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Scarica il bestiario e le leggende in formato PDF - Asengard Edizioni

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Riccardo Coltri<br />

ZEFERINA<br />

Fantasy dal Regno d’Italia<br />

- <strong>bestiario</strong> e <strong>le</strong>ggende -<br />

<strong>Asengard</strong> <strong>Edizioni</strong>


© <strong>Asengard</strong> <strong>Edizioni</strong> srl<br />

© Riccardo Coltri<br />

“Zefer<strong>in</strong>a - <strong>bestiario</strong> e <strong>le</strong>ggende” è estratto dal libro Zefer<strong>in</strong>a di Riccardo Coltri,<br />

pubblicato nel maggio 2009 da <strong>Asengard</strong> <strong>Edizioni</strong>. La presente copia, identica <strong>in</strong> ogni<br />

sua parte alla versione pubblicata nel libro, viene concessa dall’editore e dall’autore per<br />

l’uso persona<strong>le</strong> senza scopo di lucro, purché venga sempre citato questo documento<br />

come fonte. E’ altresì concessa la libera distribuzione del presente f<strong>il</strong>e <strong>in</strong> qualsiasi forma,<br />

f<strong>in</strong>tantoché la presente nota rimanga <strong>in</strong>variata e <strong>le</strong> pag<strong>in</strong>e di cui si compone <strong>il</strong> f<strong>il</strong>e non<br />

vengano rimosse o modificate.<br />

http://www.asengard.it<br />

http://www.zefer<strong>in</strong>a.it<br />

http://www.asengard.it/catalogo_dettagli.php?id=9


BESTIARIO<br />

Regn<strong>in</strong>saori o re<strong>in</strong>saori, spettri dell’area cimbra della Less<strong>in</strong>ia. Dalla forma<br />

sconosciuta, erano spiriti maligni o anime del Purgatorio alla ricerca di voti<br />

favorevoli. L’orig<strong>in</strong>e della parola reignir non è certa: secondo lo scrittore e<br />

studioso di superstizioni cimbre Ezio Bonomi, potrebbe derivare dal tedesco<br />

medieva<strong>le</strong> renijren, regnare, o dal veneto riegnèr: r<strong>in</strong>venire, tornare <strong>in</strong><br />

vita. In contrada La Val<strong>le</strong>, nei pressi di Campos<strong>il</strong>vano (Velo), nel terreno<br />

chiamato Prà dei Re<strong>in</strong>saori la gente diceva che i morti “i regnisse”. Le<br />

testimonianze parlavano soprattutto di rumori che si potevano udire di<br />

notte nel<strong>le</strong> stal<strong>le</strong> o nel<strong>le</strong> proprie abitazioni, come se vi fossero persone che<br />

lavavano stoviglie, che accendevano <strong>il</strong> cam<strong>in</strong>etto, che colpivano i muri. Al<br />

mito dei regn<strong>in</strong>saori, nel romanzo, è stata accostata la simbologia del gufo,<br />

che secondo una vecchia <strong>le</strong>ggenda mediterranea è diventato un uccello<br />

notturno dopo aver assistito alla crocifissione di Gesù.<br />

Zefer<strong>in</strong>a - <strong>bestiario</strong> e <strong>le</strong>ggende - © <strong>Asengard</strong> <strong>Edizioni</strong> srl - © Riccardo Coltri<br />

~<br />

Orchi (orcus, orke): nella mitologia romana Orcus era <strong>il</strong> sovrano del Regno<br />

degli Inferi. L’ipotesi è che la figura dell’orco <strong>in</strong>teso come mostro si sia<br />

diffusa <strong>in</strong> Europa, nel corso dei secoli, proprio dall’Italia. Nella mitologia<br />

cimbra (orke nell’area tredicicomunigiana – Orçe. La “c” ha, <strong>in</strong> realtà, una<br />

gambetta dritta alla base e la pronuncia è “k”), <strong>le</strong>ggende risa<strong>le</strong>nti ai secoli<br />

scorsi raccontano che l’orco si faceva vedere la notte dell’Avvento. Poteva<br />

tramutarsi <strong>in</strong> luce, fiamma, soldato a cavallo con la “schiena scavata”, caprone,<br />

cane. Mai <strong>in</strong> agnello a causa della simbologia cristiana. In alcune<br />

zone lo si confonde a volte con <strong>il</strong> Beatrìc o Beatrico, <strong>le</strong>ggendaria figura che<br />

guidava la catha selvarega e a volte era riconducib<strong>il</strong>e a Dietrich von Bern,<br />

Teodorico da Verona.<br />

Il Re degli orchi, nell’area cimbra, si chiamava Selmano. In alcune favo<strong>le</strong><br />

gli orchi sono al<strong>le</strong>ati del<strong>le</strong> fade, ma la tradizione parla di una grande guerra<br />

fra i due popoli <strong>in</strong> una non precisata epoca antica.<br />

L’Orçe ha una doppia natura, <strong>in</strong>nocua e malvagia. Un ce<strong>le</strong>bre “orco bur-<br />

3


<strong>le</strong>vo<strong>le</strong>”, dedito a fare <strong>in</strong>nocui scherzi ai montanari, è ricordato <strong>in</strong> contrada<br />

Kunech (Cunego), nei pressi di Velo. Gli orchi “malvagi”, <strong>in</strong>vece, distaccatesi<br />

dai “buoni” dopo <strong>il</strong> Conc<strong>il</strong>io di Trento, potevano uscire dal bosco solo di<br />

notte, dopo l’Ave Maria, e ovviamente andavano a caccia di bamb<strong>in</strong>i.<br />

A Giazza/Ljetzan, la casa dell’orco si trovava <strong>in</strong> contrada Ravaro. Una testimonianza<br />

del 1884 racconta: «Quando l’Orche chiama a nome una persona<br />

non si deve rispondergli altrimenti è perduta poiché egli allora la tocca<br />

e la carne da lui toccata va corrosa sì che la morte è <strong>in</strong>evitab<strong>il</strong>e. Causa egli<br />

ancora la morte repent<strong>in</strong>a, soffoca fanciulli e per questi e altri ma<strong>le</strong>fizi, si<br />

citano fatti recenti con nomi e cognomi».<br />

In Zefer<strong>in</strong>a gli orchi sono immag<strong>in</strong>ati come discendenti di guerrieri provenienti<br />

dal Nord <strong>in</strong> epoca romana e nel corso dei secoli mescolatisi agli<br />

Scaligeri.<br />

4 Zefer<strong>in</strong>a - <strong>bestiario</strong> e <strong>le</strong>ggende - © <strong>Asengard</strong> <strong>Edizioni</strong> srl - © Riccardo Coltri<br />

~<br />

Il massariòl (mazzamurello) è uno dei più noti fol<strong>le</strong>tti italiani, diffuso<br />

<strong>in</strong> pressoché tutta la penisola. Nel<strong>le</strong> favo<strong>le</strong> presenti <strong>in</strong> numerose regioni<br />

(dove, a seconda del luogo, è chiamato mazarül, mazaròl, mazzarol,<br />

massarol, mazepegùl, mazzamurello – term<strong>in</strong>e con cui è maggiormente<br />

conosciuto – matharol, mazzemarjiel<strong>le</strong>, mazzamuriglio, eccetera), è una<br />

piccola creatura del<strong>le</strong> campagne e dei boschi. Le sue caratteristiche variano<br />

a seconda del territorio, ma dal nome, storpiato dai vari dia<strong>le</strong>tti, appare<br />

evidente che la <strong>le</strong>ggenda provenga da un’antica e non ben identificata<br />

fonte comune. Il suo aspetto e <strong>le</strong> sue azioni rispecchiano quel<strong>le</strong> di molte<br />

altre razze del Piccolo Popolo. Per alcune favo<strong>le</strong> <strong>il</strong> massariol era <strong>in</strong> grado di<br />

imitare perfettamente <strong>le</strong> voci e chi metteva un piede sopra una sua orma<br />

non trovava più la strada di casa. Una del<strong>le</strong> sue caratteristiche è di battere<br />

sul<strong>le</strong> pietre, di solito con un martello o una mazza. Da qui, con ogni<br />

probab<strong>il</strong>ità, l’orig<strong>in</strong>e del nome, “colui che colpisce con una mazza”, una<br />

caratteristica che potrebbe vagamente ricordare la div<strong>in</strong>ità celtica Sucellos,<br />

per tradizione armata di mazzuolo o di un maglio e detta “colui che ben<br />

colpisce” o “<strong>il</strong> battitore”.<br />

C’è chi associa <strong>il</strong> massariol al monaciello del<strong>le</strong> <strong>le</strong>ggende del Sud Italia, a sua<br />

volta chiamato <strong>in</strong> vari modi. La natura del<strong>le</strong> due creature appare, tuttavia,<br />

piuttosto differente.<br />

Il term<strong>in</strong>e “Mazzaruollo” è stato per la prima volta citato <strong>in</strong> una commedia


veneziana («Così ardito, così pronto, cosi ritto, bello, bianco, con questo<br />

berrett<strong>in</strong>o rosso, credo che ognuno mi conosca, e specialmente voi, bellissime<br />

donne! Io mi dichiaro di essere <strong>il</strong> Fo<strong>le</strong>tto che voi, altri, signori Ven<strong>il</strong>iani,<br />

chiamate <strong>il</strong> Mazzaruolo.» – Dalla commedia Roselm<strong>in</strong>a, rappresentata<br />

a Venezia nel 1595. Da notare la caratteristica, comune a molti fol<strong>le</strong>tti<br />

italiani ed europei, del berretto rosso).<br />

Del “Mazzamurello” parla anche D’Annunzio, come di un’entità che attraversa<br />

(ammazza) <strong>le</strong> pareti (i muretti) del<strong>le</strong> case. Benedetto Croce cita <strong>il</strong><br />

term<strong>in</strong>e scazzamauriello, facendolo derivare da scacciamaur<strong>in</strong>o (i maur<strong>in</strong>i<br />

erano i monaci benedett<strong>in</strong>i dell’ord<strong>in</strong>e di San Mauro). Altri fanno derivare<br />

<strong>il</strong> nome dallo spagnolo matamos, ammazza-mori.<br />

A Roma esiste <strong>il</strong> “Vicolo di Mazzamurelli”. L’orig<strong>in</strong>e del nome è misteriosa,<br />

pare non appartenga a nessun cognome di persona e si riferisca proprio<br />

a degli spiritelli maligni.<br />

Nel romanzo i massarioli si fondono con <strong>il</strong> mito germanico dei coboldi,<br />

di cui esistono diverse versioni. Un tipo di coboldo, sim<strong>il</strong>e agli gnomi,<br />

<strong>in</strong>festa i luoghi sotterranei ed è dal riferimento a questo mito che prende<br />

nome <strong>il</strong> cobalto, metallo ve<strong>le</strong>noso. La <strong>le</strong>ggenda dei coboldi sarebbe <strong>le</strong>gata<br />

a un antico rito propiziatorio germanico: un neonato veniva imprigionato<br />

<strong>in</strong> un luogo sotterraneo f<strong>in</strong>o alla notte del suo qu<strong>in</strong>to comp<strong>le</strong>anno, qu<strong>in</strong>di<br />

veniva trafitto con due lame, una di bronzo e una d’acciaio. Il cadavere era<br />

dato al<strong>le</strong> fiamme e con i suoi resti si costruiva un feticcio, da cui nasceva un<br />

coboldo. La malvagità di queste creature scaturiva dal desiderio di vendetta<br />

per <strong>le</strong> torture subite e per la morte prematura. Più <strong>in</strong> genera<strong>le</strong>, i coboldi<br />

erano spiriti di persone morte, soprattutto bamb<strong>in</strong>i.<br />

Zefer<strong>in</strong>a - <strong>bestiario</strong> e <strong>le</strong>ggende - © <strong>Asengard</strong> <strong>Edizioni</strong> srl - © Riccardo Coltri<br />

~<br />

Lupo: ce<strong>le</strong>bre figura malvagia del<strong>le</strong> fiabe, è anche un’importante creatura<br />

fantastica della Less<strong>in</strong>ia centra<strong>le</strong> e orienta<strong>le</strong> (chiamata Lòo). A Giazza/Ljetzan<br />

era chiamato bolf (dal tedesco wolf ), ma anche per (bear, orso. Entrambi<br />

gli animali erano senz’altro diffusi <strong>in</strong> Less<strong>in</strong>ia nei secoli passati), <strong>in</strong>dicando<br />

perciò una non ben identificata entità feroce, a volte ritta su due zampe.<br />

~<br />

Le sùrb<strong>il</strong>es, settime figlie di settime figlie, erano streghe-vampire sarde che<br />

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succhiavano <strong>il</strong> sangue dei neonati non ancora battezzati. Ungendosi con<br />

olii vegetali, <strong>le</strong> sùrb<strong>il</strong>es erano <strong>in</strong> grado di trasformarsi <strong>in</strong> mosche e penetrare<br />

nel<strong>le</strong> camere dei neonati attraverso <strong>il</strong> buco della serratura. Agivano<br />

col buio, fra la mezzanotte e <strong>le</strong> tre. Per evitare che entrassero nel<strong>le</strong> stanze,<br />

si ut<strong>il</strong>izzavano come amu<strong>le</strong>ti una scopa posta all’<strong>in</strong>sù, oppure un mazzo di<br />

foglie d’issopo e arancio, un paio di scarpe poste a capo del <strong>le</strong>tto, un fazzo<strong>le</strong>tto<br />

da testa. In alcune fiabe hanno una grande croce di peli sulla schiena.<br />

Per spostarsi, <strong>le</strong> sùrb<strong>il</strong>es usavano la formula magica “Folla a suba de folla,<br />

tres oras andai e tres oras a torrai” (Foglia su foglia, tre ore per andare e tre<br />

ore per tornare).<br />

6 Zefer<strong>in</strong>a - <strong>bestiario</strong> e <strong>le</strong>ggende - © <strong>Asengard</strong> <strong>Edizioni</strong> srl - © Riccardo Coltri<br />

~<br />

Pesaroli: la pesarola era la personificazione dell’<strong>in</strong>cubo. La piccola creatura<br />

si sedeva sullo stomaco dei pastori, togliendo loro <strong>il</strong> fiato (come numerosi<br />

altri fol<strong>le</strong>tti ed entità, deriva dai demoni della mitologia romana). In altre<br />

<strong>le</strong>ggende si trattava di una strega o di una trutt (o pesarola): un’anima<br />

vampira che si scacciava spargendo sa<strong>le</strong> vic<strong>in</strong>o ai piedi del <strong>le</strong>tto. Conosciuto<br />

<strong>in</strong> varie zone, <strong>il</strong> pesarol è detto anche mora o pesantola <strong>in</strong> Istria e zone<br />

limitrofe, ed è imparentato con <strong>il</strong> cialciùt.<br />

~<br />

Fate (fade): di orig<strong>in</strong>e italiana e francese, <strong>il</strong> term<strong>in</strong>e deriva dall’altro nome<br />

lat<strong>in</strong>o del<strong>le</strong> parche, fatae (dal lat<strong>in</strong>o fatum, “dest<strong>in</strong>o”). Sono dette fade<br />

nell’area dei Tredici Comuni cimbri e <strong>in</strong> alcune favo<strong>le</strong> sono armate di misteriose<br />

sfere lum<strong>in</strong>ose. Come nel caso degli orchi, possono presentare sia<br />

natura benigna che crude<strong>le</strong>. Alcuni dei loro nomi erano Àissa Màissa, Bifen<br />

Befe, Lissa Lassa. Il figlio della fada Àissa Màissa si chiamava Trolge<br />

Molge.<br />

Un modo per far nascere <strong>le</strong> fade era ut<strong>il</strong>izzare i “Libri del Comando” o<br />

“Libri del Diaolo”: occorreva mescolare la terra di sette cimiteri con sassi<br />

di sette vaj (valli) e bagnare con acqua di sette fontane. Si dovevano poi<br />

recitare del<strong>le</strong> paro<strong>le</strong> contenute nei Libri. Prima che <strong>il</strong> Conc<strong>il</strong>io di Trento<br />

<strong>le</strong> costr<strong>in</strong>gesse a rifugiarsi nel<strong>le</strong> grotte, <strong>le</strong> fade si mescolavano al<strong>le</strong> persone<br />

comuni, a cui avevano <strong>in</strong>segnato molti lavori ut<strong>il</strong>i: a fare <strong>il</strong> burro, <strong>il</strong> formaggio,<br />

la ricotta, a ricavare lana bianca dal<strong>le</strong> pecore nere (arte che fu poi


dimenticata) e numerose altre cose.<br />

Per la tradizione <strong>le</strong> fade della Less<strong>in</strong>ia, dopo <strong>il</strong> Conc<strong>il</strong>io di Trento, sono<br />

state conf<strong>in</strong>ate nel Covolo di Campos<strong>il</strong>vano (Kamps<strong>il</strong>van) nei pressi di<br />

Velo, enorme grotta a 1220m slm. Nei pressi sorge la cosiddetta Val<strong>le</strong> del<strong>le</strong><br />

Sf<strong>in</strong>gi, un tempo Vajo del Brutto: una val<strong>le</strong>tta lunga circa un ch<strong>il</strong>ometro,<br />

con alte rocce affioranti, alcune dalla forma particolare. Un masso, solitario<br />

<strong>in</strong> cima a una coll<strong>in</strong>etta, è detto Sengio dell’Orco. Il Covolo è nato<br />

da un crollo, è largo 70 metri, alto 35 e profondo 50. All’<strong>in</strong>terno ha un<br />

microclima di <strong>in</strong>versione termica e non sono rare <strong>le</strong> nevicate estive. La<br />

tradizione vuo<strong>le</strong> che Dante Alighieri, durante <strong>il</strong> periodo <strong>in</strong> cui fu ospite<br />

dei Della Scala, abbia visitato la grotta, traendo l’ispirazione per descrivere<br />

l’entrata dell’Inferno.<br />

S<strong>il</strong>eno: figura della mitologia mediterranea e div<strong>in</strong>ità dei boschi, S<strong>il</strong>eno<br />

sarebbe stato figlio di Pan e di una n<strong>in</strong>fa. Aveva, di solito, l’aspetto di un<br />

uomo piuttosto corpu<strong>le</strong>nto e barbuto. Era di natura lasciva e amante del<br />

v<strong>in</strong>o. Re Mida lo catturò per costr<strong>in</strong>gerlo a rivelargli i suoi poteri. «L’antica<br />

<strong>le</strong>ggenda narra che <strong>il</strong> re Mida <strong>in</strong>seguì a lungo nella foresta <strong>il</strong> saggio S<strong>il</strong>eno,<br />

seguace di Dioniso, senza prenderlo. Quando quello gli cadde <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e tra<br />

<strong>le</strong> mani, <strong>il</strong> re domandò qua<strong>le</strong> fosse la cosa migliore e più desiderab<strong>il</strong>e per<br />

l’uomo. Rigido e immob<strong>il</strong>e, <strong>il</strong> demone tace; f<strong>in</strong>ché, costretto dal re, esce da<br />

ultimo fra stridu<strong>le</strong> risa <strong>in</strong> queste paro<strong>le</strong>: Stirpe miserab<strong>il</strong>e ed effimera, figlio<br />

del caso e della pena, perché mi costr<strong>in</strong>gi a dirti ciò che per te è vantaggiosissimo<br />

non sentire? Il meglio è per te assolutamente irraggiungib<strong>il</strong>e: non essere<br />

nato, non essere, essere niente. Ma la cosa <strong>in</strong> secondo luogo migliore per te è<br />

morire presto.» (Nietzsche, La nascita della tragedia)<br />

Zefer<strong>in</strong>a - <strong>bestiario</strong> e <strong>le</strong>ggende - © <strong>Asengard</strong> <strong>Edizioni</strong> srl - © Riccardo Coltri<br />

~<br />

Krampus: orig<strong>in</strong>ari di tradizioni alp<strong>in</strong>e pre-cristiane, i krampus divennero<br />

<strong>in</strong> seguito i diavoli che accompagnavano San Nicolò nella sf<strong>il</strong>ata<br />

lungo <strong>le</strong> strade di vari paesi montani. In Italia la ce<strong>le</strong>brazione è molto<br />

diffusa <strong>in</strong> Alto Adige, ma si svolge anche nella Val Cana<strong>le</strong> (Friuli Venezia<br />

Giulia) nella zona del Tarvisiano, Ugovizza, Malborghetto e Pontebba.<br />

Nel resto d’Europa la sf<strong>il</strong>ata avviene <strong>in</strong> molte altre zone, soprattutto di<br />

l<strong>in</strong>gua tedesca.<br />

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8 Zefer<strong>in</strong>a - <strong>bestiario</strong> e <strong>le</strong>ggende - © <strong>Asengard</strong> <strong>Edizioni</strong> srl - © Riccardo Coltri<br />

~<br />

Charun, nella mitologia etrusca, era uno psicopompo dell’Ade. Era un<br />

essere barbuto, con un naso adunco e orecchie a punta. Spesso lo si ricorda<br />

con dei serpenti attorno al<strong>le</strong> braccia e ali enormi (come, ad esempio, nella<br />

Tomba dell’Orco di Tarqu<strong>in</strong>ia). Aveva <strong>in</strong> mano un martello, <strong>il</strong> suo simbolo<br />

religioso, sim<strong>il</strong>e all’ascia bipenne romana. Fa una breve comparsa nel romanzo<br />

e sulla sua arma è <strong>in</strong>ciso <strong>il</strong> pal<strong>in</strong>dromo magico ΑΒΛΑΝΑΘΑΝΑΛΒΑ<br />

(ablanathanalba).<br />

~<br />

Il cascugnit era un essere <strong>le</strong>ggendario della Carnia, appartenente alla famiglia<br />

degli sb<strong>il</strong>fs. Versione friulana del centauro, ma mezzo uomo e mezzo<br />

as<strong>in</strong>o.<br />

~<br />

Le abitatrici dei campi erano streghe calabresi e lucane, ricordate nel<strong>le</strong><br />

regioni <strong>in</strong> cui risiedono comunità albanesi (<strong>in</strong> albanese <strong>il</strong> nome è perjashtmazit).<br />

Succhiavano <strong>il</strong> sangue dal<strong>le</strong> orecchie dei neonati e nascondevano i<br />

corpi <strong>in</strong> tronchi cavi.<br />

~<br />

Janare, strie, masche, Noce di Benevento e streghe <strong>in</strong> Italia: <strong>le</strong> streghe<br />

<strong>in</strong> Italia sono abbastanza diverse dal<strong>le</strong> Alpi al Mediterraneo, non solo per<br />

quanto riguarda <strong>il</strong> term<strong>in</strong>e usato. La strega è chiamata janara <strong>in</strong> Campania,<br />

si diceva che janare diventassero tutte <strong>le</strong> donne nate <strong>il</strong> giorno di Nata<strong>le</strong> (“se<br />

sci femm<strong>in</strong>a, sci janara”), masca a Tor<strong>in</strong>o (<strong>il</strong> term<strong>in</strong>e potrebbe derivare da<br />

maska, spirito dei morti longobardo, o da mascar, borbottare <strong>in</strong> francese),<br />

cogas, brúscias o maghiargia <strong>in</strong> Sardegna, stria (o striga) <strong>in</strong> Veneto, e ancora:<br />

mavara (Sic<strong>il</strong>ia, Mess<strong>in</strong>a), magara (Calabria e Bas<strong>il</strong>icata), masciáre o chivàrze<br />

(Taranto e prov<strong>in</strong>cia), macàra (Sa<strong>le</strong>nto), stroll’ca (Umbria).<br />

A Benevento, <strong>in</strong>sieme a Triora (tradizionalmente “città di streghe”), una<br />

<strong>le</strong>ggenda raccontava dei numerosi verbali sui processi per stregoneria bruciati<br />

perché non cadessero <strong>in</strong> mano ai piemontesi. Si sa comunque della


morte di Mariana di San Sisto, bruciata viva nel 1456, di Bel<strong>le</strong>zza Ors<strong>in</strong>i<br />

che si suicidò <strong>in</strong> carcere a Roma, conficcandosi più volte un chiodo <strong>in</strong><br />

gola, evitando così <strong>il</strong> rogo; di Faust<strong>in</strong>a Orsi che morì ottantenne, arsa viva<br />

(1852). Come altre, recitava un <strong>in</strong>cantesimo che faceva pressapoco così:<br />

“Unguento mio unguento, sopra acqua e sopra vento portami alla noce del<br />

Benevento”. Il Noce di Benevento era <strong>il</strong> luogo dove <strong>le</strong> janare si <strong>in</strong>contravano<br />

e la città è famosa anche per <strong>le</strong> <strong>le</strong>ggende sui Libri del Comando.<br />

Zefer<strong>in</strong>a - <strong>bestiario</strong> e <strong>le</strong>ggende - © <strong>Asengard</strong> <strong>Edizioni</strong> srl - © Riccardo Coltri<br />

~<br />

Il m<strong>il</strong>auro era una mitica creatura a metà tra drago ed essere umano. Se ne<br />

parlava <strong>in</strong> Sud Tirolo e a Bolzano. Secondo la tradizione, chi si cibava della<br />

sua carne riusciva a capire <strong>il</strong> l<strong>in</strong>guaggio degli animali.<br />

~<br />

I ciclopi (Κύκλωψ, “occhio tondo”), figure del<strong>le</strong> mitologia greca, forgiavano<br />

i fulm<strong>in</strong>i per Zeus e nei miti romani erano gli aiutanti di Vulcano.<br />

Secondo alcune fonti ci sarebbe att<strong>in</strong>enza con una popolazione barbara<br />

che viveva <strong>in</strong> Sic<strong>il</strong>ia prima della colonizzazione da parte dei greci. Tra <strong>le</strong><br />

varie spiegazioni sull’orig<strong>in</strong>e del mito, un tatuaggio concentrico (simbolo<br />

del so<strong>le</strong> e del fuoco) sulla fronte di mastri ferrai greci, ma anche certe rare<br />

patologie: la ciclopia è una forma dell’oloprosencefalia.<br />

~<br />

Babau: dal volto orrendo, gli abiti rammendati, zoccoli ai piedi, <strong>in</strong>dossava<br />

spesso <strong>il</strong> classico cappuccio rosso dei fol<strong>le</strong>tti. A volte aveva coltellacci da<br />

macellaio. Il babau, aff<strong>in</strong>e alla genia dei barabao (orig<strong>in</strong>ario di Venezia), era<br />

conosciuto <strong>in</strong> particolar modo nel m<strong>il</strong>anese e <strong>il</strong> term<strong>in</strong>e potrebbe derivare<br />

dal greco babàios (mascherone, spauracchio). Naturalmente è conosciuto<br />

anche come Uomo Nero che rapiva i bamb<strong>in</strong>i.<br />

~<br />

Mal’ V<strong>in</strong>t’, “Vento Cattivo”. Fol<strong>le</strong>tto della Bas<strong>il</strong>icata composto da mul<strong>in</strong>elli<br />

di vento carichi di oscure presenze (spiriti degli uccisi). Per scacciarli<br />

9


c’era la formula: “Fuggi vento tristo, ti perseguita Gesù Cristo, vattene a<br />

quel lato, dove Dio ti ha condannato, <strong>in</strong> nome del Padre, del Figliuolo e<br />

dello Spirito Santo”.<br />

10 Zefer<strong>in</strong>a - <strong>bestiario</strong> e <strong>le</strong>ggende - © <strong>Asengard</strong> <strong>Edizioni</strong> srl - © Riccardo Coltri<br />

~<br />

Butacc’ con Eggls era un mostro diffuso nei pressi del lago di Lisc, Grigioni,<br />

<strong>in</strong> Svizzera. A causa del suo orrendo aspetto era chiamato anche “ventre<br />

con gli occhi”.<br />

~<br />

Lamia, nella mitologia greca, era una figura umana e anima<strong>le</strong>sca, spesso<br />

rapitrice di bamb<strong>in</strong>i. Il mito mediterraneo orig<strong>in</strong>a<strong>le</strong> parla di Lamia, reg<strong>in</strong>a<br />

di Libia, che ebbe da Zeus <strong>il</strong> dono di potersi togliere gli occhi e rimetterli al<br />

loro posto quando <strong>le</strong> aggradava. La moglie del dio, Era, per vendicarsi del<br />

tradimento, uccise i figli nati da Lamia e Zeus (probab<strong>il</strong>mente si salvarono<br />

due figlie: Sc<strong>il</strong>la e Sib<strong>il</strong>la). Distrutta dal dolore, Lamia com<strong>in</strong>ciò a uccidere<br />

i bamb<strong>in</strong>i del<strong>le</strong> altre madri, dai quali beveva <strong>il</strong> sangue, e si tramutò <strong>in</strong> un<br />

mostro. Per la mitologia basca <strong>le</strong> “lamiak” (plura<strong>le</strong> di Lamia) sono creature<br />

con zampe di uccelli che vivono nei fiumi e nei boschi. Spesso avevano dei<br />

pett<strong>in</strong>i d’oro.<br />

~<br />

I fol<strong>le</strong>tti italiani, ed europei <strong>in</strong> genera<strong>le</strong>, presentano varie caratteristiche<br />

comuni: <strong>il</strong> berretto rosso (o parte del vestiario di quel colore), <strong>il</strong> sedersi<br />

sul ventre di una persona addormentata per toglier<strong>le</strong> <strong>il</strong> respiro e numerosi<br />

altri (<strong>le</strong>ccare i capelli, specie dei bamb<strong>in</strong>i, per creare ciuffi ribelli, annodare<br />

la cr<strong>in</strong>iera ai cavalli, talvolta <strong>il</strong> vago aspetto scimmiesco, eccetera). La<br />

caratteristica del berretto o cappello rosso è presente anche nei sangu<strong>in</strong>elli<br />

imparentati con i salvanel, nei powrie, “berretto <strong>in</strong>sangu<strong>in</strong>ato” o dunter,<br />

fol<strong>le</strong>tti britannici che prendevano possesso dei castelli disabitati, dove ci<br />

fosse stato <strong>in</strong> passato un atto di vio<strong>le</strong>nza. Il nome powrie deriva dall’abitud<strong>in</strong>e<br />

di <strong>in</strong>t<strong>in</strong>gere <strong>il</strong> berretto nel sangue della vittima e solitamente è associato<br />

al Red Cap. Berretto rosso è chiamato anche Bloody Cap (cappello<br />

<strong>in</strong>sangu<strong>in</strong>ato), e Far Darrig (da Fear Dearg, uomo rosso). In un momento


del romanzo si possono riconoscere, tra gli altri esseri, i card<strong>in</strong>a<strong>le</strong>n, fol<strong>le</strong>tti<br />

di Imola con berretti prelatizi (rossi), conosciuti anche come barabanen; i<br />

l<strong>in</strong>chetti, creature lucchesi, i mazapegul, con berretti rossi sul capo, ibridi<br />

tra un gatto e una scimmia (molto probab<strong>il</strong>mente imparentati con i<br />

mazzamurelli), <strong>il</strong> fol<strong>le</strong>tto piemontese vestito di rosso guen<strong>il</strong>lon del Loo; i<br />

pamar<strong>in</strong>di, fol<strong>le</strong>tti friulani dal<strong>le</strong> lontane orig<strong>in</strong>i f<strong>in</strong>niche (nel poema f<strong>in</strong>landese<br />

Ka<strong>le</strong>vala c’è la descrizione di un bamb<strong>in</strong>o con un cappuccio conico<br />

e con scarpe di rame. Il pamar<strong>in</strong>do aveva <strong>il</strong> potere di trasformarsi <strong>in</strong> gigante<br />

e viveva nei d<strong>in</strong>torni di Ud<strong>in</strong>e. Lanciava fischi, si gettava nei dirupi e <strong>le</strong><br />

bestie che lo <strong>in</strong>seguono muoiono sfracellate), i mante<strong>il</strong>lons, fol<strong>le</strong>tti del<strong>le</strong><br />

cime del Monte Bianco, esseri senza gambe che nascondevano <strong>il</strong> corpo con<br />

ampi mantelli.<br />

Va<strong>in</strong>a era un fol<strong>le</strong>tto novarese dall’aspetto di neonato, che rotolava lungo i<br />

pendii lanciando vagiti. Se si imbatteva <strong>in</strong> un bamb<strong>in</strong>o solo, quest’ultimo<br />

veniva a sua volta ma<strong>le</strong>detto.<br />

Zefer<strong>in</strong>a - <strong>bestiario</strong> e <strong>le</strong>ggende - © <strong>Asengard</strong> <strong>Edizioni</strong> srl - © Riccardo Coltri<br />

~<br />

Baba Yaga (mitologia slava/russa) viveva <strong>in</strong> una capanna che poggiava su<br />

due zampe di gall<strong>in</strong>a. Il buco della serratura era costituito da una bocca di<br />

denti taglienti.<br />

~<br />

Le smare erano creature della notte appartenenti alla famiglia degli <strong>in</strong>cubi<br />

(<strong>in</strong> qualche modo imparentate con la pesarola). Il nome potrebbe derivare<br />

da manhar, <strong>in</strong>cubo, mentre mara è una parola f<strong>in</strong>nica che significa fantasma.<br />

Si orig<strong>in</strong>avano dal sangue umano e aggredivano coloro che erano<br />

“stati battezzati ma<strong>le</strong>”. Conosciute nel bellunese e <strong>in</strong> altre zone del Veneto,<br />

si credeva che contro <strong>le</strong> smare fosse ut<strong>il</strong>e tenere <strong>in</strong> mano una pannocchia<br />

di granturco.<br />

~<br />

Beatrico: spesso era un tutt’uno con <strong>il</strong> mito della Caccia Selvaggia (Beatrico<br />

o Beatrìc era uno dei <strong>le</strong>ader nella versione alp<strong>in</strong>a del mito). In alcune<br />

zone venete, <strong>in</strong>fatti, <strong>il</strong> corteo notturno di cani selvaggi è detto Catha<br />

11


Beatrich. C’è chi associa <strong>il</strong> nome Beatrico a Þiðrik af Bern, Dietrich von<br />

Bern (Teodorico da Verona. Bern era <strong>il</strong> nome tedesco altomedieva<strong>le</strong> della<br />

città ed era così chiamata anche dai cimbri dei Tredici Comuni veronesi e<br />

dei Sette Comuni vicent<strong>in</strong>i). Alto, magro e sparuto, con la sua muta di cani<br />

altrettanto magri e ossuti, Beatrico viaggiava fra <strong>il</strong> Trent<strong>in</strong>o e <strong>il</strong> Veneto.<br />

12 Zefer<strong>in</strong>a - <strong>bestiario</strong> e <strong>le</strong>ggende - © <strong>Asengard</strong> <strong>Edizioni</strong> srl - © Riccardo Coltri<br />

~<br />

I monacielli sono i più noti fol<strong>le</strong>tti del Sud Italia. Perlopiù di natura benigna<br />

(statu<strong>in</strong>e che li raffigurano sono tutt’oggi considerate dei portafortuna),<br />

avevano l’aspetto di piccoli esseri <strong>in</strong>cappucciati, da cui <strong>il</strong> nome.<br />

Una del<strong>le</strong> versioni sulla nascita del mito dei monacielli risa<strong>le</strong> al Seicento,<br />

quando un ricco signore napo<strong>le</strong>tano diede l’ord<strong>in</strong>e di costruire un nuovo<br />

acquedotto riut<strong>il</strong>izzando i canali di tufo risa<strong>le</strong>nti al IV sec. a.C. I lavoratori<br />

(“pozzari”), con lunghi mantelli scuri e un elmetto, a volte erano costretti<br />

a risalire nei cort<strong>il</strong>i del<strong>le</strong> case, spesso spaventando la gente. Secondo <strong>le</strong> <strong>le</strong>ggende<br />

lucane, i monacielli erano, <strong>in</strong>vece, i bamb<strong>in</strong>i morti senza battesimo;<br />

per altre favo<strong>le</strong> <strong>il</strong> monaciello aveva un copricapo rosso ed era pronto a ricoprire<br />

d’oro chiunque fosse stato così svelto da rubarglielo (altra caratteristica<br />

comune fra i fol<strong>le</strong>tti: <strong>il</strong> berretto che, se preso, può regalare un tesoro. Per<br />

questo, spesso, i fol<strong>le</strong>tti avevano più berretti, uno sopra l’altro). Secondo<br />

altre fonti ancora, la <strong>le</strong>ggenda si sv<strong>il</strong>uppò a Napoli già nel 1578, durante <strong>il</strong><br />

Vicereame di Spagna: <strong>in</strong> una raccolta di <strong>le</strong>ggi che regolavano gli affitti, un<br />

articolo stab<strong>il</strong>iva che se <strong>il</strong> locatario veniva assalito da un monaciello aveva<br />

<strong>il</strong> permesso di lasciare l’abitazione senza pagare.<br />

~<br />

Leggende sui pavarò erano diffuse <strong>in</strong> diverse regioni italiane (a volte con<br />

vari nomi), <strong>il</strong> term<strong>in</strong>e deriverebbe da pavor, paura. Talvolta avevano teste<br />

di cane ed erano armati di falcetti. A Belluno vivevano i komparet, appartenenti<br />

alla stessa famiglia.<br />

~<br />

Il pizz<strong>in</strong>gul<strong>le</strong> era un fol<strong>le</strong>tto maligno, dall’aspetto sconosciuto, che viveva<br />

nei d<strong>in</strong>torni di Reggio Calabria. È una del<strong>le</strong> numerose creature fatate


e<strong>le</strong>ncate da Dario Spada nel suo ce<strong>le</strong>bre “<strong>bestiario</strong>” Gnomi, fate, fol<strong>le</strong>tti e<br />

altri esseri fatati <strong>in</strong> Italia.<br />

Zefer<strong>in</strong>a - <strong>bestiario</strong> e <strong>le</strong>ggende - © <strong>Asengard</strong> <strong>Edizioni</strong> srl - © Riccardo Coltri<br />

~<br />

Muscas maceddas: creature <strong>le</strong>ggendarie sarde con testa di pecora, un occhio<br />

solo al centro della fronte, denti aguzzi, ali corte e, sulla coda, un<br />

pungiglione ve<strong>le</strong>noso.<br />

~<br />

I morkies erano fol<strong>le</strong>tti del Trent<strong>in</strong>o dalla forma vagamente capr<strong>in</strong>a. A volte<br />

si trattava di un ceppo che si lasciava portare <strong>in</strong> una casa, per poi fuggire<br />

quando i contad<strong>in</strong>i accendevano <strong>il</strong> fuoco.<br />

~<br />

Gnefro: diffuso a Terni e nella Valner<strong>in</strong>a, era un fol<strong>le</strong>tto che viveva nel<br />

pressi della Cascata del<strong>le</strong> Marmore e lungo <strong>il</strong> fiume Nera. A volte è ricordato<br />

come un bimbo grazioso. Gimo genno giune, la frase che dice nel<br />

romanzo, significa: “<strong>in</strong>iziamo a scendere”.<br />

~<br />

Beate genti o sealagan laute: <strong>le</strong> antiche popolazioni della Less<strong>in</strong>ia raccontavano<br />

favo<strong>le</strong> sui primitivi abitanti di quel territorio, <strong>le</strong> Sealagan Laute<br />

o Hoalagan Laute (o Se<strong>le</strong>ghen Baib<strong>le</strong>n), Gente Beata o Gente Santa. Per<br />

alcuni erano esseri sp<strong>le</strong>ndenti che si potevano vedere solo all’alba o al tramonto<br />

e cavalcavano cavalli bianchi durante <strong>il</strong> giorno e neri durante la<br />

notte. Leggende sul<strong>le</strong> Sealagan Laute sono presenti soprattutto a Giazza/<br />

Ljetzan. Avevano vesti sp<strong>le</strong>ndenti e vivevano <strong>in</strong> dimore meravigliose che<br />

però, se avvic<strong>in</strong>ate, scomparivano. Spesso erano creature solo femm<strong>in</strong><strong>il</strong>i e<br />

si confondevano con <strong>le</strong> anguane o <strong>le</strong> fade. Secondo altre versioni <strong>le</strong> beate<br />

genti dimoravano nel<strong>le</strong> grotte, si vestivano di cortecce (come <strong>le</strong> Driadi), di<br />

scorze d’abete, si nutrivano di carne umana e davano la caccia a caprioli,<br />

uccelli, vipere e altri animali, che mangiavano crudi. In particolari notti<br />

(la Notte dei Morti, soprattutto), scendevano <strong>le</strong> montagne <strong>in</strong>nevate <strong>in</strong>-<br />

13


nalzando arti umani <strong>in</strong>fuocati. Potevano governare <strong>il</strong> tempo atmosferico<br />

e scatenare temporali. Le Sealagan Laute sono, da alcuni, associate agli<br />

elfi della mitologia norrena (<strong>il</strong> term<strong>in</strong>e “elfo”, a sua volta, deriverebbe dal<br />

lat<strong>in</strong>o “albus”, bianco, o almeno questa è una del<strong>le</strong> ipotesi). Le beate genti<br />

dei Tredici Comuni dimoravano nella Sealagankùval (Grotta della Gente<br />

Beata, Giazza. È situata nel versante destro della Val Frasel<strong>le</strong>, nei pressi del<br />

Kitzarstuan, <strong>il</strong> Macigno dei capretti). Per certe credenze, si mescolavano<br />

agli uom<strong>in</strong>i e al<strong>le</strong> donne, lavavano i panni della gente dei v<strong>il</strong>laggi, stendendo<br />

una fune attraverso la Val Frasel<strong>le</strong>, lanciando grida per allontanare gli<br />

uccelli: “Shua, ra ra ra”, “Vola, via via via”. Un aspetto che potrebbe rispecchiare<br />

un’eredità del<strong>le</strong> parche greco-romane e dal<strong>le</strong> matres celtiche: nel<strong>le</strong><br />

prime ricorre la matassa di f<strong>il</strong>o, come <strong>le</strong> seconde sono disponib<strong>il</strong>i ad aiutare<br />

gli uom<strong>in</strong>i (fonte: Orchi, anguane, fade <strong>in</strong> grotte e caverne, Curatorium<br />

Cimbricum). Un capo della fune veniva <strong>le</strong>gato al Sealagankùval e l’altro<br />

alla roccia della Grol, verso contrada Prusti. Così come <strong>le</strong> anguane, si confondevano<br />

spesso con <strong>le</strong> persone comuni e potevano andare <strong>in</strong> moglie a un<br />

uomo del paese. Cita una favola che una fanciulla del<strong>le</strong> genti beate andò<br />

sposa a un uomo di Giazza. Sua madre <strong>le</strong> diede <strong>il</strong> capo di un gomitolo,<br />

ord<strong>in</strong>ando<strong>le</strong> di non dire mai a nessuno dove fosse l’altro capo del f<strong>il</strong>o. La<br />

ragazza, però, confessò <strong>il</strong> segreto, e da allora fu perduta e nessuno la rivide<br />

mai più (Dal canto B<strong>in</strong>te: “I gi-der an stre; b<strong>in</strong>te, ma kud mai benje ist iz<br />

hort”, “Ti do una matassa di f<strong>il</strong>o; <strong>le</strong>ga, ma non dire mai dov’è <strong>il</strong> capo del<br />

f<strong>il</strong>o” – Curatorium Cimbricum Veronense, 2005).<br />

Il l<strong>in</strong>guaggio del<strong>le</strong> beate genti (nel romanzo) è <strong>il</strong> veronese del XIII secolo,<br />

att<strong>in</strong>to dall’opera De Bab<strong>il</strong>onia Civitate Infernali di Frate Jakom<strong>in</strong> da<br />

Verona (una sorta di “Inferno” scritto dall’autore <strong>in</strong>torno al 1275). Francescano,<br />

Jakom<strong>in</strong> conosceva <strong>il</strong> lat<strong>in</strong>o ma per comunicare con <strong>il</strong> popolo<br />

ut<strong>il</strong>izzava <strong>il</strong> dia<strong>le</strong>tto veronese stretto. Con ogni probab<strong>il</strong>ità ut<strong>il</strong>izzava parte<br />

dei suoi poemetti durante <strong>le</strong> funzioni religiose. Non si sa se ci sia stato un<br />

<strong>in</strong>contro con Dante Alighieri durante gli anni <strong>in</strong> cui <strong>il</strong> sommo poeta fu a<br />

Verona ospite di Cangrande Della Scala (1316 – 1318). Jakom<strong>in</strong> scrisse<br />

anche <strong>il</strong> poemetto De Jerusa<strong>le</strong>m ce<strong>le</strong>sti.<br />

14 Zefer<strong>in</strong>a - <strong>bestiario</strong> e <strong>le</strong>ggende - © <strong>Asengard</strong> <strong>Edizioni</strong> srl - © Riccardo Coltri<br />

~<br />

Le donne di fuora erano fate o streghe sic<strong>il</strong>iane costrette a tramutarsi <strong>in</strong><br />

rospi <strong>in</strong> certi giorni della settimana.


Zefer<strong>in</strong>a - <strong>bestiario</strong> e <strong>le</strong>ggende - © <strong>Asengard</strong> <strong>Edizioni</strong> srl - © Riccardo Coltri<br />

~<br />

Il martorèl, conosciuto nel Cadore, era vestito comp<strong>le</strong>tamente di bianco,<br />

appariva negli angoli del<strong>le</strong> strade e attirava i golosi con <strong>le</strong>ccornie. Ma quando<br />

qualcuno si avvic<strong>in</strong>ava, lui lo afferrava e lo portava via con sé.<br />

~<br />

Sprov<strong>in</strong>colo: fol<strong>le</strong>tto marchigiano, dall’aspetto <strong>in</strong>fant<strong>il</strong>e e con gusci di<br />

noci per scarpe. Si può considerare un parente dei pesaroli (è <strong>in</strong>fatti detto<br />

anche pesarello), appartenente alla classe degli <strong>in</strong>cubi. A volte <strong>in</strong>dossava un<br />

berretto rosso.<br />

~<br />

Cialciùt: creatura friulana e istriana della notte, piccola, <strong>in</strong>gobbita e ricoperta<br />

di peli ispidi. Come tutti gli Incubi turba <strong>il</strong> sonno degli uom<strong>in</strong>i<br />

sedendosi sul loro petto o sul ventre (spesso è identificato come un fol<strong>le</strong>tto<br />

vampiro). Talvolta la vittima sogna di trovarsi <strong>in</strong> una gigantesca chiesa o<br />

sull’orlo di un baratro, poi una figura spettra<strong>le</strong> lo fa cadere. Il cialciùt è imparentato<br />

con <strong>il</strong> pesarol o pesarùl (vedi sopra). In Istria e <strong>in</strong> Slovenia è detto<br />

anche mora. A Trieste è conosciuto anche come Matrizza.<br />

~<br />

Bügn: fol<strong>le</strong>tto mantovano, abitava nei fiumi e nel<strong>le</strong> pozze di acqua stagnante.<br />

Aveva f<strong>il</strong>e di denti aguzzi sim<strong>il</strong>i a sp<strong>in</strong>e.<br />

~<br />

Cu<strong>le</strong>s: strani esseri sim<strong>il</strong>i a fuochi fatui. Presenti <strong>in</strong> Piemonte tra Cuneo,<br />

Tor<strong>in</strong>o e Novara. Secondo alcuni, tenevano fra <strong>le</strong> mani un fuoco, per altri<br />

erano loro stessi fatti di fiamme.<br />

~<br />

15


Traigolzu: “Su Traigolzu”, essere <strong>le</strong>ggendario sardo, per certe tradizioni<br />

era una sorta di m<strong>in</strong>otauro che alla mezzanotte tra <strong>il</strong> 14 e <strong>il</strong> 15 agosto scioglieva<br />

<strong>le</strong> sue catene ed emergeva dal<strong>le</strong> profondità del mare, per tornare ad<br />

essere <strong>in</strong>catenato alla mezzanotte tra <strong>il</strong> 15 e <strong>il</strong> 16.<br />

16 Zefer<strong>in</strong>a - <strong>bestiario</strong> e <strong>le</strong>ggende - © <strong>Asengard</strong> <strong>Edizioni</strong> srl - © Riccardo Coltri<br />

~<br />

Gli arfai o arfari erano maschi di fate. Presenti anche <strong>in</strong> Francia, <strong>in</strong> Italia<br />

sono ricordati <strong>in</strong> alcune <strong>le</strong>ggende tor<strong>in</strong>esi.<br />

~<br />

S<strong>il</strong>vani: probab<strong>il</strong>mente <strong>il</strong> nome deriva da s<strong>il</strong>va e serviva a <strong>in</strong>dicare un antico<br />

spirito dei boschi. Altri nomi con cui questo fol<strong>le</strong>tto era conosciuto sono<br />

salvanello (salvanèl <strong>in</strong> Trent<strong>in</strong>o Alto Adige), samb<strong>in</strong>ello, salbaneo <strong>in</strong> Veneto,<br />

salbanello. Secondo <strong>le</strong> tradizioni è vestito di rosso (o ha un copricapo rosso,<br />

per questo è ricordato anche come sangu<strong>in</strong>ello). A volte era una m<strong>in</strong>uscola<br />

creatura che <strong>le</strong>cca i capelli dei bamb<strong>in</strong>i, rendendoli diffic<strong>il</strong>i da pett<strong>in</strong>are.<br />

Un’altra <strong>le</strong>ggenda parla <strong>in</strong>vece del fantasma di un ladruncolo, Salva Nello.<br />

Illum<strong>in</strong>ato dalla luna durante un furto, l’uomo tentò di oscurare la luce<br />

con <strong>le</strong> fasc<strong>in</strong>e che stava cercando di rubare. I rami, lanciati <strong>in</strong> alto, fecero<br />

sangu<strong>in</strong>are la luna e gli abiti del ladro si sporcarono di rosso. L’uomo fu<br />

ma<strong>le</strong>detto e tramutato <strong>in</strong> un fol<strong>le</strong>tto dest<strong>in</strong>ato a vagare, di tanto <strong>in</strong> tanto,<br />

nel mondo. Salvanello è anche uno dei nomi del diavolo.<br />

Nel romanzo i s<strong>il</strong>vani dimorano nel<strong>le</strong> grotte nei pressi del Ponte di Veja,<br />

un enorme arco natura<strong>le</strong> di roccia (<strong>il</strong> più grande d’Europa), <strong>formato</strong>si nell’antichità<br />

dopo <strong>il</strong> crollo di una grotta carsica. Situato a 602 metri sul<br />

livello del mare, <strong>il</strong> Ponte di Veja è alto 50 metri, l’arco ha uno spessore di<br />

circa 10 metri e una larghezza media di 17. Numerosi i ritrovamenti riconducib<strong>il</strong>i<br />

al Pa<strong>le</strong>olitico medio e <strong>in</strong>feriore (sotto i massi crollati e <strong>in</strong> due caverne<br />

carsiche situate sotto l’arco roccioso). La tradizione vuo<strong>le</strong> che Dante<br />

Alighieri abbia preso ispirazione da questo luogo, durante <strong>il</strong> suo soggiorno<br />

veronese, per la descrizione del<strong>le</strong> Ma<strong>le</strong>bolge.<br />

Fra gli altri luoghi citati, anche <strong>le</strong> Cascate di Mol<strong>in</strong>a e l’“Abisso” (tra <strong>il</strong><br />

Veneto e <strong>il</strong> Trent<strong>in</strong>o, la Spluga della preta è una del<strong>le</strong> grotte carsiche più<br />

profonde del mondo. La profondità esplorata è di 985 metri. Situata nei<br />

pressi del Corno d’Aqu<strong>il</strong>io, a 1475 metri slm).


Zefer<strong>in</strong>a - <strong>bestiario</strong> e <strong>le</strong>ggende - © <strong>Asengard</strong> <strong>Edizioni</strong> srl - © Riccardo Coltri<br />

~<br />

Le diali erano creature fatate alp<strong>in</strong>e sim<strong>il</strong>i agli elfi e avevano mantelli che<br />

sembrano fatti di neve.<br />

Samblana era la reg<strong>in</strong>a del<strong>le</strong> nevi del<strong>le</strong> Dolomiti, a volte accompagnata<br />

da due ancel<strong>le</strong>, <strong>le</strong> Yeme<strong>le</strong>s, <strong>le</strong> “gemel<strong>le</strong>”, bamb<strong>in</strong>e identiche che giravano<br />

mano nella mano nel<strong>le</strong> pietraie della zona dolomitica. Era possib<strong>il</strong>e <strong>in</strong>contrar<strong>le</strong><br />

al matt<strong>in</strong>o, quando i prati erano <strong>in</strong>trisi di rugiada. Avvisavano gli uom<strong>in</strong>i<br />

di un’imm<strong>in</strong>ente disgrazia ed erano creature sorte dal lago di Garda.<br />

~<br />

Anguane: creature femm<strong>in</strong><strong>il</strong>i dalla doppia natura di donna e di rett<strong>il</strong>e,<br />

spesso ricordate con piedi capr<strong>in</strong>i. In ogni caso, <strong>le</strong>gate al<strong>le</strong> sorgenti e ai<br />

corsi d’acqua. Le anguane appartengono alla mitologia alp<strong>in</strong>a, soprattutto<br />

triveneta, ed erano forse aff<strong>in</strong>i al<strong>le</strong> ond<strong>in</strong>e del<strong>le</strong> saghe germaniche o al<strong>le</strong><br />

n<strong>in</strong>fe acquatiche pre-cristiane. Si potrebbe trattare di div<strong>in</strong>ità un tempo<br />

venerate dal<strong>le</strong> popolazioni celtiche dell’Italia Settentriona<strong>le</strong>: dediche al<strong>le</strong><br />

matronae e al<strong>le</strong> adganai sono state trovate <strong>in</strong> vari luoghi, anche <strong>in</strong> Lombardia.<br />

A seconda del luogo erano dette anche agane, zubiane, aiguane.<br />

A volte venivano chiamate Bè<strong>le</strong> Butè<strong>le</strong> (bel<strong>le</strong> ragazze), o strìe (streghe). La<br />

tradizione vuo<strong>le</strong> che (come si dice anche per altre creature fatate) abbiano<br />

<strong>in</strong>segnato agli uom<strong>in</strong>i a lavorare <strong>il</strong> latte e a fare <strong>il</strong> burro e <strong>il</strong> formaggio, e<br />

che lavassero i panni della gente dei v<strong>il</strong>laggi. In certi casi avevano piedi capr<strong>in</strong>i,<br />

talvolta posti al contrario. Le loro grida erano molto forti e <strong>in</strong> grado<br />

di stordire, da cui l’antico detto veneto “sigar come ’na anguana”, “gridare<br />

come un’anguana”. Vestivano solo di nero e potevano lavorare per la gente<br />

dei v<strong>il</strong>laggi solo di notte (si ritiravano quando suonava l’Ave Maria del<br />

matt<strong>in</strong>o). Si parla per la prima volta di aguane <strong>in</strong> un testo del XIII secolo,<br />

<strong>il</strong> De Jerusa<strong>le</strong>m Ce<strong>le</strong>sti di Frate Jakom<strong>in</strong> da Verona (vedi sopra). Secondo<br />

alcune <strong>le</strong>ggende erano <strong>le</strong> anime del<strong>le</strong> donne morte di parto. Itte<strong>le</strong> era <strong>il</strong><br />

nome di un’anguana veneta.<br />

Nel paese lad<strong>in</strong>o di Costlisëgn <strong>il</strong> loro mito si fonde con l’arrivo <strong>in</strong> Veneto<br />

di guerrieri germanici ai tempi dei romani (genti che secoli dopo furono<br />

dette “ongari”, da ungheri.), <strong>in</strong> altre zone del Nord Italia avevano calzari<br />

fatti di pel<strong>le</strong> di capra, da cui, forse, la <strong>le</strong>ggenda dei piedi capr<strong>in</strong>i (e<strong>le</strong>mento,<br />

17


tuttavia, riscontrab<strong>il</strong>e <strong>in</strong> numerose altre creature fatate dopo essere state<br />

bandite dal Cristianesimo).<br />

18 Zefer<strong>in</strong>a - <strong>bestiario</strong> e <strong>le</strong>ggende - © <strong>Asengard</strong> <strong>Edizioni</strong> srl - © Riccardo Coltri<br />

~<br />

Omeni selvadeghi: a seconda della regione l’Omo Selvadego è chiamato<br />

<strong>in</strong> vari modi: Om Selvadegh <strong>in</strong> Val Pusteria, Om Selvadego <strong>in</strong> Valtell<strong>in</strong>a, Om<br />

Salvei nel biel<strong>le</strong>se, Ommo Sarvadzo o Omo Selvadego sul<strong>le</strong> Alpi Apuane e<br />

nell’Appenn<strong>in</strong>o Toscano, Om dal Bosk <strong>in</strong> alcune aree del Trent<strong>in</strong>o. B<strong>il</strong>je<br />

Manne, Uom<strong>in</strong>i Selvatici, è <strong>il</strong> term<strong>in</strong>e cimbro. Omo Selvadego era anche<br />

una ce<strong>le</strong>bre maschera del Carneva<strong>le</strong> Veneziano, forse la più semplice da<br />

costruire: bastavano degli stracci e dei rami.<br />

Rurel: fol<strong>le</strong>tti del Brenta.<br />

~<br />

~<br />

Camene: (<strong>in</strong> lat<strong>in</strong>o Camēnae o Casmēnae o Carmēnae) erano, nella mitologia<br />

romana, div<strong>in</strong>ità del<strong>le</strong> sorgenti. Legate al parto, venivano <strong>in</strong>vocate<br />

perché <strong>il</strong> feto si presentasse nella giusta posizione, con la testa <strong>in</strong> avanti.<br />

Be<strong>il</strong>hund: fol<strong>le</strong>tto del Trent<strong>in</strong>o con la testa di ascia.<br />

~<br />

~<br />

Rusalki: creature fatate slave, div<strong>in</strong>ità m<strong>in</strong>ori dell’acqua che corrispondono<br />

al<strong>le</strong> n<strong>in</strong>fe. Di notte uscivano dall’acqua per ballare alla luce della luna.<br />

Il loro albero sacro era <strong>il</strong> platano.<br />

~<br />

Callicantzaroi: creature <strong>le</strong>ggendarie greche, albanesi e italiane (elfi, per<br />

alcuni). Orrendi d’aspetto, privi di vista, erano l’ultima <strong>in</strong>carnazione di


div<strong>in</strong>ità decise a non scomparire dal mondo.<br />

Zefer<strong>in</strong>a - <strong>bestiario</strong> e <strong>le</strong>ggende - © <strong>Asengard</strong> <strong>Edizioni</strong> srl - © Riccardo Coltri<br />

~<br />

Il fauno è una del<strong>le</strong> più antiche div<strong>in</strong>ità italiche. In alcune versioni del<br />

mito è identificato con un antico re del Lazio. In versioni tarde fu associato<br />

al dio greco Pan, oltre che al Satiro (Grecia). Sarebbe stato <strong>il</strong> terzo re<br />

preistorico d’Italia.<br />

~<br />

Nani del ghiaccio, Eismandl: diffusi <strong>in</strong> Trent<strong>in</strong>o. Tra <strong>le</strong> varie favo<strong>le</strong> italiane<br />

che parlano di nani (a volte sono detti Ometti), ce<strong>le</strong>bre è quella di Re<br />

Laur<strong>in</strong>o, che aveva un meraviglioso giard<strong>in</strong>o di rose. Il sovrano dei nani<br />

rapì una pr<strong>in</strong>cipessa, ma dei cavalieri, grazie ai colori del roseto, riuscirono<br />

a trovare subito <strong>il</strong> nascondiglio. Furente, Laur<strong>in</strong>o lanciò una ma<strong>le</strong>dizione<br />

sul giard<strong>in</strong>o, che da allora non poté più essere visto di giorno, né di notte.<br />

Il roseto diventò visib<strong>il</strong>e solo all’alba e al tramonto, quando, cioè <strong>le</strong> Dolomiti<br />

si colorano di rosa.<br />

~<br />

Trolli: figure <strong>le</strong>ggendarie scand<strong>in</strong>ave, i troll sono ricordati anche <strong>in</strong> Italia<br />

(trolli) e <strong>in</strong> Sud Tirolo. Alcuni trolli abitano, secondo <strong>le</strong> tradizioni, sulla<br />

Rascesa vic<strong>in</strong>o a Bolzano. Se un raggio di so<strong>le</strong> li coglieva, si tramutavano <strong>in</strong><br />

pietra (motivo per cui, per l’immag<strong>in</strong>ario, <strong>in</strong> alcuni prati dell’Alto Adige si<br />

ergono dei grossi macigni. Leggende di troll che diventano montagne sono<br />

citate anche <strong>in</strong> Norvegia).<br />

~<br />

Nel romanzo non compaiono veri e propri mostri mitologici, ma si citano<br />

<strong>il</strong> Bas<strong>il</strong>isco (numerose <strong>le</strong> <strong>le</strong>ggende sui monti Less<strong>in</strong>i, <strong>in</strong> particolare a Giazza/Ljetzan)<br />

e l’anfisbena (Anphisibena, B<strong>il</strong>otta), <strong>il</strong> cui nome deriva dal<strong>le</strong><br />

paro<strong>le</strong> greche amfis e baneim, “che va <strong>in</strong> due direzioni”, <strong>le</strong>ggendario serpente<br />

dotato di due teste. La tradizione vuo<strong>le</strong> che sia <strong>le</strong>gato anche al mito<br />

del ce<strong>le</strong>bre Noce di Benevento (culto longobardo della vipera).<br />

19


20 Zefer<strong>in</strong>a - <strong>bestiario</strong> e <strong>le</strong>ggende - © <strong>Asengard</strong> <strong>Edizioni</strong> srl - © Riccardo Coltri<br />

~<br />

Salbanelli: <strong>in</strong> qualche modo imparentati con <strong>il</strong> salvanelli, questi fol<strong>le</strong>tti<br />

avevano la testa sproporzionata rispetto al corpo e avevano i capelli ricci<br />

e arruffati, tutt’uno con <strong>le</strong> barbe. Non parlavano ma lanciavano orrende<br />

grida.


LEGGENDE<br />

La zoppa di Campofontana è una storia che si è diffusa molti anni fa<br />

a contrada Pagani. Un’anziana zoppa, approfittando dell’assenza di una<br />

coppia di al<strong>le</strong>vatori, affatturò un bamb<strong>in</strong>o, che poco tempo dopo morì. In<br />

seguito la strega riuscì a uccidere anche l’altro loro figlio<strong>le</strong>tto. I due ebbero<br />

un terzo figlio e un giorno la madre trovò anche su di lui i segni della<br />

ma<strong>le</strong>dizione. Chiesto aiuto a un prete, <strong>il</strong> piccolo fu salvato con dell’acqua<br />

santa.<br />

Zefer<strong>in</strong>a - <strong>bestiario</strong> e <strong>le</strong>ggende - © <strong>Asengard</strong> <strong>Edizioni</strong> srl - © Riccardo Coltri<br />

~<br />

Corvi: hanno un ruolo particolare <strong>in</strong> diverse mitologie, soprattutto nordeuropee.<br />

I celti li associavano al<strong>le</strong> profezie e alla morte, erano sacri a Lug<br />

e alla dea irlandese Morrigan (che poteva assumere forma di corvo). In<br />

Britannia, nell’Età del Ferro, esistevano rituali <strong>le</strong>gati ai corvi, spesso sepolti,<br />

forse come sacrificio per forze maligne dell’oltretomba. I due corvi<br />

Hug<strong>in</strong>n e Mun<strong>in</strong>n (Pensiero e Memoria), erano <strong>in</strong>viati da Od<strong>in</strong>o per <strong>il</strong><br />

mondo, tornavano al tramonto per sussurrargli cosa avevano visto. Od<strong>in</strong>o<br />

si serviva di corvi anche nella Caccia Selvaggia.<br />

~<br />

In Less<strong>in</strong>ia, nei XIII Comuni cimbri, come protezione per tutto ciò che è<br />

malvagio era molto sentita la cosiddetta preghiera dei tre angeli: Oggi noi<br />

andiamo a dormire con tre angeli ai piedi, uno ci copre, uno ci sveglia, uno<br />

ci protegge, da tutte <strong>le</strong> cose cattive, e da tutti i sogni cattivi, f<strong>in</strong>o all’amato,<br />

limpido giorno. In l<strong>in</strong>gua taucias (“cimbro”): Ha<strong>in</strong>t geni-nidar suaze pit drai<br />

angh<strong>il</strong>er a’ de fuaze. Oaz decka-pi un oaz dorbecka-bbi un oaz hauta-bbi. Fon<br />

alljen poasen d<strong>in</strong>ger un fon alljen poasen tromen. Derwai’ der liabe liachte tac<br />

k<strong>in</strong>t.<br />

~<br />

21


Vari scongiuri che si sono diffusi sui Monti Less<strong>in</strong>i hanno, <strong>in</strong>vece, significati<br />

oscuri: Aber aber, eber eber os non conm<strong>in</strong>uetis ex eo, dia biz sabav xeber,<br />

aber aber, eber eber. “Ox non conm<strong>in</strong>uetis ex eo” si riferirebbe a Gesù sulla<br />

croce: “<strong>le</strong> sue ossa non si spezzeranno” (dopo aver riscoperto questo testo,<br />

<strong>il</strong> regista A<strong>le</strong>ssandro Anderloni dell’associazione Le Falìe di Velo, ha prodotto,<br />

con musiche di E. Zanfretta, la bellissima canzone Aber aber, contenuta<br />

nel cd B<strong>in</strong>te). Un’altra formula che sembra <strong>in</strong> qualche modo fondere<br />

magia e religione, conosciuta anche <strong>in</strong> altre zone, era: Va’ via tempora<strong>le</strong>,<br />

nella val scura, dove non c’è <strong>il</strong> so<strong>le</strong> né la luna (Vatene, o tempore, <strong>in</strong> te la val<br />

scura, ando no’ gh’è né so<strong>le</strong> né luna. Una donna di San Mauro di Sal<strong>in</strong>e la<br />

recitò davanti a un braciere acceso). Di tutt’altra natura, e anch’essa diffusa<br />

<strong>in</strong> più zone, era una vecchia preghiera dei ladri: “Nel nome del rubare,<br />

sempre cont<strong>in</strong>uare, mai restituire, a costo di morire”.<br />

22 Zefer<strong>in</strong>a - <strong>bestiario</strong> e <strong>le</strong>ggende - © <strong>Asengard</strong> <strong>Edizioni</strong> srl - © Riccardo Coltri<br />

~<br />

Il sogno del cane: la nascita di Cangrande Della Scala, nel 1291, pare sia<br />

stata preceduta da un sogno premonitore della madre: la donna si immag<strong>in</strong>ò<br />

mentre partoriva un cane, che col suo possente abbaiare svegliava<br />

l’<strong>in</strong>tero mondo. Quando <strong>il</strong> bamb<strong>in</strong>o nacque fu chiamato Can Francesco.<br />

~<br />

La simbologia del cane è molto vasta e ne fanno riferimento numerosi<br />

miti. Il cane è uno psicopompo, accompagna <strong>le</strong> anime nell’ald<strong>il</strong>à. Era particolarmente<br />

venerato dai celti. Arawn, signore dell’Annwn (oltretomba<br />

gal<strong>le</strong>se) possedeva cani soprannaturali. Numerose <strong>le</strong> <strong>le</strong>ggende nel<strong>le</strong> iso<strong>le</strong><br />

britanniche, dove un cane nero era presagio di morte e restava di guardia<br />

sui vecchi sentieri. In antichità, soprattutto nell’area del Nord Europa (e,<br />

<strong>in</strong> età feuda<strong>le</strong>, <strong>in</strong> alcune zone italiane, per esempio presso gli Scaligeri),<br />

era simbolo di forza. Nella mitologia scand<strong>in</strong>ava e longobarda appare a<br />

volte con animali come <strong>il</strong> corvo, <strong>il</strong> lupo, l’orso. Si ricorda Garmr, <strong>il</strong> cane<br />

<strong>in</strong>ferna<strong>le</strong> che sorveglia l’entrata di Hel, <strong>il</strong> mondo dei morti. I guerrieri<br />

longobardi, prima della loro discesa dalla Scand<strong>in</strong>avia, erano detti w<strong>in</strong>n<strong>il</strong>i:<br />

secondo alcune <strong>in</strong>terpretazioni significava cani folli). Un cane da caccia,<br />

assieme a un cavallo nero, condussero re Teodorico all’Inferno. La Caccia


Selvaggia (Catha Selvarega) della mitologia alp<strong>in</strong>a era composta da una<br />

muta di cani neri: <strong>le</strong> anime degli uom<strong>in</strong>i morti sui monti. Il mito del popolo<br />

di uom<strong>in</strong>i-cane (c<strong>in</strong>ocefali) è presente <strong>in</strong> tutte <strong>le</strong> culture <strong>in</strong>doeuropee<br />

di età classica, dall’Africa Settentriona<strong>le</strong> alla Grecia, dalla Persia all’India.<br />

Popolazioni di uom<strong>in</strong>i-cane vengono descritte da vari autori lat<strong>in</strong>i e greci<br />

con nomi diversi. Tra <strong>le</strong> varie figure mitologiche, la dea Ecate, Cerbero,<br />

mentre <strong>in</strong> Egitto si venerava Anubi, rappresentato con una testa di cane<br />

nero (o uno sciacallo).<br />

Zefer<strong>in</strong>a - <strong>bestiario</strong> e <strong>le</strong>ggende - © <strong>Asengard</strong> <strong>Edizioni</strong> srl - © Riccardo Coltri<br />

~<br />

La simbologia dell’albero è altrettanto ricca. Il platano menzionato nel<br />

romanzo è oggi detto “dei Cento Bersaglieri” ed è stato piantato nell’estate<br />

del 1574. Misura 25 metri d’altezza, per una circonferenza di oltre 15 metri.<br />

La tradizione vuo<strong>le</strong> che nel 1937 l’esercito italiano abbia nascosto fra i<br />

rami e nel<strong>le</strong> sue cavità un’<strong>in</strong>tera compagnia di soldati. Nell’<strong>in</strong>verno del ’44<br />

<strong>le</strong> SS, preoccupate dei cont<strong>in</strong>ui agguati dei partigiani – agguati che partivano<br />

proprio dai nascondigli dell’albero – decisero di tagliare diversi rami. La<br />

pianta si trova <strong>in</strong> una frazione di Capr<strong>in</strong>o che ora ha preso <strong>il</strong> nome di “Platano”<br />

(<strong>in</strong> precedenza era Salgaréa). L’albero, <strong>il</strong> platano più grande d’Italia,<br />

sorge davanti al torrente Tasso ed è monumento naziona<strong>le</strong>. Nel romanzo<br />

sono citati anche altri alberi <strong>le</strong>ggendari, come <strong>il</strong> Noce di Benevento, dove<br />

avvenivano i convegni fra <strong>le</strong> janare, <strong>le</strong> streghe del Sud, e l’Yggdras<strong>il</strong> della<br />

mitologia norrena. I sanctivi erano alberi venerati dai longobardi.<br />

~<br />

La Defunta Correa è una <strong>le</strong>ggenda argent<strong>in</strong>a risa<strong>le</strong>nte all’Ottocento. Deol<strong>in</strong>da<br />

Correa viaggiò con <strong>il</strong> figlio<strong>le</strong>tto tra <strong>le</strong> braccia: non aveva nulla da<br />

mangiare e da bere e morì di sete, ma <strong>il</strong> bimbo si salvò con <strong>il</strong> latte della<br />

madre morta. Così fu trovato da dei testimoni. Il culto della defunta Correa,<br />

protettrice dei bamb<strong>in</strong>i, viene oggi simbolicamente ricordato portando<br />

fiori e acqua su piccoli altari.<br />

~<br />

V<strong>il</strong>la Pullé, Chievo: f<strong>in</strong>o a non molto tempo fa ritenuta una casa strega-<br />

23


ta, <strong>in</strong> passato fu ricovero di senzatetto e negli scorsi decenni, forse, sede<br />

di messe nere. L’impianto orig<strong>in</strong>a<strong>le</strong> del grande parco circostante risa<strong>le</strong> a<br />

circa metà Settecento, mentre non è certo a quando risalga esattamente<br />

la casa (se ne hanno per la prima volta notizie nel 1518). Fu di proprietà<br />

del conte Leopoldo Pullé, deputato e commediografo, poi di Elvira M<strong>in</strong>iscalchi-Erizzo,<br />

che la lasciò al Consiglio Ospitaliero, a patto che vi venisse<br />

costruito un ospeda<strong>le</strong> per tubercolotici. La struttura chiuse nel 1960, da<br />

allora V<strong>il</strong>la Pullé è disabitata. Recentemente si è voluto riqualificare <strong>il</strong> bellissimo<br />

parco adiacente la casa. Il bosco vic<strong>in</strong>o a Chievo è ancora oggi detto<br />

“Mantico” e si ritiene che <strong>in</strong> passato sia stato sede di un oracolo.<br />

24 Zefer<strong>in</strong>a - <strong>bestiario</strong> e <strong>le</strong>ggende - © <strong>Asengard</strong> <strong>Edizioni</strong> srl - © Riccardo Coltri<br />

~<br />

Bamb<strong>in</strong>i scambiati (changel<strong>in</strong>g): «Al<strong>le</strong> volte i fol<strong>le</strong>tti si <strong>in</strong>vaghiscono dei<br />

mortali, e se li portano via nel loro paese, lasciando al loro posto qualche bamb<strong>in</strong>o<br />

fol<strong>le</strong>tto malaticcio, oppure un ciocco di <strong>le</strong>gno che grazie a un <strong>in</strong>cantesimo<br />

sembra un morta<strong>le</strong>, e a poco a poco si consuma, muore e viene sepolto» (Yeats,<br />

Fiabe Irlandesi). Il mito dei bamb<strong>in</strong>i scambiati è presente anche <strong>in</strong> alcune<br />

regioni italiane, per esempio nel<strong>le</strong> <strong>le</strong>ggende dei Bregostani, uom<strong>in</strong>i selvaggi<br />

del Trent<strong>in</strong>o.<br />

~<br />

Libri del Comando: favo<strong>le</strong> sui “Libri del Comando”, o Libri del Mago,<br />

Libri del Diavolo, a volte Libri del Magnetismo, sono presenti <strong>in</strong> numerose<br />

regioni italiane, dal Nord al Sud (<strong>in</strong> Piemonte erano ereditati dal<strong>le</strong><br />

masche, a sud si immag<strong>in</strong>avano di proprietà del<strong>le</strong> janare, nel nord-est del<strong>le</strong><br />

strie). Alcune <strong>le</strong>ggende attribuiscono i libri a Pietro d’Abano (1250-1316).<br />

Accusato di eresia, d’Abano morì <strong>in</strong> carcere, <strong>in</strong> seguito <strong>il</strong> suo cadavere fu<br />

disseppellito e arso sul rogo. Si racconta un fatto avvenuto a contrada Pagani<br />

di Campofontana: uno dei “libretti del mago” (Puox von Megi o Puach<br />

von Megi) era stato trovato e si era preparato un falò per bruciarlo. Ma al<br />

contatto con <strong>le</strong> fiamme <strong>il</strong> libro lanciò orrende grida e tentò di alzarsi <strong>in</strong><br />

volo. Solo dopo aver versato gocce di acqua santa sul testo ma<strong>le</strong>detto, <strong>il</strong><br />

rogo fu portato a term<strong>in</strong>e. Chi riusciva a trovare uno dei (tre?) Libri del<br />

Comando, era <strong>in</strong> grado di volare, riempire <strong>le</strong> stal<strong>le</strong> di “esseri vivi” (bestiame)<br />

e portare a term<strong>in</strong>e ogni sorta di prodigio.


Zefer<strong>in</strong>a - <strong>bestiario</strong> e <strong>le</strong>ggende - © <strong>Asengard</strong> <strong>Edizioni</strong> srl - © Riccardo Coltri<br />

~<br />

Balor l’occhio malvagio: nella mitologia irlandese, Balor, detto Ba<strong>il</strong>cbemnioch<br />

“Dai colpi possenti” e Birugderc “Occhio malvagio”, era un<br />

condottiero che poteva uccidere chiunque soltanto guardandolo con <strong>il</strong> suo<br />

occhio ma<strong>le</strong>detto. L’occhio di solito era chiuso e veniva aperto sul campo<br />

di battaglia da quattro uom<strong>in</strong>i.<br />

~<br />

Horo: <strong>il</strong> mito lo vuo<strong>le</strong> figlio di Osiride ed Iside e vendicatore del padre nei<br />

confronti di Seth, <strong>il</strong> qua<strong>le</strong> gli tolse un occhio durante lo scontro.<br />

~<br />

Od<strong>in</strong>o: norreno Óð<strong>in</strong>n, anglosassone Woden, tedesco Wotan, longobardo<br />

Gòdan, pr<strong>in</strong>cipa<strong>le</strong> div<strong>in</strong>ità del pantheon nordico, dio della guerra e della<br />

magia, della sapienza e della poesia. Per apprendere l’arte del<strong>le</strong> rune rimase<br />

appeso all’albero Yggdras<strong>il</strong>l per nove giorni e nove notti. Per la mitologia<br />

norrena, Od<strong>in</strong>o guiderà gli dèi e gli uom<strong>in</strong>i contro <strong>le</strong> forze del caos nell’ultima<br />

battaglia, quando giungerà <strong>il</strong> Ragnarök, la f<strong>in</strong>e del mondo, nel<br />

qua<strong>le</strong> <strong>il</strong> dio sarà ucciso, divorato da Fenrir, <strong>il</strong> lupo del Bosco di Ferro<br />

(Járnviðr).<br />

~<br />

Benandanti: (“buoni camm<strong>in</strong>atori”), <strong>le</strong>gati al culto della fert<strong>il</strong>ità della terra<br />

diffusosi <strong>in</strong> Friuli <strong>in</strong>torno al XVI-XVII secolo. Congreghe di persone<br />

che si prefiggevano di contrastare i ma<strong>le</strong>fici del<strong>le</strong> streghe, occupandosi <strong>in</strong><br />

particolare della protezione dei raccolti. I benandanti erano “nati con la camicia”:<br />

scelti fra i bamb<strong>in</strong>i a loro volta scelti dal dest<strong>in</strong>o, cioè ancora avvolti<br />

dal sacco amniotico. Fra <strong>le</strong> armi dei benandanti per contrastare <strong>le</strong> streghe<br />

c’erano gambi di f<strong>in</strong>occhio. Dopo <strong>il</strong> Conc<strong>il</strong>io di Trento i benandanti furono<br />

dichiarati eretici dalla Santa Inquisizione. Il loro culto si diffuse nella<br />

pianura friulana, arrivò <strong>in</strong> Istria e, a ovest, anche a Vicenza e a Verona.<br />

25


Striossi erano detti gli stregoni nel veronese.<br />

26 Zefer<strong>in</strong>a - <strong>bestiario</strong> e <strong>le</strong>ggende - © <strong>Asengard</strong> <strong>Edizioni</strong> srl - © Riccardo Coltri<br />

~<br />

~<br />

La Stregheria, o Vecchia Religione del<strong>le</strong> streghe italiane, si diffuse soprattutto<br />

nel XIV secolo attraverso Aradia, detta la Santa Strega, figlia messianica<br />

della dea Diana con la missione di <strong>in</strong>segnare la stregheria ai poveri<br />

e agli oppressi. La stregheria si basava <strong>in</strong> realtà su tradizioni molto più<br />

antiche, dal culto del<strong>le</strong> streghe pre-etrusche e da due movimenti pagani<br />

m<strong>il</strong><strong>le</strong>nari: “Ad cursum Dianæ” (<strong>il</strong> Corteo di Diana) e “Dom<strong>in</strong>æ Ludum”<br />

(la Signora del Gioco).<br />

~<br />

Hagalaz, runa simbolo dei cristalli di ghiaccio. A seconda del luogo era<br />

detta Haal, Hagall, Haegl. In certe raffigurazioni assomiglia vagamente a<br />

una scala e nel romanzo è uno dei simboli degli orchi.<br />

~<br />

Morto che conduce <strong>il</strong> vivo: <strong>in</strong> una vecchia fiaba della Less<strong>in</strong>ia si parlava<br />

della profezia di un morto che avrebbe condotto un vivo. La profezia si<br />

compì quando sulla carogna di un cervo trasc<strong>in</strong>ata da un torrente scese un<br />

rapace per cibarsi della sua carne. (La pr<strong>in</strong>cipessa degli <strong>in</strong>dov<strong>in</strong>elli, <strong>in</strong> Favola,<br />

<strong>le</strong>ggenda e realtà nei racconti dei f<strong>il</strong>ò dei monti Less<strong>in</strong>i, a cura di Att<strong>il</strong>io<br />

Benetti).<br />

~<br />

Due soli <strong>in</strong> cielo alla f<strong>in</strong>e del mondo: «alla f<strong>in</strong>e del mondo compariranno<br />

nel cielo due soli». La credenza era diffusa <strong>in</strong> passato <strong>in</strong> alcuni comuni<br />

cimbri, probab<strong>il</strong>mente un mito di orig<strong>in</strong>e germanica. Nel testo, <strong>il</strong> mito si<br />

fonde con <strong>il</strong> fenomeno del “parelio”, chiamato anche Cani del so<strong>le</strong>.<br />

~


Reitia (pronuncia: reizia) era dea creatrice e protettrice del<strong>le</strong> partorienti. Il<br />

simbolo misterioso a forma di chiave (la Chiave di Reitia), probab<strong>il</strong>mente<br />

un caduceo st<strong>il</strong>izzato, aveva <strong>il</strong> potere di aprire <strong>le</strong> porte agli <strong>in</strong>iziati, i sette<br />

cancelli che conducevano ai Titani. I Reti erano una popolazione italica<br />

pre-romana stanziata <strong>in</strong>torno al II sec. a.C <strong>in</strong> un’area compresa tra i fiumi<br />

Reno, Tic<strong>in</strong>o, Adige, Isarco, Drava e Inn, nel<strong>le</strong> attuali regioni di Trent<strong>in</strong>o-<br />

Alto Adige, Tirolo, Bassa Engad<strong>in</strong>a, prealpi veronesi, Lombardia alp<strong>in</strong>a.<br />

Zefer<strong>in</strong>a - <strong>bestiario</strong> e <strong>le</strong>ggende - © <strong>Asengard</strong> <strong>Edizioni</strong> srl - © Riccardo Coltri<br />

~<br />

Una casa piena di <strong>in</strong>cisioni di croci si trova nel piccolo abitato di San Francesco,<br />

tra Campos<strong>il</strong>vano e Velo. Il vecchio edificio di pietra, disabitato (mai<br />

comp<strong>le</strong>tato), sorge <strong>in</strong> un prato isolato, al limitare del bosco. Avvic<strong>in</strong>andosi,<br />

si può notare che tutti i muri <strong>in</strong>terni ed esterni, così come i massi circostanti<br />

l’abitazione, sono riempiti di croci, <strong>in</strong>cise o scolpite <strong>in</strong> varie forme e<br />

misure. Il nome di chi provò ad abitare nella casa nessuno se lo ricorda, ma<br />

si parla del tentativo disperato di un uomo di scacciare i numerosi spiriti<br />

ma<strong>le</strong>fici e creature strane che <strong>in</strong>festavano i vic<strong>in</strong>i boschi.<br />

~<br />

Il brigante Tomas<strong>in</strong> (pare che <strong>il</strong> nome fosse Tommaso Comerlati) aveva<br />

trovato rifugio <strong>in</strong> una contrada di Velo, “Montagna Alta del Carbone”,<br />

Tredici Comuni cimbri. Probab<strong>il</strong>mente vissuto all’epoca di Napo<strong>le</strong>one I, a<br />

contrada Comerlati. Vio<strong>le</strong>nto, ab<strong>il</strong>e ladro, aveva lunghe trecce di capelli e<br />

si diceva avesse fatto un patto con <strong>il</strong> diavolo. Un giorno sorprese un uomo<br />

che rubava del<strong>le</strong> pere da un albero di sua proprietà: lo obbligò a mangiare<br />

tutte <strong>le</strong> pere, poi lo fece salire sulla pianta e gli fece fare <strong>il</strong> verso del cuculo.<br />

Inf<strong>in</strong>e, gli sparò. Forse <strong>il</strong> demonio stesso, nel<strong>le</strong> sembianze di un grosso cane<br />

nero, lo r<strong>in</strong>corse una notte, ma <strong>il</strong> brigante gli gridò che non era ancora<br />

“arrivata l’ora”, e che <strong>le</strong> sue ma<strong>le</strong>fatte non erano state tutte compiute. In un<br />

racconto l’uomo sa<strong>le</strong> su una pianta, pronuncia <strong>le</strong> paro<strong>le</strong> “Il corpo ai corvi,<br />

l’anima a Satana” e scompare nel nulla. (fonte: Favola, <strong>le</strong>ggenda e realtà nei<br />

racconti dei f<strong>il</strong>ò dei Monti Less<strong>in</strong>i, di Att<strong>il</strong>io Benetti).<br />

~<br />

27


Ste<strong>le</strong> di Luni: breve citazione, nel romanzo, di questo mito ligure. In<br />

Lunigiana sono stati ritrovati numerosi monumenti preistorici <strong>in</strong> pietra,<br />

creati tra <strong>il</strong> III e <strong>il</strong> VI m<strong>il</strong><strong>le</strong>nnio a.C. Le statue, dal significato oscuro, rappresentano<br />

uom<strong>in</strong>i, nella maggior parte dei casi dal volto st<strong>il</strong>izzato a forma<br />

di mezzaluna.<br />

28 Zefer<strong>in</strong>a - <strong>bestiario</strong> e <strong>le</strong>ggende - © <strong>Asengard</strong> <strong>Edizioni</strong> srl - © Riccardo Coltri<br />

~<br />

Barone Corvo: alla f<strong>in</strong>e del C<strong>in</strong>quecento <strong>il</strong> feudo di Roccasca<strong>le</strong>gna fu acquistato<br />

dal barone V<strong>in</strong>cenzo Corvi di Sulmona per 10.000 ducati. L’uomo<br />

era soprannom<strong>in</strong>ato “Corvo” (o “Barone Corvo de Corvis”), perché<br />

imponeva agli abitanti di adorare un corvo nero come la notte, con gli<br />

occhi rossi e fiammeggianti. Il barone fu assass<strong>in</strong>ato e assieme a lui perì <strong>il</strong><br />

suo corvo. Si dice che l’uomo, prima di morire, abbia lasciato sul muro di<br />

una stanza del castello l’impronta della sua mano <strong>in</strong>sangu<strong>in</strong>ata.<br />

~<br />

Una bottiglia con dentro Napoli: <strong>il</strong> mago Virg<strong>il</strong>io, per difendere Napoli<br />

dagli <strong>in</strong>vasori, costruì un m<strong>in</strong>uscolo modell<strong>in</strong>o della città e lo chiuse <strong>in</strong><br />

una bottiglia. Le pareti di vetro sarebbero diventate una protezione anche<br />

per la città rea<strong>le</strong>. Ma la bottiglia si ruppe e, con essa, l’<strong>in</strong>cantesimo.<br />

~<br />

Moro di Capitignano: <strong>il</strong> Simbolo del Comune di Capitignano è la testa di<br />

un moro, a ricordo dell’amante di una reg<strong>in</strong>a. Quando i figli della sovrana<br />

assass<strong>in</strong>arono <strong>il</strong> moro, la donna fece fare con <strong>il</strong> cranio del morto una tazza<br />

coperta d’oro, con <strong>le</strong> ossa del<strong>le</strong> gambe una sedia e con quel<strong>le</strong> del<strong>le</strong> braccia<br />

una cornice per uno specchio.<br />

~<br />

Perchta era una div<strong>in</strong>ità nel<strong>le</strong> tradizioni alp<strong>in</strong>e pre-cristiane. Il suo nome<br />

significa La Sp<strong>le</strong>ndente. Le paro<strong>le</strong> peraht, berht e brecht significano radioso,<br />

lum<strong>in</strong>oso e/o bianco. È considerata una sorta di cug<strong>in</strong>a meridiona<strong>le</strong> di


Holda ed è associab<strong>il</strong>e alla Befana.<br />

Zefer<strong>in</strong>a - <strong>bestiario</strong> e <strong>le</strong>ggende - © <strong>Asengard</strong> <strong>Edizioni</strong> srl - © Riccardo Coltri<br />

~<br />

Il corno rosso portafortuna è <strong>il</strong> più diffuso amu<strong>le</strong>to italiano. Le sue orig<strong>in</strong>i<br />

risalgono al Neolitico, quando veniva usato come auspicio di fert<strong>il</strong>ità.<br />

~<br />

Napo<strong>le</strong>one <strong>in</strong> Veneto: secondo <strong>le</strong> vecchie testimonianze, l’arrivo di Napo<strong>le</strong>one<br />

Bonaparte <strong>in</strong> Veneto fu preceduto da avvenimenti catastrofici come<br />

malattie del bestiame, <strong>in</strong>verni estremamente rigidi e altri episodi che la<br />

gente giudicò “ma<strong>le</strong>detti”.<br />

~<br />

Caccia Selvaggia: mito di orig<strong>in</strong>i nordiche, presso i vich<strong>in</strong>ghi era guidata<br />

da Od<strong>in</strong>o. Esistono versioni <strong>in</strong> numerose altre zone d’Europa. La <strong>le</strong>ggenda<br />

è presente anche <strong>in</strong> Italia, un mito alp<strong>in</strong>o diffuso soprattutto nell’area veneta,<br />

dove <strong>il</strong> <strong>le</strong>ader è di solito associato a Teodorico da Verona (<strong>il</strong> Dietrich<br />

von Bern del<strong>le</strong> saghe germaniche, citato anche nel Canto dei Nibelunghi).<br />

Il corteo era spesso <strong>formato</strong> da una muta di feroci cani neri, coloro che<br />

erano morti vio<strong>le</strong>ntemente sul<strong>le</strong> montagne. In altre zone del Nord Italia <strong>il</strong><br />

nome del <strong>le</strong>ader era Ce-de-Lu, Zampa de Gal, Sp<strong>in</strong>a de Mul.<br />

~<br />

Ey de Net, Occhio di Notte, era un <strong>le</strong>ggendario guerriero della “Saga dei<br />

Fanes”, storia raccolta e trascritta verso la f<strong>in</strong>e dell’Ottocento da Karl Felix<br />

Wolff. Le moderne <strong>in</strong>terpretazioni fanno risalire i fatti descritti nell’epoca<br />

di transizione tra l’età del Bronzo e quella del Ferro.<br />

~<br />

Scolari della Scuola Nera: <strong>in</strong> antichità, <strong>il</strong> Maligno aprì una scuola dove<br />

potevano entrare solo bellissimi giovani, che rimanevano nel luogo per<br />

sette anni. I giovani erano poi chiamati Scolari della Scuola Nera, o Scolari<br />

29


Vaganti (o Veneziani); nel Sud Italia: Greci di Levante. Gli Scolari della<br />

Scuola Nera viaggiavano soli, avvolti <strong>in</strong> mantelli scuri. Erano conosciuti<br />

anche <strong>in</strong> Svizzera e spesso avevano <strong>il</strong> Libro del Comando sotto al braccio.<br />

30 Zefer<strong>in</strong>a - <strong>bestiario</strong> e <strong>le</strong>ggende - © <strong>Asengard</strong> <strong>Edizioni</strong> srl - © Riccardo Coltri<br />

~<br />

Sib<strong>il</strong><strong>le</strong>: appartenenti alla mitologia greca e a quella romana, erano verg<strong>in</strong>i<br />

<strong>in</strong> grado di fornire predizioni, figure reali e nel contempo <strong>le</strong>ggendarie. Nel<br />

romanzo la figura della sib<strong>il</strong>la si fonde, <strong>in</strong> parte, con <strong>le</strong> bambo<strong>le</strong> della magia<br />

nera e, come aspetto, con la mummia di Rosalia Lombardo, appartenente<br />

a una bimba di soli due anni nata nel 1918 e deceduta <strong>il</strong> 06 dicembre<br />

1920. Trattata dal dottor Solafia con una formula ancora oggi sconosciuta,<br />

la mummia, <strong>in</strong>credib<strong>il</strong>mente ben conservata e dal commovente aspetto di<br />

una bimba che sembra solo addormentata, si trova oggi nel<strong>le</strong> catacombe<br />

di Pa<strong>le</strong>rmo. La pel<strong>le</strong> del viso appare morbida e colorita, sul capo la piccola<br />

mummia ha un fiocco giallo a trattenere i capelli che ricadono <strong>in</strong> boccoli<br />

sulla fronte. I parassiti hanno colpito <strong>il</strong> corpo e alcuni forell<strong>in</strong>i sono chiaramente<br />

visib<strong>il</strong>i.<br />

~<br />

Sacra Furia: i Berserkir (Berserker), erano guerrieri vich<strong>in</strong>ghi che avevano<br />

fatto giuramento a Od<strong>in</strong>o. Prima della battaglia entravano <strong>in</strong> uno stato<br />

menta<strong>le</strong> di furia/trance, detto berserksgangr.<br />

~<br />

Conc<strong>il</strong>io di Trento: la tradizione vuo<strong>le</strong> che dopo <strong>il</strong> Conc<strong>il</strong>io di Trento<br />

(1545-1563) tutte <strong>le</strong> creature soprannaturali che prima si mescolavano agli<br />

uom<strong>in</strong>i, siano diventate fuor<strong>il</strong>egge. Per molto tempo si è detto che “Dopo<br />

<strong>il</strong> Conc<strong>il</strong>io, gli animali, <strong>il</strong> <strong>le</strong>gno e la pietra non poterono più parlare”.<br />

Secondo una <strong>le</strong>ggenda, Carlo Borromeo, di strada per Trento, <strong>in</strong>vece di<br />

seguire la Val d’Adige passò per “Le Sìne”, la Less<strong>in</strong>ia, dove la gente gli parlò<br />

del<strong>le</strong> fade e degli orchi, supplicandolo di far sparire <strong>le</strong> creature fatate. A<br />

Campos<strong>il</strong>vano una chiesa fu dedicata a “San Carlo Borromeo” alcuni anni<br />

prima della beatificazione.


Zefer<strong>in</strong>a - <strong>bestiario</strong> e <strong>le</strong>ggende - © <strong>Asengard</strong> <strong>Edizioni</strong> srl - © Riccardo Coltri<br />

~<br />

Altarknotto: su questo altare pagano, <strong>in</strong>torno all’anno M<strong>il</strong><strong>le</strong>, i montanari<br />

dell’Altopiano vicent<strong>in</strong>o veneravano div<strong>in</strong>ità di orig<strong>in</strong>e nordica, come<br />

Od<strong>in</strong>o e Thor.<br />

~<br />

Cimbri: guerrieri provenienti dalla Danimarca (secondo alcune <strong>le</strong>ggende<br />

imparentati con i Cimmeri), dalla regione dell’Himmerland. Una <strong>le</strong>ggenda<br />

ancora più romantica racconta che, contro <strong>il</strong> vo<strong>le</strong>re dell’Impero Romano,<br />

da cui furono sconfitti nel 101 a.C. (dal conso<strong>le</strong> Caio Mario), si stanziarono<br />

<strong>in</strong> un’area compresa tra l’odierno Veneto e <strong>il</strong> Trent<strong>in</strong>o. A Ljetzan<br />

(Giazza – Verona) sopravvive ancora oggi una parlata di orig<strong>in</strong>e germanica<br />

e f<strong>in</strong>o a poco tempo fa gli anziani raccontavano che gli avi del<strong>le</strong> genti dei<br />

monti erano <strong>in</strong> quel luogo dopo una grande battaglia (Grosse Stroach). “De<br />

ünsarn eltarn habent hortan kchöt, dass dar ünsar stam vun zimbarn ist<br />

von tåüschen <strong>le</strong>ntarn af an nort kömet <strong>in</strong> des bellische lant, <strong>in</strong> zait vom<br />

krige, ba dar grosse stroach ist den gant übel./ I nostri genitori hanno sempre<br />

raccontato che la nostra stirpe dei Cimbri è venuta dal lontano Nord<br />

<strong>in</strong> tempo di guerra <strong>in</strong> terra italiana, poiché la grande battaglia aveva avuto<br />

per loro esito negativo”.<br />

~<br />

Imnhagal<strong>le</strong> era una misteriosa div<strong>in</strong>ità degli Arusnati, antica popolazione<br />

dell’Italia settentriona<strong>le</strong> (Verona, Valpolicella) probab<strong>il</strong>mente di orig<strong>in</strong>i<br />

gallo-celtiche.<br />

~<br />

Kvitekrist: <strong>il</strong> Cristo Bianco. Il vecchio nome norreno per <strong>in</strong>dicare Gesù,<br />

che rimpiazzò Od<strong>in</strong>o. Il grande Pan è morto fu <strong>il</strong> grido che annunciò, ai<br />

mar<strong>in</strong>ai egei, la caduta del<strong>le</strong> antiche div<strong>in</strong>ità e la f<strong>in</strong>e dell’Olimpo.<br />

~<br />

31


Cam<strong>il</strong>giar: nome di uno stregone dei monti Less<strong>in</strong>i.<br />

32 Zefer<strong>in</strong>a - <strong>bestiario</strong> e <strong>le</strong>ggende - © <strong>Asengard</strong> <strong>Edizioni</strong> srl - © Riccardo Coltri<br />

~<br />

Ultima Battaglia: <strong>il</strong> Ragnarök (o ragnarøkkr) della mitologia norrena: la<br />

battaglia f<strong>in</strong>a<strong>le</strong> <strong>in</strong> seguito alla qua<strong>le</strong> l’<strong>in</strong>tero mondo sarà distrutto e poi<br />

rigenerato. Sarà preceduto dal Fimbulvetr, un <strong>in</strong>verno terrib<strong>il</strong>e della durata<br />

di tre anni. Durante la battaglia, l’Yggdras<strong>il</strong>l, l’albero cosmico, sarà scosso.<br />

~<br />

Yggdras<strong>il</strong>l, l’albero del mondo, attorniato da diversi animali: sulla sommità<br />

c’è un’aqu<strong>il</strong>a e tra i suoi occhi un falco, quattro cervi balzano tra i<br />

rami, mangiandone <strong>le</strong> foglie. Tra <strong>le</strong> radici si muovono del<strong>le</strong> serpi, tra cui<br />

Níðhöggr, “colui che colpisce con odio”. Sulla cima di Yggdras<strong>il</strong>l c’è anche<br />

Víðópnir, <strong>il</strong> gallo dorato <strong>il</strong> cui canto annuncerà <strong>il</strong> Ragnarök, la f<strong>in</strong>e del<br />

mondo.<br />

~<br />

Una kenn<strong>in</strong>g (plura<strong>le</strong>: kenn<strong>in</strong>gar), molto diffusa fra i vich<strong>in</strong>ghi, era una<br />

“frase poetica” che sostituiva, con una metafora, un nome. Per esempio, <strong>il</strong><br />

mare era seġl-rād (“strada del<strong>le</strong> ve<strong>le</strong>”) e la “danza del verme della rugiada<br />

del massacro” la battaglia (“la rugiada del massacro” è <strong>il</strong> sangue, “<strong>il</strong> verme<br />

del sangue” è la spada, e la “danza del<strong>le</strong> spade” è la battaglia).<br />

~<br />

Il telo funebre che ricopriva la mummia di Cangrande fonde <strong>in</strong> un <strong>in</strong>treccio<br />

<strong>le</strong> figure di un oca, di un coniglio e di un <strong>le</strong>one. Quando l’occhio si<br />

ferma su uno degli animali disegnati, l’altro sembra scomparire.<br />

~<br />

La Porta Alchemica, detta anche Porta Magica o Porta Ermetica o Porta<br />

dei Cieli, è un monumento edificato tra <strong>il</strong> 1655 e <strong>il</strong> 1680 da Massim<strong>il</strong>iano<br />

Palombara marchese di Pietraforte (1614-1680) nella sua residenza roma-


na. Fra <strong>le</strong> epigrafi: horti magici <strong>in</strong>gressum hesperus custodit draco et s<strong>in</strong>e alcide<br />

colchicas delicias non gustasset lason (Il drago esperio custodisce l’<strong>in</strong>gresso<br />

del magico giard<strong>in</strong>o e, senza – la volontà di – Erco<strong>le</strong>, Giasone non potrebbe<br />

gustare <strong>le</strong> delizie della Colchide) e si sedes non is: <strong>il</strong> motto può essere<br />

<strong>le</strong>tto da s<strong>in</strong>istra a destra (“Se siedi non procedi”) e da destra a s<strong>in</strong>istra (“Se<br />

non siedi procedi”).<br />

Zefer<strong>in</strong>a - <strong>bestiario</strong> e <strong>le</strong>ggende - © <strong>Asengard</strong> <strong>Edizioni</strong> srl - © Riccardo Coltri<br />

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