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Legge e trasgressione: per una lettura ebraica di Svevo - WebLearn

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Giulio Savelli<br />

<strong>Legge</strong> e <strong>trasgressione</strong>: <strong>per</strong> <strong>una</strong> <strong>lettura</strong> <strong>ebraica</strong> <strong>di</strong> <strong>Svevo</strong><br />

Ettore Schmitz, come noto, non era credente. Se si cerca <strong>per</strong>ò <strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduare nel sistema<br />

assiologico <strong>di</strong> Italo <strong>Svevo</strong> un qualche valore che abbia caratteri <strong>di</strong> trascendenza, uno se ne può<br />

certamente trovare: è l’im<strong>per</strong>ativo ad essere adeguati al mondo così com’è dato. Più precisamente,<br />

in <strong>Svevo</strong> ha un carattere assiomatico e trascendente la convinzione che la conformità alle leggi del<br />

mondo sia il dovere morale ed esistenziale assegnato a ciascuno <strong>per</strong> essere in armonia con se stesso<br />

e con la vita, accanto alla convinzione che tale compito sia <strong>per</strong>ò impossibile da assolvere.<br />

La necessità <strong>di</strong> essere in accordo con ciò che la dura realtà prescrive – potremmo chiamarlo<br />

“principio <strong>di</strong> adeguatezza” – attraversa la narrativa occidentale dal Decameron al don Chisciotte,<br />

dal Robinson ai naturalisti. Si tratta essenzialmente <strong>di</strong> uno degli aspetti del processo <strong>di</strong><br />

laicizzazione, mondanizzazione e secolarizzazione del pensiero religioso. La natura e la realtà<br />

mondana prendono il posto della <strong>di</strong>vinità conservandone la forza prescrittiva: essere adattati al<br />

mondo – così com’è, cioè in tutt’altro modo da come dovrebbe essere – assume lo stesso valore e<br />

lo stesso significato morale che ha il seguire la legge <strong>di</strong>vina. Il principio <strong>di</strong> adeguatezza può<br />

declinarsi in moltissimi mo<strong>di</strong> e avere innumerevoli risvolti problematici. Che <strong>una</strong> realtà, nel testo,<br />

sia presentata come evidente e in<strong>di</strong>scutibile, è sempre, comunque, la sigla del principio <strong>di</strong><br />

adeguatezza – l’in<strong>di</strong>zio sicuro della presenza nel sistema <strong>di</strong> valori che lo sottende <strong>di</strong> un potere<br />

normativo para-<strong>di</strong>vino attribuito alle circostanze rappresentate. Non mere circostanze, cioè, ma<br />

determinazioni inappellabili, universali e insieme ovvie.<br />

Ciò accade anche quando la realtà si offre come un’evidenza non trasparente o risulta<br />

ad<strong>di</strong>rittura incomprensibile. Così in Kafka, dove il principio <strong>di</strong> adeguatezza si manifesta in termini<br />

spesso <strong>per</strong>secutori. L’inadeguatezza degli eroi <strong>di</strong> Kafka e <strong>di</strong> quelli sveviani è assai simile: entrambi<br />

cercano <strong>di</strong> fare del loro meglio <strong>per</strong> adattarsi al mondo e alle sue leggi, pur essendo chiaro fin dal<br />

principio che non ne saranno capaci. E la loro situazione è ben definita nell’apologo presentato e<br />

<strong>di</strong>scusso nel nono capitolo del Processo (intitolato, quale racconto autonomo, Di fronte alla <strong>Legge</strong>):<br />

un uomo <strong>di</strong> campagna si presenta davanti alla porta della <strong>Legge</strong>, dove un guar<strong>di</strong>ano gli proibisce<br />

<strong>per</strong>ò <strong>di</strong> entrare; l’uomo cerca <strong>di</strong> convincere il guar<strong>di</strong>ano, attendendo il <strong>per</strong>messo <strong>per</strong> tutta la vita; in<br />

punto <strong>di</strong> morte chiede <strong>per</strong>ché nessun altro <strong>per</strong> tanto tempo si fosse presentato a quella porta; il<br />

guar<strong>di</strong>ano risponde che l’ingresso era destinato solo a lui, e che non appena egli fosse morto lo<br />

avrebbe chiuso. Si tratta dunque <strong>di</strong> <strong>una</strong> storia in cui il destino si manifesta doppio e contrad<strong>di</strong>ttorio -<br />

da un lato quello <strong>di</strong> entrare nella <strong>Legge</strong>, dall’altro quello <strong>di</strong> non entrarvi.<br />

Cos’è la <strong>Legge</strong>? Per Kafka si tratta <strong>di</strong> un simbolo che in<strong>di</strong>ca la normatività più astratta e più<br />

alta, e che richiama la legge <strong>di</strong>vina nella cultura <strong>ebraica</strong>. Nell’apologo si <strong>di</strong>rebbe sia la <strong>Legge</strong> a<br />

prevedere un ingresso destinato all’uomo che si presenta alla sua porta; ed è la <strong>Legge</strong> che<br />

paradossalmente decreta la presenza <strong>di</strong> un guar<strong>di</strong>ano a inter<strong>di</strong>rne l’accesso. Per <strong>Svevo</strong> la necessità<br />

trascendente è invece rappresentata dalle leggi della natura, che vogliono ogni creatura adattata a<br />

suo modo all’ambiente. Così, all’altezza <strong>di</strong> Una vita, lo sono <strong>per</strong> esempio i gabbiani, capaci,<br />

malgrado il loro piccolo cervello, <strong>di</strong> tuffarsi a catturare il pesce – i gabbiani con cui Alfonso,<br />

durante <strong>una</strong> gita in barca nel golfo <strong>di</strong> Trieste, è dolorosamente messo a confronto da Macario 1 .<br />

1 Il passo è nel finale dell’VIII capitolo: “ - Fatti proprio <strong>per</strong> pescare e <strong>per</strong> mangiare, - filosofeggiò Macario. – Quanto<br />

poco cervello occorre <strong>per</strong> pigliare pesce! Il corpo è piccolo. Che cosa sarà la testa e che cosa sarà poi il cervello?<br />

Quantità da negligersi! Quello ch’è la sventura del pesce che finisce in bocca del gabbiano sono quelle ali, quegli occhi,<br />

1


All’altezza della Coscienza, lo saranno i frammenti saggistici e gli apologhi interrotti che parlano<br />

della nascita dell’umanità, in cui, <strong>per</strong> trattare il doloroso tema dell’evoluzione ovvero<br />

dell’adattamento e delle sue strategie, vengono sempre <strong>di</strong>visi, darwinianamente, gli organismi<br />

adattati da quelli inadattati 2 .<br />

Che l’adeguarsi al mondo sia la religione impossibile degli eroi sveviani appare evidente.<br />

Che questa esigenza trascendente non abbia tratto alimento solo da suggestioni e convincimenti<br />

filosofici e scientifici – Schopenhauer incrociato con un darwinismo sociale fortemente pessimistico<br />

– ma attinga a ra<strong>di</strong>ci più profonde e parzialmente inconsapevoli, ritengo sia un’ipotesi degna <strong>di</strong><br />

considerazione. Come in Kafka, anche in <strong>Svevo</strong> la necessità dell’adeguatezza al mondo si <strong>di</strong>rebbe<br />

<strong>per</strong> molti versi ricalcata, quale habitus esistenziale inelu<strong>di</strong>bile, sull’osservanza della legge <strong>di</strong>vina,<br />

che costituisce il nucleo culturale essenziale dell’identità <strong>ebraica</strong>. Il più evidente segno <strong>di</strong> tale<br />

origine si manifesta da un lato in alcuni caratteri peculiari dell’inadeguatezza degli eroi sveviani, da<br />

un altro nel ruolo della <strong>trasgressione</strong>.<br />

Da dove viene l’inadeguatezza? Si manifesta come fragilità <strong>di</strong> carattere: l’eroe sveviano si<br />

considera – e viene considerato dal narratore – privo <strong>di</strong> <strong>una</strong> volontà ferma, incapace <strong>di</strong> continuità e<br />

<strong>di</strong> coerenza. Nei due primi romanzi l’inadeguatezza è programmatica ed esibita. L’autore <strong>di</strong>spone<br />

<strong>una</strong> storia adatta a mettere in evidenza l’inadattamento <strong>di</strong> Alfonso e <strong>di</strong> Emilio, e il narratore si<br />

assume il compito <strong>di</strong> sottolinearne e deprecarne l’incapacità. Ciononostante, <strong>una</strong> simile mancanza <strong>di</strong><br />

adattamento alla realtà non rappresenta un impe<strong>di</strong>mento assoluto: <strong>per</strong> esempio, Alfonso è capace <strong>di</strong><br />

sedurre Annetta, così come Emilio sarà capace <strong>di</strong> lasciare Angiolina. Quello <strong>di</strong> cui Alfonso ed<br />

Emilio si accusano, e <strong>di</strong> cui sono accusati dal narratore, la loro vera inescusabile debolezza, è il<br />

fatto <strong>di</strong> soffrire. Se ci si chiede da dove questa debolezza e questa colpa nascano non si trova <strong>per</strong>ò<br />

un’origine chiara, ma la stessa matassa <strong>di</strong> circostanze da cui emerge l’inadeguatezza. L’incapacità,<br />

la colpa e la sofferenza rimandano circolarmente l’<strong>una</strong> all’altra e, in ultima analisi, hanno <strong>una</strong><br />

sostanza inesplicabile e un’origine indeterminata.<br />

È importante notare come <strong>una</strong> simile opacità non sia affatto intrinseca a <strong>una</strong> con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong><br />

inadeguatezza. Anche don Chisciotte, <strong>per</strong> esempio, è inadattato al mondo, ma a causa della sua<br />

assurda determinazione a essere un cavaliere errante: il suo è dunque un peccato della volontà - e in<br />

punto <strong>di</strong> morte può infatti convertirsi alla ragione. Oppure, all’opposto, se si prende a esempio uno<br />

snervato eroe <strong>di</strong> fine secolo come Hanno Buddenbrook, l’inadeguatezza non è affatto oscura, in<br />

quanto risulta ere<strong>di</strong>tata: del tutto estranea alla sua libertà, rappresenta l’esito <strong>di</strong> un’evoluzione <strong>di</strong> cui<br />

Hanno è il punto d’arrivo fatale.<br />

Rispetto a questi due poli estremi – il primo influenzato dalla dottrina cattolica del peccato,<br />

che lo fa risalire a <strong>una</strong> “mancanza <strong>di</strong> rettitu<strong>di</strong>ne nella volontà”, come <strong>di</strong>ce Tommaso d’Aquino<br />

(Summa Theologiae, I-II, q. 75), il secondo da quella protestante, che lo riconduce alla mancanza della<br />

grazia <strong>di</strong>vina – la posizione sveviana ha <strong>una</strong> chiara origine <strong>ebraica</strong>. Il peccato dell’inadeguatezza ha<br />

la sua ra<strong>di</strong>ce nel rapporto con la <strong>Legge</strong>. Avere costantemente presente tutto ciò che è prescritto,<br />

sa<strong>per</strong>e come lo si debba adempiere, essere conformi alla <strong>Legge</strong>, non è questione <strong>di</strong> volontà né <strong>di</strong><br />

grazia <strong>di</strong>vina – significa vivere la norma come cosa propria, essere normali. Sarebbe sufficiente che<br />

l’eroe sveviano facesse ciò che si deve fare, ciò che egli avrebbe il preciso dovere <strong>di</strong> fare, e sarebbe<br />

salvo; il problema, <strong>per</strong> lui, è capire cosa debba fare, e, se mai lo intuisce, trovare la forza <strong>per</strong><br />

compierlo. Non è questione <strong>di</strong> libero arbitrio, cioè <strong>di</strong> volontà riluttante o contraria, <strong>di</strong> scelta avversa<br />

e lo stomaco, l’appetito formidabile <strong>per</strong> sod<strong>di</strong>sfare il quale non è nulla quella caduta così dall’alto. Ma il cervello! Che<br />

cosa ci ha da fare il cervello col pigliar pesci? E lei che stu<strong>di</strong>a, che passa ore intere a tavolino a nutrire un essere inutile!<br />

Chi non ha le ali necessarie quando nasce non gli crescono mai più. Chi non sa <strong>per</strong> natura piombare a tempo debito sulla<br />

preda non lo imparerà giammai e inutilmente starà a guardare come fanno gli altri, non li saprà imitare. Si muore<br />

precisamente nello stato in cui si nasce, le mani organi <strong>per</strong> afferrare o anche inabili a tenere” (<strong>Svevo</strong> 2004a, 104-05).<br />

2 Il riferimento è a L’uomo e la teoria darwiniana, La corruzione dell’anima e L’apologo del Mammut (secondo la<br />

ripartizione proposta in <strong>Svevo</strong> 2004b).<br />

2


alla norma, ma dell’impossibilità <strong>di</strong> un’intima e spontanea conformità a quanto prescritto.<br />

L’adattamento mancante è l’adattamento alla <strong>Legge</strong>.<br />

Un simile inadattamento da un lato rende l’eroe <strong>di</strong> <strong>Svevo</strong> un “<strong>di</strong>verso” – cioè, <strong>ebraica</strong>mente,<br />

uno schlemiel - nel contesto della comunità cui fa riferimento; ma dall’altro, in quanto trasgressore<br />

involontario e incoercibile, lo rende incarnazione <strong>di</strong> <strong>una</strong> con<strong>di</strong>zione, peculiarmente umana e<br />

universale, <strong>di</strong> involontaria ma inevitabile inadempienza rispetto alla legge <strong>di</strong>vina. Lo rende, cioè,<br />

l’uomo post-adamitico, quello ostacolato e gravato dalla <strong>trasgressione</strong> – cristianamente, dal peccato<br />

originale.<br />

Nella sua introduzione critica a <strong>Svevo</strong>, Brian Moloney si chiedeva se “la concezione <strong>di</strong><br />

<strong>Svevo</strong> della natura umana” fosse “equivalente alla dottrina del peccato originale” 3 - un residuo,<br />

cioè, dell’educazione religiosa ricevuta da Ettore Schmitz. L’inadeguatezza può essere considerata<br />

peccato originale sia nel senso che è connaturata all’eroe sveviano, sia nel senso che implica <strong>una</strong><br />

colpa. Nella Coscienza <strong>di</strong> Zeno tale colpevole incapacità <strong>di</strong> essere adeguati a quanto è richiesto dal<br />

mondo coincide con la malattia, che nel Preambolo si manifesta, appunto, come <strong>una</strong> sorta <strong>di</strong><br />

“peccato originario”.<br />

Cercando in uno stato <strong>di</strong> rilassatezza autoindotto la propria infanzia più lontana, Zeno vede<br />

un bimbo in fasce, probabilmente il figlio appena nato <strong>di</strong> sua cognata, e commenta (<strong>Svevo</strong> 2004a,<br />

627):<br />

Povero bambino! Altro che ricordare la mia infanzia! Io non trovo neppure la via <strong>di</strong><br />

avvisare te, che vivi ora la tua, dell’importanza <strong>di</strong> ricordarla a vantaggio della tua<br />

intelligenza e della tua salute. (…) È impossibile tutelare la tua culla. Nel tuo seno –<br />

fantolino! – si va facendo <strong>una</strong> combinazione misteriosa. Ogni minuto che passa vi getta<br />

un reagente. Troppe probabilità <strong>di</strong> malattia vi sono <strong>per</strong> te, <strong>per</strong>ché non tutti i tuoi minuti<br />

possono essere puri. Eppoi – fantolino! – sei consanguineo <strong>di</strong> <strong>per</strong>sone ch’io conosco. I<br />

minuti che passano ora possono anche essere puri, ma, certo, tali non furono tutti i secoli<br />

che ti prepararono.<br />

Il bambino <strong>di</strong> Zeno sta contraendo un peccato originale, che non è <strong>per</strong>ò trasmesso, come<br />

sarebbe a partire da <strong>una</strong> matrice cristiana - agostiniana <strong>per</strong> la precisione - <strong>per</strong> via ere<strong>di</strong>taria,<br />

analogamente cioè a un tratto somatico o a <strong>una</strong> tara. Piuttosto, è <strong>una</strong> malattia ambientale,<br />

determinata dalla natura stessa dell’umanità e dalla vita: è conseguenza in<strong>di</strong>retta della malattia<br />

altrui. Allo stesso modo, nella religione <strong>ebraica</strong> la natura im<strong>per</strong>fetta dell’uomo è conseguenza del<br />

peccato adamitico, senza che <strong>per</strong>ò il peccato <strong>di</strong> Adamo e <strong>di</strong> Eva sia <strong>di</strong> ciascuno, in quanto non viene<br />

considerato <strong>una</strong> <strong>trasgressione</strong> <strong>per</strong>sonale. Piuttosto, quello che <strong>di</strong>scende dai progenitori primi è un<br />

peccato sgorgante dalla con<strong>di</strong>zione umana stessa, e solo in questo senso “originale”. Il fantolino è<br />

esposto alla malattia dalla natura manchevole, im<strong>per</strong>fetta, dell’umanità in cui si trova a vivere.<br />

Secondo il pensiero religioso ebraico, inoltre, nella Creazione si dà mescolanza <strong>di</strong> bene e<br />

male, <strong>una</strong> confusione degli ingre<strong>di</strong>enti dalla quale si genera il <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ne morale. La propagazione<br />

dell’impurità è tenuta sotto controllo dal rispetto del principio <strong>di</strong> separazione, <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong>vino, che<br />

si realizza attraverso l’adempimento dei precetti stabiliti dalla <strong>Legge</strong>. Questa e solo questa consente<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>videre bene da male. Ma la combinazione dei reagenti <strong>per</strong> <strong>Svevo</strong> è misteriosa, come la <strong>Legge</strong><br />

<strong>per</strong> Kafka, e la separazione impossibile. “Sono buono o cattivo io?” si chiederà Zeno 4 . Lo spazio<br />

3 Il contesto è costituito dalla valutazione <strong>di</strong> quali siano le funzioni dell’ironia nella Coscienza <strong>di</strong> Zeno, quali i valori <strong>di</strong><br />

<strong>Svevo</strong> e <strong>di</strong> che ruolo giochi eventualmente il nichilismo: “Here one is faced with questons which are <strong>per</strong>haps insoluble.<br />

Is <strong>Svevo</strong>’s view of human nature equivalent to the doctrine of Original Sin, a residue of his religious upbringing and<br />

another manifestation of the burden of Jewishness?” (Moloney 1974, 128).<br />

4 “Senza esserci accordati sulla <strong>di</strong>rezione della nostra passeggiata, avevamo finito come l'altra volta sull'erta <strong>di</strong> via<br />

Belvedere. Trovato il muricciuolo su cui s'era steso quella notte, Guido vi salì e vi si coricò proprio come l'altra volta.<br />

Egli canticchiava, forse sempre oppresso dai suoi pensieri, e me<strong>di</strong>tava certamente sulle inesorabili cifre della sua<br />

contabilità. Io invece ricordai che in quel luogo l'avevo voluto uccidere, e confrontando i miei sentimenti <strong>di</strong> allora con<br />

quelli <strong>di</strong> adesso, ammiravo <strong>una</strong> volta <strong>di</strong> più l'incomparabile originalità della vita. Ma improvvisamente ricordai che<br />

poco prima e <strong>per</strong> <strong>una</strong> bizza <strong>di</strong> <strong>per</strong>sona ambiziosa, avevo im<strong>per</strong>versato contro il povero Guido e ciò in <strong>una</strong> delle peggiori<br />

giornate della sua vita. Mi de<strong>di</strong>cai ad un'indagine: assistevo senza grande dolore alla tortura che veniva inflitta a Guido<br />

3


della risposta è quello della sua coscienza, così come l’inconscio è lo spazio dell’infrazione alle<br />

regole, dell’errore e della ribellione.<br />

Nella Coscienza <strong>di</strong> Zeno anche la <strong>trasgressione</strong> appartiene al vasto campo denominato<br />

«malattia». Rispetto ai due primi romanzi cambiano i termini stessi dell’inadeguatezza, sia <strong>per</strong><br />

l’universalità della malattia – è infatti la vita stessa “inquinata alle ra<strong>di</strong>ci” (<strong>Svevo</strong> 2004a, 1084), non<br />

il solo Zeno – sia <strong>per</strong>ché la <strong>trasgressione</strong> si manifesta come principio or<strong>di</strong>natore. La <strong>trasgressione</strong> è<br />

l’aspetto attivo, <strong>per</strong> così <strong>di</strong>re, dell’inadeguatezza: esemplarmente, è rappresentata dal fumo. Ma<br />

<strong>trasgressione</strong> può essere la sigaretta o l’amante, può essere ogni inosservanza, quale l’irresolutezza<br />

o la cosiddetta “malattia della parola”, la menzogna o l’autoinganno, può essere il lapsus: in ogni<br />

caso la <strong>trasgressione</strong> rimanda al desiderio. Come ha osservato Eduardo Saccone (1977, 13), “è (…)<br />

evidente il carattere assoluto, metafisico – e in verità senza oggetto, o <strong>per</strong> <strong>di</strong>r meglio cui nessun<br />

oggetto può veramente sod<strong>di</strong>sfare – <strong>di</strong> questo desiderio”. Per Zeno, <strong>di</strong> conseguenza, “quel che<br />

veramente importa (…) non è la realizzazione, ma la conservazione, la sussistenza del desiderio”,<br />

afferma Saccone. La <strong>trasgressione</strong> ha dunque la sua base nel <strong>di</strong>fferimento: solo l’attesa conserva il<br />

desiderio e solo il desiderio giustifica l’attesa. L’ultima sigaretta è appunto fondata sulla relazione<br />

fra la <strong>di</strong>namica <strong>di</strong> inter<strong>di</strong>zione e <strong>trasgressione</strong> con quella <strong>di</strong> desiderio e <strong>di</strong>fferimento<br />

dell’appagamento. I singoli atti in cui la <strong>trasgressione</strong> si realizza sono riferimenti simbolici, e<br />

ciascuno <strong>di</strong> essi è significante provvisorio <strong>di</strong> un significato ambiguo.<br />

Altrove ho sostenuto (Savelli 1998) che l’ambiguità – ossia l’indeterminatezza <strong>per</strong>sistente,<br />

ovvero il <strong>di</strong>fferimento, del senso - è il modello semiotico della Coscienza <strong>di</strong> Zeno. Vorrei qui notare<br />

come l’archetipo del <strong>di</strong>fferimento, la traccia al tempo stesso originaria e ovvia, sia stata<br />

probabilmente, <strong>per</strong> l’autore della Coscienza, quella rappresentata dal messianismo ebraico, in<br />

quanto modello culturale e postura mentale tra<strong>di</strong>zionalmente presenti nella sua cultura d’origine.<br />

Figura psichica del <strong>di</strong>fferimento e forma storicamente modellata della s<strong>per</strong>anza, l’attesa del Messia<br />

è un carattere peculiare della cultura <strong>ebraica</strong>, uno dei mastici che hanno garantito la coesione del<br />

popolo ebreo nella sua lunghissima storia, tanto da plasmarne la fisionomia. Il messianismo non è<br />

semplicemente elaborazione dell’attesa e sentimento <strong>di</strong> s<strong>per</strong>anza. Ha un’intrinseca connaturalità con<br />

la ricerca della verità e con il <strong>di</strong>fferimento necessario e interminabile del raggiungimento della<br />

verità <strong>di</strong>vina. L’interpretazione della <strong>Legge</strong> Orale e il rabbinismo, infatti, lasciano a<strong>per</strong>ta<br />

l’interpretazione del testo <strong>di</strong>vino in modo definitivo: non si può mai stabilire che quella data è<br />

l’interpretazione esaustiva, dopo la quale non c’è altro <strong>di</strong> <strong>di</strong>cibile. Osserva Stefano Levi Della Torre<br />

(1994, 27):<br />

Pensare <strong>di</strong> essere depositari del luogo dove sta la verità (la Torà), la verità<br />

universalmente valida e che tutto subor<strong>di</strong>na a sé; e tuttavia ritenere che lo scavo <strong>di</strong> questo<br />

vero non può avere fine, se non forse nel mondo avvenire, messianico, dove la parola e la<br />

cosa, significante e il significato torneranno ad unirsi: sa<strong>per</strong>e cioè dove cercare il vero, e<br />

insieme sa<strong>per</strong>e <strong>di</strong> non poterlo possedere veramente: questa contrad<strong>di</strong>zione dà movimento<br />

all’ebraismo.<br />

Questa contrad<strong>di</strong>zione è anche, esattamente, il movimento della Coscienza <strong>di</strong> Zeno, ed è la<br />

pratica dell’ambiguità, ossia del <strong>di</strong>fferimento del senso ultimo. La verità <strong>di</strong> Zeno sembra<br />

<strong>di</strong>menticata: ricordata interamente, porterebbe, nei termini <strong>di</strong> Zeno, alla salute – la malattia è in<strong>di</strong>zio<br />

<strong>di</strong> <strong>una</strong> verità im<strong>per</strong>fetta, “<strong>di</strong>menticata”, rimossa, in termini freu<strong>di</strong>ani. Un simile tipo <strong>di</strong> im<strong>per</strong>fezione<br />

del ricordo ha un suo rilievo nella teologia del giudaismo rabbinico. Così sintetizza la questione<br />

dal bilancio messo insieme da me con tanta cura e me ne venne un dubbio curioso e subito dopo un curiosissimo<br />

ricordo. Il dubbio: ero io buono o cattivo? Il ricordo, provocato improvvisamente dal dubbio che non era nuovo: mi<br />

vedevo bambino e vestito (ne sono certo) tuttavia in gonne corte, quando alzavo la mia faccia <strong>per</strong> domandare a mia<br />

madre sorridente: ‘Sono buono o cattivo, io?’” (<strong>Svevo</strong> 2004a, 973-74).<br />

4


Stemberger (2000, 219): “La Torà, un tempo data <strong>per</strong>fetta, a causa della debolezza dell’uomo è<br />

finita in parte nella <strong>di</strong>menticanza. Non si può più s<strong>per</strong>are in <strong>una</strong> nuova rivelazione. Tutto <strong>di</strong>pende<br />

ora dall’interpretazione umana. Essa è il tentativo senza fine <strong>di</strong> restaurare la <strong>per</strong>fezione originaria,<br />

un tentativo destinato <strong>per</strong> sua natura a rimanere im<strong>per</strong>fetto”. Tale posizione ermeneutica è uno dei<br />

mo<strong>di</strong> <strong>per</strong> far coesistere il testo biblico con l’assioma della sua <strong>per</strong>fezione. Ed è da un lato ciò che fa<br />

Zeno, dall’altro ciò che egli esige dal suo lettore: credere che esista <strong>una</strong> verità rimossa, avvicinabile<br />

attraverso l’interpretazione, <strong>di</strong> fatto irraggiungibile. Il messianismo è dunque, nella Coscienza,<br />

pratica dell’ambiguità, e si manifesta come indeterminabilità <strong>di</strong> quel particolare tipo <strong>di</strong> testo<br />

costituito dalla vita <strong>di</strong> Zeno, <strong>di</strong> cui il commento – le memorie scritte <strong>per</strong> il dottor S. – sono<br />

l’interpretazione. Potremmo <strong>di</strong>re: il Talmud.<br />

Sotto il profilo tematico, nella Coscienza <strong>di</strong> Zeno il messianismo si manifesta nella fede<br />

ingiustificata ma incrollabile nella salute. Questa fede ha il suo monumento e il suo archetipo in <strong>una</strong><br />

sigaretta che possa essere l’ultima e condurre alla guarigione. L’atto trasgressivo <strong>di</strong> fumare <strong>di</strong>venta<br />

così, debitamente ritualizzato, un principio or<strong>di</strong>natore analogo a quello rappresentato dalla religione<br />

rispetto al sacro.<br />

Qual è la grammatica dell’ultima sigaretta? Tipicamente, si articola in quattro elementi<br />

<strong>di</strong>screti fra loro eterogenei e in<strong>di</strong>pendenti: l’atto <strong>di</strong> fumare <strong>una</strong> sigaretta, il proposito <strong>di</strong> non fumare<br />

più, <strong>una</strong> data numericamente suggestiva, un evento associato a tale data. La coincidenza <strong>di</strong> questi<br />

quattro elementi rende tale il rito dell’ultima sigaretta 5 .<br />

Quanto alla forma, i suoi tratti ebraici sono subito evidenti nei due ultimi elementi, lo stile<br />

della data cioè, e il riferimento storico. “Certe date” – <strong>di</strong>ce Zeno – “erano da me preferite <strong>per</strong> la<br />

concordanza delle cifre”; ed esemplifica: “Nono giorno del nono mese del 1899”, “Primo giorno del<br />

primo mese del 1901”, “Terzo giorno del sesto mese del 1912 ore 24” (<strong>Svevo</strong> 2004a, 634) e così<br />

via. La forma del gioco numerico è quella dei testi sacri: <strong>per</strong> esempio: “Il Signore parlò a Mosè, nel<br />

deserto del Sinai, nella tenda del convegno, il primo giorno del secondo mese, il secondo anno<br />

dell'uscita dal paese d'Egitto” (Numeri, 1, 1); oppure: “Sia esaltato il Misericor<strong>di</strong>oso, che ha dato la<br />

triplice Torà al popolo triplice attraverso il terzogenito nel terzo giorno del terzo mese” (Talmud<br />

Babilonese, Shabbat, 88a).<br />

Circa il riferimento storico, afferma Zeno, “molti avvenimenti, anzi tutti, dalla morte <strong>di</strong> Pio<br />

IX alla nascita <strong>di</strong> mio figlio, mi parvero degli <strong>di</strong> essere festeggiati dal solito ferreo proposito. Tutti<br />

in famiglia si stupiscono della mia memoria <strong>per</strong> gli anniversari lieti e tristi e mi credono tanto<br />

buono!” (<strong>Svevo</strong> 2004a, 634-35). E conclude osservando che il tempo lineare, inarrestabile, <strong>per</strong> lui<br />

Zeno non è “quella cosa impensabile che non s’arresta mai. Da me, solo da me, ritorna” (<strong>Svevo</strong><br />

2004a, 635). E ciò grazie al rito delle ultime sigarette, che porta <strong>per</strong> ciasc<strong>una</strong> <strong>di</strong> esse <strong>una</strong> data e un<br />

avvenimento storico. A tale proposito, va notato che nella religione <strong>ebraica</strong> un precetto, spesso, è<br />

collegato a un ricordo della storia del popolo ebreo. Così, <strong>per</strong> esempio, il pane azzimo <strong>di</strong> Pasqua,<br />

con il quale ci si collega alla situazione vissuta nell’esodo dall’Egitto – la traversata del deserto - e<br />

la si rivive. A un momento storico è cioè associata <strong>una</strong> prescrizione rituale che la richiama. Il<br />

passato ritorna <strong>per</strong> gli Ebrei come <strong>per</strong> Zeno; la <strong>di</strong>fferenza è che l’atto <strong>di</strong> Zeno è anche il contrario <strong>di</strong><br />

un adempimento, è il rito della <strong>trasgressione</strong>, o meglio, è un pentimento che contiene in sé la<br />

<strong>trasgressione</strong>. Il fatto stesso del pentirsi attraverso l’atto da non ripetere rende paradossale il<br />

processo.<br />

Nella religione <strong>ebraica</strong>, come la <strong>trasgressione</strong> non ha necessariamente la stessa valenza etica<br />

e la stessa <strong>di</strong>mensione psicologica del peccato, così il pentimento è anzitutto ricongiungimento alla<br />

<strong>Legge</strong> e riparazione – letteralmente “ritorno”. Zeno ripara la <strong>trasgressione</strong> del fumo, si pente, ma il<br />

ricongiungimento alla <strong>Legge</strong> che proibisce il fumo non è mai definitivo. Non si potrebbe <strong>per</strong>ò<br />

5 Sulla “filosofia della storia” sottesa alla grammatica dell’ultima sigaretta e sul ruolo, in essa, del <strong>di</strong>fferimento del<br />

senso cfr. Savelli 1990.<br />

5


eplicare il ritorno se non fosse sempre rinnovata la <strong>di</strong>stanza, osserva Zeno 6 . La <strong>trasgressione</strong> è<br />

dunque necessaria <strong>per</strong> ripetere la riparazione. Questa è dunque <strong>una</strong> sorta <strong>di</strong> calco vuoto della <strong>Legge</strong>,<br />

tanto solido da poter creare un rito simmetrico ed equivalente a quelli della religione. Il rito<br />

dell’ultima sigaretta è un atto <strong>di</strong> riparazione alla rovescia che paro<strong>di</strong>zza la <strong>Legge</strong>: e in questo modo,<br />

speculare e rovesciato, ironico, ne <strong>di</strong>venta succedaneo.<br />

Così come la <strong>Legge</strong>, in quanto parola <strong>di</strong>vina, è oggetto <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o e <strong>di</strong> analisi, anche la<br />

<strong>trasgressione</strong> si presenta come oggetto <strong>di</strong> indagine. Perché <strong>una</strong> data numericamente costruita <strong>per</strong> la<br />

cerimonia dell’ultima sigaretta? Per la stessa ragione <strong>per</strong> la quale i rapporti numerici sono<br />

significativi nella lettera della Torà. Il gioco numerico e combinatorio delle ultime sigarette parla<br />

della necessità <strong>di</strong> interpretarne la valenza segreta, che <strong>per</strong>ò ness<strong>una</strong> tzeraf - ness<strong>una</strong> trasmutazione<br />

alchemica o letterale, cioè - riesce a cogliere definitivamente. L’applicazione dello spirito<br />

interpretativo proprio della Qabbaláh, anziché alla parola <strong>di</strong>vina, alla <strong>trasgressione</strong>, da un lato<br />

attribuisce a quest’ultima un significato inesauribile e infinito come quello della parola <strong>di</strong> Dio,<br />

dall’altro, con il sistematico fallimento dell’adempimento – la promessa, mai mantenuta, <strong>di</strong> smettere<br />

<strong>di</strong> fumare - fa riferimento a <strong>una</strong> <strong>Legge</strong> spostata e inconoscibile, alla quale si può solo alludere. Le<br />

ultime sigarette, nell’interrogarsi senza risposta <strong>di</strong> Zeno circa la loro necessità e il loro significato,<br />

rovesciano il sacro della Qabbaláh in esegesi impazzita della <strong>trasgressione</strong>. Questa, che è rottura<br />

della <strong>Legge</strong>, paro<strong>di</strong>zzandola allude a <strong>una</strong> sua antifrastica riconferma. Il Messia, <strong>per</strong> Zeno, si<br />

potrebbe <strong>di</strong>re, sarebbe l’autentica, impossibile Ultima Sigaretta, e non si può non avere fede nel suo<br />

arrivo. La forma paradossale del pensiero tipica della Coscienza <strong>di</strong> Zeno, a partire dalla sua matrice<br />

<strong>ebraica</strong>, appare come <strong>una</strong> forma ironica e negativa <strong>di</strong> religiosità.<br />

Per comprendere tale ambivalenza ironica su <strong>di</strong> un piano più ampio <strong>di</strong> quello ristretto alla<br />

vicenda interiore e biografica <strong>di</strong> Zeno Cosini occorre inoltre considerare lo strettissimo legame,<br />

nell’ebraismo, fra la <strong>di</strong>mensione religiosa della storia e quella profana. Nulla <strong>di</strong> ciò che il popolo<br />

ebraico ha incontrato nella sua storia millenaria è stato in<strong>di</strong>fferente rispetto alla fede. A tale<br />

proposito, la modernità può essere considerata – da ciascuno ma con particolare acutezza da chi è<br />

passato repentinamente dal ghetto all’assimilazione – <strong>una</strong> civiltà basata sulla <strong>trasgressione</strong>, in<br />

quanto fondata sul valore del nuovo e sull’inosservanza <strong>di</strong> ogni or<strong>di</strong>ne stabilito ab aeterno. Zeno è<br />

dalla parte della modernità, la rappresenta nel suo corpo stesso, letteralmente la incarna attraverso le<br />

sue infinite malattie, e assieme è contro <strong>di</strong> essa. La <strong>trasgressione</strong> <strong>di</strong> Zeno condensa dunque in sé<br />

un’ambivalenza fondamentale verso la modernità e la libertà dell’in<strong>di</strong>viduo: la malattia è infatti la<br />

<strong>trasgressione</strong> dell’”occhialuto uomo” che “inventa gli or<strong>di</strong>gni fuori del proprio corpo” 7 , ed è <strong>per</strong> un<br />

altro verso l’inadattamento umano, che tuttavia rappresenta anche la sua libertà e la sua creatività.<br />

Questa ambivalenza risulta evidente anche in due importanti frammenti saggistici della<br />

seconda stagione sveviana. In quello intitolato La corruzione dell’anima, <strong>Svevo</strong> (2004b) narra <strong>di</strong><br />

come Dio, terminata la Creazione, prosegua la sua o<strong>per</strong>a attraverso l’anima da lui assegnata a<br />

ciascun animale. L’anima infatti è “malcontenta”, ed è ciò che spinge ogni organismo a mo<strong>di</strong>ficarsi.<br />

Tutti gli animali, presto o tar<strong>di</strong>, arrivano a <strong>una</strong> loro compiutezza e pongono termine all’evoluzione,<br />

<strong>per</strong>dendo <strong>per</strong>ò anche l’anima. Solo nell’uomo ciò non accade: egli si evolve tramite la cultura e la<br />

tecnologia, e la sua anima rimane <strong>per</strong>ciò malcontenta e tormentosa. La corruzione dell’anima si<br />

connette all’altro frammento che va sotto il titolo L'uomo e la teoria darwiniana. <strong>Svevo</strong> qui scopre<br />

6 “Per <strong>di</strong>minuirne l’apparenza balorda tentai <strong>di</strong> dare un contenuto filosofico alla malattia dell’ultima sigaretta. Si <strong>di</strong>ce<br />

con un bellissimo atteggiamento ‘mai più!’. Ma dove va l’atteggiamento se si tiene la promessa? L’atteggiamento non è<br />

possibile <strong>di</strong> averlo che quando si deve rinnovare il proposito. Eppoi il tempo, <strong>per</strong> me, non è quella cosa impensabile che<br />

non s’arresta mai. Da me, solo da me, ritorna” (<strong>Svevo</strong> 2004a, 635).<br />

7 “Qualunque sforzo <strong>di</strong> darci la salute è vano. Questa non può appartenere che alla bestia che conosce un solo progresso,<br />

quello del proprio organismo. Allorché la ron<strong>di</strong>nella comprese che <strong>per</strong> essa non c'era altra possibile vita fuori<br />

dell'emigrazione, essa ingrossò il muscolo che muove le sue ali e che <strong>di</strong>venne la parte più considerevole del suo<br />

organismo. La talpa s'interrò e tutto il suo corpo si conformò al suo bisogno. Il cavallo s'ingrandì e trasformò il suo<br />

piede. Di alcuni animali non sappiamo il progresso, ma ci sarà stato e non avrà mai leso la loro salute. Ma l'occhialuto<br />

uomo, invece, inventa gli or<strong>di</strong>gni fuori del suo corpo e se c'è stata salute e nobiltà in chi li inventò, quasi sempre manca<br />

in chi li usa” (<strong>Svevo</strong> 2004a, 1084).<br />

6


che l'incompletezza, la “mancanza assoluta <strong>di</strong> uno sviluppo marcato in qualsivoglia senso” (<strong>Svevo</strong><br />

2004b, 849), se da un lato rappresenta nel presente <strong>una</strong> con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> inferiorità rispetto<br />

all'organismo <strong>per</strong>fettamente adattato, è da un altro <strong>di</strong>sponibilità a evolvere nella <strong>di</strong>rezione che sarà<br />

richiesta dai mutamenti dell'ambiente. Ciò significa la promessa <strong>di</strong> uno sviluppo maggiore e <strong>di</strong> <strong>una</strong><br />

idoneità al futuro che l'organismo ormai <strong>per</strong>fetto e immobile non possiede.<br />

Quanto <strong>una</strong> simile concezione dell’uomo appartenga alla cultura <strong>ebraica</strong> può risultare<br />

evidente da un semplice accostamento. Commentando la Genesi, Rabbi Loew, il Maharal, affermò<br />

che a <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> tutti gli altri animali, creati già <strong>per</strong>fetti, “solo l’essere umano non è stato creato<br />

in uno stato <strong>di</strong> compimento”: come i cieli sono in <strong>per</strong>enne movimento – affermò - così nell’uomo,<br />

“che non è stato creato all’inizio come un essere in riposo <strong>per</strong>fetto nel suo compimento, lo sforzo<br />

verso la <strong>per</strong>fezione e verso il riposo non può conoscere <strong>una</strong> fine, ma la sua <strong>per</strong>fezione consiste in<br />

questo <strong>per</strong>manente passaggio all’atto” 8 . Che un rabbino praghese del XVI secolo e un scrittore<br />

triestino del XX si trovino a ospitare pensieri simili attraverso immagini simili – gli animali creati<br />

compiuti, l’uomo <strong>per</strong>ennemente incompiuto e <strong>per</strong>ciò senza riposo - non credo possa considerarsi del<br />

tutto casuale. La natura im<strong>per</strong>fetta della Creazione e la capacità umana, attraverso l’adempimento<br />

delle prescrizioni <strong>di</strong>vine, <strong>di</strong> <strong>per</strong>fezionare se stesso, e <strong>di</strong> portare a compimento, con ciò, la stessa<br />

Creazione, è un pensiero tipicamente e forse esclusivamente ebraico. Così, <strong>per</strong> esempio, la<br />

circoncisione <strong>per</strong>feziona la creazione <strong>di</strong>vina, e riporta l’in<strong>di</strong>viduo nella con<strong>di</strong>zione precedente il<br />

peccato originale 9 . In <strong>Svevo</strong> questo pensiero è riplasmato in <strong>una</strong> sorta <strong>di</strong> teologia negativa:<br />

l’im<strong>per</strong>fezione della Creazione spinge invano l’uomo a cercare negli or<strong>di</strong>gni – succedanei impropri,<br />

inadeguati e potenzialmente auto<strong>di</strong>struttivi degli adempimenti <strong>di</strong>vini - il proprio <strong>per</strong>fezionamento;<br />

ma d’altra parte tale incompiutezza, irreparabile, è l’impronta che lo rende su<strong>per</strong>iore agli animali: la<br />

traccia residua <strong>di</strong> <strong>una</strong> <strong>di</strong>vinità in<strong>di</strong>viduabile solo attraverso il segno della sua mancanza.<br />

All’altezza della Coscienza, dunque, l’apologo dei gabbiani <strong>di</strong> Una vita non è cancellato ma<br />

rovesciato <strong>di</strong> segno: l’inferiorità dell’inetto, la sua im<strong>per</strong>fezione rispetto a creature compiutamente<br />

adattate come i gabbiani, è ora nella natura dell’uomo ed è il segno della sua anima. Un segno<br />

polisemico e molteplice, ambivalente, capace <strong>di</strong> innumerevoli trasmutazioni. L’anima umana è<br />

infatti irrequietezza e insod<strong>di</strong>sfazione su <strong>di</strong> un piano esistenziale, ma è anche ingegno e civiltà su <strong>di</strong><br />

un piano culturale; nel <strong>di</strong>scorso <strong>di</strong> Zeno è metaforizzata nella malattia, si esprime attraverso<br />

comportamenti che sfuggono al controllo pieno della coscienza, ed è riconosciuta come fonte tanto<br />

del progresso umano quanto della sua auto<strong>di</strong>struttività; su <strong>di</strong> un piano <strong>per</strong> così <strong>di</strong>re teologico<br />

l’anima si manifesta nel rifiuto della <strong>Legge</strong> - ma è anche la continuazione del progetto <strong>di</strong>vino nella<br />

libertà umana e nella sofferenza. L’”anima malcontenta” e senza riposo, caratteristica, fra tutti gli<br />

animali, solo dell’uomo, è <strong>di</strong> fatto il suo riflesso <strong>di</strong>vino, così come l’im<strong>per</strong>fezione e<br />

l’incompiutezza, tratti dolorosi dell’”uomo in abbozzo”, sono l’origine della creatività umana, della<br />

sua libertà e della sua salvifica o catastrofica capacità <strong>di</strong> creare gli “or<strong>di</strong>gni”.<br />

Nella letteratura critica l’ebraicità <strong>di</strong> <strong>Svevo</strong> è stata in genere considerata uno sfondo da<br />

tenere - <strong>per</strong>lopiù debolmente - presente; riferimenti più precisi hanno tuttavia illuminato no<strong>di</strong><br />

tematici, caratteri del protagonista o tracce sottese alla trama 10 . <strong>Svevo</strong>, da parte sua, l’ha sempre<br />

8<br />

Cit. in Levi della Torre 2003, 208. Sull’ebraicità del saggio sveviano La corruzione dell’anima cfr. De Angelis 2006,<br />

104-06. Sul Maharal cfr. Neher 1990.<br />

9<br />

La circoncisione rappresenta la formalizzazione del patto fra Dio e l’ebreo, stabilendo un legame solenne fra piano<br />

umano e piano spirituale: Adamo <strong>per</strong>se la circoncisione dopo il suo peccato, Noè, Giacobbe, Giuseppe e Mosè<br />

nacquero circoncisi.<br />

10<br />

Sul ruolo dell’ebraismo in <strong>Svevo</strong> va ricordato anzitutto il saggio <strong>di</strong> Giacomo Debenedetti intitolato <strong>Svevo</strong> e Schmitz<br />

uscito nel 1929 su “Il Convegno” (ora in Debenedetti 1982, 223-55), che articola la relazione fra autobiografia e<br />

letteratura attraverso il nesso nascosto della con<strong>di</strong>zione <strong>ebraica</strong> (a cui vanno affiancate le pagine <strong>di</strong> commento in<br />

Ghidetti 1980, 30-40); da ricordare, inoltre, almeno il saggio <strong>di</strong> Camerino La borghesia e la morte nello spirito ebraico<br />

(in Camerino 1974, 7-57), quello <strong>di</strong> Guido Lopez <strong>Svevo</strong>-Schmitz e Saba-Choen (in Lopez 1972, 235-74) e la parte<br />

7


<strong>di</strong>ssimulata, e complessivamente, dai non molti riferimenti che fa alle proprie origini, “<strong>Svevo</strong> viene<br />

fuori come il tipo dell’ebreo che intende conservare la clandestinità”, come sintetizza Elizabeth<br />

Schächter (2006). Ma è il rapporto con gli aspetti più astratti e profon<strong>di</strong>, con le matrici stesse del<br />

pensiero, a essere ebraico. Ed è il rapporto invisibile con la Halachah – con la norma – a pesare,<br />

assai più dell’influenza dell’Aggadah, l’altro volto della cultura <strong>ebraica</strong>, fatto <strong>di</strong> narrazione e <strong>di</strong><br />

apologhi, <strong>di</strong> leggenda e <strong>di</strong> folklore 11 . In particolare, che la Coscienza <strong>di</strong> Zeno sia impregnata <strong>di</strong> <strong>una</strong><br />

problematica in senso lato metafisica è più <strong>di</strong> un’ipotesi – che tale problematica abbia ra<strong>di</strong>ci nella<br />

cultura <strong>ebraica</strong> è assai verosimile. Messianismo, apocalisse e fine del tempo, purificazione ovvero<br />

guarigione attraverso la <strong>trasgressione</strong> – la libertà dalla <strong>Legge</strong> portata alle ultime conseguenze – si<br />

manifestano con evidenza nel finale, punto <strong>di</strong> fuga necessario alle tematiche metafisiche sviluppate<br />

sotto traccia psicologica. Come afferma Giovanni Palmieri (1997, 38), riferendosi all’Apocalisse <strong>di</strong><br />

Giovanni (XXI, 1), “è <strong>di</strong>fficile, se non impossibile, non sentire in questa millenaristica e salvifica<br />

escatologia cristiana le tracce originarie del più schietto messianismo ebraico”. L’ultima sigaretta<br />

<strong>di</strong>venta l’esplosivo incomparabile che riporta alla salute, in quanto è appunto il gesto trasgressivo, il<br />

male, ad avere la funzione or<strong>di</strong>natrice propria della <strong>Legge</strong>.<br />

La Coscienza <strong>di</strong> Zeno è intimamente legata all’es<strong>per</strong>ienza della Prima guerra mon<strong>di</strong>ale e<br />

delle sue carneficine, ed è stata imme<strong>di</strong>atamente preceduta da un saggio sulla pace, primo tentativo<br />

<strong>di</strong> risposta al problema del male assoluto rappresentato dalla guerra. Dopo decenni <strong>di</strong> abbandono<br />

non della scrittura ma certamente <strong>di</strong> prove impegnative, in <strong>Svevo</strong> si fa strada, in un contesto<br />

esistenziale ormai mutato, in cui l’inetto aveva avuto modo <strong>di</strong> s<strong>per</strong>imentare la propria attitu<strong>di</strong>ne alla<br />

vita e all’azione, un’urgenza nuova. L’esigenza, impellente, consiste nel confronto con il male.<br />

Prima dunque il tentativo <strong>di</strong> un saggio, poi il ritorno alla narrazione. La coscienza è un es<strong>per</strong>imento<br />

mentale in cui, <strong>per</strong> comprendere la natura ultima del male, questo è ridotto al minimo inevitabile, e<br />

viene rigorosamente isolato nei confini <strong>di</strong> un singolo in<strong>di</strong>viduo. Nulla si accanisce contro Zeno,<br />

come invece era stato <strong>per</strong> Alfonso e <strong>per</strong> Emilio. Zeno è un uomo benestante, sano, intelligente,<br />

fort<strong>una</strong>to, libero da vincoli, can<strong>di</strong>dato alla serenità: cos’è allora la malattia? Rispondendo si trova<br />

non solo la malattia <strong>di</strong> Zeno, ma la natura stessa del male, la sua essenza metafisica. Poiché la scala<br />

su cui viene condotta l’indagine è quella dell’interiorità più essenziale, la scrittura ricorre non ai<br />

modelli letterari s<strong>per</strong>imentati nella gioventù, ma al registro della scrittura intima, all’umorismo, alla<br />

messa in scena <strong>di</strong> materiali appartenenti alla sfera privata quali il fumo e la nevrosi. E poiché la<br />

domanda e la risposta hanno invece <strong>una</strong> natura metafisica, la religione dell’infanzia rappresenta il<br />

filo al tempo stesso più intimo e più appropriato <strong>per</strong> l’or<strong>di</strong>to del romanzo.<br />

Nell’ultimo <strong>Svevo</strong> un ironico ritorno alla <strong>Legge</strong> si realizza nella considerazione della<br />

vecchiaia come fine del tempo, <strong>una</strong> sorta <strong>di</strong> sorniona apocalisse in progress. Nel frammento <strong>di</strong><br />

Mefistofele il vecchio Zeno mette in scacco il <strong>di</strong>avolo che gli propone <strong>di</strong> ri<strong>di</strong>ventare giovane. Zeno<br />

accetterebbe infatti <strong>di</strong> dare al <strong>di</strong>avolo la sua anima a patto che questi sappia offrirgli “<strong>una</strong> cosa<br />

molto nuova, <strong>una</strong> cosa che mai conobbi”; questa cosa <strong>per</strong>ò <strong>per</strong> un vecchio non esiste, e Mefistofele<br />

“seduto nel suo inferno (…) si gratta la barba imbarazzato” 12 .<br />

de<strong>di</strong>cata a <strong>Svevo</strong> in De Angelis 2006. Sul protagonista sveviano come schlemiel si veda <strong>di</strong> Brian Moloney <strong>Svevo</strong> as a<br />

Jewish Writer (Moloney, 1973); su <strong>di</strong> un sottotesto biblico in un capitolo della Coscienza cfr. Moretti 1995.<br />

11 Sull’opposizione complementare <strong>di</strong> questi due aspetti della spiritualità e della cultura <strong>ebraica</strong>, compresenti nel<br />

Talmud sotto la forma <strong>di</strong> prescrizioni legali (Halachah) e <strong>di</strong> narrazioni (Aggadah), cfr. il saggio del 1915 <strong>di</strong> Chaim<br />

Nachman Bialik Halachah e Aggadah (Bialik 2006), significativo <strong>per</strong> il <strong>di</strong>battito su Kafka fra Scholem e Benjamin, che<br />

considerava gli apologhi kafkiani modellati sulla tra<strong>di</strong>zione agga<strong>di</strong>ca ma privati del riferimento alla norma halachica. Al<br />

proposito cfr. Scaramuzza 1994.<br />

12 “È l’ora in cui Mefistofele potrebbe apparirmi e propormi <strong>di</strong> ri<strong>di</strong>ventare giovine. Non accetterei. Rifiuterei<br />

sdegnosamente. Lo giuro. Ma che cosa gli domanderei allora io che non vorrei neppure essere vecchio e che non<br />

desidero <strong>di</strong> morire? Dio mio! Com’è <strong>di</strong>fficile <strong>di</strong> domandare qualche cosa quando non si è più un bimbo. È <strong>una</strong> fort<strong>una</strong><br />

che Mefistofele <strong>per</strong> me non si scomoderà. Ma se pur venisse ora che debbo attraversare il corridoio buio <strong>per</strong> recarmi a<br />

letto gli <strong>di</strong>rei: Dimmi tu che sai tutto quello che debbo domandare. E gli abbandonerei l’anima mia solo se m’offrisse<br />

<strong>una</strong> cosa molto nuova, <strong>una</strong> cosa che mai conobbi <strong>per</strong>ché non vi sono giorni della mia vita che vorrei rifare ora che so<br />

dove mi condussero. Non verrà. Io lo vedo seduto nel suo inferno che si gratta la barba imbarazzato.<br />

8


Come Faust, eroe della modernità 13 , Zeno accetta <strong>di</strong> scommettere con Mefistofele. Ma se<br />

Faust era certo <strong>di</strong> poter bramare sempre ancora qualcosa, e dunque <strong>di</strong> non <strong>di</strong>re mai “attimo fermati”,<br />

Zeno rovescia su Mefistofele il compito <strong>di</strong> proporre qualcosa <strong>di</strong> faustianamente desiderabile, cioè <strong>di</strong><br />

ra<strong>di</strong>calmente nuovo. In questo modo sposta il vessillo della modernità dalle mani <strong>di</strong> Faust a quelle<br />

<strong>di</strong> Mefistofele, legandoli implicitamente in un patto ormai consumato – quello <strong>di</strong> <strong>una</strong> modernità<br />

compromessa col <strong>di</strong>abolico, in cui il desiderio umano <strong>di</strong> Faust trova sod<strong>di</strong>sfazione ovvia attraverso i<br />

mezzi del maligno, e in cui l’anima si <strong>per</strong>de nel desiderio consegnandosi nelle mani <strong>di</strong> chi sa<br />

sempre procurarle la novità. Di fronte agli allettamenti <strong>di</strong> questa modernità, Zeno non nega affatto<br />

la propria debolezza: ammette che, tanto <strong>per</strong> Faust quanto <strong>per</strong> lui Zeno, il desiderio e la vita stiano<br />

nella novità ra<strong>di</strong>cale, e si pone in <strong>una</strong> posizione che, in apparenza, è <strong>di</strong> attesa curiosa e <strong>di</strong>sponibile.<br />

Ma contro Mefistofele Zeno gioca <strong>una</strong> mossa simmetrica all’inesauribile novità che il<br />

maligno è capace <strong>di</strong> proporre: evoca la qualità abissale del tempo, la natura sempre identica<br />

dell’umanità, la ripetizione inevitabile dell’es<strong>per</strong>ienza. Se Mefistofele e Faust sono la novità, il<br />

vecchio Zeno rappresenta colui che tutto ha visto, e che può solo ritornare a fare es<strong>per</strong>ienza <strong>di</strong><br />

quanto ha già vissuto. Zeno svaluta infinitamente il nuovo, lo <strong>di</strong>luisce fino all’irrilevanza nella<br />

profon<strong>di</strong>tà del tempo, <strong>di</strong> cui egli, il vecchio, è custode e ban<strong>di</strong>era. Questa mossa antimefistofelica e<br />

antimoderna è schiettamente biblica. Zeno infatti ricorre all’antidoto assoluto della modernità –<br />

l’antichissimo e sempre efficace Qohèlet (noto anche come Ecclesiaste). In questo testo sapienziale<br />

ebraico del III o IV secolo prima <strong>di</strong> Cristo, si mostra con dolente veemenza come tutto sia vano,<br />

come ogni proposito si <strong>per</strong>da e ogni giustizia sia ignorata, come l’es<strong>per</strong>ienza del mondo sia la<br />

ripetizione degli stessi errori, delle stesse follie e degli stessi dolori: “C’è forse qualcosa <strong>di</strong> cui si<br />

possa <strong>di</strong>re: ‘Ecco, questa è nuova’? Proprio questa è già stata nei secoli prima <strong>di</strong> noi. Non c’è più<br />

ricordo delle cose passate, come non ci sarà delle cose avvenire presso coloro che dopo vivranno”<br />

(Qohèlet, 1, 10). Qohèlet è il libro dell’ebraismo dove lo scorrere del tempo non è storia del popolo<br />

eletto, storia carica <strong>di</strong> significato, ma un moto ciclico e un abisso senza senso, in cui l’infinito<br />

desiderare degli uomini si ripete stoltamente, e Dio è lontano, e si guarda bene dall’intervenire.<br />

Se, come insegna il Qohèlet, nulla può davvero essere nuovo, la vecchiaia, in quanto priva<br />

<strong>di</strong> futuro e carica <strong>di</strong> passato, è la con<strong>di</strong>zione dell’esistenza che rende evidente l’immobilità del<br />

tempo. Diventa così guarigione dalla modernità, dal desiderio, dalla <strong>trasgressione</strong>: un ritorno<br />

paradossale alla <strong>Legge</strong>, giocato sulla fine del desiderio attraverso la fine del tempo. Anche sotto<br />

questa luce, l’apocalisse che chiude la Coscienza va letta in chiave escatologica: solo la fine del<br />

tempo e della storia rappresenta <strong>per</strong> l’uomo della modernità il ritorno alla <strong>Legge</strong>: “La storia termina<br />

quando si fa ciò che si deve senza esitazioni e proteste” 14 . La malattia porta alla salute, ma <strong>una</strong><br />

salute che corrisponde al nulla. Dunque all’affermazione messianica <strong>di</strong> <strong>una</strong> <strong>Legge</strong> che, come <strong>per</strong><br />

l’uomo <strong>di</strong> campagna della parabola <strong>di</strong> Kafka, è in definitiva il nulla costituito dalla morte. Nella<br />

vecchiaia dell’ultimo <strong>Svevo</strong> questo nulla coincide con il tutto, cioè con la vita stessa, dove il nuovo,<br />

che rappresenta <strong>una</strong> s<strong>per</strong>anza <strong>di</strong> sollievo, è solo illusione.<br />

La parola del mondo, come quella <strong>di</strong>vina nel Giobbe <strong>di</strong> Jung, è babelica e inafferrabile: è il<br />

<strong>di</strong>scorso della follia. E se c’è chi sembra comprendere e obbe<strong>di</strong>re con semplice naturalezza, l’eroe<br />

<strong>di</strong> <strong>Svevo</strong> – come quello <strong>di</strong> Kafka – <strong>per</strong> quanto ascolti con attenzione non ne è capace. “Ricordo<br />

tutto, ma non intendo niente” afferma Zeno (<strong>Svevo</strong> 2004a, 654). Sarebbe sufficiente intuire l’errore<br />

<strong>per</strong> riparare, ma non si riesce ad afferrare quale esso sia. Il poter sbagliare, l’essere soggetti<br />

all’inosservanza a prescindere dal valore morale attribuibile a questa, è <strong>una</strong> con<strong>di</strong>zione tipicamente<br />

<strong>ebraica</strong>. “L’errore – scrive Stefano Levi della Torre (2003, 216-17) – è quasi intenzionalmente<br />

Ecco che debbo a queste annotazioni il conforto <strong>di</strong> ridere al momento <strong>di</strong> recarmi a letto. E Augusta borbotterà destata<br />

solo a mezzo: Ri<strong>di</strong> sempre tu, anche a quest’ora. Beato te” (<strong>Svevo</strong> 2004a, 1664).<br />

13 Cfr. al proposito il primo capitolo, de<strong>di</strong>cato a Faust, in Berman 1985.<br />

14 Non avendo rintracciato l’aforisma nell’e<strong>di</strong>zione mondadoriana delle o<strong>per</strong>e <strong>di</strong> <strong>Svevo</strong> <strong>di</strong>retta da Mario Lavagetto mi<br />

rifaccio a <strong>Svevo</strong> 1954, 388.<br />

9


inscritto nel numero esorbitante dei precetti (613 mitzwot) che gli ebrei si sono imposti”. Ciò<br />

prevede sia l’inevitabile fatalità del peccare sia, <strong>per</strong>ò, la possibilità <strong>di</strong> riparare al proprio errore. “La<br />

moltiplicazione delle regole – scrive sempre Levi della Torre - offre all’essere umano la possibilità<br />

<strong>di</strong> riconoscersi come trasgressore <strong>di</strong> qualcosa <strong>di</strong> determinato, <strong>di</strong> uno o più precetti formalizzati, così<br />

da preservarlo dal senso <strong>di</strong> colpa <strong>per</strong> donargli il rimorso”. È appunto il rimorso, che prevede<br />

correzione e riparazione, a essere inattingibile quando crolla “il castello dei precetti”.<br />

L’inadeguatezza degli eroi <strong>di</strong> <strong>Svevo</strong> è <strong>ebraica</strong> <strong>per</strong>ché, storicamente, l’assimilazione, andando <strong>di</strong> pari<br />

passo con la secolarizzazione, ha condotto a un <strong>di</strong>sconoscimento della lettera della <strong>Legge</strong>. La sua<br />

forza prescrittiva si è tramutata nella forza del mondo, e gli adempimenti che esige hanno<br />

cominciato a vagare come fantasmi gonfi <strong>di</strong> recriminazioni nello spazio rappresentato dalla nuova<br />

libertà dell’in<strong>di</strong>viduo. Con la libertà si è manifestata la colpa, assieme all’evidenza del non poter<br />

identificare e <strong>per</strong>correre la propria via. Com’è <strong>per</strong> Alfonso Nitti, come deve s<strong>per</strong>imentare l’ebreo<br />

Emilio Brentani 15 – come appunto accade all’uomo <strong>di</strong> campagna <strong>di</strong> fronte alla porta della <strong>Legge</strong>. Ed<br />

è la <strong>trasgressione</strong> – e non il rispetto dei precetti – ciò a cui ricorre Zeno <strong>per</strong> far sì che il rimorso<br />

possa farsi dolorosamente strada nella colpa, e a sostituirsi ad essa.<br />

La colpa e il male, la malattia e l’inettitu<strong>di</strong>ne, la libertà, sono cioè il corollario esistenziale<br />

della modernità e dall’uscita dal mondo della <strong>Legge</strong>, assieme al costante e inelu<strong>di</strong>bile riferimento a<br />

questa. Tutti temi che la letteratura <strong>ebraica</strong> del Novecento – da Kafka a Philip Roth a Mordecai<br />

Richler – ha variamente sviluppato, e che si riassumono nel problema <strong>di</strong> quale sia il significato della<br />

vita a fronte all’inevitabile rottura con quella forza prescrittiva trascendente capace <strong>di</strong> plasmare e<br />

insieme dare senso all’esistenza dell’in<strong>di</strong>viduo. In questa tra<strong>di</strong>zione, <strong>di</strong>s<strong>per</strong>sa nelle lingue e<br />

<strong>di</strong>sseminata nelle letterature, si colloca a pieno titolo l’o<strong>per</strong>a <strong>di</strong> Italo <strong>Svevo</strong>.<br />

Bibliografia<br />

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1985 L'es<strong>per</strong>ienza della modernità, Bologna, Il Mulino (ed. or. All that is Solid Melts into<br />

Air. The Ex<strong>per</strong>ience of Modernity, New York, Simon and Schuster, 1982).<br />

Bialik C. N.<br />

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Boringhieri (ed. or. Halachah we-aggadah in Keneset. Divre sifrut, Odessa - -<br />

- , 1916-1917).<br />

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1974 Italo <strong>Svevo</strong> e la crisi della Mitteleuropa, Firenze, Le Monnier.<br />

De Angelis L.<br />

2006 Qualcosa <strong>di</strong> più intimo. Aspetti della scrittura <strong>ebraica</strong> del Novecento italiano: da<br />

<strong>Svevo</strong> a Bassani, Firenze, Giuntina.<br />

Debenedetti G.<br />

1982 Saggi, cur. F. Contorbia, Milano, Mondadori.<br />

Ghidetti E.<br />

1980 Italo <strong>Svevo</strong>. La coscienza <strong>di</strong> un borghese triestino, Roma, E<strong>di</strong>tori Riuniti.<br />

15 Che Emilio Brentani sia ebreo lo afferma lo stesso <strong>Svevo</strong>. In occasione della nuova e<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> Senilità nel 1927,<br />

<strong>Svevo</strong> premette al romanzo <strong>una</strong> prefazione. In <strong>una</strong> prima redazione <strong>di</strong> questa, spiegando la conservazione <strong>di</strong> un titolo,<br />

Senilità, che lascia <strong>per</strong>plesso Larbaud e che riferito a un trentacinquenne come Emilio appare a lui stesso, ora che è<br />

anziano, in un certo senso inappropriato, <strong>Svevo</strong> scrive: “Ci devono essere <strong>per</strong> questo [non sa<strong>per</strong> mutare il titolo] dei<br />

motivi fortissimi, tanto forti che non saprei nemmeno <strong>di</strong>rli. Mi sembrerebbe proprio <strong>di</strong> mutilare il libro privandolo del<br />

suo titolo. Io non so neppure l’origine <strong>di</strong> esso, non so se attribuii un carattere senile al protagonista del romanzo, alla<br />

sua razza (a proposito: mi accorgo <strong>di</strong> non aver mai trovato il modo <strong>di</strong> <strong>di</strong>re che era un ebreo), o all’ambiente in cui si<br />

muoveva. Ma è certo che il titolo mi guidò e lo vissi” (P1 Prefazione in <strong>Svevo</strong> 2004a, 1347).<br />

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Levi della Torre S.<br />

1994 Mosaico. Attualità e inattualità degli ebrei, Torino, Rosemberg&Sellier.<br />

2003 Zone <strong>di</strong> turbolenza, Milano, Feltrinelli.<br />

Lopez G.<br />

1972 I ver<strong>di</strong>, i viola e gli arancioni, Milano, Mondadori.<br />

Moloney B.<br />

1973 <strong>Svevo</strong> as a Jewish Writer, in “Italian Stu<strong>di</strong>es”, XXVII.<br />

1974 Italo <strong>Svevo</strong>. A Critical Introduction, E<strong>di</strong>nburgh, E<strong>di</strong>nburgh UP.<br />

Moretti G.<br />

1995 Le storie <strong>di</strong> Giacobbe. Strutture bibliche nella Coscienza <strong>di</strong> Zeno, in “Rivista <strong>di</strong><br />

letteratura italiana”, XIII, 1-2.<br />

Neher A.<br />

1990 Il pozzo dell’esilio. La teologia <strong>di</strong>alettica del Maharal <strong>di</strong> Praga, Genova-Milano,<br />

Marietti (ed. or. Le Puits de l’Exil, Paris, Albin Michel, 1966).<br />

Palmieri G.<br />

1997 Apocalypse Now. Il finale nella «Coscienza <strong>di</strong> Zeno», in “Aghios”, 1.<br />

Saccone E.<br />

1977 Il poeta travestito. Otto scritti su <strong>Svevo</strong>, Pisa, Pacini.<br />

Savelli G.<br />

1990 Ultima sigaretta, eventi e storia nella Coscienza <strong>di</strong> Zeno, in “MLN”, 105/1.<br />

1998 L’ambiguità necessaria. Zeno e il suo lettore, Milano, Franco Angeli.<br />

Scaramuzza G.<br />

1994 Walter Benjamin lettore <strong>di</strong> Kafka, Milano, Unicopli.<br />

Schächter E.<br />

2006 Italo <strong>Svevo</strong>: l’angoscia dell’assimilazione, www.keshet.it. (ed. or. The Anguish of<br />

Assimilation: The Case of Italo <strong>Svevo</strong>, relazione presentata al convegno “Freud and Italian<br />

Culture”, Londra, Istituto Italiano <strong>di</strong> Cultura, 30 giugno - 1 luglio 2006, ora in Freud and the<br />

Italian Culture, ed. by P. Barrotta, L. Lepschy with E. Bond, Oxford, Peter Lang AG -<br />

International Academic Publisher, 2009).<br />

Stemberger G.<br />

2000 Ermeneutica <strong>ebraica</strong> della Bibbia, Flero, Paideia (ed. or. C. Dohmen – G. Stemberger,<br />

Hermeneutik der Jü<strong>di</strong>schen Bibel und des Alten Testaments, Stuttgart - Berlin – Köln,<br />

Kohlhammer, 1996).<br />

<strong>Svevo</strong> I.<br />

1954 Saggi e pagine sparse, cur. U. Apollonio, Milano, Mondadori.<br />

2004a Romanzi e «Continuazioni», e<strong>di</strong>zione critica con apparato genetico e commento <strong>di</strong> N.<br />

Palmieri e F. Vittorini, saggio introduttivo e cronologia <strong>di</strong> M. Lavagetto, Milano,<br />

Mondadori.<br />

2004b Teatro e Saggi, e<strong>di</strong>zione critica con apparato genetico e commento <strong>di</strong> F. Bertoni,<br />

saggio introduttivo e cronologia <strong>di</strong> M. Lavagetto, Milano, Mondadori.<br />

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