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Lo scambio colombiano

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<strong>Lo</strong> <strong>scambio</strong> <strong>colombiano</strong>


Distribuzione pre-colombiana di organismi nativi con stretti legami con gli esseri umani<br />

Tipo di organismo<br />

Animali domestici<br />

Dal Vecchio Mondo al Nuovo Mondo<br />

•gatto (addomesticato)<br />

•cammello<br />

•volatili da cortile (pollo, oca, ecc.)<br />

•mucca<br />

•capra<br />

•ape da miele<br />

•cavallo<br />

•coniglio domestico<br />

•maiale (addomesticato)<br />

•piccione<br />

•pecora<br />

•baco da seta<br />

•bufalo domestico<br />

•asino<br />

•mulo<br />

Dal Nuovo Mondo al Vecchio Mondo<br />

Fauna americana transitata<br />

•cavia o porcellino d’India<br />

•anatra muschiata<br />

•tacchino<br />

•cincillà<br />

Fauna americana non transitata<br />

•armadillo<br />

•opossum<br />

•lama<br />

•alpaca<br />

•coyote


FAUNA AMERICANA


The name "coyote" is borrowed from Mexican Spanish coyote, ultimately<br />

derived from the Nahuatl word cóyotl.<br />

The coyote (Canis latrans), also known as the<br />

American jackal or the prairie wolf, is a species<br />

of canine found throughout North and Central<br />

America, ranging from Panama in the south,<br />

north through Mexico, the United States and<br />

Canada. It occurs as far north as Alaska and all<br />

but the northernmost portions of Canada.


Alpaca domestica<br />

INCA<br />

Cibo e coltivazioni<br />

Si stima che gli Inca coltivassero circa settanta specie di<br />

prodotti agricoli. I principali erano: patate, patate dolci, mais,<br />

peperoncini (C. pubescens), cotone, pomodori, arachidi, una<br />

radice commestibile chiamata oca, e un cereale conosciuto<br />

con il nome di quinoa.<br />

Gli Inca coltivavano prodotti agricoli sulle coste più secche del<br />

Pacifico, in alto sugli altopiani delle Ande, e in basso nella<br />

Foresta Amazzonica. Nell'ambiente montagnoso andino, essi<br />

fecero un uso estensivo dei campi terrazzati che non solo<br />

permettevano loro di sfruttare il suolo montano ricco di<br />

minerali quando le altre popolazioni dovevano lasciarlo a<br />

riposo, ma sfruttavano anche i microclimi favorevoli alla<br />

coltivazione di una grande varietà di prodotti agricoli durante<br />

tutto l'anno. Gli attrezzi agricoli erano costituiti per la maggior<br />

parte da semplici bastoni per scavare. Gli Inca inoltre<br />

allevavano i lama e gli alpaca per la loro lana e la loro carne e<br />

per usarli come animali da trasporto, e catturavano le vigogne<br />

selvatiche per il loro ottimo pelo e i guanachi per la loro carne.<br />

Il sistema stradale inca era una delle chiavi del successo<br />

dell'agricoltura in quanto permetteva la distribuzione delle<br />

derrate alimentari su lunghe distanze. Gli Inca costruirono<br />

anche grandi depositi, che permettevano loro di vivere<br />

agiatamente anche durante gli anni in cui imperversava El<br />

Niño mentre le civiltà vicine pativano i morsi della fame.<br />

La dieta della classe comune era a base di cereali,<br />

principalmente di mais, ma si arricchiva anche di patate o di<br />

altri tuberi. La carne compariva raramente nella mensa<br />

dell'indiano sotto forma di porcellino d'India o di pesce,<br />

mentre quella dei camelidi era una rarità, così come quella dei<br />

prodotti della cacciagione. Secondo le stime di <strong>Lo</strong>uis Baudin<br />

(Il Perù degli Inca) le calorie assunte giornalmente<br />

raggiungevano le 3.400 soltanto in periodi particolarmente<br />

favorevoli.<br />

Il mais era anche usato per produrre la chicha, una bevanda<br />

fermentata di cui gli indigeni facevano largo uso in occasione<br />

di particolari festività.


Tacchino (Meleagris gallopavo)


L'anatra muschiata o anatra muta (Cairina moschata) è un<br />

uccello facente parte della famiglia degli Anatidi.<br />

Tali anatre erano diffuse esclusivamente nel Continente<br />

sudamericano, dal Paraguay fino alle Guiane, ma furono<br />

importate in Europa nel XVI secolo.<br />

The term "Muscovy" means "from the Moscow region", but these ducks are<br />

neither native there nor were they introduced there before they became<br />

known in Western Europe. It is not quite clear how the term came about; it<br />

very likely originated between 1550 and 1600, but did not become<br />

widespread until somewhat later. In one suggestion, it has been claimed<br />

that the Company of Merchant Adventurers to New Lands traded these<br />

ducks to Europe occasionally after 1550;[9] this chartered company<br />

became eventually known as the Muscovy Company or "Muscovite<br />

Company" so the ducks might thus have come to be called "Muscovite<br />

Ducks" or "Muscovy Ducks" in keeping with the common practice of<br />

attaching the importer's name to the products they sold.[9] But while the<br />

Muscovite Company initiated vigorous trade with Russia, they hardly, if at<br />

all, traded produce from the Americas; thus they are unlikely to have traded<br />

C. moschata to a significant extent.<br />

Alternatively – just as in the "turkey" bird (which is also from America), or<br />

the "guineafowl" (which are not limited to Guinea) – "Muscovy" might be<br />

simply a generic term for a hard-to-reach and exotic place, in reference to<br />

the singular appearance of these birds. This is evidenced by other names<br />

suggesting the species came from lands where it is not actually native, but<br />

from where much "outlandish" produce was imported at that time (see<br />

below). A more recent parallel is the "Persian" cat, which resembles cats<br />

from Greater Khorasan and Ankara, but was actually bred in England.Yet<br />

another view – not incompatible with either of those discussed above –<br />

connects the species with the Muisca, a Native American nation in today's<br />

Colombia. The duck is native to these lands too, and it is likely that it was<br />

kept by the Muisca as a domestic animal to some extent. It is conceivable<br />

that a term like "Muisca duck", hard to comprehend for the average<br />

European of those times, would be corrupted into something more familiar.<br />

The Miskito Indians of the Miskito Coast in Nicaragua and Honduras relied<br />

heavily on this domestic species. The ducks may have been named after<br />

this region.


Il giaguaro (Panthera onca Linnaeus, 1758) è il più grosso felino americano; fra i felini solo il leone e la tigre sono ancora più pesanti.<br />

Il nome «giaguaro» deriva dal nome attribuito a questo animale dagli indios del Sudamerica: «Yaguar» o «Yaguara» ("colui che uccide con<br />

un balzo"); ma in tutta l'area di lingua spagnola in cui vive il giaguaro è chiamato «el tigre». Non si tratta di una tradizione errata come può<br />

sembrare: infatti, pur venendo spesso confuso con il leopardo dai non-esperti, il giaguaro per forma e ruolo ecologico è molto più simile<br />

alla tigre, tanto da esserne considerato l'equivalente americano.


Giaguaro peruviano, detto Otorongo


Guerriero Giaguaro Azteco (tlahuahuanque) impegnato nel combattimento sacrificale<br />

detto tlahuahuanaliztli o tlauauaniliztli in nahuatl. A sinistra la vittima sacrificale (dal Codice<br />

Magliabechiano)


Anaconda<br />

Vive in un'area che comprende buona parte delle regioni tropicali ed equatoriali del Sud America a est della<br />

cordigliera delle Ande, in particolar modo nei bacini del Rio delle Amazzoni e del fiume Orinoco.


Il caimano dagli occhiali o caimano comune (Caiman crocodilus Linnaeus, 1758) è un alligatoride lungo dai 2 ai<br />

2,5 metri che vive nell'America centrale e nel Sud America settentrionale. È color oliva spento e ha un rilievo<br />

osseo davanti agli occhi.


Il Bisonte americano (Bison bison (Linnaeus, 1758)) è un mammifero artiodattilo della famiglia dei Bovidi. Di<br />

questo mammifero vivono in Nord America due sottospecie: B. b. bison, il bisonte delle pianure centrali, e B. b.<br />

athabascae, il bisonte delle foreste dell'Alaska e del Canada nordoccidentale.


I Dasipodidi (Dasypodidae Gray, 1821) sono una famiglia di mammiferi xenartri noti con il nome comune di<br />

armadilli. Tutte le specie sono originarie delle Americhe, dove vivono in diversi ambienti.


La Cavia domestica (Cavia porcellus Pallas, 1776), o porcellino d'India (a volte anche detto maialino d'India), è un piccolo roditore<br />

originario dell'America del Sud. Usata inizialmente da Robert Koch e altri batteriologi, la cavia è diventata un sinonimo di "animale di<br />

laboratorio".<br />

La cavia è stata addomesticata per la prima volta intorno al 2000 a.C. da pastori delle tribù che vivevano sulle Ande, più o meno negli<br />

odierni Ecuador, Perù e Bolivia. Per le popolazioni locali, che si nutrivano prevalentemente di vegetali, essa rappresentava da una parte un<br />

animale domestico e dall'altra una fonte di cibo. Inoltre, si riteneva che le cavie avessero il potere di fare uscire gli spiriti maligni dalle<br />

persone malate, nel corso di tradizionali rituali di guarigione. A tutt'oggi l'allevamento delle cavie è molto diffuso tra le popolazioni rurali dei<br />

Paesi andini. Le cavie furono chiamate quwi nella lingua Quechua e cuy (plurale cuyes) in spagnolo. I commercianti olandesi e inglesi<br />

portarono le cavie in Europa, dove divennero rapidamente popolari come animali domestici esotici. L'origine del nome porcellino non è<br />

molto chiara. Alcuni credono che ciò sia dovuto al verso che le cavie fanno, molto simile a quello dei maiali. Si può anche pensare che il<br />

nome derivi dalla loro costituzione fisica, che li rende simili a dei maiali in miniatura: una testa molto grande in relazione al resto del corpo,<br />

un collo robusto, l'assenza di coda e la grande voracità. Nell'America Latina vengono anche serviti come pietanza, proprio come avviene<br />

per i maiali. Indipendentemente dall'effettiva somiglianza ad un piccolo maiale, tale suggestione mostra i suoi effetti nei termini<br />

comunemente usati in numerose lingue europee.<br />

Come per l'italiano porcellino d'India, infatti, esistono corrispettivi in francese (Cochon d'Inde, che letteralmente significa maiale d'India),<br />

portoghese (porquinho da Índia) e greco (indika xoiridia o ινδικά χοιρίδια). Si può supporre che l'indicazione geografica contenuta nel nome<br />

sia correlata all'errata idea che le regioni da cui gli animali provenissero appartenessero all'India e non ad un continente completamente<br />

diverso. Anche la nomenclatura binomiale della specie più comune di cavia richiama alla mente il maiale, dal momento che porcellus, in<br />

latino, significa piccolo maiale.<br />

La cavia in lingua tedesca è Meerschweinchen (lett. piccolo maiale di mare), probabilmente legato all'utilizzo dei marinai come fonte di<br />

carne fresca durante i viaggi dal Nuovo Mondo. In russo e in polacco si usano termini equivalenti, rispettivamente "morskaya svinka"<br />

(Морская свинка) e "świnka morska" (che significano, ancora una volta, piccoli maiali di mare). Nei paesi scandinavi si usa il termine<br />

marsvin, combinazione del latino mare e del germanico svin (maiale).<br />

Il termine comune nella lingua inglese è Guinea pig (letteralmente, maiale della Guinea), ripreso anche dal corrispettivo in lingua olandese<br />

guinees biggetje. L'origine del termine Guinea non è facilmente spiegabile. Una teoria lo associa ad una ipotetica tappa del processo di<br />

trasporto degli animali presso l'attuale Guinea, in Africa. Altri ritengono che non sia altro che la storpiatura della Guiana, presunta area di<br />

origine delle cavie..<br />

Tra le lingue europee, in ogni caso, figurano anche termini che non si richiamano al maiale: in spagnolo si usa ad esempio il termine<br />

conejillo de Indias, letteralmente coniglietto delle Indie.


Cincillà (Chinchilla), roditori originari del Sud America.


OPOSSUM<br />

I Didelfidi (Didelphidae)<br />

sono una famiglia di<br />

mammiferi marsupiali<br />

americani; unici<br />

rappresentanti dell'ordine<br />

dei Didelfimorfi. Le specie,<br />

arboricole e con coda<br />

prensile, sono chiamate<br />

comunemente opossum, o<br />

anche sariga.<br />

Ne esistono 75 specie,<br />

distribuite in 11 generi. Le<br />

più comuni sono l'opossum<br />

comune e l'opossum della<br />

Virginia. Sono animali<br />

domestici molto esigenti in<br />

quanto soffrono a essere<br />

tenuti in piccoli spazi ma<br />

soprattutto patiscono la<br />

luce.<br />

Possiamo trovare gli<br />

opossum nella zona<br />

compresa tra il sud degli<br />

Stati Uniti ed il nord<br />

dell'Argentina.<br />

La maggior parte degli<br />

opossum sono arboricoli.<br />

Possiedono piedi prensili<br />

provvisti di robuste unghie.<br />

L'opossum è un predatore<br />

di rettili, uccelli e piccoli<br />

mammiferi. Si ciba tuttavia<br />

anche di foglie e frutti. Le<br />

femmine hanno un periodo<br />

di gestazione lungo dagli 8<br />

ai 14 giorni.<br />

Successivamente i cuccioli<br />

vivono per più di 100 giorni<br />

nel marsupio della madre.


OPOSSUM


Tipo di organismo<br />

Piante<br />

domestiche<br />

Dal Vecchio Mondo al Nuovo Mondo<br />

•mandorla<br />

•vite euroasiatica<br />

•ulivo<br />

•mela<br />

•albicocca<br />

•carciofo<br />

•asparagi<br />

•banana<br />

•orzo<br />

•barbabietola<br />

•pepe nero<br />

•cavolo<br />

•cantalupo<br />

•carota<br />

•caffè<br />

•agrumi (arancia, limone, etc.)<br />

•cetriolo<br />

•melanzana<br />

•lino<br />

•aglio<br />

•canapa<br />

•kiwi<br />

•noce di cola<br />

•lattuga<br />

•mango<br />

•miglio<br />

•avena<br />

•gombo<br />

•oliva<br />

•cipolla<br />

•oppio<br />

•pesca<br />

•pisello<br />

•pera<br />

•pistacchio<br />

•ravanello<br />

•rabarbaro<br />

•riso<br />

•segale<br />

•soia<br />

•canna da zucchero<br />

•taro<br />

•tè<br />

•rapa<br />

•grano<br />

•noce (inglese)<br />

•anguria<br />

Dal Nuovo Mondo al Vecchio Mondo<br />

•amaranto (come grano)<br />

•avocado<br />

•fagiolo comune (pinto, lima, kidney, etc.)<br />

•lampone nero<br />

•peperone e peperoncino<br />

•mirtillo<br />

•anacardio<br />

•Chia (Salvia hispanica)<br />

•chicle (gomma naturale ricavata dal Manilkara chicle)<br />

•Chirimoya (Annona cherimola)<br />

•girasole<br />

•mirtillo palustre (specie mirtilli rossi di grandi dimensioni, o uva<br />

ursina)<br />

•coca<br />

•cacao<br />

•cotone (specie fibre lunghe)<br />

•guiava (comune)<br />

•mirtillo<br />

•Jicama (o Papata messicana)<br />

•mais<br />

•manioca (cassava, tapioca, yuca)<br />

•papaya<br />

•arachide<br />

•pecan<br />

•ananas<br />

•patata<br />

•zucca<br />

•quinoa<br />

•gomma<br />

•squash<br />

•fragola (varietà commerciali)<br />

•topinambur<br />

•patata americana<br />

•tabacco<br />

•pomodoro<br />

•vaniglia<br />

•zucchini<br />

•albero della gomma


Dall’Europa alle Americhe<br />

1. Arancio (Rutaceae); 2. Mela (Malus domestica); 3. Banana (Musa); 4. Mango<br />

(Mangifera); 5. Riso (Oryza sativa); 6. Frumento (Triticum spp.); 7. Caffè (Coffea); 8.<br />

Cipolla (Allium)


Il gombo (Abelmoschus esculentus L.) è una specie appartenente alle Malvacee ed affine alla specie Abelmoschus<br />

moschatus e agli ibischi. È una pianta originaria dell'Africa tropicale e coltivata nei paesi caldi, è conosciuta anche come<br />

ocra od okra (in altre lingue gombeau, gombault, okro) e anche bāmiyā in Egitto ed in Etiopia.<br />

Fornisce frutti che sono consumati in Africa ma anche in India, mentre la sua radice ricca di mucillaggini è usata come<br />

emolliente in sostituzione dell'altea. I fusti del gombo e di molte malvacee sono macerati e lavorati per fornire una fibra<br />

tessile nota come fibra di gombo.<br />

Il gombo è assai usato nella cucina cajun. È presente anche nella cucina greca (bamies), bosniaca (bamije), in quella<br />

albanese (bamje), nella cucina brasiliana (quiabo), nella turca (bamya) ed in quella rumena (bame).


Il melone di Cantalupo è una varietà di melone del gruppo cantaluopensis o cantalupio, di media<br />

grandezza, superficia liscia, polpa giallo-arancio, chiamato così perché originariamente portato da<br />

missionari asiatici al castello pontificio di Cantalupo, sui colli di Roma.<br />

The cantaloupe originated in India and Africa. Cantaloupes were originally cultivated by the Egyptians<br />

and later the Greeks and Romans. Cantaloupes were first introduced to North America by Christopher<br />

Columbus on his second voyage to the New World in 1494.


Colocasia esculenta. Taro è il nome volgare di origine polinesiana della pianta Colocasia esculenta. Ha dei tuberi<br />

simili alla patata, ed è comunemente coltivata per ricavare, dai suoi rizomi, farina e amido.<br />

La taro rappresenta l'ingrediente base nell'alimentazione di molte popolazioni dell'Oceania, dell'Africa (cocoyam) e<br />

delle isole Hawaii (poï). Si può bollire o grigliare a fette.<br />

La sua coltivazione è diffusa in zone tropicali di tutti i continenti e rappresenta una base alimentare di particolare<br />

importanza per popolazioni sudamericane, africane o asiatiche. Tra i principali produttori si annoverano, nell'ordine, la<br />

Nigeria, il Ghana, la Cina, la Cambogia, la Costa d'Avorio e la Papua Nuova Guinea.<br />

Rimarcabili, in rapporto alle dimensioni delle superfici coltivabili, sono inoltre le produzioni delle isole del Pacifico,<br />

come le Hawaii e le Fiji, dove la taro ha costituito una pianta essenziale per la dieta degli indigeni per secoli.


Dall’America in Europa (e nel mondo)<br />

Dall’alto a sinistra:<br />

1. Mais (Zea mays) 2. Pomodoro (Solanum lycopersicum) 3. Patata (Solanum tuberosum)<br />

4. Vaniglia (Vanilla) 5. Albero della gomma (Hevea brasiliensis) 6. Cacao (Theobroma<br />

cacao) 7. Tabacco (Nicotiana rustica)


PATATA DOLCE, BATATA o PATATA AMERICANA : ha la forma e la consistenza simile alla patata, ma è dolce e con<br />

la polpa giallognola o arancio. Probabilmente è originaria del Centro America, Perù e Messico. Una curiosità: secondo la<br />

FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Alimentazione e l'Agricoltura) nel 2005 la Cina è stata il principale produttore<br />

mondiale di patata dolce.<br />

YUCCA : anche la sua origine è discussa. Alcuni sostengono che proviene dalla zona dello Yucatan (da cui deriva il termine<br />

yucca) in Messico. Altri discutono che il suo nome, sebbene sia maya, proviene da "joo'ka" che vuol dire dissotterrare una<br />

radice.<br />

PEPERONE: ci sono numerose varietà sia piccanti che non. Variano anche le dimensioni ed i colori (verde, rosso, giallo e<br />

arancio). Si pensa che sia originario del Messico e che fu introdotto in Europa da Cristoforo Colombo.<br />

ANANAS : è originaria dell'America del Sud, in particolare del sud del Brasile. Il nome ananas deriva dal guaraní, la lingua<br />

degli indigeni originari del Paraguay, del sud del Brasile e del nord-est dell'Argentina. Il nome piña è stato adottato in altri<br />

paesi per la sua somiglianza con le pigne dei pini.<br />

AVOCADO: è originario dell'America Centrale e del Messico dove gli è stato dato il nome nahuatl di<br />

ahuacatl.<br />

PAPAYA: E' considerata di origine americano, dell'America tropicale e, secondo alcuni autori, specificamente del<br />

Centroamerica (tra il Messico e il Costa Rica). Si è' sviluppata dopo nelle zone tropicali e subtropicali di tutto il mondo.


La Patata messicana (Pachyrhizus erosus, (L.) Urban) o Jícama (in spagnolo) o Xicama (in nahauatl) è una pianta rampicante<br />

messicana della famiglia delle Fabaceae, conosciuta soprattutto per i suoi tuberi commestibili.<br />

Il sapore è dolce, assomiglia quello delle mele, di norma le radici sono mangiate crude, con sale, succo di limone o di limetta,<br />

insaporito spesso con peperoncino in polvere.<br />

La radice può anche essere cotta in zuppe, può essere tagliata a pezzetti, usata come componenti di macedonie o guarnita con<br />

salse, in alternativa alle patatine fritte.<br />

Tutto il resto della pianta è fortemente tossico per la presenza di una tossina, il rotenone, che è utilizzato come veleno per<br />

insetti e pesci.<br />

La pianta si è diffusa in Cina, e nel Sud-est asiatico. Nelle Filippine la Jicama è detta singkamas.<br />

In Indonesia, Jicama è conosciuta come bengkuang, ma la pianta è conosciuta solo in Giava e Sumatra, è usata soprattutto<br />

fresca nella "rujak" (una specie di insalata di frutta). La città di Padang nella Sumatra occidentale è detta "la città del<br />

bengkuang". La gente della regione deve pensare che la jicama sia una pianta originaria di Padang. A Padang infatti la pianta è<br />

coltivata dappertutto ed inizia far parte della locale cultura agricola.


La guaiava, o guava, (spesso chiamata con il nome spagnolo Guayaba) è il frutto commestibile prodotto dall'omonima<br />

pianta (Psidium guajava L.). Il luogo di origine della guava non è certo, ma si ritiene essere un'area compresa tra il Messico<br />

meridionale e l'America Centrale. È stata poi diffusa dall'uomo, dagli uccelli e da altri animali in tutte le aree temperato-calde<br />

dell'America tropicale e nelle Indie Occidentali (dal XVI secolo. La guava era già nota agli Aztechi, che la chiamavano<br />

Xalxocotl (prugna di sabbia); in tempi successivi le prime notizie storiche risalgono ai primi decenni del 1500 ad opera di<br />

Hernandez de Oviedo


La quinoa (in spagnolo quínoa o quínua) (Chenopodium quinoa Willd.) è una pianta erbacea annuale della famiglia delle<br />

Chenopodiaceae, come gli spinaci o la barbabietola. Per il suo buon apporto proteico costituisce l'alimento base per le<br />

popolazioni andine. Gli Inca chiamano la quinoa «chisiya mama» che in quechua vuol dire «madre di tutti i semi».<br />

La quinoa, già venerata dagli Inca come pianta sacra, viene coltivata da oltre 5000 anni sugli altipiani pietrosi delle Ande ad<br />

altitudini comprese tra 3800 e 4200 metri. È una pianta resistente che non richiede particolari trattamenti. Produce una spiga<br />

ricca di semi rotondi, simili a quelli del miglio. Le migliori varietà crescono nei territori salmastri del Salar, nelle zone di Oruro e<br />

Potosí (Quínoa real).<br />

Ad effetto del ruolo quasi sacro che la quinoa aveva per le popolazioni andine, all'epoca della conquista spagnola si ebbe<br />

l'ovvio conflitto con la cultura cattolica che considera invece sacro il pane di frumento, e quindi il grano. La coltivazione della<br />

quinoa venne quindi combattuta e scoraggiata; solo in un secondo tempo, e fino ad oggi, apparve evidente che la quinoa risulta<br />

maggiormente adatta all'ambiente andino di quanto lo sia il grano. Per contro la specifica compatibilità e l'adattamento secolare<br />

della quinoa a quell'ambiente la rende poco compatibile con altri ambienti; (la rusticità sopra descritta può fuorviare), per cui la<br />

coltivazione di un prodotto altrimenti estremamente ricco è difficilmente esportabile in altri climi.


L'Albero della gomma (Hevea brasiliensis (Willd. ex A. Juss.) Müll.Arg.), è una pianta appartenente alla famiglia delle<br />

Euphorbiaceae ed è il membro più importante del genere Hevea.<br />

Ha un'enorme importanza economica grazie al lattice che può essere raccolto da incisioni praticate sulla corteccia ed è la<br />

fonte primaria per la gomma naturale. L'albero comincia ad essere sfruttato a partire dai 5-6 anni d'età: vengono praticate<br />

delle incisioni ortogonali ai canali laticiferi in modo da non danneggiare la crescita dell'albero. Piante adulte forniscono<br />

una produzione maggiore. Il lattice viene raccolto in piccole ciotole legate al tronco.<br />

L'albero della gomma è nativo<br />

dell'Amazzonia. Nel XIX secolo il suo<br />

sfruttamento commerciale, legato alla<br />

scoperta, nel 1839, della metodica della<br />

vulcanizzazione, fece la fortuna delle città<br />

brasiliane di Manaus e Belém.<br />

A partire dal 1873 si susseguirono diversi<br />

tentativi di far crescere questa pianta al di<br />

fuori del Brasile. Dopo vari tentativi i botanici<br />

dei Royal Botanic Gardens di Kew riuscirono<br />

a far germinare una dozzina di semi. I<br />

germogli furono trasferiti in India per la<br />

coltivazione ma non attecchirono. Un<br />

secondo tentativo fu fatto con oltre 70.000<br />

semi inviati a Kew nel 1875. Circa il 4% di<br />

essi germinarono, e nel 1876 circa 2000<br />

germogli furono spediti a Ceylon e a<br />

Singapore. Questa volta il tentativo ebbe<br />

successo e l'albero della gomma ben presto<br />

si diffuse nella maggior parte delle colonie<br />

britanniche dell'Asia.<br />

Al giorno d'oggi piantagioni di Hevea<br />

brasiliensis sono presenti nel Sud-est<br />

asiatico e anche in alcuni paesi dell'Africa<br />

tropicale. I tentativi di coltivare la pianta in<br />

altre zone del Sud America non hanno dato<br />

risultati soddisfacenti.


Il pecan (Carya illinoensis) è un albero della famiglia delle Juglandaceae coltivato principalmente nell'America del nord per la<br />

raccolta dei suoi frutti, le noci pecan.<br />

La specie è originaria della parte orientale degli Stati Uniti (sud degli stati dell'Illinois e dell'Iowa, del Kansas, del Missouri,<br />

dell'Oklahoma, del Texas e della Virginia. S'è però adattata e diffusa in tutta la parte settentrionale del continente americano.<br />

I grandi stati produttori sono: Texas, Georgia, Alabama, <strong>Lo</strong>uisiana e Oklahoma. Inoltre la pianta viene anche coltivata in<br />

Brasile, Australia e Israele.<br />

Nel 1906, il Governatore del Texas, James Stephen Hogg, ha eletto il Pecan quale albero simbolo dello stato.


PATATA: sembra che la patata abbia le sue origini nella Cordigliera delle Ande peruviane, in particolare nel bacino del lago<br />

Titicaca. E' un tubero che si è diffuso rapidamente attraverso gli stessi popoli indigeni. Gli archeologi affermano che la sua<br />

origine risale a circa 13.000 anni fa. Quando gli europei arrivarono in America la coltivazione della patata era già diffusa. Il suo<br />

facile adattamento ai nuovi terreni fu la soluzione al problema della fame in molti popoli europei che la coltivarono<br />

immediatamente. Ci sono diverse varietà: viola, gialla e bianca, tra le altre.


Il Topinambur (anche detto Carciofo di Gerusalemme) è una pianta perenne di origine americana, appartenente alla<br />

Famiglia delle Compositae. I tuberi sono meno nutritivi di quelli della patata e si conservano male una volta estratti da terra<br />

(contengono inulina anziché amido).<br />

The Jerusalem artichoke (Helianthus tuberosus), also called the sunroot, sunchoke, earth apple or topinambour, is a<br />

species of sunflower native to eastern North America, and found from Eastern Canada and Maine west to North Dakota,<br />

and south to northern Florida and Texas. It is also cultivated widely across the temperate zone for its tuber, which is used<br />

as a root vegetable.


Ipomoea batatas<br />

La patata dolce, conosciuta anche come patata americana e meno comunemente come batata (Ipomoea batatas L.) è una<br />

specie appartenente alla famiglia delle Convolvulaceae, coltivata nelle regioni tropicali per i suoi rizotuberi commestibili,<br />

dolci e ricchi di amido.<br />

Nonostante il nome diffuso di patata dolce o americana, il rapporto con le patate comuni è minimo, in quanto queste ultime<br />

appartengono alla famiglia delle Solanaceae, come i pomodori.<br />

La specie è nativa delle aree tropicali delle Americhe dove la coltivazione era già praticata 5000 anni fa. Si diffuse in modo<br />

rapido in tutta la regione, Caraibi inclusi. Importata dopo la colonizzazione delle Americhe, si diffuse in Europa e anche in<br />

Asia, dove la sua presenza in Cina era documentata già nel tardo XVI secolo. Le patate dolci erano conosciute anche in<br />

Polinesia prima delle esplorazioni da occidente. Come esattamente la specie sia arrivata sino in Oceania è l'oggetto di un<br />

vivace dibattito che coinvolge osservazioni archeologiche, linguistiche e genetiche.


L'Annona cherimola è una pianta originaria degli altipiani andini di Perù, Ecuador, Colombia e Bolivia, oggi diffusa anche<br />

in Cile, California,Florida, Africa del sud e in vari paesi del Mediterraneo. Il suo frutto nella terra d' origine è chiamato<br />

"chirimuya", da cui la traslitterazione italiana cirimoia, ma è volgarmente nota anche con l' appellattivo inglese<br />

"cherimoya" o erroneamente "anona" (che però indica anche il frutto di tutte le specie di genere Anona).


Chicle = gomma naturale ricavata dal Manilkara chicle, una<br />

pianta tropicale sempreverde originaria del Centro America. Il<br />

nome viene da tziktli, parola usata nella lingua Nahuatl per<br />

indicare la gomma, e può essere tradotto come "cosa<br />

appiccicosa". Era ben conosciuto dagli Aztechi e dai Maya, e i<br />

primi esploratori Europei lo apprezzarono per il suo sapore<br />

delicato e per l'alto contenuto di zuccheri.<br />

La Manilkara zapota (L.), è una pianta della famiglia delle<br />

Sapotacee, che è coltivata per il chicle (ingrediente tradizionale<br />

del chewing-gum), estratto dal suo fusto, e per il suo frutto. Nelle<br />

terre di origine è nota come "zapotilla" (da cui deriva il nome<br />

italiano di sapodilla o sapotiglia), "chicozapote", "zapote chico",<br />

"korob", "muy", "muyozapot", nonché, in modo più generico, come<br />

"níspero" (che propriamente indica in spagnolo la nespola).<br />

La Manilkara sapota è un fruttifero originario dell'America centrale<br />

(particolarmente Messico, Guatemala e Indie Occidentali) dove è<br />

spontaneo nelle foreste. I coloni spagnoli ne portarono una varietà<br />

a Manila, da cui il nome Manilkara. Dalle Filippine, il frutto divenne<br />

popolare in tutto il Sud-Est asiatico.


ZUCCA: secondo alcuni l'origine della zucca è in Perù, per altri in Mesoamerica (Messico e Centro America). Altri ancora in<br />

America del Nord. Per gli abitanti originari dell'America Latina ha avuto un ruolo importante nella dieta, insieme ai fagioli e al<br />

mais.<br />

La grande famiglia delle Cucurbitacee comprende circa 120 generi differenti e più di 900 specie. La maggior parte di queste<br />

varietà provengono dalle Americhe, ma anche da Asia ed Africa.<br />

Si crede abbia avuto origine in Nord America. Semi di piante della famiglia sono stati rinvenuti in Messico sin dal 7.000-5.500<br />

a.C.


Squashes generally refer to four species of the genus Cucurbita, also<br />

called marrows depending on variety or the nationality of the speaker.<br />

These species include C. maxima (hubbard squash, buttercup squash,<br />

some varieties of prize pumpkins, such as Big Max), C. mixta (cushaw<br />

squash), C. moschata (butternut squash), and C. pepo (most pumpkins,<br />

acorn squash, summer squash, zucchini).[1] In North America, squash is<br />

loosely grouped into summer squash or winter squash, depending on<br />

whether they are harvested as immature fruit (summer squash) or mature<br />

fruit (autumn squash or winter squash). Gourds are from the same family<br />

as squashes. Well known types of squash include the pumpkin and<br />

zucchini. Giant squash are derived from Cucurbita maxima and are<br />

routinely grown to weights nearing those of giant pumpkins. For more<br />

details, refer to list of gourds and squashes.<br />

Squash (Cucurbita pepo )


An assortment of winter squashes, such as Turban, Sweet Dumpling, Carnival, Gold Acorn, Delicata, Buttercup, Golden<br />

Nugget etc.


The zucchini or courgette is a summer squash which often grows to nearly a meter in length, but which is usually harvested at half that size or less.<br />

It is a hybrid of the cucumber. Along with certain other squashes, it belongs to the species Cucurbita pepo. Zucchini can be dark or light green. A<br />

related hybrid, the golden zucchini is a deep yellow or orange color. In a culinary context, the zucchini is treated as a vegetable, which means it is<br />

usually cooked and presented as a savory dish or accompaniment. Botanically, however, the zucchini is an immature fruit, being the swollen ovary of<br />

the zucchini flower.<br />

Zucchini, like all squash, has its ancestry in the Americas. However, the varieties of squash typically called "zucchini" were developed in Italy, many<br />

generations after their introduction from the "New World".


MAIS: Usata come elemento base nell'alimentazione dei Maya e degli Aztechi del Messico e del Centro America e degli Inca<br />

che dominarono lungo la Cordigliera delle Ande, molti pensano che ha realmente la sua origine in Mesoamerica...<br />

Il mais selvatico si conosce da 7.000 anni ma si trattava di una pianta la cui pannocchia (mazurca, choclo, elote o jojote in<br />

spagnolo) era piccola appena 3 o 4 cm di lunghezza, con solo 8 o 10 chicchi. La selezione delle piante migliori da parte degli<br />

agricoltori ha fatto sì che il mais raggiungesse le dimensioni attuali. Ci sono molte varietà: bianco, giallo e viola. Alcune con<br />

chicchi giganti, altri minuscoli. Il "pop corn", reso popolare dagli statunitensi con questa parola, ma conosciuto in<br />

Latinoamerica con diversi termini come palomitas de maíz, pochoclo, crispetas, poporopo, rosetas de maíz, pipocas,<br />

pochoclo, pororó , già si mangiava in epoche preincaiche, poiché sono stati trovati in alcune sepolture. Gli Aztechi li vendevano<br />

per la strada e li chiamavano momochli in lingua nahuatl (l'idioma degli Aztechi)..


POMODORO : anche l'origine del pomodoro è discussa. Il nome sicuramente deriva dalla parola nahuatl "tomatl", per<br />

questo si pensa che la pianta sia originaria del Messico. Tuttavia alcuni credono che la sua origine si trovi nella parte<br />

meridionale delle Ande, dalla Colombia al Cile. I conquistatori non la introdussero subito nella loro dieta perché la<br />

considerarono velenosa. Solo dopo molto tempo la inserirono nella loro cucina. Alcune varietà che arrivarono in Europa<br />

erano gialle e per questo, sembra, gli italiani li battezzarono "pomi d'oro" (mela d'oro, pomodoro).


FAGIOLI : gli antichi abitanti dell'America sapevano come mantenere l'equilibrio ecologico del loro ambiente anche se non<br />

conoscevano il significato di nessuna di queste parole. La coltivazione dei fagioli, in effetti, si alternava nello stesso campo<br />

con quella del mais, perché questo assorbe il nitrogeno della terra e i fagioli lo forniscono, permettendo così il riposo dei<br />

campi. Inoltre i fagioli erano una fonte primaria di proteine. Per alcune culture indigene latinoamericane erano così importanti<br />

che si diceva che il fagiolo aveva un'anima e la si chiamava "il signore del fagiolo". Esistono numerose varietà<br />

In seguito alla scoperta dell’America arrivò da quel continente il “phaseolus vulgaris”. Ebbero una diffusione relativamente<br />

rapida grazie al fatto che la gente era già abituata alle fave, ai lupini, e appunto al “fagiolo dorico”. Dopo che Colombo li scoprì<br />

a Cuba nel suo secondo viaggio, già nei primi anni del ‘500 li troviamo in Veneto, Francia e Germania sud occidentale. I primi<br />

documenti attestanti la presenza del fagiolo americano risalgono al 1528, quando il canonico Pietro Valeriano ne piantò alcuni<br />

semi ricevuti da papa Clemente VII. All’inizio i “fagioli di Lima” o “cannellini” o “fagioli di Spagna, furono considerati una merce<br />

preziosa da scambiarsi come dono fra i potenti. Alcuni testi li elencano nei regali di nozze offerti da Alessandro de' Medici alla<br />

sorella Caterina<br />

Ad ulteriore testimonianza di quanto fossero preziosi e ricercati i fagioli, ricordiamo la loro presenza nei ricettari del<br />

Messisbugo (assieme ai fagiolini), dello Scappi, e nel menù di un banchetto papale offerto nel 1570.<br />

Le specie di fagioli americani sono il fagiolo di Lima e il fagiolo comune. Di quest'ultimo l'uomo ha creato centinaia di varietà.<br />

Oggigiorno in certi mercati messicani si possono acquistare fino a 25 varietà diverse di fagioli. Dal Messico del sud ovest la<br />

pianta dei fagiolo si è diffusa gradatamente a nord e a sud. In Perù si affermò il cosiddetto fagiolo di Lima che fu<br />

addomesticato molto più tardi del fagiolo comune. Il fagiolo di Lima fu introdotto in Africa con la tratta degli schiavi. Gli<br />

Spagnoli lo portarono pure nelle Filippine, in Asia e in Brasile.


Il peperone (Capsicum annum) è un ortaggio appartenente alla famiglia delle Solanaceae, originario della zona americana<br />

meridionale (Brasile) e importato in Europa solo verso la metà del 1500. La pianta del peperone è un arbusto dalle foglie verdi<br />

e lucide; ha anche singoli fiori bianchi.


Peperoncino<br />

Capsicum L. è un genere di piante della famiglia delle Solanaceae, originario delle<br />

Americhe ma attualmente coltivato in tutto il mondo. Oltre al noto peperone, il<br />

genere comprende varie specie di peperoncini piccanti, ornamentali e dolci.<br />

Secondo alcuni, il nome latino "Capsicum" deriva da "capsa", che significa<br />

scatola, e deve il nome alla particolare forma del frutto (una bacca) che ricorda<br />

proprio una scatola con dentro i semi. Altri invece lo fanno derivare dal greco<br />

kapto che significa mordere, con evidente riferimento al piccante che "morde" la<br />

lingua quando si mangia.<br />

Il peperoncino piccante era usato come alimento fin da tempi antichissimi. Dalla<br />

testimonianza di reperti archeologici sappiamo che già nel 5500 a.C. era<br />

conosciuto in Messico, presente in quelle zone come pianta coltivata, ed era la<br />

sola spezia usata dagli indiani del Perù e del Messico. In Europa il peperoncino<br />

giunse grazie a Cristoforo Colombo che lo portò dalle Americhe col suo secondo<br />

viaggio, nel 1493. Poiché Colombo sbarcò in un'isola caraibica, molto<br />

probabilmente la specie da lui incontrata fu il Capsicum chinense, delle varietà<br />

Scotch Bonnet o Habanero, le più diffuse nelle isole.<br />

Introdotto quindi in Europa dagli spagnoli, ebbe un immediato successo, ma i<br />

guadagni che la Spagna si aspettava dal commercio di tale frutto (come accadeva<br />

con altre spezie orientali) furono deludenti, poiché il peperoncino si acclimatò<br />

benissimo nel vecchio continente, diffondendosi in tutte le regioni meridionali, in<br />

Africa ed in Asia, e venne così adottato come spezia anche da quella parte della<br />

popolazione che non poteva permettersi l'acquisto di cannella, noce moscata, ecc.<br />

Il frutto venne chiamato peperone a causa della somiglianza nel gusto (sebbene<br />

non nell'aspetto), con il pepe, Piper in latino. Il nome con il quale era chiamato nel<br />

nuovo mondo in lingua nahuatl era chilli o xilli (leggi cìlli o scìlli), e tale è rimasto<br />

sostanzialmente nello spagnolo del Messico e dell'America Centrale (chile) e nella<br />

lingua inglese (chili) e pure in alcuni nomi di varietà, come il chiltepin (C. annuum<br />

var. aviculare), derivato dal nauhatl chilitecpintl o peperoncino pulce, per le<br />

dimensioni e il gusto ferocemente piccante. Il chiltepin è ritenuto l'antenato di tutte<br />

le altre specie. Nei paesi del Sudamerica di lingua spagnola e portoghese, invece,<br />

viene comunemente chiamato ají, modernizzazione dell'antillano asci. La parola in<br />

lingua quechua per i peperoncini è uchu, come nel nome usato per il rocoto dagli<br />

Inca: rócot uchu, peperoncino spesso, polposo.


Agave: Comprende numerose specie originarie delle zone desertiche dell'America. La maggior parte di queste piante<br />

fioriscono una sola volta, tra i 10 e i 30 anni di vita. La tradizione della sua coltivazione è molto antica in Messico, e veniva<br />

venerata come pianta regalo degli Dei per tutto quello che era possibile ottenere da questa. La pianta dell’Agave, oltre ad<br />

essere apprezzata come pianta ornamentale, ha molteplici altri usi: dalle foglie, ricche di fibre, si ottiene una fibra tessile che<br />

serve per produrre corde e reti, gli aculei vengono utilizzati come aghi da cucire, dalle radici si ricavano medicamenti, mentre<br />

la polpa è materia prima per i cosmetici. Dall’Agave vengono inoltre prodotte alcune bevande famose come il Pulque, il<br />

Mezcal e la Tequila. (D. T.)


Opuntia (Fico d'India): Il genere Opuntia comprende più di 300 specie originarie delle zone desertiche dell'America ed in<br />

particolare del Messico.Sono piante perenni spinose. I fiori sono molto appariscenti e di diversi colori. I frutti sono delle<br />

bacche commestibili (il classico Fico d'India) e anche le pale più giovani vengono consumate sia come legumi sia per<br />

preparare altre pietanze. Dalla polpa, trattata in diverse maniere, si ottengono diversi prodotti: il "Queso de tuna" (mostarda), il<br />

"Colonche" (bevanda alcolica), la "melchoca" (marmellata) e il "Miel de tuna" (sciroppo).


COCA: Erythroxylon coca, fam. Erythroxylaceae; è un arbusto o piccolo albero<br />

del sud America, che cresce in altura. Le foglie essiccate costituiscono la droga,<br />

che nelle località andine rappresenta un droga sociale. La masticazione della<br />

droga determina uno stato di eccitazione e un'anestesia della parete della<br />

mucosa orale, esofagea e gastrica, che riduce il senso della fame e della sete.<br />

Dalle foglie di coca si estrae il principio attivo, la cocaina, un alcaloide con<br />

proprietà anestetiche; fino a pochi decenni fa veniva impiegato dai dentisti come<br />

anestetico locale. Nella nostra cultura la coca ha assunto l'aspetto di droga<br />

d'abuso a scopo stupefacente.


La pianta di coca ha una stretta relazione culturale-religiosa con le popolazioni andine da tempo immemorabile. Sono state ritrovate decorazioni<br />

raffiguranti la foglia di coca nelle ceramiche pre-incaiche, risalenti addirittura a 5000 anni prima di Cristo. Da sempre la coca è stata considerata<br />

una pianta sacra, capace di realizzare una connessione tra le divinità extraterrene e le popolazioni che abitavano gli altipiani della catena andina,<br />

dove attualmente si estendono parte della Colombia, Ecuador, Perù, Bolivia e nord del Cile. Dovuta alla sua caratteristica religiosa e sacra, la<br />

pianta di coca rappresentava un simbolo di prestigio tra le comunità indigene, considerata oggetto di <strong>scambio</strong> pregiato, fino ad essere considerata<br />

una “quasi moneta” durante l’Impero Inca.<br />

Quando i conquistadores arrivarono nei territori dominati dalla civiltà incaica, scoprirono in breve tempo le virtù e le potenzialità di tale pianta, senza<br />

però vederne di buon occhio il consumo da parte della popolazione locale. Questo rifiuto da parte degli spagnoli verso il riconoscimento di una<br />

tradizione ancestrale, ha portato progressivamente ad un divieto assoluto del consumo di questa pianta sacra, affiancato dalla posizione<br />

intransigente della Chiesa, che addirittura la classificò come una pianta “demoniaca”; determinandone il declino. I rituali ancestrali, direttamente<br />

riconducibili all’uso delle foglie di coca, venivano messi al bando dagli emissari del Papa, che cercavano di estirpare le antiche credenze, a favore<br />

della cristianizzazione di tutto il territorio Inca. Tale processo non fu di facile esecuzione, in quanto la pianta non era considerata solamente oggetto<br />

di <strong>scambio</strong> e sacra, ma principalemente rientrava in maniera determinante nelle abitudini alimentari degli Indios, costituendo uno dei cibi principali<br />

nella dieta andina.<br />

Intorno al 1540 si passa quindi dal considerare la coca come una pianta divina per la cultura Inca, ad una pianta “satanica” per la Chiesa cattolica.<br />

Questa inversione nella visione concettuale della pianta di coca, dovuto inevitabilmente ad uno scontro di civiltà, ha innescato un dibattito non<br />

ancora concluso, attualmente a livello internazionale, che ha radici soprattutto nella visione distorta che nel tempo la coca ha subito, e che continua<br />

purtroppo a subire. Prima di tutto bisogna fare un pò di chiarezza su cosa è effettivamente la coca, e quali caratteristiche possiede per essere<br />

considerata, da tempo immemorabile, come una pianta “sacra”. Diverse ricerche condotte in America latina e negli Stati uniti (Università di Harvard)<br />

sono concordi nello stabilire che la foglia di coca possiede forti capacità nutrizionali. Difatti è ricca di vitamine, proteine, calcio e minerali tali da<br />

poter soddisfare le richieste nutritive giornaliere di una persona adulta con la masticazione di circa 200 grammi di foglie. Combatte il mal<br />

d’altitudine, accentua l’attenzione e la concentrazione, è uno stimolante naturale e contiene fluoro, il che aiuta a mantenere una dentatura bianca<br />

ed integra; esattamente come si è stupefacentemente ritrovato nelle numerose mummie di età incaica in Perù.<br />

Che relazione ha una pianta dalle proprietà così strabilianti con la droga, la cocaina, e quindi il narcotraffico a livello internazionale? La pianta di<br />

coca possiede quattordici alcaloidi quasi tutti sintetizzati in laboratorio ed utillizzati correntemente nell’industria farmaceutica per svariati usi. Uno di<br />

essi è appunto la cocaina, isolata nel 1860 dal chimico tedesco Albert Niemann e usata come anestetico intorno al 1884. Gli effetti “collaterali” della<br />

cocaina, come eccitazione, perdita di fame e sonno, esaltazione degli stati d’animo nonchè la dipendenza; l’hanno elevata negli anni a livello<br />

internazionale come una droga “moderna”, soppiantando la obsoleta eroina consumata principalmente nella decade degli anni ’80. La cocaina si<br />

ricava dalla macerazione delle foglie di coca con sostanze altamente tossiche per l’organismo, producendo effetti devastanti a lungo termine nel<br />

corpo umano. Il narcotraffico legato appunto alla sua produzione, ha generato un serissimo problema a livello locale nelle aree dove si produce la<br />

pianta di coca per uso terapeutico ed alimentare.


CHINA: gen. Cinchona; albero tipico delle Ande. Ne esistono diverse<br />

specie: officinalis, succirubra, ledgeriana... La parte impiegata è la<br />

corteccia da cui si estraggono numerosi alcaloidi, che rappresentano il<br />

chinino, il farmaco antimalarico per eccellenza delle popolazioni che<br />

non accedono ai moderni farmaci tecnologici. Il chinino costituisce il<br />

fitocomplesso della droga, mentre il principio attivo dei farmaci<br />

antimalarici è la chinina, uno dei tanti alcaloidi contenuti nel chinino.<br />

Alcuni plasmodi della malaria hanno sviluppato una notevole<br />

resistenza al principio attivo chinina, motivo per cui i farmaci<br />

antimalarici risultano inefficaci. Da ciò si spiega un ritorno all'utilizzo<br />

della fonte come fitocomplesso, al quale il plasmodio della malaria è<br />

ancora suscettibile. L'azione antimalarica esercitata dal fitocomplesso,<br />

chinino, è il risultato dell'azione di più princìpi attivi, che agiscono<br />

sinergicamente a determinare lo stesso affetto farmacologico. Il<br />

plasmodio non è resistente al fitocomplesso, perché esso svolge<br />

un'azione antimalarica qualitativamente diversa rispetto a quella del<br />

principio attivo chinina: gli alcaloidi che costituiscono il fitocomplesso<br />

chinino possiedono un'azione analoga a quella del p.a. Chinina, ma la<br />

espletano in modo diverso.<br />

Cinchona è un genere di piante arboree delle Ande, famiglia delle Rubiaceae, comprendenti specie conosciute col nome di<br />

china, con proprietà attribuite agli alcaloidi presenti nella corteccia.<br />

Il nome della pianta affonda le sue origini nella leggenda: secondo quanto scritto da Sebastiano Marelli, infatti, pare che nel<br />

XVII secolo la moglie del viceré del Perù, Luis Jerónimo de Cabrera, la contessa Ana de Osorio Chinton fosse stata curata<br />

dalla febbre intermittente dalla quale era affetta proprio grazie al ricorso ai rimedi tradizionali indigeni. Sempre secondo<br />

questa tradizione, la contessa, per ringraziare della guarigione dispose la cura dei poveri di Lima e fece pubblicità del suo<br />

caso anche in Spagna. Nel 1933 fu ritrovato il diario ufficiale del viceré de Cabrera. In questo diario vengono contraddette<br />

molte delle cose scritte da Bado. Si dice che Ana de Osorio, prima contessa di Chinchón, morì in Spagna almeno tre anni<br />

prima che il marito fosse nominato viceré del Perù. Fu la seconda moglie, Francisca Henríquez de Ribera, che accompagnò<br />

il conte nelle Americhe, dove godette di ottima salute. <strong>Lo</strong> stesso conte si ammalò più volte di febbre, ma non fu mai curato<br />

con bacche. La seconda moglie, poi, non tornò mai in Spagna. Morì nel porto di Cartagena durante il viaggio di ritorno. Alla<br />

luce di queste rivelazioni, tutti i racconti di Bado ricevono poca considerazione dagli storici.<br />

Linneo, in onore della Chincon, diede il nome di Cinchona alla famiglia cui appartiene l’albero della china.


Strychnos toxifera (Koehler 1887)<br />

CURARO<br />

In 1596 Sir Walter Raleigh mentioned the arrow poison in<br />

his book Discovery of the Large, Rich, and Beautiful<br />

Empire of Guiana (now Guyana), though it is possible<br />

that the poison he described was not curare at all. In<br />

1780, Abbe Felix Fontana discovered that it acted on the<br />

capability of voluntary muscles rather than on nerves and<br />

the heart. In 1800, Alexander von Humboldt gave the first<br />

western account of how the toxin was prepared from<br />

plants by Orinoco River natives.<br />

During 1811-1812 Sir Benjamin Collins Brody (1783–<br />

1862) experimented with curare.[6] He was the first to<br />

show that curare does not kill the animal and the<br />

recovery is complete if the animal’s respiration is<br />

maintained artificially. In 1825 Charles Waterton<br />

described a classical experiment in which he kept a<br />

curarized female donkey alive by artificial respiration with<br />

a bellows through a tracheostomy. Waterton is also<br />

credited with bringing curare to Europe. Robert Hermann<br />

Schomburgk, who was a trained botanist, identified the<br />

vine as one of the Strychnos genus and gave it the now<br />

accepted name Strychnos toxifera.


Nel XVI secolo gli esploratori occidentali osservarono gli indigeni delle zone del Perù, Brasile, Ecuador e Colombia usare un veleno da freccia<br />

chiamato Curari o Woorari (che in lingua locale significa appunto veleno), in grado di uccidere animali e uomini in pochi minuti, anche solo dopo una<br />

ferita superficiale. Il veleno può essere usato per la caccia perché, mortale quando penetra direttamente nel torrente ematico, viene degradato<br />

facilmente dai succhi gastrici.<br />

Le prime notizie di questa sostanza in Europa si hanno nel 1516 e sono contenute in alcune lettere a Giovanni de' Medici da parte di Pietro Martire<br />

d'Anghiera. Fu portato per la prima volta in Europa da Charles Marie de La Condamine nel 1736. È solo nel XIX secolo che la preparazione del<br />

curaro fu descritta in maniera dettagliata ed esatta, da parte dei grandi esploratori Alexander von Humboldt e Aimé Bonpland. Il curaro viene<br />

preparato a partire da chondrodendron tomentosum, abuta e curarea (tutte liane), mescolate a volte con strychnos. Le cortecce vengono grattate e<br />

poste in una foglia messa a guisa di imbuto, appesa a due lance. Acqua fredda viene versata nell'imbuto e fatta percolare, il liquido scuro gocciola e<br />

viene raccolto in un recipiente di ceramica. Il liquido raccolto viene portato all’ebollizione varie volte per farlo schiumare, fino a che non si addensa<br />

lentamente. Il liquido viene raffreddato e quindi scaldato un'ultima volta, fino a che non si forma uno strato vischioso che viene rimosso. Le punte<br />

delle frecce vengono bagnate nel liquido ed essiccate al fuoco. Gli indigeni parlavano di curaro "un albero" e "curaro tre alberi" per distinguere il<br />

curaro potente (una scimmia avvelenata può solo compiere un balzo da un albero ed un altro) e quello meno potente (la scimmia può saltare fino a<br />

tre alberi)[senza fonte]. Ciò che più colpisce di questa preparazione è il fatto che i popoli cacciatori fossero riusciti a capire l’efficacia del veleno<br />

attraverso le lesioni ma non per ingestione, capendo che era possibile utilizzarlo per la caccia.<br />

Nel 1820 Charles Waterton comprese il meccanismo d'azione del curaro: sperimentò infatti il veleno su una mula che finì in morte apparente per poi<br />

venire rianimata grazie alla ventilazione forzata. La pianta agisce quindi sulla respirazione, bloccandola e provocando la morte per asfissia. Nel<br />

1844 il grande fisiologo francese Claude Bernard conferma che il curaro agisce bloccando la trasmissione nervosa alla muscolatura. Negli anni<br />

venti del Novecento uno studioso americano, Richard Gill, spese molti anni con gli indigeni ecuadoriani e studiò attentamente la preparazione del<br />

curaro. Nel 1938 ritornò negli USA con qualche chilo di curaro e cercò di interessare le case farmaceutiche ad una sostanza che credeva molto<br />

promettente. Nel frattempo infatti il chimico King, nel 1935, era riuscito ad isolare il principio attivo del curaro. Dato che non possedeva alcun<br />

campione di curaro, King aveva dovuto utilizzare per le sue analisi il campione originale di Spruce conservato ad Harvard. Dato che il campione era<br />

conservato in un tubo, la molecola si chiamò tubocurarina (la struttura proposta da King risultò poi errata, ma la molecola era stata isolata). Gill non<br />

riuscì a trovare appoggi se non anni dopo, e solo nel 1941 iniziarono i primi esperimenti sugli animali. La tubocurarina venne aggiunta agli anestetici<br />

per le operazioni chirurgiche, ma gli animali morirono di asfissia. Nel 1942 Harold Griffith e Edin Johnson capirono che all'utilizzo della molecola<br />

deveva sempre essere associata la ventilazione forzata e nello stesso anno compirono molte operazioni su esseri umani.


Mirtillo gigante americano<br />

Vaccinium corymbosum:<br />

spontaneo nel Nord<br />

America, è una pianta alta<br />

1-4 m, a foglia caduca, con<br />

fiori bianchi o rosati; le<br />

bacche riunite in grappoli,<br />

sono di colore nero-azzurro,<br />

profumate; molto resistente<br />

al freddo (fino a -30°C).<br />

The beach strawberry, Chilean strawberry, or<br />

coastal strawberry (Fragaria chiloensis) is one<br />

of two species of strawberry that were hybridized<br />

to create the modern garden strawberry (F. ×<br />

ananassa). It is noted for its large berries. Its<br />

natural range is the Pacific Ocean coasts of<br />

North and South America, and also Hawaii.<br />

Migratory birds are thought to have dispersed F.<br />

chiloensis from the Pacific coast of North<br />

America to the mountains of Hawaii, Chile, and<br />

Argentina.


Tabacco<br />

essiccato<br />

La Nicotiana L. è un genere di erbe e arbusti della famiglia dei Solanum (Solanaceae), provenienti principalmente dal Nord e Sud America, dall'Australia,<br />

dal Sud Africa occidentale e dal Pacifico meridionale. Varie specie di Nicotiana, comunemente indicato come "pianta di tabacco", sono infatti coltivati e<br />

cresciuti per produrre tabacco. Di tutte le specie di Nicotiana, la più comune e sfruttata per la produzione di foglie di tabacco per le sigarette è la Nicotiana<br />

tabacum. Il genere è così chiamato in onore di Jean Nicot, ambasciatore francese in Portogallo, che nel 1559 fece pervenire un esemplare della pianta,<br />

considerandola una medicina, alla corte di Caterina de' Medici.


Bougainville: E' originaria delle zone tropicali e subtropicali<br />

dell'America Meridionale, in particolare del Brasile. La pianta fu<br />

scoperta nella seconda metà del '700 dal botanico francese<br />

Pierre Bouli il quale, imbarcato su una fregata in missione<br />

esplorativa, dedicò la sua scoperta al capitano della nave, <strong>Lo</strong>uis<br />

Antoine de Bouganville. Il genere comprende 18 specie di piante<br />

a cespuglio e rampicanti molto decorativi. I fiori, piccoli bianco<br />

giallastri, sono circondati da brattee vivacemente colorate di<br />

bianco, giallo, arancio, rosa, rosso o viola.


Il girasole è originario delle Americhe<br />

(dal ricco regno del Perù) dove fu<br />

coltivato fin dal 1000 a.C. Francisco<br />

Pizarro scoprì che gli Incas<br />

consideravano il girasole l'immagine del<br />

loro dio del sole. All'inizio del XVI secolo<br />

furono portati in Europa sia riproduzioni<br />

in oro del fiore, sia semi dello stesso.<br />

Heliantus è invece il nome greco del<br />

girasole.


Araucaria<br />

Il nome del genere<br />

deriva dagli<br />

Araucani<br />

(Araucanos), tribù<br />

indigena del Cile,<br />

la regione<br />

originaria dell'A.<br />

araucana.


Sequoia


CACAO: si crede che la pianta sia originaria dell'Amazzonia e che in seguito sia arrivata in America Centrale e in Messico.<br />

Alcune culture originarie di questa regione come gli Olmechi ed i Maya, lo consideravano "l'alimento degli dei". I semi di<br />

cacao erano utilizzati come moneta dagli Aztechi, i quali inoltre lo utilizzavano come bibita. Cristoforo Colombo ha scoperto<br />

il cacao in America, ma la pianta fu ben accolta in Europa solo alcuni anni dopo. Gli europei gli aggiunsero lo zucchero e lo<br />

riscaldarono per migliorarne il sapore.


Cibo, cultura, religione


Centeotl dio<br />

del mais<br />

atzeco


Raffigurazione di Xochipilli<br />

nel Codex Borgia (XV sec.)<br />

Nella mitologia azteca, Xochipilli ("principe dei fiori") era<br />

il dio dell'amore, dei giochi, della bellezza, della danza,<br />

dei fiori, del mais e della musica. Sua moglie era<br />

Mayahuel e sua sorella gemella Xochiquetzal. Essendo<br />

considerato uno degli dei responsabili della fertilità e del<br />

raccolto, è stato associato a Tlaloc, dio della pioggia ed<br />

a Centeotl, dio del mais. A lui viene fatto riferimento<br />

anche come Macuilxochitl, che significa "cinque fiori".<br />

(Xochi deriva dal termine nahuatl 'xochitl', cioè 'fiore',<br />

mentre 'pilli' significa 'principe' o 'bambino')<br />

Verso la metà del 1800, una statua azteca raffigurante<br />

Xochipilli, fatta risalire al XVI secolo, fu portata alla luce<br />

nei pressi delle pendici del vulcano Popocatepetl, vicino<br />

a Tlamanalco. La statua rappresenta una figura seduta<br />

su un piedistallo a forma di tempio. Sia la statua che il<br />

piedistallo sono ricoperti da incisioni che rappresentano<br />

fiori sacri, dalle proprietà psicoattive, come funghi<br />

(Psilocybe aztecorum), tabacco (Nicotiana tabacum),<br />

convolvolo (Turbina corymbosa), sinicuichi (Heimia<br />

salicifolia), forse cacahuaxochitl (Quararibea funebris)<br />

ed altri fiori non identificati. La figura è seduta sul<br />

piedistallo a gambe incrociate, la testa leggermente<br />

sollevata, gli occhi aperti, la mascella inferiore protesa e<br />

la bocca semiaperta. La statua si trova attualmente nel<br />

Museo Nacional de Antropologia del Messico.<br />

Wasson, Schultes e Hofmann sono arrivati alle<br />

conclusioni che Xochipilli rappresenti una figura in preda<br />

all'estasi. La posizione e l'espressione del corpo, uniti ad<br />

una evidente rappresentazione di piante allucinogene<br />

risaputamente usate dagli Aztechi nelle cerimonie sacre,<br />

avvalorerebbero questa interpretazione.


L'elemento base della cucina azteca era il mais (granoturco), un tipo di coltivazione molto importante nella società<br />

azteca che giocò un ruolo importante anche nella mitologia. Come il frumento in Europa, o il riso in buona parte<br />

dell'Asia orientale, il mais rappresentava l'alimento senza il quale un pasto non si poteva definire tale. Esistevano<br />

numerose varianti per colore, aspetto, dimensione e qualità, e veniva consumato sotto forma di tortilla, tamal e atole<br />

(tamalli e atolli in nahuatl). Le altre costanti del cibo azteco erano sale e peperoncino, e la definizione base di digiuno<br />

azteco era quella di astenersi da questi due elementi. Altri ingredienti molto usati erano i fagioli e la varietà locale dei<br />

semi di amaranto e della chía (Salvia hispanica). La combinazione di mais ed altri alimenti base forniva all'azteco medio<br />

una dieta completa senza carenza di vitamine o minerali. Per la preparazione delle tortilla e di altri piatti si usava (e si<br />

usa tuttora) il nixtamal, un tipo di mais cotto in soluzioni alcaline, con valori nutritivi molto elevati.<br />

Acqua, atole e pulque (il succo fermentato dell'agave salmiana) erano le bevande più comuni, ed esistevano molte<br />

bevande alcoliche ottenute fermentando il miele, il succo di diverse cactacee e vari frutti. Il ceto alto non beveva pulque,<br />

considerata la bevanda del popolo, preferendo bevande ottenute dalla lavorazione del cacao. Si trattava di uno dei<br />

maggiori lussi; era la bevanda di re, guerrieri e nobili, e veniva insaporita con peperoncino, miele ed un'infinita lista di<br />

spezie ed erbe.<br />

La dieta azteca comprendeva un'incredibile varietà di animali; tacchini ed altro pollame, geomidi, iguana, axolotl (un<br />

genere di salamandra d'acqua), gamberi, pesci e molti insetti, larve ed uova di insetti. Mangiavano anche molti funghi,<br />

tra cui il huitlacoche (Ustilago maydis), parassita del granturco . Le cucurbitacee erano molto popolari e venivano<br />

cucinate in molti modi: se ne mangiavano i semi, fresche, essiccate o arrostite. I pomodori, molto differenti dalle varietà<br />

coltivate oggi, erano consumati sotto forma di salse mischiati con peperoncini o come ripieno del tamal.


Uomini aztechi che si dividono un pasto. Immagine tratta dal Codice fiorentino (tardo XVI secolo).


Uomini aztechi ad un banchetto.<br />

Codice fiorentino, tardo XVI secolo


Silos di conservazione del mais. Codice<br />

fiorentino (XVI sec.)


Una donna azteca soffia sul mais prima di metterlo in padella. Codice fiorentino, tardo XVI<br />

secolo


La cucina atzeca<br />

Molte fonti parlano di due pasti al giorno, nonostante esista un racconto di lavoratori che ne consumavano tre: il primo all'alba, il secondo<br />

verso le 9 del mattino ed il terzo alle 3 del pomeriggio.[1] Questa abitudine e' in linea con gli usi europei del tempo, ma non e' chiaro se il<br />

consumo di atole, la bibita di mais, fosse da considerarsi un pasto o meno. L'assunzione di atole in quantità forniva le stesse calorie di<br />

molte tortilla, e veniva mangiato quotidianamente da buona parte della popolazione.<br />

Banchetti<br />

Esistono molti racconti che narrano di feste e banchetti aztechi, e delle cerimonie che li circondavano. Prima di un pasto i servitori<br />

offrivano tubi di tabacco profumato e, a volte, anche fiori con cui gli ospiti potevano sfregarsi testa, mani e collo. Prima di iniziare a<br />

pranzare ogni ospite doveva lasciar cadere a terra un po' di cibo, quale offerta al dio Tlaltecuhtli. Dato che le abilità militari erano elogiate<br />

tra gli aztechi, i modi a tavola rispecchiavano le movenze dei guerrieri. Il passaggio del tabacco avveniva dalla mano sinistra del servo<br />

alla destra dell'ospite, mentre il piattino che lo accompagnava passava dalla destra alla sinistra. Questo gesto imitava il modo in cui un<br />

guerriero riceveva i dardi dell'atlatl e lo scudo. I nomi venivano chiamati in modo diverso a seconda di come venivano passati; i "fiori<br />

spada" passavano dalla sinistra del servo alla destra dell'ospite, mentre i "fiori scudo" facevano il passaggio inverso. Durante il pranzo gli<br />

ospiti tenevano la propria scodella piena di salsa davanti alla mano destra, e le tortilla o i tamal (serviti da un cesto) davanti alla sinistra. Il<br />

pasto si concludeva quando veniva servito il cioccolato in coppe ricavate da zucche svuotate e con un bastoncino per agitarlo.<br />

Uomini e donne erano separati durante il banchetto e, nonostante le fonti non siano totalmente chiare, sembra che solo gli uomini<br />

bevessero il cioccolato. Più probabilmente le donne bevevano posolli (una bibita di mais) o un qualche genere di pulque. I padroni di casa<br />

più benestanti spesso ricevevano gli ospiti in stanze attorno ad una corte simile ai caravanserragli centro-europei (o han in turco), ed i<br />

veterani militari partecipavano alle danze. Le feste iniziavano a mezzanotte, e qualcuno beveva cioccolato mangiando funghi allucinogeni<br />

per poi raccontare agli altri ospiti delle loro visioni. Poco prima dell'alba si iniziava a cantare, e le offerte venivano bruciate e sepolte nella<br />

corte per garantire fortuna ai figli del padrone di casa. All'alba i restanti fiori, il tabacco ed il cibo venivano consegnati all'ospite più vecchio<br />

e povero, o ai servi. Come per tutti gli altri aspetti della vita gli aztechi enfatizzavano la natura duale delle cose, e verso la fine del<br />

banchetto al padrone veniva severamente ricordato dai più anziani il fatto di essere mortale, e che non avrebbe dovuto farsi sopraffare<br />

dalla superbia.<br />

Preparazione del cibo<br />

La principale tecnica di cucina consisteva nel bollire o cuocere a vapore in pentole a due manici o in giare chiamate xoctli in lingua<br />

nahuatl, termine tradotto nello spagnolo olla. La olla veniva riempita con cibo e scaldata sopra al fuoco. poteva anche essere usata per<br />

cuocere a vapore o versandovi poca acqua in cui i tamale avvolti in cartocci di mais venivano adagiati sopra ad una leggera struttura di<br />

ramoscelli al centro della pentola.[3] In molte fonti degli storici spagnoli si fa riferimento alla frittura, ma l'unica spiegazione dettagliata<br />

sembra parlare di un qualche genere di sciroppo, non di cottura nel grasso. Questa ipotesi e' confermata dalla mancanza di prove su<br />

larga scala riguardo all'estrazione di olio dai vegetali, e dal fatto che non e' stato ritrovato dagli archeologi vasellame adatto alla frittura.[4]<br />

Tortilla, tamal, casseruole e le salse che li accompagnavano rappresentavano i piatti più comuni. Peperoncini e sale erano inseriti<br />

ovunque, e molti pasti erano composti solo da tortilla intinte nella salsa di peperoncino, preparata pestandolo in un mortaio con poca<br />

acqua. L'impasto di mais poteva venire usato per racchiudere la carne, a volte interi tacchini, prima di cucinarla. In molte città azteche si<br />

trovavano commercianti che vendevano per strada cibo di ogni genere, servendo ricchi e poveri. Si poteva anche comprare qualsiasi tipo<br />

immaginabile di atolli, per dissetarsi o per un pasto veloce.


Bevande<br />

Molte bevande alcoliche venivano fatte tramite la fermentazione di mais, miele, ananas, frutti del cactus ed altre piante. La più comune era l'octli,<br />

elaborata dall'aguamiel, il succo dell'agave salmiana. Oggi questa bevanda è nota come pulque. Veniva bevuta da tutte le classi sociali, nonostante<br />

alcuni nobili si vantassero di non assumere questa bevanda del popolo. Il bere era tollerato anche da parte dei bambini in alcune occasioni, ma non<br />

bisognava ubriacarsi. Le pene erano molto rigide, ed erano ancora più severe se applicate al ceto alto. La prima trasgressione di un uomo comune<br />

sarebbe stata punita distruggendone la casa e mandandolo a vivere nei campi come un animale. Generalmente i nobili non avevano una seconda<br />

occasione, e potevano essere giustiziati per aver ecceduto con l'alcool. Sembra fosse più tollerato che a bere fossero gli anziani, nonostante le fonti<br />

divergano sull'età esatta.[10] Queste pene non evitavano il fatto che a volte i nobili diventassero alcolizzati, finendo i loro giorni in povertà e<br />

prematuramente. Un informatore di Sahagún narrò la crudele storia di un ex-tlacateccatl (generale) e comandante di oltre 8000 uomini:<br />

« Si bevve tutta la sua terra; la vendette tutta. [...] Tlacateccatl, un guerriero valoroso, un grande guerriero, ed un grande nobile, in un determinato<br />

momento, da qualche parte sulla strada per cui viaggiava, cadde, ubriaco, rotolandosi nei propri escrementi » (Coe, 85)<br />

Atole<br />

L'atole (atolli in nahuatl), bibita di mais, forniva buona parte del fabbisogno calorico giornaliero. La ricetta base per la preparazione dell'atolli era di otto<br />

parti di acqua e sei di nixtamal che andava mescolato fino a sciogliersi. L'amalgama veniva poi bollita per farla inspessire. Esistono molte varianti di atolli:<br />

con un decimo di sciroppo di agave si faceva il nequatolli; aggiungendo peperoncino frullato con sale e pomodoro si faceva l'iztac atolli; lasciando<br />

riposare il nixtamal per 4-5 giorni per poi aggiungerne altro fresco con peperoncino e sale si preparava lo xocoatolli. Fagioli, tortilla cotta al forno, mais<br />

tostato, chía, amaranto e miele venivano mescolati per creare il pinolli. Il mais tostato e ridotto in polvere era molto usato dai viaggiatori, soprattutto<br />

commercianti, che, mescolandolo con acqua, potevano ottenere pasti istantanei lungo la strada , una specie di cibo liofilizzato.<br />

Cacao<br />

Il cacao aveva un grandissimo valore simbolico. Si tratta di un lusso raro, essendo un prodotto che andava importato non crescendo sul suolo dell'impero<br />

azteco. Non esistono descrizioni dettagliate di come si preparasse il cacao solido, ma vi sono molte allusioni al fatto che venisse mangiato in questa<br />

forma. I chicchi di cacao erano tra le più preziose derrate, e potevano venire usati come forma di pagamento, nonostante gli venisse riconosciuto un<br />

valore basso; 80-100 chicchi permettevano di acquistare un piccolo mantello e una canoa piena di acqua fresca se si abitava nella parte salata dei laghi<br />

che circondavano Tenochtitlán. Proprio per questo i chicchi venivano spesso contraffatti riempiendo i gusci vuoti con sporcizia o fango.<br />

Il cacao veniva spesso bevuto sotto forma di xocoatl ("acqua amara", termine da cui deriva la parola cioccolato) e rappresentava la bevanda di guerrieri e<br />

nobili. Era considerata un tale inebriante da dover essere bevuto con grande solennità e serietà, tanto da venire descritta dallo storico spagnolo Sahagún<br />

come "da non bere con leggerezza". Il cioccolato poteva venir preparato in molti modi, e molti di questi comprendevano il fatto di miscelare acqua calda o<br />

tiepida con chicchi tostati e pestati, mais e molte spezie quali peperoncino, miele, vaniglia ed altre spezie. Gli ingredienti venivano miscelati e battuti con<br />

un pestello o aerati facendo saltare il cioccolato da un piatto ad un altro. Se il cacao era di alta qualità il procedimento creava molta schiuma. La schiuma<br />

poteva essere messa da parte, e la bevanda di nuovo scossa per produrre altra schiuma da mettere sulla bevanda prima di servirla.


Pittura dal Codice<br />

Mendoza che raffigura<br />

un'anziana azteca che<br />

beve pulque


La spirulina (Arthrospira) poteva essere raccolta sulla superficie dei<br />

laghi con reti o pale, per poi venir essiccata sotto forma di torte che<br />

venivano mangiate con tortilla o come condimento.<br />

Spirulina was a food source for the Aztecs and other Mesoamericans<br />

until the 16th century; its harvesting from Lake Texcoco and<br />

subsequent sale as cakes is described by one of Cortés' soldiers.<br />

The Aztecs called it "techuitlatl".


Alimenti<br />

La spirulina poteva essere raccolta sulla superficie dei laghi con reti o pale, per poi venir essiccata sotto forma di torte che venivano mangiate con<br />

tortilla o come condimento<br />

Tra i principali cibi aztechi c'erano mais, fagioli e cucurbitacee cui venivano spesso accompagnati peperoncini e pomodori, tutti ingredienti tipici della<br />

dieta messicana del tempo. Gli aztechi raccoglievano cambarellus montezumae, un tipo di gambero piccolo e molto diffuso nel lago Texcoco, cosi'<br />

come l'alga spirulina cucinata sotto forma di torta ricca di flavonoidi. Nonostante la dieta azteca fosse per buona parte vegetariana gli aztechi<br />

consumavano anche insetti quali grilli (chapulines), Aegiale hesperiaris, formiche, larve, ecc. Gli insetti avevano un contenuto proteico maggiore della<br />

carne, ed anche oggi sono considerati una prelibatezza in alcune parti del Messico.<br />

Cereali<br />

Una donna azteca soffia sul mais prima di metterlo in padella, in modo che non temesse il fuoco. Codice fiorentino, tardo XVI secolo<br />

Il mais era il cibo principale per gli Aztechi. Veniva consumato ad ogni pasto da tutte le classi sociali, ed aveva un ruolo fondamentale anche in<br />

mitologia. Gli Aztechi descrissero ai primi europei il mais come "prezioso, nostra carne, nostre ossa".[7] Ne esistevano molte varietà e dimensioni,<br />

forme e colori; giallo, rossiccio, bianco striato di altri colori, nero, con o senza macchie ed una variante con la buccia blu considerata molto preziosa.<br />

Oltre a queste vi erano molte varianti regionali, ma poche di loro sono state descritte. Il mais veniva riverito tanto che le donne gli soffiavano sopra<br />

prima di metterlo in padella, in modo da non fargli temere il fuoco, ed ogni chicco caduto per terra veniva raccolto, e non andava perso. Uno degli<br />

informatori aztechi dello storico e missionario francescano spagnolo Bernardino de Sahagún ne spiegò l'uso nel seguente modo:<br />

« Il nostro nutrimento soffre, e piange. Se non lo dovessimo raccogliere, ci accuserebbe prima del nostro Signore. Direbbe: O nostro Signore, questo<br />

vassallo non mi raccolse dopo che caddi a terra. Puniscilo. O vi faremo morire di fame »<br />

(Coe, 88[8])<br />

Un processo chiamato nixtamalización veniva usato in tutte le Americhe in cui si coltivava il mais. Si tratta di un termine composto dalle parole nahuatl<br />

nextli ("cenere") e tamalli ("avvolto"), e si tratta di un processo usato tuttora. I chicchi di mais essiccati vengono inzuppati e cotti in una soluzione<br />

alcalina, solitamente a base di idrossido di calcio. Questo ammorbidisce il pericarpo, la parte esterna del chicco, rendendo più semplice la macinatura.<br />

Il processo trasforma il mais da semplice fonte di glucidi in un impasto nutrizionalmente più completo; ne aumenta calcio, ferro, rame e zinco, aggiunti<br />

grazie alla soluzione alcalina o al vasellame usato nel processo, oltre a niacina, riboflavina ed altre proteine già presenti nel granturco, che il processo<br />

rende digeribili anche agli esseri umani, riducendo il rischio di ammalarsi di pellagra. <strong>Lo</strong> sviluppo di alcune micotossine è un altro dei lati positivi del<br />

procedimento. Lasciando fermentare il nixtamal si produce un'ulteriore aumento del valore nutritivo con l'aggiunta di amminoacidi quali lisina e<br />

triptofano. Fagioli, verdure, frutta, chili e nixtamal erano in grado di fornire una dieta nutrizionalmente soddisfacente senza bisogno di proteine animali.<br />

Tamal<br />

Il Tamalli, in nahuatl, che significa "avvolto", è preparato con un impasto di mais cotto e avvolto in foglie di pannocchia, o anche di banano, agave e<br />

avocado. Può essere farcito in diversissimi modi dolci o salati, con carne, verdure, peperoncini, frutta, salse, ecc.<br />

I tamales sono descritti da fra' Bernardino de Sahagún nella Storia generale delle cose della Nuova Spagna.<br />

Spezie<br />

Molte erbe e spezie erano disponibili agli Aztechi per il condimento dei cibi. Tra i principali c'era il peperoncino, disponibile in molte specie, alcune<br />

selvatiche altre coltivate. I vari tipi differivano per il grado di piccantezza che dipendeva dalla quantità di capsaicina presente. I peperoncini venivano<br />

spesso essiccati e pestati per la conservazione e l'uso in cucina, a volte arrostiti per variarne il gusto. Il sapore dipendeva dalla specie, passando dal<br />

dolce al fruttato, dall'affumicato al molto piccante.<br />

Le specie di piante indigene usate nel condimento producevano sapori simili alle spezie del Vecchio Mondo, spesso più semplici da recuperare dopo<br />

la conquista spagnola. Il cilantro forniva un sapore più forte del corrispondente europeo, e le sue foglie erano più semplici da essiccare. Anche<br />

l'origano e l'anice messicani ricordavano i paralleli europei, mentre il pimento aveva una sapore a metà tra noce moscata, chiodi di garofano e<br />

cannella. Il gusto della cannella era più morbido e delicato. Prima dell'arrivo della cipolla e dell'aglio, si usavano piante simili tipo l'aglio di Kunth ad<br />

altre specie del genere Allium. Tra gli altri sapori si ricordano mezquite (pianta del genere Prosopis), vaniglia, bixa orellana, chenopodio (Dysphania<br />

ambrosioides), hoja santa (Piper auritum), foglie di avocado e molte altre piante indigene.


Dieta<br />

Gli Aztechi ponevano l'accento sulla moderazione in ogni aspetto della vita. Scrittori e storici europei erano spesso stupiti dal modo in cui<br />

percepivano un'esemplare frugalità, semplicità e moderazione. Juan de Palafox y Mendoza, vescovo di Puebla e viceré della Nuova Spagna nel<br />

1640, scrisse:<br />

« Li ho visti mangiare con grande riflessione, silenzio e modestia, in modo che uno sapesse che la pazienza mostrata sempre si applicava anche<br />

al cibo, e non si permettevano di diventare frettolosi per la fame o per la fretta di saziarsi » (Coe, 83)<br />

Digiuno<br />

Il significato principale del digiuno azteco era quello di astenersi dall'uso di sale e peperoncino, e tutti i membri della società praticavano il digiuno<br />

con una qualche intensità. Non esistevano eccezioni al digiuno, cosa che stupì i primi europei che entrarono in contatto con loro. Essendo il<br />

digiuno già comune in Europa, esistevano eccezioni permanenti per le donne e per i bambini, i malati, i deboli ed i vecchi. Prima della cerimonia<br />

del Nuovo Fuoco, che cadeva ogni 52 anni, alcuni sacerdoti digiunavano per un intero anno; gli altri sacerdoti per 80 giorni, ed i nobili per 8.<br />

Anche il popolo partecipava al digiuno, ma in modo meno rigoroso. A Tehuacan c'era un gruppo di digiunanti permanenti. Oltre ai vari rigori<br />

ascetici come il sonno su un cuscino di pietra, digiunavano per periodi di quattro anni mangiando solo un tortilla di 50 grammi al giorno. L'unica<br />

tregua era ogni 20 giorni, quando gli si permetteva di mangiare tutto quello che volevano.<br />

Anche dai re come Montezuma ci si aspettava la diminuzione dei lussi e l'abbassamento del tenore di vita, e lo facevano con molta convinzione e<br />

sforzi. Durante il digiuno dovevano astenersi dal sesso con le donne e dovevano mangiare solo torte di michihuauhtli e semi di amaranto o<br />

chenopodio. Anche il cioccolato dei signori era sostituito da acqua mista a farina di fagioli. Questa usanza era in contrasto con i fasti molti nobili<br />

europei e degli uomini del clero che, nonostante l'obbligo religioso di sostituire la carne con il pesce, non rinunciavano ai lussi.<br />

Cannibalismo<br />

Gli Aztechi praticavano un cannibalismo rituale. Le vittime, solitamente prigionieri di guerra, venivano sacrificate sopra a templi o piramidi<br />

estraendone il cuore. I corpi venivano poi buttati di sotto dove venivano smembrati. I pezzi erano quindi distribuiti alla classe superiore, composta<br />

per buona parte da guerrieri e sacerdoti. La carne veniva consumata sotto forma di stufato insaporito con il sale e mangiato con tortilla di mais,<br />

ma senza l'onnipresente chili. Alla fine del 1970 l'antropologo Michael Harner ipotizzò che gli Aztechi facevano ricorso a cannibalismo in grande<br />

scala, utilizzandolo per assumere le proteine di cui la loro dieta era carente. Questa idea prese piede tra alcuni studiosi, ma si dimostrò che era<br />

basata su ipotesi infondate circa gli usi alimentari, l'agricoltura e la demografia, rendendolo uno scenario altamente improbabile.


Riti cannibalici nel Brasile del 1557, secondo le narrazioni di Hans Staden.


Rituale Azteco di sacrificio umano (folio 70r del Codice Magliabechiano (XVI sec.)

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