />

Ciò che cominciai a capire in quel<br />

cinema fu che una donna in qualsiasi<br />

momento, anche a rapporto iniziato, ha<br />

il diritto inalienabile di dire di no. Capii<br />

che una donna seminuda, anche se<br />

viene sanzionata per offesa al pubblico<br />

pudore, mantiene il diritto di non essere<br />

aggredita sessualmente. Capii che uno<br />

stupro rimane uno stupro anche se la<br />

vittima è ubriaca e drogata. Capii che<br />

una scollatura generosa o una gonna<br />

succinta sono un invito ad apprezzare il<br />

corpo di una donna ma non una concessione<br />

a farne ciò che si desidera.


CU .com<br />

O<br />

Le storie di Pam<br />

NUVOLETTE<br />

n<br />

sabato 16 marzo 2013<br />

o<br />

21 PAG.13<br />

www.martinistudio.eu


CU .com<br />

O<br />

di Giovanna Lazzi<br />

b-ricc@beniculturali.it<br />

La Biblioteca Riccardiana deve la<br />

sua assoluta particolarità al rapporto<br />

imprescindibile tra lo<br />

splendido patrimonio che conserva<br />

e il suo splendido contenitore, il<br />

Palazzo Medici Riccardi.<br />

I Riccardi, se non potevano vantare antiche<br />

origini nobiliari potevano tuttavia<br />

contare già nel XVI secolo su un<br />

ottimo reddito a cui si univano interessi<br />

culturali vivaci, sostanziati da una<br />

raffinata competenza. In virtù di queste<br />

felici congiunture si venne costituendo<br />

una delle più interessanti e<br />

preziose collezioni fiorentine, che, pur<br />

con alterne vicende, è giunta intatta<br />

fino ai nostri giorni<br />

Il momento di maggior prestigio fu<br />

raggiunto nel 1659 con l’acquisto, per<br />

40.000 scudi, del Palazzo Medici, oggetto<br />

subito di lavori di restauro e di<br />

trasformazione, sotto la guida degli architetti<br />

Ferdinando Tacca, Pier Maria<br />

Baldi, Giovan Battista Foggini, che si<br />

avvicendarono dalla morte di Gabriello,<br />

nel 1675, all’arrivo di Francesco,<br />

che fece dipingere da Luca<br />

Giordano la volta della biblioteca e il<br />

soffitto del salone tra il 1682 e il 1685.<br />

I due magnifici locali erano stati pensati<br />

insieme come un tutto unico, in<br />

modo che il gusto artistico si coniugasse,<br />

attraverso il complesso programma<br />

illustrativo, con il sapere e la<br />

conoscenza intellettuale. Quando già<br />

il dissesto economico conduceva ad un<br />

inevitabile declino, il desiderio di riunire<br />

le librerie personali di tutti i membri<br />

della famiglia spinse, infine,<br />

Gabriello Riccardi ad ulteriori acquisti<br />

di fabbricati che consentirono nel<br />

1786 la costruzione dell’ultima sala<br />

della biblioteca.<br />

Nel corso dei delicati recenti restauri<br />

conservativi, che hanno interessato le<br />

scaffalature, sono emersi dettagli che<br />

la polvere e il tempo avevano offuscato.<br />

Nell’attuale Sala di studio, tornata a<br />

splendere nella sua rigorosa bellezza<br />

grazie alla riacquistata vivacità dell’oro,<br />

la tinta rosa carico dei fondi recuperata<br />

insperatamente, conferisce una nota di<br />

elegante contrasto cromatico. Ancor<br />

più sorprendente il restauro dell’attuale<br />

Sala di Direzione che ha consentito,<br />

dopo la pulitura, di poter<br />

ammirare in tutta l’eleganza del nitore<br />

classico le librerie tornate del color<br />

marmo bianco di Carrara con tutte le<br />

sue venature, in luminoso contrasto<br />

con l’oro e i delicati toni pastello chiarissimi<br />

della volta.<br />

Un momento nodale, anche per il suo<br />

collegamento con il restauro attuale, fu<br />

la riapertura al pubblico nel 1942. Proprio<br />

in piena guerra la Riccardiana, già<br />

chiusa da molti anni, venne riaperta<br />

con una solenne cerimoni alla presenza<br />

del ministro Bottai, dopo una<br />

serie di interventi di veloce ripulitura,<br />

atti, comunque, a conferire un aspetto<br />

lindo e rinnovato agli ambienti. La vernice<br />

a spirito con olio stesa su tutte le<br />

zone lignee ha provocato nel tempo<br />

una patina giallastra, che ha alterato la<br />

ICON<br />

a cura di Aldo Frangioni<br />

aldofrangioni@live.it<br />

La 2.18 Gallery ospita nuovamente<br />

un’artista donna la quale ha trasformato<br />

la bacheca in una galleria d’arte. Jochamowitz,<br />

non curante dello spazio esiguo<br />

a sua disposizione ha presentato<br />

sei opere di formato e tecniche diverse.<br />

Tre dipinti a olio su tela e tre sagome su<br />

carta colorata.<br />

Lucy ci racconta “é la prima volta che<br />

mi capita di esporre in strada, così mi è<br />

parso naturale essere per prima il passante<br />

della strada.Camminare, vagabondare<br />

e perdersi e ritrovarsi.<br />

Dove siamo diretti? La vita come viaggio,<br />

non come ricerca di un luogo geografico,<br />

non come nostalgia di un<br />

posto, una attraversata alla scoperta...<br />

sempre alla ricerca di se stessi. Alla do-<br />

ODORE DI LIBRI<br />

10 anni<br />

di restauri<br />

alla<br />

leggibilità e la conservazione della delicata<br />

tinteggiatura originaria ed è stata<br />

rimossa consentendo di recuperare appieno<br />

la raffinatezza dell’ambiente.<br />

Nell’affresco con Ercole al bivio sono<br />

stati rilevati danni evidenti dovuti all’umidità,<br />

che aveva provocato distacchi<br />

delle dorature e diffuse sgorature<br />

sulle superfici pittoriche, dovute ai canali<br />

di scarico, forati o ostruiti, del Laboratorio<br />

appartenente all’Ufficio<br />

Igiene e Profilassi della Provincia, poi<br />

rimosso in altra parte dell’edificio.<br />

Lucy Jochamowitz espone<br />

alla 2.18 Gallery<br />

manda che pone Novalis ai camminanti,<br />

nell’ Enrico di Ofterdingen: dove<br />

siete diretti? La risposta è sempre verso<br />

casa.<br />

Ancora una volta Lucy Jochamowitz<br />

nota per le sue opere dalle gonne<br />

ampie di dimensioni e materiali vari e<br />

per la sua continua ricerca artistica che<br />

sviluppa il tema della migrazione e<br />

dell’esodo come processo di evoluzione<br />

umana ha saputo ispirare stupire<br />

tutti coloro che per caso o per scelta<br />

passano davanti alla piccola vetrina.<br />

2.18 Gallery nasce da un’idea di Tommaso<br />

Mei e Andrea Belacchi. Lo spazio,<br />

di 114x64 cm, è una bacheca in<br />

precedenza utilizzata per annunci immobiliari<br />

e pubblicitari. L’idea nasce<br />

n<br />

sabato 16 marzo 2013<br />

o<br />

21 PAG.14<br />

Nella mostra si è voluto costruire un<br />

percorso atto a testimoniare il prezioso<br />

patrimonio custodito dalla Biblioteca.<br />

Oltre a oggetti importanti provenienti<br />

da collezioni private, sono presenti<br />

anche il disegno preparatorio dell’affresco<br />

di Ercole al bivio e il bozzetto di<br />

quello della Caduta dei Giganti, conservati<br />

presso la Biblioteca degli Intronati<br />

di<br />

Siena e la<br />

Pinacoteca<br />

senese, entrambiinediti.<br />

Il<br />

destino e le<br />

fortune della famiglia Riccardi e della<br />

città intera si leggono in filigrana nel<br />

muto ma efficace linguaggio dei libri,<br />

che spaziano in campi diversi dagli autografi<br />

eccellenti agli splendidi codici<br />

miniati, rarità bibliografiche manoscritte<br />

e a stampa, codici orientali fino<br />

alle curiose tavolette polinesiani.<br />

Lungi dall’esser un pezzo da museo la<br />

biblioteca è utilizzata ora come lo era<br />

nella volontà dei Marchesi e il non aver<br />

perduto la sua funzione è il grande motivo<br />

di interesse.<br />

Riccardiana<br />

dall’esigenza di rispondere alla domanda:<br />

quanto spazio serve per contenere<br />

un’idea?<br />

Occupare uno spazio per sua natura<br />

commerciale e farlo diventare una galleria<br />

d’arte contemporanea, una possibilità<br />

per interpretare il concetto di<br />

trasformazione. Una metamorfosi non<br />

solo dello luogo, che acquista un altro<br />

valore, ma anche dello stesso termine<br />

"galleria". Infatti, questa sarà la linea curatoriale,<br />

dove ogni artista sarà tenuto a<br />

realizzare formule ed idee differenti<br />

per questo minuscolo spazio, affacciato<br />

sul corso di una città di provincia, in cui<br />

l’opera, proprio per la singolarità del<br />

luogo sarà fruibile ventiquattro ore su<br />

ventiquattro.


CU .com<br />

O<br />

di Marco Pacioni<br />

pacionim@gmail.com<br />

Non tanto la vita come opera<br />

d’arte, che in fondo è soltanto la<br />

parodica continuazione di un itinerario<br />

etico e cioè di una vita<br />

che si sforza di entrare in una forma, in<br />

una perfezione. Per il personaggio del racconto<br />

fantastico del 1902 di Alfred Jarry,<br />

Il supermaschio (trad. it. e postfazione di<br />

Giorgio Agamben, prefazione di Sebastiano<br />

Vassalli, pp. 146, euro 16) è invece<br />

in gioco un’arte – dunque una forma –<br />

che vuole mimetizzarsi nella vita e, più<br />

specificamente, nella vitalità senza la<br />

Voi che popolate questi luoghi<br />

sappiate che la fine si avvicina a<br />

grandi falcate...<br />

l’odiato secolo dei lumi troverà fine<br />

atroce<br />

quale l’arte, proprio perché perfetta, ap- tornerà l’Oscurità.<br />

pare morta. In questa storia, la vitalità èLe<br />

vostre anime fluttueranno nel<br />

evocata dalla potenza sessuale che nessunnero<br />

inchiostro e nell’incertezza di<br />

atto riesce definitivamente a concludere; non sapere<br />

mentre la morte è esorcizzata dallo scuo- Il succo della lussuria dei vostri catimento<br />

del riso. Quelli di Jarry sono giàpezzoli<br />

sarà l’olio che alimenterà la<br />

personaggi, attori in cerca di situazioni epira<br />

delle vostre anime<br />

di persone in cui incarnarsi. (In tal sensola<br />

Paura figlia legittima dell’Oscu-<br />

il riflesso autobiografico dei personaggirità,<br />

signora incontrastata del<br />

di Jarry va cercato in senso inverso acreato,<br />

vi strapperà la coscienza e la<br />

quello consueto dell’autobiografia e cioèdignità<br />

dai personaggi allo scrittore, dalla possi- diventerete delle glabre e pallide<br />

bilità alla realtà). Tutti i travestimenti dilarve<br />

in attesa del Tempo sotto un<br />

Jarry e soprattutto del suo personaggioplumbeo<br />

cielo sulfureo<br />

più presente e famoso della sua opera edimenticandovi<br />

il mondo com’era<br />

cioè Ubu, tutte le performance sulla pagina<br />

e quelle fatte in società sono modi<br />

nei quali il protagonista vuole aprire la sua L’APPUNTAMENTO<br />

forma ad una vitalità o energia che si<br />

sciolgono nella vita stessa. Ed è per questo<br />

che quelli di Jarry sono personaggi iperreali.<br />

Essi cioè non prendono atto della<br />

realtà, ma fanno prendere realtà ai loro<br />

atti. Nella prepotente entrata dell’arte Dal 16 marzo al 25<br />

nella vita che propongono, l’esistenza di- mgggio La Galleria<br />

venta un palcoscenico potenziale e con- Poggiali e Forconi<br />

tinuo. Jarry, Ubu, Faustroll, e Marcueil (Via della Scala,<br />

sono già personaggi costruiti che ormai 35/A Firenze) pre-<br />

non possono tornare indietro dalla loro senta Deficit / The<br />

forma che possono solo potenziare e dis- Lack, a cura di Gaia<br />

sipare. Essi sono sempre interpreti di ciò Serena Simionati una<br />

che accoglie anche l’opposto e che dun- mostra che mette in<br />

que forza i propri confini. È in tal senso dialogo, in un pro-<br />

che Jarry è un precursore del surrealismo, getto appositamente<br />

l’iniziatore della patafisica, il profanatore concepito, le opere di<br />

della fisica e della metafisica.<br />

Harun Farocky,<br />

Ma di là della più scontata parentela con David Michalek e il<br />

quelli del surrealismo, Bouvard e Pécu- giovanissimo Krzychet<br />

di Flaubert, Pinocchio, gli aiutanti stoz Klusik, che<br />

del Castello di Kafka, Bartleby di Mel- espongono per la<br />

ville, sono alcuni dei personaggi con i prima volta in Italia.<br />

ODORE DI LIBRI<br />

Supermaschio<br />

del padre della patafisica<br />

LA PAROLA<br />

Aspettando il neo-medio-evo<br />

di David Parrini<br />

davetto@hotmail.com<br />

prima della catarsi.<br />

Piangerete lacrime di sangue a<br />

causa di nuovi e selvaggi dei che ri-<br />

Poggiali e Forconi in Deficit<br />

n<br />

sabato 16 marzo 2013<br />

o<br />

21 PAG.15<br />

quali quelli di Jarry hanno molto in comune:<br />

di quella che si potrebbe definire,<br />

con un’espressione presa dalla sperimentazione<br />

del gruppo francese dell’OuLiPo,<br />

letteratura potenziale. Cioè quella che si<br />

dà una forma per dilatarne gli estremi e<br />

renderli intercambiabili; dove il riso diventa<br />

una cosa seria e il tragico ha la sua<br />

catarsi in una risata.<br />

Nella sua irrisolvibile ambiguità il personaggio<br />

di Jarry è da un lato l’estremo del<br />

superuomo di Nietzsche e dall’altro<br />

l’estremo del personaggio fumettistico di<br />

Superman, come sottolinea Agamben<br />

nella postfazione. Facendo il paragone<br />

all’indietro, il Supermaschio può essere<br />

però anche visto come una sorta di Prometeo<br />

senza più dèi ai quali opporsi e che<br />

ora combatte con quella stessa energia,<br />

tecnica, vigore con i quali la modernità<br />

ha avuto ragione dei numi. Il Supermaschio,<br />

in altre parole, combatte contro se<br />

stesso e fino alla morte.v<br />

prenderanno forma dalla natura<br />

e rimpiangerete amaramente il Dio<br />

che avevate prima<br />

i vostri bit, uno a uno, diverranno<br />

punte arrugginite montate su collane<br />

che ghermiranno i vostri colli<br />

vi dimenticherete della Storia e<br />

dello scorrere del tempo vivendo la<br />

vostra non vita in bianco e nero<br />

come un eterno attimo senza fine e<br />

senza futuro.<br />

La vostra bellezza si conterà sulle<br />

vostre costole<br />

il soffio gelido della morte vi passerà<br />

vicino a monito delle vostre<br />

città trasformate in vuoti, silenziosi<br />

e ventosi colombari<br />

segno di una nuova umanità che indicherà<br />

con dita scarne e rassegnate<br />

la propria matrigna sorte<br />

che ormai avrete imparato a chiamare<br />

per nome: Oscurità.


CU .com<br />

O<br />

di Roberto Giacinti<br />

rogiaci@tin.it<br />

Giunto alla quarta edizione,<br />

segno dell’interesse per l’iniziativa<br />

tra il ludico ed il serio, la<br />

consegna del premio “Quarta<br />

di copertina - Autori senza vergogna”, è<br />

avvenuta il 21 febbraio al Teatro Cantiere<br />

Florida nel corso di una serata affollata<br />

e goliardica. La premiazione<br />

moderata dall’urologo Nicola Mondaini,<br />

ideatore e presidente del premio,<br />

e stata allegramente copresentata da<br />

Antonio Cilotti e Franco Legni, quest’ultimo<br />

da alcuni giorni in libreria con<br />

“Io Nichi Moretti” (Curiosando Editore)<br />

che si preannuncia come romanzo<br />

cult del 2013.<br />

La quarta di copertina è la carta d’identità<br />

di un libro, la prima cosa che si<br />

legge per capire il libro prima di comprarlo,<br />

spesso purtroppo è anche uno<br />

specchietto per le allodole: ecco perché<br />

il Premio affronta irriverentemente le<br />

presentazioni del libro.<br />

Il professor Giuseppe Benelli, già presidente<br />

del celebre Premio Bancarella,<br />

ha sottolineato come “non sarà forse il<br />

premio letterario più importante, ma è<br />

senza dubbio il più divertente”.<br />

Tre le giurie: quella “illetterata”, formata<br />

da professionisti che scherzosamente<br />

hanno dichiarato di non aver<br />

acquistato nè letto un libro nell’ultimo<br />

anno) presieduta dal radiologo Paolo<br />

Lucibello; una “tecnica”, presieduta dal<br />

professor Massimo Ruffilli; una di<br />

“giornalisti”, presidente Andrea Vignolini<br />

(Lady Radio).<br />

Gli autori, dopo una breve presentazione,<br />

si sono affrontati sul palco del<br />

Teatro Cantiere Florida di Firenze, a<br />

colpi di reciproche contumelie, cercando<br />

di convincere le giurie sfottendo<br />

il libro avversario e mirando all’applauso<br />

più forte quale segno del gradimento<br />

del pubblico. L’ambito<br />

riconoscimento è andato a Paolo Cammilli,<br />

esordiente giovane romanziere,<br />

già semifinalista al Campiello, con il romanzo<br />

d’esordio Maledetta Primavera<br />

(Portoseguro Editore).<br />

Una vicenda ispirata ad un fatto reale,<br />

un thriller sottile che sullo sfondo di<br />

un’Italia che vuole apparire, credendo<br />

che ciò che conta è solo essere giovani<br />

e belli, disegna un’indimenticabile storia<br />

d’amore vissuta tra ferocia e dolcezza.<br />

Ad assegnare il riconoscimento la<br />

Onlus fiorentina Save The City - Firenze<br />

nel cuore, presieduta dall’avvocato<br />

Alessandro Tarducci che ha<br />

dichiarato che l’incasso della serata sarà<br />

devoluto al Comitato “Artisti Oltrarno”<br />

con lo scopo di riqualificare Piazza<br />

Santo Spirito con adeguate opere<br />

d’arte.<br />

Hanno partecipato con simpatia e<br />

gioco altri sette finalisti.<br />

Nella categoria ricette-culinarie è stato<br />

premiato “Mangia Bene che Ti Passa”<br />

(Sassoscritto Editore) di Valentina<br />

Guttadauro, nutrizionista fiorentina<br />

che simpaticamente si è battuta con il<br />

curatore del volume fuori commercio<br />

“I dolci della Compagnia di Babbo Na-<br />

ODORE DI LIBRI<br />

Quarta copertina<br />

il premio letterario<br />

tale”, edito solo per finalità benefiche.<br />

Per la Poesia vincitore l’avvocato Giuseppina<br />

Abbate con “Ad ogni lacrima<br />

una gemma” (edizioni Carta e Penna).<br />

ODORE DI LIBRI<br />

Il libro di Francescomaria Tedesco<br />

Eccedenza sovrana, pubblicato dall’editore<br />

Mimesis, è un percorso teorico<br />

nella sovranità moderna, con<br />

l'orecchio teso a quei segnali critici<br />

che nella storia hanno segnalato la<br />

debolezza del potere, la sua fragilità,<br />

il suo bisogno di riconoscimento da<br />

parte dei sudditi prima e dei cittadini<br />

più divertente<br />

n<br />

sabato 16 marzo 2013<br />

o<br />

21 PAG.16<br />

Il potere è “creato” dai sudditi<br />

a cura di Aldo Frangioni<br />

aldofrangioni@live.it<br />

CIAO PAOLO...<br />

...grazie per quanto hai fatto con la Galleria L’Indiano<br />

Paolo Marini alla Mostra di Leopoldo Pasciscopi alla Palazzina Mangani a Fiesole<br />

(2003)– (foto Paolo della Bella)<br />

poi.<br />

Questi segnali sono come dei lampi<br />

sinistri che hanno rischiarato, anche<br />

solo per un attimo, le vicende del potere<br />

sovrano, hanno raccontato di<br />

che lacrime grondi, e di che sangue,<br />

lo scettro, come ricorda Ugo Foscolo<br />

nei Sepolcri meditando a proposito<br />

di Machiavelli. Ed è proprio il Segretario<br />

fiorentino, a cinquecento anni<br />

dal Principe, uno dei protagonisti del<br />

libro. Poiché egli, attraverso l’interpretazione<br />

che ne diedero prima gli<br />

ugonotti francesi e poi gli inglesi<br />

anche per il tramite del teatro elisabettiano,<br />

venne considerato come<br />

l’arcidiavolo della politica, intesa<br />

come Male, come truffa, come inganno:<br />

la rappresentazione plastica<br />

di ciò che la politica non avrebbe dovuto<br />

essere. Da dove veniva quest’immagine?<br />

Anche dalla fama degli<br />

italiani che Caterina de’ Medici si era<br />

portata a corte, e che nella pubblicistica<br />

politica dell’epoca si diceva fossero<br />

responsabili di più morti di<br />

quanti ne avessero fatti il veleno dei<br />

serpenti, la crudeltà delle tigri, leopardi,<br />

coccodrilli, linci, orsi e altri<br />

voraci animali in tutti i tempi dalla<br />

creazione.<br />

Ma quei lampi sinistri (come<br />

l’Étienne de la Boétie autore del<br />

Contr’Un) hanno messo in luce<br />

tutto questo, e hanno anche indicato<br />

una strada: il potere è tale perché<br />

trova l’obbedienza dei propri subalterni,<br />

persino delle proprie vittime,<br />

fino a quelle condannate a morte. Il<br />

potere esiste solo nella misura in cui<br />

viene ‘creato’ dai sudditi.<br />

Tedesco chiama, prendendo a prestito<br />

una terminologia teologica e<br />

fondendola con la politica, questo<br />

meccanismo ‘teurgia politica’, perché<br />

proprio come per la dottrina cabbalistica,<br />

ma anche gnostica e neoplatonica,<br />

della teurgia (insufflare<br />

attraverso pratiche la divinità in un<br />

essere inanimato), lo Stato esiste<br />

solo nella misura in cui i cittadini gli<br />

tributano gloria, lo glorificano. Se<br />

Dio è pieno di gloria, perché glorificarlo?<br />

Se lo Stato è il potere sovrano<br />

superiorem non recognoscens,<br />

perché esso necessita di consenso<br />

perfino da parte delle vittime che<br />

mette a morte con la pena capitale?<br />

Queste alcune delle questioni trattate,<br />

per le quali l’autore si serve icasticamente<br />

di un personaggio di<br />

Shakespeare, l'ubriacone e assassino<br />

Barnardine di Misura per misura, il<br />

quale – messo a morte – si rifiuta di<br />

morire, e non morirà, consentendo a<br />

Barnardine di farsi sovrano a sua<br />

volta.<br />

Questo libro di Tedesco tiene insieme<br />

teoria del diritto, filosofia, politica,<br />

letteratura, in un vorticoso<br />

turbinio di suggestioni cui è sottesa<br />

un filo comune: l’idea che l’individuo<br />

possa e debba farsi ‘sovrano’,<br />

scegliendo la via dell’autonomia,<br />

anche quando essa significhi mettere<br />

in questione il potere dello Stato.


CU .com<br />

O<br />

di Francesco Rosetti<br />

rosetti10@hotmail.com<br />

Amante della pittura che punteggia<br />

continuamente con le sue<br />

citazioni la Recherche, Proust<br />

derivò buona parte della sua<br />

sensibilità estetica nei confronti del<br />

mondo dell’arte dallo studioso britannico<br />

John Ruskin, almeno in un primo<br />

momento della sua produzione. Ruskin,<br />

di tutti i critici dell’800 è quello<br />

che più insiste su una vera e propria<br />

svolta etica della critica d’arte. È ovvio<br />

che la prima sensibilità del critico inglese<br />

derivi dall’opera di Turner e<br />

quindi dalla temperie romantica, ma<br />

reinterpretata in una maniera affatto<br />

nuova e personale. Il sentimento romantico<br />

di una nostalgia dell’infinito,<br />

nel socialista utopico Ruskin si declina<br />

in un sentimento etico della verità che<br />

deve permeare di sé l’opera dell’artista.<br />

Una verità si badi bene che per il cristiano<br />

Ruskin è spirituale e non semplicemente<br />

oggettuale. Dunque la grande<br />

arte che il critico riconosce dall’architettura<br />

gotica alla pittura di Turner ai “primitivi”<br />

italiani si coniuga nel rapporto<br />

tra la mimesi e l’imitazione e la spiritualizzazione.<br />

Riletta in termini proustiani<br />

l’intuizione di Ruskin contrappone due<br />

movimenti opposti nella costruzione<br />

dell’opera d’arte. Da un lato la pittura<br />

cristallizza il reale nell’imitazione manuale<br />

artigianale, dall’altro la mimesis<br />

non è che il primo passo di un’operazione<br />

ben più creativa, metafisica. Il<br />

vero dominio dell’arte non sta nel visibile,<br />

ma nell’invisibile, non nell’oggetto,<br />

ma in quello che dell’oggetto sfugge alla<br />

comprensione razionale dell’occhio. Lo<br />

sguardo etico e spiritualista di Ruskin,<br />

si trasforma nello sguardo tout court<br />

spirituale di Proust, in un’accezione che<br />

però non può più dirsi religiosa. Se di<br />

venerazione può parlarsi nel corpus<br />

proustiano lo si può fare solo in nome<br />

di una religione dell’arte. È proprio<br />

l’aspetto soggettivo della ricerca artistica<br />

che schiude al pittore la scoperta di una<br />

verità filosofia ed estetica che superi i limiti<br />

dell’oggetto. Non è un caso che<br />

quasi tutti gli artisti citati da Proust nell’infinito<br />

corpo della Recherche siano o<br />

grandi decoratori, come Ghirlandaio e<br />

Carpaccio, oppure geni di una pittura<br />

pura, come Vermeer, Turner, Chardin e<br />

Wattaeu, esplicitino la loro sensibilità<br />

più nel gesto pittorico che nella qualità<br />

riproduttiva. È vero che Proust, col passare<br />

del tempo, si allontana da Ruskin,<br />

ma almeno un elemento rimane consustanziale<br />

a entrambi. Una pittura del<br />

soggetto spirituale non può prescindere<br />

dall’oggetto che però si carica di valenze<br />

intrinsecamente misteriose, di risonanze<br />

che lo collocano al di là della sua<br />

esistenza spazio-temporale. La scrittura,<br />

in questo senso, utilizza la pittura come<br />

chiave per schiudere una porta sulla rivelazione<br />

che l’oggetto mantiene in sé<br />

celata. Anche l’artificio di usare i nomi<br />

degli artisti spesso come declinazioni<br />

metaforiche o descrittive di un oggetto<br />

significa per Proust aprire la via all’interpretazione<br />

spirituale e soggettiva<br />

dell’oggetto stesso.<br />

ANGOLO PROUSTIANO<br />

Il dominio dell’arte<br />

sta nell’invisibile<br />

Proust e Ruskin<br />

n<br />

sabato 16 marzo 2013<br />

o<br />

21 PAG.17


CU .com<br />

O<br />

L’ULTIMA IMMAGINE<br />

Santa Clara University, Graduation Day 1972<br />

berlincioni@gmail.com<br />

n<br />

sabato 16 marzo 2013<br />

o<br />

21 PAG.18<br />

Stesso giorno, stesso<br />

evento, stesso Graduation<br />

Day! Dalla foto<br />

d’insieme della settimana<br />

scorsa a un dettaglio<br />

non meno<br />

importante! Alla fine<br />

della cerimonia,<br />

quando quasi tutti i<br />

neolaureati, gli amici e<br />

le rispettive famiglie si<br />

sono spostati verso i tavoli<br />

del rinfresco, con la<br />

coda dell’occhio noto<br />

una coppia nera, madre<br />

e figlio, che stanno posando<br />

per la foto ricordo<br />

che il padre sta<br />

scattando. Sono un po’<br />

in ritardo per i drink ma<br />

registrare il momento è<br />

importante. Il padre<br />

scatta con metodo, si<br />

capisce che dev’essere<br />

un bravo fotoamatore.<br />

La camera è una Nikon<br />

F ultimo modello come<br />

la mia e lui la maneggia<br />

con maestria. Il figlio<br />

guarda in macchina con<br />

aria serena e rassicurante.<br />

La madre nota la<br />

mia presenza e, dietro ai<br />

suoi occhiali scuri<br />

guarda me, un bianco<br />

che sta immortalando il<br />

momento di gloria di<br />

suo figlio, certificazione<br />

di un salto di qualità<br />

che gli permetterà, almeno<br />

si spera, di accedere<br />

a un mondo<br />

migliore e<br />

meno discriminatorio.<br />

Dall’archivio di Maurizio Berlincioni

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