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Editoriale - Ordine Avvocati Ariano Irpino

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<strong>Editoriale</strong><br />

Ci eravamo lasciati, con l’ultimo numero del 2009, con un auspicio. Quello che il 2010<br />

potesse essere un anno positivo per la classe forense e per la nostra rivista.<br />

Quanto al primo aspetto, il bilancio è prematuro, anche se è sotto gli occhi di tutti che le<br />

difficoltà paventate a fine 2009 si stanno fortificando e che la polemica spesso aspra sui<br />

contenuti delle riforme (quali realmente siano è difficile comprenderlo) e dello stato della<br />

Giustizia non accenna a finire.<br />

Diverso il discorso relativo alla Rassegna del Foro Arianese. Che continua ad ottenere<br />

consensi di cui siamo orgogliosi, e che continua soprattutto a crescere sotto il profilo delle<br />

collaborazioni di sempre più alto prestigio.<br />

Come ognuno potrà apprezzare, la “vetrina” del numero è dedicata al Giudice Andrea Vela,<br />

Magistrato arianese che ha ricoperto le più prestigiose cariche in seno alla magistratura, fino a<br />

divenire Primo Presidente della Corte di Cassazione.<br />

L’articolo a firma di Antonio Alterio non è casuale. È infatti grande motivo di orgoglio per<br />

noi potere anticipare che sarà proprio il Giudice Andrea Vela a presiedere il costituendo<br />

comitato scientifico della rivista, avendo con grande entusiasmo, e con nostra grande<br />

soddisfazione, accolto l’invito rivoltogli in tal senso.<br />

Dello stesso comitato scientifico farà parte anche il professore avv. Modestino Acone, che<br />

personalmente ritrovo a distanza di parecchi anni da quando sostenni con lui l’esame di<br />

procedura civile, presso l’Università Federico II di Napoli. Il suo contributo è già presente in<br />

questo numero, arricchito da una firma tanto prestigiosa.<br />

Alla collaborazione richiesta a gran voce da parte del gruppo fondatore della rivista hanno<br />

risposto in molti con grande entusiasmo, ed a tutti va un sentito ringraziamento. Ma non si<br />

sentiranno meno importanti gli altri collaboratori della Rassegna, se un grazie particolare lo<br />

rivolgiamo ai Giudici di Sant’Angelo dei Lombardi, Luigi Levita e Fabrizio Ciccone, che<br />

accogliendo il nostro invito, hanno fornito un prezioso apporto alla nostra pubblicazione.<br />

Per il secondo si tratta di un consolidamento della collaborazione. Per il primo è l’inizio di<br />

quella che si auspica possa trasformarsi in una collaborazione stabile. In tal senso volge il suo<br />

essere direttore della rivista "Strumentario <strong>Avvocati</strong> - Rivista di Diritto e Procedura Penale".<br />

L’apporto datoci dai magistrati di <strong>Ariano</strong> e di Sant’Angelo dei Lombardi è fondamentale,<br />

visto lo sforzo che stiamo compiendo di concentrare le nostri attenzioni sulla giurisprudenza<br />

di merito locale. Come non sfuggirà a coloro che ci hanno seguito anche in passato, in questo<br />

numero abbiamo tralasciato di riportare le massime della giurisprudenza di legittimità.<br />

Una scelta che però non ha indebolito la sezione delle sentenze, arricchita, anzi, con la<br />

pubblicazione di provvedimenti per esteso che risultano particolarmente interessanti.<br />

1


E sempre nell’ottica delle novità, la rivista si chiude con un intervento davvero “gustoso” in<br />

tema di grafologia, a cura della dr.ssa Silvana Iuliano, tra le più conosciute grafologhe del<br />

circondario e non solo, che ha trattato un tema interessante con il garbo e la leggerezza di chi<br />

sa bene come un argomento difficile e delicato possa trovare riscontro in un pubblico di<br />

neofiti per la materia. Il suo intervento, si spera, non sarà certamente un episodio isolato, ma<br />

è destinato a divenire un appuntamento fisso per la nostra rivista.<br />

Da parte del gruppo di redazione i complimenti a Francesco Gentile, autore in questo numero<br />

di un articolo sulla posta elettronica certificata, e che ha appena pubblicato per le Edizioni<br />

Simone, assieme alla collega Mirella Giovino il libro, “Le Notificazioni (Civili-<br />

Amministrative-Penali-Tributarie)”. Non può che essere, questo, un esempio ed uno stimolo<br />

per chi, come noi, ha l’ambizione di scrivere di diritto.<br />

Consentitemi infine di passare molto velocemente ad una piccola autocelebrazione.<br />

Dopo soli quattro numeri la Rassegna del Foro Arianese fa parte della famiglia dell’Astaf,<br />

l’Associazione Nazionale Stampa Forense, che raggruppa alcune tra le principali riviste<br />

giuridiche edite nel nostro Paese.<br />

Non sarà certo questo un punto di arrivo, ma permetteteci di affermare che si tratta di un<br />

grande risultato, acquisito in poco tempo, e, soprattutto, con una esperienza nel settore<br />

maturata sul campo nell’arco di un anno o poco più.<br />

Per averci consentito questo, non possiamo che ringraziare il Consiglio dell’<strong>Ordine</strong> di <strong>Ariano</strong><br />

<strong>Irpino</strong>, nella sua attuale composizione (dopo le elezioni di gennaio scorso): Giovanni Antonio<br />

Cardellicchio (cons. anziano), Franca Iacoviello, Marcello Luparella (vice presidente), Luigi<br />

Marraffino, Assunta Mascolini, Carmine Monaco (presidente), Francesco Petitto, Domenico<br />

Scala (segretario), Domenico Simone (tesoriere).<br />

Siamo ai saluti, dunque. Come sempre non resta che augurarvi buona lettura, sperando che i<br />

contenuti del numero “4” possano essere utile strumento per gli avvocati, ma in generale<br />

possano suscitare interesse in chiunque si ritrovi, in qualsiasi modo, questa rivista tra le mani.<br />

2<br />

enrico riccio


Gli Osservatori Civili<br />

Il processo giusto e di ragionevole durata rappresenta oggi principio sancito dalla<br />

Costituzione (art. 111 cost.). Non è necessario soffermarsi e ribadire, trattandosi di principio<br />

chiaro, acquisito e non scalfibile, che l’attività giudiziaria in generale e quella del magistrato<br />

in particolare, non rispondono a logiche economiche o paraziendalistiche; tuttavia deve essere<br />

ormai chiaro a tutti, e da ritenersi parimenti acquisito, l’argomento che anche il lavoro del<br />

magistrato deve calarsi in una organizzazione controllabile, volta al conseguimento di<br />

risultati complessivi adeguati.<br />

Una organizzazione efficiente è condizione primaria, nel contesto storico e sociale in cui<br />

viviamo, anche per un recupero di credibilità della magistratura tutta.<br />

L’adeguata organizzazione del magistrato, sempre muovendosi nel chiaro quadro normativo e<br />

costituzionale del giusto processo, passa attraverso l’acquisizione di metodi di “conoscenza”,<br />

“gestione” e “controllo” del proprio lavoro che al giudice devono essere chiari e che il<br />

magistrato deve utilizzare al fine di orientare la sua attività verso quegli obiettivi riscontrabili<br />

di efficienza e produttività ai quali, come detto, la nostra attività non può sottrarsi, anche alla<br />

luce delle nuove disposizioni in tema di valutazione di professionalità.<br />

Il giudice è oggi responsabile non solo del contenuto delle sue decisioni, ma anche<br />

dell’efficacia del proprio operato e dell’organizzazione del proprio lavoro. L’ordinamento<br />

giudiziario lo evidenzia sotto un profilo strettamente disciplinare; la normazione del CSM lo<br />

evidenzia sotto il profilo della valorizzazione del patrimonio professionale del magistrato.<br />

Invero, nelle circolari del CSM via via succedutesi nel tempo è ormai frequente il riferimento<br />

alla professionalità, in materia di valutazione per la progressione in carriera e per il<br />

conferimento o la conferma degli incarichi direttivi (per questi ultimi l’attenzione al profilo<br />

organizzativo è fondamentale).<br />

Si inserisce a pieno titolo in questa ricerca “organizzativa”, l’attività degli osservatori sulla<br />

giustizia civile, che arricchisce di contenuti, in particolare, il metodo di “gestione”<br />

dell’attività di udienza (e non solo) del magistrato.<br />

Gli osservatori sono una manifestazione di autonomia collettiva fondata sull’etica della<br />

corresponsabilità, che discende dal riconoscimento di un comune interesse alle sorti della<br />

giustizia civile, e assicurata sul piano normativo dalla libertà costituzionale di associazione.<br />

Magistrati, avvocati, docenti universitari e personale giudiziario, senza l’osservanza di<br />

particolari formalità, si assumono l’impegno di operare, con iniziative congiunte o<br />

coordinate, per migliorare l’efficienza della giustizia civile in un certo ambito locale.<br />

3


L’attività degli osservatori è volta soprattutto alla ricerca di prassi virtuose e condivise: al<br />

centro dell’interesse degli osservatori non vi è la prassi in sé e per sé considerata, ma la<br />

valorizzazione della prassi nella prospettiva di promuovere la qualità della giustizia civile; si<br />

codificano, dunque, prassi condivise, al fine di rendere più efficiente la gestione del processo.<br />

La consapevolezza del ruolo centrale che la prassi riveste nell’assetto del processo civile<br />

matura sul piano dottrinale ben prima della nascita degli osservatori (nascita collocabile negli<br />

anni novanta). Ne parla Piero Calamandrei nel volume Processo e democrazie pubblicato nel<br />

1952: “in realtà ciò che plasma il processo, ciò che dà la sua fisionomia tipica non è la legge<br />

processuale, ma è il costume di chi la mette in pratica. Il diritto scritto non è che un contorno<br />

esterno entro il quale il rilievo, coi colori e i chiaroscuri, è dato dal costume. Ogni<br />

procedimento ha questa caratteristica: che, per quanto minuziose siano le norme che<br />

disciplinano il suo svolgimento, le attività che lo compongono non possono mai essere<br />

previste in maniera così rigorosa da non lasciare un certo margine all’iniziativa ed alla<br />

discrezione personale di chi è chiamato a compierle”.<br />

La valorizzazione della prassi, inoltre, riafferma il valore delle garanzie costituzionali e del<br />

principio di legalità nella disciplina processuale anziché sminuirlo; gli osservatori valorizzano<br />

le prassi virtuose non contro la legge e le garanzie costituzionali, bensì negli spazi che la<br />

legge processuale lascia fisiologicamente a disposizione degli operatori del diritto.<br />

Bisogna prendere atto che la riaffermazione del principio di legalità, pur fondamentale, da<br />

sola non è sufficiente a garantire risultati soddisfacenti sul piano pratico della risposta di<br />

giustizia; il sistema normativo processuale non deve rimanere chiuso nella sua<br />

autoreferenzialità, ma deve apprendere dall’ambiente circostante, come un polmone aperto<br />

sull’esperienza.<br />

I “protocolli” raccolgono, quindi, regole di comportamento rivolte a tutti gli operatori e<br />

contribuiscono di per sé alla formazione ed elaborazione delle prassi virtuose grazie<br />

all’adesione libera e spontanea dei consociati.<br />

In definitiva, dunque, acquisita la consapevolezza della necessità di organizzare<br />

adeguatamente il lavoro del magistrato, potrà considerarsi efficiente quell’organizzazione del<br />

lavoro del giudice che non scalfisca, in nome di un efficientismo senza valori, le regole di<br />

garanzia, difesa e contraddittorio che sono la sintesi del giusto processo sancito dalla<br />

Costituzione.<br />

Ma un processo è giusto soprattutto se ha una durata ragionevole; anche questo principio è<br />

contenuto chiaramente nell’art. 111 della Cost..<br />

E’ nella ricerca di un giusto equilibrio tra durata ragionevole del processo e rispetto delle<br />

regole di garanzia, che si gioca la partita dell’efficienza.<br />

4


I protocolli si limitano, pertanto, a suggerire regole di condotta, soluzioni e prassi condivise<br />

che siano di ausilio per il raggiungimento di questo giusto equilibrio.<br />

Questa premessa è necessaria per comprendere la genesi dei protocolli e l’importanza pratica<br />

dei medesimi.<br />

Il nostro Tribunale dal 31 marzo 2010 ha un “protocollo” realizzato dall’Osservatorio Civile,<br />

e, dunque, con la collaborazione dei magistrati e degli avvocati che lo compongono.<br />

Il protocollo del Tribunale di <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong> è stato comunicato al coordinamento nazionale<br />

degli osservatori ed è liberamente consultabile sul relativo sito nazionale.<br />

Speriamo nel successo del protocollo, nell’ambito di chi può e deve applicarlo ed osservarlo.<br />

La spinta dell’efficienza, sia chiaro, non promana solo dall’alto, dal vertice e men che meno<br />

affidandosi all’idea arcaica del giudice oracolare; la spinta dell’efficienza deve provenire dal<br />

basso, nel senso nobile del termine, ovverosia da chi la giustizia l’amministra<br />

quotidianamente, magistrati, avvocati, personale amministrativo, ufficiali giudiziari, unici a<br />

sapere davvero quali sono le criticità che caratterizzano ciascun ufficio giudiziario.<br />

Queste sono le fondamenta dei protocolli e le ragioni alla base di questo importante lavoro<br />

svolto dall’osservatorio devono essere a tutti chiare: solo attraverso una consapevole<br />

acquisizione del senso e del significato degli osservatori e dei protocolli si creano le vere<br />

fondamenta delle prassi virtuose e, dunque, dell’efficienza.<br />

5<br />

maria cristina rizzi


Le ragioni dei piccoli<br />

Le ragioni per le quali continuiamo, tra mille difficoltà (non solo logistiche), a stampare la<br />

nostra rivista sono, in fondo, simili a quelle che giustificano la permanenza di un presidio di<br />

giustizia annoverato tra i cd. fori minori o (peggio) piccoli tribunali.<br />

In un piccolo foro è ancora possibile parlare di giustizia intesa come prossimità alle reali<br />

dinamiche sociali e risoluzione in tempi non “biblici” dei conflitti quotidiani; nonostante lo<br />

scetticismo che viene da campagne di stampa che ne predicano la chiusura per inefficienza.<br />

Accertata da chi ? Da quanti indicano come modello di efficienza la grande o media struttura<br />

giudiziaria, salvo poi a buttare le mani avanti quando escono le statistiche non sempre<br />

idilliache dei grandi tribunali, ogni volta giustificando l’ennesima deludente performance<br />

con la litania delle risorse che mancano e delle illusorie continue riforme a cd. costo zero.<br />

Sarà un caso ma il modello a cui sembrano tendere i fautori della cd. razionalizzazione delle<br />

strutture giudiziarie non è diverso da quanto accade nella nostra finanza pubblica, sempre<br />

alle prese con buchi da tappare e con deficit da ripianare.<br />

Le difficoltà dei medi e grandi tribunali vengono, in teoria, risolte drenando risorse -<br />

magistrati e personale amministrativo, soprattutto - dalle piccole strutture periferiche,<br />

conseguentemente da sopprimere (non potendo funzionare a self service).<br />

Quando poi la “ricetta” non funziona o non basta, si può sempre ricorrere a manovre<br />

straordinarie, una tantum, un po’ come le amnistie ed i condoni di una volta, come ad es. gli<br />

annunciati piani di smaltimento dell’arretrato civile, stile sezioni stralcio.<br />

Parleremo anche di questo nel convegno che si terrà ad <strong>Ariano</strong> il prossimo 23 giugno,<br />

organizzato grazie alla collaborazione dell’OUA e del suo Presidente avv. Maurizio De Tilla,<br />

che ringraziamo per la sua preziosa e convinta adesione.<br />

Contiamo per quella data di esserci, primo numero dell’anno di Rassegna del Foro Arianese,<br />

materialmente presenti, per un modesto conforto alle ragioni dei piccoli, che possono<br />

sopravvivere non a dispetto dei grandi ma semplicemente in sintonia con le esigenze altrui.<br />

Come questo sia possibile, è proprio ciò che occorre sperimentare e dimostrare, giorno per<br />

giorno, non dando mai nulla per scontato (il nuovo è già arrivato, non basta più esorcizzarlo)<br />

e senza abbandonarsi a fatalismi o, peggio, campanilismi anacronistici.<br />

6<br />

domenico scala


Sommario<br />

<strong>Editoriale</strong> pag. 1<br />

Gli osservatori civili (di Maria Cristina Rizzi) pag. 3<br />

Le ragioni dei piccoli (di Domenico Scala) pag. 6<br />

PARTE PRIMA pag. 9<br />

Excerpta (di Antonio Alterio) pag. 10<br />

Protocollo generale per le udienze civili del tribunale arianese pag. 13<br />

Principio di non contestazione e procedimento sommario (di Modestino Acone) pag. 23<br />

Mediazione e conciliazione (di Maria Cristina Rizzi) pag. 26<br />

L’onere di contestazione (di Carmine Monaco) pag. 34<br />

Focus: I diritti umani e l’unità dell’Africa (di Agostino Marsoner) pag. 45<br />

Il carcere (di Enrico De Musis) pag. 54<br />

Dalla PEC al processo telematico (di Francesco Gentile) pag. 55<br />

PARTE SECONDA pag. 60<br />

Quota sociale e rapporti con la comunione legale dei coniugi (di Sara Cennerazzo) pag. 61<br />

Contratto di lavoro a termine (di Fiorella Ruta) pag. 75<br />

La buona fede oggettiva (di Alberto Paolo Di Flumeri) pag. 83<br />

Danno non patrimoniale da lesione del diritto alla salute (di Luigi Di Prisco) pag. 97<br />

L’istituto dell’esdebitazione (di Palmina Katia Cipolla) pag. 101<br />

La distanza in caso di fondi a dislivello (di Giovanni Tecce) pag. 106<br />

PARTE TERZA pag. 108<br />

Giurisprudenza Civile pag. 109<br />

Massimario civile del Foro Arianese pag. 141<br />

Massimario sezione Lavoro pag. 144<br />

Giurisprudenza Giudice di Pace pag. 147<br />

Giurisprudenza Penale pag. 152<br />

SPECIALE : L’arte vista da vicino (di Domenico Scala) pag. 161<br />

Pillole di grafologia (di Silvana Iuliano) pag. 161<br />

7


RASSEGNA DEL FORO ARIANESE<br />

Rivista trimestrale del Consiglio dell’<strong>Ordine</strong><br />

degli <strong>Avvocati</strong> di <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong><br />

Registrazione Tribunale di <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong><br />

n. 01/2008 del 9 aprile 2008<br />

rivista affiliata ASTAF<br />

Direttore responsabile: Enrico Riccio<br />

Direzione scientifica: Maria Cristina Rizzi<br />

Responsabile editoriale: Domenico Scala<br />

Editore: Consiglio dell’<strong>Ordine</strong><br />

degli <strong>Avvocati</strong> di <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong><br />

Sede: Tribunale di <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong><br />

Piazza Enea Franza<br />

83031- <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong> (AV)<br />

E-mail: foroarianese@libero.it<br />

Stampa: Grafiche Iuorio - Benevento<br />

ANNO II – NUMERO I/2010<br />

Hanno collaborato in questo numero:<br />

Modestino Acone (avvocato – docente universitario)<br />

Antonio Alterio (avvocato)<br />

Lidia Caso (avvocato)<br />

Sara Cennerazzo (avvocato)<br />

Fabrizio Ciccone (giudice del Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi)<br />

Palmina Katia Cipolla (praticante avvocato)<br />

Enrico De Musis (avvocato)<br />

Alberto Paolo Di Flumeri (praticante avvocato)<br />

Luigi Di Prisco (avvocato)<br />

Francesco Gentile (praticante avvocato)<br />

Mariella Ianniciello (giudice del Tribunale di <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong>)<br />

Silvana Iuliano (grafologa e criminologa)<br />

Luigi Levita (giudice del Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi)<br />

Agostino Marsoner (docente universitario)<br />

Carmine Monaco (avvocato)<br />

Fiorella Ruta (avvocato)<br />

Giovanni Tecce (avvocato)<br />

8


PARTE PRIMA<br />

All’introduzione di Antonio Alterio, dedicata alla figura prestigiosa del conterraneo dr.<br />

Andrea Vela, già Primo Presidente della Corte di Cassazione sul finire del secolo scorso, ed<br />

ora – ben più modestamente - presidente del costituendo comitato scientifico della Rassegna<br />

del Foro Arianese (lo ringraziamo calorosamente per l’entusiasmo con cui ha risposto al<br />

nostro invito, avendo nitido il ricordo della sua signorile visita, ritratto vicino all’avv.<br />

Erminio Grasso nella fotografia che pubblichiamo, del luglio 1999 nella sala del Consiglio<br />

dell’<strong>Ordine</strong>), segue la sezione dedicata all’Osservatorio Civile, con il protocollo delle<br />

udienze civili (il primo realizzato ad <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong>) e le relazioni al convegno tematico<br />

tenutosi nel nostro tribunale a dicembre 2009, in collaborazione con il Gruppo 24 Ore che lo<br />

ha pubblicizzato sul suo settimanale giuridico Guida al Diritto .<br />

Di Osservatori Civili parla già nel suo editoriale Maria Cristina Rizzi, artefice del protocollo<br />

delle udienze elaborato dall’osservatorio locale ed apprezzato a livello nazionale, che – per<br />

nostra fortuna e soddisfazione - conserva il ruolo direttivo della rivista anche dopo il suo<br />

trasferimento (inizio aprile di quest’anno) al tribunale di Avellino, dove svolge in prevalenza<br />

funzioni di Giudice Civile .<br />

Nel capoluogo irpino, Avellino, vive ed opera in prevalenza anche il prof. avv. Modestino<br />

Acone, che ha fatto visita al Consiglio Forense di <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong>, facendo omaggio dei tre<br />

volumi, appena editi, che raccolgono gli scritti in suo onore : la cerimonia si è tenuta<br />

all’Università di Salerno il 7.05.10, ed il Foro di <strong>Ariano</strong> ha inviato una delibera di plauso alla<br />

carriera prestigiosa di un maestro ed al contempo legislatore della procedura civile .<br />

Dell’evento pubblichiamo una foto ricordo, ringraziando anche il prof. Acone per aver<br />

accettato con entusiasmo di far parte del costituendo comitato scientifico.<br />

Chiudono la parte prima un articolo sui Diritti Umani, indicato dal Consiglio Nazionale<br />

Forense tra le materie dei programmi formativi obbligatori, e per una drammatica assonanza<br />

un articolo sul carcere. Che, ricordiamolo, vive nuovamente una situazione di straordinario<br />

sovraffollamento: ben 67.206 detenuti (a marzo scorso) rispetto a 44.236 posti “assegnati”.<br />

Ogni commento è fuori luogo.<br />

9


Excerpta di Antonio Alterio<br />

Non verrò meno all’impegno che mi sono assunto di curare questa rubrica se,<br />

eccezionalmente, mi soffermerò a presentare un personaggio speciale, che ha dato lustro alla<br />

magistratura ed ancor più alla città di <strong>Ariano</strong>. E così potete comprendere il motivo per cui<br />

non ebbi nessuna esitazione a proporre il dott. Andrea Vela a presiedere il costituendo<br />

comitato scientifico di questa rivista, allorquando tra gli amici della redazione se ne fece<br />

parola.<br />

La mia proposta fu accolta da tutti e subito mi adoperai per chiedere all’interessato il suo<br />

assenso. Ero certo che avrebbe accondisceso alla mia richiesta perché Andrea, del quale mi<br />

onoro di essere amico, ama <strong>Ariano</strong> nella quale, vivendo a Roma, viene volentieri, appena<br />

può, per ritrovarsi con i fratelli e per rivivere con parenti, con amici e con la sua terra i bei<br />

tempi andati.<br />

Egli è nato nella città del tricolle il 17 agosto 1929 da Beniamino e Maria Aucelletti; quivi<br />

frequentò gli studi liceali per poi iscriversi alla facoltà di Giurisprudenza, presso l’Università<br />

di Napoli, continuando un’antica tradizione familiare: il padre era magistrato nel tribunale di<br />

<strong>Ariano</strong>, mentre il nonno materno, Enrico Aucelletti, esercitava la professione di notaio.<br />

Il 24 maggio 1954 entrò nella magistratura, a seguito di concorso, seguendo il prescritto<br />

tirocinio da uditore giudiziario dal 9 giugno 1954, per sei mesi, presso il tribunale di Napoli<br />

nella Prima e Settima Sezione Civile, nonché presso la locale Procura. Investito delle funzioni<br />

giurisdizionali, fu assegnato, quale vice-pretore, nella Pretura di Marigliano e<br />

successivamente a quella di Venezia della quale andò a dirigere la Sezione Penale (siamo<br />

nell’anno 1955).<br />

Subito dopo partecipò al concorso per aggiunto giudiziario (erano i tempi nei quali si<br />

facevano i concorsi per progredire nella carriera), superandolo ed ottenendone la nomina con<br />

decreto presidenziale del 29 settembre 1956.<br />

Una volta promosso giudice di tribunale, venne destinato alla Prima Sezione Civile del<br />

tribunale della città lagunare con il consenso del Consiglio Superiore della Magistratura<br />

previa segnalazione del Consiglio dell’<strong>Ordine</strong> degli <strong>Avvocati</strong> di detta città. In tale veste<br />

svolse anche funzioni riguardanti la materia fallimentare fino all’agosto 1961.<br />

Era destinato, però, a ricoprire ben altri più prestigiosi incarichi e così, su sua richiesta,<br />

l’organo di controllo della magistratura lo collocò fuori ruolo per assegnarlo alla Corte<br />

Costituzionale, quale assistente del professore Aldo Maria Sandulli, giudice dell’organo. 1<br />

Rimase presso il giudice delle leggi anche quando costui ne divenne presidente e continuò la<br />

1 A.M. Sandulli nacque a Napoli il 22 novembre 1915 e morì a Torgiano l’11 febbraio 1984. Docente<br />

universitario di Diritto amministrativo, fu nominato giudice della Corte Costituzionale il 30 marzo<br />

1957 e Presidente della stessa dal 16 gennaio 1968 al 4 aprile 1969.<br />

10


sua attività in detta veste per il periodo in cui venne eletto a presiederla il professore<br />

Giuseppe Branca. 2<br />

Fu per Vela un periodo non solo di qualificatissimo lavoro, ma anche di intenso e proficuo<br />

studio ed approfondimento con due eminenti maestri del diritto amministrativo e privato dai<br />

quali ereditò la vasta cultura giuridica e la serietà nell’impegno.<br />

Nel 1971, superato il concorso per esame, venne promosso Consigliere di appello ed, una<br />

volta rientrato nel ruolo, fu applicato al Massimario della Suprema Corte di Cassazione ed<br />

alla Seconda Sezione Civile limitatamente a due udienze mensili.<br />

Appena due anni dopo partecipò al concorso per esami a Consigliere di Cassazione,<br />

superandolo, ed in forza di esso fu assegnato, inizialmente, alla Seconda Sezione Civile e poi<br />

alla neo-costituita Sezione del Lavoro. Il 13 dicembre 1973 fu chiamato a far parte delle<br />

Sezioni Unite Civili con lo stesso obbligo di frequenza previsto per tutti gli altri magistrati<br />

componenti detto organo; l’incarico prevedeva la partecipazione ad una udienza mensile di<br />

questa Sezione in aggiunta alle tre udienze della Sezione di appartenenza.<br />

Dopo qualche anno venne chiamato a partecipare a tutte le udienze delle Sezioni Unite con<br />

l’incarico di assicurare la conformità della giurisprudenza, posta a rischio dalla varietà delle<br />

composizioni dei collegi.<br />

All’età di cinquant’anni, il 23 aprile 1979, fu nominato Presidente non titolare di sezione<br />

presso la Sezione del Lavoro, conservando la frequenza settimanale alle Sezioni Unite.<br />

Brancaccio, presidente della Corte Suprema di Cassazione, nel gennaio 1987 gli affidò la<br />

presidenza del gruppo consultivo deputato allo studio dell’organizzazione della stessa Corte.<br />

Il primo dicembre 1991 Vela divenne Presidente della Seconda Sezione Civile; a partire dal<br />

1992 fu anche Presidente supplente del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, del quale<br />

ne aveva fatto parte quale consigliere.<br />

Per la sua vasta conoscenza del diritto, per il suo forte senso dello Stato e per il suo<br />

invidiabile curricolo professionale il 22 novembre 1992 venne chiamato a presiedere la Corte<br />

di Appello di Roma, dirigendola per circa otto anni.<br />

Ormai il consenso era unanime e così il 9 settembre 1999 andò a presiedere la Corte Suprema<br />

di Cassazione, essendo stato investito della carica di Primo Presidente, e dirigendola fino al<br />

17 agosto 2001, data del suo collocamento a riposo per raggiunto limite di età.<br />

Dal gennaio 1978 fino al luglio 2004 diresse la Prima Sezione della Commissione Tributaria<br />

Centrale; durante gli ultimi vent’anni della sua carriera, fece parte delle commissioni di<br />

esame per Avvocato patrocinatore in Cassazione, per Consigliere di Stato o per Referendario<br />

della Corte dei Conti.<br />

2 G. Branca nacque il 21 marzo 1907 e morì nel 1987. Fu nominato giudice della Corte Costituzionale<br />

il 2 luglio 1959 e Presidente della stessa dal 10 maggio 1969 al 9 luglio 1971.<br />

11


Va sottolineato che ogni qual volta il Consiglio Superiore della Magistratura adottò<br />

provvedimenti attinenti alla sua carriera lo fece sempre con il consenso unanime dei suoi<br />

componenti.<br />

Anche il Presidente della Repubblica gli ha espresso la sua riconoscenza per il servizio reso<br />

allo Stato, nominandolo, “motu proprio”, il 17 settembre 2001 Cavaliere di Gran Croce,<br />

massima onorificenza della Repubblica.<br />

Questi sono i meritati titoli professionali del dott.Vela, ad essi mi piace aggiungere altre più<br />

prestigiose sue qualità: l’onestà intellettiva ed il riserbo più rigoroso. Connotazioni umane<br />

che gli discendono da una costante scuola di vita familiare rivolta al rispetto delle regole, al<br />

desiderio di essere piuttosto che apparire, a considerare il lavoro come servizio e non come<br />

mezzo per la conquista del potere. Ecco perché giammai è stato vittima sacrificale dei mass-<br />

media o protagonista di inutili, quanto dannosi, dibattiti televisivi lontano dalle sedi<br />

scientificamente idonee ed opportune.<br />

Ad Andrea lunga e serena vita.<br />

La foto risale al 31/07/1999 da sinistra i magistrati: dott. Franco D’Alessandro, dott. Andrea Vela, dott. Gennaro Gelormini,<br />

dott. Pasquale Perretti, l’avv. Erminio Grasso e l’ing. Enrico Vela.<br />

12


Osservatorio sulla giustizia civile del tribunale di <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong><br />

Protocollo generale per le udienze civili<br />

Premessa. L’Osservatorio Civile di <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong>, costituitosi nella sua prima composizione<br />

solo in data 17 giugno 2009, termina il suo primo ciclo, dal carattere spiccatamente<br />

sperimentale, coincidente con il trasferimento in altra sede (al vicino tribunale di Avellino,<br />

dove si auspica che prosegua l’esperienza) della sua Presidente dr.ssa Maria Cristina Rizzi,<br />

con l’elaborazione di un protocollo per le udienze civili.<br />

Contenuto ed obiettivi. Si tratta, data l’esiguità del tempo a disposizione, di un primo<br />

protocollo di stampo generalista, volutamente sintetico e necessariamente sperimentale.<br />

L’applicazione pratica, affidata all’acume ed alla flessibilità del foro arianese, nella speranza<br />

che trovi la condivisione realisticamente esigibile in tempi di ennesima transizione ed<br />

emergenza (purtroppo status costante di una piccola, ma assai vitale cittadella giudiziaria),<br />

dirà se il primo obiettivo è stato raggiunto.<br />

Ma quale è l’obiettivo ? Quello di creare un metodo condiviso, in futuro tra tutte le categorie<br />

professionali coinvolte nell’andamento del Settore Civile, di analisi ed approfondimento delle<br />

ricadute pratiche, qui ed ora, con le risorse date e dunque effettivamente disponibili, degli<br />

istituti processuali che in maniera a volte quasi alluvionale si susseguono nel tentativo di<br />

deflazionare il Processo Civile e quindi di rendere effettiva giustizia alle istanze delle parti<br />

(spesso complicando entrambe le cose, inevitabilmente connesse, come la realtà ci dimostra ).<br />

Avere gettato le basi per l’elaborazione di un programma, prima di tutto di idee e sia pure<br />

embrionale, teso allo scambio di opinioni e valutazioni sul da fare, rifuggendo dal comodo<br />

alibi mentale del non possumus per la notoria mancanza di risorse, e nella consapevolezza che<br />

l’attesa dell’ennesima riforma risolutiva è meramente sterile e frustrante, fa dire,<br />

all’Osservatorio Civile di <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong> - composto dal dr. Rocco Abbondandolo e dalla<br />

dr.ssa Maria Cristina Rizzi in rappresentanza dei Giudici Civili, e dagli avvocati Carmine<br />

Monaco e Domenico Scala per la classe forense – che l’obiettivo è a portata di mano, e potrà<br />

essere raggiunto sia pure per gradi ed approssimazioni, con tutte le opportune e necessarie<br />

modifiche in corso d’opera .<br />

Certo sarebbe servito, a chi è nuovo nell’ambiente esaltante degli Osservatori, un periodo di<br />

fermo biologico, come efficacemente ed autorevolmente è stato detto dalla responsabile<br />

nazionale del Coordinamento degli Osservatori Civili, la dr.ssa Luciana Breggia, che<br />

salutiamo e ringraziamo per gli incoraggiamenti ed i consigli dati alla sua collega e nostra<br />

Presidente Maria Cristina Rizzi.<br />

Sarebbe servito un momento di calma per poter approfondire e forse anche metabolizzare<br />

questa nuova metodologia e prassi .<br />

13


Invece, purtroppo o per fortuna, c’è stato l’impatto iniziale, immediato, con l’ennesima,<br />

ultima riforma in vigore dal luglio scorso (la nota legge n.69/09).<br />

Nel misurarsi quasi ex abrupto, la speranza e l’auspicio è che almeno un germe sia stato<br />

seminato, se è vero, come dicono che sia, che l’analisi delle principali novità, pubblicata nella<br />

sezione del sito web dell’<strong>Ordine</strong> Forense di <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong> dedicata all’Osservatorio Civile, è<br />

stata una prima ed utile bussola di orientamento.<br />

Se è vero, come pure si è detto, che il Convegno tematico del dicembre scorso ha riscosso il<br />

gradimento della numerosa platea degli avvocati di <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong>.<br />

Che, in definitiva, sono stati i veri protagonisti ed artefici nel motivare i loro rappresentanti<br />

nell’Osservatorio ad affrontare quella che agli inizi sembrava una avventura impervia ed<br />

insostenibile.<br />

Infine, si sottolinea l’importanza che la rivista edita dal Consiglio dell’<strong>Ordine</strong> degli <strong>Avvocati</strong><br />

di <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong>, la Rassegna del Foro Arianese, ha avuto nel diffondere la cultura ed i<br />

contenuti dell’Osservatorio, in un lavorìo sinergico che certamente continuerà a vederla<br />

come un faro prezioso e condiviso luogo di approdo delle attività dell’Osservatorio Civile.<br />

1. Costituzione delle parti<br />

A] In conformità delle nuove disposizioni, vigenti da gennaio 2010, le parti avranno cura di<br />

indicare, fin dal primo atto e con l’iscrizione a ruolo, i propri indirizzi e dati (codici) fiscali,<br />

obbligatori anche per i difensori.<br />

B] Ogni altra parte che si costituisce successivamente in giudizio dovrà ugualmente indicare<br />

codice fiscale ed indirizzo completo, anche per l’avvocato patrocinante.<br />

2. Copia degli atti e documenti per le controparti<br />

A] Il difensore curerà il deposito di copia dei propri atti per tutti i difensori costituiti<br />

nell’interesse delle altre parti, a prescindere dalle rispettive posizioni processuali.<br />

B] In caso di produzione di documenti, successivamente all’iscrizione a ruolo, il difensore<br />

interessato ne depositerà copia per tutti i difensori costituiti in giudizio, oppure ne invierà<br />

copia elettronica o a mezzo fax ai medesimi, attestandone l’avvenuto adempimento nel primo<br />

atto (ad es. nel verbale di causa ) successivo.<br />

Qualora il suddetto adempimento dovesse risultare eccessivamente gravoso, ad es. per la<br />

numerosità delle parti, il difensore si impegna a tenere nel proprio studio od a mettere<br />

comunque a disposizione delle controparti in altro luogo accessibile, copia dei documenti<br />

prodotti, affinché queste stesse possano estrarne copia a propria cura e spese.<br />

14


C] Per una migliore individuazione dei documenti prodotti, è vivamente raccomandato di<br />

numerare progressivamente i documenti che si depositano in corso di causa (a partire<br />

dall’iscrizione a ruolo o dalla costituzione in giudizio ).<br />

D] Alle parti deve essere garantita dalla cancelleria la disponibilità dei fascicoli per l’esame e<br />

l’estrazione di copia, in pendenza dei termini ex art. 183, comma 6 c.p.c., e solo in casi<br />

particolari, motivati da effettive esigenze di ufficio, previa richiesta alcuni giorni precedenti<br />

la consultazione del fascicolo.<br />

3. Comunicazioni dalla cancelleria ai difensori<br />

A] In attesa dell’attivazione delle comunicazioni a mezzo “posta elettronica certificata”, le<br />

parti avranno cura di indicare, nei rispettivi atti costitutivi, il proprio numero di fax e<br />

l’indirizzo e-mail ai quali desiderano ricevere le comunicazioni di cancelleria nel corso del<br />

procedimento ed a dare tempestiva comunicazione di ogni variazione dei suddetti dati.<br />

Ricevuta la comunicazione nei modi suddetti, il difensore avrà cura di attestare con<br />

tempestività all’ufficio comunicante l’avvenuta ricezione di copia dell’atto.<br />

B] Nel dare avviso alle parti a mezzo fax e/o posta elettronica, la cancelleria avrà cura di<br />

comunicare alle parti il provvedimento integrale emesso dal giudice e non il solo dispositivo;<br />

e ciò specialmente, con carattere di doverosità, nei procedimenti per i quali dalla<br />

comunicazione decorre il termine per l’impugnazione.<br />

4. Trattazione delle udienze (collaborazione tra le parti ed il giudice )<br />

A] Per ciascuna udienza verrà fissato un numero massimo di cause tale da consentire una<br />

effettiva e decorosa trattazione dei processi.<br />

L’eventuale calendario del processo (art. 81 bis disp. att. cod. proc. civ.) verrà concordato tra<br />

il giudice e le parti costituite all’udienza di ammissione delle prove; laddove le prove<br />

vengano ammesse con ordinanza resa fuori udienza, la calendarizzazione del processo potrà<br />

essere concordata alla prima udienza fissata dal giudice per l’espletamento della prova orale.<br />

E’ opportuna la divisione dell’udienza per fasce orarie omogenee, ossia suddivise per orari e<br />

per tipologie di attività processuali da compiere. Pertanto, nel fissare le udienze e stabilire i<br />

rinvii della singola causa, il giudice indicherà la fascia oraria dell’udienza successiva,<br />

tenendo conto dell’attività processuale prevista e della sua prevedibile durata.<br />

In ogni caso, i provvedimenti di rinvio per mancata comparizione delle parti ai sensi degli<br />

artt. 181 o 309 c.p.c., e quelli di cancellazione ed estinzione, a norma dei medesimi articoli,<br />

saranno adottati alla fine dell’udienza (ultima fascia oraria).<br />

15


I difensori avranno cura di segnalare per tempo, al giudice od alla cancelleria, che non<br />

compariranno in udienza, in modo da conoscere in anticipo quali procedimenti saranno<br />

interessati dall’adozione dei provvedimenti innanzi detti .<br />

I difensori si impegnano a comunicare tempestivamente all’Ufficio l’avvenuta definizione<br />

transattiva della controversia.<br />

B] Nella trattazione delle cause avranno, tendenzialmente, la priorità quelle di maggiore<br />

anzianità di ruolo. Per le cause od i singoli adempimenti di particolare complessità, quale<br />

l’audizione delle parti e dei testi, si potranno fissare, con adeguato preavviso, anche udienze<br />

straordinarie in giorni ed orari diversi da quelli stabiliti dal calendario giudiziario per il<br />

singolo magistrato, compatibilmente con gli impegni dei difensori e le esigenze dell’Ufficio.<br />

C] I giudici ed i difensori cureranno di trattare l’udienza con una effettiva conoscenza della<br />

causa, in modo da : 1) evitare quanto più è possibile meri rinvii per impedimento, 2)<br />

privilegiare il principio di oralità del processo, 3) decidere in udienza le questioni processuali<br />

e sostanziali sollevate dalle parti, salva l’assunzione in riserva per i casi maggiormente<br />

complessi e che necessitano di ulteriore approfondimento anche alla luce degli elementi di<br />

novità emersi dalla discussione in udienza.<br />

D] In caso di sostituzione del giudice titolare da parte di un Got, il sostituto dovrà essere<br />

individuato con adeguato anticipo in modo da poter studiare gli atti di causa per l’effettiva<br />

trattazione del processo.<br />

Della sostituzione del giudice titolare dovrà essere data tempestiva comunicazione, ovvero<br />

con congruo preavviso rispetto all’udienza, ai difensori costituiti.<br />

In caso di rinvii, il giudice onorario terrà comunque conto dell’agenda e delle preventive<br />

indicazioni del giudice titolare del ruolo.<br />

E] I sostituti processuali dei difensori costituiti compariranno in udienza, salvi casi particolari<br />

e motivati, avendo cura di conoscere adeguatamente gli atti per poter trattare la causa.<br />

F] I giudici ed i difensori avranno cura di rispettare l’orario fissato per l’udienza (orario di<br />

inizio ore 9,30) e per la trattazione di ciascun processo, laddove previamente indicata la<br />

fascia oraria di trattazione.<br />

In caso di concomitanti impegni, il difensore interessato darà preventivo e tempestivo avviso<br />

al giudice ed ai difensori delle controparti del proprio impedimento, onde concordare uno<br />

spostamento di orario nella trattazione della causa.<br />

G] In caso di mancata presenza in udienza all’orario prefissato o, comunque, previsto di uno<br />

dei difensori, gli altri difensori si assumeranno l’impegno di contattare telefonicamente il<br />

collega per informarsi del motivo del ritardo. Nel caso in cui il contatto risultasse impossibile<br />

e non si raggiunga l’accordo tra le parti ed il giudice per il differimento ad altro orario della<br />

16


trattazione del processo, il verbale di udienza non sarà chiuso prima del decorso del termine<br />

di trenta minuti dall’orario fissato dell’udienza.<br />

5. Decorrenza dei termini per le memorie ex art. 183, VI° co., C.P.C. ed in genere per lo<br />

scambio degli atti suscettibili di replica<br />

Nel caso in cui il termine per la prima o la seconda memoria di cui in epigrafe (art. 183 c.p.c.)<br />

cada nelle giornate di sabato o domenica e debba quindi intendersi prorogato al lunedì<br />

successivo ex art. 155 c.p.c., il computo della scadenza dei termini per le successive memorie<br />

andrà calcolato dal termine della precedente memoria come sopra proprogato.<br />

Analogamente si procederà per lo scambio delle comparse conclusionali e memorie di<br />

replica, ed in ogni altro caso in cui si susseguano atti difensivi suscettibili di replica.<br />

6. Memorie istruttorie e ordinanza di ammissione delle prove<br />

Le istanze di prova andranno formulate o riformulate in modo unitario nelle memorie<br />

istruttorie, che conterranno necessariamente una chiara, completa e definitiva indicazione di<br />

tutti i mezzi istruttori, evitando rinvii ad atti precedenti o verbali di udienze. I testi saranno<br />

indicati per ogni capitolo di prova ed il giudice nella ordinanza ammissiva indicherà il<br />

numero dei testi da assumere per ciascuna udienza, avendo cura di prevedere un tempo<br />

adeguato per la loro escussione.<br />

7. Intimazione dei testimoni<br />

A] I testi saranno citati con congruo ed ampio anticipo rispetto alla data di udienza per la loro<br />

escussione, avendo cura di indicare l’indirizzo completo del teste, dell’ufficio giudiziario<br />

presso il quale si svolgerà l’udienza ed il nome e cognome del giudice avanti il quale il teste<br />

dovrà comparire.<br />

B] Si raccomanda ai difensori, al fine di ridurre il carico di lavoro degli ufficiali giudiziari, di<br />

utilizzare il servizio postale per l’intimazione dei testimoni, nel rispetto delle modalità<br />

previste dall’art. 250, III e IV comma, c.p.c. .<br />

8. Assunzione della prova testimoniale<br />

A] Ferma restando l’eventuale concordata calendarizzazione delle attività processuali,<br />

l’assunzione della prova sarà preferibilmente concentrata in un’unica udienza, avendo cura di<br />

assicurare la riservatezza del suo espletamento, soprattutto nelle materie riferibili alla<br />

famiglia ed allo stato delle persone.<br />

17


B] I difensori avviseranno tempestivamente il giudice e le controparti, preferibilmente per<br />

posta elettronica e con unica comunicazione, di eventuali impedimenti a comparire delle parti<br />

o del teste.<br />

9. Consulenza tecnica d’ufficio<br />

A] Ove richieda l’ammissione della consulenza, il difensore formulerà una chiara proposta di<br />

quesito.<br />

B] Il c.t.u. depositerà sempre i propri atti avendo cura di presentare un numero di copie pari<br />

alle parti costituite, ovvero avrà cura di trasmettere per fax o e-mail dette copie complete di<br />

tutti gli allegati, attestandone l’avvenuto adempimento con comunicazione alla cancelleria<br />

ricevente la relazione, anche integrativa, o successivi chiarimenti .<br />

C] Il c.t.u. e le parti si obbligano al rispetto dei termini fissati dal giudice ex art. 195, comma<br />

3 cod. proc. civ. (primo termine concesso al c.t.u. per trasmettere la consulenza alle parti,<br />

secondo termine concesso alle parti per trasmettere al c.t.u. le loro osservazioni e termine<br />

finale entro il quale il c.t.u. dovrà depositare al relazione, le osservazioni delle parti e le sue<br />

valutazioni sulle stesse).<br />

10. Precisazione delle conclusioni<br />

A] All’udienza di precisazione delle conclusioni è opportuno che le parti alleghino un foglio<br />

da unire al verbale di udienza, contenente la specificazione delle definitive conclusioni di<br />

ciascuna parte, salve le integrazioni che si rendano necessarie a verbale alla luce delle<br />

conclusioni avversarie.<br />

B] In alternativa al foglio predisposto, il difensore riporterà a verbale con esattezza e<br />

definitività le conclusioni che si intendono precisate, evitando espressioni generiche e<br />

generali di rimando agli atti precedenti.<br />

C] Se il giudice in sede di conclusioni ne faccia espressa richiesta, i difensori avranno cura di<br />

depositare su supporto informatico o di trasmettere per e-mail all’indirizzo di posta<br />

elettronica che il giudice segnalerà, le conclusioni precisate ed i successivi atti difensivi<br />

finali.<br />

11. Sentenza ex art. 281 sexies c.p.c.<br />

A] La sentenza nelle forme previste dall’art. 281 sexies c.p.c. è da considerarsi modalità<br />

preferenziale per la decisione delle cause contumaciali, delle questioni preliminari di rito e di<br />

merito idonee a definire il giudizio, delle sentenze non definitive, delle controversie di natura<br />

seriale e di tutte quelle di più semplice definizione.<br />

18


B] Il giudice segnalerà a verbale la sua decisione di emettere la sentenza in tale forma e<br />

modalità, rinviando su istanza delle parti la discussione ad udienza successiva; se ritenuto<br />

opportuno, consentirà lo scambio di brevi note difensive, rinviando la discussione ad udienza<br />

successiva al termine di deposito concesso; se espressamente richiesto anche da una sola delle<br />

parti, il giudice concederà sempre il termine per il deposito di note difensive.<br />

C] Il testo scritto della motivazione e del dispositivo deve essere letto in udienza e<br />

immediatamente depositato in cancelleria.<br />

12. Disposizioni a tutela delle situazioni di disabilità, malattia e di difficoltà derivante<br />

dallo stato di gravidanza e maternità<br />

A] Il giudice, nel fissare le udienze, terrà adeguatamente conto di prevedibili impedimenti<br />

connessi allo stato di gravidanza delle avvocatesse e di segnalate gravi necessità dei figli,<br />

specie se riferite ai loro primi mesi di vita.<br />

Nella trattazione delle cause in udienza avranno la precedenza le avvocatesse in stato di<br />

gravidanza o in periodo di puerperio.<br />

Analogamente avverrà per gli accessi agli uffici di cancelleria.<br />

B] Le disposizioni che precedono troveranno analoga applicazione a favore degli avvocati<br />

che, per disabilità o particolari condizioni di malattia, abbiano necessità di uguale attenzione.<br />

13. Procedimento sommario di cognizione. Inquadramento e disciplina specifica del<br />

nuovo istituto<br />

Premessa ed ambito applicativo.<br />

Appare opportuno disciplinare separatamente il nuovo processo sommario di cognizione che<br />

si caratterizza per la semplificazione della trattazione e dell’istruttoria.<br />

Tale nuovo procedimento sarà agevolmente utilizzabile per la definizione delle cause più<br />

“semplici”, ovvero che non presentino pluralità di questioni da risolvere né richiedano attività<br />

istruttorie lunghe o complesse.<br />

A prescindere dalla complessità della materia ben può utilizzarsi l’istituto per le controversie<br />

la cui istruttoria sia di tipo esclusivamente documentale.<br />

Il nuovo procedimento sommario di cognizione, in assenza di limitazioni normative, è<br />

utilizzabile sia per le azioni di condanna che quelle di (mero) accertamento e costitutive; è da<br />

considerarsi, altresì, modello alternativo sia al rito del lavoro, sia al rito ordinario; non appare<br />

compatibile con le cause di opposizione a decreto ingiuntivo, di opposizione a sanzione<br />

amministrativa, di opposizione all’esecuzione ed agli atti esecutivi; deve, altresì, ritenersi<br />

inapplicabile per la trattazione degli appelli avverso le sentenze del Giudice di Pace;<br />

19


diversamente può ritenersi procedimento applicabile per il giudizio di merito successivo a<br />

provvedimenti cautelari.<br />

B] Fase introduttiva ed estensione del contraddittorio<br />

Il decreto di fissazione di udienza va emesso entro cinque giorni dalla data di assegnazione;<br />

l’udienza deve essere tendenzialmente fissata in un lasso di tempo compreso tra i cinquanta<br />

giorni ed i novanta giorni (limite massimo questo che non dovrebbe essere superato, pena il<br />

depotenziamento delle finalità del procedimento), salvo deroghe giustificate dalla natura della<br />

causa e casi eccezionali (ad es. nell’ipotesi in cui il convenuto sia straniero).<br />

Ai termini previsti dagli artt. 702-bis e ss. c.p.c. si applica la sospensione feriale.<br />

Nel decreto di fissazione dell’udienza è opportuno che vengano specificati gli incombenti<br />

della prima udienza (se limitata solo alla comparizione dei difensori e non delle parti, per la<br />

definizione del thema decidendum e del thema probandum, ovvero anche attività di natura<br />

istruttoria).<br />

E’ opportuno che sia determinato un termine per la notifica (ordinatorio), quando l’udienza<br />

venga fissata ben oltre il termine minimo raccomandato di 50 giorni, in modo da assicurare<br />

al convenuto un tempo maggiore per la preparazione della difesa.<br />

E’ da ritenersi ammissibile la chiamata di terzi in causa non solo a titolo di garanzia, ma<br />

anche per comunanza di causa; come pure è consentito l’intervento volontario del terzo e la<br />

chiamata in causa di terzi, sia per l’integrazione necessaria del contraddittorio sia per gli<br />

effetti di cui all’art. 702 bis c.p.c.; è evidente che la complessità soggettiva della causa è<br />

elemento che di per sé può orientare il giudice a non utilizzare tale procedimento.<br />

La chiamata in causa può effettuarsi con atto di citazione per l’udienza fissata dal giudice,<br />

nel rispetto dei termini previsti per il convenuto dal comma 3 dell’art. 702-bis c.p.c.. Il terzo<br />

si costituirà con le stesse modalità ed è soggetto alle medesime decadenze previste per il<br />

convenuto.<br />

C] Trattazione ed istruttoria<br />

Premessa l’insita finalità dell’istituto di esaurire le attività previste dall’art. 702- ter c.p.c. in<br />

una sola ed unica udienza è possibile fissare ulteriori udienze in considerazione delle<br />

concrete necessità di istruzione della causa;<br />

è auspicabile, se non proprio doveroso, che le parti formulino tutte le proprie istanze, anche<br />

di natura istruttoria, negli atti introduttivi od al massimo nella prima udienza.<br />

- Si ritengono applicabili gli artt. 115, 164, 181, 182, 295 e segg., 309 c.p.c. , in quanto tutti<br />

compatibili con le modalità di instaurazione e la natura del rito sommario.<br />

- Qualora la domanda principale rientri nella competenza del tribunale in composizione<br />

monocratica, mentre quella riconvenzionale sia di competenza collegiale, così come nel<br />

caso di domanda principale compatibile con il rito sommario e di domanda riconvenzionale<br />

20


non compatibile (e viceversa), si condivide l’opinione secondo cui, in caso di connessione<br />

“forte” tra le due domande (pregiudizialità, continenza, accessorietà, ecc.), l’intera causa<br />

debba essere convertita nel rito ordinario.<br />

- La valutazione, da parte del giudice, della compatibilità con l’istruttoria sommaria deve<br />

concentrarsi sull’accertamento della complessità della causa, tenuto conto del numero e<br />

dell’entità delle questioni – sia di fatto che di diritto – controverse tra le parti, anche<br />

prescindendo dal tipo di prove da assumere.<br />

Quanto al thema probandum, deve ritenersi compatibile con il rito<br />

l’acquisizione di prove costituende ove l’istruttoria sia breve ed agevole (ad es. poche<br />

circostanze di fatto o poche testimonianze);<br />

una CTU dai contenuti limitati ed espletabile in tempi brevi;<br />

l’acquisizione di documenti o prove secondo gli artt. 118,210 e 213 c.p.c. ).<br />

L’istruttoria deformalizzata, così prevista dal nuovo rito, ricalca quella del modello<br />

cautelare, fermo restando che essa riguarda tutti gli aspetti rilevanti per la decisione e non<br />

solo quelli indispensabili.<br />

Per la prova testimoniale non è necessaria, benché sempre auspicabile e raccomandata,<br />

l’indicazione specifica dei capitoli (diversamente dal giuramento, previsto, del testimone).<br />

La CTU, previo giuramento dell’ausiliario, deve essere ridotta nei tempi e semplificata nei<br />

contenuti, raccomandandosi la risposta in udienza, con invito al CTU a studiare prima i<br />

fascicoli di parte.<br />

Non trovando deroga il normale principio dispositivo, i poteri istruttori officiosi sono quelli<br />

previsti per il rito ordinario.<br />

In caso di fissazione di più udienze per il compimento delle attività ritenute necessarie, è<br />

applicabile l’art. 81-bis disp. att. c.p.c. (calendario del processo).<br />

D] Definizione del procedimento<br />

Si reputa idoneo al giudicato, oltre che il provvedimento di accoglimento, anche quello di<br />

rigetto nel merito.<br />

- Nella liquidazione delle spese giudiziali gli onorari si determinano in base alle tariffe<br />

forensi (D.M. 8/4/04) relative ai procedimenti a cognizione piena dinanzi il tribunale (par. II<br />

tabella A ).<br />

- Nel caso di conversione del rito sommario in giudizio ordinario, è consentita la rimessione<br />

in termini di cui al novellato art. 153 c.p.c. in favore del convenuto, qualora l’eccessiva<br />

compressione del termine a comparire nella fase sommaria non gli abbia consentito di<br />

articolare compiutamente le proprie difese.<br />

21


- Dopo la conversione in rito ordinario, all’udienza ex art. 183 c.p.c. le parti possono, ed il<br />

giudice deve, compiere tutte le attività previste dal citato art. 183 c.p.c., anche se alcune di<br />

esse siano state già compiute od omesse nella fase sommaria.<br />

<strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong>, 31 marzo 2010<br />

il segretario dell’Oss. Civ. il Presidente dell’Osservatorio<br />

(avv. Domenico Scala) (dr.ssa Maria Cristina Rizzi)<br />

il componente dell’Oss. Civ. il componente dell’Osservatorio<br />

(avv. Carmine Monaco) (cons. Rocco Abbondandolo)<br />

22


Sintesi delle relazioni del convegno del 11.12.2009 sulla L. n. 69/09<br />

La locandina del convegno dell’11 dicembre 2009 sugli strumenti deflattivi del contenzioso civile<br />

Il principio di non contestazione ed il procedimento sommario di<br />

cognizione di Modestino Acone<br />

In merito al principio di non contestazione,vorrei dire che nella legge c’è una discrasia<br />

perché non è prevista la valutazione della contumacia come non contestazione sicché il<br />

contumace si trova in una posizione di vantaggio in quanto impone all’altra parte di provare<br />

tutti i fatti principali e secondari.<br />

Questo secondo me è ingiustificabile perché se si accetta come principio generale quello<br />

della necessità della contestazione dei fatti principale e secondari, non si può dire che chi<br />

non si presenta proprio in giudizio debba avere una posizione di vantaggio. Questo difetto<br />

della legge credo vada corretto; ad ogni modo ritengo che questa riforma non risolva il<br />

problema della giustizia civile in Italia.<br />

Occorrerebbe modificare la struttura, l’efficienza e il funzionamento degli uffici e adottare<br />

misure che possano consentire un ordinato svolgimento dei processi verso la pronunzia di<br />

merito. Quindi, credo che questa riforma preveda degli accomodamenti, tipo il principio di<br />

non contestazione per agevolare chi deve provare i fatti, a fini deflativi della giustizia civile.<br />

Comunque ritengo che le misure debbano essere altre, tipo aumentare la competenza del<br />

Giudice di Pace.<br />

SUL PROCEDIMENTO SOMMARIO DI COGNIZIONE<br />

23


Il legislatore ha sbagliato a collocare tale procedimento nel libro IV del c.p.c. comprendente<br />

la cognitio sommaria, che è ben diversa dal processo sommario. Avrebbe dovuto inserirlo<br />

subito dopo il processo del lavoro nel libro II c.p.c. perché si tratta di un processo detto<br />

sommario, ma tale non è in quanto presuppone che ci sia una cognizione piena e completa<br />

poiché dà luogo alla cosa giudicata.<br />

Da ragazzo apprendevo dal mio maestro: 1)cognizione ordinaria-cosa giudicata; 2)<br />

cognizione sommaria-preclusio pro iudicato. Adesso, invece, con il procedimento sommario<br />

si rompe questo “incantesimo”.<br />

Dividerei il processo sommario di cognizione in tre fasi: 1)fase introduttiva; 2)istruzione o<br />

fase del procedimento; 3) la decisione.<br />

Si ha l’impressione di una persona che ha una testa grande, degli arti molto forti e un corpo<br />

esile.<br />

Questo perché nella fase introduttiva il ricorso deve avere tutti gli elementi della citazione, lo<br />

stesso dicasi per la comparsa di risposta, compreso il n.7 dell’art. 163 c.p.c., quindi cambia la<br />

forma ma non la sostanza, l’unica differenza è che i termini sono ridotti.<br />

È il Giudice a fissare l’udienza dando un termine non inferiore a 40 giorni perché il<br />

convenuto si costituisca.<br />

La scelta del rito sommario è una scelta dell’attore, a seconda che si tratti di una causa<br />

semplice, senza necessità di istruttoria, però è il Giudice a valutare se occorra o meno una<br />

cognitio plena. Nel caso di risposta affermativa muta il rito, fissando l’udienza ex art. 183<br />

c.p.c. L’art.702 ter c.p.c. fa tre ipotesi : 1) il Giudice si ritiene incompetente con ordinanza,<br />

impugnabile con regolamento di competenza; 2) il Giudice si accorge che la causa non è di<br />

competenza del tribunale in composizione monocratica o è del Giudice di Pace ovvero si<br />

tratta di una causa di lavoro: in tali ipotesi il Giudice deve dichiarare inammissibile la<br />

domanda. Io questo non lo condivido. Mi chiedo perché anche in questo caso non si possa<br />

fare il mutamento di rito, dando la possibilità alle parti di continuare l’azione esperita; 3) la<br />

causa non è di facile soluzione, occorre una cognitio plena: mutamento del rito.<br />

Problema più complesso sorge quando si tratta di una domanda principale che può essere<br />

trattata con rito sommario e la riconvenzionale invece con rito ordinario. In questo caso<br />

penso che la legge sbagli ad ordinare la separazione delle cause, in quanto contrasta con il<br />

principio del simultaneus processus; io avrei voluto che il legislatore avesse previsto per<br />

ambedue le domande il rito ordinario. Spero che il legislatore tenga conto delle critiche della<br />

dottrina e si ravveda modificando queste norme.<br />

24


L’unica vera novità di questo processo è costituita dalla seconda fase del procedimento, da<br />

non intendersi come cognitio sommaria, perché sono consentiti tutti i mezzi di prova, anche<br />

la consulenza tecnica, altrimenti sarebbe tacciato di incostituzionalità attentando al diritto di<br />

azione e di difesa.<br />

Quindi dobbiamo giocoforza considerare il riflesso della cosa giudicata sull’istruzione<br />

probatoria della causa perché per quanto si voglia semplificare non possiamo dare la cosa<br />

giudicata e poi negare la pienezza del diritto alla prova nel corso del giudizio.<br />

Circa la terza fase, il procedimento sommario di cognizione si conclude con un’ordinanza<br />

equiparata ad una sentenza: è titolo esecutivo, valido per iscrivere ipoteca e trascrizione,<br />

provvede sulle spese.<br />

Alcuni autori in dottrina ritengono che si tratti di cosa giudicata solo se il giudice accoglie il<br />

ricorso, perché nel caso in cui lo dovessero rigettare si può riproporre. Su questo non sono<br />

d’accordo; ritengo che se passa in giudicato si prescinda dall’accoglimento o rigetto.<br />

Per quanto concerne il giudizio d’Appello, sono ammessi nuovi mezzi di prova e nuovi<br />

documenti quando il collegio ritiene rilevanti ai fini della decisione o se la parte dimostra di<br />

non averli potuto produrre nel procedimento di 1° grado per causa ad essa non imputabile.<br />

Questo a molti in dottrina fa credere che il procedimento sommario sia sommario in 1° grado<br />

e ordinario in grado d’Appello. Io non sono d’accordo, altrimenti sarebbe un paradosso,<br />

considerando l’intento deflattivo del legislatore.<br />

Nella foto: avv. Carmine Monaco, presidente del Consiglio dell’<strong>Ordine</strong> degli avvocati di <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong>, prof. avv. Modestino<br />

Acone, avv. Domenico Scala, segretario del Consiglio dell’<strong>Ordine</strong> degli avvocati di <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong>; Franca Iacoviello, membro<br />

del Consiglio dell’<strong>Ordine</strong> degli avvocati di <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong>. La foto è relativa all’omaggio da parte del prof. Acone degli scritti<br />

realizzati per gli studi in suo onore.<br />

25


Primo commento al decreto legislativo del 28 ottobre 2009 in<br />

materia di mediazione e conciliazione di Maria Cristina Rizzi<br />

1. Inquadramento Normativo<br />

L’art. 60 della l. del 2009, n. 69 (ci riferiamo all’ultimissima novella anche in materia di rito<br />

civile) ha delegato il Governo ad adottare, entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge (4<br />

luglio 2009), una serie di decreti legislativi volti a regolamentare la materia della<br />

mediazione e conciliazione delle controversie civili e commerciali secondo i principi<br />

cornice già contenuti nella legge a sua volta attuativa della direttiva del Parlamento Europeo<br />

e del Consiglio, che già aveva disciplinato alcuni aspetti della materia, del 21.5.2008,<br />

2008/52 Ce.<br />

Il Consiglio dei Ministri, dunque, già in data 28.10.2009 ha emanato, su proposta del<br />

Ministro della Giustizia, una prima versione, un primo schema del decreto legislativo<br />

delegato che, prima della sua definitiva promulgazione, dovrà essere sottoposto al parere<br />

delle commissioni parlamentari competenti in materia.<br />

Espletato tale adempimento, nel termine di trenta giorni, il decreto attuativo dovrebbe<br />

entrare in vigore; solo le disposizioni di cui all’art. 5, co.1 del decreto (mediazione come<br />

condizione obbligatoria di procedibilità in alcune materie specificamente indicate come più<br />

avanti meglio si dirà) acquisteranno efficacia decorsi 18 mesi dalla data di entrata in vigore<br />

del decreto, peraltro con riferimento ai soli processi iniziati a decorrere dalla stessa data (ad<br />

esclusione, dunque, dei giudizi già pendenti, cfr. art. 24 rubricato disposizioni transitorie e<br />

finali).<br />

2. Inquadramento giuridico dell’istituto e rapporti con il processo civile<br />

L’intervento normativo in esame appare, già ad una prima lettura, importante e direi quasi<br />

dirompente, in ragione della vastità della sua applicazione.<br />

E’ stato, infatti, introdotto, per molte e rilevanti materie, il ricorso alla mediazione o alla<br />

conciliazione come condizione di procedibilità della domanda, seguendo lo schema già<br />

introdotto nelle controversie di lavoro (artt. 410 e ss c.p.c.) e agrarie (art. 46 l. del 1982, n.<br />

203). In definitiva, sono stati individuati gruppi di materie per le quali, prima di ricorrere al<br />

giudice, occorre obbligatoriamente effettuare un percorso conciliativo extraprocessuale.<br />

Le materie elencate all’art. 5, comma 1 del decreto, sono:<br />

- condominio;<br />

- diritti reali;<br />

26


i diritti reali, com’è noto, sono tipici ed a numero chiuso: proprietà, diritti reali di godimento<br />

su cosa altrui (superficie, usufrutto, uso e abitazione, servitù), diritti reali di garanzia (pegno<br />

e ipoteca);<br />

- divisioni, successioni ereditarie e patti di famiglia;<br />

- locazione, comodato e affitto di aziende;<br />

- risarcimento del danno da responsabilità medica e diffamazione a mezzo stampa o<br />

con altro mezzo di pubblicità;<br />

- contratti assicurativi, bancari e finanziari.<br />

Due sono stati i criteri guida seguiti nella scelta delle materie.<br />

Il primo è stato quello di includere nell’elenco delle materie quelle destinate, sulla base<br />

dell’esperienza giudiziaria concreta, a creare processi molto lunghi (si pensi alle divisioni ed<br />

alle successioni ereditarie) e quelle riferibili a rapporti statisticamente più conflittuali (si<br />

pensi alle cause condominiali o a quelle di responsabilità medica).<br />

Il secondo è stato quello di includere nell’elenco tipologie contrattuali diffuse che<br />

rappresentano parte rilevante del contenzioso (si pensi ai contratti bancari) in un’ottica<br />

chiaramente deflattiva.<br />

Sono poi espressamente escluse dall’ambito della preventiva conciliazione le azioni regolate<br />

dagli artt. 37, 140 e 140 bis del codice del consumo di cui al d. lgs. n. 206 del 2005 e quelle<br />

di cui all’art. 136 e ss. del codice delle assicurazioni private di cui al d. lgs. 2005 n. 209.<br />

Le prime, che sono azioni a tutela di diritti superindividuali, cd. class action, sono state<br />

escluse sia perché esiste un’autonoma condizione di procedibilità, sia perché sarebbe stato<br />

complicato prevedere il meccanismo di conciliazione obbligatoria in un’azione di per sé<br />

allargata al maggior numero di membri della collettività, ferma restando però la possibilità<br />

di una conciliazione facoltativa in questa materia come disposto dal richiamo di cui all’art.<br />

15 del decreto.<br />

Per quanto riguarda le azioni risarcitorie di cui agli artt. 137 e ss. del codice delle<br />

assicurazioni private la esclusione si comprende in ragione del fatto che la legge già oggi<br />

prevede un articolato meccanismo di composizione stragiudiziale della lite in queste materie<br />

ed il tentativo obbligatorio avrebbe avuto l’effetto di rendere troppo complicato il ricorso al<br />

giudice.<br />

L’art. 5, comma 1 prevede, dunque, che chi intende agire in giudizio per una controversia<br />

che rientra in una delle materie sopra elencate, deve esperire obbligatoriamente il<br />

procedimento di mediazione regolato dal presente decreto (ovvero i procedimenti di<br />

mediazione gi previsti da leggi speciali ad es. quello contenuto nel T.U. del 1993, n. 385 in<br />

materia bancaria e creditizia) a pena di improcedibilità della domanda.<br />

27


L’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, nel primo atto<br />

difensivo tempestivamente depositato e può essere rilevata d’ufficio dal giudice non oltre la<br />

prima udienza.<br />

Se il giudice verifica che la mediazione è iniziata ma non si è conclusa, fissa la successiva<br />

udienza oltre la scadenza del termine del procedimento conciliativo fissata in linea generale<br />

dall’art. 6 (mesi quattro); se , invece, il giudice verifica che il procedimento conciliativo non<br />

è stato avviato, concede alle parti il termine di gg. 15 per presentare la domanda di<br />

conciliazione e fissa la successiva udienza in data successiva alla scadenza del termine<br />

massimo di conclusione del procedimento.<br />

Si è, dunque, preferito evitare di sospendere il processo, come accade nel rito del lavoro; il<br />

legislatore ha mostrato una sorta di disfavore per l’istituto della sospensione.<br />

La Corte Costituzionale ha sempre giudicato legittimo il perseguimento di finalità deflattive<br />

realizzato attraverso il meccanismo della condizione di procedibilità, poiché tale misura non<br />

impedisce l’accesso alla giurisdizione ma crea un giusto punto di equilibrio tra il diritto di<br />

azione garantito dall’art. 24 della Cost., da un lato, e l’interesse dell’amministrazione<br />

giustizia a deflazionare il contenzioso dall’altro (vedi in tal senso Corte Cost. sent, n. 276<br />

del 2000; sent. n. 82 del 1992 e, in materia di giusto processo, sent. n. 436 del 2006).<br />

Fermo quanto previsto al co. 1, dunque, la mediazione è sempre facoltativa, sia se<br />

introdotta su base volontaria sia se sollecitata dal giudice, come consente il comma due del<br />

cit. art. 5.<br />

Invero, al comma 2 è previsto, stavolta senza alcuna limitazione di materie, che il giudice<br />

valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione ed il comportamento delle parti, può<br />

in qualunque stato e grado del processo, ma in ogni caso prima dell’udienza di precisazione<br />

delle conclusioni o dell’udienza di discussione (a seconda del rito applicabile) invitare le<br />

parti con ordinanza a procedere alla mediazione.<br />

Si tratta della mediazione endoprocessuale facoltativa, altra novità contenuta nel decreto.<br />

Se le parti aderiscono all’invito, il giudice fissa la successiva udienza oltre lo scadere del<br />

termine massimo di conclusione della fase conciliativa (mesi quattro) ed indica un termine<br />

di giorni 15 per presentare la domanda di conciliazione.<br />

Il comma 3 prevede espressamente che la mediazione obbligatoria ed endoprocessuale non<br />

è applicabile in caso di emissione di provvedimento urgenti e cautelari in genere<br />

(formula volutamente ampia al fine di includere tutti i tipi di intervento urgente del giudice<br />

previsti sia dal codice che da leggi speciali), poiché non conciliabile con le caratteristiche<br />

dell’urgenza del provvedere.<br />

Il comma 4 esclude dall’applicazione dei commi 1, e 2 una serie di procedimenti<br />

accomunati dal fatto che sono posti a presidio di interessi per i quali la mediazione oltre ad<br />

28


essere inutile potrebbe essere controproducente in presenza di forme di tutela già efficaci o<br />

addirittura senza contradditorio:<br />

- procedimenti di ingiunzione e di convalida di licenza o sfratto (accertamenti sommari<br />

con prevalente funzione esecutiva);<br />

- procedimenti possessori fino all’adozione dei provvedimenti interdittali;<br />

- procedimenti di cognizione che si inseriscono incidentalmente nell’esecuzione forzata<br />

(opposizione all’esecuzione e agli atti esecutivi, controversie in fase di distribuzione e<br />

accertamento obbligo del terzo) e, dunque, di stretta interferenza con l’esecuzione;<br />

- procedimenti in camera di consiglio;<br />

- azione civile esercitata nel processo penale.<br />

Il comma 5 disciplina l’ipotesi in cui la clausola di mediazione o conciliazione è contenuta<br />

in un contratto o nella statuto societario e il tentativo non è stato esperito.<br />

In tal caso, fuori dai casi di conciliazione obbligatoria, il giudice deve dare un termine per<br />

depositare l’istanza davanti all’organismo scelto in contratto e fissare una nuova udienza al<br />

termine del procedimento come previsto al comma 1.<br />

Il comma 6 equipara l’istanza di mediazione alla domanda giudiziale ai fini della<br />

prescrizione e dell’ impedimento della decadenza (la decadenza, si badi, può essere<br />

impedita una sola volta, al fine di evitare la presentazione di più domande di mediazione<br />

strumentalmente volte solo ad impedire la decadenza).<br />

Il comma 7 estende l’applicabilità delle disposizioni di cui all’art. 5 ai procedimenti<br />

promosso davanti agli arbitri.<br />

3. Procedimento di conciliazione; durata<br />

Il procedimento di conciliazione non è retto da particolari formalità.<br />

L’accesso alla mediazione è possibile attraverso la presentazione di un’istanza presso un<br />

organismo di conciliazione con indicazione dell’organismo, del nome delle parti,<br />

dell’oggetto e delle ragioni della pretesa.<br />

Al procedimento si applicano le regole dell’organismo scelto dalle parti, regole che devono<br />

sempre garantire sia la riservatezza del procedimento, sia modalità di nomina dei mediatori<br />

che ne garantiscano la imparzialità. Tutto il procedimento, oltre ad essere informale, può<br />

svolgersi anche con modalità telematiche.<br />

L’avvocato è tenuto nel primo colloquio svolto con l’assistito, ad informarlo della<br />

possibilità di ricorrere al procedimento di mediazione e delle agevolazioni fiscali<br />

conseguenti di cui si dirà più avanti (artt. 17 e 20 del decreto).<br />

Tale informazione, oltre a dover essere chiara, dovrà essere fornita per iscritto a pena di<br />

nullità del contratto concluso con l’assistito.<br />

29


Si tratta di una nullità cd. di protezione che, come sostenuto da concorde giurisprudenza di<br />

legittimità riferibile all’ipotesi di nullità del contratto con il professionista, non si estende<br />

alla nullità della procura conferita al difensore.<br />

La Corte di Cassazione ha sempre sostenuto che la procura alle liti è atto interamente<br />

disciplinato dalla legge processuale e, come tale, insensibile alla sorte del contratto di<br />

patrocinio, la cui nullità non toglie al difensore lo ius postulandi attributo con la procura.<br />

In tal modo si evita che la domanda proposta in giudizio sia improcedibile, ipotesi che<br />

danneggerebbe proprio la parte che si vuole proteggere (“La procura alle liti, come atto<br />

interamente disciplinato dalla legge processuale, è insensibile alla sorte del contratto di<br />

patrocinio, soggetto alla disciplina sostanziale relativa al mandato; la nullità del contratto di<br />

patrocinio, pertanto, non toglie al difensore lo "ius postulandi" attribuito con la procura.<br />

(Nella specie, la S.C., in applicazione del suesposto principio, ha cassato la sentenza di<br />

merito che aveva dichiarato inammissibile l'opposizione a decreto ingiuntivo proposta dal<br />

difensore di un ente pubblico per essere il procuratore sfornito della capacità di<br />

rappresentare l'ente, dovendo ritenersi nullo il contratto di conferimento dell'incarico<br />

professionale sottoscritto senza la previa acquisizione dell'autocertificazione cosiddetta<br />

"antimafia", Sez. 1, Sentenza n. 8388 del 02/09/1997 (Rv. 507463); Il termine della<br />

prescrizione del diritto dell'avvocato al compenso, ai sensi degli art. 2957, secondo comma,<br />

cod. civ., decorre dall'esaurimento dell'affare per il cui svolgimento fu conferito l'incarico, il<br />

quale è fondato sul contratto di patrocinio, regolato dalle norme di diritto sostanziale del<br />

mandato, e non sulla procura "ad litem", il cui fine è solo di consentire la rappresentanza<br />

processuale della parte, cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 13774 del 22/07/2004).<br />

L’informativa sopra descritta dovrà essere sottoscritta dalla parte e prodotta nell’eventuale<br />

giudizio civile; se tale atto manca il giudice informa la parte della possibilità di avvalersi<br />

dell’istituto della mediazione (artt. 3 e 4 del decreto).<br />

Presentata la domanda all’organismo di conciliazione, il responsabile dell’organismo<br />

designa il mediatore, fissa con urgenza il giorno del primo incontro non oltre 15 giorni dal<br />

deposito della domanda, dandone comunicazione alle parti con ogni mezzo idoneo.<br />

Nella controversie che richiedono specifiche competenze tecniche il responsabile può<br />

nominare uno o più mediatori ausiliari, ferma restando la possibilità per il mediatore<br />

medesimo di avvalesi di consulenti iscritti all’albo del tribunale.<br />

I mediatori sono tenuti ad un generale obbligo di riservatezza e, salvo diverso accordo delle<br />

parti, tutte le dichiarazioni rese o le informazioni acquisite nel corso del procedimento di<br />

mediazione non potranno esser utilizzate nell’eventuale giudizio né su di esse è ammessa la<br />

prova testimoniale.<br />

30


Il mediatore non può esse chiamato a deporre su tali fatti e ad esso si applicano gli artt. 200<br />

e ss. del c.p.p. (segreti) e l’art. 103 del c.p.p. (garanzie previste per il difensore).<br />

Se si raggiunge l’accordo, viene sottoscritto e si forma processo verbale.<br />

Se l’accordo non si raggiunge sarà il mediatore a formulare una proposta comunicando<br />

alle parti per iscritto la sua proposta; le parti, entro i sette giorni successivi, dovranno far<br />

pervenire l’accettazione o il rifiuto.<br />

In mancanza di accettazione nel termine la proposta si ha per rifiutata.<br />

In caso di accordo, volontario o su proposta del mediatore, le parti hanno facoltà di<br />

prevedere delle astreintes convenzionali ovvero il pagamento di una somma di denaro in<br />

caso di violazioni o inosservanza degli obblighi convenuti o di ritardo nell’adempimento.<br />

Il verbale di accordo è omologato con decreto del Presidente del Tribunale ed è titolo<br />

esecutivo.<br />

4. Rapporti con le spese legali<br />

Il decreto in esame all’art. 13 prevede un’eccezione al principio della soccombenza<br />

stabilendo una sanzione a carico di chi non ha aderito alla proposta nel caso in cui il<br />

provvedimento del giudice che definisce il giudizio corrisponda interamente ad essa .<br />

In tal caso, infatti, il giudice esclude la ripetizione delle spese della parte vincitrice che ha<br />

rifiutato la proposta e la condanna al rimborso delle spese sostenute dall’altra parte, ivi<br />

comprese le spese di indennità da corrispondere al mediatore ed i compensi agli esperti.<br />

Se il provvedimento del giudice corrisponde solo in parte alla proposta conciliativa, il<br />

giudice se ricorrono gravi ed eccezionali ragioni può escludere la ripetizione delle spese<br />

sostenute dal vincitore per il procedimento di mediazione.<br />

Tale disciplina sulle spese, in linea con le novità già previste nella novella al rito civile, che<br />

tiene in gran conto il comportamento delle parti, è dunque, un’altra riposta dell’ordinamento<br />

alla strumentalizzazione tanto della conciliazione quanto del giudizio civile in genere.<br />

Si è già accennato che il procedimento conciliativo deve durare al massimo 4 mesi, tale<br />

periodo non è computato ai fini della durata ragionevole del processo (art. 6 e 7 ).<br />

Il termine decorre dal deposito della domanda di conciliazione o da quello indicato dal<br />

giudice nell’ipotesi in cui la conciliazione non sia stata previamente esperita.<br />

5. Organismi di conciliazione<br />

L’art. 16 regola la figura istituzionale degli organismi di mediazione; tutti gli enti pubblici e<br />

privati sono abilitati a costituire organismo di conciliazione; è prevista l’istituzione di un<br />

registro, al quale tali organismi devono essere iscritti ed un albo dei formatori per la<br />

mediazione.<br />

31


L’art. 18 prevede che i consigli degli ordini forensi, su semplice domanda, possano<br />

costituire organismi, previa autorizzazione del Ministero della Giustizia, presso ciascun<br />

Tribunale con facoltà di utilizzare proprio personale ed utilizzando i locali messi a<br />

disposizione dal Presidente del Tribunale.<br />

Organismi di conciliazione possono essere istituito presso i consigli degli ordini<br />

professionali e presso le camere di commercio, industria, artigianato ed agricoltura,<br />

avvalendosi di proprio personale e di propri locali.<br />

6. Regime fiscale (deducibilità) ed indennità<br />

L’art. 17 disciplina il regime fiscale e le indennità spettanti al mediatore.<br />

Si segnala l’esenzione fiscale integrale quanto all’imposta di bollo, che non è mai dovuta, e<br />

parziale quanto a quella di registro; quest’ultima non è dovuta per i verbali di conciliazione<br />

di valore non superiore ai 51.646 euro.<br />

Alla normativa secondaria è demandata la determinazione delle indennità dovute ai<br />

mediatori (si attende apposito decreto del Ministero della Giustizia).<br />

Chi versa nelle condizioni per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato è esentato dal<br />

pagamento dell’indennità ai mediatori.<br />

L’indennità versata ai mediatori è spendibile come credito di imposta, fino alla concorrenza<br />

di € 500,00, credito da indicare nella dichiarazione dei redditi (art. 20) .<br />

Conclusioni<br />

Forte è il timore che la conciliazione obbligatoria diventi solo un ulteriore tempo di attesa<br />

per adire il giudice civile. Il fallimento del tentativo obbligatorio di conciliazione in materia<br />

di lavoro è sotto gli occhi di tutti (solo due conciliazione su dieci terminano positivamente<br />

secondo uno studio nazionale dei consulenti del lavoro dell’anno 2009).<br />

Ma è la cultura della conciliazione che va rafforzata ed un cambiamento di mentalità si<br />

impone. In un paese dove le cause civili rappresentano un numero abnorme ed<br />

imparagonabile con il numero delle pendenze dei paesi europei, interventi deflattivi del<br />

contenzioso, almeno nelle intenzioni, non sono più rinviabili.<br />

Gli avvocati, dal canto loro, non dovranno approcciarsi alla conciliazione ritenendola uno<br />

strumento che riduce la propria attività lavorativa e conseguentemente il loro guadagno.<br />

E’ il modo di difendere che deve cambiare. I difensori devono capire che la loro funzione (<br />

conseguentemente la loro professione), può e deve svolgersi, con eguali professionalità ed<br />

introiti, anche e soprattutto in ambito extraprocessuale, facendo in modo che il ricorso al<br />

giudice rappresenti l’eccezione e non la regola di risoluzione dei conflitti.<br />

E’ un richiamo alla responsabilità che si impone.<br />

32


Personalmente ritengo che, soprattutto in una fase iniziale, gli organismi di conciliazione<br />

istituiti dai consigli degli ordini forensi direttamente presso il Tribunale possano fare la<br />

differenza. Non deve sottovalutarsi, infatti, il forte rilievo psicologico che ha per una parte,<br />

che pretende la soddisfazione di un proprio diritto, il recarsi in Tribunale, avere contatto con<br />

il pianeta giustizia, ai fini di una possibile conciliazione.<br />

Anche la conciliazione endoprocessuale, quella sollecitata dal giudice, va vista con favore e<br />

può essere un’occasione di utilizzo serio e responsabile della fase conciliativa.<br />

Va da sé che presupposto ineliminabile del successo o meno del percorso conciliativo è dato<br />

dalla serietà degli organismi, dalla preparazione dei suoi componenti, dalla loro<br />

autorevolezza, derivante sia dalla preparazione che dall’effettuazione di un serio e vero<br />

percorso formativo alla materia della conciliazione.<br />

Solo la reciproca fiducia può essere la base di una conciliazione vera e seria e che diventi<br />

largamente praticata, fino ad entrare nella coscienza dei cittadini che, formati alla cultura<br />

della conciliazione, comincino essi stessi e vedere il ricorso al giudice come l’ultima delle<br />

possibilità. E’ un cammino difficile. E’ compito nostro, degli operatori del diritto, rendere la<br />

conciliazione strumento deflattivo reale ed impedire che della stessa venga fatto un uso<br />

distorto.<br />

33


L’onere di contestazione di Carmine Monaco<br />

L’onere di contestazione è una delle modifiche dirompenti che sono state introdotte nel 2009.<br />

Perché sancisce un cambiamento radicale della tecnica difensiva del civilista ed è un<br />

cambiamento che influisce sia nei contenuti, perché cambiano i modi in cui solitamente<br />

prepariamo in nostri atti, e sia nella tempistica, perché l’onere di contestazione impone di<br />

prendere una posizione tempestivamente mediante la prima difesa utile.<br />

Trattasi di un cambiamento importante quasi come quello del 1995 quando entrò in vigore la<br />

L.353/1990 che ha introdotto il processo fondato sulle preclusioni, cambiando radicalmente il<br />

nostro modo di lavorare.<br />

La legge n. 69/2009 ha modificato l’art. 115 del codice di rito stabilendo che il giudice può<br />

porre a fondamento della propria decisione anche «i fatti non specificatamente contestati dalla<br />

parte». Il pensiero va subito al convenuto, ma in realtà la norma riguarda tutte le parti private<br />

del processo e dunque anche l’attore e i terzi.<br />

Il problema degli effetti della non contestazione è un problema risalente nel tempo. Ne<br />

parlavano già negli anni ‘20 i grandi Maestri della procedura civile. La dottrina prevalente<br />

riteneva che la non contestazione non potesse avere alcun effetto in mancanza di una espressa<br />

previsione normativa. Carnelutti affermava: “i fatti o sono ammessi o sono contestati, i fatti<br />

non contestati sono fatti controversi, i fatti controversi devono essere provati”.<br />

Dubitavano di tale conclusione, invece, insigni studiosi come il Mortara e il Furno. Ludovico<br />

Mortara è da considerarsi il precursore della contestazione specifica.<br />

Affermava : “davanti al magistrato non si va per tacere ma per parlare, per far conoscere<br />

le proprie ragioni, i torti dell’avversario con dichiarazioni precise, positive e pertinenti<br />

alla lite”. E’ questa la nascita del principio della contestazione specifica.<br />

A segnare una svolta fu l’introduzione del rito del lavoro e di quell’art. 416 c.p.c. che<br />

imponeva – e impone tuttora – al convenuto di prendere una «posizione specifica e non limitata<br />

ad una generica contestazione» dei fatti allegati dal ricorrente e viceversa a carico dell’attore<br />

circa i fatti allegati dal convenuto.<br />

Contrariamente a quanto si possa pensare, la giurisprudenza non interpretò quella norma<br />

come un vero e proprio onere di allegazione con conseguenti ricadute in caso di sua violazione.<br />

Tutt’altro; per molto tempo si continuò a dire che la sanzione della contestazione generica<br />

ovvero della mancata contestazione era puramente sul piano degli effetti derivanti dal mancato<br />

rispetto dei principi di lealtà processuale sanzionati dagli articoli 88 e 92. Poi si cominciò ad<br />

affermare che la non contestazione, che poteva intervenire anche in fase di appello, poteva<br />

34


fungere da elemento integrativo per la decisione del giudice (Cass. 5359/1994). Bisognerà<br />

aspettare le Sezioni Unite (sent. 721/2002) per sentire affermare che il principio di non<br />

contestazione deriva dal sistema e non dall’art. 416 che non sanziona espressamente con la<br />

decadenza la non contestazione. Questa sentenza non ha avuto seguito nella giurisprudenza<br />

delle sezioni semplici ordinarie ( a differenza di quella del lavoro e di quella tributaria), tanto<br />

che fino al 2008 si è continuato ad affermare che la non contestazione o non rileva affatto<br />

oppure può costituire semplice argomento di prova.<br />

Sennonché, nel 2008 la Cassazione, sezione ordinaria, pronuncia una importante sentenza in<br />

cui richiamando le pronunce delle sezioni lavoro e tributaria riprende quegli argomenti<br />

affermando che l’onere di contestazione tempestiva non è desumibile solo dagli artt. 167 e 416<br />

c.p.c., ma deriva: da tutto il sistema processuale (come risulta dal carattere dispositivo del<br />

processo, che comporta una struttura dialettica a catena); dal sistema di preclusioni, che<br />

comporta per entrambe le parti l’onere di collaborare, fin dalle prime battute processuali, a<br />

circoscrivere la materia controversa; dai principi di lealtà e probità posti a carico delle parti e,<br />

soprattutto, dal generale principio di economia che deve informare il processo, avuto riguardo<br />

al novellato art. 111 Cost.).<br />

L’art.115 c.p.c. è una norma solo apparentemente chiara perché in realtà i problemi<br />

sottesi sono tanti: in primis,cosa si intende per contestazione specifica, con i seguenti quesiti :<br />

1) qual è il valore del comportamento non contestato, come si deve comportare il giudice ad<br />

esempio nei confronti dell’atteggiamento di un convenuto che non contesta. E’ prova legale<br />

oppure è una prova che può essere liberamente valutata dal giudice ?<br />

2) Fino a quando è possibile contestare, fino alla prima memorie 183, alla seconda o alla terza<br />

memoria o addirittura fono alla comparsa conclusionale? E se stabiliamo un termine che cosa<br />

accade se la contestazione è tardiva? Se diciamo ad esempio che la contestazione deve essere<br />

tempestiva cosa accade se potendo contestare in memoria di costituzione e risposta io contesto<br />

alla prima memoria del 183?<br />

3) E’ ancora valida la distinzione fra fatti principali e fatti secondari, sono diversi gli effetti della<br />

contestazione fra gli uni e gli altri?<br />

4) Ci sono casi in cui la non contestazione non opera oppure opera sempre?<br />

5) Come faccio a contestare specificamente un fatto se quel fatto non lo conosco e non sono tenuto<br />

a conoscerlo ?.<br />

Ad es., se l’attore,a causa del mio inadempimento,afferma che un importante cliente non ha più<br />

fatto delle commesse, io come faccio a contestare specificamente questo fatto? Sono tenuto ad<br />

esserne a conoscenza? Lui lo dice, io non so se è vero.<br />

35


Il problema sorge se c’è equivalenza tra contestazione generica e non contestazione : significa<br />

che in questi casi io sono sempre dalla parte di chi non contesta?<br />

Cosa si intende per contestazione specifica?<br />

Qualcuno sostiene che la contestazione è specifica se avendo sottomano la narrazione ed<br />

idealmente scomponendola contesto punto per punto, contesto quindi la dinamica del sinistro<br />

come descritto dall’attore, contesto i danni così come dall’attore sono stati quantificati, contesto<br />

effettivamente che sono caduto dalla bicicletta. Questa è una tesi.<br />

L’altra tesi più accreditata, che sicuramente prenderà piede, afferma che contestazione<br />

specifica significa prendere una posizione dettagliata e quindi dare una propria versione<br />

dei fatti. Contestazione specifica significa che tizio va davanti al giudice e non si limita a dire<br />

no, non è vero, non c’è stato, contesto quanto ex adverso dedotto.<br />

Non è questa la contestazione specifica, che deve significare una presa di posizione.<br />

Ad esempio tu dici che la dinamica del sinistro è questa, io dico no ed aggiungo che la<br />

dinamica del sinistro è quest’altra (sei tu che non hai rispettato lo stop).<br />

Sostanzialmente si tratta di fare la discovery,e quindi scoprire le proprie carte e questo si<br />

allaccia ad un’importante sentenza della Cassazione del 2008, la n.24883, in tema di<br />

giurisdizione. In questa importante sentenza al di là del principio in tema di giurisdizione, la<br />

Corte di cassazione dice chiaramente che tutti dobbiamo collaborare. Il giudice e le parti<br />

debbono collaborare per circoscrivere il thema decidendum ed il thema probandum e nessuna si<br />

deve tenere in tasca i trucchi, i trucchetti e le eccezioni …<br />

Una contestazione per essere specifica deve contrastare il fatto avverso con un altro fatto<br />

diverso o logicamente incompatibile oppure con una difesa che appare seria per la puntualità<br />

dei riferimenti richiamati.<br />

Come si fa a contestare specificamente un fatto se io non sono a conoscenza del fatto<br />

stesso?<br />

Facciamo l’esempio del danno da insidia stradale.<br />

Normalmente il Comune proprietario della strada viene a conoscenza del danno quando gli<br />

arriva la lettera del difensore che rappresenta che il giorno …Tizio in sella al proprio motorino<br />

nel percorrere la strada sita nel comune a causa di un buca non visibile sul manto stradale…..<br />

Il Comune l’unica cosa che può dire è se la buca c’è o non c’è perché non ha assistito al fatto.<br />

Magari Tizio è caduto un metro prima, non ha avuto tutti quei danni, ma non essendo a<br />

conoscenza dei fatti come si fa a contestare?<br />

Due tesi. La prima tesi sostiene che in questi casi non occorre contestare.<br />

36<br />

1.


La seconda tesi, invece, sostiene che in questi casi bisogna contestare, ovviamente non sarà<br />

necessario una contestazione specifica, non sarà dovuta una contestazione specifica per la<br />

semplice ragione che non si conoscono gli elementi di fatto, però comunque la contestazione è<br />

necessaria. E perché? Perché se andiamo a prendere i principi a base della necessità di una<br />

contestazione affermati nel tempo dalla giurisprudenza, tra questi troviamo anche il principio di<br />

economia processuale.<br />

La valutazione da parte del Giudice del comportamento non contestato.<br />

Come si deve comportare il giudice nei confronti di una parte che non contesta?<br />

E’ una prova legale o è una prova liberamente valutata?<br />

Ricordo che le prove legali sono quelle i cui effetti sono stabiliti direttamente dalla legge e,<br />

quindi, il giudice non può discostarsi: l’atto pubblico, confessione, giuramento, scrittura privata<br />

autenticata e riconosciuta.<br />

Il Giudice non può dire di fronte ad una scrittura privata autenticata che quella non è la scrittura<br />

della parte se il pubblico ufficiale dice che la firma è stata apposta da Tizio in sua presenza.<br />

Il Giudice deve prenderne atto se non c’è la querela di falso. Queste sono le prove legali.<br />

Le altre prove liberamente valutabili si hanno quando il Giudice, ai sensi dell’art. 116 c.p.c e<br />

secondo il suo prudente apprezzamento, deciderà di credere o meno a ciò che emerge.<br />

Quindi, la non contestazione o è una prova legale o una prova liberamente valutabile.<br />

E anche qui si sono formati due orientamenti.<br />

Il primo dice che la non contestazione è una prova legale ed uno degli argomenti forti è quello<br />

per cui la Corte di Cassazione parla di effetti vincolanti. La Corte dice che il Giudice è<br />

vincolato sul fatto che è espunto da quelli che hanno bisogno della prova.<br />

Però se noi andiamo a vedere quelle sentenze notiamo che la non contestazione non era proprio<br />

avvenuta, non c’era stato un ripensamento e non c’erano delle prove di segno contrario. Per la<br />

verità, nel 2007 la Corte di Cassazione si è trovata di fronte ad un contrasto tra una prova<br />

testimoniale e una non contestazione.<br />

Il lavoratore era ricorso in Cassazione proprio per dire che Il Giudice non doveva tenerne conto,<br />

perché vi era stata la sua domanda e la non contestazione del datore di lavoro, ed in quel caso<br />

affermava che prevaleva la prova testimoniale perché il lavoratore non si era opposto<br />

all’ammissione della stessa e così aveva dimostrato di voler rinunciare agli effetti della non<br />

contestazione.<br />

Un secondo orientamento è oggetto di numerosi articoli da parte del dott. Cea, magistrato<br />

della Corte Appello di Bari, che affermano: La non contestazione è una presunzione di<br />

verità, non è la verità, è fondamentalmente una tecnica processuale che sorge in funzione<br />

del raggiungimento di alcuni obbiettivi quale è quello dell’economia processuale, però è<br />

pur sempre una presunzione di verità.<br />

37


Ora “giusto processo” è il processo che tende all’accertamento veritiero dei fatti. Non è un<br />

processo formale solo perché le parti sono in condizioni di parità o perché il giudice è<br />

imparziale o solo perché il processo è sottoposto alla legge. Il giudice rispetta la legge, la<br />

sentenza è giusta se si basa su un accertamento veritiero dei fatti .<br />

Il giudice valuterà quel comportamento insieme a tutte le altre prove anche perché si<br />

arriverebbe a dei risultati abnormi. Infatti, se si tiene in considerazione che la contestazione<br />

generica è equiparata alla non contestazione potremmo arrivare al punto che in certi casi<br />

ammettere determinati fatti è meno grave che contestare genericamente.<br />

Questo perché tuttora la Corte di cassazione continua a dire che<br />

- le ammissioni che fa il difensore costituiscono indizi,<br />

- le dichiarazioni che la parte fa in sede di interrogatorio libero sono argomenti di prova,<br />

allora come è possibile che la contestazione generica che, è pur sempre una contestazione,<br />

può essere una prova legale, mentre l’ammissione che fa la parte è un indizio !.<br />

E’ evidente che i conti non tornano anche perché noi sappiamo che una prova libera non può<br />

derogare una prova legale, mentre le prove liberamente valutabili sono tutte sullo stesso<br />

piano, quindi una testimonianza vale come un indizio secondo la Corte di Cassazione, vale<br />

anche come un argomento di prova e quindi ad esempio il giudice potrebbe ritenere prevalente<br />

un argomento di prova rispetto ad una prova; potrebbe ritenere prevalente un indizio rispetto ad<br />

una prova testimoniale .<br />

Se sul manto stradale vi è una frenata di 80 m. potrebbe essere ritenuta prevalente rispetto ad<br />

una testimonianza, evidentemente compiacente, che afferma che pochi istanti prima<br />

dell’impatto, guardando il contachilometri, aveva rilevato che segnava una velocità di km. 30.<br />

Quindi, non c’è una gerarchia delle prove fra le prove liberamente valutabili.<br />

Facciamo un esempio per vedere quali sarebbero le conseguenze laddove si accedesse alla<br />

tesi della prova legale.<br />

Rimaniamo in tema di sinistri stradali: l’attore si costituisce, il convenuto contesta<br />

genericamente o non contesta. Successivamente però viene a conoscenza che l’auto dell’attore<br />

era già danneggiata nel punto dove c’è stato l’urto perché casualmente conosce un carrozziere,<br />

gli parla dell’incidente e dice io lo conosco quello li, il giorno prima del sinistro aveva la<br />

fiancata danneggiata ecc. Ora se noi accediamo alla teoria della prova legale l’eventuale<br />

richiesta di prova testimoniale non potrebbe essere accolta dal giudice perché una prova<br />

liberamente valutabile non può derogare ad una prova legale.<br />

Io credo che sia possibile fondare questa opzione sul buon senso oltre che naturalmente sul<br />

dato normativo, sulla logica e su tutta un’altra serie di elementi e cioè noi dobbiamo dare<br />

prevalenza alla verità processuale e non ad una presunzione.<br />

38


A questo punto ci sembra opportuno riportare le parole di Costanzo Cea che, a mio avviso<br />

condivisibilmente, parla di semplice relevatio ab onere probandi con libertà per il giudice di<br />

valutare il quadro probatorio. Dice Mario Costanzo Cea che il giusto processo va inteso come<br />

diritto ad ottenere una decisione fondata sulla ricostruzione veritiera dei fatti. La non<br />

contestazione o la contestazione generica dà luogo ad una presunzione di verità dei fatti e<br />

sarebbe davvero singolare se nel processo prevalesse la presunzione piuttosto che la verità di<br />

quegli stessi fatti. Pertanto la presunzione è destinata a soccombere se gli elementi raccolti ne<br />

dimostrino l’inconsistenza.<br />

Vi è poi un altro argomento. Le prove legali sono quelle stabilite dalla legge. Vi è dunque una<br />

riserva che impone di escludere applicazioni analogiche. Non solo. Non si spiega per quale<br />

ragione la contestazione generica, che è pur sempre una contestazione, ha efficacia di prova<br />

legale mentre le ammissioni della parte in sede di interrogatorio libero e del difensore sono<br />

rispettivamente argomenti di prova (art. 116 c.p.c.) e indizi.<br />

Ritengo pertanto, uniformandomi al pensiero di Cea, che la non contestazione deve essere<br />

liberamente valutata dal giudice alla luce di tutti gli elementi probatori raccolti nel processo.<br />

Revoca della contestazione<br />

Si discute tra i primi commentatori della riforma della cosiddetta revoca della non<br />

contestazione. Si è anche detto che non trattasi di revoca perché in caso di non contestazione<br />

significherebbe revocare qualcosa che non è stato fatto, in caso di contestazione generica non<br />

abbiamo una revoca ma una contestazione tardivamente specificata. Nel primo caso trattasi di<br />

contestazione tardiva.<br />

Ora queste sono le domande che ci dobbiamo porre:<br />

Può la parte contestare utilmente un fatto dopo la prima difesa utile?<br />

Se la risposta è affermativa, fino a quando?<br />

E poi: qual è l’effetto di questa contestazione tardiva?<br />

Il problema è certamente serio, perché è dal 2002 che la S.C. (v. sent. 761/2002) non fa altro<br />

che ripetere che la contestazione deve essere tempestiva, cioè fatta con la prima difesa<br />

utile dovendosi altrimenti ritenere il fatto espunto dagli argomenti di prova. “L’art. 167<br />

c.p.c., imponendo al convenuto l’onere di prendere posizione sui fatti costitutivi del diritto<br />

preteso da controparte, considera la non contestazione un comportamento univocamente<br />

rilevante ai fini della determinazione dell’oggetto del giudizio, con effetti vincolanti per il<br />

39


giudice, che dovrà astenersi da qualsivoglia controllo probatorio del fatto non contestato e<br />

dovrà ritenerlo sussistente, in quanto l’atteggiamento difensivo delle parti espunge il fatto<br />

stesso dall’ambito degli accertamenti richiesti”, Cass. 5356/2009.<br />

Nella giurisprudenza del lavoro è stato talvolta affermato che la non contestazione è<br />

irreversibile, pertanto il convenuto che ha omesso di contestare un fatto non può<br />

successivamente allegare e provare fatti contrari. Peraltro, non sono mancate pronunce in cui la<br />

prova testimoniale assunta, nonostante la non contestazione, è stata ritenuta assolutamente<br />

valida e anzi prevalente rispetto alla non contestazione che, secondo la Corte, doveva intendersi<br />

rinunciata, non essendosi la parte opposta all’ammissione del mezzo.<br />

Si tratta allora di capire se questo principio si applica anche nel rito ordinario, posto che il<br />

meccanismo di definizione del thema decidendum e del thema probandum è ben diverso.<br />

A leggere le sentenze della Cassazione che hanno preceduto la modifica dell’art. 115, la<br />

risposta sembrerebbe essere negativa. La Corte afferma che la contestazione deve essere<br />

tempestiva e che la contestazione non tempestiva rende il fatto pacifico, anzi addirittura<br />

“vincolante” per il giudice. Tuttavia, la Corte non ha mai affrontato approfonditamente ed<br />

espressamente il tema della revoca, nemmeno nei due casi citati in cui è arrivata a soluzione<br />

opposte.<br />

Ma quali sono gli effetti prodotti dalla non contestazione?<br />

Facciamo degli esempi per capire meglio:<br />

- Se il convenuto debitore contesta genericamente il credito, significa che non può più allegare<br />

e provare di avere estinto l’obbligazione?<br />

- Se il convenuto contesta genericamente la dinamica del sinistro, significa che non può più<br />

allegare e provare che il sinistro si è verificato secondo un’altra modalità?<br />

- Se il medico convenuto non contesta di non aver chiesto il consenso al paziente, significa che<br />

non possa più dimostrare di averlo informato correttamente e di avere ottenuto il consenso?<br />

E così via. Le soluzioni possibili mi sembrano queste:<br />

a) non è possibile revocare la non contestazione tempestiva (o generica) né è possibile provare<br />

un fatto diverso; è certamente da scartare perché finirebbe per attribuire alla non contestazione<br />

il valore di prova legale, il che avrebbe richiesto una formulazione espressa.<br />

40


) è possibile revocare la non contestazione (o quella generica) e quindi eliminare totalmente<br />

gli effetti prodotti, sicché il creditore ha di nuovo l’onere di provare i fatti costitutivi; in tal caso<br />

bisogna anche stabilire fino a quale momento; è pure da scartare in quanto finirebbe per rendere<br />

instabile, almeno fino ad un certo punto, il thema decidendum e l’onere probandi, con palese<br />

violazione del principio di lealtà, dell’ordinato andamento del processo, della struttura dialettica<br />

a catena e dell’economia processuale ed è comunque in contrasto con la giurisprudenza più<br />

recente. Improbabile davvero che la Cassazione possa gettare via sette anni di pronunce.<br />

E’ di questo parere, però, Balena (La pseudo riforma della giustizia civile, in Judicium)<br />

secondo cui non esistono limiti temporali all’onere di contestazione, fatto salvo il potere-dovere<br />

del giudice di rimettere nei termini la parte che ne faccia richiesta. Come dire che la<br />

contestazione può essere mossa anche in comparsa conclusionale con l’effetto di far ritornare<br />

indietro il processo alla fase istruttoria. Si tratta di una soluzione inaccettabile che viola gran<br />

parte dei principi sottesi al principio in esame.<br />

Si dice che la ragione di questa soluzione si fonda sulla disciplina della contumacia che,<br />

altrimenti, sarebbe più vantaggiosa per la parte costituita. Mi pare un argomento debole, visto<br />

che comunque la parte contumace ha dei vantaggi rispetto a quella costituita, potendo, ad<br />

esempio, disconoscere la scrittura - prodotta dall’attore al momento della costituzione – alla<br />

prima udienza di trattazione qualora qui si costituisca, a differenza della parte che si costituisce<br />

tempestivamente che ha invece l’onere di proporla con la comparsa di costituzione e risposta.<br />

c) è possibile revocare la non contestazione tempestiva (o generica) ma solo fino ad un certo<br />

termine e con l’onere di dover sempre provare il fatto contrario, essendo ormai il fatto oggetto<br />

di non contestazione già acquisito al processo.<br />

A mio avviso la soluzione corretta è la c), pertanto il convenuto può certamente tornare sui<br />

suoi passi e prendere una posizione specifica, ma ciò solo fino alla I memoria del 183 che<br />

consente la precisazione delle domande, delle eccezioni e delle conclusioni. Nella II memoria<br />

può contestare solo i fatti a sostegno delle domande e delle eccezioni nuove sollevate dall’altra<br />

parte all’udienza di trattazione, ciò perché così espressamente prevede l’art. 183, VI comma, n.<br />

2 e naturalmente quelli legittimamente introdotti con la I memoria del 183.<br />

Non condivido invece la posizione di chi sostiene che detta revoca possa essere fatta sempre<br />

fino alla II memoria, perché si finirebbe per ammettere l’allegazione di fatti sino a quella<br />

memoria.<br />

41


Qualora poi si sostenga che la revoca abbia effetti retroattivi, verrebbe altresì svuotata<br />

completamente l’esigenza sottesa al principio dell’economia processuale, della semplificazione,<br />

dell’ordinato andamento del processo. Difatti, l’attore, in base al “principio di eventualità”<br />

sarebbe sempre costretto ad articolare i mezzi di prova, nell’eventualità, appunto, che il<br />

convenuto contesti specificamente i fatti con la II memoria, con buona pace di tutti i principi<br />

sottesi all’onere in esame. Ciò poteva valere nel giudizio ante riforma del 2005, in cui il<br />

momento finale per la fissazione del thema decidendum coincideva con la II memoria del 183,<br />

ma non oggi in cui la II memoria contiene anche la prima del vecchio 184.<br />

Ma ritorniamo al tema. Sono del parere che nel momento in cui il convenuto non contesta<br />

o contesta genericamente i fatti allegati dall’attore, il meccanismo della relevatio ab onere<br />

probandi si è definitivamente realizzato e l’attore non ha più l’onere di provare il fatto,<br />

fermo restando che il convenuto può dimostrare un fatto contrario.<br />

Pertanto quando la S.C. dice che la contestazione deve essere fatta con il primo atto<br />

difensivo utile, dovendosi altrimenti ritenere provato il fatto, non intende dire che il<br />

convenuto non possa nel corso del giudizio, e nel rispetto dei termini per le allegazioni,<br />

provare il fatto contrario, ma dice semplicemente che intanto quel fatto si intende<br />

dimostrato e la parte esonerata dalla relativa prova.<br />

Esempio. Tizio quale erede conviene in giudizio Caio, per ottenerne la condanna al pagamento<br />

di un debito ereditario. Caio inizialmente contesta genericamente la qualità di erede di Tizio.<br />

Con la prima memoria del 183 Caio allega l’esistenza di un testamento posteriore che dimostra<br />

che Caio non è erede e con la II memoria produce il testamento.<br />

Tale modalità, a mio avviso, è certamente possibile. La contestazione tardiva ha semplicemente<br />

dispensato l’attore dall’onere della prova in ordine alla circostanza della sua qualità di erede,<br />

ma non ha impedito al convenuto di fornire la relativa prova contraria.<br />

Ritornando all’esempio fatto: se il convenuto si fosse successivamente limitato a contestare, ma<br />

senza provare, la qualità di erede di Tizio, detta contestazione non avrebbe avuto alcun effetto e<br />

non avrebbe imposto a Caio di provare il fatto.<br />

Ciò significa anche che il giudice non può negare la concessione del triplo termine solo<br />

perché il convenuto non ha contestato il fatto o lo ha contestato genericamente, potendo<br />

allegare e dimostrare circostanze diverse con le memorie di cui al VI comma. Difatti, il potere<br />

del giudice di ritenere raggiunta la prova di un fatto e di rigettare quindi le richieste di prova,<br />

non arriva al punto di poter impedire alla parte di allegare un fatto. Ciò non toglie, però, che il<br />

42


giudice possa rigettare le richieste di prova contraria, ma questo è un effetto che deriva dal<br />

discutibile orientamento della Suprema corte secondo cui il giudice, una volta che ha maturato<br />

il convincimento circa la prova del fatto, non è obbligato a permettere l’assunzione o<br />

l’acquisizione di prove di segno contrario. Si tratta, a mio modo di vedere, di un orientamento<br />

incompatibile con l’art. 111 della Costituzione, in quanto in stridente contrasto con i canoni del<br />

giusto processo e con l’art. 24 in quanto violazione del diritto di difesa.<br />

Fatti principali e fatti secondari.<br />

La sentenza delle SS.UU. della Cassazione fece proprio questa distinzione tra fatti principali e<br />

fatti secondari dicendo che gli effetti così gravosi della non contestazione riguardano i fatti<br />

principali mentre per i fatti secondari tutt’al più questo atteggiamento vale come argomento di<br />

prova.<br />

E’ possibile sostenere ancora oggi che la non contestazione ha effetti diversi per i fatti<br />

principali e per i fatti secondari?<br />

La maggior parte dei commentatori sostiene di no, cioè che la non contestazione dei fatti<br />

principali e dei fatti secondari ha gli stessi effetti, e questo per una serie di ragioni.<br />

Innanzi tutto perché l’art.115 non fa alcuna distinzione tra fatti principali e fatti<br />

secondari ; il secondo motivo è che il principio si è emancipato dagli art.167 e 416 che parlano<br />

espressamente di presa di posizione sui fatti posti a fondamento della domanda, nel<br />

momento in cui il principio si è emancipato da questi articoli è chiaro che la distinzione non ha<br />

più ragione di esistere. Quindi, è molto probabile che si affermerà l’orientamento secondo cui<br />

tutti i fatti debbono essere contestati, fatti principali e fatti secondari o solo fatti sostanziali e<br />

fatti processuali.<br />

Quali sono i casi in cui la non contestazione non opera<br />

Con riferimento a circostanze che non sono di fatto o meglio non opera con riferimento ad<br />

interpretazioni ed interpretazioni di contratti; non opera con riferimento ad argomentazioni<br />

giuridiche. Stiamo parlando di fatti; la contestazione non riguarda i diritti indisponibili,<br />

quindi, in matteria di separazione ad esempio il fatto che il coniuge non contesti l’accusa di<br />

infedeltà non fa si che il giudice dovrà ritenere per forza accertata l’infedeltà del coniuge. Al<br />

più si tratta di indizio.<br />

Altro caso in cui non opera la non contestazione è il litisconsorzio necessario, in quanto la<br />

confessione del litisconsorte necessario non vincola il giudice a pronunciarsi in un certo modo.<br />

Ovviamente la non contestazione opera per i processi instaurati successivamente all’entrata in<br />

vigore della legge.<br />

43


Infine occorre evidenziare che la Corte di Cassazione ha affermato che la non contestazione si<br />

applica con riferimento alle consulenze tecniche di parte quindi se ci troviamo di fronte ad<br />

una parte che allega una consulenza molto dettagliata è bene rivolgersi ad un buon consulente<br />

tecnico perché bisogna rispondere anche alle affermazioni contenute nella CTP.<br />

Onere della parte o meglio onere e responsabilità dell’avvocato<br />

Abbiamo visto che il soggetto tenuto a contestare è l’avvocato. E’ l’avvocato che sottoscrive<br />

gli atti difensivi,dunque a lui spetta questo delicato e complesso onere. Ciò ha ovviamente delle<br />

conseguenze di non poco conto: se l’avvocato non contesta e il giudice decide in forza di<br />

questo atteggiamento processuale, si presume una responsabilità professionale del difensore, il<br />

quale potrà liberarsi, ad esempio, dimostrando di avere contattato ripetutamente il cliente ma di<br />

non essere stato in grado di ottenere risposta, oppure provando di non aver ricevuto le<br />

informazioni nonostante l’espressa richiesta fatta al cliente.<br />

Questo ovviamente vale per gli atti successivi a quelli introduttivi. Difatti, l’omessa<br />

contestazione nella comparsa di costituzione è già di per sé un inadempimento contrattuale<br />

colposo, in quanto il difensore deve raccogliere tutte le informazioni necessarie prima di<br />

redigere l’atto (salvo che il cliente non voglia contestare). E’ dunque importante che il cliente<br />

abbia ben compreso il contenuto dell’atto avversario e sia stato messo in grado di replicare.<br />

A fronte di questo nuovo onere, ritengo pertanto opportuno che l’avvocato si cauteli in questo<br />

modo: il cliente deve rilasciargli una dichiarazione sottoscritta in cui:<br />

a)attesta di avere letto e compreso l’atto avversario;<br />

b) dichiara che l’atto preparato dal difensore contiene tutto quanto in fatto a sua conoscenza e<br />

che non ci sono omissioni nella ricostruzione dei fatti;<br />

c) il cliente deve sottoscrivere la copia dell’atto che rimane nel fascicolo di studio.<br />

In questo modo il difensore è sufficientemente tutelato di fronte al cliente che un domani gli<br />

contesti di non aver allegato circostanze specifiche. Non dimentichiamo che a seguito della<br />

famosa sentenza delle S.U. del 2001, la n. 13533, spetta all’avvocato, come a qualsiasi debitore<br />

contrattuale, l’onere di dimostrare di avere esattamente adempiuto la propria prestazione.<br />

44


Focus<br />

I diritti umani e l’unità dell’Africa di Agostino Marsoner<br />

Gandhi definì la sua lotta contro il razzismo colonialista satyagraha, “forza della Verità”,<br />

alludendo con tale espressione alla vittoria finale concessa dalla Divinità (la Devi madre<br />

degli Dei) ai devoti praticanti la ahimsha, la “non violenza”. La storia ha dato infine ragione<br />

a tale prospettiva filosofica, che avrebbe potuto imporsi senza gravi tragedie se fosse stata<br />

compresa in tempo dai governi occidentali: Churchill rifiutò sempre di incontrare il<br />

Mahatma, mentre lo sfruttamento britannico ebbe come conseguenza una carestia che<br />

provocò nel Bengala milioni di vittime. Ma, coinvolta in un conflitto epocale dal tentativo<br />

egemonico di Hitler, nell’agosto 1941 la Gran Bretagna fu costretta a proclamare la Carta<br />

atlantica (che riconosceva a tutti i popoli il diritto all’autodeterminazione) e ad assumere<br />

precisi impegni scritti che condussero all’emancipazione dell’India. Il pensiero di Gandhi<br />

deve tuttavia intendersi alla luce di una teologia caratterizzata da una visione speculativa del<br />

divenire storico. La conquista dell’indipendenza si collegò a un tragico tributo: fomentando<br />

fin dal 1940 la rivalità tra le confessioni religiose del subcontinente gli Inglesi determinarono<br />

la separazione della Birmania dall’Unione Indiana e crearono i presupposti per una funesta<br />

ostilità tra Induisti e Islamici, i cui effetti perdurano tuttora. Gandhi comprese il fatale<br />

pericolo insito nell’illusoria ‘indipendenza’ del Pakistan, un territorio storicamente e<br />

culturalmente indiano, dove tuttavia prevale la fede mussulmana. Il 13 gennaio 1948 il<br />

Mahatma intraprese quindi il suo ultimo digiuno per costringere il Congresso alle massime<br />

concessioni economiche pur di scongiurare un’innaturale divisione del Paese. Il suo eroico<br />

tentativo, meritevole di sorte migliore, non ebbe purtroppo un esito felice: nonostante il<br />

pagamento di 550 milioni di rupie la Nazione si divise in una cruenta guerra civile e lo stesso<br />

Gandhi, accusato di ingenuità politica, fu assassinato da un fanatico. Ma anche in codesta<br />

circostanza la sua previsione era esatta. L’India è oggi una repubblica federale nella quale<br />

convivono con pari opportunità diverse etnie, che parlano i loro linguaggi tradizionali.<br />

Ovviamente le minoranze religiose, Islamici, Parsi, Cristiani ed Ebrei, non subiscono alcuna<br />

discriminazione. Al contrario il Pakistan, come ha confermato il tragico assassinio di Benazir<br />

Bhutto, costituisce soltanto una pedina nel gioco degli Stati Uniti: una dittatura che da oltre<br />

un decennio detiene illegalmente armi nucleari operative. Eppure Washington e Londra, così<br />

sollecite nel denunciare le presunte “armi di distruzione di massa” di Saddam Hussein, non<br />

hanno finora intrapreso alcuna iniziativa concreta contro tale evidente minaccia.<br />

Il 24 ottobre 2007 e il 4 ottobre 2009 ad <strong>Ariano</strong> si sono svolti due convegni sui diritti umani:<br />

le rispettive tematiche riguardavano l’autodeterminazione del popolo Sahrawi, diritto<br />

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iconosciuto dalla Corte Internazionale dell’Aja già nel 1975, e il presunto ‘genocidio’ in<br />

atto nel Darfur, cioè l’emergenza umanitaria provocata da due milioni di profughi in fuga da<br />

una cruenta guerra secessionista riaccesasi in Sudan dal 2003. Le due questioni sono in realtà<br />

aspetti complementari di un’unica grande tragedia che travaglia l’Africa postcoloniale. La<br />

delicatezza di tale tematica richiede nondimeno un approccio che non sia soltanto<br />

astrattamente giuridico, bensì anche storico, allo scopo di comprendere la genesi degli eventi<br />

e le forze determinanti nell’odierno contesto politico. Nel 2009 la Corte Penale<br />

Internazionale, presieduta dal procuratore Moreno Ocampo, ha emesso un mandato di<br />

arresto ascrivendo crimini di guerra a taluni esponenti del governo di Karthum, tra cui il<br />

presidente Omar al Bashir. Tuttavia è lecito chiedersi se codesto verdetto costituisca davvero<br />

un passo verso la soluzione della tragedia africana o non contribuisca piuttosto a confondere<br />

ulteriormente una situazione già abbastanza intricata e controversa. Gheddafi, attuale<br />

presidente dell’Unità Africana, la Lega Araba e il governo cinese si sono dissociati da tale<br />

sentenza, contestata anche da uno storico italiano, Claudio Moffa, docente all’università di<br />

Teramo. Secondo lo studioso il verdetto lede i principi giuridici e deve ritenersi “una mossa<br />

assolutamente politica che nulla ha a che vedere con il Diritto e la Giustizia”. Si deve<br />

riconoscere che la sentenza trascura i principali responsabili, i finanziatori dei movimenti di<br />

guerriglia secessionista, SLAM e JEM, e sarebbe attuabile soltanto aggravando l’attuale<br />

conflitto: il governo del Sudan preferisce infatti la collaborazione economica con la Cina e<br />

gode di un solido appoggio popolare, come ha mostrato la manifestazione pubblica di<br />

Karthum.<br />

Da quando iniziò a costituirsi, con lo statuto di Roma del 1998, la CPI (in inglese ICC) subì<br />

le interferenze degli Stati Uniti. Il 1° luglio 2002, quando la Corte divenne operativa, il<br />

procuratore generale Carla Del Ponte, iniziò a raccogliere denunce riguardanti Cecenia,<br />

Israele e Congo. Ma già allora i suoi poteri furono artificiosamente limitati: non avrebbe<br />

potuto occuparsi di crimini anteriori al luglio 2002; inoltre Washington, per riconoscere la<br />

CPI, impose che per i successivi 12 mesi le indagini non riguardassero le cosiddette<br />

“missioni di pace” statunitensi. Si comincia così forse a comprendere per quali ragioni<br />

proprio nel 2003 SLAM e JEM, sostenuti dal Ciad, abbiano intensificato gli attacchi in<br />

Sudan, mentre i media occidentali iniziarono una campagna tendente a demonizzare il<br />

governo sudanese. E’ probabile che le forze militari di Karthum, dopo aver subito la perdita<br />

di migliaia di uomini a causa di un conflitto secessionista fomentato dagli Stati Uniti,<br />

abbiano reagito commettendo crimini di guerra. Ma sarebbe ipocrita sostenere che la tragedia<br />

africana, taciuta o banalizzata dai media occidentali, si possa risolvere ponendo alla berlina<br />

uno dei tanti dittatori del Terzo Mondo. La colpa principale di Omar al Bashir sembra infatti<br />

la sua apertura economica alla Cina nel tentativo di impedire il saccheggio delle risorse<br />

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petrolifere e minerarie del suo Paese da parte delle multinazionali statunitensi. Secondo le<br />

fonti citate dal Prof. Moffa, tra cui la BBC, la guerriglia secessionista sarebbe finanziata da<br />

Stati Uniti e Israele. In codesto caso Ocampo avrebbe trascurato non soltanto i crimini<br />

perpetrati fino al giugno 2003, l’aggressione all’Iraq, la devastazione del Museo<br />

archeologico di Baghdad e la distruzione del sistema sanitario iracheno, ma anche i delitti<br />

perpetrati negli anni successivi: le torture sistematiche di Abu Ghraib, l’assassinio di Nicola<br />

Calipari e l’aggressione al Libano con il deliberato bombardamento di obiettivi civili.<br />

Nonostante il verdetto della Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja, che riconosceva<br />

l’autodeterminazione del popolo Sahrawi, il governo di Rabat ha invaso l’ex colonia<br />

spagnola senza subire la minima sanzione, costringendo molti autoctoni a fuggire in Algeria,<br />

mentre induceva una folla di sudditi diseredati a ricolonizzare il territorio. I tentativi non<br />

violenti di rivendicare il diritto all’autodeterminazione sono stati repressi con arresti arbitrari<br />

e torture. Per tale ragione nel 1984 l’Organizzazione per l’Unità Africana, che rappresenta la<br />

totalità degli stati del Continente, espelleva il Marocco riconoscendo la legittimità del<br />

governo della Repubblica Islamica Democratica del Sahrawi. Ma alla fine del 2009 la polizia<br />

marocchina deteneva ancora illegalmente sette difensori dei diritti umani, tra cui una donna,<br />

Idagja Lachgare. E’ dunque chiaro che la CPI può divenire uno strumento fondamentale per<br />

contribuire a una soluzione giusta e pacifica delle controversie internazionali, ma soltanto se<br />

prenderà in considerazione anche le denunce rivolte contro Stati Uniti e altri Paesi<br />

occidentali aggressivi, intenzionati a sostituire il Diritto con fatti compiuti e aggressioni<br />

militari. Se la Corte ‘internazionale’ sarà costituita anche da giudici africani e asiatici è<br />

probabile che i suoi verdetti divengano determinanti per esercitare, attraverso l’opinione<br />

pubblica, una pressione efficace sui governi. E’ infatti assurdo pretendere che dittatori di<br />

Paesi militarmente deboli ubbidiscano in tutto alle norme giuridiche, mentre le grandi<br />

democrazie occidentali, che detengono e producono la maggior parte degli armamenti<br />

mondiali, siano sempre al di sopra della Legge.<br />

L’odierno dispregio del diritto internazionale è divenuto manifesto nel ‘processo’ a Saddam<br />

Hussein nell’Iraq sotto occupazione straniera. Senza dubbio il dittatore iracheno era<br />

colpevole di un grave crimine: la guerra illegale contro l’Iran che in otto anni (1980 – 1988)<br />

ha provocato circa tre milioni di vittime. Eppure tale aggressione, reato condannato a<br />

Norimberga come “crimine contro la pace”, fu apertamente sostenuta dagli Stati Uniti che<br />

fornirono armi sofisticate al dittatore. A tale scopo nel 1983 Reagan inviò a Baghdad Donald<br />

Rumsfeld, che concordò ulteriori aiuti militari. E verso la fine del conflitto un incrociatore<br />

statunitense in navigazione nello stretto di Ormuzd, il Vincennes, compì una provocazione<br />

suscettibile di divenire un casus belli se i rapporti di forza fossero stati diversi: abbatté con<br />

un missile un aereo civile iraniano assassinando 290 persone, tra cui 66 bambini. Durante il<br />

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processo – farsa a Saddam Hussein, concluso il 5 novembre 2006 con la condanna a morte,<br />

non si è quindi mai parlato di guerra all’Iran, bensì soltanto della repressione di un attentato.<br />

L’8 luglio 1982 nel villaggio di Dujail cinque attentatori Sciiti, ovviamente contrari alla<br />

guerra fratricida contro un Paese islamico, tentarono di assassinare Saddam, allora<br />

considerato uno strumento a servizio dell’imperialismo americano. Nei giorni successivi il<br />

Tribunale Rivoluzionario condannò quindi alla pena capitale 148 persone. Per tale reazione<br />

eccessiva, originata peraltro da un conflitto voluto da Washington, il dittatore fu condannato<br />

all’impiccagione, respingendo la sua richiesta di essere fucilato.<br />

Oggi si manifestano chiari tentativi di disinformazione: conflitti pluriennali, condotti per<br />

evidenti scopi geopolitici, sono definiti “missioni di pace”. Nel medesimo tempo la difesa<br />

dell’integrità nazionale contro le ingerenze straniere può rientrare nella categoria “crimini di<br />

guerra”. Tale reato, introdotto nella prassi giuridica subito dopo il secondo conflitto<br />

mondiale, ha suscitato polemiche già durante il processo di Norimberga e i successivi<br />

procedimenti contro dirigenti nazionalsocialisti e sudditi dell’impero nipponico.<br />

Ironicamente Maurice Bardèche paragonò il “nuovo diritto” a un “romanzo giallo”: soltanto<br />

alla fine si scoprono chi siano i criminali. Le idee nazionaliste dello studioso francese sono<br />

ormai superate, ma si deve riconoscere la validità della sua critica: i vincitori, basandosi sui<br />

sentimenti dell’opinione pubblica, perseguirono non soltanto politici, diplomatici, generali e<br />

ammiragli, ma anche giornalisti e scrittori. Martin Heidegger, filosofo di fama<br />

internazionale, subì la detenzione, il licenziamento dall’università e il sequestro della<br />

biblioteca. Ovviamente sono perseguiti soltanto i vinti e, perfino tra loro, sussistono<br />

arbitrarie discriminazioni. Nel dopoguerra Libia ed Etiopia sollecitarono il processo ai<br />

criminali fascisti italiani, tra cui Badoglio, che aveva infranto le convenzioni già vigenti<br />

utilizzando iprite, e Graziani, che uccise circa 30.000 innocenti nella rappresaglia per<br />

l’attentato del 19 febbraio 1937 ad Addis Abeba. Ma i vincitori non permisero neppure<br />

l’inizio di tali procedimenti. D’altronde è evidente che un’eventuale vittoria del<br />

nazionalsocialismo, basandosi su criteri giuridici analoghi, avrebbe condotto a risultati<br />

esattamente opposti. Sui campi di concentramento l’opinione pubblica europea avrebbe<br />

conosciuto soltanto quanto le autorità avevano divulgato durante il conflitto: la Croce Rossa<br />

Internazionale li aveva visitati trovandoli perfettamente regolari. D’altronde sarebbero stati<br />

ritenuti reati proprio i crimini commessi da Sovietici e Anglosassoni: il bombardamento “a<br />

tappeto” di centri abitati, lo stupro di donne e bambine, il lancio di ordigni atomici sulle città.<br />

E per tali delitti i vincitori avrebbero potuto stabilire la pena di morte senza neppure<br />

ricorrere, come nel 1946, a una legge retroattiva, contraddicendo un principio giuridico<br />

millenario: nulla poena sine lege. Già la Convenzione dell’Aja del 1907 proibiva il<br />

bombardamento di ogni città o villaggio. E già le Constitutiones di Federico II prevedevano<br />

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la pena di morte per lo stupro. Churchill, Giorgio VI, Truman, Stalin, Harris, marescialli,<br />

generali, scienziati, piloti anglosassoni, invece di essere onorati con decorazioni, interviste e<br />

monumenti, sarebbero stati quindi passibili di una ‘legale’ impiccagione. A Norimberga si<br />

stabilì che gli ordini superiori non costituiscono circostanze attenuanti neppure per i militari<br />

in stato di guerra. D’altronde il carattere unilaterale dell’odierna informazione storica è<br />

indicato da una circostanza significativa: l’opinione pubblica è quasi totalmente ignara delle<br />

precise modalità tecniche dei cosiddetti “bombardamenti a tappeto”. Il loro effetto militare fu<br />

praticamente nullo: la produzione bellica tedesca continuò ad aumentare, mentre gli alleati<br />

perdevano migliaia di piloti e costosi bombardieri quadrimotori. Ma, allo scopo di<br />

assassinare il maggior numero di donne e bambini nel modo più atroce, il governo<br />

britannico, presieduto da Churchill, decise già il 10 maggio 1940 di designare i centri<br />

cittadini come obiettivo primario sostenendo un notevole sforzo industriale e profondendo<br />

tutte le risorse della tecnica: si costruirono “bombe terremoto”, capaci di raggiungere<br />

velocità terrificanti e di penetrare in qualsiasi rifugio antiaereo; si utilizzarono bombe al<br />

fosforo, che non potevano spegnersi neppure con l’acqua e bruciavano vive le vittime<br />

procurando loro sofferenze indicibili; si idearono strumenti elettronici innovativi, che<br />

consentivano di concentrare in una ristretta area cittadina bombe dirompenti ed ordigni<br />

incendiari allo scopo di provocare “tempeste di fuoco”. Su una superficie di alcuni<br />

chilometri quadrati la temperatura raggiungeva circa i mille gradi Celsius, trasformando i<br />

rifugi in forni crematori, mentre venti artificiali di 300 km. all’ora risucchiavano<br />

nell’immenso rogo coloro che tentavano di fuggire; infine dall’innaturale incendio si<br />

spandevano ondate di ossido di carbonio che avvelenavano gli occupanti dei rifugi periferici.<br />

E tale prassi raggiunse il parossismo quando la guerra era militarmente conclusa: tra il 13 e il<br />

14 febbraio 1945, Dresda, la città più artistica della Germania, dove transitavano i profughi<br />

in fuga dalle orde bolsceviche, subì in due soli giorni tre bombardamenti che incenerirono la<br />

città assassinando almeno 200.000 civili. Migliaia di bambini morirono soltanto per le<br />

esalazioni di ossido di carbonio. Mai tante persone furono uccise in un tempo così breve. Ma<br />

durante la guerra circa 2 milioni di civili furono uccisi in modo analogo. E altri due milioni<br />

perirono dopo, per la brutalità delle truppe: soltanto a Berlino furono stuprate circa 100.000<br />

donne e bambine, 10.000 delle quali non sopravvissero.<br />

Se il fascismo avesse vinto la guerra i propagandisti del regime non avrebbero mancato di<br />

enfatizzare una discussa decisione strategica di Hitler, che non volle mai utilizzare i gas<br />

nervini, i più efficaci aggressivi chimici dell’epoca, detenuti allora soltanto dalla Germania<br />

fin dal 1938. L’opinione pubblica avrebbe quindi conosciuto il dittatore nazionalsocialista<br />

come un benefattore che, pur di non penalizzare innocenti ed evitare rappresaglie, aveva<br />

rinunciato a un’arma in certe circostanze forse risolutiva. La ricerca della verità, tanto<br />

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enfatizzata dal Mahatma, rimane quindi un presupposto ineludibile nell’affermazione dei<br />

diritti umani. La celebre Dichiarazione proclamata il 10 dicembre 1948, privilegia le<br />

esigenze spirituali e il punto di vista del singolo individuo nei confronti degli interessi dello<br />

stato. Si intese così reagire all’opposta concezione dei regimi totalitari, caratterizzati dal<br />

‘dovere’ dei cittadini, tenuti anche all’autosacrificio per il bene superiore della ‘Patria’. La<br />

situazione politica era allora bipolare, ma la rivalità tra le due grandi potenze, Stati Uniti e<br />

Unione Sovietica, ebbe un effetto positivo, favorendo le rivendicazioni dei Paesi non<br />

allineati. Nel maggio 1951 il primo ministro iraniano Mossadeq, che godeva di un vasto<br />

consenso popolare, poté quindi sfidare i poteri forti dell’Occidente rifiutando di rinnovare la<br />

concessione alle compagnie petrolifere anglosassoni. Londra, per legittimare un’azione di<br />

forza, chiese alla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja e al Consiglio di Sicurezza<br />

dell’ONU di condannare come illegittima l’iniziativa iraniana. Ma in tale circostanza<br />

Washington agì in senso moderatore: esisteva la concreta possibilità di un intervento<br />

sovietico. Le pretese britanniche furono quindi giudicate illegittime e respinte. Nell’ottobre<br />

1952 il confronto si inasprì giungendo alla rottura delle relazioni diplomatiche tra Londra e<br />

Teheran, dove il Fronte Nazionale e il Tudeh (partito comunista) solidarizzavano. La crisi<br />

giunse all’apice il 17 agosto 1953, quando lo Shah fuggì a Roma, mentre i servizi segreti<br />

statunitensi organizzavano un colpo di stato militare che il 20 agosto condusse all’arresto del<br />

Primo Ministro. L’Iran si trasformò così per 25 anni in uno stato satellite retto da un regime<br />

autoritario asservito a interessi stranieri.<br />

L’epilogo del colonialismo in Africa ed Asia non è coinciso con la fine dello sfruttamento e<br />

della discriminazione razzista. Il secondo dopoguerra è stato anzi caratterizzato da una prassi<br />

illegale, ipocritamente presentata come ‘democratica’, che ha indotto molti Paesi cosiddetti<br />

‘indipendenti’ a rimpiangere perfino il colonialismo. In quella epoca le potenze occidentali,<br />

anche l’Italia fascista, miravano, in genere, a uno sviluppo economico e tecnologico delle<br />

popolazioni soggette. Oggi invece la necessità politica di garantire una formale<br />

‘indipendenza’ dei Paesi “in via di sviluppo” induce la finanza occidentale ad asservire il<br />

cosiddetto Terzo Mondo con legami meno evidenti ma più subdoli e devastanti: debiti<br />

pubblici con interessi composti, finanziamenti usurari che favoriscono soltanto le<br />

multinazionali straniere, arretratezza culturale e tecnologica, divisione in entità etniche<br />

sempre più ristrette, guerre di ‘liberazione’ generosamente finanziate, guarda caso, dagli<br />

stessi governi e capitalisti che ne traggono un profitto economico. Come è noto una sentenza<br />

giusta può scaturire soltanto da una considerazione speculativa comprendente tutti gli aspetti<br />

di una situazione. Una mezza verità non può mai costituire un parziale avvicinamento a un<br />

responso della Giustizia, bensì ne rappresenta piuttosto il totale sovvertimento. Nel 1973 in<br />

un discorso alle Nazioni Unite il presidente della Tanzania Salim Ahmed Salim si riferì<br />

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appunto all’uso talvolta improprio del “principio di autodeterminazione”. Applicato a tutti i<br />

Paesi del mondo, a cominciare da Stati Uniti e Unione Sovietica, la catena di secessioni<br />

voluta dalle minoranze linguistiche o etniche avrebbe condotto i 146 stati dell’ONU a<br />

dividersi in circa 1000 entità giuridiche. Il Presidente concludeva quindi: “Oso prevedere che<br />

molti membri di codesto Consesso non sopravvivrebbero a tale prova”.<br />

Il Diritto non può nascere da teorie e ipotesi astratte, bensì da una riflessione seria sulla<br />

concreta realtà storica. La discussione sugli odierni diritti umani non può quindi prescindere<br />

da una meditazione sulle vere cause degli eventi. In Asia, dove esiste una continuità culturale<br />

da epoca immemorabile, le potenze occidentali si sono in genere opposte con la forza delle<br />

armi all’emancipazione politica: ancora oggi, 65 anni dopo la fine della seconda guerra<br />

mondiale, la Corea è artificiosamente divisa per le decisioni prese a Yalta dai tre ‘grandi’; e<br />

in Indocina il Vietnam ha dovuto combattere per decenni due guerre atroci, contro la Francia<br />

e contro gli Stati Uniti, prima di raggiungere l’unità e l’indipendenza. Analogamente gli<br />

attuali conflitti in Kuwait, Iraq, Afghanistan e Libano, nonché le continue minacce all’Iran,<br />

sono il risultato di chiari intenti neocolonialisti o geostrategici, sebbene mascherati da<br />

ragioni pretestuose o addirittura da scopi umanitari: un presunto furto di incubatrici per<br />

neonati in Kuwait, gli attacchi terroristici dell’11 settembre, un ipotetico possesso di “armi di<br />

distruzione di massa”, un supposto sostegno al “terrorismo internazionale”, la repressione di<br />

movimenti secessionisti, l’eventuale intenzione di dotarsi di bombe nucleari. In questi casi la<br />

giurisprudenza è utilizzata come gruccia di una politica imperialista. Ovviamente si tratta di<br />

un ‘diritto’ basato su criteri unilaterali e arbitrari: gli Stati Uniti, giovandosi spesso della<br />

facoltà di veto nel Consiglio di Sicurezza, proteggono Israele e Pakistan che da decenni<br />

detengono arsenali nucleari illegali, ma definiscono “stati canaglia” Paesi come la Corea del<br />

Nord, vittima di palesi ingiustizie, mentre minacciano di aggressione nucleare l’Iran,<br />

sospettato di voler elevare la sua tecnologia al livello occidentale. Eppure tale Nazione, erede<br />

di una gloriosa civiltà, subisce almeno dal 1941, quando fu invaso da truppe anglo –<br />

sovietiche, una serie di aggressioni militari e terroristiche. Il razzismo, ufficialmente<br />

condannato nell’ideologia nazionalsocialista, riappare così nella prassi delle democrazie<br />

occidentali.<br />

Più complesso è il caso dell’Africa, dove secoli di barbare deportazioni e di spietata<br />

mercificazione dell’uomo hanno distrutto quasi ovunque la continuità culturale delle grandi<br />

civiltà arcaiche. In tale situazione l’alta finanza occidentale e le multinazionali hanno<br />

preferito un modus operandi meno esplicito ma tremendamente efficace: indebitare i governi<br />

democratici, corrompere i regimi dittatoriali e suscitare guerriglie di ‘liberazione’ negli stati<br />

multietnici, come è avvenuto in Congo, in Nigeria e in Sudan, ergendosi perfino a paladini<br />

dei “diritti umani”. I poteri ‘forti’ occidentali hanno così reso quasi impossibile una reale<br />

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emancipazione dell’Africa. L’espressione “Terzo Mondo” rivestiva nel dopoguerra un<br />

significato positivo riferendosi ai Paesi “non allineati” con una delle due potenze egemoni:<br />

Stati Uniti o Unione Sovietica. Tale contrapposizione tra capitalismo finanziario e<br />

comunismo, alleati durante il conflitto mondiale, costituiva una palese sconfessione dei<br />

principi esposti nella Carta Atlantica e presentati come valori assoluti di una crociata<br />

epocale contro la barbarie razzista. Nel 1955 si manifestò in modo più esplicito il contrasto<br />

tra scopi falsamente umanitari e gli eterni principi filosofici invano predicati da Gandhi: il<br />

“Patto di Baghdad”, caldeggiato da Londra e Washington, fu concepito in mera funzione<br />

antisovietica. Ma nel medesimo anno Nehru e Ciu en lai, benché esponenti di diversi sistemi<br />

politico - sociali e di interessi nazionali divergenti, divennero promotori di una conferenza, a<br />

Bandung, in Indonesia, che riprendeva i principi etici e giuridici disattesi dai vincitori della<br />

‘crociata’ antinazista. I rappresentanti di 29 Nazioni, tra cui India, Cina, Birmania, Ceylon,<br />

Pakistan, Egitto, Siria, Sudan, Etiopia, Arabia Saudita, giunsero a un accordo programmatico<br />

esemplare e tuttora valido. I “Non allineati” si impegnarono a uniformarsi alla Carta delle<br />

Nazioni Unite, a rispettare l’integrità delle altre nazioni, a riconoscere l’eguaglianza tra le<br />

razze e tra gli stati grandi e piccoli, a non intervenire negli affari interni di altri Paesi, a non<br />

partecipare alle due grandi coalizioni militari (Alleanza Atlantica e Patto di Varsavia), a non<br />

ricorrere a minacce nei rapporti internazionali, a utilizzare pacifiche trattative per appianare<br />

eventuali controversie.<br />

Da un punto di vista giuridico la vera antitesi del dopoguerra non si espresse dunque<br />

nell’opposizione tra capitalismo e comunismo, identici nella strumentalizzazione<br />

propagandistica del diritto internazionale, bensì nel contrasto tra Paesi del Terzo Mondo,<br />

bisognosi di garanzie legali, e Paesi tecnologicamente avanzati, tendenti a conseguire un<br />

predominio planetario. Nel 1956 ambedue i blocchi si resero responsabili di palesi violazioni<br />

della Carta Atlantica: l’Unione Sovietica represse con i carri armati il tentativo<br />

indipendentista dell’Ungheria, mentre Inghilterra e Francia occuparono militarmente il<br />

Canale di Suez nazionalizzato da Nasser. In tale circostanza gli Stati Uniti svolsero<br />

un’azione moderatrice, costringendo Londra e Parigi a ritirare le loro truppe. Ma la prudenza<br />

di Washington era motivata da un mutato rapporto di forze: nel 1949 la Russia aveva<br />

infranto il monopolio atomico americano, riuscendo nel 1952 perfino a conseguire una lieve<br />

preminenza nella tecnica delle bombe termonucleari. E nel 1957 l’Unione Sovietica<br />

pervenne a un nuovo primato tecnologico ponendo in orbita il primo satellite artificiale e<br />

dimostrando così di possedere l’arma ‘assoluta’: il vettore intercontinentale. Tra il 1958 e il<br />

1960 la maggior parte dei popoli africani ancora soggetti ottenne l’indipendenza. Ma, mentre<br />

gli Stati Uniti recuperavano lo svantaggio missilistico, la prassi del neocolonialismo iniziò a<br />

manifestarsi: nel 1960, proprio quando il Congo acquisiva la libertà dal governo belga (già<br />

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esponsabile di un genocidio tra il 1885 e il 1914), l’Union Miniere indusse la sua regione<br />

più ricca, il Katanga, a proclamare la secessione. Invano Dag Hammarskjoeld tentò di<br />

opporsi, comprendendo che la presunta ‘autonomia’ non giovava tanto al benessere<br />

dell’etnia locale, quanto piuttosto agli interessi delle industrie legate all’estrazione<br />

dell’uranio. Ma il 18 settembre 1961 il segretario dell’ONU moriva in un misterioso<br />

incidente aereo.<br />

Altri ‘incidenti’ e tragici episodi mai chiariti rendono tuttora problematica un’adeguata<br />

interpretazione del secondo dopoguerra. Enrico Mattei si rivelò un temibile concorrente delle<br />

“Sette Sorelle”, le compagnie petrolifere che monopolizzavano il commercio mondiale del<br />

petrolio. Tentando di instaurare un rapporto economico basato sul mutuo vantaggio, piuttosto<br />

che sullo sfruttamento del Terzo Mondo, l’AGIP era divenuto un potenziale avversario del<br />

neocolonialismo. Ma il 27 ottobre 1962, dopo la scoperta di un primo sabotaggio, l’aereo di<br />

Mattei precipitò. Oggi si sa che la disgrazia non dipese da un incidente bensì da una carica<br />

esplosiva. L’episodio non si deve quindi considerare una mera fatalità, bensì parte di una<br />

prassi politico – economica occulta, che si è sistematicamente tradotta in eventi analoghi<br />

tuttora oscuri. John Kennedy tentò di emancipare la valuta statunitense dal signoreggio della<br />

Federal Reserve, un’iniziativa che insidiava l’enorme potere economico - politico dei grandi<br />

banchieri. Il 23 novembre 1963 il Presidente più carismatico del dopoguerra fu assassinato,<br />

ma documenti inoppugnabili, tra cui un filmato amatoriale, attestano l’assoluta insostenibilità<br />

della versione ‘ufficiale’. D’altronde perfino la prassi politica pubblicamente ammessa da<br />

Washington si è sovente dimostrata in aperto contrasto con il diritto internazionale. Il 15<br />

aprile 1986 l’aviazione americana, senza mandato delle Nazioni Unite né dichiarazione di<br />

guerra, bombardò Tripoli di sorpresa nel tentativo di sopprimere Gheddafi. Il Dittatore, forse<br />

nascostamente avvertito da un membro del governo italiano, si salvò, ma decine di civili e la<br />

figlia adottiva del presidente libico morirono. Quale differenza si può riconoscere tra tale<br />

crimine e un comune atto terroristico? Soltanto un’aggravante: spesso i terroristi sono<br />

personaggi disperati, irresponsabili, fanatici, resi insensibili da tragiche esperienze familiari e<br />

talora incapaci di intendere. Ma quale di queste attenuanti può invocarsi per giustificare<br />

Reagan, presidente della massima potenza mondiale e assistito da decine di ‘esperti’?<br />

Comincia quindi a divenire evidente che oggi non esiste un contrasto di interessi tra cittadini<br />

occidentali e diseredati del “Terzo Mondo”: in 65 anni gli Africani, pur abitando un<br />

continente ricchissimo, sono caduti in una miseria sempre più insostenibile. Ma anche gli<br />

Occidentali divengono sempre più vittime di una carente assistenza sanitaria, di una<br />

progressiva mercificazione della vita, di una disoccupazione sistematicamente programmata,<br />

di una crescente degradazione culturale. In realtà cittadini occidentali e cittadini del Terzo<br />

Mondo hanno un interesse comune: emanciparsi da un’identica oligarchia parassitaria e<br />

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inadempiente che maschera i suoi crimini e tenta di conservare i suoi ingiusti privilegi<br />

mediante ipocriti appelli a un’astratta legalità.<br />

Il carcere di Enrico De Musis<br />

L’art. 27 della Costituzione sancisce espressamente un divieto ed un fine essenziale della<br />

sanzione penale: le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e<br />

devono tendere alla rieducazione del condannato. Da ciò discende che il carcere non deve<br />

essere solo un luogo di pena, di sofferenza e di dolore ma anche e soprattutto spazio di<br />

rieducazione e di riapertura alla vita sociale. E poiché il primo e massimo scopo della pena<br />

deve essere quello di un’emendazione della vita del carcerato è necessario che le istituzione<br />

pubbliche e l’intera collettività facciano sino in fondo la loro parte per consentire il recupero<br />

del reo ovvero il reinserimento del recluso nella società: perché è questo l’obiettivo e la<br />

necessità- un positivo percorso educativo e socializzante che veramente e pienamente<br />

garantisca a un tempo sicurezza sociale e rispetto dell’inalienabile dignità dell’uomo. I<br />

reclusi debbono essere aiutati a compiere un cammino, a operare il passaggio dal delitto alla<br />

responsabilità e dalla disperazione alla speranza, dalla solitudine alla comunità, dall’errore<br />

alla dignità. Ed allora diventa nostra responsabilità il costruire le condizioni, rafforzare le<br />

opportunità, promuovere le possibilità affinché vi possa essere effettivamente per chi è in<br />

carcere rinnovamento della propria esistenza, un nuovo cammino da percorrere, delle nuove<br />

porte che si aprono. Ciò significa determinare dentro i penitenziari maggiori possibilità di<br />

formazione, di incontro con educatori anche per un più proficuo sostegno morale e<br />

psicologico, di percorsi culturali ed educativi, di cura. Ma più ancora significa riflettere più<br />

approfonditamente sul senso stesso della pena, determinando all’interno delle carceri, una<br />

nuova solidarietà e accoglienza, una maggiore informazione, una diversa opinione, una<br />

cultura sociale più attenta all’uomo e al cambiamento. Nello stesso tempo inculcare nei<br />

reclusi l’idea che l’espiazione della pena è anche un momento di riflessione per attingere in<br />

sé stessi la forza di vivere e di amare e di programmare una nuova vita per quanto possibile<br />

lontana dall’errore e dalla colpa. Consentire a ognuno di ritornare alla famiglia, ai propri<br />

affetti, e di riannodare i legami con la società e di vivere in condizioni di perfetta parità con<br />

gli altri uomini. E per conseguire tali risultati è sicuramente necessario e decisivo essere<br />

pronti a due livelli: uno di collaborazione tra le istituzioni locali che devono impegnarsi a<br />

rimuovere ogni ostacolo al reinserimento del condannato nella società offrendogli<br />

nell’immediato subito un lavoro, passando poi a creare nuove e più stabili opportunità di<br />

54


sistemazione, l’altro di sensibilizzazione della società chiamata a superare i tabù che la<br />

legano al mondo dei detenuti. Sappiamo tutti come è fortemente radicata nella mentalità<br />

collettiva l’idea del condannato come un soggetto pericoloso e nefasto, pronto a delinquere<br />

alla prima occasione, un pendaglio da forca da emarginare e ghettizzare. Ebbene se non ci<br />

scrolliamo tutti di dosso questi atavici pregiudizi, le ipocrisie, le ingiustizie, facendo<br />

prevalere in concreto un diverso atteggiamento di rispetto verso il condannato<br />

considerandolo come persona solo meno fortunata di noi, ogni tensione ideale del legislatore<br />

a rendere concretamente sempre più umana la pena porterà a qualche flebile, inane risultato<br />

positivo solo nell’interno delle strutture carcerarie ma il problema del fenomeno criminale<br />

resterà ugualmente, e con accenti di più grave acutizzazione quando il condannato impatterà<br />

fuori dal carcere con una mentalità diffidente e recalcitrante nei suoi confronti che<br />

inevitabilmente lo porterà a scelte estremamente pericolose per sé e per gli altri.<br />

A questo punto la colpa del male ulteriore in parte è da ascrivere almeno moralmente alla<br />

società che non sa liberarsi di antichi ed ottusi pregiudizi, che non sa dare solidarietà a chi ne<br />

ha bisogno. Inoltre, sempre nell’ottica di un sistema penale carcerario civile degno di una<br />

società democratica, va sollecitata una politica edilizia carceraria che risolva il problema del<br />

sovraffollamento delle celle a causa del quale i reclusi sono costretti a vivere in condizioni al<br />

limite del vivibile, in condizioni di promiscuità, uomini ed androgeni, con un gran numero di<br />

tossicodipendenti e di persone con qualche forma di disagio mentale.<br />

Dalla PEC al processo telematico___ __ _____di Francesco Gentile<br />

La PEC: profilo funzionale e ambito applicativo<br />

Il D.L. 29.11.2008 n.185, conv. in L. 2/2009, ha reso obbligatorio l’uso della posta<br />

elettronica certificata (PEC) per imprese e professionisti.<br />

In particolare, i professionisti iscritti in albi ed elenchi istituiti con legge dello Stato hanno<br />

l’obbligo di comunicare ai rispettivi ordini e collegi il proprio indirizzo di posta elettronica<br />

entro un anno ( scaduto il 29/11/2009) dall’entrata in vigore del predetto decreto.<br />

Gli ordini pubblicano in un elenco riservato, consultabile in via telematica dalle pubbliche<br />

amministrazioni, i dati relativi agli iscritti con il relativo indirizzo di posta elettronica.<br />

La PEC è un sistema di “trasporto” di documenti informatici che presenta analogie con il<br />

servizio di posta elettronica di utilizzo comune, cui però è stato aggiunto il valore legale di<br />

certificazione dell’invio, dell’integrità e dell’avvenuta consegna (o meno) del messaggio<br />

elettronico tra il gestore della PEC del mittente e quello del destinatario.<br />

55


L’acquisto della casella di PEC viene effettuato presso uno dei gestori iscritto nell’elenco<br />

pubblico tenuto dal Centro Nazionale per l’Informatica nella Pubblica Amministrazione, che<br />

effettua la verifica ed il controllo dei presupposti oggettivi e soggettivi dei gestori.<br />

Il sistema è stato creato per velocizzare, semplificare e trasmettere i documenti informatici e<br />

sostituisce, di fatto, tutta la corrispondenza legale, e, quindi, la raccomandata con ricevuta di<br />

ritorno e il fax: ha quindi lo stesso valore legale della tradizionale raccomandata con avviso<br />

di ricevimento, garantendo, pertanto, l’opponibilità ai terzi delle evidenze relative alle<br />

operazioni di invio e ricezione del documento.<br />

a) Prova della consegna<br />

L’utente che accede alla propria casella di PEC, attraverso un client di posta elettronica o<br />

attraverso un browser internet invia il messaggio ricevendo, da parte del proprio gestore di<br />

PEC la ricevuta di accettazione con la relativa attestazione temporale.<br />

Per il mittente è la ricevuta di accettazione a costituire la prova legale dell’avvenuta<br />

spedizione del messaggio. Nel momento in cui il messaggio perviene nella casella del<br />

destinatario il gestore di PEC invia al mittente la ricevuta di avvenuta o mancata consegna<br />

con indicazione di data e orario, che costituisce, pertanto, per il destinatario, la prova<br />

dell’avvenuta ricezione.<br />

Qualora il messaggio di posta elettronica certificata non risultasse consegnato, il gestore<br />

comunica al mittente, entro le ventiquattro ore successive all’invio, la mancata consegna<br />

tramite un avviso secondo le modalità previste dalle regole tecniche di cui all’art.17 del<br />

D.P.R. 11 febbraio 2005 n.68.<br />

Il sistema di scambio così creato consente di individuare in modo certo la provenienza del<br />

messaggio e la sua ricezione; in particolare il gestore della PEC è obbligato per legge a<br />

registrare e archiviare, in un apposito archivio informatico (il Log file) tutte le operazioni<br />

relative alle trasmissioni effettuate, e quindi ad.es. l’invio e la ricezione per trenta mesi. Tale<br />

archivio, tuttavia, non contiene informazioni relative al contenuto del messaggio inviato ma<br />

svolge la funzione essenziale di poter ricostruire le ricevute di trasmissione qualora siano<br />

andate smarrite.<br />

La posta elettronica certificata (e la firma digitale) costituiscono i cardini sui quali ruoterà il<br />

processo telematico che consentirà agli avvocati di depositare memorie e documenti senza<br />

doversi recare presso il Tribunale, di notificare gli atti alle controparti, nonché di accedere<br />

alle banche dati dei singoli uffici giudiziari per la consultazione delle sentenze emesse. La<br />

P.E.C. non va confusa con la e-mail ordinaria che ha validità legale limitata, anche se risulta<br />

molto utilizzata nella pratica commerciale per l’invio di preventivi o per lo scambio di<br />

56


documenti.<br />

b) Doveri a carico del mittente e del destinatario.<br />

Gli organi pubblici che hanno la responsabilità di proteggere l’affidamento del cliente sono<br />

gli Ordini professionali, obbligati alla pubblicità in via telematica della PEC dei propri<br />

iscritti. Proprio questa pubblicità che la legge attribuisce a tali elenchi è alla base della<br />

validità legale degli indirizzi di posta elettronica certificata.<br />

Il meccanismo non è differente dalla tradizionale raccomandata a/r. Infatti, come il mittente<br />

di una lettera tradizionale deve accertarsi dell’esattezza dell’indirizzo del destinatario<br />

(consultando l’Albo professionale, in caso di studio, o il registro della popolazione residente,<br />

in caso di domicilio), così il mittente di una posta elettronica è tenuto a verificare che la PEC<br />

sia quella giusta sfogliando l’elenco messo a disposizione dagli Ordini in via telematica. In<br />

caso di modifica dell’indirizzo, sarà il professionista destinatario a dover comunicare<br />

tempestivamente al proprio <strong>Ordine</strong> di iscrizione (che ha la tenuta dell’elenco), l’indirizzo<br />

PEC corretto.<br />

Non sarà, quindi, necessario inviare una comunicazione ai propri potenziali mittenti, come si<br />

usa fare di solito in caso di variazione dell’indirizzo e-mail tradizionale.<br />

Ciò vale sia per la sottoscrizione di una PEC sia per la cessazione e la modifica di una<br />

preesistente. Con la comunicazione al gestore dell’elenco (<strong>Ordine</strong> di appartenenza) della<br />

cessazione di una PEC, termina anche la responsabilità del destinatario a consultare la<br />

casella di posta, pur potendo ancora esistere la casella e-mail.<br />

Questo vuol dire che una e-mail inviata su quella casella potrà essere andata a buon fine<br />

(come da certificazione rilasciata in automatico dal sistema), ma sarà l’invio a non essere più<br />

valido. In pratica è la stessa situazione giuridica che si crea normalmente con la spedizione<br />

di una comunicazione al precedente indirizzo di residenza o di domicilio del destinatario.<br />

Si comprenderà, a questo punto, quanto è delicata la procedura di cancellazione di una PEC,<br />

rappresentando un momento critico per il principio di affidamento del sistema di<br />

comunicazione tramite e-mail certificata.<br />

Ultimi interventi legislativi in tema di processo telematico<br />

Da ultimo è stato approvato il Decreto Legge n.193 del 29 dicembre 2009 recante "Interventi<br />

urgenti in materia di funzionalità del sistema giudiziario", pubblicato nella G.U. n. 302 del<br />

30 dicembre 2009, convertito in legge n.24/10, in vigore dal 27.02.2010.<br />

E’ previsto che entro sessanta giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del<br />

decreto vengano individuate le regole tecniche per l'adozione, nel processo civile e nel<br />

57


processo penale, delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, in attuazione dei<br />

principi previsti dal decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni,<br />

completando il quadro normativo sul processo telematico, attraverso “uno o più decreti del<br />

Ministro della Giustizia, di concerto con il Ministro per la pubblica amministrazione e<br />

l'innovazione, sentito il Centro nazionale per l'informatica nella pubblica amministrazione e<br />

il Garante per la protezione dei dati personali” (art.4, co.1).<br />

La principale novità è data dall’estensione dal settore civile a quello penale dell'obbligo di<br />

utilizzo della Posta Elettronica Certificata (PEC) per tutte le comunicazioni e notificazioni,<br />

ad eccezione di quelle indirizzate all'indagato o all'imputato, per le quali si ritiene che il<br />

sistema cartaceo fornisca maggiori garanzie di effettività della conoscenza.<br />

Le comunicazioni per via telematica saranno rese obbligatorie a seguito della verifica della<br />

funzionalità dei singoli uffici giudiziari, da effettuarsi entro il 1° settembre 2010 ad opera del<br />

Ministero della Giustizia, con il coinvolgimento dei Consigli dell'<strong>Ordine</strong>, degli <strong>Avvocati</strong><br />

interessati e dell'Avvocatura dello Stato.<br />

Nel processo civile e nel processo penale, tutte le comunicazioni e notificazioni per via<br />

telematica si effettuano, nei casi consentiti, mediante posta elettronica certificata, le<br />

notificazioni e le comunicazioni presso il procuratore costituito (1°comma dell'art. 170<br />

c.p.c.), la notificazione di cui al primo comma dell'articolo 192 del codice di procedura civile<br />

e ogni altra comunicazione al consulente sono effettuate per via telematica all'indirizzo di<br />

posta elettronica certificata di cui all'articolo 16 del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185,<br />

convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2. Allo stesso modo si procede<br />

per le notificazioni a persona diversa dall'imputato a norma degli articoli 148, comma 2-bis,<br />

149, 150 e 151, comma 2, del codice di procedura penale.<br />

Le notificazioni e comunicazioni nel corso del procedimento alle parti che non hanno<br />

provveduto ad istituire e comunicare l'indirizzo elettronico di cui al medesimo comma, sono<br />

fatte presso la cancelleria o segreteria dell'ufficio giudiziario.<br />

L’art.4, comma 8 del D.L. in oggetto ha introdotto un nuovo articolo nel codice di procedura<br />

civile, di seguito riportato «Art. 149-bis (Notificazione a mezzo posta elettronica). Se non e'<br />

fatto espresso divieto dalla legge, la notificazione può eseguirsi a mezzo posta elettronica<br />

certificata, anche previa estrazione di copia informatica del documento cartaceo. Se procede<br />

ai sensi del primo comma, l'ufficiale giudiziario trasmette copia informatica dell'atto<br />

sottoscritta con firma digitale all'indirizzo di posta elettronica certificata del destinatario<br />

risultante da pubblici elenchi. La notifica si intende perfezionata nel momento in cui il<br />

gestore rende disponibile il documento informatico nella casella di posta elettronica<br />

58


certificata del destinatario. L'ufficiale giudiziario redige la relazione di cui all'articolo 148,<br />

primo comma, su documento informatico separato, sottoscritto con firma digitale e congiunto<br />

all'atto cui si riferisce mediante strumenti informatici, individuati con apposito decreto del<br />

Ministero della giustizia. La relazione contiene le informazioni di cui all'articolo 148,<br />

secondo comma, sostituito il luogo della consegna con l'indirizzo di posta elettronica presso<br />

il quale l'atto e' stato inviato. Al documento informatico originale o alla copia informatica del<br />

documento cartaceo sono allegate, con le modalità previste dal quarto comma, le ricevute di<br />

invio e di consegna previste dalla normativa, anche regolamentare, concernente la<br />

trasmissione e la ricezione dei documenti informatici trasmessi in via telematica. Eseguita la<br />

notificazione, l'ufficiale giudiziario restituisce all'istante o al richiedente, anche per via<br />

telematica, l'atto notificato, unitamente alla relazione di notificazione e agli allegati previsti<br />

dal quinto comma.».<br />

Per incentivare l’utilizzo di nuove tecnologie per il rilascio di copie di atti il D.L. 193/2009,<br />

al 4° comma dell’art.4, modifica l’articolo 40 del testo unico delle disposizioni legislative e<br />

regolamentari in materia di spese di giustizia, di cui al D.P.R. 115/2002, intendendo favorire<br />

la richiesta di copie su supporto digitale a discapito dell'uso del supporto cartaceo;<br />

aggiungendo la previsione per cui l'importo del diritto di copia rilasciata su supporto cartaceo<br />

e' fissato in misura superiore di almeno il cinquanta per cento di quello previsto per il rilascio<br />

di copia in formato elettronico.<br />

Il D.L. citato, convertito in legge n.24 del 22.02.2010, prevede inoltre il c.d. "pagamento<br />

informatizzato", che consente il pagamento, da parte dei privati, con sistemi telematici<br />

ovvero con carte di debito, di credito o prepagate o con altri mezzi di pagamento con moneta<br />

elettronica disponibili, del contributo unificato, del diritto di copia, del diritto di certificato,<br />

delle spettanze degli ufficiali giudiziari relative ad attività di notificazione ed esecuzione,<br />

delle somme per il recupero del patrocinio a spese dello Stato, delle spese processuali, delle<br />

spese di mantenimento, delle pene pecuniarie, delle sanzioni amministrative pecuniarie e<br />

delle sanzioni pecuniarie.<br />

59


PARTE SECONDA<br />

Nella parte centrale della Rassegna del Foro Arianese trovano spazio, come sempre, articoli<br />

dedicati all’approfondimento tematico, che prendono spunto da recenti decisioni, sia di<br />

legittimità che di merito (nello specifico del foro locale). Scrivono, su questo numero,<br />

colleghi che già fanno parte del nucleo redazionale – una citazione particolare va a Fiorella<br />

Ruta, che cura il massimario della sezione lavoro (riportato nella parte terza) – e giovani<br />

esponenti del foro arianese, il cui entusiasmo (che traspare dagli scritti) induce ad un cauto<br />

ottimismo sulla possibilità di aprire al nuovo un ambiente tradizionalmente oblomoviano.<br />

Verrà, anche ad <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong> (sito montano, naturalmente impervio ed arroccato), il giorno<br />

in cui la formazione forense, e più in generale la partecipazione alla vita del tribunale non si<br />

riduca alla burocratica registrazione dei crediti sul registro dell’avvocato “certificato”, con il<br />

bollino blu (come efficacemente si è detto) ?<br />

Troppi avvocati: dice la recita forense quotidiana, quella che alimenta la strategia –<br />

vittimistica e consolatoria – del piangersi addosso.<br />

E se invece fosse che troppi iscritti agli albi forensi fanno, nella somma, pochi avvocati ?<br />

A tutti noi l’ardua, forse più amara, riflessione.<br />

60


Riflessioni sulla natura giuridica della quota sociale e sui suoi<br />

rapporti con la comunione legale dei coniugi di Sara Cennerazzo<br />

CASSAZIONE CIVILE, Sez. II, 2 febbraio 2009, n. 2569 - Rovelli, Presidente – Oddo,<br />

Relatore - Sorrentino, P.M. (parz. diff.)<br />

Cassa in parte App. Bologna, 15 gennaio 2004.<br />

L’incremento della quota di partecipazione in una società in nome collettivo,<br />

conseguente all’aumento di capitale sottoscritto da uno solo dei coniugi in costanza di<br />

matrimonio, costituisce oggetto della comunione legale, rientrando tra gli acquisti ai<br />

sensi dell’art. 177, comma 1, lett. a), c.c. Ne consegue la sua inclusione nella divisione,<br />

una volta cessata l’efficacia del regime di comunione legale (Massima non ufficiale).<br />

1. Il caso e la sua decisione.<br />

Due coniugi, consensualmente separati, domandano la divisione dei beni costituenti la<br />

comunione, tra i quali, secondo la moglie, non deve farsi rientrare la quota di partecipazione<br />

in una società in nome collettivo. Tale partecipazione comprende la quota iniziale, acquistata<br />

dalla moglie anteriormente al matrimonio, ed i suoi successivi incrementi avvenuti in<br />

costanza di matrimonio e realizzati, due di essi, attraverso imputazione a capitale di riserve<br />

di utili di precedenti esercizi sociali ed un altro mediante conferimento di somme di denaro<br />

da parte di un terzo a titolo, sempre secondo l’esposizione della moglie, di donazione<br />

indiretta.<br />

Riformando parzialmente la sentenza pronunciata in secondo grado, la Corte di Cassazione<br />

statuisce l’inclusione nella comunione immediata del solo incremento della partecipazione<br />

sociale, ferma restando la natura personale della quota originaria, in quanto acquistata dalla<br />

moglie anteriormente al matrimonio.<br />

L’iter argomentativo, rigidamente deduttivo, elaborato dal giudice di legittimità si articola,<br />

sinteticamente, nelle seguenti affermazioni: la quota sociale è un bene mobile immateriale e,<br />

di conseguenza, se è acquistata in costanza di matrimonio, essa cade in comunione legale ai<br />

sensi dell’art. 177 1 , lett. a), c.c.; l’aumento a pagamento del capitale di qualsiasi società e<br />

l’aumento gratuito delle sole società di persone sono qualificabili anch’essi come “acquisto”<br />

di un bene, in quanto realizzati mediante l’esborso di ricchezza del socio o di un terzo e non<br />

della società; di conseguenza, nel caso in esame, gli incrementi delle partecipazioni nella<br />

61


società in nome collettivo, realizzati mediante imputazione a capitale di utili sociali, cadono<br />

in comunione legale immediata ai sensi dell’art. 177 1 , lett. a), c.c..<br />

Nel corpo motivazionale della sentenza, è possibile enucleare tre questioni autonome, a<br />

ciascuna delle quali la Suprema Corte offre una risposta innovativa e controversa: quella<br />

della natura giuridica della partecipazione in società di persone, quella dei rapporti tra<br />

acquisto della partecipazione sociale e comunione coniugale e quella della modalità tecnica<br />

di realizzazione dell’aumento gratuito del capitale delle società di persone.<br />

Si impone, dunque, una riflessione su ciascuna delle tematiche indicate, le quali, come si<br />

vedrà, si intrecciano tra di loro soltanto per una precisa scelta del metodo di soluzione del<br />

caso, fatta dal giudice di legittimità.<br />

2. La natura giuridica della quota sociale.<br />

Nella soluzione del caso giurisprudenziale ad essa sottoposto, la Cassazione segue<br />

un’impostazione metodologica che parte dalla qualificazione della natura giuridica della<br />

quota sociale come bene mobile, per inferirne la sua sorte rispetto al regime patrimoniale<br />

della famiglia. E poiché non si è mai dubitato che, nella dizione di “acquisti”, di cui all’art.<br />

177 1 , lett. a), c.c., vi rientrassero i beni, nonostante la notevole incertezza interpretativa che<br />

caratterizza tale previsione normativa, la soluzione della vicenda, fornita dalla Cassazione,<br />

appare senza dubbio coerente con la suesposta premessa.<br />

Questa, tuttavia, così come le altre premesse nelle quali si articola il ragionamento della<br />

Cassazione, può prestare il fianco a rilievi critici ed avrebbe richiesto, perciò, un maggior<br />

grado di approfondimento all’interno della motivazione. L’affermazione, secondo la quale la<br />

quota è un bene mobile, in quanto liberamente trasferibile e suscettibile di espropriazione,<br />

può suonare, infatti, come una petizione di principio. Basti pensare che, nel silenzio<br />

normativo sul punto, per anni gli interpreti si sono divisi circa la trasferibilità della<br />

partecipazione in società di persone 3 e la sua espropriabilità 4 .<br />

Tra le numerose proposte ricostruttive che, in un lungo arco di tempo, sono state elaborate in<br />

merito alla natura giuridica della quota sociale 5 , suscitano un particolare interesse quella che<br />

3 Tra gli altri, cfr. PISCITELLO, Società di persone a struttura aperta e circolazione delle quote,<br />

Modelli legali ed autonomia statutaria, Torino, Giappichelli, 1995, 56 ss..<br />

4 L’espropriabilità della quota sociale è, oggi, generalmente ammessa: cfr. DENOZZA, Responsabilità<br />

dei soci e rischio d’impresa nelle società personali, Milano, Giuffrè, 1973, 207 ss.; RIVOLTA, La<br />

partecipazione sociale, Milano, Giuffrè, 1965, 175 ss.; DE FERRA, La circolazione delle<br />

partecipazioni azionarie, Milano, Giuffrè, 1964, 14, nt. 33. Contro l’espropriabilità della quota di<br />

società in nome collettivo, cfr. GRADASSI, Pegno, usufrutto, affitto, sequestro e pignoramento di quote<br />

di società in nome collettivo, in Contratto e impresa, 1992, 1345.<br />

5 Tra le numerose tesi formulate, in questa sede si può ricordare l’orientamento che riconduce il<br />

complesso dei diritti spettanti al socio di una società di persone nell’alveo dei diritti reali, ritenendo il<br />

socio contitolare del patrimonio sociale: cfr. GRECO, Le società nel sistema legislativo italiano.<br />

Lineamenti generali, Torino, Giappichelli, 1959, 107 ss. Secondo un’altra tesi, la partecipazione<br />

62


la qualifica come bene mobile immateriale e quella che ne riconosce la natura di posizione<br />

contrattuale.<br />

Riconducendo la quota di partecipazione in società di persone nella nozione di “bene” di cui<br />

all’art. 810 c.c., la Suprema Corte estende alla prima il principio affermato con riferimento<br />

alla quota di società a responsabilità limitata 6 .<br />

Ma certamente, mentre rispetto a quest’ultimo tipo sociale la natura di “bene” della relativa<br />

partecipazione può essere ricavata da espressi indici positivi, non altrettanto può dirsi per le<br />

società di persone, nelle quali, anzi, la rilevanza dell’elemento personalistico milita in senso<br />

contrario, e la quota sociale è equiparabile ad un bene mobile soltanto per alcuni effetti<br />

determinati, potendo essere venduta, permutata, donata, e via di seguito .<br />

Se “bene” è, ai sensi dell’art. 810 c.c., la cosa che può costituire oggetto di diritti, è agevole<br />

riconoscere siffatta natura alla quota di società a responsabilità limitata, grazie alla<br />

previsione normativa della sua trasferibilità (art. 2469 c.c.) ed espropriabilità (art. 2471 c.c.)<br />

7 , nonché all’ammissibilità di una comproprietà della stessa, ai sensi dell’art. 2468, ultimo<br />

comma, c.c., 8 , ed alla sua sottoponibilità a pegno, usufrutto 9 e sequestro (art. 2471 bis c.c.)<br />

10 .<br />

sociale avrebbe il carattere del diritto di credito ed il ruolo di debitore del socio è rivestito dalla<br />

società: cfr. STOLFI, Una questione sull’art. 670 cod. proc. civ., in Banca, borsa, tit. cred., 1954, I,<br />

845; Cass. 28 febbraio 1964, n. 454, in Giust. civ., 1964, I, 754. In senso contrario, va osservato che la<br />

quota rappresenta un complesso di diritti sociali (diritto di intervento in assemblea, diritto di voto,<br />

diritto di impugnare le delibere assembleari, etc..) e sarebbe riduttivo, pertanto, qualificarla come<br />

diritto di credito: cfr. Cass., 27 gennaio 1984, in Giur. comm., 1984, II, 520; Cass., 18 febbraio 1985,<br />

n. 1355, in Società, 1985, 950; inoltre, essa può comprendere anche la titolarità di debiti: cfr. SANTINI,<br />

Natura e vicende della quota di società a responsabilità limitata, in Riv. dir. civ., 1962, I, 25, nt. 12;<br />

cfr. anche PASTERIS, Premesse a una indagine sulla natura giuridica dei diritti patrimoniali del socio<br />

nella società, in Riv. dir. comm., 1958, I, 196, che qualifica la quota sociale come “diritto di<br />

partecipazione”, ossia come “un tertium genus che non presenta né le caratteristiche del diritto reale<br />

né quelle del diritto di credito”.<br />

6<br />

Cfr., Cass., 27 gennaio 1984, n. 640, in Giust. civ., 1984, I, 520; Cass., 18 febbraio 1985, n. 1355, in<br />

Giur. comm., 1985, II, 437; Cass., 12 dicembre 1986, n. 7409, in N. giur. comm., 1987, I, 499, con<br />

nota di IRRERA; in Giur. comm., 1987, II, 741 ss.; in Foro it., 1987, 1, 1101 ed in Riv. not., 1987, 567;<br />

Cass., 23 gennaio 1997, n. 697, in Giur. it., 1997, I, 720 ed in Società, 1997, 647 ss. con commento di<br />

PICONE; in dottrina, cfr. BIONDI, Osservazioni circa la natura giuridica della quota di società a<br />

responsabilità limitata, in Banca, borsa, tit. cred., 1957, I, 549 ss.; ROSSI, Pegno e pignoramento<br />

della quota di società a responsabilità limitata, in Riv. dir. comm., 1964, I, 470 ss.; COTTINO, Le<br />

società, Diritto commerciale, vol. I, tomo II, Padova, CEDAM, 1999, 597, secondo il quale la quota di<br />

partecipazione alla società a responsabilità limitata è una posizione contrattuale oggettivata.<br />

7<br />

Sul tema della trasferibilità e dell’espropriabilità delle partecipazioni in società di persone, vedi<br />

infra, note 5 e 6.<br />

8<br />

Cfr. SPADA, La tipicità della società, Padova, CEDAM, 1974, 405 ss., secondo il quale la divisione è<br />

il regime naturale della partecipazione sociale comportante responsabilità illimitata del socio, salva la<br />

possibilità si stabilire convenzionalmente la contitolarità della quota; contra, PISCITELLO, (nt. 1), 137<br />

ss., secondo il quale, se non risulta una diversa volontà di soci, deve propendersi per l’indivisibilità<br />

della quota.<br />

9<br />

Il tema dell’ammissibilità dell’usufrutto sulle partecipazioni in società personali, in particolare, è<br />

stato ampiamente dibattuto dalla dottrina della prima metà del ventesimo secolo. Oggi, soltanto voci<br />

isolate propendono per la tesi negativa: cfr. Giudice del Registro delle imprese del Tribunale di<br />

Trento, 6 settembre 1996, in Società, 1997, 926. Contra, cfr. CORSINI, Note in tema di usufrutto su<br />

63


Al tempo stesso, il dettato normativo impedisce che alla quota in società a responsabilità<br />

limitata possa riconoscersi a tutti gli effetti la natura di posizione contrattuale, poiché la<br />

disciplina della sua circolazione si discosta da quella della cessione del contratto, di cui agli<br />

artt. 1406 c.c. Si pensi alla contrapposizione tra il carattere bilaterale del negozio di<br />

trasferimento della partecipazione sociale, che si evince dagli artt. 2469 e 2470 c.c., e la<br />

struttura trilaterale che, secondo la prevalente giurisprudenza, assume il negozio traslativo<br />

della posizione contrattuale; ed, inoltre, al netto contrasto tra l’art. 2472 c.c., che prescrive la<br />

responsabilità solidale dell’alienante per i versamenti ancora dovuti, e l’art. 1408 c.c., che<br />

stabilisce la liberazione del cedente dalle sue obbligazioni verso il contraente ceduto 11 . In<br />

realtà, non sono mancati tentativi di superare gli stretti margini della dicotomia bene mobile<br />

immateriale - partecipazione contrattuale, riconoscendo alla partecipazione in società a<br />

responsabilità limitata la natura di “posizione contrattuale oggettivata” 12 .<br />

Contrariamente a quanto detto sopra con riferimento alla società a responsabilità limitata, in<br />

relazione alle società di persone risulta prevalente la tesi che riconosce alla quota di<br />

partecipazione al capitale la natura di posizione contrattuale, muovendo non solo dall’art.<br />

2247 c.c., che qualifica la società come contratto 13 , quanto, in particolare, dalla previsione<br />

dell’unanimità per le modifiche del contratto sociale, salvo deroghe statutarie (art. 2252 c.c.),<br />

e dalla considerazione del particolare rilievo che riveste la persona del socio, contrariamente<br />

alle società di capitali in cui prevale l’investimento anonimo 14 . In questa prospettiva, e<br />

quota di società di persone, in Notariato, 1998, 353 ss., il quale suggerisce di valorizzare quelle<br />

norme che ammettono un usufrutto svincolato dalla corporalità dell’oggetto su cui esso insiste<br />

(usufrutto uxorio del patrimonio ereditario riconosciuto alla moglie prima della riforma del diritto di<br />

famiglia; usufrutto di azienda e usufrutto di azioni): per questa via può affermarsi che, accanto<br />

all’usufrutto tipico, in quanto costituito su una res, trova cittadinanza, nel nostro ordinamento, anche<br />

un usufrutto sui generis, al quale può essere ricondotto anche l’usufrutto su quota sociale.<br />

10 Ritengono che non sia legittimo il sequestro giudiziario delle quote di società personali, tra gli altri,<br />

GHIDINI, Società personali, Padova, CEDAM, 1972, 692 ss.; STOLFI, (nt. 3), 844; contra, PISCITELLO,<br />

(nt. 1), 213 ss.<br />

11 Quanto alle società di persone, soltanto in via interpretativa il principio di cui all’art. 1408 c.c.<br />

viene ritenuto in contrasto con i principi che governano il tipo sociale: cfr. sul punto, PISCITELLO, (nt.<br />

1), 31, il quale sottolinea come i terzi, non avendo consentito al mutamento del titolare della<br />

partecipazione, non possano essere privati della responsabilità patrimoniale di un soggetto sul quale<br />

avevano fatto affidamento.<br />

12 Cfr., COTTINO, (nt. 4), 598, secondo il quale identificare la quota semplicemente come una<br />

posizione contrattuale è esatto, ma riduttivo; nella quota, infatti, “è sempre espressa sinteticamente<br />

una posizione contrattuale obiettivata. E questo non per una ragione dogmatica ma per un’esigenza<br />

pratica legata alle caratteristiche della società di capitali, alla semplificazione che in essa si richiede e<br />

si realizza dei normali meccanismi contrattuali, al processo di unificazione cui sono tendenzialmente<br />

soggetti, in questa prospettiva, fenomeni chiaramente pluralistici e spesso eterogenei”; Cass., 23<br />

gennaio 1997, n. 697 (nt. 4).<br />

13 Cfr. SANTINI, (nt. 3), 437 ss.<br />

14 Cfr. COTTINO, WEIGMANN, Società di persone, in Trattato di diritto commerciale, diretto da<br />

Cottino, III, Padova, CEDAM, 2004, 26 ss.<br />

64


presupponendo che il contratto di società sia un contratto a prestazioni corrispettive 15 , il<br />

trasferimento della partecipazione sociale è regolato anche dalla disciplina della cessione del<br />

contratto. Ed il contraente ceduto, il cui consenso è necessario per il perfezionamento del<br />

negozio traslativo, viene individuato da alcuni nei soci, da altri nella società 16 .<br />

Occorre, tuttavia, ammettere che una cosa è riscontrare una affinità tra due fattispecie, sotto<br />

il profilo descrittivo, altro è affermare la completa sovrapposizione dell’una all’altra, al fine<br />

di giustificare l’estensione dell’intera disciplina relativa alla cessione del contratto alla<br />

circolazione della quota di società personale. Non va sottovalutata, infatti, la peculiarità del<br />

contratto sociale, attraverso il quale il contraente assume non solo la posizione di parte<br />

contrattuale, ma anche la qualità di membro di un’organizzazione che opera con soggetti<br />

terzi e che, dunque, pone il problema di tutelare gli interessi di persone diverse dai soci 17 .<br />

La parziale inadeguatezza della disciplina della cessione del contratto rispetto ai problemi<br />

relativi alla circolazione della partecipazione sociale mette in evidenza come sia vano il<br />

tentativo di ricondurre la partecipazione in società di persone nell’ambito dei concetti<br />

tradizionali 18 . Per questa ragione, nessuna delle proposte ricostruttive elaborate dagli<br />

studiosi circa la qualificazione della quota di società di persone è mai riuscita a rivelarsi<br />

completamente appagante in tutti i suoi aspetti e nei risvolti applicativi.<br />

E certamente, al di là della soluzione interpretativa che si preferisse in merito alla natura<br />

della quota di società personale, deve riconoscersi che la questione risulta talmente<br />

problematica da non poter essere affrontata in termini apodittici. La sentenza della<br />

Cassazione, pertanto, sembra svelare il suo punto debole nel metodo adoperato nella<br />

soluzione del caso, perché cerca la chiave di volta del complesso problema dei rapporti tra<br />

15 Nel senso del carattere corrispettivo del contratto di società, cfr., per tutti, l’ampio contributo di<br />

SIMONETTO, Società, contratto a prestazioni corrispettive e dividendo come frutto civile, in Banca,<br />

borsa, tit. cred., 1962, 1, 487 ss.. Escludono che il contratto di società sia un contratto a prestazioni<br />

corrispettive, affermandone, al contrario, la natura di contratto plurilaterale con comunione di scopo,<br />

GRAZIANI, Diritto delle società, Napoli, Morano, 1963, 23 ss.; e, più di recente, COTTINO, (nt. 4), 15<br />

ss.; MARASÀ, Le società in generale, in Trattato di diritto privato, a cura di Iudica e Zatti, Milano,<br />

Giuffrè, 2000, 20 ss.; JAEGER, DENOZZA, Appunti di diritto commerciale, Impresa e società, Milano,<br />

Giuffè, 2006, 86 ss. Secondo un altro orientamento interpretativo, per il quale cfr. DI SABATO,<br />

Capitale e responsabilità interna nelle società di persone, ristampa, Milano, Morano, p. 81, non vi è<br />

contrapposizione tra contratto a prestazioni corrispettive e contratto con comunione di scopo: il<br />

contratto di società, di conseguenza, sarebbe un contratto plurilaterale con comunione di scopo ed, al<br />

contempo, a prestazioni corrispettive, sussistendo un sinallagma tra il conferimento e la partecipazione<br />

sociale, intesa come sintesi di tutte le situazioni soggettive attive e passive del socio in quanto tale.<br />

16 Cfr., per il primo orientamento, DE MARTINI, Effetti dei limiti legali e statutari alla circolazione<br />

delle partecipazioni sociali, in Riv. dir. comm., 1954, II, 422; in senso contrario, SANTINI, (nt. 3), 445.<br />

17 Cfr. PISCITELLO, (nt. 1), 27 ss. Si pensi, ad esempio, al problema della responsabilità del socio<br />

uscito dalla società: in virtù dell’art. 1408 c.c., il cedente dovrebbe essere liberato di tutte le sue<br />

obbligazioni, ma una simile conclusione urta con i principi in materia societaria, perché i terzi<br />

sarebbero privati della responsabilità patrimoniale di un soggetto sul quale avevano fatto affidamento.<br />

18 Cfr. PESCATORE, Attività e comunione nelle strutture societarie, Milano, Giuffrè, 1974, 428.<br />

65


egime patrimoniale della famiglia e partecipazione sociale partendo dalla discussa ed<br />

indimostrata qualificazione della natura giuridica della quota 19 .<br />

Oltre alla notevole incertezza della premessa dogmatica, va anche rilevato che un simile<br />

metodo rischia di approdare a soluzioni pratiche poco soddisfacenti, perché trascura altri<br />

elementi, in realtà di non secondaria importanza. Lo stesso legislatore, del resto, avverte che<br />

la natura di “bene” di un acquisto compiuto durante il matrimonio non è un requisito<br />

sufficiente per ritenere operante il regime della comunione legale immediata 20 . Ed, inoltre, è<br />

proprio in materia di attività di impresa che il principio della caduta in comunione attuale<br />

degli acquisti compiuti durante il matrimonio trova significative eccezioni, cosa che<br />

evidenzia come tale attività coinvolga interessi più ampi e diversi rispetto agli altri beni<br />

acquistati dai coniugi durante il matrimonio.<br />

3. L’adesione, da parte della Corte di Cassazione, alla tesi della caduta in comunione<br />

immediata delle quote di società personali acquistate in costanza di matrimonio.<br />

La circostanza che la disciplina in materia di comunione legale dei coniugi non faccia alcun<br />

cenno alle partecipazioni sociali acquistate durante il matrimonio, nonostante dedichi alcune<br />

disposizioni all’ “azienda” ed all’ “impresa” coniugale, potrebbe far ritenere operativo il<br />

principio generale della caduta in comunione immediata degli acquisti 21 , anche a<br />

prescindere dalla ricostruzione della natura giuridica della partecipazione in società.<br />

Tuttavia, valorizzando la ratio della norma dettata con riferimento all’impresa individuale<br />

gestita da uno solo dei coniugi, potrebbe giungersi a diverse conclusioni. E’ proprio per la<br />

19 Sottolineano come la soluzione al problema se l’acquisto di partecipazioni sociali ricada o meno in<br />

comunione immediata debba essere indipendente dalla questione relativa alla natura giuridica della<br />

quota sociale, SCHLESINGER, sub art. 177, Oggetto della comunione, in Commentario al diritto<br />

italiano della famiglia, a cura di Cian, Oppo, Trabucchi, III, Padova, CEDAM, 1992, 109, nt. 51;<br />

PAVONE LA ROSA, Comunione coniugale e partecipazioni sociali, in Riv. soc., 1979, 4; BUONOCORE,<br />

Comunione legale tra coniugi e partecipazione a società per azioni e a società cooperativa, in Riv.<br />

not., 1977, 1140. Più in generale, critica l’impostazione che âncora la soluzione di qualsiasi problema<br />

inerente alla circolazione della quota alla questione della sua natura giuridica, PISCITELLO, (nt. 1), 27<br />

ss., secondo il quale qualsiasi ricostruzione in merito finisce con l’essere aprioristica e, soprattutto,<br />

condizionata dalle specifiche esigenze di soluzione dei problemi applicativi che vengono di volta in<br />

volta in rilievo.<br />

20 Cfr. art. 178 1 , c.c., secondo il quale “i beni destinati all’esercizio dell’impresa di uno dei coniugi<br />

costituita dopo il matrimonio (…) si considerano oggetto della comunione solo se sussistono al<br />

momento dello scioglimento di questa”.<br />

21 La questione si pone in caso di partecipazione acquistata da uno solo dei coniugi. Nella diversa<br />

ipotesi di partecipazioni assunte congiuntamente tra i coniugi, infatti, non si presentano quelle<br />

esigenze di tutela dell’autonomia imprenditoriale di uno dei coniugi, né di protezione della sfera<br />

patrimoniale dell’altro, che nascono in caso di acquisto disgiunto. Pertanto, esse cadono certamente in<br />

comunione legale immediata e sollevano problemi di altra natura, a causa dei conflitti che verrebbero<br />

a crearsi innanzitutto tra regole di amministrazione delle società di persone e quelle della comunione<br />

legale dei beni e, in secondo luogo, tra il regime della responsabilità solidale ed illimitata dei singoli<br />

soci ed il regime della responsabilità per i debiti della comunione legale: cfr. PISCITELLO, (nt. 1), 191;<br />

PISANI MASSAMORMILE, Comunione coniugale fra coniugi e società di persone, in Famiglia e<br />

circolazione giuridica, a cura di Fuccillo, Milano, Ipsoa, 1997, 215.<br />

66


finalità di assicurare al coniuge imprenditore un’ampia autonomia nello svolgimento<br />

dell’attività di impresa 22 , che l’art. 178 c.c. sottrae i beni destinati al suo esercizio alla regola<br />

generale della caduta in comunione immediata 23 . Ravvisando la stessa esigenza di tutela nel<br />

caso dei rapporti tra coniugi di cui uno sia membro di un’impresa collettiva, caratterizzata da<br />

un sistema di gestione e di responsabilità assimilabile a quello di un’impresa individuale, la<br />

dottrina dominante 24 , condivisibilmente, propone di applicare in via analogica l’art. 178 c.c.<br />

all’assunzione di partecipazioni in una società di persone, realizzata concorrendo alla sua<br />

costituzione oppure acquistando la partecipazione da terzi.<br />

Secondo questa prospettiva, non sono, invece, riconducibili all’art. 178 c.c. gli acquisti di<br />

partecipazioni sociali comportanti responsabilità limitata ed acquistate in costanza di<br />

matrimonio, le quali, pertanto, cadono in comunione immediata 25 . Quest’ultima<br />

affermazione, secondo un orientamento 26 , deve essere tenuta ferma anche rispetto alle<br />

partecipazioni detenute dal socio “dominante”, dal momento che, al fine di determinarne la<br />

titolarità, rilevano la struttura della società e la posizione istituzionalmente rivestita dal<br />

22 Il regime della comunione immediata, infatti, costringerebbe l’imprenditore a dover richiedere il<br />

consenso dell’altro coniuge per poter disporre dei beni aziendali, secondo il dettato dell’art. 184 c.c.<br />

23 La norma tutela, inoltre, un interesse proprio del coniuge dell’imprenditore, proteggendone il<br />

patrimonio personale dai debiti contratti nell’esercizio dell’impresa. Anche per questa ragione il<br />

regime della comunione de residuo, previsto dall’art. 178 c.c., potrebbe essere esteso all’acquisto di<br />

partecipazioni sociali comportanti responsabilità illimitata effettuato da uno dei coniugi: cfr.<br />

SCHLESINGER, (nt. 17), 141 ss. In senso contrario, sia pure in forma dubitativa, v. GATTI,<br />

SCARDACCIONE, Titolarità delle partecipazioni sociali in regime di comunione legale, in Vita not.,<br />

1978, 275, nt. 22, secondo i quali l’acquisto di partecipazioni in una società con soci a responsabilità<br />

illimitata, realizzato da uno solo dei coniugi, senza il consenso dell’altro, è inefficace nei confronti<br />

della comunione legale limitatamente alle obbligazioni: pertanto la quota cade in comunione<br />

immediata, ma la responsabilità patrimoniale del coniuge non partecipante all’acquisto è limitata,<br />

perché regolata dall’art. 189 c.c., il quale prevale sull’opposta regola dettata dall’art. 2291 c.c.<br />

24 Cfr. PAVONE LA ROSA, (nt. 17), 22; SCHLESINGER, (nt. 17), 139 ss.; BARALIS, Comunione coniugale<br />

legale e titolarità delle partecipazioni sociali, in Riv. not., 1977, 291.<br />

Il regime della comunione de residuo pone la nota questione circa gli effetti dell’intervento di una<br />

causa di scioglimento della comunione legale, che divide la dottrina tra chi sostiene che, in capo<br />

all’altro coniuge, nasca un diritto reale sui beni che facevano parte della comunione differita e chi gli<br />

riconosce la titolarità di un diritto di credito ad ottenere la metà del valore dei beni comuni. Di<br />

conseguenza, accedendo alla prima tesi, deve ritenersi che gli altri soci, i quali dai registri dello stato<br />

civile erano nelle condizioni di conoscere lo stato coniugale di uno di essi, hanno l’obbligo di<br />

ammettere in società il coniuge di costui per la quota a lui spettante al momento della scioglimento<br />

della comunione, mentre aderendo alla seconda tesi, al coniuge spetterà soltanto un credito<br />

corrispondente alla metà della quota: PAVONE LA ROSA, (nt. 17), 32; PISCITELLO, (nt. 1), 183, nt.<br />

122.; cfr. anche TRINCHILLO, Partecipazioni sociali e comunione legale dei beni, in Riv. not., 2002,<br />

859 ss.<br />

25 In questo senso, con riferimento alle società per azioni, si è espressa anche Cass., 18 agosto 1994,<br />

n. 7437, in N. giur. civ. comm., 1995, I, 551, con nota di REGINE; in Società, 1995, 499, con nota di<br />

MONTESANO. Anche la partecipazione dell’accomandante in una società in accomandita semplice<br />

cade in comunione legale immediata, sempre se non possa essere qualificata come bene personale:<br />

cfr., amplius, PAVONE LA ROSA, (nt. 17), 33, nt. 32.<br />

26 Cfr. SCHLESINGER, (nt. 17), 109; CAMPOBASSO, Comunione coniugale e partecipazione in società<br />

di capitali, in Famiglia, (nt. 19), 183 ss..<br />

67


socio, e non la situazione contingente nella quale egli versi. Tuttavia, altri interpreti 27<br />

distinguono, nell’ambito delle partecipazioni comportanti responsabilità limitata, quelle “di<br />

minoranza”, le quali, non attribuendo di regola significativi poteri di gestione della società,<br />

sono soggette al principio della comunione degli acquisti, da quelle “di controllo,” alle quali<br />

deve applicarsi il regime della comunione de residuo, in virtù della ratio dell’art. 178 c.c.<br />

In ogni caso, secondo la dottrina prevalente 28 , in ordine alle partecipazioni comprese nella<br />

comunione degli acquisti di cui all’art 177 1 , lett. a), c.c., occorre distinguere tra il profilo<br />

della titolarità, che spetta congiuntamente ai coniugi in comunione immediata, e quello della<br />

legittimazione all’esercizio dei relativi diritti. In altri termini, la caduta in comunione legale<br />

immediata delle partecipazioni comportanti responsabilità limitata ha una rilevanza<br />

esclusivamente interna, non essendo opponibile alla società fino a quando la contitolarità<br />

dell’altro coniuge non sia fatta valere nei suoi confronti rispettando le forme e le condizioni<br />

imposte dallo statuto 29 .<br />

Nella sentenza in commento, la Suprema Corte, prendendo, dunque, le distanze dalla dottrina<br />

dominante, afferma la caduta in comunione immediata degli acquisti di partecipazioni in<br />

società di persone realizzati in costanza di matrimonio, ed, al contempo, per salvaguardare<br />

l’autonomia gestoria del coniuge acquirente, gli riconosce l’esclusiva legittimazione<br />

all’esercizio dei diritti sociali.<br />

In realtà, nonostante le apparenze, la distinzione tra titolarità della quota e legittimazione<br />

all’esercizio dei relativi diritti non impedisce al coniuge non intestatario della quota sociale<br />

di partecipare alle scelte gestionali concernenti la società, seppur nei soli rapporti interni.<br />

Inoltre, riconducendo gli acquisti di partecipazioni sociali nello spazio applicativo dell’art.<br />

177 1 , lett. a) c.c., anche gli utili sociali saranno inevitabilmente destinati a cadere in<br />

27 Cfr. GABRIELLI, Comunione coniugale e investimento in titoli, Milano, Giuffré, 1979, 21 ss.;<br />

CORSI, Il regime patrimoniale della famiglia, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da<br />

Cicu e Messineo, I, 2, Milano, Giuffrè, 1984, 135 ss.<br />

28 Cfr., per tutti, GABRIELLI, (nt. 25), 50; contra, TRIMARCHI, Il regime patrimoniale della famiglia e<br />

l’impresa individuale e collettiva, in Notariato, 2006, 109 ss.<br />

29 Esemplificando, nel caso in cui lo statuto di una società per azioni consenta l’acquisto della qualità<br />

di socio soltanto a persone che siano in possesso di determinate qualità, il coniuge non intestatario<br />

delle partecipazioni, qualora non abbia le caratteristiche richieste, non può ottenere il riconoscimento<br />

della sua contitolarità nei confronti della società, pur conservando il suo diritto interno verso l’altro<br />

coniuge. Di conseguenza, egli non ha il diritto di intervento e di voto nell’assemblea, né potrà<br />

richiedere alla società gli utili sociali. In altri termini, finché la contestazione non viene attuata, la<br />

legittimazione del coniuge intestatario delle azioni o delle quote non può incontrare nessuna<br />

limitazione, altrimenti si graverebbe la società dell’onere di controllare quale sia il regime<br />

patrimoniale intercorrente tra il socio ed il suo coniuge: cfr. SCHLESINGER, (nt. 17), 111; Trib. Roma<br />

15 gennaio 1988, in Foro it., 1989, I, p. 257; PAVONE LA ROSA, (nt. 17), 8 ss.<br />

Gli atti di disposizione della partecipazione potranno essere compiuti soltanto dal coniuge intestatario<br />

della partecipazione, come risulta applicando l’art. 184 3 , c.c., che per tutelare i terzi stabilisce la<br />

validità degli atti di disposizione dei beni della comunione senza il consenso dell’altro coniuge,<br />

prevedendo a carico del disponente l’obbligo di ricostituire la comunione nello stato in cui si trovava<br />

prima del compimento dell’atto o, se ciò non fosse possibile, al pagamento dell’equivalente.<br />

68


comunione immediata. E ciò si pone in contrasto con lo spirito della disciplina in materia di<br />

comunione legale tra i coniugi, la quale mira a garantire ad ogni coniuge la libera<br />

disponibilità dei proventi della sua attività separata, come emerge dall’art. 177 1 , lett. c), c.c.<br />

30 .<br />

La scissione degli effetti prodotti dall’acquisto di partecipazioni sociali, tra il piano dei<br />

rapporti interni tra i coniugi e quello del rapporto sociale, non sembra, dunque, idonea ad<br />

assicurare al coniuge intestatario delle partecipazioni la piena esplicazione della libertà di<br />

azione nella gestione dell’impresa.<br />

4. Aumento del capitale sociale e operatività del principio della comunione legale degli<br />

acquisti.<br />

Secondo la Suprema Corte, nella nozione di “acquisto”, alla quale fa riferimento l’art. 177 1 ,<br />

lett. a), c.c., rientrano gli incrementi della partecipazione al capitale sociale realizzati,<br />

durante il matrimonio, attraverso l’esborso di una ricchezza da parte del socio, qualunque sia<br />

il tipo di società preso in considerazione. E questa modalità tecnica di esecuzione<br />

caratterizzerebbe non solo gli aumenti a pagamento del capitale di qualsiasi tipo sociale, ma<br />

anche gli aumenti gratuiti del capitale delle società di persone.<br />

In particolare, in relazione all’aumento gratuito realizzato attraverso l’impiego di utili<br />

sociali, la Corte di Cassazione elabora questa singolare distinzione: mentre nelle società di<br />

capitali esso si realizza attraverso un’allocazione al capitale di risorse patrimoniali della<br />

società, e non provenienti dal socio o da un terzo, nelle società di persone gli utili sociali<br />

rientrano nella sfera giuridica del socio fin dall’approvazione del rendiconto, e non se ne<br />

separano mai, nonostante la decisione dei soci di accantonare gli utili in riserve. Di<br />

conseguenza, secondo l’argomentare della sentenza, nelle società di capitali, l’incremento<br />

della partecipazione sociale realizzato attraverso l’impiego di utili non costituisce un<br />

“acquisto”, rientrante nell’art. 177 1 , lett. a) c.c., non implicando un esborso di ricchezza da<br />

parte del socio. L’imputazione al capitale di risorse già appartenenti alla società comporta,<br />

dunque, una mera espansione dell’originaria partecipazione sociale, sicché il suo incremento<br />

non può che essere soggetto allo stesso regime patrimoniale della partecipazione originaria<br />

31 .<br />

30 Non si vede, infatti, per quale motivo tale regola non debba trovare applicazione ai proventi<br />

ricavati dalla partecipazione ad una società di persone, soprattutto se si considera che, in questi tipi<br />

sociali, “l’apporto “personale” dei soci, anche nella forma del “credito” che alla società deriva dalla<br />

presenza del socio, è indubbiamente prevalente su ogni altro elemento patrimoniale”: così PAVONE LA<br />

ROSA, (nt. 17), 28, nt. 25.<br />

31 Cfr. AULETTA, Il diritto di famiglia, in Trattato di diritto privato, diretto da Bessone, IV, 2, Torino,<br />

UTET, 1999, 152 ss.; GABRIELLI, (nt. 25), 33 ss.; SCHLESINGER, (nt. 17), 111 e nt. 54, il quale,<br />

riferendosi testualmente all’aumento di capitale della società per azioni, afferma che le nuove azioni<br />

69


Viceversa, nelle società di persone, l’aumento gratuito del capitale, in quanto realizzato<br />

attraverso componenti patrimoniali del socio, ma non della società, rientra nel novero degli<br />

“acquisti” di cui all’art. 177 1 , lett. a) c.c.<br />

L’intero percorso argomentativo tracciato dalla Cassazione può prestare il fianco a rilievi<br />

critici. Innanzitutto, in ordine all’aumento a pagamento del capitale sociale, potrebbero farsi<br />

valere le medesime considerazioni espresse sopra in ordine all’acquisto di quote di<br />

partecipazione in società, dal momento che detto aumento è realizzato attraverso l’esborso<br />

di ricchezza da parte del socio. Di conseguenza, l’incremento di una partecipazione sociale<br />

“personale” di uno dei coniugi cade in comunione immediata oppure in comunione de<br />

residuo a seconda che riguardi una partecipazione comportante responsabilità limitata 32 ,<br />

oppure illimitata.<br />

Nel caso, poi, di aumento di capitale realizzato attraverso utili accantonati in una riserva, non<br />

sembra che l’incremento della partecipazione sociale possa mai essere qualificato come<br />

“acquisto”, ai sensi dell’art. 177 1 , lett. a), c.c., ossia come un investimento, presentando<br />

piuttosto sempre i caratteri della mera espansione dell’originaria partecipazione al capitale<br />

sociale, qualunque sia il tipo di società preso in considerazione. Solleva qualche perplessità,<br />

infatti, il distinguo elaborato dalla Cassazione in ordine alla modalità tecnica di realizzazione<br />

dell’aumento gratuito nelle società di persone ed in quelle di capitali.<br />

Più precisamente, il ragionamento sviluppato dalla Suprema Corte in merito all’aumento<br />

gratuito del capitale sociale deve essere analizzato nelle sue singole proposizioni. Può<br />

certamente condividersi che il socio di società di persone ha diritto alla percezione degli utili<br />

fin dall’approvazione del rendiconto, contrariamente al socio di società di capitali, il cui<br />

diritto agli utili è subordinato alla delibera di distribuzione del dividendo. Infatti, è<br />

pacificamente accolto il principio secondo il quale, con l’approvazione del rendiconto, il<br />

socio matura un credito nei confronti della società avente ad oggetto la porzione di utili<br />

sociali ad esso spettante e che il medesimo diritto matura in capo al socio di società di<br />

capitali soltanto in virtù della delibera di distribuzione degli utili 33 .<br />

Non sembra, invece, altrettanto persuasiva l’affermazione, contenuta nella sentenza in<br />

commento, secondo la quale gli utili di società personale, sebbene non distribuiti ed<br />

rappresentano “una parte della precedente partecipazione, da cui vengono rese autonome mediante<br />

una “separazione” che però non implica la creazione di alcuna nuova ricchezza”.<br />

32 Va precisato che, nel caso di partecipazione in società di capitali, il diritto di opzione sulle nuove<br />

azioni o di sottoscrizione sull’aumento del capitale non cadono in comunione, restando nella<br />

esclusiva titolarità del coniuge socio: cfr. PAVONE LA ROSA, (nt. 17), 12. Salvo che ricorrano le<br />

condizioni previste dall’art. 179 1 , lett. f) c.c., l’incremento della partecipazione cade, dunque, in<br />

comunione immediata, ma il coniuge titolare del diritto di opzione ha il diritto di pretendere il<br />

rimborso del valore corrispondente al suo diritto di opzione, ai sensi dell’art. 192 3 c.c.: cfr.<br />

SCHLESINGER, (nt. 17), 111 e nt. 55; contra, GABRIELLI, (nt. 25), 40 ss.<br />

33 V., per tutti, BUONOCORE, CASTELLANO, COSTI, Società di persone, Casi e materiali di diritto<br />

commerciale, Milano, Giuffré, 1980, 437.<br />

70


accantonati in una riserva, conserverebbero la natura di crediti del socio nei confronti della<br />

società, e dunque di risorse patrimoniali appartenenti al primo e non alla seconda, sicché<br />

l’incremento della partecipazione sociale realizzato attraverso la loro imputazione al capitale<br />

si sostanzierebbe in un investimento, ossia in un “acquisto” soggetto al regime di cui al’art.<br />

177 1 , lett. a) c.c.<br />

In senso critico, può infatti osservarsi che, ferma la distinzione tra società di persone e<br />

società di capitali in ordine al momento in cui il diritto agli utili matura in capo al socio, non<br />

si vede per quale motivo gli utili di società di persone accantonati in una riserva, ovviamente<br />

presupposta la legittimità di siffatta operazione 34 , non possano essere sottoposti allo stesso<br />

trattamento delle riserve create attraverso qualsiasi altro credito vantato dal socio nei<br />

confronti della società, ed oggetto di rimessione del debito. In virtù di tale negozio giuridico,<br />

muta il regime giuridico della ricchezza accantonata che, originariamente evidenziata in<br />

bilancio come posta del passivo reale, in quanto credito del socio nei confronti della società,<br />

diventa posta del passivo ideale, cioè patrimonio netto. Di conseguenza, il suo utilizzo ai fini<br />

dell’aumento di capitale avviene, a tutti gli effetti, secondo il meccanismo proprio<br />

dell’aumento gratuito, ossia mediante l’imputazione a capitale di poste del netto<br />

patrimoniale.<br />

E non sembra idonea a scardinare questa conclusione l’osservazione, seppur condivisibile,<br />

secondo la quale la decisione di accantonare a riserva gli utili sociali incide in maniera<br />

differente sulla sfera giuridica del socio di società di capitali e di quello di società di persone,<br />

poiché mentre nel primo caso non sacrifica un diritto di credito agli utili già sorto, nel<br />

secondo presuppone un negozio di rinuncia al credito da parte del socio 35 . In altri termini,<br />

quando gli utili di società di persone sono accantonati in una riserva, l’aumento di capitale<br />

avviene pur sempre attraverso una ricchezza patrimoniale ormai spettante alla società, non al<br />

socio che a quel credito ha rinunciato 36 , e, di conseguenza, esso non può integrare un<br />

“acquisto” ai sensi dell’art. 177 1 , lett. a) c.c.<br />

Nel tentativo di dare fondamento alle conclusioni alle quali perviene la Cassazione, si è fatto<br />

leva sull’orientamento, accolto anche nella giurisprudenza di legittimità, che ammette la<br />

34 La dottrina prevalente afferma la legittimità della prassi, posta in essere dalle società di persone, di<br />

trattenere una parte degli utili a scopo di autofinanziamento: cfr. GHIDINI, (nt. 8), 285, per il quale la<br />

previsione dell’accantonamento di utili a riserva può essere contenuta nello stesso atto costitutivo,<br />

oppure può essere adottata di volta in volta dai soci in occasione dell’approvazione del rendiconto;<br />

COSTA, Le riserve nel diritto delle società, Milano, Giuffré, 1984, 86, per il quale la costituzione di<br />

riserve facoltative è ammessa soltanto con l’unanimità dei consensi, attribuendo l’art. 2262 c.c. a<br />

ciascun socio il diritto alla percezione degli utili realizzati.<br />

35 Cfr. BUONOCORE, CASTELLANO, COSTI, (nt. 31), 439, secondo i quali i soci di una società di<br />

persone che decidono di accantonare gli utili a riserva dispongono di un proprio diritto di credito, e<br />

non di un diritto sociale.<br />

36 Cfr. GABRIELLI, (nt. 25), 35 e nt. 67, secondo il quale sugli utili legittimamente passati a riserva il<br />

socio non ha più alcun diritto, se non, de residuo, in sede di liquidazione.<br />

71


caduta in comunione immediata dei diritti di credito, per ricomprendervi anche il diritto agli<br />

utili di società di persone maturato con l’approvazione del rendiconto 37 . Secondo questa<br />

prospettiva, l’incremento della partecipazione del socio, da lui conseguito in alternativa alla<br />

distribuzione dell’utile, darebbe vita ad una surrogazione reale dell’oggetto di un bene<br />

appartenente alla comunione immediata, e, pertanto, sarebbe anch’esso soggetto al regime<br />

della comunione degli acquisti.<br />

A ben vedere, la tesi, sebbene suggestiva, sembra presentare delle forzature, non solo a causa<br />

della discutibile premessa su cui si fonda, ossia la caduta in comunione immediata degli utili<br />

sociali, ma, soprattutto, in merito alla ricostruzione della modalità tecnica con la quale si<br />

realizzerebbe l’incremento della partecipazione, ossia la surrogazione reale di un bene<br />

appartenente alla comunione immediata. Basti considerare che l’accantonamento degli utili<br />

sociali in una riserva del netto patrimoniale ha “spogliato” il socio del suo originario credito<br />

agli utili, che sembrerebbe più corretto ritenere ormai estinto.<br />

Nel caso in esame, infatti, risulta che gli utili sociali partecipano all’operazione di aumento<br />

del capitale non nella loro originaria veste di crediti del socio, ma in quanto componenti<br />

patrimoniali ormai appartenenti a tutti gli effetti alla società, essendo confluiti in una riserva<br />

del patrimonio netto. Pertanto, l’incremento della partecipazione sociale viene realizzato non<br />

in virtù della surrogazione reale di un bene appartenente alla comunione immediata, ma<br />

attraverso l’imputazione al capitale di una risorsa già facente parte del patrimonio della<br />

società e, pertanto, non integra un investimento rientrante nell’ambito applicativo dell’art.<br />

37 Così CAVANNA, Partecipazione associata di persone e comunione coniugale, in Giur. it., 2009,<br />

1176 ss. La Corte di Cassazione, accogliendo le istanze avanzate da parte della dottrina e della<br />

giurisprudenza di merito (per un’analisi dei termini del relativo dibattito, cfr. QUADRI, L’oggetto della<br />

comunione legale tra coniugi: i beni in comunione immediata, in Fam. dir., 1996, 188 ss.) e tornando<br />

sui propri passi, ha manifestato un atteggiamento di apertura rispetto al tema della caduta dei diritti di<br />

credito in comunione legale, in base all’osservazione che mancano validi argomenti, di ordine letterale<br />

e sistematico, che giustifichino la delimitazione della comunione degli “acquisti”, di cui all’art 177,<br />

comma 1, lett. a), ai soli diritti reali: cfr. Cass., 9 ottobre 2007, n. 21098, in N. giur. civ. comm., 2008,<br />

320 ss; in Notariato, 2008, 148 ss.; Cass., 15 gennaio 2009, in Fam. dir., 2009, p. 571 ss., con nota di<br />

RIMINI.<br />

Preme sottolineare che il citato indirizzo della giurisprudenza di legittimità non afferma<br />

l’indiscriminata caduta dei diritti di credito in comunione legale. In particolare, l’acquisto di un<br />

credito attraverso l’impiego dei proventi dell’attività separata di uno dei coniugi (i quali, come è noto,<br />

rientrano nella comunione de residuo ai sensi dell’art. 177 1 , lett. c), c.c.,), può rientrare nell’ambito<br />

applicativo dell’art. 177 1 , lett a), c.c., soltanto se comporta una “trasformazione” del “provento”<br />

dell’attività separata del coniuge in un quid alii che abbia una componente patrimoniale suscettibile di<br />

acquisire valore di scambio. Sul punto, cfr. PAVONE LA ROSA, (nt. 17), 6; OBERTO, sub artt. 177-178,<br />

in Codice della famiglia, a cura di Sesta, Milano, Giuffrè, 2007, 781 ss.<br />

Ma gli utili di società personali possono essere assimilati a quelli conseguiti dal coniuge imprenditore<br />

che gestisca da solo l’azienda rientrante nell’ambito di applicazione dell’art. 178 c.c., utili, questi<br />

ultimi, che la dottrina considera “proventi dell’attività separata di uno dei coniugi” e, pertanto,<br />

soggetti al regime della comunione de residuo: cfr. SCHLESINGER, (nt. 17), 141; PAVONE LA ROSA,<br />

(nt. 17), 27, nt. 24 e nt. 25; GABRIELLI, (nt. 25), 35, nt. 68; AULETTA, (nt. 29), 151. Nel caso in esame,<br />

dunque, i crediti dei quali occorre stabilire il regime patrimoniale, ossia gli utili sociali, consistono<br />

non in entità patrimoniali acquistate attraverso l’impiego dei proventi dell’attività separata, ma negli<br />

stessi proventi dell’attività separata del coniuge, rientranti nella comunione differita.<br />

72


177 1 , lett. a) c.c. Di conseguenza, esso si sostanzia in una mera espansione dell’originaria<br />

quota sociale ed, in quanto tale, non può che essere soggetto al suo stesso regime<br />

patrimoniale.<br />

5. Conclusioni.<br />

Dalle riflessioni sopra esposte, emerge che le soluzioni offerte dalla Suprema Corte in ordine<br />

a ciascuna delle tematiche affrontate, ed indicate in apertura del presente commento, non<br />

sono affatto pacifiche. Non risultano pienamente persuasive né l’affermazione per la quale<br />

la partecipazione in società di persone è un bene mobile immateriale, né il principio generale<br />

per il quale l’acquisto di partecipazioni sociali è sempre soggetto alla regola della comunione<br />

legale immediata, qualunque sia il tipo sociale preso in considerazione, né infine la<br />

prospettata ricostruzione in termini di “acquisto”, relativamente all’incremento della<br />

partecipazione in società di persone realizzato attraverso imputazione di utili accantonati in<br />

riserva. Sarebbe inutile aggiungere che l’opinabilità delle citate soluzioni si riflette senz’altro<br />

in termini di incertezza sulla decisione del caso.<br />

Ma a ben vedere, ciò che, a monte delle singole questioni esaminate, richiede una<br />

rimeditazione in chiave critica è l’ispirazione di fondo che guida la Suprema Corte e che<br />

sembra influenzare anche la scelta del metodo di soluzione del caso. Metodo che consiste nel<br />

risolvere i problemi legati alla circolazione della quota partendo dalla sua controversa natura<br />

giuridica.<br />

Questo approccio metodologico, dunque, sembra scaturire da una precisa linea direttrice.<br />

Infatti, da un’attenta analisi della sentenza, risulta che il giudice di legittimità ha assunto,<br />

quale postulato, il principio per il quale l’art. 178 c.c., la cui applicabilità al caso di specie<br />

non è stata nemmeno presa in considerazione, rappresenta una norma di carattere<br />

eccezionale.<br />

Trascurata, dunque, la soluzione “mediana” della comunione differita, dinanzi al giudice di<br />

legittimità il quadro delle possibili soluzioni si presenta stretto nell’alternativa tra la<br />

comunione immediata e la separazione dei beni. E la motivazione della sentenza sembra<br />

essere stata scritta allo scopo di avvalorare la prima, per rifuggire alla soluzione “estrema”<br />

della seconda.<br />

Di conseguenza, la qualificazione della partecipazione come “bene mobile immateriale” e la<br />

sua conseguente ricomprensione negli “acquisti” di cui all’art. 177 1 lett. a) c.c., assume i<br />

contorni di un argomento di sostegno rispetto ad una soluzione che era già nella mente del<br />

giudice.<br />

Viceversa, seguendo un’ispirazione diametralmente opposta, il metodo di soluzione del caso,<br />

oltre che lo stesso dispositivo della sentenza, sarebbero stati ben diversi. Preme sottolineare<br />

73


che la disciplina del regime patrimoniale coniugale è incardinata non solo sul principio della<br />

parificazione economica dei coniugi, ma anche su quello della tutela dell’autonomia di<br />

gestione del coniuge imprenditore 38 .<br />

Questi due valori, pertanto, devono essere contemperati anche quando l’iniziativa economica<br />

si esprime attraverso l’esercizio in forma associata dell’attività di impresa. A tal fine, si<br />

rende necessario valorizzare, sulla scia della dottrina dominante, la portata espansiva dell’art.<br />

178 c.c. Di conseguenza, l’acquisto, manente matrimonio, di partecipazioni sociali<br />

comportanti responsabilità illimitata del socio, oppure il loro incremento a causa di un<br />

aumento a pagamento del capitale sociale, risulterà soggetto al regime patrimoniale della<br />

comunione differita.<br />

La soluzione che potrebbe essere fornita al caso in esame, accedendo a questa diversa<br />

prospettiva, esula da un approccio metodologico eccessivamente “formalistico”, incardinato<br />

sulla natura giuridica della quota di società di persone, e si fonda esclusivamente su una<br />

lettura delle norme in materia di comunione legale che cerca di essere più fedele al loro<br />

spirito.<br />

38 Cfr., amplius, PAVONE LA ROSA, (nt. 17), 15; TRIMARCHI, (nt. 26), 92 ss.<br />

74


Contratto di lavoro a termine: oscillazioni legislative e giurisprudenziali<br />

di Fiorella Ruta<br />

Trib. <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong><br />

Giudice del Lavoro Dr.ssa Mariella Ianniciello<br />

Sentenza n. 1108 del 3.11.2009<br />

La lunghezza dell’intervallo trascorso dalla scadenza del contratto alla contestazione della<br />

legittimità dell’estromissione dall’azienda non è elemento ex se sufficiente ad integrare la<br />

risoluzione consensuale del rapporto, in assenza di altri elementi significativi che il datore<br />

di lavoro deve allegare e provare (tali non sono né la corresponsione del t.f.r., né la<br />

mancata offerta della propria prestazione lavorativa, in assenza di un obbligo o onere del<br />

lavoratore di comunicare la propria volontà di continuare ad esser parte del rapporto a<br />

tempo indeterminato in cui si è convertito il contratto con termine illegittimamente apposto).<br />

Il contratto a termine è regolato dalla legge n.230/62 e dall’art. 23 della l. n. 56 del 1987 se<br />

anteriore all’entrata in vigore del d.l. n.368 del 2001. L’apposizione del termine è<br />

giustificata da “necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie”.<br />

L’art. 23 della citata legge attribuisce alla contrattazione collettiva la possibilità di definire<br />

nuove e più ampie ipotesi di legittima apposizione del termine, ammettendo la possibilità di<br />

omettere il nominativo del lavoratore sostituito nel caso in cui l’assunzione avvenga nel<br />

periodo giugno-settembre in concomitanza di assenza per ferie.<br />

La mancata indicazione del lavoratore sostituito in un periodo dell’anno diverso implica<br />

l’inefficacia della clausola appositiva del termine. Il contratto di lavoro si considera a<br />

tempo indeterminato con conseguente diritto alla riammissione in servizio nonché al<br />

risarcimento del danno, parametrato alle retribuzioni mancate solo a far data dalla richiesta<br />

del tentativo di conciliazione, posto che solo da tale momento la parte ricorrente ha offerto<br />

la prestazione lavorativa ed ha messo in mora la parte resistente.<br />

***** ***** *****<br />

Trib. <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong><br />

Giudice del Lavoro Dr. Pietro Vinetti<br />

Sentenza n. 1224 del 1.12.2009<br />

L’art. 1, comma 1, del D. Lgs. 368/2001, che ha innovato la legge n.230 del 1962,<br />

applicabile - ratione temporis - alla fattispecie, consente “l’apposizione di un termine alla<br />

durata del contratto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere … sostitutivo”,<br />

senza specificare se, nel contratto, sia ancora necessario indicare il nome del lavoratore<br />

sostituito e la causa della sua sostituzione. Il contratto di lavoro tuttavia non può essere<br />

generico, senza riferimenti agli elementi essenziali del rapporto a termine, anche a seguito<br />

delle indicazioni della Corte Costituzionale (sent. N. 214/2009). L’ apposizione del termine<br />

in questo caso comporta, per espresso disposto dello stesso art. 1, secondo comma,<br />

l’inefficacia della clausola appositiva del termine e non la nullità dell’intero contratto, che,<br />

pertanto, si considera a tempo indeterminato. La norma dell’art. 1, primo comma, ha natura<br />

imperativa a tutela del lavoratore e la sua violazione comporta la nullità dell’apposizione<br />

del termine e la c.d. conversione in contratto a tempo indeterminato (cfr. art. 1419, secondo<br />

comma, c.c.).<br />

***** ***** *****<br />

Le massime richiamate offrono lo spunto per una disamina della travagliata storia normativa<br />

dei rapporti di lavoro a termine.<br />

Al rapporto di lavoro può essere apposta la clausola del termine quando le parti stabiliscono<br />

l’automatica estinzione del contratto di lavoro ad una data certa, ovvero con riferimento ad<br />

75


un evento certus an, anche se incertus quando. Il codice del 1865 39 sanciva all’art. 1628<br />

l’assoluta prevalenza dell’impiego a termine 40 . Successivamente la legge sull’impiego<br />

privato (legge 18 marzo 1926, n.562) ha introdotto il principio della libera recedibilità dal<br />

contratto di lavoro e conseguentemente lo sfavore legislativo nei confronti del lavoro a<br />

termine, introducendo la regola secondo cui, in mancanza di stipulazione per iscritto della<br />

clausola, il rapporto si presume a tempo indeterminato. Tale principio è stato quindi recepito<br />

dall’art.2097 del codice civile.<br />

Negli anni ’50 si è diffuso l’abuso dei contratti a termine, per eludere la corresponsione<br />

dell’indennità di anzianità e per evitare le garanzie connesse al rapporto di lavoro a tempo<br />

indeterminato. Per contrastare questa tendenza, è stata emanata la legge 18 aprile 1962,<br />

n.230, che ha regolato la materia per quasi quarant’anni, fino all’entrata in vigore della<br />

riforma di cui al d.lgs. n.368 del 2001 41 . La legge n.230 ha innanzitutto confermato la<br />

presunzione di indeterminatezza della durata del contratto di lavoro, superabile con<br />

apposizione di una clausola scritta 42 , ma ha altresì introdotto il principio di tassatività delle<br />

attività per le quali era possibile l’apposizione del termine. Tale filone normativo<br />

antifraudolento ha poi trovato massima espressione nell’art. 18 della legge n. 300/’70, che ha<br />

introdotto il principio della tutela reale del posto di lavoro, consentendo il recesso del datore<br />

di lavoro solo in forza di una giustificazione e prevedendo, in difetto, la reintegrazione del<br />

rapporto e non la mera corresponsione di un’indennità.<br />

Negli anni successivi il lavoro a termine viene considerato come un’opportunità di<br />

flessibilizzazione del lavoro, da offrire all’impresa attraverso due importanti passaggi<br />

normativi 43 : la legge n.18 del 1978, che prevede assunzioni a termine per “punte stagionali di<br />

attività” e la legge 28 febbraio 1987, n.56 44 , che prevede all’art. 23 le assunzioni a termine<br />

“nelle ipotesi individuate nei contratti collettivi di lavoro stipulati con i sindacati nazionali o<br />

locali aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale” 45 .<br />

39 BALZARINI G., La disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato, Milano, 1966; MATTARELLA, Il<br />

contratto di lavoro a tempo determinato, Milano, 1974; AIDLASS, Il lavoro a termine, Milano, 1979 (di<br />

particolare interesse risulta la Relazione introduttiva di MONTUSCHI) per una ricostruzione storica dell’istituto.<br />

40 ABELLO, Della locazione d’opere, in Delle locazioni, Napoli - Torino, vol. II, 1919, 678. A parere dell’Autore<br />

la funzione del contratto a termine era quella di evitare il lavoro “coatto”.<br />

41 (V. amplius, MAZZOTTA O., Diritto del lavoro, Giuffrè, 2002, 302 ss.).<br />

42 Cass., 207/94 per la forma scritta ad substantiam; Cass., 11173/93).<br />

43 MENGHINI, Il lavoro a termine. Linee interpretative e prospettive di riforma: gli anni ottanta, Milano, 1980;<br />

ROCCELLA, I rapporti di lavoro a termine, in VARESI-ROCCELLA, Le assunzioni. Prova e termine, in Commentario<br />

del codice civile a cura di P. SCHLESINGER, Milano, 1990; MONTUSCHI, Lavoro a tempo determinato, in Enc.<br />

Giur. Treccani, vol. XVIII,1990; VICECONTE, Il contratto di lavoro a termine, Torino, 1994.<br />

44 D’ANTONA, I contratti a termine, in AA. VV, Il diritto del lavoro negli anni ’80, Napoli, 1988, vol.II, 111 e ss;<br />

ROCCELLA, La nuova disciplina del lavoro temporaneo, in ARRIGO-ICHINO-LOY-ROCCELLA, Il diritto del lavoro<br />

dopo l’ “emergenza”, Milano, 1988, 57 ss.; D’ANTONA, Contrattazione collettiva e autonomia individuale nei<br />

rapporti di lavoro atipici, in Giornale dir. lav. relazioni ind., 1990, 529; COSIO, Il contratto a termine: flessibilità<br />

amministrate e flessibilità contrattate, in Dir. e prat. Lav., 1987, 2037; MENGHINI, Sperimentazione o svolta nella<br />

disciplina del lavoro a termine?, in Riv. It. Dir. lav.,1987, I, 569.<br />

45 MONTUSCHI, La riforma del contratto a termine (un caso di bricolage normativo), in Argomenti di dir.<br />

lav.,1997, 47; ROCCELLA, I rapporti di lavoro atipici in Italia dall’accordo tripartito del 23 luglio 1993 alla<br />

76


Il 28 giugno 1999, la Direttiva Comunitaria n. 99/70 ha regolato la materia in sede<br />

comunitaria 46 . L’attuazione della direttiva si compie con il d.lgs. 6 settembre 2001 47 , n.368,<br />

che vede l’impiego del lavoro a termine come strumento di flessibilità ed incentivo<br />

all’occupazione, anche se precaria. L’apposizione del termine al contratto di lavoro è<br />

consentita “a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”.<br />

Tuttavia la liberalizzazione è contenuta in strette maglie normative. Permane il carattere<br />

eccezionale del lavoro a termine, la clausola va pattuita in forma scritta (fatti salvi i rapporti<br />

puramente occasionali, di durata inferiore a dodici giorni) 48 e si rende necessario un<br />

giustificato motivo. Le tipologie individuate sono specifiche 49 .<br />

La legge esclude dal proprio campo di applicazione i contratti che, se pure strutturalmente<br />

sono a tempo determinato, tuttavia assolvono a funzioni diverse e speciali. Tali fattispecie<br />

infatti sono regolate da specifiche norme.<br />

La nuova disciplina conferma la libertà di stipulare contratti di lavoro a termine con i<br />

dirigenti, purché di durata non superiore a cinque anni e con diritto di recesso con preavviso<br />

da parte del dirigente, trascorso un triennio.<br />

Persistono i divieti di ricorso alle assunzioni a termine nelle ipotesi di sostituzione di<br />

scioperanti e nei confronti delle imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi<br />

di cui all’art. 4 del d.lgs. n.626 del 1994. Ulteriori situazioni di divieto si hanno nelle ipotesi<br />

di assunzioni presso unità produttive nelle quali, nei sei mesi precedenti, si sia proceduto a<br />

licenziamenti collettivi di lavoratori adibiti alle stesse mansioni (tranne che il contratto non<br />

legge 196/97, in Riv. Giur. Lav., 1998, I, 3 ss.; ROCCELLA, Disciplina sanzionatoria del contratto a tempo<br />

determinato, in NAPOLI (a cura di), Il “Pacchetto Treu”. Commentario sistematico alla l. 24 giugno 1997, n.196,<br />

in Nuove leggi civili, 1998, 1298 ss.<br />

46 PERA, La strana storia dell’attuazione della direttiva CE sui contratti a termine, in Lav. giur.,35.<br />

47 PAPALEONI, Luci e ombre nella riforma del contratto a termine, in Riv. It. Dir. Lav., 2001, I, 367; ID., Forma e<br />

contenuto del nuovo contratto a termine, in Mass. Giur. Lav.,2001, 1077; RUGGIERO, L’apposizione del termine<br />

nel decreto di attuazione della direttiva Ce 99/70, in Mass. Giur. Lav., 2001, 1072; CIAMPOLINI, Proroga,<br />

scadenza del termine e successione dei contratti, in Mass. Giur. Lav., 2001, 1084; VALLEBONA-PISANI, Il nuovo<br />

lavoro a termine, Padova, 2001; MENGHINI (a cura di ), La nuova disciplina del lavoro a termine, Milano, 2002;<br />

BIAGI (a cura di ), Il nuovo lavoro a termine, Milano, 2002.<br />

48 La giurisprudenza richiede la formalizzazione scritta precedente o contestuale all’inizio del rapporto.<br />

49 Di carattere oggettivo: a) nella fase di avvio di nuove attività per i periodi definiti dalla contrattazione collettiva<br />

nazionale anche in misura non uniforme con riferimento ad aree geografiche e/o comparti merceologici; b) per<br />

ragioni di carattere sostitutivo o di stagionalità; c) per l’intensificazione dell’attività lavorativa in determinati<br />

periodi dell’anno; d) per specifici spettacoli o per specifici programmi radiofonici o televisivi; e) a conclusione di<br />

un periodo di tirocinio o di stage; f) per l’esecuzione di un’opera o di un servizio definiti a carattere straordinario<br />

o occasionale. Il limite quantitativo di lavoratori assumibili a termine viene rimesso alla contrattazione collettiva.<br />

Di carattere soggettivo: a) liberalizzazione totale del lavoro a termine per le imprese che esercitano il commercio<br />

di esportazione, importazione ed ingresso di prodotti ortofrutticoli; b) per il personale artistico e tecnico delle<br />

fondazioni di produzione musicale (v. d.lgs. n. 367 del 1996, nei cui confronti non si applica la disciplina<br />

sanzionatoria prevista per le proroghe e successive assunzioni a termine); c) per le imprese che esercitano il<br />

trasporto aereo ed i servizi aeroportuali; d) per i lavoratori posti in mobilità, se il contratto non supera i dodici<br />

mesi, ai sensi dell’art. 8 , 2° comma, della legge n. 223 del 1991 (v. in senso contrario l’interessante posizione<br />

della Pret. Monza, 9 agosto 1996 e Pret. Milano, 27 aprile 1996); e) per le ipotesi di sostituzione di lavoratrici in<br />

astensione per gravidanza e per sostituzione di lavoratori che intendono posticipare di almeno due anni l’età<br />

pensionabile (art. 75, l. n. 388 del 2000).<br />

77


sia inferiore a tre mesi) o nelle unità produttive nelle quali sia operante una sospensione dei<br />

rapporti o una riduzione dell’orario, con diritto all’integrazione salariale.<br />

L’apparato sanzionatorio prevede l’inesistenza della clausola in caso di mancanza di<br />

pattuizione scritta ed omessa indicazione del giustificato motivo di apposizione del termine.<br />

Ove la giustificazione addotta dal datore di lavoro per l’apposizione del termine venga<br />

valutata dal giudice come illegittima, la clausola del termine va considerata nulla per<br />

violazione di norma imperativa, senza annullare l’intero contratto, che resta a tempo<br />

indeterminato (art. 1419, 2° co. c.c.). L’onere probatorio della sussistenza del giustificato<br />

motivo ricade sul datore di lavoro, secondo i principi generali (art. 2697 c.c.). Analoghi<br />

effetti sanzionatori scaturiscono dalla disciplina delle proroghe o nelle ipotesi di<br />

continuazione del rapporto oltre la scadenza o di successive assunzioni a termine.<br />

La proroga del contratto a termine è ammessa quando la durata iniziale sia inferiore a tre<br />

anni. Il contratto può essere prorogato una sola volta, per ragioni oggettive e per la stessa<br />

attività lavorativa per la quale il contratto è stato stipulato a tempo determinato 50 .<br />

L’art. 5 del d.lgs. n. 368 del 2001 prevede, nel caso di continuazione del rapporto oltre la<br />

scadenza, una sorta di moratoria del contratto per un periodo massimo di venti giorni,<br />

qualora si tratti di rapporti di durata inferiore a sei mesi, e di trenta giorni negli altri casi,<br />

con una maggiorazione della retribuzione del 20% per i primi dieci giorni e del 40% per i<br />

successivi. La continuazione ulteriore del rapporto oltre tali termini comporta la conversione<br />

del contratto in rapporto a tempo indeterminato, a decorrere dalla scadenza dei termini<br />

indicati e quindi con effetto ex nunc e non ex tunc.<br />

Il lavoratore a termine ha diritto alla parità di trattamento rispetto al lavoratore a tempo<br />

indeterminato, ha diritto alla formazione, viene computato nell’organico dell’impresa, ai fini<br />

dell’art.35 dello Statuto dei Lavoratori, per la costituzione delle rappresentanze sindacali, nel<br />

caso in cui il contratto abbia durata superiore ai nove mesi ed ha diritto di precedenza in caso<br />

di nuove assunzioni a tempo indeterminato (i contratti collettivi individuano e regolano tale<br />

diritto) 51 .<br />

I contraenti, in presenza di eventi che non consentono la prosecuzione del rapporto possono<br />

recedere ante tempus. Se l’esercizio del potere di recesso è illegittimo il datore di lavoro sarà<br />

obbligato a risarcire il danno, corrispondente alle retribuzioni perdute dal lavoratore fino alla<br />

scadenza del termine 52 .<br />

50<br />

V. sul punto Cass., 12166/92 e, per la mancata richiesta dell’atto scritto, v. Cass., 4939/90.<br />

51<br />

Per la disciplina transitoria, la legge fa salve le clausole dei contratti collettivi stipulate in attuazione dell’art.23<br />

della l. n. 56 del 1987.<br />

52<br />

V. per le modalità di determinazione del risarcimento, con riferimento al c.d. aliunde perceptum, Cass., n.<br />

6439/95.<br />

78


L’onere di impugnazione del licenziamento illegittimo entro sessanta giorni, secondo le<br />

previsioni dell’art. 6 della l. n. 604 del 1966, non è estensibile al lavoratore a termine 53 . La<br />

norma citata si inserisce nella tutela contro i licenziamenti nel rapporto a tempo<br />

indeterminato e il lavoratore a termine invece fa valere un’azione di nullità negoziale e non<br />

esercita un’azione di impugnazione di un licenziamento (Cass., 11671/95; Cass., 824/93) 54 .<br />

Nel caso di lavoro svolto alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, l’art. 36, 4°<br />

comma, del d.lgs. n.29 del 1993 vietava il ricorso alle assunzioni a tempo determinato di<br />

durata superiore a tre mesi. Il d.lgs. n.80 del 1998 consente il ricorso “a forme contrattuali<br />

flessibili di assunzione e di impiego del personale previste dal codice civile e dalle leggi sui<br />

rapporti di lavoro subordinato nell’impresa”. Si tratta di una sostanziale delegificazione, che<br />

affida alla contrattazione collettiva il potere di disciplinare “la materia dei contratti a tempo<br />

determinato, dei contratti di formazione e lavoro, degli altri rapporti formativi e della<br />

fornitura di lavoro temporaneo”, in applicazione delle rispettive leggi. Resta fermo che le<br />

violazioni di norme imperative riguardanti il lavoro a termine non potranno mai comportare<br />

la costituzione di un rapporto a tempo indeterminato con la pubblica amministrazione. Al<br />

lavoratore spetta il solo risarcimento dei danni per il periodo in cui il rapporto ha avuto<br />

esecuzione (secondo la previsione generale dell’art. 2126 c.c.). Le amministrazioni<br />

pubbliche hanno l’obbligo di recuperare le somme pagate a tale titolo nei confronti dei<br />

dirigenti responsabili, qualora la violazione sia dovuta a dolo o colpa grave (art. 36, 2° co.,<br />

d.lgs. n. 165 del 2001).<br />

La particolarità della materia e l’uso pratico dell’istituto hanno spesso incontrato difficoltà<br />

interpretative di fronte alla successione normativa, che dimostra chiaramente sia il bisogno di<br />

una regolamentazione più dettagliata, sia la preoccupazione del legislatore di tutelare<br />

categorie a rischio. Da ultimo in questo stratificato sistema normativo la sentenza della Corte<br />

Costituzionale n. 214/2009 ha dato significative risposte ai molteplici dubbi sulla legittimità<br />

di alcune disposizioni del d.lgs. 5 settembre 2001, n.368 55 . La questione riguardava il<br />

combinato disposto degli artt.1, co. 1, ed 11 del decreto in relazione all’art. 76 Cost, per<br />

l’avvenuta soppressione dell’onere di indicazione del nominativo del lavoratore sostituito,<br />

che era condizione di legittimità del contratto sotto il regime dell’abrogata legge n.<br />

53 V. la prima e più risalente opinione che ne postulava l’estensibilità Cass., 4499/79<br />

54 La giurisprudenza (Cass., 11671/95) ritiene che il lavoratore a termine che agisce oltre i sei mesi dalla<br />

cessazione del rapporto rinuncia tacitamente al diritto ad impugnare presumendosi una risoluzione consensuale,<br />

con la conseguenza che il lavoratore dovrà provare le circostanze contrarie alla presunzione.<br />

55 Corte Cost., n.214/2009, in Massimario di Giur. Lav., 2009, 653, con nota di VALLEBONA, Il lavoro a termine<br />

negli equilibri della Corte costituzionale. La Corte Cost. con la sentenza n. 44 del 4 marzo 2008 ha dichiarato<br />

l’illegittimità costituzionale dell’art.10, co. 9 e 10 del d.lgs. n. 368 del 2001, nonché del co. 1 dell’art. 11 dello<br />

stesso decreto nella parte in cui abroga l’art.23, co. 2, della l. 26 febbraio 1987, n. 56. Il giudice delle leggi ha<br />

dichiarato l’illegittimità costituzionale del co. 2 dell’art.11 del decreto citato nella parte in cui detta la disciplina<br />

transitoria con riferimento all’art.23, co. 2, della legge n.56/1987. In dottrina il percorso socio-economico<br />

dell’istituto è mirabilmente descritto da MENGHINI, Il lavoro a termine, cit.<br />

79


230/1962. La Corte ha sottolineato che i rilievi sono privi di fondamento, in quanto il comma<br />

2 dello stesso articolo impone l’onere di specificazione , a pena di inefficacia, per iscritto del<br />

nome del lavoratore sostituito e della causa della sua sostituzione 56 .<br />

Il decreto n. 368 del 2001 ha “flessibilizzato ma non liberalizzato l’assunzione a termine”. 57<br />

Il legislatore quando ha inteso mettere in risalto l’oggettiva temporaneità dell’occasione di<br />

lavoro lo ha fatto esplicitamente, come nel caso della fornitura di prestazioni di lavoro<br />

temporaneo, ex lege 24 giugno 1997, n.195.<br />

L'art.1, commi 39-41, della legge 27 dicembre 2007, n.247 ha novellato l’art.1 del d.lgs.<br />

n.368 del 2001, anteponendo il seguente comma: “Il contratto di lavoro subordinato è<br />

stipulato di regola a tempo indeterminato”. Si conferma la volontà normativa dunque di far<br />

assurgere il contratto di lavoro a tempo indeterminato a regola e quello a termine a mera<br />

eccezione. Il secondo non può essere utilizzato per esigenze stabili e permanenti<br />

dell’impresa 58 . La legge n. 133/2008 ha invece consentito un accrescimento dell’ambito<br />

operativo della proroga del contratto, che può avere una durata superiore a quella<br />

dell’iniziale contratto sempre che la durata complessiva del rapporto a termine non sia<br />

superiore ai tre anni 59 . Il sistema che si è creato ha determinato, da un lato, una maggiore<br />

flessibilità nel momento costitutivo del rapporto, ma, dall’altro lato, un apparato<br />

sanzionatorio di grande severità e rigidità volto a legittimare la conversione del contratto a<br />

termine in contratto sine die quando vengono stipulati contratti privi delle ragioni tipicizzate<br />

dall’art.1, co. 1, del d. lgs.n.368. Tuttavia resta un problema di fondo. Il giudice chiamato a<br />

dirimere le controversie non ha attitudine a fungere da organo di gestione, controllo e mera<br />

valutazione di scelte economiche e culturalmente guarda sempre al presente in sede di<br />

applicazione della norma. L’imprenditore osserva le leggi inesorabili dell’economia ed è<br />

volto al futuro per ragioni gestionali. L’abrogazione dell’art.23 della l. 28 febbraio 1987,<br />

n.56, che demandava alla contrattazione collettiva l’individuazione di nuove ipotesi di<br />

apposizione del termine oltre a quelle tassativamente previste come strumento di<br />

salvaguardia dei diritti dei lavoratori, ha ridotto ancora di più i poteri di mediazione tra le<br />

56 Corollario di tale enunciato è la conservazione degli indirizzi giurisprudenziali vigenti sotto la vecchia<br />

normativa contenuta nell’art. 2 della l. n. 230/1962. V. amplius Cass. 4 febbraio 1999, n. 990, in Mass. Giur.<br />

Lav., 1999, 493 con nota di SBROCCA, Pluralità di assunzioni a termine “elusive” della legge n. 230/1962.<br />

57 VIDIRI, Contratto di lavoro a termine e continuazione di una infinita e travagliata storia: la sentenza<br />

n.214/2009 della Corte costituzionale, in Mass. Giur Lav, dicembre 2009, n.12; BALESTRIERI, Il contratto di<br />

lavoro a tempo determinato: controllo sulle causali ed effetti della nullità, in Dir. Lav., 2006, I, 56-58; MISCIONE,<br />

L’apposizione del termine al contratto di lavoro: questioni interpretative sulla temporaneità delle esigenze<br />

datoriali, in Arg. Dir. Lav., 2005, 620 e ss.<br />

58 Per una completa valutazione degli indirizzi giurisprudenziali e dottrinari favorevoli e contrari a tale tesi v.<br />

D’ANDREA, Eccezionalità e temporaneità quali requisiti intrinseci delle causali del contratto a termine, in Dir.<br />

Lav., 2006, I, 157e ss.<br />

59 MALANDRINI, Contratti a tempo determinato:proroghe e rinnovi, in Dir. Prat. Lav., 2008, 259 e ss; NANNI<br />

MARIO MARIA, Sulle conseguenze della proroga illegittima di un contratto di lavoro a termine nel pubblico<br />

impiego, in Arg. Dir. lav., 2008, II, 598 e ss.<br />

80


due distinte figure 60 . Le due sentenze esaminate dimostrano proprio quanto sia delicato per il<br />

giudice regolamentare rapporti relativi alla gestione di risorse umane non sempre ben<br />

disciplinabili su un piano strettamente normativo.<br />

Resta fermo il potere di controllo della legalità della Corte di Cassazione. Esso rimane<br />

praticabile anche nel caso delle c.d. “clausole elastiche” ex art.360, co. 1, n.3 c.p.c. nei casi<br />

in cui gli standards valutativi sulla cui base è stata definita la controversia finiscano per<br />

collidere con i principi costituzionali, con quelli generali dell’ordinamento, con precise<br />

norme suscettibili di applicazione in via estensiva o analogica, ed infine anche nei casi in cui<br />

i suddetti standards valutativi si pongano in contrasto con regole che si configurano come<br />

diritto vivente 61 .<br />

Il contratto di lavoro a termine diventa strumento assai duttile per dottrina, giurisprudenza di<br />

merito e di legittimità, nonché facile mezzo di operazioni di politica economica e gestionale<br />

nel settore pubblico e privato. E’ per questo che si ripetono gli interventi normativi volti a<br />

disciplinarlo, i contenziosi aumentano e l’interesse per l’istituto non diminuisce a partire<br />

dalle prime applicazioni normative fino ad oggi.<br />

Di recente, la materia è stata oggetto di un ulteriore intervento normativo, che, dopo un<br />

travagliato iter alla Camera, è giunto alla approvazione in Senato: tra l’altro, per le<br />

controversie di lavoro - tra cui quelle legate al trasferimento di azienda e al recesso - era stata<br />

limitata la competenza del giudice e privilegiato il canale dell’arbitrato e della conciliazione;<br />

per i contratti a termine, nel caso di violazioni che comportano la trasformazione del<br />

contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato, l’art. 7 aveva previsto un<br />

obbligo per il datore di lavoro di risarcire il lavoratore con un’indennità che sostituiva la<br />

stabilizzazione. Tuttavia, il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha rinviato alle<br />

Camere la legge ed ha invitato il Parlamento ad una rilettura, ritenendo che “occorre<br />

verificare attentamente che le disposizioni siano pienamente coerenti con la volontarietà<br />

dell’arbitrato e la tutela del contraente debole”. Gli appunti di Napolitano riguardano anche<br />

le competenze della magistratura sulle clausole dei contratti di lavoro, i contratti a tempo<br />

determinato, la tipizzazione delle clausole di licenziamento e l’entità del risarcimento per le<br />

cause di lavoro relative a collaborazioni coordinate e continuative: in tutti questi casi è<br />

chiaramente discutibile che si possa consentire la deroga a principi costituzionali o la<br />

rinuncia a diritti fondamentali dei lavoratori, attraverso una manifestazione di volontà del<br />

contraente debole che, al momento dell’assunzione, presumibilmente non è effettiva.<br />

60 Per una valutazione attenta delle diverse opinioni riscontrabili in materia: v. Lipari, Il ruolo del giudice nella<br />

crisi delle fonti del diritto, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2009, 484 e ss.<br />

61 VIDIRI, La certezza del diritto e l’interpretazione dei contratti collettivi, in Dialoghi. I. L’interpretazione dei<br />

contratti collettivi, in Quad. dir. lav ., Milano, 2004, 92 e ss.<br />

81


L'intervento del Capo dello Stato, che, per la prima volta dalla sua elezione, ha ritenuto di<br />

dover rinviare una legge alle Camere, dimostra come la travagliata vicenda normativa di<br />

questa figura contrattuale sia ben lungi dal ritenersi conclusa.<br />

82


La buona fede oggettiva: un caso di applicazione diretta delle norme<br />

costituzionali nei rapporti interprivatistici di Alberto Paolo Di Flumeri<br />

Nota a Cassazione - Sezione Terza Civile, Sentenza 18 settembre 2009, n. 20106.<br />

“L’obbligo di buona fede oggettiva costituisce espressione di un generale principio di<br />

solidarietà espresso costituzionalmente: esso deve essere inteso come specificazione degli<br />

inderogabili doveri di solidarietà sociale imposti dall’art 2 Cost. secondo cui, ciascuna<br />

parte del rapporto obbligatorio ha il dovere di agire in modo da preservare gli interessi<br />

dell’altra, a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali. Criterio rilevatore<br />

della violazione dell’obbligo di buona fede è quello dell’abuso del diritto. Come<br />

conseguenza di tale, eventuale abuso, l’ordinamento pone una regola generale, nel senso<br />

di rifiutare la tutela a poteri, diritti ed interessi esercitati in violazione delle corrette regole<br />

di esercizio,posti in essere con comportamenti contrari alla buona fede oggettiva. La<br />

violazione di quest’ultima, pertanto, costituisce di per sé inadempimento e può comportare<br />

l’obbligo di risarcire il danno”.<br />

Il caso. La Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi su ricorso di un’associazione di<br />

operatori del mercato automobilistico contro la casa madre (che, avvalendosi della facoltà di<br />

recesso ad nutum prevista dal contratto di concessione di vendita, aveva posto in gravi<br />

difficoltà le controparti contrattuali),con la sentenza in esame ha preso posizione su diverse<br />

questioni: anzitutto, ha “rimeditato”, attraverso il concetto dell’abuso del diritto, la nozione<br />

di diritto soggettivo; ha “ribadito” l’importanza ed il valore delle clausole generali previste<br />

nelle disposizioni del codice civile, in particolare quelle di correttezza, lealtà e buona fede, e<br />

soprattutto ha “riconosciuto” a chiare lettere, alle norme costituzionali, il ruolo e la capacità<br />

di incidere «direttamente» nella disciplina dei rapporti privati, “rivisitando” e superando il<br />

dogma dell’autonomia contrattuale.<br />

Il fatto. Tra il 1992 ed il 1996 i ricorrenti, tutti concessionari di una casa automobilistica,<br />

erano stati revocati dalla società, sulla base della facoltà di recesso ad nutum prevista<br />

dall’art. 12 del contratto di concessione di vendita. Poiché in tale condotta era stato ravvisato<br />

un comportamento abusivo e comunque illecito, veniva fondata l’Associazione<br />

Concessionari Revocati, con lo scopo di programmare, provvedere, sviluppare, organizzare,<br />

gestire ogni iniziativa ed attività idonea alla tutela e difesa, nonché alla rappresentanza, dei<br />

83


diritti dei concessionari d’auto revocati dalla casa automobilistica, aventi sede nel territorio<br />

nazionale.<br />

L’Associazione ed i concessionari revocati convenivano, quindi, la “casa madre” davanti al<br />

Tribunale di Roma, allo scopo di ottenere la declaratoria di illegittimità del recesso per abuso<br />

del diritto e la conseguente sua condanna al risarcimento dei danni subiti. Si costituiva in<br />

giudizio la casa automobilistica chiedendo, a sua volta, il rigetto della domanda e la<br />

condanna alle spese.<br />

Il Tribunale adito, con sentenza 11.6.2001, rigettava la domanda attorea compensando le<br />

spese.<br />

Ad eguale conclusione perveniva la Corte d’Appello che, con sentenza del 13.1.2005,<br />

rigettava gli appelli proposti dall’Associazione e dai concessionari, condannandoli al<br />

pagamento delle spese.<br />

Riteneva, in particolare, la Corte di merito che la previsione del recesso ad nutum in favore<br />

della casa automobilistica rendesse superfluo ogni controllo causale sull’esercizio di tale<br />

potere.<br />

I soccombenti, impugnando la sentenza di appello, proponevano ricorso per Cassazione,<br />

affidato a vari motivi (n.1 come nota in calce), denunciando, in particolare, la violazione e la<br />

falsa applicazione delle clausole generali della buona fede sulla pretesa insindacabilità<br />

degli atti di autonomia privata e della conseguente non applicabilità della figura dell’abuso<br />

del diritto all’esercizio del recesso ad nutum. Resisteva la multinazionale che proponeva<br />

ricorso incidentale. La Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso proposto dai rivenditori<br />

avverso la sentenza che dichiarava legittimo il recesso, affermandone invece la sua<br />

illegittimità per abuso del diritto e disponendo il conseguente risarcimento del danno, ha<br />

affermato principi rilevanti, che per essere compresi nel loro effettivo significato richiedono<br />

un esame dei singoli profili della pronuncia.<br />

Il diritto. La struttura argomentativa della sentenza si sviluppa secondo i seguenti passaggi<br />

logici, sui quali la Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi:<br />

1) il giudice non aveva alcuna possibilità di controllo sull’atto di autonomia privata;<br />

2) la previsione contrattuale del recesso ad nutum dal contratto non consentiva, da parte del<br />

giudicante, il sindacato su tale atto, non essendo necessario alcun controllo causale circa<br />

l’esercizio del potere, perché un tale potere rientrava nella libertà di scelta dell’operatore<br />

economico in un libero mercato;<br />

3) la concedente (casa automobilistica) non doveva tenere conto anche dell’interesse della<br />

controparte o di interessi diversi da quello che essa aveva alla risoluzione del rapporto;<br />

4) la insussistenza di un’ipotesi di recesso illegittimo comportava la non pertinenza del<br />

richiamo agli artt. 1175 e 1375 c.c.;<br />

84


5) i principii di correttezza e buona fede non crea(va)no obbligazioni autonome, ma<br />

rileva(va)no soltanto per verificare il puntuale adempimento di obblighi riconducibili a<br />

determinati rapporti;<br />

6) non sono presenti nel caso in esame i principi enucleati dalla giurisprudenza in tema di<br />

abuso del diritto e ciò perché "La sussistenza di un atto di abuso del diritto (speculare ai<br />

cosiddetti atti emulativi) postula il concorso di un elemento oggettivo, consistente<br />

nell’assenza di utilità per il titolare del diritto, e di un elemento soggettivo costituito<br />

dall’animus nocendi, ossia l’intenzione di nuocere o di recare molestia ad altri";<br />

7)"Il mercato,concepito quale luogo della libertà di iniziativa economica (garantita dalla<br />

Costituzione), presuppone l’esistenza di soggetti economici in grado di esercitare i diritti di<br />

libertà in questione e cioè soggetti effettivamente responsabili delle scelte d’impresa ad essi<br />

formalmente imputabili. La nozione di mercato libero presuppone che il gioco della<br />

concorrenza venga attuato da soggetti in grado di autodeterminarsi";<br />

8) alla libertà di modificare l’assetto di vendita, conseguiva che il recesso ad nutum<br />

rappresentava, per il titolare di tale facoltà, il mezzo più conveniente per realizzare tale fine:<br />

quindi, nessun abuso;<br />

9) l’impossibilità di ipotizzare "un potere del giudice di controllo diretto sugli atti di<br />

autonomia privata, in mancanza di un atto normativo che specifichi come attuare tale astratta<br />

tutela", produce, come effetto, quello della introduzione di "un controllo di opportunità e di<br />

ragionevolezza sull’esercizio del potere di recesso; al che consegue una valutazione politica,<br />

non giurisdizionale dell’atto";<br />

10) l’impossibilità di procedere ad un giudizio di ragionevolezza in ambito privatistico e,<br />

particolarmente, "in ambito contrattuale in cui i valori di riferimento non sono unitari, ma<br />

sono addirittura contrapposti e la composizione del conflitto avviene proprio seguendo i<br />

parametri legali dell’incontro delle volontà su una causa eletta dall’ordinamento come<br />

meritevole di tutela" fa sì che "solo allorché ricorrono contrasti con norme imperative, può<br />

essere sanzionato l’esercizio di una facoltà, ma al di fuori di queste ipotesi tipiche,<br />

normativamente previste, residua la più ampia libertà della autonomia privata".<br />

I punti evidenziati possono essere riassunti e considerati come segue 62 .<br />

L’abuso del diritto. I limiti al diritto soggettivo.<br />

Il primo dato da sottolineare è fondato sulle statuizioni alla figura dell’abuso del diritto. La<br />

Corte prende le mosse da una ricostruzione storico – normativa dell’istituto, per giungere ad<br />

un suo diverso inquadramento nel sistema normativo attuale.<br />

62 Va avvertito che la presente indagine si fonda quasi esclusivamente su una ricostruzione della sentenza della<br />

Cassazione in commento, attraverso una tecnica di scomposizione e ricomposizione, integrata solo da alcuni<br />

spunti dottrinali e giurisprudenziali di approfondimento.<br />

85


Così, per gli ermellini “Nel nostro codice (civile) non esiste una norma che sanzioni, in via<br />

generale, l’abuso del diritto. Ora, la cultura giuridica degli anni '30 fondava l’abuso del<br />

diritto, più che su di un principio giuridico, su di un concetto di natura etico morale, con la<br />

conseguenza che colui che ne abusava era considerato meritevole di biasimo, ma non di<br />

sanzione giuridica. Questo contesto culturale, unito alla preoccupazione per la certezza - o<br />

quantomeno prevedibilità del diritto -, in considerazione della grande latitudine di potere che<br />

una clausola generale, come quella dell’abuso del diritto, avrebbe attribuito al giudice,<br />

impedì che fosse trasfusa, nella stesura definitiva del codice civile italiano del 1942, quella<br />

norma del progetto preliminare (art. 7) che proclamava, in termini generali, che "nessuno<br />

può esercitare il proprio diritto in contrasto con lo scopo per il quale il diritto medesimo gli è<br />

stato riconosciuto" (così ponendosi l’ordinamento italiano in contrasto con altri ordinamenti,<br />

ad es. tedesco, svizzero e spagnolo); preferendo, invece, ad una norma di carattere generale,<br />

norme specifiche che consentissero di sanzionare l’abuso in relazione a particolari categorie<br />

di diritti”.<br />

Tuttavia, se queste erano le posizioni storiografiche dell’ordinamento giuridico intorno<br />

all’istituto dell’abuso del diritto, afferma la Corte, “in un mutato contesto storico, culturale e<br />

giuridico, un problema di così pregnante rilevanza è stato oggetto di rimeditata attenzione da<br />

parte della Corte di legittimità (v. applicazioni del principio in Cass., 8.4.2009, n. 8481;<br />

Cass., 20.3.2009, n. 6800; Cass., 17.10.2008, n. 29776; Cass., 4.6.2008, n. 14759; Cass., 11.<br />

5.2007, n. 10838)”.<br />

Dunque, il mutamento della realtà storica, culturale e giuridica impone, a detta della<br />

Cassazione, una “rimeditazione” dell’istituto in parola, come per altro confermato da un lato,<br />

da una normativa positiva sempre più attenta alle posizioni delle parti contrapposte 63 e<br />

dall’altro, da una giurisprudenza più propensa a limitare eventuali posizioni di supremazia e<br />

63 La dottrina, specie negli ultimi decenni, ha progressivamente individuato molteplici norme che sarebbero<br />

espressioni del più generale divieto di abuso del diritto, giungendo ad estrapolare un principio generale che<br />

spesso è stato esteso a fattispecie non previste espressamente dal legislatore. Più in particolare, sarebbero<br />

espressioni del divieto di abusare del proprio diritto: * l’articolo 833 c.c. sul divieto di atti emulativi; * gli articoli<br />

1175, 1337, 1375; il debitore e il creditore infatti devono comportarsi secondo le regole della correttezza, il che<br />

significa che non possono abusare della propria posizione utilizzando in modo distorto e per fini illeciti dei diritti<br />

nascenti dalla legge o dal contratto. Alcuni autori hanno ravvisato la possibilità di sanzionare gli abusi del proprio<br />

diritto anche nella clausola generale del 2043; la norma dice infatti che chiunque, con colpa o dolo, provoca ad<br />

altri un danno ingiusto deve risarcire il danno. Ora, l’ingiustizia non è un istituto giuridico definito, e<br />

individuabile a priori, ma va definita tenendo presente gli interessi delle parti contrapposte, e ben può risultare<br />

dall’utilizzo, con colpa o dolo, di un proprio diritto al solo scopo di danneggiare qualcuno. La normativa dei<br />

contratti del consumatore, poi, ha dato una decisiva svolta all’elaborazione dell’istituto; il legislatore del 1996,<br />

infatti, aveva introdotto l’articolo 1469 bis e seguenti del codice civile, prevedendo espressamente il divieto di<br />

“clausole abusive”, in sostanza, vietando al contraente forte di abusare della sua posizione, mediante<br />

l’inserimento di clausole formalmente legittime ma sostanzialmente idonee a squilibrare a danno dell’altro<br />

contraente i diritti e gli obblighi nascenti dal contratto. Il testo attuale dell’articolo 33 del T.U. codice del<br />

consumo non chiama più “abusive” le clausole di questo tipo, che vengono qualificate “vessatorie”, ma il<br />

principio generale della legge è rimasto inalterato, ed è quello di evitare abusi del contraente forte ai danni del<br />

contraente debole. In tal senso: P. FRANCESCHETTI, in: Relazione sulla prima traccia di diritto civile,<br />

nell’ambito dell’esame di avvocato 2009, in www.altalex.com<br />

86


di relativa dipendenza, anche economica, nella necessità di un riequilibrio delle situazioni<br />

giuridiche in conflitto 64 , come ricorda nella massima de qua la stessa Corte di legittimità 65 .<br />

Sulla base di tali presupposti, la Cassazione, pertanto, ritiene il divieto di abuso del diritto<br />

principio definitivamente entrato a far parte dell’ordinamento giuridico; non solo, ne delinea<br />

anche gli elementi costitutivi individuandoli in: 1) la titolarità di un diritto soggettivo in capo<br />

64 Applicazioni giurisprudenziali del principio si sono avute (solo per rimanere a quelle più recenti) con i seguenti<br />

istituti: * nel contratto autonomo di garanzia, ove il debitore può opporre, al creditore che si avvalga dolosamente<br />

della clausola a prima richiesta, la cosiddetta exceptio doli (Cass., sentenza 29215/2008 - vedi anche Altalex<br />

Mese - Schede di Giurisprudenza); * nel divieto di abusare di un istituto processuale: nella fattispecie la Cass a<br />

SS.UU., sentenza 23726/2007 (vedi anche Altalex Mese - Schede di Giurisprudenza) ha stabilito che al creditore<br />

che agisce in giudizio per l’adempimento del creditore, non è consentito di frazionare ingiustificatamente il<br />

proprio credito, perché ciò si traduce in un inutile aggravio della posizione debitoria, e in un abuso del diritto da<br />

parte del creditore); * nel divieto di utilizzare un istituto fiscale a soli fini elusivi (Cass. SS.UU., sentenza<br />

15029/2009). * in materia di condominio, la Cassazione ha stabilito che il condomino che apre un varco nel muro<br />

condominiale per accedere più agevolmente ad una sua proprietà commette un abuso di diritto (Cass., sentenza<br />

26796/2007 - vedi anche Altalex Mese - Schede di Giurisprudenza). * in materia di diritti familiari, abusa del suo<br />

diritto anche il padre che prende un congedo parentale e poi utilizza il permesso per svolgere un’altra attività<br />

lavorativa anziché dedicarsi alla cura del figlio (sentenza 16207/2008; * nell’ambito dei rapporti bancari, più<br />

volte la Cassazione ha stabilito che è illegittimo il comportamento dell’istituto di credito che cagioni danno al<br />

cliente (ad esempio il recesso improvviso della banca dal contratto di scoperto o di conto corrente, oppure la<br />

compensazione tra due crediti senza preavviso), quand’anche tale comportamento sia previsto dal contratto, se è<br />

esercitato senza motivo e con modalità tali da creare un serio danno economico al cliente (tra le tante Cass.<br />

18947/2005). In tal senso: P. FRANCESCHETTI, Relazione, op. cit.<br />

65 Così, in materia societaria è stato sindacato, in una deliberazione assembleare di scioglimento della società,<br />

l'esercizio del diritto di voto sotto l'aspetto dell'abuso di potere, ritenendo principio generale del nostro<br />

ordinamento, anche al di fuori del campo societario, quello di non abusare dei propri diritti - con approfittamento<br />

di una posizione di supremazia - con l'imposizione, nelle delibere assembleari, alla maggioranza, di un vincolo<br />

desunto da una clausola generale quale la correttezza e buona fede (contrattuale). In questa ottica i soci debbono<br />

eseguire il contratto secondo buona fede e correttezza nei loro rapporti reciproci, ai sensi degli artt. 1175 e 1375<br />

c.c., la cui funzione è integrativa del contratto sociale, nel senso di imporre il rispetto degli equilibri degli<br />

interessi di cui le parti sono portatrici. E la conseguenza è quella della invalidità della delibera, se è raggiunta la<br />

prova che il potere di voto sia stato esercitato allo scopo di ledere gli interessi degli altri soci, ovvero risulti in<br />

concreto preordinato ad avvantaggiare ingiustificatamente i soci di maggioranza in danno di quelli di minoranza,<br />

in violazione del canone generale di buona fede nell'esecuzione del contratto (v. Cass. 11.6.2003 n. 9353). Con il<br />

rilievo che tale canone generale non impone ai soggetti un comportamento a contenuto prestabilito, ma rileva<br />

soltanto come limite esterno all'esercizio di una pretesa, essendo finalizzato al contemperamento degli opposti<br />

interessi (Cass. 12.12.2005 n. 27387). Ancora, sempre nell'ambito societario, la materia dell'abuso del diritto è<br />

stata esaminata con riferimento alla qualità di socio ed all'adempimento secondo buona fede delle obbligazioni<br />

societarie ai fini della sua esclusione dalla società (Cass. 19.12.2008 n. 29776), ed al fenomeno dell'abuso della<br />

personalità giuridica quando essa costituisca uno schermo formale per eludere la più rigida applicazione della<br />

legge (v. anche Cass. 25.1.2000 n. 804; Cass. 16.5.2007 n. 11258). In tal caso, proprio richiamando l'abuso, ne<br />

sarà possibile, per così dire, il suo "disvelamento" (piercing the corporate veil). Nell'ambito, poi, dei rapporti<br />

bancari è stato più volte riconosciuto che, in ossequio al principio per cui il contratto deve essere eseguito<br />

secondo buona fede (art. 1375 cod. civ.), non può escludersi che il recesso di una banca dal rapporto di apertura<br />

di credito, benché pattiziamente consentito anche in difetto di giusta causa, sia da considerarsi illegittimo ove in<br />

concreto assuma connotati del tutto imprevisti ed arbitrari (Cass. 21.5.1997 n. 4538; Cass. 14.7.2000 n. 9321;<br />

Cass. 21.2.2003 n. 2642). E, con riferimento ai rapporti di conto corrente, è stato ritenuto che, in presenza di una<br />

clausola negoziale che, nel regolare tali rapporti, consenta all'istituto di credito di operare la compensazione tra i<br />

saldi attivi e passivi dei diversi conti intrattenuti dal medesimo correntista, in qualsiasi momento, senza obbligo di<br />

preavviso, la contestazione sollevata dal cliente che, a fronte della intervenuta operazione di compensazione,<br />

lamenti di non esserne stato prontamente informato e di essere andato incontro, per tale motivo, a conseguenze<br />

pregiudizievoli, impone al giudice di merito di valutare il comportamento della banca alla stregua del<br />

fondamentale principio della buona fede nella esecuzione del contratto. Con la conseguenza, in caso contrario, del<br />

riconoscimento a carico della banca, di una responsabilità per risarcimento dei danni (Cass. 28.9.2005 n. 18947).<br />

In materia contrattuale, poi, gli stessi principii sono stati applicati, in particolare, con riferimento al contratto di<br />

mediazione (Cass. 5.3.2009 n. 5348), al contratto di sale and lease back connesso al divieto di patto commissorio<br />

ex art. 2744 c.c., (Cass. 16.10.1995 n. 10805; Cass. 26.6.2001 n. 8742; Cass. 22.3.2007 n. 6969; Cass. 8.4.2009 n.<br />

8481), ed al contratto autonomo di garanzia ed exceptio doli (Cass. 1.10.1999 n. 10864; Cass. 28.7.2004 n.<br />

14239; Cass. 7.3.2007 n. 5273). Del principio dell'abuso del diritto è stato, da ultimo, fatto frequente uso in<br />

materia tributaria, fondandolo sul riconoscimento dell'esistenza di un generale principio antielusivo (v. per tutte<br />

S.U. 23.10.2008 nn. 30055, 30056, 30057).<br />

87


ad un soggetto; 2) la possibilità che il concreto esercizio di quel diritto possa essere<br />

effettuato secondo una pluralità di modalità non rigidamente predeterminate; 3) la<br />

circostanza che tale esercizio concreto, anche se formalmente rispettoso della cornice<br />

attributiva di quel diritto, sia svolto secondo modalità censurabili rispetto ad un criterio di<br />

valutazione, giuridico od extragiuridico; 4) la circostanza che, a causa di una tale modalità di<br />

esercizio, si verifichi una sproporzione ingiustificata tra il beneficio del titolare del diritto ed<br />

il sacrifico cui è soggetta la controparte.<br />

Dopo di che, la Corte precisa: “L’abuso del diritto, quindi, lungi dal presupporre una<br />

violazione in senso formale, delinea l’utilizzazione alterata dello schema formale del diritto,<br />

finalizzata al conseguimento di obiettivi ulteriori e diversi rispetto a quelli indicati dal<br />

Legislatore”.<br />

L’abuso del diritto “E’ ravvisabile, in sostanza, quando, nel collegamento tra il potere di<br />

autonomia conferito al soggetto ed il suo atto di esercizio, risulti alterata la funzione<br />

obiettiva dell’atto rispetto al potere che lo prevede. Come conseguenze di tale, eventuale<br />

abuso, l’ordinamento pone una regola generale, nel senso di rifiutare la tutela ai poteri,<br />

diritti e interessi, esercitati in violazione delle corrette regole di esercizio, posti in essere<br />

con comportamenti contrari alla buona fede oggettiva. E nella formula della mancanza di<br />

tutela, sta la finalità di impedire che possano essere conseguiti o conservati i vantaggi<br />

ottenuti - ed i diritti connessi - attraverso atti di per sé strutturalmente idonei, ma esercitati<br />

in modo da alterarne la funzione, violando la normativa di correttezza, che è regola cui<br />

l’ordinamento fa espresso richiamo nella disciplina dei rapporti di autonomia privata”.<br />

Le conclusioni a cui perviene la Corte, pertanto, consentono di ritenere che, al di là della<br />

mera radice etimologica 66 del termine “abuso del diritto” necessario è, invece, indicare un<br />

limite, in questo caso secondo i giudici, esterno all’esercizio, potenzialmente pieno ed<br />

assoluto, del diritto soggettivo; non solo, la Cassazione sottolinea anche come il disporre di<br />

un potere non è condizione sufficiente per il suo legittimo esercizio.<br />

Sicché, due sono gli elementi su cui sofferma l’attenzione la Suprema Corte:<br />

1) il diritto soggettivo non è illimitato: esso trova dei limiti, che a loro volta sono sia esterni<br />

che interni alla situazione soggettiva.<br />

66 Si ha abuso nel caso di uso anormale del diritto che conduca il comportamento del singolo fuori dalla sfera del<br />

diritto soggettivo esercitato, per il fatto di porsi in contrasto con gli scopi etici e sociali per cui il diritto stesso<br />

viene riconosciuto e protetto dall’ordinamento giuridico positivo. Un siffatto comportamento “abusivo”<br />

costituisce, quindi, un illecito sanzionato secondo le norme generali di diritto in materia. L’opinione espressa è<br />

ripresa in: F. PICIERNO: Freno della Cassazione ai comportamenti scorretti dei colossi economici-<br />

Sent.20106.09. Nota a Corte di Cassazione - Sezione Terza Civile, Sentenza 18 settembre 2009 n. 20106., in<br />

www.uilpadirigentiministeriali.com<br />

88


2) L’abuso del diritto 67 è un esercizio contrario o comunque estraneo alla funzione della<br />

situazione soggettiva 68 .<br />

Esso si configura ogni qual volta l’esercizio concreto del diritto pur rispettando<br />

“formalmente” il dettato normativo, sostanzialmente produce una ingiustificata sproporzione<br />

tra le parti, ovvero fra il beneficio del titolare del diritto e il sacrificio imposto alla<br />

controparte.<br />

In modo particolare la Corte sottolinea come vi sia uno stretto collegamento tra il diritto<br />

soggettivo e l’esercizio abusivo dello stesso, ritenendo che il superamento dei limiti interni o<br />

di alcuni limiti esterni del diritto determinerà il suo abuso, prospettando la necessità di una<br />

correlazione tra i poteri conferiti e lo scopo per i quali sono conferiti dall’ordinamento ad un<br />

dato soggetto di diritto.<br />

Il fine da perseguire, dicono gli ermellini, è quello di evitare che il diritto soggettivo, che<br />

spetta a qualunque consociato che ne sia portatore, possa sconfinare nell’arbitrio: da ciò il<br />

rilievo dell’abuso nell’esercizio del proprio diritto.<br />

Il diritto soggettivo, categoria da sempre controversa, dunque, sembra perdere<br />

definitivamente la sua centralità nell’esigenza, invece, di prendere in considerazione gli<br />

interessi che sottendono al regolamento del caso concreto.In una realtà nella quale<br />

all’attribuzione dei diritti si accompagnano doveri ed obblighi, le situazioni favorevoli,<br />

infatti, non possono essere considerate isolatamente.<br />

Non è più concepibile una concezione del diritto soggettivo come potere della volontà 69 : non<br />

esiste un diritto soggettivo illimitato, attribuito nell’esclusivo interesse del soggetto, tale<br />

addirittura da configurarsi come un’entità predata, cioè preesistente all’ordinamento.<br />

In estrema sintesi è possibile affermare come, nell’ordinamento moderno l’interesse (che<br />

sottende alla situazione giuridica soggettiva, sia essa di diritto soggettivo che di interesse<br />

67 Inizialmente si discuteva di abuso di diritto con riguardo pressoché esclusivo al campo dei diritti reali,<br />

coniando la definizione classica di “abuso del diritto” secondo la quale è ritenuto sussistente “ogni qualvolta un<br />

diritto attribuito dalla legge venga utilizzato dal suo titolare in modo non confacente alla funzione economico –<br />

sociale per la quale esso è stato protetto, allorché quindi esso sia esercitato per realizzare finalità diverse da quelle<br />

per le quali il diritto è stato riconosciuto e contrastanti con valori protetti dall’ordinamento”. In questa tendenza la<br />

sanzione comminata per l’accertato esercizio abusivo del diritto si è esaurita nel riconoscimento della<br />

responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c. Nella più recente giurisprudenza si è ravvisata la tendenza ad<br />

estendere la verifica di un possibile abuso all’area dei diritti di credito, individuando il criterio di accertamento<br />

nella clausola generale della buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. Ne deriva una nozione alquanto<br />

variegata di abuso del diritto che, nel caso di diritti reali, descrive un comportamento che supera o addirittura<br />

modifica la ratio della norma attributiva del diritto medesimo; nel caso di diritti relativi, indica la violazione del<br />

dovere (contrattuale) di buona fede: in entrambi i casi, comunque, esprime una violazione del principio di<br />

solidarietà di cui all’art 2 Cost., di cui la buona fede nei rapporti obbligatori e contrattuali, secondo le più<br />

autorevoli dottrine, ne costituisce applicazione. Così: F. PICIERNO: Freno della Cassazione ai comportamenti<br />

scorretti dei colossi economici, op. cit., p. 3.<br />

68 In tal senso: P. PERLINGIERI, in Il diritto civile nella legalità costituzionale, secondo il sistema italo –<br />

comunitario delle fonti, Napoli, 2006, p. 635 ss. a cui si rinvia anche per gli ulteriori spunti bibliografici.<br />

69 La formulazione del diritto soggettivo come potere o signoria della volontà si fa risalire a F. K. VON<br />

SAVIGNY, Sistema del diritto romano attuale, Torino, 1886, p. 336 ss. ed elaborata dalla Pandettistica tedesca, a<br />

cui si è ispirata buona parte della dogmatica italiana.<br />

89


legittimo) è tutelato in quanto rispondente non soltanto all’interesse del titolare, ma anche a<br />

quello della collettività 70 .<br />

Dunque, se il comportamento concreto non è giustificato dall’interesse che permea di sé la<br />

funzione del rapporto giuridico si configura un abuso.<br />

In definitiva, nella valutazione del caso concreto bisogna sempre avere come punto di<br />

riferimento gli interessi che si intendono perseguire e quelli che l’ordinamento consente di<br />

realizzare, in una prospettiva dinamica, relazionale delle situazioni giuridiche, che parta dalla<br />

considerazione della situazione iniziale, viene disciplinata dalla normativa giuridica e giunge<br />

alla realizzazione del rapporto finale: pertanto, in tale prospettiva, si avrà abuso ogni qual<br />

volta che un comportamento, pur coincidendo con il contenuto formale del diritto, in<br />

sostanza ne costituisce una deviazione 71 .<br />

Il controllo degli atti di autonomia privata.<br />

Per tali ragioni, dunque, necessario diviene il controllo degli atti di autonomia privata, la<br />

quale non può essere considerata un “dogma”. Si supera la visione per cui l’atto di<br />

autonomia è vincolante in quanto espressione della volontà del soggetto, sì che prevalente è<br />

la tutela di chi la manifesta 72 .<br />

In uno Stato sociale di diritto, occorre verificare se un singolo atto di autonomia è lecito,<br />

meritevole di tutela, ragionevole e proporzionato, conforme cioè ai principi ed ai valori<br />

presenti nell’ordinamento giuridico; e legittimato ad eseguire un siffatto controllo è chiunque<br />

ne abbia la competenza (id est: magistrato, giurista, notaio, avvocato, Autorithy, etc.) 73 .<br />

Così, nel caso in esame la Corte di Cassazione sottolinea come “nell’ipotesi in cui il rapporto<br />

evolva in chiave patologica e sia richiesto l’intervento del giudice, a quest’ultimo spetta di<br />

interpretare il contratto, ai fini della ricerca della comune intenzione dei contraenti.<br />

Ciò vuol significare che l’atto di autonomia privata è, pur sempre, soggetto al controllo<br />

giurisdizionale: controllo, per altro, pienamente riconosciuto dalla giurisprudenza<br />

consolidata.<br />

Sicché, correttamente la Corte ritiene da un lato, che non possano esservi atti leciti in quanto<br />

tali, ma essi al contrario, poiché rivolti alla realizzazione di interessi che debbono rispondere<br />

70<br />

Le riflessioni espresse sono riassunte da: P. PERLINGIERI, in Il diritto civile nella legalità costituzionale, op.<br />

cit., p. 636 ss.<br />

71<br />

Ad esempio si ha abuso quando si minaccia di far valere un diritto allo scopo di estorcere un consenso che<br />

faccia conseguire vantaggi ingiusti: c.d. violenza morale, art. 1438 c.c. L’esempio, al pari delle notazioni espresse<br />

sono riassunte da: P. PERLINGIERI, in Il diritto civile nella legalità costituzionale, op. cit., p. 643 ss. al quale si<br />

rinvia anche per ulteriori approfondimenti e per la relativa bibliografia.<br />

72<br />

È questa, infatti, una tesi particolarmente rilevante nella dogmatica che solo da pochi anni è stata scalfita dalla<br />

giurisprudenza sotto la spinta di altra parte della dottrina.<br />

73<br />

In tal senso: P. PERLINGIERI, in Il diritto civile nella legalità costituzionale, op. ult. cit., p. 320 ss. al quale si<br />

rimanda per una approfondita disamina delle diverse posizioni dottrinarie e per le loro implicazioni sul piano<br />

pragmatico.<br />

90


ai principi espressi dal dettato costituzionale, sono bisognosi sempre di un controllo e,<br />

dall’altro sottolinea come non esistano ambiti dell’ordinamento dove il controllo<br />

giurisdizionale debba essere meno incisivo (al contrario di quanto erroneamente affermato<br />

dai giudici di merito) .<br />

Il Collegio sostiene, dunque, il necessario superamento della visione per cui non è compito<br />

del giudice valutare le scelte imprenditoriali delle parti in causa (soggetti economici).<br />

Infatti, se non sussiste alcun dubbio che le scelte decisionali in materia economica non siano<br />

oggetto di sindacato giurisdizionale rientrando nelle prerogative dell’imprenditore operante<br />

nel mercato, che si assume il rischio economico delle scelte effettuate,<br />

le ragioni che sono a monte della conclusione ed esecuzione di un determinato rapporto<br />

negoziale, non escludono - ma anzi prevedono - un controllo da parte del giudice, al fine di<br />

valutare se l’esercizio della facoltà riconosciuta all’autonomia contrattuale abbia operato in<br />

chiave elusiva dei principii espressione dei canoni generali della buona fede, della lealtà e<br />

della correttezza.<br />

La libertà di scelta dell’imprenditore in sé non è scalfita: ciò che è censurato dai giudici è<br />

l’abuso, ma non di tale scelta, sebbene dell’atto di autonomia contrattuale che è stato posto in<br />

essere.<br />

Non solo, la Corte afferma anche come sia errato il parere del giudice di merito quando ha<br />

affermato che vi è un’impossibilità di procedere ad un giudizio di ragionevolezza in ambito<br />

contrattuale, escludendo in tal modo che l’autorità giudiziaria possa svolgere un controllo<br />

sull’esercizio del potere di recesso: ritenere diversamente, a detta del collegio di merito,<br />

infatti, si sarebbe tradotto in una valutazione politica (condotta sull’atto di autonomia<br />

privata).<br />

Al contrario per la Corte di legittimità il problema non è politico, ma squisitamente giuridico<br />

ed investe i rimedi contro l’abuso dell’autonomia privata e dei rapporti di forza sul mercato;<br />

problemi questi che sono oggetto di attenzione anche da parte di tutti gli ordinamenti<br />

contemporanei, a causa dell’incremento delle situazioni di disparità di forze fra gli operatori<br />

economici.<br />

In sintesi due sono i dati rilevanti espressi dalla Corte di legittimità:<br />

1) il tema del controllo degli atti di autonomia privata quale problema non politico ma<br />

strettamente giuridico: sicché, gli atti di autonomia non possono, ma “devono” essere<br />

soggetti ad un vaglio di ragionevolezza da parte del giudice di merito;<br />

2) la libertà d’iniziativa economica non viene scalfita da una valutazione dei termini in cui si<br />

esplica e si manifesta, in quanto essa viene riconosciuta e tutelata dall’ordinamento solo là<br />

dove risponde alla utilità e funzione sociale previste dalla Costituzione ex artt. 41 e 42.<br />

91


La buona fede oggettiva come parametro di valutazione del caso concreto.<br />

I criteri per effettuare il controllo dell’atto di autonomia negoziale sono, per la Cassazione, la<br />

valutazione dell’abuso del diritto ed il rispetto dei principii di buona fede, lealtà e<br />

correttezza.<br />

La Corte, infatti, afferma come “criterio rivelatore della violazione dell’obbligo di buona<br />

fede è - proprio quello - dell’abuso del diritto”.<br />

Particolare importanza acquista il canone della buona fede, tanto che i giudici affermano<br />

come “in tema di contratti, il principio della buona fede oggettiva, cioè della reciproca lealtà<br />

di condotta deve presiedere all’esecuzione del contratto così come alla sua formazione ed<br />

alla sua interpretazione ed, in definitiva, accompagnarlo in ogni sua fase (Cass. 5.3.2009 n.<br />

5348; Cass. 11.6. 2008 n. 15476).<br />

Ne consegue che la clausola generale di buona fede e correttezza è operante, tanto sul piano<br />

dei comportamenti del debitore e del creditore nell’ambito del singolo rapporto obbligatorio<br />

(art. 1175 c.c.), quanto sul piano del complessivo assetto di interessi sottostanti<br />

all’esecuzione del contratto (art. 1375 c.c.). L’obbligo di buona fede oggettiva o correttezza<br />

costituisce un autonomo dovere giuridico, espressione di un generale principio di solidarietà<br />

sociale, la cui costituzionalizzazione è ormai pacifica (v. in questo senso, fra le altre, Cass.<br />

15.2.2007, n. 3462).<br />

Una volta collocato nel quadro dei valori introdotto dalla Carta costituzionale, poi, il<br />

principio deve essere inteso come una specificazione degli "inderogabili doveri di solidarietà<br />

sociale" imposti dall’art. 2 Cost., e la sua rilevanza si esplica nell’imporre, a ciascuna delle<br />

parti del rapporto obbligatorio, il dovere di agire in modo da preservare gli interessi<br />

dell’altra, a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto<br />

espressamente stabilito da singole norme di legge. In questa prospettiva, si è pervenuti ad<br />

affermare che il criterio della buona fede costituisce strumento, per il giudice, atto a<br />

controllare, anche in senso modificativo od integrativo, lo statuto negoziale, in funzione di<br />

garanzia del giusto equilibrio degli opposti interessi.<br />

La buona fede, in sostanza, serve a mantenere il rapporto giuridico nei binari dell’equilibrio<br />

e della proporzione. Il principio della buona fede oggettiva deve accompagnare il<br />

contratto nel suo svolgimento, dalla formazione all’esecuzione ed essendo espressione del<br />

dovere di solidarietà fondato sull’art. 2 Cost., impone a ciascuna delle parti del rapporto<br />

obbligatorio di agire nell’ottica di un bilanciamento degli interessi vicendevoli, a prescindere<br />

dall’esistenza di precisi obblighi contrattuali o di norme specifiche.<br />

La sua violazione, pertanto, costituisce di per sé inadempimento e può comportare l’obbligo<br />

di risarcire il danno che ne sia derivato (v. anche S.U. 15.11.2007 n. 23726; Cass. 22.1.2009<br />

n. 1618; Cass. 6.6.2008 n. 21250; Cass. 27.10.2006 n. 23273; Cass. 7.6.2006 n. 13345; Cass.<br />

92


11.1.2006 n. 264). II criterio della buona fede costituisce, quindi, uno strumento per il<br />

giudice, finalizzato al controllo - anche in senso modificativo o integrativo - dello statuto<br />

negoziale: e ciò quale garanzia di contemperamento degli opposti interessi (v. S.U.<br />

15.11.2007 n. 23726).<br />

Secondo la Cassazione i principii della buona fede oggettiva e dell’abuso del diritto si<br />

integrano a vicenda, costituendo la buona fede un canone generale cui ancorare la condotta<br />

delle parti, anche di un rapporto privatistico e l’interpretazione dell’atto giuridico di<br />

autonomia privata e, prospettando l’abuso, la necessità di una correlazione tra i<br />

poteri conferiti e lo scopo per i quali essi sono conferiti.<br />

Soluzione del caso concreto.<br />

Secondo la Corte, i giudici di merito avrebbero dovuto interpretare le clausole del contratto<br />

(di concessione di vendita), in particolare quella che prevedeva il recesso ad nutum, anche al<br />

fine di riconoscere l’eventuale diritto al risarcimento del danno per l’esercizio di tale facoltà<br />

in modo non conforme alla correttezza ed alla buona fede e, attuata con modalità e per<br />

perseguire fini diversi ed ulteriori rispetto a quelli consentiti. In questa ottica, dunque, il<br />

controllo e l’interpretazione dell’atto di autonomia privata deve essere condotto tenendo<br />

presente il ruolo delle parti, al fine di valutare se posizioni di supremazia di una di esse e di<br />

eventuale dipendenza, anche economica, dell’altra siano forieri di comportamenti abusivi,<br />

posti in essere per raggiungere i fini che la parte si è prefissata.<br />

Per questa ragione il giudice di merito, secondo la Corte, nel controllare ed interpretare l’atto<br />

di autonomia privata, deve operare anche in funzione del contemperamento degli opposti<br />

interessi delle parti contrattuali 74 .Ovvero: posto che si verte in tema di interessi contrapposti,<br />

di cui erano portatrici le parti, il punto rilevante è quello della proporzionalità dei mezzi<br />

usati.<br />

Proporzionalità che esprime una certa procedimentalizzazione nell’esercizio del diritto di<br />

recesso per esempio attraverso la previsione di trattative, il riconoscimento di indennità, ecc.<br />

In questo senso, la Corte di Appello avrebbe dovuto valutare se il recesso ad nutum previsto<br />

in contratto, era stato attuato con modalità e per fini diversi ed ulteriori rispetto a quelli<br />

consentiti.<br />

In ipotesi di eventuale disparità di forze fra i contraenti, la verifica giudiziale del<br />

carattere abusivo o meno del recesso deve essere più ampia e rigorosa, e può prescindere dal<br />

dolo e dalla specifica intenzione di nuocere: elementi questi tipici degli atti emulativi, ma<br />

non delle fattispecie di abuso di potere contrattuale o di dipendenza economica.<br />

74 Così: F. PICIERNO: Freno della Cassazione ai comportamenti scorretti dei colossi economici, op. cit., p. 3.<br />

93


Per il Giudice di legittimità, ad opinare diversamente, le conseguenze a cui condurrebbe<br />

l’interpretazione proposta della sentenza impugnata, sarebbero inaccettabili. In particolare,<br />

l’esclusione della valorizzazione e valutazione della buona fede oggettiva e della rilevanza<br />

anche dell’eventuale esercizio abusivo del recesso consentirebbero che il recesso ad nutum si<br />

trasformi in un recesso arbitrario, cioè ad libitum, di sicuro non consentito dall’ordinamento<br />

giuridico.<br />

Considerazioni conclusive. Verso la necessaria applicazione diretta delle norme<br />

costituzionali.<br />

La sentenza scrutinata rappresenta un importante punto di partenza, realizzato “ai livelli alti<br />

del sistema giudiziario”, sulla possibilità di rimarcare scelte già compiute in alcuni ambiti<br />

dalla stessa giurisprudenza e dalla dottrina più attenta, ma soprattutto sulla necessità di<br />

rivedere norme, istituti e, per tale via l’intero sistema di diritto civile attuale, alla luce del<br />

dettato costituzionale.<br />

La formula dovrebbe essere quella della “rilettura del codice civile e delle leggi speciali alla<br />

luce della Costituzione repubblicana” 75 . Ed in effetti, è solo se si comprende e si aderisce a<br />

tale impostazione che diventa possibile riconoscere:<br />

- che non più rispondente al sistema attuale è la visione di un’autonomia contrattuale quale<br />

dogma, ma al contrario, gli atti di autonomia privata trovano una serie necessaria di<br />

limitazioni, nel rispetto dei singoli interessi coinvolti nel caso concreto;<br />

- che il diritto soggettivo è qualificato dalla sussistenza di vincoli interni ed esterni che<br />

concorrono ad individuarne contenuto e funzione;<br />

- che le clausole generali presenti a livello codicistico (buona fede, correttezza, diligenza,<br />

ordine pubblico) costituiscono espressioni generali del principio di solidarietà costituzionale;<br />

- che la disciplina dei rapporti giuridici non è solo autoregolamentazione (ciò che è voluto<br />

dalle parti) ma è anche etero- regolamentazione (ciò che il sistema consente di realizzare);<br />

- che gli atti di autonomia negoziale, e più in generale qualsiasi fatto capace di generare un<br />

effetto è sempre giuridicamente rilevante per l’ordinamento;<br />

- che tutto quanto accade all’interno del sistema di diritto non solo può essere sottoposto ad<br />

un controllo di legalità, ma deve sottostare ad una verifica di legittimità e soprattutto di<br />

meritevolezza alla luce dei principi (ragionevolezza, adeguatezza, proporzionalità, ecc.) e dei<br />

valori riconosciuti dalla Carta costituzionale;<br />

75 Tale regola è espressa in modo pregnante in: P. PERLINGIERI, Il diritto civile nella legalità costituzionale,<br />

op. cit., p. 535 e ss., alla cui opera si rinvia per comprendere appieno il significato, i profili argomentativi e le<br />

problematiche da superare per una definitiva affermazione del dettato costituzionale quale vero centro<br />

dell’ordinamento, in sede non solo statica e normativa, ma dinamica ed applicativa.<br />

94


- che le norme giuridiche, per il loro particolare essere, pur se nate per rispondere ad<br />

esigenze proprie di un determinato contesto storico, sono chiamate ad operare in epoche<br />

diverse e, per tanto, debbono essere interpretate alla luce dei valori di riferimento di quel<br />

periodo e non secondo i canoni del solo art. 12 delle preleggi;<br />

- che l’interpretazione non può che essere sempre evolutiva ed adeguatrice del dettato<br />

normativo alla luce delle scelte di fondo del sistema costituzionale.<br />

In altri termini, il problema che si pone è quello di verificare l’esistenza di un centro effettivo<br />

dell’ordinamento, a cui riconnettere le scelte in sede legislativa ed ancor più applicativa.<br />

Ebbene, questo nucleo non può certamente rintracciarsi nel solo codice civile, né nella<br />

normativa di derivazione regionale o comunitaria, ma il vero centro del sistema attuale non<br />

può che essere riconosciuto alla Costituzione repubblicana, con i principi ed i valori che essa<br />

racchiude e che l’interprete del diritto, ogni interprete è chiamato a realizzare.<br />

Le norme costituzionali non hanno mero carattere programmatico ma incidono<br />

sostanzialmente nei rapporti interprivatistici. Sia nell’applicazione c.d. indiretta - che ha<br />

luogo quando sussistano nella legislazione ordinaria una normativa specifica, o clausole<br />

generali o principi espressi -, sia nell’applicazione c.d. diretta – così definita per l’assenza di<br />

un qualsiasi enunciato normativo ordinario -, la norma costituzionale finisce per essere<br />

utilizzata comunque.<br />

Si può allora concludere che l’insorgere del costituzionalismo moderno e l’introduzione della<br />

legalità costituzionale consentono, oggi, di considerare acquisito il metodo<br />

dell’interpretazione costituzionale consistente: a) nel riconoscere che «la costituzione, come<br />

ogni altra legge, è sempre e anzitutto un atto normativo, che contiene disposizioni<br />

precettive» e che «tanto i giudici ordinari, nel risolvere sulla base di norme costituzionali le<br />

controversie sottoposte alla loro decisione, quanto i giudici costituzionali, operanti come<br />

interpreti “autorizzati” della Costituzione e come giudici di costituzionalità delle leggi, si<br />

trovano vincolati dai testi costituzionali»; b) nell’argomentare su norme - principi,<br />

l’applicazione delle quali «non assume la forma sillogistica della sussunzione, ma quella<br />

dell’ottimizzazione nel realizzare il precetto», secondo una gerarchia ma anche secondo un<br />

loro ragionevole bilanciamento in riferimento al caso concreto da decidere; c) nel prendere<br />

atto che non può non essere rilevante l’idea di società e di etica sottesa alla Costituzione e<br />

che in tal modo nell’ordinamento positivo penetrano «valori e principi storicamente<br />

connotati». Da qui l’impossibilità di tenere separate la teoria dell’interpretazione delle leggi<br />

ordinarie, che sarebbe governata dall’art. 12 disp. prel. c.c., e la teoria dell’interpretazione<br />

delle norme costituzionali.<br />

Il canone sistematico esige che l’ordinamento sia interpretato nella sua unitarietà; mentre il<br />

canone assiologico comporta che i valori costituzionali, comunitari e internazionali<br />

95


vivacizzino e rendano attuali singole norme o complessi di norme che non possono non<br />

essere lette ed interpretate sempre, anche se apparentemente chiare. Necessità oggi dovuta<br />

agli obbligatori controlli, che l’interprete deve compiere, di legittimità costituzionale e di<br />

legittimità comunitaria di qualsiasi disposizione, recente o antica che sia, che si prospetta<br />

applicabile al caso concreto da parte del giudice.<br />

La chiarezza invero è un eventuale posterius, non un prius dell’interpretazione.<br />

La norma, chiara o no, deve essere conforme ai principi ed ai valori dell’ordinamento e deve<br />

risultare da un procedimento argomentativo non soltanto logico, ma assiologicamente<br />

conforme alle scelte di fondo dell’ordinamento 76 .<br />

Solo in questa prospettiva si potranno evitare future o possibili cadute di sistema, si<br />

realizzeranno concrete possibilità di pari dignità e giustizia sociale del caso concreto e si<br />

potranno ritenere davvero realizzati quei valori di libertà, pluralismo, personalismo e<br />

solidarietà che fondano la legittimità dell’ordinamento e la sovranità stessa dello Stato.<br />

76 Tutte le riflessioni esposte sono riassunte dal pensiero e dalla dottrina di: P. PERLINGIERI, Il diritto civile<br />

nella legalità costituzionale, op. cit., diffusamente e p. 554 ss., alla cui opera si rinvia, anche per gli<br />

approfondimenti bibliografici.<br />

96


Danno non patrimoniale derivante dalla lesione del diritto alla salute<br />

di Luigi Di Prisco<br />

Nota a tribunale di <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong>, g.u. dott. Rocco Abbondandolo, 19.01.2010, n. 32.<br />

Una recente sentenza del Tribunale di <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong> (n. 32/2010 G.U. dott. R.<br />

Abbondandolo, del 19.01.2010) merita degna nota di commento per due ordini di ragioni.<br />

Innanzitutto, il dictum rappresenta una trattazione “ ex professo”, rigorosa ed esaustiva, che<br />

recepisce e descrive i passati e attuali orientamenti della dottrina, nonché della<br />

giurisprudenza di merito e soprattutto di legittimità in tema di risarcimento del danno non<br />

patrimoniale, con particolare riguardo alla lesione del diritto alla salute. In secondo luogo, il<br />

pronunciamento, ci permette di fare “il punto della situazione” su un argomento di<br />

rilevantissimo interesse per l’operatore pratico del diritto ( soprattutto l’avvocato), in tema di<br />

risarcimento del danno alla persona, in relazione all’infortunistica stradale ( RCA).<br />

Per tali motivi si ritiene opportuno la integrale pubblicazione del testo della decisione, che in<br />

tale veste appare nella parte successiva della Rivista.<br />

La sentenza annotata rappresenta, per le valide motivazioni contenute, una decisa presa di<br />

posizione del Tribunale di <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong> sui criteri di liquidazione dei danni non<br />

patrimoniali, a seguito delle incertezze e dubbi sorti in conseguenza della nota sentenza della<br />

Corte di Cassazione a Sezioni Unite del novembre 2008 (e le altre cosiddette sentenze<br />

gemelle) 77 . Ciò indubbiamente per l’operatore pratico costituisce motivo di apprezzamento,<br />

in quanto permette di predeterminare l’entità del danno per ogni pratica di risarcimento.<br />

Riassumiamo i termini della questione, come più ampiamente riproposte nella motivazione<br />

della sentenza in commento 78 :<br />

77 Cass. Civ. SS.UU. 11 novembre 2008, n. 26972 (e con le sentenze depositate nello stesso giorno, ed aventi il<br />

medesimo tenore, nn. 26973, 26974, 26975).<br />

78 Per le problematiche scaturite da Cass. SS. UU. n. 26972/2008 si veda: VIOLA, Anche il mancato guadagno<br />

non patrimoniale è risarcibile, in La responsabilità civile, UTET, 2009, 12; FANTETTI, Diritto di<br />

autodeterminazione e danno esistenziale alla luce della recente pronuncia delle S.U. della Cassazione, in<br />

Responsabilità civile (La), 2009, n. 1, UTET; VILLANI, Perdita dell'animale d'affezione: danno esistenziale?, in<br />

Responsabilità civile (La), 2008, n. 8-9, UTET; CARBONE P., Ulteriori riflessioni sul danno esistenziale, in<br />

Danno e Responsabilità, IPSOA, 2008, 2; in tema di risarcibilità del danno morale, si veda Corte d'Appello<br />

Reggio Calabria, sez. civile, sentenza 04.12.2009 n° 377;in tema di danno morale in percentuale di quello<br />

biologico, si veda Tribunale Roma, sez. Ostia, sentenza 22.10.2009; in tema di danno non patrimoniale e<br />

prospettazione della domanda risarcitoria, si veda Cassazione civile 21680/2009;in tema di danno non<br />

patrimoniale e contratto di locazione, si veda Tribunale Roma, sentenza 23.09.2009; in tema di inadempimento<br />

contrattuale e danno non patrimoniale, si veda Tribunale Roma, sez. XI, sentenza 13.07.2009; sul tema dei danni<br />

bagattellari, di veda Cassazione civile, SS.UU., sentenza 19.08.2009 n° 18356; in tema di danno biologico e<br />

tabelle ministeriali, si veda Cassazione civile, sez. III, sentenza 13.06.2009 n° 11048; in tema di quantificazione<br />

del danno alla persona e tabelle milanesi, si veda Tribunale Milano, sez. V civile, sentenza 06.05.2009 n° 6076;<br />

in tema di danno morale consequenziale, si veda Cassazione civile, sez. III, sentenza 20.05.2009 n° 11701; in<br />

tema di danno non patrimoniale risarcibile nei casi di pericolo presunto, si veda Cassazione civile, sez. III,<br />

sentenza 13.05.2009 n° 11059; in tema di danni non patrimoniali e maltrattamenti ad una donna, si veda<br />

Cassazione penale, sez. VI, sentenza 16.04.2009 n° 16031;in tema di danno non patrimoniale e stress, si veda<br />

97


1. il danno non patrimoniale è risarcibile nei casi previsti da espresse disposizioni<br />

normative; questi casi si possono suddividere in due sottogruppi: quelli in cui il<br />

risarcimento è previsto da disposizione legislativa (fatto illecito integrante reato –<br />

art. 185 c.p.-) e quelli in cui la risarcibilità va riconosciuta sulla base di una<br />

interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2059 cod. civ., per avere il<br />

fatto illecito vulnerato in modo grave un diritto della persona direttamente tutelato<br />

dalla legge (art. 2 Cost.);<br />

Cassazione civile, sez. III, sentenza 09.04.2009 n° 8703; sul danno da stress da irragionevole durata del<br />

processo, si veda Cassazione civile, sez. I, sentenza 28.01.2009 n° 2144; sul danno esistenziale da stress<br />

pubblicitario, si veda Cassazione civile, SS.UU., sentenza 29.08.2008 n° 21934; in tema di danno non<br />

patrimoniale comprensivo sia del pregiudizio di ordine morale che del pregiudizio esistenziale, si veda Tribunale<br />

Pinerolo, sentenza 17.03.2009; in tema di danno morale e presunzione, si veda Cassazione civile, sez. III,<br />

sentenza 03.03.2009 n° 5057; in tema di danni da morte, si veda Cassazione civile, sez. III, sentenza 13.01.2009<br />

n° 458, con nota di VIOLA; in tema di danno non patrimoniale ed unicum, si veda Corte d'Appello Perugia,<br />

sentenza 24.11.2008; sul tema della rilevanza solo descrittiva inerente le voci di danno, si veda Tribunale<br />

Milano, sentenza 05.03.2009 n° 3047; in tema di uccisione del gatto e danno non patrimoniale, si veda<br />

Cassazione civile, sez. III, sentenza 25.02.2009 n° 4493, con nota di BUFFONE e videointervento di VIOLA;in<br />

materia di danno esistenziale che confluisce nel danno morale, si veda Cassazione civile , SS.UU., sentenza<br />

16.02.2009 n° 3677; in materia di protesto illegittimo e lesione dell’immagine, si veda Tribunale Lecce, sez.<br />

Maglie, sentenza 11.02.2009; in materia di danni da fumo e danno esistenziale, si veda Cassazione civile,<br />

SS.UU., sentenza 15.01.2009 n° 794; in materia di necessità dell’intergale risarcimento del danno alla persona,<br />

si veda Cassazione civile, sez. III, sentenza 13.01.2009 n° 469;in materia di uranio impoverito e danno non<br />

patrimoniale, si veda Tribunale Firenze, sez. II civile, sentenza 17.12.2008; in materia di quantificazione del<br />

danno morale (dopo le Sezioni Unite) si veda Cassazione civile, sez. III, sentenza 12.12.2008 n° 29191; tra le<br />

sentenze più recenti, immediatamente successive alle SS.UU. 2008, si veda Tribunale di Lecce, sezione di Maglie,<br />

368/2008, con nota di MAGGIULLI; in tema di danno non patrimoniale, si veda Cassazione Civile, SS.UU.,<br />

11.11.2008, n. 26972 (si vedano anche le video riflessioni di VIOLA, in materia di integralità del risarcimento<br />

del danno alla persona, e le video riflessioni di CESARI, nell’ambito del convegno Il Risarcimento del danno non<br />

patrimoniale con pregiudizi esistenziali tenutosi in Roma il 24 novembre 2008 presso il Palazzo Marini della<br />

Camera dei Deputati; per la lettura dell’ordinanza di rimessione, si veda Cassazione civile, sez. III, sentenza<br />

25.02.2008, n. 4712 (vedi video-riflessioni di VIOLA e video-riflessioni di CESARI); si veda anche Cassazione<br />

civile SS.UU. 21934/2008 in materia di spot illegittimo; in favore del danno esistenziale, si veda Cassazione<br />

civile 2379/2008. in materia di danno parentale e prova, si veda Cassazione civile 20987/2007;in dottrina, si<br />

veda anche PLENTEDA, il Danno esistenziale bagattellare e transeunte e VIOLA, Il danno esistenziale come<br />

mancato guadagno non patrimoniale, nonché VIOLA, Il mancato guadagno non patrimoniale (o danno<br />

esistenziale? dopo le SS.UU; e BUFFONE, Il danno non patrimoniale a 3 mesi dalle S.U.: cosa è cambiato?; sul<br />

tema del danno tanatologico, si veda il focus di D’APOLLO, Danno tanatologico: la giurisprudenza recente,<br />

nonché VIOLA-TESTINI-MARSEGLIA, Il danno tanatologico; in tema di liquidazione del danno non<br />

patrimoniale, con particolare attenzione a quello psichico, si veda CAPRI, Lo psicologo forense e l’accertamento<br />

del danno psichico, esistenziale e morale; relativamente alla prova del turbamento psicologico, si veda<br />

RUFFINI, La prova del turbamento psicologico attraverso la consulenza dello psicologo forense; relativamente<br />

alle relazioni del CONVEGNO NAZIONALE Pecunia doloris: il valore risarcitorio della persona e della<br />

sofferenza esistenziale dopo le Sezioni Unite tenutosi presso la Sala delle Conferenze, Palazzo Marini, CAMERA<br />

dei DEPUTATI il 6 maggio 2009, si vedano:<br />

CESARI, Pecunia doloris: il valore risarcitorio della persona e della sofferenza esistenziale;<br />

VIOLA, Percentualizzazione del danno morale e reductio ad unum del danno biologico;<br />

BUFFONE, Possibili censure di costituzionalità sul danno biologico omnicomprensivo;<br />

RIPONTI, L’elemento soggettivo del reato e le conseguenze risarcitorie;<br />

CRICENTI, Alcune questioni sul danno non patrimoniale a seguito di SS.UU. n. 26972/2008 ( tutti i riferimenti<br />

sono consultabili su: www.altalex.it)<br />

98


2. il danno non patrimoniale costituisce una categoria ampia,onnicomprensiva,<br />

unitaria, all'interno della quale non è possibile ritagliare ulteriori sotto categorie;<br />

3. il c.d. danno esistenziale, inteso quale “il pregiudizio alle attività non remunerative<br />

della persona” causato dal fatto illecito lesivo di un diritto costituzionalmente<br />

garantito, costituisce solo un ordinario danno non patrimoniale, che non può essere<br />

liquidato separatamente sol perché diversamente denominato;<br />

4. il diritto al risarcimento del danno morale, in tutti i casi in cui esso è ritenuto<br />

risarcibile, non può prescindere dalla allegazione da parte del richiedente, degli<br />

elementi di fatto dai quali desumere l'esistenza e l'entità del pregiudizio.<br />

In sostanza le Sezioni Unite della Cassazione avevano statuito che il danno non<br />

patrimoniale è una categoria generale non suscettibile di suddivisione in<br />

sottocategorie variamente etichettate. Non può, dunque, farsi riferimento ad una<br />

generica sottocategoria denominata "danno esistenziale” né di “danno morale”.<br />

In un primo momento, sopratutto le compagnie di assicurazioni, avevano “forzatamente”<br />

interpretato il pensiero della Suprema Corte, denegando il risarcimento del danno morale,<br />

quantificato in una percentuale variabile ( da ¼ ad ½ del danno cosiddetto biologico).<br />

Il dibattito che è seguito al nuovo indirizzo della Suprema Corte ha invece “ corretto” la<br />

distorta interpretazione data all’orientamento della Cassazione.<br />

La sentenza del Tribunale di <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong> in commento, chiarisce appunto l’esatta portata<br />

del pensiero in materia della Cassazione e precisa: 1) che il pronunciamento della<br />

Cassazione aveva posto, in un primo momento, il problema dell’esistenza del danno “<br />

esistenziale “ e del “ danno morale”; 2) che, l’apparente esclusione di dette categorie non<br />

rappresentava una esclusione sostanziale della risarcibilità del cosiddetto “danno<br />

esistenziale” e del danno morale; 3) che in assenza di reato e al di fuori dei casi determinati<br />

dalla legge, pregiudizi di tipo esistenziale sono risarcibili purché conseguenti alla lesione di<br />

un diritto inviolabile della persona;4) che parimenti il “ danno morale”, come precisato da<br />

successivi pronunciamenti ( Cass. 28.11.2008 n. 28407; Cass. 12.12.2008 n. 29191 e Cass.<br />

13.01.2009, n. 479) non era “scomparso, ma che si poneva solo un nuovo modo di<br />

determinarlo, nella quantificazione.<br />

Poste tali precisazioni, il Tribunale di <strong>Ariano</strong> ritiene che sia superata la vecchia tripartizione<br />

del risarcimento del danno non patrimoniale alla persona (danno biologico, danno<br />

esistenziale e danno morale) e che occorre procedere ad una valutazione unitaria e<br />

99


personalizzata prevalentemente equitativa. Valutazione equitativa che comunque non deve<br />

essere sganciata da criteri predeterminati. Infatti, si legge in motivazione che: “ l’esigenza di<br />

agganciare il risarcimento a dei criteri predeterminati risponde poi all’esigenza di<br />

consentire il sindacato dell’operato del giudice stesso in sede di gravame e nello stesso<br />

tempo di garantire, attraverso il richiamo a criteri predeterminati, il principio di<br />

eguaglianza dei cittadini.<br />

Dunque, valutazione equitativa del danno, ma predeterminata e personalizzata!<br />

In senso pratico appaiono utili i riferimenti liquidatori predeterminati delle nuove tabelle<br />

elaborate dal Tribunale di Milano, per quanto attiene alla quantificazione del danno<br />

biologico; detti criteri permettono appunto un incremento equitativo, personalizzato al caso<br />

concreto; il danno morale, invece, va liquidato secondo costante valutazione equitativa,<br />

come già sempre fatto in sede penale ex art. 185 c.p., mentre il danno esistenziale va<br />

liquidato solo allorquando i pregiudizi sono conseguenti alla lesione di un diritto inviolabile<br />

della persona, e non anche per meri “fastidi”. La nuova liquidazione del danno non<br />

patrimoniale alla persona va effettuato in via equativa, nella sua unitarietà come sopra<br />

specificato. Valutazione equitativa che non significa affatto decisione della causa secondo<br />

equità ( ex art. 114 c.p.c.), ovvero che importa la decisione prescindendo dal diritto.<br />

Valutazione equitativa e predeterminata ex art. 1126 c.c. perché “ in questo caso il potere<br />

discrezionale del giudice è correttamente esercitato se nella decisione è specificatamente<br />

indicato il percorso logico seguito nella liquidazione: la valutazione unitaria del danno<br />

patrimoniale deve esprimere analiticamente l’iter logico ponderale delle poste in gioco.<br />

La sentenza poi si chiude con la sintesi pratica operativa del sistema di valutazione del<br />

danno: “nella concreta liquidazione, si muove dalla natura e dall’entità delle lesioni<br />

riportate e si determina il danno biologico (danno alla salute) secondo le tabelle del<br />

Tribunale di Milano e quindi tenendosi conto dell’entità delle lesioni in relazione all’età del<br />

danneggiato e tale danno viene maggiorato in relazione alle eventuali situazioni concrete e<br />

quindi si attua una “ personalizzazione” del medesimo. Qualora, poi, il fatto integri anche<br />

reato, si tiene conto da un lato della natura e delle entità delle sofferenze derivate al<br />

danneggiato e dall’altro della natura e gravità del reato, atteso che tale componente del<br />

danno alla persona va liquidata anche in funzione sanzionatoria rispetto al danneggiante,<br />

autore del reato” .<br />

100


L’istituto dell’esdebitazione di Palmina Katia Cipolla<br />

Profili generali<br />

L’articolo 128 del d.lgs. n. 5/2006 sostituisce il titolo II, capo IX, del R.D. 16 marzo 1942, n.<br />

267, dedicato alla disciplina della riabilitazione del fallito, con un istituto nuovo per il nostro<br />

diritto fallimentare, l’esdebitazione.<br />

Gli articoli 142, 143 e 144 introducono tale nuovo istituto fallimentare.<br />

L’esdebitazione è l’ultimo stadio della linea di degiurisdizionalizzazione e<br />

ridimensionamento delle procedure e dei loro effetti in generale, e del fallimento in<br />

particolare, portata avanti dalla riforma eliminando la vecchia funzione punitiva.<br />

E’ noto come la riforma tenda a privilegiare il risanamento e la ristrutturazione dell’azienda<br />

con il convincimento che il “fare impresa” (o mantenere) sia foriero di prosperità nazionale;<br />

in quest’ambito l’esdebitazione gioca il ruolo di salvacondotto all’imprenditore “onesto e<br />

sfortunato” di concordataria memoria per dargli ancora la possibilità di fare impresa e,<br />

quindi, di portare all’economia nazionale quei vantaggi che ne sottendono; essa consiste,<br />

difatti, nella concessione del beneficio della cancellazione dei debiti pregressi insoddisfatti<br />

dalla procedura concorsuale in capo al fallito persona fisica che abbia dimostrato con la<br />

propria condotta di meritare tale privilegio (art. 142 della legge fallimentare).<br />

Come detto sopra, il d.lgs. 9.1.2006, n. 5 ha provveduto a sostituire il capo IX del r.d. 16.<br />

3.1942, n. 267, regolante il procedimento di riabilitazione, quale diretta conseguenza della<br />

soppressione del pubblico registro dei falliti, istituito ai sensi del previgente art. 50, ora<br />

abrogato. La filosofia sottostante la riforma, volta a conseguire il recupero del patrimonio<br />

imprenditoriale, piuttosto che a costituire una sanzione per l’imprenditore, rappresenta la<br />

motivazione fondante l’eliminazione dell’iscrizione nel registro dei falliti e, dunque, delle<br />

incapacità personali cui il fallito era soggetto a seguito di tale iscrizione.<br />

A differenza delle incapacità patrimoniali che cessano con la chiusura del fallimento, le<br />

incapacità personali, determinate dall’iscrizione nel registro dei falliti, perduravano anche in<br />

epoca successiva, fino a che il fallito non avesse conseguito, con sentenza, la riabilitazione<br />

civile ai sensi degli artt. 142 ss. r.d. 16.3.1942, n. 267 e la cancellazione dal medesimo<br />

registro. Sulla scorta delle riflessioni dottrinarie e conformemente al mutato orientamento<br />

culturale, il legislatore della riforma, tramite l’abrogazione dell’art. 50 e la sostituzione del<br />

capo IX originariamente disciplinante la riabilitazione civile del fallito, ha orientato la nuova<br />

procedura fallimentare ad una finalità prettamente recuperatoria e non più afflittiva.<br />

Le condizioni per essere ammessi al beneficio dell’esdebitazione<br />

101


La procedura di esdebitazione prevede che il fallito persona fisica possa liberarsi dei<br />

debiti concorsuali a condizione che sussistano le seguenti circostanze:<br />

a) che il fallito abbia cooperato con gli organi della procedura, fornendo tutte le<br />

informazioni e la documentazione utile all’accertamento del passivo e adoperandosi per il<br />

proficuo svolgimento delle operazioni;<br />

b) che egli non abbia in alcun modo ritardato o contribuito a ritardare lo svolgimento<br />

della procedura;<br />

c) che non abbia violato le disposizioni di cui all’art. 48, ovvero abbia sempre<br />

consegnato al curatore la propria posta, anche elettronica;<br />

d) che, sempre il fallito, non abbia beneficiato di altra esdebitazione nei dieci anni<br />

precedenti la richiesta;<br />

e) che non abbia distratto l’attivo o esposto passività insussistenti, cagionato o<br />

aggravato il dissesto rendendo gravemente difficoltosa la ricostruzione del patrimonio e del<br />

movimento degli affari o fatto ricorso abusivo al credito;<br />

f) infine che il fallito non sia stato condannato con sentenza passata in giudicato per<br />

bancarotta fraudolenta o per delitti contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio, e<br />

altri delitti compiuti in connessione con l’esercizio dell’attività d’impresa, salvo che per tali<br />

reati sia intervenuta la riabilitazione.<br />

E’ altresì necessario che sussistano altre due fondamentali condizioni: aa) che il fallito sia<br />

una persona fisica e non una società commerciale (è esclusa l’esdebitazione per il fallimento<br />

personale di soci in società di persone); bb) ed ancora che la procedura fallimentare abbia<br />

soddisfatto, almeno in parte, i creditori concorsuali ammessi allo stato passivo.<br />

Problematiche sottese al presupposto soggettivo<br />

Tra i temi oggetto della riforma della disciplina concorsuale, vi è stato quello degli istituti<br />

“esdebitatori” a favore del debitore insolvente.<br />

E’ un dato che la preoccupazione del legislatore italiano sia andata esclusivamente alla<br />

esdebitazione dell’imprenditore commerciale, e non anche a quella del “debitore civile” o del<br />

“consumatore”.Ciò rappresenta un tratto di notevole “discontinuità” rispetto ad altri<br />

ordinamenti concorsuali.<br />

Il tema del sovraindebitamento, o della stessa insolvenza del consumatore è indicativo di un<br />

fenomeno che, diversamente da quello che si sarebbe indotti ad immaginare in prima battuta,<br />

ha una importanza molto rilevante. Si pensi alla enorme diffusione del credito al consumo,<br />

ed alle possibili conseguenze secondarie derivate dalla impossibilità di gestire<br />

adeguatamente i flussi di cassa da parte del consumatore. Il nostro ordinamento storicamente<br />

ha ritenuto, conformemente agli altri del c.d. “blocco latino”, di escludere, in ipotesi di<br />

102


insolvenza del debitore civile, il ricorso alle procedure concorsuali, facendo sì che le ragioni<br />

dei creditori del consumatore trovassero tutela nelle procedure esecutive individuali. Si tratta<br />

di una opzione di politica legislativa antica, le cui origini non sono acclarate univocamente:<br />

da un lato, si dice, è soprattutto in Italia che il procedimento concorsuale nasce con finalità<br />

sanzionatoria, ideato dalla classe mercantile per il mercante, ed espressione dello “ius<br />

mercatorum”; dall’altro, storicamente è dato riscontrare l’applicazione di procedimenti di<br />

natura concorsuale a soggetti diversi dal commerciante, seppure diversi dal fallimento, volti<br />

a garantire sia una adeguata tutela del ceto creditorio che una mitigazione degli effetti<br />

personali nei confronti del debitore (es. in della Spagna).<br />

Oggi è affermazione comune quella secondo cui la mancata estensione al debitore civile<br />

delle procedure concorsuali dovrebbe leggersi come effetto della circostanza per cui<br />

l’imprenditore sarebbe colui che “si indebita di più”, e gli effetti della cui insolvenza<br />

dovrebbero ritenersi più gravi dal punto di vista della economia pubblica. Ma così non è.<br />

Sono significativi i dati relativi all’estensione del credito al consumo, la cui drammaticità ha<br />

fatto parlare di un “bisogno di concorsualità” che si pone in misura e con intensità non molto<br />

diversa da quanto accade nel caso di un debitore imprenditore commerciale.<br />

E’ stato notato che i procedimenti concorsuali assicurano ai creditori una tutela maggiore<br />

rispetto alle procedure individuali; e che lo stesso debitore civile trarrebbe dalla sua fallibilità<br />

specifici vantaggi, tra cui anche quello di beneficiare della stessa esdebitazione.<br />

A tale “bisogno di concorsualità” molti ordinamenti giuridici hanno risposto e rispondono, di<br />

fatto, con la previsione di procedure concorsuali applicabili anche al debitore “civile”.<br />

L’ordinamento spagnolo anteriore alla riforma del 2003, pur non prevedendo un<br />

procedimento concorsuale unico per il commerciante e per il non commerciante, disponeva<br />

di una procedura (concurso de acreedores) applicabile ai non commercianti.<br />

Nell’ordinamento francese (anteriormente al codice di commercio napoleonico del 1807), il<br />

diritto consuetudinario e in seguito la Ordonnance de commerce del 1673 prevedevano un<br />

procedimento (deconfiture) di natura concorsuale applicabile ai non commercianti.<br />

Il debitore civile è sottoposto a procedura concorsuale in Germania, dove pure si prevede un<br />

procedimento concorsuale “semplificato” per l’insolvenza del consumatore. In Inghilterra il<br />

procedimento di bankruptcy si applica anche al debitore civile; il fenomeno si riscontra,<br />

infine, anche in Spagna, dove il procedimento concorsuale unitario previsto dalla riforma del<br />

2003 (concurso de acreedores) si applica a qualsiasi debitore, persona fisica o giuridica.<br />

In realtà la qualità soggettiva di imprenditore individuale sembrava rilevare unicamente negli<br />

ordinamenti appartenenti al cosiddetto “blocco latino” (Italia, Francia e Spagna fino alla<br />

riforma del 2003); ma tale blocco sta registrando un processo di significativo cambiamento,<br />

per la perdita di rilevanza delle qualità soggettive ai fini delle procedure concorsuali.<br />

103


Da un lato, infatti, v’è la tendenza a estendere i procedimenti concorsuali, anche se con<br />

alcune peculiarità rispetto a quelli previsti per gli imprenditori, anche al debitore civile (ciò<br />

che è avvenuto in Francia nel 1995); dall’altro si fa strada il modello di procedimento<br />

concorsuale “unico” applicabile a tutti i debitori (come il modello spagnolo).<br />

Il legislatore italiano pareva incamminato nella medesima direzione: i lavori della<br />

Commissione Governativa c.d. “Trevisanato” erano nel senso della previsione di un<br />

procedimento unico applicabile a qualsiasi debitore. Anche la dottrina assecondava tale<br />

tendenza, evidenziando la necessità di un’armonizzazione a livello europeo dei criteri di<br />

applicabilità dei procedimenti concorsuali dal punto di vista soggettivo .<br />

Sennonché nella delega al Governo, comma 6° dell’art. 1 L.80/05, veniva prevista, mutando<br />

tendenza, la modifica della disciplina secondo, tra gli altri, il principio di “semplificare la<br />

disciplina attraverso l’estensione dei soggetti esonerati dall’applicabilità dell’istituto”.<br />

Di conseguenza, il d.lgs. n.5/06 è intervenuto nel senso di una più compiuta determinazione<br />

del confine tra imprenditore commerciale piccolo e non piccolo, al fine di una maggiore<br />

demarcazione dell’area di non fallibilità.<br />

Una valutazione di tipo statistico-comparativo suggerisce l’idea che gli ordinamenti che<br />

prevedono istituti esdebitatori come quelli ricordati sopra sono normalmente quelli che<br />

ammettono l’idea della fallibilità del debitore civile, ossia quelli dove i procedimenti<br />

concorsuali non vengono riservati all’imprenditore.<br />

E’ stato sottolineato come vi sia un rapporto di consequenzialità tra la previsione della<br />

fallibilità del debitore civile/consumatore e la previsione di istituti esdebitatori: in questi casi<br />

la fallibilità sarebbe prevista in funzione della possibilità di ammettere il consumatore a<br />

godere del beneficio della esdebitazione, e a recuperarlo “per la collettività e per il mercato”.<br />

Vero è che il Tribunale di Bolzano, chiamato a pronunciarsi, nel dicembre del 2006, su una<br />

procedura di esdebitazione per più persone a seguito di diversi fallimenti, ha rimesso al<br />

Giudice delle Leggi il giudizio di legittimità costituzionale per lesione del principio di<br />

eguaglianza di cui all’art. 3 co. 1 Cost. Ma, con ordinanza n. 411 del 21 novembre 2007, la<br />

Corte ha ritenuto la questione manifestamente infondata [...] poiché «la qualità di<br />

imprenditore evoca situazioni di interesse generale (in termini di produzione, occupazione,<br />

etc.) che non si rinvengono nel caso di “ordinari” debitori»”.<br />

Non è agevole individuare le ragioni di una simile scelta del legislatore delegato, e di una<br />

tale interpretazione giurisprudenziale. Perché una tale maggiore protezione unicamente a<br />

favore dell’imprenditore commerciale e non anche per l’imprenditore tout court? Anche il<br />

debitore civile accede al credito bancario e finanziario, può essere insolvente, ed avere come<br />

l’imprenditore commerciale una pluralità di creditori.<br />

104


Interrogativo che si fa ancora più pressante, dal momento che la disciplina apprestata dal<br />

legislatore italiano in tema di esdebitazione prevede che siano fatti salvi i diritti vantati dai<br />

creditori nei confronti di coobbligati, dei fideiussori del debitore e degli obbligati in via di<br />

regresso; sicché, trattandosi del fallimento di una persona fisica, quest’ultima potrà essere<br />

ammessa alla esdebitazione, ma non i suoi garanti, anch’essi persone fisiche.<br />

Da questo punto di vista, la disciplina appare insoddisfacente, laddove si compari la<br />

posizione del debitore principale, sdebitato, a quella dei suoi garanti.<br />

Alla luce di questi dati, e dopo aver evidenziato le critiche mosse alla riforma fallimentare in<br />

generale e all’istituto dell’esdebitazione in particolare, con riferimento a principi giuridici di<br />

rango costituzionale e non solo, si può solo sperare in un attento sforzo interpretativo, che<br />

comunque non si chiuda pregiudizialmente alle novità che pure la riforma tenta di introdurre.<br />

Non bisogna aver paura della sperimentazione. Del resto il testo della legge è solo il punto di<br />

partenza, dal quale poi si dipartono le strade e i sentieri dell’interpretazione, e l’esperienza ci<br />

insegna che anche buone norme possono talvolta essere snaturate da cattive applicazioni.<br />

105


La distanza in caso di fondi a dislivello di Giovanni Tecce<br />

Il caso prende spunto da opere edilizie realizzate per contenere il declivio di un terreno.<br />

La ricorrente ritenendo le opere del vicino lesive del suo diritto di veduta, esercitato<br />

attraverso finestre sul lato del fabbricato interessato dai lavori in contestazione, chiedeva al<br />

tribunale di <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong> di ordinare all’autore delle opere il rispetto della distanza dal suo<br />

immobile. L’intimato opponeva che le opere murarie contestate avevano sia la funzione di<br />

contenimento della scarpata naturale (onde preservare lo stato dei luoghi) che di muro di<br />

cinta. Richiamava la giurisprudenza della S.C., per la quale il muro di contenimento di una<br />

scarpata o di un terrapieno naturale non può considerarsi costruzione agli effetti della<br />

disciplina ex art. 873 del codice civile per la parte che adempie alla sua specifica funzione, e,<br />

quindi, dalle fondamenta al livello del fondo superiore, qualunque sia l’altezza della parete<br />

naturale o della scarpata o del terrapieno cui aderisce, impedendone lo smottamento (cass.<br />

civile sez. II, 10/01/2006 n°145).<br />

Di contrario avviso la ricorrente, per cui i vicini avevano mutato lo stato dei luoghi per<br />

adeguarlo all’iniziativa edificatoria; sosteneva che vi era stata modifica della originaria<br />

giacitura dei fondi, per cui le opere avevano lo scopo di contenere il dislivello artificialmente<br />

creato.<br />

Il Giudice designato, disposta verifica tecnica, riteneva fondata la domanda in base alla<br />

seguente regola di diritto: quando un muretto, terrapieno o muro di contenimento<br />

hanno prodotto dislivello o aumentato quello preesistente ovvero quando il dislivello<br />

non è naturale ma opera dell’uomo (come nel caso di specie), rappresentano costruzioni<br />

ai fini dell’osservanza delle norme sulle distanze legali (Cass. 145/06 e 12177/03).<br />

In effetti il punto centrale era la qualificazione giuridica dei lavori assentiti da concessione<br />

edilizia. Per il resistente il titolo abilitativo presupponeva che l’opera assolveva<br />

esclusivamente alla funzione di contenimento della scarpata per cui non poteva considerarsi<br />

costruzione agli effetti delle norme sulle distanze. Per la ricorrente, al contrario, il muro di<br />

cemento armato era finalizzato non già al contenimento del naturale declivio del terreno,<br />

bensì a sostenere un’opera artificiale (terrapieno) e pertanto doveva essere rispettata la<br />

distanza legale dalla sua proprietà.<br />

Grazie anche all’indagine tecnica, nel caso in esame emergeva che l’intento edificatorio era<br />

andato ben oltre, raggiungendo una finalità diversa, cioè quella di modificare l’assetto fisico<br />

del terreno al fine di una migliore utilizzazione.<br />

Tanto è bastato per affermare che si trattava di un opus novum soggetto alle regole<br />

concernenti la distanza fra costruzioni. Anche il G.A. ha avuto modo di precisare che ai fini<br />

dell’osservanza delle norme sulle distanze dal confine, il terrapieno ed il muro di<br />

106


contenimento che hanno prodotto un dislivello oppure hanno aumentato quello già esistente<br />

per natura dei luoghi costituiscono costruzioni (Cons. Stato, sez. V, 28 giugno 2000 n. 3637<br />

e 12 aprile 2005 n.1619).<br />

Il ragionamento veniva condiviso poi dal Giudice del gravame proposto avverso la citata<br />

decisione. Tra l’altro, infatti, il reclamo era respinto in quanto il muro de quo era stato<br />

realizzato ad una distanza inferiore a quella legale limitando parte delle vedute esercitate<br />

dalla istante.<br />

Dunque, quando due fondi si trovano a livelli differenti, il muro di contenimento non può<br />

essere considerato muro di cinta proprio perché avente lo scopo di impedire lo smottamento<br />

del terreno. In tal caso, potrà eventualmente essere considerato muro di cinta soltanto quella<br />

parte di muro che si erge isolatamente al di sopra del piano di terreno sovrastante e fino ai<br />

limiti di altezza previsti dalla norma. Se invece il dislivello è stato realizzato artificialmente,<br />

la sua altezza deve essere calcolata (art.878 cod. civ.) al fine di realizzare la distinzione tra<br />

muro di cinta e costruzione; mentre se il muro realizza una funzione di contenimento di un<br />

fondo che si trovi in dislivello naturale dall’altro, esso non va calcolato fino al livello del<br />

terreno sovrastante.<br />

Per completezza si richiamano le caratteristiche del muro di cinta: a) altezza non superiore ai<br />

tre metri, b)isolamento dei due lati, c) destinazione a recingere il fondo. Alla luce di quanto<br />

innanzi in caso di dislivello naturale il muro può essere innalzato fino a tre metri oltre il<br />

terreno sovrastante senza che venga considerato costruzione ai fini del computo delle<br />

distanze. In caso di dislivello artificiale, invece, è il muro di contenimento stesso a non<br />

potersi innalzare oltre i tre metri senza venir considerato costruzione ai fini del calcolo delle<br />

distanze di legge.<br />

Il dislivello artificiale si ha senz’altro quando il muro venga elevato con il preciso e diretto<br />

fine di fungere da contenimento ed il riempimento vi faccia seguito. Tuttavia a volte l’azione<br />

dell’uomo può creare un dislivello naturale, come nel caso in cui la crescita in altezza si<br />

verifica nel tempo in modo casuale e non preordinata. Tali ipotesi inducono a ritenere che<br />

l’artificialità o meno del dislivello è da portare in relazione alla costruzione del muro e delle<br />

costruzioni limitrofe e non direttamente all’artificialità delle modificazioni del livello del<br />

suolo.<br />

I suddetti principi rispecchiano il disposto dell’art. 887 cod. civ. secondo cui le spese per la<br />

costruzione del muro di contenimento sono a carico del proprietario del fondo superiore fino<br />

all’altezza del proprio suolo. Ma quando il dislivello sia stato creato dal proprietario del<br />

fondo inferiore, l’onere della costruzione e della conservazione del muro di contenimento<br />

incombe su colui che ha creato il dislivello (sul punto cass. civ., II sez.,25 maggio 2001<br />

n.7131 e 18 agosto 1998 n.8171).<br />

107


Nota della redazione: nello scorso numero, dello stesso autore, nell’articolo "Il Procedimento<br />

sommario di cognizione" i righi 9 e 10 della pagina 71 devono essere così intesi: “...La decisione, di<br />

accoglimento della domanda o di suo rigetto, è appellabile entro 30 giorni dalla comunicazione o dalla<br />

notifica se precedente, innanzi la competente Corte di Appello". Ci scusiamo con i lettori per l’errore.<br />

PARTE TERZA<br />

Per la parte finale della rassegna, abbiamo stavolta preferito concentrare l’attenzione sulla<br />

massimazione delle sentenze locali. La tripartizione offerta riguarda la materia civile, la<br />

materia del lavoro e quella penale. Come i lettori potranno notare, sono presenti all’interno di<br />

questa sezione alcune decisioni del Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi.<br />

Un segnale ulteriore sulla convergenza di interessi con il foro altirpino.<br />

Un segnale di sensibilità da parte dei magistrati che operano in quel circondario.<br />

108


Giurisprudenza civile<br />

REPUBBLICA ITALIANA<br />

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO<br />

TRIBUNALE DI ARIANO IRPINO<br />

Il Giudice dott. Rocco Abbondandolo,<br />

ha pronunziato la seguente<br />

SENTENZA<br />

Nel giudizio iscritto al n 167 del reg. gen. Affari contenziosi dell’anno 2004<br />

Promosso da<br />

………..s.r.l. in persona del legale rapp.te, rappresentato e difeso dall’Avv. …<br />

opponente<br />

contro<br />

………………….. rappresentato e difeso dall’Avv………………….<br />

opposto<br />

Avente ad<br />

OGGETTO: pagamento- opposizione a decreto ingiuntivo.<br />

CONCLUSIONI: il procuratore dell’opponente concludeva per l’accoglimento<br />

dell’opposizione,con vittoria di spese,mentre il procuratore dell’opposto<br />

concludeva per il rigetto dell’opposizione, così come proposta; con vittoria di<br />

spese di lite.<br />

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO<br />

Con atto di citazione ritualmente notificato la ……………. s.r.l. in persona del<br />

legale rapp.te proponeva opposizione al decreto n…. del 2003 emesso dal Giudice<br />

designato di questo Tribunale con il quale le era stato intimato di pagare la<br />

somma di euro 5.165,00, oltre interessi e spese del procedimento monitorio, in<br />

favore di ……………. sulla base dell’assegno n. ……………tratto sulla ………….<br />

banca, emesso in data ……..2003 e protestato il ……2003;eccepiva l’opponente<br />

l’infondatezza dell’avversa pretesa, non essendo mai intercorsi rapporti tra la<br />

………………. ed il ………… e che comunque il titolo non poteva circolare,<br />

dovendo essere restituito dal prenditore ……………a seguito di estinzione<br />

dell’obbligazione per novazione, mediante consegna di altro assegno.<br />

L’intimante si costituiva in giudizio e, contestando l’avverso dedotto, chiedeva il<br />

rigetto dell’opposizione.<br />

Acquisita la documentazione prodotta ed espletata la restante attività istruttoria<br />

chiesta dalle parti, la causa è stata assegnata a sentenza.<br />

MOTIVI DELLA DECISIONE<br />

L’opposizione è fondata e va accolta nei termini di seguito precisati.<br />

Va premesso che l’assegno bancario trova la sua disciplina nel Rd 21.12.1933<br />

n.1736 il quale prevede le azioni dirette e di regresso del giratario sulla base del<br />

titolo, subordina però le azioni di regresso a brevi termini di prescrizione (si veda<br />

l’art. 75 del citato RD). Il titolo risultato non pagato può essere posto a<br />

fondamento di un’azione cd. cartolare. Si può intimare precetto sulla base<br />

dell’assegno protestato, il quale costituisce titolo esecutivo. In questo caso<br />

valgono i principi propri della circolazione dei titoli di credito della letteralità,<br />

autonomia ed astrattezza e l’emittente, come i giranti, non possono opporre altre<br />

eccezioni se non quelle fondate sul titolo e quelle personali al portatore stesso e<br />

quindi non sono opponibili al medesimo le eccezioni fondate sul sottostante<br />

rapporto causale (tra emittente e prenditore) e quelle personali al girante od ai<br />

giranti, salvo casi eccezionali .<br />

109


Scaduti i termini entro i quali può essere esercitata l’azione cartolare o<br />

comunque a prescindere dall’esercizio dell’azione cartolare, il prenditore o<br />

giratario dell’assegno può avvalersi dell’assegno quale atto scritto costituente<br />

prova del credito ivi riportato e quindi ottenere la emissione di ingiunzione<br />

nei confronti dell’emittente o dei giranti dell’assegno.<br />

In quest’ultimo caso, però, non si applicano più le disposizioni relative alla<br />

circolazione dell’assegno, bensì la disciplina ordinaria del codice civile. Ed in<br />

particolare occorre anche distinguere, in relazione alle caratteristiche della<br />

girata, se essa sia stata effettuata in modo regolare o meno. La girata consiste<br />

nel trasferimento del diritto di credito incorporato nell’assegno ad altri mediante<br />

apposizione a tergo dell’assegno della sottoscrizione del prenditore o del<br />

giratario, e richiede, da un punto di vista formale, la specifica indicazione del<br />

giratario; se manca quest’ultima indicazione si ha la “girata in bianco“. La girata<br />

consistente nella sola sottoscrizione senza indicazione del no me del giratario è<br />

“in bianco”.<br />

Nel primo caso, cioè di indicazione del no me del giratario, la girata vale co me<br />

vera e propria pro messa di paga mento, ai sensi dell’art. 1988 c.c., mentre nel<br />

secondo caso neanche tale efficacia può essere riconosciuta.<br />

Infatti ai sensi dell'art. 1987 c.c., le promesse unilaterali producono effetti<br />

obbligatori nei limiti stabiliti dalla legge, per cui la promessa di pagamento e la<br />

ricognizione di debito, secondo quanto previsto dall'art. 1988 c.c., dispensano<br />

colui al quale sono fatte dall'onere di provare il rapporto fondamentale, che si<br />

presume fino a prova contraria ma non provano l’effettiva esistenza del rapporto;<br />

sicché, in considerazione della natura recettizia della promessa, l’assegno riveste<br />

tale natura certamente nei rapporti fra traente e prenditore o fra girante ed<br />

immediato giratario ma non pure nei confronti di colui che si atteggi quale mero<br />

possessore del titolo, giacché- mancando in esso l'indicazione del soggetto al<br />

quale è fatta la promessa- non vi è ragione di attribuire al beneficio<br />

dell'inversione dell'onere della prova, e quindi il mero presentatore o possessore<br />

del titolo non è esonerato dalla prova dell’esistenza del rapporto fondamentale<br />

ed a lui sono opponibili tutte le eccezioni che l’emittente avrebbe potuto<br />

sollevare al prenditore. Il mero detentore non può pretendere di essere<br />

considerato come legittimato a pretendere il soddisfacimento del credito<br />

giovandosi della presunzione di cui all'art. 1988 c.c., perché il semplice, mero,<br />

possesso del titolo non ha un significato univoco ai fini della legittimazione,<br />

non potendo escludersi che del titolo egli abbia conseguito un possesso abusivo<br />

e privo di giustificazione (v. in termini, le sentenze della Corte di Cassazione<br />

civile, sez. I, 16 ottobre 2001, n. 12582; nonché Cassazione civile, sez. I, 24<br />

maggio 1996, n. 4801; Cass. n. 7556 del 1993, n. 3293 del 1977). Perché operi la<br />

presunzione, è dunque necessario che il formale negozio cambiario sia<br />

"eterointegrato" dalla consegna diretta del titolo dall'emittente o girantedichiarante<br />

al destinatario-giratario, poiché l'inversione dell'onere della prova,<br />

prevista dall'art. 1988 cod. civ., vale solo nei confronti di colui a cui la promessa<br />

sia stata effettivamente fatta con la consapevolezza e la volontà del girante in<br />

bianco di far pervenire ad una determinata persona i diritti cartolari (così da<br />

comprovare la certezza dell'intento del girante stesso, rilevante ai sensi dell'art.<br />

1988 cod.civ. ( cfr. Cassazione civile sez. I, 2 settembre 1996, n. 8008;<br />

Cassazione civile sez. I, 24 maggio 1996, n. 4801). La "eterointegrazione" del<br />

negozio cartolare, dunque, non può essere costituita dalla sola "traditio"<br />

materiale, che è una vicenda irrilevante sul piano negoziale. Venuta meno<br />

l'efficacia cartolare ed esecutiva del titolo per la prescrizione della relativa<br />

azione, il mero possessore dell'assegno bancario che non risulti né prenditore<br />

né giratario dello stesso non può considerarsi legittimato a pretendere la<br />

riscossione del credito portato dal titolo, se non dimostrando l'esistenza del<br />

rapporto giuridico sottostante, da cui deriva tale credito (SC di cassazione,<br />

sentenza 29 marzo 2006, n. 7262, ma in tal senso si veda anche Corte appello<br />

Milano, 04 febbraio 2006) .<br />

Nella fattispecie in esame, trattasi di girata in bianco, infatti l’intimante ……..<br />

non risulta dal titolo giratario . L’assegno oggetto di causa risulta emesso a<br />

110


favore dell’……….. e dal medesimo girato in bianco e poi successivamente girato<br />

ad altri beneficiari non tutti identificati e da ultimo risulta girato e protestato a<br />

nome di persona con firma “illeggibile“, per cui trattandosi di assegno in bianco<br />

era il possessore ad essere obbligato a provare l’esistenza del sottostante rapporto<br />

obbligatorio e tale prova non ha dato.<br />

Ma vi è di più. A prescindere dall’inversione dell’onere probatorio, la ………….<br />

non solo ha negato l'esistenza di un rapporto causale sottostante idoneo ad<br />

obbligarla ma anche ha dato prova dell’inesistenza della obbligazione, essendo<br />

stata la stessa estinta e dovendo l’originario prenditore …………….. restituire il<br />

titolo ( v. teste ……………. ) . Il titolo doveva essere restituito, non poteva più<br />

circolare ,essendo stata estinta la sottostante obbligazione, sicché il ………., mero<br />

possessore e portatore del titolo, non ha titolo per pretendere il pagamento della<br />

………...<br />

Segue la revoca dell’opposto decreto.<br />

Ricorrono giusti e gravi motivi per la compensazione delle spese di lite<br />

individuabili nella oggettiva controvertibilità e novità delle questioni trattate.<br />

PQM<br />

il Giudice, definitivamente pronunziando sull’opposizione proposta<br />

…………………. s.r.l. in persona del legale rapp.te avverso il decreto n. …del<br />

2003 emesso dal Giudice designato di questo Tribunale contro …………….ogni<br />

altra istanza eccezione e deduzione disattesa così provvede:<br />

accoglie l’opposizione e per l’effetto revoca l’opposto decreto ingiuntivo;<br />

compensa le spese di lite.<br />

Così deciso in <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong> mercoledì 9 giugno 2010<br />

Il Giudice<br />

( dott. Rocco Abbondandolo )<br />

REPUBBLICA ITALIANA<br />

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO<br />

TRIBUNALE DI ARIANO IRPINO<br />

Il Giudice dott. Rocco Abbondandolo,<br />

ha pronunziato la seguente<br />

SENTENZA<br />

Nel giudizio iscritto al n . 284 del 2006<br />

Vertente tra<br />

……….. elettivamente domiciliato nello studio degli Avv.ti ………… dai<br />

quali è rappresentato e difeso<br />

attore<br />

e<br />

……………………..<br />

Convenuti- contumaci<br />

e<br />

Milano Assicurazioni spa,in persona del legale rappresentante pro-tempore,<br />

rappresentato e difeso dall’ Avv. ………………,<br />

Convenuta<br />

Avente ad<br />

OGGETTO: risarcimento danni<br />

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO<br />

111


Con atto di citazione ritualmente notificato ………..adiva il Tribunale di <strong>Ariano</strong><br />

<strong>Irpino</strong> ed esponeva :<br />

- che il giorno 21.7.2004 in <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong>, SS 90 delle Puglie, si era verificato un<br />

sinistro che aveva visto coinvolta la propria moto Honda VT 1100 targata<br />

………e l’autovettura Audi A4 targa …….di proprietà di ……………e condotta da<br />

……………., assicurata per la responsabilità civile da circolazione stradale con la<br />

Milano assicurazioni spa;<br />

-che esso attore aveva riportato gravi lesioni personali e che aveva altresì subito<br />

gravissimi danni patrimoniali, derivanti anche dal mancato esercizio della propria<br />

attività commerciale;<br />

-precisato che il sinistro era addebitabile esclusivamente al conducente<br />

dell’Audi,chiedeva la condanna del medesimo e della società assicuratrice,che<br />

garantiva l’auto per i danni da circolazione, con vincolo di solidarietà, al<br />

risarcimento dei danni.<br />

Notificato ritualmente l’atto di citazione si costituiva la sola società assicuratrice<br />

che contestava l’avverso dedotto, chiedendo il rigetto della domanda. Eccepiva<br />

l’assicuratore la esclusiva colpa dell’attore. Gradatamente eccepiva che le lesioni<br />

riportate erano minime e non certo nella misura dichiarata da controparte.<br />

Espletata la necessaria attività istruttoria ed acquisita la documentazione<br />

ritualmente prodotta, la causa è stata assegnata a sentenza e dopo che sono state<br />

depositate le memorie come per legge, è stata decisa.<br />

MOTIVI DELLA DECISIONE<br />

1- Responsabilità, entità dei danni e nesso causale –<br />

La domanda è fondata e pertanto va accolta.<br />

Dalla documentazione acquisita agli atti ed in particolare dai rilievi effettuati dai<br />

carabinieri nell’immediatezza del sinistro, ai quali va attribuita efficacia<br />

probatoria piena, emerge che il sinistro si verificava perché l’autovettura<br />

condotta dalla convenuta non si arrestava al segnale di stop prima di immettersi<br />

sulla carreggiata. Le affermazioni della società assicuratrice, fondate sulle<br />

dichiarazioni rese nell’immediatezza dei fatti dalla …….., secondo cui il<br />

motociclista …….manteneva una velocità sostenuta, sono rimaste prive di<br />

riscontro e quindi si deve attribuire ai convenuti la responsabilità esclusiva del<br />

sinistro, essendo stata accertata la specifica violazione da parte della convenuta<br />

di norme di prudenza e relative alla circolazione stradale (violazione dell’obbligo<br />

di arrestarsi allo “stop”), con conseguente superamento della presunzione di<br />

concorso ex art. 2054 c.c. .<br />

Sicché va affer mata la responsabilità della ……………… e la solidale<br />

responsabilità del proprietario del mezzo e della società assicuratrice.<br />

Ciò premesso occorre procedere alla liquidazione dei danni.<br />

Dalla espletata ctu è emerso che l’attore in conseguenza del sinistro riportava<br />

“Esiti di frattura biossea di gamba destra, esiti di lesione del legamento crociato<br />

anteriore destro, esiti di frattura VIII costa destra, esiti di trauma distorsivo<br />

rachide cervicale, esiti di trauma cranico con perdita di coscienza di breve durata,<br />

esiti di contusione polmonare”; il ctu ha riconosciuto allo stesso un’inabilità<br />

temporanea di 380 giorni, suddivisi in 250 gg. di inabilità temporanea assoluta al<br />

100%, 80 gg. di inabilità temporanea al 50% e 50 gg.di inabilità temporanea al<br />

25%, ed una invalidità permanente del 18%.<br />

Questo giudice non ha motivo di discostarsi dalla valutazione tecnica che appare<br />

immune da vizi e pienamente condivisibile .<br />

In relazione alle descritte lesioni sono risarcibili i danni alla persona o non<br />

patrimoniali .<br />

2- I danni risarcibili – Il danno alla persona ex art. 2059 c.c.<br />

Il risarcimento del danno non patrimoniale è previsto dall'art. 2059 c.c. , secondo<br />

cui “il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi determinati<br />

dalla legge”.All'epoca dell'emanazione del codice civile (1942) l'unica previsione<br />

espressa del risarcimento del danno non patrimoniale era racchiusa nell'art. 185<br />

del codice penale del 1930.<br />

112


La tradizionale restrittiva lettura dell'art. 2059 c.c. , in relazione all'art. 185 c.p.,<br />

come diretto ad assicurare tutela soltanto al danno morale soggettivo, alla<br />

sofferenza contingente, al turbamento dell'animo transeunte determinato da fatto<br />

illecito integrante reato (interpretazione fondata sui lavori preparatori del codice<br />

del 1942 e largamente seguita dalla giurisprudenza), è stata superata via via dalla<br />

giurisprudenza.<br />

Si è precisato che nel vigente assetto dell'ordinamento, nel quale assume<br />

posizione preminente la Costituzione che, all'art. 2, riconosce e garantisce i<br />

diritti inviolabili dell'uomo, il danno non patrimoniale deve essere inteso come<br />

categoria ampia, comprensiva di ogni ipotesi in cui sia leso un valore inerente<br />

alla persona. Tale conclusione trova sostegno nella progressiva evoluzione<br />

verificatasi nella disciplina di tale settore, contrassegnata dal nuovo<br />

atteggiamento assunto, sia dal legislatore sia dalla giurisprudenza, in relazione<br />

alla tutela riconosciuta al danno determinato dalla lesione di interessi inerenti<br />

alla persona non connotati da rilevanza economica (in tal senso v. già Corte<br />

Cost., sent. n. 88/79).<br />

Nella legislazione successiva al codice si rinviene un cospicuo ampliamento dei<br />

casi di espresso riconoscimento del risarcimento del danno non patrimoniale<br />

anche al di fuori delle ipotesi di reato, in relazione alla compro missione di valori<br />

personali (art. 2 della legge 13.4.1998 n. 117: risarcimento anche dei danni no n<br />

patrimoniali derivanti dalla privazione della libertà personale cagionati<br />

dall'esercizio di funzioni giudiziarie; art. 29, comma 9, della legge 31.12.1996 n.<br />

675: impiego di modalità illecite di raccolta di dati personali; art. 44, comma 7,<br />

del d.lgs 25.7.1998 n. 286: adozione di atti discriminatori per motivi razziali,<br />

etnici o religiosi; art. 2 della legge 24.3.2001 n. 89: mancato rispetto del termine<br />

ragionevole di durata del processo).<br />

Appare inoltre significativa l'evoluzione della giurisprudenza della S.C.,<br />

sollecitata dalla sempre più avvertita esigenza di garantire l'integrale riparazione<br />

del danno ingiustamente subito,non solo nel patrimonio inteso in senso<br />

strettamente economico, ma anche nei valori propri della persona (art.2 Cost.). In<br />

proposito va anzitutto richiamata la rilevante innovazione costituita<br />

dall'ammissione a risarcimento (a partire dalla sentenza n. 3675/81) di quella<br />

peculiare figura di danno non patrimoniale (diverso dal danno morale soggettivo)<br />

che è il danno biologico, formula con la quale si designa l'ipotesi della lesione<br />

dell'interesse costituzionalmente garantito (art. 32 Cost.) alla integrità psichica e<br />

fisica della persona.<br />

Invero la tutela risarcitoria del c.d. danno biologico viene inizialmente<br />

riconosciuta in virtù del collegamento tra l'art. 2043 e l’art. 32 della Costituzione<br />

e tale costruzione trova le sue radici (v. Corte Cost., sent. n. 184/1986) nella<br />

esigenza di sottrarre il risarcimento del danno biologico (danno non patrimoniale)<br />

dal limite posto dall'art. 2059 cod. civ. (norma nel cui ambito ben avrebbe potuto<br />

trovare collocazione, e nella quale peraltro una successiva sentenza della Corte<br />

Costituzionale, la n. 372 del 1994, ha ricondotto il danno biologico fisico o<br />

psichico sofferto dal congiunto della vittima primaria), ma esso costituisce<br />

comunque un danno ulteriore risarcibile di natura non patrimoniale.<br />

Nel senso del riconoscimento della non coincidenza tra il danno non patrimoniale<br />

previsto dall'art. 2059 e il danno morale soggettivo va altresì ricordato che la<br />

S.C. ha ritenuto risarcibile il danno non patrimoniale, evidentemente inteso in<br />

senso diverso dal danno morale soggettivo, anche in favore delle persone<br />

giuridiche; soggetti per i quali non è ontologicamente configurabile un<br />

coinvolgimento psicologico in termini di patemi d'animo (In tal senso Cass. 337<br />

del 2008 : "anche per le persone giuridiche e le società di persone, il danno non<br />

patrimoniale, inteso come danno morale soggettivo correlato a turbamenti di<br />

carattere psicologico, in confor mità alla giurisprudenza della C.E.D.U., è da<br />

ritenere conseguenza normale della violazione del diritto di cui all'art. 6 della<br />

convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, a causa dei patemi<br />

d'animo e disagi psicologici che provoca tale lesione alle persone preposte alla<br />

gestione dell'ente o ai suoi membri, con la conseguenza che il giudice deve<br />

ritenere tale danno esistente, salvo circostanze particolari che lo escludano", ed<br />

113


anche Cass. 15 giugno 2006 n. 13829, 29 marzo 2006 n. 7145, 28 ottobre 2005 n.<br />

21094, 30 agosto 2005 n. 17550).<br />

Il danno biologico è stato poi definitivamente riconosciuto dallo stesso<br />

legislatore con la legge n. 209 del 2005, all'art. 138 .<br />

Si è così acquisito all'ordinamento positivo il riconoscimento della lata<br />

estensione della nozione di “danno non patrimoniale”, inteso co me danno da<br />

lesione di valori inerenti alla persona, e non più solo come “danno morale<br />

soggettivo”.<br />

Ma per il riconoscimento della risarcibilità di tale danno si sono dovuti superare<br />

diversi ostacoli giuridici e primo tra tutti quello derivante dall’assoggettamento,<br />

da parte dell’art.2059 del codice del 1942, del risarcimento del danno non<br />

patrimoniale, alla riserva di legge, originariamente esplicata dal solo art. 185 c.p.<br />

(ma v. anche l'art. 89 c.p.c.). Tale limite è stato superato osservandosi che<br />

venendo in considerazione valori personali di rilievo costituzionale, deve<br />

escludersi che il risarcimento del danno non patrimoniale che ne consegua sia<br />

soggetto al limite derivante dalla riserva di legge correlata all'art. 185 c.p.. Si<br />

è precisato che una lettura della norma costituzionalmente orientata impone di<br />

ritenere inoperante il detto limite se la lesione ha riguardato valori della persona<br />

costituzionalmente garantiti; occorre considerare, infatti, che nel caso in cui la<br />

lesione abbia inciso su un interesse costituzionalmente protetto la riparazione<br />

mediante indennizzo (ove non sia praticabile quella in forma specifica)<br />

costituisce la forma minima di tutela, ed una tutela minima non è assoggettabile a<br />

specifici limiti, poiché ciò si risolverebbe in rifiuto di tutela nei casi esclusi ( si<br />

veda Corte Cost., sent. n. 184/86, che si avvale tuttavia dell'argomento per<br />

ampliare l'ambito della tutela ex art. 2043 al danno non patrimoniale da lesione<br />

della integrità biopsichica; ma l'argomento si presta ad essere utilizzato anche per<br />

dare una interpretazione conforme a Costituzione dell'art. 2059 c.c.).<br />

D'altra parte, il rinvio ai casi in cui la legge consente la riparazione del danno<br />

non patrimoniale ben può essere riferito, dopo l'entrata in vigore della<br />

Costituzione, anche alle previsioni della legge fondamentale, atteso che il<br />

riconoscimento nella Costituzione dei diritti inviolabili inerenti alla persona non<br />

aventi natura economica implicitamente, ma necessariamente, ne esige la tutela ed<br />

in tal modo configura un caso determinato dalla legge, al massimo livello, di<br />

riparazione del danno non patrimoniale.<br />

Progressivamente,alle figure del danno morale e biologico si affiancava, nel corso<br />

degli anni, quella del danno esistenziale. Quest’ultimo veniva elaborato e<br />

definito come danno da lesione dei diritti fondamentali o delle facoltà realizzatici<br />

della persona; esso, però, a differenza quello biologico, il quale è in re ipsa, nel<br />

senso che è la stessa lesione in sé considerata ad integrare il danno, si riteneva<br />

dovesse essere specificamente provato, eventualmente anche in via presuntiva, ma<br />

doveva essere provato.<br />

Volendo far riferimento alla nota distinzione tra danno-evento e<br />

danno-conseguenza (introdotta da Corte cost. n. 184/86, che ha collocato nella<br />

prima figura il danno biologico, ma abbandonata dalla successiva Corte cost. n.<br />

372/94), si trattava di danno-conseguenza.<br />

Non valeva pertanto l'assunto, valido per il danno biologico, secondo cui il danno<br />

sarebbe stato in re ipsa, nel senso che sarebbe stato coincidente con la lesione<br />

dell'interesse. Si affermava invece che dalla lesione dell'interesse scaturivano,o<br />

meglio potevano scaturire delle conseguenze, che, in relazione alle varie<br />

fattispecie, potevano avere diversa ampiezza e consistenza.<br />

Il danno in questione doveva essere quindi essere allegato e provato .<br />

Sicché, conclusivamente, si individuavano tre distinte figure di danno alla<br />

persona.<br />

Il danno biologico, consistente nella menomazione arrecata all'integrità fisiopsichica<br />

della persona in sé e per sé considerata, incidente sul valore umano in<br />

ogni sua concreta dimensione, ivi comprese quelle nell'ambito spirituale, sociale,<br />

ludico, culturale od estetico, risarcibile, ai sensi dell'art. 2059 c.c., per<br />

equivalente, mediante la liquidazione di una somma di denaro, in una prospettiva<br />

compensativa (sent. n. 2008-93); il danno morale, ex art. 185 cp in relazione<br />

114


all’art. 2059 c.c., ma con estensione anche ad ipotesi di illeciti non costituenti<br />

reato; ed il danno esistenziale, riconducibile alla violazione di diritti<br />

costituzionalmente garantiti diversi dal diritto alla salute.<br />

In presenza di questa tripartizione, però, incominciava a porsi il problema di<br />

evitare moltiplicazioni risarcitorie. Sulla questione la Corte di Cassazione<br />

interveniva con due fondamentali sentenze del 2003 precisando che tali danni<br />

comunque inerivano alla persona, unitariamente intesa e quindi dovevano essere<br />

unitariamente e complessivamente valutati. In particolare precisava la SC nella<br />

fondamentale sentenza n. 8827 del 31/05/2003 che “la lettura costituzionalmente<br />

orientata dell'art. 2059 cod. civ. va tendenzialmente riguardata non già co me<br />

occasione di incremento generalizzato delle poste di danno (e mai come strumento<br />

di duplicazione di risarcimento degli stessi pregiudizi), ma soprattutto co me<br />

mezzo per colmare le lacune nella tutela risarcitoria della persona, che va<br />

ricondotta al sistema bipolare del danno patrimoniale e di quello non<br />

patrimoniale, quest'ultimo comprensivo del danno biologico in senso stretto<br />

(configurabile solo quando vi sia una lesione dell'integrità psico - fisica secondo<br />

i canoni fissati dalla scienza medica), del danno morale soggettivo come<br />

tradizionalmente inteso (il cui ambito resta esclusivamente quello proprio della<br />

mera sofferenza psichica e del patema d'animo) nonché dei pregiudizi, diversi ed<br />

ulteriori, purché costituenti conseguenza della lesione di un interesse<br />

costituzionalmente protetto. Ne deriva che, nella liquidazione equitativa dei<br />

pregiudizi ulteriori, il giudice, in relazione alla menzionata funzione unitaria del<br />

risarcimento del danno alla persona, non può non tenere conto di quanto già<br />

eventualmente riconosciuto a titolo di danno morale soggettivo, pure esso<br />

risarcibile, quando vi sia la lesione di un tale tipo di interesse, ancorché il fatto<br />

non sia configurabile come reato”. Intanto, per quanto concerne il cd. danno<br />

esistenziale si poneva, oltre che un problema di risarcibilità e di entità del<br />

risarcimento, il problema di una esatta individuazione, e si evidenziava un<br />

proliferare di giudizi tendenti ad ottenere risarcimenti per lesioni della cd.<br />

qualità della vita (danno da morte del gatto o del cavallo, danno da vacanza<br />

rovinata, danno da fastidio causato da un lampione della pubblica illuminazione<br />

installato troppo vicino all'abitazione, danni da fastidi quotidiani vari), sicché la<br />

stessa Corte di Cassazione rimetteva alle sezioni riunite le questioni relative<br />

all'esistenza nel nostro ordinamento del cd. danno esistenziale ed al suo<br />

risarcimento, oltre altre questioni che in questa sede non interessano, quali la<br />

risarcibilità del danno alla persona in relazione all'inadempimento contrattuale .<br />

3- Le Sezioni Unite con le decisioni n. 26972, 26973, 26974 e 26975 dell'11<br />

novembre 2008, nel comporre il contrasto riscontrabile nella giurisprudenza di<br />

legittimità sulla questione se tra le categorie di danno non patrimoniale sia<br />

configurabile, a fianco del danno morale soggettivo e del danno biologico, il<br />

danno esistenziale, inteso come pregiudizio derivante dalla menomazione di<br />

valori/interessi costituzionalmente garantiti e consistente nella lesione del fare<br />

areddituale della vittima dell'illecito, affermavano che :<br />

- non sono meritevoli di tutela risarcitoria, invocata a titolo di danno esistenziale,<br />

i pregiudizi consistenti in disagi, fastidi, disappunti, ansie ed in ogni altro tipo di<br />

insoddisfazione concernente gli aspetti più disparati della vita quotidiana che<br />

ciascuno conduce nel contesto sociale. Al di fuori dei casi determinati dalla legge<br />

ordinaria, solo la lesione di un diritto inviolabile della persona concretamente<br />

individuato è fonte di responsabilità risarcitoria non patrimoniale;<br />

- il danno non patrimoniale è categoria generale non suscettiva di suddivisione in<br />

sottocategorie variamente etichettate. In particolare, non può farsi riferimento ad<br />

una generica sottocategoria denominata danno esistenziale perché attraverso<br />

questa si finisce per portare anche il danno non patrimoniale nell'atipicità, sia<br />

pure attraverso l'individuazione della apparente tipica figura categoriale del<br />

danno esistenziale, in cui tuttavia confluiscono fattispecie non necessariamente<br />

previste dalla norma ai fini della risarcibilità di tale tipo di danno, mentre tale<br />

situazione non è voluta dal legislatore ordinario né è necessitata<br />

dall'interpretazione costituzionale dell'art. 2059 c.c., che rimane soddisfatta dalla<br />

tutela risarcitoria di specifici valori della persona presidiati da diritti inviolabili<br />

115


secondo Costituzione.<br />

Il riferimento a determinati tipi di pregiudizio, in vario modo denominati (danno<br />

morale, danno biologico, danno da perdita del rapporto parentale), risponde ad<br />

esigenze descrittive, ma non implica il riconoscimento di distinte categorie di<br />

danno .<br />

E' compito del giudice accertare l'effettiva consistenza del pregiudizio allegato, a<br />

prescindere dal nome attribuitogli, individuando quali ripercussioni negative sul<br />

valore-uomo si siano verificate e provvedendo alla loro integrale riparazione.<br />

Non è ammissibile nel nostro ordinamento l'autonoma categoria di " danno<br />

esistenziale",inteso quale pregiudizio alle attività non remunerative della persona,<br />

atteso che: ove in essa si ricomprendano i pregiudizi scaturenti dalla lesione di<br />

interessi della persona di rango costituzionale, ovvero derivanti da fatti-reato,<br />

essi sono già risarcibili ai sensi dell'art. 2059 c.c.,interpretato in modo conforme<br />

a Costituzione, con la conseguenza che la liquidazione di una ulteriore posta di<br />

danno comporterebbe una duplicazione risarcitoria; ove nel "danno esistenziale"<br />

si intendessero includere pregiudizi non lesivi di diritti inviolabili della persona,<br />

tale categoria sarebbe del tutto illegittima, posto che simili pregiudizi sono<br />

irrisarcibili, in virtù del divieto di cui all'art. 2059 c.c..<br />

Il danno non patrimoniale da lesione della salute costituisce una categoria ampia<br />

ed omnico mprensiva, nella cui liquidazione il giudice deve tenere conto di tutti i<br />

pregiudizi concretamente patiti dalla vittima, ma senza duplicare il risarcimento<br />

attraverso l'attribuzione di nomi diversi a pregiudizi identici. Ne consegue che è<br />

inammissibile, perché costituisce una duplicazione risarcitoria, la congiunta<br />

attribuzione alla vittima di lesioni personali, ove derivanti da reato, del<br />

risarcimento sia per il danno biologico, sia per il danno morale, inteso quale<br />

sofferenza soggettiva, il quale costituisce necessariamente una co mponente del<br />

primo (posto che qualsiasi lesione della salute implica necessariamente una<br />

sofferenza fisica o psichica),come pure la liquidazione del danno biologico<br />

separatamente da quello c.d. estetico, da quello alla vita di relazione e da quello<br />

cosiddetto esistenziale .<br />

Conclusivamente, la Corte esclude l'esistenza del danno cd. esistenziale,<br />

individua un solo danno alla persona, nel quale confluiscono i danni derivanti<br />

dalla lesione del diritto alla salute, i pregiudizi morali e gli altri eventuali<br />

pregiudizi purchè meritevoli di tutela, sulla base della normativa comunitaria,<br />

costituzionale o di legge ordinaria. Tale danno, così come è unitario, va<br />

unitariamente liquidato, tenendosi conto naturalmente della natura e dell'entità<br />

dei pregiudizi che sono derivati nel singolo caso concreto e quindi va<br />

personalizzato.<br />

Le sentenze quindi hanno posto il problema dell’esistenza, che appare negata,<br />

del danno esistenziale e la stessa autono mia del danno morale. Per quanto<br />

concerne il danno esistenziale, l'attenta lettura delle sentenze dalle quali<br />

sembra doversi escludere l’esistenza del medesimo, evidenzia, invece, che<br />

trattasi solo di una affermazione formale e non anche sostanziale, poiché tale<br />

pregiudizio, co munque lo si voglia denominare, costituisce una realtà<br />

tangibile, il cui verificarsi non può essere negato, ed il cui risarcimento, di<br />

conseguenza, deve continuare ad essere garantito. E' la stessa Corte a precisare<br />

che "in assenza di reato e al di fuori dei casi determinati dalla legge, pregiudizi<br />

di tipo esistenziale sono risarcibili purché conseguenti alla lesione di un diritto<br />

inviolabile della persona. Ipotesi che si realizza,ad esempio, nel caso dello<br />

sconvolgimento della vita familiare provocato dalla perdita di congiunto (c.d.<br />

danno da perdita del rapporto parentale), poiché il pregiudizio di tipo esistenziale<br />

consegue alla lesione di diritti inviolabili della famiglia (artt. 2, 29 e 30 Cost.)";<br />

ed ancora, "altri pregiudizi di tipo esistenziale attinenti alla sfera relazionale<br />

della persona, ma non conseguenti a lesione psico-fisica, e quindi non rientranti<br />

nell'ambito del danno biologico (...) saranno risarcibili purché siano conseguenti<br />

alla lesione di un diritto inviolabile della persona diverso dal diritto all'integrità<br />

psicofisica".<br />

Per quanto concerne il danno morale, nei primi co mmenti successivi alle<br />

sentenze dell'11 novembre 2008, gli interpreti, interrogandosi sul futuro del<br />

116


danno morale, vedevano la sco mparsa di tale voce di danno dal sistema<br />

risarcitorio civilistico, ritenendo che non ci sarebbe più stato spazio per<br />

ottenere il risarcimento dello stesso .<br />

Le co mpagnie assicurative, inoltre, avevano immediatamente dato ordine ai propri<br />

liquidatori di non pagare più alcuna somma per tale voce di pregiudizio .<br />

Gli interpreti però non tenevano conto di quanto affermato dalle stesse<br />

sezioni unite, e cioè che:“quando il fatto illecito integra gli estremi di un reato,<br />

spetta alla vittima il risarcimento del danno non patrimoniale nella sua più ampia<br />

accezione, ivi compreso il danno morale, inteso quale sofferenza soggettiva<br />

causata dal reato” E comunque è stata la Corte stessa di cassazione, nelle<br />

successive sentenze, a precisare il proprio pensiero. Nella sentenza del 28<br />

novembre 2008,n.28407, si legge: "L'autonomia ontologica del danno morale<br />

rispetto al danno biologico, in relazione alla diversità del bene protetto,<br />

appartiene ad una consolidata, giurisprudenza di questa Corte, che esclude il<br />

ricorso semplificativo a quote del danno biologico, esigendo la considerazione<br />

delle condizioni soggettive della vittima e della gravità del fatto e pervenendo ad<br />

una valutazione equitativa autonoma e personalizzata".<br />

Ancora nella sentenza del 12 dicembre 2008, n. 29191 si legge: "La voce "danno<br />

morale" è dotata di logica autonomia rispetto alla lesione del diritto alla salute in<br />

relazione alla diversità del bene protetto, che pure attiene ad un diritto<br />

inviolabile della persona".<br />

Nella sentenza del 13 gennaio 2009, n. 479 nell’accogliere il ricorso per la<br />

mancata liquidazione del danno morale, la Corte, afferma il principio di<br />

diritto che: "la parte che ha subito lesioni gravi alla salute nel corso di un<br />

incidente stradale, ha diritto al risarcimento integrale del danno ingiusto non<br />

patrimoniale (nella specie dedotto come danno morale), che deve essere<br />

equitativa mente valutato tenendo conto delle condizioni soggettive della<br />

vittima, della entità delle lesioni e delle altre circostanze che attengono alla<br />

valutazione della condotta dell'autore del danno, ancorché vi sia<br />

l'accerta mento del pari concorso di colpa ai sensi del comma 2 dell'art. 2054<br />

c.c.". La Corte di legittimità quindi non si è posta il problema "se"<br />

riconoscere il danno morale, bensì solo del "co me" quantificare il citato<br />

pregiudizio.<br />

Anche nella successiva sentenza n. 13530 del 2009 la Corte precisa: in<br />

relazione ad un fatto illecito costituente anche fatto reato, la valutazione unitaria<br />

del danno non patrimoniale deve esprimere analiticamente l'iter logico ponderale<br />

delle poste liquidate. La posta del danno morale deve essere dunque comparata<br />

a quella del danno biologico, e non è detto a priori che il danno morale sia<br />

sempre e necessaria mente una quota del danno alla salute, specie quando le<br />

lesioni attengano a beni giuridici essenzialmente diversi, tanto da essere inclusi<br />

un diverse norme della Costituzione. Al contrario (come nella fattispecie in<br />

esame) il danno morale potrà assumere il valore di un danno ingiusto più<br />

grave”.<br />

In senso conforme, della risarcibilità del danno morale, quale voce autono ma<br />

in aggiunta al danno biologico, è pacifico ormai anche l’orienta mento della<br />

giurisprudenza di merito.<br />

4-I criteri del risarcimento- Una volta superata la tripartizione ed affermata<br />

l’esigenza di una liquidazione unitaria del danno alla persona, si pone un<br />

problema di individuazione dei criteri di risarcimento, atteso che le richiamate<br />

pronunzie delle sezioni unite hanno comportato il supera mento del precedente<br />

sistema "tabellare", almeno così come originaria mente strutturato. Per la<br />

liquidazione del danno biologico i diversi Tribunali avevano elaborato delle<br />

“tabelle” che tenevano conto dell’età del danneggiato e dell’entità delle lesioni<br />

riportate.<br />

Le stesse tabelle prevedevano poi dei correttivi idonei a personalizzare il danno,<br />

nel senso che erano possibili delle variazioni, per lo più in aumento,<br />

dell’ammontare del risarcimento qualora l’importo tabellare risultasse inadeguato<br />

in relazione alla peculiarità ed evidente particolare gravità del danno stesso.<br />

Il danno morale veniva liquidato in una frazione del danno biologico variabile da<br />

117


¼ ad ½ ,sempre in relazione alla natura e gravità del danno, ricordando che il<br />

risarcimento del danno morale oltre ad avere una funzione ripristinatoria ha anche<br />

una funzione sanzionatoria e quindi il Giudice non solo deve tener conto della<br />

intensità e gravità dei patemi d’animo, delle sofferenze derivate al danneggiato,<br />

ma anche della gravità del reato (se il danno deriva da un tale illecito) nel suo<br />

aspetto oggettivo e soggettivo .<br />

Il danno esistenziale, invece, sfuggiva a criteri predeterminati o “tabellarizzati”,<br />

per quanto non fosse mancato qualche giudice di merito che aveva predisposto<br />

delle tabelle, ma che non avevano trovato, per quanto risulta, consenso e seguito<br />

applicativo. Ci si trovava in presenza, quindi, di una liquidazione equitativa<br />

affidata al prudente apprezzamento del giudice, sempre sulla base di quanto<br />

allegato e provato e, soprattutto, tenendo conto dei principi di limitazione<br />

complessiva del cumulo e non duplicazione del risarcimento.<br />

Venuto meno il criterio tabellare innanzi descritto il Tribunale di Milano ha<br />

elaborato nuove tabelle che prevedono una liquidazione unitaria con aumenti o<br />

diminuzioni in relazione ai diversi pregiudizi. Il danno biologico viene liquidato<br />

equitativamente in una somma variabile, discrezionalmente stabilita e contenuta<br />

nel triplo della somma liquidata a titolo di danno biologico. Altri giudici di<br />

merito fanno riferimento ad un criterio equitativo puro.<br />

5- Il criterio di liquidazione prescelto ed applicato- Osserva questo Giudice che<br />

la liquidazione del danno alla persona è, e non può che essere, equitativa in<br />

assenza di criteri legislativamente determinati, al di fuori delle micro-lesioni,<br />

ed altresì nella impossibilità di provare specifica mente l’entità del danno ed<br />

altresì non avendo la pronunzia una funzione ripristinatoria bensì<br />

indennitaria. D'altro canto il primario e più risalente danno alla persona,<br />

rappresentato dal danno morale da reato, ex artt. 185 cp e 2059 c.c., è sempre<br />

stato liquidato in via equitativa, tenendosi conto principalmente dalla natura ed<br />

entità del pregiudizio nel singolo caso concreto. Pur tuttavia non si può non tener<br />

conto anzitutto che è stato lo stesso legislatore in qualche modo a tabellarizzare il<br />

danno cd.biologico,attraverso la legge del 2005,quindi il giudice, nell'interpretare<br />

le norme non può non tener conto di un criterio che lo stesso legislatore ha<br />

previsto per il risarcimento di quel danno ed in particolare di quel peculiare<br />

aspetto del danno alla persona. L'esigenza di agganciare il risarcimento a dei<br />

criteri predeterminati risponde poi all'esigenza di consentire il sindacato<br />

dell'operato del giudice stesso in sede di gravame e nello stesso tempo di<br />

garantire, attraverso il richiamo a criteri predeterminati, il principio di<br />

eguaglianza dei cittadini. D’altro canto la SC ha precisato che il Giudice può<br />

procedere alla liquidazione equitativa del danno, da non confondersi con la<br />

decisione della causa secondo equità, quando non sia possibile provare<br />

specificamente il danno. Il potere del giudice di merito di valutare il danno in via<br />

equitativa, ai sensi dell'art. 1226 cod. civ., non è riconducibile nell'ambito della<br />

decisione della causa secondo equità, prevista dall'art. 114 cod. proc. civ., che<br />

importa, appunto, la decisione della lite prescindendo dallo stretto diritto,<br />

laddove il primo consiste nella possibilità del giudice di ricorrere, anche<br />

d'ufficio, a criteri equitativi per raggiungere la prova dell'ammontare del danno<br />

risarcibile, integrando così le risultanze processuali che siano insufficienti a<br />

detto scopo. In questo caso il potere discrezionale del giudice è correttamente<br />

esercitato se nella decisione è specificamente ed analiticamente indicato il<br />

percorso logico seguito nella liquidazione (sentenze n. 25943 del 2007 e n.<br />

13530 del 2009: “la valutazione unitaria del danno non patrimoniale deve<br />

esprimere analiticamente l'iter logico ponderale delle poste liquidate”) .<br />

Ciò posto, nella concreta liquidazione, si muove dalla natura e dall’entità delle<br />

lesioni riportate e si determina il danno biologico (danno alla salute )secondo le<br />

tabelle del Tribunale di Milano e quindi tenendosi conto dell’entità delle lesioni<br />

in relazione all’età del danneggiato e tale danno viene maggiorato in relazione<br />

alle eventuali situazioni concrete e quindi si attua una “personalizzazione” del<br />

medesimo. Qualora, poi, il fatto integri anche reato, si tiene conto da un lato<br />

della natura ed entità delle sofferenze derivate al danneggiato e dall’altro della<br />

natura e gravità del reato, atteso che tale co mponente del danno alla persona va<br />

118


liquidata anche in funzione sanzionatoria rispetto al danneggiante, autore del<br />

reato.<br />

In merito particolarmente significativa appare la sentenza n. 13530 del 2009 dove<br />

la Corte precisa : “in relazione ad un fatto illecito costituente anche fatto reato la<br />

posta del danno morale deve essere co mparata a quella del danno biologico, e non<br />

è detto a priori che il danno morale sia sempre e necessariamente una quota del<br />

danno alla salute, specie quando le lesioni attengano a beni giuridici<br />

essenzialmente diversi, tanto da essere inclusi un diverse norme della<br />

Costituzione. Al contrario il danno morale potrà assumere il valore di un danno<br />

ingiusto più grave”. La Corte esprime in termini chiari l’esigenza che quando ci<br />

si trovi in presenza di un fatto-reato, che non siano le solite lesioni personali da<br />

sinistro stradale, il danno morale non può essere ridotto ad una “percentuale” del<br />

danno biologico, ma deve assumere una propria autonoma connotazione che può<br />

portalo ad essere addirittura prevalente rispetto al danno biologico.<br />

5a – La liquidazione del danno non patrimoniale - Ciò premesso, occorre<br />

procedere alla liquidazione dei danni e nel farlo, questo Giudice ritiene di<br />

applicare, coerentemente con il proprio costante orientamento, le tabelle del<br />

Tribunale di Milano, sulla base delle quali e tenuto conto delle lesioni in<br />

premessa descritte e tenuto conto dell’età del danneggiato, competono le seguenti<br />

somme:euro 37.234,00= per invalidità permanente, euro 19.662,50= per inabilità<br />

temporanea ed euro 15.000,00 per danno morale e quindi co mplessivamente euro<br />

72.000,00 in cifra arrotondata.<br />

La detta liquidazione corrisponde ad una liquidazione complessiva ed unitaria dei<br />

danni alla persona, valutati con specifico riferimento al danneggiato e quindi la<br />

liquidazione è personalizzata.<br />

Il risarcimento del danno da fatto illecito extra contrattuale integra debito di<br />

valore, sicché deve tenersi conto dell'inflazione monetaria intervenuta sino alla<br />

decisione definitiva (danno emergente) .<br />

Il giudice può, nell'ambito dei suoi poteri equitativi, liquidare il danno con<br />

riferimento alla data della decisione, e quindi, attraverso questo criterio,<br />

attualizzare la liquidazione al momento della decisione, comprendendovi anche la<br />

rivalutazione.<br />

Alla somma così liquidata va aggiunto il risarcimento del danno da ritardo per la<br />

mancata disponibilità della somma "de qua" durante il tempo trascorso dall'evento<br />

lesivo e la liquidazione giudiziale (Cass. 3.2.1999, n. 878; Cass. 18. 2.2000,<br />

n.1814).<br />

La dimostrazione di tale danno (lucro cessante) può essere fornita con ogni<br />

mezzo, anche presuntivo.<br />

Per la liquidazione di detto danno da ritardo si può adottare anche il criterio degli<br />

interessi legali, decorrenti dalla data del fatto illecito, di natura compensativa per<br />

il depauperamento di chi non riceve a tempo debito la disponibilità della so mma<br />

successivamente alla consumazione dell'illecito, non necessariamente commisurati<br />

al tasso legale, ma ispirati a criteri equitativi, e computati con riferimento ai<br />

singoli momenti riguardo ai quali la somma equivalente al bene perduto si<br />

incrementa nominalmente, per effetto dei prescelti indici di valutazione, ovvero<br />

in base ad un indice medio.<br />

Sulla base di quanto premesso, osserva questo Giudice che la somma innanzi<br />

indicata viene rivalutata all’attualità, in euro 74.000,00 e sulla somma via via<br />

rivalutata vanno applicati gli interessi legali dall’evento illecito al soddisfo.<br />

6- Il danno patrimoniale - Per quanto concerne il danno patrimoniale, è pacifico<br />

l’orientamento giurisprudenziale che richiede da parte dell’attore una rigorosa<br />

prova dello stesso, anche presuntiva, ma rigorosa.<br />

Può essere riconosciuto all’attore il rimborso delle spese sostenute, pari ad euro<br />

1.600,00 ed il danno al motociclo, pari ad euro 5000,00 ed altresì il danno da<br />

perdita di reddito per riduzione dell’attività lavorativa. Per quest’ultimo aspetto è<br />

stata depositata consulenza di parte. In essa però si indicano il minor fatturato e<br />

il maggior quantitativo di “reso” (l’attore gestisce un’edicola-cartolibreria),<br />

sicché valutati i detti elementi può essere riconosciuto un danno da perdita di<br />

reddito netto di euro 15.000,00.<br />

119


Per quanto concerne il danno cd. da cenestesi lavorativa, seguendo quanto<br />

affermato da Cass. N. 5840 del 2004, si deve ritenere che “In tema di<br />

risarcimento del danno alla persona, sussiste la risarcibilità del danno<br />

patrimoniale soltanto qualora sia riscontrabile la eliminazione o la riduzione della<br />

capacità del danneggiato di produrre reddito, mentre il danno da lesione della<br />

"cenestesi lavorativa", che consiste nella maggiore usura, fatica e difficoltà<br />

incontrate nello svolgimento dell'attività lavorativa, non incidente neanche sotto<br />

il profilo delle opportunità sul reddito della persona offesa (c.d. perdita di<br />

chance), risolvendosi in una compromissione biologica dell'essenza<br />

dell'individuo, va liquidato onnicomprensivamente come danno alla salute. A tal<br />

fine il giudice, ove abbia adottato per la liquidazione il criterio equitativo del<br />

valore differenziato del punto di invalidità, ben può liquidare la componente<br />

costituita dal pregiudizio della cenestesi lavorativa mediante un appesantimento<br />

del valore monetario di ciascun punto, restando invece non consentito il ricorso al<br />

parametro del reddito percepito dal soggetto leso”. Nel caso in esame la<br />

liquidazione effettuata per il predetto titolo di danno biologico appare adeguata e<br />

quindi non necessita di maggiorazioni.<br />

Le somme, liquidate all’attualità, devono essere maggiorate di interessi<br />

dall’evento al soddisfo.<br />

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, considerato<br />

il valore della causa per come accolta la domanda.<br />

PQM<br />

Il Giudice, definitivamente pronunziando sulla domanda proposta da<br />

………..contro ………….. e ……………. e la Milano Assicurazioni spa,in persona<br />

del legale rappresentante pro-tempore, ogni altra istanza, eccezione e deduzione<br />

disattesa, così provvede:<br />

accoglie per quanto di ragione la domanda e per l’ effetto condanna i convenuti,<br />

con vincolo di solidarietà, al pagamento della co mplessiva somma di euro<br />

95.600,00 in favore dell’attore, somma già rivalutata all’attualità e da<br />

maggiorarsi di interessi legali dall’evento al soddisfo, oltre svalutazione<br />

monetaria, secondo indici Istat, dalla presente pronunzia al soddisfo;<br />

condanna, altresì, i convenuti alla rifusione delle spese di lite, con vincolo di<br />

solidarietà, in favore dell’attore; spese che si liquidano in complessivi euro<br />

10.241,00 (1.241,00 per esborsi, 4.000,00 per diritti e 5.000,00 per onorario di<br />

avvocato), già incluse spese generali ed oltre IVA e Cassa come per legge ;<br />

pone a carico dei soccombenti, sempre solidalmente, le spese delle consulenze<br />

tecniche di ufficio, come liquidate con separato provvedimento.<br />

Così deciso in <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong> 19.1.2010<br />

Il Giudice<br />

(Dott. Rocco Abbondandolo)<br />

REPUBBLICA ITALIANA<br />

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO<br />

IL TRIBUNALE DI ARIANO IRPINO<br />

in persona del giudice del lavoro, dott.ssa Mariella Ianniciello ha pronunciato la seguente<br />

SENTENZA<br />

all'udienza di discussione del 6.3.2010 nella causa iscritta al numero 506/2008 R.G. lavoro<br />

TRA<br />

……….con l’avv. ……….., come da procura alle liti a margine del ricorso , domiciliato come in<br />

atti<br />

120


-ricorrente-<br />

E<br />

Poste Italiane s.p.a., con sede in Roma, al Viale Europa n. 190, in persona del legale<br />

rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avv. ……….. domiciliato come in atti<br />

-resistente-<br />

FATTO E DIRITTO<br />

Con ricorso, depositato in data 7.4.2008, ………..agiva in giudizio nei confronti delle Poste<br />

Italiane s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t..,e, premesso di essere unico impiegato<br />

presso l’Ufficio Postale di ……., chiedeva la condanna al pagamento della indennità di reperibilità<br />

ex art. 35 del CCCL per l’importo di euro …….. relativamente al periodo indicato in ricorso, vinte<br />

e distratte le spese di lite .<br />

Si costituiva tempestivamente in giudizio l’ente Poste che instava per il rigetto della domanda<br />

infondata in fatto e in diritto. Prodotta documentazione ed espletata la prova orale, all'odierna<br />

udienza, sulle conclusioni delle parti rassegnate anche in note scritte, la causa veniva decisa come<br />

da dispositivo letto in udienza, all’esito della camera di consiglio.<br />

<br />

Il ricorso è infondato e va respinto.<br />

L'istituto della pronta disponibilità, consistente nella immediata reperibilità del personale e<br />

nell'obbligo di raggiungere tempestivamente l’Ufficio, è disciplinato, nel caso che ne occupa,<br />

dall’art. 35 del CCNL , che ne stabilisce i presupposti soggettivi (rectius personale in possesso<br />

di competenze e professionalità correlate al funzionamento di impianti e tecnologie operanti con<br />

continuità),le modalità (id est la necessità di predisporre un sistema di turnazione), il<br />

compenso.<br />

Dalla lettura di detta norma appare del tutto evidente che l'istituto in esame, per poter essere<br />

attuato, necessita di atti di autorizzazione adottati dal datore di lavoro, che organizzino in<br />

concreto l'espletamento del servizio, individuando il personale la cui reperibilità sia ritenuta<br />

indispensabile e stabilendo i turni di detto personale .<br />

Orbene, nella specie, non vi è dubbio, essendo circostanza non oggetto di contestazione ed, anzi ,<br />

esplicitamente ammessa della società convenuta , che nessun atto del genere è stato adottato dal<br />

datore di lavoro con specifico riferimento all’Ufficio Postale di ……, al quale era addetto il<br />

ricorrente all’epoca dei fatti; né appare condivisibile la tesi difensiva sostenuta dall’……..,<br />

secondo cui il sistema di turnazione - ex contractu previsto dal citato art. 35- non era in concreto<br />

attuabile, essendo esso l’unico dipendente, impiegato presso l’Ufficio di cui si discorre; ed invero,<br />

a parere di questo Giudice, detto elemento non è ostativo, potendo la c.d. “reperibilità” – così come<br />

prevista in contratto, con l’adozione, in particolare, di un sistema di turnazione – essere istituita<br />

relativamente ad Uffici Postali di modeste dimensioni, allocati in zone limitrofe.<br />

Ergo, reputa questo Tribunale che la mancanza dei presupposti ex contractu previsti, perché possa<br />

operare l’istituto della reperibilità, non consente al ricorrente di chiedere ed ottenere il pagamento<br />

della relativa indennità.<br />

Con particolare riferimento al caso sub iudice, la mancanza di un esplicito atto che non solo<br />

abbia autorizzato il ricorso all’istituto, ma abbia previsto un sistema di turnazione, così come<br />

richiesto dalla norma di cui all’art. 35 CCNL, perché la reperibilità possa essere istituita,<br />

non consente di riconoscere all’……. l’invocato diritto di credito.<br />

Deve essere, tuttavia, evidenziato che l’effettivo e concreto svolgimento del servizio da parte del<br />

ricorrente, che, come emerso dalla istruttoria orale, in quanto unico dipendente dell’ufficio Postale di<br />

…. ha,comunque , offerto una continua disponibilità di servizio per fronteggiare situazioni di<br />

emergenza (nella specie relative al funzionamento dell’impianto di allarme), non rimane affatto privo<br />

di conseguenze sul piano giuridico; ed invero, la mancata istituzione dell’istituto della reperibilità da<br />

parte del datore di lavoro (per sua stessa ammissione), così come previsto in contratto, e l’effettivo<br />

esercizio del servizio da parte del dipendente - fuori orario e in modo continuo - può generare una<br />

sorta di responsabilità ex contractu, sub specie di inadempimento del datore di lavoro, il quale ha<br />

comunque consentito una organizzazione del lavoro in contrasto con i dettami di cui all'art. 2109 c.c. e<br />

36 Cost.<br />

Ed invero non si dubita che la situazione sopra descritta, in cui si è venuto a trovare l’…….. , ha inciso<br />

in modo negativo sulla libertà del predetto di articolare la sua giornata; il ricorrente non è stato posto<br />

nelle condizioni di ricostituire le energie psicofisiche, spese durante il normale orario di lavoro, anche<br />

se in concreto è stato chiamato ad intervenire in casi numericamente esigui.<br />

121


La giurisprudenza, infatti, ha, in casi analoghi a quello sub iudice, ritenuto che il riposo costituisce<br />

oggetto di un diritto garantito anche a livello costituzionale ed, in quanto tale è irrinunciabile; pertanto<br />

l'attribuzione patrimoniale che deve essere riconosciuta al lavoratore che abbia prestato attività<br />

lavorativa nel giorno in cui avrebbe dovuto godere del riposo settimanale ha natura risarcitoria e non<br />

retributiva.(cfr. Cass. Civ. N. 5019/1992). Ciò in quanto la predetta attribuzione patrimoniale inerisce<br />

ad un titolo (perdita del riposo e conseguente usura psicofisica) autonomo e diverso rispetto alla<br />

prestazione lavorativa. Il danno subito dal lavoratore è in re ipsa ed ha natura contrattuale, essendo<br />

correlato ad un inadempimento del datore di lavoro nelle scelte organizzative.<br />

Quindi, facendo applicazione dei citati principi giurisprudenziali, si può affermare che, anche nel<br />

caso al vaglio, il lavoro prestato, sia pure sottoforma di mera messa a disposizione delle proprie<br />

energie lavorative, determina un danno alla salute del lavoratore, sempre risarcibile. Non può non<br />

ritenersi che tale danno sia imputabile ad un comportamento inadempiente del datore di lavoro che ha<br />

in ogni caso consentito un’organizzazione del lavoro in contrasto con i dettami di cui all'art. 2109 c.c.<br />

e 36 Cost.<br />

Quindi, in conclusione, seppure il ricorrente, in forza di quanto detto, non ha diritto al pagamento<br />

dell’emolumento ex contractu previsto, può, ricorrendone le condizioni di legge, invocare il diritto al<br />

risarcimento del danno ex contractu.<br />

Avendo, tuttavia, la parte ricorrente limitato la domanda al pagamento del diritto di credito ed essendo<br />

il Giudice tenuto a pronunciarsi sulla domanda proposta secondo il noto principo “iusta alligata e<br />

probata iudicare debet”, il ricorso va respinto.<br />

Le spese di causa possono, tuttavia, essere equamente compensate in considerazione delle ragione<br />

poste a fondamento della decisione<br />

P.Q.M.<br />

Il Giudice del lavoro, definitivamente pronunziando sul ricorso proposto da …………… nei<br />

confronti delle Poste Italiane s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., così provvede:<br />

1) rigetta il ricorso<br />

2) compensa le spese di lite .<br />

Così deciso in <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong> il 16.3.2010<br />

Il Giudice del Lavoro<br />

Dott.ssa Mariella Ianniciello<br />

REPUBBLICA ITALIANA<br />

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO<br />

TRIBUNALE DI ARIANO IRPINO<br />

Il Giudice Onorario, in funzione monocratica presso l’intestato Tribunale, avv. Antonietta Capone, ha<br />

pronunciato la seguente<br />

SENTENZA<br />

nel giudizio civile iscritto al n. 349/2007 R.G.A.C.C., ad oggetto “opposizione di terzo ex art. 404<br />

co. 1 cpc” posto in decisione all’udienza del 18.6.09 con la concessione dei termini ex art. 190 c.p.c.,<br />

promosso da<br />

………, ………., ………….., tutti nella qualità di eredi di ………., elettivamente domiciliati in …….<br />

alla Via …….., presso lo studio dell’avv. ………. che li rappresenta e difende in virtù di mandato a<br />

margine dell’atto di citazione<br />

ATTORI<br />

contro<br />

…….., ………, ………, ………., ……… elettivamente domiciliati in …….al ……, presso lo studio<br />

dell’avv. ……….. che li rappresenta e difende in virtù di mandato a margine della comparsa di<br />

risposta<br />

CONVENUTI<br />

nonché<br />

122


…………… in persona del legale rappresentante p.t. , elettivamente domiciliato in ……., ……,<br />

presso lo studio dell’avv. ………., dal quale è rappresentato e difeso giusta mandato a margine della<br />

comparsa di risposta in virtù della determinazione n. 73 del 16.7.07<br />

CONVENUTO<br />

e<br />

….., ………, ………, ……….., tutti nella qualità di eredi di ….., elettivamente domiciliati in ……….<br />

alla Via …………, presso lo studio dell’avv. ………… che li rappresenta e difende in virtù di<br />

mandato a margine della comparsa di intervento volontario<br />

TERZI INTERVENUTI<br />

CONCLUSIONI<br />

Per gli attori: “a) in via preliminare: dichiarare legittima ed ammissibile la spiegata opposizione; b)<br />

in accoglimento della medesima : dichiarare nulla e comunque priva di efficacia rispetto agli attori<br />

l’impugnata sentenza n. 28/97 resa dal Tribunale di <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong> in data 10.12.1996, a definizione<br />

della causa civile di primo grado iscritta al n. 808/89 r. g .a. c., intervenuta tra ……, ………, ………<br />

in nome proprio e per conto di …….., …….. e l’……, in persona ex lege, dichiarata provvisoriamente<br />

esecutiva, registrata all’Ufficio del Registro di <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong> il 3.7.1997e munita di formula esecutiva<br />

il 10.7.97 e passata in cosa giudicata, per mancata interposizione di gravame, nonchè tutti i<br />

successivi atti posti in essere; c) in via consequenziale, a seguito di accoglimento della spiegata<br />

opposizione di terzo: condannare i convenuti ….., in solido tra loro, al pagamento, in favore degli<br />

attori, del controvalore di mq 5160 del terreno ubicato in ……… e riportato in catasto alla partita<br />

….. e distinto con la p.lla n…. del fg…, attesa l’irreversibile trasformazione del suolo acquisito al<br />

patrimonio pubblico e l’indennità per l’occupazione legittima del terreno stesso; d) in via subordinata<br />

e gradata: accertare e dichiarare che il pagamento della complessiva somma di £ 767.358.828 quale<br />

controvalore di mq 5160 di suolo, in virtù di mandato di pagamento della Banca Popolare<br />

dell’Irpinia n. 1262 del 2.7.98 e riscosso il 16.7.98, su istanza dello …., in persona ex lege , in favore<br />

dei convenuti …., costituisce un arricchimento senza causa e per l’effetto condannare essi convenuti<br />

…., in solido tra loro, ad indennizzare gli attori della correlativa diminuzione patrimoniale ,tenuto<br />

conto anche della svalutazione monetaria sino al momento della decisione, sul presupposto<br />

ingiustificato di una loro esclusiva quota di proprietà in capo a ciascun comunista, oltre alla<br />

condanna agli interessi dal verificarsi dell’ingiustificato arricchimento e del correlativo<br />

depauperamento degli attori; e) condannare gli stessi convenuti, in solido, al pagamento delle spese<br />

,diritti ed onorari del presente giudizio, da attribuire al sottoscritto procuratore antistatario.”<br />

Per i convenuti: “rigettare la domanda formulata perché improponibile ex art. 404 co. 1 cpc, poiché<br />

gli attori non vantano alcun diritto di credito per non essere comproprietari dell’immobile oggetto di<br />

controversia; rigettare la domanda poiché né gli attori , né gli interventori adesivi hanno qualità di<br />

eredi, in quanto ciò non si evidenzia dai documenti in atti, infatti, né vi è denuncia di successione per<br />

…………., nonna degli odierni attori, deceduta nel lontano 1931, né denuncia di successione per<br />

…………., padre e marito degli attori deceduto nel lontano 1972; rigettare la domanda per carenza di<br />

legittimazione degli attori e dei terzi intervenuti; rigettare la domanda per prescrizione dell’azione di<br />

arricchimento senza causa, poiché la domanda giudiziale di richiesta di indennizzo nei confronti dello<br />

….. è stata proposta in data 20.12.1989; dichiarare inammissibile e improponibile la domanda nei<br />

confronti dello ….. per carenza di legittimazione passiva dell’ente; condannare gli attori alla<br />

rifusione delle spese del presente giudizio, con attribuzione al sottoscritto procuratore antistatario.”<br />

Per il convenuto ……, non rassegnate all’apposita udienza , valgono le conclusioni dell’atto<br />

introduttivo, ovvero:” dichiarare nullo l’atto di citazione proposto nei confronti dello ….. della<br />

Provincia di ….. per assoluta mancanza di petitum; in subordine, dichiarare, rispetto al petitum<br />

intravedibile nella domanda, la carenza di legittimazione passiva dello Istituto stesso; ancora più<br />

gradatamente, ritenere ampiamente prescritto nei confronti dello ….. ogni diritto degli odierni attori<br />

tutelabile con la loro domanda; rigettare comunque la domanda proposta nei confronti dell’istituto<br />

perchè improcedibile, improponibile oltre che palesemente infondata, per tutti i motivi innanzi detti”.<br />

Per i terzi intervenuti, come da comparsa di intervento, analogamente alle conclusioni degli attori.<br />

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO<br />

Con atto di citazione, notificato in data 13.4.07 ai convenuti …. e in data 17.4.07 allo ……, …….. ,<br />

……….. e ………….. spiegavano formale opposizione di terzo ex art. 404 co. 1 cpc avverso la<br />

sentenza n. 28/97 resa dal Collegio del Tribunale di <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong>, passata in cosa giudicata - che<br />

accertava la irreversibile trasformazione di mq 5160 del terreno sito in ……… alla Via ….. riportato<br />

123


in catasto terreni alla partita……, p.lla … del foglio .. del Comune di …….., oggetto di espropriazione<br />

da parte dell’…… di ……. e , per l’effetto, condannava l’ente convenuto a pagare in favore di ……..,<br />

………., ………… , in nome proprio e per conto di………. ,………. la somma di £ 387.000.000 quale<br />

controvalore di mq 5160 di suolo oltre interessi legali dal 30.8.1983 e la somma di £ 6.450.000 per<br />

l’occupazione legittima, oltre interessi legali dalla domanda al saldo, oltre le spese di lite –<br />

chiedendo che la stessa venisse dichiarata nulla e comunque inefficace, sul presupposto che detta<br />

sentenza fosse lesiva di propri diritti, in quanto, dichiarando di agire in qualità di eredi di ………..,<br />

sostenevano di essere comproprietari del terreno oggetto di occupazione, procedendo, a sostegno di<br />

tale assunto, ad una ricostruzione storica e partendo dall’originario proprietario del suolo, …………..,<br />

comune dante causa di ……… figli , fra i quali ………….- madre di …………, nonna e suocera degli<br />

odierni attori – e …………., madre degli odierni convenuti …….. Pertanto rassegnavano le<br />

conclusioni in epigrafe trascritte. Si costituivano i convenuti ……. e l’………di ……. i quali<br />

chiedevano il rigetto della domanda rassegnando le rispettive conclusioni pure in epigrafe trascritte,<br />

con la precisazione che i convenuti …….. in comparsa spiegavano in via del tutto subordinata<br />

domanda riconvenzionale per sentir accertare e dichiarare il proprio acquisto per usucapione del<br />

terreno in oggetto, salvo poi formulare espressa rinunzia alla detta riconvenzionale nella memoria<br />

istruttoria secondo termine ex art 183 VI co. cpc depositata il 14.11.2007. All’udienza di precisazione<br />

delle conclusioni, rifissata in data 13.11.08, spiegavano intervento adesivo autonomo , ex art. 105 cpc,<br />

…….., …………, …………e ………… – quali eredi di …………, fratello di …………e, a sua volta,<br />

quale erede di …………, germana di …………. fu ……..– vantando pertanto anch’essi il proprio<br />

diritto di comproprietà sul medesimo terreno e formulando, in proprio favore, istanze e conclusioni<br />

analoghe a quelle degli attori. All’udienza del 18.6.2009 le parti precisavano definitivamente le<br />

rispettive conclusioni, innanzi trascritte, e questo got, in sostituzione (giusta decreto presidenziale n.<br />

14/09 del 19.3.09) del Giudice togato assente titolare del ruolo, tratteneva la causa in decisione.<br />

MOTIVI DELLA DECISIONE<br />

Preliminarmente, l’intervento ex art. 105 cpc di ………… + 3 va dichiarato ammissibile, essendo<br />

avvenuto, ex art. 268 co. 1 cpc, all’udienza del 13.11.08, rifissata per la precisazione delle<br />

conclusioni, in ogni caso, quindi, prima della fase decisoria. Nella fattispecie, trattandosi di intervento<br />

adesivo autonomo, con il quale i terzi fanno valere un proprio diritto nei confronti di alcune parti del<br />

giudizio, la relativa ammissibilità attiene solo all’attività assertiva dei volontari intervenienti, che<br />

hanno in ogni caso la facoltà di proporre domande nuove ed autonome in seno al procedimento<br />

“fino all’udienza di precisazione delle conclusioni”, ma non si estende all’attività istruttoria, in<br />

quanto, avuto riguardo al momento della costituzione dei terzi intervenienti, avvenuta all’udienza di<br />

precisazione delle conclusioni, gli stessi hanno l’obbligo di accettare lo stato del processo in relazione<br />

alle preclusioni istruttorie già verificatesi per le parti originarie, ex art. 268 co. 2 cpc, per cui la<br />

documentazione dagli stessi prodotta non può essere acquisita ed utilizzata come fonte di prova (cfr.<br />

indirizzo consolidato Cass. 14.2.06, n. 3186; 16.10.08, n. 25264).<br />

L’opposizione di terzo è improponibile e, pertanto, va disattesa, unitamente alla subordinata domanda<br />

di indebito arricchimento. Ai sensi dell’art. 404 co. 1 cpc “un terzo può fare opposizione contro la<br />

sentenza passata in giudicato o comunque esecutiva pronunciata tra altre persone quando<br />

pregiudica i suoi diritti”. Il diritto che il terzo fa valere con l’opposizione deve sussistere nei<br />

confronti di tutte le parti originarie che hanno preso parte al giudizio conclusosi con la sentenza<br />

impugnata, i quali, perciò sono litisconsorti necessari nel giudizio di opposizione ex art. 404 co. 1<br />

cpc proposto dal terzo, rispetto al quale la sentenza impugnata, ex art. 2909 c.c., è inefficace.<br />

L’opposizione di terzo ordinaria non è sottoposta ad alcun termine, anche se un limite alla sua<br />

proponibilità si ritrova nella completa e definitiva attuazione inter partes delle prescrizioni contenute<br />

nel provvedimento che si vuole impugnare. Invero, il pregiudizio che il terzo subisce dalla sentenza<br />

esecutiva che oppone è un danno da esecuzione o attuazione. Ciò significa che il comportamento<br />

stabilito dalla sentenza tra le parti è incompatibile con quello che gli stessi soggetti debbono tenere nei<br />

confronti dell’opponente. Nel caso in cui il comportamento imposto sia stato svolto per intero, il<br />

pregiudizio nei confronti dell’opponente è completamente effettivo, perciò non ha più senso proporre<br />

l’opposizione, attesa la duplice possibilità per il terzo di agire in via ordinaria nei confronti della parte<br />

vittoriosa oppure di chiedere il risarcimento del danno. Nel caso di specie, poiché l’……., a seguito<br />

di notifica di precetto da parte degli odierni convenuti, ha eseguito la sentenza, provvedendo a<br />

pagare quanto dovuto agli attori del giudizio conclusosi con la sentenza impugnata, ed in forza<br />

della stessa, alcuna utilità potrebbe derivare dal dichiarare nulla o inefficace nei confronti degli<br />

opponenti, la sentenza detta, coperta dal giudicato, essendo già stata definitivamente attuata<br />

124


inter partes. Del resto, è proprio la domanda formulata dagli odierni attori e interventori a<br />

evidenziare tale situazione di fatto, irreversibile. Infatti, gli stessi, in accoglimento<br />

dell’opposizione hanno chiesto condannarsi i soli convenuti ……… al pagamento del<br />

controvalore del bene occupato e dell’indennità da occupazione legittima, senza rivolgere alcuna<br />

istanza in tal senso all’…….. che ha già adempiuto in forza di una sentenza esecutiva e passata<br />

in giudicato. Sin dal momento della proposizione dell’opposizione, o meglio sin già dall’avvenuta<br />

esecuzione della sentenza impugnata, il pregiudizio eventuale dei terzi sussiste nei soli confronti<br />

della parte vittoriosa in quel giudizio e non nei confronti dell’……., avendo quest’ultimo già<br />

adempiuto all’obbligo su di lui gravante per effetto della sentenza opposta, motivo per cui l’Ente<br />

detto ha chiesto l’estromissione dal presente giudizio. Ne discende l’improponibilità della proposta<br />

opposizione e l’inutilità di una pronuncia di inefficacia di una sentenza compiutamente e<br />

definitivamente portata ad esecuzione inter partes.<br />

Per completezza, si osserva che gli attori e gli interventori hanno agito sul presupposto del<br />

proprio preteso diritto di comproprietà, ma su tale punto, però, non hanno richiesto, nel merito,<br />

una pronunzia giudiziaria di accertamento ed hanno chiesto, altresì, in accoglimento<br />

dell’opposizione, la condanna dei convenuti ……. al pagamento del controvalore del bene per<br />

intero e non pro quota, circostanze queste tutte convergenti nella ritenuta improponibilità<br />

dell’azione proposta, senza contare poi che altri potenziali aspiranti coeredi ( vista la numerosa<br />

compagine familiare) potrebbero in avvenire insorgere contro la sentenza ora impugnata o<br />

contro un’eventuale sentenza che accogliesse l’opposizione di alcuni terzi avverso la prima.<br />

Ugualmente va disattesa la domanda di indebito arricchimento, sia perché non esercitabile per difetto,<br />

nella fattispecie, del presupposto di residualità dell’azione, ex art. 2042 c.c, attesa l’esperibilità<br />

innanzi detta dell’azione ordinaria di accertamento del proprio diritto nonché di risarcimento del<br />

danno da attuazione, sia perché la attribuzione in favore dei beneficiari è avvenuta sulla scorta di una<br />

ragione giuridica – sentenza esecutiva inter partes, passata in giudicato, definitivamente attuata- che<br />

costituisce causa legale di tale arrichimento.<br />

La natura delle questioni trattate e soprattutto la opinabilità delle stesse giustificano l’integrale<br />

compensazione tra le parti tutte delle spese di lite.<br />

P.Q.M.<br />

Il Tribunale di <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong>, in persona del giudice onorario monocratico avv. Antonietta Capone ,<br />

definitivamente pronunziando sulla domanda proposta dagli opponenti ……… e ……… in danno dei<br />

convenuti …….. e ………, ogni altra istanza, eccezione e deduzione disattesa, così provvede:<br />

- dichiara improponibile la proposta opposizione ex art. 404 co. 1 cpc;<br />

- rigetta la domanda di indebito arricchimento;<br />

- dichiara integralmente compensate tra le parti le spese di lite.<br />

Così deciso in <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong>, 12.11.09<br />

Il GOT Avv. Antonietta Capone<br />

REPUBBLICA ITALIANA<br />

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO<br />

IL TRIBUNALE DI SANT’ANGELO DEI LOMBARDI,<br />

in composizione monocratica, nella persona del Giudice Unico dr. Fabrizio Ciccone, viste le<br />

conclusioni così come precisate dalle parti all’odierna udienza del 12 gennaio 2010 ed ascoltata la<br />

discussione orale della causa, ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c., pronunzia e dà integrale lettura della<br />

presente<br />

SENTENZA<br />

nella causa civile iscritta al n. 248 del R. G. A. C. dell’anno 2008 – avente ad oggetto: retratto<br />

successorio –, e vertente<br />

125


tra<br />

………, nata a ……………… (AV) il ……… e residente in ………. (AV) alla ……………..(cod.<br />

fisc.: …………), rappresentata e difesa dall’avv. ……………. ed elettivamente domiciliata presso lo<br />

studio dell’avv. ………………. – sito in S. Angelo dei Lombardi (AV), alla Via ……………– giusta<br />

procura a margine dell’atto di citazione;<br />

126<br />

ATTRICE<br />

e<br />

………….., nata a ………(AV) il …….(cod. fisc.: ………………) e …………….., nato a<br />

…………..(AV) il ………………., entrambi ivi residenti alla …………………., rappresentati e difesi<br />

dall’avv. …………….ed elettivamente domiciliati presso lo studio dell’avv. …………………. – sito<br />

in ……………(AV), al ………………–, giusta procura in calce alla copia notificata dell’atto di<br />

citazione;<br />

CONVENUTI<br />

nonché<br />

………………, nata a …………..(AV) il …………..ed ivi residente alla via ……………..(cod. fisc.:<br />

…………), …………….., nato a ……….(AV) il …………ed ivi residente alla ………………(cod.<br />

fisc.: ……………..), ………………., nata a ……………. (AV) il ……….. ed ivi residente alla via<br />

………………(cod. fisc.: ………….) e …………… nato a ………….(AV) il …………. ed ivi<br />

residente alla via …………(cod. fisc.: ………….), questi ultimi due nella qualità di eredi di ………..,<br />

rappresentati e difesi dall’avv. …………., giusta procura in calce alla comparsa di costituzione ed<br />

elettivamente domiciliati in ………(AV), …………., presso lo studio dell’avv. ……………..<br />

chiamati in causa<br />

FATTO E DIRITTO<br />

Con atto di citazione ritualmente notificato in data 25.2.2008 ………. ha convenuto in giudizio<br />

innanzi al Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi i coniugi ……………, esponendo:<br />

- che in data 22 giugno 1981 decedeva ab intestato in ……….(AV) il genitore …………,<br />

lasciando pro indiviso alla moglie ………. ed ai quattro figli ………………… il fabbricato<br />

urbano sito in ……… (AV), alla Piazza …………, ricostruito ai sensi della l. n. 281/1981 (in<br />

NCU, fol. …, p.lla …) ed il terreno, anch’esso sito in …….., alla Via ……. (in NCT, fol…, p.lla<br />

…);<br />

- che con scrittura privata del 1 aprile 1984, ………. cedeva all’istante, per il prezzo di £.<br />

15.000.000, la propria quota ereditaria sulla casa e sul terreno, ciascuna pari ad 1/6 dell’intero;<br />

- che l’autenticità di detta scrittura è stata accertata con sentenza n. 196 del 26 aprile 2006, resa<br />

dal Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi, definitivamente passata in giudicato;<br />

- che, con rogito per notaio …….. di ……… del 5 maggio 1987 (rep. n. ……, reg. in ……… il<br />

……… al n. ……), la madre ………….. donava ai figli la nuda proprietà dei diritti, in ragione di<br />

1/3 dell’intero di cui ella era titolare sulla predetta abitazione e questi procedevano allo<br />

scioglimento della comunione ereditaria sul predetto cespite, che veniva invece mantenuta sul<br />

terreno agricolo;<br />

- che, con successivo atto per notaio ………del 9.6.1987 (rep. n. …….. trascritto in Avellino il<br />

………) ……….. donava alla sola figlia ……. la propria quota ereditaria sul fondo;<br />

- che, con rogito per notaio …….. dell’11.8.1987 (rep. n. …… trascritto in Avellino il ……..),<br />

l’attrice cedeva alla sorella ……. i diritti immobiliari (pari ad 1/6) di cui era titolare<br />

sull’appezzamento di Via ……;<br />

- che, in data 17.11.1998, con atto per notaio ……. (rep. ……., registrato in Avellino il<br />

………), i germani …………….. cedevano, per il corrispettivo di £. 15.000.000, ai coniugi<br />

…………….., i loro diritti, pari a 5/6 dell’intero, sul terreno agricolo, unico bene oggetto della<br />

comunione ereditaria;<br />

- che il predetto comportamento integrava violazione del disposto dell’art. 732 cod. civ., non<br />

avendo l’attrice potuto esercitare il diritto di prelazione per difetto della prescritta notifica ai<br />

coeredi della proposta di alienazione al terzo estraneo;


- che, sussistendo lo stato di comunione ereditaria, era interesse dell’esponente conseguire la<br />

quota indebitamente alienata dai germani con il richiamato rogito offrendo il prezzo versato, pari<br />

ad £. 15.000.000, di cui al menzionato atto.<br />

Tanto esposto, l’attrice ha insistito per l’accoglimento delle seguenti conclusioni: 1) accertare e<br />

dichiarare validamente esercitato il riscatto operato dall’attrice del diritto di proprietà, in ragione di<br />

5/6, illegittimamente acquistato dai convenuti ………………………, a titolo personale, sul terreno<br />

agricolo descritto in citazione; 2) per l’effetto, dichiarare validamente avvenuto l’acquisto del diritto<br />

dominicale di cui sopra a far data dal 17.11.1998; 3) porre a carico della retraente l’obbligo di<br />

corrispondere ai convenuti la somma di £. 15.000.000; 4) con ogni altro provvedimento in ordine alla<br />

volturazione ed alla trascrizione e con il favore delle spese di lite.<br />

Radicatosi il contraddittorio, con comparsa depositata il 28.5.2008 si sono costituiti<br />

………………….,opponendosi all’accoglimento dell’avversa domanda, della quale hanno chiesto<br />

l’integrale rigetto.<br />

In particolare, i convenuti hanno contestato la sussistenza, nel caso di specie, dei presupposti previsti<br />

dalla legge per l’esercizio del diritto di riscatto.<br />

Essi, in via preliminare, hanno rilevato l’inammissibilità della domanda per difetto di procura, non<br />

potendo l’azione di retratto successorio essere esercitata dal semplice procuratore alle liti sprovvisto di<br />

mandato speciale; in secondo luogo, hanno evidenziato come, avendo l’attrice ceduto<br />

incondizionatamente e senza riserve alla sorella ……. la propria quota sul terreno in oggetto, era<br />

venuta meno, nei suoi confronti, la comunione ereditaria, con conseguente esclusione del diritto di<br />

prelazione.<br />

Aggiungevano i convenuti che, con la divisione del fabbricato urbano sito alla …………. (rogito per<br />

notaio ……… del 5 maggio 1987, costituente il cespite di maggior valore del compendio ereditario,<br />

all’atto della vendita dei 5/6 del terreno non esisteva più lo stato di comunione ereditaria, essendosi<br />

trasformata quella sul terreno (unico bene residuo ancora indiviso) in comunione ordinaria, per la<br />

quale non trova applicazione la disciplina in tema di retratto successorio.<br />

Deducevano altresì che gli elementi concreti del contratto di alienazione – quali la volontà delle parti,<br />

lo scopo perseguito, la consistenza del patrimonio ereditario ed il raffronto con la quota ceduta –<br />

stavano a dimostrare che la cessione concerneva la quota di un cespite determinato, considerato a sé<br />

stante, senza alcun riferimento all’asse ereditario ed alla più ampia entità patrimoniale.<br />

Chiedevano quindi la chiamata in causa dei venditori …………….. per essere tenuti indenni da ogni<br />

conseguenza pregiudizievole del giudizio (sulla base della clausola di garanzia contenuta nell’art. 8<br />

del contratto di compravendita) e spiegavano, in via subordinata, nell’ipotesi di accoglimento della<br />

pretesa attorea, domanda riconvenzionale di condanna dei venditori e dell’attrice al rimborso della<br />

somma di €.25.823,00, effettivamente corrisposta per l’acquisto del terreno, maggiorata degli interessi<br />

legali a far data dall’atto di compravendita, oltre al risarcimento dei danni subiti, da liquidarsi anche in<br />

via equitativa.<br />

Autorizzata la chiamata in causa dei venditori, all’udienza del 2.12.2008 si costituivano<br />

…………………………………. (gli ultimi due quali eredi di ……………) i quali contestavano<br />

integralmente la domanda attorea, chiedendone il rigetto, articolando le stesse considerazioni di diritto<br />

esposte dai convenuti.<br />

La domanda è infondata e va, pertanto, rigettata.<br />

In via preliminare deve disattendersi l’eccezione sollevata dai convenuti di inammissibilità della<br />

domanda, per difetto di procura speciale in capo al difensore.<br />

Tale eccezione viene motivata in riferimento ad una sentenza della Suprema Corte (cfr. Cass., sez. II,<br />

4.3.1998, n.2387), secondo cui “la domanda di riscatto proposta dal coerede ex art. 732 cod. civ.<br />

costituendo un atto dispositivo di diritti deve necessariamente provenire dalla parte e non dal suo<br />

difensore munito di ordinaria procura alle liti”, con la conseguenza che “la formulazione di tale<br />

domanda da parte del difensore, senza uno specifico mandato [equivale] a mancata proposizione<br />

della stessa” (cfr. massima ufficiale Rv. 513322).<br />

Nel testo della sentenza, non si fa, tuttavia, in alcun modo riferimento alla necessità che la domanda di<br />

retratto debba essere proposta, oltre che dalla parte personalmente (il che è oltremodo pacifico), dal<br />

127


difensore munito di procura speciale, la cui mancanza, non potendo valere l’ordinaria procura alle liti,<br />

comporta l’inammissibilità della domanda.<br />

Ed, infatti, come meglio precisato da altre pronunce della S.C. (cfr., in particolare, Cass., sez. II,<br />

3.9.1998, n.8728), il diritto potestativo di riscatto nei confronti dell'acquirente di quota<br />

ereditaria, previsto dall'art. 732 cod. civ. a favore degli altri coeredi, viene ad esistenza solo con<br />

la manifestazione di volontà della parte che può essere espressa pure con l'atto introduttivo del<br />

giudizio, sempre che tale manifestazione di volontà sia riconducibile al titolare del potere<br />

attraverso la sua sottoscrizione di tale atto od il conferimento della procura speciale al difensore<br />

tale dovendosi ritenere anche quelle opposta a margine dell'atto o in calce allo stesso.<br />

Né in contrario vale addurre che la procura può essere stata apposta a margine prima della stesura<br />

della citazione e trarre da tale circostanza la conseguenza che, salvo il caso in cui chi agisce non provi<br />

il contrario, e cioè di averla apposta dopo la redazione dell'atto introduttivo dei giudizio, debba<br />

ritenersi che egli non abbia avuto conoscenza e coscienza dell'atto compiuto dal suo difensore.<br />

Ed, infatti, essendo la procura apposta a margine della citazione e formando con questa un unicum<br />

inscindibile, non soltanto e' da presumere che sia stata rilasciata per l'atto in essa già predisposto, ma,<br />

anche quando dovesse ritenersi che sia stata apposta prima della stesura dell'atto, poiché il mandato e'<br />

stato conferito per l'esperimento dell'azione di retratto successorio, con esso si e' dato<br />

contemporaneamente incarico a manifestare la volontà di esercitare il diritto di riscatto e, di<br />

conseguenza, la domanda contenuta nella citazione è direttamente riferibile alla parte ed esprime la<br />

volontà del conferente ad avvalersi del diritto alla prelazione.<br />

Del resto, la vicenda oggetto della contraria pronuncia n.2387/98 assume contorni davvero peculiari<br />

per inferirne conclusioni di carattere generale: nella specie, infatti, come si desume dallo svolgimento<br />

del processo, la fattispecie esaminata dalla Suprema Corte riguardava l’ipotesi in cui, proposta<br />

domanda di scioglimento della comunione di quota indivisa, acquistata ad un’asta fallimentare da una<br />

società di capitali, si costituiva una delle convenute che, in via riconvenzionale, proponeva domanda<br />

ex art. 732 c.c., affermandosi erede, assieme alle altre due convenute, del dante causa dell’attrice,<br />

della cui eredità facevano parte i beni acquistati pro quota dall'attrice.<br />

Il Tribunale dichiarava inammissibile la domanda di riscatto per essere stato il mandato alle liti<br />

rilasciato dalla convenuta in calce alla copia notificata dell’atto di citazione e non all’interno della<br />

comparsa di risposta, per cui al procuratore non era stato espressamente attribuito il potere di proporre<br />

detta domanda.<br />

A sua volta, la Corte di appello- affermando il principio di diritto poi confermato dai giudici di<br />

legittimità – confermava la gravata sentenza, osservando come il potere di proporre la domanda ex art.<br />

732 c.c., se non formulata dalla parte personalmente, doveva essere conferito al difensore nel mandato<br />

alle liti (che, nel caso di specie, non contenendo espressamente la facoltà di proporre domande<br />

riconvenzionali, non radicava in capo al difensore il potere di proporre domanda di riscatto).<br />

La Suprema Corte, nel rigettare il ricorso avverso la suddetta sentenza, osservava, ai fini che qui<br />

rilevano, che la domanda di riscatto, ove la parte non abbia sottoscritto personalmente l’atto<br />

introduttivo contenente la domanda di riscatto, ovvero non abbia conferito al proprio legale uno<br />

specifico mandato per la sua presentazione, deve per ciò solo ritenersi inammissibile; nella<br />

motivazione della sentenza la S.C., tuttavia, non fa affatto riferimento alla necessità che la domanda di<br />

riscatto vada proposta dal difensore sia munito di procura speciale.<br />

Inoltre, vi è un elemento di carattere sistematico che rafforza la tesi della non necessità del<br />

conferimento della procura speciale per l’esercizio dell’azione di retratto: ed è il rilievo secondo cui,<br />

laddove il legislatore ha inteso che uno specifico atto processuale fosse compiuto, a pena di<br />

inammissibilità, dal difensore munito di procura speciale, alternativamente alla parte<br />

personalmente lo ha fatto introducendo una espressa previsione di legge, come nel caso della<br />

querela di falso (art. 221 c.p.c.), ovvero della rinunzia agli atti del giudizio (art.306 c.p.c.); in<br />

mancanza di espressa previsione normativa, non appare consentito all’interprete introdurre<br />

diverse ipotesi in cui il rilascio della procura speciale al difensore sia condizione di ammissibilità<br />

della domanda.<br />

Infine, la soluzione qui accolta è coerente anche con i consolidati orientamenti della Cassazione<br />

in materia di riscatto di immobili urbani adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, ex art. 39<br />

l. n. 392/1978, e di riscatto agrario (art. 8 l. n.590/1965), per i quali si è detto che lo stesso si<br />

esercita per il tramite di una dichiarazione unilaterale recettizia di carattere negoziale,<br />

128


attraverso la quale si determina autoritativamente ex lege l'acquisto dell'immobile a favore del<br />

retraente, con la conseguenza che la relativa dichiarazione può essere effettuata anche con l'atto<br />

di citazione diretto a far valere il diritto di riscatto.<br />

Si è aggiunto che in tale ipotesi la procura speciale ad litem, conferita al difensore per promuovere il<br />

relativo giudizio, non gli conferisce anche la legittimazione sostanziale per effettuare, in<br />

rappresentanza del titolare del diritto, la dichiarazione unilaterale recettizia di retratto, salvo che la<br />

detta procura sia redatta in calce o a margine dell'atto di citazione, nel cui testo sia contenuta la<br />

dichiarazione di riscattare l'immobile, in quanto la parte, con la sottoscrizione della procura, fa proprio<br />

tale contenuto (cfr., per il riscatto ex lege n.392/78, Cass., sez. III, 27.9.2006, n.20948 e, per quello in<br />

materia agraria, Cass., sez. III, 8.8.1987, n.6793).<br />

Ciò chiarito, nel caso di specie risulta che l’atto di citazione è stato sottoscritto dall’istante<br />

……………, il che prova inequivocabilmente la riferibilità alla medesima della domanda ex art. 732<br />

c.c.<br />

Sempre in limine litis, alcun dubbio può esservi circa la legittimazione processuale dei terzi chiamati<br />

……………………, quali eredi di ……………: ancorché manchi agli atti certificato di morte di<br />

quest’ultimo, la circostanza del suo decesso non è stata contestata dalle altre parti e può, quindi,<br />

ritenersi pacifica.<br />

Ciò posto in via preliminare, e passando al merito della controversia, va detto che, in ordine alla<br />

sussistenza dei presupposti per l’esercizio del riscatto successorio, la cui ricorrenza è stata fermamente<br />

contestata dai convenuti sin dall’atto di costituzione in giudizio, sulla base di argomentazioni<br />

integralmente condivise dai chiamati in causa, due sono i profili problematici la cui risoluzione si<br />

impone al fine di addivenire ad una decisione di contenuto favorevole alle ragioni dell’attrice: da un<br />

lato, occorre verificare se, all’atto della stipula del rogito per notaio ………… del 17.11.1998, vi era<br />

sul terreno oggetto di alienazione in favore dei convenuti ancora una comunione ereditaria e,<br />

dall’altro, se di tale comunione facesse parte ………………..<br />

La prima questione, affrontata ex professo dall’attrice soltanto nella prima memoria ex art. 183, sesto<br />

comma, c.p.c. (v. pagg. 2 e 3), in replica alle eccezioni delle altre parti, è logicamente preliminare<br />

rispetto alla seconda, relativa alla legitimatio ad causam dell’istante, atteso che concerne il<br />

presupposto di fondo per proporre la domanda ex art. 732 c.c., non potendo, beninteso, l’azione di<br />

retratto che riguardare beni oggetto di comunione ereditaria (Cass. civ., sez. II, 23.2.2007, n.4224).<br />

Sul punto, giova sinteticamente ripercorre i fatti oggetto del presente giudizio, secondo un rigoroso<br />

ordine cronologico.<br />

Apertasi nel 1981 la successione di …………….., alla quale partecipavano la moglie ……………..,<br />

ed i figli ……………………….., del compendio ereditario facevano parte un fabbricato urbano, sito<br />

in ……………. alla ……………………. successivamente ricostruito con i benefici della l. n. 219/81<br />

ed un terreno agricolo, sito sempre in …………, alla via …….., esteso are 5.66.<br />

Con “contratto di compravendita per scrittura privata” stipulata in data 1 aprile 1984 (all. 1<br />

produzione di parte attrice), ……………. si obbligava a vendere alla sorella …….. (e non cedeva,<br />

come erroneamente scritto in citazione) “i suddetti immobili” facenti parte del compendio ereditario,<br />

per il corrispettivo di euro £. 15.000.000, che la promissaria acquirente contestualmente provvedeva a<br />

versare.<br />

Al riguardo, ancorché nell’atto si dica, espressamente, che la promessa di vendita ha ad oggetto gli<br />

immobili oggetto di successione, è da ritenere che l’impegno negoziale fosse riferito alle quote (di 1/6<br />

e non di ¼, come erroneamente affermato nella scrittura, non essendo stata considerata la quota di 1/3<br />

spettante ex lege al coniuge superstite …………., ex art. 581 c.c.), di cui la promittente venditrice era<br />

titolare in virtù della successione paterna.<br />

Con atto per notaio ……… del 5.5.1987, …………. donava ai figli la nuda proprietà dei diritti vantati<br />

sul fabbricato urbano di ………………; contestualmente i predetti scioglievano la comunione<br />

ereditaria sul predetto cespite, con l’assegnazione al coerede ……… del piano interrato uso cantina e<br />

del piano terreno, e della restante parte dell’immobile agli altri germani, mantenendo la comunione<br />

ereditaria sopra il terreno di Via ……..<br />

Con successivo rogito per notaio …….. del 9.6.1987, ………… donava alla figlia …….. i diritti<br />

vantati sopra il terreno di Via …….; per effetto di tale atto, dunque, …………. acquistava i tre sesti<br />

dell’appezzamento agricolo, risultando della restante parte contitolari i germani ………………..<br />

In data 11.8.1987 (atto per notar …….., rep. n. ……, racc.n. ….), ……… …… trasferiva alla sorella<br />

…….., per il prezzo simbolico di lire 165.000 la sua quota sul terreno, pari ad un sesto: pertanto,<br />

acquistando la quota della sorella, ………….. diveniva proprietaria dei quattro sesti del terreno,<br />

residuando gli altri due sesti in capo ai fratelli ……………..<br />

129


Infine, col contratto di alienazione del 17.11.1998, oggetto della presente controversia,<br />

…………………….., ormai unici proprietari del terreno de qua¸ trasferivano ai convenuti<br />

………………………. i diritti immobiliari vantati sopra il fondo di Via ………, nella misura dei 5/6,<br />

così specificati: ……………………… cedevano la quota pari ad un sesto ciascuno, di cui erano<br />

titolari in forza di successione legittima del genitore ………., mentre ……… trasferiva la propria<br />

quota di tre sesti (dei quattro sesti di cui era titolari), così specificati: la quota di due sesti, in forza<br />

dell’atto di donazione materna del 9.6.1987 e quella di un sesto, acquistata in regime di comunione<br />

legale dalla sorella …………, con il sopra citato rogito dell’11.8.1987.<br />

E’ evidente che della rimanente quota di un sesto sul terreno in oggetto continuava ad essere titolare<br />

……….. (ossia della quota di cui la predetta era titolare in forza di successione paterna), non<br />

essendosi perfezionata la promessa di vendita di cui alla scrittura privata del 1 aprile 1984 (che era e<br />

resta un contratto preliminare, ancorché accompagnato dall’ integrale versamento del corrispettivo,<br />

per le considerazioni che verranno meglio esplicitate in prosieguo).<br />

Orbene, a fronte della successione delle diverse pattuizioni intercorse tra le parti nel corso degli anni,<br />

totalmente infondate si rivelano le argomentazioni poste da parte attrice a sostegno della domanda di<br />

retratto.<br />

Sostiene quest’ultima, invero del tutto erroneamente, a pagina 3 della prima memoria ex art. 183,<br />

sesto comma, c.p.c. depositata il 2 gennaio 2009, che “all’epoca del rogito ……. del 17.11.1998<br />

sussisteva la comunione ereditaria in ordine al terreno ed alla stessa partecipava a pieno titolo la<br />

deducente: non si spiega diversamente la cessione dei soli 5/6 da parte degli altri coeredi.<br />

Invero, … risulta chiaramente che la vendita ereditaria operata in favore della sorella …….. con<br />

l’atto dell’11 agosto 1987 non ha fatto venir meno in capo alla deducente la qualifica di partecipante<br />

alla comunione ereditaria.<br />

La stessa, infatti, era titolare, oltre che della quota pervenutale per successione paterna, anche di<br />

quella acquistata dalla prefata sorella con l’atto del 1°.4.84, come confermato dalla stessa ……..<br />

nella comparsa di risposta del 18.11.08 (cfr. pag. 6)”.<br />

L’attrice aggiunge, ad ulteriore conforto delle proprie argomentazioni, che nello stesso atto per notaio<br />

…….. del 5.5.1987, con cui ……. donava ai figli la nuda proprietà dell’immobile di ………….., e<br />

questi ultimo provvedevano allo scioglimento della comunione ereditaria sopra il predetto cespite, si<br />

specifica il terreno di Via …….. “rimane in comproprietà ereditaria”.<br />

Tali tesi non meritano di essere condivise.<br />

Ed, invero, alla data del 17.11.1998, cui risale il contratto di compravendita stipulato dai germani<br />

……… con gli odierni convenuti, …………era già uscita dalla comunione incidentale avente ad<br />

oggetto il terreno oggetto di alienazione, in forza proprio dell’atto di cessione della sua quota di un<br />

sesto in favore della sorella ………, datata 11.8.1987, regolarmente trascritto.<br />

L’istante, in altri termini, non faceva più parte di quella che, a seguito della divisione volontaria del<br />

fabbricato urbano di ……………. del 5.5.1987, costituente il cespite di maggior valore del<br />

compendio ereditario, si era trasformata in semplice comunione ordinaria sul predetto terreno, avendo<br />

ceduto, incondizionatamente e senza riserve, la propria quota di un sesto in favore della sorella ……..<br />

Ciò risulta inequivocabilmente dalla nota di trascrizione di accompagnamento alla predetta<br />

convenzione, nella quale non si fa in alcun modo cenno alla quota asseritamente vantata dall’istante<br />

(cfr. all. 5 della produzione di parte convenuta).<br />

Né in senso contrario giova richiamare la sentenza n.196/2006 emessa dal Tribunale di<br />

Sant’Angelo dei Lombardi, che si è limitata ad accertare esclusivamente l’autenticità delle<br />

sottoscrizioni apposte in calce alla scrittura privata del 1 aprile 1984, senza operare un<br />

trasferimento di quote in favore dell’istante.<br />

Ed, invero, come si legge nella parte motiva della suddetta pronuncia, il thema decidendum era<br />

limitato all’accertamento giudiziale della provenienza delle sottoscrizioni apposte in calce alle<br />

due scritture private del 1 aprile 1984 e del 5 maggio 1987.<br />

Quest’ultima scrittura venne sottoscritta da tutti i germani …………..contestualmente all’atto notarile<br />

di divisione del fabbricato di …………….., al fine di specificare che il contributo ex lege n.219/81 per<br />

la ricostruzione dello stabile, una volta erogato, sarebbe stato attribuito in favore delle due quote con<br />

cui veniva diviso l’immobile (la prima, come si è detto, a favore del solo …….., comprendente il<br />

piano interratto ed il primo piano, la seconda, ad oggetto la residua parte, in favore degli altri coeredi),<br />

nella percentuale del 50% ciascuna ed indipendentemente dall’estensione di ciascuna quota assegnata;<br />

e con l’ulteriore precisazione che dalla materiale erogazione del contributo e dalle attività connesse<br />

alla ricostruzione del fabbricato erano esclusi i coeredi …………...<br />

Nel costituirsi in tale giudizio, …………., pur non contestando, anzi esplicitamente riconoscendo la<br />

provenienza delle scritture, sollevava una serie di eccezioni di carattere preliminare afferenti alla<br />

130


validità delle scritture stesse, in quanto implicitamente superate dai successivi accordi intercorsi tra le<br />

parti (in primis¸ il patto integrativo all’atto di divisione del 5.5.1987), modificativi dello stato di cose<br />

esistente al momento della sottoscrizione delle scritture private oggetto di accertamento.<br />

Il Giudice investito della decisione rigettava tali eccezioni, in quanto estranee al thema decidendum,<br />

sul presupposto che non erano confluite in specifiche domande riconvenzionali, ed accoglieva la<br />

domanda ex art.2657 c.c., dichiarando le due scritture private appartenenti a …………..<br />

Dichiarata l’autenticità delle sottoscrizioni, in data 4 luglio 2007, ……………. provvedeva alla<br />

trascrizione della predetta sentenza di accertamento (cfr. nota di trascrizione allegata alla produzione<br />

di parte attrice).<br />

Ora, a parte il rilievo che nemmeno può dirsi nella specie realizzato l’effetto di opponibilità ai terzi<br />

delle predette scritture, in quanto risulta che l’istante abbia consegnato al conservatore dei registri<br />

immobiliari, diversamente da quanto previsto dall’art. 2658 c.c., solo la copia autenticata delle<br />

sentenza di accertamento e non le due scritture private che hanno formato oggetto (cfr. produzione di<br />

parte attrice), va detto, in ogni caso, che essendo la scrittura privata del 1.4.1984- su cui l’istante<br />

fonda il suo diritto sulla quota di 1/6 del fondo di via …….- un contratto preliminare, non<br />

seguito dalla stipula del contratto definitivo (né dal giudizio ex art.2932 c.c., che non risulta<br />

essere stato promosso dall’istante per ottenere il trasferimento ope judicis in proprio favore<br />

della quota di 1/6 spettante alla sorella ……..), alcun effetto attributivo reale può ad essa<br />

riconnettersi, essendosi le parti solo reciprocamente impegnate al trasferimento della quota di<br />

spettanza di …………..<br />

In altri termini, alla sentenza n.196/2006 dell’intestato Tribunale non può attribuirsi alcun effetto<br />

traslativo della quota di 1/6 sul terreno di via …….. in favore di …………, la quale sul predetto<br />

fondo è stata sempre titolare della quota (pari ad 1/6) devolutale per successione paterna, essendosi la<br />

stessa limitata ad accertare l’autenticità delle sottoscrizioni apposte in calce alla scrittura del 1<br />

aprile 1984.<br />

Che questa sia stata un mero accordo preliminare (ancorché accompagnato dalla integrale<br />

corresponsione del prezzo, elemento, com’è noto, non incompatibile con lo schema del preliminare, in<br />

cui le parti possono anticipare taluni effetti del preliminare, quali, appunto, il pagamento, parziale o<br />

totale, del corrispettivo), è dimostrato proprio dal tenore letterale della pattuizione, nella quale si legge<br />

che “…………. si obbliga a vendere a favore della sottoscritta …………… che si obbliga a comprare<br />

per sé o per persona da nominare…”.<br />

A fronte di tale inequivocabile tenore, irrilevante è il nomen juris utilizzato dalle parti (che<br />

denominano l’atto “contratto di compravendita per scrittura privata”), dovendosi,<br />

nell’interpretazione del contratto, andare alla ricerca della comune intenzione delle parti e non<br />

limitarsi al senso letterale delle parole, valutando il loro comportamento complessivo, anche<br />

posteriore alla conclusione del negozio (art. 1362 c.c.).<br />

E proprio dalla valutazione del comportamento delle parti in causa, successivamente alla<br />

conclusione della suddetta scrittura privata, emerge in maniera ancora più univoca che di<br />

contratto preliminare si sia trattato, in quanto superato dalle successive pattuizioni intercorse<br />

tra le medesime, e non di contratto definitivo, immediatamente attributivo del diritto di<br />

proprietà, sia pure pro quota.<br />

Ed, infatti, dalle dichiarazioni rese nell’ambito del giudizio n.248/1998, conclusosi con la citata<br />

pronuncia n. 196/2006, dal coerede ……….. in ordine alle effettive volontà delle parti manifestatesi in<br />

occasione della stipula dei diversi rogiti notarili (oltre che della scrittura integrativa del 5.5.1987), e<br />

della cui attendibilità non vi è motivo di dubitare, anche perché egli era estraneo al giudizio in corso<br />

(promosso dall’odierna istante nei confronti della sola sorella ………), emerge quanto segue.<br />

A seguito del riconoscimento del contributo ex lege n. 219/1981 per la ricostruzione del fabbricato di<br />

……………,che andava a mutare significativamente il valore di scambio del fabbricato, “intervennero<br />

tra noi coeredi nuove pattuizioni che annullarono tutti i patti precedenti, orali e scritti. Posso<br />

affermare che in sede di divisione [del fabbricato, beninteso] il contributo fu ripartito tra me e mia<br />

sorella ………, entrambi al 50%, e ciò perché io ebbi ad acquistare la quota da mio fratello …….. per<br />

la somma di £. 40.000.000, mentre mia sorella ……… cedeva la sua quota [attenzione: sul fabbricato]<br />

alla sorella ……… Per tale cessione tra ……. ed …….. veniva imputato in pagamento da parte di<br />

…….., in favore di …….., la somma di £. 15.000.000 riportata nella scrittura privata del 1.04.1984.<br />

Intendo chiarire che per cessione stessa, mia sorella …….. poteva trattenere i 15.000.000 di lire già<br />

ricevute con la scrittura dell’01.04.1984 e, nel contempo, quale ulteriore prestazione, mia sorella<br />

…….. rinunciava all’acquisto della quota di terreno indicata nella stessa scrittura dell’aprile<br />

1984… Quale ulteriore prestazione, da imputare sempre alla cessione fatta da …….. in favore di<br />

131


………. della sua quota sul fabbricato, ……. cedeva a ……. la su quota ereditaria sul terreno al<br />

……… (rectius: Via ……)…[per] il prezzo simbolico…di lire 165.000”.<br />

Tali dichiarazioni furono confermate dall’altro coerede …….., odierno chiamato in causa (udienza del<br />

3 maggio 2005: cfr. produzione dei terzi chiamati).<br />

Difatti, nella menzionata scrittura integrativa del 5.5.1987 fu convenuto che “il primo piano, il<br />

sottotetto e l’ingresso- vano scale di cui alla seconda quota dell’atto notar …….. [del 5.5.1987] sono<br />

di proprietà esclusiva … di ……………….., con specifico obbligo di ……………… di regolarizzare la<br />

predetta scrittura per quanto riferito alla detta seconda quota notarile, a semplice richiesta di<br />

………… [richiesta che non risulta l’attrice abbia fin qui avanzato],…. al fine della intestazione della<br />

,medesima quota… in favore della stessa ……………., unica e vera proprietaria fin da oggi di essa<br />

quota…”; …………… che, unitamente al germano …….., diviene, in quanto titolare della metà del<br />

fabbricato, beneficiaria del contributo per la ricostruzione.<br />

Del resto, che questa sia la realtà dei fatti è dimostrato anche dal fatto che, in sede di cessione alla<br />

sorella della quota di 1/6 sul fondo di Via …….., venne versato un prezzo simbolico (pari a<br />

£.165.000.000), di gran lunga inferiore a quello di mercato stabilito successivamente nel contratto d<br />

compravendita del 17.11.1998 (pari a £.15.000.000 dichiarati, £.50.000.000 effettivamente corrisposti<br />

dai coniugi ………., come risulta dalla contestuale scrittura inter partes).<br />

Un prezzo così irrisorio (a fronte del trasferimento della quota di 1/6 di un terreno esteso are 5.66) non<br />

si sarebbe mai potuto giustificare, se non alla luce degli accordi precedentemente intercorsi tra le parti<br />

(ben enunciati dalla scrittura integrativa del 5.5.1987).<br />

Dunque, riepilogando: alla data del contratto di compravendita del 17.11.1998, ……….. non faceva<br />

più parte della comunione (ordinaria) avente ad oggetto il terreno di Via …….; dunque, alcuna<br />

possibilità vi è per la stessa di invocare la tutela ex art. 732 c.c., esercitabile, per costante<br />

insegnamento della giurisprudenza (ex multis, Cass., sez. II, 23.2.2007, n. 4224, in Notariato, 2008, 4,<br />

400; Cass., sez. II, 6.5.2005, n.2005; Cass., sez. II, 13.9.2004, n.18351) solo da parte degli altri<br />

coeredi (e non dal coerede nei cui confronti si sia operato lo scioglimento della comunione ereditaria)<br />

ed in presenza di comunione ereditaria atteso che l'art. 732 c.c., derogando al principio della libera<br />

disponibilità del diritto di proprietà, non può trovare applicazione fuori dei casi espressamente previsti<br />

ed, in particolare, alla situazione di comunione ordinaria fra alcuni condividenti creatasi a seguito<br />

della divisione per la congiunta attribuzione ad essi di un bene (ipotesi ravvisabile nella specie, per le<br />

considerazioni svolte).<br />

Né, infine, in contrario vale richiamare la circostanza che nell’atto divisionale del 5.7.1984 le parti<br />

abbiano specificato che il terreno di Via ……… “rimane in comproprietà ereditaria”, atteso che, ad<br />

ogni buon conto, su tale bene l’attrice, dopo la cessione della propria quota in favore della sorella, non<br />

vantava alcun diritto sul bene in oggetto ed alcun diritto di prelazione, di conseguenza, le può a tal<br />

fine essere riconosciuto.<br />

Per le ragioni sopra esposte, la domanda di retratto va, dunque, rigettata.<br />

Ne consegue, stante il rigetto della domanda principale, che restano assorbite la domanda<br />

riconvenzionale di danni e quella di garanzia nei confronti dei terzi chiamati proposta dai convenuti in<br />

via meramente subordinata, per l’ipotesi di accoglimento della domanda ex art. 732 c.c.<br />

Sussistono, giusti motivi, in considerazione della peculiarità della fattispecie e della complessità delle<br />

questioni giuridiche trattate, per disporre la compensazione della metà delle spese di lite, ponendo la<br />

restante parte a carico dell’attrice, integralmente soccombente, che si liquida come da dispositivo,<br />

sulla base delle note spese depositate dai procuratori delle parti vittoriose, decurtate delle voci<br />

esorbitanti e non dovute.<br />

P.Q.M.<br />

Il Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi, in composizione monocratica, nella persona del Giudice<br />

Unico dr. Fabrizio Ciccone, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da ………… nei<br />

confronti di ……… e ……….., nonché di ………………………. e ……………….. (proc. n.<br />

248/2008 R.G.A.C.), ogni contraria istanza, eccezione e deduzione respinta, così provvede:<br />

1. rigetta la domanda di riscatto proposta da ………………;<br />

2. dichiara assorbite le domande riconvenzionale e di garanzia proposte da parte convenuta;<br />

3. compensa per la metà le spese di lite tra ……………… ed i convenuti ……………………, e<br />

condanna l’attrice al rimborso, in favore di questi ultimi, della restante parte, che si liquida in<br />

complessivi €. 2.021,00, di cui €. 70,00 per borsuali, €. 1.000,00 per onorario, €. 951,00 per diritti,<br />

oltre rimborso forfettario ex art. 14 tar. for., I.V.A. e C.P.A, come per legge;<br />

132


4. compensa per la metà le spese di lite tra ……………… ed i terzi chiamati in causa, e<br />

condanna l’attrice al rimborso, in favore di questi ultimi, della restante metà, che si liquida in<br />

complessivi €. 2.021,00, di cui €. 70,00 per borsuali, €. 1.000,00 per onorario, €. 951,00 per diritti,<br />

oltre rimborso forfettario ex art. 14 tar. for., I.V.A. e C.P.A, come per legge.<br />

Così deciso in Sant’Angelo dei Lombardi, il 12 gennaio 2010.<br />

133<br />

IL GIUDICE UNICO<br />

dr. Fabrizio Ciccone<br />

IL TRIBUNALE DI S. ANGELO DEI LOMBARDI<br />

riunito in camera di consiglio nelle persone dei seguenti Magistrati:<br />

Dott. Vincenzo Beatrice Presidente<br />

Dott. Fabrizio Ciccone Giudice rel.<br />

Dott.ssa Gerardina Guglielmo Giudice<br />

ha pronunziato la seguente<br />

ORDINANZA<br />

nella procedura iscritta al numero 1262/2009 R.G., avente ad oggetto: reclamo avverso provvedimento<br />

ex art. 446 c.c.<br />

TRA<br />

…………………., rappresentato e difeso dall’avv. ……………………., in virtù di procura a margine<br />

del ricorso ex art. 669-terdecies c.p.c., elettivamente domiciliato presso lo studio del difensore in<br />

…………….. (AV), via ……………..;<br />

-RECLAMANTE-<br />

E<br />

………………………., rappresentata e difesa dall’avv. …………………., giusta procura a margine<br />

dell’originale della memoria difensiva ex art. 669-terdecies c.p.c. ed elettivamente domiciliata presso<br />

il suo studio in ……… (AV), via ……….<br />

-RECLAMATA-<br />

NONCHE’<br />

……………………., rappresentato e difeso dall’avv. ……………… ………………., giusta procura a<br />

margine del ricorso ex art. 669-terdecies c.p.c. ed elettivamente domiciliato presso lo studio del<br />

difensore in ……….. (AV), via ……………..<br />

-RECLAMANTE INCIDENTALE-<br />

MOTIVI DELLA DECISIONE<br />

Il Collegio, letti gli atti, a scioglimento della riserva di cui all'udienza camerale del 1/12/2009<br />

OSSERVA<br />

Con atto di citazione ex art. 443 c.p.c. ……………………….., premesso di versare in grave stato di<br />

bisogno a causa delle sue precarie condizioni di salute, che ne hanno comportato una invalidità totale<br />

del 100% e che le somme percepite a titolo di pensione di vecchiaia e di accompagnamento non le<br />

consentono di soddisfare le proprie esigenze di sopravvivenza, conveniva in giudizio innanzi<br />

all’intestato Tribunale i figli …………………………….. affinché fossero condannati a versarle, a<br />

titolo di concorso al proprio mantenimento, ciascuno la somma di euro 200,00 mensili, con vittoria di<br />

spese, diritti ed onorari di lite.<br />

Proponeva, altresì, l’attrice domanda di liquidazione di un assegno in via provvisoria ex art. 446 c.c.,<br />

stante l’urgenza di ottenere un aiuto economico per la propria sopravvivenza, nella misura ritenuta di<br />

giustizia, istanza che veniva accolta, con ordinanza del 20/10/2009, con la quale i convenuti venivano<br />

condannati a corrispondere a …………………., in via provvisoria ed in solido tra loro, la somma di<br />

euro 600,00 mensili.<br />

Avverso detto provvedimento ha proposto reclamo …………………........., deducendo, in particolare,<br />

l’insussistenza dei presupposti per l’emanazione del provvedimento ex art. 446 c.c., la mancata<br />

applicazione del criterio di proporzionalità stabilito dagli artt. 438 e 441 c.c., oltre che l’illogicità<br />

dell’ordinanza de qua in quanto egli, pur percependo una pensione mensile di soli euro 487,00, veniva


condannato a versare alla madre una somma (euro 200,00 mensili), costituenti quasi la metà del<br />

proprio reddito, così da essere posto in una condizione di indigenza.<br />

Il reclamante, altresì, all’udienza camerale del 1/12/2009, sollecitava, a mezzo del proprio difensore, il<br />

Collegio ad esercitare i propri poteri officiosi onde accertare le effettive capacità reddituali dei singoli<br />

obbligati.<br />

Si costituiva la reclamata …………………., contestando le avverse deduzioni e concludendo per la<br />

conferma dell’ordinanza.<br />

Spiegava, infine, reclamo incidentale ……………….il quale chiedeva, in via principale la revoca<br />

dell’ordinanza reclamata ed in via subordinata la rideterminazione dell’importo dell’assegno in<br />

relazione alle proprie capacità contributive.<br />

Preliminarmente va dichiarato inammissibile il reclamo proposto da ……………… con comparsa<br />

depositata all’udienza del 1/12/2009, testualmente qualificato come reclamo incidentale.<br />

Trattasi, invero, di reclamo non incidentale, diretto a censurare capi della pronuncia di prime<br />

cure diversi da quelli oggetto del reclamo principale, ed il cui presupposto è rappresentato dalla<br />

soccombenza parziale nella procedura di primo grado, ma di vero e proprio reclamo principale,<br />

che il ……………….. doveva proporre nel termine perentorio di quindici giorni dalla<br />

comunicazione dell’ordinanza reclamata, ex art. 669-terdecies c.p.c., e non, come avvenuto nella<br />

specie, con memoria depositata all’udienza di discussione.<br />

Sempre in limine litis, va disattesa la richiesta articolata da ………… di compimento da parte del<br />

Tribunale di accertamenti in ordine alle effettive capacità contributive delle parti, in quanto irrilevante<br />

ai fini della decisione, per le ragioni di seguito esplicitate.<br />

Ciò posto, e passando al merito del reclamo principale, deve dirsi che lo stesso è completamente<br />

destituito di fondamento.<br />

Deve, al riguardo, rilevarsi che nel caso di specie l’obbligo alimentare dei resistenti trova<br />

fondamento nella previsione di cui all’art. 437 c.c., secondo cui “il donatario è tenuto con<br />

precedenza su ogni altro obbligato a prestare gli alimenti al donante, a meno che non si tratti di<br />

una donazione fatta in riguardo di un matrimonio o di una donazione remuneratoria”.<br />

Risulta, infatti, che con atto per notar ………………… del 20/12/1995, rep. …………, racc.<br />

…………… la resistente ………………..donò ai figli tre terreni agricoli, siti in ……..(AV), alla c/da<br />

………., con entrostanti fabbricati rurali ricostruiti con i benefici della legge n. 219/1981, per un<br />

valore complessivo, all’epoca, pari a lire 89.200.000.<br />

E’ stato osservato in giurisprudenza (Cass. 5 marzo 1951, n. 536, in Foro italiano, 1951, I, 715), che<br />

“l’obbligazione alimentare verso il donante è unicamente una conseguenza della donazione, anche se<br />

questa non abbia determinato lo stato di bisogno del donante. Finché la donazione sussiste nel<br />

patrimonio del donatario, rimane l’obbligo alimentare di lui, anche se privo di mezzi necessari al<br />

sostentamento”.<br />

Il rigore di siffatto orientamento giurisprudenziale, sia pure risalente nel tempo, trova la sua<br />

giustificazione nelle particolari ragioni di equità che hanno indotto il legislatore (all’art. 437 c.c. cit.)<br />

ad escludere che il donatario possa conservare, qualora il donante si trovi in stato di bisogno, il<br />

vantaggio patrimoniale a suo tempo conseguito a titolo gratuito e per spirito di liberalità.<br />

Come rilevato in dottrina, in tale ipotesi l’ammontare della prestazione alimentare non va<br />

commisurato alle capacità economiche dell’obbligato (come erroneamente sostenuto dal<br />

reclamante), ma al valore della donazione esistente nel patrimonio del donatario nel momento in<br />

cui venga a sorgere lo stato di bisogno del donante; né va dimenticato che, laddove il donatario<br />

obbligato alla prestazione alimentare sia legato al donante anche da vincoli di natura familiare (come<br />

nel caso di specie), il donante che si veda rifiutare la prestazione alimentare può agire in giudizio, in<br />

via alternativa, con l’azione di revoca della donazione per ingratitudine, ai sensi dell’art. 801 c.c.,<br />

ovvero con l’azione alimentare, ex artt. 433 e ss. c.c.<br />

Quanto alla prova dei requisiti previsti dall’art. 438 c.c. per la concessione dell’assegno alimentare,<br />

ritiene il Collegio che sia stata fornita prova sufficiente da parte della resistente.<br />

Dalla documentazione in atti risulta, in particolare, che la …………… percepisce, a titolo di pensione<br />

di vecchiaia e di indennità di accompagnamento, la somma di euro 1.168,00, in gran parte assorbita<br />

dalle spese (euro 1.000,000 circa mensili) sostenute per pagare la badante, assunta in data 28.9.09, non<br />

essendo più in grado di provvedere autonomamente alle proprie esigenze quotidiane, in quanto<br />

invalida al 100%, impossibilitata a deambulare (tanto da essere costretta su una sedia a rotella), ad<br />

alimentarsi autonomamente, con conseguente necessità di ricevere assistenza in forma continuativa.<br />

E’ emerso, inoltre, dall’istruttoria espletata (cfr. dichiarazioni rese dalla sig.ra ……………….., moglie<br />

di ………………………… all’udienza del 14.10.09, della cui attendibilità non vi è motivo di<br />

dubitare, stante la assoluta linearità e coerenza delle sue affermazioni) che le condizioni di salute della<br />

134


esistente si sono aggravate notevolmente nel corso degli ultimi anni (anche in considerazione del suo<br />

avanzato stato di età, avendo compiuto novantotto anni), e che non può più essere assistita dal figlio<br />

…………….. e dalla nuora …………, come accaduto per oltre cinque anni, anch’essi anziani ed in<br />

precarie condizioni di salute; inattendibili ovvero, in ogni caso, irrilevanti, sono le dichiarazioni rese,<br />

sempre all’udienza del 14/10/2009, da ………………………….., figlia del reclamante principale, la<br />

quale ha riferito che, nel giorno di Santo Stefano dello scorso anno, la nonna “stava bene, tanto che<br />

camminava, cantava e colloquiava con noi”, in quanto smentite dalla documentazione medica in atti e<br />

comunque, non riferite alle attuali condizioni di salute della resistente.<br />

Acquisita, dunque, la prova dello stato di bisogno di ……………, va detto che perfettamente congrua<br />

con il valore della donazioni esistenti nel patrimonio dei donatari reclamanti risulta la somma di €.<br />

200,00 posta a carico di ciascuno di essi dal primo giudice, in considerazione del valore dei terreni a<br />

lui donati, oggi ammontante, come documentato da parte resistente, ad €. 28.647,16.<br />

In definitiva, il reclamo principale dev’essere rigettato.<br />

Quanto alla sorte di quello incidentale proposto da ……………, esso appare meritevole di<br />

accoglimento, sia pure per motivi diversi da quelli dal medesimo prospettati.<br />

Ed, invero, dovendosi commisurare l’ammontare dell’assegno alimentare al valore della donazione<br />

esistente in capo al donatario nel momento in cui venga a sorgere lo stato di bisogno del donante, per<br />

quel che attiene la posizione di …………, dall’atto di donazione risulta che il terreno a lui donato<br />

dalla madre abbia un valore notevolmente inferiore a quello dei beni donati ai fratelli (per la<br />

precisione, lire 2.000.000), il che giustifica, allo stato, e salva ogni ulteriore modifica da parte del<br />

giudice del merito, una riduzione dell’importo da lui dovuto che appare equo rideterminarsi in €.<br />

100,00.<br />

Le spese della presente procedura di reclamo, in quanto proposto avverso provvedimento reso dal<br />

giudice istruttore in corso di causa, andranno regolate all’esito del giudizio di merito.<br />

P.Q.M.<br />

Il Tribunale di S. Angelo dei Lombardi, sul reclamo proposto da ……………nei confronti di<br />

………………, nonché sul reclamo incidentale proposto da ………………, avverso l’ordinanza<br />

emessa dal G.D. presso il Tribunale di S. Angelo dei Lombardi in data 20/10/2009, così provvede:<br />

1) dichiara inammissibile il reclamo proposto da …………….;<br />

2) rigetta il reclamo proposto da ………………;<br />

3) spese al definitivo.<br />

S. Angelo dei Lombardi, così deciso nella camera di consiglio del<br />

15.12.2009<br />

Il Giudice Est. Il Presidente<br />

Dott. Fabrizio Ciccone Dott. Vincenzo Beatrice<br />

Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi<br />

Il giudice dott. Luigi Levita<br />

letti gli atti e sciogliendo la riserva di cui al verbale che precede<br />

OSSERVA<br />

135<br />

R.G. n. XXXX/2009<br />

A seguito dell’introduzione nell’ordito processuale civile del rito sommario (ex l. n. 69/2009), questo<br />

giudice è chiamato ad effettuare una valutazione complessiva e di sintesi del materiale di causa,<br />

prefigurando il percorso che si rende necessario per la decisione e la sua compatibilità con le forme<br />

semplificate.<br />

Orbene, nel caso in esame è agevole evidenziare che le difese delle parti, per come svolte nel corpo<br />

del verbale d’udienza, richiedano un’istruzione “non sommaria” ai sensi dell’art. 702-ter c.p.c.


Ed infatti, la pluralità e varietà dei mezzi istruttori richiesti (prove orali, consulenza tecnica, perizia<br />

fonica, acquisizione di documentazione bancaria e di scritture private), imponendo necessariamente il<br />

dipanarsi dell’istruzione per numerose udienze, rende in concreto non praticabile l’istruzione<br />

sommaria della causa, anche alla luce del disposto del quinto comma dell’art. 702-ter c.p.c., il quale<br />

correla la detta facoltà alla ragionevole previsione di un’istruttoria deformalizzata (che in questa sede<br />

non può formularsi, prefigurandosi invece un’istruttoria incompatibile con le esigenze di speditezza<br />

del rito sommario).<br />

Pertanto, letto l’art. 702-ter comma 3 c.p.c., fissa l’udienza di cui all’art. 183 c.p.c. per il 10 febbraio<br />

2010.<br />

Si comunichi.<br />

Sant’Angelo dei Lombardi, 20 novembre 2009<br />

Il giudice<br />

dott. Luigi Levita<br />

Tribunale di Sant'Angelo dei Lombardi - Sentenza 5.1.2010 (Giudice Levita), in tema di<br />

consegna della polizza assicurativa e procedimento monitorio<br />

La massima:<br />

Il procedimento per decreto ingiuntivo, esperibile per la consegna di una cosa mobile determinata ai<br />

sensi del primo comma dell’art. 633 c.p.c. implica non l’adempimento di un mero dovere di consegna<br />

di un’entità già esistente, bensì uno sforzo creativo del documento da parte della società<br />

assicuratrice, la quale a seguito della richiesta viene chiamata a svolgere un’attività di ricerca in<br />

archivio, formazione del duplicato e successiva consegna, avendo altresì cura di dover adempiere a<br />

soggetto effettivamente legittimato alla ricezione (stante l’assenza di una previa denuncia della<br />

perdita di possesso del documento).<br />

Il complesso delle dette attività implica, per l’effetto, la configurabilità di un vero e proprio facere<br />

attivo, che travalica le condizioni di ammissibilità del provvedimento monitorio, legislativamente<br />

riferibili all’attuazione delle obbligazione di dare ed alla sola attività materiale della consegna.<br />

REPUBBLICA ITALIANA<br />

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO<br />

IL TRIBUNALE DI SANT’ANGELO DEI LOMBARDI,<br />

in composizione monocratica, nella persona del Giudice Unico dott. Luigi Levita, ha pronunciato la<br />

seguente<br />

SENTENZA<br />

nella causa civile iscritta al n. XXX RGAC – avente ad oggetto: appello sentenza del giudice di Pace<br />

di Calitri n. XXX depositata in data XXX – vertente<br />

tra<br />

XXX, rappresentato e difeso dall’avv. XXX, presso il cui studio elettivamente domicilia - in XXX,<br />

giusta mandato in atti<br />

e<br />

136<br />

APPELLANTE


XXX Assicurazioni SpA RAPPRESENTATA E DIFESA DALL’AVV. XXX, ELETTIVAMENTE DOMICILIATI<br />

PRESSO LO STUDIO DELL’AVV. XXX – SITO IN XXX, GIUSTA MANDATO IN ATTI<br />

CONCLUSIONI<br />

137<br />

APPELLATO<br />

I procuratori delle parti hanno concluso come da verbale di udienza del 14.10.2009, da intendersi qui<br />

integralmente richiamato e trascritto<br />

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO<br />

Con atto di citazione ritualmente notificato, la XXX Assicurazioni SpA proponeva opposizione<br />

avverso il decreto ingiuntivo n. XXX reso dal Giudice di Pace di Calitri, con il quale le veniva<br />

ordinato di consegnare la polizza assicurativa del veicolo targato XXXXXX, di proprietà di XXX, per<br />

il periodo assicurativo 1998-1999.<br />

L’opposto si costituiva in giudizio insistendo per la legittimità del provvedimento e domandando in<br />

via riconvenzionale la condanna dell’opponente al risarcimento del danno, stante la natura dilatoria<br />

dell’opposizione.<br />

Precisate le conclusioni, il Giudice di Pace ha emesso sentenza con la quale ha accolto l’opposizione,<br />

revocando il decreto ingiuntivo opposto, rigettando la domanda riconvenzionale di risarcimento del<br />

danno e compensando fra le parti le spese di giudizio.<br />

Avverso la suddetta sentenza, XXX ha interposto atto di appello ritualmente notificato, chiedendo al<br />

Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi la riforma della sentenza impugnata, con condanna<br />

dell’appellato al pagamento delle spese processuali del doppio grado.<br />

Instauratosi il contraddittorio, si è costituita in giudizio la XXX Assicurazioni SpA, contestando i<br />

proposti motivi di appello, chiedendo il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza impugnata,<br />

con condanna dell’appellante alle spese di giudizio del doppio grado.<br />

Acquisito il fascicolo di primo grado, all’udienza del 19.11.2008 il Giudice rinviava la causa per la<br />

precisazione delle conclusioni; rassegnate tali conclusioni all’udienza del 14.10.2009, la causa veniva<br />

riservata in decisione con assegnazione dei termini ex art. 190 c.p.c.<br />

L’appello è infondato.<br />

MOTIVI DELLA DECISIONE<br />

L’appellante sviluppa ed argomenta un unico, complesso motivo d’impugnazione della pronuncia<br />

resa dal Giudice di Pace, secondo il quale deve ritenersi ammissibile – in sintesi – il procedimento<br />

monitorio per la consegna di una cosa determinata (nel caso di specie, una polizza assicurativa ex<br />

art. 1888 c.c.).<br />

Il motivo va disatteso.<br />

Ritiene infatti questo Giudice che il procedimento per decreto ingiuntivo, esperibile per la<br />

consegna di una cosa mobile determinata ai sensi del primo comma dell’art. 633 c.p.c. implica non<br />

l’adempimento di un mero dovere di consegna di un’entità già esistente, bensì uno sforzo creativo<br />

del documento da parte della società assicuratrice, la quale a seguito della richiesta viene chiamata<br />

a svolgere un’attività di ricerca in archivio, formazione del duplicato e successiva consegna,<br />

avendo altresì cura di dover adempiere a soggetto effettivamente legittimato alla ricezione (stante<br />

l’assenza di una previa denuncia della perdita di possesso del documento).<br />

Il complesso delle dette attività implica, per l’effetto, la configurabilità di un vero e proprio facere<br />

attivo, che travalica le condizioni di ammissibilità del provvedimento monitorio, legislativamente<br />

riferibili all’attuazione delle obbligazione di dare ed alla sola attività materiale della consegna (sul<br />

punto cfr. Trib. Napoli, 3 maggio 2007).


Le considerazioni espresse dal Giudice di Pace nell’impugnata sentenza vanno pertanto condivise,<br />

con conseguente rigetto dell’appello.<br />

La presenza in subiecta materia di orientamenti giurisprudenziali di merito difformi, l’assenza di<br />

pronunce regolatrici della Suprema Corte, il comportamento processuale delle parti<br />

concretamente tenuto suggeriscono a questo Giudice la compensazione integrale delle spese di<br />

lite.<br />

PQM<br />

Il Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi, in composizione monocratica, nella persona<br />

del Giudice Unico dott. Luigi Levita, definitivamente pronunciando sull’appello proposto nel<br />

giudizio in epigrafe indicato, ogni contraria domanda, eccezione e deduzione respinta, così<br />

provvede:<br />

- rigetta l’appello proposto da XXX e conferma la sentenza emessa del giudice di Pace<br />

di Calitri n. XXX depositata in data XXX;<br />

- compensa integralmente fra le parti le spese di lite.<br />

Sant’Angelo dei Lombardi, 5 gennaio 2010<br />

138<br />

Il Giudice<br />

REPUBBLICA ITALIANA<br />

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO<br />

dott. Luigi Levita<br />

Il Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi, in persona del dott. Luigi Levita, in funzione di<br />

Giudice Unico, ha pronunciato la seguente<br />

SENTENZA<br />

nella causa civile iscritta al n. XXX/2008 R.G., avente ad oggetto: altri contratti tipici ed<br />

obbligazioni non rientranti nelle altre materie, riservata in decisione all’udienza del 10 febbraio<br />

2010 e vertente<br />

TRA<br />

XXX, nata a XXX il XXX (c.f. XXX), rappresentata e difesa dall’avv. XXX, nel cui studio<br />

elettivamente domicilia in XXX, in virtù di mandato a margine dell’atto di citazione<br />

ATTRICE<br />

E<br />

TELECOM ITALIA SPA, in persona del procuratore speciale dott. XXX giusta procura<br />

speciale in atti, rappresentata e difesa dall’avv. XXX, elettivamente domiciliata con il difensore in<br />

XXX presso lo studio dell’avv. XXX, in virtù di mandato a margine della comparsa di costituzione<br />

per intervento volontario<br />

CONVENUTA<br />

CONCLUSIONI<br />

All’udienza del 10 febbraio 2010 le parti discutevano oralmente la causa ex art. 281quinquies,<br />

comma 2, c.p.c. ed il Giudice tratteneva la causa in decisione.<br />

FATTO E DIRITTO<br />

Con citazione regolarmente notificata, XXX, premettendo di aver sottoscritto nel maggio<br />

2007 con TELECOM ITALIA MOBILE SpA un contratto di telefonia associato alla promozione<br />

“Tutto Compreso 30”, deduceva di aver ricevuto sulla sua scheda SIM, successivamente


all’attivazione, un ingente numero di sms a carattere pubblicitario e commerciale in assenza di un<br />

preventivo consenso; espletato vanamente il tentativo di conciliazione innanzi alla Camera di<br />

Commercio di Avellino, citava quindi in giudizio la predetta Società per conseguire il risarcimento dei<br />

danni patiti ex artt. 2043 e 2050 c.c., da quantificarsi in via equitativa, con vittoria delle spese di<br />

giudizio.<br />

Nella contumacia della Società convenuta, il precedente istruttore, all’esito della concessione<br />

dei termini ex art. 183 co. 6 c.p.c., ammetteva l’interrogatorio formale del rappresentante legale della<br />

TELECOM e la chiesta prova per testi.<br />

All’udienza del 2 dicembre 2009, fissata per il raccoglimento dei mezzi istruttori, si<br />

costituiva con comparsa di intervento volontario TELECOM ITALIA SPA, eccependo l’inesistenza<br />

della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio, l’incompetenza territoriale, l’improponibilità<br />

della domanda e, nel merito, la sua infondatezza. Questo Giudice, riservandosi di decidere all’esito<br />

sulle sollevate questioni preliminari, revocava parzialmente la precedente ordinanza ammissiva,<br />

procedendo alla sola escussione del teste YYY ed all’interrogatorio libero dell’attrice, presente in<br />

udienza; all’esito, su richiesta dell’attore, il Giudice disponeva lo scambio delle sole comparse<br />

conclusionali ai sensi dell’art. 281-quinquies, comma 2, c.p.c., rinviando all’udienza del 10 febbraio<br />

2010 per la discussione orale (all’esito della quale la causa veniva trattenuta in decisione).<br />

La domanda è infondata e va rigettata per le ragioni che di seguito si espongono.<br />

In via preliminare, va disattesa l’eccezione della TELECOM ITALIA SpA della declaratoria<br />

di inesistenza della notifica dell’atto di citazione, effettuato nei confronti della TELECOM ITALIA<br />

MOBILE SpA a seguito della fusione per incorporazione nella TELECOM ITALIA SpA; ed infatti, la<br />

costituzione in giudizio della società convenuta è valsa a sanare ogni eventuale profilo di nullità,<br />

anche in considerazione dell’autorevole dictum della Suprema Corte (sez. I, 28 maggio 2008, n.<br />

14066), secondo cui la citazione o il ricorso notificati ad ente estinto – come nella specie, operando la<br />

fusione per incorporazione la estinzione del soggetto incorporato, mentre l’incorporante diventa<br />

esclusivo destinatario degli atti processuali – determinerebbero una nullità, pur rilevabile d’ufficio,<br />

comunque sanabile, anche se solo con effetto ex nunc (nella disciplina anteriore alla legge n.<br />

353/1990), dal momento della costituzione in giudizio del soggetto incorporante. Secondo la Suprema<br />

Corte quindi, la citazione del soggetto estinto determina una nullità rilevabile d’ufficio, ma sanabile<br />

per effetto della costituzione in giudizio della società incorporante. Ciò perché malgrado l’erronea<br />

indicazione del soggetto convenuto in giudizio, la vocatio in ius e l’editio actionis possono comunque<br />

consentire di individuare il rapporto sostanziale dedotto in giudizio e consentire al soggetto cui fa<br />

capo la situazione sostanziale dedotta in giudizio di riconoscersi come il soggetto sostanzialmente ma<br />

irritualmente convenuto e di valutare l’opportunità di costituirsi (il che è avvenuto nel caso di specie).<br />

Del resto, ha evidenziato la Corte (con valutazione perspicua che questo Giudice condivide) che la<br />

vocatio in ius di un soggetto non più esistente, ma nei cui rapporti è pur sempre succeduto un altro<br />

soggetto, non è affetta da un vizio più grave di quello da cui è affetta la vocatio in ius addirittura<br />

mancante della indicazione della parte processuale convenuta e che comunque è sanabile con la<br />

costituzione di chi, malgrado il vizio, si è riconosciuto come convenuto.<br />

Tale sanatoria della nullità della vocatio in ius – ha infine puntualizzato la Suprema Corte – si<br />

verifica anche nel caso in cui alle difese di merito si accompagni l’eccezione di nullità dell’atto<br />

introduttivo del giudizio e dell’inopponibilità a sé di tale atto, come nel caso in esame.<br />

Sempre in via preliminare, non può trovare accoglimento la seconda eccezione formulata da<br />

TELECOM ITALIA SpA sull’incompetenza territoriale del Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi,<br />

per essere invece competente il Tribunale di Milano ai sensi dell’art. 152 D.Lgs. n. 196/2003; valga a<br />

tal proposito richiamare l’arresto del Supremo Collegio che, nel sancire la specialità ed esclusività del<br />

c.d. foro del consumatore, ha statuito che “la disposizione in virtù della quale si presume la<br />

vessatorietà della clausola con cui si designa come sede del foro competente, in relazione alle<br />

controversie derivanti dal contratto concluso tra un professionista e un consumatore, una località<br />

diversa da quella di residenza o domicilio elettivo di quest’ultimo istituisce la competenza territoriale<br />

esclusiva del giudice del luogo di residenza o domicilio elettivo del consumatore” (Cass. Civ., Sez.<br />

Un., 1 ottobre 2003, n. 14669).<br />

Ed infine, con riferimento all’ulteriore eccezione preliminare di TELECOM ITALIA SpA di<br />

improponibilità della domanda per mancato esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione,<br />

essa va egualmente disattesa in quanto, dalla documentazione in atti, risulta per tabulas che l’attrice<br />

abbia intrapreso – senza esito – apposita procedura conciliativa il 15.5.2005 presso la Camera di<br />

Conciliazione della Camera di Commercio di Avellino.<br />

Venendo al merito della controversia, nessun dubbio può sussistere sulle circostanze fattuali<br />

oggetto del presente giudizio giacché, a prescindere dalla documentazione in atti e dalla deposizione<br />

139


asseverativa del teste YYY, la stessa società convenuta (nella persona dell’addetto XXX, responsabile<br />

del Servizio Clienti Residenziali – Responsabile Mobile Napoli), con missiva del 5.6.2008, ha di fatto<br />

confermato le allegazioni di parte attrice sulla sussistenza del contratto telefonico e sull’invio degli<br />

sms pubblicitari (scrive infatti la società convenuta: “Le confermiamo, come da Sua richiesta, di aver<br />

disposto alla totale disattivazione dei suddetti servizi in data 14/05/2008”, il che consente di ritenere<br />

implicitamente provata la circostanza che, prima di detta data, l’attrice abbia effettivamente ricevuto<br />

sms sulla propria linea telefonica; che tale invio si sia verificato in assenza di consenso è altresì un<br />

dato acquisito, stante la non contestazione sul punto della società convenuta, situazione che acquista<br />

uno specifico rilievo ai sensi della legge n. 69/2009).<br />

Il baricentro decisorio deve quindi spostarsi sulla verifica della sussistenza dei danni<br />

lamentati dall’attrice in citazione (così testualmente: “i danni da risarcire consistono sia in quelli<br />

patrimoniali che in quelli non patrimoniali; che i danni patrimoniali consistono nella perdita subita<br />

dalla danneggiata e nel suo mancato guadagno; che i danni non patrimoniali, da risarcire in via<br />

equitativa ex art. 122 c.c., consistono nella lesione del diritto alla vita di relazione, nel danno morale<br />

e nel danno esistenziale”).<br />

Orbene, la domanda è rimasta del tutto sfornita di prova quanto all’esistenza dei danni<br />

lamentati.<br />

Quanto ai profili patrimoniali, l’attrice non ha infatti dedotto alcun pregiudizio<br />

economicamente valutabile scaturito dalla condotta della società convenuta, limitandosi a mere<br />

affermazioni di stile pedissequamente ricalcanti il dettato normativo (perdita subita dalla danneggiata<br />

e mancato guadagno), senza però individuare quali decrementi patrimoniali abbia concretamente<br />

subito né quali incrementi patrimoniali non sia riuscita ad ottenere (cfr. sul punto Cass. Civ., sez. II,<br />

12 giugno 2008, n. 15814, che efficacemente – e condivisibilmente – evidenzia come, nell’attuale<br />

ordito normativo, il diritto al risarcimento del danno non rivesta natura punitiva, ma vada correlato<br />

alla prova del concreto pregiudizio economico asseritamente subito dal danneggiato)<br />

Similmente, quanto ai profili non patrimoniali, anche l’asserita lesione del diritto alla vita di<br />

relazione, oltre che la doglianza di aver subito pregiudizi morali ed esistenziali, sono rimaste a livello<br />

di mere asserzioni, non suffragate da alcuna dimostrazione (né la disattesa richiesta di prova per testi,<br />

genericamente capitolata onde fornire la dimostrazione di non meglio precisati disagi e disturbi,<br />

avrebbe potuto soccorrere in tal senso).<br />

In ogni caso, questo Giudice non può non evidenziare come l’attrice, nel medesimo arco<br />

temporale in cui riceveva sms indesiderati sul proprio telefono cellulare: abbia nondimeno mantenuto<br />

l’indispensabile lucidità e costanza di studi per affrontare e superare con esito positivo le prove<br />

concorsuali per l’accesso alla professione notarile (come dalla stessa dichiarato in sede di<br />

interrogatorio libero); abbia seguitato ad utilizzare la suddetta scheda SIM, pur essendo in possesso di<br />

altra scheda SIM appartenente a diverso operatore commerciale (“Avevo con me un altro telefono<br />

cellulare di mia proprietà, ma i miei genitori mi chiamavano sul numero Tim perché fruivano di<br />

tariffa agevolata”, sempre in sede di interrogatorio libero); non abbia richiesto il recesso contrattuale<br />

“per non pagare la penale pattuita” (ancora in sede di interrogatorio libero). Trattasi di circostanze<br />

fattuali che, unitariamente considerate, contribuiscono a rendere ancor più evanescente la summa dei<br />

pregiudizi genericamente lamentati dall’attrice, per ricondurli nell’alveo della sterile doglianza.<br />

Per tutte le considerazioni che precedono, la domanda va rigettata.<br />

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.<br />

P.Q.M.<br />

Il Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi, in composizione monocratica, in persona del<br />

Giudice dott. Luigi Levita, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da XXX nei<br />

confronti di TELECOM ITALIA SPA, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa, così provvede:<br />

• rigetta la domanda;<br />

• condanna l’attrice al pagamento delle spese processuali in favore della convenuta, che si<br />

liquidano in euro 1.800,00 per onorari ed euro 1.200,00 per diritti, oltre rimborso forfetario<br />

per spese generali, IVA e CPA come per legge, con attribuzione al procuratore antistatario.<br />

Così deciso in Sant’Angelo dei Lombardi, in data 17 febbraio 2010.<br />

140<br />

Il Giudice<br />

dott. Luigi Levita


Massimario Civile del Foro Arianese a cura di Domenico Scala e Lidia Caso<br />

Sentenza n. 184/10 (deposito 13.04.10) G.U.<br />

dr. Pietro Vinetti – scioglimento di<br />

comunione – cessazione materia del<br />

contendere per sopravvenuta transazione.<br />

In corso di causa, parte attrice, decorsi già i<br />

termini previsti dall’art 183 co. V c.p.c. e<br />

quelli di cui all’art 184 c.p.c., produceva<br />

transazione scritta tra le parti, sottoscritta<br />

anche dai difensori, ai fini conciliativi della<br />

lite. L’accordo, tuttavia, pur non contestato<br />

dalla controparte, viene tuttavia denunciato<br />

dalla stessa parte che l’ha prodotto come<br />

inadempiuto. Parte convenuta non ne contesta<br />

provenienza e sussistenza, eccependone solo<br />

la inammissibilità nella presente sede. La<br />

censura di parte convenuta non merita<br />

accoglimento, considerato che l’accordo,<br />

sostanzialmente riconosciuto da entrambe le<br />

parti, ha effetto definitivo della lite,<br />

conducendo, per il sopravvenuto difetto di<br />

interesse alla definizione del giudizio di<br />

divisione, il giudicante ad una pronuncia di<br />

cessazione della materia del contendere: la<br />

definizione della lite mediante il detto accordo<br />

stragiudiziale prevede, peraltro, una<br />

regolamentazione degli interessi in gioco con<br />

efficacia novativa degli obblighi in precedenza<br />

reciprocamente contestati. L’intervenuto o<br />

meno adempimento agli obblighi assunti nella<br />

pattuizione raggiunta non è questione che può<br />

trovare ingresso nel presente giudizio.<br />

Sentenza n. 32/10 G.U. dr.ssa Gelsomina<br />

Palmieri – oggetto: risoluzione contrattuale<br />

per inadempimento - competenza<br />

territoriale del giudice adito. Per stabilire il<br />

foro competente, ai sensi dell’art 20 c.p.c, a<br />

decidere una domanda di risoluzione per<br />

inadempimento del contratto, occorre aver<br />

riguardo al luogo ove doveva essere<br />

adempiuta l’originaria obbligazione di cui in<br />

giudizio si deduce l’inadempimento.<br />

L’obbligazione dedotta in giudizio, ai fini<br />

della determinazione del foro facoltativo ex<br />

art. 20 c.p.c., è non solo quella di cui si chiede<br />

direttamente l’adempimento, ma anche quella<br />

che funge da causa petendi rispetto al<br />

contenuto specifico della domanda e, pertanto,<br />

ove questa abbia ad oggetto la risoluzione di<br />

un contratto per inadempimento, occorre far<br />

riferimento, per la individuazione del foro<br />

competente, al luogo nel quale doveva essere<br />

eseguita l’obbligazione al cui inadempimento<br />

si ricollega la pretesa di risoluzione.<br />

141<br />

Sentenza n. 16/10 (dep. 12.01.10) G.U. (in<br />

grado di appello) dr.ssa G. Palmieri –<br />

competenza territoriale in tema di contratti<br />

del consumatore. In materia di contratti<br />

c.d.“del consumatore” l’art. 1469 bis c.c. al<br />

terzo comma, n. 19, individua una specifica<br />

competenza territoriale. La norma richiamata<br />

individua il Giudice competente in quello<br />

della località dove risiede o abbia eletto<br />

domicilio il consumatore. Ebbene, “la<br />

disposizione dettata dall’art. 1469 bis comma<br />

3, n. 19 c.c. si interpreta nel senso che il<br />

legislatore nelle controversie tra consumatore<br />

e professionista, abbia stabilito la competenza<br />

territoriale esclusiva del giudice del luogo<br />

della sede o del domicilio elettivo del<br />

consumatore, presumendo vessatoria la<br />

clausola che individui come sede del foro<br />

competente una diversa località”. ( cfr. Cass.<br />

civ., sez. un., 01 ottobre 2003, n. 14669). Nel<br />

caso concreto la clausola n. 11 del contratto<br />

ritualmente sottoscritto e poi richiamata e<br />

nuovamente sottoscritta non può ritenersi<br />

abusiva e/o vessatoria in considerazione del<br />

fatto che il consumatore ha liberamente eletto<br />

il proprio domicilio contrattuale presso la sede<br />

della società ed ha specificamente sottoscritto<br />

la predetta clausola peraltro riportata in<br />

contratto in modo chiaro e pienamente<br />

leggibile. Bene dunque ha fatto il giudice di<br />

primo grado, ritenuta la richiamata clausola<br />

non vessatoria, a dichiarare la propria<br />

incompetenza per territorio.<br />

Sentenza n. 2/10 (dep. 7.01.2010) G.U.<br />

dr.ssa Maria Cristina Rizzi – opposizione<br />

ad ordinanza-ingiunzione (ad oggetto<br />

trattamento di autoveicoli fuori uso).<br />

All’opponente è contestata la violazione<br />

dell’art. 5, comma 1 d. lgs. 2003, n. 209<br />

(decreto attuativo della direttiva 2000/53/CE<br />

relativa ai veicoli fuori uso) a mente del quale<br />

“il veicolo destinato alla demolizione è<br />

consegnato dal detentore ad un centro di<br />

raccolta ovvero, nel caso in cui il detentore<br />

intende cedere il predetto veicolo per<br />

acquistarne un altro, può essere consegnato al<br />

concessionario o al gestore della succursale<br />

della casa costruttrice o dell’automercato, per<br />

la successiva consegna ad un centro di<br />

raccolta, qualora detto concessionario o<br />

gestore intenda accettarne la consegna e<br />

conseguentemente rilasciare il certificato di<br />

rottamazione di cui al comma 6”. In realtà,<br />

come desumibile anche dal verbale della p.s. e


come dimostrato dall’opponente, la condotta<br />

tenuta dal [omissis],titolare di una<br />

autocarrozzeria, si è concretata nello<br />

smontaggio del motore da un autoveicolo,<br />

motore che è stato venduto a terzi (cfr.<br />

scrittura privata in atti). Orbene, a seguito<br />

dell’entrata in vigore del d.lg. n. 209 del 2003,<br />

con il quale è stata recepita in Italia la direttiva<br />

2000/53/Ce relativa ai veicoli fuori uso, deve<br />

essere considerato “ fuori uso” sia il veicolo di<br />

cui il proprietario si disfi o abbia deciso o<br />

abbia l’obbligo di disfarsi, sia quello destinato<br />

alla demolizione, ufficialmente privato delle<br />

targhe di immatricolazione, anche prima della<br />

materiale consegna a un centro di raccolta,<br />

nonché quello che risulti in evidente stato di<br />

abbandono, anche se giacente in area privata<br />

(Cassazione penale, sez. III, 23 giugno 2005,<br />

n. 33789). Nel caso in esame non si verte nella<br />

descritta ipotesi di veicolo destinato alla<br />

demolizione da inviare in un centro di<br />

raccolta, bensì nella diversa ipotesi del<br />

reimpiego di pezzi di veicoli fuori uso,<br />

consentita dall’art. 3, comma 1 lett. D. lgs.<br />

(nel decreto si intende per ogni<br />

operazione in virtù della quale i componenti di<br />

un veicolo fuori uso sono utilizzati allo stesso<br />

scopo per cui erano stati originariamente<br />

concepiti), poiché [omissis] ha reimpiegato il<br />

motore per lo stesso scopo per il quale era<br />

stato originariamente concepito (vedi anche<br />

Trib. Milano, 23.1.2006: non appartengono<br />

alla categoria dei rifiuti i materiali che<br />

possano essere o siano effettivamente e<br />

oggettivamente riutilizzati nel medesimo o<br />

analogo ciclo produttivo e di consumo; cfr.<br />

Trib. Milano, 23.1.2006). Tanto premesso,<br />

l’opposizione va accolta e l’ordinanza deve<br />

essere annullata.<br />

Sentenza n. 6/10 (dep. 11.01.2010) G.U. dr.<br />

P. Vinetti – giudizio di divisione :<br />

inesistenza dell’atto introduttivo del<br />

giudizio, nel quale risultano come parti<br />

convenute (litisconsorti necessari) soggetti<br />

defunti prima della notifica. Come da<br />

certificazione esibite, è risultato appurato<br />

che…omissis…sono defunti prima dell’inizio<br />

del giudizio, e pertanto il rapporto processuale<br />

non può dirsi correttamente instaurato, nei<br />

confronti di tutti i soggetti legittimati,<br />

litisconsorti necessari nel giudizio di<br />

divisione. Va conseguentemente dichiarata<br />

l’inesistenza dell’atto introduttivo del<br />

giudizio, conformemente all’orientamento<br />

della Cassazione sul punto, espresso anche in<br />

tema di società incorporata prime dell’inizio<br />

del giudizio di primo grado.<br />

142<br />

Sentenza n. 157/10 (dep. 22.03.2010) G.U.<br />

dr. P. Vinetti – requisiti di forma dell’<br />

appello per le opposizioni ex lege 689/81 –<br />

conseguenze in caso di forma errata. Ritiene<br />

il Giudicante che, relativamente alle<br />

impugnazioni avverso sentenze rese in prime<br />

cure dal Giudice di Pace ad oggetto<br />

opposizioni ex l. 689/1981, in mancanza di<br />

diversi disposto normativo, debba ritenersi<br />

applicabile il rito ordinario, conseguendone<br />

quale forma introduttiva la citazione e non il<br />

ricorso, secondo il condiviso orientamento<br />

giurisprudenziale maggioritario sul punto, che<br />

valorizza il dato testuale contenuto all’art. 359<br />

c.p.c. Ciò posto, la scelta dell’introduzione del<br />

gravame con citazione o con ricorso determina<br />

al più un’irregolarità formale ove non si<br />

riverberi in sostanziale decadenza dei termini:<br />

ove l’appello venga introdotto con ricorso,<br />

infatti, ai fini del decorso del termine per<br />

l’impugnazione si avrà riguardo al momento<br />

della notificazione dello stesso - determinando<br />

tale ultimo momento la pendenza della lite, e<br />

non la mera proposizione del ricorso in<br />

cancelleria. Ciò premesso, nel caso di specie,<br />

l’appello, introdotto con ricorso, deve<br />

comunque ritenersi intempestivamente<br />

introdotto.<br />

Sentenza n. 167/10 (dep. 7.04.10) G.U. dr. P.<br />

Vinetti – nuovo procedimento sommario<br />

(art. 702 bis c.p.c.) ad oggetto<br />

corresponsione obbligo alimentare –<br />

dichiarazioni “spontanee” rese da soggetti<br />

processualmente contumaci: ammissibilità<br />

e valore probatorio Quanto all’eccepita<br />

incompatibilità della domanda svolta nella<br />

forma di cui all’art. 702 bis c.p.c., va<br />

considerato che la disciplina speciale<br />

introdotta per il rito sommario in parola<br />

esclude solo i procedimenti sottratti alla<br />

attribuzione monocratica e riservati al<br />

collegio. La controversia all’esame, avente ad<br />

oggetto condanna del discendente alla<br />

corresponsione dell’obbligo alimentare nei<br />

confronti del genitore in stato di bisogno,<br />

rientra nelle attribuzioni del Tribunale in<br />

composizione monocratica, in mancanza di<br />

diversa contraria disposizione, e pertanto la<br />

relativa doglianza va disattesa. Gli altri<br />

discendenti evocati in giudizio sono rimasti<br />

processualmente contumaci, pur presentatisi<br />

senza difensore all’udienza del 15 marzo 2010<br />

e rendendo dichiarazioni “ spontanee” a<br />

verbale, che, attesa la sommarietà del rito e la<br />

libertà di forme, che connota il procedimento<br />

ex art. 702 bis c.p.c., fatti salvi i principi del<br />

contraddittorio e del giusto processo,


consentono al giudicante di acquisire ulteriori<br />

elementi probatori.<br />

Sentenza n. 65710 (dep. 28.01.10) G.U.<br />

dr.ssa Maria Bottoni – decisione ai sensi<br />

dell’art. 281 sexies c.p.c. in materia di<br />

opposizione tardiva a convalida di sfratto.<br />

L’esecuzione per rilascio (cfr. art. 608, comma<br />

1, c.p.c.) “inizia con la notifica dell’avviso con<br />

il quale l’ufficiale giudiziario comunica<br />

almeno dieci gironi prima alla parte, che è<br />

tenuta a rilasciare l’immobile, il giorno e<br />

l’ora in cui procederà”. Nel caso che ci<br />

occupa l’avviso di cui all’art. 608 c.p.c. è stato<br />

notificato il 28.04.2009, mentre l’opposizione<br />

è stata proposta con ricorso depositato il<br />

4.6.2009. Ne consegue che la proposta<br />

opposizione deve essere dichiarata<br />

inammissibile perché tardiva, in quanto<br />

proposta ben oltre il termine di dieci giorni<br />

dall’esecuzione prescritto dal comma secondo<br />

dell’art 668 c.p.c. (nota: Il tribunale decide<br />

controversia locativa, iniziata nel 2009, nelle<br />

forme semplificate previste dall’art. 281 sexies<br />

cpc. La domanda è: si può far ricorso alla<br />

norma generale semplificata laddove ve ne sia<br />

una speciale di analogo tenore, come l’art.<br />

429 c.p.c., nella sua ultima versione<br />

(introdotta dalla L. 101/08), pacificamente<br />

applicabile in materia di locazioni?)<br />

Sentenza n. 343/09 (dep. 21.07.09) G.U.<br />

dr.ssa M. Bottoni – opposizione a precetto<br />

per pretesa nullità di notifica del titolo<br />

(copia informe di sentenza non rilasciata<br />

dal cancelliere): infondatezza – sanatoria<br />

delle nullità di notifica del titolo e precetto<br />

per effetto della proposta opposizione. “Ai<br />

sensi dell’art. 111, D.P.R. n. 1229 del 1959<br />

l’ufficiale giudiziario al quale viene richiesta<br />

la notificazione di copia autentica di un<br />

provvedimento giurisdizionale in materia<br />

civile è autorizzato a fare le altre copie che<br />

deve consegnare alle parti e quindi anche ad<br />

autenticare le copie informi presentategli<br />

dalla parte che chiede la notificazione” (così<br />

Cassazione civile, Sez. I,17.12.1993,<br />

n.12516). Una limitazione del potere<br />

dell’ufficiale giudiziario di rilasciare ulteriori<br />

copie di atti per la notifica alle sole ipotesi in<br />

cui non possa a ciò provvedere il pubblico<br />

ufficiale depositario del documento originale<br />

non appare consentita dal tenore letterale<br />

dell’art. 111 del D.P.R. 15 dicembre 1959, n.<br />

1229, che nel conferire tale potere, in<br />

relazione agli atti rilasciati in copia dal notaio<br />

o da altro pubblico ufficiale, non pone<br />

limitazioni od eccezioni di sorta. La ratio della<br />

143<br />

norma, peraltro, è quello di fornire uno<br />

strumento volto a semplificare e snellire il<br />

procedimento notificatorio, attribuendo<br />

all’ufficiale giudiziario che deve provvedere<br />

alla notifica un potere correlato alla funzione<br />

svolta. In altri termini, l’art. 111 in esame non<br />

conferisce certamente una generale<br />

competenza in materia di rilascio di copie<br />

autentiche di atti pubblici- né una competenza<br />

specifica al rilascio di copia conforme<br />

all’originale degli atti giudiziari – spettante,<br />

come è noto, al cancelliere - bensì la<br />

particolare attribuzione di “fare le altre copie<br />

che deve consegnare alle parti”, configurando<br />

tale incombente come meramente strumentale<br />

rispetto all’attività notificatoria ( in tal senso,<br />

oltre alla già citata Cass.17.12.1993, n.12516,<br />

v. anche Cass. n. 2614 del 1981). Inoltre,<br />

l’opposizione dell’intimato sana qualsiasi<br />

nullità della notifica dell’atto di precetto e del<br />

titolo esecutivo. E’infatti norma di diritto,<br />

consacrata nell’ultimo comma dell’art. 156<br />

c.p.c., applicabile anche in tema di<br />

notificazione per l’espresso richiamo<br />

contenuto nel successivo art. 160, che non può<br />

essere pronunziata la nullità di un atto, quando<br />

questo abbia raggiunto lo scopo cui era<br />

destinato. Ora, poiché la finalità del precetto è<br />

quella di invitare ad adempiere e di renderlo<br />

edotto del proposito del creditore di procedere<br />

ad esecuzione forzata, l’opposizione proposta<br />

dall’intimato è la prova più evidente che tale<br />

finalità è stata raggiunta, né può ritenersi che i<br />

vizi di notifica del precetto non possono essere<br />

sanati dall’opposizione agli atti esecutivi,<br />

costituendo questa lo specifico mezzo per far<br />

valere irregolarità formali del precetto o del<br />

titolo esecutivo, in quanto le disposizioni<br />

particolari relative alle opposizioni agli atti<br />

esecutivi non fanno perdere efficacia alle<br />

disposizioni generali relative alla sanatoria<br />

degli atti nulli. In altri termini, con<br />

l’opposizione agli atti esecutivi il legislatore<br />

ha apprestato un mezzo tecnico idoneo a far<br />

valere soltanto le nullità che non siano state<br />

sanate.<br />

Sentenza n. 84/10 G.U. dr.ssa M.C. Rizzi –<br />

assegnazione di case popolari: pretesa<br />

condanna dell’Ente gestore alla consegna di<br />

pertinenze (box e cantinola) risultate<br />

occupate da terzi – infondatezza della<br />

domanda per mancanza di formale<br />

contratto di locazione. L’assegnatario può<br />

tutelare i suoi diritti solo “in forza di regolare<br />

contratto di locazione”; si vuol dire, cioè che<br />

per poter prospettare un inadempimento dello<br />

Iacp, o anche del comune, è necessario che il<br />

contratto di locazione, dal quale il diritto


all’adempimento corretto nasce, sia stato<br />

formalizzato. Nel caso di specie il contratto di<br />

locazione non esiste sicché l’assegnatario non<br />

può agire per ottenere l’esecuzione di un<br />

contratto che non c’è. In altri termini, fermo il<br />

diritto dell’assegnatario ad ottenere la stipula<br />

del contratto di locazione (all’assegnazione<br />

deve necessariamente seguire o la cessione in<br />

proprietà o un contratto di locazione, cfr.<br />

Cass., 10268/99) in mancanza di locazione<br />

formale non può l’assegnatario agire sulla<br />

base di una posizione contrattuale inesistente.<br />

Nel caso di specie parte attrice non ha fornito<br />

alcuna prova dell’esistenza di tale contratto;<br />

144<br />

inoltre, trattandosi di contratti stipulati dalla<br />

P.A., è richiesta la forma scritta ad<br />

substantiam, a nulla valendo la mera denuncia<br />

di un contratto verbale di locazione.<br />

Sentenza n. 161/10 (dep. 24.03.2010) G.U.<br />

dr. P.Vinetti – negatoria servitutis : limiti di<br />

acquisizione di documenti da parte del<br />

CTU nominato. E’ inutilizzabile il referto<br />

fotografico acquisito autonomamente dal CTU<br />

e mai prodotto in atti dalle parti ( la C.T.U.<br />

non può certo sopperire alle deficienze<br />

probatorie delle parti).<br />

Massimario Sezione Lavoro (a cura di Fiorella Ruta)<br />

Trib. <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong> – Giudice del Lavoro<br />

Dr.ssa Mariella Ianniciello - Sentenza n.<br />

980 del 6.10.2009 - Nullità delle sanzioni<br />

disciplinari della sospensione e del<br />

licenziamento irrogate a dipendente di Ente<br />

locale. Ammissibilità di svolgimento di<br />

attività diverse da quella lavorativa durante<br />

la malattia del lavoratore. Reintegrazione<br />

nel posto di lavoro. Onere probatorio in<br />

ordine ai presupposti di applicazione della<br />

tutela reale o obbligatoria. Mobbing. Va<br />

accolto il ricorso presentato da dipendente<br />

sanzionato per assenza dal lavoro se essa<br />

risulta giustificata. Non vanno confusi infatti<br />

istituti e concetti giuridici - segnatamente<br />

quello dell’inidoneità e della infermità<br />

(malattia) - che sono invece nettamente<br />

distinti. Lo si desume in primis dalla chiara<br />

lettera dell’art.5, comma 2 e 3, dello Statuto<br />

dei Lavoratori. Esso expressis verbis dispone<br />

che…..Il controllo delle assenze per infermità<br />

può essere effettuato soltanto attraverso i<br />

servizi ispettivi degli istituti previdenziali<br />

competenti, i quali sono tenuti a compierlo<br />

quando il datore di lavoro lo richieda. Il datore<br />

di lavoro ha facoltà di far controllare la<br />

idoneità fisica del lavoratore da parte di enti<br />

pubblici specializzati di diritto pubblico. La<br />

Commissione medica presso l’ASL può solo<br />

giudicare sulla idoneità /inidoneità del<br />

lavoratore, mentre la verifica della malattia<br />

spetta in via esclusiva al medico ex.art.5<br />

comma 2 SdL (cd. “visita fiscale”). Nel caso<br />

in cui il dipendente risulti sconosciuto<br />

all’indirizzo indicato al medico designato per<br />

la visita fiscale, il datore di lavoro deve<br />

richiedere una visita ulteriore e non già<br />

attivare l’iter previsto ex. art.5 comma 3 SdL.<br />

Lo svolgimento di altra attività lavorativa o in<br />

genere di attività di svago et similia, anche<br />

durante il periodo di assenza del lavoratore per<br />

malattia, quando tale attività non sia ex se<br />

incompatibile e/o inconciliabile con la<br />

patologia, non genera in modo automatico<br />

responsabilità ex contractu del lavoratore. In<br />

tema di riparto dell’onere probatorio in ordine<br />

ai presupposti di applicazione della tutela reale<br />

o obbligatoria al licenziamento di cui sia<br />

accertata l’invalidità, spetta al lavoratore<br />

provare l’esistenza del rapporto di lavoro<br />

subordinato e l’illegittimità dell’atto<br />

espulsivo, mentre incombe in capo al datore<br />

l’onere di provare la sussistenza di un<br />

giustificato motivo di licenziamento e il<br />

mancato superamento della soglia<br />

dimensionale stabilita dall’art.18 l.n.300/70.<br />

Sulla vexata quaestio della risarcibilità di<br />

danni ulteriori (id est non patrimoniali) in<br />

tema di licenziamento rispetto a quello<br />

patrimoniale della perdita del trattamento<br />

retributivo che viene completamente ristorato<br />

dalla indennità ex lege prevista, la ulteriore<br />

tutela risarcitoria può essere invocata sempre<br />

che il paventato danno non patrimoniale sia<br />

conseguenza di un licenziamento ingiurioso,<br />

vessatorio etc. La condotta mobbizzante<br />

integra una forma di responsabilità ex<br />

contractu del datore di lavoro, rilevando ai<br />

sensi dell’art. 2087 c.c., che attribuisce al<br />

datore di lavoro l’obbligo di tutelare la


integrità fisica e la personalità morale del<br />

proprio dipendente, mentre incombe sul<br />

lavoratore l’onere di provare la natura, l’entità<br />

della lesione subita ed il relativo nesso di<br />

causalità tra l’evento dannoso e la condotta<br />

mobbizzante ….. Quanto alla natura ed entità<br />

della lesione, il mobbing può comportare sia la<br />

mera lesione della personalità morale del<br />

soggetto sia giungere alla compromissione<br />

della integrità psico-fisica dello stesso,<br />

sfociando in un vero e proprio danno<br />

biologico.<br />

Trib. <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong> - Giudice del Lavoro<br />

Dr.ssa Mariella Ianniciello - Sentenza n.<br />

1108 del 3.11.2009 - Contratto di lavoro a<br />

tempo determinato e nullità della clausola<br />

di apposizione del termine. La lunghezza<br />

dell’intervallo trascorso dalla scadenza del<br />

contratto alla contestazione della legittimità<br />

dell’estromissione dall’azienda non è<br />

elemento ex se sufficiente ad integrare la<br />

risoluzione consensuale del rapporto, in<br />

assenza di altri elementi significativi che il<br />

datore di lavoro deve allegare e provare (tali<br />

non sono né la corresponsione del t.f.r., né la<br />

mancata offerta della propria prestazione<br />

lavorativa, in assenza di un obbligo o onere<br />

del lavoratore di comunicare la propria<br />

volontà di continuare ad esser parte del<br />

rapporto a tempo indeterminato in cui si è<br />

convertito il contratto con termine<br />

illegittimamente apposto). Il contratto a<br />

termine è regolato dalla legge n.230/62 e<br />

dall’art. 23 della l. n. 56 del 1987 se anteriore<br />

all’entrata in vigore del d.l. n.368 del 2001.<br />

L’apposizione del termine è giustificata da<br />

“necessità di espletamento del servizio in<br />

concomitanza di assenze per ferie”. L’art.23<br />

della citata legge attribuisce alla<br />

contrattazione collettiva la possibilità di<br />

definire nuove e più ampie ipotesi di legittima<br />

apposizione del termine, ammettendo la<br />

possibilità di omettere il nominativo del<br />

lavoratore sostituito nel caso in cui<br />

l’assunzione avvenga nel periodo giugnosettembre<br />

in concomitanza di assenza per<br />

ferie.<br />

La mancata indicazione del lavoratore<br />

sostituito in un periodo dell’anno diverso<br />

implica l’inefficacia della clausola appositiva<br />

del termine. Il contratto di lavoro si considera<br />

a tempo indeterminato con conseguente diritto<br />

alla riammissione in servizio nonché al<br />

risarcimento del danno, parametrato alle<br />

retribuzioni mancate solo a far data dalla<br />

richiesta del tentativo di conciliazione, posto<br />

che solo da tale momento la parte ricorrente ha<br />

145<br />

offerto la prestazione lavorativa ed ha messo<br />

in mora la parte resistente.<br />

<strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong> - Giudice del Lavoro<br />

Dott.ssa Mariella Ianniciello - Sent. N. 1111<br />

del 3.11.2009 - Nullità del termine apposto<br />

al contratto di lavoro. Illegittimità del<br />

trasferimento del dipendente avvenuto in<br />

violazione dell’art. 2103 c.c. L’azione volta a<br />

far dichiarare la nullità del termine apposto al<br />

contratto di lavoro non è equiparabile ad una<br />

impugnativa di licenziamento quando il<br />

rapporto si è risolto per mera scadenza del<br />

termine. Si tratta di un’azione di nullità<br />

parziale del contratto, diretta all’eliminazione<br />

di una clausola difforme dalla volontà della<br />

legge. Trova applicazione in questo caso il<br />

principio di cui all’art.1419 comma 2 Cod.<br />

Civ. e non la disciplina di cui all’art.18 della<br />

Legge 20 maggio 1970, n.300. Va negato<br />

pertanto il diritto del lavoratore alla reintegra<br />

nel posto di lavoro precedentemente occupato,<br />

potendosi riconoscere esclusivamente il diritto<br />

alla riammissione in servizio (ritenendosi il<br />

rapporto a tempo indeterminato sin<br />

dall’inizio). Tale riammissione deve avvenire<br />

nel luogo e nelle mansioni originarie. Tuttavia<br />

la possibilità di trasferimento da una ad altra<br />

unità produttiva può avvenire in presenza di<br />

sufficienti ragioni tecniche, organizzative e<br />

produttive. La legittimità del provvedimento<br />

va valutata alla stregua delle limitazioni<br />

imposte dall’art.2103 c.c. Quando lo<br />

spostamento del personale assume i connotati<br />

della stabilità esso è molto simile ad un<br />

trasferimento quanto alla funzione ed è sotto<br />

più profili illegittimo se disposto senza le<br />

forme e i modi ex contractu previsti, a partire<br />

dal preavviso e nel rispetto delle regole di<br />

ordinaria correttezza e buona fede in senso<br />

oggettivo.<br />

Trib. <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong> - Giudice del Lavoro<br />

Dott.ssa Mariella Ianniciello - Sent. N. 1112<br />

del 3.11.2009 - Reintegrazione nel posto di<br />

lavoro ex art.28 dello Statuto dei<br />

Lavoratori e negazione della<br />

corresponsione del pagamento<br />

dell’indennità di licenziamento ex art. 18<br />

comma 5 della legge n. 300/1970. L’azione di<br />

cui all’art.28 dello Statuto dei Lavoratori e<br />

quella di cui all’art. 18 possono in determinati<br />

casi - come nell’ipotesi di licenziamento per<br />

motivi sindacali - produrre sul piano pratico lo<br />

stesso effetto, rappresentato dalla reintegra del<br />

lavoratore nel posto di lavoro, essendo il<br />

licenziamento “per motivi sindacali” nullo e,<br />

quindi, come tale inidoneo a risolvere il<br />

rapporto di lavoro, a prescindere dalle


dimensioni occupazionali dell’azienda. Dette<br />

azioni conservano, pur tuttavia, la propria<br />

autonomia. E’ infatti ius receptum che<br />

l’azione del sindacato a norma dell’art.28<br />

dello statuto dei lavoratori, che miri<br />

all’eliminazione degli effetti della condotta<br />

antisindacale (…..) e l’azione ai sensi<br />

dell’art.18 di detta legge, tendente alla<br />

rispettiva reintegra nel posto di lavoro, in<br />

quanto dirette alla tutela di interessi diversi<br />

(rispettivamente l’interesse collettivo alla<br />

realizzazione dei diritti sindacali dei singoli<br />

lavoratori e l’interesse individuale alla<br />

conservazione del posto di lavoro), sono, su<br />

un piano sostanziale e processuale, di<br />

reciproca differenza e, quindi, l’esperimento<br />

di una di esse non può incidere sulle vicende e<br />

sulla sorte dell’altra (….). Ne consegue,<br />

proprio per la ontologica diversità delle due<br />

azioni, che l’esercizio in modo autonomo, da<br />

parte del sindacato, dell’azione ex art. 28<br />

legge n. 300 del 1970 non consente al<br />

lavoratore, reintegrato nel posto di lavoro<br />

all’esito di tale speciale procedura d’urgenza,<br />

che abbia dichiarato antisindacale la condotta<br />

datoriale, di attivare i rimedi tipici di cui<br />

all’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori.<br />

Trib. <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong> - Giudice del Lavoro<br />

Dott. Pietro Vinetti - Sent. N. 1113 del<br />

3.11.2009 - Mancato riconoscimento di<br />

inquadramento nella categoria superiore ex<br />

art.2103 c.c e conseguente rigetto della<br />

domanda di pagamento delle differenze<br />

retributive. Va rigettato il ricorso volto ad<br />

ottenere l’inquadramento nella categoria<br />

superiore e il conseguente pagamento delle<br />

maggiorazioni retributive eventualmente<br />

maturate quando la declaratoria contrattuale<br />

della quale il ricorrente invoca l’applicazione,<br />

relativamente alle mansioni rivendicate è solo<br />

sostenuta apoditticamente, senza specificare in<br />

cosa consistesse, né attraverso le prove orali,<br />

né attraverso le ulteriori acquisizioni derivate.<br />

Trib. <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong> - Giudice del Lavoro<br />

Dott. Pietro Vinetti - Sent. N. 1114 del<br />

3.11.2009 - Impugnazione del licenziamento<br />

comminato durante il periodo di malattia.<br />

Riconoscimento delle spettanze lavorative.<br />

L’illecita irrogazione del licenziamento<br />

comminato nel corso del periodo di malattia<br />

del lavoratore, all’inizio del periodo di<br />

comporto, stante il divieto posto a carico della<br />

parte datoriale ex art.2110 c.c. determina<br />

quale conseguenza la nullità del<br />

provvedimento e la conseguente reintegra del<br />

lavoratore nel posto di lavoro, con diritto al<br />

risarcimento dei danni, indipendentemente<br />

146<br />

dalla sussistenza del requisito dimensionale di<br />

cui all’art.18 dello Statuto dei Lavoratori. Le<br />

retribuzioni non corrisposte e le differenze<br />

retributive vanno provate attraverso i testi.<br />

Quanto alla domanda per ferie non godute ed<br />

il conseguente pagamento dell’indennità<br />

sostitutiva, è onere del lavoratore provare di<br />

avere lavorato oltre il periodo ordinario e di<br />

non aver goduto delle ferie, dovendo essere il<br />

lavoratore a fornire prova del fatto costitutivo<br />

della prestazione patrimoniale richiesta,<br />

ovvero il mancato godimento del periodo<br />

feriale. Quanto al TFR , la prova del<br />

pagamento è a carico del datore di lavoro.<br />

Trib. <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong> - Giudice del Lavoro<br />

Dott. Pietro Vinetti - Sent. N. 1224 del<br />

1.12.2009 - Contratto di lavoro a termine.<br />

Illegittimità del termine apposto. L’art.1,<br />

comma 1, del D. Lgs. 368/2001, che ha<br />

innovato la legge n.230 del 1962, applicabile -<br />

ratione temporis - alla fattispecie, consente<br />

“l’apposizione di un termine alla durata del<br />

contratto di lavoro subordinato a fronte di<br />

ragioni di carattere (…) sostitutivo”, senza<br />

specificare se, nel contratto, sia ancora<br />

necessario indicare il nome del lavoratore<br />

sostituito e la causa della sua sostituzione. Il<br />

contratto di lavoro tuttavia non può essere<br />

generico, senza riferimenti agli elementi<br />

essenziali del rapporto a termine, anche a<br />

seguito delle indicazioni della Corte<br />

Costituzionale (sent. N. 214/2009). L’<br />

apposizione del termine in questo caso<br />

comporta, per espresso disposto dello stesso<br />

art. 1, secondo comma, l’inefficacia della<br />

clausola appositiva del termine e non la nullità<br />

dell’intero contratto, che, pertanto, si<br />

considera a tempo indeterminato. La norma<br />

dell’art. 1, primo comma, ha natura imperativa<br />

a tutela del lavoratore e la sua violazione<br />

comporta la nullità dell’apposizione del<br />

termine e la c.d. conversione in contratto a<br />

tempo indeterminato (cfr. art. 1419, secondo<br />

comma, c.c.).<br />

Trib. <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong> - Giudice del Lavoro<br />

Dott.ssa Mariella Ianniciello - Sent. N. 111<br />

del 2.2.2010 - Onere di allegazione e prova.<br />

Incompatibilità dell’art. 164, co. 5 cpc con<br />

la struttura del processo del lavoro. Nel<br />

caso in cui difetta nell’esposizione dei fatti<br />

contenuta nel ricorso il compiuto riferimento<br />

agli elementi di fatto che determinerebbero la<br />

natura subordinata del rapporto di lavoro e<br />

difetta la compiuta ed analitica esposizione<br />

delle voci che singulatim compongono la<br />

richiesta economica e non sono stati allegati al<br />

ricorso i conteggi, che risultano


semplicemente depositati nel fascicolo di<br />

parte, tali carenze si riflettono sulla<br />

determinatezza degli elementi di fatto ex. art.<br />

414 c.p.c. e ne rendono inevitabile la<br />

declaratoria di nullità. Acclarata la nullità del<br />

ricorso non possono essere concessi all’attore<br />

termini per integrare la domanda ai sensi<br />

dell’art. 164, co. 5, c.p.c.. Nonostante la<br />

tendenza della Cassazione ad avvicinare il rito<br />

del lavoro al rito ordinario, a seguito della<br />

riforma del codice di procedura civile avviata<br />

con la legge 26.11.1990, n.353, tuttavia il<br />

regime di preclusioni e decadenze del<br />

processo del lavoro, dove il convenuto deve<br />

proporre domande riconvenzionali ed<br />

eccezioni non rilevabili d’ufficio entro il<br />

termine di 10 giorni prima dell’udienza,<br />

all’atto della costituzione in giudizio, non<br />

consente l’applicazione dell’art. 164 c.p.c..<br />

Ciò comporterebbe una sostanziale<br />

vanificazione del sistema, aprendo la via ad un<br />

prolungamento del processo del tutto<br />

incompatibile con la struttura e la finalità del<br />

147<br />

processo del lavoro. Il legislatore ha<br />

espressamente previsto all’art. 164 c.p.c. lo<br />

slittamento della prima udienza di trattazione,<br />

mentre per il rito del lavoro, l’art. 420 c.p.c.<br />

non contiene una previsione analoga a quella<br />

contenuta nei primi due commi del nuovo<br />

art.183 c.p.c. Tenuto conto che l’art. 2 d.l.<br />

35/2005 ha modificato l’intero impianto del<br />

codice di rito, senza però toccare il processo<br />

del lavoro, non può che attribuirsi ad una<br />

scelta consapevole quella di conservare<br />

l’inapplicabilità dell’art.164 c.p.c. al rito<br />

lavoro, non potendo certo ipotizzarsi una<br />

lacuna normativa di fronte ad una attenta<br />

selezione da parte del legislatore delle norme<br />

da modificare. Non può invocarsi<br />

un’applicazione del nuovo art. 183, co. 1 e 2<br />

in via di integrazione analogica al rito lavoro<br />

che conserva una sua compiuta disciplina della<br />

prima udienza (art. 420 c.p.c.). Dunque, l’art.<br />

164, co 5, c.p.c. è rimedio non compatibile<br />

con la struttura del processo del lavoro.<br />

Giudice di Pace (a cura di Domenico Scala)<br />

MASSIMARIO DEL GIUDICE DI PACE<br />

UFFICIO DI MIRABELLA ECLANO<br />

Si riportano tre sentenze del medesimo estensore, avv. Attilio Imbriani, interessanti non solo per gli<br />

argomenti trattati quanto per le argomentazioni contenute in motivazione.<br />

Sentenza n. 79/2009 del 6.03.2009 ………<br />

……..c/Telecom<br />

Conclusioni<br />

L’attore ha concluso (……..) per la<br />

dichiarazione di responsabilità<br />

extracontrattuale della Telecom Italia s.p.a.,<br />

con condanna della stessa al risarcimento dei<br />

danni, determinati occorrendo anche in via<br />

equitativa, dipendenti dalla arbitraria<br />

installazione di tralicci con appoggi e<br />

passaggio di cavi aerei sul fondo dell’istante.<br />

……<br />

……. la società convenuta ha concluso per<br />

l’accoglimento delle eccezioni pregiudiziali e<br />

preliminari sollevate; per il rigetto<br />

dell’avversa domanda infondata in fatto e in<br />

diritto; per l’accoglimento della spiegata<br />

domanda riconvenzionale, intesa<br />

all’accertamento di avvenuto usucapione del<br />

diritto di installazione dei pali e dei cavi<br />

relativi. …..<br />

Svolgimento del giudizio<br />

Con atto di citazione ……l’attore deduceva: -<br />

di essere proprietario di un terreno sito in<br />

……………su cui la convenuta ha<br />

arbitrariamente e senza autorizzazione<br />

installato 3 tralicci in legno a sostegno dei cavi<br />

della linea telefonica, senza Decreto<br />

Prefettizio e pagamento di indennità ex art.<br />

233 e 234 D.P.R. 156/1973, con danni<br />

all’istante; - deduceva, ancora l’esistenza di<br />

giurisdizione, competenza per valore e materia<br />

del giudice adito e la non necessità del<br />

preventivo tentativo di conciliazione innanzi<br />

al CORECOM; concludeva perché, previa<br />

nomina di C.T.U. cd. “percipiente” con<br />

valenza probatoria piena ed oggettiva, fossero<br />

accolte le su trascritte conclusioni.<br />

……..si è costituita ….suddetta società<br />

convenuta eccependo …………….;<br />

………………………; l’infondatezza nel<br />

merito della domanda azionata e la<br />

prescrizione del diritto al risarcimento; ha<br />

spiegato, altresì, domanda riconvenzionale<br />

intesa all’accertamento dell’intervenuta


usucapione della servitù telefonica di<br />

passaggio sui fondi di causa. ……<br />

……………..all’udienza dell’1.12.2008, la<br />

causa previa concessione di termini per il<br />

deposito di note riepilogative fino al<br />

15.01.2009, è stata trattenuta in decisione che<br />

di seguito si motiva.<br />

Motivi della decisione<br />

………………Trattandosi chiaramente di<br />

richiesta di danni per responsabilità<br />

extracontrattuale, neppure colgono nel segno<br />

le deduzioni della convenuta, circa<br />

l’obbligatorietà del tentativo di conciliazione (<br />

questione, in verità prospettata e dedotta più<br />

dall’attore) e di difetto di giurisdizione del<br />

Giudice di Pace adito. Sotto il primo profilo la<br />

delibera 182/2002 Cons. art.3 dell’Autorità<br />

Garante delle Comunicazioni, si riferisce con<br />

previsione di stretta interpretazione “ai diritti<br />

tutelati da accordi di diritto privato o da norme<br />

in materia di telecomunicazioni” e non come<br />

in specie appare, prima facie, alla violazione<br />

di diritti nascenti dalla violazione del principio<br />

del neminem leadere di cui all’art. 2043 c.c.<br />

Del pari, non può trovare applicazione la<br />

giurisdizione esclusiva del Giudice<br />

Amministrativo ai sensi degli artt. 33 e 35<br />

del D. Lgs. n. 80 del 31.3.1998 come trasfusi<br />

ed integrati nell’art. 7 della legge 205/2000.<br />

Rimane, infatti, esclusa, in base all’oggetto<br />

della domanda, tale giurisdizione quando si<br />

tratta, come in specie, di controversie per<br />

danni cagionati a cose.<br />

Assorbente appare, invece, allo stato, la<br />

decisione circa la competenza del giudice<br />

adito in presenza di una domanda<br />

ricovenzionale tesa all’accertamento ed alla<br />

dichiarazione di acquisto per usucapione del<br />

diritto alla utilizzazione della parte del fondo<br />

interessato dall’installazione dei pali.<br />

Va premesso che qualora siano proposte<br />

innanzi al Giudice di pace una domanda<br />

che rientra nella sua competenza ed una<br />

domanda riconvenzionale che appartiene<br />

alla competenza del Tribunale, qualora tra<br />

la domanda principale e quella<br />

riconvenzionale vi sia connessione, la<br />

domanda principale subisce una<br />

modificazione del proprio regime di<br />

competenza.<br />

Tale connessione non sussiste quando la<br />

decisione sulle due domande non richieda<br />

l’accertamento di identici fatti costituitivi,<br />

modificativi, impeditivi o estintivi, cosicché<br />

l’accoglimento o il rigetto dell’una non<br />

implichi rigetto o accoglimento dell’altra. In<br />

tal caso il giudice di pace decide sulla<br />

148<br />

domanda principale e rimette al Tribunale per<br />

la decisione della riconvenzionale.<br />

Nell’ipotesi della domanda di risarcimento<br />

del danno derivato dal comportamento<br />

della Telecom che abbia stabilito di fatto la<br />

servitù sul fondo dell’attore e la domanda<br />

riconvenzionale della stessa Telecom,<br />

proposta per ottenere la costituzione<br />

coattiva di tale servitù non sussiste<br />

rapporto di connessione perché<br />

accoglimento e rigetto delle due domande<br />

sono indipendenti tra loro (Cass. Civ.<br />

26.02.2003 n. 2889).<br />

Diverso discorso va fatto, invece, per<br />

l’ipotesi di domanda riconvenzionale di<br />

accertamento dell’avvenuta usucapione<br />

della servitù di elettrodotto da parte della<br />

convenuta che è pregiudiziale rispetto a<br />

quella principale di risarcimento del danno.<br />

In questo caso, infatti, l’accertamento<br />

dell’avvenuta usucapione della servitù<br />

esclude il presupposto del risarcimento da<br />

illecito, retroagendo gli effetti<br />

dell’usucapione, quale acquisto del diritto<br />

reale a titolo originario, al momento<br />

dell’iniziale esercizio della relazione di fatto<br />

con il fondo altrui, e togliendo ab origine il<br />

connotato di illiceità al comportamento di<br />

chi abbia usucapito (Cass. Civ. 25.03.1998<br />

n. 3153).<br />

Infatti, dalla retroattività delgi effetti<br />

dell’acquisto di un diritto per usucapione<br />

stabilita per garantire, alla scadenza del<br />

termine necessario, la piena realizzazione<br />

delgi interessi all’adeguamento della<br />

situazione di fatto a quella di diritto- deriva<br />

che se la P.A. occupa sine titulo un fondo<br />

privato e vi installa un elettrodotto, con<br />

l’acquisto a titolo originario del diritto<br />

parziario- che non avviene con la<br />

realizzazione dell’opera pubblica perché agli<br />

iura in re aliena non è applicabile la cosiddetta<br />

occupazione acquisitiva o accessione invertita-<br />

cessa l’illiceità permanente, e perciò si<br />

estingue non solo la tutela reale, ma anche<br />

quella obbligatoria per il risarcimento del<br />

danno provocato al proprietario del fondo per<br />

il ventennale possesso del diritto fino ad<br />

usucapirlo, nonché il credito indennitario<br />

(Cass. Civ. sez. III 19294/06).<br />

Consegue che, avendo la convenuta chiesto,<br />

in via riconvenzionale, l’accertamento e la<br />

dichiarazione di acquisto per usucapione<br />

all’utilizzazione della parte del fondo<br />

interessato dall’installazione dei pali, tra le<br />

due cause esiste una evidente connessione<br />

per pregiudizialità della domanda<br />

riconvenzionale (ex art. 34 c.p.c.), in quanto<br />

dalla definizione della domanda


iconvenzionale dipende l’accoglimento o<br />

meno di quella principale, che comporta<br />

una modificazione della competenza ai sensi<br />

dell’art. 40 c.p.c. (ancora Cass. Civ. sez. III<br />

Ordinanza 9274 del 18.04.2007 per<br />

Regolamento di Competenza).<br />

Il Giudice di pace adito dichiara,<br />

conseguentemente, la propria incompetenza<br />

essendo competente il Tribunale di <strong>Ariano</strong><br />

<strong>Irpino</strong> ex art. 34 e 40 c.p.c.<br />

Ai sensi dell’art. 50 c.p.c. assegna alle parti<br />

termine di mesi tre dalla data di<br />

Sentenza n. 49/2010 ………. c/ Condominio ……….<br />

Conclusioni<br />

149<br />

comunicazione del deposito della presente<br />

sentenza, per riassumere il giudizio davanti al<br />

giudice competente.<br />

Ritiene sussistenti giusti motivi, dipendenti<br />

dalla complessità delle questioni trattate e<br />

della sostanziale “equivalenza” tra le parti<br />

relativamente alle deduzioni in rito ed in<br />

merito esperite, oltre che per l’assenza di<br />

soccombenza tra le parti, allo stato del<br />

giudizio, per compensare tra le stesse spese e<br />

competenze di causa.<br />

L’attore ha concluso ……………………, per l’accoglimento della domanda e l’accertamento del<br />

diritto dell’attore ad ottenere la ripetizione della somma di euro 730,00 per la causale e per le<br />

qualificazioni giuridiche espresse, con vittoria di spese e competenze di giudizio.<br />

…………… il condominio convenuto ha concluso per l’accoglimento delle istanze istruttorie<br />

formulate, previa rimessione della causa sul ruolo, e in ogni caso, nel merito per la declaratoria di<br />

inammissibilità, nullità, improcedibilità, improponibilità ed infondatezza in fatto e in diritto, anche per<br />

eccepito difetto di legittimazione passiva della domanda attorea. …….<br />

Ragioni di fatto e di diritto della decisione ex art. 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c. come novellati dalla<br />

legge 69/2009<br />

La domanda è risultata infondata secondo le qualificazioni giuridiche formulate dall’attore e non<br />

provata e deve essere rigettata.<br />

……………….. Nel merito l’attore ha dato la prova di aver effettuato un pagamento di euro 730,00<br />

con assegno tratto su conto intestato alla propria società di gestione condominiale, e che questo<br />

pagamento è stato effettuato a favore del condominio …….. nel senso che, comunque è andato a<br />

deconto di un’esposizione di conto corrente intestato al medesimo Condominio. È risultato,pure,<br />

acclarato che, quando ha effettuato il pagamento, l’amministratore era già di fatto cessato dalle proprie<br />

funzioni ed aveva già trasmesso gli atti al nuovo amministratore nominato dal Condominio, senza che<br />

egli si trovasse, quindi, neppure nel periodo di cd. “prorogatio”. A fronte di tale pagamento effettuato<br />

ed imputabile alla detta causale, non è stata, tuttavia, documentata alcuna richiesta, né insistente, né<br />

occasionale della Banca ………. alla estinzione del conto corrente intrattenuto dal condominio<br />

…………, la cui apertura era stata autorizzata dall’assemblea condominiale. In tale situazione il<br />

pagamento spontaneo del saldo del conto corrente al …..07 da parte dell’amministratore all’epoca già<br />

dimissionario e già sostituito da nuovo amministratore (verbale di assemblea condominiale<br />

23.05.2006) non può farsi rientrare né nelle previsioni dell’art. 1180 c.c. in relazione all’art. 2033 c.c.,<br />

né in quelle dell’art. 2036 c.c., così come argomentato in linea di diritto dall’attore. Si tratta, infatti,<br />

ripetesi, per quello che emerge dagli atti e dai documenti affoliati, di un pagamento dovuto, che<br />

sarebbe stato effettuato dall’attore, ritenutosi debitore in base ad un errore scusabile e cioè nella<br />

ritenuta convinzione che la banca, prima o poi avrebbe richiesto a lui personalmente il pagamento del<br />

debito del condominio.<br />

Senonché, rileva che la scusabilità dell’errore e l’assenza di colpa nel pagamento, deve essere provata<br />

dal solvens. Non sussiste, infatti, indebito soggettivo nel caso in cui chi ha adempiuto ben sapeva<br />

di non essere il vero debitore, non potendosi tale pagamento considerare effettuato in situazione<br />

di errore (ex ceteris Cass. 22.2.1995 n. 1981). Neppure rimane applicabile, come detto, l’art. 2033<br />

c.c. atteso che il pagamento del debito altrui è stato consapevole o comunque neppure coatto o<br />

non spontaneo.


Neppure applicabile al caso di specie è l’ipotesi dell’espromissione prevista in astratto dall’art. 1272<br />

c.c., pure richiamata dall’attore.<br />

Nel caso di specie, infatti, rimane acclarato che l’espromittente, quale mandatario, non ha più diritto al<br />

rimborso avendo cessato la sua funzione di amministratore p.t. del Condominio, senza neppure<br />

obbligo di continuare la gestione ex art. 2028 c.c. essendosi risolto ogni contratto eventualmente<br />

regolante i rapporti tra esso espromittente ed il Condominio debitore.<br />

Sul punto, poi, non può tralasciarsi la valutazione che per il recupero dei crediti<br />

dell’amministratore cessato è necessaria l’approvazione del rendiconto, senza la quale lo stesso<br />

amministratore, che pure abbia anticipato di tasca propria somme nell’interesse della gestione<br />

condominiale rimane interdetto dal recupero giudiziale del relativo credito. Ai sensi dell’art.<br />

1130 ultimo comma c.c. l’amministratore ha l’obbligo di rendere il conto della sua gestione, che deve<br />

essere approvata dall’assemblea convocata o dal nuovo amministratore o, se questi sia inerte,<br />

dall’autorità giudiziaria. L’amministratore può recuperare le spese anticipate solo dopo che il<br />

Tribunale abbia accertato la cessazione del mandato e approvato il rendiconto con il riparto,<br />

meccanismo senz’altro contorto ma tale delineato dalla prevalente giurisprudenza.<br />

In alternativa ed alla luce delle emergenze di causa, la possibilità di agire contro il condominio per il<br />

rimborso della spesa che l’attore deduce anticipata, appare invocabile solo in applicazione del criterio<br />

residuale di cui all’art. 2041 c.c.<br />

Tale ipotesi in realtà risulta anche avanzata dall’attore nelle conclusioni rese a mezzo note scritte<br />

conclusionali depositate il 16.02.2009 ……….<br />

Tale ipotesi normativa risulta però avanzata in limine litis e su essa non è possibile alcuna pronunzia<br />

nel presente giudizio atteso che secondo il quadro normativo delineato dall’art. 320 c.p.c. relativo<br />

al processo dinanzi al giudice di pace, non è più possibile proporre o precisare domande ed<br />

eccezioni dopo il termine della prima udienza di comparizione, che segna, a pena di decadenza,<br />

il limite per tale attività. È pure pacifico che la domanda di ingiustificato arricchimento deve<br />

essere proposta in modo specifico, non avendo il giudice il potere di sostituirla d’ufficio ad altra<br />

che si riveli per qualsiasi ragione infondata. Secondo Cass. 21.07.2000 n. 9594 la domanda di<br />

ingiustificato arricchimento non può essere proposta nel corso del giudizio, trattandosi di domanda<br />

nuova, anche laddove diretta al medesimo risultato economico dell’azione contrattuale.<br />

Sussistono giusti motivi che si rinvengono dalla stessa motivazione e che consistono nella prova della<br />

sicura effettuazione del pagamento, ma nell’assenza di prova circa la sua effettiva causale e debenza ai<br />

fini della ripetibilità, per compensare integralmente tra le parti spese e competenze di giudizio.<br />

Sentenza n. 8/2010 del 16.01.2010 ………../………..<br />

Conclusioni<br />

L’opponente ha concluso ……………..per l’accoglimento dell’opposizione, con conseguente<br />

dichiarazione di nullità e/o inefficacia e revoca del decreto ingiuntivo emesso e con condanna<br />

dell’opposto alla rifusione delle spese e competenze di lite. L’opposto si è costituito in giudizio<br />

concludendo …………per la reiezione dell’opposizione e la vittoria di spese, diritti e onorari del<br />

procedimento.<br />

Ragioni di fatto e di diritto della decisione ex art. 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c. come novellati dalla<br />

Legge 69/2009<br />

L’opposizione è fondata e deve essere accolta.<br />

Preliminarmente va rilevato che l’opposto non ha fornito prova adeguata, come era onere allo stesso<br />

cedente, relativamente alla perfetta conclusione del contratto e quindi prova del fondamento del diritto<br />

di credito azionato. Dalle risultanze istruttorie, infatti, è emerso con sicurezza che l’opponente ha<br />

sottoscritto la commissione n. 5689 del 16.11.2007 in atti. Non è risultato, invece, che questi abbia<br />

sottoscritto valide condizioni generali di contratto, ed in particolare, quelle inerenti le modalità ed i<br />

tempi di esercizio del diritto di recesso. È ben vero, infatti, sul punto, che la società opposta nella<br />

comparsa di costituzione e risposta depositata in cancelleria il 24.10.2008, a seguito del<br />

disconoscimento operato con l’atto introduttivo delle firme apposte sul retro della detta commissione,<br />

ha formulato rituale e tempestiva istanza di verificazione ex art. 216 c.p.c. indicando anche le scritture<br />

di comparazione e i mezzi di prova sul punto. Senonché a prescindere dalla circostanza che tali mezzi<br />

150


di prova relativi alla verificazione non sono più stati coltivati, nel corso del giudizio, benché ammessi<br />

dal giudice con ordinanza del 28.06.08, rileva preliminarmente che le condizioni generali del<br />

contratto, a prescindere dalla sottoscrizione o meno, appaiono invalidamente formulate e non<br />

applicabili nel caso di specie. Ai sensi dell’art. 47 n. 3 del D. Lgs. 206.2005, Codice del Consumo,<br />

per i contratti come quello di specie, concluso con particolari modalità secondo le previsioni del<br />

precedente art. 45, “qualora sia sottoposta al consumatore, per la sottoscrizione, una nota<br />

d’ordine comunque denominata, l’informativa sul diritto di recesso deve essere riportata nella<br />

suddetta nota d’ordine, separatamente dalle altre clausole contrattuali e con caratteri<br />

tipografici uguali o superiori a quelli degli altri elementi indicati nel documento. Una copia della<br />

nota d’ordine, recante l’indicazione del luogo e di una data di sottoscrizione, deve essere<br />

consegnata al consumatore”. La giurisprudenza ha più volte chiarito che tale informativa deve avere<br />

il carattere di chiarezza assoluta e tale da non rendere anche solo più difficile il diritto di recesso.<br />

Laddove l’informazione sia incompleta scatta la nullità della clausola. Peraltro, nel caso di specie,<br />

non essendovi prova della conclusione del contratto, ma semplicemente principio di prova per<br />

iscritto della sussistenza di una proposta contrattuale, neppure formalmente accettata, più che<br />

di recesso, il ripensamento di specie, assume la veste di una revoca ex art. 1328 c.c. che, quindi,<br />

può essere stata liberamente esercitata dall’opponente anche senza le forme e i termini di cui<br />

all’art. 64 e ss. del detto Codice di Consumo, come risulta, tra l’altro dall’opposizione giudiziaria, e<br />

dallo svolgimento del processo in cui non è emersa prova della valida conclusione del contratto.<br />

L’accertamento dell’avvenuta revoca della proposta di contratto, in assenza di prova della convenuta<br />

conclusione dello stesso, rende superfluo sia l’indagine in ordine all’autenticità delle firme poste sul<br />

retro della proposta di commissione, sia l’indagine sulla tempestività e ritualità del recesso operato. Su<br />

tale recesso, in realtà non si riviene in atti, come pure dedotto dall’opponente, la dichiarata<br />

comunicazione a mezzo fax del 5.12.2007, a proprio foliario n. 2, di non proseguire le intraprese<br />

trattative (pag. 4 rigo 5 dell’atto di citazione in opposizione).<br />

La deposizione del teste ………., pur valutata con la dovuta cautela in quanto resa da persona<br />

dichiaratasi convivente dell’opponente, reca, tuttavia, supporto alle circostanze estintive dell’avversa<br />

pretesa di pagamento, in quanto da essa non emerge alcun elemento a conforto della tesi dell’avvenuta<br />

conclusione del contratto, ma solo la firma della commissione in atti.<br />

151


Giurisprudenza penale (a cura di Enrico Riccio)<br />

Igiene e sicurezza sul lavoro – Procedibilità<br />

dell’azione – Inottemperanza. La condotta di<br />

inottemperanza all’obbligo di regolarizzazione<br />

indicato dall’organo di vigilanza, solo se<br />

ascrivibile al soggetto agente quanto meno a<br />

titolo colposo, integra la condizione di<br />

punibilità, avendo, infatti, il legislatore<br />

condizionato la punibilità del reato<br />

all’ulteriore comportamento del<br />

contravventore il quale non regolarizzi le<br />

condizioni di igiene e sicurezza del lavoro,<br />

rimuovendo l’offesa arrecata all’interesse<br />

protetto. (Trib. <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong> – sentenza 7<br />

gennaio 2010 n. 01/2010 – Giudice<br />

Ianniciello)<br />

Igiene e sicurezza sul lavoro – Prescrizioni<br />

dell’autorità al contravventore – Funzione<br />

– Estinzione del reato. La finalità dell’istituto<br />

(impartire al contravventore una prescrizione,<br />

ndr.) non può essere individuata solo nello<br />

scopo di interrompere l’illegalità e di ricreare<br />

le condizioni di sicurezza previste dalla<br />

normativa a tutela dei lavoratori, ma altresì in<br />

quello di permettere in via generale<br />

l’estinzione amministrativa del reato, anche<br />

quando non vi sono regolarizzazioni da<br />

effettuare perché il reato è istantaneo o perché<br />

la regolarizzazione è già spontaneamente<br />

avvenuta. (Trib. <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong> – sentenza 7<br />

gennaio 2010 n. 01/2010 – Giudice<br />

Ianniciello)<br />

Guida in stato di ebbrezza – Accertamento<br />

ematico in struttura ospedaliera in seguito<br />

a ricovero per incidente stradale – Necessità<br />

del consenso dell’imputato – Inutilizzabilità<br />

– Insussistenza. Ai fini dell’accertamento del<br />

reato di guida in stato di ebbrezza, i risultati<br />

del prelievo ematico che sia stato effettuato,<br />

secondo i normali protocolli medici di pronto<br />

soccorso, durante il ricovero presso una<br />

struttura ospedaliera pubblica a seguito di<br />

incidente stradale, sono utilizzabili, nei<br />

confronti dell’imputato, per l’accertamento del<br />

reato, trattandosi di elementi di prova acquisiti<br />

attraverso la documentazione medica e<br />

restando irrilevante, ai fini dell’utilizzabilità<br />

processuale, la mancanza di consenso. (Trib.<br />

<strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong> – sentenza 13 gennaio 2010 n.<br />

4/2010 – Giudice Palmieri)<br />

Ricettazione – Accertamento giudiziale del<br />

reato presupposto – Necessità –<br />

Insussistenza. Per la sussistenza del delitto di<br />

ricettazione è necessario che sia stata accertata<br />

152<br />

la commissione di un delitto presupposto (che<br />

non necessariamente deve essere il delitto di<br />

furto) e la provenienza delle cose (oggetto di<br />

ricettazione) del medesimo. Tuttavia, per<br />

l’affermazione della penale responsabilità per<br />

il delitto di cui all’art. 648 c.p., non è<br />

necessario l’accertamento giudiziale della<br />

commissione del delitto presupposto, né dei<br />

suoi autori, né l’esatta tipologia del reato,<br />

potendo il giudice affermare l’esistenza del<br />

delitto di ricettazione anche attraverso prove<br />

logiche, così come desumere la provenienza<br />

illecita degli oggetti ricevuti dalla natura,<br />

varietà e particolarità della merce. (Trib.<br />

<strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong> – sentenza 18 gennaio 2010 n.<br />

14/2010 – Giudice Ianniciello)<br />

Ricettazione – Elemento psicologico – Dolo<br />

eventuale. È pur sempre necessario per poter<br />

sussumere la fattispecie concreta in quella<br />

tipizzata ed astratta di cui all’art. 648 c.p., che<br />

l’agente si sia quanto meno posto il quesito<br />

circa la illegittima provenienza della “res”,<br />

risolvendolo nel senso dell’indifferenza della<br />

soluzione. (Trib. <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong> – sentenza 18<br />

gennaio 2010 n. 14/2010 – Giudice<br />

Ianniciello)<br />

Ricettazione - Configurabilità – Falso<br />

grossolano – Esclusione - Insussistenza. Non<br />

esclude la configurabilità del delitto di<br />

ricettazione il fatto che il teste dell’accusa<br />

abbia definito la contraffazione come<br />

“palese”; ed invero, è ius receptum che ricorre<br />

il reato impossibile e, quindi, la punibilità è<br />

esclusa solo quando il falso sia riconoscibile<br />

ictu oculi o prima facie da qualsiasi persona di<br />

comune discernimento ed avvedutezza, non<br />

potendosi fare riferimento, come diverso<br />

parametro, né alle particolari cognizioni e alla<br />

competenza di soggetti qualificati, né alla<br />

straordinaria diligenza di certe persone. (Trib.<br />

<strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong> – sentenza 18 gennaio 2010 n.<br />

15/2010 – Giudice Ianniciello)<br />

Falso grossolano - Ricettazione –<br />

Sussistenza del reato. La grossolanità del<br />

falso, se vale ad escludere la punibilità del<br />

reato presupposto, parimenti non esclude la<br />

configurabilità, ricorrendo tutti gli altri<br />

presupposti, del reato di ricettazione, proprio<br />

ai sensi dell’art. 648 comma 3 c.p., a tenore<br />

del quale il delitto di ricettazione è<br />

perseguibile anche se l’autore non è punibile<br />

(Trib. <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong> – sentenza 18 gennaio<br />

2010 n. 15/2010 – Giudice Ianniciello)


Falso grossolano – Inidoneità lesiva<br />

dell’azione – Art. 49 c.p. Nel caso di falso<br />

grossolano è la punibilità che viene ad essere<br />

esclusa per inidoneità “in concreto”<br />

dell’azione, essendo del tutto carente la<br />

possibilità dell’inganno; quindi la fattispecie<br />

criminosa, pur completa di tutti i suoi elementi<br />

costitutivi oggettivi e soggettivi, non è<br />

punibile, come è dato desumere anche dal<br />

chiaro tenore letterale dell’art. 49 c.p. (Trib.<br />

<strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong> – sentenza 18 gennaio 2010 n.<br />

15/2010 – Giudice Ianniciello)<br />

Evasione – Misura cautelare inefficace per<br />

superamento del termine di durata –<br />

Mancata scarcerazione – Insussistenza del<br />

reato. La misura cautelare diviene inefficace<br />

ope legis nel caso di superamento del termine<br />

di durata della stessa. Pertanto, se alla data del<br />

commesso reato di evasione la misura è<br />

diventata inefficace, nonostante non sia stata<br />

disposta la scarcerazione, tanto vale ad<br />

escludere la configurabilità del reato di<br />

evasione, mancando il presupposto della<br />

legale detenzione. (Trib. <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong> –<br />

sentenza 22 gennaio 2010 n. 22/2010 –<br />

Giudice Palmieri)<br />

Testimonianza – Persona offesa e parenti –<br />

Valutazione. Le dichiarazioni rese dalla<br />

persona offesa e/o da persona ad essa legata da<br />

vincoli di parentela non necessitando di<br />

riscontri esterni, così come invece richiesto<br />

dall’art. 192 comma 3 c.p.p. per le<br />

dichiarazioni del correo, trattandosi, dunque,<br />

di una normale testimonianza come tale<br />

valutabile. È pur tuttavia vero che le stesse<br />

sono soggette ad una valutazione ed esame più<br />

rigoroso e penetrante di quello riservato al<br />

semplice testimone. (Trib. <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong> –<br />

sentenza 25 gennaio 2010 n. 23/2010 –<br />

Giudice Ianniciello)<br />

Ingiuria – Elemento costitutivo – Bene<br />

protetto. Nel caso di ingiuria verbale,<br />

l’animus iniurandi e la lesione dell’onore e<br />

decoro della persona offesa è in re ipsa nelle<br />

parole ed espressioni usate allorché si<br />

utilizzino epiteti che ex se e per il loro<br />

significato sono idonei a offendere qualunque<br />

persona titolare dei beni interessi protetti dalla<br />

norma. (Trib. <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong> – sentenza 25<br />

gennaio 2010 n. 23/2010 – Giudice<br />

Ianniciello)<br />

Minaccia – Reale intimidazione della<br />

persona offesa – Necessità - Esclusione. La<br />

minaccia è un reato di pericolo che come tale<br />

153<br />

non postula l’effettiva intimidazione del<br />

soggetto passivo, ma una situazione tale che in<br />

relazione alle concrete circostanze di fatto sia<br />

tale da incutere potenzialmente timore. (Trib.<br />

<strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong> – sentenza 25 gennaio 2010 n.<br />

23/2010 – Giudice Ianniciello)<br />

Ricettazione – Competenza per territorio –<br />

Luogo del ritrovamento della “res” –<br />

Criterio suppletivo (c.p. 648; c.p.p. art. 9<br />

co. 1). La condotta tipica del delitto di cui<br />

all’art. 337 c.p. si atteggia in atti di violenza<br />

e/o minaccia che sia tale da impedire al<br />

soggetto passivo il compimento dell’atto che<br />

sta eseguendo; è necessario per la<br />

configurabilità dell’elemento oggettivo del<br />

reato che la condotta costituisca un<br />

impedimento concreto per l’esercizio del<br />

pubblico ufficio. Dunque, anche la semplice<br />

fuga può integrare il reato di resistenza a<br />

pubblico ufficiale, quando si accompagna ad<br />

atti che hanno la finalità concreta di interdire<br />

od ostacolare al pubblico ufficiale il<br />

compimento del proprio ufficio, mettendo in<br />

pericolo sia l’incolumità degli agenti operanti<br />

che dei terzi. Pertanto, in mancanza di<br />

elementi che rendano evidente la messa in<br />

pericolo per la pubblica incolumità e<br />

l’indiretta coartazione psicologica dei pubblici<br />

ufficiali operanti, non vale a integrare la<br />

fattispecie criminosa la mera condotta di colui<br />

che, anche se nell’intento di compiere<br />

un’azione criminosa, alla sola vista dei militi,<br />

si sia dato alla fuga, non potendosi infatti in<br />

essa ravvisare gli estremi della violenza o<br />

minaccia (Trib. <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong> – sentenza 25<br />

gennaio 2010 n. 26/2010 – Giudice<br />

Ianniciello)<br />

Testimonianza – Persona offesa parte civile<br />

– Valutazione. Sebbene le dichiarazioni rese<br />

dalla persona offesa possano ex se fondare un<br />

giudizio di responsabilità dell’imputato, non<br />

abbisognando di riscontri esterni, ex art. u.c.<br />

c.p.p. come invece previsto per le<br />

dichiarazioni del correo, è altrettanto vero che<br />

le stesse, specie quando la persona offesa sia<br />

anche parte civile, dunque portatrice di un<br />

interesse patrimoniale, vanno valutate con<br />

particolare rigore. (Trib. <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong> –<br />

sentenza 25 gennaio 2010 n. 28/2010 –<br />

Giudice Ianniciello)<br />

Reati edilizi – Responsabilità del<br />

proprietario – Responsabilità oggettiva –<br />

Non sussiste – Mancanza di controllo<br />

diretto sull’opera – Insussistenza del reato.<br />

Mutuando dal principio di derivazione<br />

romanistica del “nullum crimen sine culpa”,


fatto proprio dalla Carta Costituzionale e<br />

recepito dal nostro legislatore, non sono<br />

ipotizzabili, nell’ambito del diritto penale, a<br />

differenza del diritto civile, che è<br />

essenzialmente finalizzato all’allocazione dei<br />

danni e al ristoro della vittima, ipotesi di<br />

responsabilità oggettiva, connesse sic et<br />

simpliciter al possesso di una determinata<br />

qualifica, come l’essere ad esempio<br />

proprietario di un bene, oggetto di abuso<br />

edilizio. È necessario un quid pluris affinché il<br />

proprietario sia chiamato a rispondere in sede<br />

penale per i reati edilizi/urbanistici; la SC di<br />

cassazione ha all’uopo ribadito la necessità<br />

che il soggetto dia un contributo causale sul<br />

piano ideativo, preparatorio e/o esecutivo; in<br />

poche parole, il dominus soli non risponde dei<br />

reati edilizi in quanto tale, ma è indispensabile<br />

che a detta qualifica formale si accompagni la<br />

disponibilità dell’immobile, l’avere dato a<br />

terzi l’incarico dei lavori, l’avere seguito gli<br />

stessi in prima persona etc.; né tanto meno è<br />

ipotizzabile un dovere di controllo del<br />

proprietario in quanto tale su un’eventuale<br />

attività abusiva di terze persone. (Trib. <strong>Ariano</strong><br />

<strong>Irpino</strong> – sentenza 1 febbraio 2010 n. 32/2010 –<br />

Giudice Ianniciello)<br />

Detenzione ai fini della vendita di prodotti<br />

contraffatti – Prova del reato – Elementi<br />

estrinseci - Modalità. Manca la prova della<br />

detenzione della merce per la vendita dal<br />

moneto che il sequestro della merce non è<br />

avvenuto né all’interno di un esercizio<br />

commerciale né in altro luogo o contesto<br />

(mercato ambulante, bancarelle abusive) che<br />

evidenziassero in modo inequivocabile che la<br />

merce fosse detenuta per la vendita e/o<br />

commercio. (Trib. <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong> – sentenza 4<br />

febbraio 2010 n. 37/2010 – Giudice<br />

Ianniciello)<br />

Ricettazione – Elementi caratterizzanti la<br />

condotta – Responsabilità. Dal consapevole<br />

possesso del bene di provenienza illecita,<br />

dall’utilizzazione dello stesso, nonché<br />

dall’assoluta mancanza di diverse<br />

giustificazioni da parte dell’imputato, si<br />

evince chiaramente la finalità dello stesso di<br />

ricavare un profitto dalla ricettazione del bene.<br />

(Trib. <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong> – sentenza 4 febbraio<br />

2010 n. 38/2010 – Giudice Ianniciello)<br />

Falsità materiale commessa da privato –<br />

Carta di circolazione – Contraffazione di<br />

pubblici sigilli – Rapporto tra reati. La<br />

natura di atto pubblico che va attribuita alla<br />

carta di circolazione – la quale ha funzione di<br />

immatricolare un veicolo e abilitarne la<br />

154<br />

circolazione – comporta che la falsificazione<br />

materiale della stessa configura il reato<br />

previsto dall’art. 482 cod. pen. In relazione<br />

all’art. 476 comma primo, cod. pen. Il delitto<br />

di falsità documentale concorre con i delitti<br />

attinenti alla contraffazione dei pubblici sigilli<br />

attesa la diversità dei beni-interessi protetti.<br />

(Trib. <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong> – sentenza 8 febbraio<br />

2010 n. 44/2010 – Giudice Ianniciello)<br />

Violazione di domicilio – Elemento<br />

psicologico. Dolo generico. Il delitto di cui<br />

all’art. 614 c.p. presuppone il dolo generico,<br />

nel senso di coscienza e volontà dell’agente di<br />

introdursi nell’altrui abitazione e/o luogo di<br />

privata dimora contro la volontà di colui che è<br />

titolare del diritto di esclusione. (Trib. <strong>Ariano</strong><br />

<strong>Irpino</strong> – sentenza 11 febbraio 2010 n. 47/2010<br />

– Giudice Ianniciello)<br />

Stato di necessità – Applicazione<br />

dell’esimente – Inevitabilità del pericolo –<br />

Necessità della condotta. Ai fini della<br />

sussistenza dell’esimente dello stato di<br />

necessità, nel concetto di “danno grave alla<br />

persona” rientrano non solo le lesioni della<br />

vita e dell’integrità fisica, ma anche quelle<br />

situazioni che attentano alla sfera dei diritti<br />

fondamentali della persona, riconosciuti e<br />

garantiti dall’art. 2 Cost., tra le quali il diritto<br />

all’abitazione; tuttavia, l’operatività della<br />

scriminante presuppone, peraltro, gli ulteriori<br />

elementi costitutivi dell’assoluta necessità<br />

della condotta e dell’inevitabilità del pericolo.<br />

(Trib. <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong> – sentenza 11 febbraio<br />

2010 n. 47/2010 – Giudice Ianniciello)<br />

Ricettazione – Concorso di reati – Concorso<br />

con il reato presupposto – Commesso<br />

dall’agente – Non sussiste. La norma di cui<br />

all’art. 648 trova applicazione solo “fuori dei<br />

casi di concorso nel reato”, cioè solo qualora<br />

chi acquisti, riceva o occulti danaro o cose<br />

provenienti da un delitto, o comunque si<br />

intrometta nel farle acquistare, ricevere o<br />

occultare, non abbia concorso proprio nella<br />

realizzazione del reato presupposto. (Trib.<br />

<strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong> – sentenza 11 febbraio 2010 n.<br />

51/2010 – Giudice Ianniciello)<br />

Molestie – Concetto di petulanza – Concetto<br />

di biasimevole motivo – Necessità per la<br />

sussistenza del reato. Al fine di selezionare<br />

nell’ambito del disturbo le ipotesi di reato che<br />

costituiscono anche danno ingiusto,<br />

l’ordinamento si preoccupa di introdurre<br />

“filtri” sotto il profilo del reato di cui all’art.<br />

660 del Codice Penale, richiedendo un<br />

ulteriore dato, quale l’elemento soggettivo


costituito e rappresentato da “petulanza” o da<br />

un “biasimevole motivo” (…). Si deve ritenere<br />

tale quel modo di agire pressante, ripetitivo,<br />

indiscreto e impertinente, che di per se stesso<br />

interferisce sgradevolmente nella sfera privata<br />

della quiete e della libertà delle persone. Per<br />

quanto riguarda invece il concetto di<br />

“biasimevole motivo” si richiama quello di<br />

rimprovero e/o disapprovazione del<br />

comportamento tenuto rispetto a preesistenti<br />

regole giuridiche, di costume e di convivenza<br />

sociale. (Trib. <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong> – sentenza 12<br />

febbraio 2010 n. 52/2010 – Giudice O.T.<br />

Vecchione)<br />

Molestie – Esercizio di un diritto –<br />

Sussistenza del reato. Il dolo richiesto ai fini<br />

della configurabilità del reato di molestie<br />

sussiste anche quando l’agente esercita un<br />

proprio diritto, ma in modo tale da arrecare<br />

molestia al soggetto passivo, con specifico<br />

intento di malanimo o di dispetto per una<br />

qualsiasi ragione (Trib. <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong> –<br />

sentenza 12 febbraio 2010 n. 52/2010 –<br />

Giudice O.T. Vecchione)<br />

Falsa denuncia di smarrimento assegno –<br />

Reato di calunnia – Mancata identificazione<br />

del soggetto che ha negoziato l’assegno –<br />

Incolpazione indiretta - Sussistenza. Integra<br />

il reato di calunnia la condotta di colui che<br />

denunci lo smarrimento di assegno bancario,<br />

dopo averlo consegnato in pagamento ad altra<br />

persona, giacché quest’ultima viene<br />

implicitamente incolpata di avere commesso il<br />

reato di furto o ricettazione. (…). Il delitto di<br />

calunnia sussiste anche quando l’incolpazione<br />

venga formulata attraverso la simulazione a<br />

carico di una persona, non specificamente<br />

indicata ma identificabile, delle tracce di un<br />

determinato reato – nella forma, cioè, della<br />

incolpazione cosiddetta reale o indiretta –<br />

purché la falsa incolpazione contenga in sé gli<br />

elementi necessari e sufficienti all’inizio<br />

dell’azione penale nei confronti di un soggetto<br />

univocamente e agevolmente identificabile;<br />

pertanto, sussiste l’elemento materiale del<br />

delitto di calunnia, nel caso di denuncia di<br />

smarrimento di un assegno, che è preordinata<br />

a far convergere su una persona identificabile<br />

l’accusa del reato di furto o di ricettazione.<br />

(Trib. <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong> – sentenza 15 febbraio<br />

2010 n. 54/2010 – Giudice Ianniciello)<br />

Falsa denuncia di smarrimento assegno –<br />

Reato simulato ai danni del prenditore –<br />

Appropriazione indebita – Insussistenza –<br />

Furto o ricettazione - Sussistenza. La falsa<br />

dichiarazione di aver smarrito un assegno,<br />

155<br />

consegnato invece in pagamento ad un altro<br />

soggetto,simula ai danni del prenditore del<br />

titolo il reato di furto o di ricettazione e non<br />

già di quello di appropriazione indebita di<br />

cosa smarrita; perché infatti possa configurarsi<br />

il delitto di appropriazione indebita di cosa<br />

smarrita è necessario che la cosa sia uscita<br />

definitivamente dalla sfera di disponibilità del<br />

legittimo possessore e che questi non sia in<br />

grado di ripristinare su di essa il primitivo<br />

potere; ed invece proprio perché, sulla base<br />

delle annotazioni contenute nell’assegno, è<br />

sicuramente ed agevolmente possibile risalire<br />

al titolare del conto, chi se ne impossessa<br />

illegittimamente commette o il reato di furto o<br />

quello di ricettazione. (Trib. <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong> –<br />

sentenza 15 febbraio 2010 n. 54/2010 –<br />

Giudice Ianniciello)<br />

Detenzione di stupefacenti ai fini dello<br />

spaccio _ Onore probatorio – A carico<br />

dell’accusa – Elementi indiziari. La prova<br />

della sussistenza della detenzione della<br />

sostanza stupefacente ad uso non<br />

esclusivamente personale costituisce elemento<br />

costitutivo del reato di cui all’art. 73 e come<br />

tale è a carico dell’accusa; orbene, perché tale<br />

onere probatorio sia osservato, allorché la<br />

prova non è in re ipsa, come per esempio può<br />

accadere nel caso di arresto in flagranza di<br />

reato, è necessario far riferimento ai parametri<br />

“indiziari” indicati dalla norma stessa del<br />

comma 1 bis lett. a), come: 1) la “quantità”<br />

della sostanza – in particolare il superamento<br />

dei limiti di principio attivo indicati in<br />

apposito DM -; 2) le “modalità di<br />

presentazione della sostanza” – come peso<br />

lordo e frazionamento in dosi -; 3) le<br />

“circostanze dell’azione” – come circostanze<br />

oggettive del sequestro, rinvenimento di<br />

sostanza da taglio, rinvenimento di strumenti<br />

per la pesatura, rinvenimento di contabilità<br />

attestante il commercio illecito etc. (Trib.<br />

<strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong> – sentenza 18 febbraio 2010 n.<br />

59/2010 – Giudice Ianniciello)<br />

Frode nell’esercizio del commercio –<br />

Prodotti alimentari – Elemento oggettivo. Il<br />

reato di frode nell’esercizio del commercio<br />

appare configurabile qualora sia consegnata<br />

merce per qualità, quantità, origine etc.<br />

diversa da quella dichiarata; pertanto<br />

l’elemento oggettivo del reato de quo sussiste<br />

ad una duplice condizione: a) allorché sia<br />

posto in vendita un prodotto alimentare oltre il<br />

termine di consumazione, appunto perché<br />

privo dei necessari requisiti di freschezza; b)<br />

allorché siano posti in essere degli<br />

accorgimenti per ingannare il consumatore,


come ad esempio sostituire il t.m.c. (tempo<br />

massimo di consumazione, n.d.r.) oppure non<br />

renderlo chiaramente leggibile. (Trib. <strong>Ariano</strong><br />

<strong>Irpino</strong> – sentenza 18 febbraio 2010 n. 61/2010<br />

– Giudice Ianniciello)<br />

Diritto d’autore. Vendita di supporti<br />

sprovvisti di contrassegno SIAE. Onere<br />

probatorio. Comunicazione regola tecnica.<br />

Qualora una norma preveda fra gli elementi<br />

costitutivi del reato la mancanza del<br />

contrassegno SIAE, se il PM non fornisce la<br />

prova che la regola tecnica è stata comunicata<br />

dallo Stato alla Commissione Europea, poiché<br />

non sorge in capo al privato nessun obbligo di<br />

apporre sui propri supporti l’indicato<br />

contrassegno, anche la detenzione,<br />

commercializzazione, noleggio etc. dei<br />

supporti privi di contrassegno SIAE non può<br />

ritenersi prevista dalla legge come reato. (…).<br />

In poche parole, il mancato rispetto della<br />

procedura, prevista dalla normativa<br />

comunitaria, si traduce nella inopponibilità<br />

dell’obbligo di contrassegno SIAE nei<br />

confronti dei privati e nella conseguente<br />

mancanza di illiceità penale delle condotte di<br />

noleggio, commercializzazione etc. dei<br />

supporti, privi di detto contrassegno. (Trib.<br />

<strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong> – sentenza 22 febbraio 2010 n.<br />

68/2010 – Giudice Ianniciello)<br />

Trasporto illecito di rifiuti – Confisca del<br />

mezzo di trasporto – Mazzo di proprietà del<br />

terzo – Prova della compartecipazione -<br />

Necessità. Benché l’art. 53 D. L.vo. 22/97 ne<br />

preveda la confisca obbligatoria, allorché il<br />

mezzo sia di proprietà di terze persone è<br />

tuttavia necessario ai fini dell’applicabilità di<br />

detta misura di sicurezza la prova che il terzo<br />

abbia in qualche modo partecipato all’attività<br />

illecita di smaltimento o trasporto non<br />

autorizzato di rifiuti (Trib. <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong> –<br />

sentenza 22 febbraio 2010 n. 69/2010 –<br />

Giudice Ianniciello)<br />

Molestie – Reato continuato - Esclusione.<br />

La pluralità di azioni di disturbo costituisce<br />

elemento costitutivo del reato di cui all’art.<br />

660 c.p. e non può, quindi, essere<br />

riconducibile all’ipotesi di reato continuato.<br />

(Trib. <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong> – sentenza 24 febbraio<br />

2010 n. 71/2010 – Giudice O.T. Vecchione)<br />

Ricettazione e falso grossolano – Non<br />

punibilità del reato di falso – Punibilità<br />

della ricettazione - Sussistenza. E’ innocuo,<br />

e quindi non punibile per inidoneità<br />

dell’azione, il falso, sia ideologico che<br />

materiale, che determina un’alterazione<br />

156<br />

irrilevante ai fini dell’interpretazione dell’atto,<br />

non modificandone il senso. (…). Ergo, ne<br />

consegue che in ogni caso la grossolanità del<br />

falso, se vale ad escludere la punibilità del<br />

reato presupposto, parimenti non esclude la<br />

configurabilità, ricorrendo tutti gli altri<br />

presupposti, del reato di ricettazione ai sensi<br />

del’art. 648 comma 3 c.p., a tenore del quale il<br />

delitto di ricettazione è perseguibile anche se<br />

l’autore non è punibile. (Trib. <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong> –<br />

sentenza 25 febbraio 2010 n. 78/2010 –<br />

Giudice Ianniciello)<br />

Falsificazione del contrassegno assicurativo<br />

– Falso in scrittura privata – Uso<br />

significativo ai fini della configurazione del<br />

reato. Invero il contrassegno relativo<br />

all’assicurazione obbligatoria è considerato<br />

scrittura privata ed integra gli estremi dell’art.<br />

485 c.p. la contraffazione del contrassegno<br />

assicurativo, relativo alla rca previsto dall’art.<br />

7 della legge 990/69 il quale è atto di natura<br />

privata. (…). Si ha uso significativo quando il<br />

documento è uscito dalla sfera individuale del<br />

colpevole in modo giuridicamente rilevante,<br />

proiettando all’esterno i suoi effetti giuridici<br />

verso i terzi, così che il documento medesimo<br />

esca dalla disponibilità dell’autore del falso e<br />

passi nella disponibilità di chi ha il diritto di<br />

servirsene. (Trib. <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong> – sentenza 26<br />

febbraio 2010 n. 85/2010 – Giudice O.T.<br />

Vecchione)<br />

Resistenza a Pubblico Ufficiale – Modalità<br />

di estrinsecazione dell’azione - Elemento<br />

oggettivo. La condotta tipica del delitto di cui<br />

all’art. 337 c.p. si atteggia in atti di violenza<br />

e/o minaccia che sia tale da impedire al<br />

soggetto passivo il compimento dell’atto che<br />

sta eseguendo; è necessario per la<br />

configurabilità dell’elemento oggettivo del<br />

reato che la condotta di violenza e/o la<br />

minaccia sia potenzialmente idonea ad<br />

impedire al Pubblico Ufficiale il compimento<br />

di un atto del suo ufficio, anche se poi in<br />

concreto il soggetto non sia riuscito nel suo<br />

intento; la condotta tipica deve estrinsecarsi in<br />

un comportamento positivo diretto nei<br />

confronti del PU con il chiaro proposito di<br />

interdire a costui il compimento del proprio<br />

ufficio o servizio. (Trib. <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong> –<br />

sentenza 1 marzo 2010 n. 90/2010 – Giudice<br />

Ianniciello)<br />

Appropriazione indebita – Mancata<br />

restituzione della cosa Sussistenza del reato.<br />

Con il termine “appropriazione” si intende un<br />

comportamento verso la cosa come se fosse<br />

propria. Il reato ex art. 646 c.p. sussiste sia nel


caso in cui l’agente dia alla cosa una<br />

destinazione incompatibile con il titolo e con<br />

le ragioni che giustificano il possesso, sia nel<br />

caso in cui egli ometta deliberatamente di<br />

restituire la cosa; giacché in entrambe le<br />

ipotesi è manifesta la sua volontà di affermare<br />

un dominio sulla cosa stessa posseduta. (Trib.<br />

<strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong> – sentenza 1 marzo 2010 n.<br />

91/2010 – Giudice Ianniciello)<br />

Simulazione di reato – Inganno<br />

dell’autorità inquirente – Non necessità –<br />

Sussistenza del reato. Ai fini della<br />

configurabilità della simulazione di reato che,<br />

essendo un reato di pericolo, risulta integrato<br />

allorché la falsa denuncia di reato determini<br />

l’astratta possibilità di un’attività degli organi<br />

inquirenti diretta al suo accertamento, non è<br />

necessario che l’autorità sia rimasta in<br />

concreto ingannata, né che un procedimento<br />

penale sia stato realmente iniziato, bastando<br />

che si sia verificato un pericolo di sviamento<br />

delle indagini (Trib. <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong> – sentenza<br />

5 marzo 2010 n. 98/2010 – Giudice O.T.<br />

Vecchione)<br />

Ingiuria e diffamazione – Frasi ingiuriose –<br />

Censura di un comportamento –<br />

Sussistenza del reato. In tema di ingiuria e/o<br />

diffamazione, è ius receptum che le<br />

espressioni e frasi usate, sia pure attraverso la<br />

censura di un comportamento, qualora<br />

integrino disprezzo per l’autore del<br />

comportamento o gli attribuiscano inutilmente<br />

intenzioni o qualità negative o spregevoli,<br />

hanno senza dubbio potenzialità ingiuriosa.<br />

(Trib. <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong> in funzione di Giudice di<br />

Appello – sentenza 15 marzo 2010 n.<br />

111/2010 – Giudice Ianniciello)<br />

Esimenti – Offese in scritti difensivi innanzi<br />

all’Autorità Giudiziaria – Esercizio di un<br />

diritto o adempimento di un dovere -<br />

Rapporti e differenze. L’esimente di cui<br />

all’art. 598 c.p., essendo applicazione del più<br />

generale principio posto dall’art. 51 c.p., è<br />

applicabile anche alle offese contenute<br />

nell’atto di citazione, benché esso sia destinato<br />

ad essere notificato prima della costituzione<br />

delle parti e, quindi, prima della instaurazione<br />

del procedimento; dunque, negli interventi più<br />

recenti, in subiecta materia, sembra che la SC<br />

di Cassazione si sia orientata nel senso di<br />

ritenere che “tutti gli atti funzionali<br />

all’esercizio del diritto di difesa, anche se<br />

precedenti all’apertura del procedimento,<br />

devono essere ricondotti al principio della<br />

immunità giudiziale”. Va, tuttavia, segnalato<br />

che la stessa SC di cassazione, nell’ambito di<br />

157<br />

detta interpretazione più estensiva della citata<br />

norma, ha precisato che “in materia di<br />

diffamazione vanno assegnati distinti ambiti di<br />

operatività alla causa di non punibilità prevista<br />

dall’art. 598 c.p. (c.d. immunità giudiziaria) e<br />

alla causa di giustificazione dell’esercizio di<br />

un diritto di cui all’art. 51 c.p.; e precisamente<br />

la prima è rivolta ad escludere la punibilità di<br />

quelle espressioni pronunciate nel corso di una<br />

vicenda giudiziaria che, pur riguardando<br />

l’oggetto della causa, siano esorbitanti rispetto<br />

alle necessità difensive; mentre la causa di<br />

giustificazione di cui all’art. 51 c.p. trova<br />

applicazione nelle sole ipotesi in cui le<br />

espressioni adoperate risultino strettamente e<br />

rigorosamente conferenti all’esercizio del<br />

diritto di difesa”. (…) In buona sostanza, la<br />

scriminante dell’art. 598 c.p. presuppone pur<br />

sempre un atto indirizzato all’A.G., ovvero un<br />

atto che si inserisca nel procedimento o sia a<br />

questo funzionale, come può essere, ad<br />

esempio, l’atto di citazione; mentre, per le fasi<br />

antecedenti e all’infuori del procedimento, i<br />

fatti offensivi possono essere scriminati, ma<br />

invocando la diversa norma di cui all’art. 51<br />

c.p. (Trib. <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong> in funzione di<br />

Giudice di Appello – sentenza 15 marzo 2010<br />

n. 111/2010 – Giudice Ianniciello)<br />

Fatto ingiusto altrui – Scriminante –<br />

Fattispecie Il fatto ingiusto altrui che può<br />

determinare lo stato d’ira altrui e la<br />

conseguente reazione offensiva deve o<br />

integrare a sua volta un fatto in sé offensivo o<br />

un fatto contrario alle regole di civile e<br />

comune convivenza o un fatto intrinsecamente<br />

illegittimo. (Trib. <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong> in funzione di<br />

Giudice di Appello – sentenza 15 marzo 2010<br />

n. 111/2010 – Giudice Ianniciello)<br />

Diritto d’autore – Detenzione ai fini del<br />

commercio – Elemento oggettivo – Ingente<br />

quantitativo di supporti - Insussistenza.<br />

Con riferimento alla condotta di vendere o<br />

porre in commercio, o cedere a qualsiasi<br />

titolo, non è sufficiente per l’integrazione del<br />

reato che si tratti di oltre duecento copie di<br />

opere tutelate dal diritto di autore, ma occorre<br />

un effettivo atto di vendita o di disposizione<br />

del bene, in quanto la mera detenzione a fini di<br />

vendita al più rileva bella diversa fattispecie di<br />

cui all’art. 171 ter L. n. 633/41 (Trib. <strong>Ariano</strong><br />

<strong>Irpino</strong> – sentenza 17 marzo 2010 n.116/2010 –<br />

Giudice O.T. Vecchione)<br />

Reato impossibile – Contraffazione di<br />

marchi – Detenzione ai fini della vendita.<br />

Ricorre il reato impossibile e, quindi, la<br />

punibilità è esclusa, solo quando il falso sia


iconoscibile ictu oculi o prima facie da<br />

qualsiasi persona di comune discernimento ed<br />

avvedutezza, non potendosi fare riferimento,<br />

come diverso parametro, né alle particolari<br />

cognizioni e alla competenza di soggetti<br />

qualificati, né alla straordinaria diligenza di<br />

certe persone. (Trib. <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong> – sentenza<br />

18 marzo 2010 n. 121/2010 – Giudice<br />

Ianniciello)<br />

Contraffazione di marchi – Detenzione ai<br />

fini della vendita – Circostanze da cui<br />

desumere il reato. Le circostanze della<br />

vendita costituiscono indici rivelatori della<br />

qualità e della non originalità della merce<br />

ovvero della sua contraffazione. Tali<br />

circostanze consentono di ritenere sussistente<br />

anche l’elemento soggettivo del reato di cui<br />

all’art. 474 c.p. in quanto la coscienza e<br />

volontà di detenere le cose contraffatte<br />

destinate alla vendita e quindi, la<br />

consapevolezza della contraffazione del<br />

marchio altrui possono desumersi proprio<br />

dalla scarsa probabilità ed inverosimiglianza<br />

di rinvenire merce non contraffatta<br />

nell’ambito di una fiera di paese. (Trib. <strong>Ariano</strong><br />

<strong>Irpino</strong> – sentenza 19 marzo 2010 n. 126/2010<br />

– Giudice Palmieri)<br />

Contraffazione di marchi – Ricettazione –<br />

Concorso di reati – Possibilità - Sussistenza.<br />

Stante la diversa oggettività giuridica e la<br />

eterogeneità degli elementi costitutivi dei reati<br />

che rende inapplicabile il principio di<br />

specialità, va indubbiamente riconosciuto il<br />

concorso materiale tra le fattispecie criminose<br />

di cui agli artt. 474 e 648 c.p. (Trib. <strong>Ariano</strong><br />

<strong>Irpino</strong> – sentenza 19 marzo 2010 n. 126/2010<br />

– Giudice Palmieri)<br />

Omesso versamento di ritenute alla fonte –<br />

Corrispondenza alle somme dichiarate in<br />

certificazione - Necessità. La fattispecie<br />

astratta di reato di cui all’art. 10-bis D. L.vo<br />

74/2000 presuppone che, nel termine ex lege<br />

previsto per la presentazione della<br />

dichiarazione annuale di sostituto d’imposta,<br />

non siano versate le ritenute risultanti dalla<br />

certificazione rilasciata ai sostituti; dunque, ai<br />

fini della concreta configurabilità del delitto<br />

per cui si procede non basta la mera omissione<br />

– id est mancato versamento delle ritenute nel<br />

termine ex lege previsto – ma è, altresì,<br />

necessario che si tratti di ritenute “risultanti<br />

dalla certificazione rilasciata ai sostituti”.<br />

(Trib. <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong> – sentenza 25 marzo 2010<br />

n. 138/2010 – Giudice Ianniciello)<br />

158<br />

Contraffazione di marchi – Detenzione ai<br />

fini della vendita – Testimonianza degli<br />

accertatori – Dichiarazione di reità -<br />

Sussistenza. La contraffazione dei capi di<br />

abbigliamento può ritenersi provata anche<br />

attraverso le sole deposizioni dei testi i quali<br />

abbiano riferito della evidente falsità della<br />

marca dei capi, cui in ogni caso si aggiunge la<br />

mancata esibizione da parte dell’imputato di<br />

qualsiasi documento giustificativo della<br />

merce. (Trib. <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong> – sentenza 31<br />

marzo 2010 n. 145/2010 – Giudice O.T.<br />

Lignelli)<br />

Violenza privata – Minaccia – Elementi<br />

distintivi. Nel delitto di violenza privata ex<br />

art. 610 c.p. la minaccia deve essere usata per<br />

costringere il soggetto passivo a tenere il<br />

comportamento alternativamente previsto nel<br />

primo comma di detto articolo (ossia<br />

costringere a fare, tollerare e/o omettere<br />

qualche cosa); la condotta minacciosa è quindi<br />

diretta a coartare la volontà della persona<br />

offesa; viceversa nel delitto di minaccia l’atto<br />

intimidatorio è fine a se stesso e per la<br />

sussistenza del reato è sufficiente che l’agente<br />

ponga in essere la condotta minatoria in senso<br />

generico. (Trib. <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong> – sentenza 1<br />

aprile 2010 n. 146/2010 – Giudice Ianniciello)<br />

Evasione – Allontanamento dal luogo di<br />

detenzione domiciliare – Tempo e modalità<br />

- Insussistenza. Integra gli estremi del delitto<br />

di evasione il solo fatto che l’imputato agli<br />

arresti domiciliari esca consapevolmente dalla<br />

casa nella quale si trovi ristretto – non importa<br />

per quanto tempo e con quale destinazione – e<br />

in violazione alle eventuali autorizzazioni<br />

rilasciategli, perché la ratio<br />

dell’incriminazione risiede nella necessità che<br />

egli non si sottragga alla costante possibilità di<br />

controllo da parte della polizia giudiziaria.<br />

(Trib. <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong> – sentenza 15 aprile 2010<br />

n. 161/2010 – Giudice Ianniciello)<br />

Ricettazione – Ripunzonatura di motore –<br />

Elemento soggettivo in relazione alle<br />

modalità di presentazione. Quando<br />

l’alterazione del numero del telaio, consistente<br />

nella limatura e punzonatura dei numeri finali,<br />

non sia visibile ad occhio nudo, né può essere<br />

reso visibile da un ordinario intervento sul<br />

mezzo o da una normale attività di pulitura,<br />

essendo, invece, necessaria la specifica e certo<br />

non usuale attività di sverniciatura del telaio,<br />

l’elemento soggettivo del dolo non appare<br />

configurabile in modo certo. (Trib. <strong>Ariano</strong><br />

<strong>Irpino</strong> – sentenza 19 aprile 2010 n. 169/2010 –<br />

Giudice Ianniciello)


Invasione di terreno – Elemento psicologico<br />

– Dolo specifico. Il delitto di invasione ex art.<br />

633 c.p. si concretizza nella arbitraria<br />

introduzione in un fondo di cui altri abbiano il<br />

possesso e/o la proprietà; non necessariamente<br />

è un delitto permanente, potendo, infatti,<br />

l’invasione, sia protrarsi nel tempo con<br />

un’occupazione ininterrotta per un<br />

determinato arco temporale, sia assumere i<br />

connotati di un insediamento istantaneo;<br />

quanto all’elemento soggettivo, oltre alla<br />

coscienza e volontà di occupare l’altrui<br />

immobile, l’art. 633 c.p. richiede il dolo<br />

specifico del fine di occupare o di trarne<br />

comunque profitto. (Trib. <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong> –<br />

sentenza 19 aprile 2010 n. 172/2010 – Giudice<br />

Ianniciello)<br />

Furto – Momento consumativo del reato. Il<br />

reato di furto è perfetto e si consuma se alla<br />

c.d. “amotio rei” segua la c.d. “acquisizione”<br />

di un potere personale di signoria sulla res<br />

sottratta; il furto si consuma allorché la res è<br />

definitivamente entrata nella sfera di signoria<br />

del reo. In poche parole, ciò che determina la<br />

perfezione del reato è l’aver instaurato con la<br />

cosa una relazione diretta al di fuori del<br />

controllo del soggetto passivo. (Trib. <strong>Ariano</strong><br />

<strong>Irpino</strong> – sentenza 19 aprile 2010 n. 172/2010 –<br />

Giudice Ianniciello)<br />

Appropriazione indebita – Diritto di<br />

ritenzione – Sussistenza del reato -<br />

Condizioni. L’esercizio del diritto di<br />

ritenzione non vale a scriminare l’agente in<br />

ordine al reato di appropriazione indebita,<br />

quando il credito che si vuole tutelare<br />

attraverso l’esercizio dello ius retinendi non è<br />

né liquido né esigibile; in tal caso, infatti,<br />

l’appropriazione della cosa altrui integra il<br />

reato di cui all’art. 646 c.p., dovendosi ritenere<br />

ingiusto il profitto che l’agente intende<br />

realizzare in virtù di una pretesa che avrebbe<br />

dovuto far valere, in quanto non<br />

compiutamente definita nelle specifiche<br />

necessarie connotazioni di determinatezza,<br />

liquidità ed esigibilità, soltanto con i mezzi<br />

leciti e legali postigli a disposizione<br />

dall’ordinamento giuridico. (Trib. <strong>Ariano</strong><br />

<strong>Irpino</strong> – sentenza 22 aprile 2010 n. 177/2010 –<br />

Giudice Ianniciello)<br />

Detenzione ai fini dello spaccio di sostanze<br />

stupefacenti – Elementi indiziari – Prova a<br />

carico dell’accusa. La prova della sussistenza<br />

della destinazione della sostanza stupefacente<br />

ad uso non esclusivamente personale<br />

costituisce elemento costituivo del reato di cui<br />

159<br />

all’art. 73 e come tale è a carico dell’accusa;<br />

perché tale onere probatorio sia osservato,<br />

allorché la prova non è in re ipsa, come per<br />

esempio può accadere nel caso di arresto in<br />

flagranza di reato, è necessario far riferimento<br />

ai parametri “indiziari” indicati dalla norma<br />

stessa al comma 1 bis lett. a), come: 1) la<br />

“quantità” della sostanza – in particolare il<br />

superamento dei limiti di principio attivo<br />

indicati in apposito DM; 2) le “modalità di<br />

presentazione della sostanza” – come peso<br />

lordo e frazionamento in dosi; 3) le<br />

“circostanze dell’azione” – come circostanze<br />

oggettive del sequestro, rinvenimento di<br />

sostanza da taglio – rinvenimento di strumenti<br />

di pesatura – rinvenimento di contabilità<br />

attestante il commercio illecito etc. (Trib.<br />

<strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong> – sentenza 22 aprile 2010 n.<br />

178/2010 – Giudice Ianniciello)<br />

Detenzione ai fini dello spaccio di sostanze<br />

stupefacenti – Superamento del tasso soglia<br />

– Prova a carico della difesa. Uil<br />

superamento del c.d. tasso soglia – ossia dei<br />

limiti massimi indicati nel DM – seppure<br />

indica un elemento indiziario a favore<br />

dell’accusa per ritenere dimostrata la<br />

destinazione allo spaccio dello stupefacente –<br />

non sempre è elemento bastevole per sostenere<br />

la sussistenza del reato laddove l’interessato<br />

assolva all’onere difensivo, allegando e<br />

provando elementi a difesa che possano<br />

vincere la valenza indiziaria del parametro<br />

valutativo; certo è che tanto più viene superato<br />

il tasso soglia tanto più complesso ed oneroso<br />

è l’onere probatorio che grava sulla difesa.<br />

(Trib. <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong> – sentenza 22 aprile 2010<br />

n. 178/2010 – Giudice Ianniciello)<br />

Detenzione ai fini dello spaccio di sostanze<br />

stupefacenti – Elementi indiziari – Prova a<br />

carico dell’accusa. La prova della sussistenza<br />

della destinazione della sostanza stupefacente<br />

ad uso non esclusivamente personale<br />

costituisce elemento costituivo del reato di cui<br />

all’art. 73 e come tale è a carico dell’accusa;<br />

perché tale onere probatorio sia osservato,<br />

allorché la prova non è in re ipsa, come per<br />

esempio può accadere nel caso di arresto in<br />

flagranza di reato, è necessario far riferimento<br />

ai parametri “indiziari” indicati dalla norma<br />

stessa al comma 1 bis lett. a), come: 1) la<br />

“quantità” della sostanza – in particolare il<br />

superamento dei limiti di principio attivo<br />

indicati in apposito DM; 2) le “modalità di<br />

presentazione della sostanza” – come peso<br />

lordo e frazionamento in dosi; 3) le<br />

“circostanze dell’azione” – come circostanze<br />

oggettive del sequestro, rinvenimento di


sostanza da taglio – rinvenimento di strumenti<br />

di pesatura – rinvenimento di contabilità<br />

attestante il commercio illecito etc. (Trib.<br />

<strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong> – sentenza 22 aprile 2010 n.<br />

178/2010 – Giudice Ianniciello)<br />

Esercizio arbitrario delle proprie ragioni –<br />

Violenza sulle cose – Attualità della contesa<br />

- Necessità. Ai fini della configurabilità del<br />

reato di cui all’art. 392 cod. pen. Si richiede<br />

che il “preteso diritto” che l’agente intende<br />

esercitare sia oggetto di contrasto con un’altra<br />

persona, nel senso che, al momento della<br />

condotta violenta posta in essere dall’agente,<br />

sia già in atto tra gli interessati una contesa,<br />

giudiziale o di fatto, intorno alla titolarità o<br />

alle modalità di esercizio di quel diritto. (Trib.<br />

<strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong> – sentenza 22 aprile 2010 n.<br />

183/2010 – Giudice Ianniciello)<br />

Esercizio arbitrario delle proprie ragioni –<br />

Violenza sulle cose – Danneggiamento –<br />

Concorso di reati - Esclusione. Il reato di cui<br />

all’art. 392 cod. pen., essendo inquadrabile nel<br />

genus dei reati complessi, assorbe in sé anche<br />

la condotta di danneggiamento di cose; ed<br />

invero, la violenza sulle cose, per espressa<br />

dizione letterale dell’art. 392 cpv. c.p., si<br />

concretizza proprio nel danneggiamento,<br />

trasformazione e/o mutamento dei<br />

destinazione della res. (Trib. <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong> –<br />

sentenza 22 aprile 2010 n. 183/2010 – Giudice<br />

Ianniciello)<br />

Danneggiamento – Elemento psicologico –<br />

Dolo eventuale. La condotta di<br />

danneggiamento, pur non dovendo essere<br />

sorretta dal dolo specifico – ossia dal fine<br />

specifico di nuocere – deve essere, comunque,<br />

sorretta dalla coscienza e volontà di<br />

danneggiare, distruggere, rendere inservibile<br />

la res altrui, anche nella forma del dolo<br />

eventuale.. (Trib. <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong> – sentenza 22<br />

aprile 2010 n. 183/2010 – Giudice Ianniciello)<br />

Testimonianza – Dichiarazioni della<br />

persona offesa - Valutazione. Poiché la<br />

persona offesa ha sicuramente interesse verso<br />

l’esito del giudizio, le sue dichiarazioni<br />

devono essere vagliate con ogni opportuna<br />

cautela per cui, anche se astrattamente la<br />

statuizione di condanna si può fondare solo<br />

sulla sua deposizione, è necessario valutarla<br />

con il massimo rigore alla luce i tutti gli<br />

160<br />

elementi probatori processualmente acquisiti.<br />

(Trib. <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong> – sentenza 28 aprile 2010<br />

n. 193/2010 – Giudice Palmieri)<br />

Violazione degli obblighi di assistenza<br />

familiare – Assegno di mantenimento –<br />

Mezzi di sussistenza. In tema di violazione<br />

degli obblighi di assistenza familiare occorre<br />

distinguere tra assegno stabilito dal giudice<br />

civile e mezzi di sussistenza, essendo questi<br />

ultimi del tutto indipendenti dalla valutazione<br />

del giudice civile e la cui nozione comprende<br />

solo ciò che è necessario per la sopravvivenza<br />

dei familiari dell’obbligato. (Trib. <strong>Ariano</strong><br />

<strong>Irpino</strong> – sentenza 28 aprile 2010 n. 193/2010 –<br />

Giudice Palmieri)<br />

Violazione colposa di doveri inerenti alla<br />

custodia di cose sottoposte a sequestro –<br />

Ipotesi di fermo amministrativo – Divieto di<br />

analogia – Insussistenza del reato. L’art. 335<br />

c.p. punisce la violazione colposa di doveri<br />

inerenti alla custodia di cose sottoposte a<br />

sequestro. Nel caso in cui il provvedimento<br />

emesso dall’autorità amministrativa non<br />

rivesta i requisiti del sequestro, bensì del<br />

fermo, in virtù del principio di tassatività delle<br />

fattispecie incriminatrici e del divieto di<br />

analogia in materia penale, deve giungersi ad<br />

un proscioglimento con la formula “perché il<br />

fatto non sussiste”. (Trib. <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong> –<br />

sentenza 5 maggio 2010 n. 203/2010 –<br />

Giudice Palmieri)<br />

Abbandono di incapaci – Reale pericolo del<br />

soggetto passivo – Necessità – Elemento<br />

psicologico. Se è vero che costituisce<br />

“abbandono”, ai sensi dell’art. 591 c.p.,<br />

qualsiasi azione od omissione che contrasti<br />

con l’obbligo della custodia o della cura, è<br />

anche vero che per la sussistenza del reato in<br />

parola occorre che, in dipendenza<br />

dell’abbandono, si crei uno stato, sia pure<br />

potenziale, di pericolo per la incolumità della<br />

persona abbandonata. Peraltro, ai fini della<br />

sussistenza dell’elemento psicologico del<br />

delitto di abbandono di persone incapaci, è<br />

richiesta la consapevolezza di abbandonare a<br />

sé stesso il soggetto passivo che non abbia la<br />

capacità di provvedere alle proprie esigenze,<br />

in una situazione di pericolo per la sua<br />

integrità fisica. (Trib. <strong>Ariano</strong> <strong>Irpino</strong> – sentenza<br />

19 maggio 2010 n. 221/2010 – Giudice<br />

Palmieri)


L’arte vista da vicino<br />

Ho il piacere di introdurre, con queste brevi note, il pregevole articolo che la dr.ssa Silvana<br />

Iuliano ha voluto dedicarci per l’inizio della sua collaborazione.<br />

Che c’entra l’arte con il linguaggio forense, e perché viene dato spazio ad una, sia pur<br />

autorevole, esperta di grafologia?<br />

Quando le proposi di collaborare, sentendola come spesso mi capita per motivi professionali,<br />

ricordo che lei stava per partire o era appena tornata da Tallin (Estonia) ed io da non so dove.<br />

Le mandai, per fax, un pezzo dell’ultimo numero della nostra R.F.A., e mi rispose con<br />

l’entusiasmo della professionista molto impegnata, che gira l’Italia e l’estero<br />

indifferentemente, parlandomi della scritta su tavola lignea di una straordinaria open mind,<br />

forse tra le più grandi nella storia del sapere, scientifico ed artistico: Leonardo da Vinci.<br />

Da profano delle materie, grafologia ed arte in generale per un pregiudizio scientista che<br />

però non mi impedisce di rimanere estasiato nei musei del villaggio globale (ho ancora negli<br />

occhi un dipinto del nostro Leonardo, visto se non erro a Cracovia), ho pensato che il caso di<br />

un Grande della nostra storia (a dirla nel senso del Pascal) fosse il giusto lievito per<br />

l’apertura mentale, per suscitare quello stupore iniziale che probabilmente serve a smuovere<br />

dal torpore anche gli avvocati, troppo spesso ripiegati sugli affari quotidiani.<br />

Ora, non poteva esserci una persona migliore di Silvana Iuliano, non solo perché insigne<br />

esperta dell’arte grafologica (mi perdonerà il termine “arte”, so che avrebbe preferito quello<br />

di “scienza”) ed in quanto tale coinvolta direttamente nello studio del caso famoso, per<br />

suscitare il sommovimento delle menti.<br />

Grande competenza, carattere forte, linguaggio diretto e franco (le cose non le manda mai a<br />

dire). Un benvenuto, dunque, alla nuova compagna di viaggio, che pur tra mille impegni non<br />

ti dice mai che non ha tempo.<br />

161<br />

domenico scala<br />

“Pillole” di grafologia di Silvana Iuliano*<br />

Ho raccolto, con vivo interesse ed entusiasmo, l’invito a collaborare con la rivista, con la<br />

finalità di meglio far conoscere la scienza grafologica ma, soprattutto, le sue potenziali<br />

applicazioni in ambito forense e non solo.<br />

Con questo primo articolo propongo un argomento che esula totalmente dall’ambito forense,<br />

ma che appagherà certamente coloro che apprezzano l’arte.<br />

Di recente è stata rinvenuta una tavola lignea, cosiddetta “Autoritratto di Acerenza”,<br />

raffigurante, presumibilmente, il volto di Leonardo da Vinci. Tale ritrovamento è di notevole


importanza dal punto di vista storico-culturale dal momento che fino ad oggi, nonostante<br />

varie attribuzioni ad altri dipinti, non vi è certezza che sia mai stato effettivamente<br />

raffigurato il volto di Leonardo.<br />

Poiché sul retro della tavola lignea figurava la scritta “PINXIT MEA” (foto1), probabilmente<br />

apposta dall’autore del dipinto, sono stata contattata per esprimere un parere grafologico teso<br />

a stabilire se, la scritta in questione, potesse derivare o meno dalla mano di Leonardo da<br />

Vinci, dal momento che le altre indagini scientifiche, già svolte, propendevano per<br />

l’attribuzione del volto raffigurato sulla tavola a quello di Leonardo da Vinci.<br />

Per cui individuare, mediante analisi grafologica, la mano scrivente della scritta “PINXIT<br />

MEA” poteva essere un ulteriore tassello per definire la tavola lignea un “autoritratto” del<br />

Maestro (foto 2).<br />

Per soddisfare la curiosità di quanti interessati, ripropongo le indagini scientifiche presentate<br />

nell’ultimo convegno, sull’argomento, tenutosi presso il Museo Universitario di Chieti, nel<br />

mese di maggio u.s. , ma ampiamente già esposte nel febbraio u.s. presso l’Università di<br />

Tallin (Estonia):<br />

- Indagini ED-XRF eseguite presso il Dip. di Scienze Fisiche, Università Federico II di<br />

Napoli e CIRCE , Dip. di Scienze Ambientali, II Università di Napoli e INNOVA,<br />

Caserta;<br />

- Indagine grafologica sulla scritta “PINXIT MEA” eseguito presso lo Studio<br />

Grafologico e Criminologico Silvana Iuliano, Monteforte <strong>Irpino</strong> (AV);<br />

- Individuazione della specie arborea e datazione radiocarbonica eseguita da CIRCE,<br />

Dip. di Scienze Ambientali, II Università di Napoli e INNOVA, Caserta, nonché Dip. di<br />

Arboricoltura , Botanica e Patologia vegetale, Facoltà di Agraria, Università Federico II<br />

di Napoli;<br />

- Studio sullo stato di conservazione ed esecuzione dell’autoritratto lucano eseguito<br />

presso Università di Napoli - Suor Orsola Benincasa - Corso di laurea in Restauro e<br />

Diagnostica;<br />

- Analisi cefalometrica dei tessuti molli eseguita presso Dip. di Scienze<br />

Odontostomatologiche, Università degli Studi G. D’Annunzio di Chieti e Pescara e<br />

CIRCE Dip. di Scienze Ambientali, II Università di Napoli;<br />

- Le impronte papillari sull’autoritratto, studio antropologico dattiloscopico esami<br />

eseguiti presso Università degli Studi G. D’Annunzio di Chieti e Pescara nonché Reparto<br />

Dattiloscopia Preventiva – Ra.C.I.S. Arma dei Carabinieri;<br />

162


- Analisi in riflettografia infrarossa sul dipinto eseguite presso Diagnostica per immagini<br />

– Modena.<br />

“Autoritratto di Acerenza”, raffigurante, presumibilmente,<br />

il volto di Leonardo da Vinci<br />

L’elencazione delle indagini svolte testimonia l’importanza dell’approccio multidisciplinare<br />

rispetto ad un quesito scientifico interessante e coinvolgente il mondo dell’arte a livello<br />

internazionale.<br />

Ritornando all’incarico affidatomi e presentato unitamente agli altri colleghi del Comitato<br />

Scientifico, va precisato che l’indagine è stata condotta utilizzando la metodologia<br />

grafologica di Padre Girolamo Moretti, caposcuola della Grafologia Italiana, la quale non si<br />

basa su sterili confronti “ictu oculi” tipici e connotativi di una metodologia ormai desueta e<br />

superata, ovvero quella calligrafica, bensì approfondisce la genesi neurofisiologica del gesto<br />

grafico, rapportando le modalità gestuali ai centri preposti alla motricità; per cui l’ “atto<br />

grafico” diventa “gesto grafico”.<br />

Pertanto il metodo grafologico supera la semplice fase osservativa per addentarsi in quella<br />

valutativa, nonché interpretativa.<br />

Inoltre, se è pur vero che la scrittura corsiva offre innumerevoli caratteristiche connotative<br />

della mano scrivente, lo stampatello, come nel caso in specie, seppur limitatamente,<br />

ripropone ed offre al grafologo le peculiarità più salienti della stessa.<br />

163


E’ notorio che la grafia di Leonardo da Vinci fosse una grafia “speculare” con andamento da<br />

destra a sinistra ed interpretabile, unicamente, riflessa in uno specchio.<br />

A tale caratteristica bisogna aggiungere il “mancinismo” che caratterizzava la mano<br />

scrivente dello stesso e che rendeva il gesto grafico naturale e spontaneo nella sua<br />

“specificità”.<br />

La grafia di Leonardo, inquadrata nell’epoca, mostra ricerca dell’estetica nonché variabilità e<br />

rielaborazione degli stereotipi calligrafici acquisiti.<br />

Aggiungasi a ciò che recenti studi propendono per la tesi che Leonardo fosse affetto da un<br />

problema della lettura e scrittura noto come “dislessia”.<br />

Secondo questi studi, Leonardo considerava la parola scritta come un “insieme”, una<br />

“figura” che lui riproduceva in maniera “speculare”, con una inversione dello spazio grafico,<br />

ma con un gesto fisiologicamente naturale per un mancino.<br />

La scritta “PINXIT MEA”, sottoposta ad approfondita analisi grafologica, mostra<br />

chiaramente segni di mancinismo e di specularità.<br />

Per tale indagine ho utilizzato scritture di comparazione autografe, vergate con una duplice<br />

modalità, in stampatello ed in corsivo; esse sono state estrapolate dai volumi del “Codice<br />

Atlantico”, in riproduzione anastatica, facenti parte della mia personale biblioteca.<br />

Ulteriore elemento di valutazione è stato quello di considerare, opportunamente e con i<br />

dovuti limiti, che la scritta “PINXIT MEA” è stata vergata su un supporto scrittorio ligneo,<br />

ovvero, inusuale e rigido, che ha frapposto innumerevoli e limitanti ostacoli al naturale<br />

scorrimento del mezzo scrittorio su di esso.<br />

Le immediate conseguenze, di quanto appena esposto, sono riassumibili in una<br />

“semplificazione” delle abituali modalità grafiche dello scrivente, nonché nello<br />

“sfrondamento” di orpelli e/o tratti superflui non indispensabili per la chiarezza calligrafica<br />

ma, normalmente, utilizzati dallo scrivente a seguito della personale rielaborazione degli<br />

stereotipi calligrafici collocabili nell’epoca presunta.<br />

Pertanto l’analisi grafologica è stata effettuata rispettando tutti i criteri di deontologia<br />

professionale.<br />

Per tale indagine sono state utilizzate le modalità operative che, normalmente, caratterizzano<br />

una qualsivoglia perizia grafologica forense, settore nel quale sono, quotidianamente,<br />

impegnata professionalmente.<br />

A garanzia delle corrette procedure poste in atto fa fede la Certificazione di qualità UNI EN<br />

ISO 9001 : 2000 (Quality Management System Certificate n. 69966-2010-AQ-ITA-<br />

SINCERT) rilasciato dalla DNV (accreditato SINCERT), leader mondiale nel settore. Lo<br />

studio Iuliano è, sin dall’anno 2003, l’unico, in Italia ed in Europa, ad aver conseguito tale<br />

prestigiosa certificazione, nel settore grafologico.<br />

164


Le conclusioni alle quali sono pervenuta possono, quindi, esse così riassunte:<br />

la scritta “PINXIT MEA”, vergata sul retro della tavola lignea rappresentante,<br />

presumibilmente Leonardo da Vinci, sottoposta alla mia diretta visione, può essere<br />

attribuita, con buona probabilità, alla mano scrivente di Leonardo da Vinci,<br />

proprio in virtù delle caratteristiche grafomotorie riscontrate in essa e compatibili<br />

con le scritture autografe dello stesso.<br />

la scritta “PINXIT MEA”, vergata sul retro della tavola lignea rappresentante, presumibilmente Leonardo da Vinci<br />

Spero di aver contribuito, con questo felice e qualificante, ma anche gratificante, esempio di<br />

collaborazione tra grafologia ed arte, ad arricchire ulteriormente le menti “aperte” che<br />

credono nella interdisciplinarietà di varie scienze e professionalità; ma,<br />

contemporaneamente, ad aver rassicurato le restanti menti a non temere “invasioni” di<br />

professionalità diverse, tese solo a fornire un contributo, pur nel legittimo rispetto dei ruoli.<br />

*Grafologo e Criminologo specializzata presso l’Università di Urbino e Siena e Membro del Comitato<br />

Scientifico per l’attribuzione dell’autoritratto di Leonardo da Vinci<br />

Sito web: silvanaiuliano.com - e-mail: info@silvanaiuliano.com<br />

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