Anteprima - Comune di Musile di Piave

Elaborato 

D 

0 

3 

Relazione geologica 

Monastier 

di Treviso 

Roncade 

Quarto 

d'Altino 

Meolo 

Approvato in Conferenza di Servizi 

Fossalta 

di Piave 

Realizzazione GIS con Intergraph GeoMedia 

STUDIO LUCA ZANELLA INGEGNERE 

33100 UDINE v.le XXIII marzo n.19 studio@lzi.it 

Musile di Piave 

Venezia 

San Dona' di Piave 

Jesolo 

P.A.T. 

REGIONE DEL VENETO 

DIREZIONE URBANISTICA 

PROVINCIA DI VENEZIA 

SETTORE DI PIANIFICAZIONE 

COMUNE DI MUSILE DI 

PIAVE 

IL SINDACO 

ON. GIANLUCA FORCOLIN 

RESPONSABILE AREA 

TECNICA DEL COMUNE 

DOTT. FRANCESCO BERGAMO 

PROGETTISTI: 

DOTT.PIAN.TERR.LE ALICE ZANELLA 

STUDIO ASSOCIATO ZANELLA 

ARCHITETTURA E URBANISTICA 

Via Vittime delle Foibe, 74/6 

36025 - Noventa Vicentina (VI) 

Tel. 0444 787040 – Fax 0444 787326 

info@studiozanella.it 

DOTT. ARCH. ROBERTO RAIMONDI 

Giudecca, 173 

30133 - VENEZIA 

Tel. e fax 041 5228283 

roraimondi@libero.i 

DATA: 28/02/2013

COMUNE DI MUSILE DI PIAVE 

PIANO DI ASSETTO DEL TERRITORIO 

RELAZIONE GEOLOGICA 

Quadro conoscitivo, Invarianti di natura geologica, Compatibilità 

geologica ai fini urbanistici e Dissesto Idrogeologico 

INDICE 

1 INTRODUZIONE ...................................................................................................................................................... 3 

2 GEOLOGIA DEL TERRITORIO DI MUSILE DI PIAVE ............................................................................................ 5 

2.1 LA SINTESI EVOLUTIVA DELLA PIANURA TRA SILE E PIAVE .................................................................................... 5 

2.2 LE UNITÀ GEOLOGICHE NEL COMUNE DI MUSILE DI PIAVE .................................................................................... 8 

2.3 IL PALEOSUOLO DENOMINATO “CARANTO” ......................................................................................................... 18 

3 CARTA LITOLOGICA ............................................................................................................................................. 20 

3.1 DATI DI PARTENZA E METODOLOGIA DI REALIZZAZIONE ...................................................................................... 20 

3.2 LITOTIPI PREVALENTI ....................................................................................................................................... 21 

3.3 ELABORAZIONE DELLA CARTA LITOLOGICA ....................................................................................................... 22 

4 CARTA IDROGEOLOGICA .................................................................................................................................... 25 

4.1 IDROLOGIA DI SUPERFICIE ................................................................................................................................ 25 

4.1.1 Il bacino idrografico del fiume Sile .................................................................................................................................. 26 

4.1.2 Il bacino idrografico del fiume Piave ............................................................................................................................... 29 

4.2 INSUFFICIENZA IDRAULICA DEL PIAVE NEL TRATTO ARGINATO TRA NERVESA E IL MARE ....................................... 33 

4.3 ACQUE SOTTERRANEE..................................................................................................................................... 38 

4.4 ANALISI DEL RISCHIO IDRAULICO NEL BACINO DEL SILE ...................................................................................... 41 

4.5 VULNERABILITÀ DELLE RISORSE IDRICHE SOTTERRANEE ................................................................................... 43 

4.6 ELABORAZIONE DELLA CARTA IDROGEOLOGICA ................................................................................................ 44 

5 CARTA GEOMORFOLOGICA ............................................................................................................................... 46 

5.1 INQUADRAMENTO GEOMORFOLOGICO .............................................................................................................. 47 

5.1.1 Lineamenti generali .......................................................................................................................................................... 47 

5.2 ELABORAZIONE DELLA CARTA GEOMORFOLOGICA ............................................................................................ 55 

6 FRAGILITÀ DERIVANTI DALL’ANALISI GEOLOGICA.......................................................................................... 61 

6.1 COMPATIBILITÀ GEOLOGICA AI FINI URBANISTICI ................................................................................................ 62 

6.2 AREE SOGGETTE A DISSESTO IDROGEOLOGICO ................................................................................................ 74 

7 GEOSITI ................................................................................................................................................................. 79 

7.1 MEANDRO ABBANDONATO DEL PIAVE ............................................................................................................... 79 

7.2 PALEOCANALI LAGUNARI .................................................................................................................................. 80 

1 di 83

Progetto: Comune di Musile di Piave Piano di Assetto del Territorio – RELAZIONE GEOLOGICA Quadro conoscitivo, Invarianti di natura 

geologica, Compatibilità geologica ai fini urbanistici e Dissesto Idrogeologico – Rev.:01 

Data: 28‐02‐2013 – Estensori: Prof. Geol. A. Bondesan, Dott.ssa S. Primon, Dott.ssa C. Levorato [Adastra srl]‐ Committente: Comune di Musile 


INDICE ALLEGATI 

Allegato 1 Elaborazioni Cartografiche 

Allegato 2 Schede Geositi 

Allegato 3 Stratigrafie (allegato digitale presente nel CD) 

Tavola c0501 Carta Litologica 1:15.000 

Tavola c0502 Carta Idrogeologica 1:15.000 

Tavola c0503 Carta Geomorfologica 1:15.000 

Tavola b0103 Compatibilità geologica 1:15.000 

LISTA DI DISTRIBUZIONE 

TAVOLE 

Nominativo Azienda Copie a 

stampa 

Copia ufficio Adastra srl = 

Dr. Francesco Bergamo Comune di Musile di Piave 3 

2 di 83 

Copie 

digitali 

Rev. Emissione Data Riesame Verifica Approvazione 

01 Relazione geologica 28/02/2013 FB GR AB 

00 Relazione geologica 19/12/2011 FB GR AB





1 Introduzione 

Nell’ambito del procedimento di redazione del Piano di Assetto del Territorio del Comune di 

Musile di Piave, ai sensi della L. R. 23 aprile 2004, n.11 “Norme per il governo del territorio”, le attività a 

carattere geologico svolte possono essere suddivise in due fasi: 

a. Quadro Conoscitivo 

b. Progetto 

Il quadro conoscitivo, Art.10 L.R. 11/2004, è il sistema integrato delle informazioni e dei dati 

necessari alla comprensione delle tematiche svolte dagli strumenti di pianificazione territoriale ed 

urbanistica e si compone di dati ed informazioni già in possesso delle Amministrazioni procedenti, di 

nuove informazioni acquisite ed elaborate nella fase di formazione del Piano e di dati in possesso di altri 

Enti. La formazione del quadro conoscitivo deve intendersi come la costruzione di un catalogo di 

informazioni suddivise in ambiti tematici denominati Matrici, suddivise a loro volta in livelli sempre più 

specifici: i Temi e i Sottotemi, comprensivi di Banche dati associate. 

Nell’ambito delle attribuzioni professionali di carattere geologico sono state portate a termine 

le seguenti elaborazioni: 

i. Matrice 05 Suolo e Sottosuolo; 

ii. Tema 0501‐Litologia, Sottotemi Litologia del substrato, Materiali della copertura colluviale ed 

eluviale, Materiali degli accumuli di frana, Materiali alluvionali, morenici fluvioglaciali, 

lacustri, palustri e litorali, Punti di indagine geognostica e geofisica; 

iii. Tema 0502‐Idrogeologia, Sottotema Idrologia di superficie e Acque sotterranee; 

iv. Tema 0503‐Geomorfologia, Sottotema Forme strutturali e vulcaniche, Forme di versante 

dovute alla gravità, Forme fluviali, Forme carsiche, Forme glaciali e forme crionivali, Forme 

eoliche, Forme di origine marina, lagunare e lacustre e Forme artificiali; 

v. Tema 0508‐Rischi Naturali. 

Per la definizione delle diverse voci dei sottotemi e per la restituzione grafica dei contenuti si è 

fatto riferimento al documento “Grafie Unificate per gli strumenti urbanistici comunali” di cui alla D.G.R. 

n. 615/1996. 






Il progetto rappresenta il riesame degli elementi strutturali contenuti nel quadro conoscitivo e 

si esplica nella creazione di elaborati cartografici di sintesi quali la Carta dei Vincoli, la Carta delle 

Invarianti, la Carta delle Fragilità e la Carta delle Trasformabilità. 

Sono state condotte le seguenti attività: 

i. individuazione, a partire dall’analisi geologica effettuata nel quadro conoscitivo, delle 

invarianti di natura litologica, geomorfologica e idrogeologica e dei geositi presenti nel 

territorio comunale; 

ii. analisi di Compatibilità geologica con suddivisione del territorio comunale in aree idonee, 

aree idonee a condizione e aree non idonee, e perimetrazione delle aree soggette a dissesto 

idrogeologico. 

Nell’ambito della redazione del quadro conoscitivo sono stati raccolti, catalogati e verificati i 

dati e le informazioni appartenenti a relazioni geologico‐tecniche, bibliografia scientifica e progetti di 

analisi territoriale svolti da vari enti, quali ad esempio Consorzi di Bonifica, Autorità di Bacino, Regione, 

Provincia e dallo stesso Comune di Musile di Piave creando un archivio informatico di tutta la 

documentazione utilizzata denominato: DB_PAT_MUS. 

A tutti i documenti inseriti nel DB_PAT_MUS è stato associato un ID di riferimento composto 

dalla lettera D (documento) seguita da un numero progressivo (il primo documento inserito nell’archivio 

ha codice identificativo DB_PAT_MUS_D1 e così di seguito); all’allegato 1 è riportato il catalogo 

completo della documentazione con associati gli ID per facilitare la lettura e la comprensione delle 

banche dati. 

Per la matrice Suolo e Sottosuolo e i relativi temi sviluppati, nonché per le elaborazioni di 

progetto quali vincoli, invarianti e fragilità sono stati redatti i metadati riferiti ai livelli informativi 

utilizzando la maschera di compilazione, standard ISO 19115 Ver 3.1 giugno 2007, in formato. xls fornita 

dalla Regione Veneto; i metadati sono dei documenti di identificazione e descrizione del contenuto di un 

insieme di dati che descrivono in maniera inequivocabile le informazioni temporali, qualitative, spaziali e 

gestionali di ciascun livello. 

Per lo svolgimento delle attività di analisi geologica e di individuazione degli elementi di 

progetto del piano di assetto del territorio è stato istituito un gruppo di lavoro costituito da tecnici e 

professionisti di comprovata esperienza specifica. 

Tutti i dati sono stati elaborati mediante l’utilizzo di software GIS, sono stati forniti in formato 

di interscambio shape e sono stati organizzati in classi (file shape) distinte in base alla tipologia della 

primitiva geometrica (punto, linea, area), in riferimento agli Atti di Indirizzo relativi alla L.R. 11/2004. 






Sono stati stampati e forniti in formato cartaceo alla scala 1:10.000 i seguenti elaborati: 

i. c0501 Carta Litologica; 

ii. c0502 Carta Idrogeologica; 

iii. c0503 Carta Geomorfologica. 

iv. b0103 Carta della Compatibilità geologica. 

2 Geologia del territorio di Musile di Piave 

[fonti principali: Bondesan & Meneghel (a cura di), (2004) Carta Geomorfologica della Provincia di 

Venezia; Bondesan et alii, (2008) Carta delle Unità Geologiche della Provincia di Venezia] 

2.1 LA SINTESI EVOLUTIVA DELLA PIANURA TRA SILE E PIAVE 

Sulla scorta del quadro geologico generale e delle ricerche condotte nel tratto di pianura 

compreso tra Sile e Piave è possibile comporre una sintesi evolutiva dall’Ultimo Massimo Glaciale (LGM) 

a oggi. 

Ultimo Massimo Glaciale (22.000–15.000 anni a 14 C BP) – Durante l’ultimo massimo glaciale 

questo tratto di pianura era in accrescimento per effetto dei depositi abbandonati dal Piave che 

costruiva il megafan di Nervesa. Come è noto, la linea di costa si trovava in Adriatico in una posizione 

nettamente avanzata, tra Ancona e Pescara, a una quota di circa 120 m più bassa rispetto a oggi. I fiumi 

alpini possedevano portate molto più elevate di oggi a causa della grande disponibilità dell’acqua di 

fusione glaciale. 

La disattivazione della pianura alluvionale probabilmente ebbe luogo alla fine del LGM. I 

principali elementi geomorfologici sussistono ancora oggi nel paesaggio attuale come forme relitte. 

Gli studi paleobotanici condotti nell’area del Basso Piave (MIOLA et alii, 2003) e, in particolare, 

in un’area situata a ovest del territorio comunale (tenuta di Ca’ Tron) ha individuato un paesaggio a 

steppa (Poaceae, Artemisia, Chenopodiaceae, Caryophyllaceae) con scarsa copertura arborea (Pinus, 

Betula). Vaste torbiere ricoprivano la pianura per decine di chilometri quadrati, venendo 

periodicamente seppellite da eventi alluvionali. Nell’area di Ca’ Tron sembra essere documentato il 

succedersi di almeno quattro eventi sedimentari principali, intervallati da episodi di formazione di torbe, 

in un arco cronologico compreso tra 22.000 e 16.000 anni BP, che hanno portato alla deposizione di 

oltre 15 m di sedimenti. Questo meccanismo di aggradazione della pianura sembra essersi sviluppato 

durante il pleniglaciale con modalità molto simili in tutta la pianura veneto‐friulana. 






Quel che accadde tra il Pleistocene superiore e l’Olocene fino all’incirca al periodo Atlantico 

non è testimoniato dalle forme presenti in quest’area. Non sono stati riconosciuti infatti né eventi di 

aggradazione, né di incisione, il che fa propendere per una sorta di stasi nei processi geomorfologici. 

Siamo del resto in una posizione molto marginale, al limite estremo dei due sistemi del Brenta e del 

Piave. Il primo non è più attivo dalla fine del Pleistocene, il secondo è in una fase di aggradazione che 

interessa maggiormente i tratti della pianura più orientali e più prossimi all’apice della conoide 

(BONDESAN A. & MOZZI, 2002). 

Olocene medio: Atlantico e Sub–boreale (8000–2500 anni a 14 C BP) – La laguna di Venezia inizia 

a formarsi in seguito alla trasgressione flandriana che raggiunge il suo acme attorno a 6–5000 anni a 14 C 

BP. Il Piave scorreva da Caposile verso il Cenesa in un alveo incassato all’incirca 3000 anni a 14 C BP. Più o 

meno nello stesso periodo un ramo del Piave scendeva da Nervesa in destra idrografica, seguiva 

l’incisione dell’attuale Sile e confluiva nella laguna di Venezia. Dopo la disattivazione, quindi a partire dal 

primo millennio a.C., il Sile assumeva l’attuale connotazione di fiume di risorgiva e costruiva il proprio 

dosso fluviale e il delta endolagunare. 

Il Cenesa, che è oggi uno dei principali canali lagunari presenti nella laguna settentrionale di 

Venezia probabilmente drenava le acque dell’intero sistema idrografico compreso tra Sile e Piave. 

Dall’area tra Meolo e Sile si raccoglievano le acque dei fiumi Vallio e Meolo, lungo percorsi in parte 

differenti dagli attuali. I sedimenti appartenenti a questo periodo prelevati presso l’attuale margine 

perilagunare sono di origine fluviale, ed è quindi molto probabile che la laguna nord di Venezia fosse 

almeno parzialmente emersa e occupata da una pianura alluvionale costiera. Sulle superfici planiziali del 

LGM la pedogenesi progrediva determinando la formazione di calcisuoli. 

La prima presenza umana risale al Mesolitico con i cacciatori–raccoglitori del Sauvetteriano e 

del Castelnoviano, con ritrovamenti che si estendono al neolitico e all’eneolitico (BROGLIO, FAVERO & 

MARSALE, 1987). 

Le datazioni al carbonio 14 relative al ponte ligneo rinvenuto lungo il ramo più antico della via 

Annia suggeriscono la presenza di strutture di attraversamento dell’alveo già durante l’età del Bronzo 

finale e dimostrano la probabile esistenza di una viabilità strutturata nel periodo veneto antico. 

Olocene superiore: Subatlantico (2500–0 anni a 14 C BP) – Si forma un reticolo idrografico minore 

alimentato dalle risorgive e dalle acque di ruscellamento. L’attività geomorfologica è limitata ed è 

improntata sulla morfologia pleistocenica ereditata. L’aumento eustatico del livello del mare e la 

subsidenza producono una generale retrocessione verso la terraferma del margine lagunare. Dal I 

millennio a.C. all’età romana la pianura era attraversata da fiumi di risorgiva dei quali è rimasta oggi 

traccia sulla superficie della pianura. Il Musestre poteva deviare verso il paleoalveo della Canna, seguire 






il canale Fossonetto, il canale Fosson e il canale Lanzoni; il Vallio poteva essere collegato allo scolo 

Arnasa e all’attuale Vallio a ovest di Meolo. L’Arnasa nasceva probabilmente a sud del paleoalveo San 

Cipriano–Meolo, dove anche oggi il microrilievo ci mostra l’esistenza di una depressione nella pianura 

aperta verso sud–est che poteva incanalare anche in passato le acque superficiali. Il paleo–Vallio doveva 

proseguire verso Marteggia e collegarsi al Lanzoni attraverso il canale Canellara, dopo aver superato il 

ponte sull’Annia; il Meolo, come è testimoniato dai due ponti sull’Annia, proveniva dall’abitato di 

Meolo, seguiva il Colatore e a La Fossetta si collegava anch’esso al reticolo del Lanzoni (BONDESAN A. & 

MOZZI, 2002c). I ponti romani sono descritti in Croce da Villa (a cura di, 1990). 

La presenza umana nell’età del Ferro è confermata dalla locale deforestazione. Il mancato 

ritrovamento nei campioni analizzati di pollini di vegetazione ripariale (bosco idrofilo, canna palustre) 

potrebbe essere imputata sia alla presenza di suoli ben drenati che alla manutenzione degli alvei da 

parte dell’uomo. Gli spettri pollinici confermano la presenza di pratiche agricole e di allevamento. 

In età romana la costruzione della via Annia nel 153 a.C. (o 131 a.C., la data non è certa) 

probabilmente lungo un antico tracciato viario dell’età del Bronzo e successivamente del Ferro 

determina un aumento della pressione antropica e del governo idraulico e agricolo del territorio. Le 

tracce geometriche attribuibili a lineamenti antropici che hanno lasciato la loro impronta sul terreno 

sono molto numerose e sono probabilmente in connessione con l’uso antico del territorio. 

Nel I secolo d.C. il ricoprimento della via Annia esterna da parte di sedimenti lagunari consente 

di stabilire un evento di risalita relativa del livello marino che probabilmente è la causa della costruzione 

successiva della variante stradale più interna nella seconda metà del I secolo a.C. Se la strada 

precedente era di terra battuta (sfruttando il caranto abbondantemente presente nell’area), il nuovo 

tracciato viene realizzato in rilevato, con sede stradale inghiaiata e ponti in pietra in corrispondenza 

degli attraversamenti fluviali. 

Medio Evo e Rinascimento – Gli spettri pollinici studiati indicano una progressiva riduzione dei 

boschi a quercia e un contemporaneo aumento dell’agricoltura (orzo, avena e frumento) e 

dell’allevamento di bestiame. A partire dal IV secolo d.C. vi sono testimonianze geologiche e 

archeologiche di una ingressione lagunare avvenuta in età medievale. I campioni di sedimenti lagunari 

confermano questa ingressione che ha caratterizzato l’intero tratto costiero alto adriatico. Gli alvei 

fluviali vengono occupati dalle acque lagunari e costituiscono delle vie preferenziali di ingressione. 

Età Moderna – Questo tratto di pianura è stato interessato da deviazioni fluviali e da 

trasformazioni delle rete idraulica molto consistenti. Il primo intervento risale al progetto della Fossetta 

che, dal 1441, metteva in comunicazione Sile e Piave, collegando Fossalta di Piave al Meolo, al Vallio e al 

Sile attraverso il quale gli idraulici veneziani estromisero nel 1683 le acque del fiume dalla laguna, 






inalveando artificialmente il corso d’acqua nella Piave Vecchia. Questo intervento fu accompagnato 

anche da un riordino della rete idrografica minore attraverso la costruzione di manufatti idraulici e 

l’esecuzione di interventi non coordinati che hanno modificato nel tempo l’assetto idraulico. Il XIX e il XX 

secolo sono gli anni delle grandi bonifiche idrauliche che consentono di recuperare per scopi agricoli 

vaste porzioni del territorio oggi al di sotto del livello del mare. La falda freatica viene mantenuta 

artificialmente depressa attraverso il sollevamento idraulico a opera degli impianti idrovori, ma il 

carattere anfibio della gronda lagunare rimane ancora molto evidente dalle tessiture, dall’altimetria e 

dal reticolo dei paleoalvei rappresentati nella carta geomorfologica. 

2.2 LE UNITÀ GEOLOGICHE NEL COMUNE DI MUSILE DI PIAVE 

L’assetto geologico del comune di Musile di Piave è strettamente connesso alla storia 

quaternaria e alla successione deposizionale recente. In figura 1 sono riportate le unità geologiche che 

caratterizzano questa porzione di territorio, tratte dalla Carta delle Unità Geologiche della Provincia di 

Venezia (Bondesan et alii, 2008). Il territorio comunale di Musile di Piave è costituito dalle unità 

geologiche di Meolo, S. Donà di Piave, Caposile e Montiron. 

Figura 1: Unità geologiche nel Comune di Musile di Piave. 






In particolare, il tratto di pianura esaminato è interessato dai depositi alluvionali del Piave 

pertinenti all’ala destra del megafan di Nervesa (figura 2). L’età della pianura è relativamente antica con 

terreni appartenenti al Pleistocene superiore (unità di Meolo), ai quali sono sovrapposti lembi ristretti 

ed esigui di coperture più recenti deposte dallo stesso Piave (unità di Losson, Caposile, Cittanova e S. 

Donà di Piave) e dai fiumi di risorgiva, in particolare Musestre, Vallio e Meolo. La morfogenesi è stata 

controllata dalle oscillazioni relative del livello marino che hanno comportato avanzamenti e 

arretramenti del margine interno delle lagune (unità di Montiron e Caorle) e dalle fasi di incisione o 

deposizione fluviale, legate sia alle variazioni del livello di base che alla dinamica sedimentaria del 

bacino. Verranno di seguito descritte le unità geologiche affioranti all’interno del territorio comunale di 

Musile di Piave. 

Figura 2: Stralcio della Carta delle Unità Geologiche della Provincia di Venezia (Bondesan et alii, 2008). Di seguito è riportata la legenda. 











L’unità di Meolo corrisponde alla porzione di pianura collocata tra i dossi del Sile e del Piave, 

all’interno della quale il dosso di Meolo costituisce l’elemento maggiormente rilevato. Si tratta di una 

culminazione poco pronunciata, orientata in senso NW‐SE, isolata, che manifesta una prosecuzione da 

monte attraverso l’affioramento di sabbie, mentre si apre a valle in un ventaglio generato 

probabilmente dagli spostamenti laterali di antichi corsi fluviali. Alcune tracce allungate e ben definite 

proseguono verso est, oltre La Fossetta e potrebbero essere collegate agli antichi percorsi del Meolo. 

L’origine del dosso di Meolo è collegata a un’importante diramazione di un Piave pleistocenico 

o olocenico antico che già si era disattivato almeno 8000 anni fa; Castiglioni & Favero (1987) lo collegano 

alle tracce di Rovarè e Monastier. In superficie si osservano dossi fluviali generalmente molto blandi, 

sabbiosi, separati da piane alluvionali a tessitura prevalentemente limoso argillosa. 

Figura 3: transetto n.17 Cà Tron. 

Nel sottosuolo l’unità di Meolo è caratterizzata dalla presenza di numerosi corpi di canale (vedi 

transetto Cà Tron, n.17 nella Carta delle Unità Geologiche della Provincia di Venezia, figura 3) 

riconoscibili attraverso la presenza di lenti sabbiose o sabbioso‐limose, solitamente spesse 2‐3 m, 

scarsamente interconnesse e separate da sedimenti limoso‐argillosi di piana distale. Tale architettura 






sedimentaria corrisponde ad un sistema deposizionale generatosi per successive avulsioni a monte dei 

corsi fluviali antichi. Una caratteristica interessante è la grande abbondanza di sottili livelli torbosi che 

dimostrano una elevata estensione laterale. Essi sono stati generati, con ogni probabilità, durante il 

Pleistocene quando le piene dei fiumi pensili, alimentati dalle acque glaciali, erano in grado di 

mantenere elevata la falda superficiale generando in tal modo estese torbiere all’interno delle 

depressioni mal drenate della pianura. A causa degli elevati ratei di aggradazione, alcune torbiere furono 

attive solo per pochi secoli, prima di essere sepolte dai depositi alluvionali. Tali torbiere sono note in 

tutta la pianura veneta su estensioni che superano anche le decine di chilometri quadrati. Le numerose 

radiodatazioni disponibili dimostrano che i depositi si sono formati nell’Ultimo Massimo Glaciale (LGM) 

con spessore compresi generalmente tra 15 e 30 m e con tassi di accrescimento pari a 2‐3 mm/anno con 

picchi di 10 mm/anno (Bondesan et al., 2002, 2004a; Bondesan & Meneghel, 2004, Fontana et al., 2008). 

L’unità di S. Donà di Piave fa capo principalmente all’ampio dosso del Piave e a due sue 

principali diramazioni che si dipartono dal centro abitato di S. Donà. La più orientale è costituita dal 

Taglio di Cortellazzo (alla quale è aggregata la direttrice del Taglio da Re) e la più occidentale dalla Piave 

Vecchia (ora alveo del Sile). 

Le età, e conseguentemente lo spessore dei depositi superficiali afferenti al dosso, sono 

diverse. Risulta molto più antico il tratto a monte di S. Donà di Piave (almeno pre‐romano), mentre risale 

al VI sec. d.C. l’inizio della formazione del ramo della Piave Vecchia, forse in conseguenza di una rotta. La 

torba, datata alla base del dosso in prossimità di Caposile, ha fornito un’età calibrata pari a 530‐680 d.C. 

Il Taglio da Re si colloca tra Piave Vecchia e Piave di Cortellazzo e corrisponde al diversivo realizzato nel 

1534; del vecchio alveo rimane traccia in un modesto canale di bonifica. All’altezza di Eraclea il dosso si 

appiattisce, mentre prosegue la fascia sabbiosa corrispondente alla direttrice fluviale. 

L’alveo attuale del Piave, terminato di scavare nel 1664, scorre rettilineo fino ad Eraclea, dove il 

tracciato si inserisce in un più antico percorso a meandri. Il dosso risulta ampio 2‐3 km e alto circa 3 m 

sui terreni circostanti; risulta ben elevato fino a Eraclea, per poi decrescere da lì fino alla foce. 

Il modello geologico generale prevede un corpo dossivo sabbioso‐limoso, di spessore e 

ampiezza variabili, allineato lungo le direttrici fluviali. In profondità, dove si incontrano le unità di Caorle 

e di Meolo, più corpi di canale si alternano a sedimenti fini di piana alluvionale, con i quali mostrano una 

eteropia laterale; orizzonti centimetrici suborizzontali testimoniano paleo superfici correlabili 

lateralmente anche per alcuni chilometri. 






Figura 4: transetto n.10 Ferrovia. 

Transetto n. 10 (Ferrovia), figura 4 ‐ In corrispondenza dell’attraversamento dell’alveo attuale a 

San Donà di Piave, a partire da almeno ‐35 m s.l.m., sono presenti sequenze di corpi di canale costituiti 

da sabbie medie e fini con spessori fino a 10 m circa e sviluppo laterale superiore ai 100 m (unità di 

Meolo e di Caorle). In profili vicini (non rappresentati in questo volume) si sono osservati spessori delle 

sabbie fino a 20 m). Talora sono segnalati alla base elementi ghiaiosi. I depositi sabbiosi sono intercalati 

da orizzonti sottili, decimetrici, prevalentemente limoso‐argillosi. Lateralmente, sequenze di sedimenti 

fini, prevalentemente argilloso‐limose, danno luogo a depositi di piana alluvionale che sono in eteropia 

con i corpi di canale al di sotto dell’attuale tracciato fluviale, suggerendo una possibile stabilità (o 

ricorrenza) del percorso del Piave nel corso dell’Olocene e, probabilmente, di parte del Pleistocene 

superiore. A ‐33 m si osservano orizzonti torbosi centimetrici che fungono da marker stratigrafico 

correlato ai vicini transetti stratigrafici (n. 11 e 12), probabilmente di età pre‐LGM. 






Transetto n. 11 (Taglio della Piave), figura 5 ‐ I depositi superficiali corrispondenti agli odierni 

dossi del Piave di Cortellazzo e del Canale Taglio da Re sono costituiti da riporti artificiali e depositi 

sabbiosi, talora limosi, debolmente sviluppati (1‐2 m). I sedimenti di argine risultano essere rimaneggiati 

in virtù della loro origine antropica. Durante il XVI e il XVII secolo il Taglio da Re prima, e il Taglio di 

Cortellazzo poi, divennero infatti i nuovi percorsi del Piave che, escluso dall’alveo della Piave Vecchia, 

venne portato a defluire nel Gran Lago della Piave e quindi, dopo la rotta della Landrona (1683), presso 

l’attuale foce di Cortellazzo. I nuovi alvei, con i relativi rilevati arginali, furono creati ex‐novo, tagliando 

la piana paludosa che si estendeva a valle di S. Donà, come si evince dalle torbe e dai depositi fini. Le 

sequenze sedimentarie mostrano anche l’unità di Caorle e la sottostante unità di Meolo che sono 

caratterizzate dalla presenza di corpi di canale che si sono accresciuti sia al di sotto del tracciato attuale, 

che più a est. Il grande deposito sabbioso tra i ‐14 e i ‐26 m (unità di Meolo) potrebbe essere generato 

dalla coalescenza di più rami fluviali o dalla migrazione laterale dell’alveo in fase di accrescimento. La 

maggior estensione del profilo consente di definire meglio le tipiche architetture sedimentarie date da 

corpi di canale prevalentemente sabbiosi e sabbioso‐limosi passanti lateralmente a sequenze di piana 

alluvionale a tessitura prevalentemente fine. I sottili livelli torbosi sono parte di orizzonti facilmente 

correlabili data la loro notevole estensione laterale. 






Figura 5: transetto n.11 Taglio della Piave (legenda in fig. 4). 

Transetto n. 12 (Piave Vecchia), figura 6 ‐ Il dosso sabbioso della Piave Vecchia mostra spessori 

fino a 8 m, estendendosi lateralmente per più di un chilometro. Il deposito pertinente al dosso si colloca 

al di sopra di sedimenti fini di piana alluvionale fino a ‐10/‐12 m. Sequenze sabbiose di corpi di canale si 

susseguono più in basso, secondo lo schema deposizionale già descritto, intervallati da depositi torbosi 

centimetrici/decimetrici. Le sabbie risultano percentualmente più abbondanti rispetto al settore 

rappresentato dal transetto n. 11. 






Figura 6: transetto n.12 Piave Vecchia (legenda in fig. 4). 

Figura 7: transetto n.13 CPS (legenda in fig. 4). 






L’unità di Caposile è caratterizzata da depositi alluvionali costituiti da sabbie e sabbie limose di 

canale con spessore di almeno 3 m; al tetto sono presenti limi, limi argillosi e argille limose, talora con 

sostanza organica e livelli di torba, che corrispondono a facies di canale abbandonato e di piana 

inondabile. A partire da Caposile si osserva un paleoalveo molto evidente distaccarsi dal dosso della 

Piave Vecchia. Tale antico percorso non conserva alcun rilievo morfologico, ma la sua connessione 

genetica con l’alveo della Piave Vecchia sembra essere suggerita dallo sviluppo planimetrico dei due 

rami. 

Attraverso le fotografie aeree, si osserva come la fascia del paleoalveo sia solcata all’interno da 

una traccia più scura, che tipicamente è connessa alla disattivazione e conseguente chiusura del sistema 

(“tappo argilloso”). I carotaggi condotti in sito, che hanno consentito di ricostruire il transetto n. 13 

(Transetto CPS), figura 7, confermano l’osservazione. 

Il corpo sabbioso, largo più di 100 m, taglia due orizzonti torbosi sub orizzontali. Il livello 

inferiore di torba è stato datato con il metodo del radiocarbonio e ha fornito un’età calibrata di 1390‐ 

1540 anni a.C. (3200±50 anni BP). I depositi argillosi e limoso‐argillosi che ospitano il riempimento 

d’alveo risultano ricchi di sostanza organica e di resti conchigliari. 

L’ipotesi più attendibile è che si tratti di un antico percorso, attivatosi nel secondo millennio 

a.C., che poneva in connessione le acque del Piave con l’apparato del canale lagunare Cenesa. Tale 

ipotesi pare del resto confermata dalla presenza di corpi sabbiosi riconducibili al Piave individuati da E. 

Canal alla base dello stesso Canale Cenesa (Bondesan & Meneghel, 2004). Le dimensioni dell’alveo 

potevano essere comparabili con l’odierno percorso fluviale. 

L’unità di Montiron è formata da depositi lagunari caratterizzati prevalentemente da facies di 

fondo lagunare ‐ piana intertidale e di palude salmastra (barene/salt marsh), con evidenza di fluttuazioni 

nella salinità dell’acqua legate all’alterno influsso dei fiumi che sfociavano in laguna. 

All’interno dell’unità di Montiron, il settore compreso tra il Canale Fossetta e il Taglio del Sile è 

caratterizzato dalla presenza di numerosi paleocanali lagunari che in alcuni casi, hanno riutilizzato gli 

alvei dei fiumi provenienti da NW (Vallio e Meolo), risalendo così l’entroterra attraverso percorsi 

predefiniti. In questo settore i sedimenti lagunari raggiungono lo spessore di qualche metro solo 

all’interno degli alvei fluviali, mentre esternamente lo spessore dei sedimenti è molto ridotto (massimo 

1‐2 m). L’ingressione lagunare in quest’area viene fatta risalire all’età alto medievale (Bondesan & 

Mozzi, 2002). 






2.3 IL PALEOSUOLO DENOMINATO “CARANTO” 

Alla luce degli studi effettuati (Matteotti, 1962; Gatto & Previatello, 1974; Gatto, 1980; 1984; 

Mozzi et al., 2003), si può affermare che con il termine caranto nell’area lagunare veneziana si identifica 

un livello ubicato alla base dei depositi lagunari, posto al tetto della sottostante serie alluvionale. Questo 

intervallo, mediamente spesso 1‐2 m, è costituito da limi argillosi e argille notevolmente compatti, con 

colorazioni screziate dall’ocra al grigio e comuni noduli carbonatici duri con diametro da pochi millimetri 

a 1–2 cm. La sua tipica sovraconsolidazione è da imputarsi alla pedogenesi. 

I tempi disponibili per la formazione del caranto vanno dalla disattivazione del sistema fluviale, 

presumibilmente avvenuta tra 14.500 e 10.000 a 14 C BP, e l’arrivo dell’ingressione marina. Quest’ultima 

avvenne precocemente (6000 – 5000 a 14 C BP) nei settori litoranei, e solo successivamente in quelli più 

interni; anche le zone dell’alto morfologico pleistocenico, segnalato nel sottosuolo del Lido, potrebbero 

essere state raggiunte tardivamente dalla trasgressione rispetto alle aree depresse circostanti. Il caranto 

è dunque un marker stratigrafico del limite Pleistocene/Olocene, ma la lacuna sedimentaria che 

rappresenta copre ambiti temporali diversi a seconda delle località considerate. 

Le interruzioni nell’estensione delle aree a caranto sono interpretabili in termini di variazioni 

delle caratteristiche geopedologiche del substrato alluvionale pleistocenico, su cui si è sviluppata la 

medesima fase pedogenetica. Non è necessario ipotizzare episodi di incassamento del reticolo fluviale e 

conseguente erosione localizzata del caranto per spiegare la sua discontinua distribuzione areale. 

Ovviamente, dove si fossero effettivamente verificati questi processi di incassamento l'erosione ha 

asportato l'eventuale orizzonte di caranto. 

In ultimo, si ricorda che il vocabolo caranto non è di estrazione scientifica, e il suo utilizzo non si 

limita all’area lagunare. Infatti, si tratta di un termine tradizionale che, nelle campagne venete, indica 

suoli agrari di difficile arabilità, solitamente a causa di noduli e croste carbonatiche. Questo a volte può 

generare una certa confusione, essendo il termine caranto riferito a suoli o paleosuoli di età e origine 

anche molto diversa. 

Infatti, in tutta la pianura veneto‐friulana i suoli sviluppatisi sulla pianura LGM e ancora 

affioranti, o coperti dai sedimenti costieri e alluvionali durante l'Olocene possiedono caratteristiche 

comparabili con quelle del caranto del sottosuolo della laguna di Venezia e, ormai, è divenuta prassi 

definire questi profili pedologici o i loro orizzonti carbonatici con il termine caranto. Agronomi, pedologi, 

ma anche geologi e archeologi, operanti nella pianura veneta spesso lo usano nelle loro relazioni, per 

indicare genericamente la presenza di orizzonti di accumulo dei carbonati e in vari casi anche per suoli 

meno sviluppati di quelli presenti al top della sequenza alluvionale LGM. 






Il livello denominato caranto inteso come marker stratigrafico del limite Pleistocene/Olocene, è 

rappresentato nella carta della quota della base dei depositi post‐LGM (Bondesan et alii, 2008, figura 8). 

Questa carta è stata realizzata interpolando manualmente i dati relativi alla profondità, riferita al livello 

medio mare, della base dei depositi post‐LGM prendendo in considerazione tutte le indicazioni che 

mettono in evidenza il limite tra i depositi pleistocenici e i sovrastanti depositi olocenici. In particolare 

sono stati selezionati e analizzati tutti i sondaggi con indicata la presenza del caranto (inteso come 

paleosuolo pleistocenico) e, inoltre, sono state utilizzate tutte le datazioni radiometriche che 

evidenziano il contatto tra depositi di età pleistocenica e depositi di età olocenica. 

Per il settore del territorio provinciale veneziano che ricade in terraferma sono stati analizzati i 

dati stratigrafici inseriti nella banca dati delle indagini geognostiche della provincia di Venezia, mentre 

per l’area del Portogruarese i dati sono stati confrontati e integrati con quelli relativi alla profondità 

della base del Sintema del Po riportati nel foglio CARG 107 “Portogruaro” (Bondesan et al., in stampa). 

In sintesi, la superficie rappresentata nella carta riflette le caratteristiche topografiche della 

pianura tardo‐pleistocenica al momento della disattivazione dei processi fluviali, in parte rimodellata 

dalla successiva trasgressione marina e dai processi di subsidenza ancora in atto. Il settore contraddisto 

in giallo rappresenta la pianura pleistocenica affiorante e nel caso della porzione compresa nel territorio 

comunale di Musile di Piave, corrisponde all’unità di Meolo. 

Figura 8: Stralcio della Carta della quota della base dei depositi post-LGM (Bondesan et alii, 2008). 






La base dei depositi post‐LGM all’interno del territorio provinciale si trova a una quota sul 

livello medio mare che varia da un massimo di +8 m nell’area centrale nei pressi di Stra, fino a un 

minimo di –26 m nel settore meridionale a nord di Cavanella d’Adige. In generale si osserva una 

pendenza di questa superficie orientata da NW verso SE nel settore centro‐meridionale, mentre la 

direzione della pendenza cambia da N verso S nel settore nord‐orientale. 

Dall'analisi della carta risultano particolarmente evidenti le incisioni fluviali del settore distale 

del megafan del Tagliamento formatesi tra il Tardoglaciale e l'Olocene iniziale. Due di queste incisioni 

coincidono con le bassure occupate dagli attuali corsi di Reghena e Lemene, mentre quelle più orientali 

sono state completamente riempite dalla sedimentazione successiva e sono state riconosciute grazie ai 

carotaggi stratigrafici. Anche in altri settori più sud‐occidentali della provincia si osserva la presenza di 

incisioni fluviali di una certa importanza, ma il dettaglio con cui si è potuto seguire il loro andamento è 

notevolmente inferiore a quello raggiunto nel Portogruarese; tale minor risoluzione è dovuta alla 

diversità delle geometrie dei corpi e alla minor densità di sondaggi disponibili. Nel settore di terraferma 

le più significative sono quelle coincidenti con l’attuale corso del fiume Piave e del Sile, e quella situata 

nell’area meridionale a sud dell’attuale alveo del Brenta. 

3 Carta Litologica 

La Carta Litologica deriva dall’analisi del tema c0501‐Litologia e dei suoi relativi sottotemi; le 

voci di legenda derivano dal documento “Grafie Unificate per gli strumenti urbanistici comunali” di cui 

alla D.G.R. n. 615/1996. In tale documento sono rappresentate le litologie caratteristiche del primo 

metro di profondità dal piano campagna; le coperture sono classificate in riferimento al processo di 

messa in posto del deposito o dell’accumulo, allo stato di addensamento e alla tessitura dei materiali 

costituenti. 

I dati elaborati sono stati restituiti in formato. shp nelle seguenti classi: 

i. c0501011_CartaLitologicaA.shp (aree); 

ii. c0501013_CartaLitologicaP.shp (punti). 

3.1 DATI DI PARTENZA E METODOLOGIA DI REALIZZAZIONE 

Il documento è stato predisposto “ex novo” sulla scorta delle personali conoscenze del 

territorio e grazie all’esame di un congruo numero di prove geognostiche distribuite in tutto il Comune. 

Sulla Carta Litologica sono riportate le posizioni delle varie indagini con vicino il codice identificativo del 

sondaggio attribuito dalla Provincia di Venezia, tale codice è stato inserito in un apposito campo 

attributi della classe c0501013_CartaLitologicaP denominato ID_DATO; è stato inserito, inoltre, il campo 






PROFONDITA’ con riportata la profondità di perforazione raggiunta in ciascuna indagine. Si tratta dei 

sondaggi a carotaggio continuo e delle trivellate della Provincia di Venezia. Le stratigrafie sono proposte 

in versione informatica all’Allegato 1 Stratigrafie (presente nel CD allegato). 

Nel caso, peraltro piuttosto frequente, in cui nell’intervallo in esame (da ‐1 a ‐4 m dal p.c.) fosse 

stata rilevata un’alternanza di strati con caratteristiche litologiche diverse è stato selezionato il litotipo 

prevalente. 

3.2 LITOTIPI PREVALENTI 

Lo schema geologico dell’area del comune di Musile di Piave prevede un sequenza 

deposizionale che può essere sintetizzata come segue: 

1) DEPOSITI ALLUVIONALI PLEISTOCENICI: si tratta di depositi alluvionali costituiti 

prevalentemente da limi e limi argillosi di piana di esondazione, talvolta alternati a livelli di 

sabbie e sabbie limose. In profondità sono presenti i depositi di ambienti diversi: dalle sabbie 

limose e limi sabbiosi di canale, di argine e di ventaglio di rotta fluviale alle sabbie di canali 

braided sabbiosi fino ai sedimenti fini di piana distale. Spesso i sedimenti fini sono intercalati 

da orizzonti pluricentimetrici di argille organiche e torbe. Lo spessore dei sedimenti 

dell’Ultimo Massimo Glaciale ha un valore medio di circa 20 m ma può raggiungere anche i 

30 m. 

2) DEPOSITI ALLUVIONALI OLOCENICI: sono depositi alluvionali legati ai dossi delle direttrici 

moderne e attuale del Piave e, in minor misura, del Sile. Le tessiture prevalenti sono sabbie, 

sabbie limose, limi sabbioso‐argillosi e limi corrispondenti a depositi di canale (spessi fino a 

10‐20 m), argine e ventaglio di rotta fluviale. La presenza di argille e argille limose, talora con 

sostanza organica, è connessa ai depositi di piana di esondazione. 

3) DEPOSITI LAGUNARI/PALUSTRI: questi depositi sono costituiti da limo argilloso e argilla 

limosa, talora ricchi in sostanza organica, e da alternanze centimetriche e decimetriche di 

sabbia fine, con percentuali variabili di limo e argilla, e di argilla limosa, finemente laminate. 

Nei depositi prettamente lagunari si rinvengono abbondanti molluschi frammentati o interi 

(Cerastoderma, Loripes, Bittium). 






3.3 ELABORAZIONE DELLA CARTA LITOLOGICA 

Nel seguente paragrafo sono descritti i dati e le fonti reperiti per l’elaborazione della Carta 

Litologica (figura 9) ed è illustrata la metodologia di analisi e di elaborazione che ha portato alla 

redazione della Carta seguendo le voci di legenda derivanti dal documento “Grafie Unificate per gli 

strumenti urbanistici comunali” di cui alla D.G.R. n. 615/1996. La tipologia di dati e le fonti utilizzate 

sono descritti prendendo in analisi ad una ad una le voci presenti nella legenda della Carta stessa e 

analizzando di volta in volta il processo di elaborazione svolto. 

Figura 9: Carta litologica del comune di Musile di Piave 

MATERIALI ALLUVIONALI, LACUSTRI, PALUSTRI E LITORALI 

L‐ALL‐05 “materiali alluvionali, fluvioglaciali, morenici o lacustri a tessitura 

prevalentemente limo‐argillosa” (DGR 615/1996). 






Sono stati associati a questa voce i terreni alluvionali di natura limosa e argillosa 

derivanti dalle antiche divagazioni del fiume Piave. I limiti sono stati ricavati unendo i 

poligoni limo fluviale e argilla dal file tessitura_terraferma.shp tratto da Bondesan A., 

Meneghel M., Rosselli R. e Vitturi A. (a cura di), Progetto DOGE, Carta Geomorfologia 

della Provincia di Venezia, Venezia, 2004 e sono stati validati tramite le informazioni 

puntuali provenienti dalle stratigrafie ricavate da relazioni geologico tecniche elaborate 

per aree appartenenti al comune di Musile di Piave e dalla banca dati della Provincia di 

Venezia. 

Primitiva geometrica: Area 

L‐ALL‐06 “materiali alluvionali, fluvioglaciali, morenici o lacustri a tessitura 

prevalentemente sabbiosa” (DGR 615/1996). 

Sono stati associati a questa voce i depositi sabbiosi appartenenti al dosso entro cui 

scorre attualmente il fiume Piave e quelli appartenenti al dosso della Piave Vecchia, ora 

occupato dal Sile dalla confluenza presso Caposile fino alla foce. Si osservano inoltre, a 

ovest di Millepertiche, le sabbie di un antico dosso attribuito al Piave (dosso della 

Fossetta). 

I limiti sono stati ricavati dai poligoni sabbia fluviale del file tessitura_terraferma.shp 

tratto da Bondesan A., Meneghel M., Rosselli R. e Vitturi A. (a cura di), Progetto DOGE, 

Carta Geomorfologia della Provincia di Venezia, Venezia, 2004 e sono stati validati 

tramite le informazioni puntuali provenienti dalle stratigrafie ricavate da relazioni 

geologico tecniche elaborate per aree appartenenti al comune di Musile di Piave e dalla 

banca dati della Provincia di Venezia. 


L‐ALL‐09 “materiali di deposito palustre a tessitura fine e torbiere” (DGR 615/1996). 

Sono stati associati a questa voce i depositi palustri a tessitura fine (limoso‐argillosa) 

talora torbosi, corrispondenti all’area affiorante nel settore meridionale del territorio 

comunale. 

I limiti sono stati validati tramite le informazioni puntuali provenienti dalle stratigrafie 

ricavate da relazioni geologico tecniche elaborate per aree appartenenti al comune di 

Musile di Piave e dalla banca dati della Provincia di Venezia. 







PUNTI DI INDAGINE GEOGNOSTICA E GEOFISICA 

Per la redazione del quadro conoscitivo è stata effettuata una raccolta, una catalogazione e una 

georeferenziazione di tutte le informazioni stratigrafiche puntuali, derivanti da relazioni geologico 

tecniche fornite dal Comune di Musile di Piave e dalla Provincia di Venezia, integrate con le stratigrafie 

della Banca Dati della Provincia di Venezia. 

Sono state catalogate indagini penetrometriche e sondaggi e ad ognuna è stato associato il codice 

identificativo della fonte di appartenenza. 

Tutte le indagini provenienti dalla Banca Dati della Provincia di Venezia si trovano raccolte nell’allegato 4 

Stratigrafie presente nel CD allegato alla presente relazione. 

L‐IND‐01 “prova penetrometrica” (615/1996). 

Le prove penetrometriche raccolte derivano da relazioni geologico‐tecniche di autori 

vari: Vidali 2009, 2008, 2007, 2006, 2005, 2004, Gennari 2009, 2007, 2005, 2003, 

Berlanda 2008, Bonetto 2008, Geoservizi s.r.l., Giara Engineering s.r.l., Studio Geologos, 

Studio Geotest, Studio Tecnico Conte & Pegorer, Studio Geologico‐Geotecnico Bernardi, 

Tecnogeo S.a.s. 

Informazioni dettagliate sulle fonti e sulle relazioni di provenienza si trovano nell’ 

Allegato 1 Catalogo della documentazione raccolta per la redazione del PAT. 

Primitiva geometrica: Punto 

L‐IND‐02 “sondaggio” (615/1996). 

I sondaggi raccolti derivano dalla Banca Dati della Provincia di Venezia e da relazioni 

geologico‐tecniche di autori vari (Studio Caturani & Mariani). 

Informazioni dettagliate sulle fonti e sulle relazioni di provenienza si trovano 

nell’Allegato 1 Catalogo della documentazione raccolta per la redazione del PAT. 







Di seguito si riporta la collocazione dei file shape, e i rispettivi nomi dei metadati associati: 

PERCORSO: PATMusile di Piave\c_QuadroConoscitivo\c05_SuoloSottosuolo\ c0501_Litologia 

METADATO: c0501011_CartaLitologicaA 

METADATO: c0501013_CartaLitologicaP 

4 Carta Idrogeologica 

[fonti principali: Autorità di bacino dei fiumi Isonzo, Tagliamento, Livenza, Piave, Brenta‐Bacchiglione, 

(2007) Piano Stralcio per la gestione delle risorse idriche; 

Autorità di bacino dei fiumi Isonzo, Tagliamento, Livenza, Piave, Brenta‐Bacchiglione, (2007) Piano Stralcio 

per l’assetto Idrogeologico, prima variante; 

Autorità di bacino dei fiumi Isonzo, Tagliamento, Livenza, Piave, Brenta‐Bacchiglione, (2009) Piano Stralcio 

per la la sicurezza idrulica del medio e basso corso; 

Autorità di bacino del Sile e della pianura tra Piave e Livenza, (2007) Piano ai Assetto idrogeologico; 

La Carta Idrogeologica deriva dall’analisi del tema c0502‐Idrogeologia e dei suoi relativi 

sottotemi; le voci di legenda derivano dal documento “Grafie Unificate per gli strumenti urbanistici 

comunali” di cui alla D.G.R. n. 615/1996. In tale documento le voci di legenda interessano sia temi 

puramente idrogeologici, come la soggiacenza del livello di falda e la presenza di pozzi, con una voce 

specifica per i pozzi ad uso acquedottistico, sia temi riguardanti l’idrologia di superficie, come la 

rappresentazione dell’idrografia superficiale, la presenza di idrovore, botti e sifoni e l’individuazione di 

aree paludose. 


i. c0502011_CartaIdrogeologicaA.shp (aree); 

ii. c0502012_CartaIdrogeologicaL.shp (linee); 

iii. c0502013_CartaIdrogeologicaP.shp (punti). 

4.1 IDROLOGIA DI SUPERFICIE 

L’ambito territoriale esaminato è dal punto di vista geografico e idrografico formato da due 

zone distinte: alla prima porzione di territorio appartengono il bacino idrografico del Sile e le aree di 

bonifica che a valle di Portegrandi si collocano in sinistra idrografica tra Sile e Piave e recapitano le loro 

acque nel fiume grazie ad una serie di impianti idrovori (figura 10). La seconda delle zone considerate è 






costituita, invece, dal corso del fiume Piave, che limita per un breve tratto il territorio comunale di 

Musile di Piave. 

Figura 10: Carta delle reti di bonifica e di irrigazione del bacino di Caposile 

Volendo brevemente inquadrare le caratteristiche della rete idrografica conviene trattare 

separatamente le due zone sopra indicate. 

4.1.1 Il bacino idrografico del fiume Sile 

Il Sile è un fiume di risorgiva alimentato da acque perenni che affiorano a giorno al piede del 

grande materasso alluvionale formato dalle conoidi del Piave e del Brenta e che occupa gran parte 

dell'alta pianura veneta. Il suo bacino apparente, che ha una superficie di circa 800 km 2 

, si estende dal 

sistema collinare pedemontano fino alla fascia dei fontanili, che non è lateralmente ben definita, ma che 

si dispone, con un andamento da occidente ad oriente, tra i bacini del Brenta e del Piave. In questo 






territorio alla rete idrografica naturale si sovrappone ora una estesa rete di canali artificiali di scolo e di 

irrigazione, con molti punti di connessione con la rete idrografica naturale. L’influenza di questa rete di 

canali artificiali sul regime del Sile è rilevante, potendo modificare sensibilmente le portate proprie del 

fiume provenienti dagli affioramenti di falda, soprattutto durante gli stati di piena. 

In sinistra idrografica la rete naturale è costituita da un insieme di affluenti disposti con un 

andamento da Nord a Sud, i maggiori dei quali sono il Giavera‐Botteniga, alimentato nel tratto iniziale 

del suo corso da acque di origine carsica affioranti al piede del Montello; il Musestre, a sua volta 

alimentato alle sue origini da acque di risorgiva, che confluisce in Sile poco a monte del Taglio, ed altri 

affluenti minori come il Limbraga, il Nerbon ed il Melma. Molto meno importanti sono altri corsi naturali 

ed in particolare gli affluenti di destra, come il Canale Dosson e gli Scoli Bigonzo e Serva, che a sud del 

fiume drenano la zona di pianura compresa tra lo Zero‐Dese e il Sile. 

Tralasciando qui di parlare delle antiche evoluzioni del Piave e delle sue ipotetiche connessioni 

con le acque del Sile, sulle quali molto si è scritto, ci si limita a ricordare i maggiori interventi avvenuti in 

epoca storica, che hanno modificato il corso del Sile e variato la struttura della rete idrografica 

superficiale del suo bacino, con effetti che ancor oggi si riflettono sul funzionamento idraulico dell’intero 

sistema. 

Nel bacino a monte di Treviso sono innanzitutto da ricordare gli interventi attuati in questo 

secolo con modifiche rilevanti della rete soprattutto nella zona delle sorgenti, mediante nuove 

inalveazioni e l'eliminazione delle vaste aree paludose un tempo esistenti e ora ridotte a poche decine di 

ettari. Alle appendici di questa rete giungono le acque dell'estesa rete di canali artificiali, di scolo e di 

irrigazione, i cui assi portanti sono costituiti dai grandi canali irrigui alimentati con acque del Piave, 

attraverso le derivazioni di Pederobba e di Nervesa. Si tratta di un grande sistema di canali artificiali 

chiuso ad oriente dal Canale Piavesella, il quale ha origini antiche ed è anch'esso alimentato con acque 

del Piave dalla derivazione di Nervesa e confluisce nel Giavera‐Botteniga alle porte di Treviso. Qui la 

portata del fiume in condizioni di regime normale è di circa 25‐30 m 3 

/s, cui si aggiungono in Treviso circa 

10‐15 m 3 

/s del sistema Giavera‐Botteniga‐Piavesella. 

Le utilizzazioni idroelettriche che si sono aggiunte alle più antiche utilizzazioni dei mulini, ora in 

gran parte scomparsi, hanno comportato tagli di anse a valle di Treviso, con la costruzione in particolare 

di un tratto d'alveo rettilineo tra la città e Silea. 

Sostegni di minore importanza di quelli delle centrali idroelettriche e salti di fondo fissano 

l'alveo del Sile e di alcuni dei suoi principali affluenti, sostenendone il profilo liquido durante gli stati di 

regime normale, ma influenzando, talora in senso negativo, anche le quote massime di piena. Non 

infrequentemente si tratta di strutture antiche, come nel caso dei canali in attraversamento a Treviso, 






strettamente connesse con il tessuto urbano e dalle quali non è agevole prescindere per i complessi 

problemi igienico‐ambientali che la loro eliminazione comporterebbe. 

Dopo aver raccolto ulteriori acque di affluenti e di risorgive, a Casier, superata la centrale di 

Silea, la portata media del fiume sale a circa 50‐55 m 3 

/s. 

Più a valle, oltre Portegrandi ove un tempo il Sile scaricava in Laguna, le acque del fiume 

fluiscono lungo il Taglio, scavato più di trecento anni or sono dai Veneziani, per poi immettersi 

nell'antico alveo del Piave, fiume a sua volta deviato nel tentativo di contrastare l’interrimento delle 

bocche di porto della Laguna di Venezia ed in particolare della bocca di S. Nicolò, attraverso la quale un 

tempo si accedeva al Bacino di S. Marco. 

La costruzione del Taglio fu un provvedimento attuato con il preciso scopo di difendere la 

Laguna, che ha però avuto riflessi negativi, come peraltro altri importanti interventi realizzati dalla 

Serenissima, sia sul regime del Sile, sia sullo scolo dei terreni adiacenti. 

Agli effetti negativi derivanti dalla costruzione del Taglio, soprattutto per lo scolo delle 

campagne del Trevigiano, si tentò di ovviare con la costruzione del Businello, manufatto che consentiva 

di immettere in laguna nei pressi di Portegrandi parte delle acque del Sile, mentre per migliorare lo scolo 

delle campagne adiacenti al Taglio si intervenne alla fine dell'ottocento con la costruzione della botte 

delle Trezze e, negli anni successivi, con la realizzazione dei molti impianti idrovori. Il più importante di 

tali impianti è l’idrovora di Portesine, che garantisce lo scolo delle acque di un ampio comprensorio 

situato tra Biancade – Roncade e il Sile. Il comprensorio di bonifica di Portesine è tagliato in direzione N‐ 

S dal Vallio, che raccoglie le acque della parte alta del territorio e le convoglia a gravità, attraverso il 

Canale della Vela, nella Laguna di Venezia. 

Tutti questi interventi furono integrati, da ultimo, con la realizzazione in destra idrografica, 

poco a valle di Portegrandi, di un ampio varco nel corpo arginale, attuato come provvedimento 

provvisionale in occasione della ormai famosa piena del novembre 1966 e non più richiuso per gli 

evidenti benefici di contenimento dei livelli di massima piena del fiume e per i trascurabili effetti 

negativi che esso comporta sulla qualità delle acque in Laguna. 

Lungo il Taglio ed il successivo corso di Piave Vecchia, il Sile, dapprima solo in sinistra e poi 

anche in destra, riceve le acque di numerosi impianti idrovori, il più importante dei quali è, come si è 

detto, l'impianto di Portesine di cui è stato da tempo proposto, ma non ancora attuato, il potenziamento 

dagli attuali 15 m 3 

/s a ben 35 m 3 

/s. 

Tali impianti incrementano sensibilmente le portate di piena del Sile potendo attualmente il 

loro contributo complessivo superare i 60 m 3 

/s. 






A Jesolo si stacca dal Sile il canale Cavetta, che convoglia verso la foce del Piave a Cortellazzo 

una frazione non trascurabile delle portate in arrivo da monte (circa il 20‐25%). Superato Jesolo, il Sile 

giunge al mare in corrispondenza alla foce di Piave Vecchia, dopo un percorso complessivo di oltre 80 

km. 

Le portate di massima piena del Sile a Casier, determinate su base statistica, sono dell'ordine di 

140 m 3 

/s circa per un evento centenario, da cui si può risalire a portate massime di piena di circa 55‐60 

m 3 

/s a monte di Treviso e di circa 85‐90 m 3 

/s a valle della città. Si tratta di portate di non molto superiori 

a quelle proprie del regime normale del fiume, indice di un notevole grado di perennità che conferma, 

una volta di più, la particolare natura di questo corso d’acqua. 

Usuali per un territorio di bonifica ed ovviamente del tutto artificiali sono, infine, le 

caratteristiche della rete di canali che garantisce lo scolo delle acque della parte più bassa del territorio 

compreso tra il Taglio del Sile, l’alveo di Piave Vecchia e l’attuale alveo del Piave. Tra i corsi d’acqua di 

questa parte del bacino vale la pena, forse, citare il relitto del vecchio alveo del Piave tra Intestadura e 

Caposile, che si dispone lungo una direttrice leggermente dominante per quote rispetto al territorio 

circostante. 

In esso si scaricano normalmente, sollevate dall’impianto idrovoro di Croce, le acque di una 

parte del bacino di Caposile e a gravità quelle drenate dal canale di Marezzana, disposto con andamento 

sub‐parallelo all’alveo del Piave. Quasi in testa al vecchio alveo del Piave si immettono anche gli scarichi 

dell’idrovora Chiesanuova, che può, in determinate situazioni, entrare in funzione per facilitare il 

funzionamento della rete di bonifica del Comprensorio di Cavazuccherina. 

Dal punto di vista idrologico, il ruolo del vecchio alveo del Piave, se è di nessun rilievo in 

condizioni di regime normale, potrebbe modificarsi radicalmente nel caso di piena eccezionale del Piave. 

Qualora si producessero esondazioni dal fiume o scarichi anomali per il malfunzionamento delle 

strutture che dall’Intestadura consentono di isolare il vecchio alveo del Piave dal suo corso attuale, 

potrebbero concentrasi lungo questo elemento della rete idrografica le acque fuoriuscite dal Piave 

stesso, determinando situazioni difficilmente controllabili dal punto di vista idraulico. 

4.1.2 Il bacino idrografico del fiume Piave 

Il fiume Piave nasce sul versante meridionale del Monte Peralba e confluisce nel mare Adriatico 

presso il porto di Cortellazzo, al limite orientale della Laguna di Venezia, dopo 222 km di percorso, con 

un'area tributaria alla foce valutabile in circa 4.100 kmq. 






La rete idrografica del Piave presenta uno sviluppo asimmetrico che localizza gli affluenti e 

subaffluenti più importanti, il Padola, l'Ansiei, il Boite, il Maé, il Cordevole con il Mis, il Sonna, sulla 

destra dell'asta principale. 

L'innesto sul bacino montano del Piave di un articolato sistema di sfruttamento idroelettrico, 

sviluppatosi tra gli anni '20 e '60, ma che è tutt'oggi in espansione soprattutto per quanto riguarda i 

piccoli impianti che sfruttano le risorse potenziali negli affluenti anche minori del bacino, ha 

profondamente modificato il regime idrologico del Piave alterando con questo anche la dinamica 

fluviale, il trasporto solido, il paesaggio stesso disegnato dal corso d'acqua. 

La morfologia dell’alveo del Piave si è modificata notevolmente, in particolar modo negli ultimi 

decenni. La larghezza media dell’alveo è attualmente meno della metà rispetto all’inizio del secolo (260 

m nel 1997 contro 610 m all’inizio del secolo) e il fondo dell’alveo ha subito generalmente un 

abbassamento valutato, nel tratto di pianura, dell’ordine di 2‐3 m. Queste modificazioni, ossia l’incisione 

ed il restringimento dell’alveo, sono imputabili principalmente alla drastica diminuzione nell’apporto di 

sedimenti al corso d’acqua dovuta agli sbarramenti (dighe e traverse) presenti lungo il Piave ed i suoi 

affluenti e all’estrazione di ghiaie dall’alveo. 

3 

A fronte di una portata media annua di circa 130 m /s (Nervesa), nel 1966 a Ponte della Priula 

3 

(Nervesa) venne stimata una porta massima di 5000 m /s. 

Nel tratto di bassa pianura, il fiume é obbligato a fluire in alvei di limitata capacità o peggio 

costretti da arginature normalmente pensili sul piano di campagna, manifestamente non adeguati al 

transito di eventuali fenomeni di piena. 

Ne consegue che numerose aree della bassa pianura del bacino sono, seppure in relazione ad 

eccezionali episodi di piena, potenzialmente suscettibili di allagamento. 

Con riguardo alla caratterizzazione morfologica della rete idrica del bacino, è utile distinguere 

tra l’asta principale del Piave, le reti fluviali di montagna e di pianura, quelle artificiali dei consorzi di 

bonifica ed i numerosi invasi naturali ed artificiali. 

L’ASTA PRINCIPALE 

Il Piave si può dividere in tre tronchi, cioè il torrente, il fiume torrentizio ed il fiume 

propriamente detto. Nel tronco superiore del Cadore e di Belluno esso è un vero e proprio torrente, con 

alveo relativamente stretto, racchiuso tra alti monti e discende rapidissimo. A valle di Longarone, pur 

non cambiando la morfologia delle due pareti, l’alveo si espande ed è generalmente di grande ampiezza 

con imponenti masse ghiaiose, responsabili di un notevole deflusso subalveo. La pendenza del letto 

raggiunge tra Longarone e Fener delle punte del 5 ‰. 






Il Piave subisce una brusca deviazione a Ponte nelle Alpi: tuttavia il tronco a monte trova la sua 

continuazione morfologica e geologica nella stessa direzione generale N‐S dalla parte settentrionale del 

solco dei laghi Lapisini. Questo antico letto fluvio‐glaciale fu interrotto dalla antica frana di Fadalto. In 

seguito a tale interruzione le acque, affluenti alla parte settentrionale del solco, da Ponte nelle Alpi fino 

alla Sella di Fadalto, hanno invertito la direzione del loro corso a mezzo del lago di S. Croce e del suo 

emissario Rai. 

Il tronco intermedio del Piave con caratteristiche di fiume torrentizio, va grosso modo da Fener 

a Zenson, conservando delle pendenze rilevanti: da Fener a Ponte Priula circa 3.5‰, a Boccatallata 

1.8‰, e di qua fino a Zenson di Piave circa 1.2‰. Anche in questo tratto intermedio scorre con forte 

velocità su un vasto letto di ciottoli e ghiaie, suddiviso in rami che mutano spesso il loro corso. La 

larghezza del letto supera i 3000 m. 

Infine poco a monte di Zenson scompaiono le ghiaie ed il carattere torrentizio, ed il Piave 

assume la natura propria del fiume di pianura: scorre cioè entro un alveo largo in media circa 100 m, 

incassato a sponde fisse, elevate sopra il segno di guardia e sulle quali stanno, più o meno in ritiro, le 

arginature di contenimento delle piene. In quest’ultimo tronco le pendenze divengono assai miti, tanto 

che in prossimità della foce scendono anche al di sotto di 0.1‰. 

Il profilo longitudinale del fondo è costituito da una curva concava verso l’alto che termina 

verso la foce con una linea quasi orizzontale. In funzione delle pendenze stanno le velocità del corso 

d’acqua, le quali, mentre sono dell’ordine di più m/s nei tronchi montani, diminuiscono gradatamente 

verso la foce fino a ridursi, in condizioni di magra ordinaria a 0.2‐0.3 m/s. A tale diminuzione 

contribuisce anche il flusso di marea, la cui influenza si fa sentire fino a Zenson a circa 30 km dalla foce. 

LA RETE FLUVIALE DI PIANURA 

Come si è detto in precedenza il bacino del Piave ha uno sviluppo prevalentemente montano; 

in questa parte del bacino le caratteristiche idrologiche sono direttamente correlate alle caratteristiche 

del bacino imbrifero. Nel tratto di pianura invece sono preponderanti i fenomeni propagatori. Si 

considera come tratto di pianura il corso del fiume Piave da Nervesa della Battaglia (78 m s.l.m.) alla 

foce. Tale tratto ha una lunghezza complessiva di circa 64 km. Nella prima parte di questo tratto, fino a 

Ponte di Piave, il fiume presenta un carattere torrentizio con alveo a morfologia ampia e ramificata, 

costituito prevalentemente da ciottoli e ghiaie. Nella parte terminale del percorso di pianura, 

approssimativamente da Zenson, il Piave assume la caratteristica morfologia del fiume di pianura, con 

alveo sabbioso racchiuso entro elevate arginature costruite allo scopo di difendere i territori circostanti 

dalle esondazioni. Il Piave ha una larghezza d’alveo variabile fra 1 e 2 km tra Ponte della Priula e Ponte di 

Piave, che si riduce a 80 m per l’alveo di magra e a 120 m, come distanza tra le arginature di 

contenimento, all’altezza di Zenson di Piave, che si trova a soli 10 km a valle di Ponte di Piave. 






La portata media, basata su molti anni di osservazione, era di circa 130 m 3 /s all’inizio del secolo, 

con portate per la magra dell’ordine di 40‐50 m 3 /s alla sezione di chiusura del bacino montano (Nervesa 

della Battaglia). Attualmente per lunghi periodi nella stagione estiva si stenta a mantenere 

artificialmente una portata a Nervesa dell’ordine dei 5 m 3 /s; foto aeree dell’alveo del Piave riprese oggi 

e subito dopo la piena del 1966 dimostrano un notevolissimo aumento della vegetazione all’interno del 

letto del fiume. 

Nel tratto immediatamente a valle di Nervesa della Battaglia l’alveo del fiume disperde una 

frazione considerevole delle acque nelle alluvioni ghiaiose, contribuendo all’alimentazione delle falde di 

pianura. 

L’andamento planimetrico è caratterizzato da una notevole tortuosità che si interrompe solo 

per alcuni chilometri a valle di Musile di Piave, in corrispondenza del Taglio Nuovo di Piave, che è stato 

realizzato attraverso una serie di interventi operati sotto la Repubblica di Venezia, allo scopo di evitare 

l’interrimento del porto di Venezia e del bacino Nord della laguna. 

La profondità media del Piave nel tratto tra Zenson di Piave ed Eraclea è di circa 5 m. La 

morfologia del fondo è piuttosto accidentata con frequenti e repentini abbassamenti del fondale (fino a 

profondità superiori ai 10 m) non solo nella parte esterna dei meandri, ma anche nel tratto rettilineo. 

Tale variabilità è dovuta non solo a processi erosivi legati alla dinamica del corso d’acqua, ma anche 

presumibilmente a causa dell’estrazione di inerti in alveo (attività che appare oggi cessata in questo 

tratto del fiume). L’alveo è prevalentemente costituito da sabbie fini e limo. Nella parte superiore fino a 

Fossalta sono presenti dei tratti a ghiaie. Nei periodi di magra questi materiali sono ricoperti da depositi 

di limo fine‐argilla che vengono rimossi e trasportati a mare in occasione delle piene. Nei tratti rettilinei 

la forma dell’alveo è trapezoidale. 

Nessun impianto idrovoro scarica direttamente nel tratto di pianura del Piave; il fiume è in 

comunicazione con il Sile attraverso due canali di collegamento: il primo è il vecchio alveo situato fra le 

località di Intestadura (San Donà di Piave) e la frazione Caposile (Musile di Piave); il secondo è il canale 

Cavetta che unisce i due fiumi fra Jesolo Paese e la località di Cortellazzo presso la foce del Piave. Nel 

primo collegamento scaricano tre impianti idrovori del Consorzio di Bonifica Basso Piave, Croce Nord e 

Croce Sud (Bacino Caposile 6750 l/s, 1474 ha) e l’impiantino denominato Postazione Chiesanuova 

(Bacino Cavazuccherina, 1000 l/s, 185 ha). Tuttavia questi impianti sono tributari del Sile in quanto il 

livello normale del Piave all’Intestadura è superiore a quello del Sile a Caposile (infatti si tratta di una 

parte del vecchio alveo) ed inoltre l’ingresso delle acque del Piave è regimato attraverso porte vinciane 

in fregio ad una vecchia conca di navigazione non più utilizzata. Tali porte vengono aperte solo per 

consentire l’immissione di acque del Piave sufficiente a mantenere un flusso ridotto nel vecchio alveo ed 

in caso di piena del fiume vengono chiuse per eliminare il collegamento con il Sile. Anche sul secondo 






collegamento, il canale Cavetta, presso la foce del Piave esiste una conca di navigazione che impedisce 

alle acque del fiume di raggiungere il Canale. Sempre presso la foce in località Revedoli presso l’argine 

sinistro del Piave si apre la Litoranea Veneta, che collega il fiume Livenza, previo presidio di una conca. 

Il flusso delle acque nel Canale Revedoli, primo tratto della Litoranea che si diparte dal Piave, 

avviene in direzione della foce del Livenza. La foce è esposta al rigurgito provocato dall’anomalo 

aumento del livello di marea che si instaura quando vigono alte pressioni sul basso Adriatico e basse 

pressioni sul golfo di Venezia per effetto di una sessa. Poiché le condizioni di alta marea eccezionale 

possono coincidere con il colmo delle piene in quanto generate dalla stessa perturbazione, le condizioni 

di deflusso possono risultare gravemente pregiudicate. Il Piave risulta arginato da Musile di Piave alla 

foce e pensile rispetto al piano di campagna. 

4.2 INSUFFICIENZA IDRAULICA DEL PIAVE NEL TRATTO ARGINATO TRA NERVESA E IL MARE 

Le attività di studio promosse dall’Autorità di bacino nel quadro delle attività propedeutiche 

alla redazione del Piano Stralcio per l’Assetto Idrogeologico hanno sviluppato un’analisi attenta ed 

approfondita della dinamica delle acque di piena a valle della chiusura del bacino montano, cioè nel 

tratto arginato che va da Nervesa della Battaglia al mare. Si tratta del segmento di fiume che è stato più 

frequentemente assoggettato alle esondazioni del Piave, come testimonia un’analisi storica 

dettagliatamente sviluppata. 

Nel merito della caratterizzazione dello stato di pericolosità in cui attualmente versa il basso 

corso, l’Autorità di bacino ha sviluppato due distinti segmenti di studio. Il primo, perfezionato nel 1993, 

ha considerato e valutato la propagazione dell’onda di piena, con riguardo ad eventi di diverso tempo di 

ritorno, mediante applicazione di un modello matematico monodimensionale. Il secondo, messo a 

punto successivamente, ha indagato ulteriormente mediante un modello idraulico bidimensionale ad 

elementi finiti anche l’area potenzialmente allagabile in relazione ad eventi di piena di assegnato tempo 

di ritorno. 

In relazione alle risultanze degli studi il tratto di pianura, a valle di Nervesa, dal punto di vista 

della dinamica idraulica è suddivisibile sostanzialmente in tre distinte sub‐tratte. 

La prima tratta, tra Nervesa e Candelù, caratterizzata da un ampio alveo pluricursale in alluvioni 

ghiaioso‐sabbiose, da un’elevata pendenza del fondo (3,8 per mille) e da altezze arginali molto 

contenute (da 2 a 3 m) con una capacità di portata dell’ordine di 4500‐5000 m 3 /s. 

La seconda tratta tra Candelù e Zenson, caratterizzata da pendenze, altezze arginali e caratteri 

morfologici intermedi rispetto alle sub‐tratte a monte e a valle, con capacità di portata dell’ordine di 

2500‐3000 m 3 /s. 






La terza tratta tra Zenson ed il mare, caratterizzata da un alveo decisamente più ristretto inciso 

nelle alluvioni sottili della bassa pianura a debole pendenza del fondo (0,25 per mille) e argini 

discretamente elevati (da 4 m a 7 m circa), con un primo percorso a meandri tra argini alquanto 

ravvicinati e un percorso finale canalizzato e rettilineo, con una capacità di portata dell'ordine di 2500‐ 

3000 m 3 /s. 

La seconda tratta tra Candelù e Zenson, caratterizzata da pendenze, altezze arginali e caratteri 

morfologici intermedi rispetto a quelli delle altre due tratte, ha una capacità di portata analoga alla terza 

tratta. 

La tratta tra Candelù e Zenson, che inizia laddove il profilo manifesta un'improvvisa riduzione di 

pendenza, essendo per prima investita dalle intumescenze di piena si configura come la naturale sede 

delle rotte. In questa tratta, definibile come "sede delle rotte", i fenomeni di esondazione si verificano 

con modalità tale da consentire di rilasciare oltre le rotte una portata residua proprio dell'ordine della 

massima capacità di portata dell'intera estesa a valle. In questo modo l'estesa di valle risulta presidiata, 

evitando pericolose rotte che investirebbero direttamente gli importanti centri abitati della pianura, e 

contemporaneamente consentendo di versare in mare una porzione importante delle onde di piena. Ciò 

si verificò nella piena del 1966 quando, a valle delle rotte, l'intero volume di piena al di sotto di 2500‐ 

3000 m 3 /s defluì regolarmente sino al mare. 

La localizzazione sistematica delle rotte tra Candelù e Ponte di Piave non esclude che non si 

possano verificare esondazioni nella estesa di monte tra Nervesa della Battaglia e Candelù e in quella di 

valle tra Zenson ed il mare, ma solo in relazione a carenze locali, indipendenti dalla rilevante differenza 

capacità di portata tra monte e valle. 

A valle i possibili fattori di criticità per il contenimento delle portate residue dopo le rotte sono 

in usuale relazione alle irregolarità del profilo delle sommità arginali o alle inidoneità strutturali e di 

tenuta degli argini. Nella tratta di monte, invece, oltre ai suddetti fattori di criticità sono anche da 

considerare la mobilità dell'alveo e le relative conseguenti variazioni di livelli di piena a parità di portata. 

Per quanto riguarda il sistema arginale a valle di Zenson, le indagini eseguite nel primo 

segmento di studio con il supporto di un modello di propagazione delle piene monodimensionale, hanno 

evidenziato come i profili di sommità, le strutture, e le tenute idrauliche, per quanto accertabile, 

appaiono adeguate. Gli stati di criticità sono limitati a situazioni locali; come, ad esempio, 

all'interferenza di una banchina portuale a Ponte di Piave, a punti di infiltrazione in località Intestadura, 

ad erosioni di sponda per effetto di un manufatto in località Lampoli. Altre insufficienze riguardano la 

foce (località Revedoli e Cortellazzo) per insufficienze arginali nei riguardi delle maree eccezionali. 






Per quanto riguarda l'estesa a monte di Candelù, lo stesso modello, in modo indiretto, indicava 

la presenza di influenze della mobilità dell'alveo e le carenze dimensionali delle sommità degli argini, 

con conseguenti valori del franco arginale molto variabili lungo il percorso. Raffrontando peli liberi 

calcolati e sommità arginali, lo studio rilevava andamenti non congruenti: ad esempio un andamento a 

corda molla delle sommità arginali, laddove il profilo dei livelli d'acqua calcolati risulta concavo e 

viceversa. 

Ulteriori fattori di criticità, tipici dei sistemi pluricursali in alluvioni ghiaioso‐sabbiose sono 

relativi alle difficoltà di controllo delle corrosioni ed erosioni di sponda, anche se nel Piave sono già state 

in gran parte affrontate e risolte con importanti opere direzionali. Le tracimazioni che nella piena del 

1966 si verificarono a Palazzon, di fronte a Spresiano, per una lunghezza di ben 1700 m sono un esempio 

degli effetti combinati dei vari fattori di criticità menzionati. Un aspetto attiene anche alle difficoltà di 

valutazione preventiva dei livelli d'acqua massimi in corrispondenza degli argini, dato che il tracciato 

degli argini segue percorsi anche molto diversi da quelli dell'alveo attivo, e che la corrente interessa 

ampie golene caratterizzate da una propria, seppure limitata, capacità di portata. 

Utile risulta peraltro considerare come la dinamica delle rotte si sia evoluta nel tempo, 

confrontando l’ubicazione di quelle accadute nel settembre 1882 e nell'ottobre 1903 con quelle 

dell'evento del 1966. 

Le rotte del 1882 e del 1903 iniziarono non a Candelù ma più a valle, dopo Zenson e si 

manifestarono lungo tutta l'intera estesa dell'alveo sin presso Eraclea. In particolare nel 1882 le rotte ed 

i sormonti interessarono un'estensione di ben 30 km di argini, con allagamenti di 550 kmq. Tali rotte 

dipesero dalle insufficienze delle sommità degli argini, allora assai più gravi di adesso, e dalle infiltrazioni 

e sifonamenti che si verificarono un po' dovunque da Zenson al mare. Ciò fa ritenere che allora la 

capacità di portata tra Zenson ed il mare fosse inferiore a quella della tratta intermedia fra Candelù e 

Zenson dove, in base alla documentazione reperita, non si verificarono rotte, ed anche che i valori al 

colmo fossero presumibilmente inferiori alla piena del 1966. E' proprio a seguito degli eventi del 1882 e 

del 1903 che si diede inizio ad un piano generale di riordinamento, consolidamento e di sovralzi arginali 

che proseguì anche dopo le piene del 1926 e 1928, e che portò alla situazione attuale, di alveo calibrato 

a monte di Candelù per 4500‐5000 m 3 /s e, a valle di Zenson, per 2500‐3000 m 3 /s, con inevitabile 

squilibrio nella tratta intermedia, di raccordo tra i due, sede delle rotte. 

Osservato che gli interventi operati tra Zenson ed il mare hanno determinato in questa tratta 

un aumento della capacità di contenimento delle portate nell'ordine della portata residua a valle della 

zona delle rotte tra Candelù e Zenson, quegli stessi interventi hanno anche così determinato una sorta di 

apparato di scolmo delle portate eccedenti non contenibili a valle a presidio del tratto terminale di 

pianura e canalizzato dell'alveo. Nel 1966 questo apparato di scolmo naturale, versante sia a sinistra che 






a destra degli argini, riversò a campagna l'intero volume dell'onda di piena almeno oltre i 2500‐3000 

m 3 /s ed allagò un territorio di 450 kmq (con superficie dello stesso ordine di quella della piena del 1882) 

con un presumibile volume di esondazione compreso tra 100 e 200 milioni di m 3 . 

Dopo la piena del 1966 furono eseguiti dal Magistrato alle Acque di Venezia lavori di sovralzo 

degli argini, sia in destra che in sinistra, nella tratta fra S. Donà di Piave e Ponte di Piave, con sovralzi 

compresi tra 60 a 80 cm. Il sovralzo fu contenuto, e ben a ragione, poiché è chiaro che rafforzando 

eccessivamente le difese nella sede delle rotte le esondazioni si trasferirebbero a valle di Zenson, dove 

potrebbero conseguire maggiori danni. 

Gli studi di bacino hanno valutato che, con riferimento alle onde di piena ricostruite per vari 

tempi di ritorno e varie durate di precipitazione, le esondazioni nella tratta delle rotte assumerebbero 

volumi di 115 milioni di m 3 e 52 milioni di m 3 rispettivamente per le piene centenarie e durata di 

precipitazione di 24 e 48 ore, e volumi di 60 milioni di m 3 e 30 milioni di m 3 rispettivamente per le piene 

con tempo di ritorno di 50 anni e durata di precipitazione di 24 e 48 ore. 

Il modello matematico uni‐bidimensionale messo successivamente a punto per lo studio della 

propagazione delle piene del Piave nel tratto compreso tra Nervesa e la foce ha dettagliatamente 

esaminato, accanto alle situazioni che si stabiliscono nell’alveo vero e proprio del corso d’acqua, anche 

gli eventuali fenomeni di sormonto e tracimazione delle arginature, seguendo poi la diffusione sul 

territorio circostante delle acque esondate. 

Le simulazioni effettuate hanno sostanzialmente confermato le considerazioni già sopra 

esposte nel merito della dinamica fluviale del tratto terminale, ma hanno altresì evidenziato i limiti 

dell’approccio modellistico, i cui risultati sono inevitabilmente condizionati dalle scelte di taratura dei 

modelli stessi, e, non ultimo, dalle assunzioni poste sui coefficienti di scabrezza. Prova ne è il fatto che le 

risultanze di questo secondo segmento di studio conducono a valutazioni più ottimistiche circa la 

massima portata di piena sostenibile dal Piave nel suo tratto terminale. Le conclusioni cui perviene sono 

in estrema sintesi le seguenti: 

l’attuale capacità di portata dell’alveo a valle di San Donà con altezze idrometriche al 

limite delle quote delle sommità arginali è di 3000‐3200 m 3 /s, ben inferiore quindi alle 

portate massime delle probabili piene in arrivo da monte; 

la propagazione lungo l’ampio letto ghiaioso tra Nervesa e Candelù comporta 

modestissime riduzioni delle portate al colmo che, allo stato attuale, sono destinate ad 

esondare a monte e a valle di Ponte di Piave interessando, sia in destra che in sinistra, 

ampie superfici della pianura posta in adiacenza al fiume; essendo l’alveo leggermente 






pensile, le acque esondanti sarebbero destinate a spingersi a considerevole distanza 

dall’alveo; 

con riguardo alla piena centenaria, critica risulta la condizione delle arginature in tutto 

il tratto da Roncadelle a Salgareda in sinistra e da Candelù a S. Andrea di Barbarana, a 

monte di Zenson, in destra. Egualmente critica è la condizione degli argini a valle di 

San Donà e particolarmente nel tratto posto nelle immediate vicinanze di Intestadura; 

le quote idrometriche, soprattutto nei tratti dove l’alveo è canalizzato, sono 

influenzate dalla scelta adottata per i coefficienti di scabrezza. Questo aspetto è 

meritevole di un ulteriore approfondimento sperimentale specifico. 

Sulla base di nuovi rilievi geometrici dell’alveo e di nuove ipotesi circa i coefficienti di scabrezza, 

il tratto terminale del Piave è stato nel 1998 oggetto di ulteriori studi che hanno in sostanza risviluppato 

nuove simulazioni modellistiche sia a moto vario che a moto permanente. 

Le prove hanno riguardato l’insieme dei profili a moto permanente per portate comprese tra 

1500 m 3 /s e 3500 m 3 /s, ipotizzando un livello di massima marea posto a 1,90 m.s.m. Il raffronto tra i 

profili a moto permanente così ottenuti ed il profilo delle sommità arginali evidenzia significative criticità 

dovute ad un irregolare andamento delle sommità stesse. 

In particolare è stata rilevata una marcata depressione delle sommità arginali tra San Donà ed 

Eraclea ed in corrispondenza di Ponte di Piave, nonché una sensibile differenza di quota tra le sommità 

arginali destra e sinistra nella tratta che va dal ponte di San Donà ed il ponte autostradale A4 Venezia‐ 

Trieste. 

La depressione arginale che determina i limiti della capacità di portata a moto permanente è 

quella corrispondente alla tratta fluviale aventi estremi di progressiva pari a 12 e 18 km dal mare. 

All’interno di essa, la tratta di massima depressione arginale, compresa tra le progressive di 13,8 km e 

14,8 km, presenta capacità di portata, con l’adozione di un franco di 1 m, di appena 1700 m 3 /s. Detto 

valore è tuttavia decisamente cautelativo, in quanto riferito a condizioni di livello di mare eccezionali ed 

in presenza di barre di foce; appare pertanto ragionevole assumere la capacità massima nell’intera 

tratta terminale pari a 2100 m 3 /s. 

La tratta valliva in esame non presenta particolari singolarità che possano determinare marcate 

ostruzioni; ne consegue che l’insufficienza dell’attuale capacità di portata rispetto ai valori al colmo delle 

massime piene appare quindi, in generale, per insufficienza della sezione idraulica. 

La simulazione in ipotesi di moto vario ha inoltre consentito di valutare gli effetti di laminazione 

prodotti tra la fine delle Grave di Papadopoli e Zenson. Il profilo di inviluppo dei colmi relativo all’evento 






centenario si dispone grosso modo lungo il profilo permanente corrispondente a 3300 m 3 /s, anche 

laddove il valore al colmo del pletogramma sono alquanto superiori a detto valore, in relazione ai 

rilevanti effetti di laminazione dell’alveo. 

Non va peraltro dimenticato come nel tratto compreso tra ponte di Piave e San Donà sono 

presenti cinque importanti attraversamenti stradali o ferroviari: i ponti delle FF.SS. e dell’Anas a Ponte di 

Piave, il ponte dell’autostrada A4 Venezia‐Trieste a monte di Noventa di Piave, il ponte delle FF.SS. a 

monte di San Donà ed il ponte di San Donà di Piave. 

Tutti i cinque ponti citati hanno l’intradosso posto a quota inferiore a quella massima raggiunta 

dalla piena centenaria e costituiscono pertanto non solo un serio ostacolo al deflusso della piena ma 

anche il rischio di sostenuti rigurgiti nelle sezioni immediatamente a valle. 

4.3 ACQUE SOTTERRANEE 

Il bacino del Piave fa parte di un complesso sistema idrogeologico, comprendente gli acquiferi 

della zona di montagna, che hanno sede in formazioni di natura calcareo‐dolomitica, e gli acquiferi della 

zona di pianura, reperibili nei livelli ghiaiosi e/o sabbiosi, a geometria semplice. 

Gli acquiferi della zona di montagna, di notevole potenza, sono distribuiti in ammassi rocciosi a 

bassa o elevata permeabilità per fratturazione. 

La ricarica è dovuta in massima parte alla infiltrazione diretta delle precipitazioni meteoriche e, 

in minor misura, ai corsi d'acqua, specialmente in corrispondenza ai periodi di piena. La discarica ha 

luogo attraverso le sorgenti di vario tipo, come ricarica dei corsi d'acqua nei tratti in cui questi ultimi 

esercitano una funzione drenante degli acquiferi, e, infine, come alimentazione dell'acquifero della 

fascia pedemontana della pianura, laddove si determinano situazioni di continuità idraulica. 

Il limite montagna‐pianura è caratterizzato da differenti condizioni geolitologiche e strutturali. 

Nella zona di pianura, si può riscontrare: 

− un materasso ghiaioso grossolano nella zona pedemontana, riconducibile alle attività dell’asta 

principale, sede di un acquifero freatico indifferenziato reperibile a quote decrescenti dal piede dei 

monti verso sud, fino ad affiorare nella fascia delle risorgive; 

− una alternanza di litotipi sabbiosi e litotipi argillosi‐limosi nella media e bassa pianura. Nei 

primi 30‐50 m è reperibile un acquifero freatico, piuttosto esteso ma non continuo, seguito in 

profondità da un altro acquifero, costituenti insieme un complesso superficiale di falde, di seguito 

indicato come "acquifero superiore". 






Nella parte sottostante, fino alla profondità di 300‐350 m, sono individuabili alcune falde in 

pressione costituenti il sistema dell’acquifero Inferiore‐falde confinate. Oltre tale profondità si riscontra 

la presenza persistente di acque salmastre. La ricarica dell'acquifero freatico indifferenziato è dovuta 

alla infiltrazione diretta delle precipitazioni meteoriche dove le ghiaie, molto permeabili, sono coperte 

solo da un sottile strato di terreno vegetale, alla infiltrazione dall'alveo e dal subalveo dei fiumi 

principali, agli afflussi laterali dal substrato roccioso, almeno nei tratti in cui quest'ultimo è costituito da 

acquiferi calcarei, alla infiltrazione derivante dall’irrigazione. La discarica naturale dell'acquifero freatico 

indifferenziato ha luogo attraverso le risorgive e come ricarica degli acquiferi della media e bassa 

pianura. La ricarica dell'acquifero superiore è dovuta alla infiltrazione delle precipitazioni, relativamente 

modesta sia perché l'acquifero freatico vero e proprio non esiste in certe aree, sia perché i terreni 

affioranti non hanno una permeabilità elevata, ai contributi della irrigazione e, localmente, dei corsi 

d'acqua, nonché ai flussi laterali provenienti dall'acquifero freatico indifferenziato. La discarica naturale 

ha luogo lungo la linea di costa, attraverso i depositi sabbiosi litorali. La ricarica dell'acquifero inferiore‐ 

falde confinate è determinata dagli afflussi laterali dell'acquifero freatico indifferenziato. La discarica 

artificiale degli acquiferi è invece rappresentata dai prelievi per vari scopi ed usi. 

Le condizioni piezometriche degli acquiferi e le loro variazioni nel tempo, che costituiscono un 

elemento importante sia nella pianificazione territoriale sia nel quadro di una corretta gestione delle 

risorse, sono state più volte verificate con misure dirette a partire dall'ottobre 1981, utilizzando una rete 

di controllo costituita complessivamente da 220 pozzi freatici ed artesiani, quotati ex novo e 

uniformemente distribuiti nel territorio. 

Per quanto riguarda l'acquifero freatico indifferenziato a nord delle risorgive, si può 

considerare quanto segue: 

− in corrispondenza dell’asta principale e per tratti rilevanti del suo corso sono presenti dorsali 

molto pronunciate, con direzioni di deflusso divergenti dalle aste fluviali, a confermare il processo di 

alimentazione e di dispersione in falda; 

− immediatamente a monte della fascia delle risorgive l'andamento delle linee isofreatiche 

suggerisce il fenomeno inverso e cioè il drenaggio della falda da parte dei corsi d'acqua. 

La profondità della falda è molto variabile a seconda delle zone considerate: i valori maggiori si 

misurano a ridosso dei rilievi prealpini; da questi ultimi la profondità decresce gradualmente fino alle 

risorgive, dove la falda affiora in superficie. Le variazioni nel tempo del livello freatico assumono valori 

diversi in dipendenza della ubicazione dei pozzi rispetto alle aree di alimentazione: in prossimità delle 

risorgive le oscillazioni sono molto modeste, dell'ordine, generalmente, di qualche decimetro; variazioni 

più accentuate si misurano al piede dei monti e in prossimità dei tratti disperdenti dei corsi d'acqua; le 






oscillazioni minori si rilevano nelle aree di interfiume. Condizioni particolari di deflusso si rilevano, come 

già precedentemente descritto, in corrispondenza dei tratti disperdenti dei corsi d'acqua e dei più o 

meno marcati assi di drenaggio. 

Differentemente da quelle superficiali, le acque sotterranee non sempre risultano disponibili in 

quantità sufficiente e, comunque, per renderle utilizzabili, spesso è necessario provvedere ad onerosi 

interventi di terebrazione, quali l'esecuzione di pozzi molto profondi e, talvolta, anche in notevole 

numero, in relazione alla potenzialità della falda ed alle caratteristiche fisiche dei terreni attraversati. 

Inoltre, non sempre i pozzi sono salienti, pertanto si rende indispensabile procedere al sollevamento 

delle acque profonde mediante consistenti opere di pompaggio. 

Dal punto di vista quantitativo la risorsa massima disponibile era ed è rappresentata dalla 

discarica delle risorgive, essendo inopportuno attingere dalla riserva regolatrice a monte delle risorgive 

stesse, per non alterare l'equilibrio dinamico del complesso delle falde artesiane. 

Queste risorse risultano esuberanti rispetto agli utilizzi previsti, anche a lungo termine, 

offrendo quindi ampio spazio per una programmazione rispettosa delle esigenze idrografiche, 

ecologiche e di conservazione del suolo. 

Idrogeologicamente la zona più favorevole per i prelievi è la fascia a cavallo della linea delle 

risorgive, in considerazione: 

− della natura del serbatoio, ciottoloso e caratterizzato da alte trasmissività, che consente forti 

produzioni unitarie nei pozzi di sfruttamento; 

− delle alte portate specifiche che rendono relativamente modesto l'abbassamento della 

piezometrica, e cioè la riduzione di carico del sistema delle falde artesiane; 

− della minore distanza delle zone di ricarica sotterranea che facilita un incremento 

dell'apporto in seguito alla diminuzione del carico idrostatico; 

grossolani; 

− del minore pericolo di fenomeni di subsidenza, che sono praticamente inesistenti in depositi 

− della quota più elevata rispetto alla pianura che favorisce un trasporto per gravità nella rete 

di adduzione e riduce i costi di gestione. 

La qualità delle acque sotterranee è generalmente adeguata all'uso potabile, in special modo 

quella delle aree montane. 

falde confinate. 

Parimenti adeguata risulta la qualità delle acque contenute all'interno dell'acquifero inferiore‐ 






Tali acque, in considerazione della notevole estensione areale dell'acquifero, costituiscono 

senza dubbio la risorsa idrica di maggior interesse per l'uso potabile. Pur tuttavia esse presentano un 

consistente grado di vulnerabilità che certamente non può essere trascurato nell'ambito dell'analisi 

delle possibili fonti di approvvigionamento idropotabile. Tale vulnerabilità e in diretta dipendenza della 

vastità dell'area degli acquiferi e della sua indeterminatezza fisica. Per questo motivo la Giunta 

Regionale del Veneto, mediante il Piano di Risanamento delle Acque (PRRA), ha individuato fra gli 

obiettivi primari di intervento il disinquinamento delle acque nella zona di ricarica delle falde, 

indirizzando verso tali zone una parte cospicua dei futuri interventi. 

Inoltre, mentre per le acque superficiali gli effetti dell'eventuale contaminazione risultano 

generalmente temporanei e comunque verificabili e controllabili in maniera sufficientemente agevole, 

ciò non si verifica per le acque sotterranee, per le quali le sorgenti di inquinamento sono sempre di 

incerta individuazione e gli effetti, peraltro difficilmente definibili e controllabili, si prolungano nel 

tempo a causa dei modesti valori delle velocità di filtrazione anche in mezzi notevolmente porosi. 

4.4 ANALISI DEL RISCHIO IDRAULICO NEL BACINO DEL SILE 

PERICOLOSITÀ IDRAULICA 

Dalle elaborazioni condotte tramite le simulazioni matematiche e dalle procedure e criteri per 

la definizione delle aree pericolose è stato possibile giungere ad una valutazione della pericolosità 

esistente nel territorio del bacino del Sile. 

A questo proposito si ricorda che i parametri considerati nella determinazione della pericolosità 

dovuta al fenomeno di allagamento sono stati l’altezza dell’acqua ed il tempo di ritorno e che la 

pericolosità è stata quindi distinta in tre classi: 

‐pericolosità P1 ‐ moderata: il territorio è soggetto ad allagamenti per eventi con tempo di 

ritorno pari a 100 anni; 

‐pericolosità P2 ‐media: il territorio è soggetto ad allagamenti caratterizzati da un altezza 

dell’acqua inferiore al metro per eventi con tempo di ritorno pari a 50 anni; 

‐pericolosità P3 ‐ elevata: il territorio è soggetto ad allagamenti caratterizzati da un altezza 

dell’acqua superiore al metro per eventi con tempo di ritorno pari a 50 anni. 

I risultati ottenuti da queste elaborazioni sono rappresentati nella Carta della pericolosità 

idraulica (figura 11) con una scala a colori simboleggianti i livelli di pericolosità. 

E’ da osservare che le aree allagate risultanti dalle simulazioni matematiche sono state estese 

portando, in alcuni casi, il limite dell’allagamento all’elemento morfologico (strada, canale, rilevati in 

genere) più vicino. 






RISCHIO IDRAULICO 

A valle della confluenza con il Musestre, in sinistra Sile, zone molto estese di tipo R1 

coinvolgono il bacino di Portesine e di Caposile, dove sono però presenti anche modeste estensioni 

classificate come R2 (figura 12). Da citare, tra queste ultime, un’area periferica dell’abitato di Musile ed 

un’altra area posta in corrispondenza della strada statale n. 14 Venezia‐Giulia. 

A valle di Caposile ampie zone risultano classificate come R1 sia in sinistra che in destra fino alla 

foce. Sul lato laguna sono coinvolti i terreni situati tra il fiume Sile e la laguna stessa, dove ampie aree 

sono classificate di tipo R2, tra Caposile e Jesolo. 

Figura 11: Carta della pericolosità idraulica 






Figura 12: Carta del rischio idraulico 

4.5 VULNERABILITÀ DELLE RISORSE IDRICHE SOTTERRANEE 

[fonte: Carta della vulnerabilita’ degli acquiferi della Provincia di Venezia: Metodo SINTACS] 

I dati provengono dalla carta della vulnerabilità intrinseca degli acquiferi all’inquinamento della 

Provincia di Venezia. La carta è stata realizzata applicando il “Point Count System Model” (SINTACS). 

Data la densità di dati disponibili la carta ha scala nominale di 1:50.000, che è una tipica scala adatta alla 

pianificazione territoriale. Di questo bisogna tenerne conto nelle applicazioni per elaborazioni a scale di 

maggiore dettaglio. 

In questo lavoro, come viene fatto usualmente nelle cartografie di vulnerabilità idrogeologica, 

l'acquifero analizzato è il primo (falda freatica o debolmente confinata). 

Si tratta del primo corpo idrico sotterraneo a partire dal piano campagna che sia alloggiato in 

materiali con sufficiente grado di permeabilità e di porosità efficace che consentono una significativa 

portata estraibile (terreni da limoso‐sabbiosi a ghiaiosi). Non si considerano quindi come falda i corpi 

idrici sotterranei inclusi nei terreni poco permeabili o prevalentemente impermeabili. 






La vulnerabilità intrinseca delle acque sotterranee indica la naturale facilità con cui le stesse 

possono essere interessate da fenomeni di contaminazione causati da interventi antropici, mediante 

infiltrazione, propagazione e trasporto di inquinanti. 

L'interesse per la vulnerabilità intrinseca della prima falda, nella specifica situazione ambientale 

del territorio veneziano deriva in particolare dal fatto che si tratta della falda direttamente in contatto 

con molte attiviità antropiche ed in comunicazione con la rete scolante superficiale. 

La carta è stata prodotta utilizzando il Metodo Sintacs che prevede: 

la realizzazione di una serie di carte tematiche intermedie 

realizzazione della cartografia di sintesi con la zonazione del territorio secondo la 

classificazione Sintacs (6 classi di vulnerabilità). 

classi di vulnerabilità intervallo sintacs intervallo sintacs 

normalizzato 

Bassissima 0 ‐ 80 0 ‐ 24 

Bassa 81 ‐ 105 25 ‐ 35 

Media 106 ‐ 140 36 ‐ 49 

Alta 141 ‐ 186 50 ‐ 69 

Elevata 187 ‐ 210 70 ‐ 79 

Elevatissima 211 ‐ 260 80 ‐ 100 

Tabella – Classi di vulnerabilità e punteggi previsti dal metodo SINTACS. 

4.6 ELABORAZIONE DELLA CARTA IDROGEOLOGICA 


Idrogeologica ed è illustrata la metodologia di analisi e di elaborazione che ha portato alla redazione 

della Carta seguendo le voci di legenda derivanti dal documento “Grafie Unificate per gli strumenti 

urbanistici comunali” di cui alla D.G.R. n. 615/1996. La tipologia di dati e le fonti utilizzate sono descritti 

prendendo in analisi ad una ad una le voci presenti nella legenda della Carta stessa e analizzando di 

volta in volta il processo di elaborazione svolto. 

IDROLOGIA DI SUPERFICIE 

I‐SUP‐01 “limite di bacino idrografico e spartiacque locali” (DGR 615/1996). 

Il territorio comunale di Musile di Piave è limitato a nord‐est dal fiume Piave lungo la cui 






RETE IDROGRAFICA 

asta si sviluppa il tratto terminale del Bacino Idrografico. Il territorio che si sviluppa a 

sud‐ovest del Piave rientra nel Bacino idrografico del fiume Sile. 

I limiti sono stati ricavati dal file c0401091_BaciniIdrograficiPTA.shp fornito dalla 

Regione Veneto per la compilazione delle banche dati del Quadro Conoscitivo. 

Primitiva geometrica: Linea 

La rappresentazione della rete idrografica nella cartografia idrogeologica secondo la classificazione 

presente nel DGR 915/1996 è stata eseguita a partire dal file idrograf.shp appartenente al pacchetto di 

file della C.T.R. La quasi totalità dei corsi d’acqua è stata classificata come canale artificiale, mentre solo 

il fiume Piave e la Piave Vecchia sono stati indicati come corsi d’acqua permanente. 

I‐SUP‐02 “corso d'acqua permanente” (DGR 615/1996). 


I‐SUP‐04 “canale artificiale” (DGR 615/1996). 


I‐SUP‐10 “idrovora” (DGR 615/1996). 

Le idrovore presenti nel Comune di Musile di Piave sono state rilevate grazie ai dati 

forniti dal Consorzio di Bonifica Basso Piave. 

Nel Comune sono risultate le seguenti Idrovore: 1. Lanzoni, 2. Croce N.1, 3. Croce N.2, 4. 

Capodargine, 5. S. Marco, 6. Case Bianche. 


I‐SUP‐11 “botte o sifone” (DGR 615/1996). 

I sifoni o botte presenti nel Comune di Musile di Piave sono stati rilevati grazie ai dati. 






ACQUE SOTTERRANEE 

shp forniti dalla Provincia di Venezia. 

Nel Comune è presente un unico sifone o botte: 1. Varrotte. 


I‐SOT‐06 “pozzo freatico” (DGR 615/1996). 

E’ stata indicata con questa voce la quasi totalità dei pozzi individuati nel territorio 

comunale, con profondità comprese tra 10 e 170 m dal p.c., a partire dalle banche dati 

fornite dalla Regione Veneto e dalla Provincia di Venezia per la redazione del Quadro 

Conoscitivo. 

Il posizionamento corretto dei pozzi è presente nella Carta Idrogeologica mentre nel 

file. dbf c0502013_CartaIdrogeologicaP sono riportate tutte le informazioni raccolte per 

ogni pozzo (profondità, lotto, località, anno, diametro, attività, uso, consumo annuo, 

presenza di analisi chimiche e di stratigrafia, portate spontanee, presenza di un 

dispositivo di sollevamento). 



PERCORSO: PATMusile di Piave\c_QuadroConoscitivo\c05_SuoloSottosuolo\ c0502_Idrogeologia 

METADATO: c0502011_CartaIdrogeologicaA 

METADATO: c0502012_CartaIdrogeologicaL 

METADATO: c0502013_CartaIdrogeologicaP 

5 Carta Geomorfologica 

La Carta Geomorfologica è il frutto dell’analisi del tema c0503‐Geomorfologia e dei suoi relativi 

sottotemi; le voci di legenda derivano dal documento “Grafie Unificate per gli strumenti urbanistici 

comunali” di cui alla D.G.R. n. 615/1996. In tale documento le voci di legenda sono state selezionate 






dalla legenda predisposta dal Servizio Geologico Nazionale per la Carta Geomorfologica d’Italia alla scala 

1:50.000, che riprende i criteri per il rilevamento delle unità geomorfologiche per la rappresentazione 

delle forme e dei processi geomorfologici mediante apposita simbologia derivante dai risultati del lavoro 

di una specifica Commissione regionale pubblicati sulla Rivista del Centro Interregionale per la 

Documentazione e le Informazioni Territoriali n. 15‐16 del 1989. 


i. c0503011_CartaGeomorfologicaA.shp (aree); 

ii. c0503012_CartaGeomorfologicaL.shp (linee); 

iii. c0503013_CartaGeomorfologicaP.shp (punti). 

5.1 INQUADRAMENTO GEOMORFOLOGICO 

5.1.1 Lineamenti generali 

Al margine orientale dell’area descritta (figura 13) domina la presenza del grande dosso del 

Piave attuale. A Fossalta di Piave un ventaglio di rotta si apre verso sud‐ovest prolungandosi in un 

blando dosso che continua nella Fossetta. Non vi è traccia di collegamenti con altri elementi 

paleoidrografici e l’origine è probabilmente connessa con una rotta sulla sponda di bótta del meandro. 

Ai piedi del dosso del Piave, in destra idrografica, non si osservano tracce fluviali o lagunari 

particolarmente rilevanti. 






Figura 13: Stralcio della Carta geomorfologica della Provincia di Venezia, Bondesan & Meneghel (a cura di) - 2004. 

Più a ovest, il dosso di Meolo costituisce l’elemento maggiormente rilevato sulla pianura. Si 

tratta di una culminazione poco pronunciata, orientata in senso NO‐SE, isolata, che manifesta una 

prosecuzione da monte attraverso l’affioramento di sabbie, mentre si apre a valle in un ventaglio 

generato probabilmente dagli spostamenti laterali di antichi corsi fluviali. Alcune tracce allungate e ben 

definite proseguono verso est, oltre La Fossetta e potrebbero essere collegate agli antichi percorsi del 

Meolo. Il dosso, segnalato a est de La Fossetta, è stato in tempi recenti spianato in seguito a opere di 

miglioria fondiaria e ha quindi perso la sua elevazione, ma è descritto in letteratura nelle sue condizioni 

originarie (FAVERO, 1992). L’origine del dosso di Meolo è collegata a una importante diramazione di un 

Piave pleistocenico o olocenico antico che già si era disattivato almeno 8000 anni fa; CASTIGLIONI & FAVERO 

(1987) lo collegano alle tracce di Rovarè e Monastier. Indagini archeologiche di superficie (BROGLIO, 

FAVERO & MARSALE, 1987) hanno individuato siti mesolitici presenti sulla superficie del dosso, fatto che 

consente di stabilire una data ante‐quem di disattivazione del dosso. 






Tra Meolo e Losson della Battaglia è ben visibile il paleoalveo del Fosso di Losson, conosciuto 

anche come Meolo Vecchio. Il paleoalveo, con la sua fascia di divagazione, risulta inciso sulla pianura 

pleistocenica e non ha dato luogo alla formazione di un dosso, essendo la sua origine legata a una fase di 

incisione fluviale plavense. Un campione di torba prelevato al fondo dei depositi di riempimento del 

paleo‐canale, ha permesso di datare l’inizio della fase di chiusura del sistema attorno ai 5280±45 anni 

14 C B.P. Questo antico percorso è stato successivamente ripreso da un corso d’acqua minore, 

probabilmente il Meolo, ancora attivo in età moderna come si evince dalle numerose rappresentazioni 

nella cartografia storica. 

Più a ovest, la successiva direttrice plavense è data dal Musestre che collega Biancade, Roncade 

e San Cipriano. Si osserva una lingua sabbiosa all’interno della quale si individua un paleoalveo 

delimitato da una depressione allungata. A valle di San Cipriano mancano le evidenze geomorfologiche 

di un collegamento con altri rami fluviali, anche se il corso attuale del Musestre prosegue in linea retta 

fino a raggiungere il Sile presso la località omonima di Musestre. 

Tra Sile e Musestre si osserva un paleoalveo inciso che all’incirca da San Cipriano raggiunge 

l’attuale alveo del Sile; a oriente del centro di Santa Lucia è evidente una depressione allungata e ben 

definita, connessa con ogni evidenza a una fase di incisione fluviale la cui origine è problematica. 

Una grande traccia di paleoalveo dal letto largo circa 250 m e con raggio di curvatura superiore 

al chilometro si individua tra San Cipriano e Meolo. Esso scorre all’incirca in direzione ovest‐est e pare 

possedere una tipologia a canali intrecciati. La traccia possiede dimensioni e caratteristiche tali da 

poterla ascrivere a un corso d’acqua pleistocenico attivo probabilmente durante la fase di low stand del 

livello marino e in ogni caso alimentato da elevate portate liquide e solide. La sua direzione potrebbe far 

pensare a un’enclave del Brenta all’interno della megaconoide del Piave: tale ipotesi dovrà essere 

confermata da ulteriori indagini di campagna. 

Spostandosi verso sud, nel settore più prossimo al corso del Sile, si osservano numerose tracce 

fluviali di origine ed età diversa; le datazioni eseguite su torbe presenti negli orizzonti superficiali della 

piana di esondazione hanno fornito un’età tra i 21.000 e i 16.000 anni 14 C B.P. (Bondesan & Mozzi, 

2002). Più interessanti per la loro connessione con il tracciato della via Annia, sono gli elementi 

paleoidrografici minori che si rinvengono nell’area a sud di Cà Tron verso il margine lagunare. Tra questi 

si evidenzia il paleoalveo della Canna, ampiamente descritto in Bondesan et al. (2004), un corso d’acqua 

alimentato sia dalle acque di risorgiva sia da quelle di ruscellamento superficiale, che ha sfruttato il solco 

preesistente di una direttrice pleistocenica plavense. Il paleoalveo attraversa due tracciati alternativi 

della via Annia in corrispondenza dei quali sono stati rinvenuti i resti di due ponti (Busana & Ghedini, 

2004). Lungo il percorso della via Annia più prossimo al margine lagunare (tracciato più “esterno”), 

datazioni al radiocarbonio effettuate su elementi lignei fanno risalire il ponte di legno al 1000 a.C. circa, 






mentre il ponte rinvenuto sul percorso più “interno” è stato utilizzato dalla fine del I sec. a.C. fino al 

Rinascimento. I depositi pleistocenici, all’interno dei quali il paleoalveo della Canna è inciso, hanno 

fornito un’età di 16.190±50 anni 14 C B.P., alla profondità di 2,7 m dal piano campagna. I sedimenti 

organici prelevati all’interno dell’alveo, hanno stabilito invece un’età pari a 795‐390 anni a.C. (2460±70 

anni 14 C B.P.) alla base del riempimento, mentre in posizione mediana sono stati datati a 420‐200 anni 

a.C. (a –1,95 m dal p.c.) e a 160 a.C.‐40 d.C. (a –1,65 m dal p.c.). 

Superata l’area del ponte interno, non è del tutto chiara la prosecuzione verso valle del 

tracciato del paleoalveo della Canna. L’osservazione delle immagini telerilevate sembrerebbe indicare 

un collegamento con il paleoalveo del Fosson, ma non si può escludere una prosecuzione verso 

Portegrandi, oltre il Fossetta, dove si osserva una traccia che per morfometria e dimensioni risulta 

essere compatibile con il tracciato del paleoalveo della Canna. 

Un altro sistema di paleoalvei è dato dalle tracce di Marteggia. Si tratta di elementi 

paleoidrografici meno evidenti, orientati in senso ovest–est. Una di queste tracce mostra un netto 

collegamento col paleoalveo del canale Canellara oltre al Fossetta e, in corrispondenza 

dell’attraversamento dell’Annia scorreva sotto un ponte di età romana (CROCE DA VILLA 1991; CROCE DA 

VILLA, 2003). 

La presenza del ponte permette di stabilire come il corso d’acqua fosse attivo durante le fasi 

d’uso della strada. Questa traccia, corrispondente al “Vallio di Marteggia”, configura una situazione 

paleoambientale del tutto analoga al paleoalveo della Canna: il paleoalveo ha un debole risalto (stessa 

riflettanza nelle foto aeree), rivela un’analoga sezione trasversale ed è superato dall’Annia da un ponte 

di dimensioni limitate. (BONDESAN A. & MOZZI, 2002b). Le datazioni eseguite sui campioni prelevati tra i 3 

e i 4 m di profondità hanno fornito una data superiore ai 20.000 anni a 14 C BP, confermando il modello 

proposto di una pianura pleistocenica incisa da corsi d’acqua attivi circa duemila anni fa. 

Nel settore compreso all’incirca tra il Taglio del Sile e il Fossetta, a ridosso del tracciato della via 

Annia, si osserva un reticolo dendritico che per la sua geometria può essere identificato come un 

sistema di paleo–canali lagunari. Le indagini di campagna (BONDESAN A. & MOZZI, 2002a) hanno 

confermato la presenza di sedimenti lagunari all’interno degli alvei che risultano a loro volta incisi sulla 

pianura alluvionale. Ciò significa che i canali lagunari hanno risalito i precedenti corsi fluviali 

ereditandone il tracciato principale. Dai rami più grandi si dipartono tuttavia altri canali minori, meno 

definiti, la cui genesi è strettamente lagunare. Il dosso della Fossetta (conosciuto anche come dosso di 

Millepertiche) sembra bordare a nord l’ingressione lagunare, mentre l’insieme delle tracce è confinato 

all’interno dell’isoipsa –1 nell’intero tratto compreso tra Portegrandi e Caposile, occupando la 

depressione definita con l’apposito simbolo. Mentre tale reticolo appare organizzato e gerarchizzato sul 






canale Lanzoni, più a oriente le tracce sono discontinue, sparse e afferenti a una dinamica idraulica di 

origine marcatamente palustre e lagunare. 

Facendo riferimento al reticolo confluente nel Lanzoni e quindi nel Cenesa, in laguna di Venezia 

(figura 14), si possono riconoscere diverse direttrici di drenaggio. Tre sono i rami principali: il Canellara, il 

Fossonetto e il Fosson. Partendo dal settentrionale Canellara, si osserva a sud–ovest del dosso di Meolo 

una rete di drenaggio naturale costituita da fiumi come il Variol, il Vallio e il suo affluente Arnasa, che 

defluendo verso le bassure drenano la vasta area compresa tra Roncade e Meolo. Tutti questi fiumi 

hanno lasciato una traccia, anche se spesso debole, dei loro antichi percorsi, in particolare il Vallio, che 

dopo la confluenza con l'Arnasa si divide in due rami: l'odierno fiume Vallio e il Colatore Vallio. Tra la 

località di Marteggia e il Taglio del Sile si possono individuare alcuni paleoalvei che aiutano a ricostruire 

gli originari tracciati di questi corsi d'acqua: il fiume Vallio si immetteva nel canale Fosson, mentre l'altro 

ramo (l'odierno Colatore Vallio) si univa, percorrendo in parte il canale ora chiamato Canellara, al Vallio 

nel canale Lanzoni. Quest'ultimo, infine, riceveva le acque di un ramo del Sile, il Siletto, e insieme 

formavano il canale Cenesa. Anche il Meolo probabilmente confluiva nel canale Lanzoni. Infatti A. COMEL 

indica l'attuale Colatore Meolo come percorso originario di questo fiume e cita una mappa del 1547 in 

cui si vedono chiaramente l'affluire del Meolo nella Fossetta e il suo successivo distacco per proseguire a 

oriente fino a raggiungere l'attuale canale Lanzoni. Nelle fotografie aeree tutti questi paleoalvei si 

presentano poco marcati (sono caratterizzati da tracce che hanno un colore molto simile a quello dei 

terreni circostanti) e spesso sono di difficile lettura. 






Figura 14: Principali direttrici di deflusso tra Sile e Piave. 

Questo, probabilmente, è dovuto al fatto che si tratta di percorsi legati a fiumi di risorgiva con 

portate modeste e scarso potere di incisione, che hanno quindi lasciato una debole traccia del loro 

passaggio in questa parte di territorio (PRIMON, 2002). Il paleoalveo del Cannellara è stato studiato in 

sezione e datato. Due campioni prelevati a circa 1,5–2 m di profondità hanno fornito le date di 1650– 

1110 a.C. e 1440–1100 a.C., mentre lo strato immediatamente superiore, ricco di resti di canna palustre 

e con caratteri tali da attribuirne un’origine lagunare, è stato datato nell’intervallo 1040–1290 d.C. Esiste 

quindi una discontinuità nella serie sedimentaria, che interessa un intervallo cronologico superiore ai 

duemila anni. I depositi inferiori datati a più di 3000 anni fa sono con ogni probabilità sedimenti di tipo 

fluviale, quindi continentali, mentre il successivo riempimento medioevale è dato da sedimenti lagunari. 






Questa osservazione può essere estesa all’intero comparto: la rete di paleoalvei che si osserva è data da 

incisioni fluviali su una piana alluvionale, solo successivamente occupata da acque lagunari (BONDESAN A., 

MOZZI 2002b). 

Il ramo centrale del Fossonetto è stato anch’esso analizzato in sezione trasversale confermando 

il quadro stratigrafico descritto sopra. I sedimenti continentali prelevati a circa 3 m di profondità hanno 

fornito una datazione pari a 3940–3620 anni a.C. (4920±80 a 14 C BP) che rappresenta la data olocenica 

più antica dell’intero tratto di pianura. Appena più a monte, sono state datate le torbe ricche di resti 

vegetali rinvenute all’interno del paleo–canale lagunare ricavando una data di 440–720 anni a.C. 

(1430±80 a 14 C BP). 

Il Sile costituisce con il suo dosso l’elemento morfologico di maggior spicco elevandosi fino alla 

quota di 7 m s.l.m. in corrispondenza del margine occidentale della carta geomorfologica. I suoi depositi 

costituiscono l’unità del Sile (BONDESAN, CALDERONI & MOZZI, 2002) impostatasi sulla giunzione tra la 

porzione medio–distale dell’unità di Bassano e le unità di Montebelluna e di Nervesa. Tale unità occupa 

a monte la depressione posta tra i conoidi di Bassano e di Montebelluna, una bassura di risorgiva 

allungata in senso ovest‐est, che a valle di Treviso si incunea tra i conoidi di Bassano e di Nervesa. Si ha 

testimonianza di una prima fase di riempimento di quest’ultimo segmento di depressione di 

interconoide, protrattosi fino a oltre 7475240 a 14 C BP (MOZZI, 1998); segue un momento di incisione, 

che porta la piana di divagazione del Sile a essere confinata all’interno di un avvallamento incassato 

alcuni metri rispetto alla circostante pianura. In prossimità del margine lagunare l’unità del Sile cessa di 

essere incassata nelle unità di Bassano e di Nervesa per ricoprirle, costituendo anche un piccolo delta 

endolagunare. 

Il dosso del Sile rappresentato nella carta geomorfologica è stretto e allungato ed è marcato 

dalla presenza delle sabbie che seguono tutto il corso fluviale in destra e in sinistra. I sedimenti post‐ 

romani deposti dal Sile hanno uno spessore di circa un metro e mezzo in prossimità dell’alveo attuale e 

sembrano ricoprire le superfici più antiche di età pleistocenica. Il superamento del Sile da parte della via 

Annia e la scoperta dei resti di un ponte romano in corrispondenza dell’attraversamento depongono a 

favore di una sostanziale stabilità del tracciato fluviale. Il fatto che la via Annia sia visibile anche sopra i 

sedimenti del dosso potrebbe essere imputato alla continuità d’uso della strada fino a qualche secolo fa. 

Un carotaggio condotto in prossimità dell’argine sinistro ha consentito di individuare depositi 

sabbiosi (figura 3) collegabili a una occupazione dell’alveo da parte del Piave durante l’Olocene. I 

sedimenti occupano un’incisione profonda circa 12 m rispetto alla circostante piana pleistocenica e larga 

meno di 600 m. L’età dei sedimenti pleistocenici nei quali si sviluppa l’incisione fluviale data a 

20.300±220 a 14 C BP (profondità pari a 14,4 m dal piano campagna) mentre il riempimento sabbioso è 

stato datato al tetto 2140–1910 a.C. (3650±40 a 14 C BP, profondità pari a 5,1 m dal piano campagna); più 






a monte, nei pressi di Casier (TV), MOZZI (1995, 1998) segnala la deposizione ancora attiva delle ghiaie 

del Piave almeno fino a 3275±135 a 14 C BP come si evince dalla datazione 14 C eseguita su di una ceppaia 

seppellita all’interno dei depositi ghiaiosi. Pertanto, sembra provato che tra la fine del III e l’inizio del II 

millennio a.C. il Piave sia defluito all’interno del Sile, mentre l’ipotesi che il Piave seguisse questo 

percorso anche in epoca Romana non trova per ora un riscontro nei dati stratigrafici. 

I meandri del Sile odierno sono accompagnati da tracce poco marcate la cui origine è 

probabilmente legata a fasce di maggior umidità. Nel tratto più vicino a Portegrandi il dosso assume una 

maggior evidenza anche a causa delle aree depresse poste sotto il livello del mare, che bordano il 

margine interno della laguna. Queste bassure di fatto individuano l’estensione verso l’interno delle 

antiche lagune. L’antica foce del Sile si ubica all’interno della laguna in corrispondenza del delta 

endolagunare indicato in carta. La traccia desunta da cartografia storica mostra l’andamento del corso 

d’acqua precedente la sua inalveazione artificiale nel Taglio del Sile. 

Dal punto di vista altimetrico la pianura assume una generale blanda inclinazione verso sud e 

verso sud–est in accordo con la geometria dell’ala destra della megaconoide di Nervesa. Le emergenze 

sono date dai dossi di Meolo e di Millepertiche, mentre le forme negative si individuano in 

corrispondenza dell’incisione del Musestre e di Sant’Elena. Lo scolo Arnasa mostra inoltre alla sua 

testata un’incisione da erosione regressiva. La più ampia forma negativa è data dalla bassura che segue 

il Taglio del Sile, oggi maggiormente enfatizzata dai processi di subsidenza superficiale legati alla bonifica 

idraulica. È infatti marcata la differenza di quota tra il fondo della laguna attuale e i terreni a nord del 

Taglio del Sile, i quali si trovano a quote relativamente più basse proprio per l’effetto della costipazione 

dei sedimenti a causa della diminuita controspinta idrostatica e della dissoluzione della sostanza 

organica un tempo presente nei sedimenti bonificati. L’isoipsa zero segue all’incirca il tracciato della via 

Annia. 

I sedimenti superficiali sono essenzialmente limosi, mentre la sabbia affiora in corrispondenza 

dei principali percorsi fluviali quali il Sile, il Musestre, il Meolo e il Piave. Plaghe sabbiose si trovano poi 

isolate nella pianura. Le argille sono essenzialmente concentrate lungo il margine lagunare e nell’area 

compresa tra La Fossetta (Colatore Principale) e la Piave Vecchia. 

Le sabbie sono state analizzate in profondità in occasione di uno studio condotto su un 

transetto di carotaggi eseguito perpendicolarmente al Sile su una distanza di circa 5 km, finanziato dalla 

Fondazione Cassamarca (rapporto interno, inedito). Le sabbie sono state analizzate dal punto di vista 

mineralogico e petrografico e hanno permesso di stabilire una commistione di contributi del Brenta e 

del Piave in profondità (i campioni analizzati sono stati prelevati a profondità comprese tra zero e 20 m) 

e una prevalenza di apporti plavensi in superficie. Questo significa che durante l’attività fluviale tardo– 

pleistocenica Brenta e Piave si contendevano lo spazio e mescolavano le proprie alluvioni, mentre in 






seguito alla disattivazione del ramo pleistocenico del Brenta, i depositi plavensi sono diventati il solo 

fattore di aggradazione della Pianura. 

5.2 ELABORAZIONE DELLA CARTA GEOMORFOLOGICA 


Geomorfologica ed è illustrata la metodologia di analisi e di elaborazione che ha portato alla redazione 

della Carta seguendo le voci di legenda derivanti dal documento “Grafie Unificate per gli strumenti 

urbanistici comunali” di cui alla D.G.R. n. 615/1996. La tipologia di dati e le fonti utilizzate sono descritti 

prendendo in analisi ad una ad una le voci presenti nella legenda della Carta stessa e descrivendo di 

volta in volta il processo di elaborazione svolto. 

Figura 15: Carta della rilevanza della subsidenza 






FORME STRUTTURALI E VULCANICHE 

Figura 16: Carta della velocità di subsidenza 

M‐STR‐03“limite di area di subsidenza o sprofondamento” (DGR 615/1996). 

Sono state segnalate come “aree di subsidenza”, ovvero come aree in cui si registra 

annualmente un abbassamento di quota del piano campagna, le aree in cui, sulla base 

dei dati forniti dalla Provincia di Venezia, il fenomeno presenta una rilevanza 

principalmente da MEDIA ad ALTA (vd. Allegato 3 Tavola 03/B‐03, figura 15). 

Coincidono con queste aree le aree caratterizzate da velocità di subsidenza variabile 

da 1 a 3 mm/anno (vd. Allegato 3 Tavola 03/A‐03, figura 16). 

Le aree di subsidenza si trovano principalmente nelle zone meridionali e centrali del 

Comune, nelle quali prevalgono le tessiture fini e i suoli organici. 


M‐STR‐18 “isoipse del microrilievo con indicazione della quota” (DGR 615/1996). 

I dati per lo sviluppo di questa voce sono stati ricavati da “Bondesan A., Meneghel M. 






(a cura di), Geomorfologia della Provincia di Venezia, Esedra Editrice, Padova, 2004”. 

Per la rappresentazione delle isoipse è stato utilizzato il microrilievo della Provincia di 

Venezia costruito sugli elementi alla scala 1:5000 della CTRN e realizzato per classi di 

0,5 metri (figura 17). 


Figura 17: Modello digitale del terreno 

FORME FLUVIALI E DI VERSANTE DOVUTE AL DILAVAMENTO 

TRACCIA DI CORSO FLUVIALE ESTINTO, A LIVELLO DI PIANURA O LEGGERMENTE INCASSATO 

Si tratta di alvei relitti che hanno risalto morfologico o evidenza all’osservazione in quanto luoghi a 

sedimentazione differenziata. La loro presenza è indicata dal fatto che i sedimenti che occludono il vecchio 

alveo o i suoli che si sviluppano in superficie hanno caratteristiche diverse rispetto ai terreni circostanti; 






essi vengono riconosciuti, in modo diretto o indiretto, nelle immagini telerilevate per il contrasto che 

presentano con il terreno che attraversano. Hanno generalmente una forma allungata, nastriforme con 

limiti da netti a lineari a sfumati. 

I dati per lo sviluppo di questa voce sono stati ricavati da “Bondesan A., Meneghel M. (a cura di), 

Geomorfologia della Provincia di Venezia, Esedra Editrice, Padova, 2004”, e sono stati distinti, in tracce 

certe e incerte: 

M‐FLU‐06 “traccia di corso fluviale estinto, a livello di pianura o leggermente incassato 

” (DGR 615/1996). 


M‐FLU‐07 “traccia di corso fluviale estinto, a livello di pianura o leggermente 

incassato, incerto ” (DGR 615/1996). 


M‐FLU‐13 “di esondazione” (DGR 615/1996). 

I ventagli di esondazione sono corpi sedimentari che si formano ad opera di acque che 

fuoriescono da un alveo fluviale in occasione di piene con tracimazione dell’argine o 

per la rottura dell’argine stesso. I sedimenti vengono deposti a ventaglio, in forma di 

conoide irregolare; i più grossolani nelle vicinanze della rotta, i più fini in posizione 

distale. 

L’unica traccia presente all’interno del territorio comunale è quella del ventaglio di 

esondazione di Fossalta di Piave, di cui si osserva un piccolo lembo a ridosso del dosso 

attuale del fiume Piave. 




M‐FLU‐33 “area depressa in pianura alluvionale; conca di decantazione” (DGR 






615/1996). 

Ambienti depressi sono caratteristici delle pianure fluviali e costiere dove il modello è 

quello di fiumi che elevano argini naturali, mentre le zone più distali divengono aree 

umide a drenaggio difficile. Le aree depresse sono tali sia perché la sedimentazione è 

ridotta, trovandosi in posizione marginale rispetto alle aste fluviali, sia perché gli scarsi 

sedimenti che si depongono sono ricchi di sostanza organica, che tende a compattarsi 

e ossidarsi, dando luogo a subsidenza. Si vengono così a creare dislivelli anche di 

parecchi metri tra i dossi fluviali e il fondo delle depressioni marginali. Un ruolo 

importante nella formazione delle aree depresse è rivestito dalle aree soggette a 

bonifica idraulica. 

Si rimanda, per una miglior comprensione della distribuzione di tali aree, oltre che alla 

Carta Geomorfologica, al Modello Digitale del Terreno riportato all’Allegato 3 Tavola 

01/A‐03. 




M‐FLU‐35 “dosso fluviale” (DGR 615/1996). 

I dossi fluviali sono rilievi, elevati da pochi decimetri a parecchi metri sulla pianura 

circostante, ampi da qualche centinaio di metri a più di un chilometro e lunghi anche 

decine di chilometri. Sono formati dalla deposizione di sedimenti grossolani, spesso 

sabbie, ai lati dell’alveo di fiumi che formano argini naturali e che, durante la 

formazione del dosso, scorrono alla sommità dello stesso. Quando il fiume abbandona 

il tracciato in seguito a una deviazione, i sedimenti si assestano formando una dorsale 

appiattita, al centro della quale in qualche caso si conserva la traccia dell’alveo, 

frequentemente riempito di sedimenti fini. 

Al territorio comunale di Musile di Piave appartiene il settore situato in destra 

idrografica dell’attuale dosso del fiume Piave e del ramo della Piave Vecchia. Il dosso 

segnalato a est de La Fossetta, è stato in tempi recenti spianato in seguito a opere di 

miglioria fondiaria e ha quindi perso la sua elevazione. 







FORME ARTIFICIALI 



M‐MAR‐08 “traccia di canale lagunare in piana bonificata” (DGR 615/1996). 

Tutto il territorio comunale presenta diffuse tracce di paleoalvei che disegnano una 

rete di corsi d’acqua ben evidenziata soprattutto nel settore meridionale. 

Particolarmente interessante è infatti la fascia compresa tra il Taglio del Sile e via 

Millepertiche, dove si osserva un fitto intreccio di paleoalvei ben delineati 

corrispondenti ad antichi canali lagunari. 




M‐ART‐18 “discarica, terrapieno” (DGR 615/1996). 

E’ stata individuata come cava abbandonata o dismessa l’ex discarica di via Caposile, 

conosciuta anche con il nome di Case Bianche. 


M‐ART‐21 “alveo di corso d’acqua pensile” (DGR 615/1996). 

È indicato con questa caratteristica l’alveo del fiume Piave. Un alveo presenta caratteri 

di pensilità quando le sue acque scorrono ad una quota superiore a quella del piano 

campagna. 









M‐ART‐25 “argini principali” (DGR 615/1996). 





PERCORSO: PATMusile di Piave\c_QuadroConoscitivo\c05_SuoloSottosuolo\ c0503_Geomorfologia 

METADATO: c0503011_CartaGeomorfologicaA 

METADATO: c0503012_CartaGeomorfologicaL 

METADATO: c0503013_CartaGeomorfologicaP 

6 Fragilità derivanti dall’analisi geologica 

La Carta delle Fragilità è una carta di progetto del PAT che nasce direttamente dall’elaborazione 

e dall’intersezione delle informazioni ricavate dall’analisi della matrice 05 Suolo e Sottosuolo effettuata 

per la creazione del quadro conoscitivo. 

In questa Carta, ai sensi degli atti di indirizzo della L.R. 11/2004 e dei successivi aggiornamenti 

pubblicati nel sito della Regione Veneto www.regione.veneto.it, il territorio viene suddiviso in base alle 

voci di legenda del tema “Compatibilità geologica ai fini urbanistici” in tre zone: Aree idonee, Aree 

idonee a condizione e Aree non idonee. 

Le precedenti “Penalità ai fini edificatori” che suddividevano i terreni in cinque classi (terreno 

ottimo, buono, mediocre, scadente e pessimo) in base alle caratteristiche del substrato, delle pendenze, 

di drenaggio e di caratteristiche geomeccaniche, vengono in questa carta sostituite dalla “Compatibilità 

geologica ai fini urbanistici” che, oltre a presentare una nuova suddivisione del terreno in tre classi 

denominate Area idonea, Area idonea a condizione e Area non idonea, permette una definizione di 






compatibilità dell’uso del territorio anche per aspetti diversi da quello dell’edificabilità, come ad 

esempio la tutela delle risorse geologiche ed idrogeologiche e la vulnerabilità degli acquiferi. 

La normativa, inoltre, prevede una distinzione delle aree idonee a condizione, in base alle 

problematiche presenti, e prevede che per ogni tipologia d’area siano redatte specifiche norme tecniche 

nelle quali, oltre a descrivere le caratteristiche dell’area, vengano indicate le indagini e le valutazioni che 

devono essere condotte per ogni singolo caso. 

Il territorio comunale di Musile di Piave complessivamente è stato suddiviso in 10 zone, e 

precisamente sono state indicate le aree idonee e 9 diverse aree idonee a condizione. 

Infine è stata segnalata una tipologia di aree soggette a dissesto idrogeologico: aree esondabili 

o a ristagno idrico. 

6.1 COMPATIBILITÀ GEOLOGICA AI FINI URBANISTICI 

In questo paragrafo vengono descritte ad una ad una le diverse zone in cui è stato suddiviso il 

comune, a partire dall’analisi geologica (figura 18). 

6.1.1 AREE IDONEE 

Sono state valutate idonee all’utilizzazione urbanistica le aree del territorio che si estendono 

lungo le arginature naturali del fiume Piave e della Piave Vecchia e una fascia allungata da ovest 

verso est riferibile ad un’antica via di deflusso del fiume Piave. Entrambe queste aree, 

sviluppate in senso longitudinale lungo attuali ed antiche direttrici fluviali, appaiono costituite 

in prevalenza da materiali sabbiosi deposti dall’attività dei fiumi stessi (vd. Allegato 3 Tavola 

06/A‐03 “Carta della compatibilità geologica”). 

I terreni costituiti dai depositi del Piave attuale, oltre ad avere una tessitura sabbiosa e 

sabbioso‐limosa (con spessori che possono anche superare i 10 m di profondità) sono ubicati 

anche in una posizione topograficamente rilevata rispetto al resto del territorio (da +4 a 0 m 

s.l.m.), trovandosi in condizioni favorevoli per la presenza di un discreto drenaggio delle acque 

sia superficiali che profonde grazie ad una permeabilità media (vd Allegato 3 Tavola 01/A‐03 

“Modello digitale del terreno”). 

Mentre la fascia di territorio in località Millepertiche, pur non trovandosi in condizioni 

topograficamente rilevate è costituita da depositi sabbiosi che in corrispondenza del 

paleodosso raggiungono spessori di pochi metri. 






Per tali aree, quindi, data la loro idoneità geologica, non vengono date particolari specifiche 

tecniche, ma si ricorda che qualsiasi progetto, la cui realizzazione preveda una interazione con i 

terreni è sottoposto alle disposizioni presenti nelle vigenti “Nuove norme tecniche per le 

costruzioni” DM Infrastrutture 14 gennaio 2008 pubblicato su S.O. n. 30 alla G.U. 4 febbraio 

2008, n. 29, Cap. 6 “Progettazione geotecnica”, e eventuali successivi aggiornamenti o 

modifiche. 

Per tali aree, quindi, data la loro idoneità geologica, non vengono date particolari specifiche 

tecniche, ma si ricorda che qualsiasi progetto, la cui realizzazione preveda una interazione con i 

terreni è sottoposto alle disposizioni presenti nelle vigenti “Nuove norme tecniche per le 

costruzioni” DM Infrastrutture 14 gennaio 2008 pubblicato su S.O. n. 30 alla G.U. 4 febbraio 

2008, n. 29, Cap. 6 “Progettazione geotecnica”, e eventuali successivi aggiornamenti o 

modifiche. 

6.1.2 AREE IDONEE A CONDIZIONE 

CONDIZIONE: A “Aree di piana alluvionale indistinta” 

AREE: 

SPECIFICHE 

TECNICHE: 

Rientrano in questa categoria tutti i terreni che occupano la maggior 

parte dei territori centrali del comune di Musile di Piave. Si tratta di 

zone con caratteristiche litologiche molto variabili sia in senso laterale 

che in senso verticale. Queste aree, infatti, sono state interessate 

dall’evoluzione dell’antica idrografia superficiale minore o sono state 

generate dall’aggradazione di alluvioni come conseguenza dalle 

frequenti esondazioni. Queste aree sono costituite in buona parte da 

depositi alluvionali fini, in prevalenza limo‐argillosi, argillosi con 

presenza di strati sabbiosi a diverse profondità e livelli torbosi con 

spessori anche di qualche metro rilevati sia in superficie che in 

profondità. 

Le quote di queste aree, per la gran parte sotto il livello del mare, sono 

interessate da un modello di drenaggio artificiale di canali e scoli di 

bonifica; la permeabilità e da media a medio‐bassa. 

In queste aree devono essere condotte specifiche indagini geologiche 

per poter generare al meglio il modello geologico del sito, orientato alla 

ricostruzione dei caratteri stratigrafici, tessiturali e geomorfologici del 






territorio. Esso deve essere realizzato in modo da poter distinguere le 

aree nelle quali prevalgono i sedimenti fini da quelle in cui sono 

presenti orizzonti sabbiosi più superficiali e per valutare con precisione 

la profondità alla quale compaiono strati sabbiosi con spessori tali da 

poter rappresentare una base adeguata per eventuali opere di 

fondazione; il modello geologico così costituito diventa un 

fondamentale elemento di riferimento per l’inquadramento, da parte 

del progettista, delle problematiche geotecniche presenti, ovvero le 

verifiche di sicurezza relative agli stati limite ultimi SLU che 

rappresentano le condizioni di rottura del terreno, e agli stati limite di 

esercizio SLE, che rappresentano la valutazione dell’entità delle 

deformazioni intese come cedimenti del terreno su cui insiste l’opera 

stessa (riferimento normativo: “Nuove norme tecniche per le 

costruzioni” DM Infrastrutture 14 gennaio 2008 pubblicato su S.O. n. 30 

alla G.U. 4 febbraio 2008, n. 29, Cap. 6 “Progettazione geotecnica”, e 

eventuali successivi aggiornamenti o modifiche”). 

Nella aree a condizione A è richiesto di porre particolare attenzione alla 

valutazione degli stati limite di esercizio, in quanto nella condizione di 

forte alternanza sia verticale che laterale di terreni sabbiosi e terreni 

fini organici potrebbero verificarsi sia cedimenti eccessivi nelle aree in 

cui prevalgono i materiali fini che cedimenti differenziali nelle aree in 

cui si presentano entrambi i materiali, che potrebbero in ugual misura 

compromettere la stabilità delle strutture. 

Data l’alternanza di strati granulari e strati più coesivi, ma soprattutto 

data la presenza di direttrici sabbiose che più facilmente possono 

drenare e incanalare le acque di falda rispetto ai depositi fini che le 

ospitano, è richiesta anche particolare attenzione al problema della 

tenuta dei fronti di scavo: la capacità della parete di scavo di 

autosostenersi in assenza di opere di stabilizzazione deve essere 

valutata in sede progettuale in modo rigoroso. Nel caso in esame data 

la possibilità che si verifichino sifonamenti per annullamento delle 

tensioni efficaci nelle sabbie, vanno definite le condizioni geologiche e 

idrogeologiche, le caratteristiche geometriche dello scavo, le 

caratteristiche geotecniche del terreno (angolo d’attrito e coesione) e le 






condizioni al contorno dello scavo (presenza di sovraccarichi in 

prossimità della parete di scavo, quali costruzioni, edifici, …). 

Date le condizioni stratigrafiche di tali terreni, ad eccezioni di situazioni 

che potranno essere particolarmente favorevoli, è possibile che le 

fondazioni superficiali non siano adeguate per opere tipo edifici ad uso 

residenziale o similari, tenendo presente i bassi valori di capacità 

portante e di elevata compressibilità che potrebbero presentare i 

terreni fini in sito. In tali zone dovrà essere valutata la possibilità di 

ricorrere all’impiego di fondazioni di tipo profondo che dovranno essere 

opportunamente attestate su uno strato sabbioso di adeguate 

caratteristiche meccaniche. 

Il tipo di palo più opportuno per la situazione che si presenterà sarà da 

valutare in sede esecutiva e di conseguenza anche i valori di portata 

andranno tarati in funzione del palo scelto e dell’esperienza della ditta 

esecutrice, che dovrà verificare attentamente la possibilità di infiggere i 

pali alla profondità di progetto senza arrecare disturbo alle strutture 

limitrofe, eventualmente presenti. 

Andranno inoltre valutati attentamente i fenomeni di attrito negativo in 

caso di realizzazione di strutture con fondazioni superficiali e carichi 

diffusi nell’intorno della palificata (l’attrito negativo, infatti è una forza 

trasmessa dal terreno al palo che tende a spingerlo verso il basso; esso 

si manifesta prevalentemente in terreni coesivi e le principali cause 

sono: l’assestamento naturale di stati molto compressibili, assestamenti 

per carichi superficiali nelle vicinanze dei pali, consolidamento degli 

strati dovuto all’abbassamento della falda e disturbo al terreno 

provocato dall’infissione nel caso di pali battuti in terreni molli). 

Per le verifiche di sicurezza e per ulteriori specifiche si rimanda alle 

“Nuove norme tecniche per le costruzioni” DM Infrastrutture 14 

gennaio 2008 pubblicato su S.O. n. 30 alla G.U. 4 febbraio 2008, n. 29, 

Cap. 6 “Progettazione geotecnica”, paragrafo 6.4 “Opere di 

fondazione”, ed eventuali successivi aggiornamenti o modifiche. 

CONDIZIONE: B “ Aree a topografia depressa costituite da depositi fini e 


AREE: 

SPECIFICHE 

TECNICHE: 





organici” 

Sono identificati in questa categoria tutti i territori comunali 

caratterizzati da substrato fine argilloso e con un elevato contenuto in 

materia organica (torba). 

Rientrano in questa definizione i terreni posti nella porzione più 

meridionale del territorio comunale. 

Si tratta di aree abbastanza estese del territorio, sede di prolungata 

sedimentazione palustre, con quote che sono le più basse di tutto il 

comune (fino a ‐2 m s.l.m.) e soggette a fenomeni di subsidenza 

generale molto rilevante (da 2 a 3 mm/anno) per la presenza di 

materiale torboso (vd Allegato 3 Tavola 03/B‐03 “Subsidenza ‐ Velocità 

(mm/anno)). 

Le argille assumono, per ossidazione in superficie, un colore nerastro, 

ed il loro comportamento geotecnico è quello di depositi ad alta 

compressibilità. 

In queste aree devono essere condotte specifiche indagini geologiche 

per poter realizzare al meglio il modello geologico del sito, orientato 

alla ricostruzione dei caratteri stratigrafici, tessiturali e geomorfologici 

del territorio. Esso deve essere creato in modo da poter valutare con 

precisione la profondità alla quale compaiono strati sabbiosi con 

spessori tali da poter rappresentare una buona base per eventuali 

opere di fondazione, e costituire quindi un fondamentale elemento di 

riferimento per l’inquadramento, da parte del progettista, delle 

problematiche geotecniche presenti. Dovranno essere condotte le 

verifiche di sicurezza relative agli stati limite ultimi SLU che 

rappresentano le condizioni di rottura del terreno, e agli stati limite di 

esercizio SLE, che rappresentano la valutazione dell’entità delle 

deformazioni intese come cedimenti del terreno su cui insiste l’opera 

stessa (riferimento normativo: “Nuove norme tecniche per le 

costruzioni” DM Infrastrutture 14 gennaio 2008 pubblicato su S.O. n. 30 

alla G.U. 4 febbraio 2008, n. 29, Cap. 6 “Progettazione geotecnica”, e 

eventuali successivi aggiornamenti o modifiche”). Nella aree a 

condizione B è richiesto di porre particolare attenzione alla valutazione 






degli stati limite di esercizio, in quanto a causa della presenza di forti 

spessori di materiale fine organico la stabilità delle strutture può essere 

compromessa soprattutto dal verificarsi di cedimenti eccessivi a causa 

della forte compressibilità delle argille organiche (CC argille organiche 

>4; CC torbe 10‐15). 

Date le condizioni stratigrafiche di tali terreni, ad eccezioni di situazioni 

che potranno essere particolarmente favorevoli, si ritiene che 

fondazioni superficiali non siano in generale adeguate per opere tipo 

edifici ad uso residenziale o similari, tenendo presenti i bassi valori di 

capacità portante e di elevata compressibilità che potrebbero 

presentare i terreni fini in sito. In tali zone è pertanto consigliato l’uso di 

fondazioni di tipo profondo che dovranno essere opportunamente 

attestate su uno strato sabbioso di adeguate caratteristiche 

meccaniche. 

Il tipo di palo più opportuno per la situazione che si presenterà sarà da 

valutare in sede esecutiva e di conseguenza anche i valori di portata 

andranno tarati in funzione del palo scelto e dell’esperienza della ditta 

esecutrice, che dovrà verificare attentamente la possibilità di infiggere i 

pali alla profondità di progetto senza arrecare disturbo alle strutture 

limitrofe, eventualmente presenti. 

Andranno inoltre valutati attentamente i fenomeni di attrito negativo in 

caso di realizzazione di strutture con fondazioni superficiali e carichi 

diffusi nell’intorno della palificata (l’attrito negativo, infatti è una forza 

trasmessa dal terreno al palo che tende a spingerlo verso il basso; esso 

si manifesta prevalentemente in terreni coesivi e le principali cause 

sono: l’assestamento naturale di stati molto compressibili, assestamenti 

per carichi superficiali nelle vicinanze dei pali, consolidamento degli 

strati dovuto all’abbassamento della falda e disturbo al terreno 

provocato dall’infissione nel caso di pali battuti in terreni molli). 

Per le verifiche di sicurezza e per ulteriori specifiche si rimanda alle 

“Nuove norme tecniche per le costruzioni” DM Infrastrutture 14 

gennaio 2008 pubblicato su S.O. n. 30 alla G.U. 4 febbraio 2008, n. 29, 

Cap. 6 “Progettazione geotecnica”, paragrafo 6.4 “Opere di 






fondazione”, ed eventuali successivi aggiornamenti o modifiche. 

CONDIZIONE: C “Aree di dosso fluviale a pericolosità idraulica e geologica 

AREE: 

SPECIFICHE 

TECNICHE: 

da moderata a media” 

Si tratta di aree essenzialmente idonee dal punto di vista strettamente 

geologico‐geotecnico alle quali sono state associate le zone a 

PERICOLOSITA’ IDRAULICA P1 e P2 definite dal Progetto di Piano 

Stralcio per l’Assetto Idrogeologico del bacino idrografico del fiume 

Piave e dal Piano di Assetto Idrogeologico redatto dall’Autorità di 

Bacino del Sile e della pianura tra Piave e Livenza. 

Per tali aree si rimanda alle Norme di Attuazione del Progetto di Piano 

Stralcio per l’Assetto Idrogeologico del bacino idrografico del fiume 

Piave adottato con Delibera n. 3 del 09.11.2012 e a quelle del Piano di 

Assetto Idrogeologico redatto dall’Autorità di Bacino del Sile e della 

pianura tra Piave e Livenza ed in particolare, rispettivamente, all’art. 11 

(per le aree classificate P2) e art.12 (per le aree classificate P1) del 

Piano Stralcio del fiume Piave e all’art.12 (per le aree classificate P2) e 

art.13 (per le aree classificate P1) del Piano di Assetto Idrogeologico del 

Sile Negli articoli elencati sono riportate le azioni consentite in tali zone. 

Si dovrà inoltre fare riferimento alle Specifiche Tecniche previste per le 

Aree idonee. 

CONDIZIONE: D “Aree di piana alluvionale indistinta a pericolosità idraulica e 

AREE: 

SPECIFICHE 

geologica da moderata a media” 

Si tratta di aree costituite da depositi alluvionali fini, in prevalenza limo‐argillosi, 

argillosi con presenza di strati sabbiosi a diverse profondità e livelli torbosi che 

sono state associate alle zone a PERICOLOSITA’ IDRAULICA P1 e P2 definite dal 

Progetto di Piano Stralcio per l’Assetto Idrogeologico del bacino idrografico del 

fiume Piave e dal Piano di Assetto Idrogeologico redatto dall’Autorità di Bacino 

del Sile e della pianura tra Piave e Livenza. 

Per tali aree si rimanda alle Norme di Attuazione del Progetto di Piano Stralcio 


TECNICHE: 





per l’Assetto Idrogeologico del bacino idrografico del fiume Piave adottato con 

Delibera n. 3 del 09.11.2012, e a quelle del Piano di Assetto Idrogeologico 

redatto dall’Autorità di Bacino del Sile e della pianura tra Piave e Livenza, ed in 

particolare rispettivamente, all’art. 11 (per le aree classificate P2) e art.12 (per le 

aree classificate P1) del Piano Stralcio del fiume Piave e all’art.12 (per le aree 

classificate P2) e art.13 (per le aree classificate P1) del Piano di Assetto 

Idrogeologico del Sile. Negli articoli elencati sono riportate le azioni consentite in 

tali zone. 

Si dovrà inoltre fare riferimento alle Specifiche Tecniche previste per le Aree a 

condizione A. 

CONDIZIONE: E “Aree a topografia depressa costituite da depositi fini e organici a 

AREE: 

SPECIFICHE 

TECNICHE: 

pericolosità idraulica e geologica da moderata a media” 

Appartengono a questa categoria le aree caratterizzate da substrato fine 

argilloso e con un elevato contenuto in materia organica (torba) alle quali sono 

state associate le zone a PERICOLOSITA’ IDRAULICA P1 e P2 definite dal Progetto 

di Piano Stralcio per l’Assetto Idrogeologico del bacino idrografico del fiume 

Piave e dal Piano di Assetto Idrogeologico redatto dall’Autorità di Bacino del Sile 

e della pianura tra Piave e Livenza. 



Delibera n. 3 del 09.11.2012, ed in particolare, rispettivamente, all’art. 11 (per le 

aree classificate P2) e art.12 (per le aree classificate P1) del Piano Stralcio del 

fiume Piave e all’art.12 (per le aree classificate P2) e art.13 (per le aree 

classificate P1) del Piano di Assetto Idrogeologico del Sile Negli articoli elencati 

sono riportate le azioni consentite in tali zone. 



CONDIZIONE: F “Aree di dosso fluviale a pericolosità geologica elevata” 

AREE: 

Si tratta di aree essenzialmente idonee dal punto di vista strettamente 


SPECIFICHE 

TECNICHE: 





geologico‐geotecnico alle quali sono state associate le zone a PERICOLOSITA’ 

IDRAULICA P3 definite dal Progetto di Piano Stralcio per l’Assetto Idrogeologico 

del bacino idrografico del fiume Piave. 

Si tratta di un’unica area che si estende lungo l’arginatura naturale del fiume 

Piave e appare costituita in prevalenza da materiali sabbiosi deposti dall’attività 

del fiume stesso. 



Delibera n. 3 del 09.11.2012, ed in particolare all’art.10 (Disciplina degli 

interventi nelle aree classificate a pericolosità elevata P3) e alle Norme di 

Attuazione del Piano di Assetto Idrogeologico redatto dall’Autorità di Bacino del 

Sile e della pianura tra Piave e Livenza, ed in particolare all’art. 13 (Azioni ed 

interventi ammisibili nelle aree classificate a pericolosità moderata – P1). Negli 

articoli elencati sono riportate le azioni consentite in tali zone. 

Si precisa inoltre che ai sensi dell'art. 8 (Disposizioni comuni per le aree a 

pericolosità idraulica, geologica, valanghiva e per le zone di attenzione), comma 

2, delle NTA del PAI Piave: “Possono essere portati a conclusione tutti i piani e gli 

interventi i cui provvedimenti di approvazione, autorizzazione, concessione, 

permessi di costruire od equivalenti previsti dalle norme vigenti, siano stati 

rilasciati prima della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell’avvenuta 

adozione del presente Piano, fatti salvi gli effetti delle misure di salvaguardia 

precedentemente in vigore.” 



CONDIZIONE: G AREE BONIFICATE CON LIMITAZIONI D’USO 

AREE: 

SPECIFICHE 

TECNICHE: 

Si tratta di aree bonificate con le limitazioni d’uso previste nei relativi certificati 

di avvenuta bonifica rilasciati dalla Provincia ex art. 248 c. 7 del Testo Unico 

Ambientale (D.Lgs 152/2006 e s.m.i.). 

Si dovrà fare riferimento alle specifiche limitazioni d’uso previste nei relativi 

certificati di avvenuta bonifica. 

CONDIZIONE: H “Aree caratterizzate da particolari evidenze ed unicità 


AREE: 





geologiche riconosciute come geositi” 

Si tratta di aree che ricadono in un ambito territoriale caratterizzato da 

particolari evidenze ed unicità geologiche, nel quale non vanno previsti 

interventi di trasformazione se non per la loro conservazione, valorizzazione e 

tutela. Nel medesimo sito non vanno effettuate modifiche morfologiche ed 

idrogeologiche, se non per motivi di stabilizzazione dei pendii e bonifica dei 

terreni. 

Sono riportati quindi, tra tutti gli elementi geologici rilevati nello sviluppo del 

Quadro Conoscitivo, solo quelli che presentano le caratteristiche di cui sopra e 

che, per particolare pregio e interesse, sono stati individuati come “geositi”. 

Nel caso specifico del Comune di Musile di Piave, nell’ambito del procedimento 

di redazione del PAT, sono state rilevate due aree che per caratteristiche 

paesaggistiche e geologiche sono state codificate come “geosito”, di concerto 

con il Comune di Musile di Piave e la Regione Veneto. Tali geositi sono anche 

inclusi nel PTCP della Provincia di Venezia. 

Le aree individuate riguardano il Meandro abbandonato del Piave (incluso per la 

sua ubicazione topografica nella categoria Aree non idonee) e i Paleocanali 

lagunari del settore sudoccidentale del comune. Per tali aree, come indicato 

negli atti di indirizzo della L.R. 11/2004, è stata compilata e consegnata alla 

Regione Veneto la “Scheda per l’inventario dei Geositi”, a cui è seguito da parte 

della Regione stessa l’accettazione della proposta e la codifica di tale area come 

geosito 

In generale, l’individuazione di un geosito può sottendere una valenza di natura 

diversa a seconda del luogo e del contesto nel quale esso si colloca: l’interesse 

della comunità può infatti essere rivolto agli aspetti paesaggistici secondo la 

concezione più comune di monumento naturale oppure su altre caratteristiche 

di tipo didattico, scientifico o anche solo esemplificativo dell’elemento geologico 

considerato. E’ innegabile che i geositi che ricadono nella vecchia accezione di 

monumenti geologici, intesi quindi come singolarità del paesaggio uniche per le 

loro caratteristiche intriseche, vadano tutelati integralmente ed esclusi da 

qualunque intervento che non sia mirato alla loro preservazione e valorizzazione 

(e quindi definiti integralmente come Invarianti). Diverso è il caso di elementi 

arealmente estesi, come sono in particolare i geositi del Comune di Musile di 


SPECIFICHE 

TECNICHE: 





CONDIZIONE: 

AREE: 

Piave, i quali, pur importanti per la loro rappresentatività culturale e 

testimonianza della storia geologica, si trovano in condizioni del tutto particolari 

essendo non facilmente delimitabili e particolarmente estesi arealmente. In 

particolare, si ritiene che il geosito Paleocanali lagunari debba essere oggetto di 

attenzione da parte dell’Amministrazione Comunale, specialmente in termini di 

valorizzazione e divulgazione del suo valore scientifico‐culturale, ma che 

nell’ambito del PAT, per ragioni che si possono ricondurre sostanzialmente alla 

sua conformazione geologica ed alla notevole estensione territoriale, non sia da 

perimetrare integralmente come “area idonea a condizione”, considerando 

anche il fatto che non si tratta di un elemento puntuale che una normale 

espansione urbanistica possa obliterare. Nel caso particolare relativo al geosito 

“Paleocanali lagunari”, eventuali opere o interventi realizzati sulla superficie, 

non altererebbero in maniera significativa l’assetto del sottosuolo e dei corpi 

sedimentari che nel loro insieme definiscono il carattere del geosito. 

Per questi motivi, è stata proposta una riperimetrazione del geosito sulla scorta 

di un esame specifico delle immagini telerilevate e dei dati di campagna, 

compatibile con l’attuale presenza antropica nella località. 

Il Comune di Musile di Piave dovrà farsi parte attiva nel mettere in atto tutte le 

forme di valorizzazione e diffusione delle conoscenze sui geositi presenti nel 

proprio territorio, nei modi ritenuti più appropriati (cartellonistica, attività di 

educazione ambientale, itinerari didattici, pubblicistica, ecc.) e di conservazione 

sotto idonee forme (archivi dedicati, banche dati ecc.) dei dati conoscitivi via via 

acquisiti (dati riferiti al geosito derivanti da carotaggi, penetrometrie, descrizioni 

di sezioni, progetti, cartografie, foto aeree, ecc.). 

Per l’area relativa al geosito “Paleocanali lagunari” si dovrà fare riferimento alle 

Specifiche Tecniche previste per le Aree a condizione E, mentre per l’area 

relativa al “Meandro abbandonato del Piave” si dovrà fare riferimento alle 

Specifiche Tecniche previste per le Aree non idonee (art. 16.3), mettendo in atto 

tutte le iniziative di valorizzazione proprie dei geositi. 

I “Area ex discarica di via Caposile‐case Bianche” 

L’area individua il sedime relativo alla discarica di via Caposile‐case Bianche, 

oggi non più attiva. 


SPECIFICHE 

TECNICHE: 





6.1.3 AREA NON IDONEA 

in genere. 

Si tratta di un’unica area localizzata a sud di Musile di Piave nei pressi di via 

Caposile. 

Per tali aree si dovrà fare riferimento alle Specifiche Tecniche previste per le 

Aree a condizione A. 

Qualsiasi ipotesi di riutilizzo della presente area non deve prescindere dalla 

valutazione dell’interferenza con la discarica, con riferimento sia ai rifiuti 

abbancati che alle opere di contenimento e ricopertura superficiale, valutazione 

che potrà essere effettuata nell’ambito del progetto di adeguamento ai sensi 

della vigente normativa ambientale. 

A norma della L.R. Veneto 11/2004 nelle zone classificate “non idonee” è preclusa l’edificazione 

Tale area segue la delimitazione del nuovo PAI del Bacino Idrografico del fiume Piave adottato 

con Delibera n. 3 del 09.11.2012. Il nuovo PAI, rispetto a quello di luglio 2007, indica la precedente area 

P4 come “F–Area Fluviale”, pertanto per tale area vale quanto previsto dalle Norme di Attuazione del 

PAI del Bacino Idrografico del fiume Piave. In tale area è compreso anche il geosito: Meandro 

abbandonato del Piave. 

La suddivisone del territorio in base alla Compatibilità geologica ai fini urbanistici è stata fornita 

in formato di interscambio esri. shp: 

PERCORSO: PATMusile di Piave\b_Progetto\ b03_Fragilita\ b0301_CompatGeologica\ 

b0301011_CompatGeologica 

METADATO: b0301011_CompatGeologica 






Figura 18: Carta della compatibilità geologica 

6.2 AREE SOGGETTE A DISSESTO IDROGEOLOGICO 

Le aree soggette a dissesto idrogeologico sono state delimitate in base alle voci di legenda 

pubblicata tra gli aggiornamenti presenti nel sito internet della Regione Veneto degli atti di indirizzo 

della L.R. 11/2004. 

Nel territorio comunale sono state definite unicamente le aree esondabili o a ristagno idrico 

identificate come tali dal Consorzio di Bonifica ex Basso Piave e dalla Provincia di Venezia nella 

specifica tavola del PTCP. Si tratta di aree per le quali i reali fenomeni di allagamento non risultano 

sempre verificati dall’esperienza diretta dei tecnici comunali. 

Il P.I., in armonia con il piano per la tutela dal rischio idrogeologico approvato dall'Autorità di 

Bacino, provvederà a porre norme di tutela e valorizzazione. Il P.I. recepisce, integra e dettaglia i 






disposti di cui al presente articolo relativamente Tutela idraulica; e rispetta le indicazioni e 

prescrizioni fornite dalla Valutazione di Compatibilità Idraulica. 

Prescrizioni e vincoli 

In via preliminare si prescrive per tali aree di condurre una valutazione di compatibilità idraulica; in 

alternativa dovranno essere disponibili altri studi inerenti, sufficienti a comprendere i rischi di 

esondabilità e/o di ristagno e a mettere in atto le misure per contrastare e mitigare gli effetti. Le 

indagini dovranno prevedere un’adeguata conoscenza delle falde e del loro regime idrogeologico, 

delle condizioni topografiche locali, della soggiacenza rispetto ai canali e ai corsi d’acqua, di 

eventuali insufficienze legate alla rete di scolo artificiale e delle relazioni funzionali con i manufatti 

idraulici che possono interagire con il sito. 

a) Interventi di trasformazione dell’uso del suolo 

‐ Tutti gli interventi di trasformazione dell’uso del suolo che provocano una variazione di 

permeabilità superficiale devono comprendere misure compensative volte e mantenere 

costante il coefficiente udometrico secondo il principio “dell'invarianza idraulica”: pertanto 

l’assetto idraulico dovrà essere adeguatamente studiato adottando tecniche costruttive atte a 

migliorare la sicurezza ed al contempo diminuire i coefficienti di deflusso con accorgimenti 

validi sia per le urbanizzazioni che per i singoli fabbricati; 

‐ Ad intervento eseguito, ed a parità di evento di pioggia, la rete di smaltimento delle acque 

piovane deve prevedere valori di portata massima non superiori al quelle stimabili nella 

situazione ante intervento. A questo fine, si potranno mettere in atto le opere di mitigazione 

idraulica più adeguate alla specifica situazione. 

b) Opere di mitigazione idraulica Gli interventi di trasformazione dell’uso del suolo sono subordinati 

alla realizzazione di opere di mitigazione idraulica, che vanno definite per ciascun progetto con la 

procedura di calcolo e le modalità operative descritte nella Valutazione di Compatibilità Idraulica 

allegata al P.A.T.. In ogni caso la tipologia specifica, caratteristiche, dimensioni e localizzazione di 

tali opere vanno selezionate e misurate in maniera adeguata rispetto: 

‐ alla tipologia ed entità dell’intervento; 

‐ all’obiettivo di una reale efficacia; 

‐ al contesto ambientale e geologico‐idraulico. 






Indicativamente, le opere di mitigazione idraulica possono consistere in: Nelle aree a periodico 

ristagno idrico, in tutto il territorio comunale si applicano le seguenti norme di salvaguardia dal 

rischio idrogeologico: 

a) Le superfici pavimentate diverse dai piazzali pertinenziali degli insediamenti 

produttivi prive di costruzioni sottostanti dovranno essere realizzate con 

pavimentazioni che permettano il drenaggio dell'acqua e l'inerbimento; 

b) Le superfici pavimentate sovrastanti costruzioni interrate e piazzali pertinenziali ad 

insediamenti produttivi, dovranno essere provviste di canalizzazioni ed opere di 

drenaggio che provvedano a restituire le acque meteoriche alla falda o, se 

tecnicamente impossibile, dotate di vasche di raccolta con rilascio lento delle acque 

nelle fognature comunali o negli scoli, al fine di ritardarne la velocità di deflusso; 

c) Le precedenti prescrizioni non si applicano alle superfici pavimentate ove si 

raccolgano acque meteoriche di dilavamento o di prima pioggia disciplinate dall'art. 

113 del D. Leg.vo 152/06, per le quali si applicheranno le speciali disposizioni regionali 

e comunali di attuazione; 

d) le canalizzazioni e tutte le opere di drenaggio devono essere dimensionate 

utilizzando un tempo di ritorno ed un tempo di pioggia critico adeguato all'opera 

stessa ed al bacino, secondo quanto riportato nella normativa vigente; 

e) in caso di nuove lottizzazioni, prevedere dei volumi di invaso(con un volume minimo 

determinato dalla normativa vigente e comunque concordato con i consorzi/enti 

competenti) per la raccolta delle acque piovane (bacino di laminazione) per evitare di 

sovraccaricare la rete superficiale di scolo con i maggiori picchi di piena dovuti alla 

ridotta permeabilità del suolo; 

f) nella rete di smaltimento delle acque prediligere, nella progettazione dei collettori di 

drenaggi grandi diametri; 

g) le tubazioni in cls o ca a servizio dei sistemi di collettamento delle acque, nel caso in 

cui presentino pendenze inferiori allo 0.5%, dovranno essere obbligatoriamente posate 

su letto in calcestruzzo armato di idonea rigidità per evitare cedimenti delle stesse; 

h) valutare l’opportunità di impiego di perdenti delle acque piovane nel primo 

sottosuolo e tubazioni della rete acque bianche del tipo drenante. 

Il P.I. disciplina le aree in oggetto in coerenza con le disposizioni di seguito elencate: 






‐ salvaguardia dei caratteri dimensionali e morfologici che garantiscono la funzionalità idraulica dei 

corpi idrici; 

‐ mantenimento, per i fossati, scoli esistenti, dei profili naturali del terreno evitando l'occlusione, 

l’impermeabilizzazione del fondo e delle loro sponde, preservando le dimensioni di ampia sicurezza 

e il relativo corredo di alberature e siepi; 

‐ divieto di tombamento o di chiusura di fossati esistenti, anche privati, a meno di evidenti necessità 

attinenti la pubblica o privata sicurezza; in caso di tombinamento occorrerà provvedere alla 

ricostruzione planoaltimetrica delle sezioni idriche perse secondo configurazioni che ripristinino la 

funzione iniziale sia in termini di volumi che di smaltimento delle portate defluenti; 

‐ eventuali ponticelli, tombinamenti, o tombotti interrati, devono garantire una luce di passaggio 

mai inferiore a quella maggiore fra la sezione immediatamente a monte e quella immediatamente a 

valle della parte di fossato a pelo libero; 

‐ rivestire imbocco e sbocco dei manufatti di attraversamento (tombini, sifoni) e le immissioni di 

tubazioni in fossi naturali con massi cementati o cemento armato: questo per evitare erosioni in 

caso di piena e per mantenere liberi da infestanti questi punti di connessione idraulica; 

‐ la continuità idraulica dei fossati mediante tombinamenti deve avvenire in condizioni di deflusso a 

superficie libera, eventualmente aumentando la quota del piano campagna o di progetto in 

corrispondenza dell'opera di attraversamento; nel caso questo non sia possibile, dovrà essere 

comunque garantita la connessione mediante tubazioni sifonate aventi alle estremità pozzetti e 

griglie per impedire l'ingresso di persone, animali o di oggetti flottanti. Questi sifoni (e comunque in 

generale tutti gli attraversamenti), nel caso siano posizionati su alvei non demaniali, dovranno 

essere periodicamente ispezionati e ripuliti dai proprietari; 

‐ negli interventi di nuova edificazione il piano di imposta dei fabbricati dovrà essere fissato ad una 

quota superiore al piano di campagna medio circostante, per una quantità da precisarsi attraverso 

un’analisi della situazione morfologica circostante, e comunque non inferiore ai 30cm; 

‐ negli interventi di nuova edificazione per i volumi interrati, vanno previsti adeguati sistemi di 

impermeabilizzazione e drenaggio, e quanto necessario per impedire allagamenti dei locali, sono 

vietati gli scivoli esterni per accesso ai garages, inoltre bocche di lupo, sfiati ecc. vanno disposti 

sempre con apertura superiore a una quota come definita al punto precedente; 

‐ per le aree a difficoltà drenaggio, in particolare, salvaguardia/ripristino delle condizioni di: 

‐ funzionalità della rete idrica, attraverso la ripresa di eventuali punti critici strutturali (in particolare 

delle parti intubate); 






‐ accessibilità ai corpi idrici, per assolvere alle necessarie operazioni di pulizia e manutenzione. 

Il P.I. sulla base di analisi geologico – idrauliche puntuali, o su ulteriori indicazioni dei consorzi di 

bonifica e della Autorità di Bacino, si potrà ridefinire i limiti delle aree con periodico ristagno idrico 

rappresentati nella tav. 3, giustificando le diversità mediante adeguata documentazione geologico – 

tecnica allegata al P.I. Il PI individuerà, con idonea destinazione urbanistica, appositi invasi, sia locali 

che diffusi, per il drenaggio, la raccolta e lo scarico controllato delle piogge più intense, o per la 

laminazione delle portate di piena dei corsi d’acqua a rischio di esondazione. Per gli interventi 

finalizzati a contenere o risolvere le situazioni critiche disciplinate dal presente articolo, il PI valuta 

anche le possibilità di operare con programmi complessi, o di applicare gli strumenti della 

perequazione urbanistica, del credito edilizio e della compensazione urbanistica, definendone gli 

ambiti e i contenuti. Devono essere comunque rispettate le indicazioni e prescrizioni fornite dalla 

Valutazione di Compatibilità idraulica e le disposizioni date per i singoli ATO. Il PI individua e 

perimetra l’ambito soggetto a erosione e ricompreso nel bacino idrogeologico degli scaranti. Per 

tale ambito il P.I. dovrà prevedere, in accordo con gli Enti competenti, un’opportuna rete di 

smaltimento delle acque bianche nella sezione di chiusura del bacino stesso e prevedere le seguenti 

attività: 

a) precludere movimentazione di terra nelle sistemazioni agrarie all’interno dell’area che vada a 

cambiare e modificare il profilo morfologico; 

b) vietare movimentazione di terreni agricoli nelle sistemazioni agrarie che vada a modificare la 

permeabilità dei suoli; 

c) sistemazioni agrarie; 

d) vietare il taglio del bosco senza precisa e opportuna autorizzazione forestale che vada a 

incrementare il dissesto idrogeologico; 

e) predisporre un monitoraggio periodico dei letti degli scaranti stessi al fine di prevenire il naturale 

formarsi di temporanei sbarramenti che potrebbero dare origine a pericolose inondazioni. 

La perimetrazione delle aree soggette a dissesto idrogeologico è stata fornita in formato di 

interscambio esri. shp: 

PERCORSO: PATMusile di Piave\b_Progetto\ b03_Fragilita\ b0302_DissestoIdrogeologico \ 

b0302011_DissestoIdrogeol 

METADATO: b0302011_DissestoIdrogeol 


7 Geositi 





7.1 MEANDRO ABBANDONATO DEL PIAVE 

Si tratta della traccia molto evidente di un’ansa fluviale che è rimasta isolata in seguito alla 

rettifica del tratto del Piave in corrispondenza di S. Donà di Piave. Il meandro abbandonato, oggi 

completamente interrato, si sviluppa in destra idrografica ed è racchiuso negli argini del fiume che qui si 

allargano ad includere la traccia relitta (figura 16). La parcellizzazione agraria enfatizza il disegno 

geometrico del paleoalveo consentendo di distinguere agevolmente l’antico lago di meandro, ben 

riconoscibile anche nella cartografia dell’Istituto Geografico Militare dei primi decenni del secolo scorso. 

Un nucleo di abitazioni occupa oggi il lobo del meandro. 

forniti: 

Figura 16: Foto panoramica del meandro abbandonato del Piave.. 

Di seguito si riporta la collocazione dei file shape, e i rispettivi nomi dei metadati dei file. shp 






PERCORSO: PATMusile di Piave\b_Progetto\ b02_Invarianti\ b0201_InvGeologiche\b0201021_GeositiA 

METADATO: b0201021_GeositiA 

7.2 PALEOCANALI LAGUNARI 

Nella zona situata tra il canale Fossetta e il Taglio del Sile si individua un’area interessata da 

canali derivanti dall’azione di flusso e riflusso delle maree in aree lagunari. 

I canali di marea hanno in parte riutilizzato i corsi d’acqua provenienti da nord‐ovest, risalendo 

così l’entroterra attraverso percorsi predefiniti, in parte hanno lasciato evidenti tracce della loro 

presenza nella fitta rete di sottili ramificazioni che si dipartono dalle aste fluviali principali. 

La larghezza dei canali di marea si riduce rapidamente da valori massimi a partire dalla bocca a 

mare fino a arrivare a valori minimi nelle parti terminali delle varie ramificazioni (canali e ghebi). Si tratta 

comunque di tracce dal corso breve, spesso sottile, di colore chiaro rispetto ai terreni circostanti più 

scuri rappresentanti l’antico fondo lagunare (figura 17). Solitamente si distinguono dai paleoalvei di 

origine fluviale per l’assenza della traccia più chiara degli argini naturali. La presenza degli argini ai lati 

dei canali interpretati come lagunari, deriva talora dal riutilizzo da parte dei canali mareali di precedenti 

percorsi fluviali. 

L’attribuzione, quindi, dei paleoalvei a forme di tipo fluviale o di tipo lagunare rappresenta in 

alcuni casi un problema a causa dell’interazione tra uno e l’altro ambiente, della sovrapposizione di 

forme derivanti da processi di natura diversa e dalla variazione di tipo paleoambientale che le varie aree 

hanno subito nel tempo. 


forniti: 





Figura 17: I paleocanali lagunari tra il canale Fossetta e il Taglio del Sile (Volo GAI 55, str. 16°, n. 721, anno 1955, IGM) 

Di seguito si riporta la collocazione dei file shape, e i rispettivi nomi dei metadati dei file. shp 

PERCORSO: PATMusile di Piave\b_Progetto\ b02_Invarianti\ b0201_InvGeologiche\b0201021_GeositiA 

METADATO: b0201021_GeositiA 


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(in stampa). Note illustrative della Carta Geologica d'Italia alla scala 1:50.000. 107 – 

Portogruaro. ISPRA-Regione del Veneto, Roma. 

BONDESAN A., PRIMON S., BASSAN V. & VITTURI A. (a cura di), 2008 – Le unità geologiche della 

provincia di Venezia. Cierre Grafica, Caselle di Sommacampagna (Verona). 

BROGLIO A., FAVERO V. & MARSALE S., 1987 - Ritrovamenti mesolitici attorno alla laguna di 

Venezia. Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti, Commissione di studio dei provvedimenti 

per la conservazione e difesa della laguna e della città di Venezia. Venezia, Rapporti e 

Studi, 10, 195-231. 

BUSANA M.S. & GHEDINI F. (a cura di), 2003 - La via Annia e le sue infrastrutture, Atti delle 

Giornate di Studio (Ca’ Tron, Roncade, 6 – 7 novembre 2003), Grafiche Antiga, Cornuda 

(Treviso), pp. 109-146. 

CASTIGLIONI G.B. & FAVERO V., 1987 – Linee di costa antiche ai margini orientali della laguna di 

Venezia e ai lati della foce attuale del Piave. Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti, 

Commissione di Studio dei Provvedimenti per la Conservazione e Difesa della Laguna e 

della Città di Venezia. Rapporti e Studi, 10, 17-30. 

CASTIGLIONI G.B., GIRARDI A. & RODOLFI G., 1987 – Le tracce degli antichi percorsi del Brenta 

per Montà e Arcella nei pressi di Padova: studio geomorfologico. Memorie Scienze 

Geologiche, 39, 29-149. 

CROCE DA VILLA P. (a cura di), 1990 - Musile di Piave: ponte romano lungo l’Annia. Quaderni di 

Archeologia del Veneto, VI, 165-188. 






CROCE DA VILLA P., 1991 - Le vie di comunicazione. Organizzazione del territorio. Gli 

insediamenti rustici. Le schede. In: La pianura tra Sile e Piave nell’antichità, Provincia di 

Venezia, 15, 4/6, 10- 32. 

CROCE DA VILLA P., 2003 - Giussago. In: TASCA G. (a cura di), Giornata di studio sull’archeologi 

del Medio e Basso Tagliamento “in ricordo di G. Cordenos”, S. Vito al Tagliamento, 127-139. 

FAVERO V., 1992 - Evoluzione morfologica e trasformazioni ambientali dalla conterminazione 

lagunare al nostro secolo. In: Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti, Atti del Convegno di 

Studio nel Bicentenario della Conterminazione lagunare: storia, ingegneria, politica e diritto 

nella Laguna di Venezia, Venezia, 1991, 165-184. 

FONTANA A., MOZZI P. & BONDESAN A., 2008 - Alluvial megafans in the Venetian-Friulian Plain 

(North-eastern Italy): evidence of aggrading and erosive phases during Late Pleistocene and 

Holocene. Quaternary International, 189, 71-90. 

GATTO P., 1980 - Il sottosuolo del litorale veneziano. C.N.R., Istituto per lo studio della Dinamica 

delle Grandi Masse, Rapporto Tecnico 108, Venezia. 

GATTO P., 1984 - Il cordone litoraneo della laguna di Venezia e le cause del suo degrado. Istituto 

Veneto di Scienze, Lettere e Arti, Rapporti e Studi, IX, 163-193. 

GATTO P. & PREVIATELLO P., 1974 - Significato stratigrafico, comportamento meccanico e 

distribuzione nella laguna di Venezia di un'argilla sovraconsolidata nota come "caranto". 

C.N.R., Istituto per lo Studio Dinamica Grandi Masse, Rapporto Tecnico 70, Venezia, 45 pp. 

MATTEOTTI G., 1962 - Sulle caratteristiche dell'argilla precompressa esistente nel sottosuolo dei 

Venezia - Marghera. Notiziario dell'Ordine degli Ingegneri della Provincia di Padova, 6, 

Padova. 

MIOLA A., ALBANESE D., VALENTINI G. & CORAIN L., 2003 – Pollen data for a biostratigraphy of 

LGM in the Venetian Po Plain. Il Quaternario, 16, 21-25. 

MOZZI P., 1995 - Evoluzione geomorfologica della pianura veneta centrale. Tesi di dottorato 

inedita, Università di Padova, Dipartimento di Geografia. 

MOZZI P., 1998 – Nascita e trasformazione della pianura del Sile. In: BONDESAN A., CANIATO G., 

VALLERANI F. & ZANETTI M. (a cura di), Il Sile, Cierre, Verona, 40-51. 

MOZZI P., BINI C., ZILOCCHI L., BECATTINI R & MARIOTTI LIPPI M., 2003 - Stratigraphy, 

palaeopedology and palinology of late Pleistocene and Holocene deposits in the landward 

sector of the lagoon of Venice (Italy), in relation to caranto level. Il Quaternario, 16 (1bis), 

193-210. 

PRIMON S., 2002 - Le evidenze naturali dell’ immagine telerilevata e il confronto con gli studi 

precedenti. In: GHEDINI F., BONDESAN A. & BUSANA M.S. (a cura di), La tenuta di Ca’ Tron. 

Ambiente e storia nella terra dei Dogi, Cierre, Verona, 41-45. 


Legenda 

Quota (m s.l.m.) 

High : 4.3273 

Low : -2.00005 

0 1.000 2.000 

Metri 

Trezze 

Comune: 

Provincia: 

Millepertiche 


Venezia 

Croce 

Lazzaretto 

Modello digitale del terreno 

Piano di assetto del territorio 

Comune di Musile di Piave 

Località: 

Elaborato: CL Controllato: FB Approvato: AB Tavola: 01 / A-03 

Data: Agosto 2010 Scala: 1:52.000 Commessa: 9687 

File: Estensori: Prof. Geol. Aldino Bondesan 

9687_Tav01_A_03 Rev.: 00 

1 

Dott.ssa Chiara Levorato 1 

1 - Adastra s.r.l. 

Committente: 

Caposile 



Piazza XVIII giugno, 1 - 30024 Musile di Piave (Venezia) 

0421 - 5921 

info@comune.musile.ve.it www.comune.musiledipiave.ve.it

Legenda 

Unità di San Donà di Piave 

Unità di Meolo 

Unità di Montiron 

Unità di Caposile 

0 1.000 2.000 

Metri 

Trezze 


Provincia: 

Millepertiche 


Venezia 

Croce 

Lazzaretto 

Unità geologiche 



Località: 



File: Estensori: 

Prof. Geol. Aldino Bondesan 

9687_Tav02_A_03 Rev.: 00 

1 



Committente: 

Caposile 




0421 - 5921 


Legenda 

Rilevanza del fenomeno 

alta 

media 

minima 

molto alta 

0 1.000 2.000 

Metri 

Trezze 


Provincia: 

Millepertiche 


Venezia 

Croce 

Lazzaretto 

Subsidenza - Rilevanza del fenomeno 



Località: 




9687_Tav03_A_03 Rev.: 00 

1 



Committente: 

Caposile 




0421 - 5921 

info@comune.musile.ve.it www.comune.musiledipiave.ve.it 

Fonte: Provincia di Venezia

Legenda 

Velocità (mm/anno) 

da 1 a 2 

da 2 a 3 

da 3 a 5 

0 1.000 2.000 

Metri 

Trezze 


Provincia: 

Millepertiche 


Venezia 

Croce 

Subsidenza - Velocità (mm/anno) 



Località: 

Elaborato: CL Controllato: FB Approvato: AB Tavola: 03 / B-03 



9687_Tav03_B_03 Rev.: 00 

1 



Committente: 

Lazzaretto 

Caposile 




0421 - 5921 

info@comune.musile.ve.it www.comune.musiledipiave.ve.it 

Fonte: Provincia di Venezia

Legenda 

rischio idraulico R1 



0 1.000 2.000 

Metri 

Trezze 


Provincia: 

Millepertiche 

Croce 


Venezia 

Lazzaretto 

Carta del rischio idraulico 



Località: 


Data: Agosto2010 Scala: 1:52.000 Commessa: 9687 



9687_Tav04_A_03 Rev.: 00 

1 



Committente: 

Caposile 




0421 - 5921 


Legenda 

pericolosità idraulica P1/P2 

pericolosità idraulica P3 

0 1.000 2.000 

Metri 

Trezze 


Provincia: 

Millepertiche 

Croce 


Venezia 

Lazzaretto 

Carta della pericolosità idraulica 



Località: 

Elaborato: CL Controllato: FB Approvato: AB Tavola: 04 / B-03 




9687_Tav04_B_03 Rev.: 00 

1 



Committente: 

Caposile 




0421 - 5921 


IDENTIFICATIVO 

SCHEDA 

NOME DEL GEOSITO 

SCHEDA PER L’INVENTARIO DEI GEOSITI 

SERVIZIO 

GEOLOGIA 

COMPILATORE/ENTE CODICE SCHEDA DATA SCHEDA 

ALDINO BONDESAN/ UNIVERSITA’ DI PADOVA 19 GENNAIO ’10 

MEANDRO ABBANDONATO DEL PIAVE 

UBICAZIONE COORDINATE GEOGRAFICHE - GAUSS-BOAGA 

PROVINCIA VENEZIA LONGITUDINE 5055400 

COMUNE MUSILE DI PIAVE LATITUDINE 2329500 

TOPONIMO/LOCALITÀ 

QUOTA 4,25 M S.L.M. 

RIFERIMENTO CARTOGRAFICO 

TAV. I.G.M. 1:25.000: 

C.T.R.: 106150 

SCALA: 1:10000 

DENOMINAZIONE: SAN DONA’ DI PIAVE 

DESCRIZIONE DELL’OGGETTO 

SI TRATTA DELLA TRACCIA MOLTO EVIDENTE DI UN’ANSA FLUVIALE CHE È RIMASTA ISOLATA IN SEGUITO ALLA 

RETTIFICA DEL TRATTO DEL PIAVE IN CORRISPONDENZA DI S. DONÀ DI PIAVE. IL MEANDRO ABBANDONATO, OGGI 

COMPLETAMENTE INTERRATO, SI SVILUPPA IN DESTRA IDROGRAFICA ED È RACCHIUSO NEGLI ARGINI DEL FIUME CHE 

QUI SI ALLARGANO AD INCLUDERE LA TRACCIA RELITTA. LA PARCELLIZZAZIONE AGRARIA ENFATIZZA IL DISEGNO 

GEOMETRICO DEL PALEOALVEO CONSENTENDO DI DISTINGUERE AGEVOLMENTE L’ANTICO LAGO DI MEANDRO, BEN 

RICONOSCIBILE ANCHE NELLA CARTOGRAFIA DELL’ISTITUTO GEOGRAFICO MILITARE DEI PRIMI DECENNI DEL SECOLO 

SCORSO. UN NUCLEO DI ABITAZIONI OCCUPA OGGI IL LOBO DEL MEANDRO. 

LITOLOGIA CARATTERIZZANTE 

SABBIA 

ETÀ DEL PROCESSO GENETICO 

OLOCENE 

INTERESSE 

GEOGRAFICO IDROGEOLOGICO ARCHEOLOGICO 

GEOLOGIA MARINA MINERALOGICO SEDIMENTOLOGICO 

GEOLOGIA STRATIGRAFICA NATURALISTICO GEOMORFOLOGICO X

GEOLOGIA STRUTTURALE PAESAGGISTICO PEDOLOGICO 

GEOMINERARIO FOSSILIFERO ESCURSIONISTICO 

CULTURALE X DIDATTICO X 

STORICO ………………………… ………………………… 

DOCUMENTAZIONE FOTOGRAFICA 

SE NON ORIGINALE SPECIFICARE FONTE/AUTORE: 

PROVINCIA DI VENEZIA, BONDESAN A., 2004 

VINCOLI TERRITORIALI INSISTENTI SULL’AREA 

IL SITO RIENTRA IN UN’AREA PROTETTA? SI X NO 

PARCHI NAZIONALI 

DEFINIZIONE ALTRI TIPI DI VINCOLO TERRITORIALE 

RISERVE NATURALI STATALI VINCOLO PAESISTICO-AMBIENTALE 

PARCHI NATURALI REGIONALI VINCOLO AI SENSI D. LGS 431/75 

RISERVE NATURALI REGIONALI AMBITI NATURALISTICI A LIVELLO REGIONALE X 

ZUI VINCOLO ARCHEOLOGICO 

ZPS BIOTOPI 

ZSC 

SIC 

AREE BOSCATE E ZONE CON PRIORITÀ DI 

RIFORESTAZIONE 

PTRC ART. 33-34-35 

X 

X 

ALTRE AREE PROTETTE …………………………………… 

FRUIZIONE DELL’OGGETTO E/O DELL’AREA 

ACCESSIBILITÀ’ 

EMERSO 

A PIEDI X IN AUTO ASFALTO IN BARCA MOUNTAIN 

BIKE 

SOMMERSO 

SOTTERRANEO 

STERRATA 

VISIBILE DA 

SUPERFICIE 

VISIBILE IN 

IMMERSIONE 

X

CARATTERI SALIENTI 

PUNTO PANORAMICO X 

PUNTO VISIBILE DA LONTANO X 

SITO DI ITINERARIO GEOLOGICO- NATURALISTICO X BIBLIOGRAFIA 

NOTE: 

SI NO 

PROPRIETÀ DEMANIALE X 

PROPRIETÀ’ PRIVATA X 

AREA ATTREZZATA X 

PRESENZA DI STRUTTURE ALBERGHIERE X ENTRO 1 KM 

POSSIBILITÀ DI CAMPEGGIO X 

PRESENZA DI ACQUA POTABILE X 

USO DEL SUOLO SI NO 

SI NO STAGIONE CONSIGLIATA I P E A 

SE SÌ, ENTRO KM 

TERRAZZATO X ROCCIA AFFIORANTE 

BONDESAN A., MENEGHEL M. 

(a cura di), 2004, "Geomorfologia 

della provincia di Venezia. Note 

illustrative della Carta 

geomorfologica della provincia di 

Venezia", Esedra, Padova, 516. 

SIMONELLA I. (a cura di), 2005, 

"Atlante degli ambiti di interesse 

naturalistico della provincia di 

Venezia". Provincia di Venezia, 

Cicero, Venezia, 138-139. 

COLTIVATO X SE COLTIVATO SPECIFICARE : FRUMENTO, VITIGNI 

INCOLTO X

IDENTIFICATIVO 

SCHEDA 

NOME DEL GEOSITO 

SCHEDA PER L’INVENTARIO DEI GEOSITI 

SERVIZIO 

GEOLOGIA 

COMPILATORE/ENTE CODICE SCHEDA DATA SCHEDA 

PAOLO MOZZI/ UNIVERSITA’ DI PADOVA 19 GENNAIO ’10 

PALEOCANALI LAGUNARI 

UBICAZIONE COORDINATE GEOGRAFICHE - GAUSS-BOAGA 

PROVINCIA VENEZIA LONGITUDINE 5050500 

COMUNE MUSILE DI PIAVE LATITUDINE 2324000 

TOPONIMO/LOCALITÀ 

QUOTA -1,6 M S.L.M. 

RIFERIMENTO CARTOGRAFICO 

TAV. I.G.M. 1:25.000: 

C.T.R.: 128020 

SCALA: 1:10000 

DENOMINAZIONE: PORTEGRANDI 

DESCRIZIONE DELL’OGGETTO 

NELLA ZONA SITUATA TRA IL CANALE FOSSETTA E IL TAGLIO DEL SILE SI INDIVIDUA UN’AREA INTERESSATA DA CANALI 

DERIVANTI DALL’AZIONE DI FLUSSO E RIFLUSSO DELLE MAREE IN AREE LAGUNARI. IN QUESTO CASO I CANALI DI MAREA 

IN PARTE HANNO RIUTILIZZATO I CORSI D’ACQUA PROVENIENTI DA NORD-OVEST RISALENDO COSÌ L’ENTROTERRA 

ATTRAVERSO PERCORSI PREDEFINITI, IN PARTE HANNO LASCIATO EVIDENTI TRACCE DELLA LORO PRESENZA NELLA 

FITTA RETE DI SOTTILI RAMIFICAZIONI CHE SI DIPARTONO DALLE ASTE FLUVIALI PRINCIPALI. LA LARGHEZZA DEI 

CANALI DI MAREA SI RIDUCE RAPIDAMENTE DA VALORI MASSIMI A PARTIRE DALLA BOCCA A MARE FINO A ARRIVARE A 

VALORI MINIMI NELLE PARTI TERMINALI DELLE VARIE RAMIFICAZIONI (CANALI E GHEBI) 

LITOLOGIA CARATTERIZZANTE 

LIMO 

ETÀ DEL PROCESSO GENETICO 

OLOCENE 

INTERESSE 

GEOGRAFICO IDROGEOLOGICO ARCHEOLOGICO 

GEOLOGIA MARINA MINERALOGICO SEDIMENTOLOGICO X 

GEOLOGIA STRATIGRAFICA NATURALISTICO GEOMORFOLOGICO X

GEOLOGIA STRUTTURALE PAESAGGISTICO PEDOLOGICO 

GEOMINERARIO FOSSILIFERO ESCURSIONISTICO 

CULTURALE X DIDATTICO X 

STORICO ………………………… ………………………… 

DOCUMENTAZIONE FOTOGRAFICA 

SE NON ORIGINALE SPECIFICARE FONTE/AUTORE: 

foto Bondesan A. - Provincia di Venezia, 16/12/2003). 

VINCOLI TERRITORIALI INSISTENTI SULL’AREA 

IL SITO RIENTRA IN UN’AREA PROTETTA? SI X NO 

PARCHI NAZIONALI 

DEFINIZIONE ALTRI TIPI DI VINCOLO TERRITORIALE 

RISERVE NATURALI STATALI VINCOLO PAESISTICO-AMBIENTALE 

PARCHI NATURALI REGIONALI VINCOLO AI SENSI D. LGS 431/75 

RISERVE NATURALI REGIONALI AMBITI NATURALISTICI A LIVELLO REGIONALE X 

ZUI VINCOLO ARCHEOLOGICO 

ZPS BIOTOPI 

ZSC 

SIC 

AREE BOSCATE E ZONE CON PRIORITÀ DI 

RIFORESTAZIONE 

PTRC ART. 33-34-35 

X 

X 

ALTRE AREE PROTETTE 

FRUIZIONE DELL’OGGETTO E/O DELL’AREA 

ACCESSIBILITÀ’ 

AMBITI EX 1497/39 EX 431/85 

PALAV ART.21 INTERESSE PAESISTICO- 

AMBIENTALE 

EMERSO 

A PIEDI X IN AUTO ASFALTO IN BARCA MOUNTAIN 

BIKE 

SOMMERSO 

SOTTERRANEO 

STERRATA 

VISIBILE DA 

SUPERFICIE 

VISIBILE IN 

IMMERSIONE 

X 

X 

X

CARATTERI SALIENTI 

SI NO STAGIONE CONSIGLIATA I P E A 

PUNTO PANORAMICO X 

PUNTO VISIBILE DA LONTANO X 

SITO DI ITINERARIO GEOLOGICO- NATURALISTICO X BIBLIOGRAFIA GHEDINI F. et alii, 2002, "La tenuta 

di Ca' Tron. Ambiente e Storia nella 

terra dei Dogi", Cierre, Verona. 

MOZZI P., 1998, "Nascita e 

trasformazione della pianura del 

Sile". In: Bondesan A. et alii (a cura 

di), Il Sile, Cierre, Verona, 40-51. 

NOTE: 

PROPRIETÀ DEMANIALE 

PROPRIETÀ’ PRIVATA 

AREA ATTREZZATA 

PRESENZA DI STRUTTURE ALBERGHIERE 

POSSIBILITÀ DI CAMPEGGIO 

PRESENZA DI ACQUA POTABILE 

USO DEL SUOLO SI NO 

SI NO 

SE SÌ, ENTRO KM 

TERRAZZATO X ROCCIA AFFIORANTE 

COLTIVATO X SE COLTIVATO SPECIFICARE : MAIS, SOIA, FRUMENTO 

INCOLTO X

2011 

P.A.T. 

Piano di Assetto del Territorio 

ALLEGATO 3 

Comune di MUSILE DI PIAVE 

Piazza XVIII giugno, 1 - 30024 - Musile di Piave 

Tel. 0421.5921 Fax.0421.52385 

info@comune.musile.ve.it; comune.musiledipiave.ve@pecveneto.it 

Quadro conoscitivo, Invarianti di natura geologica, Compatibilità geologica 

ai fini urbanistici e Dissesto Idrogeologico 

STRATIGRAFIE 

Data: 

14 Febbraio 2011 

Commessa: 

9687 PAT MUSILE DI PIAVE 

ADASTRA srl - sede legale: v. Xola, 41b 30020 Torre di Mosto (Ve) - sede operativa: v. Confin, 87b 30020 Torre di Mosto (Ve) 

tel. 0421-325683 fax 0421-326532 www.adastra.it - c.f. p. iva - reg. impr. ve 03528210275 - n° rea cciaa 315799 

AZIENDA CERTIFICATA CON SISTEMA DI QUALITÀ UNI EN ISO 9001/2008

Anteprima - Comune di Musile di Piave

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