UN POSTO DI MERDA! ALESSANDRO MARCELLI
UN POSTO DI MERDA! ALESSANDRO MARCELLI
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<strong>ALESSANDRO</strong> <strong>MARCELLI</strong><br />
JAK<br />
<strong>UN</strong> <strong>POSTO</strong> <strong>DI</strong> <strong>MERDA</strong>!
JAK<br />
<strong>UN</strong> <strong>POSTO</strong> <strong>DI</strong> <strong>MERDA</strong>!<br />
Questo libro è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e<br />
avvenimenti sono il prodotto dell’immaginazione dell’autore o, se<br />
reali, sono utilizzati in modo fittizio. Ogni riferimenti a fatti o persone<br />
viventi o scomparse è del tutto casuale.<br />
La proprietà letteraria di questa opera è di <strong>ALESSANDRO</strong><br />
<strong>MARCELLI</strong><br />
Edizione 03/2013<br />
Titolo originale “JAK, un posto di merda!”<br />
© 2013 Alessandro Marcelli<br />
ISBN:<br />
www.marcellialessandro.com<br />
i
DE<strong>DI</strong>CA<br />
Alla solitudine post morte,<br />
al fresco d’autunno,<br />
alla notte splendente nel buio.<br />
ii
PREFAZIONE...<br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
iii
CAPITOLO 11<br />
Il finale.<br />
><br />
><br />
FINE<br />
4
CAPITOLO 10<br />
Il pre-finale...<br />
><br />
E se tu sei il capo ufficio, non vuol dire un bel niente. Questi documenti<br />
sono sbagliati, lo vuoi capire oppure no?<br />
È come se io vengo da te per spedire un pacco, e dopo aver pagato<br />
per il servizio richiesto magari sono morto, lì, secco e duro. Così<br />
tu decidi di spedire il mio pacco dove ti pare, con la giustificazione<br />
che tanto l’importante non è la destinazione: ciò che conta<br />
è che parta.<br />
Capisci ora cosa intendo, signor capoufficiodelcazzo? >><br />
><br />
><br />
><br />
Lui no perché è il capo, e il capo, si sa, ha sempre ragione anche<br />
quando sbaglia.<br />
Bravo coglione!<br />
Coglione. >><br />
><br />
><br />
><br />
Tu invece guarda di prendere una decisione perché sei pagato tu<br />
per farlo, non io, io scavo. Io sono solo quello che scava mentre te<br />
sei quello intelligentone, quello che hanno promosso al posto<br />
mio, ma la verità è che sei solo un lecca culo, eccola la verità. E<br />
comunque a me non interessa, io prendo due ragazzi e scavo una<br />
buca, poi tu decidi chi piantarci non appena sono arrivati. >><br />
><br />
><br />
Credo che, come dire... ecco: di lamentele non dovremmo riceverne.<br />
Almeno non in questa vita, credo! >><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
9
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
10
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><br />
><br />
><br />
><br />
Tutto risolto, hai visto quanto poco ci vuole, basta un minimo di<br />
iniziativa, invece che stare sempre lì con la cicca in bocca. >><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
to cipresso, mentre per l’altro ho preparato un loculo in muratura<br />
nell’ala sfigata. >><br />
<br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
13
CAPITOLO 1<br />
Il principio...<br />
le dolie<br />
> disse lei con una vocina sofferente, in ginocchioni sul bordo<br />
del materasso soffice di piume e pagliuzze.<br />
La sua risposta non giunse così accondiscendente, come si conviene<br />
nei confronti di una giovane donna, bella e gonfia come un uovo<br />
di pasqua; primipara, lo corresse in un’altra occasione la signora<br />
Adalgisa, perpetua di don Anselmo e ancor prima del compianto<br />
don Gustavo, già ostetrica e maestra di tombolo per le giovani<br />
del paese, ma solo all’occorrenza. Giovani che aveva fatto<br />
nascere, le aveva avviate all’arte del ricamo, ed infine aveva contribuito<br />
a farle divenire donne dispensando loro qualche buon<br />
consiglio del caso. Per il resto le raccontava tutto il prelato, che<br />
14
dopo il terzo bicchiere di rosso diveniva subito arrendevole, nei<br />
confronti della curiosità di lei, sui pettegolezzi inediti del confessionale.<br />
> e alzatosi dal letto, infilatosi<br />
nei pantaloni e nella camicia, allacciate le scarpe marroni, annodata<br />
la cravatta gialla e infilate le bretelle, Mario disse alla moglie<br />
che aveva evidentemente finito il tempo.<br />
Ancora con le braccia al cielo, mentre tentava di indossare la giacca<br />
come fosse stata una camicia di forze, aggiunse serafico:<br />
><br />
> non ebbe il tempo di finire la frase che il marito, giovane<br />
e promettente ingegnere dell’ente per l’energia elettrica col pallino<br />
della Millecento e della carambola, uscì di casa per andare a<br />
prendere l’ostetrica; tale, appunto, signora Adalgisa.<br />
Mario giocava tutte le sere al bar con gli amici, ma per la verità<br />
non era un grande esponente della stecca; gioco troppo attento<br />
alla forma e poco alla sostanza, era questo il loro giudizio. E comunque<br />
son passioni, queste, che possiamo annoverare fra le più<br />
comuni nell’Italia del miracolo economico, certo è che l’altra,<br />
quella vera e nascosta agli occhi delle malelingue, era più forte e<br />
gli riusciva meglio, grazie anche a quella dolce concessione di libidine,<br />
che se pur tenute gelosamente segreta, aveva il potere di rimetterlo<br />
al mondo ogni volta con linfa nuova.<br />
15
Così si strinse nel tepore della sua Seicento dalle portiere controvento,<br />
e prima di imboccare il bivio per il paese vicino dove<br />
aveva appuntamento con l’ostetrica che avrebbe fatto partorire la<br />
moglie, svoltò a sinistra per parcheggiare dopo pochi attimi nell’aia<br />
della Luisa; postina rossa e alta con due seni sodi come due<br />
barbabietole da zucchero, la pelle liscia come un’albicocca e la fica<br />
fresca dal sapore aspro e invitante e buono e vizioso. Come lui<br />
del resto: vizioso.<br />
Luisa non l’aspettava, affatto, così quando riconobbe il “pe” seguito<br />
da tre secondi di silenzio e poi ancora da un doppio “pepee”<br />
sordo e roco che pareva una pernacchia, si affacciò dalla finestra<br />
che dava sull’aia, dirimpetto alla casa del vecchio Nello e<br />
della moglie Emerina, che per buona fortuna erano entrambi più<br />
sordi del clacson del Mario.<br />
La scala era sempre lì al solito posto, poggiata sul noce. Le galline<br />
che oramai lo riconoscevano non lo degnarono nemmeno di<br />
uno sguardo. Differente fu il comportamento dell’avvenente postina,<br />
ma su di lei non c’era mai stato alcun dubbio, anche se si vociferava<br />
giù in paese che se la fosse fatta pure il macellaio e il farmacista.<br />
Cosa, questa, altrettanto usuale ad ogni latitudine del “belpaese”,<br />
ma la novità stava nel fatto che i due uomini se la fossero<br />
spassata con lei contemporaneamente. E a conferma che bisogna<br />
stare lontani dalle male lingue, va detto che da allora qualcuno sosteneva<br />
che i due se la intendessero, ma oramai senza che nel<br />
mezzo li separasse più la bella Luisa.<br />
16
A Mario queste faccende non interessavano, anzi, se la rideva<br />
quando al bar, di fronte al panno verde con la stecca fra le mani,<br />
gli amici raccontavano tutte le maldicenze, più o meno scontate,<br />
di questo e di quello. Solo Marcello, suo compagno di banco dalle<br />
elementari sino alle superiori, poi laureatosi in psicologia, una<br />
volta disse a mezza voce che il più grosso peccatore indossava il<br />
saio candido.<br />
I più non capirono che cosa c’entrasse il prelato in quel contesto<br />
ma le pupille diafane di Mario si incrociarono con quelle dell’amico,<br />
immerse in un fumo di sigaretta stretta fra i denti, come era<br />
solito fare quando preparava la spaccata delle palle nel centro del<br />
panno verde.<br />
In quella occasione Mario venne percorso da un brivido lungo<br />
la schiena che gli attraversò le mutande giù giù fino alle calze ammucchiate<br />
alle caviglie, dal momento che la sera prima si era sbattuto<br />
da dietro, con le mani sul cofano e le mutande alle ginocchia,<br />
la fidanzata del buon Marcello. Il quale, fidandosi solo di<br />
lui, gli aveva chiesto se la poteva accompagnare in chiesa al posto<br />
suo, per la confessione del venerdì pomeriggio. Egli avrebbe terminato<br />
la partitella per passare a riprenderla poi, con l’intento di<br />
riportarla a casa non appena fosse stato possibile.<br />
Mario era famoso per non dire mai di no agli amici.<br />
17
Luisa non era solita perdersi in ciance, ed anche quella volta lo<br />
dimostrò saltando al collo dell’amante, poi le scappò di domandare<br />
come mai di quella visita inattesa e lui le spiegò velocemente<br />
che era uscito per andare a prendere la signora Adalgisa.<br />
> le domandò fra una carezza e una<br />
leccata come una cagnetta in calore.<br />
> le rispose slacciandosi i pantaloni e lasciandoli<br />
calare a terra fino a scoprire i polpacci, poiché l’elastico<br />
delle calze era per lui insopportabile quindi le indossava tirate giù<br />
fino alla caviglia, poi aggiunse stringendole la testa fra le mani:<br />
><br />
E non c’è altro da aggiungere, a parte il fatto che Luisa era una<br />
gran pompinara, quindi non permise alla serpe di sgusciarle fra<br />
le labbra senza averlo portato sul punto di sbrodolare perlomeno<br />
tre volte, ed aver rimandato indietro i primi segni del godimento<br />
con dei morsi decisi sul prepuzio del cazzone del Mario, che non<br />
era intenzionato a resisterle in quell’occasione, lì, in piedi, col culo<br />
turgido e le mani poggiate sui capelli rossi di lei fra un ricciolo<br />
sfatto ed un ciuffo ribelle.<br />
> diceva a tratti, e lei gli rispondeva<br />
come poteva con i suoi mugolii >. Ma lui aveva fretta e non gli rimase altro<br />
che ancheggiare avanti e indietro per accelerare il ritmo; questa<br />
volta la strinse più forte per i capelli obbligandola a non depistare<br />
i suoi umori di maschio. E così fu.<br />
18
Un effluvio di seme le si riversò nella bocca occupata da tutto il<br />
cazzone di lui che spingeva come un forsennato, in quegli ultimi<br />
colpi. Uno, due, tre copiosi fiotti le inondarono gli spazi vuoti della<br />
cavità orale, ma quegli ultimi movimenti di lui, un poco maldestri<br />
per la verità, fecero uscire parte di quel seme bollente dalle<br />
labbra di lei, andandole a inzaccherare la camicia da notte.<br />
> disse non appena ebbe mandato<br />
giù d’un fiato, mentre col dorso della mano si asciugava quel rivolo<br />
tiepido, poi ancora >.<br />
Decisamente più leggero, Mario uscì da dove era entrato tredici<br />
minuti prima. Ora però doveva pensare veramente alla moglie<br />
Marta. Mario e Marta sono una bella coppia, sussurrava la gente<br />
per le vie del paese quando li vedevano a passeggio.<br />
Nello scendere la scala una bretella si era inavvertitamente impigliata<br />
ad un ramo del noce, che di giorno regalava l’ombra ai<br />
pennuti e una buona giustificazione affinché la scala a pioli vi fosse<br />
poggiata, e la notte un buon punto d’appoggio da cui bastava<br />
spostarla di tre braccia per raggiungere il davanzale della rossa infuocata.<br />
Una volta, mentre si lasciava asciugare i ricci rossi dai gialli raggi<br />
di sole, quel vecchio sprovveduto e mezzo sordo del dirimpettaio<br />
Nello, le fece notare che qualcuno le stava fregando le noci,<br />
poiché quella scala poggiata sull’albero cambiava posizione dalla<br />
sera alla mattina. Luisa si giustificò prontamente fingendo di ca-<br />
19
dere dalle proverbiali nuvole, esclamando che non lo aveva notato<br />
mai.<br />
E comunque, insisté il vecchietto, in quella stagione non c’erano<br />
noci da cogliere. Fu allora, che la moglie Emerina lo redarguì,<br />
dal momento che si doveva fare i fatti suoi. Evidentemente anche<br />
lei aveva usato coglierle dall’albero anziché raccoglierle da terra,<br />
le noci. In gioventù era stata anche lei una bella donna.<br />
Ma con la fretta, si sa’, i gattini nacquero ciechi, e per sua fortuna<br />
Mario ruzzolò giù dalla scala i soli ultimi quattro pioli. Quando<br />
si rialzò, in un echeggio di cristi e madonne, che era solito evocare<br />
laddove riteneva di essere stato vittima di un destino poco favorevole,<br />
poté constatare di essersi strappato la tasca destra del<br />
pantalone di gabardine color grigio scuro, parte di sotto del completo<br />
da tutti i giorni.<br />
Montato nuovamente in auto si disse che una scusa l’avrebbe<br />
trovata al momento debito, non c’era problema, ora era necessario<br />
sbrigarsi.<br />
Si bevve un curvone dopo l’altro e in qualche minuto arrivò giù<br />
in paese. Aveva preteso molto dalla sua auto, ma in quei casi non<br />
si potevano lesinare le risorse; pensiero questo che sosteneva da<br />
sempre, a volte però cinicamente.<br />
L’ostetrica Adalgisa era stata avvisata per telefono da Marta, la<br />
quale teneva in vista, sul mobile, un bigliettino con incise le cin-<br />
20
que cifre del numero della donna, per non incorrere nel rischio<br />
di dimenticarle al momento del bisogno.<br />
Lo attendeva sul piazzale della chiesa, la stessa, dove, due anni<br />
prima, aveva convolato a giuste nozze a coronamento di un sogno<br />
maturo, quello di metter su famiglia, che dopo cinque anni<br />
di fidanzamento la novella moglie accolse con gran sorpresa, poiché<br />
ella, in verità, aveva sempre dubitato della bontà dell’amore<br />
di lui, così, senza un motivo razionale; istintivamente.<br />
le disse la donna fieramente<br />
dritta sotto l’unico lampione della piazzetta, a braccia conserte<br />
e con una borsa di pelle nera che le ciondolava dal corpo; i<br />
manici, li aveva infilati negli avambracci.<br />
> le rispose Mario non<br />
appena entrata in auto, poi aggiunse riacquistando sicurezza perché<br />
si era accorto di aver trovato la scusa buona ><br />
> le rispose lei senza mai distogliere<br />
lo sguardo dal parabrezza mentre Mario annuiva in silenzio<br />
e guardava fisso la strada tortuosa che riprese subito a salire,<br />
quindi la voce dell’ostetrica fu sopraffatta dal borbottio metallico<br />
del rombo della Seicento, con la quale, tutto d’un fiato in secon-<br />
21
da, percorsero i sei chilometri che separavano il paese dall’agglomerato<br />
di case, dove, sino allora, Mario e la sua famiglia avevano<br />
felicemente vissuto.<br />
Mentre Adalgisa apparecchiava i propri strumenti di lavoro sul<br />
marmo marrone del canterano sotto la specchiera, con la coda<br />
dell’occhio destro scrutava le smorfie sul viso di Marta, che non<br />
lesinava gesti che indicassero la venuta del dolore per poi sciamare<br />
lentamente, e fu allora, quando Mario si affacciò sull’uscio della<br />
camera, si sentì bagnata fra le storte gambe esili, e vedendo il<br />
marito domandò incuriosita e disturbata:<br />
><br />
>, come dire una sciocchezza, rispose<br />
prontamente lui, non lasciando trapelare alcuna parvenza<br />
d’importanza a quella domanda, che racchiudeva incertezze e curiosità<br />
comuni a quelle giovani donne che al loro fianco scelgono<br />
di avere un uomo come il Mario.<br />
> si intromise la signora Adalgisa<br />
con fare materno, poi aggiunse mentendo che se l’era strappato<br />
per aprirle cavallerescamente la portiera dell’auto; conchiuse<br />
che quelle cose erano robe che potevano succedere.<br />
> domandò Marta.<br />
> ripeté Mario.<br />
22
confermò l’ostetrica Adalgisa con<br />
l’intento di sottoscrivere. La saggezza della levatrice non poteva<br />
essere discussa, tanto meno in quella occasione.<br />
Contrito fra due spalle da giovanotto aitante Mario non capì<br />
perché la levatrice avesse ceduto alla bugia per salvargli il culo, soprattutto<br />
in maniera così spontanea. Crebbe di trovare delle valide<br />
ragioni nei dolori della partoriente, che sopraggiungevano con<br />
intensità maggiore di quando l’aveva lasciata per andare a prendere<br />
la levatrice; ed essersi concesso a quella sveltina, che in cuor<br />
suo aveva già dimenticato, ma che in vero era un cornetto bello<br />
caldo sulla testa tonda e sui capelli a madonna pentita di lei.<br />
La donna si era già messa all’opera, ed aveva fatto stendere la<br />
giovane sotto parto con due cuscini dietro la schiena, quando rivolta<br />
al marito di lei disse:<br />
><br />
Quando Mario entrò nuovamente nella stanza da letto, la situazione<br />
alla sua vista si era evoluta, a suo modo di vedere, decisamente<br />
in peggio. I lamenti della moglie erano ora differenti, più<br />
profondi, più baritoni, più animaleschi. Così non li aveva sentiti<br />
mai. Sul letto le lenzuola erano tutte una macchia rosso scuro, e<br />
non si aspettava certo che perdesse tutto quel sangue, e la merda<br />
poi! Quella lo aveva talmente disturbato che si era dovuto allonta-<br />
23
nare; il tempo di bere un goccetto di mirto con uno spicchio di limone<br />
dalla bottiglia sulla credenza in cucina, proprio come gli<br />
aveva insegnato la zia sarda che gliene aveva fatto dono durante<br />
una visita natalizia. Poi era tornato al capezzale della donna giusto<br />
in tempo per assistere ad una spinta di quelle forti, tanto da<br />
far uscire parte della pelosa, scura, calotta cranica del nascituro.<br />
Nonostante il miracolo della nascita, il Mario non riusciva a<br />
sottrarsi all'idea che quella spaccatura non assomigliava più alla<br />
fichina di pelo liscio della moglie. Sarebbe mai tornata quello che<br />
era prima di allora? Pensò forte forte, dentro di sé, ma la risposta<br />
stentava ad emergere da quel guazzabuglio di odori, di miscele,<br />
di aromi, di umori, di piscio, di fica, di merda, di sangue, di vita,<br />
già… di vita, pensò ancora, quella vita che aveva atteso come il<br />
timbro sul passaporto del viaggiatore maldestro, che lo richiede<br />
per essere sicuro di esserci stato veramente in quel viaggio, di<br />
aver vissuto quella parentesi.<br />
Una parentesi, sì, più o meno il quadro è corretto. Il Mario viveva<br />
la vita coniugale come una parentesi fra una scopata e una<br />
partitella a biliardo sognando una Millecento rossa, e quello che<br />
stava nascendo sarebbe divenuto, né più né meno, un passeggero<br />
sul sedile posteriore.<br />
Maldestro malfatto e malpensante, questi i tre paletti che sorreggevano<br />
la palafitta nel torbido acquitrino che, sino allora, era stata<br />
la vita del Mario.<br />
24
disse la signora Adalgisa, poi<br />
chiese al padre del nascituro se poteva portarle una lametta da<br />
barba, ma che fosse nuova per l’amor di Dio.<br />
Annuito con la testa Mario sparì nella penombra di un lungo e<br />
buio corridoio; decisamente costernato, non riusciva a darsi la<br />
spiegazione sul perché la donna avesse voluto fare i capelli al nascituro.<br />
Bah, pensò, magari era una tradizione, oppure facevano<br />
attrito così lo rapava da subito. Forse perché era un maschietto,<br />
continuò dentro di sé. Un “bocia”, sussurrò poi mentre percorreva<br />
a ritroso il corridoio che conduceva alla camera, e quando vi<br />
rimise piede sentenziò con lo stupore delle donne:<br />
> e,<br />
sbattendo i tacchi produsse un “toc” marziale nel mentre che consegnava<br />
il rasoio a serramanico, chiuso, nelle mani della levatrice.<br />
Il Mario aveva un buon ricordo del padre Andrea, e dei suoi bei<br />
riccioli neri. Una lettera firmata dal Re, con fra le pagine una violetta<br />
essiccata, recitava che era morto sulla bandiera, falciato dalla<br />
mitraglia nemica sui monti di Trento, ma egli aveva il dubbio<br />
che quel padre perduto, in fondo, non avesse saputo tornare...<br />
25
Adalgisa aprì il rasoio e con un gesto sicuro procurò un taglio<br />
di pochi centimetri proprio sopra l’ano della partoriente, che era<br />
intasato da due grosse palle rigonfie e sanguinolenti, che con due<br />
dita sospinse all’interno. Infine ripulì il sangue con una bella strizzata<br />
di cencio intriso d’acqua fredda e qualche goccia di detergente,<br />
sapientemente dispensata anche sui canovacci che facevano<br />
parte del suo corredo da ostetrica.<br />
>, le intimò guardandola dritta dritta negli occhi<br />
rotondi e pieni di lacrime, disegnati sotto quella fronte imperlata<br />
di sudore e solcata da tre grosse pieghe. Lei rispose:<br />
><br />
Ma la levatrice, con tutta la tranquillità di cui disponeva prima<br />
che insorgesse la nuova contrazione, cioè cinque minuti nel migliore<br />
dei casi e quindi non potendo prenderla larga, le disse che<br />
d’ora in poi non poteva più nulla, e che tutto era nelle mani sue,<br />
di lei. E comunque non c’era nessun problema, doveva stare tranquilla<br />
e spingere forte al momento giusto se voleva mandarlo fuori.<br />
>, e subito<br />
ancora urlando >, Marta urlò voltatasi dalla parte del marito.<br />
Allora, quella sapiente donna che faceva nascere solamente i<br />
bambini degli altri, poiché non poteva averne di propri ed il Signore<br />
non gliene aveva mandato nessuno, diceva lei, abbassò lo<br />
26
sguardo fra le cosce di Marta; dopo aver guardato meglio capì.<br />
Quindi si diresse verso l’uomo e lo esortò senza mezze maniere<br />
ad uscire dalla stanza, e a non mettervi piede per nessuna ragione<br />
al mondo - nessuna - fin tanto che non fosse stata la moglie a<br />
richiedere nuovamente la sua presenza. Concluse dicendo che se<br />
qualcuno lo aveva chiamato parto un motivo c’era, ed era tutto<br />
nella pericolosità di quella pratica, spiegò:<br />
>, e<br />
mentre pronunciava queste parole si faceva il segno della croce,<br />
ed una volta terminato chiuse la porta alle spalle di Mario con<br />
due mandate di chiave.<br />
Finalmente Mario si rifugiò nella cucina, la stanza più lontana<br />
dalla camera, da dove non avrebbe più udito quei lamenti e lontano<br />
da quegli odori che in verità reputava nauseabondi. Quella sera<br />
avrebbe potuto essere al solito bar, con i soliti amici per la solita<br />
partita alla goriziana, invece niente, doveva starsene seduto sulla<br />
seggiola, con, fra le mani l’ennesima sigaretta e una tazza di<br />
caffè, convinto in cuor suo del fatto che un giorno il caffè lo<br />
avrebbe potuto uccidere, così nero, così amaro, così densamente<br />
impenetrabile.<br />
Aveva bisogno di una boccata d’aria, ora subito, quindi si avvicinò<br />
all’uscio della camera della partoriente, ma non troppo per<br />
non incorrere in qualche lamento o in qualche d’uno di quegli<br />
odori nauseabondi, e urlò affinché le donne dall’altra parte potessero<br />
udirlo, che sarebbe uscito per qualche minuto.<br />
27
le rispose la voce squillante della levatrice<br />
che aggiunse, come secondo regalo di quella sera, che se fosse voluto<br />
andare al bar a scaricare la tensione, lo avrebbe chiamato<br />
per telefono lei non appena il piccolo fosse venuto al mondo, lo<br />
rassicurò.<br />
> udì la voce<br />
della moglie Marta in bilico fra aldilà e aldiqua.<br />
> gli gridò in risposta esibendo ancora<br />
una volta quel retaggio del passato da Ufficiale delle truppe alpine.<br />
28
CAPITOLO 2<br />
papa nero<br />
Mario uscì di nuovo. Chiuse l’uscio alle sue spalle come solito<br />
fare, sbattendolo un po’, e montò sulla sua automobile con l’unico<br />
disappunto che, se avesse almeno posseduto la più potente Millecento,<br />
avrebbe tentato una visitina alla bella e selvaggia Maria<br />
che se ne stava all’alpeggio a pascere le vacche del vecchio padre.<br />
Una femmina dal sapore deciso e unico e invitante, proprio come<br />
il formaggio che portava a valle per venderlo ogni seconda settimana<br />
del mese, e che lui, all’insaputa non solo della moglie, ma<br />
anche e soprattutto dei compagni di stecca, riaccompagnava al<br />
calar del sole in un incedere di tornanti montani.<br />
Durante quei dodici chilometri di losche passioni, una volta aveva<br />
strusciato la fiancata sinistra dell’auto, contro un muretto a secco<br />
eretto su di un tornante affinché impedisse di scivolare giù per<br />
duecento metri lungo il costone più scosceso della valle. Allora se<br />
l’era vista brutta e il suo coso si era inceppato, probabilmente a<br />
causa della paura, suppose la giovine pastorella, ma molto più verosimilmente<br />
per l’incazzatura del danno arrecato alla sua automobile.<br />
Da allora aveva preso il vizio di concedersi, di tanto in<br />
tanto, una mezza giornata di ferie da trascorrere nudo in un pra-<br />
29
to verde, immerso nell’aria rarefatta dei mille e seicento metri sul<br />
livello del mare, stretto fra le cosce di quella vacca della Maria<br />
che era più vacca delle vacche di suo padre.<br />
In vero, non sarebbe giunto in tempo nemmeno con la Millecento,<br />
quindi dopo un breve conciliabolo fra istinto sessuale e razionalità,<br />
quest’ultima ebbe la meglio, una tantum, pensò.<br />
Doveva essere quello un giorno veramente speciale, da ricordare,<br />
poiché in tutta la vita che seguì, sino al giorno in cui il suo più<br />
caro amico lo sparò con la doppietta, alle spalle, dopo averlo scoperto<br />
assieme alla moglie sul proprio letto, cioè per altri sette anni,<br />
quattro mesi, undici giorni, dodici ore, trentasette minuti ed<br />
una manciata di secondi, la razionalità non ebbe più la meglio<br />
sul suo istinto sessuale.<br />
Al bar lo accolsero le solite figure di sempre, d’altronde quel locale<br />
era una seconda casa per la maggior parte di loro, mentre<br />
per gli altri, si può affermare che fosse addirittura la dimora prima.<br />
Per poco a causa della fretta, non investì don Anselmo che saliva<br />
i tornanti in maniera spericolata, dondolando a bordo della sua<br />
Lambretta più di quanto gli potesse concedere il mezzo meccanico;<br />
vuoi per la strada particolarmente invitante, vuoi per l’emergenza<br />
della chiamata con cui Adalgisa lo aveva buttato giù dal letto.<br />
Vuoi, molto più verosimilmente, a causa dei tre bicchieri belli<br />
30
icolmi che si era tracannato in canonica, prima di uscire, con la<br />
scusante, per se stesso, che avrebbe potuto fare freddo a quell’ora<br />
in Lambretta, e per il buon Dio, che era pur sempre il frutto del<br />
calice dell’eterna alleanza: Padre Figliolo e Spirito Santo. Amen.<br />
Vero è, che pareva il nonno di Valentino Rossi.<br />
Giunto nella casa di Mario trovò Adalgisa impegnata a soccorrere<br />
la giovane madre in preda ad una crisi isterica, e furono necessarie<br />
tutte le benedizioni del caso, seguite dalle preghiere verso<br />
tutti i santi del calendario, affinché quella confusione svanisse, lasciando<br />
il campo alla razionalità dell’uomo di chiesa che, dopo<br />
averle dato un poderoso ceffone, scosse forte la ragazza fra le proprie<br />
braccia, per dirle infine:<br />
> Prese<br />
il fardello, lo guardò con i suoi occhini diafani, lo segnò sulla fronte,<br />
lo coprì infilandolo nella culla e se lo portò via sulla Lambretta,<br />
nel mentre che farfugliava una preghiera incomprensibile in<br />
lingua latina:<br />
><br />
Quando Mario fu avvisato dal proprietario del bar, il quale aveva<br />
ricevuto la telefonata di Adalgisa, sarebbe potuto tornare a casa,<br />
ma era in conclusione la bella di tre partite a carambola, la<br />
prima l’aveva perduta e la seconda vinta, quindi pensò bene di<br />
terminare lo spareggio. Oramai il figliolo era nato e la levatrice<br />
avrebbe potuto attendere un’altra mezzora.<br />
31
disse agli amici che lo giustificarono<br />
con un breve battito di mani e qualche pacca sulla spalla;<br />
la più sonora provenne dal suo più caro amico e futuro omicida.<br />
E qualcuno che giocava a carte disse che di uomini così ce ne<br />
volevano di più, > e giù con una salva di bicchieri<br />
per festeggiare il padre del nascituro.<br />
Sulla via del ritorno a casa, si gongolava fiero, per aver vinto la<br />
partita di spareggio con estrema facilità, ma ignorava che ci fosse<br />
stata un’occhiata d’intesa fra l’avversario e uno dei suoi più stretti<br />
amici, perché lo lasciasse vincere con una certa velocità, in maniera<br />
da poter finalmente andare da quella donna che gli aveva appena<br />
dato un figlio, e che segretamente avrebbe voluto sposare<br />
egli stesso. Ma si sa come vanno le cose lassù nei paesi fra i monti,<br />
il Mario era un più buon partito di lui, umile boscaiolo ignorante,<br />
come era solito appellarlo il compare ingegnere.<br />
Mentre conduceva la sua Seicento senza alcuna fretta, poté godersi<br />
lo spettacolo di quel lumino che scendendo frenetico ondeggiava<br />
a destra e a sinistra sul crinale dei tornanti più alti e stretti,<br />
producendo alle sue spalle una scia di scintille che pareva la stella<br />
cometa che per Natale don Anselmo faceva montare sulla sommità<br />
del Col del Vento, accanto alla campana votiva per la Madonna<br />
del Sacro Cuore, che le donne del paese veneravano e raggiungevano<br />
a piedi in preghiera attraverso i sentieri del crinale più<br />
scosceso, ogni primo venerdì del mese.<br />
Quella stessa stella cometa che Tony il cavatore, incaricato di<br />
accendere le micce al segnale convenuto, cioè al dodicesimo rin-<br />
32
tocco del campanile al termine della messa di mezzanotte della<br />
notte di Natale, rendeva visibile in tutta la vallata, almeno per<br />
quei dieci minuti.<br />
Una volta pare che il buon Tony si fosse addormentato durante<br />
l’attesa che, a causa del freddo, aveva deciso di intrattenere con<br />
una compagna distillata tre anni prima. Quella volta, il Don, infuriato<br />
e consapevole che le campane della chiesa non sarebbero riuscite<br />
nell’intento di svegliare quell’ubriacone, attese che una nuvola<br />
guastafeste svanisse innanzi alla luna piena e rotonda, con<br />
quel suo alone magico, imbracciò il suo fucile di precisione, un<br />
Mauser rubato dal suo predecessore ad un austriaco morto e<br />
quindi nascosto in canonica durante la Prima Guerra sotto l’armadio<br />
dell’abito talare, ed esplose uno, due, tre colpi in rapida<br />
successione, suddivisi solo dallo scarrello dell’otturatore, mentre<br />
che i bossoli tintinnavano a terra come le campanelle delle renne<br />
della slitta di babbo natale.<br />
Niente, lassù non si mosse niente.<br />
Allora si inumidì il pollice destro, lo passò sul mirino del fucile e<br />
ne esplose un quarto, dopo un lungo attimo di attesa che la comunità<br />
aveva vissuto, mai come in quella occasione, in religioso silenzio:<br />
PENNNNN, centro pieno.<br />
Un baluginio isolato era il segno evidente che avesse colpito,<br />
scheggiandola, la piccola campana distante almeno seicento metri<br />
in linea d’aria, di notte, e con l’unico barlume concesso dalla<br />
luna. Dopo qualche istante la stella cometa cominciò il suo scintillio<br />
sfavillante dalla lunga coda, mentre le devote si prostrarono in<br />
33
preghiera, per quello che fu subito battezzato: il miracolo della<br />
notte di Natale della Madonna del sacro cuore.<br />
Al suo rientro, Tony, commentò che si era svegliato quando<br />
una scheggia del colpo sparato sulla campana, era rimbalzata sulla<br />
bottiglia che aveva abbracciato addormentandosi, rompendola.<br />
Miracolosamente ne era rimasto illeso.<br />
Quando i due si incrociarono Mario lo riconobbe, era proprio<br />
lui, il Don, in sella alla sua Lambretta, che ad ogni tornante faceva<br />
accarezzare severamente l’asfalto grossolano, che solo da pochi<br />
anni rivestiva quella serpe di strada.<br />
> sussurrò uno.<br />
> borbottò dentro<br />
di sé l’altro.<br />
Finalmente il Mario giunse davanti alla porta di casa sua, che<br />
trovò stranamente chiusa a chiave, allora batté i pugni con forza<br />
su di essa, finché la levatrice non la schiuse con in viso una maschera<br />
di sangue e lacrime.<br />
> e finalmente capì che era accaduto<br />
qualcosa, qualcosa di irreparabile, che aveva richiesto l’intervento<br />
del prelato con grande urgenza.<br />
>, Urlò.<br />
34
Solo alla vista della moglie si placò temporaneamente. Era in ginocchio<br />
sull’inginocchiatoio accanto al canterano, di fronte all’altare<br />
su cui i fiori freschi non erano mai mancati durante gli ultimi<br />
due anni, avvolta in uno scialle nero con una retina sulla testa<br />
che le copriva il viso. Singhiozzava, pregava, piangeva, o forse imprecava.<br />
Allora capì ma non capì, e si voltò di scatto più volte alle sue<br />
spalle come se qualcuno lo minacciasse da dietro, e cominciò a urlare,<br />
a sproloquiare, a dimenarsi e a strapparsi le vesti di dosso e<br />
a sbatterle contro quel maledetto altare di merda.<br />
> imprecò, poi finalmente si accasciò<br />
seminudo e lasciò defluire tutte le ire in un pianto, meno selvaggio<br />
ma pur sempre liberatorio, che le donne non vollero e<br />
non avrebbero mai potuto interrompere, mentre Dio, dal pari<br />
suo, lo compativa e basta.<br />
Quando fu un poco più calmo, prostrato vicino al capezzale della<br />
moglie, che era ancora visibilmente sconvolta e immersa in<br />
quei suoi singhiozzii di donna vinta, il Mario se ne fece una ragione<br />
dell’accaduto, pur sentendo il bisogno di parlare col don per<br />
vedere suo figlio morto. Quindi l’ostetrica Adalgisa lo riempì di<br />
acquavite fintanto che lo giudicò sicuro per l’incolumità di tutti,<br />
poiché il volante dell’auto non lo avrebbe certo ceduto a chi che<br />
sia. La levatrice sarebbe rimasta ospite di casa sua per quella notte<br />
infelice. Disse loro:<br />
35
disse con voce rotta ed occhi allagati da<br />
un fiume amaro straripato per volontà divina.<br />
Raggiunse la piazza che si trovava davanti alla chiesa, mentre<br />
una palla rossa si faceva prepotente sulla punta più ad est della<br />
valle, che cominciava allora il suo risveglio da un torpore umido<br />
di primavera.<br />
I tre grossi calci che dette sull’uscio della sagrestia non bastarono<br />
per destare don Anselmo che riposava esausto, sdraiato su di<br />
una panca all’interno della propria chiesa, irraggiata da una luce<br />
crepuscolare, con accanto a sé la cesta di vimini ricoperta da uno<br />
scialle scuro, al cui interno, il bambin Gesù usato nel presepe, si<br />
fingeva ciò che l’uomo avrebbe dovuto credere per il bene di tutti.<br />
Quando il Mario batté a piene mani sul portone del sagrato, nostro<br />
Signore lo svegliò illuminandolo con un unico potente raggio<br />
di sole, che filtrato dal finestrone rotondo che sovrastava l’altare,<br />
lo abbacinò.<br />
> sospirò don Anselmo, e si diresse<br />
verso il portone aggiungendo con fare minaccioso, che più tardi<br />
avrebbero fatto ben bene i conti. Spalancò d’un botto, ma solo<br />
dopo essersi segnato una, due, tre volte di seguito, affondando<br />
36
ogni volta la mano dentro l’ambone dell’acqua benedetta posizionato<br />
alla sua destra e ancora avvolto nell’ombra.<br />
> disse con voce fioca, e nessuno aveva varcato<br />
quella soglia aperta per metà, quindi spalancò anche l’altra anta,<br />
e ancor più sommessamente ripeté:<br />
><br />
> gli rispose il Mario contrito<br />
fra le spalle con il bavero della giacca rialzato, le mani in tasca<br />
dei pantaloni, e la bionda fra le labbra in una riga di cenere che<br />
la materializzava tutta intiera e ancora fumante.<br />
> gli rispose il<br />
prelato dalla sua posizione di privilegio, poiché giocava in casa, e<br />
l’altro replicò:<br />
><br />
> disse allora in maniera risoluta quel grande uomo che era<br />
il don Anselmo.<br />
37
Forse per le sue parole, oppure per il sole che ora alto li illuminava<br />
portando con sé quell’inequivocabile messaggio di speranza<br />
che tutto passa, che tutto continua, soprattutto, inesorabile e incontrovertibile,<br />
che Mario tese la mano di giovane ingegnere con,<br />
al polso, un orologio a carica che gli aveva lasciato in dono il suo<br />
povero babbo, come unico ricordo di quel minatore rimasto sotto<br />
la coltre di fango nel pozzo tre della galleria nove al centro delle<br />
Alpi svizzere; l’orologio si era fermato alle ventitré e trenta circa,<br />
l’ora in cui lo aveva sbattuto sulla sponda del tavolo verde la sera<br />
precedente, durante la partita di rivincita con gli amici, mentre<br />
suo figlio, la cosa migliore della sua vita, lottava per venire al<br />
mondo.<br />
Si avvicinò finalmente al fardello, ed il prelato lo sconsigliò di<br />
scansare lo scialle scuro, altrimenti si sarebbe giocato anche il ricordo<br />
buono, immaginario, che la sua mente avrebbe partorito di<br />
lì a poco. Mario accettò quella giustificazione, ma il suo istinto gli<br />
imponeva il contatto, una volta, almeno una volta, avrebbe dovuto<br />
toccarlo.<br />
> disse accasciandosi<br />
verso di lui. Allora il prelato impallidì, e si accasciò egli stesso ginocchioni,<br />
pregando quel suo dio con le parole non comprensive<br />
del sussurro che è solito della preghiera di clausura, quella stessa<br />
preghiera cui erano devote servitrici le suore del monastero cui<br />
aveva affidato il fardello color caffè latte, figlio del peccato di una<br />
sola bottarella fra la moglie del Mario ed il giovane Nadir, Nadir<br />
di Eritrea, all’epoca dei fatti don Nadir di Eritrea, noto ai posteri<br />
38
come Sua Santità Nadir, assunto al colle di Pietro col nome di<br />
Fratello Nero Primo, papa numero duecentosessantasette, che da<br />
giovane praticante aveva aiutato don Anselmo durante le vacanze<br />
estive dal seminario.<br />
Mario intromise la propria mano fra le pieghe dello scialle, con<br />
fermezza e al contempo no, ma poi impallidì anch’esso quando<br />
toccò la mano del bambin Gesù e la sentì fredda, tremendamente<br />
fredda e dura come uno stoccafisso.<br />
Allora cercò gli occhi del prelato che un poco meno diafani lo<br />
attendevano da tempo, e che invece di piangere o di scongiurare,<br />
con la serenità che gli era solita poiché era il custode dei maggiori<br />
segreti che quella vallata potesse trattenere, anche di più del<br />
maresciallo dei carabinieri, disse lui:<br />
> e se lo portò<br />
con sé lontano dal quel bambolotto del presepe ligneo, avvezzo<br />
ad impersonare il miracolo della vita, l’inizio, non già quello della<br />
morte, la fine, per dirla con i valori che Mario aveva dentro di<br />
sé.<br />
Ma la sua lontananza dalla dottrina della chiesa in fondo si rese<br />
utile per assecondare il disegno del prelato, o di qualcuno sopra<br />
di lui, e quando l’uomo sedette nella sagrestia con davanti un bicchiere<br />
di Vinsanto color terra ambrata, si convinse definitivamen-<br />
39
te dell’irreparabilità dell’accaduto, e se ne fece finalmente una ragione<br />
definitiva.<br />
Scelse egli stesso la piccola bara bianca di palissandro, con le<br />
maniglie di ottone e sul coperchio un piccolo angelo ricavato con<br />
la sgorbia da un falegname maldestro, che lo aveva inciso determinandone<br />
la sessualità; col pisellino.<br />
La vicenda si concluse con una cerimonia sobria a cui tutto il<br />
paese, nessuno escluso, partecipò col cuore addolorato per quella<br />
disgrazia che aveva colpito una donna così giovane e un uomo così<br />
in gamba.<br />
><br />
Quella fu l’ultima volta che Mario vide suo figlio.<br />
L’impiegato comunale registrò i dati per chiederne poi conferma<br />
ben tre volte, e il prelato, spazientito, lo redarguì per quella<br />
sua meticolosità, ma la giustificazione che egli addusse era puramente<br />
di carattere tecnico.<br />
>, disse allora, riposizionando con l’indice gli occhiali rotondi<br />
che indossava scivolati fin sulla punta del naso, affinché le<br />
lenti bifocali svolgessero al meglio il loro dovere, poi aggiunse:<br />
genitori ignoti, nato all’incirca un mese fa, cioè verso i primi di<br />
maggio, maschio, domiciliato nel convento delle suore di clausura?<br />
>><br />
> disse<br />
esausto il prelato.<br />
> concluse allora l’impiegato mentre richiudeva<br />
il brogliaccio con la solennità di uno che ti ha appena terminato<br />
di scrivere il destino.<br />
41
CAPITOLO 3<br />
Jakomo e il suo amico<br />
Quella notte il freddo era così pungente, che avresti potuto pisciare<br />
dalla finestra del sesto piano ala Sud, e sul parcheggio sarebbe<br />
caduta una fitta grandinata colorata.<br />
Non sono discorsi tanto per dire, Jakomo era solito farlo; scaricava<br />
il moschetto dopo aver sparato il colpo, così diceva.<br />
Jakomo, “Jak” per gli amici, era un vero cacciatore, ed anche<br />
per quella notte la preda era stata designata. Una bella infermiera<br />
di ortopedia, sui trenta trentadue, mora, chioma lunga e liscia<br />
che portava rilegata con una sensualità unica. Quando vedeva<br />
una donna sotto quella luce lì, quella sessuale, non riusciva a trattenere<br />
l’istinto di cacciatore, che inevitabilmente sopprimeva quello<br />
recessivo di medico chirurgo, come spesso accadeva non senza<br />
qualche disavventura coniugale che la moglie gli aveva procurato<br />
in quei vent’anni di convivenza: l’equivalente di una condanna<br />
per omicidio volontario aggravato, sosteneva al bar fra un cornetto<br />
e un latte macchiato.<br />
I due medici, Jakomo ed il suo amico per la pelle, sarebbero stati<br />
di turno assieme quella notte, un mercoledì comune, se nonché<br />
42
l’altro aveva optato per un giorno di meritato riposo. Ciò non dimeno<br />
nessuno avrebbe potuto impedire la caccia.<br />
Morente o moribondo, ogni problema sarebbe stato presto risolto<br />
dall’infermiere di turno che aveva il compito di praticargli un<br />
paio d’iniezioni di antidolorifico, a sua discrezione. Quella precauzione,<br />
in uso da molto tempo oramai, tanto da conferirle la dignità<br />
della norma, avrebbe impedito che il problema, altrimenti<br />
noto col termine tecnico di paziente, avesse potuto disturbare i<br />
due medici nel pieno compimento dell’atto materiale, volto a colmare<br />
quella passione venatoria, di cui tanto andavano fieri. Ambedue<br />
riconosciuti parimenti maestri nell’ostentazione di trofei,<br />
uno solo consacrato all’encomiabile titolo di incantatore di uomini:<br />
Jak appunto.<br />
Di questo tutti gli riconoscevano il primato perché era il migliore<br />
fra i due. Non che l’altro fosse da meno, come suol dirsi, l’allievo<br />
e il maestro; ma Jak possedeva quel qualcosa in più dovuto al<br />
carisma. Questa era l’opinione comune.<br />
Quella sicurezza di sé sopra ogni umana e ragionevole immaginazione,<br />
e quella sapienza nel districarsi che sì, la moglie qualche<br />
piattata in faccia glie l’aveva tirata negli anni, mica no, ma lui aveva<br />
sempre negato, sempre, anche di fronte all’evidenza. Tanto<br />
che la poveretta, nonostante fosse sicurissima di sé, aveva vacillato<br />
sovente di fronte alla fermezza di quell’uomo dotato di un super<br />
ego.<br />
Un gran bel figlio di puttana, quel Jak!<br />
43
Se te lo ritrovavi accanto nelle serate giuste, magari dopo il terzo<br />
Johnnie che cammina liscio, che faceva più maschio a sentir<br />
lui, ti confessava di essere un gran figlio di mamma ignota, ed era<br />
la pura e semplice verità, perché era un trovatello; un cane randagio<br />
abbandonato in un monte sulla soglia della porta di un convento<br />
di monache di clausura, diceva lui, e questo piaceva tanto<br />
alle donne. Poi aggiungeva laconico che quella era stata la sua fortuna,<br />
e poteva spiegarti a ragion veduta, che se fosse accaduta oggi,<br />
quella sua storia, si sarebbe ritrovato quasi certamente avvolto<br />
in un sacchetto di plastica pubblicizzante un super market per<br />
poi essere infilato in un cassonetto delle immondizie, come in uso<br />
fra i popoli italici del terzo millennio.<br />
Infine Jak sapeva come compiacere le donne ed era ben armato.<br />
Diciamo che il “coso”, e il pigmento della pelle brunita, doveva<br />
per forza di cose averli presi dal padre: evidentemente un grande<br />
scopatore africano.<br />
Anche questo è quello che credeva la gente.<br />
Alle zero tre e zero zero Jak portò a compimento il piano ordito,<br />
grazie all’incontro concordato il giorno precedente, durante la<br />
pausa caffè alla macchinetta del secondo piano, laddove colse<br />
l’occasione propizia offrendo alla preda un bicchiere di nero bollente.<br />
Per sé scelse il cappuccino con l’aggiunta della cioccolata,<br />
poiché Jak era un vizioso in tutto ciò che faceva, un po’ come il<br />
suo amico, ed era fortemente convinto che alle donne piacesse<br />
l’uomo vizioso. Il cappuccino in verità non gli era mai andato giù<br />
per colpa della schiuma; preferiva il caffè latte.<br />
44
Quella notte il cacciatore e la preda si incontrarono dentro<br />
l’ascensore, e lei avrebbe voluto dirgli qualcosa, ma lui era un professionista<br />
e si voltò dalla parte dei pulsanti per comandare il mezzo<br />
al cui interno si erano intrufolati due medici di ortopedia, così<br />
tacquero fino a che i due non giunsero al terzo piano e uscirono<br />
assonnati chiacchierando di esche vive per la pesca in mare.<br />
Nel tragitto dal terzo al sesto piano la sua lingua aveva esplorato<br />
sapientemente i lobi delle orecchie di lei, e lambito ogni pezzo<br />
di carne che fosse possibile senza spogliarla degli abiti. Sbottonati<br />
dunque due bottoni della veste candida, le carezzava la coppa del<br />
reggiseno, e scansato con mestiere il pizzo si era impossessato del<br />
seno destro. Sodo e rigonfio, una terza abbondante.<br />
Un primo mugolio di lei gli causò un momento di disincanto<br />
per la soddisfazione effimera. Al secondo piano la sua verga era<br />
rigonfia e pulsante come un palloncino da bypass coronarico,<br />
quindi pensò bene di spingerla con forza contro il pube di lei, allorché<br />
ella gemette affamata di passione.<br />
Al sesto li attendeva una stanzetta in un’ala poco affollata, della<br />
cui chiave Jak ed il suo amico erano entrati in possesso grazie all’impiegato<br />
dell’economato, reparto gestione ambienti, che in<br />
cambio aveva ottenuto un intervento alla prostata, urgentissimo,<br />
per un suo parente malato. I due amici lo operarono contravvenendo<br />
alla regola incontrovertibile della lista d’attesa, arrischiando<br />
le ire del primario, che non voleva sentir parlare né di raccomandazioni<br />
né di favoritismi nei confronti di parenti.<br />
45
E chi se ne frega, avrà detto Jak. Il rischio sarebbe valso la candela,<br />
avrebbe ammesso il suo fedele amico col senno di poi.<br />
Varcata la soglia della porta, l’uomo e la donna erano divenuti<br />
un tutt’uno. Un groviglio di mani sapienti ed una gran proliferazione<br />
da parte delle ghiandole salivari avevano fatto il resto.<br />
Sdraiati su di un letto basculante della ASL 2 di Lucca i due si<br />
leccavano come cani.<br />
Lui sotto di lei. Lei a quattro zampe, con la faccia verso i suoi piedi<br />
e le natiche rotonde riverse sulla faccia dell’altro, sapientemente<br />
mungeva la verga marmorea, su e giù con foga e avidità. Poi<br />
con le dita da sotto il ventre, si era spalancata le labbra di quel<br />
frutto aspro e lussurioso ribollente di umore sbrodolante, mentre<br />
le gote di lui si erano accostate al frutto saporito, e la fragranza<br />
che aveva assaporato era quella di una donna fresca e vogliosa.<br />
Fra loro il divario era di quasi vent’anni; l’età del figlio di Jak.<br />
Un effluvio di seme caldo ricolmò la bocca della femmina, che<br />
in un sol colpo deciso mandò giù, come si fa con le pillole dei medicinali<br />
troppo grosse, ripiegando di scatto la testa all’indietro,<br />
ma continuando a giocare col nervo già meno risoluto di lui, fin<br />
quando i bollori la obbligarono a salire sulla verticale con la schiena.<br />
La lingua di Jak, nel frattempo, mulinava come l’elica di un fuori<br />
bordo, mentre le dita di una mano si erano fatte strada laddove il<br />
pertugio anale, ancora stretto, lo consentì. Con l’altra mano le carezzava<br />
un seno, strizzandole di tanto in tanto quando questo e<br />
46
quando l’altro capezzolo, ed ella gemeva stringendo forte le gambe<br />
come una giumenta.<br />
Adesso la passione era sublimata dalle agoniche necessità di lei<br />
di farsi sbattere come una cagna in calore, riuscendo a rianimare<br />
subito lo strumento di passione di lui, che solo da pochi attimi languiva<br />
a causa di quel primo colpo sparato troppo frettolosamente,<br />
secondo il suo parere. Ordinò con voce roca e senza il minimo<br />
contegno:<br />
>, e poi ancora >, Jak avrebbe raccontato in seguito al suo amico, che lei lo incitava<br />
nonostante egli non ne avesse mai avuto bisogno, perché sapeva<br />
il fatto suo. Prendeva le donne e le rivoltava come un calzino,<br />
assecondando le loro piccole fragilità per compiacerle, riuscendo<br />
un adorabile furfante.<br />
Era inquietante ammetterlo, riconosceva il suo amico, eppure, o<br />
per dono o per maestria, Jak non le fotteva solamente, le possedeva.<br />
Le possedeva fin tanto che, esattamente come l’auto di lusso e la<br />
barca ormeggiata al porto di Viareggio, stanco o annoiato, le<br />
cambiava per sempre o le scambiava proprio con lui, l’amico fidato,<br />
come in uso fra ragazzi per le figurine dei calciatori.<br />
47
esclamò infastidito Jakomo,<br />
una volta preso atto che si trattava del trillo maledetto del<br />
cerca persone, il cui uso era stato concordato con l’infermiere di<br />
turno esclusivamente in casi di vita, o di morte, quando incombe<br />
la caccia grossa. Era quello il caso.<br />
La paziente del sette non aveva reagito alla solita iniezione di<br />
antidolorifico, così Marco, l’infermiere di turno, per non disturbare<br />
Jak, gliene aveva iniettato una seconda non appena lui era uscito<br />
dal reparto alla fine del giretto di controllo, quello necessario<br />
ad accertare di avere tutto il tempo per compiere il lavoro per come<br />
andava fatto, senza cioè tralasciare i dettagli grazie ai quali si<br />
reggeva tutta la reputazione dello sciupa femmine in questione.<br />
E invece niente, un attimo prima invischiato fra le bollenti carni<br />
di una cavalla da monta, e ora eccolo là, al capezzale della vecchia<br />
zoppa mula da soma che non aveva più nulla da domandare<br />
alla vita. Il cancro se la stava portando via con severo accanimento.<br />
Jak lasciò in sospeso il lavoro avviato e non ci fu verso di riprenderlo<br />
per quella sera. Sentita l’amichetta al telefono del reparto,<br />
gli disse di non aver più “buchi” per quella notte, aggiungendo<br />
che, evidentemente imbronciata per la delusione occorsale, si domandava<br />
se quella non fosse stata tutta una messa in scena, e che<br />
se non era in grado di sparare il secondo colpo, a fronte di così<br />
breve tempo per ricaricare il moschetto, avrebbe dovuto trattenersi<br />
almeno un po’, anziché farsi fregare dalla foga come un pivel-<br />
48
lo. Ciò non dimeno certe amiche sue le avevano garantito, pare<br />
giurato sui loro figli, dell’efficienza insaziabile di Jak, quindi concordarono<br />
che la faccenda sarebbe stata archiviata per qualche<br />
giorno, fin quando lei avesse ritrovato il tempo necessario ad accertarsi<br />
sulle qualità presunte di lui. Nel luogo a tempo debito,<br />
Jak avrebbe dissipato con sapienza ogni dubbio insorto, poiché le<br />
parole di quella femmina lo avevano offeso nel profondo dell’orgoglio,<br />
spingendolo a prodigarsi nello sconfessarle concedendo<br />
tutto sé stesso più di quanto non fosse già tanto nella norma; una<br />
questione d’onore insomma.<br />
Sì, fra le altre cose Jak era permaloso e vanitoso, ed il suo amico<br />
lo sapeva bene.<br />
La vecchietta della sette morì sedici giorni dopo, quando oramai<br />
la morfina le leniva gli squarci di dolore come un cucchiaino<br />
di acqua lenisce la sete di un viandante sperduto in pieno deserto;<br />
ma questi erano solo gli effetti collaterali della professione medica,<br />
sosteneva Jak.<br />
49
CAPITOLO 4<br />
gocce di rugiada<br />
Non appena i due amici s’incontrarono in quella mattina dal<br />
buongiorno sterile, Jakomo rimproverò l’altro per essersi preso<br />
proprio “quella” notte di ferie, con le motivazioni che se ci fosse<br />
stato, gli avrebbe risparmiato la voce infamante ed offensiva, che<br />
aveva irritato fortemente il suo carattere suscettibile di maschio<br />
sciupa femmine dotato di super ego.<br />
Ad ogni modo il cambio del turno fra i due fu breve. Il tempo<br />
di raccontargli appunto quella storiaccia infamante e via a letto<br />
di corsa saltando anche la colazione, disse all’amico, poiché disturbato<br />
da quelle vicissitudini, si sarebbe coricato presto in favore<br />
di un sonno ristoratore.<br />
Nonostante ciò ebbe modo di notare l’aria stranita del collega, e<br />
di sentenziare con fare seducente, prima di uscire dallo spogliatoio<br />
dei medici, che aveva l’umore, e a quanto pare l’odore, di chi<br />
aveva fottuto tutta la notte; avvicinatosi lo annusò.<br />
L’amico di Jak si prodigò nel tergiversare, intentando una difesa<br />
improba e inutile, dal momento che un sorrisino, tanto eloquente<br />
quanto traditore, concesse all’altro la risposta che attendeva.<br />
Jak era un maestro nel riconoscere il seme della lussuria, so-<br />
50
prattutto se ancora fresco perché germogliato da poco, probabilmente<br />
grazie ad uno di quei sensi che la gente di colore possiede<br />
per natura.<br />
Prima di richiudere l’uscio dietro di sé, aggiunse che quella notte<br />
era cresciuto il numero dei cornuti, e comunque peggio per<br />
lui, chiunque esso fosse stato, sentenziò cinicamente chiudendo la<br />
porta dietro di se.<br />
L’alba era rossa.<br />
L’alba era rossa ma fredda, molto fredda, e sul parabrezza della<br />
Saab cabriolet il ghiaccio era spesso un dito.<br />
A casa il giardino era completamente rivestito di un manto candido<br />
di brina che pareva fosse nevicato di fresco. L’erbetta bassa<br />
e ben rasata era croccante sotto il peso delle sue impronte, e<br />
quando un soffio di vento sferzante lo colpì sulla faccia, lo obbligò<br />
a chiudersi con una mano il colletto del cappotto di cammello.<br />
Le fronde della tenda parasole del dondolo, superstite estivo poiché<br />
Jak non aveva cazzi per riporlo in garage, volendo usare una<br />
tipica espressione delle sue, rimasero invece immobili; erano intirizzite.<br />
Pregustava il caldo del suo lettone, sperando in vero che la moglie<br />
dovesse andare a studio presto, in maniera da succederle nel<br />
calore delle lenzuola, quando la chiave nella toppa spalancò il<br />
portone blindato della villetta con una sola mandata.<br />
Fu allora che la moglie, immersa nel tepore del lettone nel piano<br />
superiore, domandò con voce ferma se fosse lui, il quale rispose<br />
seccato di sì, altrimenti sarebbero stati i ladri giacché si era di-<br />
51
menticata ancora di chiudere a tre mandate la porta blindata e di<br />
inserire l’allarme, e che aveva trascorso una notte di merda grazie<br />
ad una vecchietta che doveva morire, ma che forse non voleva,<br />
e per giunta gli antidolorifici non le causavano alcun effetto lenitivo.<br />
Evidentemente rifiutava quella malattia, in maniera inconscia<br />
si capisce, dissimulando il potere dei farmaci; un placebo alla<br />
rovescia come spesso accade fra i malati morenti che si ostinano<br />
a non farsene una ragione. Infine disse buon giorno, nel caso in<br />
cui si fosse alzata per andare a lavorare, altrimenti buona notte;<br />
ma quest’ultima parte fu grossolanamente pretestuosa.<br />
Non che fosse freddo da ibernare ma, il buon Jak, vuoi per la<br />
struttura fisica asciutta, vuoi per le origini africane, era un tipo<br />
freddoloso, così si infilò con gli occhi a fessura nel lettone di alkantara<br />
con le lenzuola di raso blu, che gli facevano freddo solo al<br />
pensiero, e mentre tremava li spalancò nell’ombra per notare con<br />
sorpresa che la moglie aveva fatto la rovescia al lenzuolo, anche<br />
dalla sua parte!<br />
Eppure, dopo venti anni di matrimonio, ancora troppe poche<br />
volte assecondava la volontà del coniuge, il quale, era più forte di<br />
lui ma lo sottaceva perché sfinitosi nel ricordarglielo, non sopportava<br />
di dormire nel letto infilandosi senza quell’accorgimento, a<br />
cui aveva dovuto lungamente rinunciare nel monastero che lo<br />
ospitò da trovatello a causa dell’austerità del modo di educare in<br />
quel posto.<br />
Fu proprio quell’accorgimento disatteso a metterlo sulla difensiva<br />
che, a pensar male si fa peccato, però!<br />
52
Jak le raccontò dettagliatamente la vicenda della vecchia, con<br />
l’intento di levarle l’ultimo colpo di sonno, ma niente, la moglie<br />
quella mattina si era presa due ore di permesso per riposare, mantenendo<br />
la posizione all’interno del suo caldo lettone. Cazzarola,<br />
deve esserci una congiuntura ostile negli astri, avrà pensato Jak<br />
mentre si rigirava fra le lenzuola di raso. Certamente fu irritato<br />
ancor di più da quella sua mania, peraltro saltuaria, di addobbare<br />
il letto con quelle lenzuola glaciali in pieno inverno.<br />
Già, sempre quando era di servizio la notte, notò con tristezza.<br />
Bando alle ciance Jak ci si era infilato in un battibaleno, poi rotolando<br />
su se stesso in posizione fetale con la mano sulla spalla e<br />
afferrata la coperta, che pareva un involtino primavera, attese<br />
qualche istante che il freddo lo facesse suo.<br />
Durante l’attesa il momento svanì. Si ruzzolò quindi dalla parte<br />
opposta ricercando il freddo del raso che quando è inverno è pungente;<br />
ne era prevenuto dall’esperienza, ma niente neanche là.<br />
Si distese allora supino, cercando con la punta dei piedi la fine<br />
del materasso, il luogo più freddo per eccellenza. Ma anche questa<br />
volta il freddo stentava, ansi, gli parve di riconoscere un tepore<br />
giudicato insolito.<br />
Nella sua mente si era fatta strada, allora, l’idea che quella agitazione<br />
fosse il frutto dell’incontro amoroso andatogli a monte, ma<br />
non ne rimase persuaso.<br />
Alzatosi con stizza per quel pensiero corse in bagno per schiarire<br />
le idee frettolosamente aggrovigliate in quel contesto inquietante,<br />
che insinuatosi come un virus si stava replicando, applicando<br />
53
a lei le maniere cui lui stesso era solito servirsi per dissimulare<br />
ogni traccia di menzogna.<br />
Chi è in difetto vive nel sospetto, recita un vecchio adagio.<br />
Corse in bagno e si sciacquò la faccia, passandosi le mani inumidite<br />
fra i capelli come solito fare nei momenti di crisi profonda,<br />
o quantomeno presunti tali. Allungò istintivamente l’arto per<br />
raggiungere l’asciugamano agguantandolo distratto, poi mentre<br />
se lo passava sul volto teso e pensieroso, una folgorazione lo incenerì:<br />
puzzava d’uomo.<br />
Ispezionando il bagno poté riscontrare che l’asciugamano utilizzato<br />
per il bidet, nonostante fosse ben ripiegato, era umido.<br />
Vi estrasse un pelo pubico, infilato fra le fibre del tessuto, per ispezionarlo<br />
meticolosamente alla luce della grossa specchiera; centocinquanta<br />
watt suddivisi in due faretti a luce calda.<br />
Nero, d’accordo.<br />
Riccio, e va bene.<br />
Ma non era come uno dei suoi. Infilata la mano fra le mutande<br />
se ne strappò un ciuffo, non senza dolore, per il confronto.<br />
Simili certamente, ma non uguali.<br />
Odorò prima i suoi, poi il campione del confronto e niente, nessuna<br />
differenza. Allora se lo infilò in bocca e lo assaggiò con attenzione,<br />
masticandolo un poco per saggiare la consistenza dell’entità<br />
pelvica ostile, che gli provocò in vero un conato di vomito,<br />
quando scivolatogli di mano raggiunse la trachea. Poi ripeté la<br />
stessa operazione con uno dei suoi, fin quando fu certo che quel<br />
pelo non fosse mai appartenuto al manipolo pelvico che tante<br />
54
soddisfazioni gli aveva concesso. Notò altresì che la tavoletta del<br />
cesso era inspiegabilmente sollevata, particolare inquietante se<br />
l’unico uomo di casa sei tu, pensò, e che ci pisci rigorosamente<br />
schizzettandola innescando con frequenza giornaliera le ire di<br />
tua moglie.<br />
Qui gatta ci cova, c’è puzza di cornuto, pensò ancora Jak odorandosi<br />
le ascelle, riflettendo incredulo. Ma quale razza di uomo cacciatore<br />
poteva mai essere uno che solleva la tavoletta del cesso<br />
per pisciare, si domandò infine iracondo.<br />
Corse in camera da lei portando con sé l’asciugamano, e accesa<br />
la luce, le intimò di guardarlo bene negli occhi e di starlo bene<br />
a sentire perché aveva scoperto tutta la tresca. A cominciare dalle<br />
lenzuola di raso, che aveva addobbato per accogliere l’amante in<br />
chissà quali evoluzioni amorose, nottetempo, trascorse alle sue<br />
spalle, mentre lui era impegnato a salvare delle vite umane in<br />
ospedale:<br />
> sentenziò con<br />
meschinità da perfido visionario quale era, e aggiunse che il suo<br />
asciugamano da bidet era ancora umido, dal momento che quell’amante<br />
distratto non aveva neppure avuto la decenza di utilizzare<br />
quello di lei. Forse forse lo aveva fatto per spregio, non soddisfatto<br />
di essersela fottuta, voleva invadere il suo più intimo spazio.<br />
Segnare il terreno come i cani.<br />
> gridò strabuzzando gli occhi dalle orbite<br />
perché adesso era chiaro che, dal suo punto di vista, più che un<br />
corno era un’offesa personale. Che disgraziata poi, un uomo che<br />
55
piscia dopo aver sollevato la tazza del cesso per non lasciare le impronte<br />
delle gocce, è una prova ancor più inquietante e traditrice<br />
delle gocce stesse, sostenne convinto di aver disciolto il bandolo<br />
della matassa.<br />
Questa machiavellica e offuscata congettura dei fatti, non parve<br />
tale quando Jak ebbe finito di esporla alla cagna traditrice, “fedigrafa<br />
puttana”, così la definì per concludere l’arringa sulla colpevolezza<br />
di lei comprovata, anzi, la riconobbe egli stesso una lucida<br />
e lapalissiana messa in scena volta a cornificarlo; oramai scoperta,<br />
fortunatamente, conchiuse salomonico.<br />
Lei rimase ferma, seduta sul lettone caldo, e chiamandolo con<br />
il nome di battesimo nella sua estensione lo esortò a calmarsi e<br />
ascoltare accendendo bene il registratore, poiché non si sarebbe<br />
ripetuta in quella farsa incredibile che Jak aveva montato, chissà<br />
poi il perché, ma questo non era importante, sostenne con tono<br />
greve.<br />
Allo stato dei fatti le cose stavano pressappoco così.<br />
Primo. Le disse amareggiata, che le lenzuola di raso le aveva addobbate<br />
nella speranza che lui cogliesse quel gesto, presagito dalla<br />
piega delle stesse, e le prestasse le attenzioni che una donna matura<br />
e piacente, quale era, aveva diritto di richiedere…<br />
Secondo. Che il posto glielo aveva riscaldato lei, in segno di<br />
gentilezza per evitargli lo stress del freddo pungente che lo aggrediva,<br />
soprattutto dentro le lenzuola di raso, ma erano indispensabili,<br />
le disse dolce come il miele, se ricordava ancora quella volta<br />
che se le era annodate al collo come fossero state il mantello di<br />
56
un cavaliere per poi montarla lungamente, poiché lei era il suo destriero…<br />
Terzo. Che l’asciugamano da bidet era stato ben ripiegato da<br />
lei, ma che era umido giacché lo aveva usato lui stesso la sera, prima<br />
di uscire per recarsi in ospedale, colto da un bisogno impellente…<br />
Quarto. Infine il pelo era suo di lei, e che spesso usava di nascosto<br />
l’asciugamano da bidet dell’uomo, per miscelare gli odori dei<br />
loro sessi come fosse un feticcio, esattamente proprio come il cane<br />
che segna il territorio…<br />
Aggiunse, teneramente sconsolata, che era un gran coglione! A<br />
fronte di una gran fantasia nella ricerca di indizi inesistenti, non<br />
aveva colto quelli propizi ad una occasione unica, dal momento<br />
che la settimana bianca del figlio sarebbe presto conclusa, e allora<br />
quando avrebbero avuto un’altra così ghiotta occasione per<br />
nuovi giochini appassionanti, e magari per indossare uno dei costumi<br />
da super eroe, fra quelli che giacevano nell’armadio, e che<br />
oramai da tempo non aveva più usato?<br />
Jak tacque e abbassò subitamente le pupille tracotanti delle meschinità<br />
ostentate, poi dormì fino a sera nel suo caldo lettone.<br />
Riavutosi da quello scossone, volle raccontare tutto per telefono<br />
all’amico del cuore.<br />
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58
CAPITOLO 5<br />
lettera anonima<br />
All’attenzione della redazione<br />
de Il messaggero di Lucca<br />
Oggetto: sette nani<br />
Ebbene sì, lo ammetto, sono io il ladro di sette nani!<br />
Non lo riconosco per una forma di protagonismo, tant’è che rimarrò<br />
anonimo e solo i miei conoscenti più intimi, e le mie donne,<br />
potrebbero riconoscermi da quell’indizio, che voglio concedere<br />
giusto per dare un senso a questa mia confessione, che badate<br />
bene, non ha il sapore del pentimento, vuole solo essere una presa<br />
di responsabilità, in contumacia si intende, e una risposta concreta<br />
alla quantità subissante di articoli che il vostro giornale ha<br />
voluto inserire nella rubrica di cronaca locale.<br />
Mi auguro che il redattore della testata voglia accoglierla e pubblicarla<br />
nella sua interezza, pena il venir meno delle motivazioni<br />
che mi hanno spinto a commettere un si tanto efferato “crimine”.<br />
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Il mio nome dicevo, non conta, sono il dottore paracadutista,<br />
altrimenti noto come l’ex amico di Jak; chi ha avuto a che fare<br />
con uno dei due avrà certamente capito. Visto che la città è piccolina<br />
e la gente mormora irrequieta, oserei dire sempre più spesso<br />
al limite dell’inquietudine per colpa dei vostri articoli caratterizzati<br />
da un crescente tono allarmistico. Temo che presto si scatenerà<br />
la caccia al MANIACO!<br />
Sì, al maniaco, poiché di questo si tratta, rileggendo attentamente<br />
le parole del criminologo cui avete affidato la descrizione<br />
della mia personalità, nell’articolo di lunedì scorso.<br />
Ebbene mi duole smentirvi, in realtà è solo un intercalare, dal momento<br />
che ne sono ben soddisfatto, ripercorrendo i fatti a ritroso<br />
per coloro che non hanno avuto la fortuna di seguire la vicenda<br />
sin dall’inizio. Desidero tirare il cordone dell’altra campana affinché<br />
il suo batacchio possa risuonare echeggiando la verità. Quindi<br />
comincerei dal principio, quello vero.<br />
Tutto ebbe inizio nella frescura di una sera di marzo, non l’ultimo<br />
trascorso ma quello prima, in cui mi trovavo in compagnia<br />
del mio ex amico Jakomo, Jak per gli amici (quando parlo di lui<br />
continuo a chiamarlo con l’abbreviativo di battaglia nonostante<br />
la nostra amicizia si sia spezzata irreparabilmente). Era l’ora dell’aperitivo<br />
e il bar all’interno dell’ospedale dove lavoriamo entrambi<br />
era chiuso per ristrutturazione, quindi attraversammo il<br />
cortile per raggiungere quello ubicato all’entrata posteriore, che<br />
per la verità sarebbe anche più comodo, poiché, discese le scale<br />
dal versante più vicino allo spogliatoio dei medici, si impiega me-<br />
60
no tempo per raggiungerlo, rispetto a quello fino allora vetusto,<br />
costruito dalla parte dell’entrata principale. La ragione vera per<br />
cui non lo bazzicavamo così spesso, era che solo poche infermiere<br />
lo frequentavano, ed è matematico che, un bar senza pelo non<br />
funziona.<br />
L’attraversamento del cortile avvenne come in trance, poiché<br />
fummo distratti da una brunetta con gonna rosa, tacchi a spillo, e<br />
vistosa scollacciatura nera dalla quale strabuzzava un generosissimo<br />
decolté ballerino, che ad ogni suo passo le trasaliva debordando<br />
i confini dell’intimo a balconcino in pizzo che faceva pendant.<br />
Il mio ex amico Jak non perse l’occasione per fare uno degli apprezzamenti<br />
dei suoi, dichiarando che quelle bocce erano fatte<br />
dal buon Dio per accogliere la sua verga con il massimo del confort<br />
consentito da una quarta abbondante, quale era evidentemente.<br />
Replicai, non per contraddirlo quanto per istinto, che forse<br />
forse in quella occasione si sarebbe potuto sbagliare, poiché<br />
quel ballo seducente, al contempo poco naturale, poteva essere<br />
l’indizio incontrovertibile di una effimera quarta da chirurgia plastica.<br />
> domandò<br />
sbigottito Jak, e aggiunse che era disposto a scommettere “la<br />
qualsiasi” sulla naturalezza di quel seno armonioso e conturbante.<br />
Così per gioco presi la palla al balzo, e con la sfacciataggine<br />
che mi contraddistingue dalle scuole medie, tempi in cui i fidanzamenti<br />
duravano la lunghezza di una ricreazione (giusto il tempo<br />
di una pomiciata bavosa di apparecchi odontoiatrici per la corre-<br />
61
zione dei denti, che in seguito mi avrebbero reso questo sorriso invincibile<br />
che mi porto appresso e che sfoggio per sedurre, come<br />
in quel frangente), mi misi sui suoi passi per intercettarla.<br />
La fermai gentilmente e con affabile birbanteria le raccontai lo<br />
scambio di opinioni riguardo le di lei materne curve, presentandole<br />
il mio amico che defilato attendeva quantomeno l’arrivo di<br />
un ceffone, poi subito le domandai se ci fossimo già conosciuti.<br />
> le domandai. Mi rispose divertita che ero un bell’uomo<br />
dal sorriso ammaliante (e questo è già noto), ma anche<br />
che il mio occhio non era abbastanza clinico. Allorché replicai<br />
che avevo scelto la professione pubblica proprio perché dalle cliniche<br />
mi avevano scacciato con ignominia, e che l’apparecchio ai<br />
denti aveva fatto il proprio dovere nonostante il costume di quella<br />
pratica di grande diffusione mi avesse arrecato talune difficoltà di<br />
carattere meccanico, rimanendo intrappolato per ben tre volte all’apparecchio<br />
di una coetanea dalla lingua lunga. Sorrise ancora<br />
ed in risposta mi domandò:<br />
> ed io<br />
scossi la testa una prima volta, come a dire no, incassando con favore<br />
il passaggio al tu. Quindi replicò.<br />
><br />
Le dissi di no e scossi la testa una seconda volta. Si fece seria.<br />
Guardandomi dritto negli occhi che giudicò essa stessa ricolmi di<br />
voglia di vivere, quindi quello che si apprestava a domandare era<br />
62
sciocco ma lo fece ugualmente, chiese se avevo mai avuto voglia<br />
di morire:<br />
><br />
Questa domanda inquietante mi aveva spiazzato, così tacqui<br />
nell’attesa di capire qualcosa di più dagli angoli stretti della sua<br />
faccia, ma era come una statua, immobile, in attesa di una risposta,<br />
senza che lasciasse trapelare alcunché, neppure dagli occhi,<br />
che anzi mi parvero raggelati.<br />
Finalmente poi, accennando un sorriso che prese il totale possesso<br />
di quegli stessi spigoli, rendendoli dolci curve sulle guance rosee,<br />
mi rassicurò che dal momento che nessuna delle tre condizioni<br />
era stata posta in essere, noi non ci eravamo mai incontrati prima<br />
di allora.<br />
Divertita, era evidentemente persona di grande spirito e moderna<br />
eleganza non solo nel vestire, mi guardò ancora diritto negli<br />
occhi, e avvicinatasi come una pantera sollevò la mia mano, afferrandola<br />
con medio e indice, per accompagnarla sulla rotonda abbondanza<br />
motivo della disquisizione, aggiungendo sibillina un:<br />
> eravamo tornati al lei ed<br />
era tutto un programma, dal momento che stringevo fra le mani<br />
la tetta di un’esperta d’arte, spogliarellista, dispensatrice di eutanasia<br />
sessuale.<br />
Eseguii con circospezione la palpazione del seno, che ricordo ancor<br />
oggi marmoreo. Il reggipetto non era di quelli imbottiti, certo<br />
non ne aveva bisogno, ma di pizzo intarsiato, poiché dalle velature<br />
della camicetta ne riconobbi le irregolarità di un qualche dise-<br />
63
gno a fantasia, che tarso e metatarso, rispettivamente di indice,<br />
medio, e anulare della mano destra, avevano rilevato durante<br />
quell’interminabile secondo di consultazione medica, se così possiamo<br />
definirlo.<br />
> domandò ammiccando<br />
un sorriso che divenne inquietante nel momento in cui le sue parole<br />
si rivelarono portatrici di chissà quale fine recondito.<br />
Certo che lo ero. La ringraziai, per l’ardire della meticolosità dimostrata,<br />
nel permettere una miglior determinazione della risposta<br />
a quel quesito di così vasto interesse medico che ci aveva divisi<br />
in quel frangente, pur dovendo ammettere di essere stato grossolanamente<br />
in errore, solo un paio di minuti prima. Quindi conclusi<br />
che, il piacere arrecatomi dal suo incontro, me lo sarei portato appresso<br />
per tutta la vita, ricordandolo di volta in volta per il suo effetto<br />
balsamico, come quello della caramella alla menta per la cavità<br />
orale arrossata: un toccasana.<br />
Credendo che la sceneggiata fosse conclusa, poiché era stupefacente<br />
il risultato ottenuto e non mi aspettavo altro, le presi delicatamente<br />
la mano per salutarla, e lei gentile, ma risoluta, trattenne<br />
le mie dita leggiadre e passò il suo braccio attorno ai miei fianchi,<br />
rendendomi una poderosa strizzata di natica, sussurrando divertita<br />
nei confronti del mio amico Jak, che solo adesso eravamo pari.<br />
64
Se ne andò quando il mio sesso barzotto cominciava a fare capolino<br />
da una spaccatura dei boxer, lasciandomi tosto sul cornicione<br />
del marciapiede, con gli occhi abbassati per seguire i passi<br />
lunghi e ben ritmati di lei.<br />
L’ex amico Jakomo intuì il mio stato ormonale, anche grazie ad<br />
una poderosa strizzata di coglioni che voleva solo essere il suo<br />
modo per riportarmi alla realtà, ma quando agguantò la padella<br />
dalla parte del manico scoppiò in una risata fragorosa; non tanto<br />
quanto quella dell’anziana signora che dalla finestra del primo<br />
piano della sua abitazione era testimone oculare dell’accaduto, e<br />
che ribattezzammo la vedetta del cazzo.<br />
Jak recitò una disamina delle sue, riguardo quella tripla tastata<br />
della quale registrava, con ironico disappunto, di aver beneficiato<br />
della parte peggiore. Aggiunse che nonostante avesse vinto la<br />
scommessa, quindi gli avessi dovuto offrire quantomeno l’aperitivo,<br />
avrebbe fatto qualunque cosa per me, per due motivi. Primo,<br />
in riconoscenza del mio gesto scaltro e coraggioso, nel quale osare,<br />
aveva dato dei risultati che nemmeno Anthony De Mello<br />
avrebbe sperato con i suoi insegnamenti sulle potenzialità dell’umane<br />
convinzioni. Secondo, avrebbe dovuto sdebitarsi con decisione<br />
della tastata alla nervatura.<br />
> disse Jak, poi aggiunse ironico,<br />
> suggellando con quell’affermazione il mio stato di<br />
65
grazia assoluta, perché era risaputo che i nani fossero gli intoccabili<br />
della moglie di Jak.<br />
Così ci pensai un pochino, durante l’aperitivo, vagliando eventuali<br />
possibilità, prima fra tutte quella di impadronirmi dei migliori<br />
quattro numeri della sua agenda elettronica, quelli seguiti dalle<br />
mitologiche “cinque stelle cum laude”. Oppure appropriarmi della<br />
sua Saab cabriolet dagli interni in pelle chiara, per mangiarci<br />
dentro un panino al Mc’drive. O magari cancellare tutti i segnali<br />
di mira e le note che il mio ex amico Jak aveva appuntato sul taccuino<br />
del telescopio, dal quale nelle notti di riposo dalla pratica<br />
amorosa e dal turno in ospedale, che spesso coincidevano, ammirava<br />
le meraviglie del creato da autodidatta esperto quale era.<br />
Senza l’uso di carte o mappe. Si era convinto che ripercorrendo<br />
le scoperte dei primi astrologi, sarebbe riuscito a cogliere la vera<br />
essenza del cielo stellato. A volte Jak, o meglio le fisse di Jak, mi<br />
fanno paura, altre mi lasciano interdetto, ma questa è una di quelle<br />
che mi affascinano. Un motivo in più per ammirarlo.<br />
Al sollevarsi di queste mie argomentazioni, Jakomo parve vacillare<br />
sulla certezza della dichiarazione che mi aveva messo in quella<br />
condizione di grande privilegio, ma fu sufficiente ricordargli<br />
nuovamente la scena della bella signora di poco prima, affinché<br />
reiterasse la sua disponibilità, suggellando, se mai ce ne fosse stato<br />
bisogno, il mio stato di grazia con un perentorio:<br />
><br />
e se lo diceva lui che era il maestro.<br />
66
Quell’ultimo riconoscimento mi indusse ad essere benevolo, e<br />
dimenticare le pretese di prima in favore di una dissertazione sulla<br />
nuova infermiera di medicina, per poi abbandonarlo con un<br />
generico:<br />
>, accolto con disinvoltura.<br />
Purtroppo, non appena varcata a ritroso la soglia dal bar,<br />
ebbi una folgorazione. Rividi l’ex amico Jakomo prono sull’obbiettivo<br />
del suo telescopio, nel mezzo del giardino, mentre confabulava<br />
divertito con gli immortali sette nani sulle passioni amorose<br />
della bella moglie travestita da Biancaneve. Fu allora che lo decisi.<br />
>, dissi lui improvvisamente.<br />
>, mi rispose interdetto.<br />
>, replicai seriamente per poi chiudere perentorio<br />
che ><br />
> mi confessò con fare trafelato.<br />
> conclusi finalmente senza lasciare campo<br />
per nuove contrattazioni, o azioni di convincimento volte a<br />
farmi desistere.<br />
Il giorno seguente ricevetti sul piazzale dell’ospedale Trombolo,<br />
il prediletto della moglie, il sette nano cui Jak aveva appiccicato<br />
un prepuzio, una sorta di prolunga in plastilina, resasi indispensabile<br />
per compiacere le fantasie erotiche di lei.<br />
67
È incredibile, lo so, cari lettori affezionati di questo quotidiano<br />
di periferia ma, Jak possiede un vestito da sette nano di colore<br />
blu, che indossa assieme ad un mantello rosso e una parrucca<br />
gialla con il naso da pinocchio, per far fronte ai giochini erotici<br />
che la moglie predilige, e se lo scrivo è perché io, quelle vesti, le<br />
ho vedute, assieme ad altre da super eroe (Zorro e Uomo Ragno).<br />
Inoltre le ho indossate, usate, e riposte nel secondo scaffale<br />
dell’anta di destra dell’armadio quattro stagioni, sito nel ripostiglio<br />
al primo piano del villino in cui Jak vive con la sua famiglia.<br />
È questo il motivo per cui non siamo più amici!<br />
Mentre il mio racconto volge al termine, colgo il brusio del lettore<br />
del quotidiano che si domanderà sgomento, che cosa c’entri<br />
tutta questa faccenda, con la razzia di statuette di sette nani che<br />
ha colpito la nostra ridente cittadina.<br />
Ebbene, da allora la statuetta è divenuta il premio di grandi conquiste<br />
amorose, in riconoscimento di altrettante scommesse vinte.<br />
La riuscita in mirabolanti avventure sessuali.<br />
Purtroppo, giunti alla settima vittoria, i trofei si erano esauriti già<br />
a metà estate. Al contempo, la bella signora moglie del mio ex<br />
amico, ne aveva denunziato la scomparsa contro ignoti presso la<br />
stazione dei Carabinieri competente.<br />
Io possiedo la schiera intera dei sette nani, fra cui il mitico<br />
Trombolo, rinchiusa in cantina (segregata, direbbe il vostro esperto<br />
criminologo), ed ho continuato per conto mio a procurarmi i<br />
trofei ogni qual volta una ghiotta preda fosse caduta fra le mie<br />
grinfie.<br />
68
Invece che redigere un blog, oppure scrivere le mie memorie,<br />
quando sarò vecchio avrò qualcosa da raccontare e da far ammirare<br />
ai miei nipotini, ho pensato. Conscio che la memoria possa<br />
un giorno abbandonarmi, a testimonianza dell’accaduto rimarranno<br />
quantomeno le prove, da identificarsi nei trofei che, anziché<br />
appenderli alla parete come un cacciatore omologato, trattengo<br />
in cantina per quel giorno che verrà, giacché la caccia alla passera<br />
è arte effimera e non sono mai stato intenzionato ad ostentare<br />
i miei trofei, fintanto che questo non fosse di compiacimento<br />
per il sangue del mio sangue. Così come un tempo, fra caste e<br />
ranghi sociali ci si tramandava i privilegi, era mio auspicio che il<br />
sangue del mio sangue seguisse la strada per cui ho vissuto ciecamente<br />
sino ad oggi, contravvenendo spesso alle regole non scritte,<br />
e dimenticando a volte quelle dell’amicizia, unico vero motivo<br />
di pentimento per aver colpito alle spalle il mio ex amico Jakomo.<br />
Inoltre, il sangue del mio sangue, purtroppo, è femmina…<br />
E adesso, cari inquirenti, cari criminologi, cari grafologi, sbizzarritevi.<br />
Cari direttori detentori di ben meno scrupoli dei miei,<br />
che pur di fare notizia e vendere questo straccio di giornale buono<br />
solo per pulirsi il culo, non vi resta che riesumare la salma di<br />
Freud e interrogarlo sull’ammissibile possibilità che lo scrivente<br />
sia rimasto deviato, nella sfera sessuale si capisce, a causa della<br />
precoce lettura, soli tredici anni, del libro Totem e tabù scritto<br />
dall’etnologo a cavallo fra il dodicesimo e il tredicesimo anno del<br />
secolo scorso.<br />
69
Ai lettori più comuni, alle massaie impaurite, ai giovani inquietati<br />
e agli anziani incuriositi, voglio dire che da parte mia non c’è<br />
mai stato l’intendimento di commettere chissà quale efferato crimine.<br />
La volontà della stampa è stata determinante, affinché fosse<br />
costruito un personaggio quantomeno inquietante, utile solo a<br />
vendere i giornali e a spaventare i bambini. Voglio quindi rassicurare<br />
tutti, tutte le persone semplici che non dovrebbero credere<br />
ciecamente a quello che leggono sui giornali, che la razzia maniacale<br />
delle statuette di sette nano si conclude oggi, con questa mia.<br />
A onor del vero, e per puro scrupolo di coscienza, divulgo qui<br />
di seguito la lista dei personaggi rapiti e trattenuti, comunque<br />
sempre in un comodo locale, ve lo assicuro, garantendo per la loro<br />
scarcerazione in un futuro prossimo venturo, quando abbandonerò<br />
il bottino in una zona della città che deciderò al momento.<br />
Il mio gesto verrà reso noto tramite questo stesso organo di stampa,<br />
salvo che il direttore non la ritenga indegna iniziativa; indegna<br />
solo in relazione al profilo del MOSTRO da lui disegnato, si<br />
capisce.<br />
Lista dei trattenuti:<br />
- Quattro nani tipo Cucciolo.<br />
Due col cappello azzurro, uno verde e l’ultimo scolorito e decisamente<br />
mal tenuto, cui ho procurato inavvertitamente la rottura<br />
del cappellino rosa. L’incidente è avvenuto durante la fuga trafela-<br />
70
ta, così ho gettato il berrettino dentro la fontana presso la stazione<br />
centrale, zona panchine imbrattate con lo spray. Consiglio al<br />
legittimo proprietario che voglia riunire le due parti, di non addentrarsi<br />
nella zona in ore notturne o serali, poiché bande di<br />
spacciatori stranieri ne hanno il controllo.<br />
- Tre nani tipo Dotto.<br />
Due pari al nuovo con barba corta, vestito marrone, e cinta verde<br />
per entrambi; non distinguibili. Il terzo è poco curato, i colori sono<br />
sbiaditi e la lente dell’occhiale destro è irreparabilmente rotta,<br />
così come il braccino destro per il quale non ho alcuna responsabilità:<br />
lo giuro su Biancaneve.<br />
- Tre nani tipo Brontolo.<br />
Barba lunga, sguardo arcigno e sopracciglia corrugate. Per tutti il<br />
vestiario è di color viola, ma uno possiede il piccone, peraltro<br />
spezzato sulla cima, e le bretelle gialle (ho ragione di credere che<br />
sia un falso).<br />
- Due nani tipo Mammolo.<br />
Sguardo languido, barba corta per entrambi e fiore in mano.<br />
Uno margherita, l’altro solo fusto verde. Il fiore sembra essere stato<br />
reciso alla base, come se colpito da pallonata di cucciolo umano.<br />
- Due nani tipo Gongolo.<br />
Entrambi con gli occhietti chiusi e nasone rosa. Uno con la barba<br />
lunga, l’altro, viceversa corta: sarei curioso di sapere quale dei<br />
due è il nano in versione originale.<br />
- Tre nani tipo Pisolo.<br />
71
Due sdraiati sul dorso con braccia conserte, cappello blu e rosso.<br />
Il terzo a pancia all’insù con margherita in bocca e gambe intrecciate<br />
(vale quanto detto per il terzo brontolo, ho motivo di dubitare<br />
sulla legittimità della postura).<br />
- Due nani tipo Eolo.<br />
Il primo è consono alla postura canonica da sette nani che starnutisce,<br />
ma l’edera ed il muschio che lo hanno avvolto sono testimoni<br />
di una cattiva cura da parte dei vecchi proprietari, così ho deciso<br />
che qualora nessuno venisse per riprenderselo entro quarantotto<br />
ore dall’avviso di liberazione, lo farò mio definitivamente, come<br />
fosse un nano adottivo.<br />
Riguardo l’altro Eolo, anche lui pari al nuovo, ma con postura a<br />
novanta e le piccole dita indice e pollice poste sulla nappa, che ne<br />
rendono un’immagine molto poco edificante.<br />
Personaggio segnato da peto postura, l’ho amichevolmente soprannominato<br />
“ venticello ”.<br />
- Diciassette statuette tipo fungo.<br />
Nove del tipo amanita phalloides, rossi con vistose chiazze bianche<br />
suddivisi in due gruppi da tre, un doppio, ed un singolo di<br />
buona pezzatura. Otto, tipo pioppino, color crema e nocciola.<br />
Uno possiede anche un simpatico vermicello che fuoriesce dalla<br />
cappella (per questo fungo vale la proposta di adozione come per<br />
Eolo).<br />
- Una statuetta tipo Strega.<br />
72
Pezzo unico di rara bruttezza dotato di mela rossa. Malconcio e<br />
scolorito ha dovuto sopportare l’amputazione dell’arto inferiore<br />
sinistro a causa di un incidente occorsomi durante la fuga.<br />
La colpa è di quel bastardo marrone a pelo raso di modeste dimensioni,<br />
la cui guardia nel giardino della villetta cui era domiciliata<br />
la strega in questione, era di carattere repressivo, più che preventivo,<br />
giacché se ne stava nascosto proprio come una pattuglia<br />
della polizia municipale dotata di autovelox.<br />
- Uno Stop.<br />
Segnale stradale trafugato in un cantiere cittadino in un momento<br />
di scoramento. Me lo ricordo bene come fosse adesso, quella<br />
notte non riuscivo a trovare altri trofei; magari per colpa delle notizie<br />
divulgate dalla carta stampata, che hanno fatto si che molti<br />
ricoverassero le proprie statuine all’interno dei garage.<br />
- Un nano tipo Trombolo.<br />
Pezzo unico di rara bellezza di cui la restituzione mi risulta impossibile.<br />
Ho deciso di trattenerlo, con il suo consenso si capisce, in<br />
quanto il primo di una stirpe numerosa. Per me ha contato molto.<br />
Sebbene non sarà sufficiente ai posteri per spiegare la mole<br />
della mia iniziativa, varrà in cuor mio come monito a ricordo del<br />
gesto più stupido e irrazionale che gli ormoni mi abbiano mai<br />
spinto a commettere.<br />
Ahimè, sono dolente nel concludere la lista dei miei trofei con<br />
una nota di rammarico, procuratami dal destino di non aver mai<br />
rapito una Biancaneve.<br />
Ed è tutto.<br />
73
Con questo voglio cospargermi la testa di cenere, voglio andare<br />
a Canossa, voglio tornare sui miei passi e sulle mie parole, voglio<br />
finir l’inchiostro dentro le penne, voglio scontare tutti i peccati<br />
della mia vita e delle generazione a venire, insomma: voglio chiedere<br />
perdono al mio ex amico Jak poiché non torna, non gira,<br />
non ci sta bene quel “EX” fra di noi.<br />
Lo dicono tutti, Jak.<br />
Il mio amico Jak, senti come suona armonioso.<br />
E poi Jak non sei stato forse tu a dirmi che in tempo di guerra<br />
ogni buco è trincea? Non sei stato forse tu a insegnarmi che la vita<br />
è una guerra?<br />
Non sei forse tu a cantare che la guerra è bella anche se fa male?<br />
No Jak, non sono quello che dici. Quantomeno, se lo sono, è perché<br />
tu mi hai insegnato ad esserlo. Tu hai voluto fortemente, ostinatamente,<br />
inesorabilmente, che lo fossi. Io, da pari tuo ho accettato,<br />
ho imparato diligentemente, mi sono applicato accogliendo<br />
i tuoi consigli come quelli di un fratello maggiore Jak, ma poi la<br />
cosa mi è sfuggita di mano, ci è sfuggita di mano. Non nego che<br />
la gelosia si sia frapposta tra di noi, ma per quanto riguarda tua<br />
moglie Jak, o io o un altro…<br />
Lo sai bene come vanno queste cose, tu sei il maestro Jak.<br />
No, non sono cinico, è risaputo che dagli amici prima o poi si ricevono<br />
le peggiori pugnalate alla schiena, ma questa volta Jak, è<br />
stato un autogol, te lo giuro. Sono pentito, sì, fortemente pentito.<br />
Non certo per questa storia giornalistica, per quei babbei che<br />
non credono più alle favole ma si riempiono il giardino di sette<br />
74
nani, no, non per loro. Jak sono pentito di averti ferito, e se questo<br />
potrà farti stare meglio, ti giuro che d’ora in poi divento gay.<br />
Come dicevamo nell’ultimo capodanno del secolo scorso? Il culo<br />
sarà la passera del futuro!<br />
Ho deciso Jak, cambio gusto, e ti giuro che questa sarà l’ultima<br />
volta che ti mento.<br />
Jak, amico mio.<br />
anonimo dottore paracadutista<br />
Comunicato stampa de Il messaggero di Lucca:<br />
La redazione, nella persona del Direttore, divulga questo comunicato<br />
ai lettori, dopo aver attentamente valutato il caso, a cui ha<br />
fatto seguito la pubblicazione della lettera del maniaco dei sette<br />
nani, da cui si dissocia per quanto narrato in queste pagine, ma<br />
apprezza la decisione del maniaco stesso, che permetterà ai nostri<br />
lettori affezionati di ritornare finalmente in possesso dei loro<br />
piccoli sette nani rapiti.<br />
75
CAPITOLO 6<br />
passeggiata sul lungomare<br />
><br />
><br />
Bagno Imperiale…<br />
><br />
Bagno Mascotte…<br />
assa la voce che qualcuno può sentirci, qualcuno potrebbe riconoscermi.<br />
E continua a camminare, dai, dai stellina, non fare così<br />
che poi ci rimango male. Non dimenticare l’altra volta, che per<br />
poco non tracollo dai sensi di colpa. >><br />
Bagno Riviera…<br />
><br />
Bagno Oceano…<br />
><br />
Bagno Ilva…<br />
E almeno, se proprio devo ascoltarti, fammi un piacere: quali sarebbero<br />
questi motivi, ancora una volta, superiori alle tue volontà?<br />
Questa volta, quale è la causa di forza maggiore che ti impedisce<br />
di portarmi in vacanza? >><br />
Bagno Miraggio…<br />
><br />
Bagno Conte Rosso…<br />
><br />
Bagno Conte Grande…<br />
tofole, indossa i miei completini da supereroe, magari ti si è scopata<br />
pure te, e tu ti preoccupi di qualche cornetto?<br />
Poi dici di amarmi, ma sei impazzita! >><br />
Bagno Gioia…<br />
><br />
Bagno Grazia…<br />
><br />
Bagno Lido…<br />
79
Bagno Dei Mille…<br />
><br />
Bagno Pesce d’Oro…<br />
><br />
Bagno Biancamano…<br />
lo giuro, è l’ultima. È l’ultima volta che ti chiedo di rinunciare…<br />
ti prego stellina, fallo per me. Fallo per noi. Per l’amore che hai<br />
dentro e devi lasciar sfogare… amore mio! >><br />
Bagno Sirena…<br />
mi emoziono e abbasso le mie solite difese agguerritissime, non<br />
credi? >><br />
Bagno Roma…<br />
><br />
Bagno Argo…<br />
><br />
Bagno Davide…<br />
><br />
Bagno Oasi…<br />
><br />
Bagno Maestrale…<br />
scontati, di parole di seconda mano… evidentemente la mia indole<br />
è questa. >><br />
Bagno la Conchiglia…<br />
><br />
Bagno Versilia…<br />
><br />
Bagno Moby Dick…<br />
><br />
Bagno Sole…<br />
...<br />
Capisco bene, adesso. >><br />
Bagno Venezia…<br />
><br />
Bagno Suisse Argentina…<br />
><br />
Bagno Onda…<br />
><br />
Bagno Diva…<br />
No aspetta, queste parole possono essere uscite solo dalla bocca<br />
di uno strizza cervelli… ma tu fino… o no? >><br />
Bagno Eugenia…<br />
><br />
Bagno Romanza…<br />
><br />
Bagno Marisa…<br />
Perlomeno la mia è laureata, è dottoressa in psicologia, non “strizzacervellologia”,<br />
cara mia.<br />
C’è una bella differenza sai! >><br />
Bagno Mongioia…<br />
><br />
Bagno Franca…<br />
><br />
Bagno Primavera…<br />
portare via da me. Io quella l’ammazzo! Devi smettere di frequentarla<br />
subito. >><br />
Bagno Bucintoro…<br />
><br />
Bagno Domenici…<br />
><br />
Bagno Giangrandi…<br />
È questo il tuo ruolo? >><br />
Bagno Stella…<br />
><br />
Bagno Buonamici…<br />
><br />
Bagno Timavo…<br />
><br />
Bagno Marusca…<br />
><br />
88
Bagno Cristallo…<br />
><br />
Bagno Gorizia…<br />
><br />
Bagno Sorrento…<br />
><br />
Bagno Alberto…<br />
><br />
Bagno Augusta…<br />
><br />
Bagno Roberto…<br />
><br />
89
Bagno Delfino…<br />
><br />
Bagno Sodini…<br />
dito, tu che fra gli avi annoveri certamente l’inventore del tradimento<br />
oltranzista, ma lasci moglie e amante ufficiale, per amore,<br />
quello vero questa volta. Mentre riguardo quel figlio che non ti<br />
caga da anni, ma lasciamo perdere, la cosa che non mi è chiara,<br />
perdona se non mi strappo i capelli e non mi dispero come potevi<br />
aspettarti, la cosa che non mi è chiara, dicevo, oltre al fatto che ti<br />
serva il numero di Diego “il pacciani” che non è più mio amico<br />
da un sacco di tempo, e la cui reputazione non lascia spazio a<br />
dubbi, quindi te ti droghi, è: che cosa vuoi ancora da me?!<br />
Adesso diciamocelo però: o io sono veramente strana, perché<br />
preoccupata maggiormente dei problemi di carattere sentimentale<br />
che ha il gatto persiano, piuttosto che dei miei, oppure non riesco<br />
a cogliere certe sfumature del caso… che cosa, a che, a che<br />
cosa ti servo, io, adesso?<br />
Io non ho capito, mi manca qualcosa da capire. >><br />
Bagno Isonzo…<br />
><br />
Bagno Amore…<br />
Per dire a TUA moglie e a TUO figlio, che poverini, hanno veramente<br />
la sfortuna di averti come perente. Che sei innamorato di<br />
un’altra donna. Ed eccola qua, la stupida di turno, ma l’altra come<br />
la tiriamo in ballo, è? Cervellone. >><br />
Bagno Italiano…<br />
><br />
Bagno Manè…<br />
><br />
Bagno Abetone…<br />
andato anche a innamorare di nuovo. E… il numero di Diego “il<br />
pacciani”? >><br />
Bagno Paradiso…<br />
><br />
93
94
CAPITOLO 7<br />
un ottimo affare<br />
Jak non aveva neppure provato a consolare la propria ex amante,<br />
rimasta ferma sul ponte che unisce Lido di Camaiore e Viareggio;<br />
se n’era andato via con le mani in tasca, portando con sé un<br />
numero di cellulare ed un pezzo di un puzzle non suo.<br />
Voltato?<br />
Mai.<br />
Quella stronza. Che cosa gli aveva chiesto mai? Un briciolo di<br />
comprensione, la stessa che non era riuscita a dispensargli in quegli<br />
anni. Comunque, la cosa più importante, era il numero di cellulare<br />
di quel Diego, detto “il Pacciani”.<br />
Ma sì, chi cazzo se ne frega, pensò. Poi però ci ripensò, e infine<br />
ci ripensò ancora, e fu in quell’istante che si convinse definitivamente<br />
che, il gelato gusto pistacchio fragola e limone, è il migliore<br />
al mondo. Non che facessero schifo nocciola e panna, certo,<br />
ma troppo scontato, abusato, insomma un classico. Evidentemente<br />
Jak, non aveva niente di classico né di abusato, tanto meno di<br />
scontato. Per dovere di cronaca è obbligatorio specificare che Jak<br />
è inimitabile ed originale in tutto ciò che fa e che possiede.<br />
95
Possedere “è”. Possedere è il valore più importante per Jak. Possedere<br />
un’automobile come la sua non è roba da tutti, con quel<br />
frigo bar sempre fornito di due bicchieri asciutti, ed una bottiglietta<br />
d’argento con incise tre lettere in maiuscolo regalatagli dal suo<br />
migliore amico, o meglio dal suo ex amico, contenente un miscuglio<br />
composto per un terzo da gin, un terzo da vodka, e un terzo<br />
di quentrò; quei due li chiamavano, i tre bianchi.<br />
Possedere una barca ormeggiata sempre pronta a salpare, con<br />
il pieno di carburante, il pieno in cambusa, il pieno d’acqua dolce,<br />
e con lo scafo pieno zeppo di incrostazioni causate dall’acqua<br />
stagnante del porto, perché sempre pronta a compiere quel dovere<br />
per il quale era stata progettata, montata, collaudata e mai impiegata.<br />
Acquisto ad uso scannatoio, sosteneva andando fiero delle<br />
proprie parole echeggianti nei suoi variopinti festini, fra denti<br />
brillanti e facce scolpite da visi liftati di botulino.<br />
Possedere una donna, rinchiuso nel bagno dei medici e sfondarle<br />
il culo, lei prona rivolta verso la porta mentre lui monta con i<br />
piedi sul cesso appoggiando le mani sul suo giro vita, coi pantaloni<br />
calati alle caviglie, e frustarla con la cintura di coccodrillo regalatale<br />
dalle moglie per Natale, è quanto mai vitale, per uno come<br />
lui.<br />
Possedere il Rolex sarebbe stato invece dozzinale, quindi la sua<br />
pataccha era un Baume & Mercier d’annata. D’annata come tutta<br />
la collezione di bottiglie. D’annata come la collezione di Vespa.<br />
Dannata, come la sua esistenza di uomo rugginoso.<br />
96
In vero non c’era più traccia di metallo in lui, se l’era mangiato la<br />
combustione dell’ossigeno, così Jak si era ossidato. Se ne stava ai<br />
margini del mondo rinchiuso nel suo pezzo di ruggine, portatore<br />
graffiante di tetano.<br />
> lo rimbeccava a volte il suo amico, prima<br />
di assumere lo status di ex, ma lui rispondeva sempre al solito<br />
modo:<br />
><br />
Più che una risposta oramai quella frase era divenuta una gag<br />
che si consumava giornalmente; proprio come la loro amicizia.<br />
Alle quindici e zerozero Jak era entrato nel bar, dove aveva appuntamento<br />
con Diego, il quale non si era fatto attendere. Era seduto<br />
su di un trespolo di fronte a una di quelle macchinette spilla<br />
soldi che restituiscono per legge una percentuale in montepremi,<br />
più o meno in maniera ciclica, con al fianco un debosciato topo<br />
da bar che teneva il conto delle giocate.<br />
I due intuirono subito che si stavano cercando, quindi Diego<br />
non perse tempo in convenevoli, però volle prima finire il credito,<br />
poi sbottò come nulla fosse:<br />
><br />
><br />
97
In quel mentre il topo da bar aveva piazzato un nove BARR e<br />
stava incassando, perché non è vero che bighellonare e ciondolarsi,<br />
ore e ore al bar, non sia remunerativo. E tutto questo grazie ai<br />
Monopoli di Stato, che non ce n’erano abbastanza di scommesse<br />
e totonero, ci mancavano solo le slot; le macchinette dell’ex monarca.<br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
98
><br />
><br />
<br />
><br />
Uscito dal bar, Jak si sentiva già più sollevato. Aveva spiegato<br />
minuziosamente il suo piano a quel Diego, che in fatto di scrupoli<br />
non era secondo a nessuno; tant’è che quel soprannome “il pacciani”<br />
gli calzava a pennello, quando da infondo a quel pozzo artesiano<br />
dove si era esiliata la sua coscienza, giunse un flebile lamento.<br />
Uno di quelli che era solito non prendere neppure lonta-<br />
99
namente in considerazione, ma chissà perché, quella volta aveva<br />
passato la cortina di emozioni e disagi, che Jak aveva dentro di sé<br />
sin dal tempo in cui fu abbandonato nel monastero delle suore.<br />
Proprio così, come la maggior parte dei bastardi al mondo, Jak<br />
non conosceva la propria famiglia d’origine, e mai ne aveva avuto<br />
notizie. Ma per dirla tutta, oltre che per dovere di cronaca, a<br />
Jak, quel Jak cinico e perverso, non gliene fotteva un cazzo di loro.<br />
Lo avevano abbandonato, questo era sufficiente affinché li<br />
avesse ripudiati. E non ci furono mai, suore e ospiti del convento,<br />
in grado di cucire quello strappo.<br />
Addirittura, da ragazzo, ricordava di aver ricevuto la visita di<br />
un vecchio prete del nord, il quale aveva tentato con insistenza,<br />
affinché si riconciliasse spiritualmente con quei genitori degeneri.<br />
Ma Jak, dopo la seconda volta che il vecchio prelato gli aveva fatto<br />
visita, lo aveva mandato a ’fanculo, e da quel momento lui non<br />
si era più fatto vivo. L’unica cosa che gli aveva lasciato era un crocefisso<br />
nero, di legno, consunto, appeso ad una collana di corda.<br />
Jak aveva intuito che quell’oggetto potesse essere appartenuto a<br />
un suo familiare, così alla prima occasione lo aveva venduto, per<br />
poche lire, ad una pia che bazzicava la cappella delle suore, inventandole<br />
che glielo aveva donato il Santo Padre in persona durante<br />
una misteriosa visita al monastero.<br />
Che dire: la fantasia di Jak era sempre stata fervida, ma in quella<br />
occasione no!<br />
Per risollevarsi un pochino da quel peso opprimente che gli si<br />
era attaccato alle caviglie, Jak pensò che una bella chiacchierata,<br />
100
e magari pure una scopata, con la dottoressa, non gli avrebbe fatto<br />
altro che bene.<br />
Così la chiamò al numero dei pazienti, quelli cioè che potevano<br />
avere bisogno del suo conforto a qualunque ora della giornata, e<br />
si mise d’accordo per un incontro urgente.<br />
La donna era in città per fare compere, ma nell’attesa che i negozi<br />
di via Fillungo alzassero le saracinesche, avrebbero potuto incontrarsi<br />
in un posto tranquillo; vale a dire sulle mura.<br />
Si sedettero sull’erba come due giovincelli in cerca di quadrifogli<br />
e di sospiri rubati. Lei, seduta con le ginocchia flesse da una<br />
parte, lui, sdraiato ventre a terra. Qualche istante dopo lei era nella<br />
stessa posizione, mentre Jak, faccia al cielo e ginocchia intrecciate,<br />
suonava rinchiuso fra le mani un filo d’erba. Qualche attimo<br />
ancora e lei accennò a sdraiarsi su di un fianco, quindi Jak,<br />
che adesso era sicuro di sé e aveva capito che la resistenza della<br />
donna era capitolata, si mise in bocca una margherita e ne infilò<br />
un’altra fra le ciocche ribelli di lei.<br />
Le parole che pronunciavano le loro bocche probabilmente<br />
non avevano alcun senso. I due flirtavano. I loro sensi erano volti<br />
a cogliere odori di ormoni e sfumature nella voce, dettagli nello<br />
sguardo, ansia nel respiro.<br />
> disse lui.<br />
> disse lei.<br />
> insisté Jak.<br />
101
disse lei, dotata di profonda<br />
religiosità epicurea.<br />
Le mani dell’uomo divennero tentacoli, e la sua lingua una anaconda,<br />
mentre gli ormoni di lei schizzavano giù dai bastioni come<br />
il polline impazzito d’aprile. Un attimo dopo il corpo della<br />
donna era sopra a quello del maschio, che cercava punti di contatto<br />
fra il suo turgido strumento di piacere e l’inumidita fica di<br />
lei. Poi di nuovo lui sopra che spingeva forte con il bacino, mentre<br />
lei gemente lo accoglieva a gambe larghe, serrando le caviglie<br />
dietro la sua schiena.<br />
Avrebbero potuto rigirarsi così tutto il pomeriggio, fintanto che<br />
un cane di un padrone distratto non si intrufolò con quel suo naso<br />
umido, all’interno del menage, che non poté diventare à trois<br />
solo per questione di gusti; Jak odiava gli animali.<br />
Per fortuna era arrivato quel bastardo, non Jak, il cane, poiché i<br />
due si strusciavano e si rigiravano come salamandre, non curanti<br />
dei passanti, e soprattutto dello strapiombo di quindici metri che<br />
li attendeva oltre il bordo della cinta muraria.<br />
Continuando così, sarebbero presto caduti giù.<br />
102
Si salutarono cordialmente come fanno gli amanti affamati,<br />
con sguardi accesi, lingue in bocca, e palpate sulle chiappe, poi<br />
scesero dalle mura ognuno per la propria strada. Questa cosa<br />
non era piaciuta tanto a Jak, che per tirarsi su si era ingoiato le<br />
due “paste” offerte da Diego, come fossero state due aspirine, e ci<br />
si era fumato dietro anche la canna di maria, esagerando.<br />
In vero erano due potentissimi allucinogeni, forgiati con chimiche<br />
devastanti per il cervello umano.<br />
Insomma, lui avrebbe voluto sentirsi dire anche delle parole tenere,<br />
che so, qualche amore mio ti voglio, oppure ti desidero, oppure<br />
sono tua, cose del genere insomma. Fu questo senso di romanticismo,<br />
inusitato nelle maniere di Jak, che lo lasciò con dell’amaro<br />
in bocca. Vuoi vedere che… il vero amore?<br />
No. Non era possibile. Innamorarsi veramente di una donna<br />
non faceva parte del gioco. Al massimo si poteva innamorare di<br />
un’auto, oppure di un orologio particolare, ma di una donna no,<br />
era certo di non averlo mai fatto ed era, diciamo così, tradizionalista,<br />
sotto questo aspetto. Le donne sono oggetti pericolosi, si ripeteva<br />
mentre passeggiava per le vie centrali della città con in testa<br />
un ronzio micidiale. Poi realizzò che effettivamente stava vagando<br />
senza meta fra i negozi, altra eccezione. Adesso però gli ele-<br />
103
menti per ritenersi preoccupato c’erano e come, tutti ben visibili<br />
e distesi di fronte a lui in piazza San Michele.<br />
Da qualunque parte si voltasse vedeva le facce delle persone<br />
che lo avevano turbato, così alzò gli occhi al cielo nella speranza<br />
che quel malessere passasse, e invece vide quel coglione del suo<br />
amico che lo aveva tradito, gli aveva scopato la moglie, e poi lo<br />
aveva pubblicamente sputtanato.<br />
Uno così meritava di morire.<br />
Invece se ne stava seduto sul tetto del campanile della chiesa di<br />
San Michele, con in mano il sette nano trombolo. Abbassò lo<br />
sguardo, e voltandosi vide la faccia della moglie, prima proprietaria<br />
del nano, riflessa dentro la vetrina di una banca. Pensò agli alimenti<br />
che avrebbe dovuto sborsare per il figlio ancora alle prese<br />
con gli studi.<br />
Si voltò ancora e vide la dottoressa in psicologia, che da dentro<br />
una farmacia lo chiamava indossando un camice bianco, con sotto<br />
un completo sexy nero, che lasciava trasparire ogni dettaglio.<br />
Sotto il loggiato c’era la sua amante ufficiale, che lo sommergeva<br />
di male parole, irripetibili; vituperi d’amore morto.<br />
Vide un piccione al centro della piazza con la faccia di Diego “il<br />
pacciani” che masticava due grosse “paste” viola, e incitava il suo<br />
ex amico a gettare di sotto dal campanile l’indifeso trombolo.<br />
Non capì più nulla, si sentì mancare e svenne. L’ambulanza che<br />
lo soccorse era bianca e con le lucine colorate, mentre una sirena<br />
lamentosa rimbombava all’interno del veicolo, come un gatto in<br />
amore che miagola da sotto al balcone in una notte di luna pie-<br />
104
na. Evidentemente i riflessi di Jak erano offuscati. Quel malessere<br />
che lo aveva colto non se ne era andato. Era sopito, riposava e basta.<br />
Lo ricoverarono e lo trattennero per accertamenti. Nel cadere<br />
aveva sbattuto forte la testa su di una colonnina di quelle che sorreggono<br />
le catene tutt’intorno a piazza San Michele. C’erano voluti<br />
quindici punti di sutura per richiudere lo squarcio dal quale,<br />
purtroppo per lui, Jak si rese conto che il malessere non fosse fuoriuscito.<br />
Ma insomma, aveva pensato sommessamente, se almeno<br />
quel senso di disagio se ne fosse uscito con i fiotti di sangue, sarebbe<br />
stato tutto a posto, sarebbe stato meglio, adesso. Invece doveva<br />
starsene disteso in un letto d’ospedale con mille esigenze, mille necessità,<br />
mille richieste, e nessuna capacità reattiva. Nessuno esaudiva<br />
le sue richieste.<br />
Il quadro clinico in vero era molto più grave, secondo il giudizio<br />
dei medici, i quali però avevano scambiato il potente stordimento<br />
dovute alle droghe fornitegli da quel Diego “il pacciani”, con una<br />
grave forma di depressione demenziale.<br />
Quei coglioni dei dottori si preoccupavano solo di scopare con<br />
le infermiere e di leccare il culo al professore di turno, mentre i<br />
pazienti venivano lasciati in balia delle loro malattie, pensò. Era<br />
divenuto vittima di quello stesso sistema di cui tanto andava fiero,<br />
quale degno esponente.<br />
105
La moglie fedifraga portò il figlio a trovare il padre per tre sere<br />
di seguito, giovedì, venerdì e sabato, e per tutte quelle volte, lo degnò<br />
solo di un piccolo saluto. Teneva sempre in mano quel cazzo<br />
di telefonino.<br />
Ma che ci fanno pure sesso con quei cosi? Avrebbe voluto chiedere<br />
alla moglie, che oramai non lo ascoltava più da tempo, era vero,<br />
ma in questo caso specifico era lui che ancora non riusciva a<br />
connettere il cervello con le corde vocali, perché le due “paste”<br />
mescolate con la maria si erano rivelate un miscuglio chimico micidiale<br />
e gli si erano intrufolate nella testa, come un virus di computer.<br />
Il terzo giorno il suo ex amico, che era di guardia, abbandonò<br />
il reparto e decise di andare a trovarlo dopo un’estenuante battaglia<br />
con il proprio alter ego. Quando giunse nella stanza con<br />
quattro posti letto, poté accertare solo che il suo amico Jak se la<br />
dormiva saporitamente, soprattutto per effetto della massiccia dose<br />
di tranquillanti che i medici gli avevano rifilato. D’altro canto,<br />
come gli aveva detto un collega di quel reparto, Jak era sotto sedativi<br />
potenti, perché l’attacco di panico che lo aveva steso in piazza<br />
San Michele era sicuramente il primo sintomo di uno stato di<br />
stress misto ad ansia, che potenzialmente lo avrebbe condotto verso<br />
la depressione. Il male oscuro che spinge al suicidio.<br />
Nessun accenno alla droga.<br />
Il quarto giorno ricevette un messaggio sul cellulare, ma solo<br />
grazie al fatto che la moglie gli avesse portato la pochette con lo<br />
106
spazzolino da denti, il bicchiere, le posate, ed il carica batteria del<br />
cell; era la dottoressa.<br />
Si scusava per non essere passata prima, ma impegni di lavoro<br />
la obbligavano a stare lontana dalla città per qualche altro giorno.<br />
E nonostante i sedativi che lo avevano narcotizzato, mentre<br />
adesso qualche parola riusciva a pronunciarla, Jak aveva sub odorato<br />
puzza di cornuto, o quantomeno di giustificazione di donna<br />
dedita al sesso sfrenato, con chissà quale amante, e chissà in quale<br />
luogo riservato.<br />
Troia, pensò. Avrebbe dovuto credere che fosse veramente fuori<br />
per lavoro? Troia e basta, si disse. Adesso però il pragmatismo<br />
doveva soccorrerlo prima e sorreggerlo poi, altrimenti rischiava<br />
veramente un esaurimento nervoso e potenzialmente, lui che non<br />
era avvezzo a certi rifiuti, pure la depressione. Non ultimo, si era<br />
insinuato un tarlo nella sua mente, che se fosse stato un tipo meno<br />
introverso poteva trattarsi di pentimento, ma più verosimilmente<br />
questo è il classico caso in cui la fantasia tende a soverchiare<br />
la realtà, che poi si manifesta spesso più interessante e crudele<br />
della fantasia stessa.<br />
Insomma, Jak aveva, quantomeno, qualche rimorso per la faccenda<br />
del suo ex amico. Forse aveva esagerato. Cominciava a dubitare<br />
che in fondo si meritasse una punizione così grande, anche se<br />
non si era fatto vivo in quei giorni nonostante il ricovero fosse avvenuto<br />
nell’ospedale dove lavoravano entrambi. Infine, rimise<br />
ogni sensazione di disagio e di inadeguatezza al loro posto; a ’fanculo<br />
lontano da Jak.<br />
107
Quel sabato notte, però, i ricordi di mille e più avventure se lo<br />
mangiarono poco a poco, a morsi, strappandogli brandelli di carne,<br />
come fossero stati i morsi di una fiera affamata ma non troppo.<br />
Una fiera sadica.<br />
Jak non riuscì a chiudere occhio per tutta la notte, che trascorse<br />
fra un lamento e l’altro, madido di sudore, in compagnia del lento<br />
incremento del convincimento che, quella situazione, doveva<br />
finire. Prima o poi doveva finire; meglio se prima.<br />
Prima di aver raggiunto un punto di non ritorno.<br />
All’alba, stremato come non mai, aveva metabolizzato l’offesa<br />
maggiore che la sua memoria avesse avuto modo di ricordare, e<br />
riscattata al pari di un politico pentito.<br />
Risultato?<br />
Era stato un incidente!<br />
Il tradimento da parte del suo migliore amico era stato derubricato<br />
allo stato di incidente. Punto.<br />
Prima di chiudere gli occhi, e accogliere con buona pace dei<br />
sensi le trenta gocce di Valium procurategli dall’infermiere, nonostante<br />
che la sua richiesta si fosse fermata a cinque o sei, massimo<br />
una decina, l’altro per levarselo dai piedi data la nottata sfiancante<br />
aveva incrementato la dose preparata in un bicchierino di carta.<br />
Quando ebbe assunto le gocce del potente farmaco ad azione calmante,<br />
gli venne in mente una cosa importante: di vitale importanza.<br />
Si ripromise che avrebbe chiuso gli occhi giusto un paio di<br />
orette, per riposare, ma non appena il sole si fosse alzato, avrebbe<br />
108
chiamato Diego “il pacciani” sul cellulare e gli avrebbe fornito<br />
delle nuove direttive, con l’intenzione di annullare l’accordo concordato<br />
al bar. Purtroppo il sole era già sorto, e non si era reso<br />
conto che aveva trascorso la notte a riflettere sul da farsi, come<br />
posseduto dalla luna. Una luna invitante, con la quale, nel buio,<br />
aveva lungamente ballato, mentre la memoria si era convinta che<br />
una certa distanza dal rimpianto, non fosse un dettaglio trascurabile.<br />
109
CAPITOLO 8<br />
okappa<br />
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110
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cinano… cinque fammi il piacere, controlla che i tempi coincidano<br />
anche per quattro. >><br />
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- Beeep<br />
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- Beeep<br />
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- Beeep<br />
><br />
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- Beeep<br />
><br />
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><br />
- Beeep<br />
><br />
><br />
><br />
><br />
Aldo pensava, dentro di sé, che quattro si comportava come un<br />
pivello, nello specifico un coglione, e che oramai la figura rischia-<br />
113
va di saltare perché si era lanciato almeno duecento metri dopo il<br />
segnale. A terra gli avrebbe voluto rompere il culo, e che se aveva<br />
sonno, doveva restare a letto e non andare a rompere i coglioni<br />
lassù, si disse ancora.<br />
Oggettivamente avrebbe dovuto remare parecchio per raggiungere<br />
gli altri in tempo e chiudere la stella.<br />
> urlò in volo a capofitto,<br />
segno che si sentiva già meglio. Lo stress che gli metteva addosso,<br />
quel cazzo di Aldo, era insopportabile; come pilota era pure<br />
un fenomeno, ma come elemento motivatore, un vero rompicoglioni.<br />
Una volta a terra, glie le avrebbe volute cantare. Poteva fare<br />
il comico anche lui, pensò.<br />
> urlò chiudendo la figura.<br />
Aldo, il pilota, pensò che quattro, aveva fatto un’ottima manovra,<br />
e nonostante quel pivello lo facesse incazzare fortemente,<br />
quando voleva metteva le ali. Avrebbe dimezzato la ramanzina<br />
una volta a terra, limitandosi a farlo pagare un giro al bar, come<br />
di consueto.<br />
Adesso toccava al capo squadra, Michele, il cui compito era di<br />
coordinare i movimenti e farli girare come una trottola.<br />
114
urlò frenetico il capo squadra.<br />
><br />
OKAPPaaa, risposero i paracadutisti urlando in coro mentre<br />
rompevano la figura.<br />
Il volo in solitaria era quello che faceva per quattro, ed in effetti,<br />
gli altri lo avevano soprannominato “il solista”.<br />
Ma quali ritmi, quali figure, quali formazioni. Il paracadutista doveva<br />
scegliere istintivamente il momento giusto per tirare, secondo<br />
una sua idea post romantica; ci voleva un più alto livello di<br />
sensazioni, per tuffarsi nel vuoto e decidere quando aprire. Oggi,<br />
ad esempio, era la giornata giusta per ritardare il più possibile. Si<br />
sentiva da dio.<br />
Ci volevano proprio i lanci per scaricare le tensioni, come al solito.<br />
Cinque o sei lanci, doccia calda, e di corsa dalla piccola Lisa,<br />
sperando di non tardare, come accaduto due domeniche prima,<br />
che quella strega della madre era già al telefono con suo padre, il<br />
nonno, pretendendo che gliela portasse a casa, anche se lui non<br />
era ancora rincasato. Finché piccoline erano splendide, si disse,<br />
115
magari fino a dieci, undici anni, poi crescono e diventano tutte<br />
uguali, aggiunse serafico parlottando con la propria coscienza.<br />
In cuor suo, sperava che non diventasse come la madre, e s’interrogava<br />
ancora su come cazzo avesse fatto a sposarla, e risposte<br />
concrete non gliene venivano in mente, ma era certo che con<br />
quello che gli era costato separarsi da lei, ci avrebbe potuto comperare<br />
un aereo personale.<br />
Quell’avvocato poi pareva una locusta. Lei un frullatore. La vecchia<br />
una falciaerba. Si era cacciato proprio in una situazione di<br />
merda: ne era pienamente convinto.<br />
Secondo questo suo assunto, la ex moglie era buona solo per vendere<br />
mobili, e menomale che la domenica le tocca lavorare, così<br />
poteva prendere la bimba più di quanto avesse sentenziato il giudice.<br />
Ma fortunatamente, ora era nuovamente libero, libero come<br />
un uccello di volare di fiore in fiore, ogni qualvolta ne sentiva<br />
il bisogno. Non come quando si doveva inventare mille scuse, avere<br />
due cellulari, o fingere incontrando Elena, o Marta, o Ilenia,<br />
mentre gli sarebbe piaciuto strappare loro le mutande di dosso.<br />
Come quella volta, con quella bella passerona che si era fatta tastare<br />
le tettone di fronte al suo ex amico Jakomo, all’ospedale:<br />
che smacco, certo. Avesse potuto, le avrebbe strappato le mutande<br />
con i denti; mutande, quando mai, quella indossava sicuramente<br />
dei fili interdentali, igienicamente non sufficienti, ma al<br />
contempo dotati di grande interesse venatorio, pensò quella volta.<br />
Adesso la parola “mutande” lo stava perseguitando e aveva bisogno<br />
di capire il perché. Presto detto.<br />
116
Si era dimenticato di mettere il ricambio pulito nella sacca sportiva,<br />
come di consueto.<br />
> pronunziò<br />
con disappunto in caduta libera a oltre duecento chilometri orari.<br />
Così dopo la doccia avrebbe dovuto mettere nuovamente quelle<br />
che aveva in dosso, con la medaglia davanti e probabilmente pure<br />
la sgommata sul retro, perché prima, durante l’ascensione in<br />
aereo, ne aveva mollata per dispetto una potente, tanto da arrostire<br />
un wurstel.<br />
La discesa volgeva al termine. Adesso distingueva bene, laggiù,<br />
piazza San Michele, l’anfiteatro, lo stadio, e le cartiere che sbuffavano<br />
nuvole di panna montata come tante pentole a pressione.<br />
><br />
sentenziò, poi suppose che sarebbe toccato a Michele:<br />
> disse, nel tentativo di convincere,<br />
in qualche modo, l’altro.<br />
Era l’ora che quel bastardo tirasse la maniglia, ma adesso toccava<br />
a lui, e subito:<br />
Apriti apriti merda merda merda… morire con le mutande sporche<br />
di merda, che giornata di merda merda merda merda merda<br />
merda merda merda merda merda merda…<br />
MERDaaa… >><br />
AVE O MARIA <strong>DI</strong> GRAZIA PIENA.<br />
Stumb-crochiò.<br />
tu-tum… Buio.<br />
tu-tum… Luce.<br />
tu-tum… Freddo.<br />
tu-tum… Luce.<br />
tu-tum… Caldo.<br />
Buio.<br />
118
CAPITOLO 9<br />
la bara<br />
Martedì, ore quindici. Le campane della chiesa in rione San<br />
Marco avevano suonato da morto. Il feretro era stato portato a<br />
spalla dai compagni di volo dell’ultimo lancio della salma, tutti<br />
stretti in un lutto oppressivo, determinato dall’ineluttabilità della<br />
vicenda che, prima o poi, sarebbe potuta essere occorsa a ognuno<br />
di loro, indistintamente. Era ricoperto dalla vela di quell’ultimo<br />
paracadute, che in vero non aveva compiuto il dovere per il quale<br />
gli era stato affibbiato quel nome, perverso e altisonante al contempo.<br />
Lo avevano trasportato a spalla. Marco e Silvano davanti, mentre<br />
dietro lo imbracciavano Michele e Diego, l’ex sbirro, spacciatore,<br />
trafficante di minorenni scopati da adulti deviati e depravati, impunito<br />
sabotatore del paracadute omicida.<br />
Una volta poggiata la bara sui supporti, i quattro paracadutisti si<br />
erano accomodati nella terza fila di destra, dove qualche parente<br />
alla lontana aveva ben pensato di riservar loro i posti.<br />
Aldo, il pilota, aveva deciso che sarebbe rimasto in fondo alla<br />
chiesa, fra il portone e l’ambone di tracimante acqua benedetta,<br />
ricolmo per l’occasione. Eppure si era chiesto, sin da piccolo, qua-<br />
119
le valore spirituale, o anche solo morale, poteva mai avere il bagnarsi<br />
dell’acqua che presumibilmente nessun prete benediceva<br />
veramente; più verosimilmente era il sagrestano che ne versava di<br />
semplice prelevata dal rubinetto dell’acquedotto cittadino. Il dono<br />
della fede gli si era sempre infranto lì, dinanzi ad un ambone<br />
umidiccio, ciò nondimeno vi infilò le due falangi di medio e indice,<br />
e si toccò la testa, come non gli era capitato di fare mai in vita<br />
sua. Fu allora che un calore struggente percorse in lungo e in largo<br />
il suo corpo, scuotendolo.<br />
Forse quella volta era stata veramente benedetta, pensò.<br />
Le donne che presumibilmente lo avevano conosciuto nell’intimità,<br />
prima di quella disgrazia inaudita, sedevano tutte vicine,<br />
chissà poi il perché, ostentando una parvenza di solidarietà femminile.<br />
In mezzo a loro, perduta in quel mucchio di fichette sbrodolanti<br />
riconducibili a trofei, quando un sette nano da giardino,<br />
quando un segnale stradale, c’era anche l’amante ufficiale di Jak,<br />
quella che inconsapevolmente aveva determinato il contatto fra il<br />
mandante e l’assassino, intubata in un tailleur con calze nere e<br />
scarpe laccate di nero, e cappello con veletta, anch’esso nero, che<br />
pareva un corvo, pensò ancora Aldo il pilota.<br />
La ex moglie e la figlia non erano presenti in chiesa.<br />
Il prete era giovane, stranamente abbronzato e col telefonino in<br />
tasca, che pur avendolo silenziato doveva vibrare di messaggini,<br />
poiché con disinvoltura se lo sfilava dalla tunica, gli lanciava<br />
un’occhiata fugace e premeva l’ok. Poi ricominciava il suo discorso<br />
esattamente da dove lo aveva interrotto per quei due secondi,<br />
120
che si erano resi necessari al fine della sopravvivenza nelle vesti<br />
strette di quell’abito talare.<br />
“TVTPM, Federica”, era stato il testo dell’ultimo messaggio ricevuto,<br />
quello che lo aveva interrotto durante l’omelia, mentre decantava<br />
le lodi terrene del medico paracadutista, che nostro signore<br />
aveva chiamato a sé, prematuramente.<br />
Ancora adesso ripensava alla potenza del verbo della sua FEDErica:<br />
Ti Voglio Tutto Per Me.<br />
Tradotto in gergo sms in TVTPM, appunto.<br />
Altro che vangeli sacramenti o parole del signore. Quelle erano<br />
le cinque lettere che più di ogni altra cosa al mondo lo inondavano<br />
di certezze sull’esistenza di Dio. Egoismo bieco e spietato, e<br />
lussuria, ecco che cosa lo rendeva quanto più possibile vicino al<br />
divino. Sì, perché solo quando se ne stava fra le lenzuola calde,<br />
accanto alla sua FEDE esausta di fare all’amore, ma fiera di quelle<br />
corde che gli legava ai polsi e che non scioglieva a volte anche<br />
per giorni, si rendeva veramente conto di lodare Iddio che l’aveva<br />
creata.<br />
In canonica, accanto alla cassaforte contenente le ostie consacrate,<br />
aveva appeso l’ultimo regalo di lei. Un puzzle di cinquemila<br />
pezzi raffigurante il mare aperto, con due piccoli gabbiani in<br />
volo, soli e liberi come non mai. Il quadro era mancante di un<br />
pezzo; l’angolo in basso a sinistra.<br />
121
Jak era arrivato a piedi fin sui gradini del sagrato, ma poi aveva<br />
esitato, più volte, e atteso qualche istante che un tipo vestito da<br />
top-gun la finisse di inzupparsi le dita nell’acqua benedetta, ve le<br />
inzuppò a sua volta e si fece il segno della Santissima Trinità, che<br />
per i cattolici cristiani praticanti equivale a dire “connessione di<br />
rete effettuata”.<br />
Per sua fortuna Jak non era nessuna di quelle tre varianti. Né cattolico,<br />
né cristiano, tanto meno praticante. Il suo status di senzadio<br />
era conclamato. È solo che quel gesto, sembrò lui quanto di<br />
più istintivamente intentabile come connessione col contenuto<br />
della bara astante dinanzi all’altare. Una sorta di connessione wireless<br />
fra ex amici. Fra morto e vivo.<br />
Fra assassinato e mandante.<br />
No, non sarebbe dovuta andare a finire così.<br />
In quell’ultima domenica che aveva trascorso ricoverato, Jak si<br />
era ripromesso che, dopo un riposino di un paio d’ore, avrebbe<br />
chiamato Diego, il sicario cui aveva demandato l’omicidio del<br />
suo ex amico, con l’intento di ordinargli l’interruzione dell’esecuzione.<br />
Il lavoro era più semplice di quanto Diego “il pacciani” non gli<br />
avesse fatto credere, anche perché le abitudini dimentiche dell’ex<br />
amico di Jak, erano note a tutti, ancor di più ai compagni di lancio<br />
che ogni domenica si dovevano prodigare a piegargli qualche<br />
paracadute, o a prestargliene uno dei loro già pronti.<br />
Così Diego aveva manomesso quello nuovo, l’ultimo comperato<br />
dal pilota Aldo, perché contava sulla certezza che l’altro l’avreb-<br />
122
e scelto pur di sverginarlo, qualora ci fosse stato il bisogno di paracadute<br />
già pronti; quello era il predestinato.<br />
In caso di mancata attuazione del piano, lo avrebbe aggiustato e<br />
riposto nell’hangar con gli altri, e allora avrebbe dovuto escogitarne<br />
uno più ardito, per eliminare quello che egli stesso, con invidia,<br />
definiva “il solista”.<br />
Purtroppo il Valium aveva steso Jak, il quale si era svegliato alle<br />
quattro del pomeriggio, intontito, proprio come un degente dell’ospedale<br />
che si beve una dose massiccia di tranquillante.<br />
Il chiacchiericcio di due infermiere, una giovane e formosa, e<br />
l’altra passata ma ancora piacente donna seducente barricata dietro<br />
il proprio trucco esuberante, lo aveva disturbato.<br />
Il disquisire riguardava le ultime volontà di quel poeta appena<br />
scomparso, i cui versi d’amore erano famosissimi, e che aveva vissuto<br />
con fiera solitudine il proprio totale anonimato. Nonostante<br />
che in vita fosse stato ricchissimo, era morto suicida per colpa di<br />
un amore mai svelato, e pare che avesse pianificato ogni cosa. Si<br />
era scelto un posto al cimitero fra i più ambiti e se lo era comperato,<br />
inoltre aveva stipulato un contratto con tale Samantha, la<br />
fioraia del chiosco al cimitero, riguardante una fornitura di fiori<br />
freschi da portare sulla tomba una volta il mese, per cinque anni;<br />
una sorta di oblio del pianto del defunto, a pagamento, come succede<br />
a Napoli, constatò l’infermiera più formosa delle due. Poi aggiunse<br />
con le gote rigate da un rivolo salato, che era una coincidenza<br />
beffarda quella lì, che nello stesso giorno e città, fossero venuti<br />
a mancare due grandissimi amatori. Il primo si poteva tran-<br />
123
quillamente considerarlo tra i maggiori esponenti dell’amor platonico,<br />
mentre il secondo era, con la certezza dovuta alla sua esperienza<br />
vissuta, il maggior esempio di sfrenata lussuria.<br />
Non appena riavutosi dalla sonnolenza della chimica, la notizia<br />
che il medico paracadutista si fosse sfracellato nell’impatto al suolo,<br />
colse Jak di sorpresa, quasi alle spalle, poiché si era dimenticato<br />
l’intento del mattino, volto a salvare il culo del suo ex amico.<br />
Chiese quindi alle due infermiere ragguagli riguardo quella morte.<br />
Le due erano al corrente della loro amicizia, ma sapevano pure<br />
che era passata, nel senso che non avevano avuto più alcun legame<br />
dal fattaccio del corno con la moglie, e conoscevano perfino<br />
la vicenda dei sette nani, forse è per questo motivo che furono<br />
sin troppo crude nel raccontare i dettagli senza censure, inserendo<br />
tutta una serie di particolari sugli ultimi spasmi del cadavere<br />
che, a quanto pare, era deceduto sulla barella dell’ambulanza, durante<br />
la disperata corsa verso l’ospedale, in un marasma di sangue<br />
color carminio.<br />
Comunque a nulla sarebbero valse le cure mediche, sembrava<br />
che fosse divenuto nano, da quanto era stato cruento lo schiacciamento<br />
al suolo, disse una guardando l’altra negli occhi diafani,<br />
devastati sopra le gote rigate da solchi prodotti dai mal sopiti ricordi<br />
di prima.<br />
124
Uno sconosciuto era rientrato dal portone della chiesa ancora<br />
avvolto nei miasmi del fumo interrotto frettolosamente, lanciando<br />
la cicca accesa nel piazzale astante la casa del Signore, quando<br />
Jak gliene chiese una in prestito.<br />
Questi gliela concesse gentilmente. Poi cinicamente aggiunse che<br />
non c’era bisogno che la restituisse, perché in fondo, offrire una<br />
cicca, era come regalare il colpo al condannato.<br />
Jak se la fumò con gusto.<br />
Aveva smesso sette anni prima, ma da allora, malgrado gli fosse<br />
sconosciuto il germe subdolo del rimorso, ha ricominciato ad uccidersi<br />
lentamente; giorno per giorno.<br />
FINE<br />
125
126
Biografia<br />
Alessandro Marcelli nasce in val di Chiana nel 1971, anno in<br />
cui, per usare un’espressione colorita delle sue:<br />
><br />
La toscana caratterizzata da lambrette e vespe bianche, guidate<br />
da ometti col berretto grigio topo e le scarpe grosse, con passeggeri<br />
debordanti massaie sedute in tralice; la sporta fra le mani, ed il<br />
fazzoletto a contenere i capelli.<br />
Colline dolci e susseguenti, immerse in una tinta di grosse zolle<br />
marrone, di terra smossa da trattori arancio.<br />
Su tutti, è questo il ricordo a lui più caro.<br />
Col padre non ha mai vissuto: genitori separati, ancor prima di<br />
vedere la luce. Patirà non poco l’infanzia, per questa condizione<br />
ingiusta che babbo e mamma gli hanno imposto. All’età di otto<br />
anni, per assecondare le esigenze materne di rifarsi una vita, si<br />
trasferisce nella piccola e gelida Gorizia. Il Nord Est operoso.<br />
Angoli bui di autunni infiniti e umidi, e colline vaste, prepotenti,<br />
rigate da filari uniformi; il grigio del clima frammisto al porpora<br />
del mosto, sono i colori contrastanti dell’adolescenza potente, racchiusi<br />
nella cornice rosa del primo sesso rubato, annebbiati dai<br />
cxxvii
gas di scarico di motorini brontoloni, e puzzolenti di miscela bruciata.<br />
Non c’è tempo per terminare gli studi, sarebbe voluto divenire ingegnere<br />
navale o fisico, invece sceglie la via dura dell’uomo di mare.<br />
Sette anni in cui, girovagando per il mondo, assapora, suo<br />
malgrado, l’amaro dolore delle guerre, finendo per forgiarsi nel<br />
carattere, ma soprattutto grazie agli studi di filosofia che non<br />
mancherà mai di perseguire.<br />
Il blu del mare che si staglia al tramonto per fondersi con la volta<br />
stellata lo accompagnerà sino alla morte, sostiene guardando<br />
l’orizzonte dentro un muro o in una siepe mossa dal vento.<br />
Una mattina dicembrina del 1997 nasce il suo primogenito, e decide<br />
che il tempo del marinaio è terminato.<br />
Una mattina primaverile del 2006 nasce la secondogenita ed è<br />
pubblicato il suo primo romanzo, Commercial Center, per conto<br />
di Felici Editore (Pisa 2006).<br />
Un’altra mattina, non ricorda bene quando, ha cominciato a scrivere<br />
il romanzo Ananke (Giovane Holden Edizioni, 2010) all’ombra<br />
delle verdi argentee foglie d’ulivo delle colline lucchesi.<br />
Qualche tempo addietro, rigorosamente di mattina, ha raccontato<br />
l’amata moglie, si è svegliato sereno come non mai, a seguito<br />
di una notte agitata. Ha acceso il suo Mac su di una pagina bianca,<br />
vi ha scritto un titolo, JAK, e l’ha spento nuovamente.<br />
Sostiene di giocare con l’arcobaleno, e che il suo peggior nemico<br />
sia il tempo, ma una buona bottiglia di prosecco lo rimette subito<br />
di buon umore.<br />
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