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IMPLEMENTAZIONE DI UNA STRATEGIA PARTECIPATA<br />

DI RISPARMIO IDRICO E RICARICA ARTIFICIALE PER IL<br />

RIEQUILIBRIO QUANTITATIVO DELLA FALDA DELL'ALTA<br />

PIANURA VICENTINA<br />

coordinatore<br />

codice azione<br />

elaborato<br />

RELAZIONE<br />

00<br />

PROVINCIA<br />

DI VICENZA<br />

A.6<br />

15.07.2012<br />

partner<br />

titolo partner responsabile<br />

PROTOCOLLO TECNICO PER LA PROGETTAZIONE,<br />

REALIZZAZIONE E GESTIONE IDRAULICA E<br />

AMBIENTALE DEGLI INTERVENTI PER LA RICARICA<br />

DELLE FALDE<br />

prima emissione<br />

F.Dalla Venezia<br />

L.Agostinetto<br />

Veneto<br />

Agricoltura<br />

F. Correale Santacroce T. Muraro<br />

rev. data descrizione revisione redatto verificato approvato<br />

S T U D I O ECO<br />

INGEGNO<br />

coordinamento tecnico-scientifico a m b i e n t e & t e r r i t o r i o


SOMMARIO<br />

1 LINEE GUIDA ......................................................................................................................................................... 2<br />

1.1 INTRODUZIONE ............................................................................................................................................ 2<br />

1.1.1 I processi naturali di infiltrazione delle acque in falda ............................................................................... 3<br />

1.1.2 I processi artificiali di infiltrazione delle acque in falda............................................................................. 4<br />

1.2 LE TECNICHE DI RICARICA ARTIFICIALE DELLA FALDA................................................................... 5<br />

1.2.1 Le aree Forestali di Infiltrazione (AFI) ....................................................................................................... 5<br />

1.2.2 Altre tecniche di ricarica ........................................................................................................................... 64<br />

2 SCELTA DEI SITI: INDICE DI VOCAZIONE ................................................................................................. 65<br />

2.1 IL SOTTOSUOLO: ASPETTI IDROGEOPEDOLOGICI .............................................................................................. 65<br />

2.2 IL SOPRASSUOLO: LA DESTINAZIONE D’USO DEL SUOLO, CIOÈ COSA C’È NELL’AREA SOPRA IL SUOLO............. 69<br />

3 RIFERIMENTI ...................................................................................................................................................... 73<br />

3.1 BIBLIOGRAFIA ............................................................................................................................................ 73<br />

4 APPENDICI............................................................................................................................................................ 75<br />

APPENDICE 1.............................................................................................................................................................. 75<br />

A1.1 SPECIE ARBUSTIVE ................................................................................................................................................ 75<br />

A1.2 SPECIE ARBOREE ................................................................................................................................................... 84<br />

APPENDICE 2............................................................................................................................................................ 101<br />

A.2.1 QUESTIONARIO PER CRITERI VALUTAZIONE VOCAZIONE DEI SITI ALLA RICARICA DELLE FALDE ........................ 101<br />

APPENDICE 3............................................................................................................................................................ 104<br />

A.2.1 PROGETTO DI SPORTELLO TECNICO.................................................................................................................... 104


1 LINEE GUIDA<br />

1.1 INTRODUZIONE<br />

L’area dell’alta pianura rappresenta la fascia di territorio più importante dal punto di vista<br />

idrogeologico, in quanto sede di ricarica di tutti gli acquiferi sotterranei e principale risorsa<br />

idropotabile della pianura veneta.<br />

Questa zona è costituita da un materasso alluvionale ghiaioso-sabbioso indifferenziato ad alta<br />

permeabilità, profonda circa un centinaio di metri, caratterizzata dalla presenza di un’unica falda a<br />

superficie libera che si estende dai rilievi fino alla linea delle risorgive.<br />

Essa regola, da un punto di vista idraulico, le variazioni delle riserve idriche profonde verso sud,<br />

quelle cioè interessate dalle attività di emungimento.<br />

A partire dagli anni ‘60 le riserve idriche del sistema idrogeologico delle pianure alluvionali stanno<br />

progressivamente diminuendo.<br />

Gli effetti dell’abbassamento della falda sono gravi e hanno portato ad una sensibile<br />

depressurizzazione delle falde artesiane della media pianura, una forte riduzione di risorse idriche<br />

a fini irrigui, potabili e civili, la compromissione del sistema delle risorgive con la scomparsa di molti<br />

fontanili, la drastica diminuzione della portata totale dei fiumi nati da risorgiva con conseguente<br />

riduzione dell’habitat di specie vegetali ed animali.<br />

Le principali cause che hanno determinato la diminuzione del livello di falda sono imputabili ai<br />

seguenti fattori:<br />

- i cambiamenti climatici, hanno determinato una variazione nel regime delle piogge che sono<br />

oggi più brevi e intense rispetto al passato;<br />

- l’aumento delle superfici impermeabilizzate accompagnata alla crescita economica e<br />

demografica degli ultimi 30 anni con un evidente sviluppo delle aree abitative, soprattutto in<br />

corrispondenza della cosiddetta area di ricarica degli acquiferi.<br />

Questa situazione ha ridotto sensibilmente la superficie di ricarica e ha modificato le<br />

modalità di smaltimento degli apporti meteorici verso la falda. I volumi d’acqua vengono<br />

trasferiti a valle molto rapidamente per effetto delle grandi superfici impermeabilizzate e<br />

quindi i tempi di corrivazione sono diminuiti;<br />

2


- la trasformazione dei sistemi irrigui da scorrimento a pioggia. Oggi per effetto della<br />

trasformazione dell’irrigazione dai sistemi a scorrimento e sommersione agli impianti a<br />

pioggia, si ha una minore infiltrazione in falda;<br />

- nei mesi non irrigui l’acqua continua ad essere convogliata nelle tubazioni in pressione per<br />

alimentare alcune centraline idroelettriche. Viene poi restituita a valle della linea di imbocco<br />

delle falde profonde, e quindi ne beneficiano solo le falde più superficiali e le risorgive;<br />

- l’abbassamento degli alvei fluviali causato dall’escavazione in alveo;<br />

- l’aumento dei prelievi civili e industriali.<br />

1.1.1 I processi naturali di infiltrazione delle acque in falda<br />

I principali fattori naturali che alimentano il sistema idrogeologico sotterraneo e che quindi<br />

determinano la ricarica della falda sono essenzialmente le infiltrazioni di acqua provenienti dalle<br />

precipitazioni meteoriche, il processo di dispersione in alveo dai corsi d’acqua naturali, le<br />

percolazioni attraverso le aree irrigate a scorrimento e gli afflussi sotterranei provenienti dagli<br />

acquiferi fessurati presenti nei rilievi prealpini.<br />

Infiltrazioni di acqua provenienti dalle precipitazioni meteoriche: gli apporti idrici diretti derivati<br />

dalle precipitazioni meteoriche (pioggia, grandine, neve ecc.) costituiscono il contributo effettivo alla<br />

ricarica del serbatoio idrico sotterraneo. Tale contributo è particolarmente significativo nella fascia<br />

dell’acquifero indifferenziato e quindi la zona compresa tra i rilievi e la linea di comparsa della prima<br />

lente a bassa permeabilità (zona delle risorgive): le pendenze relativamente modeste del terreno e<br />

l’elevata permeabilità verticale che caratterizzano questa zona, favoriscono la percolazione<br />

verticale delle acque di pioggia. Nella zona compresa tra la comparsa delle prime lenti argillose e la<br />

linea inferiore delle risorgive, le condizioni di infiltrazione dell’acqua piovana è quindi la ricarica<br />

delle falde è assai limitata. Nelle aree a sud delle risorgive invece, solo una piccola parte delle<br />

precipitazioni riescono ad alimentare l’acquifero freatico (molto sottile), mentre la gran parte<br />

evapotraspira o viene smaltita dal reticolo superficiale.<br />

Processo di dispersione in alveo dai corsi d’acqua: tra i diversi contributi alla ricarica della falda<br />

il più significativo è quello fornito dalla dispersione dall'alveo e dal subalveo dei principali corsi<br />

d'acqua superficiali (fiumi), favorito dalla natura ghiaiosa del sottosuolo.<br />

Percolazione attraverso le aree irrigate a scorrimento: un’altro fattore importante che interviene<br />

nel processo di ricarica degli acquiferi è quello dovuto all'acqua distribuita sul terreno dai sistemi di<br />

irrigazione. La distribuzione e l'approvvigionamento della risorsa idrica per scopi agricoli è gestito<br />

dai Consorzi di Bonifica. La quantità d'acqua utilizzata e il contributo alla ricarica della falda varia<br />

3


molto a seconda della modalità di irrigazione utilizzato dai vari consorzi. Con l'irrigazione a<br />

scorrimento, le acque vengono distribuite attraverso canali a cielo aperto e privi di rivestimento<br />

(rogge), dotati di un fondo ad elevata permeabilità; in tal modo una parte importante dell’acqua si<br />

infiltra nel suolo e va ad alimentare la falda. Con la sostituzione dei tradizionali sistemi di irrigazione<br />

a scorrimento e sommersione con sistemi pluvirrigui (irrigazione a pioggia), la distribuzione<br />

dell’acqua attraverso canali artificiali impermeabilizzati ha permesso, da un lato un risparmio di<br />

acqua, ma dall'altro si ha una riduzione della principale fonte di ricarica alla falda.<br />

1.1.2 I processi artificiali di infiltrazione delle acque in falda<br />

L’azione fondamentale per la conservazione del patrimonio idrico è rappresentata dal ristabilimento<br />

dell’equilibrio idrico del territorio dell’alta pianura, anche attraverso azioni volte alla ricarica<br />

artificiale dell’acquifero. A tal fine sono state valutate diverse ipotesi di ricarica delle falde, sia da un<br />

punto di vista metodologico che logistico, elaborando un elenco di tecniche, alcune già<br />

sperimentate altre innovative, e proponendo alcuni studi propedeutici alla realizzazione dei progetti<br />

futuri. Alcune di queste tecniche vengono qui di seguito elencate e brevemente descritte,<br />

rimandando ai capitoli successivi i relativi approfondimenti.<br />

4.1.2.1 Le Aree Forestali di Infiltrazione (AFI): è un sistema di ricarica costituito dalla<br />

distribuzione delle acque nei mesi non irrigui all’interno di aree appositamente allestite con una rete<br />

di canali di distribuzione e piantumate con varie specie arboree in funzione della tipologia di<br />

impianto forestale da realizzare. Esse associano quindi all’azione di ricarica una azione di<br />

depurazione effettuata dal filtro costituito dagli apparati radicali degli alberi e dai microrganismi che<br />

vivono in simbiosi con gli stessi.<br />

4.1.2.2 I pozzi di infiltrazione: questa tecnica è utilizzabile nell’alta pianura ove ci sia acqua di<br />

buona qualità da infiltrare ma spazi ridotti poco adatti alle tecniche suddette che necessitano di<br />

territori piuttosto ampi. In questo caso, infatti, il sistema disperdente si affida a strutture verticali<br />

disperdenti del diametro di due metri e profondità sei (del tipo dei pozzi disperdenti a grande<br />

diametro) collegati con un sistema di paratoie alla rete irrigua da realizzarsi nel materasso<br />

alluvionale, per infiltrare in regime permanente quantitativi significativi di acqua nel sottosuolo a<br />

favore dell’acquifero indifferenziato. Sono strutture che si adattano particolarmente al sistema<br />

pluvioirriguo a cui si vorrebbe associarli per compensare la mancata infiltrazione mediante il<br />

reticolo idrico storico.<br />

4.1.2.3 I campi di infiltrazione: questo sistema permette di immettere l’acqua nel sottosuolo<br />

semplicemente facendola scorrere in un reticolo di canalette superficiali che ne ottimizzano la<br />

dispersione.<br />

4


4.1.2.4 Altre tecniche di ricarica artificiale della falda<br />

1.2 LE TECNICHE DI RICARICA ARTIFICIALE DELLA FALDA<br />

1.2.1 Le aree Forestali di Infiltrazione (AFI)<br />

Le Aree Forestali di Infiltrazione, acronimo AFI, sono un particolare sistema la cui progettazione ha<br />

origini piuttosto recenti (l’ultimo ventennio), come recente è l’idea a cui esse si riferiscono:<br />

impiegare terreni agricoli a matrice molto grossolana dell’alta pianura, solcati da un “pettine” di<br />

canalette disperdenti bordate da alberature, per ricaricare artificialmente le falde sotterranee e far<br />

fronte ai gravi fenomeni di depauperamento delle acque ipogee indotti dallo sfruttamento non<br />

sostenibile delle risorse idriche. L’utilizzo di superfici agricole al fine di infiltrare acqua in periodi non<br />

irrigui e di riposo vegetativo è una delle varie tipologie di proposte tecniche avanzate per porre<br />

rimedio al fenomeno dell’abbassamento del livello della falda freatica che alimenta le risorgive in<br />

tutta la fascia dell’alta pianura, parallela al margine meridionale delle Alpi. L’idea che ha portato alla<br />

concezione e alla progettazione delle AFI parte infatti dalla constatazione che, nelle aree di alta<br />

pianura al di sopra della fascia delle risorgive, la falda è profonda e i terreni, a tessitura fortemente<br />

grossolana, sono caratterizzati da un tasso di infiltrazione elevato o elevatissimo. L’innovazione<br />

che caratterizza le AFI consiste nella possibilità di sfruttare in senso positivo questo elevato tasso<br />

di infiltrazione dei terreni, destinando la loro superficie alla coltivazione di una coltura “speciale” che<br />

consenta di massimizzare il tasso di infiltrazione (l/m2/giorno). Di seguito si elencano le principali<br />

peculiarità che caratterizzano i sistemi delle AFI (si veda Fig. 1):<br />

- l’impianto di alberi a file e a densità normali per una piantagione da legno (ad esempio un<br />

ceduo a ciclo breve, Short Rotation Forestry, acronimo SRF) o per un bosco a fini<br />

naturalistici, in presenza di una distanza tra le file pari mediamente a circa 4 m;<br />

- la divisione tra i vari interfilari mediante lo scavo di un sistema di canalette disperdenti<br />

profonde 70-80 cm e larghe altrettanto;<br />

- la connessione di tutte le canalette del sistema a un fosso adduttore collegato al sistema<br />

irriguo consortile;<br />

- l’utilizzo di questo sistema in modo turnato nel periodo irriguo (sempre nel caso in cui non vi<br />

sia scarsità di acqua), sempre rispettando i diritti già goduti dai proprietari dei singoli<br />

appezzamenti;<br />

- l’utilizzo del sistema in modo continuo nel resto dell’anno (oltre 200 giorni), a patto che la<br />

-<br />

derivazione dell’acqua dai fiumi non venga a inficiarne il minimo deflusso vitale.<br />

5


Fig. 1 - Particolare della crescita di un’AFI (fonte: foto archivio Veneto Agricoltura)<br />

Nelle AFI si immette una parte dell’acqua “in abbondanza” che scorre velocemente nei tratti<br />

pedemontani dei grandi fiumi di pianura, soprattutto nel periodo non irriguo e, invece di lasciare che<br />

essa si allontani dal territorio (dal momento che in pochi giorni arriva al mare), la si accumula nel<br />

grande bacino sotterraneo costituito dalle falde idriche, che in questo modo tendono a svuotarsi<br />

con ritmi molto più lenti. Contrariamente a quanto avviene nei bacini di infiltrazione o nei pozzi<br />

bevitori, nelle AFI l’acqua che si infiltra verso gli strati profondi del suolo incontra un efficace filtro<br />

costituito dagli apparati radicali degli alberi messi a dimora lungo i filari che bordano le canalette.<br />

Nei terreni di alta pianura, a falda profonda, lo strato attivamente esplorato dalle radici è spesso<br />

molti metri (fino a dieci metri per alcune specie). In tal modo l’acqua subisce non solo un processo<br />

di filtrazione fisica ma anche un processo di “affinamento”, attuato soprattutto dai microrganismi<br />

che vivono in simbiosi con gli apparati radicali (si veda ad esempio l’attività denitrificante di alcuni<br />

batteri eterotrofi). Una considerazione molto interessante è che, quando è attivo il processo di<br />

infiltrazione, il suolo viene saturato d’acqua e pertanto anche in suoli a matrice grossolana<br />

(tendenzialmente insaturi) si creano delle condizioni di anaerobiosi che risultano favorevoli ai<br />

processi di denitrificazione, come normalmente avviene nelle aree tampone. Da questa<br />

constatazione deriva l’idea di poter utilizzare le AFI anche per smaltire una parte dei liquami in<br />

eccesso nelle aree a più alta concentrazione zootecnica o il digestato proveniente dai digestori<br />

anaerobici che producono biogas. Le AFI, a seconda della tipologia di soprassuoli messi a dimora<br />

e delle principali funzioni svolte dagli stessi, sono inoltre in grado di fornire ulteriori esternalità, tra<br />

cui la produzione di biomassa legnosa a scopo energetico, l’incremento della biodiversità a livello<br />

ecologico-naturalistico, il servizio estetico-paesaggistico-ricreativo a vantaggio delle comunità locali<br />

che possono beneficiare della loro presenza e fruizione.<br />

4.2.1.2 Valutazioni stazionali preliminari.<br />

Nell’individuazione del sito o dei siti presso cui realizzare un’AFI si deve fare una serie di<br />

valutazioni preliminari sull’idoneità potenziale della stazione. A tale scopo si devono tenere in<br />

6


considerazione molteplici aspetti principalmente di tipo pedologico, idro-geologico, orografico,<br />

logistico. Nella strategia di ricarica delle falde basata sulle AFI, quello che conta è disporre di una<br />

superficie sufficiente a infiltrare i quantitativi complessivi di acqua che ci si è prefissati di trasferire<br />

dal flusso superficiale al flusso profondo. Non è pertanto indispensabile che le superfici delle AFI<br />

siano accorpate: questo permette di ricercare sul territorio del comprensorio in esame i suoli più<br />

adatti. Utilizzando la Carta Pedologica Regionale è possibile fare a priori una zonizzazione delle<br />

aree potenzialmente più adatte e all’interno di queste scegliere poi le superfici che, sulla base delle<br />

conoscenze dei locali stakeholders (tra cui in primis gli stessi agricoltori proprietari dei terreni o gli<br />

operatori dei Consorzi di Bonifica), presentino le maggiori attitudini all’infiltrazione dell’acqua nel<br />

sottosuolo. Le singole unità di infiltrazione possono essere grandi anche solo pochi ettari e le<br />

finalità richieste possono essere svolte in modo funzionale anche con una distribuzione diffusa nel<br />

territorio, a macchia di leopardo. Considerato che l’obiettivo primario di un’AFI è quello di infiltrare<br />

acqua verso gli strati profondi del suolo, uno dei primi aspetti da valutare è quello legato alla<br />

particolare natura del profilo e della tessitura del terreno oggetto dell’intervento. Ideali sono i suoli<br />

tipici delle conoidi pedemontane dei fiumi e dei torrenti alpini, costituiti da uno strato superficiale di<br />

terreni agrari di tipo franco o leggero sovrapposti a un materasso indifferenziato di ghiaie e sabbie,<br />

in quanto possono svolgere al meglio la funzione di infiltrazione dell’acqua verso la falda<br />

sottostante. Per tale motivo è fondamentale la ricognizione in loco e l’esecuzione di una serie di<br />

prove e campionamenti esplorativi allo scopo di:<br />

- misurare la collocazione in profondità del livello della falda rispetto al piano di campagna;<br />

- valutare lo spessore della copertura di terreno vegetale posto sopra le alluvioni ghiaiose<br />

(mediante realizzazione di trincee esplorative) per individuare la profondità a cui si rileva la<br />

ghiaia;<br />

- effettuare una serie di prove di infiltrazione (in rapporto alla profondità delle ghiaie), in modo<br />

da ricavare valori attendibili della capacità disperdente del terreno e determinare la portata<br />

di infiltrazione.<br />

Le caratteristiche dello strato di terreno vegetale (consistenza, spessore, fertilità) sono determinanti<br />

per favorire lo sviluppo e la crescita del soprassuolo messo a dimora negli interfilari intersecati dal<br />

sistema di scoline.<br />

La loro determinazione può contribuire a incidere sulla scelta della tipologia stessa del<br />

popolamento e sui suoi aspetti compositivo-strutturali, influenzando di conseguenza anche le<br />

funzioni ad esso richieste e le modalità gestionali. Dal punto di vista della localizzazione delle AFI<br />

un elemento che può condizionare l’eventuale scelta del sito è la vicinanza di un capofonte di<br />

risorgiva. Il posizionamento dell’AFI a monte di una risorgiva infatti può contribuire al suo<br />

mantenimento o alla sua rivitalizzazione: questo si può rivelare strategico in particolare nel caso di<br />

7


isorgive che si sono già definitivamente disseccate (o quasi) o che negli ultimi anni stanno<br />

andando incontro a periodi sempre più lunghi di prosciugamento.<br />

Un altro aspetto importante è quello della connessione del sito dell’AFI alla locale rete irrigua.<br />

Normalmente in tutte le aree di alta pianura esiste già un sistema irriguo: tali zone infatti sono<br />

quelle che storicamente hanno tratto più vantaggio dalla realizzazione dei sistemi di irrigazione,<br />

vista la forte domanda di acqua nella stagione vegetativa alla luce della presenza di terreni a<br />

matrice grossolana. Si deve pertanto valutare se la locale rete irrigua presente sul territorio è già<br />

dotata di sistemi di derivazione delle acque capillarmente diffusi o se per effettuare il collegamento<br />

dell’AFI non si richiedono interventi eccessivamente onerosi e impattanti. Si deve inoltre osservare<br />

se il sistema di irrigazione è a scorrimento (a gravità) o pluvirriguo (in pressione).<br />

Il primo caso, ancora oggi diffuso in molte aree di alta pianura, è il più favorevole perché così basta<br />

solo alimentare il sistema delle canalette disperdenti agendo sui sistemi di derivazione delle acque<br />

(a tal fine è prezioso il lavoro dei guardiani irrigui dei Consorzi di Bonifica).<br />

Il secondo caso è invece più problematico, perché impone la messa in pressione dell’intero sistema<br />

irriguo a cui è connesso l’appezzamento in oggetto. Sono allo studio soluzioni ingegneristiche che<br />

permettano di utilizzare la rete tubata del sistema pluvirriguo anche in periodo invernale.<br />

Per quanto riguarda la collocazione dell’AFI da un punto di vista logistico, si deve valutare la sua<br />

vicinanza a impianti di irrigazione già esistenti da cui poter attingere l’acqua. A tale scopo è<br />

strategica la collaborazione da parte del personale delle locali autorità consortili che gestiscono i<br />

sistemi irrigui e regolano l’adduzione dell’acqua ai reticoli di scoline delle AFI.<br />

Un altro elemento da considerare è la pendenza del terreno oggetto di analisi. Il sito presso cui si<br />

intende realizzare l’area forestale deve disporre di un valore di pendenza naturale minima (in<br />

genere almeno il 4-5 per mille). Tale requisito è infatti necessario per garantire lo scorrimento<br />

dell’acqua attraverso il sistema di canalette.<br />

4.2.1.3 Localizzazione delle AFI<br />

Le AFI trovano la loro collocazione ideale nell’area dell’alta pianura alluvionale che corre parallela<br />

al margine meridionale delle Alpi, immediatamente a monte della fascia delle risorgive. Tale fascia<br />

costituisce l’area di ricarica della falda e dell’intero sistema idrogeologico dei territori posti a monte.<br />

La sua importanza è strategica: tale sistema infatti assume un notevole interesse sociale,<br />

economico e ambientale in quanto l’acqua estratta dal sottosuolo garantisce il fabbisogno<br />

idropotabile dei grandi acquedotti pubblici che soddisfano i consumi delle grandi città della bassa<br />

pianura. Oltre all’uso potabile, le falde di questo sistema servono anche per le esigenze del settore<br />

industriale e per l’irrigazione di estesi territori vocati alle attività agricole.<br />

A partire dagli anni ’60 le falde hanno iniziato a manifestare evidenti segni di impoverimento indotto<br />

da uno sfruttamento non sostenibile delle risorse idriche. Tale depauperamento è indicato<br />

8


dall’abbassamento progressivo e continuo della superficie freatica nell’alta pianura, dalla<br />

depressurizzazione delle falde in pressione nelle zone della media pianura, dalla scomparsa o dal<br />

sempre più frequente disseccamento di numerosi fontanili e risorgive.<br />

In questo contesto di progressiva diminuzione delle riserve di acqua sotterranea, negli ultimi anni si<br />

sta puntando sullo sviluppo di progetti e strategie di gestione della risorsa idrica finalizzati alla<br />

tutela qualitativa e quantitativa della falda acquifera di ricarica prevedendone l’incremento mediante<br />

tecniche di ricarica artificiale.<br />

Le AFI rientrano a pieno titolo in questo ambito: l’infiltrazione viene massimizzata sfruttando proprio<br />

le condizioni idro- e geo-pedologiche (tessitura, profondità della falda) dei terreni in cui esse<br />

vengono realizzate.<br />

4.2.1.4 Progettazione delle AFI<br />

La progettazione delle Aree Forestali di Infiltrazione deve puntare a massimizzare le funzioni<br />

ambientali ed economico-produttive richieste a questi impianti. Inoltre deve essere finalizzata a<br />

organizzare la superficie del terreno in modo tale da permettere la coltivazione di una coltura “ad<br />

hoc” e sfruttare il più possibile l’elevato tasso di infiltrazione che contraddistingue questi suoli.<br />

L’infrastrutturazione e anche la successiva gestione delle AFI devono seguire e rispettare una serie<br />

di principi di tipo idraulico, ambientale, agronomico e selvicolturale, che tra loro devono essere<br />

strettamente interconnessi.<br />

4.2.1.5 Valutazione funzionale del soprassuolo<br />

La vegetazione forestale che costituisce il soprassuolo messo a dimora nei sistemi delle AFI può<br />

svolgere varie tipologie di funzioni. A tali popolamenti infatti è attribuibile una molteplicità di servizi<br />

in un’ottica di “multifunzionalità” che ne avvalora ulteriormente la potenziale diffusione.<br />

Oltre alla mera funzione produttiva (con particolare riferimento, nella maggior parte dei casi, alla<br />

produzione di biomassa legnosa destinabile a uso energetico), tali impianti possono svolgere<br />

anche un ruolo prezioso dal punto di vista:<br />

- ecologico-naturalistico: per quanto riguarda la creazione di habitat per la fauna selvatica,<br />

l’assorbimento della CO2, l’aumento della biodiversità degli ecosistemi agrari rurali e della<br />

valenza naturalistica del territorio;<br />

- paesaggistica: per quanto riguarda l’abbellimento, la diversificazione e il miglioramento del<br />

paesaggio agrario.<br />

Ovviamente la funzione principale di volta in volta richiesta a questi popolamenti influenza la<br />

tipologia e le caratteristiche compositivo-strutturali di questi soprassuoli riguardo a:<br />

- composizione e scelta delle specie arboree e/o arbustive che costituiscono l’impianto<br />

legnoso: in primis si distinguono i boschi planiziali a prevalente funzione naturalistica e<br />

9


paesaggistica e gli impianti di Short Rotation Forestry (SRF), finalizzati in particolare alla<br />

produzione di legno-energia;<br />

- densità (in termini di numero di piante/ha messe a dimora);<br />

- sesto d’impianto e alternanza delle specie nei filari realizzati lungo il reticolo di scoline.<br />

Inevitabilmente queste caratteristiche finiscono per influenzare anche le modalità gestionali degli<br />

impianti in merito all’intensità e alla frequenza degli interventi di manutenzione, cura colturale,<br />

eventuale diradamento (nel caso dei boschi naturalistici) e raccolta alla fine del periodico turno di<br />

crescita (nel caso dei popolamenti a SRF).<br />

4.2.1.6 Progettazione idraulica<br />

La progettazione idraulica di un’AFI riguarda in primo luogo l’infrastutturazione del sistema di<br />

scoline che la costituisce e la sua alimentazione mediante connessione con la locale rete irrigua.<br />

In questo ambito i principali aspetti tecnici da prendere in considerazione sono:<br />

- la configurazione e l’organizzazione spaziale del sistema di scoline;<br />

- la modalità di funzionamento del sistema;<br />

- il collegamento col sistema irriguo esistente;<br />

- la stagionalità del funzionamento.<br />

Tutti questi aspetti vanno correlati al tipo di terreno presente nel sito oggetto di intervento, tenendo<br />

conto delle peculiarità e delle caratteristiche pedologiche legate al profilo e alla struttura e tessitura<br />

del suolo.<br />

L’apporto idrico all’AFI<br />

Il primo aspetto da valutare nella strutturazione idraulica di un’AFI è la presenza o meno di un<br />

sistema già esistente che porti l’acqua a bordo impianto.<br />

La disponibilità d’acqua può essere garantita secondo più modalità, attraverso la presenza di<br />

canali, canalette o rogge, di sistemi pluvirrigui o di prese o altre strutture dedicate all’irrigazione<br />

(pompe, idranti, ecc.).<br />

Nelle zone rurali dell’alta pianura è molto diffuso il reticolo delle rogge (si veda fig. 2) o delle<br />

canalette. Il loro sviluppo in genere avviene esclusivamente a cielo aperto ed esse sono destinate<br />

allo scopo irriguo nella stagione primaverile-estiva (da aprile a settembre): in tali periodi la<br />

disponibilità dell’acqua per scopi diversi dall’irrigazione, a seconda dell’andamento stagionale, è<br />

ridotta o addirittura nulla.<br />

10


Fig. 2 - Corso di una roggia nell’alta pianura veneta (fonte: foto archivio Veneto Agricoltura)<br />

Nella ricerca di un sito idoneo per l’ubicazione dell’AFI pertanto la presenza di sistemi che<br />

garantiscano la disponibilità dell’acqua è un aspetto prioritario.<br />

Sono privilegiati di conseguenza i siti in cui è già tradizionalmente radicata la pratica dell’irrigazione<br />

secondo le modalità descritte in precedenza.<br />

Oltre alla presenza di questi canali o rogge si deve valutarne anche la portata, allo scopo di<br />

individuare la quantità d’acqua effettivamente disponibile per le esigenze dell’AFI.<br />

Qualora il sito individuato non sia servito dai suddetti sistemi irrigui è necessario procedere alla sua<br />

infrastrutturazione, ma in tal caso è indispensabile effettuare tutte le necessarie valutazioni di tipo<br />

economico, logistico e ambientale per determinare l’effettiva sostenibilità dell’operazione.<br />

Inoltre, per la deviazione o la derivazione dell’acqua da canali già esistenti ma distanti dal sito di<br />

realizzazione dell’AFI, si rende necessario giungere a un accordo con i proprietari dei terreni<br />

attraversati da tali opere, valutando da un lato le compensazioni e dall’altro le eventuali servitù che<br />

tale infrastrutturazione inevitabilmente comporta.<br />

La derivazione dell’acqua da canali adduttori già esistenti all’AFI può essere effettuata con la<br />

realizzazione di nuove condotte che possono essere a cielo aperto o eventualmente, qualora la<br />

logistica non lo consenta, convogliando l’acqua mediante tubazioni sotterranee.<br />

In questo ultimo caso la corretta valutazione del regolare deflusso dell’acqua può essere facilitata<br />

dalla posa di un adeguato numero di pozzetti di ispezione. I controlli sono resi più facili se la<br />

distanza tra questi pozzetti si attesta sui 30 m circa (a tale scopo tale distanza non dovrebbe<br />

essere mai superiore a 45-50 metri). Per la loro ubicazione si rende ovviamente necessario<br />

l’accordo tra l’ente o l’azienda che gestisce l’AFI e i singoli proprietari dei terreni attraverso cui si<br />

realizza il nuovo canale di derivazione dell’acqua.<br />

In caso di canali o rogge già esistenti, ma dedicati in precedenza solo all’irrigazione di colture<br />

agricole (con esigenze e costi di manutenzione piuttosto ridotte), la realizzazione di un’AFI<br />

11


comporta la necessità di apportare una serie di interventi di miglioramento. Tra questi si devono<br />

citare:<br />

- il rinforzo delle sponde di questi canali per evitare o ridurre eventuali fenomeni di cedimento<br />

ed erosione a seguito del prolungato deflusso dell’acqua: la terra deve essere<br />

opportunamente battuta per garantire la stabilità e la tenuta delle sponde stesse;<br />

- la posa di griglie per evitare l’ostruzione dei tubi e dei raccordi da parte di rami, bottiglie o<br />

altri corpi estranei (si veda Fig. 3);<br />

- la realizzazione di ponti per permettere l’accesso alle macchine impiegate nelle varie<br />

operazione di gestione e manutenzione del sito;<br />

- la collocazione di tubi di maggiore portanza.<br />

Fig. 3 - La posa delle griglie può facilitare il regolare deflusso dell’acqua (fonte: foto archivio Veneto Agricoltura)<br />

Di seguito si riporta uno schema generale che descrive la strutturazione a pettine del sistema di<br />

scoline, la presenza dei raccordi in testa e alla fine di ogni appezzamento e tra i diversi<br />

appezzamenti (si veda Fig. 4).<br />

12


I tubi<br />

Fig. 4 - Strutturazione del sistema di scoline di un’AFI (fonte: Veneto Agricoltura)<br />

Sulla base del calcolo della portata che caratterizza il canale adduttore e in rapporto alla naturale<br />

pendenza del terreno dell’area, si deve procedere al dimensionamento della sezione dei tubi e dei<br />

raccordi di alimentazione dell’AFI.<br />

I tubi possono essere di due tipi:<br />

- tubi portanti da 80 cm di sezione, in calcestruzzo armato, per il collegamento dal canale<br />

adduttore al reticolo di scoline e per gli eventuali collegamenti tra i diversi appezzamenti che<br />

costituiscono l’AFI: si deve garantire una maggiore portanza e robustezza per supportare il<br />

peso delle macchine che possono transitare lungo queste aree;<br />

- tubi da 50 cm di sezione, in calcestruzzo normale, per i raccordi di testa e di coda tra le<br />

scoline all’interno dei singoli appezzamenti.<br />

13


Qualora la roggia o la canaletta funga da canale adduttore dell’AFI è necessario procedere a un<br />

suo adattamento strutturale e gli interventi di manutenzione sono inevitabilmente molto più<br />

frequenti e onerosi.<br />

Ad esempio nel periodo autunno-invernale, cioè da settembre ad aprile, quando non si effettua<br />

l’irrigazione delle colture agricole e lungo il canale adduttore si ha il massimo scorrimento della<br />

portata d’acqua, si osserva la formazione di piccole erosioni delle sponde e dell’argine del canale<br />

stesso.<br />

Dal momento che l’idea di rivestire completamente con dei tubi l’asta non è percorribile (la<br />

soluzione di “tombinare” il canale a monte del sistema non concilia molto con la volontà di infiltrare<br />

l’acqua a valle), è necessario procedere a una manutenzione più frequente dello stato della<br />

canaletta.<br />

In genere un intervento all’anno è sufficiente per tale scopo.<br />

Consolidamento delle zone di raccordo<br />

Dove vi sono i raccordi tra il canale adduttore e il reticolo di scoline in alcuni casi si osserva il<br />

posizionamento di manufatti costituiti da sassi o ciottoli e cemento (si veda Fig. 5).<br />

Fig. 5 - Manufatti di ciottoli e cemento per i raccordi tra canale adduttore e scoline (fonte: foto archivio Veneto Agricoltura)<br />

In questi punti infatti l’acqua si caratterizza per una forza d’urto maggiore (soprattutto se viene<br />

presa da un pozzo o da una pompa) e si può osservare un vero e proprio effetto di “bollitura”.<br />

Tale pratica può essere effettuata:<br />

- per aumentare il pregio estetico del sistema (nelle immediate vicinanze di case o strade);<br />

- per consolidare e rafforzare l’argine e le sponde allo scopo di tutelarne la stabilità e la<br />

funzionalità;<br />

14


- per evitare che si formino intasamenti o decantazione di sporcizie.<br />

La realizzazione di un’opera di questo tipo richiede sicuramente un ingente investimento iniziale in<br />

termini economici (acquisto dei materiali e manodopera per il suo posizionamento) ma questo<br />

viene compensato negli anni successivi dalla necessità di una minore manutenzione dovuta alla<br />

maggiore stabilità del manufatto stesso.<br />

Canale del “troppo pieno”<br />

Un elemento di grande importanza da non trascurare nell’infrastrutturazione di un’AFI è la<br />

realizzazione di un canale definito “troppo pieno”.<br />

Tale canale va situato nella parte terminale dell’AFI e funge da raccordo e collegamento a fine<br />

appezzamento tra il reticolo di scoline e la roggia o il canale adduttore che scorre nelle immediate<br />

adiacenze dell’AFI stessa.<br />

Questo canale è caratterizzato da un tubo in calcestruzzo normale di sezione mediamente pari a<br />

50 cm e va sempre previsto come sfogo dell’acqua a scopo preventivo e precauzionale. Il suo fine<br />

è quello di consentire il deflusso dell’acqua per evitarne la fuoriuscita dalle scoline e l’allagamento<br />

dell’appezzamento e delle aree circostanti nel caso in cui la presenza di foglie, ramaglie o altri<br />

materiali impedisca il regolare processo di infiltrazione lungo le scoline (fenomeno definito come<br />

“clogging”) o ostruiscano i tubi e i raccordi ostacolando il normale deflusso dell’acqua.<br />

Lo scorrimento dell’acqua lungo il reticolo di scoline di un’AFI è strettamente legato alla naturale<br />

pendenza del terreno che caratterizza il sito dell’impianto (si veda Fig. 6).<br />

Fig. 6 - Naturale pendenza del terreno in un sistema AFI (fonte: AA.VV. (2007). Progetto Democrito )<br />

Per tale scopo è fondamentale che tale giusta pendenza sia prevista dall’inizio alla fine lungo tutta<br />

l’estensione dell’appezzamento e per garantire tale aspetto è spesso necessario procedere a<br />

lavorazioni preliminari del terreno più o meno impattanti e costose per procedere allo spostamento<br />

e allo spianamento del terreno stesso.<br />

15


Nella parte terminale dell’appezzamento spesso si rilascia appositamente una piccola superficie di<br />

terreno in cui non si rispetta la regolare pendenza del resto del sito e si verificano limitati e saltuari<br />

ristagni e accumuli: questo si prevede per evitare che l’acqua defluendo lungo il reticolo di scoline<br />

fuoriesca troppo velocemente e si riduca la capacità di infiltrazione del sito.<br />

La presenza di queste aree terminali di accumulo dell’acqua ovviamente limita più o meno<br />

fortemente la funzionalità del cosiddetto canale “troppo pieno”: possono essere pertanto previste<br />

qualora la logistica del sito non permetta la realizzazione del canale stesso.<br />

Il numero di accessi dal canale adduttore<br />

Il rilievo delle quote a monte e a valle dell’AFI e la determinazione della naturale pendenza del<br />

terreno influenzano anche l’eventuale numero di appezzamenti in cui frazionare l’area e il numero<br />

di accessi dell’acqua dal canale adduttore all’AFI (si veda Fig. 7 e Fig. 8).<br />

Fig. 7 - Derivazione dell’acqua dal canale adduttore al sistema di scoline (fonte: AA.VV. (2007). Progetto Democrito)<br />

Fig. 8 - Particolare di un punto di accesso dell’acqua dal canale adduttore all’AFI (fonte: foto archivio Veneto Agricoltura)<br />

Il numero di appezzamenti in cui frazionare l’area, variabile nei diversi casi, dev’essere maggiore<br />

nel caso in cui il sito d’impianto abbia una lunghezza di gran lunga superiore alla sua larghezza.<br />

16


In alcuni casi la differenza tra la quota a monte e la quota a valle è anche di alcuni metri: in<br />

presenza di pendenze eccessive è necessario procedere alla loro correzione.<br />

Il numero di accessi è legato al numero di scoline che infiltrano l’acqua lungo l’AFI.<br />

A volte tuttavia, in presenza di scoline di sezione diversa o in presenza di una limitata infiltrazione<br />

lungo il sistema, l’acqua riesce ad arrivare con forza e a scorrere solo lungo una parte delle<br />

canalette stesse, mentre lungo alcune scoline (soprattutto quelle più distanti e meno direttamente<br />

collegate ai canali d’accesso) ristagna impedendo la completa funzionalità del sistema.<br />

L’aumento del numero di accessi dell’acqua dal canale adduttore alle scoline può essere utile ma<br />

deve essere accompagnato anche dalla collocazione di griglie o paratoie per convogliare<br />

opportunamente l’acqua verso tutti gli accessi previsti.<br />

L’ostruzione di una parte della sezione degli accessi infatti forza l’acqua (secondo un “effetto<br />

sifone” di risucchio e spinta) ad avanzare verso gli accessi successivi, bilanciando in modo<br />

adeguato l’ingresso dell’acqua in tutte le scoline presenti nel reticolo dell’AFI.<br />

Protezione delle zone di raccordo<br />

Un ultimo elemento che può contribuire a migliorare la funzionalità del sistema è la collocazione di<br />

appositi pozzetti davanti alla bocca dei tubi di raccordo in prossimità delle zone di passaggio tra<br />

diversi appezzamenti.<br />

Il posizionamento di tali pozzetti ha la funzione di sollevare l’acqua per bilanciarne l’avanzamento<br />

ed evitare che essa defluisca troppo velocemente verso la parte terminale dell’AFI.<br />

Ovviamente tali pozzetti devono essere dotati di opportuni fori presso le pareti laterali per<br />

permettere l’avanzamento dell’acqua verso l’appezzamento successivo e anche il deflusso<br />

dell’acqua deviandola verso le scoline laterali.<br />

La posa di tali pozzetti richiede un costo ridotto e permette una limitata manutenzione negli anni<br />

successivi, riducendo in maniera incisiva la crescita dell’erba.<br />

La sezione in genere è 80x80 cm e in genere la dimensione coincide con la sezione della scolina<br />

stessa o è di poco inferiore ad essa.<br />

Il meccanismo di funzionamento di tali pozzetti è duplice, in quanto l’acqua che arriva in prossimità<br />

del pozzetto è costretta a salire ed entrare nel pozzetto o viene deviata lateralmente:<br />

- l’acqua che entra nel pozzetto passa all’appezzamento successivo attraverso i tubi di<br />

raccordo;<br />

- l’acqua che non entra nel pozzetto viene deviata lateralmente e viene convogliata nelle<br />

scoline laterali.<br />

- L’alternativa all’uso dei pozzetti può essere data dal rivestimento delle sponde dei raccordi<br />

con sassi o ciottoli e cemento (come descritto in precedenza), riducendo l’erosione causata<br />

dalla forza e dalla pressione dell’acqua in questi punti.<br />

17


Un ulteriore accorgimento infine consiste nel realizzare un semplice rivestimento in cemento<br />

lateralmente e al di sotto dei tubi di raccordo, sempre al fine di limitare lo spostamento della terra<br />

preservando l’integrità e la funzionalità del reticolo di canalette.<br />

Nella realizzazione del sistema idraulico dell’AFI e nella successiva gestione e manutenzione del<br />

sito è di importanza strategica la presenza e il collegamento costante con i sorveglianti locali di<br />

zona dei vari Consorzi di bonifica di riferimento, per mantenere i contatti con gli agricoltori<br />

proprietari dei terreni (evitando o limitando il più possibile eventuali attriti e discordie) e per<br />

effettuare in modo idoneo e con le dovute tempistiche i lavori e gli interventi necessari, alla luce<br />

della notevole conoscenza delle caratteristiche e delle problematiche specifiche delle zone e dei siti<br />

che rientrano nei bacini territoriali di loro competenza.<br />

4.2.1.7 L’organizzazione spaziale e la modalità di funzionamento<br />

I terreni dell’alta pianura nei quali si ipotizza la realizzazione delle AFI hanno una naturale<br />

pendenza che si aggira mediamente attorno al 4-5 per mille. Tale naturale pendenza deve essere<br />

sfruttata ai fini dei processi di infiltrazione: l’acqua deve essere portata presso i punti più alti degli<br />

appezzamenti per poi essere distribuita facendola scorrere lungo le scoline, a loro volta disposte<br />

lungo le linee di massima pendenza.<br />

Lo scorrimento non avviene lungo tutta la superficie del terreno, ma deve essere canalizzato lungo<br />

una serie di scoline parallele, appositamente collegate tra loro a costituire un unico sistema<br />

idraulico (si veda Fig. 9).<br />

Fig. 9 - Scorrimento dell’acqua lungo le scoline nel periodo invernale non irriguo (fonte: foto archivio Veneto Agricoltura)<br />

Queste canalette devono essere distribuite in maniera uniforme su tutto il terreno interessato<br />

dall’AFI e devono essere organizzate “a pettine”, con un interasse compreso tra 7-8 m.<br />

18


Per quanto riguarda le dimensioni di queste scoline, la loro profondità deve essere compresa tra<br />

70-80 cm; mediamente anche la loro larghezza deve attestarsi su questi valori.<br />

Di seguito si riportano alcuni dei principali parametri che caratterizzano il dimensionamento del<br />

reticolo di scoline di un’AFI (si veda Fig. 10):<br />

- profondità media: 70-80 cm (A);<br />

- sezione geometrica: trapezoidale;<br />

- larghezza delle scoline a livello del piano di campagna: 70-80 cm (B);<br />

- larghezza delle scoline alla base: 30-40 cm (C);<br />

- distanza fra l’interasse delle scoline: 7-8 m (D).<br />

Fig. 10 - Dimensionamento del reticolo di scoline. (fonte: AA.VV., 2012. Le Aree Forestali di Infiltrazione)<br />

Questa modalità di organizzazione spaziale dello scorrimento dell’acqua comporta una serie di<br />

vantaggi:<br />

- il fondo delle canalette riesce a toccare gli strati fortemente permeabili che si trovano al di<br />

sotto dell’orizzonte agrario superficiale, massimizzando il fenomeno dell’infiltrazione;<br />

- la superficie del terreno è sempre libera e percorribile, permettendo un’agevole<br />

movimentazione dei mezzi meccanici lungo gli appezzamenti di terreno separati dalle<br />

scoline stesse.<br />

Sulla base delle dimensioni precedentemente indicate, per ogni ettaro di superficie destinata alla<br />

messa a dimora di un’AFI nel complesso vengono scavati 1.400-1.600 m di scoline con andamento<br />

normale rispetto alle isoipse, in modo da massimizzare lo scorrimento dell’acqua lungo la linea<br />

naturale di massima pendenza.<br />

Per la realizzazione di questo reticolo solitamente si usano scavatori con benna trapezoidale.<br />

Queste macchine possono inoltre essere periodicamente utilizzate anche per eliminare dal fondo<br />

delle scoline stesse i sedimenti e i detriti che si depositano nel tempo.<br />

Il turno di pulizia delle scoline può coincidere ad esempio con il turno di utilizzazione del ceduo<br />

coltivato negli appezzamenti tra le canalette stesse nel caso degli impianti da biomassa a SRF: tale<br />

19


turno può essere pari a 2-3 anni (per i cedui a turno molto breve) o meglio a 5 anni (per i cedui a<br />

turno breve).<br />

Successivamente all’asportazione del soprassuolo arboreo epigeo infatti la superficie degli<br />

appezzamenti è libera e consente il passaggio delle macchine dedicate alle operazioni di<br />

manutenzione e pulizia delle canalette.<br />

Nella realizzazione del sistema di scoline è fondamentale che il loro fondo sia sommerso in modo<br />

permanente lungo tutto il profilo longitudinale e che dalla parte terminale non vi sia tracimazione.<br />

Il flusso di acqua in entrata nel sistema di scoline deve essere regolato mediante una paratia o una<br />

saracinesca: il volume d’acqua in entrata deve essere perfettamente dosato in modo da invasare e<br />

infiltrare la massima quantità, senza indurre tracimazioni, e da massimizzare la superficie di terreno<br />

attraverso cui avviene l’infiltrazione stessa.<br />

In caso di elevata pendenza dell’appezzamento può essere utile creare dei salti di fondo nelle<br />

scoline tramite appositi manufatti.<br />

4.2.1.8 Il collegamento con il sistema irriguo esistente<br />

Il sistema di canalette che contraddistingue un’AFI deve essere in stretta connessione con la locale<br />

rete irrigua, normalmente sempre già esistente in tutte le aree rurali dell’alta pianura.<br />

La necessità di tale rete irrigua è da ricondursi al fatto che queste zone presentano suoli fortemente<br />

drenanti, aventi una matrice litologica piuttosto grossolana, e sono caratterizzati da una forte<br />

domanda di acqua nella stagione vegetativa da parte delle colture agrarie.<br />

La collaborazione con il personale delle locali autorità consortili è determinante per regolare i<br />

sistemi di derivazione delle acque, allo scopo di permettere l’alimentazione del sistema di scoline<br />

irrigue nei periodi dell’anno dedicati al processo di infiltrazione e di ricarica delle falde.<br />

4.2.1.9 La stagionalità di funzionamento del sistema<br />

Durante la stagione vegetativa delle colture agrarie tutta la risorsa idrica deve essere destinata<br />

all’irrigazione delle stesse, essendo questo l’uso prioritario (si veda Fig. 11).<br />

20


Fig. 11 - Nel periodo irriguo il reticolo di scoline di un’AFI non è alimentato (fonte: foto archivio Veneto Agricoltura)<br />

Questo influenza in modo determinante la stagionalità di funzionamento delle AFI per quanto<br />

riguarda l’attivazione della funzione di infiltrazione: lo scorrimento dell’acqua lungo le scoline deve<br />

rigorosamente avvenire nella stagione non irrigua, nel periodo che va da settembre-ottobre ad<br />

aprile-maggio, sempre qualora la derivazione dell’acqua dai fiumi non comprometta il<br />

raggiungimento degli obiettivi ambientali previsti dai Piani di Gestione redatti ai sensi della Direttiva<br />

2000/60/CE.<br />

È inoltre necessario sospendere l’infiltrazione idrica nelle AFI in occasione di morbide o piene<br />

fluviali, per evitare che l’abbondante materiale solido trasportato dalle acque in tali situazioni possa<br />

depositarsi lungo le scoline, riducendone o annullandone la capacità disperdente.<br />

Mediamente l’alimentazione delle scoline avviene pertanto per circa 200-250 giorni/anno. La<br />

lunghezza di questo periodo è strettamente legata allo specifico andamento meteorologico annuo:<br />

anni più piovosi possono permettere periodi più lunghi di attivazione delle aree di infiltrazione.<br />

4.2.1.11 La progettazione dell’impianto forestale<br />

La superficie del terreno su cui si infrastruttura il sistema idraulico di scoline è inoltre interessata<br />

dalla messa a dimora di un impianto forestale. Le funzioni e i servizi svolti da questi soprassuoli<br />

possono essere molteplici.<br />

Tali popolamenti contribuiscono a promuovere l’infiltrazione dell’acqua nel terreno, per effetto<br />

dell’azione degli apparati radicali delle piante stesse. La biomassa ipogea è inoltre di importanza<br />

fondamentale per attivare un effetto “tampone” nel caso l’AFI venga utilizzata anche per la<br />

distribuzione di reflui zootecnici e digestati. Qualora questi soprassuoli siano realizzati allo scopo di<br />

fornire una produzione regolare e costante di legno energia (nel caso di cedui da biomassa), si può<br />

costituire un’ulteriore interessante fonte di reddito periodica per i proprietari dei terreni.<br />

Tali sistemi possono infine svolgere altre funzioni di tipo paesaggistico, naturalistico e ambientale.<br />

21


Le finalità richieste ai soprassuoli che caratterizzano i sistemi delle AFI, come già indicato<br />

precedentemente, ne influenzano fortemente la progettazione, la realizzazione e la successiva<br />

gestione.<br />

Un volta individuato il sito d’impianto ed effettuate le necessarie valutazioni di tipo orografico,<br />

climatico, logistico e le analisi del terreno (di tipo pedologico e idro-geologico), la progettazione<br />

dell’impianto deve procedere a definire i seguenti aspetti:<br />

- il tipo di impianto;<br />

- la composizione del popolamento: scelta del tipo di specie da mettere a dimora;<br />

- la scelta della densità e del sesto d’impianto.<br />

La realizzazione del popolamento consta di un protocollo tecnico-colturale articolato in più fasi<br />

successive:<br />

- effettuazione delle lavorazioni del terreno;<br />

- acquisto del film pacciamante e stesura della pacciamatura;<br />

- acquisto e messa a dimora del materiale vivaistico;<br />

- realizzazione delle cure colturali;<br />

- gestione della crescita del soprassuolo (realizzazione dei diradamenti nei boschi<br />

naturalistici; raccolta, esbosco e trasformazione della biomassa a fine turno negli impianti a<br />

SRF);<br />

- ripristino del terreno alla fine del ciclo di vita della piantagione (nel caso degli impianti<br />

dedicati alla produzione di legno energia).<br />

La composizione e la scelta delle specie<br />

Sulla base delle condizioni pedo-climatiche del sito d’impianto (profondità della falda, struttura,<br />

tessitura, capacità drenante del suolo) si deve procedere alla scelta della specie o delle specie più<br />

idonee da mettere a dimora.<br />

Presupposto fondamentale per la buona riuscita di ogni impianto è l’idoneità delle specie alle<br />

caratteristiche del terreno e alle condizioni climatico-ambientali dell’area interessata.<br />

Le potenzialità ecologiche e produttive di tali popolamenti infatti si esplicano appieno solo se<br />

vengono rispettate le loro peculiari esigenze, in particolare riguardo alle caratteristiche stazionali<br />

del sito d’impianto e alla creazione di adeguate consociazioni tra le specie arboree ed<br />

eventualmente arbustive prescelte.<br />

Esiste una vasta gamma di specie che si possono selezionare nella costituzione delle piantagioni<br />

forestali realizzabili nell’ambito delle AFI. Si tratta di specie già utilizzate tradizionalmente negli<br />

impianti legnosi messi a dimora nelle zone agrarie e rurali dell’alta pianura.<br />

Parte di queste specie, alla luce delle loro particolari peculiarità, vengono impiegate solo in<br />

determinati tipi di popolamenti, a seconda delle finalità e delle funzioni ad essi richiesti.<br />

22


Ad esempio i cloni di pioppi ibridi euro-americani sono presenti solo negli impianti a SRF dedicati<br />

alla produzione di biomassa legnosa da energia. Gli arbusti invece in genere si ritrovano solo nei<br />

boschi a prevalente funzione naturalistica e paesaggistica.<br />

Impianti a SRF: produzione di biomassa legnosa da energia<br />

Nel caso in cui i soprassuoli realizzati nelle AFI siano impianti a SRF, le specie impiegabili sono<br />

quelle delle consociazioni che solitamente caratterizzano i tradizionali impianti produttivi a pieno<br />

campo.<br />

In particolare nella costituzione degli impianti di SRF nell’ambito delle AFI vengono impiegati:<br />

- Alnus glutinosa (ontano nero);<br />

- Fraxinus oxycarpa (frassino ossifillo);<br />

- Paulownia tomentosa (paulownia);<br />

- Platanus hispanica (platano ibrido);<br />

- Populus alba (pioppo bianco);<br />

- Populus nigra (pioppo nero);<br />

- cloni selezionati e altamente produttivi di Populus x canadensis (pioppi ibridi euro-<br />

americani, alcuni dei quali sono ancora in fase di sperimentazione);<br />

- Salix alba (salice bianco);<br />

- cloni e ibridi di Salix alba e Salix spp. (salice bianco e altre specie di salice);<br />

- Ulmus minor (olmo campestre);<br />

- Ulmus pumila (olmo siberiano).<br />

Di seguito (so veda Tab. 1) si riportano le specie arboree maggiormente diffuse negli schemi<br />

d’impianto delle SRF messe a dimora nelle AFI, indicandone le relative esigenze dal punto di vista<br />

pedologico.<br />

23


Nome comune<br />

Alnus glutinosa<br />

(Ontano nero)<br />

Fraxinus oxycarpa<br />

(Frassino ossifillo)<br />

Paulownia tomentosa<br />

(Paulownia)<br />

Platanus hispanica<br />

(Platano ibrido)<br />

Populus alba<br />

(Pioppo bianco)<br />

Populus nigra<br />

(Pioppo nero)<br />

Populus x canadensis<br />

(Pioppi ibridi euroamericani)<br />

Salix alba<br />

(Salice bianco)<br />

Cloni e ibridi di Salix<br />

alba e Salix spp.<br />

Ulmus minor<br />

(Olmo campestre)<br />

Ulmus pumila<br />

(Olmo siberiano)<br />

Acid<br />

a<br />

Note: x = specie poco adatta; + = specie adatta; + + = specie molto adatta.<br />

Tab. 1 - Esigenze pedologiche delle principali specie impiegabili nelle AFI in caso di impianto di popolamenti a SRF<br />

destinati a produrre legno energia (fonti: (AA.VV., 2012). Le Aree Forestali di Infiltrazione (AFI) da: (AA.VV., 2002). Fasce<br />

tampone boscate in ambiente agricolo. Manuale per l’azienda)<br />

24<br />

Caratteristiche del terreno<br />

Reazione Tessitura Umidità<br />

Subacid<br />

a<br />

Neutra/<br />

Subalca<br />

lina<br />

Pesan<br />

te<br />

Legge<br />

ra<br />

Falda<br />

profonda o<br />

senza<br />

ristagno<br />

Falda<br />

superficia<br />

le o con<br />

ristagno<br />

+ + + + + + + + + +<br />

x + + + + + x + + + +<br />

+ + + + + + x + + + x<br />

x + + + + + + + + + +<br />

x + + + + + + + + + +<br />

+ + + + + x + + + + + +<br />

+ + + + + x + + + + + +<br />

x + + + + + + + + + + +<br />

x + + + + + + + + + + +<br />

x x + + + + + + + + + +<br />

x x + + + + + + + + + +


A seconda delle caratteristiche pedo-climatiche del terreno e del sito d’impianto è necessario<br />

individuare la specie o le specie ritenute di volta in volta più adatte (si veda Fig. 12 e Fig. 13).<br />

Fig. 12 - AFI biennale (fonte: foto archivio Veneto Agricoltura)<br />

Fig. 13 - AFI quinquennale polispecifica (fonte: foto archivio Veneto Agricoltura)<br />

La consociazione di più specie e la costituzione di un popolamento polispecifico organizzato in<br />

blocchi omogenei di 2-3 specie diverse risultano più opportune rispetto alla creazione di impianti<br />

monospecifici (magari anche monoclonali).<br />

La mescolanza e la diversificazione consentono infatti una maggiore stabilità nei confronti di<br />

eventuali attacchi parassitari e permettono un aumento della biodiversità dell’intero ecosistema.<br />

Impianti a prevalente funzione naturalistica e paesaggistica<br />

Nel caso in cui i soprassuoli realizzati nelle AFI siano destinati a una prevalente funzione<br />

naturalistica e paesaggistica, le specie impiegabili sono quelle che solitamente caratterizzano i<br />

tradizionali boschi planiziali naturaliformi.<br />

25


In genere si tratta di popolamenti polispecifici, costituiti da consociazioni di specie arboree e<br />

arbustive variamente strutturate e articolate a seconda delle caratteristiche stazionali e delle<br />

peculiarità del terreno che contraddistingue il sito d’impianto.<br />

Tra le specie arboree vanno menzionati gli ontani, i frassini, le querce, i pioppi, i salici, gli aceri, i<br />

sorbi, i platani, gli olmi, i ciliegi. A queste si accompagna un ampio corredo di specie arbustive che<br />

contribuiscono a incrementare la biodiversità del sito e ad arricchire la valenza naturalistica e<br />

paesaggistica di questi soprassuoli.<br />

Di seguito si riportano le specie arboree (si veda Tab. 2) e arbustive (si vedaTab. 3) maggiormente<br />

diffuse negli schemi d’impianto dei boschi planiziali naturalistici, indicandone le relative esigenze<br />

dal punto di vista pedologico.<br />

Tali specie rientrano nella lista delle specie ammesse inserita nel prontuario tecnico realizzato dalla<br />

Regione del Veneto, in collaborazione con Veneto Agricoltura, all’interno delle Linee guida<br />

individuate dalle Norme per la realizzazione di boschi nella pianura veneta (L.R. 2 maggio 2003, n.<br />

13).<br />

Nome comune<br />

Acer campestre<br />

(Acero campestre)<br />

Acer pseudoplatanus<br />

(Acero di monte)<br />

Alnus glutinosa<br />

(Ontano nero)<br />

Carpinus betulus<br />

(Carpino bianco)<br />

Celtis australis<br />

(Bagolaro)<br />

Fraxinus excelsior<br />

(Frassino maggiore)<br />

Acid<br />

a<br />

Caratteristiche del terreno<br />

Reazione Tessitura Umidità<br />

Subacid<br />

a<br />

Neutra/<br />

Subalca<br />

lina<br />

26<br />

Pesan<br />

te<br />

Legge<br />

ra<br />

Falda<br />

profonda o<br />

senza<br />

ristagno<br />

Falda<br />

superficia<br />

le o con<br />

ristagno<br />

x + + + + + + + + + + +<br />

x x + + x + + + + +<br />

+ + + + + + + + + +<br />

+ + + + + + + x + + +<br />

x x + + x + + + x<br />

+ + + + x + + + + + +<br />

Fraxinus ornus x + + + + + + + x


(Orniello)<br />

Fraxinus oxycarpa<br />

(Frassino ossifillo)<br />

Malus sylvestris<br />

(Melo selvatico)<br />

Ostrya carpinifolia<br />

(Carpino nero)<br />

Populus alba<br />

(Pioppo bianco)<br />

Populus nigra<br />

(Pioppo nero)<br />

Prunus avium<br />

(Ciliegio selvatico)<br />

Pyrus pyraster<br />

(Perastro)<br />

Quercus robur<br />

(Farnia)<br />

Salix alba<br />

(Salice bianco)<br />

Sorbus torminalis<br />

(Ciavardello)<br />

Tilia cordata<br />

(Tiglio selvatico)<br />

Tilia platyphyllos<br />

(Tiglio nostrale)<br />

Ulmus minor<br />

(Olmo campestre)<br />

x + + + + + x + + + +<br />

x + + + x + + + + +<br />

x + + + + + + + + +<br />

x + + + + + + + + + +<br />

+ + + + + x + + + + + +<br />

x + + + + + + + + x<br />

x x + + x + + + x<br />

x + + + + + + + + + + +<br />

x + + + + + + + + + + +<br />

x x + + + + + + x<br />

x + + + + + + + + +<br />

x + + + + + + + + +<br />

x x + + + + + + + + + +<br />

Note: x = specie poco adatta; + = specie adatta; + + = specie molto adatta.<br />

Tab. 2 - Esigenze pedologiche delle principali specie arboree impiegabili nelle AFI in caso di impianto di popolamenti a<br />

prevalente funzione naturalistica (fonti: (AA.VV., 2002). Fasce tampone boscate in ambiente agricolo. Manuale per<br />

l’azienda. Mezzalira G., Bargioni G., Furlani Pedoja A., Benati F. (1999). Guida illustrata alla coltivazione delle siepi<br />

campestri, da frutto, da fiore e ornamentali. Guida illustrata. Coltivazione delle siepi: campestri - da frutto - da fiore -<br />

ornamentali)<br />

27


Nome comune<br />

Cornus mas<br />

(Corniolo)<br />

Cornus sanguinea<br />

(Sanguinella)<br />

Corylus avellana<br />

(Nocciolo)<br />

Crataegus monogyna<br />

(Biancospino)<br />

Eleagnos umbellata<br />

(Umbellata)<br />

Euonymus europaeus<br />

(Fusaggine)<br />

Frangula alnus<br />

(Frangola)<br />

Laburnum<br />

anagyroides<br />

(Maggiociondolo)<br />

Ligustrum vulgare<br />

(Ligustrello)<br />

Prunus spinosa<br />

(Prugnolo)<br />

Rhamnus cathartica<br />

(Spincervino)<br />

Rosa canina<br />

(Rosa canina)<br />

Acid<br />

a<br />

Caratteristiche del terreno<br />

Reazione Tessitura Umidità<br />

Subacid<br />

a<br />

Neutra/<br />

Subalca<br />

lina<br />

28<br />

Pesan<br />

te<br />

Legge<br />

ra<br />

Falda<br />

profonda o<br />

senza<br />

ristagno<br />

Falda<br />

superficia<br />

le o con<br />

ristagno<br />

x + + + + + + + +<br />

x + + + + + + + + + + +<br />

+ + + + + + + + + + + +<br />

+ + + + + + + + + + + + +<br />

x + + + + + + + + + + x<br />

x + + + + + x + + +<br />

+ + + + + + + + + + +<br />

x + + + + + + + + x<br />

x + + + + + + + + + + +<br />

+ + + + + + + + + + + +<br />

x + + + + + + + + x<br />

x + + + + + + + + + +<br />

Salix cinerea x + + + + + + + + + +


(Salice cenerino)<br />

Sambucus nigra<br />

(Sambuco nero)<br />

Viburnum lantana<br />

(Lantana)<br />

Viburnum opulus<br />

(Pallon di maggio)<br />

x + + + + + + + + + + + +<br />

x x + + + + + + x<br />

x + + + + + + x x + +<br />

Note: x = specie poco adatta; + = specie adatta; + + = specie molto adatta.<br />

Tab. 3 - Esigenze pedologiche delle principali specie arbustive impiegabili nelle AFI in caso di impianto di popolamenti a<br />

prevalente funzione naturalistica (fonti: (AA.VV., 2002). Fasce tampone boscate in ambiente agricolo. Manuale per<br />

l’azienda.<br />

Le densità e i sesti di impianto<br />

Tali caratteristiche sono collegate al tipo di popolamento messo a dimora e alle peculiari funzioni<br />

che è chiamato a svolgere.<br />

Impianti a SRF: produzione di biomassa legnosa da energia<br />

Nell’ambito di questa tipologia di impianti la densità e il sesto di impianto sono in stretta<br />

connessione con la lunghezza del turno di raccolta della biomassa. In genere si distinguono:<br />

- cedui a ciclo molto breve, per i quali si assume un turno di raccolta biennale, raramente<br />

triennale;<br />

- cedui a ciclo breve, caratterizzati da un turno di raccolta quinquennale.<br />

Se originariamente la gestione degli impianti di SRF era impostata secondo ceduazioni a turno<br />

biennale, oggi si propende per la scelta di un turno di raccolta quinquennale. Essi infatti si<br />

contraddistinguono per una gestione molto meno rigida:<br />

- un eventuale allungamento del turno al raggiungimento della scadenza del quinto anno non<br />

è così strettamente vincolante e lascia margini di operatività più ampi;<br />

- la cantieristica della raccolta è molto più flessibile e può contare su una gamma di opzioni<br />

molto più vasta;<br />

- il cippato derivante dalla raccolta risulta qualitativamente migliore in virtù del minore<br />

contenuto in corteccia e ramaglie.<br />

Per quanto riguarda le piantagioni di SRF messe a dimora nelle AFI, il sesto d’impianto e la densità<br />

variano rispetto alla normale consuetudine dei tradizionali impianti commerciali di SRF, alla luce del<br />

peculiare contesto logistico che caratterizza queste aree.<br />

Nei tradizionali impianti di SRF messi a dimora a pieno campo infatti:<br />

29


- in caso di gestione basata su turni biennali: si mettono a dimora file singole, poste a<br />

distanza di 3-3,5 m l’una dall’altra, con distanze di 0,5-0,6 m tra le piante lungo le file; la<br />

densità media si aggira sulle 5.500-6.000 piante/ha;<br />

- in caso di gestione basata su turni quinquennali: si mettono a dimora file singole, poste a<br />

distanza di 3,5 m l’una dall’altra, con distanze di 2 m tra le piante lungo le file; la densità<br />

media si aggira sulle 1.400 piante/ha.<br />

Nelle AFI invece la presenza del reticolo di scoline modifica obbligatoriamente il sesto e la densità<br />

dell’impianto forestale. In presenza di una serie di canalette parallele disposte a pettine con un<br />

interasse medio di 7-8 m, in ciascuno degli appezzamenti di terreno che si vengono a creare tra<br />

due scoline adiacenti si mettono a dimora due filari di piante. Le file di piante devono essere tutte<br />

parallele tra loro e anche parallele al reticolo di scoline. La distanza tra le due file dell’impianto<br />

poste all’interno di ogni appezzamento deve essere non inferiore a 4-4,5 m. I filari devono essere<br />

collocati a una distanza di almeno 1-1,5 m dai bordi delle scoline stesse (si veda Fig. 14).<br />

Fig. 14 - Collocazione dei filari all’interno del sistema di scoline (fonte: AA.VV., 2012. Le Aree Forestali di Infiltrazione)<br />

La distanza tra le piante lungo le file in genere si attesta (si veda Tab. 4):<br />

- sui 2-3 m qualora il soprassuolo sia gestito con un turno quinquennale;<br />

- sui 0,5-0,6 m qualora si scelga un eventuale turno biennale.<br />

In presenza di simili sesti d’impianto, risulta una densità variabile e compresa tra:<br />

- circa 800-1.500 piante/ha negli impianti a turno quinquennale;<br />

- circa 4.000-6.000 piante/ha negli impianti a turno biennale.<br />

Turno di<br />

raccolta<br />

(anni)<br />

5 anni<br />

Larghezza<br />

della<br />

scolina<br />

(metri)<br />

Distanza tra le<br />

file entro<br />

l’interfilare<br />

(metri)<br />

30<br />

Distanza tra i<br />

filari<br />

e la scolina<br />

(metri)<br />

Distanza tra le<br />

piante lungo le<br />

file (metri)<br />

Densità<br />

della SRF<br />

(piante/ha)<br />

0,7 4 1 2 1.500<br />

0,7 4 1 3 990


2 anni<br />

0,8 4,5 1,5 2 1.200<br />

0,8 4,5 1,5 3 792<br />

0,7 4 1 0,5 6.000<br />

0,7 4 1 0,6 5.010<br />

0,8 4,5 1,5 0,5 4.800<br />

0,8 4,5 1,5 0,6 4.008<br />

Tab. 4 - Esempi di diversa densità delle SRF nelle AFI a seconda del turno di taglio e del sesto di impianto (fonte: Veneto<br />

Agricoltura)<br />

La disposizione dei filari di piante all’interno del sistema di scoline e la distanza a cui collocare le<br />

file rispetto alle canalette stesse devono essere individuate in modo da rendere possibile la<br />

movimentazione e l’operatività delle macchine impiegate nelle fasi di messa a dimora, cura<br />

colturale dell’impianto e raccolta, esbosco e prima trasformazione nell’ambito dei cantieri di<br />

ceduazione di fine turno.<br />

Ad esempio è necessario permettere il transito delle macchine impiegate per la sramatura laterale<br />

delle piante che costituiscono i filari arborei, al fine di consentire il successivo ingresso dei mezzi<br />

che procedono alla distribuzione sul suolo, lungo gli interfilari, dei liquami o del digestato<br />

provenienti dagli allevamenti zootecnici o dagli impianti di biogas. Inoltre si deve prestare<br />

attenzione al corretto posizionamento dei filari rispetto al bordo delle scoline, onde evitare che il<br />

passaggio e le manovre dei mezzi danneggino la conformazione e la stabilità delle sponde.<br />

Una progettazione non idonea infatti può creare forti difficoltà tecnico-logistiche in sede di<br />

pianificazione delle operazioni di cura colturale e raccolta. Queste criticità possono essere anche<br />

tali da impedire il ricorso ad alcuni mezzi e la scelta di determinati tipi di cantieristica, al punto da<br />

imporre, per la realizzazione di alcuni interventi (necessari nel piano di gestione dell’AFI), l’impiego<br />

di modelli non convenienti dal punto di vista economico.<br />

La costituzione di un popolamento polispecifico risulta più opportuna rispetto alla creazione di<br />

impianti monospecifici. Infatti, quanto maggiore è la mescolanza tra le specie e il grado di<br />

biodiversità del popolamento, tanto più alta risulta la sua stabilità nei confronti di eventuali attacchi<br />

parassitari. In presenza di impianti misti risulta pertanto conveniente un’organizzazione in blocchi<br />

omogenei di specie diverse e si consiglia sempre la messa a dimora di piante della stessa specie<br />

lungo i due filari allocati all’interno di ciascun interfilare. Di seguito si riportano due esempi di<br />

schemi d’impianto di AFI caratterizzate dalla presenza di SRF destinate alla produzione di<br />

biomassa da energia, secondo un turno rispettivamente di 2 anni (si veda Fig. 15) e 5 anni (si veda<br />

Fig. 16).<br />

31


Fig. 15 - Sesto d’impianto di AFI caratterizzata dalla presenza di una SRF con turno di raccolta di 2 anni (fonte: Veneto<br />

Agricoltura)<br />

Fig. 16 - Sesto d’impianto di AFI caratterizzata dalla presenza di una SRF con turno di raccolta di 5 anni (fonte: Veneto<br />

Agricoltura)<br />

Impianti a prevalente funzione naturalistica e paesaggistica<br />

La definizione della densità e del sesto d’impianto in caso di popolamenti a prevalente funzione<br />

naturalistico-paesaggistica messi a dimora nelle AFI riprende solo in parte la strutturazione che<br />

caratterizza i tradizionali boschi di pianura realizzati a pieno campo, individuata dalle Norme per la<br />

realizzazione di boschi nella pianura veneta (nell’ambito della L.R. 2 maggio 2003, n. 13).<br />

La presenza del reticolo di scoline impone infatti obbligatoriamente di procedere a impianti con file<br />

parallele: tale scelta rappresenta una semplificazione rispetto allo schema d’impianto a file<br />

sinusoidali, curvilinee, che solitamente si ritrova nei boschi di pianura per mascherare l’assetto<br />

artificiale dell’imboschimento e aumentarne l’irregolarità, accrescendo di conseguenza anche il<br />

connotato naturalistico del soprassuolo.<br />

Anche i moduli di impianto per gruppi sono sconsigliati in quanto difficilmente si prestano a<br />

rispettare la regolare disposizione a pettine del reticolo idrografico delle scoline.<br />

Il rapporto quantitativo tra le diverse specie arboree e arbustive costituenti l’impianto, e quindi la<br />

scelta dello schema strutturale e compositivo, devono essere valutati di volta in volta sulla base<br />

delle caratteristiche delle specie prescelte stesse, in relazione ai parametri ambientali della<br />

stazione e alle finalità dell’intervento.<br />

32


Le specie arboree e quelle arbustive possono essere inserite in file diverse oppure possono essere<br />

mescolate all’interno delle stesse file. Ad esempio può essere consigliabile in questo contesto la<br />

messa a dimora, lungo uno o entrambi i lati esterni dell’impianto, di file costituite solo da piante<br />

arbustive: in tal modo si esalta il ruolo delle specie arbustive in quanto la produzione di frutti può<br />

attrarre la fauna selvatica incrementando la valenza naturalistica dell’AFI e la biodiversità del sito.<br />

La messa a dimora di specie arboree e arbustive lungo le stesse file può inoltre influire<br />

positivamente sulla qualità del portamento degli alberi stessi: gli arbusti infatti, se posti su entrambi<br />

i lati delle piante arboree, possono svolgere un ottimo ruolo nell’accompagnarne la crescita. Tale<br />

vantaggio si incrementa se ai due lati di uno stesso albero si pongono piante arbustive della<br />

medesima specie.<br />

La disposizione delle specie all’interno del modulo d’impianto deve essere attentamente ponderata<br />

in modo tale da evitare l’instaurarsi di un’eccessiva concorrenza tra le piante adiacenti nel corso<br />

della loro crescita. Per tale motivo lungo la fila si deve osservare un’attenta successione tra:<br />

- piante arboree ad altofusto che negli anni raggiungono dimensioni importanti;<br />

- piante arboree ad altofusto che danno vita a crescite più contenute;<br />

- piccoli alberi;<br />

- arbusti di grande taglia;<br />

- arbusti di piccola taglia.<br />

Allo stesso modo tali valutazioni devono riguardare anche la disposizione delle piante lungo file tra<br />

loro adiacenti, ad esempio tra le file poste all’interno di uno stesso interfilare e tra le file poste ai lati<br />

di ciascuna canaletta.<br />

Sulla base di tali ripartizioni, le piante arboree ad altofusto caratterizzate da un notevole sviluppo<br />

lungo una stessa fila non possono essere collocate a distanze inferiori a 8-10 metri l’una dall’altra.<br />

Nelle file adiacenti le piante di queste stesse specie devono essere posizionate tra loro<br />

mantenendo se possibile le stesse distanze (magari ricorrendo a una collocazione spaziale<br />

alternata, sfasata). In questo modo si evita che nel corso del tempo si crei una competizione tale da<br />

inficiarne la corretta crescita.<br />

Nelle Linee guida contenute all’interno delle Norme per la realizzazione di boschi nella pianura<br />

veneta si indica una densità minima pari ad almeno 1.200 piante/ettaro. Nei vari moduli prospettati<br />

come esempio nello stesso testo la densità in genere è più elevata e raggiunge valori di circa<br />

1.900-2.400 piante/ettaro.<br />

Nel caso di impianto di soprassuoli a prevalente funzione naturalistico-paesaggistica, nell’ambito<br />

delle AFI la densità può variare fortemente a seconda del numero di individui arborei e/o arbustivi<br />

oggetto di messa a dimora e in base alle distanze che caratterizzano il modulo d’impianto stesso.<br />

Per quanto riguarda le distanze d’impianto:<br />

33


- in presenza di file di soli arbusti: si consiglia di mettere a dimora le piante a una distanza di<br />

0,5-1,5 metri tra loro (a seconda che si tratti di arbusti di grande o di piccola taglia);<br />

- tra alberi e arbusti: si consiglia una distanza pari a non meno di 1-1,5 metri;<br />

- tra due alberi ad altofusto a grande sviluppo: si consiglia una distanza pari ad almeno 8-10<br />

metri;<br />

- tra due alberelli o alberi ad altofusto a sviluppo più contenuto: si consiglia una distanza pari<br />

ad almeno 2-3 metri.<br />

Tra gli alberi ad altofusto a grande sviluppo, di primaria grandezza, rientrano varie specie tra cui la<br />

farnia, i frassini, i ciliegi, i tigli, gli olmi. Tra gli alberelli e gli alberi ad altofusto a sviluppo più<br />

contenuto si annoverano i carpini, l’acero campestre, l’orniello. Gli arbusti di taglia più grande<br />

comprendono il biancospino, il nocciolo, il maggiociondolo mentre quelli di taglia più ridotta<br />

comprendono tra gli altri il corniolo, la frangola, lo spincervino, la fusaggine.<br />

In base a queste indicazioni, a seconda che il sesto d’impianto iniziale sia più o meno fitto, la<br />

densità risultante può mediamente variare tra le 1.500-2.500 piante/ettaro.<br />

L’elevata densità iniziale del sesto d’impianto e la forte competizione che si può instaurare tra le<br />

piante delle varie specie presenti nei primi anni dopo la messa a dimora possono essere regolate in<br />

maniera corretta sulla base di un regolare protocollo di gestione colturale del soprassuolo,<br />

all’interno del quale assume un’importanza strategica la realizzazione di periodici interventi di<br />

diradamento.<br />

Qualora si voglia connotare l’impianto con caratteri spiccatamente naturalistici, la disposizione delle<br />

specie può avvenire in modo assolutamente casuale per quanto riguarda la loro alternanza<br />

spaziale: in questo modo la crescita complessiva dell’impianto è lasciata alla sua libera evoluzione<br />

naturale.<br />

Ad esempio, specie in presenza di popolamenti di maggiore estensione, si possono creare<br />

all’interno dell’impianto delle macchie di vegetazione arbustiva, che risultano più idonee a ospitare<br />

la fauna selvatica, oppure delle radure più luminose che, con la maturazione dell’impianto stesso,<br />

possono favorire la diffusione spontanea delle specie arbustive.<br />

Di seguito si riportano due esempi di schemi d’impianto di popolamenti aventi prevalenti funzioni<br />

naturalistico-paesaggistiche.<br />

Nel primo caso (si veda Fig. 17) si osserva la presenza di file costituite da sole piante di arbusti in<br />

entrambi i lati perimetrali dell’impianto; gli arbusti possono essere messi a dimora lungo i filari in più<br />

gruppi di piante della stessa specie (5-10). Nelle file più interne, caratterizzate da specie arboree,<br />

non si riscontra invece la presenza di arbusti. Lungo i filari tra due alberi ad altofusto di primaria<br />

grandezza sono stati inseriti tre alberi di sviluppo più contenuto.<br />

34


Nel secondo caso (si veda Fig. 18), oltre alla presenza di file esclusivamente arbustive lungo<br />

entrambi i lati perimetrali dell’impianto, si osserva nei filari interni la successione di alberi e arbusti<br />

secondo un’alternanza che si ripete con uno schema ben definito:<br />

- tra due alberi ad altofusto di primaria grandezza sono stati inseriti tre alberi di sviluppo più<br />

contenuto;<br />

- ogni albero (sia di primaria grandezza, sia di sviluppo più contenuto) è sempre circondato<br />

su entrambi i lati da piante di arbusto: si osserva pertanto una continua alternanza di alberi<br />

e arbusti lungo le file.<br />

Fig. 17 - AFI caratterizzate da popolamenti aventi prevalenti funzioni naturalistico-paesaggistiche (fonte: Veneto<br />

Agricoltura)<br />

Fig. 18 - AFI caratterizzate da popolamenti aventi prevalenti funzioni naturalistico-paesaggistiche (fonte: Veneto<br />

Agricoltura)<br />

Tecniche di impianto e pacciamatura<br />

Nella preparazione del sito d’impianto è necessario procedere dapprima alla sistemazione e al<br />

livellamento del terreno. Tale intervento preliminare ha lo scopo di facilitare la realizzazione delle<br />

successive lavorazioni ed eventualmente di apportare alla superficie del suolo una pendenza<br />

idonea all’adeguato scorrimento dell’acqua lungo il reticolo di scoline (qualora essa non sia già<br />

presente naturalmente).<br />

Successivamente si devono realizzare gli interventi di preparazione del terreno:<br />

35


- lavorazione in profondità (80 cm) con l’ausilio di un ripuntatore: la pratica della ripuntatura è<br />

fortemente consigliata in caso di terreni coltivati precedentemente a seminativi, mentre è<br />

sconsigliata in caso di terreni idromorfi o fortemente argillosi;<br />

- concimazione di fondo preferibilmente con letame bovino maturo (circa 80 t/ha); le<br />

concimazioni di fondo con elementi minerali possono essere evitate qualora il terreno negli<br />

anni precedenti sia stato regolarmente coltivato;<br />

- aratura più superficiale (30-40 cm) per incorporare la sostanza organica;<br />

- leggera fresatura o erpicatura poco prima dell’impianto; tali interventi sono però sconsigliati<br />

in presenza di suoli a tessitura particolarmente fine: in questi casi è meglio procedere a uno<br />

sminuzzamento più grossolano del terreno.<br />

Tali lavorazioni sono sempre da effettuarsi di preferenza quando il terreno si trova in condizioni di<br />

tempera. In caso di spargimento controllato di liquami zootecnici o di digestato, gli elementi nutritivi<br />

apportati sono più che sufficienti e non richiedono pertanto ulteriori azioni di fertilizzazione.<br />

Al termine della realizzazione delle lavorazioni del terreno si procede alla definizione del tracciato e<br />

all’effettivo scavo del sistema di scoline. Successivamente si procede all’operazione di stesura del<br />

telo pacciamante (si veda Fig. 19). Per tale scopo si possono usare teli di due diverse tipologie:<br />

- in materiale plastico, ad esempio etilvinilacetato (EVA), di color nero fumo, spessore di 0,08<br />

mm e larghezza almeno pari a 100-120 cm: questo materiale è caratterizzato da una<br />

struttura stabile che non viene alterata dalla radiazione solare (è resistente alla radiazione<br />

ultravioletta) ed è in grado di mantenersi integro per almeno 3-4 anni, che corrispondono al<br />

periodo iniziale di crescita delle giovani piantine messe a dimora;<br />

- in materiale biodegradabile (amido di mais, PLA, juta): tali materiali sono ancora in fase di<br />

sperimentazione e attualmente sono caratterizzati da un costo più alto e da una durata e<br />

un’efficacia inferiori rispetto al film plastico; tuttavia la possibilità di non dover procedere alla<br />

rimozione e allo smaltimento alla fine del loro ciclo di vita, in quanto prodotti biodegradabili,<br />

fa intravedere vantaggi assai interessanti in seguito al loro impiego.<br />

Fig. 19 - Stesura di film pacciamante plastico (fonte: archivio Veneto Agricoltura)<br />

36


La copertura del terreno con la pacciamatura consente una serie di vantaggi, tra cui il<br />

miglioramento delle condizioni in cui si vengono a trovare le giovani piantine (umidità, temperatura)<br />

dopo il trapianto e soprattutto il controllo della competizione esercitata da parte delle erbe<br />

infestanti.<br />

Questi effetti positivi sono di vitale importanza poiché consentono alle piantine di svilupparsi subito<br />

in modo pronto e rigoglioso, affrancandosi in particolare dalla concorrenza esercitata dalle malerbe.<br />

Tale operazione richiede un tempo e un costo per la sua realizzazione ma i benefici sono talmente<br />

superiori agli svantaggi che la sua effettuazione è assolutamente consigliata.<br />

La pacciamatura plastica è tuttavia vivamente sconsigliata in presenza di terreni molto pesanti e<br />

umidi, con forte ristagno idrico e falda affiorante, in quanto può indurre fenomeni di asfissia<br />

radicale.<br />

La posa della pacciamatura è particolarmente indicata nel caso in cui il materiale vivaistico messo<br />

a dimora sia costituito da piantine con pane di terra. Qualora invece si proceda alla messa a dimora<br />

di astoni o talee, l’impianto si effettua con apposite macchine trapiantatrici direttamente su terreno<br />

nudo. In questi casi non si procede alla stesura sul terreno del film pacciamante.<br />

Il materiale vegetale di propagazione utilizzabile può essere di diversi tipi:<br />

- astoni e talee: in genere sono impiegati nel caso dell’impianto di cloni di ibridi di salici o di<br />

pioppi selezionati e altamente produttivi;<br />

- semenzali a radice nuda: sono impiegati ad esempio nel caso della robinia;<br />

- piantine allevate in pane di terra o ceppaiette: sono impiegate nel caso della maggior parte<br />

delle specie arboree deputate alla produzione di biomassa da energia.<br />

Vanno utilizzate piantine giovani, dell’età di 1-2-3 anni al massimo: di norma infatti le piante giovani<br />

presentano maggiore reattività post-impianto e percentuali di sopravvivenza superiori rispetto a<br />

quanto manifestato da piante più vecchie. Le dimensioni delle chiome devono essere proporzionate<br />

al grado di sviluppo dell’apparato radicale: in tal senso sono da considerarsi idonee piantine che a<br />

fronte di un considerevole sviluppo vegetativo della parte aerea manifestano un corrispondente<br />

sviluppo della parte radicale.<br />

La piantina forestale va immersa nel terreno fino al colletto, ponendo attenzione a non sotterrarla<br />

né troppo (il fusto deve rimanere tutto fuori terra) né troppo poco (l’intero apparato radicale essere<br />

immerso nel terreno). Nel caso di piantine con pane di terra basta che la superficie superiore del<br />

pane di terra si trovi a livello del terreno o appena sotto.<br />

Una volta introdotta la piantina, il terreno attorno al colletto va compattato in modo da non lasciare<br />

punti di discontinuità tra il suolo e il pane di terra, per evitare rischi di disseccamento della piantina.<br />

Nella composizione degli impianti a spiccata connotazione naturalistica un ruolo particolare può<br />

essere affidato alla farnia, che in passato era la principale componente delle antiche foreste<br />

planiziali: per tale motivo a questa specie si può assegnare un peso percentuale superiore rispetto<br />

37


alle altre specie. Inoltre, essendo la farnia dotata di ampia variabilità genetica, si tende ad<br />

assegnarle una densità più elevata per aumentare la probabilità che si sviluppino individui di buone<br />

caratteristiche in termini di accrescimento e portamento.<br />

A tale scopo si ricorre spesso alla tecnica dell’impianto della doppia o tripla farnia, che consiste<br />

nella messa a dimora lungo la fila di 2-3 individui distanziati tra loro 0,5-1 metri anziché di un solo<br />

esemplare, nella prospettiva di selezionare la pianta migliore dopo 4-5 anni di crescita eliminando<br />

le piante peggiori. L’epoca ottimale per l’impianto si colloca tra la fine dell’inverno e l’inizio della<br />

primavera (indicativamente tra marzo e aprile), in ogni caso sempre prima della ripresa vegetativa<br />

delle piante. In alternativa l’impianto può essere effettuato anche nella stagione autunnale<br />

(indicativamente tra ottobre e novembre).<br />

L’impianto può essere effettuato:<br />

- per via meccanica con l’ausilio di apposite trapiantatrici (si veda Fig. 20) o trapianta-<br />

pacciamatrici portate da trattori agricoli;<br />

- per via manuale (si veda Fig. 21).<br />

Fig. 20 - Messa a dimora di talee con trapiantatrice (fonte: archivio Veneto Agricoltura)<br />

Fig. 21 - Messa a dimora manuale con bastone trapiantatore (fonte: archivio Veneto Agricoltura)<br />

38


L’utilizzo di piantine con pane di terra è generalmente consigliato per vari motivi:<br />

- praticità di utilizzo: tale metodo offre interessanti possibilità di meccanizzazione in fase di<br />

impianto (nel caso di impiego di macchine trapianta-pacciamatrici);<br />

- impiego in un ampio arco di mesi: in pratica quasi tutto l’anno, salvo i periodi più caldo-aridi<br />

e quelli in cui il terreno è gelato;<br />

- possibilità di conservazione del materiale vivaistico per lunghi periodi con pochi e semplici<br />

accorgimenti, senza il rischio di comprometterne la vitalità;<br />

- minor trauma da trapianto dopo la messa a dimora nel terreno in campo, con percentuali di<br />

attecchimento mediamente maggiori.<br />

La commercializzazione di alcune specie forestali è soggetta al “Passaporto delle piante CEE”, così<br />

come previsto dal D.M. 31 gennaio 1996 in attuazione delle direttive comunitarie in materia<br />

fitosanitaria.<br />

Per quanto riguarda la biodiversità e la provenienza del materiale vivaistico impiegato, è<br />

auspicabile l’impiego di piantine di provenienza locale (Veneto o al massimo altre regioni del bacino<br />

padano), sicura e documentabile.<br />

Le principali specie forestali autoctone sono soggette a normative atte a identificare la provenienza<br />

del materiale vivaistico. Le piantine devono rispondere a quanto previsto dalle leggi vigenti in<br />

materia di produzione e commercializzazione di materiale forestale di propagazione (in particolare il<br />

D. Lgs. 386/2003 e la sua norma regionale di attuazione, D.G.R. 3263 del 15/10/2004).<br />

Un accorgimento dedicato alla protezione delle giovani piantine dai danni causabili dalla fauna<br />

selvatica è la posa di particolari dispositivi detti shelters. La fauna selvatica presente nelle<br />

campagne (cervi, lepri, ecc.) può infatti determinare una serie di danni sulle giovani piante forestali<br />

messe a dimora per la costituzione dei soprassuoli delle AFI, tra cui ad esempio brucatura,<br />

scortecciamento, ecc.<br />

La difesa viene realizzata tramite l’impiego di dispositivi di protezione individuale di vario tipo,<br />

denominati shelters, che vanno posati subito dopo la messa a dimora. Essi possono essere<br />

sostenuti da appositi pali tutori e si differenziano tra loro per vari parametri, tra cui l’altezza, la<br />

durata, la tipologia (tubolari, a rete).<br />

Dato l’elevato costo per l’acquisto e l’installazione, in genere gli shelters vengono impiegati solo in<br />

modo limitato, ad esempio per la protezione delle piante di maggiore pregio (querce, tigli, frassini)<br />

negli impianti a prevalente funzione naturalistico-paesaggistica. Generalmente non sono impiegati<br />

nei soprassuoli di SRF dedicati alla produzione di legno energia.<br />

39


Schede delle principali specie arboree e arbustive utilizzabili<br />

Si riporta in appendice 1 le schede relative alle principali specie arboree e arbustive che rientrano<br />

nella composizione dei popolamenti forestali delle AFI.<br />

Si tratta di informazioni sintetiche in merito alle principali caratteristiche ecologiche e pedo-<br />

climatiche delle specie stesse.<br />

4.2.1.12 Manutenzione e gestione delle AFI<br />

Interventi post-impianto<br />

Successivamente alla messa a dimora dell’impianto si deve eseguire una serie di interventi di cure<br />

colturali:<br />

- controllo della concorrenza esercitata dalle erbe infestanti;<br />

- risarcimento delle fallanze;<br />

- irrigazione;<br />

- difesa fito-sanitaria (in impianti a prevalente funzione produttiva);<br />

- rimozione del film plastico pacciamante;<br />

- potatura di contenimento laterale dei filari;<br />

- eventuale selezione della doppia/tripla farnia (in impianti a spiccata connotazione<br />

naturalistica).<br />

Controllo della concorrenza esercitata dalle erbe infestanti<br />

Il controllo della concorrenza esercitata dalle erbe infestanti può essere esercitato secondo più<br />

modalità:<br />

1. sfalcio dell’erba lungo gli interfilari. In genere tale tipo di intervento si effettua nei primi 2-3 anni<br />

dopo la messa a dimora dell’impianto; questo dipende dalla velocità di crescita delle piante:<br />

- la trinciatura va eseguita finché le chiome delle piante forestali non si sono chiuse,<br />

bloccando la crescita della vegetazione erbacea;<br />

- in media lo sfalcio si effettua 2-3-4 volte all’anno, più di frequente nei primi anni e via via<br />

con minore frequenza man mano che le piante crescono: negli anni l’opportunità o la<br />

necessità di proseguire negli sfalci dipendono di volta in volta dallo sviluppo raggiunto dalle<br />

piante;<br />

- nella trinciatura dell’erba nell’interfilare si deve prestare attenzione a non danneggiare il telo<br />

pacciamante con l’attrezzo meccanico;<br />

2. diserbo chimico in corrispondenza del foro d’impianto o su tutta la larghezza dell’interfilare:<br />

- va effettuato con attenzione nei primi 2-3 anni, in quanto l’invasione delle malerbe può<br />

arrecare una concorrenza molto forte alle giovani piantine;<br />

40


- per tale operazione si deve ricorrere all’uso di pompe dotate di ugelli schermati, per evitare<br />

pericolosi disseccamenti delle giovani piantine;<br />

3. eliminazione manuale delle malerbe presenti vicino al colletto delle piantine, nei pressi del foro<br />

d’impianto: questo risulta utile soprattutto in presenza di malerbe rampicanti come il convolvolo.<br />

Per le ripuliture e il contenimento della crescita della vegetazione erbacea per via meccanica si può<br />

ricorrere a più opzioni, tra cui il decespugliamento (uso del decespugliatore) o la trinciatura<br />

mediante trinciasarmenti (a catene, coltelli, flagelli o martelli) portato da trattore agricolo.<br />

Risarcimento delle fallanze<br />

In genere l’impiego di materiale vivaistico di buona qualità e la messa a dimora di giovani piantine<br />

forestali (in genere di età 1-2 anni) con pane di terra permettono di garantire elevate percentuali di<br />

attecchimento. In questi casi tendenzialmente il numero medio di fallanze riscontrabile risulta<br />

sempre inferiore al 5-10%. Tale dato deriva dalle sperimentazioni condotte nell’ultimo decennio dal<br />

Settore Bioenergie e Cambiamento Climatico di Veneto Agricoltura.<br />

Irrigazione<br />

In genere tali interventi non vengono effettuati allo scopo di contenere le spese di gestione<br />

dell’impianto; molto spesso tra l’altro non risultano nemmeno necessari e si opta esclusivamente<br />

per interventi di soccorso al bisogno (in caso di estati fortemente siccitose), soprattutto nei primi<br />

anni dopo la messa a dimora dell’impianto. Il costo di tali operazioni infatti può rivelarsi molto<br />

oneroso.<br />

Difesa fito-sanitaria<br />

I trattamenti fito-sanitari generalmente non vengono realizzati. Possono risultare opportuni solo in<br />

pochi casi, ad esempio in presenza di impianti di SRF costituiti da cloni di pioppo ibrido destinati<br />

alla produzione di biomassa legnosa da energia, qualora si verifichino attacchi di insetti defogliatori<br />

(ad esempio la crisomela del pioppo, Melasoma populi) che colpiscono una percentuale cospicua<br />

del popolamento (almeno il 30%). In tal caso è consigliabile effettuare trattamenti antiparassitari<br />

con distribuzione degli opportuni principi attivi mediante atomizzatore. Tali interventi si possono<br />

rendere necessari soprattutto all’inizio della primavera del primo anno del ciclo produttivo, quando<br />

le defogliazioni possono essere più intense.<br />

Rimozione del film plastico pacciamante<br />

Il film plastico pacciamante è un materiale non biodegradabile, per cui deve essere asportato e<br />

smaltito. La rimozione si effettua tagliando longitudinalmente il film quando le piantine hanno<br />

raggiunto uno sviluppo sufficiente per cui non soffrono più della concorrenza indotta dalle erbe<br />

41


infestanti. Questo si verifica a partire dalla fine del terzo anno dalla messa a dimora o subito dopo<br />

la prima ceduazione.<br />

Si consiglia di non lasciare il film pacciamante sul terreno per troppi anni: nel corso del tempo si<br />

osserva la formazione di uno strato di cotico erboso e terra sopra il telo che ne rende difficile più<br />

l’asportazione. In genere si consiglia di procedere in fase di riposo vegetativo quando il terreno è<br />

asciutto, ad esempio in febbraio.<br />

Potatura di contenimento laterale dei filari<br />

L’intervento di contenimento laterale può essere realizzato secondo più finalità e obiettivi:<br />

- sui filari più esterni del popolamento, sia arborei sia arbustivi: si propone come obiettivo<br />

principale il controllo dello sviluppo laterale dei filari, allo scopo di lasciare loro uno spazio di<br />

crescita predefinito;<br />

- sui filari interni dell’impianto: si propone come obiettivo principale quello di permettere<br />

l’ingresso all’interno del popolamento delle macchine dedicate a una serie di varie<br />

operazioni tra cui lo spandimento del digestato lungo gli interfilari e la raccolta della<br />

biomassa allo scadere del turno di crescita del soprassuolo stesso.<br />

La ramosità e la crescita della vegetazione delle piante infatti possono impedire l’ingresso e<br />

l’idonea operatività delle macchine oppure possono rischiare di provocare danni agli specchietti<br />

retrovisori e alla cabina degli stessi mezzi.<br />

La potatura laterale dei rami delle piante può essere effettuata secondo due principali opzioni:<br />

- utilizzo di barre troncarami portate verticalmente e frontalmente al trattore agricolo: in tal<br />

caso però i rami vengono semplicemente tagliati e cadendo al suolo possono comunque<br />

creare problemi al successivo passaggio delle macchine;<br />

- utilizzo di una particolare macchina semovente (ancora sviluppata a livello di prototipo)<br />

denominata “Speedy-cut” (si veda Fig. 22): essa effettua una potatura verticale netta dei<br />

rami fino a un’altezza di 3-4 m e i rami tagliati cadono in una tramoggia in cui vengono<br />

cippati per essere successivamente accumulati in un cassone portato sul mezzo semovente<br />

stesso.<br />

La frequenza degli interventi di potatura laterale dei filari deve essere attentamente valutata e<br />

programmata sulla base dello sviluppo della vegetazione dell’impianto e a seconda del protocollo<br />

colturale di gestione dello stesso.<br />

42


Fig. 22 - Macchina potatrice “Speedy-cut” in azione (fonte: archivio Veneto Agricoltura)<br />

Eventuale selezione della doppia/tripla farnia<br />

Nel caso di popolamenti a spiccata connotazione naturalistica, qualora si sia ricorso alla tecnica<br />

dell’impianto della doppia o tripla farnia, dopo 5-6 anni si deve procedere alla selezione all’interno<br />

dei gruppi, preservando l’individuo migliore ed eliminando le piante più piccole e stentate.<br />

Manutenzione e gestione ordinaria<br />

Il protocollo di manutenzione e gestione ordinaria di questi impianti prevede interventi differenti a<br />

seconda della tipologia dei popolamenti stessi.<br />

Impianti a SRF: produzione di biomassa legnosa da energia<br />

La gestione degli impianti produttivi a SRF prevede il taglio di raccolta della biomassa al termine<br />

del periodico turno di crescita del soprassuolo.<br />

Nei vari casi le piantagioni si possono configurare come cedui a densità di impianto elevata o molto<br />

elevata e turni ridotti o molto ridotti (in genere compresi tra 2-3 anni per le SRF a ciclo molto breve<br />

e 5 anni per le SRF a ciclo breve).<br />

La frequente presenza di acqua lungo le scoline e l’eventuale spandimento del digestato negli<br />

interfilari determinano un aumento di fertilità di queste aree, per cui è presumibile un incremento<br />

della produttività di questi impianti rispetto a quella dei tradizionali arboreti a SRF messi a dimora a<br />

pieno campo.<br />

Dalla raccolta di questi impianti si ricava biomassa legnosa da energia nella forma di cippato e/o<br />

legna da ardere.<br />

La cantieristica adottabile nella raccolta della biomassa deve inevitabilmente tenere conto delle<br />

peculiarità logistiche e infrastrutturali specifiche di questi impianti. L’allestimento dei cantieri di<br />

taglio e raccolta della biomassa legnosa nelle AFI si differenzia sensibilmente dalle caratteristiche<br />

dei cantieri realizzati negli arboreti tradizionali. In questo specifico contesto ci si trova di fronte a<br />

43


due fattori aggiuntivi che vanno a influenzare le possibilità operative delle macchine e delle<br />

attrezzature impiegate:<br />

- esiste un sistema di scoline distribuito uniformemente su tutta la superficie;<br />

- esiste la necessità di non alterare sensibilmente la struttura del terreno, pena una<br />

considerevole perdita della capacità di infiltrazione e fito-depurazione dell’AFI.<br />

Questo tipo di infrastrutturazione, caratterizzato da tali aspetti logistici, elimina la possibilità di<br />

utilizzare quelle macchine raccoglitrici che necessitano di percorrere i filari “a scavalco”, come per<br />

esempio le falcia-trinciacaricatrici con testata modificata (solitamente impiegate nella raccolta degli<br />

impianti di SRF biennale tradizionale a pieno campo). Servono quindi macchine e attrezzature che<br />

transitino solo lungo l’interfilare. La meccanizzazione deve essere studiata in modo da alterare il<br />

meno possibile la struttura del terreno, evitandone un eccessivo costipamento. Per questo motivo:<br />

- le macchine e le attrezzature devono essere le più leggere possibile;<br />

- è preferibile che i mezzi siano cingolati piuttosto che gommati, perché con i cingoli il peso si<br />

distribuisce su una superficie maggiore esercitando una minore pressione e quindi<br />

provocando minore costipamento del terreno;<br />

- le macchine con le attrezzature applicate devono percorrere l’interfilare in linea retta senza<br />

dover effettuare variazioni di direzione, se non in capezzagna;<br />

- si deve percorrere l’interfilare il minor numero di volte possibile, eliminando tutte le modalità<br />

che implichino numerosi passaggi sullo stesso percorso.<br />

Oltre a non modificare la struttura del terreno occorre fare attenzione anche a non alterare la forma<br />

delle scoline, allo scopo di salvaguardarne l’integrità. Infatti la macchina che percorre l’interfilare<br />

esercita una pressione al suolo che tende a spingere il terreno verso l’esterno, cioè verso il centro<br />

della scolina, deformandone le sponde. È necessario quindi fare attenzione a mantenere i mezzi il<br />

più lontano possibile dalle sponde, anche in capezzagna.<br />

Nell’allestimento dei cantieri di utilizzazione delle AFI è necessario distinguere i sistemi di lavoro<br />

adottati negli impianti quinquennali da quelli impiegati presso gli impianti biennali. Infatti le<br />

macchine da impiegare e la logistica della cantieristica si differenziano nei due diversi contesti.<br />

Nelle fasi di abbattimento si possono impiegare o una testata abbattitrice a cesoia montata sul<br />

braccio di un escavatore cingolato (si veda Fig. 23) oppure apposite macchine abbattitrici dedicate:<br />

ad esempio la ditta Spapperi S.r.l. ha realizzato alcuni prototipi destinati all’abbattimento di<br />

soprassuoli sia biennali (Veneto Agricoltura ha testato questa macchina in un cantiere sperimentale<br />

organizzato nel novembre del 2011 presso un’AFI del Vicentino, (si veda Fig. 24) sia quinquennali.<br />

44


Fig. 23 - Testata abbattitrice a cesoia in azione presso un’AFI biennale (fonte: archivio Veneto Agricoltura)<br />

Fig. 24 - Abbattitrice-andanatrice Spapperi per impianti di AFI biennali (fonte: archivio Veneto Agricoltura)<br />

Le fasi del concentramento e dell’esbosco non sempre sono necessarie e in alcuni casi non<br />

vengono eseguite: ad esempio qualora la macchina che compie l’abbattimento<br />

contemporaneamente svolga anche la cippatura o qualora la cippatura sia effettuata all’interno<br />

dell’area dell’AFI, lungo gli interfilari. Nei casi in cui invece si decida di effettuare la cippatura a<br />

bordo impianto l’opzione più idonea per l’esbosco prevede l’uso di escavatori muniti di pinza (si<br />

veda Fig. 25) ed eventuale rimorchio agganciato.<br />

45


Fig. 25 - Concentramento all’interno di un arboreto con escavatore munito di pinza tronchi (fonte: archivio Veneto<br />

Agricoltura)<br />

La cippatura nei diversi casi si può effettuare a bordo arboreto o negli interfilari. Per tale operazione<br />

si può ricorrere all’impiego di cippatrici di vario tipo:<br />

- su trattore;<br />

- semoventi su cingoli;<br />

- medio-grandi, autonome e auto-carrate (si veda Fig. 26);<br />

- altre tipologie di mezzi dedicate quali ad esempio il prototipo di cippatrice retroportata<br />

messa a punto dalla ditta Spapperi S.r.l. (si veda Fig. 27) per soprassuoli biennali e testata<br />

da Veneto Agricoltura nel cantiere sperimentale del novembre del 2011.<br />

Fig. 26 - Cippatrice grande auto-carrata con motore autonomo in azione a bordo impianto (fonte: archivio Veneto<br />

Agricoltura)<br />

46


Fig. 27 - Cippatrice retroportata Spapperi in azione presso un’AFI biennale (fonte: archivio Veneto Agricoltura)<br />

Un’esaustiva rassegna della cantieristica e delle macchine impiegate nelle varie fasi della raccolta<br />

della biomassa (abbattimento, concentramento, esbosco, prima trasformazione) da impianti di SRF<br />

realizzati presso le AFI, a turno sia biennale sia quinquennale, si può trovare nella pubblicazione<br />

“Le Aree Forestali di Infiltrazione (AFI)” edita dalla Regione del Veneto e da Veneto Agricoltura<br />

nell’ambito del progetto RiduCaReflui. La pubblicazione può essere scaricata dal sito di Veneto<br />

Agricoltura nell’ambito delle pagine dedicate al progetto RiduCaReflui<br />

(http://riducareflui.venetoagricoltura.org/), al link che presenta i “Prodotti del progetto”.<br />

La durata di vita degli impianti produttivi di SRF varia sensibilmente a seconda della tipologia degli<br />

stessi e della durata del turno di taglio:<br />

- gli impianti a ciclo molto breve (2 anni), prevalentemente costituiti da cloni di pioppo e salice<br />

e sottoposti a ceduazioni più frequenti, finiscono per spossarsi prima e in genere la loro<br />

durata di vita non supera i 10 anni;<br />

- gli impianti a ciclo breve (5 anni), generalmente costituiti da specie a legno più duro rispetto<br />

al pioppo e sottoposti a ceduazioni più distanziate nel tempo, subiscono uno stress inferiore<br />

e possono rimanere sul terreno per qualche decina di anni prima di andare incontro<br />

all’espianto al termine del loro ciclo di vita.<br />

Dopo il taglio di fine turno in genere negli impianti a ciclo molto breve non è necessario alcun<br />

intervento colturale, salvo un’eventuale erpicatura lungo gli interfilari o eventuali trattamenti di<br />

difesa fito-sanitaria mediante distribuzione di antiparassitari.<br />

Negli impianti a ciclo breve invece può essere necessaria la realizzazione di due interventi: la<br />

spollonatura e l’eventuale ribassamento delle ceppaie.<br />

La spollonatura è una pratica tradizionalmente eseguita durante il periodo di riposo vegetativo, in<br />

genere nei mesi di novembre-dicembre o a fine inverno (febbraio-marzo). Tale operazione consiste<br />

nella riduzione del numero dei polloni presenti sulle ceppaie o sulle capitozze; viene attuata<br />

manualmente, con l’ausilio della roncola o della motosega (si veda Fig. 28).<br />

47


Fig. 28 - Spollonatura manuale (fonte: archivio Veneto Agricoltura)<br />

La spollonatura è importante soprattutto in occasione del primo ricaccio immediatamente<br />

successivo all’utilizzazione di fine turno (al termine del primo anno di ricrescita); questo intervento<br />

se possibile va comunque effettuato durante tutti gli anni del turno di crescita, allo scopo di<br />

sopprimere continuamente i giovani polloni via via emessi dalle ceppaie a partire dallo sviluppo di<br />

gemme dormienti. L’obiettivo principale di questa pratica colturale è quello di concentrare la<br />

crescita su di un numero limitato di polloni (tale numero può essere variabile, ma preferibilmente<br />

non più di 3-4), scelti tra quelli più forti e vigorosi emessi dalle piante.<br />

Spesso la spollonatura non viene eseguita poiché, essendo attuata manualmente, richiede un<br />

notevole investimento in termini di tempo e manodopera e risulta pertanto anti-economica. La sua<br />

realizzazione tuttavia si rivela un accorgimento molto vantaggioso per facilitare l’esecuzione delle<br />

operazioni di utilizzazione in occasione delle successive ceduazioni. La presenza sulle ceppaie di<br />

un numero ridotto di polloni di dimensioni ragguardevoli innanzitutto riduce la tempistica<br />

dell’abbattimento; inoltre si facilita la manovrabilità dell’organo abbattitore, poiché l’operatore<br />

dispone di una migliore visuale al momento di impegnare le ceppaie e di tagliare i polloni<br />

concentrandoli successivamente ai bordi della capezzagna.<br />

Il ribassamento delle ceppaie o dei monconi di pollone sulle ceppaie, una volta concluso il cantiere<br />

di raccolta, è fortemente consigliato nel caso in cui per la ceduazione si sia ricorsi all’impiego della<br />

testata abbattitrice a cesoia.<br />

L’abbattitrice a cesoia durante il suo avanzamento tende a strappare il legno, lasciando una<br />

superficie di taglio discontinua, non liscia: l’acqua può penetrare nei tessuti legnosi, accumularsi e<br />

ristagnare, dando luogo a fenomeni di marcescenza che possono compromettere la vitalità delle<br />

ceppaie e pregiudicare la successiva capacità di ricaccio dei polloni. Inoltre, soprattutto in presenza<br />

di ceppaie su cui crescono più polloni, la cesoia riesce ad afferrare e a impegnare la pianta solo a<br />

una certa altezza dalla base della ceppaia, praticamente dove il singolo pollone è ben separato da<br />

tutti gli altri. In tal modo rimane un moncone di lunghezza variabile.<br />

48


Entrambi questi inconvenienti possono essere risolti procedendo in un secondo momento a un<br />

ribassamento delle ceppaie (si veda Fig. 29). Tale operazione va realizzata manualmente, previo<br />

motosega, allo scopo di ripristinare la vitalità delle ceppaie: in tal modo si evita il verificarsi di<br />

fenomeni di marcescenza e si consente il corretto riscoppio dei ricacci nella primavera successiva<br />

all’intervento di manutenzione dell’impianto.<br />

Questa operazione risulta essere piuttosto speditiva e non eleva eccessivamente i costi di<br />

abbattimento, per cui non si pregiudica la sostenibilità del processo produttivo.<br />

Fig. 29 - Ribassamento delle ceppaie con motosega (fonte: archivio Veneto Agricoltura)<br />

Impianti a prevalente funzione naturalistica e paesaggistica<br />

In questo tipo di impianti il tipo principale di interventi previsti dal protocollo colturale è la periodica<br />

esecuzione dei diradamenti.<br />

Questo tipo di popolamenti infatti è generalmente messo a dimora secondo sesti d’impianto molto<br />

fitti e caratterizzati inizialmente da una notevole vicinanza tra loro degli individui presenti.<br />

Il diradamento è un intervento che consiste nella selezione e nel taglio di un certo numero di<br />

individui presenti nel bosco, allo scopo di ridurre l’eccessiva densità del popolamento,<br />

aumentandone la stabilità e concentrando l’accrescimento sulle piante lasciate in piedi. Queste<br />

ultime infatti possono così svilupparsi in modo ottimale, senza essere sottoposte allo stress dovuto<br />

alla forte competizione provocata dalla densità troppo elevata del popolamento.<br />

I diradamenti si effettuano periodicamente: a seconda del sesto d’impianto e della densità iniziale<br />

tali interventi iniziano generalmente dopo circa 8-10 anni dalla messa a dimora dell’impianto,<br />

quando le piante raggiungono dimensioni tali da dar vita a una eccessiva concorrenza reciproca,<br />

per cui è necessaria una loro eliminazione selettiva e si permette una più idonea crescita degli<br />

individui lasciati in piedi. Gli interventi successivi possono avere una frequenza e una periodicità<br />

variabile, a seconda della composizione e della struttura iniziale del popolamento e dei criteri su cui<br />

si impostano questi interventi.<br />

I diradamenti si possono infatti basare su criteri sia naturalistici sia produttivi:<br />

49


- da una parte si punta a conservare la stabilità e la biodiversità del popolamento,<br />

salvaguardando la presenza di determinate specie ritenute di maggior pregio (ad esempio<br />

la farnia o gli arbusti) rispetto ad altre specie (ad esempio quelle ad accrescimento più<br />

veloce, tipo pioppi e salici);<br />

- dall’altra invece si può ottenere una periodica produzione di biomassa legnosa, destinata a<br />

essere immessa sul mercato a fini energetici: in questo modo nel tempo si possono<br />

ottenere regolarmente delle entrate che consentono di sostenere la realizzazione di tali interventi<br />

o addirittura permettono di ottenere un guadagno di entità variabile.<br />

I principi che regolano la pianificazione e la realizzazione dei diradamenti possono essere<br />

molteplici: tali interventi infatti possono essere realizzati in modo uniforme sulla superficie dell’intero<br />

popolamento o possono interessare solo determinate aree (o determinate specie).<br />

Time-sheets degli interventi<br />

Di seguito si riportano le tabelle relative ai time-sheets degli interventi e delle operazioni che vanno<br />

effettuati nell’anno di realizzazione dell’AFI e nell’anno successivo. Gli esempi si riferiscono alla<br />

messa a dimora del soprassuolo forestale in primavera (si veda Tab. 5) e nella stagione autunno-<br />

invernale (si veda Tab. 6).<br />

periodo consigliato per l’esecuzione delle operazioni.<br />

Tab. 5 - Calendario dei lavori per l’impianto e la manutenzione del popolamento forestale di un’AFI nel caso di messa a<br />

dimora in primavera (fonte: Veneto Agricoltura)<br />

50


Tab. 6 - Calendario dei lavori per l’impianto e la manutenzione del popolamento forestale di un’AFI nel caso di messa a<br />

dimora in autunno-inverno (fonte: Veneto Agricoltura)<br />

Nelle seguenti tabelle si riportano invece i costi unitari per ettaro che si devono sostenere per<br />

l’insfrastrutturazione di un ettaro di AFI, per quanto concerne la realizzazione sia della parte<br />

idraulica sia del popolamento forestale (messa a dimora e cure colturali nei primi anni di vita<br />

dell’impianto):<br />

- (si veda Tab. 7): costo per la realizzazione di un’AFI a turno biennale costituita da cloni di<br />

pioppo ibrido euro-americano (impianto caratterizzato dalla messa a dimora di talee);<br />

- (si veda Tab. 8): costo per la realizzazione di un’AFI a turno quinquennale costituita da cloni<br />

di pioppo ibrido euro-americano (impianto caratterizzato dalla messa a dimora di astoni);<br />

- (si veda Tab. 9): costo per la realizzazione di un’AFI a turno quinquennale polispecifica<br />

(impianto caratterizzato dalla stesura del telo plastico pacciamante e dalla messa a dimora<br />

di piantine con pane di terra).<br />

Parte di questi dati derivano dalle esperienze sperimentali condotte nell’ultimo quinquennio nel<br />

territorio del Vicentino dall’attuale Consorzio di Bonifica “Brenta”.<br />

Operazione Costo<br />

(Euro/ha)<br />

SPESE GENERALI<br />

periodo consigliato per l’esecuzione delle operazioni.<br />

Analisi idro-geologiche 1.300,00<br />

Progettazione e direzione lavori 1.700,00<br />

51<br />

Note


TOTALE SPESE GENERALI 3.000,00<br />

SPESE PER LA REALIZZAZIONE<br />

DELL’AFI<br />

Preparazione e lavorazione del<br />

terreno:<br />

- Ripuntatura a 70 cm<br />

- Aratura a 40 cm<br />

- Erpicatura (2 passaggi)<br />

Acquisto e messa a dimora delle<br />

talee<br />

700,00<br />

52<br />

Non si è effettuata la concimazione di<br />

fondo in quanto la dotazione minerale<br />

dell’ex terreno agricolo era sufficiente<br />

2.000,00 Impianto delle talee: meccanizzato<br />

Densità: 6.000 piante/ha (distanza tra le<br />

file: 4 m; distanza tra le piante lungo le<br />

file: 0,5 m)<br />

Scavo delle scoline 2.000,00 Impiego di un escavatore munito di<br />

benna a sezione trapezia<br />

Acquisto e posa di 200 m di tubo<br />

avente Ø 40<br />

TOTALE SPESE PER LA<br />

REALIZZAZIONE DELL’AFI<br />

SPESE PER LE CURE COLTURALI<br />

NEL PRIMO CICLO DELL’IMPIANTO<br />

Controllo e pulizia dell’erba sia lungo<br />

gli interfilari sia tra le piante lungo le<br />

file<br />

2.000,00 Realizzazione dei raccordi di testa delle<br />

scoline<br />

6.700,00<br />

2.000,00 Tali interventi sono stati effettuati:<br />

- 3 volte il primo anno (impianto)<br />

- 3 volte il secondo anno<br />

- 2 volte il terzo anno<br />

Manutenzione e pulizia delle scoline 1.800,00 Si sono effettuati:<br />

TOTALE SPESE PER LE CURE<br />

COLTURALI NEL PRIMO CICLO<br />

DELL’IMPIANTO<br />

TOTALE SPESE PER LA<br />

REALIZZAZIONE DELL’IMPIANTO E<br />

PER LE CURE COLTURALI NEL<br />

PRIMO CICLO<br />

3.800,00<br />

13.500,00<br />

- 3 sfalci il primo anno<br />

- 2 sfalci il secondo anno<br />

- 1 passaggio con scolinatrice alla fine del<br />

terzo anno<br />

Tab. 7 - Costi unitari per ettaro di realizzazione e gestione di un’AFI a turno biennale costituita da cloni di pioppo ibrido<br />

euro-americano -messa a dimora di talee (fonte: Veneto Agricoltura)


SPESE GENERALI<br />

Operazione Costo<br />

(Euro)<br />

Analisi idro-geologiche 1.300,00<br />

Progettazione e direzione lavori 1.700,00<br />

TOTALE SPESE GENERALI 3.000,00<br />

SPESE PER LA REALIZZAZIONE<br />

DELL’AFI<br />

Preparazione e lavorazione del<br />

terreno:<br />

- Ripuntatura a 70 cm<br />

- Aratura a 40 cm<br />

- Erpicatura (2 passaggi)<br />

Acquisto e messa a dimora degli<br />

astoni<br />

700,00<br />

53<br />

Note<br />

Non si è effettuata la concimazione di fondo<br />

in quanto la dotazione minerale dell’ex<br />

terreno agricolo era sufficiente<br />

2.000,00 Impianto degli astoni: meccanizzato<br />

Densità: 1.500 piante/ha (distanza tra le<br />

file: 4 m; distanza tra le piante lungo le file:<br />

2 m)<br />

Scavo delle scoline 2.000,00 Impiego di un escavatore munito di benna a<br />

sezione trapezia<br />

Acquisto e posa di 200 m di tubo<br />

avente Ø 40<br />

TOTALE SPESE PER LA<br />

REALIZZAZIONE DELL’AFI<br />

SPESE PER LE CURE COLTURALI<br />

NEL PRIMO CICLO DELL’IMPIANTO<br />

Controllo e pulizia dell’erba sia lungo<br />

gli interfilari sia tra le piante lungo le<br />

file<br />

2.000,00 Realizzazione dei raccordi di testa delle<br />

scoline<br />

6.700,00<br />

2.000,00 Tali interventi sono stati effettuati:<br />

- 3 volte il primo anno (impianto)<br />

- 3 volte il secondo anno<br />

- 2 volte il terzo anno<br />

Manutenzione e pulizia delle scoline 1.800,00 Si sono effettuati:<br />

- 3 sfalci il primo anno<br />

- 2 sfalci il secondo anno<br />

- 1 passaggio con scolinatrice alla fine del<br />

terzo anno


TOTALE SPESE PER LE CURE<br />

COLTURALI NEL PRIMO CICLO<br />

DELL’IMPIANTO<br />

TOTALE SPESE PER LA<br />

REALIZZAZIONE DELL’IMPIANTO E<br />

PER LE CURE COLTURALI NEL<br />

PRIMO CICLO<br />

3.800,00<br />

13.500,00<br />

Tab. 8 - Costi unitari per ettaro di realizzazione e gestione di un’AFI a turno quinquennale costituita da cloni di pioppo<br />

ibrido euro-americano -messa a dimora di astoni (fonte: Veneto Agricoltura)<br />

SPESE GENERALI<br />

Operazione Costo<br />

(Euro)<br />

Analisi idro-geologiche 1.300,00<br />

Progettazione e direzione lavori 1.700,00<br />

TOTALE SPESE GENERALI 3.000,00<br />

SPESE PER LA REALIZZAZIONE<br />

DELL’AFI<br />

Preparazione e lavorazione del<br />

terreno:<br />

- Ripuntatura a 70 cm<br />

- Aratura a 40 cm<br />

- Erpicatura (2 passaggi)<br />

Acquisto e stesura della<br />

pacciamatura<br />

Acquisto e messa a dimora delle<br />

piantine forestali<br />

700,00<br />

54<br />

Note<br />

Non si è effettuata la concimazione di fondo<br />

in quanto la dotazione minerale dell’ex<br />

terreno agricolo era sufficiente<br />

2.000,00 Si è impiegato un telo pacciamante in<br />

etilvinilacetato (EVA) avente spessore 80 µ<br />

e larghezza 120 cm<br />

3.000,00 Impianto delle piantine forestali:<br />

meccanizzato<br />

Densità: 1.500 piante/ha (distanza tra le<br />

file: 4 m; distanza tra le piante lungo le file:<br />

2 m)<br />

Scavo delle scoline 2.000,00 Impiego di un escavatore munito di benna a<br />

sezione trapezia<br />

Acquisto e posa di 200 m di tubo<br />

avente Ø 40<br />

TOTALE SPESE PER LA<br />

REALIZZAZIONE DELL’AFI<br />

2.000,00 Realizzazione dei raccordi di testa delle<br />

scoline<br />

9.700,00


SPESE PER LE CURE COLTURALI<br />

NEL PRIMO CICLO DELL’IMPIANTO<br />

Controllo e pulizia dell’erba sia lungo<br />

gli interfilari sia tra le piante lungo le<br />

file<br />

Rimozione e smaltimento della<br />

pacciamatura<br />

2.000,00 Tali interventi sono stati effettuati:<br />

55<br />

- 3 volte il primo anno (impianto)<br />

- 3 volte il secondo anno<br />

- 2 volte il terzo anno<br />

1.000,00 Operazione effettuata nel corso del terzo<br />

anno<br />

Manutenzione e pulizia delle scoline 1.800,00 Si sono effettuati:<br />

TOTALE SPESE PER LE CURE<br />

COLTURALI NEL PRIMO CICLO<br />

DELL’IMPIANTO<br />

TOTALE SPESE PER LA<br />

REALIZZAZIONE DELL’IMPIANTO E<br />

PER LE CURE COLTURALI NEL<br />

PRIMO CICLO<br />

4.800,00<br />

17.500,00<br />

- 3 sfalci il primo anno<br />

- 2 sfalci il secondo anno<br />

- 1 passaggio con scolinatrice alla fine del<br />

terzo anno<br />

Tab. 8 - Costi unitari per ettaro di realizzazione e gestione di un’AFI a turno quinquennale polispecifica (stesura del telo<br />

plastico pacciamante e messa a dimora di piantine con pane di terra (fonte: Veneto Agricoltura)<br />

4.2.1.13 Capacità di infiltrazione delle AFI<br />

Lo scopo prioritario delle AFI è quello di favorire l’infiltrazione dei maggiori volumi possibili di acqua<br />

verso la falda profonda durante le fasi in cui la disponibilità idrica permette di attivare il sistema di<br />

alimentazione.<br />

La corretta quantificazione di questi volumi e lo studio delle dinamiche di infiltrazione e dei possibili<br />

fattori che ne possono limitare nel tempo il funzionamento (ad esempio legati al problema del<br />

clogging, vale a dire l’ostruzione delle porosità nei suoli attraverso cui avviene la percolazione delle<br />

acque, dovuta al deposito/accumulo di sedimenti fini e residui organici) sono pertanto degli aspetti<br />

prioritari da indagare. Questo è utile ad esempio per definire la superficie dell’AFI da realizzare in<br />

un dato territorio, sulla base dei quantitativi di acqua che si vogliono infiltrare.<br />

Tali valutazioni sono state fatte nell’ambito di alcuni dei progetti che nell’ultimo ventennio si sono<br />

occupati delle AFI e della loro realizzazione sul territorio regionale, tra i quali vanno citati in<br />

particolare “Democrito”, “<strong>Life</strong> Trust” e “RiduCaReflui”.


La stima della capacità di infiltrazione, in presenza di canalette di progetto che sono profonde circa<br />

70-80 cm e toccano gli strati a matrice ghiaiosa almeno con il loro fondo, può essere condotta in<br />

prima approssimazione applicando la formula di Darcy: Qf = K x j x A.<br />

La cadente piezometrica (j) viene posta pari a 1, essendo il tirante idrico trascurabile rispetto<br />

all’altezza dello strato filtrante e la superficie piezometrica di falda convenientemente al di sotto del<br />

fondo disperdente. Il valore della permeabilità (K) caratteristico dei terreni adatti alla realizzazione<br />

di un’AFI è di almeno 10-4 m/s.<br />

Con queste assunzioni, per una superficie utile (A) di 0,5 m2 per metro di canaletta disperdente,<br />

risulta una portata infiltrata pari a: Qf = 0,0001 x 1 x 0,5 = 0,05 l/s per ciascun metro di canaletta.<br />

Data una densità media del sistema delle canalette disperdenti di 1.500 m/ha, in un giorno la<br />

quantità infiltrata per ettaro è pari a: 1.500 x 0,05 x 86.400 = 6.480 m3.<br />

Un ettaro di AFI realizzato nelle aree più vocate dell’alta pianura pertanto può essere in grado di<br />

infiltrare oltre 5.000 m3 di acqua al giorno. In un anno, stimando circa 200 giorni utili di<br />

funzionamento, 1 ettaro di AFI può dunque infiltrare 1 milione di m3 di acqua.<br />

Nell’ambito del progetto “RiduCaReflui” si è svolta di recente un’apposita attività di indagine presso<br />

l’AFI ubicata nel comune di Tezze sul Brenta (si veda il successivo paragrafo 4.2.1.14), allo scopo<br />

di:<br />

- valutare i volumi d’acqua immessi, evapotraspirati e infiltrati;<br />

- quantificare i volumi di sedimento trasportati e quelli che causano fenomeni di clogging;<br />

- valutare i tempi e le modalità di infiltrazione dell’acqua dalle scoline alla falda profonda.<br />

Dalle sperimentazioni effettuate in questo sito, ipotizzando un funzionamento dell’impianto per circa<br />

200 giorni/anno, si è stimata una capacità di infiltrazione di circa 1.090.000 m3/ha/anno, valore che<br />

conferma i dati riportati dalla letteratura di settore. Va comunque segnalato che il periodo indagato<br />

(poco meno di 80 giorni con acqua nelle scoline) è stato inferiore a un’intera stagione di<br />

funzionamento e che l’area non ha avuto un funzionamento ottimale dal punto di vista idraulico in<br />

tutto lo sviluppo spaziale dell’AFI.<br />

Le sperimentazioni future presso le aree che progressivamente vengono realizzate nel territorio<br />

regionale potrebbero ulteriormente dettagliare le dinamiche dell’infiltrazione dell’acqua nelle AFI,<br />

individuando le criticità di questi sistemi e ottimizzandone il funzionamento al fine di migliorarne il<br />

potere infiltrante e la capacità di ricarica delle falde.<br />

4.2.1.14 Esempi pilota<br />

Negli ultimi cinque anni nel territorio regionale veneto sono stati realizzati cinque impianti pilota di<br />

AFI aventi finalità dimostrative e sperimentali e altri sono attualmente in fase di progettazione e<br />

realizzazione.<br />

Tali aree sono state realizzate nel territorio dell’alta pianura vicentina dalla collaborazione tra una<br />

serie di enti, tra cui vanno menzionati in particolare l’attuale Consorzio di Bonifica “Brenta”<br />

56


(denominato “Pedemontano Brenta” prima della recente legge di riforma regionale) e Veneto<br />

Agricoltura. Di seguito si fa una sintetica descrizione di queste AFI, che vengono presentate in<br />

ordine cronologico di realizzazione.<br />

Impianto Schiavon 1 (VI)<br />

Il primo progetto, realizzato dall’allora Consorzio di Bonifica “Pedemontano Brenta”, ha riguardato<br />

la messa a dimora di un’AFI nel 2007 nel comune di Schiavon (VI), sfruttando la vicinanza di un<br />

impianto pluvirriguo del Consorzio (si veda Fig. 30 e Fig. 31). Dopo la realizzazione di una serie di<br />

indagini e sondaggi preliminari di tipo idraulico e geo-pedologico (febbraio 2007), a marzo si è<br />

proceduto al livellamento del campo e all’effettuazione delle lavorazioni del terreno (aratura e<br />

fresatura). Le operazioni sono proseguite ad aprile con lo scavo delle scoline longitudinali e di due<br />

scoline trasversali di collegamento in testa e in coda, con la stesura del telo pacciamante e con la<br />

messa a dimora delle piantine forestali. La scelta della specie da impiegare è caduta sulla<br />

paulownia (Paulownia tomentosa), per la sua capacità di dar vita a un rapido ciclo di accrescimento<br />

fornendo contemporaneamente una buona produttività in termini di biomassa legnosa. Una volta<br />

ultimata la realizzazione dell’impianto forestale si è subito proceduto all’immissione dell’acqua nelle<br />

scoline, dando inizio all’infiltrazione e alla dispersione nel sottosuolo. A giugno le prove di<br />

infiltrazione si sono interrotte in quanto l’acqua è stata utilizzata per l’irrigazione delle colture<br />

agrarie nei terreni circostanti; l’attività di infiltrazione è poi ripresa nel mese di settembre.<br />

Negli anni successivi l’infiltrazione dell’acqua è proseguita rispettando la stagionalità prefissata<br />

(scorrimento e infiltrazione dell’acqua nel periodo non irriguo). In presenza di caratteristiche di<br />

struttura e tessitura del terreno non proprio ottimali, la crescita delle piante di paulownia è stata<br />

relativamente rallentata: questa specie infatti necessita di terreni ghiaiosi e molto permeabili per<br />

poter esprimere appieno le proprie notevoli potenzialità produttive.<br />

Fig. 30 - Crescita dell’AFI Schiavon 1 - autunno 2011 (fonte: archivio Veneto Agricoltura)<br />

57


Fig. 31 - Planimetria dell’AFI Schiavon 1 (fonte: Dal Prà, Mezzalira, Niceforo, 2010)<br />

• Localizzazione: comune di Schiavon (VI)<br />

• Superficie: circa 1,2 ha<br />

• Profondità della falda freatica rispetto al piano di campagna: circa 10 m<br />

• Definizione del tracciato delle scoline: presenza di scoline longitudinali con direzione nord-sud<br />

collegate in testa e in coda da scoline trasversali<br />

• Numero di scoline longitudinali: 6<br />

• Numero di scoline trasversali: 2<br />

• Larghezza della scolina sul piano di campagna: 1,2 m<br />

• Larghezza della scolina alla base: 0,6 m<br />

• Distanza fra l’interasse delle scoline: 7-7,5 m<br />

• Specie arborea presente: paulownia (Paulownia tomentosa)<br />

• Sesto d’impianto:<br />

- presenza di n. 2 filari all’interno di ciascun interasse<br />

- distanza tra i filari: 4 m<br />

- distanza tra i filari e il limite della scolina: 1-1,1 m<br />

- distanza tra le piante lungo i filari: 1 m<br />

Impianto Schiavon 2 (VI)<br />

L’allora Consorzio di Bonifica “Pedemontano-Brenta” ha successivamente stipulato con la Provincia<br />

di Vicenza una convenzione di collaborazione per la messa a dimora di una seconda AFI sempre<br />

nel comune di Schiavon (VI).<br />

58


Questo impianto, della superficie di circa 1 ha, è stato realizzato nel 2009 ed è costituito da due<br />

diverse aree:<br />

- una prima area a turno quinquennale (si veda Fig. 32), costituita da molteplici specie<br />

arboree, allo scopo di sperimentare e confrontare le loro prestazioni (dal punto di vista sia<br />

ambientale sia produttivo) in questo tipo di contesto;<br />

- una seconda area a turno biennale/triennale (si veda Fig. 33), costituita anch’essa da<br />

specie arboree diverse, allo scopo di compararne le rese e le prestazioni.<br />

La scelta delle specie e la definizione del protocollo di messa a dimora dell’impianto sono state<br />

effettuate col supporto tecnico-scientifico di Veneto Agricoltura. L’attivazione dello scorrimento<br />

dell’acqua lungo le scoline è iniziata a partire da maggio 2009.<br />

Il primo taglio di ceduazione del soprassuolo della parte a turno biennale/triennale è stato effettuato<br />

nel novembre del 2011. Per quanto riguarda la parte a turno quinquennale, il primo taglio di<br />

ceduazione è previsto per la stagione autunno-invernale 2013-14.<br />

Fig. 32 - Particolare della crescita dell’AFI Schiavon 2 parte quinquennale - autunno 2011 (fonte:archivio Veneto<br />

Agricoltura)<br />

Fig. 33 - Particolare della crescita dell’AFI Schiavon 2 parte biennale - autunno 2011 (fonte:archivio Veneto Agricoltura)<br />

59


• Localizzazione: comune di Schiavon (VI)<br />

• Superficie: circa 1 ha<br />

• Definizione del tracciato delle scoline: presenza di scoline longitudinali con direzione nord-sud<br />

• Numero di scoline longitudinali:<br />

- parte a turno quinquennale: n. 5 scoline della lunghezza di 108 m<br />

- parte a turno biennale/triennale: n. 5 scoline della lunghezza di 118 m, n. 2 scoline della<br />

lunghezza di 88 m<br />

• Larghezza della scolina sul piano di campagna: 1,5 m<br />

• Larghezza della scolina alla base: 0,8-1 m<br />

• Distanza fra l’interasse delle scoline: 7-7,2 m<br />

• Specie arboree presenti nell’impianto quinquennale:<br />

- salice bianco (Salix alba)<br />

- ontano nero (Alnus glutinosa)<br />

- platano ibrido (Platanus hispanica)<br />

- olmo campestre (Ulmus minor)<br />

- paulownia (Paulownia tomentosa)<br />

• Specie arboree presenti nell’impianto biennale/triennale:<br />

- salice bianco (Salix alba)<br />

- ontano nero (Alnus glutinosa)<br />

- platano ibrido (Platanus hispanica)<br />

- robinia (Robinia pseudoacacia)<br />

- pioppo nero (Populus nigra)<br />

- pioppo ibrido euro-americano (Populus x canadensis): clone “AF2”<br />

- paulownia (Paulownia tomentosa)<br />

• Sesto d’impianto:<br />

- presenza di n. 2 filari all’interno di ciascun interasse<br />

- distanza tra i filari: 3,5 m<br />

- distanza tra i filari e il limite della scolina: 1 m<br />

• Distanza tra le piante lungo i filari nell’impianto quinquennale: 2 m<br />

• Distanza tra le piante lungo i filari nell’impianto triennale: nei vari casi 1-2 m<br />

• Distanza tra le piante lungo i filari nell’impianto biennale: nei vari casi 0,6-1 m (0,6 m per il pioppo<br />

clone “AF2”, 1 m per il pioppo nero)<br />

Impianto Tezze sul Brenta 1 (VI)<br />

Una terza AFI è stata realizzata nella primavera del 2009 da Veneto Agricoltura nell’ambito del<br />

Progetto “RiduCaReflui”, in collaborazione con l’allora Consorzio di Bonifica “Pedemontano<br />

Brenta”, nel comune di Tezze sul Brenta (VI) nei terreni della Società Agricola Agrifloor di Cerantola<br />

Paolo e C. ss. Di superficie complessiva pari a 1,7 ha (si veda Fig. 34), l’impianto consta di quattro<br />

appezzamenti monospecifici (si veda Fig. 35) caratterizzati dalla presenza di specie arboree<br />

diverse: si tratta rispettivamente di platano ibrido, paulownia, salice bianco e frassino ossifillo.<br />

Il primo taglio di ceduazione è previsto per la stagione autunno-invernale 2013-14.<br />

60


Fig. 34 - Planimetria e schema d’impianto dell’AFI Tezze sul Brenta 1Particolare della crescita dell’AFI Schiavon 2 parte<br />

biennale - autunno 2011 (fonte: archivio Veneto Agricoltura)<br />

Fig. 35 - Particolare della crescita dell’AFI Tezze sul Brenta 1 - autunno 2010 (fonte: archivio Veneto Agricoltura)<br />

61


• Localizzazione: comune di Tezze sul Brenta (VI)<br />

• Superficie: 1,7 ha<br />

• Struttura dell’AFI: presenza di n. 4 appezzamenti mono-specifici aventi ciascuno una superficie<br />

pari a circa 3.000 m2, una lunghezza di 60 m e una larghezza di 49 m<br />

• Definizione del tracciato delle scoline: presenza di n. 8 scoline longitudinali e di n. 2 scoline<br />

trasversali per parcella<br />

• Larghezza degli appezzamenti tra le scoline: 6 m<br />

• Larghezza della scolina: 1 m<br />

• Distanza fra l’interasse delle scoline: 7 m<br />

• Specie arboree presenti:<br />

- salice bianco (Salix alba)<br />

- frassino ossifillo (Fraxinus oxycarpa)<br />

- platano ibrido (Platanus hispanica)<br />

- paulownia (Paulownia tomentosa)<br />

• Sesto d’impianto:<br />

- presenza di n. 2 filari all’interno di ciascun interasse<br />

- distanza tra il centro dei filari: 3,5 m<br />

- distanza tra il centro dei filari e il limite della scolina: 1,3 m<br />

• Distanza tra le piante lungo i filari: 2 m<br />

Impianti Marostica 1 e Pozzoleone 1 (VI)<br />

Una quarta e una quinta area forestale di infiltrazione sono state realizzate nel 2010 dal Consorzio<br />

di Bonifica “Brenta” grazie a un finanziamento della Commissione Europea nel quadro del<br />

Programma LIFE Plus e del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare,<br />

ottenuto dall’Autorità di Bacino dell’Alto Adriatico, nell’ambito del progetto “Trust” (Tool for<br />

Regional-scale assessment of groUndwater STorage improvement in adaptation to climate<br />

change).<br />

Tali AFI sono state realizzate nel Vicentino nei comuni di Marostica (si veda Fig. 36) e Pozzoleone<br />

(si veda Fig. 37); di superficie complessiva pari a 1,32 ha, gli impianti constano di appezzamenti<br />

caratterizzati dalla presenza di specie arboree diverse (rispettivamente pioppo nero, ontano nero,<br />

olmo campestre, frassino ossifillo, platano ibrido).<br />

In particolare l’AFI di Pozzoleone è posta poco a monte di una risorgiva storica, la Casona, che per<br />

effetto dell’abbassamento delle falde ha subito nel tempo prima una riduzione delle portate di<br />

affioro e poi la definitiva scomparsa degli affioramenti.<br />

Su tale risorgiva esiste peraltro un progetto, in collaborazione tra il Consorzio di Bonifica “Brenta” e<br />

l’amministrazione comunale, per la valorizzazione di tale sito, che è previsto venga reso fruibile alla<br />

cittadinanza attraverso appositi percorsi. Sono previsti inoltre interventi per la salvaguardia e la<br />

valorizzazione di tutta l’area limitrofa, di notevole interesse naturalistico, compresa la creazione di<br />

un parco didattico-ricreativo e la ricostituzione e il miglioramento della vegetazione ripariale lungo il<br />

capofonte.<br />

62


• Localizzazione: comune di Marostica (VI)<br />

• Superficie: 0,65 ha<br />

• Struttura dell’AFI: presenza di n. 1 appezzamento avente una superficie pari a circa 6.500 m2,<br />

una lunghezza di 165-175 m e una larghezza di 38 m<br />

• Definizione del tracciato delle scoline: presenza di n. 7 scoline longitudinali e di n. 1 scolina<br />

trasversale<br />

• Larghezza degli appezzamenti tra le scoline: 6 m<br />

• Larghezza della scolina: 1 m<br />

• Distanza fra l’interasse delle scoline: 7 m<br />

• Specie arboree presenti:<br />

- pioppo nero (Populus nigra)<br />

- frassino ossifillo (Fraxinus oxycarpa)<br />

- ontano nero (Alnus glutinosa)<br />

- olmo campestre (Ulmus minor)<br />

• Sesto d’impianto:<br />

- presenza di n. 2 filari all’interno di ciascun interasse<br />

- distanza tra il centro dei filari: 3,5 m<br />

- distanza tra il centro dei filari e il limite della scolina: 1,3 m<br />

• Distanza tra le piante lungo i filari: 2 m<br />

Fig. 36 - Particolare della crescita dell’AFI Marostica 1 - autunno 2010 (fonte: Consorzio di Bonifica “Brenta”)<br />

• Localizzazione: comune di Pozzoleone (VI)<br />

• Superficie: 0,67 ha<br />

• Struttura dell’AFI: presenza di n. 1 appezzamento avente una superficie pari a circa 6.700 m2,<br />

una lunghezza di 145 m e una larghezza di 30-50 m<br />

• Definizione del tracciato delle scoline: presenza di n. 5 scoline longitudinali e di n. 1 scolina<br />

trasversale<br />

• Larghezza degli appezzamenti tra le scoline: 6 m<br />

• Larghezza della scolina: 1 m<br />

• Distanza fra l’interasse delle scoline: 7 m<br />

• Specie arboree presenti:<br />

- pioppo nero (Populus nigra)<br />

- frassino ossifillo (Fraxinus oxycarpa)<br />

- platano ibrido (Platanus hispanica)<br />

- olmo campestre (Ulmus minor)<br />

• Sesto d’impianto:<br />

- presenza di n. 2 filari all’interno di ciascun interasse<br />

- distanza tra il centro dei filari: 3,5 m<br />

- distanza tra il centro dei filari e il limite della scolina: 1,3 m<br />

• Distanza tra le piante lungo i filari: 2 m<br />

Fig. 37 - Particolare della crescita dell’AFI Pozzoleone 1 - autunno 2010 (fonte: Consorzio di Bonifica “Brenta”)<br />

63


1.2.2 Altre tecniche di ricarica<br />

Il progetto AQUOR introduce come azioni dimostrative le seguenti tecniche di ricarica, attualmente<br />

solo sperimentate se non del tutto assenti nel territorio di interesse:<br />

- riqualificazione morfologica di rogge irrigue;<br />

- pozzi di infiltrazione;<br />

- trincee di infiltrazione;<br />

- campi di infiltrazione (sub-dispersione).<br />

Il partner Veneto Agricoltura sta affiancando i partner responsabili dell’implementazione di dette<br />

azioni con l’attività di sportello tecnico, alimentando il confronto a livello tecnico con i tecnici<br />

responsabili della progettazione. Il primo aggiornamento del presente report sarà svolto al termine<br />

di dette attività e conterrà gli esiti delle esperienze maturate.<br />

64


2 SCELTA DEI SITI: INDICE DI VOCAZIONE<br />

Quando si decide di realizzare un’opera per la ricarica delle falde bisogna inanzitutto trovare l’area<br />

dove andare a realizzare tale opera.<br />

Possiamo anche trovarci nel caso in cui vi è già un’area che si potrebbe destinare a tale scopo,<br />

oppure dobbiamo trovarla all’interno di un determinato comprensorio geografico.<br />

Qualunque sia la situazione in cui ci troviamo occorrerà prima di tutto valutare la vocazione di un<br />

determinato sito ad ospitare l’opera, affinchè l’azione di infiltrazione dell’acqua sia effettivamente<br />

efficace ai fini del raggiungimento del nostro scopo, cioè la ricarica della falda.<br />

Tale vocazione deve quindi venire stabilita secondo dei criteri che andiamo qui di seguito a<br />

descivere/analizzare.<br />

Bisogna tener conto inanzitutto di 3 aspetti fondamentali dell’area/sito considerata:<br />

- il sottosuolo: aspetti idrogeopedologici;<br />

- il soprassuolo: la destinazione d’uso del suolo, cioè cosa c’è nell’area sopra il suolo;<br />

- le possibilità di adduzione dell’acqua: vicinanza o lontananza da corsi d’acqua naturali o<br />

corsi d’acqua di origine artificiale.<br />

2.1 Il sottosuolo: aspetti idrogeopedologici<br />

Come si evince dallo schema idrogeologico (si veda Fig. 38), la falda presenta un suo piano di<br />

falda, con una sua pendenza che va dalla zona a monte alla zona a valle. Il livello piezometrico<br />

della falda freatica non è costante, ma varia nell’anno. Essendo infatti direttamente connesso al<br />

regime dei corsi d’acqua, la falda è soggetta a due periodi di secca e due periodi di piena. L’acqua<br />

di falda si sposta verso valle con velocità variabile a seconda di alcuni fattori come per esempio la<br />

granulometria del materasso alluvionale, la quantità d’acqua meteorica infiltrata, ecc.<br />

Dalle pendici montuose a nord, fino alla prima lente di argilla il materasso alluvionale è di tipo<br />

permeabile, senza soluzione di continuità sia in senso verticale che orizzontale. Esso è costituito<br />

da ciotoli e ghiaie che, man mano che ci si sposta verso valle si sostituiscono a materiali ancora<br />

permeabili ma sempre più fini.<br />

Continuando verso valle, ad un certo punto compare o compaiono le prime lenti di argilla e quindi, il<br />

materasso alluvionale comincia a presentare delle soluzioni di continuità per quel che riguarda la<br />

sua permeabilità in senso verticale.<br />

Questo fenomeno si localizza lungo una linea che viene denominata “Linea di imbocco delle falde<br />

profonde”: verso monte rispetto a questa linea, non si ha soluzione di continuità alla permeabilità<br />

verticale del materasso alluvionale, verso valle si comincia invece ad avere soluzione di continuità.<br />

65


Fig. 38 - Schema idrogeologico dell’Alta e Media pianura veneta (fonte: AA.VV., 2008. Modello matematico di flusso nei<br />

sistemi acquiferi dei territori dell’autorità d’ambito territoriale ottimale “A.T.O. Brenta”)<br />

5.1.1 Linea di imbocco delle falde profonde<br />

Questa linea è importantissima ai fini della determinazione della vocazione di un sito ad ospitare<br />

opere per la ricarica:<br />

- a monte di quest’aria, se si considera soltanto il punto di vista idrogeopedologico, si<br />

possono realizzare tutte le tipologie di opere per la ricarica. Infatti non vi è soluzione di<br />

continuità tra il piano di campagna e il piano di falda; l’acqua che si infiltra nel piano di<br />

campagna non trova ostacoli è arriva direttamente alla falda profonda:<br />

- a valle della linea di imbocco ci sarà una prima zona dove è ancora possibile, almeno con<br />

alcune tecniche, effettuare una ricarica della falda.<br />

In questa fascia, sempre considerando soltanto il punto di vista idrogeopedologico, si possono<br />

realizzare quelle opere per la ricarica che permettono di perforare la/le lenti di argilla che<br />

ostacolerebbero il flusso verticale dell’acqua filtrata. Sono per esempio i pozzi disperdenti a varie<br />

profondità. La perforazione delle lenti impermeabili permette all’acqua di ricarica di raggiungere la<br />

falda profonda; ciò non sarebbe possibile per esempio con un sistema AFI o sistemi di ricarica di<br />

tipo superficiale.<br />

PROFILO IDROGEOLOGICO<br />

ZONA DI RICARICA FALDA ZONA DELLE RISORGIVE<br />

Acquifero indifferenziato Sistema delle falde in pressione<br />

66


Oltre questa prima fascia, non sarà più possibile infiltrare acqua, in quanto la presenza dei vari<br />

strati argillosi, con la conseguente falda in pressione, lo impedisce.<br />

5.1.2 Indagine stratigrafica del terreno.<br />

Una volta individuato un possibile sito, occorre effettuare una indagine stratigrafica del terreno.<br />

L’indagine stratigrafica è fondamentale perché ci permette di rilevare la struttura del terreno<br />

sottostante e quindi effettuare quelle valutazioni descritte nel precedente punto. Il sottosuolo è<br />

infatti estremamente variabile, anche tra aree di piccole dimensioni. Bisogna verificare che nella<br />

verticale del sito, non esistano soluzioni di continuità dal piano campagna alla falda profonda. Ci<br />

potrebbero essere infatti formazioni di vario tipo, quali piccole lenti di argilla, ma anche di materiale<br />

roccioso o qualche altra tipologia di materiale impermeabile. Bisogna inoltre rilevare a quale<br />

profondità si trovano tali formazioni e di quale spessore, per valutare la possibilità/convenienza ad<br />

effettuarne una loro perforazione nel caso per esempio si decida di realizzarvi un pozzo<br />

disperdente<br />

5.1.3 Lo scopo della ricarica<br />

L’azione di ricarica può interessare la falda profonda, oppure interessare soltanto la falda più<br />

superficiale per l’alimentazione delle risorgive:<br />

- se si vuole effettuare la ricarica delle falde profonde è indispensabile essere posizionati a<br />

monte della linea di imbocco o nella fascia tra quest’ultima e la fascia delle risorgive. In<br />

quest’ultimo caso però, è necessario perforare le lenti di argilla per permettere all’acqua di<br />

infiltrarsi nelle falde profonde;<br />

- Se si vuole effettuare la ricarica della falda più superficiale per alimentare le risorgive, le<br />

opere di ricarica devono essere realizzate tra la linea di imbocco e la fascia delle risorgive,<br />

senza perforare le lenti di argilla (si veda Fig. 39) Così infatti l’acqua infiltrata rimane nella<br />

falda superficiale, quella che appunto alimenta le risorgive.<br />

67


Fig. 39 – Stereogramma idrogeologico generale (fonte: N. Sottani, L. Pretto , B. Marcolongo, 1982. Gli acquiferi nella<br />

pianura a nord di Vicenza)<br />

5.1.4 Vicinanza a corsi d’acqua naturali con alveo ad una quota inferiore rispetto al piano di<br />

falda<br />

Linea di imbocco degli acquiferi profondi<br />

Fascia delle risorgive<br />

Nel caso di aree ubicate in vicinanza di fiumi o torrenti è di fondamentale importanza verificare che<br />

la quota dell’alveo non sia inferiore a quella del piano di falda. In questo caso infatti tutta l’acqua di<br />

ricarica immessa nella falda, indipendentemente dal sistema utilizzato, non fa altro che defluire<br />

verso il letto del fiume stesso.<br />

Infatti si ha dispersione dall’alveo quando il pelo libero del corso d'acqua è ad una quota superiore<br />

rispetto al livello freatico; in caso contrario, sarà l'acquifero ad alimentare il corso d'acqua.<br />

68<br />

Lenti argillose


Situazioni di questo tipo non sono affatto infrequenti; grandi corsi d’acqua, come ad esempio il<br />

fiume Brenta, sono stati intensamente sfruttati dalle attività di estrazione della ghiaia proprio in<br />

alveo provocandone un sensibile approfondimento dello stesso è causando l’inversione dei flussi<br />

idrici di infiltrazione.<br />

2.2 Il soprassuolo: la destinazione d’uso del suolo, cioè cosa c’è<br />

nell’area sopra il suolo<br />

Una volta analizzata un’area dal punto di vista idrogeopedologico e stabilito che essa è idonea alla<br />

realizzazione di un’opera di ricarica della falda, per stabilirne la fattibilità occorre analizzare il<br />

soprassuolo, cioè la sua destinazione d’uso. Da questo punto di vista possiamo distinguere alcune<br />

tipologie di destinazione d’uso:<br />

- bosco;<br />

- arboreto polifunzionale;<br />

- terreno agricolo (varie colture);<br />

- area urbana;<br />

- area periurbana;<br />

- area industriale/artigianale/commerciale;<br />

- per ognuna delle suddette categorie bisogna analizzare i vincoli (storico-architettonici,<br />

paesaggistico-ambientali, aree sensibili dal punto di vista dell’inquinamento, ecc.);<br />

- superficie disponibile per la realizzazione dell’opera (per esempio il proprietario del terreno<br />

mette a disposizione solo 200 m 2 ).<br />

Arboreto polifunzionale<br />

A seconda della funzione dell’arboreto e quindi della sua struttura, sarà possibile o meno realizzare<br />

opere per la ricarica delle falde. In molti casi sarà possibile la realizzazione di determinate opere<br />

mentre non sarà possibile realizzare altre tipologie delle stesse.<br />

Terreno agricolo<br />

È determinante il tipo di coltivazione in uso su quel determinato terreno. In base al tipo di<br />

coltivazione sarà possibile determinare la tipologia di intervento per la ricarica della falda (per<br />

esempio, in un vigneto in area DOC sarebbe impensabile realizzare opere che richiedono grandi<br />

superfici tipo AFI, perché si dovrebbe pagare un mancato reddito troppo elevato).<br />

Tipi di colture:<br />

- Seminativo;<br />

- prato stabile;<br />

- pascolo;<br />

69


- prato-pascolo;<br />

- vigneto;<br />

- frutteto;<br />

- ortofloricoltura (in serra o pieno campo);<br />

- altre.<br />

Area urbana<br />

In un’area urbana è praticamente impossibile realizzare una ricarica della falda sia per le difficoltà<br />

di realizzazione, sia per le difficoltà di adduzione dell’acqua, sia per difficoltà derivate da vincoli<br />

vari.<br />

Area periurbana<br />

Nelle aree periurbane possono esistere condizioni favorevoli alla realizzazione di una determinata<br />

opera di ricarica oppure possono esistere condizioni sfavorevoli.<br />

Si descrivono qui di seguito prima alcune condizioni sfavorevoli, e poi alcune condizioni favorevoli.<br />

Condizioni sfavorevoli:<br />

- vicinanza a zone artigianali/industriali: è importante verificare che in queste aree non<br />

esistano materiali inquinanti in grado di contaminare l’acqua di ricarica prima o dopo la sua<br />

infiltrazione. Questo vale anche per le sostanze rilasciate sulla superficie stradale dal<br />

traffico di grossi veicoli commerciali/industriali che potrebbero poi confluire nell’area di<br />

ricarica;<br />

- su terreno edificabile la realizzazione di qualsiasi opera di ricarica risulterebbe in ogni<br />

modo antieconomica. Essa non riuscirebbe mai a competere con la remunerazione prodotta<br />

dalla successiva lottizzazione e dagli immobili potenzialmente edificabili;<br />

- il proliferare di insetti zanzare, nutrie, ecc. potrebbe verificarsi nel caso di opere di ricarica<br />

che comportano la presenza di acqua in superficie (ad esempio, AFI, bacini di infiltrazione);<br />

questi fenomeni sono controproducenti in quanto potrebbero provocare reazioni negative da<br />

parte degli abitanti delle vicine aree urbane; altre tipologie di opere di ricarica invece non<br />

presentando questo tipo di problema, potrebbero essere ammesse (pozzo di infiltrazione).<br />

Condizioni favorevoli.<br />

- alcune tipologie di opere per la ricarica della falda comportano la realizzazione di<br />

popolamenti boscati, più o meno densi e più o meno differenziati. È il caso per esempio di<br />

una AFI in cui il popolamento arboreo che si viene a formare rappresenta un vero e proprio<br />

polmone verde utile sia dal punto di vista paesaggistico che ambientale;<br />

70


- i terreni incolti marginali o piccole aree coltivate potrebbero essere destinati alla ricarica<br />

delle falde, in quanto i proprietari potrebbero ricevere una remunerazione maggiore rispetto<br />

a quanto attualmente percepito.<br />

Area industriale/artigianale/commerciale<br />

Vincoli<br />

Superficie disponibile per la realizzazione dell’opera<br />

La scelta della tipologia dell’opera per la ricarica può essere dettata anche dalla superficie che un<br />

determinato proprietario mette a disposizione. Se è vero che una superficie di alcune miglia di metri<br />

quadri può permettere la realizzazione di un’AFI, una superficie di 400 metri quadri permette<br />

soltanto la realizzazione di un pozzo disperdente:<br />

- le possibilità di adduzione dell’acqua: vicinanza o lontananza da corsi d’acqua naturali o<br />

corsi d’acqua di origine artificiale. L’acqua per ricaricare la falda deve essere disponibile in<br />

quantità relativamente grandi ed a costi contenuti, cioè senza la necessità di realizzare<br />

opere costose. Questo è possibile solo se, nelle vicinanze dell’opera da realizzare, sono<br />

presenti corsi d’acqua naturali o corsi d’acqua artificiali;<br />

- corsi d’acqua naturali: possono essere fiumi o torrenti in grado di fornire la quantità d’acqua<br />

necessaria per la ricarica della falda. Essi possono essere utilizzati solo per alimentare<br />

alcune tipologie di opere come i grandi bacini di infiltrazione (per esempio ex cave), ma non<br />

per altre tipologie come le AFI o i pozzi disperdenti. “Forse perché essendo il livello del<br />

fiume più basso rispetto al piano campagna, occorre utilizzare delle pompe per alimentare<br />

l’impianto AFI” (chiedere precisazioni al dott. Altissimo (approfondire;<br />

- corsi d’acqua artificiali: sono le rogge, cioè delle canalizzazioni artificiali che prelevando<br />

acqua da un fiume e la portano in tutta la campagna circostante consentendo lo sviluppo<br />

dell’agricoltura. La vicinanza ad una roggia di questo tipo conferisce ad un determinato sito<br />

un notevole punteggio per l’indice di vocazione alla ricarica della falda;<br />

- la qualità dell’acqua di infiltrazione: nel sottosuolo della media pianura esiste una serie di<br />

falde sovrapposte, di cui la prima è generalmente libera e quelle sottostanti in pressione,<br />

collegate, verso monte, all’unica grande falda freatica, dalla quale traggono alimentazione e<br />

che per contro condiziona il loro chimismo di base.<br />

La possibilità di un’eventuale inquinamento della falda freatica dell’alta pianura, data l’elevata<br />

permeabilità dei sedimenti ghiaiosi, è molto alta e l’eventuale inquinante può facilmente<br />

raggiungere la falda e trasferirsi poi a valle, lungo le direzioni di deflusso delle acque sotterranee.<br />

71


La protezione di questi acquiferi è quindi strettamente connessa alla verifica di eventuali<br />

inquinamenti provenienti dall’area di ricarica posta immediatamente a monte. L’interpretazione dei<br />

dati chimici ottenuti da una rete di monitoraggio qualitativo delle acque sotterranee nella fascia di<br />

pianura, ha ampiamente dimostrato come sia quindi altamente vulnerabile la falda freatica dell’alta<br />

e media pianura veneta e come sia, conseguentemente, possibile ritrovare contaminazione sia in<br />

prossimità delle risorgive che nella prima porzione delle falde artesiane della media pianura. Da<br />

quanto appena descritto appare evidente l’importanza che l’acqua utilizzata per la ricarica delle<br />

falde sia libera da sostanze inquinanti e quindi costantemente monitorata.<br />

72


3 RIFERIMENTI<br />

3.1 BIBLIOGRAFIA<br />

AA.VV. (2002). Fasce tampone boscate. Manuale per l’azienda. Veneto Agricoltura. Consorzio<br />

di Bonifica Dese Sile.<br />

AA.VV. (2006). La coltivazione del pioppo a ciclo breve a destinazione energetica. C.N.E.R.<br />

Consorzio Nazionale Energie Rinnovabili Agricole.<br />

AA.VV. (2007). Progetto Democrito. Relazione tecnica per la Provincia di Vicenza. Paulownia<br />

Italia.<br />

AA.VV. (2012). Le Aree Forestali di Infiltrazione (AFI). Progetto RiduCaReflui. Regione del<br />

Veneto. Veneto Agricoltura.<br />

Correale Santacroce F. (1999). Schede tecniche (8). Le siepi da legna. Veneto Agricoltura.<br />

Centro Vivaistico e per le Attività Fuori Foresta di Montecchio Precalcino (VI).<br />

Dalla Valle C., Serafin S. (2001). Gli ontani. Veneto Agricoltura.<br />

Dalla Valle C., Barella L., Dalla Venezia F. (2008). Forestazione. Il platano comune (Platanus<br />

hispanica). Veneto Agricoltura.<br />

Dal Prà A., Mezzalira G., Niceforo U. (2010). Esperienze di ricarica della falda con aree forestali<br />

di infiltrazione. L’Acqua, n. 2/2010.<br />

Ferrari M., Medici D. (2008). Alberi e arbusti. Manuale di riconoscimento delle principali<br />

specie ornamentali. Edagricole.<br />

Fiorentin R. (1999). Guida tecnica all’uso delle piante prodotte. Veneto Agricoltura. Centro<br />

Vivaistico e per le Attività Fuori Foresta di Montecchio Precalcino (VI).<br />

Mezzalira G. (2007). Alberi ed infiltrazione dell’acqua, il progetto “Democrito”. Alberi e<br />

Territorio, n. 10/11 - 2007.<br />

Mezzalira G., Bargioni G., Furlani Pedoja A., Benati F. (1999). Guida illustrata alla coltivazione<br />

delle siepi campestri, da frutto, da fiore e ornamentali. Guida illustrata. Coltivazione delle<br />

siepi: campestri - da frutto - da fiore - ornamentali. Supplemento del mensile Vita in campagna,<br />

numero 10/anno 1999. Edizioni L’informatore Agrario.<br />

Niceforo U., Baruffi F. (2011). Acqua in cassaforte. Una sperimentazione sulla ricarica<br />

artificiale della falda nel bacino del Brenta. Trust <strong>Life</strong> Plus. Ministero dell’Ambiente e della<br />

Tutela del Territorio e del Mare. Autorità di Bacino dei fiumi Isonzo, Tagliamento, Livenza, Piave,<br />

Brenta-Bacchiglione.<br />

Pernigotto Cego F. (2007). Forestazione. Arbusti di pianura. Veneto Agricoltura.<br />

73


Pernigotto Cego F. (2007). Forestazione. I frassini. Veneto Agricoltura.<br />

Pernigotto Cego F. (2010). Forestazione. Le querce autoctone del Veneto. Veneto Agricoltura.<br />

Pignatti G. (2007). Forestazione. I salici del Veneto: biodiversità, propagazione e possibile<br />

impiego. Veneto Agricoltura.<br />

74


4 APPENDICI<br />

APPENDICE 1<br />

A1.1 Specie arbustive<br />

Cornus mas (Corniolo)<br />

Presente in pianura e in collina fino ai 1.400 m di altitudine. Eliofilo o semisciafilo, predilige i terreni<br />

sciolti, ben drenati, calcarei e rispetto alla sanguinella, con cui spesso si consocia, dimostra un<br />

temperamento più xerofilo. Specie abbastanza adattabile nei riguardi della disponibilità idrica,<br />

dimostra di evitare le condizioni estreme (terreni troppo secchi o troppo umidi). Grazie<br />

all’abbondante fioritura precoce e ai frutti colorati trova largo impiego come specie ornamentale. I<br />

frutti sono appetiti dall’avifauna.<br />

Cornus sanguinea (Sanguinella)<br />

Fig. 1 - Cornus mas - Corniolo (fonte: archivio Veneto Agricoltura)<br />

Nelle regioni settentrionali colonizza gli ambienti più svariati, dalle umide boscaglie ripariali agli<br />

asciutti versanti collinari, fino ai 1.400 metri di quota. Eliofilo o semisciafilo, si adatta a vari tipi di<br />

terreno, anche a tessitura argillosa, prediligendo comunque suoli ricchi di basi, soprattutto di calcio.<br />

Indifferente nei riguardi della disponibilità idrica, vegeta bene su suoli sia aridi sia umidi,<br />

dimostrando una maggiore igrofilia rispetto all’affine corniolo. È una specie invasiva grazie alla<br />

cospicua emissione di polloni radicali che le permettono di diffondersi rapidamente. I frutti neri<br />

attirano l’avifauna. È una specie apprezzata dal punto di vista ornamentale per il colore dei fiori, dei<br />

frutti e anche delle foglie in autunno.<br />

75


Corylus avellana (Nocciolo)<br />

Fig. 2 – Corpus sanguinea - Sanguinella (fonte: archivio Veneto Agricoltura)<br />

Nelle regioni settentrionali il nocciolo è il caratteristico componente del sottobosco di cedui sia<br />

planiziali sia collinari fino a circa 1.300 metri di quota. Predilige terreni freschi, fertili, profondi e con<br />

buon drenaggio. Esigente per quel che riguarda la disponibilità idrica, rifugge solo dalle condizioni<br />

estreme (elevata aridità o ristagno idrico).<br />

Crataegus monogyna (Biancospino)<br />

Fig. 3 – Corylus avellana – Nocciolo (fonte: archivio Veneto Agricoltura)<br />

Ampiamente distribuito in tutti gli ambienti, nelle regioni settentrionali è presente dalla pianura fino<br />

a 1.500 metri di quota. Eliofilo, ma in grado di sopportare anche un parziale ombreggiamento, si<br />

adatta a diversi tipi di terreno: vegeta bene infatti su suoli sia sabbiosi sia argillosi e non è esigente<br />

per ciò che riguarda la disponibilità idrica, riuscendo a tollerare anche la siccità. L’abbondante ed<br />

evidente fioritura lo rende importante anche come specie ornamentale. I frutti sono appetiti<br />

dall’avifauna. Essendo sensibile al colpo di fuoco batterico (Erwinia amylovora), si sconsiglia di<br />

piantarlo vicino a frutteti.<br />

76


Fig. 4 – Crataegus monogyna – Biancospino (fonte: archivio Veneto Agricoltura)<br />

Eleagnus umbellata (Umbellata)<br />

Di origine orientale (proveniente dall’Asia dell’Est), è una specie presente nelle zone di pianura e<br />

collina. Ha un portamento espanso e vigoroso e crescita rapida; può essere allevato come piccolo<br />

alberello oppure a cespuglio con ramificazioni che partono alla base della pianta. Tollera qualsiasi<br />

tipo di terreno, anche povero, purché ben drenato. Pianta molto rustica e piuttosto resistente al<br />

freddo, è anche molto tollerante ai venti salmastri e per tale motivo di frequente è utilizzata come<br />

barriera frangivento nelle località di mare. Di elevato valore estetico-ornamentale, è interessante<br />

per la produzione dei frutti (bacche di colore rosso) apprezzati dagli uccelli e impiegati anche per la<br />

produzione di succhi o marmellate.<br />

Fig. 5 – Eleagnus umbellata - Umbellata (fonte: archivio Veneto Agricoltura)<br />

77


Euonymus europaeus (Fusaggine)<br />

Nelle regioni settentrionali predilige le siepi e i margini boschivi di pianura e collina fino a circa 800<br />

metri di altitudine. Eliofila o semisciafila, ama terreni freschi, ricchi di basi (soprattutto calcio) e di<br />

azoto, dotati di buona disponibilità idrica, rifuggendo le condizioni estreme (troppo secco o troppo<br />

umido). Indifferente nei riguardi della tessitura del terreno, è in grado di adattarsi anche a terreni<br />

argillosi. Specie interessante dal punto di vista estetico-ornamentale grazie alla colorazione dei frutti<br />

(velenosi).<br />

Frangula alnus (Frangola)<br />

Fig. 6 – Euonymus europaeus - Fusaggine (fonte: archivio Veneto Agricoltura)<br />

Nelle regioni settentrionali la frangola ama i boschi umidi e le siepi degli ambienti ripariali, dalla<br />

pianura fino a circa 1.000 metri di quota. Eliofila, predilige suoli subacidi, profondi, argillosi, umidi,<br />

anche con ristagno idrico. E’ una specie molto importante per la produzione di miele (per<br />

l’eccezionale lunghezza della fioritura che va da maggio a ottobre). La spiccata igrofilia e il fitto<br />

apparato radicale la rendono particolarmente interessante per la costituzione di siepi lungo canali e<br />

corsi d’acqua assieme a pallon di maggio, salici e ontani. I frutti, disponibili per un lungo periodo,<br />

sono ricercati da molte specie di uccelli.<br />

Fig. 7 – Frangula alnus - Frangola (fonte: archivio Veneto Agricoltura)<br />

78


Laburnum anagyroides (Maggiociondolo)<br />

Molto diffuso in Italia, è presente in tutte le regioni ad esclusione delle isole, negli areali collinari<br />

fino a circa 800 metri di quota. In genere manifesta un portamento arbustivo, raramente si trova<br />

come alberello. E’ una pianta molto interessante sia dal punto di vista estetico e ornamentale sia<br />

come pianta spontanea. Ama posizioni soleggiate e terreni calcarei e subalcalini, anche se tollera<br />

pure terreni tendenzialmente acidi, sabbiosi, profondi e umidi. Allo stato naturale entra nella<br />

composizione dei boschi di latifoglie consociandosi con castagni, carpini, querce, faggi. Per il suo<br />

sviluppo radicale è molto adatto al consolidamento di scarpate e rive ghiaiose.<br />

Fig. 8 – Laburnum anagyroides - Maggiociondolo (fonte: archivio Veneto Agricoltura)<br />

Ligustrum vulgare (Ligustrello)<br />

Nelle regioni settentrionali è comunemente diffuso lungo le siepi e ai margini dei boschi termofili sia<br />

in pianura sia in collina fino a circa 1.200 metri di quota. Eliofilo, indifferente alla tessitura del<br />

terreno (tollera i terreni argillosi), predilige terreni ricchi in basi, soprattutto di calcio. Non ha<br />

particolari esigenze in fatto di umidità, incontrando difficoltà solamente nelle stazioni a elevata<br />

aridità o in presenza di ristagni idrici. Cresce densamente e sopporta bene potature anche forti. I<br />

frutti sono appetiti dall’avifauna e i fiori, profumatissimi, attirano le api. Può essere impiegato anche<br />

a scopi ornamentali.<br />

Fig. 9 – Ligustrum vulgare - Ligustrello (fonte: archivio Veneto Agricoltura)<br />

79


Prunus spinosa (Prugnolo)<br />

In natura si trova all’interno di siepi o ai margini di boschi e campi, colonizzando prati e vigneti<br />

abbandonati. Eliofila o semisciafila, è una specie frugale in grado di adattarsi a diversi tipi di<br />

ambienti e terreni: vegeta bene su suoli sia sciolti sia compatti e non è esigente per ciò che<br />

riguarda la disponibilità idrica, riuscendo a tollerare anche la siccità. Nel Nord Italia si spinge dalla<br />

pianura fino alle prime pendici montane (800-1.000 metri di quota). E’ una specie spinosa e con<br />

elevata capacità pollonifera. Viene particolarmente apprezzata anche come specie ornamentale<br />

per la fioritura abbondante e precoce e per i frutti, che sono appetiti dall’avifauna.<br />

Rhamnus cathartica (Spincervino)<br />

Fig. 10 – Prunus spinosa - Prugnolo (fonte: archivio Veneto Agricoltura)<br />

Nel Nord Italia è presente ai margini dei boschi termofili in macchie cespugliose e siepi dalla<br />

pianura fino a 800-1.000 metri di altitudine. Eliofilo, predilige terreni ricchi in basi (soprattutto calcio)<br />

dotati di buona disponibilità idrica: tollera l’aridità ma cresce anche lungo i corsi d’acqua. È<br />

indifferente nei riguardi della tessitura del terreno, vegetando sia su suoli sciolti sia su terreni<br />

argillosi di pianura.<br />

Fig. 11 – Rhamnus cathartica - Spincervino (fonte: archivio Veneto Agricoltura)<br />

80


Rosa canina (Rosa selvatica)<br />

Pianta spontanea e piuttosto diffusa fra le boscaglie, nelle siepi miste e in diverse macchie di<br />

vegetazione fino ai 1.500 metri di quota. A portamento arbustivo o strisciante, in genere si<br />

appoggia ad altre piante o ad altri supporti e può arrivare fino ad altezze di circa 2 metri. Spesso<br />

usata come porta-innesto o per ottenere particolari tipi di ibridi, è spontanea nei boschi di latifoglie<br />

e nelle siepi miste autoctone, a cui apporta un notevole effetto estetico e decorativo. Vegeta bene<br />

adattandosi a molti tipi di substrato purché ricchi di sostanza organica, profondi, freschi e drenanti.<br />

Predilige substrati subacidi ma tollera anche quelli tendenzialmente alcalini e moderatamente<br />

calcarei. E’ una pianta eliofila che gradisce posizioni soleggiate. E’ abbastanza resistente al freddo<br />

e tollera le gelate.<br />

Salix cinerea (Salice grigio)<br />

Fig. 12 – Rosa canina - Rosa selvatica (fonte: archivio Veneto Agricoltura)<br />

E’ diffuso in tutta Italia fino ai 1.000 metri di quota, soprattutto in boschi umidi, lungo corsi d’acqua e<br />

in terreni paludosi con terreni caratterizzati da ristagno idrico. Generalmente si trova in forma<br />

arbustiva, raramente come piccolo albero. Sopporta bene il ristagno idrico e contribuisce a<br />

consolidare le rive dei corsi d’acqua. La sua fioritura precoce rappresenta un’importante fonte<br />

alimentare per le api. Si adatta a soluzioni naturalistico-paesaggistiche in aree con terreni<br />

caratterizzati da ristagno idrico o ai margini di fossi, corsi d’acqua, laghetti.<br />

81


Sambucus nigra (Sambuco nero)<br />

Fig. 13 – Salix cinerea - Salice grigio (fonte: archivio Veneto Agricoltura)<br />

Nel Nord Italia è diffuso in boschi umidi, lungo strade e sentieri, ai margini dei boschi, dalla pianura<br />

fino a 1.000 metri di altitudine. Semisciafilo, predilige terreni profondi, ricchi di azoto, umidi,<br />

dimostrando di gradire anche stazioni soggette a temporanee sommersioni. Non ha particolari<br />

esigenze nei riguardi della tessitura del terreno, adattandosi a terreni sia sciolti sia tendenzialmente<br />

argillosi. È particolarmente apprezzato anche dal punto di vista estetico (fioritura) e naturalistico (i<br />

frutti richiamano l’avifauna).<br />

Fig. 14 – Sambucus nigra - Sambuco nero (fonte: archivio Veneto Agricoltura)<br />

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Viburnum lantana (Lantana)<br />

E’ diffuso nelle regioni centro-settentrionali fino alla quota di 1.000 metri. E’ diffuso<br />

spontaneamente al limitare dei boschi o in rade macchie. E’ una specie eliofila e termofila che<br />

predilige luoghi in pieno sole o mezz’ombra e terreni ricchi di calcare e sostanza organica, freschi e<br />

profondi. E’ particolarmente apprezzato per il suo elevato valore estetico e ornamentale.<br />

Viburnum opulus (Pallon di maggio)<br />

Fig. 15 – Viburnum lantana - Lantana (fonte: archivio Veneto Agricoltura)<br />

Specie eliofila o semisciafila, è comunemente presente nelle siepi lungo i corsi d’acqua e all’interno<br />

di boschi igrofili e zone umide in ambienti di pianura. Idoneo a essere utilizzato su suoli pesanti e<br />

argillosi, predilige i terreni ricchi in basi e umidi, anche a falda affiorante. Nelle regioni settentrionali<br />

si rinviene dalla pianura fino a circa 1.000 metri di quota. I fiori bianchi e vistosi e i frutti rosso<br />

lucenti rendono il pallon di maggio un arbusto particolarmente apprezzato dal punto di vista<br />

estetico.<br />

Fig. 16 – Viburnum opulus - Pallon di maggio (fonte: archivio Veneto Agricoltura)<br />

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A1.2 Specie arboree<br />

Acer campestre (Acero campestre)<br />

Specie spontanea in Italia nei boschi mesofili e igrofili e nelle macchie spontanee, è<br />

particolarmente diffuso nelle campagne, sia di pianura sia negli areali collinari e montani fino a 800-<br />

1.000 metri, dove in passato era impiegato come tutore vivo per i vigneti e nelle siepi miste o pure.<br />

Pianta a portamento arboreo o anche arbustivo-cespuglioso, a lento sviluppo, è usata come<br />

essenza da siepe e da forestazione in suoli spogli, umidi e declivi o per creare zone di rifugio nelle<br />

campagne: ospita infatti insetti utili e uccelli insettivori, per cui è una specie impiegata nei metodi<br />

protettivi di lotta biologica. E’ una specie abbastanza rustica, che vegeta bene in suoli sia sciolti sia<br />

compatti, purché profondi, freschi e non asfittici. Tollera abbastanza bene il freddo e predilige<br />

esposizioni soleggiate o a mezz’ombra.<br />

Fig. 17 – Acer campestre - Acero campestre (fonte: archivio Veneto Agricoltura)<br />

Acer pseudoplatanus (Acero di monte)<br />

E’ una specie diffusa in quasi tutte le regioni italiane soprattutto negli areali submontani e montani<br />

dai 400-500 metri ai 1.000-1.600 metri di altitudine. Ha un portamento arboreo e raggiunge i 15-30<br />

metri di altezza. La sua diffusione nelle zone pianeggianti è meno frequente. E’ spontaneo in natura<br />

in boschi di latifoglie, in particolare in consociazione col frassino maggiore a formare gli acero-<br />

frassineti. Coltivato e diffuso a scopo paesaggistico-ornamentale come pianta singola o in filari<br />

lungo viali e strade. Il legno è apprezzato in falegnameria. Ha una crescita relativamente veloce;<br />

predilige substrati profondi, umidi e freschi, adattandosi anche a quelli argillosi, in ogni caso ricchi<br />

di sostanza organica. E’ abbastanza resistente al freddo, tollera il calcare e ha una media<br />

resistenza verso gli agenti inquinanti. Si adatta a esposizioni soleggiate o a mezz’ombra e non ama<br />

areali eccessivamente caldi.<br />

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Fig. 18 – Acer pseudoplatanus - Acero di monte (fonte: archivio Veneto Agricoltura)<br />

Alnus glutinosa (Ontano nero)<br />

E' una pianta a rapido accrescimento in gioventù ma poco longeva. Sopporta bene basse<br />

temperature e gelate tardive. In Italia si ritrova in tutte le regioni dal livello del mare fino ai 1.200<br />

metri, di frequente nei boschi di ripa, lungo i corsi d'acqua, nei luoghi paludosi e nei terreni inondati<br />

e argillosi. Tra le specie legnose è quella che più sopporta il maggior grado di umidità e la<br />

sommersione prolungata delle radici. Tendenzialmente acidofilo, predilige i terreni silicei, ricchi e<br />

umidi. Molto esigente in luce, si riscontra assai raramente in foreste dense, ma può localizzarsi nel<br />

piano inferiore in presenza di una copertura scarsa da parte di specie amanti dell'acqua come<br />

salici, pioppi, frassini.<br />

Fig. 19 – Alnus glutinosa - Ontano nero (fonte: archivio Veneto Agricoltura)<br />

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Carpinus betulus (Carpino bianco)<br />

In Italia è diffuso in tutte le regioni, a esclusione delle isole, dal piano fino a 1.200 metri di quota.<br />

Può raggiungere i 20 metri di altezza; ha per lo più portamento arboreo ma lo si può trovare anche<br />

con portamento arbustivo. In passato, insieme alla farnia, costituiva le vaste foreste planiziali che<br />

coprivano la Pianura Padana. Vegeta bene in terreni argillosi e calcarei ricchi di humus e profondi,<br />

ma si adatta anche a substrati più poveri. Specie eliofila, ma si adatta anche a esposizioni a<br />

mezz’ombra. Ha elevata attitudine pollonifera; è molto apprezzato e impiegato anche per la sua<br />

rusticità e adattabilità (interesse ornamentale e paesaggistico).<br />

Celtis australis (Bagolaro)<br />

Fig. 20 – Carpinus betulus - Carpino bianco (fonte: archivio Veneto Agricoltura)<br />

In Italia è diffuso in tutte le regioni dalla pianura fino a 700 metri di quota. Ha un portamento<br />

arboreo e raggiunge altezze fino a 20-25 metri. E’ molto diffuso nei parchi cittadini e nelle<br />

alberature stradali del verde urbano per la sua resistenza all’inquinamento e la sua longevità. Ama<br />

la luce e i climi miti. E’ un albero rustico e frugale; vegeta su terreni aridi, drenanti, calcarei, ricchi in<br />

scheletro, sassosi o addirittura rocciosi grazie al potente apparato radicale (è chiamato anche<br />

“spaccasassi”). Non teme la scarsità d’acqua e sfrutta favorevolmente l’abbondanza di sali minerali.<br />

Non ama i suoli troppo umidi con falda superficiale o condizioni di ristagno idrico. E’ una pianta<br />

ideale per il rimboschimento di terreni marginali e molto poveri.<br />

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Fig. 20 – Celtis australis - Bagolaro (fonte: archivio Veneto Agricoltura)<br />

Fraxinus excelsior (Frassino maggiore)<br />

Il Frassino maggiore è un grande albero che può raggiungere i 35-40 metri di altezza. In Italia è<br />

diffuso al nord e nell’Italia centrale ed è completamente assente al sud e nelle isole. In Veneto il<br />

frassino maggiore è un importante elemento costitutivo dei boschi misti di latifoglie in ambiente<br />

fresco e umido: in particolare caratterizza, assieme all’acero di monte, le formazioni forestali<br />

collinari e submontane denominate aceri-frassineti. Cresce bene inoltre anche in corrispondenza<br />

degli ambienti umidi di risorgiva dell’alta pianura, assieme alle componenti del bosco planiziale<br />

(farnia, olmo campestre, ecc.). Il frassino maggiore predilige suoli freschi, ricchi, profondi, sciolti e<br />

non pesanti. Eliofilo o semisciafilo, esige una buona disponibilità idrica: teme l’aridità e tollera meno<br />

rispetto all’affine frassino ossifillo i ristagni idrici. È suscettibile alle gelate tardive (meno del frassino<br />

ossifillo).<br />

Fig. 21 – Fraxinus excelsior - Frassino maggiore (fonte: archivio Veneto Agricoltura)<br />

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Fraxinus oxycarpa (Frassino ossifillo)<br />

Il frassino ossifillo differisce dal frassino maggiore per le dimensioni generalmente minori<br />

(raggiunge al massimo i 20-25 metri di altezza) e il portamento meno slanciato, per la colorazione<br />

più chiara delle gemme, nonché per forma e dimensione delle foglioline.<br />

E’ il vicariante meridionale del frassino maggiore. In Italia è diffuso al centro, al sud e nelle isole,<br />

più raro al nord.<br />

Il frassino ossifillo è una tipica specie di pianura (arriva al massimo a 400 metri di altitudine),<br />

comunemente presente nei boschi misti ripariali, su suoli umidi e paludosi, assieme a salici e pioppi<br />

e, nei residui querco-carpineti della bassa pianura veneta e friulana, assieme a farnia e olmo<br />

campestre. È quindi più termofilo dell’affine frassino maggiore, come testimoniano il suo areale più<br />

meridionale, la sua sporadica presenza in ambiente vallivo montano e la sua elevata suscettibilità<br />

alle gelate tardive. Predilige terreni profondi, ricchi di sostanza organica e di elementi minerali,<br />

dotati di buona disponibilità idrica, sopportando anche eventuali ristagni idrici. A differenza del<br />

frassino maggiore tollera assai bene i terreni argillosi tipici della bassa pianura. In Veneto il frassino<br />

ossifillo viene utilizzato in pianura, dalla fascia delle risorgive fino alle zone litoranee.<br />

Fraxinus ornus (Orniello)<br />

Fig. 22 – Fraxinus oxycarpa - Frassino ossifillo (fonte: archivio Veneto Agricoltura)<br />

L’orniello è un piccolo albero caratterizzato da una bassa velocità di accrescimento che raggiunge<br />

a maturità in media i 10-15 metri di altezza. In Italia è presente in tutto il territorio, ma è più comune<br />

nelle regioni adriatiche. E’ un elemento caratteristico, assieme al carpino nero, degli orno-ostrieti<br />

presenti nelle aree prealpine su suoli superficiali, calcarei e con scarsa disponibilità idrica. È<br />

presente inoltre anche all’interno di querceti misti termofili con la roverella. In Veneto si rinviene<br />

anche nei residui consorzi forestali litoranei con il leccio. L’orniello predilige terreni calcarei,<br />

superficiali, sabbiosi, sassosi o rocciosi, asciutti. È la migliore specie pioniera nella fascia<br />

sopramediterranea: la sua xerofilia (resiste all’aridità) e termofilia (predilige temperature elevate)<br />

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infatti spiegano il ruolo centrale dell’orniello sin dai primi stadi del processo di colonizzazione e<br />

riforestazione dei prati e pascoli aridi diffusi su rocce calcaree. E’ una specie apprezzata anche dal<br />

punto di vista ornamentale per la fioritura in vistose pannocchie bianche.<br />

Malus sylvestris (Melo selvatico)<br />

Fig. 23 – Fraxinus ornus - Orniello (fonte: archivio Veneto Agricoltura)<br />

E’ una specie spontanea in molte regioni dalle zone di pianura agli areali montani, fino a 1.000-<br />

1.300 metri di quota. Il melo selvatico è un piccolo albero o alberello. E’ più rustico del melo<br />

domestico coltivato e si differisce da questo per i rami spinosi, le dimensioni più contenute, le foglie<br />

glabre o quasi e i frutti piccoli e verdastri. E’ un componente delle formazioni a latifoglie<br />

subtermofile (rovere, roverella, farnia, carpino, ecc.) della fascia collinare e sub-montana, in cui<br />

spesso si ritrova con individui solitari, preferendo spazi marginali o radure, dove riesce ad<br />

espandere la chioma in forma globosa.<br />

Fig. 24 – Malus sylvestris - Melo selvatico (fonte: archivio Veneto Agricoltura)<br />

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Ostrya carpinifolia (Carpino nero)<br />

In Italia è presente in tutte le regioni, in particolare negli areali collinari o montani, fino a circa 1.000<br />

metri. Ha un portamento arboreo o arbustivo a macchia e può raggiungere i 20 metri di altezza.<br />

E’ particolarmente diffuso nelle regioni nord-orientali e adriatiche, associato con la roverella e<br />

l’orniello a formare boschi xerofili e termofili (orno-ostrieti, ostrio-querceti). Predilige terreni drenanti,<br />

ricchi di calcare, adattandosi anche a suoli poco profondi in quanto ha un apparato radicale<br />

piuttosto superficiale e ha scarse esigenze di substrato. E’ una specie eliofila e termofila, che teme<br />

le gelate, caratterizzata da una crescita lenta (come il carpino bianco).<br />

Fig. 25 – Ostrya carpinifolia - Carpino nero (fonte: archivio Veneto Agricoltura)<br />

Paulownia tomentosa (Paulownia)<br />

Originaria della Cina, è stata introdotta in Europa alla metà dell’800 per un impiego ornamentale e<br />

paesaggistico. E’ una pianta a portamento arboreo e crescita rapida, ma non è molto longeva. E’<br />

estremamente rustica e predilige terreni di vario tipo (sabbiosi, ghiaiosi, detritici) purché profondi,<br />

ben drenati e non asfittici. Non sopporta terreni molto pesanti, argillosi. La falda freatica deve<br />

essere almeno a 2 metri di profondità dalla superficie del terreno, che non deve mai essere saturo.<br />

Predilige esposizioni di pieno sole; non sopporta gli ambenti molto ventosi per la fragilità dei rami e<br />

delle branche. Il suo apparato radicale è molto sviluppato ed espanso. E’ una specie molto<br />

apprezzata per la sua elevata valenza estetica e ornamentale (in particolare per la sua vistosa<br />

fioritura).<br />

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Fig. 26 – Paulownia tomentosa - Paulownia (fonte: archivio Veneto Agricoltura)<br />

Platanus hispanica (Platano ibrido)<br />

Il platano ibrido è una specie eliofila a rapido accrescimento, largamente utilizzata dalla pianura<br />

fino a quote di 600-900 metri. Predilige i terreni aerati, profondi, freschi o umidi, ma non<br />

acquitrinosi, preferibilmente calcarei e ricchi in contenuto organico. Un’eventuale aridità del clima<br />

deve essere compensata dalla freschezza del suolo. Tendenzialmente sopporta bene il freddo, non<br />

troppo intenso e prolungato, il caldo estivo e l’inquinamento atmosferico. Il platano ibrido è un<br />

albero ampiamente coltivato nei parchi ed è stato usato diffusamente nella costituzione di<br />

alberature stradali monospecifiche. Costituisce infatti circa il 90% del patrimonio arboreo sito lungo<br />

le strade statali del Veneto: il suo largo impiego nelle alberature è dovuto proprio alla sua rusticità e<br />

alla sua velocità di accrescimento. Può essere impiegato anche nei rimboschimenti di zone umide,<br />

in siepi o arboreti a pieno campo per la produzione di biomassa da energia, nonché nella<br />

costituzione di frangivento e di fasce tampone boscate e polifunzionali. E’ avversato da alcune<br />

malattie tra cui vanno ricordate l’antracnosi del platano (provocata dal fungo Gnomonia platani) e il<br />

cancro colorato del platano, provocato dal fungo Ceratocystis fimbriata. Quest’ultimo ha colpito la<br />

specie pesantemente negli ultimi anni e per tale motivo si sono rese necessarie misure di controllo<br />

piuttosto severe e regolamentate dal Codice Penale (“Disposizioni sulla lotta obbligatoria contro il<br />

cancro colorato del platano”).<br />

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Populus alba (Pioppo bianco)<br />

Fig. 26 – Platanus hispanica - Platano ibrido (fonte: archivio Veneto Agricoltura)<br />

In Italia è diffuso in tutte le regioni fino a circa 1.000 metri di quota. E’ una pianta a crescita molto<br />

rapida che si può sviluppare sino a 30 metri di altezza; di solito ha forma arborea ma a volte anche<br />

arbustiva. E’ diffuso in un areale estremamente ampio: si può reperire sia lungo i corsi d’acqua, sia<br />

nella forma di esemplari isolati, sia all’interno di boschetti misti assieme a ontani, frassini, salici,<br />

olmi, querce. Predilige luoghi esposti al sole e caldi, terreni freschi, profondi, ben aerati e drenati;<br />

tollera comunque bene i suoli argillosi e quelli calcarei. Ama l’acqua ma teme il ristagno idrico<br />

prolungato e le situazioni di asfissia. Ha una notevole capacità pollonifera. E’ impiegato nella<br />

costituzione di alberature stradali e a scopo ornamentale nei parchi e nei giardini per la sua<br />

notevole valenza estetica e decorativa.<br />

Fig. 27 – Populus alba - Pioppo bianco (fonte: archivio Veneto Agricoltura)<br />

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Populus nigra (Pioppo nero)<br />

In Italia è diffuso ovunque, dalle zone di pianura fino ai 1.200 metri di quota. Si presenta in genere<br />

sotto forma arborea e può raggiungere grandi dimensioni (fino a 25-30 metri di altezza). E’ una<br />

pianta longeva che ama gli ambienti luminosi e temperati. In natura si sviluppa frequentemente<br />

lungo i corsi d’acqua, dove forma boschetti misti con ontani, frassini e salici; molto diffusa è la<br />

consociazione con il salice bianco lungo i fiumi e nelle golene. Predilige terreni freschi, profondi e<br />

ben drenati e con un buon contenuto di sali minerali. Non teme situazioni di temporanee<br />

inondazioni e substrati molto umidi; non ama molto i terreni calcarei.<br />

Fig. 28 – Populus nigra - Pioppo nero (fonte: archivio Veneto Agricoltura)<br />

Populus x canadensis (Pioppi ibridi euro-americani)<br />

I pioppi ibridi euro-americani, originati dall’ibridazione tra il pioppo nero (Populus nigra) e il pioppo<br />

nero americano (Populus deltoides) o altri pioppi americani, sono coltivati in Italia in tutte le regioni<br />

dal piano fino a circa 1.000 metri di altitudine; la loro coltivazione, in formazioni pure e<br />

specializzate, avviene in particolare nelle pianure lungo il Po (è molto diffusa lungo tutta la Pianura<br />

Padana). Tali pioppi in genere prediligono terreni profondi, freschi e umidi, anche se tollerano molto<br />

bene pure i suoli argillosi. Esistono moltissimi cloni e varietà, variamente selezionati:<br />

- per la destinazione d’uso: produzione di legno (cellulosa, compensato, carta, pannelli e altri<br />

prodotti per l’industria, biomassa legnosa da energia); scopo estetico, paesaggistico,<br />

ornamentale;<br />

- per la velocità di crescita o per la conformazione del fusto;<br />

- per l’adattamento ai diversi ambienti di coltivazione: resistenza al vento, al sale, all’aridità<br />

della stazione d’impianto;<br />

- per la resistenza ai vari patogeni e alle varie malattie che li possono colpire: parassiti<br />

animali o altri agenti di avversità (funghi, batteri e altre entità infettive).<br />

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Tra i vari cloni impiegabili si possono citare i più diffusi nei tradizionali impianti commerciali di SRF<br />

coltivati a pieno campo: tra gli altri vanno menzionati i cloni “AF2”, “Monviso”, “Orion”, “Baldo”,<br />

“Lux”, “Ballottino”, “Adige”, “I-214”, “Villafranca”, “Sirio”, “Pegaso”.<br />

Per essere ammessi alla produzione e alla commercializzazione, i cloni di pioppo devono essere<br />

iscritti al Registro nazionale dei materiali forestali di base (RNMFB), ex Registro nazionale dei cloni<br />

forestali, come previsto dal D. Lgs. 386/03, che ha recepito la Direttiva Comunitaria 1999/105/CE.<br />

Fig. 29 – Populus x canadensis - Pioppi ibridi euro-americani (fonte: archivio Veneto Agricoltura)<br />

Prunus avium (Ciliegio selvatico)<br />

In Italia è solitamente presente in pianura e in collina fino a 500-1.000 metri di quota; coltivato per<br />

la produzione del frutto o del legno da opera (entrambi ricercati e pregiati) o spontaneo nelle<br />

formazioni boschive naturali. Il portamento è arboreo. E’ una piana molto rustica; come ciliegio<br />

selvatico si trova spontaneo ai margini dei boschi (è una specie eliofila) o lungo i corsi d’acqua, in<br />

molteplici consociazioni. Lo si trova anche negli areali montani o submontani in boschi di latifoglie.<br />

E’ una pianta abbastanza resistente al freddo e al gelo; si adatta a molti tipi di substrati, tra cui<br />

anche quelli calcarei e argillosi, anche se preferisce suoli ben drenati.<br />

Fig. 30 – Prunus avium - Ciliegio selvatico (fonte: archivio Veneto Agricoltura)<br />

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Pyrus pyraster (Pero selvatico, Perastro)<br />

Si trova in tutta Italia dalla pianura fino alle zone collinari e submontane fino a 1.200-1.400 metri di<br />

quota. E’ un albero di dimensioni variabili, che arriva al massimo a 10-15 metri di altezza. In natura<br />

si trova in posizioni soleggiate come esemplare isolato o in boschi di latifoglie, in presenza di suoli<br />

freschi e umidi, ricchi di sostanza organica e sali minerali. Per l’elevata qualità del legno trova<br />

impiego negli impianti di arboricoltura da legno di pregio.<br />

Quercus robur (Farnia)<br />

Fig. 31 – Pyrus pyraster - Pero selvatico, Perastro (fonte: archivio Veneto Agricoltura)<br />

E’ un albero molto longevo con crescita iniziale piuttosto lenta, successivamente medio-rapida,<br />

specialmente in ambienti idonei; è in grado di raggiungere a maturità i 30-40 metri di altezza. In<br />

Italia è maggiormente diffusa nelle regioni settentrionali e centrali. La farnia è la tipica quercia degli<br />

ambienti di pianura; era infatti la specie guida delle foreste che storicamente ricoprivano la Pianura<br />

Padana e di cui oggi in Veneto rimangono solo pochi lembi. Nelle regioni nord-orientali (Veneto e<br />

Friuli) solitamente la farnia è accompagnata da altre specie in relazione alla disponibilità idrica:<br />

dove il livello della falda è superficiale, è accompagnata da olmo campestre e frassino ossifillo; su<br />

suoli profondi, ma con livello della falda più basso, è accompagnata dal carpino bianco. La farnia è<br />

una specie eliofila, mesofila (non teme le gelate), adatta a terreni ricchi, freschi, profondi, umidi;<br />

tollera anche periodici ristagni idrici, vegetando quindi al meglio anche su terreni di tipo franco e<br />

argilloso. Può spingersi al massimo fino ai 900 metri di quota. Il legno di farnia è duro, durevole e di<br />

buona lavorabilità; è particolarmente apprezzato e ricercato per la produzione di mobili, parquet,<br />

travi, doghe per botti. La qualità eccellente del legno e l’elevato valore naturalistico rendono questa<br />

specie particolarmente apprezzata per molteplici impieghi:<br />

- può essere governata ad altofusto per la produzione di legname di qualità in impianti di<br />

arboricoltura;<br />

- può costituire la parte alta dei grandi frangivento campestri ed è la specie principale da<br />

utilizzare nei rimboschimenti a scopo naturalistico in pianura;<br />

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- è infine una pianta apprezzata anche dal punto di vista ornamentale e diffusa nei parchi e<br />

nei giardini.<br />

Salix alba (Salice bianco)<br />

Fig. 31 – Quercus robur - Farnia (fonte: archivio Veneto Agricoltura)<br />

In Italia è diffuso ovunque e si spinge fino a oltre 1.000 metri di altitudine.<br />

E’ una specie igrofila e allo stato naturale si trova di frequente lungo i corsi d’acqua dove forma dei<br />

boschetti puri o misti con il pioppo nero. Cresce bene nei terreni freschi e profondi, ma anche in<br />

quelli più pesanti, umidi e argillosi, sopportando bene periodi di sommersione, ristagni idrici<br />

prolungati e l’eventuale presenza di falde superficiali. Di rapido accrescimento, è impiegato per<br />

rinsaldare scarpate e rive di corsi d’acqua.<br />

Fig. 32 – Salix alba - Salice bianco (fonte: archivio Veneto Agricoltura)<br />

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Cloni e ibridi di Salix alba e Salix spp.<br />

Negli ultimi anni la ricerca sperimentale sta puntando a selezionare cloni e varietà di Salix alba e<br />

Salix spp. (salice bianco e altre specie di salice) adatti a essere impiegati per la produzione di<br />

biomassa a scopo energetico. In questo contesto vanno citate in particolare le sperimentazioni<br />

condotte dal CRA-PLF, Unità di Ricerca per le Produzioni Legnose Fuori Foresta di Casale<br />

Monferrato (AL). Tra gli altri si segnalano il clone “S78-003” e il clone “SI64-017”, testati da Veneto<br />

Agricoltura in un impianto sperimentale di SRF a pieno campo a Legnaro (PD).<br />

Fig. 33 – Cloni e ibridi di Salix alba e Salix spp. (fonte: archivio Veneto Agricoltura)<br />

Sorbus torminalis (Ciavardello)<br />

In Italia è diffuso dalle pianure fino a 700-800 metri di altitudine. Ha un portamento solitamente<br />

arboreo (raggiunge i 10-20 metri di altezza), raramente arbustivo. Si trova in boschi di latifoglie o ai<br />

loro margini, nelle macchie o nelle radure, soprattutto negli areali submontani o collinari. Predilige<br />

suoli acidi o subacidi, argillosi, profondi, ma si adatta bene anche a substrati calcarei e sassosi. E’<br />

una pianta eliofila a crescita lenta ma molto longeva, utilizzata per il legno di qualità e per il suo<br />

aspetto decorativo a scopo estetico-ornamentale.<br />

Fig. 34 – Sorbus torminalis - Ciavardello (fonte: archivio Veneto Agricoltura)<br />

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Ulmus minor (Olmo campestre)<br />

In Italia è diffuso in tutte le regioni fino a oltre 1.000 metri di altitudine. Può avere portamento<br />

arboreo, raggiungendo altezze di 20 metri, o anche arbustivo. E’ una specie longeva e dotata di<br />

una notevole facoltà pollonifera. La sua rusticità e l’elevata resistenza ai fattori pedo-climatici hanno<br />

permesso una sua elevata diffusione: la tarda ripresa vegetativa delle gemme gli conferisce una<br />

notevole resistenza alle gelate. E’ una specie di interesse paesaggistico ed è apprezzata anche<br />

come pianta ornamentale in parchi e alberature stradali, in quanto sopporta bene sia le potature sia<br />

l’inquinamento. In passato è stato molto impiegato come tutore naturale della vite nella Pianura<br />

Padana. E’ una specie tendenzialmente ubiquitaria; ama particolarmente i terreni freschi, profondi,<br />

con buona disponibilità di acqua; richiede però un’abbondante disponibilità di sali minerali; tollera<br />

molto bene i substrati calcarei e argillosi. E’ usato anche nella formazione di agro-ecosistemi a<br />

formare sia boschetti, macchie, fasce boscate, siepi, zone rifugio per ospitare organismi utili.<br />

La sua presenza in natura negli ultimi anni è stata decimata dalla diffusione di una malattia fungina,<br />

la Grafiosi dell’olmo, provocata dal fungo Ceratocystis ulmi/Graphium ulmi, che provoca la chiusura<br />

dei vasi linfatici e il successivo progressivo disseccamento della vegetazione in modo parziale e<br />

lento oppure in modo totale e repentino a seconda del tipo di decorso della malattia (cronico o<br />

acuto). Negli ultimi decenni si stanno ricercando varietà di olmo campestre resistenti alla malattia.<br />

Ulmus pumila (Olmo siberiano)<br />

Fig. 35 – Ulmus minor - Olmo campestre (fonte: archivio Veneto Agricoltura)<br />

Albero originario delle regioni siberiane e asiatiche, è stato introdotto in Europa nella seconda metà<br />

dell’800. Si tratta di un albero di discrete dimensioni e taglia medio-piccola. E’ stato diffuso nel Nord<br />

Italia in quanto resistente alla malattia fungina della Grafiosi dell’olmo che ha colpito e decimato le<br />

popolazioni di olmo campestre nel secolo scorso. L’olmo siberiano ha il pregio di resistere a<br />

condizioni climatiche avverse quali l’aridità estiva e il gelo in inverno (sopravvive anche a geli<br />

invernali molto spinti e a periodi prolungati di siccità), adattandosi a qualsiasi terreno e temperatura<br />

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e sviluppandosi molto rapidamente anche in condizioni difficili. Ne è particolarmente apprezzata la<br />

resistenza, oltre alla grafiosi, anche ai rapidi mutamenti delle condizioni atmosferiche. Tale<br />

caratteristica ne ha permesso una certa diffusione e utilizzo negli ambienti naturali, soprattutto nella<br />

formazione di siepi e frangivento, e come pianta ornamentale, in parchi e alberature cittadine e<br />

stradali.<br />

Tilia spp.<br />

Tilia cordata (Tiglio selvatico)<br />

Fig. 36 – Ulmus pupila - Olmo siberiano (fonte: archivio Veneto Agricoltura)<br />

Diffuso in quasi tutte le regioni dalla pianura fino a 1.300 metri di quota, ha in genere portamento<br />

arboreo e può arrivare fino a 20-25 metri di altezza. Forma molti polloni basali. E’ una pianta ad alto<br />

valore paesaggistico ma la sua presenza in natura sta diminuendo per la scomparsa dei boschi a<br />

beneficio dei terreni agrari. Predilige terreni ricchi di sostanza organica, profondi, a reazione neutra<br />

o lievemente acida. Nei climi temperati della fascia alpina si trova nei versanti ben esposti alla<br />

radiazione solare e si consocia con rovere, castagno, acero, faggio. Nelle zone più calde si associa<br />

a frassino e nocciolo. E’ tipico dei querceti termofili e igrofili. La fioritura è molto apprezzata e dai<br />

suoi fiori si ottiene un miele di elevata qualità. Trova impiego come pianta ornamentale in parchi e<br />

giardini o nei viali del verde urbano.<br />

Fig. 37 – Tilia spp. Tilia cordata - Tiglio selvatico (fonte: archivio Veneto Agricoltura)<br />

99


Tilia platyphyllos (Tiglio nostrano)<br />

Diffuso in tutte le regioni dal piano fino a 1.000 metri di quota. Ha per lo più un portamento arboreo<br />

e può arrivare fino a 20 metri di altezza. E’ poco frequente allo stato spontaneo dove si trova in<br />

boschi consociato con rovere e faggio a quote più alte, con ontano, acero e frassino a quote più<br />

basse. L’uso maggiore e più frequente è quello ornamentale, in parchi e giardini e lungo le strade.<br />

Con i primi caldi estivi le foglie si rivestono di un essudato appiccicoso (melata) prodotto da afidi e<br />

cocciniglie che rendono i viali di tigli poco consigliati al parcheggio delle autovetture.<br />

Tilia x europea (Tiglio ibrido o comune)<br />

E’ un ibrido creatosi naturalmente tra Tilia cordata e Tilia platyphyllos; è presente nell’areale in cui<br />

si trovano le due specie di origine e ha caratteri intermedi.<br />

Fig. 38 – Tilia platyphyllos - Tiglio nostrano (fonte: archivio Veneto Agricoltura)<br />

100


APPENDICE 2<br />

A.2.1 Questionario per criteri valutazione vocazione dei siti alla ricarica<br />

delle falde<br />

QUESTIONARIO per criteri valutazione Vocazione dei siti alla ricarica delle falde<br />

NOTA: La maggior parte dei criteri possono essere di diversa interpretazione in funzione della<br />

tecnica di ricarica che si prende in considerazione.<br />

1) Caratteristiche geopedologiche<br />

- tessitura del terreno; quali sono i tipi di terreno idonei e come trovarne la<br />

localizzazione geografica?<br />

- conformazione geologica sottostante (per es. se sotto al terreno vi è una lente di<br />

roccia, non si riesce a infiltrare l’acqua; tutte le cave in zona di ricarica, ove si<br />

suppone vi sia continuità nei materiali dello spessore insaturo, cioè tra il fondo della<br />

cava e la superficie freatica, possono essere considerate idonee a progetti di ricarica<br />

artificiale). Come deve essere questa conformazione geologica, o come è<br />

necessario non sia?<br />

2) Vincoli vari (quali?)<br />

- vulnerabilità<br />

- Rete Natura 2000<br />

- SIC<br />

- Vincolo paesaggistico (positivo o negativo)<br />

- Vincoli storico architettonici<br />

- Distanze di rispetto da strade, elettrodotti, ecc.<br />

- Terreni vincolati a particolari usi soggetti a finanziamento<br />

- Aree di rispetto dei pozzi a uso idropotabile<br />

- Altri<br />

Quali sono i vincoli che vietano la realizzazione di sistemi di ricarica in una determinata<br />

area?<br />

3) Livelli di impermeabilizzazione del terreno<br />

- zone residenziali<br />

- zone industriali e artigianali<br />

- ecc.<br />

101


Come si determina il livello di impermeabilizzazione del terreno? Quali potrebbero<br />

essere le zone il cui livello di impermeabilizzazione è tale da influenzare negativamente<br />

il processo di ricarica?<br />

4) Disponibilità del servizio di derivazione delle acque dal fiume più vicino.<br />

Da questo punto di vista, cosa deve avere un sito per essere utilizzato per la ricarica<br />

delle falde?<br />

5) Possibilità di accesso mezzi per realizzazione e manutenzione dei sistemi di ricarica<br />

Quali sono le caratteristiche necessarie al sito affinché i mezzi possano accedervi per<br />

la sua realizzazione e manutenzione? (pendenza, larghezza passaggio, ecc.)<br />

6) Vicinanza ad aree di stoccaggio sostanze inquinanti (per es. discariche, ecc.), le quali<br />

potrebbero rilasciare sostanze inquinanti nell’acqua di ricarica.<br />

Quali potrebbero essere le aree o strutture che stoccano sostanze inquinanti che, con la<br />

realizzazione vicina di un sito di ricarica, potrebbero rilasciare nell’acqua infiltrata sostanze<br />

inquinanti?<br />

7) Il sistema di ricarica della falda potrebbe provocare disagio alla popolazione adiacente;<br />

Quali potrebbero essere i disagi provocati rispettivamente dai vari sistemi di ricarica (per es.<br />

dove l’acqua ristagna viene favorito il proliferare di insetti dannosi, quali zanzare, ecc.)<br />

8) Il sistema di ricarica se realizzato in determinate zone potrebbe costituire un rischio per<br />

l’incolumità dei passanti. Quali potrebbero essere questi rischi, in relazione al tipo di<br />

sistema di ricarica della falda? (per es. in una AFI le scoline potrebbero costituire rischio<br />

sicurezza per i bimbi di un vicino parco giochi)<br />

9) Altri suggerimenti sui criteri di valutazione della vocazione di un sito ad ospitare un sistema<br />

di ricarica delle falde<br />

10) Criteri economici che rendono un terreno idoneo o non idoneo alla realizzazione dei sistemi<br />

di ricarica (per es. un agricoltore non destinerà mai un’area a vigneto alla ricarica, perché<br />

assai difficilmente vedrà poi adeguatamente retribuito il mancato reddito; anche un’area<br />

residenziale per il suo elevato valore economico non verrà mai destinata a ricarica).<br />

Quali sono i criteri economici che determinano l’idoneità o meno di un sito ad ospitare una<br />

ricarica della falda?<br />

102


11) Dimensioni minime dell’area disponibile in grado di ospitare un determinato sistema di<br />

ricarica (per es. su un’area di 1.000 mq non potrò mai realizzare una AFI)<br />

103


APPENDICE 3<br />

A.2.1 Progetto di Sportello tecnico<br />

PREMESSA<br />

Il presente progetto ha lo scopo di attivare uno sportello in grado di far fronte pienamente alle<br />

richieste di consulenza da parte degli operatori interessati alla progettazione e realizzazione di<br />

opere preposte alla ricarica delle falde. In particolare lo sportello sarà rivolto da un lato ai partner<br />

del progetto AQUOR responsabili delle azioni strutturali (Consorzi di Bonifica Alta Pianura Veneta e<br />

Brenta, nonchè Alto Vicentino Servizi), dall'altro ai tecnici di Enti pubblici e/o di organizzazioni<br />

private interessati ad attivare azioni struttuali per la ricarica delle falde<br />

APPROCCIO METODOLOGICO<br />

I quesiti posti dagli utenti verranno raccolti da una segreteria dello sportello, la quale poi li smisterà<br />

all’esperto più idoneo a rispondere al quesito stesso.<br />

La risposta verrà formulata per via telefonica, via e mail o per contatto diretto previo appuntamento.<br />

SEDE DELLO SPORTELLO<br />

La sede dello sportello viene identificata presso gli uffici del Centro Biodiversità Vegetale e Attività<br />

Fuori Foresta di Montecchio Precalcino (VI), dove verrà allestita ed opererà la segreteria dello<br />

sportello stesso.<br />

SEGRETERIA DELLO SPORTELLO<br />

Diviene fondamentale la definizione di un unico soggetto che gestisca la raccolta dei contatti e<br />

riceva quindi le telefonate e le e mail. Questo perché gli utenti devono avere a disposizione un<br />

riferimento unico cui rivolgersi per esporre i loro quesiti e devono poter individuare facilmente tale<br />

riferimento. Per tale motivo verranno attivati canali dedicati di contatto (un interno telefonico<br />

specifico, un indirizzo e-mail, un form sul sito internet di VA, della PROVI e del progetto AQUOR).<br />

Lo sportello verrà adeguatamente pubblicizzato sul sito di Veneto Agricoltura, provincia di Vicenza<br />

e progetto <strong>Aquor</strong>.<br />

STRUTTURAZIONE DELLO SPORTELLO<br />

Fissato il Centro Biodiversità Vegetale e Attività Fuori Foresta di Montecchio Precalcino (VI) come<br />

sede dello sportello e definita la segreteria dello sportello stesso, l’attività vera e propria potrà<br />

articolarsi secondo le seguenti modalità:<br />

104


Si prevedono 2 modalità di ricezione dei quesiti:<br />

a. via telefonica<br />

b. via e-mail<br />

Il contatto effettuato via e-mail o per mezzo telefonico darà poi luogo ad uno dei 3 seguenti tipi di<br />

consulenza:<br />

1. risposta fornita direttamente via telefono (quando si ritiene sia possibile farlo e rechi<br />

soddisfazione all’interlocutore)<br />

2. risposta via e mail<br />

3. incontro per appuntamento presso la sede dello sportello stesso o presso il sito oggetto di<br />

futura opera di ricarica falda, in fase di progettazione o in fase di esecuzione<br />

Per ciascun quesito la segreteria dello sportello individuerà l’esperto più idoneo per effettuare una<br />

consulenza approfondita nel caso l’utente dello sportello lo richieda ed i tecnici stessi dello sportello<br />

lo abbiano ritenuto opportuno. Individuato il tecnico idoneo la segreteria dello sportello metterà in<br />

contatto l’utente con il tecnico stesso mediante il canale ritenuto più opportuno (via telefonica, mail<br />

o appuntamento). Si prevede anche un brevissimo questionario di gradimento (max tre domande a<br />

risposta chiusa e una aperta facoltativa, da somministrare telefonicamente all'utente o di persona<br />

quando possibile).<br />

Ipotesi di domande:<br />

• come e' venuto a conoscenza dello sportello? (elencare varie opzioni)<br />

• le motivazioni che l'hanno spinta a contattare lo sportello sono state soddisfatte? (5 classi di<br />

giudizio)<br />

• come valuta il personale che l'ha assistita? (5 classi di giudizio)<br />

• suggerimenti per migliorare il servizio<br />

Verrà definita anche una procedura di apertura della pratica (nome e cognome del richiedente,<br />

riferimenti della sua struttura di afferenza, motivazioni della chiamata, tipo di quesito).<br />

Bisognerà valutare anche la dichiarazione privacy, ove opportuna.<br />

IL TEAM DI ESPERTI<br />

Il presente progetto prevede la costituzione di un team di esperti. Tale team sarà costituito da<br />

personale interno a Veneto Agricoltura e da un consulente esterno specializzato. Nello specifico le<br />

persone esperte saranno:<br />

dott.ssa Cristina Dalla Valle per i quesiti che riguardano:<br />

- progettazione e realizzazione generale delle AFI, esclusa la derivazione e regimazione idraulica<br />

delle stesse<br />

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- progettazione e gestione soprassuolo AFI nei casi in cui l’opera preposta alla ricarica della falda<br />

sia una AFI con soprassuolo appositamente richiesto per arboricoltura per la produzione di<br />

legname di pregio, boschi naturaliformi<br />

dott. Loris Agostinetto e Fabiano Dalla Venezia per i quesiti che riguardano:<br />

- progettazione e gestione del soprassuolo AFI, nei casi in cui l’opera preposta alla ricarica della<br />

falda sia una AFI con soprassuolo appositamente richiesto per la produzione di biomassa legnosa<br />

a scopo energetico<br />

- raccolta della biomassa legnosa a scopo energetico<br />

ing. Giancarlo Gusmaroli per i quesiti che riguardano:<br />

- la regimazione idraulica delle opere per la ricarica delle falde<br />

- per le altre opere preposte alla ricarica che non siano le AFI<br />

SITO WEB<br />

Lo sportello prevede anche un sito Web di presentazione, all’interno del sito di Veneto Agricoltura,<br />

della prov. di Vicenza e del Progetto <strong>Aquor</strong>, dove saranno indicati i riferimenti telefonici ed e mail.<br />

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