ELIO VITTORINI - Casa editrice Le Lettere
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<strong>ELIO</strong> <strong>VITTORINI</strong><br />
Il sogno di una nuova letteratura<br />
a cura di<br />
Lisa Gasparotto<br />
<strong>Le</strong> <strong>Le</strong>ttere
INDICE GENERALE<br />
Premessa .......................................... p. 9<br />
I. Il prImo VIttorInI<br />
GIoVanna CaltaGIrone, Sardegna 1932. L’altra isola di Vittorini » 15<br />
lIa FaVa Guzzetta, Vittorini e Svevo ................... » 30<br />
pIetro FrassICa, Lontani odori e sapori in Conversazione in<br />
Sicilia .......................................... » 43<br />
II. oltre I ConFInI<br />
edoardo esposIto, Americana e dintorni ................ » 63<br />
marIo materassI, Luce d’agosto: non sparate sul traduttore .. » 73<br />
FlaVIo CoGo, Vittorini e una traduzione minore: The Life of<br />
Our Lord di Charles Dickens ....................... » 84<br />
LIsa Cadamuro, La traduzione dei racconti di Edgar Allan<br />
Poe: tracce nell’opera vittoriniana ................... » 95<br />
andrea muzzattI, ItaliAmerica: la Fante-Vittorini connection . » 104<br />
renata londero, Vittorini e García Lorca: Nozze di sangue<br />
(1941-1942) ..................................... » 112<br />
mIlena romero allué, «Io sono, nell’inglese, un sordomuto».<br />
Elio Vittorini e Titus Andronicus di Shakespeare ........ » 129<br />
enza BIaGInI, Traduzioni francesi incrociate. Appunto su Figli<br />
perduti (1945), A proposito di Mantegna (1964) e <strong>Le</strong>s<br />
hommes et les autres (1945-1947) .................... » 155
6 INDICE GENERALE<br />
III. per una nuoVa letteratura<br />
anna BosChettI, Il passatore di frontiere ................ p. 177<br />
alBa andreInI, Vittorini e Cassola ..................... » 199<br />
attIlIo mauro CapronI - anna panICalI, «Il Politecnico» tra<br />
cronaca, poesia e narrazione ........................ » 211<br />
Cesare de mIChelIs, Il progetto di una «nuova» letteratura.<br />
I «Gettoni» ..................................... » 217<br />
Carlo mInoIa, Da <strong>Le</strong> città del mondo a «Il Menabò» attraverso<br />
le lettere ................................... » 230<br />
ulla sChrøder - FranCo musarra, Dialoghi intorno all’utopia:<br />
Elio Vittorini e Italo Calvino ....................... » 242<br />
rICCardo CostantInI, Il cinema e Vittorini. Storia di un amore<br />
senile .......................................... » 261<br />
IV. eredI<br />
lIsa Gasparotto, Vittorini e Pasolini tra immagine e parola.<br />
Conversazione in Sicilia e Dov’è la mia patria ........... » 273<br />
rICCIarda rICorda, <strong>Le</strong>onardo Sciascia, l’eredità e la distanza . » 288<br />
alessandro CInqueGranI, Vittorini e Bufalino ovvero sull’attualità<br />
di Conversazione in Sicilia .................... » 306<br />
V. rItorno In sICIlIa<br />
VInCenzo Consolo, Vittorini. Da Siracusa alle città del mondo . » 319<br />
Indice dei nomi ..................................... » 327
Lia Fava Guzzetta<br />
<strong>VITTORINI</strong> E SVEVO<br />
L’attenzione di Elio Vittorini verso l’opera di Italo Svevo ha inizio<br />
intorno agli anni Trenta e si realizza durante gli anni fiorentini dello<br />
scrittore nel corso della sua collaborazione alla rivista «Solaria» ed<br />
in occasione della sua partecipazione a quel particolare clima della<br />
rivista, impegnata a rilanciare la forma romanzo come “poema moderno”<br />
dopo la stagione rondista del capitolo e della prosa d’arte.<br />
Com’è noto, in tale clima la valorizzazione dell’opera di Svevo, costituì<br />
un capitolo molto significativo, contribuendo alla fortuna critica<br />
dello scrittore triestino, autore ancora, a quel tempo, non molto<br />
apprezzato in Italia. È noto infatti che il primo contributo favorevole<br />
all’opera di Svevo era stato nel 1925, sulla rivista l’«L’Esame»,<br />
il famoso articolo di Montale, il quale concludendo, affermava:<br />
«“L’Esame” è l’unica rivista che abbia finora dedicato un articolo<br />
d’insieme all’autore di Senilità. Se un giorno altri avvenimenti prevalgono<br />
nel nostro costume letterario, codeste parole non rimarranno<br />
forse senza eco» 1 . È possibile verosimilmente affermare che sulla<br />
scorta di queste parole di Montale si matura l’attenzione solariana<br />
per Svevo fino a costituire quella “eco” che il poeta stesso si augurava,<br />
sia perché la rivista è molto vicina cronologicamente alla data<br />
dell’articolo montaliano, essendo nata nel 1926, e sia perché Montale,<br />
che fa parte egli stesso del gruppo fiorentino, contribuisce personalmente<br />
a creare quel clima, molto diverso sostanzialmente dalla<br />
«Ronda», non certo adatta, col suo purismo, alla comprensione dei<br />
primi romanzi sveviani. Paradossalmente è addirittura possibile dire<br />
che gli stessi motivi che allontanavano da Svevo la generazione rondesca<br />
ne determinarono l’attrazione per i solariani.<br />
1<br />
e. montale, Omaggio a Italo Svevo, «L’Esame», 1925, pp. 804-813.
<strong>VITTORINI</strong> E SVEVO 31<br />
L’interesse verso l’opera di Svevo dunque, in «Solaria» prende<br />
corpo dal più ampio interesse verso la narrativa. Marco Forti definì<br />
«Solaria» come «officina dove la narrativa e la poesia che ancora<br />
oggi distinguono il meglio di questi anni, si misuravano onestamente<br />
e fuori dalla retorica ufficiale con la letteratura europea fra le due<br />
guerre» 2 ed è utile notare che, sviluppandosi l’opera di «Solaria» in<br />
pieno Fascismo, dopo le leggi del ’25 contro la libertà di stampa, il<br />
rilancio della narrativa, specie del romanzo, diventava un modo di<br />
proporre un nuovo ruolo della letteratura ed una nuova funzione<br />
del letterato, quasi l’individuazione di una nuova sede privilegiata<br />
– il romanzo appunto – in cui potesse prendere concretamente<br />
corpo il superamento della troppa letteratura “divagante” (come i<br />
solariani esattamente dicevano) che aveva caratterizzato la stagione<br />
immediatamente precedente, e di cui lo stesso Vittorini aveva subito<br />
l’influenza.<br />
Elio Vittorini partecipa in modo singolare sia a tale clima di rinascita<br />
della forma narrativa, sia alla valorizzazione di Svevo subendo<br />
peraltro il fascino dello scrittore triestino fino a custodirne<br />
evidenti tracce nei suoi stessi testi pubblicati nella rivista e nelle<br />
edizioni di «Solaria».<br />
Nell’impegno verso una nuova narrativa da parte della rivista<br />
fiorentina prende corpo una linea del romanzo italiano post-verghiano<br />
nella quale Italo Svevo funziona da anello di congiunzione<br />
con i giovani narratori che la stessa rivista si incarica di segnalare e<br />
patrocinare e nei confronti dei quali Italo Svevo sembra destinato a<br />
divenire in un certo senso l’archetipo.<br />
Come si sa «Solaria» dedica un Omaggio a Svevo sul numero del<br />
marzo-aprile del 1929, ma Elio Vittorini, che a quest’epoca non ha<br />
ancora iniziato la propria collaborazione alla rivista (la sua prima<br />
lettera al direttore Carocci è datata infatti 15 giugno 1929 3 ) non<br />
partecipa ancora a quell’omaggio, mentre di lì a poco assorbirà<br />
pienamente lo spirito solariano nella fruizione di Svevo e diventerà<br />
anzi una delle espressioni più significative della comprensione<br />
dell’opera dello scrittore, stabilendo un rapporto molto stretto con<br />
i suoi testi.<br />
Nell’Omaggio sveviano Raffaello Franchi riferendosi ai problemi<br />
2<br />
m. FortI, Per un’antologia di «Solaria», «Aut-Aut», 62, 1959, p. 244.<br />
3<br />
Cfr. G. manaCorda, <strong>Le</strong>ttere a «Solaria», Editori Riuniti, Roma 1979, p. 128.
32 LIA FAVA GUZZETTA<br />
posti dalla generazione rondesca colloca Svevo sulla linea dei possibili<br />
nuovi percorsi:<br />
Italo Svevo è stato fra tutti i romanzieri il romanziere singolarissimo.<br />
In quanto costruttore di caratteri, il romanzo in lui non lascia nostalgia<br />
d’altra forma ma è, in se stesso, perfezione, totalità. Quanto alla proprietà<br />
della lingua, chiunque abbia letto le pagine dell’ultimo Svevo,<br />
per esempio quelle che introducono al Vecchione, si sarà persuaso in<br />
quanto poco conto debbano tenersi i rilievi mossigli dai puristi. […] Si<br />
può dire che mentre il purismo mantiene la regola perché non si perda<br />
l’onesta, e alla civiltà d’un paese necessaria, plebe letteraria, sono poi<br />
gli scrittori della razza di Svevo, che decisamente mettono in progresso<br />
la storia letteraria di una nazione. Per cui un movimento come fu quello<br />
della «Ronda» indietreggia nel suo giusto piano (filologicamente e<br />
sostanzialmente giusto) della buona opera poliziesca 4 .<br />
Non è un caso, del resto, che la scoperta di Svevo coincida in «Solaria»<br />
con la scoperta di Proust e di Joyce e segni quindi una operazione<br />
di sprovincializzazione della nostra cultura che si manifesta<br />
anche con la nuova attenzione europea dello stesso Vittorini, proprio<br />
nel biennio 1928-29. In un famoso articolo del 1932, Alberto<br />
Consiglio affermerà in «Solaria» che «mentre un gruppo di letterati<br />
stranieri di tendenza spiccatamente analista scopriva in Una vita e<br />
Senilità una vivace somiglianza con il proprio spirito, altri letterati<br />
italiani che nel primo quindicennio della crisi del secolo avevano<br />
conquistato il gusto delle analisi interiori vedevano in Svevo quasi<br />
il simbolo del loro morbido e umanissimo tormento» 5 . Ecco in tal<br />
modo Svevo ricondotto alle inquietudini che spingono verso la moderna<br />
narrativa per aprire la strada ai tanti personaggi oscillanti tra<br />
l’ambizione e l’inettitudine, la ricerca di affermazione e la sconfitta,<br />
destinati ad essere i nuovi anti-eroi della modernità letteraria.<br />
È di non poco conto, a questo punto, sottolineare il fatto che<br />
Elio Vittorini, in occasione della sua recensione al primo romanzo<br />
sveviano Una vita partecipi intensamente a tale visione critica,<br />
riconoscendo in Alfonso, protagonista del romanzo, un personaggio<br />
vivo che porta in sé i caratteri contraddittori di una personalità<br />
inquieta ed irrisolta, frutto forse, essa stessa, delle contraddizioni<br />
sempre più emergenti della civiltà contemporanea, mettendo in<br />
4<br />
r. FranChI, Omaggio a Svevo, «Solaria», 3-4, 1929, p. 41.<br />
5<br />
a. ConsIGlIo, Italo Svevo, «Solaria», 12, 1930, p. 54.
<strong>VITTORINI</strong> E SVEVO 33<br />
rilievo anche la sostanziale permanenza di tale tipo di eroe nella<br />
narrativa sveviana, come segno della modernità di Svevo: «La scelta<br />
di Alfonso, la creazione di questo eroe sin troppo moderno e sin<br />
troppo povero, corrispondeva alla ricerca di una complessa individualità<br />
interiore che Svevo ritornerà ad impostare come un inesauribile<br />
tema autobiografico nei suoi successivi romanzi» 6 .<br />
È il grigiore monotono e irrilevante di queste vite sveviane ad<br />
attirare l’attenzione vittoriniana di questa breve stagione solariana,<br />
se è vero, come è vero, che egli stesso proprio in questo biennio, sta<br />
mettendo a fuoco il tipo di eroe-antieroe protagonista dei racconti<br />
di Piccola borghesia. Lo scrittore siciliano, infatti, resta colpito dalla<br />
singolare atmosfera dell’ambiente impiegatizio del romanzo Una<br />
vita, come dimostra la densa recensione su «Solaria»:<br />
Fra un ufficio, una pensione di famiglia ed un tinello di casa signorile,<br />
la vita di tutti i personaggi […] si produce così nella sua interezza senza<br />
dimenticare un istante l’orologio, o i foglietti a grossi numeri rossi<br />
del calendario.<br />
È la vita, si capisce, come potrebbe essere sempre, la nostra vita, cioè<br />
l’esistenza di ognuno di noi lettori, priva di ogni “se” favoloso, avventuroso<br />
o pittoresco, la nostra vita perduta di tutti i giorni, col passato,<br />
il presente, le ambizioni dell’avvenire, sorretta dalla povera ideologia<br />
di un miglioramento delle condizioni economiche o di un rapido avanzamento<br />
di carriera 7 .<br />
Come si vede, i nuovi contenuti di questa nuova narrativa vengono<br />
bene evidenziati, ma la riflessione di Vittorini va anche oltre i<br />
contenuti stessi nel momento in cui la sua recensione appare come<br />
l’occasione per mettere a fuoco alcuni limiti di una certa cultura<br />
letteraria novecentesca aprendo un discorso sul terreno della lingua<br />
e della forma narrativa. Egli afferma infatti:<br />
Sembra possibile che molti dei nostri critici e letterati abbiano trovato<br />
ed ancora trovino enormi difficoltà nell’accostarsi all’arte di Svevo, sol<br />
perché essa non terrebbe conto di certe leggi di stile, di certi abbandoni<br />
e reticenze che la consuetudine calligrafica ha reso cari al nostro<br />
orecchio e ha stabilito nel gusto generale […]. Di fronte ad una volontà<br />
di scrittura così assoluta, creatrice ad ogni parola, rappresentatrice<br />
6<br />
e. VIttorInI, Una vita di Italo Svevo, ivi, p. 54.<br />
7<br />
Ivi, p. 51.
34 LIA FAVA GUZZETTA<br />
ad ogni frase, necessaria e vitale come il fango del buon Dio nella più<br />
piccola molecola, dovevano cadere regole e leggi di stile che, se un<br />
bisogno improvviso di bellezza impone sul bianco foglio, tuttavia si<br />
prestano allo scherzo, favoriscono gli abbandoni, le reticenze, le leggerezze,<br />
e possono trascinare nel giuoco […]. Egli cercava di dare al<br />
linguaggio una poesia che non fosse quella medesima delle parole, una<br />
poesia, una verità che bisognava portare a galla dall’imo del proprio<br />
essere con qualche cosa che […] non fosse anzitutto un inganno dolce<br />
dei sensi. Si trattava di fomentare nelle parole un alto significato umano,<br />
trascendente la loro bellezza materiale […]. Dal tempo ancora dei<br />
dubbi eterni circa la dualità di forma e contenuto, egli risolveva così,<br />
fuori dal percorso delle dottrine estetiche, tutti gli sforzi dell’arte di<br />
romanziere in una sola ed enorme difficoltà. Questo il suo scrivere sul<br />
serio, lasciare scorrere cioè sopra la carta un fiume di parole di cui non<br />
una tornasse gratuita e si trovasse lì per esprimere un puro pensiero,<br />
un abbandono, o una reticenza, una figura retorica, una civetteria, una<br />
allusione qualsiasi dello scrittore, ma tutti indistintamente portassero<br />
a galla qualche cosa della realtà che intendevano rappresentare, continuamente<br />
anzi qualche cosa dietro qualche cosa col modo di evoluzione<br />
e di divenire proprio della vita di personaggi. Lo stesso Croce<br />
non ha poi rivelato nulla di nuovo ad un’arte, nata in questo modo,<br />
che dal 1893 al 1927, da Una vita fino a Zeno, non ebbe più un vero e<br />
proprio bisogno di rinnovarsi e poté ignorare senza pericolo per la sua<br />
modernità, le mille esperienze vociane, ecc. ecc. Né Croce, né alcuna<br />
estetica o arte poetica servirebbero ad una letteratura tutta di Svevi. È<br />
logico in tal senso che Italo Svevo non dovesse rendersi conto né prima<br />
né poi delle esigenze estetiche o grammaticali di un’epoca, né dovesse<br />
prestare orecchio al cosiddetto buongusto del borghese di queste stesse<br />
esigenze portatore, o non aver riguardo per le mille leggi assolutamente<br />
gratuite, che via via dettavano l’imperativo categorico di un’arte<br />
del dire in ogni caso presunta come scuola, movimento, poesia, stile 8 .<br />
Come si può vedere questa valorizzazione dell’opera sveviana da<br />
parte di Vittorini, evidenzia l’intenzione di un superamento di accademismi<br />
formali mediante la proposta di un linguaggio più “vitale”<br />
strettamente connesso a significati umani. Si sente l’eco di<br />
tutta la visione solariana del romanzo ed il valore che essa rappresentò<br />
per lo stesso Vittorini che ne diede testimonianza tanto in<br />
Diario in pubblico quanto nelle lettere, com’è noto. È comunque<br />
interessante notare che in questo stesso periodo Vittorini scrive il<br />
8<br />
Ivi, p. 47 ss.
<strong>VITTORINI</strong> E SVEVO 35<br />
famoso articolo Scarico di coscienza, su «L’Italia letteraria» del 1929,<br />
nel quale mentre evidenzia il legame innegabile della nostra giovane<br />
letteratura con la letteratura europea, afferma e riconosce al<br />
contempo l’importanza della lezione sveviana: «ci siamo sorpresi,<br />
forse senza saperlo noi stessi, senza che altri lo sospettasse, nella<br />
più stretta parentela con Proust, con Gide, con il pensiero europeo<br />
[…] e Svevo, venuto all’ultimo momento, lui che parrebbe un<br />
estraneo, un relitto, ci ha giovato meglio che venti anni di pessima<br />
letteratura» 9 . La contemporaneità di quest’articolo col tempo solariano<br />
di Vittorini, mette in valore il biennio ’29-’30 come il momento<br />
al quale può farsi risalire se non la lettura vittoriniana di Svevo<br />
(che potrebbe anche essere precedente) certamente l’assorbimento<br />
della sua lezione, se è vero, come ci sembra evidente, che i racconti<br />
di Vittorini, pubblicati sulla rivista fiorentina, soprattutto quelli che<br />
hanno come protagonista il personaggio di Adolfo, confluiti poi<br />
nella più ampia silloge dal titolo Piccola borghesia (con varianti e<br />
assestamenti testuali segnalati già da Anna Panicali e da me, e successivamente<br />
anche da Maria Corti e, ancora più dettagliatamente,<br />
dalla Rodondi nella Nota ai Testi dell’edizione mondadoriana delle<br />
Opere di Elio Vittorini nel 1974), contengono interessanti spie di<br />
tale assorbimento.<br />
Il racconto dal titolo Introduzione alla vita di Adolfo viene inviato<br />
al direttore della rivista Carocci nel giugno del 1929 come attesta<br />
la lettera con la quale Vittorini ne comunica l’invio («<strong>Le</strong> rimetto<br />
dunque il racconto, qui allegato, sotto il titolo Introduzione alla<br />
vita di Adolfo» 10 ) e viene effettivamente pubblicato sul numero di<br />
settembre-ottobre del 1929; ma anche gli altri racconti del “ciclo”<br />
o della suite (come la definisce la Rodondi) di Adolfo, e cioè Educazione<br />
di Adolfo e Dieci minuti di ritardo sono cronologicamente<br />
vicini al primo, in quanto compaiono sulla rivista nel corso dell’anno<br />
1930 (rispettivamente sul n. 3 e sul n. 11).<br />
È interessante attardarsi un attimo sul confronto con Svevo. Il<br />
nome stesso del personaggio vittoriniano, Adolfo (peraltro già presente<br />
nei cinque episodi, materiali preparatori come ipotizza la Rodondi<br />
del progettato romanzo Il ballo dei Lagrange, editi anch’essi<br />
fra l’ottobre del ’29 ed il marzo del ’30), è quasi una variatio, peraltro<br />
9<br />
e. VIttorInI, Scarico di coscienza, «L’Italia letteraria», 13 ottobre 1929.<br />
10<br />
Cfr. G. manaCorda, <strong>Le</strong>ttere a «Solaria», cit., p. 128.
36 LIA FAVA GUZZETTA<br />
fortemente assonante, del nome del protagonista sveviano Alfonso,<br />
mentre tutta l’ambientazione e la figura stessa di Adolfo, che, come<br />
l’Alfonso Nitti sveviano, costituisce in un certo senso il filtro della<br />
narrazione, ci riportano al primo Svevo. Considerando peraltro<br />
che il Vittorini di questi racconti esibisce una scrittura narrativa più<br />
orizzontale ed una maggiore dialettica attanziale rispetto a precedenti<br />
prove, possiamo affermare che a livello contenutistico il ponte<br />
fra questi racconti ed il romanzo sveviano è costituito dall’ambiente<br />
impiegatizio comune (la banca Maller in Svevo e una prefettura di<br />
epoca fascista in Vittorini) che fa da sfondo e scenario per il continuo<br />
confronto tra la fantasia e l’attitudine sognante dell’eroe, e la<br />
meccanicità e prevedibilità di ciò che accade nell’ufficio, teso per intrinseca<br />
necessità ad appiattire e spersonalizzare il singolo impiegato<br />
per poterlo ridurre il più possibile alla misura ed agli interessi dell’Istituzione.<br />
In tal senso è possibile affermare che esistono possibilità<br />
di confronto con il testo sveviano. Questi impiegati vittoriniani<br />
che vivono in un’aura incerta, in un limbo polveroso di pratiche da<br />
sbrigare senza interesse e di ordini da eseguire senza convinzione,<br />
perdendo di umanità senza avvedersene nella routine dell’ordinaria<br />
amministrazione e nella ritualità di azioni insignificanti da compiere<br />
con importanza di gesti epici (come ad esempio succede nell’ora<br />
in cui gli uscieri urlano «firma, firma», ed il campanello di Sua Eccellenza<br />
strepita a tutte le porte), sono certamente imparentati con<br />
i vari Starringher, Miceni, Ballina del romanzo sveviano, anch’essi<br />
eternamente tesi a consumare le loro giornate nel compimento di innumerevoli<br />
pratiche burocratiche e prive di interesse, con la conseguenza<br />
di ridurre a poco a poco la loro sensibilità ed interiorità alla<br />
misura della propria pignoleria d’impiegato modello, o all’ordine<br />
meticoloso del proprio tavolo di lavoro. <strong>Le</strong>ggiamo il famoso incipit<br />
del II capitolo del romanzo sveviano Una vita:<br />
Alle sei suonate Luigi Miceni depose la penna e s’infilò il soprabito<br />
corto corto, alla moda. Gli parve che sul suo tavolino qualche cosa fosse<br />
fuori posto. Fece combaciare i margini di un pacchetto di carte esattamente<br />
con le estremità del tavolo. Ci diede ancora una guardatina e<br />
trovò che l’ordine era perfetto. In ogni casella le carte erano disposte<br />
con regolarità che le faceva sembrare libretti legati: le penne accanto al<br />
calamaio erano poste tutte alla stessa altezza.<br />
Alfonso, seduto al suo posto, da mezz’ora non faceva nulla e lo guardava<br />
con ammirazione. A lui non riusciva di portare ordine fra le sue<br />
carte. Qua e là era visibile il tentativo di regolarle in alcuni pacchetti
<strong>VITTORINI</strong> E SVEVO 37<br />
riuniti, ma le caselle erano in disordine; l’una era riempita di troppo e<br />
disordinatamente, l’altra invece era vuota.<br />
Confrontando il testo sveviano con la pagina vittoriniana, troviamo<br />
l’impronta dello stesso clima (a volte perfino gli stessi oggetti)<br />
in quella che Vittorini chiama «l’armonia monotona e grigia della<br />
prefettura», nella quale Adolfo ed i suoi colleghi trascorrono le loro<br />
ore di lavoro, quelle ore che «abituavano la sensibilità dei funzionari<br />
ad un mondo di cose scettiche e tristi, dove ogni felicità, ogni<br />
piccola gioia, ogni innocente ingenuo piacere, ogni desiderio di riposo<br />
del loro tempo logorato cercava di vagheggiare una grazia,<br />
seppure distratta e peregrina, nell’ordine calcolato degli scrittoi,<br />
dei registri, dei calamai, dei pennini, della carta sugante, della corrispondenza,<br />
degli archivi, del cestino, e delle mansioni d’ufficio in<br />
genere» 11 . Adolfo, la cui maniera di sorridere sgomenta il dirigente,<br />
e il cui modo di «staccare le parole sulle labbra con un moto<br />
di dolce sollievo» confonde i decrepiti impiegati abituati a parlare<br />
l’italiano come «la lingua ufficiale del Regno, la lingua sillogistica<br />
cartilaginosa, dei Codici, Atti e Decreti»; egli che è assolutamente<br />
refrattario «alla cosiddetta morte dell’Ufficio» e che scrive lettere<br />
sciolte, disinvoltissime, assolutamente libere dal meccanismo dei<br />
pertanto, nonostante, in merito, surriferito, emarginato, evaso, ratificato,<br />
pregiato, tanto per Vs. norma, etc. è certamente destinato a non<br />
intendersi con il “consigliere dirigente d’archivio”, il quale «dalla<br />
profonda tomba dell’archivio dove con le lettere più insignificanti<br />
o i verbali più vani rifluiva giorno per giorno la vita dell’ufficio<br />
nei suoi minimi moti», avvertiva che «lassù nella sala bianca del<br />
terzo piano maturava una piccola rivolta e che una vivace rotellina<br />
dell’enorme meccanismo girava vorticosamente a vuoto o ficcava<br />
i suoi denti, acuti e velenosi, nella mole del congegno cercando di<br />
imprimere a quella lentezza un’immensa ed implausibile volontà».<br />
Il rapporto tra Adolfo ed il meccanismo collettivo dell’ufficio<br />
somiglia fortemente al rapporto dello sveviano Alfonso con<br />
il meccanismo collettivo della banca Maller, ed entrambi i personaggi<br />
esprimono una sensazione di vaga sperdutezza di fronte alla<br />
«mole del congegno», con riferimenti impliciti, ironici e polemici<br />
al contesto storico-sociale, che ovviamente non è lo stesso per i due<br />
11<br />
e. VIttorInI, Introduzione alla vita di Adolfo, «Solaria», 9-10, 1929, p. 21.
38 LIA FAVA GUZZETTA<br />
autori. Alcuni materiali per cosi dire “iconici” ci sembrano singolari<br />
in entrambi, ad esempio la lettera, che è presente tanto in Svevo<br />
quanto in Vittorini, nei sui significati stridenti e molteplici. Essa in<br />
entrambi segnala prioritariamente il suo uso burocratico e la sua<br />
significatività di oggetto simbolico, quasi feticcio, per la mentalità<br />
e l’attività di questi burocrati opachi, tesi alla meccanica efficienza<br />
per un’ipotesi non sempre probabile di un avanzamento di carriera,<br />
mentre invece ha per i due protagonisti significato diverso e più<br />
largamente umano, creativo ed affettivo. Infatti, così come il vittoriniano<br />
Adolfo non riesce ad usare nelle lettere il linguaggio imbalsamato<br />
della burocrazia, lo sveviano Alfonso proprio nella stesura<br />
della lettera d’ufficio incontra delle difficoltà che ostacolano il suo<br />
inserimento positivo nell’ambiente lavorativo e rivelano la sua refrattarietà<br />
nell’acquisire i nuovi sistemi di lavoro: «Miceni gli disse<br />
di scrivere rapidamente la prima lettera perché doveva servire poi<br />
di copia agli altri scrivani, ma Alfonso non sapeva scrivere presto.<br />
Gli toccava rileggere più volte prima di saper trascrivere una frase.<br />
Fra una parola e l’altra, lasciava correre il suo pensiero ad altre cose<br />
e si ritrovava con la penna in mano obbligato a cancellare qualche<br />
tratto che nella distrazione gli era venuto fatto disforme dall’originale.<br />
Anche quando gli riusciva di rivolgere la sua attenzione al<br />
lavoro, non procedeva con la rapidità di Miceni, perché non sapeva<br />
copiare macchinalmente. Essendo attento, correva sempre col pensiero<br />
al significato di quanto copiava e ciò lo arrestava» 12 .<br />
Anche Vittorini ad un certo punto farà riferimento all’«irregolare<br />
rigurgito che portavano nell’ufficio le lettere di Adolfo sempre<br />
in anticipo o in ritardo, nel protocollo della corrispondenza», e il<br />
lettore avvertito non potrà non riandare con la memoria a quel momento<br />
critico della vita dello sveviano Alfonso Nitti in cui proprio<br />
l’accumulo, la sfasatura, la irregolarità, la disorganizzazione, la non<br />
puntualità nel disbrigo della corrispondenza, diventano i segni della<br />
irriducibilità del personaggio al meccanismo dell’ufficio. Quell’ufficio<br />
che anche in Vittorini, come già in Svevo, non fa che spingere,<br />
“educare” al pettegolezzo, ed alla miope, gretta, reciproca aggressività<br />
(emblematici ad esempio i personaggi di Anastasio e Puglisi<br />
che, nel racconto vittoriniano, hanno sempre fretta di andar fuori<br />
dall’ufficio a «smaltire il loro veleno»). Irriducibilità che ad un certo<br />
12<br />
I. sVeVo, Una vita, cap. II, in Id., Opere, Dall’Oglio, Milano 1964.
<strong>VITTORINI</strong> E SVEVO 39<br />
punto prende proprio la forma di una doppia vita cui i protagonisti<br />
sono esposti, attraverso le continue fughe della fantasia dal chiuso<br />
spazio dell’ufficio verso l’aperta luminosità del “fuori”, e dalla ristretta<br />
realtà del lavoro verso gli sconfinati orizzonti del “sogno”.<br />
E così come i protagonisti del racconto vittoriniano possono ad<br />
un certo punto inventarsi «un altro mondo», «un’altra esistenza»,<br />
il protagonista sveviano si fa più volte cogliere in quell’attitudine<br />
onirica che lo rende capace di «fabbricare» col cervello «dei mondi<br />
interi» (come suona esattamente il testo sveviano al secondo capitolo<br />
di Una vita).<br />
Questi personaggi infatti sentono tutti l’attrazione della vita libera,<br />
del l’aria aperta da contrapporre agli angusti e polverosi “interni”<br />
dei loro ambienti di lavoro.<br />
Questo tema del meccanismo e della routine contrapposta alla<br />
fantasia e alla vita, comincia a delinearsi in «Solaria» come tema carissimo<br />
al Vittorini, e pervade il piano della stessa istanza narrativa,<br />
dando origine a vere e proprie storie e a veri personaggi, che svincolano<br />
definitivamente la scrittura vittoriniana da una dimensione<br />
puramente en artiste, avviandola ad una più corposa e più strutturata<br />
narratività (non a caso di qui a poco lo scrittore si misurerà<br />
con la forma più ampia del romanzo, pubblicando a puntate su<br />
«Solaria» Il garofano rosso).<br />
Contemporaneamente la riflessione di Vittorini si apre al contesto<br />
storico, colto metaforicamente e ironicamente nell’ambiente<br />
prefettizio in epoca fascista come luogo nel quale si consuma l’umanità<br />
delle persone, nel quale viene assorbita la loro creatività, proprio<br />
perché l’ambiente ha la capacità di deformarle col volerle “educare”.<br />
Questo mondo infatti, visto con gli occhi di Adolfo consapevole<br />
di non potere in esso integrarsi, contiene il rischio del plagio<br />
da cui difendersi, ma contemporaneamente si propone come la<br />
prospettiva di perfezione burocratica, di magnifico successo e rendimento<br />
verso il quale la congiura dei Prefetti, Viceprefetti, Capi<br />
gabinetto, tutte le istituzioni insomma dell’efficiente macchina fascista,<br />
vogliono orientare l’uomo e, nella fattispecie, il malcapitato<br />
Adolfo, oggetto privilegiato delle raffinate cure pedagogiche del<br />
Capo gabinetto in persona. Il quale «ostinato a veder in Adolfo una<br />
intelligenza superiore e fiducioso nel radicale cambiamento che la<br />
Rivoluzione, specie applicata ai giovani, doveva apportare al congegno<br />
burocratico», richiama spesso all’ordine lo stesso consigliere,
40 LIA FAVA GUZZETTA<br />
spaventandolo a volte perfino con delle enigmatiche allusioni al<br />
«compito nuovo, fascista, delle Prefetture».<br />
Tuttavia il bisogno di modificare il temperamento di Adolfo lo sentiva<br />
anche lui. Educarlo, educarlo, diceva: “il fascismo per ora non ha altri<br />
doveri. Educare, Educare, Signori. Occorre mortificarci. La salvezza<br />
dell’Italia è nei giovani. A noi spetta soltanto di prepararne il carattere.<br />
Capite, signori, la nostra opera si ferma qui” 13 .<br />
Questo piccolo mondo prefettizio colto nel più ampio sfondo del sistema<br />
fascista, costituisce l’impietoso oggetto dell’ironia vittoriniana,<br />
mentre la critica al regime viene opportunamente evidenziata nella<br />
capacità del regime stesso di attentare alla libera creatività della persona<br />
attraverso un capillare progetto “educativo”. Così, quasi impercettibilmente,<br />
divengono simboli inquietanti di un clima stagnante e<br />
totalitario, questi stessi impiegati di prefettura, chiusi nei loro uffici,<br />
incapaci di accorgersi dell’albero di arance nel cortile, che ad ogni<br />
stagione fiorisce splendidamente di frutti che nessuno raccoglie. Solo<br />
Adolfo sa guardare fuori dalla finestra ed avverte, come l’Alfonso<br />
sveviano, l’attrazione della vita libera, della natura, dell’aria:<br />
Scoppiato adesso il segnale della firma mancava poi solo un’ora al sollievo<br />
dell’uscita […]. Adolfo sognava i porti, i cantieri, gli stabilimenti<br />
aperti dove la vita umana non muore mai, e in quell’ora diventa più<br />
alacre, più armoniosa 14 .<br />
Come si vede, lo spunto del confronto fra il “dentro” e il “fuori”, fra<br />
la realtà e l’evasione, può costituire un’altra tessera del mosaico che<br />
costituisce il rapporto Vittorini/Svevo. La memoria letteraria del<br />
giovane scrittore siciliano funziona, negli anni solariani, da veicolo<br />
di immagini e situazioni narrative di ascendenza sveviana. La sicura<br />
sensibilità di Elio è affascinata da alcuni fra i più originali motivi<br />
sveviani: quello del fumo ad esempio, che sarà presto presente nel<br />
solariano Garofano rosso, tanto da connotare il comportamento del<br />
protagonista Mainardi, perennemente occupato anch’egli ad attardarsi<br />
su un’ultima sigaretta, che non risulterà mai l’ultima e che<br />
attraverserà con innumerevoli variazioni, tutta l’opera di Vittorini.<br />
Ma anche il racconto La mia guerra che non viene pubblicato<br />
13<br />
E. VIttorInI, Introduzione alla vita di Adolfo, cit.<br />
14<br />
Ibidem.
<strong>VITTORINI</strong> E SVEVO 41<br />
su «Solaria», ma appartiene a questi stessi anni, risulta imparentato<br />
con lo Svevo della Coscienza di Zeno. Vi troviamo infatti la stessa<br />
geografia dell’ultimo capitolo: Gorizia, Lucinico; la stessa guerra,<br />
la stessa partecipazione italiana ad essa, la stessa incredulità circa<br />
l’evento. Qui è il ricordo di un bambino, che fa da filtro, in Svevo<br />
era il ricordo del vecchio Zeno. Ma la figura del vecchio è anche<br />
qui presente nella figura del nonno “onnipossente” e “onniveggente”,<br />
quasi patriarca Vecchione, (e si ricordi che l’inedito racconto<br />
sveviano intitolato Il vecchione era stato reso noto al lettore italiano,<br />
proprio dalle pagine di «Solaria») sul quale vengono dislocate<br />
alcune connotazioni di sapore sveviano come ad esempio una certa<br />
ironia e concretezza “commerciale”, un realismo tragico e assurdo,<br />
di fronte alla morte (o alla vita!). Lo stesso andamento narrativo<br />
scandito dalla memoria ricorda Svevo, certi attacchi: «Sette anni.<br />
Come mai non andavo ancora a scuola», oppure: «La guerra mi<br />
prese lì, alla sprovvista» che tanto ricorda la confessione di Zeno:<br />
«La guerra mi ha raggiunto».<br />
Anche il senso di stupore e coinvolgimento imprevedibili e imprevisti:<br />
«Ecco che vi capitai in mezzo stupefatto e nello stesso tempo<br />
stupito di non essermi accorto prima che dovevo esservi prima o<br />
poi coinvolto» – dirà, come ricordiamo, il vecchio Zeno – ed aggiungerà<br />
un’espressione simile a quella che sarà di Vittorini: «La guerra<br />
mi prese, mi squassò come un cencio».<br />
Certi materiali della scrittura cari a Svevo come ad esempio i<br />
deittici, ritornano in Vittorini similmente, in ordine all’organizzazione<br />
speculare del tempo nel gioco passato-presente, o nella accorata<br />
messa a fuoco del mutare della realtà, della perdita. La Gorizia<br />
che fa da sfondo al racconto vittoriniano, è un luogo senza ritorno:<br />
«In quella Gorizia lì, case e giardini pubblici erano prossimi, dalla<br />
finestra si vedeva scorrere una strada che non vedrò più mai».<br />
«Oggi tutto è cambiato, né io ricordo i nomi scomparsi delle vie o le<br />
cose proprio com’erano; e le persone alcune sono morte, altre non<br />
sembrano quelle che amavo» dice il testo vittoriniano, e ci viene<br />
in mente il personaggio di Ada nella Coscienza di Zeno, la sua bellezza<br />
deformata dal tempo, perduta! La realtà dunque appare con<br />
contorni imprevedibili, mutevoli ed imprecisi; il passare del tempo<br />
basta a creare prospettive diverse ed inquietanti, è sufficiente a maturare<br />
delusioni. Il confronto fra i due autori potrebbe continuare,<br />
ma in questa sede ci è sembrato interessante anche solo segnalare il<br />
rapporto testimoniato dal Vittorini solariano.
42 LIA FAVA GUZZETTA<br />
La presenza di Svevo e la sua influenza sullo scrittore siracusano,<br />
si colloca a tutto titolo nella prima stagione vittoriniana, che<br />
si dipana attraverso tre fondamentali momenti. Il primo, come è<br />
stato indicato da Maria Corti, si è realizzato sotto l’influsso malapartiano,<br />
il secondo è rappresentato da un momento frammentista<br />
e rondesco, il terzo è a mio parere testimoniato dalla fase solariana<br />
caratterizzata dalla singolare influenza di Svevo rintracciata da noi<br />
nel “ciclo” di Adolfo in senso stretto e nei racconti di Piccola borghesia<br />
in senso lato. Come si è detto, la prima occasione fornita allo<br />
scrittore da «Solaria» è stata la recensione al romanzo Una vita.<br />
Il valore critico di tale testo è andato, a nostro parere, molto al<br />
di là del senso di una semplice recensione, avendo offerto, al lettore<br />
italiano degli anni Trenta, uno degli interventi più lucidi ed intelligenti<br />
sullo scrittore triestino e sul suo ruolo esemplare per le lettere<br />
italiane del tempo.