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Ragguaglio d'un'adunanza dell'accademia de ... - Diesse Firenze

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<strong>Ragguaglio</strong> <strong>d'un'adunanza</strong> <strong><strong>de</strong>ll'acca<strong>de</strong>mia</strong> <strong>de</strong>' pitagorici<br />

(brani scelti)<br />

ATTI DELL'ACCADEMIA DE PITAGORICI<br />

Lettera <strong>de</strong>ll'autore agli estensori <strong>de</strong>l giornale intitolato:<br />

"Annali di Scienze e Lettere"<br />

Signori,<br />

Mentr'io continuava a raccogliere documenti e materia per la Storia universale <strong>de</strong>lle Acca<strong>de</strong>mie,<br />

lessi nel numero IV <strong>de</strong>l vostro giornale, a pagina 63, la seguente notizia: L'Acca<strong>de</strong>mia <strong>de</strong>' Pitagorici<br />

é in Milano. Non ha biblioteca, né archivio, né sala, né casa, né cassa, né corrispon<strong>de</strong>nti, né statuti,<br />

né carta, né penna, né calamaio. Non fa elezioni, non dà patenti, non manda inviti, non pubblica<br />

memorie, non diffon<strong>de</strong> programmi, non promette medaglie né premi. S'aduna da più anni tutte le<br />

sere. Sie<strong>de</strong> pubblicamente. Ha un presi<strong>de</strong>nte, un contropresi<strong>de</strong>nte, un secretario perpetuo, un<br />

archivista, un tesoriere, due uscieri, un capo d'opposizione, un araldo e un geografo che fa bene il<br />

caffè. Tutti questi per altro sono, tranne il geografo, sí poco autorevoli e necessari, che l'acca<strong>de</strong>mia<br />

s'aduna sovente senz'essi. Tratta di scienze, di lettere, d'arti, d'aneddoti e d'uomini; spesso<br />

benissimo, spesso malissimo, ma non mai mediocremente, e per lo piú schiamazzando. Chi piú<br />

interrompesi concilia assai piú gli uditori; e chi non sapesse leggere sarebbe tenuto piú veritiero.<br />

Dagli uomini gravi, che <strong>de</strong>si<strong>de</strong>ravano un po' di silenzio, l'acca<strong>de</strong>mia fu ironicamente <strong>de</strong>tta <strong>de</strong>'<br />

Pitagorici: e perché da molti anni non aveva nome veruno, accettò questo dagli uomini gravi. La sua<br />

impressa, benché non disegnata né incisa, rappresenta un branco di cagnoletti levrieri che saltano e<br />

schiattiscono e guizzano intorno a certi vecchi cagnacci sdraiti per poltroneria e che fingono<br />

gravità; ma i levrieri non toccano mai l'osso che i cagnacci stanno ro<strong>de</strong>ndo. Le questioni<br />

nell'acca<strong>de</strong>mia nasconon a caso, e al dí seguente sono obbliate. Si trattano seriamente, e non<br />

finiscono se non quando tutti i membri si danno a ri<strong>de</strong>re. Ridono di tutto e di cuore; e quando ne'<br />

pochi minuti di silenzio si guardano tra loro, ridono di se stessi. [...]. Chiunque volesse ascriversi<br />

all'acca<strong>de</strong>mia, vadavi, e sieda insalutante e insalutato nel primo seggio acca<strong>de</strong>mico che gli si para<br />

vacuo dinanzi. Gli obblighi <strong>de</strong>ll'acca<strong>de</strong>mico pitagorico sono sette:<br />

1) Che parli più che non ascolti<br />

2) Che sia ridicolo, o che faccia gli altri ridicoli.<br />

3) Che si puntigli nelle opinioni, ma non mai per le burle che gli fossero <strong>de</strong>tte o fatte.<br />

4) Che alla sua volta scommetta, perché l'adunanza goda di più sorbetti.<br />

5) Che, senza esagerare né susurrare all'orecchio <strong>de</strong>gli uomini gravi, ridica dappertutto ciò che si é<br />

fatto e s'é <strong>de</strong>tto nell'acca<strong>de</strong>mia.<br />

6) Che, s'egli é in amore, non ne faccia vista nell'acca<strong>de</strong>mia, non ne scriva in rime alla sua<br />

innamorata, e non faccia in pubblico da servente.<br />

7) Ch'ei possa tempestare in favore d'ogni umana colpa e miseria, foss'anche per l'impresa <strong>de</strong>gli<br />

spettacoli; ma che non apra mai labbro a discolpa I) <strong>de</strong>' vendifumo; II) di chi sa bene un mestiere e<br />

lo esercita male; III) di chi sa male un mestiere e sa farsi pagare e lodare come se ne fosse maestro.


L'acca<strong>de</strong>mia ha riconosciuto che la bile contro queste tre pesti <strong>de</strong>l mondo, le ha talvolta impedito di<br />

ri<strong>de</strong>re.<br />

Or io, ve<strong>de</strong>ndo quanto quest'Acca<strong>de</strong>mia differisse in tutto dalle altre, mi sono <strong>de</strong>liberato di<br />

pubblicare a parte in un discreto volume Gli Atti <strong>de</strong>' Pitagorici, <strong>de</strong>sunti da molte indagini diligenti e<br />

dall'adunanza tenuta la sera <strong>de</strong>gli 8 maggio 1810. Io stava scrivendo, quando una gazzetta milanese<br />

inserì sotto il nome <strong>de</strong>' Pitagorici una diatriba contro l'autore <strong>de</strong>ll'articolo su l'Odissea stampato nel<br />

vostro giornale. Ma l'Acca<strong>de</strong>mia nell'adunanza <strong>de</strong>' 15 maggio, dichiarando apocrifa la novella <strong>de</strong>lla<br />

gazzetta, svelò quanto veleno contenga una stilla d'inchiostro, e trattò varie questioni sopra i<br />

costumi <strong>de</strong>' letterati.<br />

Ho quindi stimato opportuno di narrare in una digressione anche il ragguaglio di questa adunanza, e<br />

di parteciparlo a voi [...].<br />

RAGGUAGLIO D'UN'ADUNANZA DELL'ACCADEMIA DE' PITAGORICI<br />

[…]<br />

L'Araldo leggeva — Finalmente dopo aver data qualche morsicata al Brazzuolo, traduttore d'<br />

alcuni idilli greci, si lagna di quei pessimi suoi fratelli letterati, i quali hanno sempre ragione<br />

appunto perché non danno mai torto a veruno. —<br />

Or un Acca<strong>de</strong>mico giovinotto, che non aveva veduto l'articolo su l'Odissea, criticato nel Corriere<br />

Milanese, s'era dal Geografo fatta prestare una <strong>de</strong>lle copie <strong>de</strong>gli Annali spettanti ad alcuni<br />

Acca<strong>de</strong>mici, e senza atten<strong>de</strong>re a' discorsi <strong>de</strong>' Pitagorici, l'andava sotto alla lucerna leggendo. Così<br />

egli solea fare ogni sera con ogni libro che gli ca<strong>de</strong>a sotto l'occhio. E poiché, leggendo sempre, non<br />

poteva ascoltare gran fatto, non fu da veruno incolpato s'ei parlava pochissimo. Ed era egli giunto al<br />

passo <strong>de</strong>gli Annali, citato dal Gazzettiere, mentre appunto l'Araldo lo recitava, on<strong>de</strong>, mettendo una<br />

voce di maraviglia : - State ad udire! - esclamò - state tutti ad udire - E quando a Dio piacque che lo<br />

ascoltassero, lesse : «S'incontrano in questo mondo certi caratteri che sembrano gli originali da cui<br />

Molière trasse il Misantropo; sono ridicoli a un tempo e stimabili. E tra questi, quando non vanno<br />

agli estremi, si può vivere più lietamente e con più fiducia che tra tutti gli altri figliuoli d'Adamo. »<br />

- Parla di noi - dissero due o tre Pitagorici.<br />

«Ma» continuò l' Acca<strong>de</strong>mico giovinotto leggendo «ma i pessimi tra' nostri fratelli sono que' savi<br />

circospetti che hanno sempre ragione appunto perché non danno torto a veruno. »<br />

// contro Presi<strong>de</strong>nte — E questa tiritera rifritta che c'entra?<br />

L'Acca<strong>de</strong>mico giovinotto — Ma perché mai l' Autore <strong>de</strong>ll' articolo Varietà levò al testo ch'ei cita, le<br />

parole di savi circospetti, e ci pose l'altra di letterati?<br />

Più Pitagorici — Perché l' Autore <strong>de</strong>lle Varietà avrà anch'egli <strong>de</strong>tto : Parla di noi.<br />

- Vedi ! — disse l'Acca<strong>de</strong>mico giovinotto, e seguitò a leggere.<br />

L'Acca<strong>de</strong>mico canuto — Parmi che per maggior frutto o men danno di quella massima, per onore o<br />

disonore di chi la scrisse, la non doveva diventar privilegio <strong>de</strong>' letterati, bensì lasciarsi come stava<br />

nel testo, a tutti i fratelli in Adamo. Ma i letterati si frodano e si fro<strong>de</strong>ranno sempre citando.<br />

- E perché? — domandò l'Acca<strong>de</strong>mico giovinotto, che stava con gli occhi sul libro, e talvolta con<br />

l'orecchio al discorso ch' egli avea suscitato.<br />

Il Segretario — Perché.... E se tu non avessi al solito fatto il dotto qui <strong>de</strong>ntro, ed il filosofo in<br />

visibilio, l'avresti udito assai prima il perché.<br />

- Ma io - replicò scolpandosi il giovinotto - <strong>de</strong>vo pure affrettarmi a leggere questo giornale di<br />

scienze e lettere, e badar alla meglio sul modo di fare estratti di libri. Un amico mio eruditissimo,<br />

nuovo tragico, mi raccomandò di scrivere un articolo pel tomo ch' egli sta pubblicando : mi die<strong>de</strong> in<br />

iscritto i punti principali <strong>de</strong>ll' estratto, e mi disse : « fate voi— vi vedo giovine di belle speranze —<br />

fate voi — quando stamperete la vostra traduzione <strong>de</strong>lla Poetica d'Orazio, lasciate fare; ne ho già


parlato a persona che protegge chi si distingue; v'amo perché vi conosco : voi riescirete un grand'<br />

uomo: vi raccomando l'estratto, e mi fido di voi».<br />

Il Capo d'opposizione — Lasciate dunque stare quel giornale.<br />

L'Accad. giovinotto — E perché?<br />

Alcuni Acca<strong>de</strong>mici— Perché gli Autori che si raccomandano d'essere lodati da quel giornale<br />

perdono i passi ed il tempo. Con l'intento o il pretesto di correggere i cattivi scrittori e le inezie,<br />

quel giornale comincia a scoraggiare i talenti.<br />

- Vedi ! — tornò a ripetere con la sua meraviglia naturalissima il Giovinotto.<br />

Il Capo d'opposizione — Leggete il Giornale d'Incoraggiamento.<br />

II contro Presi<strong>de</strong>nte — Così Dio mi faccia vivere in compagnia di donne graziose e di giovani<br />

allegri per altri vent' anni, come quel proverbio che il libro <strong>de</strong>l mondo è più originale e più nuovo di<br />

tutte le biblioteche <strong>de</strong>l globo, è proverbio vero come il Vangelo! Abbiamo imparato stasera su le<br />

malizie <strong>de</strong>i mercanti di lettere più di quello che il nostro Acca<strong>de</strong>mico bibliotecario, attempatello<br />

com'è, abbia potuto imparare da tutta quella sua raccolta di Filosofie morali e politiche.<br />

- E perché? - dimandò l'Acca<strong>de</strong>mico giovinotto.<br />

Il contro Presi<strong>de</strong>nte — Perché sì. Perché sì. Perché il libro <strong>de</strong>l mondo è di tante pagine quanti<br />

furono, sono, e saranno i giorni dal principio sino alla fine <strong>de</strong>' secoli. Perché importa a leggere le<br />

pagine <strong>de</strong>gli anni passati; ma chi sa mai <strong>de</strong>cifrare quelle che il tempo ha corrose? e chi potrebbe mai<br />

leggere tutte le altre? Più utile dunque trovo e più comodo a studiare ogni giorno quella pagina <strong>de</strong>l<br />

gran libro, che scrive alla mia presenza. Il sole d'oggi non è il sole di ieri; vo' dire che gli uomini<br />

furono sempre quelli; ma si vestirono ogni anno con fogge diverse. E che vuoi tu ch' io, leggendo le<br />

ironie di Platone e di Montesquieu contro la venalità <strong>de</strong>i sofisti e <strong>de</strong>gli abatini, mi eserciti a<br />

distinguere chi mi bazzica intorno? L'impostura in Atene e in Parigi faceva forse quel male che fa in<br />

Italia ; ma si lisciava con belletto assai differente da quello che oggi si ven<strong>de</strong> alla bottega <strong>de</strong>lle<br />

Acca<strong>de</strong>mie.<br />

Trattanto l'Acca<strong>de</strong>mico giovinotto andava gittando occhiate al suo libro, finché, incalzato dall'<br />

insistenza con che il contro Presi<strong>de</strong>nte sosteneva i suoi corollari morali, guardò l'oratore, ma con<br />

viso che significava di non inten<strong>de</strong>re né il principio né la cagione di quel discorso.<br />

- Figliuolo mio - dissegli il canuto Acca<strong>de</strong>mico, che quantunque parlasse con meno arguzia e con<br />

meno veemenza <strong>de</strong>gli altri, era non pertanto, e per l'età sua, e fors'anche per la discrezione con che<br />

parlava, ascoltato più volentieri da tutti — Figliuolo mio, lascia per poco quel libro. E se tu non lo<br />

avessi letto qui <strong>de</strong>ntro, avresti udite assai cose per le quali e quel libro, e gli altri che potrai leggere<br />

a casa tua, ti sarebbero apparsi più chiari. Avresti udito dir molto male <strong>de</strong>i letterati ; perché noi<br />

abbiamo primamente distinti i veri dai falsi; poi, tanto i veri quanto i falsi, gli abbiamo giudicati<br />

nella loro qualità d'uomini e cittadini. Ma tu che, per grazia <strong>de</strong>l modo presente ed antico<br />

d'educazione in Italia, non puoi discernere la buona dalla trista letteratura , e che per entusiasmo<br />

d'età guardi i letterati senza curarti quanto siano uomini e cittadini, non hai torto se ne pensi e ne<br />

dici tutto il bene che puoi. Or tu <strong>de</strong>vi sapere, che quanto i mortali fanno nel mondo, lo fanno e per<br />

se stessi e per gli altri, avendo la natura ordinato che l'uomo <strong>de</strong>bba stare in comunità ; però gli die'<br />

tanti e si gravi pesi ai quali un solo paio di spalle non può bastare. Regna in noi tutti quella Divinità<br />

che si chiama IO, di cui spesso e troppo, un Pitagorico nostro ha parlato, mostrando ch'ella è<br />

prepotente, avara e cru<strong>de</strong>le. Ma è vero altresì che le sue ostili ten<strong>de</strong>nze non si rinforzano, se non in<br />

quanto gli altri non si difendono; e la difesa fa nascere i patti d'aiuto reciproco, senza <strong>de</strong>l quale non<br />

v' è più società. Dove dunque i cittadini si pigliano più cura l'uno <strong>de</strong>ll'altro, ivi più si obbedisce al<br />

<strong>de</strong>creto <strong>de</strong>lla natura; e dove meno, ivi le città sono più sciagurate. Trovansi anche taluni, che fanno<br />

tutto per sé, senza mai compatire la <strong>de</strong>bolezza, la povertà e l'ignoranza <strong>de</strong>gli altri, e che né amicizia,<br />

né <strong>de</strong>si<strong>de</strong>rio, né misericordia sentirono mai <strong>de</strong>'concittadini, <strong>de</strong>gli amici, e <strong>de</strong>' loro propri figliuoli.


On<strong>de</strong>, quando non temono la scure <strong>de</strong>l manigoldo, rompono tutti quei patti, fondati prima dalla<br />

difesa, e poi santificati dalla pietà e dal pudore tra gli uomini. Ma non per questo s'ha a dire che così<br />

vuol la natura; perché gl' individui <strong>de</strong>' quali parliamo, paragonati a tutto il numero <strong>de</strong>' viventi,<br />

appariranno pochissimi, come appunto gli aborti che nascono ad or ad or con più capi, o senza le<br />

viscere <strong>de</strong>gli altri animali.<br />

La natura ha concedute a ciascheduno di noi le doti di corpo, di cuore e di mente; ma con misura e<br />

con intenzione sì diseguale, e con tanto potere <strong>de</strong>lla fortuna sopra si fatte doti, che la moltitudine<br />

non può giovare a sé me<strong>de</strong>sima e agli altri se non con le sole forze <strong>de</strong>l corpo: altri giova con quelle<br />

<strong>de</strong>l cuore, ed altri con quelle <strong>de</strong>lla mente ; e quest' ultima dote non fu mai largamente data se non a<br />

pochissimi. Chi ara, semina e miete sotto le fiamme <strong>de</strong>l sole ; chi fabbrica le altrui i case, cieco al<br />

pericolo di precipitarsi dai tetti; chi per compiacere ai minimi <strong>de</strong>si<strong>de</strong>ri, necessari alla noiosissima<br />

vita <strong>de</strong>ll' uomo ricco, cerca l'America e l'Africa tra naufragi e la fame ; chi affronta le spa<strong>de</strong><br />

nemiche, vegliando sul ghiaccio e dormendo sotto la pioggia; chi scava i metalli, certo quasi di<br />

rimanere sepolto vivo nelle miniere : tutti questi infiniti mortali adoprano le doti <strong>de</strong>l corpo; e poiché<br />

s'affaticano, bisogna ad essi dar pane più o meno secondo la loro forza ed industria; e perché i più<br />

d'essi hanno cieco e abbruttito l'ingegno, <strong>de</strong>vono essere consigliati dalla religione nei falli, e<br />

divezzati dalle loro colpe severissimamente dalla giustizia. Chi ci allatta bambini, chi ci soccorre in<br />

tante disgrazie che affliggono anche la vita più brev ; chi ci tollera e ci ricovera nella <strong>de</strong>crepitezza,<br />

data forse in pena dal cielo a chiunque <strong>de</strong>si<strong>de</strong>ra di vivere troppo, tutti questi mettono in società le<br />

doti <strong>de</strong>l cuore, e domandano amore e riconoscenza; però concedo di maledire le donne a que' soli<br />

che possono dimenticarsi d'avere avuta una madre. Finalmente chi fa leggi, chi fonda popoli e<br />

religioni , chi governa regni, chi guida eserciti, chi giudica i cittadini in lite tra loro, chi consiglia e<br />

persua<strong>de</strong> a passioni nobili e a giuste opinioni i cittadini col sapere o con l'eloquenza: tutti questi<br />

mortali spendono per sé e per gli altri le forze <strong>de</strong>lla loro mente, e sono <strong>de</strong>gni d'obbedienza e<br />

d'onore.<br />

Fra questi ultimi essendovi i letterati, pare ch'ei nel persua<strong>de</strong>re ed illuminare <strong>de</strong>bbano atten<strong>de</strong>rsi<br />

premio più <strong>de</strong>coroso <strong>de</strong>l premio domandalo dai molti che adoprano le doti <strong>de</strong>l corpo. Inoltre s'hanno<br />

a valere di mezzi assai diversi da quelli che sono necessari ai principi, a' capitani ed a'giudici, ai<br />

quali la nazione conce<strong>de</strong> l'uso <strong>de</strong>lle sue forze, mentre a' letterati non <strong>de</strong>ve dare se non l ' uso <strong>de</strong>lla<br />

loro opinione. E perché la parola è l'unico mezzo assegnato dalla natura a' mortali, acciocché<br />

possano inten<strong>de</strong>rsi e collegarsi, quanto le parole <strong>de</strong>' letterati saranno belle, maschie, veraci, tanto<br />

più ecciteranno passioni nobili e governeranno buone opinioni. Che se i letterati, al contrario,<br />

adornassero con le parole il vizio e la falsità, aspirando a ricompense spettanti ad altri mestieri,<br />

faranno due cose pessime. Primamente disvieranno le lettere dal loro istituto; poi, non curandosi se<br />

non <strong>de</strong>ll' apparenza di dotti, si studieranno di divenire impostori. Mostreranno di sapere le dottrine<br />

ch' essi non sanno, o di praticare le virtù che non hanno. Così molti in tutti i tempi e luoghi, e più a'<br />

giorni nostri, non volendo affaticare con le forze <strong>de</strong>l loro corpo per se stessi e per gli altri, e<br />

conoscendo che le doti <strong>de</strong>l cuore non fanno avanzi di lucro, e non potendo usurpare le dignità di<br />

capitani e di principi, e avendo nel tempo stesso poche doti di mente o poca volontà d' usarne con<br />

pericolo e con sudore, e aspirando pur sempre a qualche merce<strong>de</strong> nel mondo, si danno a recitare la<br />

persona di letterato. E allora la letteratura diventa una maschera sotto la quale s' ascondono la<br />

venalità, la menzogna, l' invidia, e sovente tutte quante le inclinazioni più turpi <strong>de</strong>ll' uomo.<br />

[…]<br />

Il Presi<strong>de</strong>nte — Né s'otterrà mai nulla, finché i letterati si puntiglieranno nella rettorica <strong>de</strong>l<br />

discorso, e gli scienziati nell'aritmetica <strong>de</strong>l pensiero.<br />

[…]


Il contro Presi<strong>de</strong>nte — O scienziati esattissimi, ove non vi piaccia per altro d'inten<strong>de</strong>rvi tra voi<br />

soli, udite un po' il cristianello fuggifatica! Il latino barbaro, l'italiano semibarbaro, le formole<br />

matematiche, il caos d' un libro pieno di cioè, e di citazioni, e di note, che non possono stare né col<br />

testo né senza il testo, sono come i carciofi vecchi: spine di sopra — barbaccia irta di sotto —<br />

spicchi foglia per foglia. Chi ha fame ne sfogli un migliaio. Per cosi poco io non uso di pigliarmi<br />

tanto fastidio.<br />

Il Bibliotecario — Ma i cuochi francesi sono eccellenti a condire i nostri carciofi.<br />

Il Presi<strong>de</strong>nte — Dunque al cuoco una lira, e al giardiniere un soldo al carciofo.<br />

[…]<br />

Benché l'uffìziale dall'occhio solo provocasse molti Pitagorici alla contesa, e il canuto acca<strong>de</strong>mico<br />

si stesse com'uom, che, aspettando di dire le sue ragioni, udisse volentieri anche gli altri, tutti<br />

nulladimeno, tornando a poco a poco nel primo silenzio, volgevano gli occhi sul vecchio, compunti<br />

d'averlo interrotto. Ed ei volgendosi all' Acca<strong>de</strong>mico giovinotto, che era tornato con gli occhi al suo<br />

libro, ricominciò :<br />

- La compiacenza <strong>de</strong>ll'animo nello studiosi minora e s'intorbida quanto più si congiunge a' fini<br />

secondi di celebrità e di guadagno ; on<strong>de</strong> avvenne assai volte, che molti scrittori, temendo non<br />

l'opinione, da cui la fama e i guadagni dipendono , disprezzasse le facoltà ch' essi avevano, si<br />

die<strong>de</strong>ro ad imitare l'ingegno <strong>de</strong>gli altri, e cad<strong>de</strong>ro inosservati o <strong>de</strong>risi […]. Così le facoltà di corpo,<br />

di cuore e di mente ti frutteranno voluttà limpida e piena, finché saranno secondate e nei gradi né<br />

più né meno <strong>de</strong>l vigore che hanno naturalmente in se stesse, e senza intento d'emolumenti e di<br />

applausi.<br />

[…] Un istinto, o figliuolo, uno spirito ingenito arcano, che ha un non so cha d'immortale, vive e<br />

cresce e s'infiamma, quantunque né pari né simile in ogni vivente. Cosa siasi, né parola sa<br />

esprimerlo, né mente umana distinguerlo mai. Ma i fatti mostrano che, quand'è più vivo e più forte,<br />

governa con certe concitazioni ritrose alla ragione ed a' calcoli gli oratori, i poeti, i pittori, i filosofi,<br />

i sommi capitani, gli artefici; e tanto li signoreggia, che lascia dubitanti, affannosi oziosi, infelici,<br />

sovente insani coloro che o per timore o per casi non lo secondano. Così la natura ha creati noi tutti<br />

all'amore e all'incanto <strong>de</strong>lla beltà femminile, e ci permette mille gioie anche solo nel vagheggiarla; e<br />

ogni ostacolo ci dà lena, e ogni sazietà ci disgusta; né la ragione giusta e severa, né l'amicizia, né la<br />

pietà di noi stessi, né altra bellezza che scen<strong>de</strong>sse dal cielo potrebbero liberarci da quella cura; e la<br />

privazione forzata <strong>de</strong>i nostri piaceri, e fin anche <strong>de</strong>' nostri martiri, ci fa smarrire spesso la mente, e<br />

ci mostra il sepolcro come una porta per cui si va ad aspettare in un altro luogo la persona che<br />

abbiamo invano <strong>de</strong>si<strong>de</strong>rata quaggiù.<br />

[…]

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