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Carlo Balestri e Gabriele Viganò - Progetto Ultrà

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Quaderni di sociologia – Calciopolitiche (2004)<br />

<strong>Carlo</strong> <strong>Balestri</strong> e <strong>Gabriele</strong> <strong>Viganò</strong><br />

Il fenomeno ultras: origini, storia e sviluppi recenti di un mondo ribelle<br />

Le origini<br />

Il biennio 1968-69 porta con sé una spinta di radicale cambiamento e viene percepito, anche nel nostro<br />

Paese, come autentico spartiacque dal quale i rapporti, le relazioni sociali nel loro complesso usciranno<br />

mutate in modo sostanzialmente irreversibile.<br />

Quanto accade in molte sfere del sociale e del politico si ripercuote anche nell’ambito del tifo sportivo. Sugli<br />

spalti prende fisicamente corpo una rivolta dello stile, un rigetto degli standard comuni a vantaggio di modi e<br />

forme di tifare anticonformiste e ribelli: nascono, così, proprio alla fine degli Anni Sessanta i primi gruppi<br />

ultras 1 , dando inizio ad un processo che negli Anni Settanta si propaga rapidamente contagiando anche molte<br />

città di provincia 2 .<br />

Queste nuove forme aggregative si distinguono per alcune caratteristiche del tutto specifiche ed omogenee:<br />

- il coinvolgimento di ragazzi molto giovani (mediamente dai 14 ai 18 anni e normalmente legati da un<br />

preesistente rapporto amicale) che prendono possesso delle zone più popolari dello stadio (spesso si<br />

tratta delle “curve”) e cominciano a seguire la propria squadra anche in trasferta in modo piuttosto<br />

regolare;<br />

- la ricerca di visibilità, protagonismo, identità che da un lato si esprime in un modello innovativo delle<br />

pratiche del tifo, sia a livello collettivo (grandi striscioni con il nome del proprio gruppo, maxi-bandiere<br />

e primi accenni di spettacoli coreografici, sostegno corale continuo con voce, tamburi, trombe, ecc.) sia a<br />

livello individuale (look militante ed aggressivo con abbondante uso di gadgets della propria squadra,<br />

quali sciarpe, cappelli, maglie, distintivi, ecc.), ma che dall’altro talvolta degenera in comportamenti<br />

aggressivi o apertamente violenti;<br />

- la contaminazione di tali idee con le esperienze politiche o pre-politiche del tempo per molti di questi<br />

ragazzi, con due conseguenze principali:<br />

1. la dimestichezza con i principi basilari dell’organizzazione ed il senso della militanza (talvolta anche<br />

totalizzante) consentono al movimento di radicarsi prima e di crescere notevolmente poi, sia da un<br />

punto di vista quantitativo sia qualitativo;<br />

2. le etichette politico-ideologiche dei primi gruppi ultras spesso si rivelano decisive per determinare una<br />

prima, complessa, rete di inimicizie e rivalità tra tifoserie che in pochi anni coinvolgerà l’intero<br />

panorama nazionale del tifo.<br />

Se è pur vero che la comparsa degli ultras nello scenario degli stadi italiani può essere intesa come una sorta<br />

di evoluzione e rielaborazione di quella piccola-grande tradizione di tifo che si era affermata con i club<br />

organizzati (nati, spesso su iniziativa delle stesse società calcistiche, nel corso degli Anni Sessanta), la stessa<br />

radicalità del modello ultras alimentò e si alimentò sin dagli esordi di una continua ricerca di<br />

differenziazione e di competizione:<br />

- di differenziazione: anzitutto nei confronti del pubblico non ultras che, continuando a rivolgere<br />

l’attenzione prevalentemente alla partita e non ai riti ed alle pratiche del tifo, spesso è considerato con<br />

ostilità o estrema freddezza da parte di questi nuovi “supertifosi”;<br />

- di competizione con i tifosi avversari: il tifo serve non solo per aiutare la propria squadra ad avere la<br />

meglio sul campo (missione originaria), ma ben presto, quando la proliferazione dei gruppi ultras li<br />

mette ripetutamente a confronto, diventa anche una perenne sfida tra opposte tifoserie, consumata non<br />

solo sul piano dell’incitamento vocale o spettacolare ma talvolta anche su quello dell’intimidazione,<br />

dell’aggressività e del confronto fisico tout court.<br />

Le ricadute si hanno quindi, nel volgere di poco tempo, anche sul piano dell’ordine pubblico: l’indole<br />

radicale di questi gruppi e la sistematicità delle occasioni di incontro tra tifoserie determinarono il delinearsi<br />

di una violenza calcistica assai diversa da quella “tradizionale”, affatto sporadica negli anni passati. Gli<br />

incidenti che si verificano dentro e, in un secondo tempo, soprattutto fuori degli stadi sono sempre meno<br />

1 Nel 1968 la “Fossa dei Leoni” del Milan, nel 1969 i “Boys” dell’Inter, gli “Ultras” Sampdoria e gli “Ultras” del Toro.<br />

2 Nascono nel 1971 le “Brigate Gialloblù” del Verona, nel 1972 gli “<strong>Ultrà</strong>” Napoli ed i “Boys” della Roma, nel 1973 gli “Ultras” della<br />

Fiorentina e la “Fossa dei Grifoni” del Genoa, nel 1974 gli “Ultras” del Bologna, nel 1975 i “Fighters” della Juve, nel 1976 le “Brigate<br />

Neroazzurre” Atalanta, ecc.<br />

1


legati alle sorti sportive delle rispettive squadre (dunque in larga parte alla casualità) bensì spesso scatenati<br />

da rivalità che si formano sul piano esclusivo del tifo (quindi in larga parte coscientemente autoalimentate).<br />

Piccoli ultras crescono<br />

Agli anni della genesi seguono quelli dell’apprendistato, durante i quali i primi gruppi ultras da un lato<br />

assumono sempre più le caratteristiche di organizzazione stabile, capace non solo di “sopravvivere” ma<br />

anche di radicarsi e di crescere, dall’altro diventano un costante punto di riferimento ed emulazione più o<br />

meno in tutta Italia.<br />

Durante gli Anni Ottanta il fenomeno assume effettivamente una dimensione nazionale e di massa,<br />

contagiando le tifoserie delle squadre di categorie inferiori e mostrandosi capace di coinvolgere ogni<br />

domenica migliaia di persone. Anche in altre discipline sportive, come ad esempio il basket, il modello ultras<br />

prende piede in modo significativo.<br />

Il livello di organizzazione interna ai gruppi diventa tale da rendere possibile un deciso miglioramento<br />

dell’estetica del tifo ed una crescita numerica dei partecipanti alle trasferte; un’accurata attività di<br />

autofinanziamento (produzione di materiale da stadio personalizzato con il nome ed il simbolo dei gruppi<br />

ultras) inoltre fa diventare le curve delle piccole-grandi potenze economiche.<br />

E’ verso la fine degli anni Ottanta che il fenomeno raggiunge il proprio apice, anche se questa crescita<br />

impetuosa lascia intravedere non poche ombre e contraddizioni.<br />

Il ricambio generazionale, in particolare, si manifesta tutt’altro che semplice: mentre una parte degli ultrà di<br />

lungo corso si fanno da parte, alle curve si avvicinano sì molti giovanissimi, ma spesso con motivazioni<br />

decisamente superficiali. In particolare appare evidente una diversa e più effimera percezione dell’identità e<br />

dei legami di gruppo, mentre si palesa la ricerca di gloria e protagonismo individuale, senz’altro fortemente<br />

influenzati dall’attenzione che i mass-media dedicano sistematicamente al fenomeno, anche se solitamente<br />

solo per evidenziarne gli aspetti più negativi. Insomma, in questa fase di transizione generazionale fanno da<br />

catalizzatore gli aspetti esteriori e ludici del modello ultrà: “ultras da tre ore” 3 , “…masse mal educate a valori<br />

e ideali (…) abituate al suono più che al significato delle parole” 4 .<br />

Il verificarsi con regolarità di incidenti anche molto gravi tra tifosi (tra il 1978 ed il 1989 si contano ben 5<br />

vittime ed altri episodi di estrema gravità 5 ) è anche conseguenza di questo panorama in contraddittorio<br />

mutamento: gli incidenti, che ormai si verificano quasi esclusivamente fuori degli stadi, spesso sono frutto<br />

non più di scontri gruppo-contro-gruppo (quelli che nell’immaginario collettivo degli ultras sono ricordati<br />

come i tempi delle “sane scazzottate”) ma dell’iniziativa di piccoli gruppi di “cani sciolti” 6 , non controllati<br />

né controllabili dai nuclei storici del tifo.<br />

Proprio affrontando il tema del teppismo calcistico, il dibattito mediatico ha spesso equiparato l’ultras<br />

nostrano all’hooligan inglese e nordeuropeo, con buona pace invece di una vasta letteratura scientifica che ne<br />

sottolineava le profonde differenze 7 .<br />

Un parallelismo tra i diversi fenomeni appare infatti profondamente problematico. In Inghilterra la passione<br />

per questo spettacolo sportivo ha coinvolto, sino a tempi recenti, prevalentemente la working class 8 e proprio<br />

per queste origini e questo legame, come riferiscono gli studi condotti Inghilterra, il modello di football<br />

hooliganism britannico si è manifestato come una sorta di estensione del tradizionale schema<br />

comportamentale della rough working class.<br />

3<br />

A.Roversi, 1992 pag. 61.<br />

4<br />

Intervista ai “Viking” Juventus, Supertifo, Marzo 1991.<br />

5<br />

Nel 1978, prima del derby Roma-Lazio, muore Vincenzo Paparelli colpito da un razzo sparato dalla curva giallorossa; nel 1983 a<br />

margine di scontri con la polizia dopo il derby Triestina-Udinese, muore Stefano Furlan; nel 1984 è accoltellato a morte Marco<br />

Fonghessi nel dopo-partita di Milan-Cremonese; nel 1988 una rissa tra tifosi Interisti e Ascolani è fatale al marchigiano Nazareno<br />

Filippini; nel 1989 muore Antonio De Falchi, romanista, colpito da una crisi cardiaca mentre veniva aggredito da ultras milanisti.<br />

6<br />

Questo è il nome, in gergo, dato ai giovani che non si riconoscono in nessuno dei gruppi presenti in curva e che, spesso senza<br />

esperienza, si rendono protagonisti di azioni violente o atti vandalici gratuiti e pericolosi, senza considerare, né tantomeno conoscere,<br />

la storia e le regole del movimento ultras.<br />

7<br />

Su questo argomento cfr. C. <strong>Balestri</strong>, A. Roversi, Gli ultras oggi. Declino o cambiamento?, in Polis (3/99), Bologna,<br />

Il Mulino<br />

8<br />

Non a caso molte delle squadre inglesi rivelano una chiara origine operaia: ad esempio il West Ham (fondato da un gruppo di operai<br />

del settore delle acciaierie), lo Sheffield United (nato per volere di alcuni artigiani che lavoravano i coltelli), il Manchester United<br />

(costituitosi grazie alla volontà degli operai che costruivano la rete ferroviaria), ecc. Su questo argomento cfr, Taylor I.: ”Hooligans:<br />

Soccer’s Resistance Movement”, New Society, 7 August 1969; pp. 204-6.<br />

2


Il gruppo hooligan proviene solitamente dagli strati più bassi della società 9 , adotta quello che è stato definito<br />

lo Stile Maschio Violento, aggregandosi per tifare durante la partita e per aggredire i tifosi avversari e rivela,<br />

infine, mancanza di forme evolute e durevoli di coordinamento, di gestione e di promozione delle attività<br />

legate al tifo.<br />

In Italia, al contrario, il legame tra calcio e classe operaia è sin dalle origini molto più labile e la passione per<br />

il calcio è sempre stata contraddistinta da una trasversalità socio-economica. Tale tendenza vale anche per il<br />

gruppo ultrà che, pur rifacendosi sin dalle origini al modello/mito del tifo inglese sotto molti punti di vista, è,<br />

nella sua composizione sociale, tendenzialmente interclassista con una rilevante presenza femminile al suo<br />

interno.<br />

Queste differenze non potevano che portare a due sistemi profondamente diversi, sia sul piano delle pratiche<br />

del tifo, sia soprattutto nella definizione di un’identità/cultura specifica:<br />

- il modello inglese, che contempla una serie di attività che esaltano il senso di gruppo ma che non implica<br />

un particolare e durevole impegno extrapartita;<br />

- il modello italiano, in cui il gruppo ultras è più proteso verso l'esterno ed è in grado di realizzare, grazie<br />

ad articolate strutture organizzative, manifestazioni coreografiche di tifo che coinvolgono l'intera curva e<br />

richiedono un forte impegno economico, di lavoro e di coordinamento.<br />

Ne consegue che anche la stessa violenza si è rivelata avere un peso differente nei due modelli: se per gli<br />

hooligans inglesi è il principale motivo di aggregazione ed unione, per gli ultras italiani, influenzati dalla<br />

visione politica della violenza come strumento e non come fine, essa ha rappresentato solo una delle opzioni<br />

del gruppo, come riconosciuto del resto anche dai più autorevoli studiosi italiani del fenomeno 10 .<br />

Il gruppo ultrà italiano, dunque, affidava ed affida il proprio senso di comunità ed identità prioritariamente<br />

ad altre attività, variamente in grado di assumere e trasmettere un proprio valore simbolico (quali, ad<br />

esempio, l’organizzare coreografie e trasferte, l'autoproduzione di materiale da tifo e di propri strumenti di<br />

comunicazione, il partecipare, da militante, alle riunioni organizzative infrasettimanali, ecc.).<br />

Proprio in virtù di questa complessa natura associativa, il repertorio di norme non scritte che regolano e<br />

controllano il comportamento dei membri del gruppo ultrà riguardo alla violenza non può esaurirsi in quanto<br />

delineato da Marsh e colleghi nel libro The rules of disorder sui comportamenti degli hooligans inglesi.<br />

Secondo un codice, non scritto ma conosciuto e riconosciuto 11 nell’ambiente ultras, la violenza veniva<br />

praticata non indistintamente, ma solo in determinati casi e contro gli omologhi gruppi di ultras considerati<br />

nemici. Erano i componenti del direttivo (le persone che coordinavano e gestivano le attività del gruppo) che<br />

decidevano se ed in che modo praticare violenza, mentre i più giovani potevano partecipare agli scontri solo<br />

dopo aver fornito ampia prova di affidabilità, non solo nel campo militare ma anche in quello organizzativo.<br />

Assolutamente proibito coinvolgere negli scontri persone estranee alla logica ultrà e compiere atti di<br />

vandalismo gratuito (danneggiamenti a treni, autobus, auto, saccheggi di negozi ed autogrill, ecc.).<br />

Allo stesso tempo, tuttavia, il meccanismo di autoriproduzione dei gruppi ultras italiani ha presentato alcuni<br />

tratti comuni al modello hooligan. Anche per quanto riguarda gli ultras infatti lo stadio ha sempre<br />

rappresentato la tappa conclusiva di un processo di socializzazione alla vita di gruppo che, seppur nato e<br />

consolidato altrove – sede del club, ritrovi di quartiere, bar, compagnie di amici, centri giovanili, gruppi<br />

politici – aveva innegabilmente ed inevitabilmente il suo punto culminante nello stadio. Anche in Italia,<br />

quindi, la curva (ed ancor prima i football ends inglesi) diventava luogo e momento di apprendimento, da<br />

parte del giovane, di quella "grammatica etico normativa" 12 consistente nel mostrare doti di affidabilità,<br />

coraggio, solidarietà e durezza, grazie alle quali il giovane alla fine era considerato uno del gruppo. Spesso,<br />

anzi, questo passaggio era propedeutico ad arrivare a far parte, a pieno titolo, della vita di curva e del gruppo<br />

ultras.<br />

La cultura ultras dei gruppi storici, dunque, è stata per lungo tempo innegabilmente una cultura forte, capace<br />

di trasformare la curva in un territorio in cui, al di là della provenienza sociale, delle motivazioni e degli<br />

stimoli soggettivi, dei differenti stili di vita, valevano per tutti i giovani tifosi le medesime regole e norme.<br />

Ed è stata una cultura che da un lato ha dato al movimento ultras italiano tutte le caratteristiche di un<br />

microcosmo autosufficiente e totalizzante - capace di integrare emotivamente ogni membro nel proprio<br />

9 Studi recenti hanno comunque dato dei risultati diversi, dai quali emerge un allargamento della base sociale degli hooligans. Cfr<br />

Kerr J.H., Understanding Soccer Hooliganism; Open Univerity Press, Buckingham, 1994 e Armstrong G., Football Hooligans; Berg,<br />

Oxford, 1998.<br />

10 “L’attività degli ultrà italiani […] è deviante solo in modo marginale” (Dal Lago - Moscati, 1992: 82).<br />

11 “L’etica del combattente” (Dal Lago - Moscati, 1992: 92).<br />

12 A. Salvini: Il rito aggressivo, Giunti, Firenze, 1988; pag.141.<br />

3


uolo, nei propri doveri e nel senso di appartenenza ad una dimensione collettiva – e dall’altro ha imposto per<br />

diversi anni una sorta di monopolio all'uso ed alle pratiche della violenza.<br />

E’ sul finire degli Anni Ottanta che, come si è visto, questo scenario entra in profonda crisi e le stesse<br />

dinamiche violente assumono forme e significati diversi.<br />

Nonostante la crescente militarizzazione degli stadi ed i primi interventi legislativi speciali 13 , a cavallo tra gli<br />

anni Ottanta e Novanta si assiste in Italia ad una escalation degli episodi di violenza, quasi ovunque molto<br />

cruenti anche a causa della dilagante abitudine ad usare armi di vario genere (bastoni, catene, razzi, armi da<br />

taglio, ecc.). Gli episodi più frequenti e più gravi evidenziano i tratti di una violenza per certi versi anomica,<br />

fine a se’ stessa, praticata spesso individualmente o in piccoli gruppi e talvolta anteposta alle stesse pratiche<br />

del tifo: insomma una violenza completamente diversa da quella tradizionalmente teorizzata e praticata dai<br />

Gruppi Storici 14 . Questi ultimi, anzi, dovettero talvolta fare i conti con un’applicazione delle “leggi<br />

speciali”tesa soprattutto a decapitare i loro vertici, uscendone ancor più indeboliti ed incapaci di essere<br />

efficaci nella loro azione di gestione di quel “disordine regolamentato” che da sempre aveva contraddistinto<br />

l’agire ultras.<br />

I sintomi della crisi del modello ultras prima maniera possono essere colti anche nel fatto che, pur con<br />

accenti diversi, alcuni importanti gruppi optano proprio in questo periodo per lo scioglimento: è il caso ad<br />

esempio delle Brigate Gialloblù Verona nel 1991, della Fossa Lariana Como nel 1992 e soprattutto della<br />

Fossa dei Grifoni Genoa nel 1993, pur dopo un’esaltante stagione negli stadi di mezza Europa.<br />

Anche senza arrivare ad esiti così clamorosi, comunque, non era raro che le difficoltà del momento venissero<br />

esternate a più riprese dagli ultras stessi: al di là del buono o cattivo stato di salute dei singoli gruppi,<br />

emergeva una riflessione complessiva sul movimento, sulle contraddizioni e sulle prospettive future 15 .<br />

Gli ultimi anni<br />

E’ nel 1995 che arriva una potente scossa, a risvegliare un po’ tutti da una sorta di inerzia o rassegnazione<br />

collettiva: il 29 gennaio 1995, infatti, prima della partita Genoa-Milan viene accoltellato a morte un giovane<br />

tifoso rossoblù, Vincenzo “Claudio” Spagnolo detto “Spagna”.<br />

Colpisce non solo il tragico gesto in se’, ma le modalità che hanno condotto ad esiti tanto gravi. L’omicida è<br />

un ragazzo di soli 18 anni, Simone Barbaglia, che da qualche mese frequenta la curva rossonera e che si è<br />

recato a Genova insieme a circa altre 70 persone delle cosiddette “Brigate 2”. Gli esponenti di questo nuovo<br />

gruppo, frutto di una scissione interna alle “Brigate Rossonere”, uno dei gruppi storici della curva milanista,<br />

pianificano un’azione spettacolare per farsi conoscere e rispettare sia all'interno della curva milanista che<br />

fuori, coinvolgendo anche i ragazzi più giovani (quelli che, come Barbaglia, erano conosciuti come “Gruppo<br />

Barbour", per via della caratteristica giacca di moda tra molti giovani italiani) desiderosi di entrare a pieno<br />

titolo in queste nuove, rampanti “Brigate 2”.<br />

La trasferta viene quindi preparata nei minimi dettagli: in perfetta emulazione dello stile “casual” inglese 16 ,<br />

infatti, il gruppo non arriva a Genova con il treno speciale degli ultras ma su un normale treno di linea, tutti<br />

senza le sciarpe della propria squadra per non essere riconosciuti da polizia ed avversari, ed in molti armati<br />

di coltello perché decisi ad attaccare i Genoani. Anche la scelta dell’obiettivo non è casuale: una tifoseria,<br />

quella genoana, che non solo era riconosciuta come “tosta”, ma che aveva interrotto in malo modo il<br />

13 La Legge n° 401 del 1989 è il primo provvedimento ad hoc emanato per contrastare la violenza dei tifosi. Nella formulazione<br />

originaria, che negli anni verrà ulteriormente modificata in senso repressivo, la novità più rilevante era rappresentata dell’interdizione<br />

ai luoghi delle manifestazioni sportive di persone ritenute responsabili di atti definiti genericamente violenti (è la c.d. “diffida”).<br />

14 Lo spirito di questi nuovi gruppi o gruppetti, basato sul culto della durezza e su un’organizzazione paramilitare, prepara il terreno<br />

ad un fertile inserimento anche di atteggiamenti razzisti e xenofobi.<br />

15 Il pensiero dell’Onda d’Urto Fiorentina: “Il movimento ultrà, lo dico con molta tristezza, se continuerà su questo percorso finirà in<br />

un tunnel senza uscita e potrebbe addirittura morire. E’ una sensazione condivisa e generalizzata in altre curve che come noi<br />

intravedono un tramonto del fenomeno ultrà. Sembra di essere in un’altra dimensione, troppo lontana da quella che ha dominato gli<br />

ultimi venti anni” (“Ondata viola”, Supertifo, Maggio 1993).<br />

L’opinione della Fossa dei Leoni del Milan: “Come premessa bisogna dire che in qualsiasi tipo di contesto un allargamento delle<br />

dimensioni del fenomeno genera una caduta di qualità, soprattutto in questo campo, cioè l’ultras, dove il fenomeno è vissuto su<br />

matrici di moda, di esteriorità, facendo perdere quell’essenza spesso barattata con una concezione numerica. Da ciò ne deriva un calo<br />

a livello qualitativo, come etica di comportamenti, come gestione nella sua integrità. Adesso per esempio si vedono delle coreografie<br />

faraoniche che nel passato non si vedevano, ma è un dato oggettivo che il peggioramento e l’impoverimento dei valori del<br />

movimento ultras non è compensabile con il guadagno o la popolarità in termini di immagine” (“La Sud in paradiso – La Fossa”,<br />

Supertifo, Giugno 1993).<br />

16 In Inghilterra, quando la repressione della polizia si fece progressivamente più soffocante ed efficace, molti gruppi di holigans per<br />

non essere individuati e controllati abbandonarono ogni look aggressivo o militante (in particolare quello dello skinhead) e le prassi<br />

delle trasferte organizzate, optando invece per spostamenti autonomi (auto, treni di linea) ed un abbigliamento normale (talvolta<br />

anche griffato) senza simboli e colori calcistici.<br />

4


gemellaggio che li univa agli stessi rossoneri. Giunti nel capoluogo ligure i rossoneri arrivano indisturbati<br />

sotto la Gradinata Nord, quella dei tifosi di casa, li provocano per attirarne l’attenzione e poi scatenano la<br />

rissa che, purtroppo, ha esiti fatali. Vincenzo Spagnolo affronta gli avversari a mani nude, secondo la logica<br />

ultras, ma viene colpito da una coltellata in pieno petto e muore poco dopo in ospedale, mentre gli aggressori<br />

fuggono nel settore ospite unendosi al resto della tifoseria. Quando viene diffusa la notizia si scatena la<br />

rabbia degli ultras genoani, che prima obbligano l’arbitro a sospendere la partita e poi assediano fino a tarda<br />

notte i tifosi rossoneri chiusi nel loro settore, ingaggiando una violenta guerriglia con le Forze dell’ordine<br />

fuori lo stadio.<br />

Sono tre in particolare le conseguenze di quella tragica domenica: la sospensione di tutte le competizioni<br />

sportive la domenica successiva; un ulteriore inasprimento delle normative antiviolenza, mentre la terza<br />

investe dall’interno il mondo ultrà.<br />

Sette giorni dopo la morte di Vincenzo Spagnolo, infatti, su iniziativa dei leaders delle due tifoserie di<br />

Genova (Genoa e Sampdoria), viene organizzato un raduno nazionale tra ultras. Decidono di incontrarsi per<br />

riflettere - sul loro mondo, sui cambiamenti che ne avevano stravolto la fisionomia - nel tentativo di porre dei<br />

limiti alla violenza e di ridisegnare delle regole per un mondo che sembrava non averne più.<br />

A Genova giungono i leaders di quasi tutti i gruppi d'Italia e, pur esplicitandosi in quella giornata anche le<br />

contraddizioni e le profonde differenze interne al movimento, l'incontro produce un risultato importante: un<br />

comunicato sottoscritto dalla maggior parte dei presenti dal titolo "Basta lame basta infami". Nel documento<br />

si può leggere, tra l'altro: "Basta con questi ultras che ultras non sono, che cercano proprio a spese del mondo<br />

ultras di fare notizia, di diventare grandi ignorando il male fatto (come in questo caso irreparabile). Basta con<br />

la moda dei 20 contro 2 o delle molotov e dei coltelli".<br />

Questo comunicato, di fatto un vero e proprio appello ad essere ultrà secondo certe regole, viene ferocemente<br />

criticato dalla maggior parte dell'opinione pubblica, dai giornali e dalle forze politiche italiane. Il documento<br />

manifesta un preoccupato, seppur tardivo, riconoscimento della crisi in atto all'interno del mondo ultras e<br />

contiene una severa autocritica per non aver compreso per tempo che l'escalation di quella violenza anomica<br />

veniva a minare le fondamenta stesse del movimento, eppure quasi nessuno, dall’esterno, coglie l'importanza<br />

di questi elementi di novità.<br />

Gli effetti del raduno di Genova sono stati, in ordine al rispetto dei codici comportamentali,<br />

complessivamente positivi: quantomeno negli anni immediatamente successivi la maggior parte dei gruppi si<br />

è attenuta alle indicazioni del documento (alcuni sono arrivati persino a sconfessare la violenza come metodo<br />

lecito d'azione), mentre altri gruppi, più o meno velatamente, non hanno condiviso e non hanno accettato il<br />

divieto di usare armi. In generale, comunque, gli atti di violenza sono diminuiti, così come i feriti da arma da<br />

taglio (che nella maggior parte dei casi continuano ad essere vittime dei cosiddetti "cani sciolti").<br />

Al ridimensionarsi, in percentuale sul totale annuale, degli episodi di violenza tra tifosi fa da contraltare<br />

invece il costante incremento degli incidenti che coinvolgono ultras e forze dell'Ordine.<br />

La seguente tabella evidenzia come sono ripartiti in termini assoluti e percentuali gli incidenti da stadio verificatisi<br />

dal campionato 1991/92 al 1998/99 .<br />

Tifosi<br />

avversari<br />

%<br />

Forze<br />

dell’ordine<br />

%<br />

Giocatori<br />

o dirigenti<br />

5<br />

%<br />

Terna<br />

arbitrale<br />

1991/92 124 43,06 75 26,04 39 13,54 38 13,19 12 4,17<br />

1992/93 106 46,29 64 27,95 34 14,85 14 6,11 11 4,80<br />

1993/94 106 45,11 72 30,64 18 7,66 21 8,93 18 7,66<br />

1994/95 71 40,34 48 27,28 20 11,36 17 9,66 20 11,36<br />

1995/96 79 35,75 68 30,77 38 17,19 17 7,69 19 8,6<br />

1996/97 93 38,91 63 26,36 44 18,41 25 10,46 14 5,86<br />

1997/98 126 36,95 84 24,63 72 21,11 42 12,32 17 4,99<br />

1998/99 117 35,03 95 28,45 58 17,36 40 11,99 24 7,17<br />

Fonte: Centro Nazionale Studi di Polizia in Marinelli – Pili, 1999.<br />

A questi vanno aggiunti i dati più recenti diramati ogni anno dal Ministero degli interni. Sono dati non<br />

completi e non omogenei tra loro perché di anno in anno i consulenti del Ministero cambiano i parametri<br />

nella valutazione degli incidenti. Possono comunque aiutarci nella nostra riflessione. I dati del Ministero<br />

rilevano, infatti, come nel corso del campionato 2000/2001 vi siano stati 176 incidenti con feriti a fronte dei<br />

%<br />

Altri<br />

%


127 incidenti della stagione 2001/02 (- 26%) ed un aumento degli incidenti nel corso del 2002/03 (+ 28%)<br />

tale da riportarci allo stesso livello di due anni prima. Significativo il dato registrato nelle prime 20 giornate<br />

del campionato 2002/03 che attesta come ben il 43% degli incidenti avvenga tra ultras e Forze dell’Ordine in<br />

assenza di gruppi ultras rivali. Altro dato interessante è quello relativo al numero di uomini impiegati dalle<br />

Forze dell’Ordine ogni domenica dentro e attorno agli stadi: nel 1994, secondo i dati forniti dal Centro Studi<br />

di Polizia, vi erano 5.500 uomini impiegati; nel 2002, a fronte di un notevole calo degli spettatori, il numero<br />

è quasi raddoppiato e si contano 10.300 uomini ad assicurare l’ordine pubblico.<br />

Questi dati, accompagnati da una forte azione repressiva anche a livello legislativo attuata negli ultimi anni –<br />

nel 2000 i provvedimenti che vietavano l’allestimento di treni speciali per tifosi e la vendita dei biglietti per i<br />

tifosi ospiti il giorno della partita; nel 2001 la normativa contro i cosiddetti “striscioni violenti” 17 ed i cori<br />

razzisti o pseudo-tali; sempre nel 2001 la legge nr. 377 che ha incrementato le pene per i cosiddetti reati da<br />

stadio (diffida per un massimo di tre anni, eventuale obbligo di firma, ecc.) ed introdotto nuovi divieti; nel<br />

2003 la Legge Pisano ha ulteriormente inasprito le pene, introdotto l’arresto in quasi-flagranza di reato ed<br />

addirittura previsto l’arresto da tre a diciotto mesi per il semplice possesso di materiale pirotecnico di ogni<br />

tipo (compresi gli inoffensivi fumogeni) – evidenziano come una maggior militarizzazione degli stadi e una<br />

azione legislativa sempre più punitiva non siano stati il migliore antidoto contro la violenza negli stadi. La<br />

violenza negli stadi negli ultimi anni non è diminuita considerevolmente e non è aumentata; si è solo<br />

trasformata, è diventata sempre più violenza del ribelle che si sente braccato ed emarginato, è diventata<br />

violenza contro le “Istituzioni repressive” che allo stadio sono rappresentate dalle Forze dell’Ordine (un<br />

esempio eclatante in questo senso è rappresentato dal recente episodio di Avellino-Napoli dove un tifoso<br />

napoletano, in circostanze non del tutto ancora chiarite, ha perso la vita cadendo da un’ altezza di 10 metri, e<br />

un centinaio di tifosi partenopei hanno sfogato la loro ira dando la caccia ai pochi poliziotti presenti).<br />

Forse, per limitare il fenomeno della violenza negli stadi sarebbe ora che anche in Italia si seguissero altre<br />

strade, alternative a quelle repressive. Forse una presenza più discreta e meno visibile delle Forze<br />

dell’Ordine, così come è ormai prassi consolidata in molti paesi del Nord Europa, contribuirebbe a rendere<br />

meno teso e pesante il clima che si respira invece oggi intorno ad uno stadio.<br />

Forse, invece di varare ulteriori ed inutili leggi ultra repressive, bisognerebbe affiancare alle misure punitive,<br />

misure di carattere sociale, non volte a reprimere e controllare, ma capaci di valorizzare le energie positive<br />

presenti nel mondo delle curve e di lavorare sulla mediazione dei conflitti (come è ormai consuetudine fare<br />

in altri ambiti del sociale).<br />

Ma torniamo più direttamente ad occuparci, non tanto di violenza, ma di ciò che più ha caratterizzato in<br />

questi ultimi anni il mondo ultras.<br />

Dopo il raduno di Genova nel 1995, che ha rappresentato un vero punto di svolta per gli ultras, si sono<br />

ripetute negli anni successivi occasioni di dialogo, confronto ed iniziativa comune tra gruppi ultras, spesso<br />

incentrate sul problema della repressione. Dal 1998, in particolare, grazie anche all'attività del <strong>Progetto</strong> <strong>Ultrà</strong>,<br />

tali iniziative attorno a temi ultras sono diventate pratica comune per un numero sempre più ampio di gruppi,<br />

affrontando in particolare le questioni dei diritti dei tifosi e la difesa della cultura popolare del tifo di fronte<br />

all'avanzata dell'industria calcio 18 .<br />

E’ in atto quindi da alcuni anni il tentativo dei tifosi di riproporsi, con più forza, come una vera e propria<br />

agenzia di socializzazione che non ha come unico obiettivo quello di praticare violenza. Anche da questo<br />

punto di vista, oltre che per le profonde ragioni solidaristiche che da sempre animano il mondo ultras, si<br />

spiegano le tante iniziative benefiche organizzate dalle e nelle curve negli ultimi anni (dall'iniziativa<br />

nazionale di sostegno al Telefono Azzurro, agli aiuti umanitari per l'ex Jugoslavia, passando per una miriade<br />

di iniziative locali).<br />

Tale ricerca di incontro e di confronto interno al movimento ultrà è finalizzata, dunque, a difendersi dalle<br />

degenerazioni violente interne, ma anche a fare quadrato contro un’opinione pubblica che considera gli ultrà<br />

unicamente come feroci criminali ed un apparato istituzionale che ha ulteriormente affilato le armi della<br />

repressione. Negli ultimi anni, inoltre, stanno assumendo sempre più importanza le iniziative di protesta nei<br />

17 Causa scatenante fu l’esposizione dello striscione “Onore alla Tigre Arkan” da parte dei sostenitori romani, a ricordo del<br />

nazionalista serbo (ex-capo ultrà della Stella Rossa Belgrado e criminale di guerra nel conflitto che aveva dilaniato la ex-Yugoslavia<br />

(Lazio-Bari del 30/1/2000).<br />

18 Nel 1998 fu intrapresa la prima azione di protesta comune e coordinata contro le Leggi repressive e la loro applicazione<br />

eccessivamente discrezionale: molte tifoserie esposero uno striscione con scritto “Liberò cittadino? No, ultras!”. L’iniziativa si è<br />

ripetuta in forme analoghe nel 2000 (striscione “Leggi speciali: oggi per gli ultrà, domani per tutta la città!”) e nel 2003 (striscione<br />

“A voi i soldi a noi la repressione!”)<br />

6


confronti di un’industria calcistica che tende a sottrarre significato all’essere tifoso per relegare il<br />

frequentatore dello stadio al ruolo di semplice consumatore dell’evento sportivo.<br />

Sembra quasi un paradosso, ma proprio nel momento di maggior debolezza interna, i gruppi ultrà si sono<br />

scoperti capaci di trovare punti di contatto e di azione comune tra loro. Ecco così che l’essere ultrà viene<br />

anche a connotarsi, ed è questa forse la novità più interessante anche dal punto di vista culturale, per<br />

l’appartenenza ad un movimento quasi di resistenza, che lotta contro il tentativo di imborghesire il fenomeno<br />

del tifo calcistico e di distruggerne quella cultura popolare di cui gli ultrà, in Italia, si sentono i legittimi<br />

depositari.<br />

Dunque gli ultras hanno continuato ad incontrarsi, dimostrando che nonostante le profonde differenze ed i<br />

contrasti - ed aldilà delle appartenenze di classe sociale ed anagrafica, del background culturale e politico –<br />

si è fatta largamente strada una consapevolezza nuova: che esiste, per tutti i gruppi, un’unità di fondo e di<br />

grado più alto rispetto alle differenze che li dividono. Di più: all’opzione dei raduni ultras, pratica ormai<br />

collaudata che prevede la partecipazione di piccole delegazioni di ogni tifoseria, il maturare convinto di<br />

questo sentimento di appartenenza e comunanza “oltre i colori” ha persino spinto il Movimento Ultras 19 a<br />

ipotizzare vere e proprie manifestazioni di piazza a sostegno delle proprie battaglie e rivendicazioni. Dopo<br />

che un primo tentativo era stato realizzato nella primavera del 2002 a Brescia, per iniziativa degli ultras<br />

locali, per buona parte della stagione sportiva 2002/2003 si sono succedute riunioni preparatorie per una vera<br />

e propria manifestazione nazionale. Originariamente fissata per il 4 aprile 2003 a Roma, la manifestazione ha<br />

avuto un brusco rallentamento nei giorni immediatamente precedenti 20 ed alla fine ha visto una discreta<br />

presenza numerica di tifosi, ma in rappresentanza di uno spettro relativamente contenuto di gruppi.<br />

Ben diversa è stata invece la partecipazione alla Manifestazione nazionale svoltasi il 22 giugno a Milano, alla<br />

quale hanno aderito ben 72 diversi gruppi ultras (alcuni anche stranieri). Nonostante il caldo torrido, il<br />

capoluogo lombardo ha visto sfilare circa 5000 persone, determinate a fare sentire con forza ma anche con<br />

compostezza la propria voce contro repressione, calcio moderno e pay-tv. Uno sforzo ed un risultato<br />

certamente notevoli, quand’anche le note vicende estive abbiano dimostrato che i vertici del calcio e delle<br />

istituzioni non hanno nessuna intenzione di invertire la marcia.<br />

Proprio il caos legato ai ripescaggi della serie B ha offerto l’occasione infine per una duplice manifestazione<br />

di protesta nelle scorse settimane. La prima il 29 agosto sotto la sede milanese della Lega Calcio, dove in<br />

numero stavolta più contenuto (anche per puntare su un effetto-sorpresa) si sono ancora ritrovate tifoserie tra<br />

loro storicamente rivali ma accomunate dalle stesse parole d’ordine e dalla stessa indignazione contro il<br />

“Palazzo”. La seconda, durante la partita Italia-Galles disputata a settembre a S.Siro, quando in più settori<br />

dello stadio sono stati esposti diversi striscioni di protesta, ottenendo una discreta visibilità mediatica.<br />

La stagione da poco iniziata ci chiama pertanto a verificare cosa accadrà prossimamente, sotto vari aspetti:<br />

- se a Movimento Ultras aderiranno anche quelle tifoserie o gruppi che fino ad ora, per diverse ragioni,<br />

hanno preferito non partecipare;<br />

- se questi ripetuti incontri tra ultras, con corollario di amicizie e rispetto reciproci, abbasseranno anche il<br />

livello di conflittualità tra tifoserie;<br />

- se lo stesso Movimento Ultras riuscirà a costruire, dopo la fase della protesta, una piattaforma<br />

rivendicativa capace di dare una prospettiva di rinascita “dal basso” ad un sistema-calcio apparso nel più<br />

totale sbando e degrado etico-normativo;<br />

- se il mondo ultras sarà in grado di coinvolgere, processo che passa inevitabilmente attraverso un<br />

continuo processo di crescita e di assunzione di responsabilità, altre e più ampie schiere di tifosi ed<br />

appassionati, quantomeno quanti regolarmente ancora preferiscono il “freddo gradino” dello stadio ai<br />

comfort della pay-tv.<br />

.<br />

19<br />

Dal 2002 si è creato un vero e proprio coordinamento nazionale che si è dato questo nome.<br />

20<br />

A causa di sopravvenuti dissidi di carattere organizzativo tra gli ultras laziali e buona parte degli altri gruppi aderenti<br />

a Movimento Ultras.<br />

7


La seguente bibliografia si propone di offrire al lettore un ampio panorama dei lavori<br />

pubblicati in Italia sull’argomento.<br />

Bibliografia:<br />

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