Daniele Finzi Pasca: «Sono uno che racconta storie che curano».
Daniele Finzi Pasca: «Sono uno che racconta storie che curano».
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first<br />
1 LA RivistA peR Le cLienti e i cLienti coRnèRcARd<br />
N. 2, giugno 2013<br />
<strong>Daniele</strong> <strong>Finzi</strong> <strong>Pasca</strong>:<br />
<strong>«Sono</strong> <strong>uno</strong> <strong>che</strong> <strong>racconta</strong> <strong>storie</strong> <strong>che</strong> <strong>curano»</strong>.<br />
Leggete qui l’intervista integrale con l’artista ticinese <strong>Daniele</strong> <strong>Finzi</strong> <strong>Pasca</strong> tenuta dalla redazione<br />
della rivista you first per i clienti Cornèrcard.<br />
VERSATILE.<br />
<strong>Daniele</strong> <strong>Finzi</strong> <strong>Pasca</strong>, appassionato professionista<br />
del teatro, nonché autore e regista di «La Verità».<br />
you first: <strong>Daniele</strong> <strong>Finzi</strong> <strong>Pasca</strong>, lei è un artista versatile,<br />
di fama internazionale e quindi viaggia spesso.<br />
Se in aereo deve compilare un modulo d’immigrazione,<br />
quale professione indica: clown, poeta, attore<br />
o regista?<br />
<strong>Daniele</strong> <strong>Finzi</strong> <strong>Pasca</strong>: Adesso mi definisco regista.<br />
In molti paesi la gente non sa bene cosa<br />
fare della definizione di clown, e con il passare<br />
del tempo, è diventato un po’ complicato darne<br />
una spiegazione.<br />
E a un bambino <strong>che</strong> le chiede per strada: lei chi è e<br />
cosa fa? Cosa gli risponde?<br />
A un bambino dico generalmente <strong>che</strong> sono<br />
un clown.<br />
Cosa significa essere un clown?<br />
La mia definizione del clown è la seguente: in<br />
un mondo dove tutto è delineato di confini e<br />
geometrie precisi, necessitiamo di macchie,<br />
di ta<strong>che</strong>s. E il clown corrisponde un po’ a<br />
queste macchie. Tanto è vero <strong>che</strong> tradizionalmente<br />
nelle società più strutturate vi si trova-<br />
no an<strong>che</strong> i clown. Per conoscere la filosofia di<br />
un clown e capire cosa si nasconde dietro,<br />
bisogna solo chiedergli <strong>che</strong> tipo di macchia<br />
egli rappresenta. E dalla risposta del clown si<br />
capisce subito se si vede come una macchia<br />
di sangue, o una macchia di champagne su<br />
una tavola imbandita per un matrimonio, oppure<br />
una macchia impregnata di un odore<br />
sgradevole. In fondo si tratta del modo in cui<br />
un clown riesce a rompere i confini e le strutture.<br />
Quando ha sognato per la prima volta di volersi trovare<br />
su un palcoscenico o nell’arena di un circo?<br />
Tutto è incominciato con la federazione di ginnastica<br />
e con il mentore Fabrizio Arrigoni,<br />
appassionatissimo di circo e del mondo dello<br />
spettacolo. In Ticino Fabrizio aveva creato un<br />
gruppo i cui membri erano affascinati da Parigi.<br />
Comprò dei costumi del «Lido de Paris» e<br />
allestì <strong>uno</strong> spettacolo con piume e paillettes. I<br />
miei genitori mi permisero di partecipare, e<br />
all’età di 11 anni incominciai ad aiutarlo.<br />
Fabrizio Arrigoni era il primo a inscenare degli<br />
spettacoli di questo tipo con delle ballerine, e<br />
alcune di loro erano perfino top less. Io ero<br />
dietro le quinte e a volte le aiutavo a cambiarsi<br />
il costume quando uscivano di scena con i<br />
loro piumaggi. Da undicenne, vedere queste<br />
ballerine sfrecciare davanti a me semivestite,<br />
naturalmente mi affascinava e mi dicevo: questo<br />
mestiere è troppo bello e troppo divertente,<br />
e la mia passione per il palcoscenico nacque<br />
proprio lì.<br />
Ha frequentato una scuola di teatro?<br />
Sì, ma non l’ho mai terminata. Durante il periodo<br />
presso la scuola di teatro mi sono deciso<br />
ad imboccare un’altra strada, perché volevo<br />
lavorare con dei direttori d’or<strong>che</strong>stra e<br />
degli scenografi. Idealmente il nostro mestiere<br />
s’impara «learning by doing», ossia «a bottega»,<br />
come avviene in un apprendistato. C’è<br />
chi termina gli studi in accademia e chi come<br />
me, sceglie un percorso diverso, appunto la<br />
bottega.<br />
Si può imparare la professione del clown o bisogna<br />
avere delle basi ben chiare?<br />
Capire Dio in certe cose non è tanto facile.<br />
C’è gente <strong>che</strong> studia molto, <strong>che</strong> si applica, e<br />
poi arriva una persona – e questo capita<br />
spesso in molti campi – <strong>che</strong> possiede qualcosa<br />
<strong>che</strong> si chiama talento. Se per esempio<br />
qualc<strong>uno</strong> non ha la musicalità, può passare<br />
tutta la vita al pianoforte e arrivare a un certo<br />
punto, ma non andrà molto lontano. Si possono<br />
imparare tante cose, ma sostanzialmente<br />
è proprio così, il motore è questo talento, o<br />
siamo fortunati di avere questo fuoco <strong>che</strong><br />
arde dentro di noi, o non lo abbiamo. Se hai<br />
talento, non è solo un peccato nei confronti<br />
dell’umanità, ma è an<strong>che</strong> <strong>uno</strong> sbaglio non<br />
usarlo.<br />
Ci sono degli artisti, soprattutto nell’ambito del<br />
disegno, <strong>che</strong> dicono: «Finché sei un bambino, sei<br />
un artista. Se frequenti un’accademia di belle<br />
arti, non riesci più a disegnare, perché non puoi<br />
più esprimerti liberamente e ti lasci influenzare<br />
troppo dall’esterno». Si può dare libero sfogo al<br />
talento?<br />
Credo <strong>che</strong> un artista abbia bisogno di un maestro<br />
per poter crescere. Tu vai an<strong>che</strong> a scuola,<br />
certo, ma il punto è <strong>che</strong> il maestro ti guida,<br />
non ti insegna solo, è questa la differenza fra<br />
un insegnante e un maestro. In questo modo<br />
ti aiuta a identificare quello <strong>che</strong> stai cercando.<br />
Se una tale guida sceglie di guidarti – e questo<br />
lo deve fare – allora nasce un rapporto. In<br />
questo gioco succede sempre <strong>che</strong> un giorno<br />
un maestro si aspetti <strong>che</strong> l’allievo lo superi.<br />
Questo processo è l’esatto contrario dell’inquadramento,<br />
in quanto il maestro dice:<br />
«Adesso tu hai visto tutto quello <strong>che</strong> so, ora<br />
mi aspetto <strong>che</strong> tu vada avanti». Questo è il<br />
rapporto giusto. Il percorso con un insegnante<br />
– an<strong>che</strong> se può essere fantastico – non<br />
inizia con la stessa premessa.<br />
Lei ha avuto un maestro così?<br />
Ne ho avuto vari, in modi diversi e per cose<br />
diverse. Per esempio Paul Glass, un compositore<br />
americano <strong>che</strong> vive a Carona, mi ha introdotto<br />
nel mondo della forma. Ho imparato<br />
cosa è la forma e come applicarla. An<strong>che</strong> se<br />
io non sono musicista, ho imparato moltissimo,<br />
perché per vari anni sono andato a mangiare<br />
con lui tutti i sabati. Altri mi hanno insegnato<br />
a veleggiare, a capire come funziona,<br />
dove sta il vento. Tutte cose <strong>che</strong> applico alla<br />
mia visione del teatro.
first<br />
2 LA RivistA peR Le cLienti e i cLienti coRnèRcARd<br />
N. 2, giugno 2013<br />
Nel 1983 all’ età di 19 anni è partito per l’India per<br />
aiutare Madre Teresa di Calcutta ad assistere i malati<br />
terminali. Cosa l’ha portata a quell’età a fare<br />
questa scelta?<br />
Sono andato in India perché ho avuto una<br />
crisi d’amore adolescenziale nelle stile di<br />
Werther, un giovane romantico <strong>che</strong> ha tentato<br />
di sbollire le sue pene sentimentali. Ho preso<br />
una botta <strong>che</strong> mi ha disarcionato. Forse in<br />
una situazione simile, alcuni miei zii di generazioni<br />
precedenti sarebbero partiti per la legione<br />
straniera. Sono stato salvato dai miei genitori,<br />
<strong>che</strong> sono per me e i miei fratelli delle<br />
figure chiave.<br />
Ci hanno aiutati a crescere, sviluppando i nostri<br />
talenti. Mio papà e mia mamma mi hanno<br />
preso in disparte dicendo:<br />
«<strong>Daniele</strong>, cosa facciamo? Tu <strong>che</strong> volevi sempre<br />
fare qualcosa in ambito sociale, adesso<br />
sarebbe il momento giusto». Visitammo quindi<br />
un missionario salesiano <strong>che</strong> aveva in programma<br />
di partire per l’India. Mio papà <strong>che</strong><br />
aveva studiato dai salesiani, gli chiese: «Quando<br />
parti?» «Fra tre giorni», rispose il missionario.<br />
«Non potresti portare mio figlio con te?»<br />
Quattro giorni dopo, partimmo per l’India. Inizialmente<br />
ho lavorato per un progetto agricolo<br />
a Krishnanagar vicino a Calcutta. Poi nelle bidonville<br />
a Bombay e successivamente, an<strong>che</strong><br />
per Madre Teresa. Questi sette mesi in India<br />
hanno significato per me l’inizio di un periodo<br />
nuovo e consentito l’accesso ad un mondo del<br />
quale mi sono totalmente innamorato. C’è<br />
sempre un prima e un dopo nella vita. Ho conosciuto<br />
luoghi e gente straordinari. E’ un luogo<br />
dove ogni tanto ritorno ancora oggi.<br />
Come l’hanno influenzata le esperienze fatte in<br />
India?<br />
Mi hanno influenzato molto. Prima, per me lo<br />
spettacolo significava piume, paillettes e<br />
show. Dopo il mio rientro sentivo il bisogno di<br />
<strong>racconta</strong>re delle <strong>storie</strong>, degli avvenimenti veri<br />
come, per esempio quando vedi come i<br />
bambini muoiono in determinate condizioni.<br />
L’India mi ha dato tanto. Il viaggio è stato per<br />
me un’iniziazione, come nelle tradizioni sciamani<strong>che</strong>.<br />
Cosa l’ha spinta a fondare il Teatro Sunil dopo il suo<br />
rientro dall’ India?<br />
Dopo l’India sentivo il bisogno di <strong>racconta</strong>re<br />
delle <strong>storie</strong> <strong>che</strong> potessero togliere la paura,<br />
aiutare la società o gli individui a non avere<br />
paura. Se qualc<strong>uno</strong> ha paura, necessita delle<br />
<strong>storie</strong> <strong>che</strong> lo curino. Il Teatro Sunil in fondo<br />
è nato da un gruppo di amici del mio quartiere,<br />
il Molino Nuovo. Dopo il mio rientro ci siamo<br />
ritrovati, e solo un anno dopo ho portato<br />
altre quattro persone. Siamo partiti insieme<br />
per l’India, an<strong>che</strong> per lavorare. Avevamo preso<br />
quattro valigie con diversi strumenti da<br />
clown e abbiamo visitato parecchi lebbrosari<br />
fra Bihar e Calcutta. Con quel gruppo desideroso<br />
di <strong>racconta</strong>re delle <strong>storie</strong> di un certo<br />
tipo, si è creata una sorta di famiglia. Con<br />
alcune persone di questo gruppo lavoro ancora<br />
oggi dopo quasi trent’anni.<br />
Come erano gli esordi di questo teatro?<br />
Sono entrato in scena con degli spettacoli<br />
<strong>che</strong> oggi chiameremmo ricevimenti di gala.<br />
Uno dei miei primi spettacoli era alla Romantica<br />
di Melide. Avevo preparato una scena<br />
<strong>che</strong> iniziava con una valigia ed una scala.<br />
Arrivavo con la valigia e la scala, aprivo la<br />
scala, poi la valigia, facendo finta di cercare<br />
qualcosa <strong>che</strong> poi non trovavo: un uovo. Poi<br />
salivo sulla scala, cercando di rimanere in<br />
equilibrio per recuperare l’uovo con la bocca.<br />
Così avrebbe dovuto svolgersi la scena,<br />
però lo spettacolo è andato diversamente.<br />
La musica iniziava e Yor Milano, il noto attore<br />
e moderatore televisivo ticinese mi annunciò.<br />
Entrai e iniziai il mio show. Cercavo l’uovo<br />
nella valigia, continuavo a cercarlo freneticamente,<br />
ma non lo trovavo. Terrorizzato sono<br />
scappato dalla scena, chiudendomi nel bagno<br />
del camerino. In quel momento mi sono<br />
detto <strong>che</strong> non avrei mai più fatto cose del<br />
genere. La cosa tragica e bella era <strong>che</strong> settimane<br />
dopo, aprendo la valigia saltò fuori<br />
l’uovo. Allora ero troppo emozionato, davvero<br />
troppo agitato e così non avevo trovato l'uovo.<br />
Questo solo per enfatizzare <strong>che</strong> la scena<br />
è un luogo <strong>che</strong> chiede all’attore di spogliarsi,<br />
di stare nudo, con la sensazione <strong>che</strong> l’anima<br />
lo possa trapassare. Per questo motivo intendo<br />
creare il teatro in un modo <strong>che</strong> aiuti gli<br />
attori a vincere queste paure e stare sulla<br />
scena con leggerezza.<br />
Questo lavoro le ha assicurato delle entrate<br />
fisse?<br />
Non ho mai esercitato nessun altro mestiere.<br />
All’inizio però ho vissuto con pochissimi<br />
mezzi, ma non mi sono mai preoccupato un<br />
granché. Quando il Cirque du Soleil mi ha<br />
proposto un contratto per la prima volta,<br />
ero sbalordito. Una cosa del genere mi<br />
sembrava impensabile. Pensavo <strong>che</strong> questo<br />
mestiere mi avrebbe consentito essenzialmente<br />
di sopravvivere.<br />
Al Teatro Sunil ha sviluppato insieme a suo fratello<br />
Marco e la compositrice e coreografa Maria<br />
Bonzanigo la tecnica del «Teatro della Carezza»,<br />
una visione di clowneria, danza e gioco. Quando<br />
può essere definito tenero il teatro?<br />
Né un pittore, né un architetto o musicista<br />
possono fare questo gesto della carezza. Gli<br />
attori sono gli unici artisti <strong>che</strong> hanno la possibilità<br />
di prendere fisicamente tra le braccia<br />
qualc<strong>uno</strong>. La fisicità è qualcosa di molto<br />
particolare, perché si può vedere ogni volta<br />
come <strong>uno</strong> comunica con l’altro, <strong>che</strong> cosa<br />
tocca, <strong>che</strong> cosa fa. Quando dirigo <strong>uno</strong> spettacolo,<br />
non sono mai davanti al palcoscenico,<br />
ma sempre dietro gli attori. Il tocco provoca,<br />
perché spiega qualcosa. Quando si<br />
ha un bambino tra le braccia, farlo addormentare<br />
richiede un certo grado di empatia,<br />
e quell’empatia viene trasmessa attraverso il<br />
proprio respiro. E ogni giorno è diverso.<br />
Questo per me è il Teatro della Carezza –<br />
lavorare con degli artisti <strong>che</strong> sono sostanzialmente<br />
empatici. Non intendo stare davanti<br />
al pubblico per dire: «io faccio e tu mi<br />
guardi». In questo senso il teatro non è una<br />
carezza, piuttosto un muoversi insieme fra<br />
pubblico e artisti.<br />
EMOZIONANTE.<br />
«La Verità» entusiasma<br />
e commuove il pubblico<br />
con ogni scena.
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2/3 3 LA RivistA peR Le cLienti e i cLienti coRnèRcARd<br />
N. Nr. 2, 2, giugno Juni 2013 2013<br />
LEGGERO COME UNA PIUMA.<br />
Acrobazie e giochi di luce perfetti.<br />
Cosa può o meglio deve ottenere il teatro dal pubblico?<br />
Il teatro non deve ottenere assolutamente nulla.<br />
In passato, i Greci parlavano di catarsi, di<br />
purificazione. Noi tutti speriamo <strong>che</strong> in un determinato<br />
momento della nostra vita le circostanze<br />
non siano solamente buone, ma talmente<br />
ottimali da far nascere una catarsi. E<br />
un tale stato di perfezione ci induce a<br />
pensare <strong>che</strong> è il momento giusto per lasciare<br />
tutto e partire. Potrebbe essere ad esempio<br />
un tramonto indimenticabile, come visto tante<br />
volte, ma mai veramente vissuto.<br />
Si spera <strong>che</strong> chi paga il biglietto, chi va in<br />
scena o muove le luci possa almeno una<br />
volta nella vita dire: «Ah wow, perfetto!» La<br />
catarsi ti mette in questo stato. In questo<br />
senso si cerca sempre, senza chiedere nulla<br />
al pubblico.<br />
Quindi conta solo il presente?<br />
Sì, credo di sì. Un attore sa <strong>che</strong> quello <strong>che</strong> fa<br />
non perdurerà. Il gesto di un interprete è destinato<br />
solo al presente. Perciò gli attori sono<br />
delle figure straordinarie. Un architetto o un<br />
compositore lascia una traccia. Noi no, ogni<br />
passo è già cancellato, dici una parola e non<br />
c’è già più.<br />
Quale ruolo giocava «Icaro», il suo testo teatrale,<br />
scritto da giovane per il «Teatro della Carezza»?<br />
«Icaro» è stata proprio la trasformazione sul<br />
palcoscenico dei temi di cui stiamo parlando,<br />
ossia l’iniziazione, la vicinanza con gli spetta-<br />
tori. Di colpo «Icaro» si presenta quasi come<br />
un manifesto: stare sulla scena con <strong>uno</strong> spettatore<br />
e <strong>racconta</strong>re come se si danzasse un<br />
tango. Effettivamente fu pensato come un<br />
esercizio di stile per spiegare ciò <strong>che</strong> stavamo<br />
cercando. Erano previsti soltanto quattro<br />
spettacoli. Inaspettatamente abbiamo ricevuto<br />
subito un altro invito. Con in tasca un ingaggio<br />
per una settimana sono partito per il<br />
Messico, ma poi lo spettacolo è stato sul cartellone<br />
per ben nove mesi. Credo di essere<br />
stato in Uruguay dodici volte, l’hanno visto<br />
40.000 spettatori. L’anno prossimo a New<br />
York ci sarà la prima di «Icaro». E’ proprio una<br />
strana storia.<br />
Recita «Icaro» da oltre 20 anni, ha dato 700<br />
spettacoli in tutto il mondo. Come riesce ad<br />
evitare la routine?<br />
Il fatto <strong>che</strong> racconto le mie <strong>storie</strong> ogni sera ad<br />
<strong>uno</strong> spettatore differente e recito «Icaro» in sei<br />
lingue diverse evita la routine, poiché devo<br />
adattarmi ogni volta. «Icaro» è come una<br />
montagna <strong>che</strong> si scala continuamente. I sentieri<br />
<strong>che</strong> conducono alla vetta sono sempre<br />
uguali, eppure diversi. Facendo «Icaro», mi<br />
rendo conto di cambiare ogni volta.<br />
Come autore e regista del teatro acrobatico, di<br />
spettacoli teatrali e circensi di spicco, dove nota<br />
delle somiglianze con la figura del clown <strong>che</strong> si trova<br />
da solo nell’arena del circo?<br />
La solitudine di un clown nell’arena del circo è<br />
data dalla dimensione, dalla grandezza. Ci<br />
sono momenti rari nei quali <strong>uno</strong> spettacolo<br />
circense si concentra unicamente sulla luce,<br />
sulla presenza di un clown. Ci sono degli elementi<br />
<strong>che</strong> si ritrovano, si ripetono. Eppure lo<br />
spazio ti permette di creare una sensazione di<br />
enormità – di ricostruire e disegnare quella<br />
fragilità della solitudine.<br />
Nel suo lavoro fa spesso riferimento alla sua infanzia<br />
e gioventù, alla sua casa nel quartiere Molino<br />
Nuovo a Lugano, con delle immagini e <strong>storie</strong> piene<br />
di poesia. Questa base pensa possa essere la sua<br />
fonte artistica?<br />
Assolutamente. Racconto quello <strong>che</strong> conosco,<br />
e conosco il mio quartiere e le sue <strong>storie</strong>.<br />
Sono di quel luogo e racconto <strong>storie</strong> di lì.<br />
Quando ho scritto per il progetto Cechov, ho<br />
<strong>racconta</strong>to la storia del mio quartiere. La<br />
storia di tre persone, nate lo stesso giorno di<br />
Anton Cechov.<br />
Il giovane <strong>Daniele</strong> <strong>Finzi</strong> <strong>Pasca</strong> di Lugano era un<br />
anticonformista?<br />
Quando si è giovani molti vogliono sentirsi un<br />
po’ protetti, fare parte di un gruppo, mentre<br />
altri vogliono esprimere la loro individualità.<br />
Ho frequentato il liceo in pantaloni corti e andavo<br />
in giro in sandali nella neve. Ho avuto la<br />
fortuna di avere una famiglia particolare.<br />
Quando la scuola ha chiamato mia mamma<br />
per un colloquio per dirle <strong>che</strong> trovavano eccessivamente<br />
eccentrico <strong>che</strong> andassi sempre<br />
in giro in pantaloni corti, mia mamma rispose<br />
subito:
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4 LA RivistA peR Le cLienti e i cLienti coRnèRcARd<br />
N. 2, giugno 2013<br />
«Mio figlio ha un allergia particolare, cioè un<br />
problema con vari tipi di tessuto, ed è una<br />
cosa <strong>che</strong> lo imbarazza a tal punto <strong>che</strong> non ne<br />
parla». La reazione di mia mamma era stata<br />
meravigliosa, e questo l’ho saputo solo tanti<br />
anni dopo dal direttore della scuola. A questo<br />
punto vorrei an<strong>che</strong> dire qualcosa sulla questione<br />
dell’individualità. La Svizzera è un paese<br />
straordinario, ma per certi aspetti siamo<br />
purtroppo poco saggi. Si aiuta molto chi è in<br />
difficoltà, ma quando si tratta di creare spazio<br />
per l’eccentricità, del bisogno di essere diversi,<br />
di poter dire ai giovani di essere unici e<br />
speciali, lì purtroppo non siamo molto forti.<br />
Lei è cresciuto in una famiglia di fotografi. In quale<br />
modo questo contesto influenza il suo lavoro ancora<br />
oggi?<br />
C’è chi dice <strong>che</strong> metto in movimento le immagini<br />
<strong>che</strong> mio padre e mio nonno avevano fotografato.<br />
Quando penso alla realtà, la vedo<br />
sempre congelata in un fotogramma <strong>che</strong> poi<br />
metto in movimento. Ho cominciato a fare teatro<br />
prima di tutto illuminandolo. Papà mi ha<br />
fatto vedere come ogni oggetto, a seconda di<br />
come lo illumini fotograficamente, può avere<br />
una trasparenza, un volume, una profondità o<br />
dimensione diversa, <strong>che</strong> non otterrebbe in un<br />
altro modo. Penso come un fotografo quando<br />
immagino una scena.<br />
In generale, <strong>che</strong> cosa intende per patria?<br />
Patria per me è casa, e casa per me è il mio<br />
quartiere. Sono cresciuto in un posto dove<br />
c’erano tante nazionalità, gente di posti diversi.<br />
Non ho un’emozione patriottica nel senso<br />
<strong>che</strong> mi muove qualcosa <strong>che</strong> appartiene a dei<br />
confini <strong>che</strong> sento astratti. Lo sappiamo tutti<br />
<strong>che</strong> per diventare svizzeri, diventi prima di tutto<br />
cittadino del comune in cui risiedi. Questo<br />
non succede in tanti altri paesi, è un fenomeno<br />
<strong>che</strong> non si spiega facilmente a chi viene da<br />
fuori. E’ il Consiglio comunale <strong>che</strong> decide se<br />
tu sei accettato. An<strong>che</strong> se la domanda presentata<br />
è approvata a livello federale o cantonale,<br />
non diventi svizzero se il Comune la<br />
respinge per un motivo qualsiasi. Cosa vuol<br />
dire questo? Vuol dire <strong>che</strong> siamo svizzeri, perché<br />
il posto dove viviamo, si trova in Svizzera.<br />
In questo senso sono profondamente patriottico,<br />
perché sono di un quartiere.<br />
L’anno scorso ha ricevuto «L’Anello Hans-Rein hart»,<br />
il massimo riconoscimento conferito in Svizzera<br />
ai professionisti del teatro. Che cosa significa<br />
questo riconoscimento per lei?<br />
Significa essere un po’atterrato a casa. Forse<br />
un po’ più di prima. Il fatto di aver ricevuto<br />
questo riconoscimento da persone <strong>che</strong> dividono<br />
con me la stessa passione e lo stesso<br />
lavoro, è una cosa molto bella.<br />
Lei lavora spesso a Montreal, la patria di Julie<br />
Hamelin, sua moglie e partner artistica. Il Canada è<br />
una base storica significativa delle sue creazioni<br />
artisti<strong>che</strong> <strong>che</strong> comprende fra l’altro il successo<br />
mondiale del Cirque Eloize e del Cirque du Soleil.<br />
Per quale motivo, lei e i co-fondatori della Compagnia<br />
<strong>Finzi</strong>-<strong>Pasca</strong> avete scelto Lugano come sede<br />
principale?<br />
La Compagnia era già a Lugano quando<br />
Inlevitas e Sunil si sono uniti. Abbiamo semplicemente<br />
cambiato un po’ il nome. C’è stato<br />
un momento in cui ci stavamo veramente domandando<br />
perché continuare a mantenere<br />
una sede qui a Lugano, visto <strong>che</strong> è più difficile<br />
rispetto ad altri posti. Ciononostante siamo<br />
rimasti, perché alcuni di noi sono testardi.<br />
Abbiamo fatto di tutto per creare determinate<br />
condizioni, per ottenere l’appoggio concreto<br />
di strutture private. A me piace tanto creare<br />
qui a Lugano. Il Ticino ha qualcosa di particolare.<br />
Alla fin fine siamo riusciti a creare delle<br />
sinergie con il mondo privato, e questo ha<br />
avuto una ripercussione fortissima, ha dato<br />
un nuovo slancio al mondo politico.<br />
E il suo ultimo progetto: Com’è nata «La Verità»?<br />
Dal 2008 al 2010 avevamo dedicato troppo<br />
tempo al mondo dell’opera. Secondo Julie<br />
(n.d.r.: Julie Hamelin, compagna artistica<br />
nonché moglie di <strong>Daniele</strong> <strong>Finzi</strong> <strong>Pasca</strong>) era necessario<br />
riacquistare una maggiore presenza<br />
a livello internazionale per le nostre creazioni<br />
acrobati<strong>che</strong> teatrali. Abbiamo quindi iniziato a<br />
lavorare su «La Verità». Durante questa fase di<br />
riflessione, a Natale del 2010, la Fondazione<br />
<strong>che</strong> possiede il telone di Salvador Dalí ci telefonò,<br />
offrendocene l’uso. Noi ci siamo detti:<br />
«Questo è proprio quello <strong>che</strong> ci mancava, la<br />
ciliegina sulla torta». E questo ci ha permesso<br />
di spostare l’attenzione su elementi diversi e<br />
creare delle altre sinergie interessanti.<br />
Quale legame aveva con l’opera del surrealista<br />
Salvador Dalí prima di confrontarsi intensamente<br />
con il suo maestoso quadro scenografico <strong>che</strong> ha<br />
LA TELA ORIGINALE. La tela monumentale di Salvador Dalí ritorna in scena dopo quasi 70 anni –<br />
ma questa volta con un nuovo spettacolo.<br />
creato per il balletto «Tristan fou» e <strong>che</strong> oggi fa da<br />
sfondo a «La Verità»?<br />
Queste battaglie tra surrealisti e dadaisti mi<br />
hanno sempre affascinato, ma Dalí non è un<br />
pittore <strong>che</strong> mi <strong>racconta</strong> delle cose profonde.<br />
Affascinato da Sigmund Freud, tutte le sue<br />
analisi del sogno erano orientate in questo<br />
senso. Dalí era molto paranoico con i mostri<br />
da lui creati. Il sogno per me è un trampolino,<br />
un distacco, un volo dentro se stessi. Io sono<br />
molto più vicino a Chagall. In fondo è stato<br />
come se un figlio di Chagall <strong>racconta</strong>sse la<br />
storia di Dalí.<br />
E come vede Dalí oggi?<br />
Ho imparato a conoscerlo occupandomi della<br />
sua opera. Umanamente parlando, mi fa molta<br />
tenerezza. Mi incuriosisce, ma non suscita<br />
molto in me, contrariamente ad altri. La sua<br />
umanità, la sua teatralità sono affascinanti.<br />
Era un gran conoscitore dell’effetto <strong>che</strong> poteva<br />
dare a certe sue manifestazioni e prese di<br />
posizione. Dalí era un furbastro.
first<br />
5 LA RivistA peR Le cLienti e i cLienti coRnèRcARd<br />
N. 2, giugno 2013<br />
Quando ha visto il telo per la prima volta, <strong>che</strong> effetto<br />
le ha fatto?<br />
Il telo è un’ opera maestosa, an<strong>che</strong> perché è<br />
stata pensata e costruita per il teatro, non è<br />
stata una trasposizione. Il telone ha una incredibile<br />
potenza emotiva e simbolica. Quando<br />
<strong>uno</strong> spettatore lo vede, si sente invaso.<br />
Che sensazione prova di poter utilizzare una tela originale<br />
di Salvador Dalí per una propria creazione?<br />
Sono tante sensazioni, incominciando con la<br />
felicità, seguita da preoccupazioni, angoscia,<br />
poi di nuovo felicità, e infine mal di testa, perché<br />
tutto va strutturato. E poi un senso di<br />
plénitude, completezza, quando ho visto il<br />
telone per la prima volta sulla scena.<br />
Che cosa accomuna maggiormente lei e Dalí?<br />
A tutti e due piacciono i ricci di mare (ride). A<br />
parte quello non ho ancora trovato nulla.<br />
Dinanzi ai fantastici mondi di sogni e visioni<br />
finora da lei creati: lei si vede più surrealista o sognatore?<br />
Né l’<strong>uno</strong>, né l’altro. Sono <strong>uno</strong> <strong>che</strong> <strong>racconta</strong><br />
<strong>storie</strong> <strong>che</strong> curano.<br />
Come crea le sue figure?<br />
Quando cerco di creare qualcosa, vado in<br />
luoghi a me familiari, ad esempio a cercare<br />
funghi. Però a volte mi rendo conto <strong>che</strong> non è<br />
il periodo giusto, ma inspiegabilmente ci vado<br />
lo stesso, an<strong>che</strong> se non so perché.<br />
Il telone di Dalí per il balletto «Tristan fou», ossia<br />
il Tristano folle, messo in scena la prima volta<br />
nel 1944, è piuttosto tetro. Esso si riferisce a sua<br />
volta all’opera di Richard Wagner «Tristano e<br />
Isotta», una storia d’amore appassionata e tragica<br />
degli omonimi protagonisti. Quanto è stato<br />
influenzato dall’opera di Wagner nella sua creazione<br />
di «La Verità»?<br />
Io, per niente. Dalí era innamoratissimo di<br />
Wagner e quindi lui l’ha completamente<br />
«impregnato». A me interessano molte cose<br />
di «Tristano e Isotta», come per esempio la<br />
fragilità dei caratteri e la sensualità di questa<br />
storia.<br />
Come può essere adattato un tema così impegnativo<br />
al teatro acrobatico?<br />
«Tristano e Isotta» sono stati danzati e cantati<br />
nell’opera. Il gesto acrobatico in questo<br />
senso è un simbolo, si sposa perfettamente<br />
con il mondo del surrealismo di cui Dalí faceva<br />
parte. Non essendo mai stato fatto in forma<br />
acrobatica, mi consentiva di immaginare<br />
con più facilità e leggerezza «Tristano e<br />
Isotta» in un contesto meno allegorico, meno<br />
simbolico di Dalí, ma più vitale.<br />
Lei lavora an<strong>che</strong> come regista operistico. Potrebbe<br />
immaginarsi di mettere in scena an<strong>che</strong> l’originale<br />
di Wagner?<br />
Ci sono talmente tante opere <strong>che</strong> mi piacerebbe<br />
mettere in scena prima. Ho diretto Verdi, ma an<strong>che</strong><br />
musica contemporanea scandinava. Adesso<br />
mi piacerebbe tuffarmi nella leggerezza e<br />
follia del barocco. Wagner è stato fondamentale<br />
per essere riuscito a creare un dialogo preciso<br />
tra la scena e la musica. E’ stato una delle figure<br />
chiave, qualc<strong>uno</strong> <strong>che</strong> ha costruito, pensando<br />
<strong>che</strong> an<strong>che</strong> l’opera dovesse essere un’immagine.<br />
Wagner è un personaggio <strong>che</strong> mi sorprende<br />
enormemente, ma non è la musica <strong>che</strong> reputo<br />
tra le più adatte da interpretare.<br />
Come incide la tecnica del « Teatro della Carezza»<br />
concretamente su «La Verità»?<br />
Questo enorme telone è appeso sulla scena.<br />
Tuttavia, se davanti o vicino a questa straordinaria<br />
e importante opera di Dalí non ci sono<br />
degli interpreti magnifici, c’è il rischio <strong>che</strong> lo<br />
spettacolo venga completamente schiacciato.<br />
Questa leggerezza, questa capacità si riflette<br />
an<strong>che</strong> nel talento di ogn<strong>uno</strong> degli interpreti<br />
della Compagnia. Sono attori molto<br />
particolari, musicisti, poeti e acrobati. Questa<br />
tecnica permette di costruire un tipo di attore<br />
capace di stare davanti a questo telone senza<br />
farsi schiacciare - quasi dialogando con esso.
first<br />
6 LA RivistA peR Le cLienti e i cLienti coRnèRcARd<br />
N. 2, giugno 2013<br />
Mi ha colpito molto il fatto <strong>che</strong> i critici a<br />
Montreal abbiano parlato poco del telone, ma<br />
piuttosto descritto il gioco degli attori. Il telone<br />
passa in secondo piano grazie alla qualità<br />
dell’interpretazione degli artisti.<br />
Senza svelare troppo di «La Verità»: come descriverebbe<br />
quest’opera in po<strong>che</strong> parole?<br />
Una «rivisitazione» di Dalí, un modo tenero di<br />
<strong>racconta</strong>re «Tristano e Isotta».<br />
Quanto è durato tutto il processo di sviluppo di «La<br />
Verità»?<br />
E’ stata Julie a dare spunto a questo progetto.<br />
Dal primo momento in cui ci siamo riuniti<br />
– davanti a noi un foglio bianco sul tavolo –<br />
il processo è durato due anni e mezzo. Le<br />
settimane di prove sono state 14. La produzione<br />
è durata 8 mesi.<br />
Dove si svolsero la maggior parte delle prove?<br />
Gran parte delle prove si svolsero a Montreal,<br />
ma ne abbiamo fatte due cicli, in tutto 5 settimane,<br />
a Lugano, in modo totalmente illogico<br />
e incoerente dal punto di vista produttivo. An<strong>che</strong><br />
per quanto riguarda lo spazio <strong>che</strong> era totalmente<br />
inadeguato. Però per noi era fondamentale<br />
<strong>che</strong> gli attori della nostra compagnia<br />
e i tecnici conoscessero la nostra terra, avessero<br />
respirato la sua aria.<br />
Come mai lo spettacolo si chiama «La Verità?»<br />
Perché è <strong>uno</strong> dei temi <strong>che</strong> transitano in tutti gli<br />
spettacoli. «Cosa è vero sulla scena?» E’<br />
una delle riflessioni significative degli ultimi<br />
anni. Si sa <strong>che</strong> ciò <strong>che</strong> è vero non sembra<br />
tale. Cosa dobbiamo fare per sembrare<br />
veri? Prendiamo per esempio l’immagine<br />
della morte: un cuore strappato dal petto<br />
di un artista non sembrerebbe vero, sarebbe<br />
impensabile se non altro per motivi tecnici,<br />
ma non solo. An<strong>che</strong> se lo facessimo,<br />
gli artisti non sembrerebbero realmente<br />
morti, perché la sofferenza vera non apparirebbe<br />
tale. Il sangue vero non sarebbe<br />
adeguato per la scena, perché è di un rosso<br />
diverso. La morte andrebbe quindi rappresentata<br />
in un altro modo. Allora perché<br />
rappresentare ciò <strong>che</strong> è vero e <strong>che</strong> sulla<br />
scena non è così? Nella tradizione orientale<br />
la realtà è solo apparenza. Dietro questa<br />
verità si nasconde tutto ciò <strong>che</strong> in fondo<br />
sono delle riflessioni <strong>che</strong> toccano filosofi e<br />
mistici, e <strong>che</strong> noi attori invece dobbiamo<br />
risolvere tutti i giorni.<br />
«La verità è tutto ciò <strong>che</strong> abbiamo sognato, <strong>che</strong><br />
abbiamo vissuto, <strong>che</strong> abbiamo creato – tutto ciò<br />
<strong>che</strong> fa parte della nostra memoria. Così la citazione<br />
estratta da annotazioni di Julie Hamelin. Come<br />
definirebbe il termine realtà?»<br />
Di cosa sei sicuro? La realtà è così insicura.<br />
Se qualc<strong>uno</strong> dice: «Questo è reale», non<br />
puoi essere veramente certo. La realtà diventa<br />
vera solo quando la racconti. Quando<br />
ti trovi davanti, non è ancora vera.<br />
Cornèrcard è <strong>uno</strong> dei tre sponsor principali di<br />
«La Verità». Cosa significa questa collaborazione<br />
per lei?<br />
E’ un viaggio <strong>che</strong> si sta pensando di fare insieme.<br />
Per noi, Cornèrcard ha un ruolo centrale,<br />
perché essere Main Sponsor vuol dire<br />
accompagnare qualc<strong>uno</strong>. Non è solo un giro<br />
di valzer.<br />
La prima europea di «La Verità» si terrà a Losanna<br />
nel mese di ottobre 2013, seguita da spettacoli a<br />
Zurigo, e in autunno 2014 a Lugano. Non vede l’ora<br />
di giocare in casa?<br />
Certo. Mi farà un immenso piacere poter<br />
fare <strong>uno</strong> spettacolo a Lugano. Poter portare<br />
«La Verità» a Lugano sarà una cosa meravigliosa.<br />
Le produzioni <strong>Finzi</strong> <strong>Pasca</strong> durano per diversi anni.<br />
Per quanto tempo le viene concesso dalla fondazione<br />
anonima, <strong>che</strong> è la proprietaria di «Tristan<br />
fou», l’uso di questa tela a scopo teatrale?<br />
Per il momento abbiamo firmato un accordo<br />
di 6 anni. Ma nulla ci impedisce di continuare.<br />
Qual è il suo prossimo progetto?<br />
Stiamo lavorando ad alcuni progetti diversi,<br />
<strong>uno</strong> dei quali è la cerimonia di chiusura dei<br />
Giochi olimpici invernali 2014 a Sochi, in<br />
Russia.<br />
<strong>Daniele</strong> <strong>Finzi</strong> <strong>Pasca</strong>, grazie del tempo dedicatoci!